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Banda Putiferio
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LISCIO
ASSASSINO
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Canzoni, racconti, poesie
su omicidi seriali e sociali
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Questo lavoro è dedicato alla grande lucidità di Luigi Bernardi
e all’estro creativo di Roberto “Freak” Antoni
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Liscio assassino
Canzoni, racconti, poesie su omicidi seriali e sociali
di Banda Putiferio
a cura di Daniele Manini e Gianluca Mercadante
libro + CD - ISBN 978 88 6438 488 7
© 2014 Editrice Zona - piazza Risorgimento, 15 - Arezzo (Italy)
telefono 338.7676020 - 0575.081353 (segreteria telefonica)
www.editricezona.it - [email protected]
in copertina: foto di Carlo Dulla
cd registrato, mixato e masterizzato negli studi Keaton di Monza
fonico: Roberto Barbini
Progetto grafico: Akab & Serafina - [email protected]
Finito di stampare nel mese di settembre 2014
da Digital Team - Fano (PU)
Indice
Vai col liscio ambrosiano!, di Luca Crovi
7
Le storie, i versi, le parole e soprattutto... il mal di pancia,
di Gianluca Mercadante
13
Le storie
Conto alla rovescia, di Stefano Massaron
Dal mondo esterno, di Gianluca Morozzi
Il gioco di Salvatore, di Samuel Giorgi
La signora coi suoi motivi, di Eva Clesis
Night Train, di Franco Limardi
Voi non sapete cos’è l’amore, di Eliselle
Zeta, di Gianluca Mercadante
19
25
35
47
59
71
79
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Le canzoni
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Il signor Capone (Ballata di San Valentino),
I versi
Le varianti della resa, di Sergio Rotino
A una convention di macellai, di Fabrizio Bianchi
Il tizio con la pistola, di Daniele Manini
Dieci modi per uccidere una donna senza ucciderla,
di Alessandra Racca
Piante d’appartamento, di Mario Bertasa
di Barbini/Cappi
Il signor Wallace Souza, di Barbini/Celi
Il signor Guglielmo, di Barbero/Manini
I signori del Sempione (Expo Milano 1906),
di Barbini/Manini
89
91
93
95
98
107
110
113
116
I signori Eternit, di Barbini/Braga/Manini
La signora coi suoi motivi, di Barbini/Manini
Il signor “M” - Il mostro di qualunque pioggia,
di Barbini/Pinketts
Signor Seriale & Kamikaze Signora,
di Barbini/Manini
La signora Leonarda, di Barbini/Vallorani
Il signor Raptus, di Barbini/Rezza
Il signor Dad(d), di Barbini/Barzi
Il signor Gaetano, di Barbini/Storti
La signorina Doretta, di Barbini/Mercadante
La signorina Kate Bender e famiglia,
di Barbini/Demaria
Madame Léonarde, di Barbini/Vallorani
120
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137
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146
149
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Gli autori e gli interpreti
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Gli autori del libro
Banda Putiferio ringrazia
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Bibliografia
Discografia
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153
154
165
167
168
Vai col liscio ambrosiano!
di Luca Crovi
Devo dire che non sapevo nulla del liscio ambrosiano fino a quando
non me ne ha parlato per la prima volta Daniele Manini davanti a una
birra scura nella fumosa Stalingrado. Avrebbe potuto chiedermi di parlare delle origini del liscio romagnolo e in qualche modo avrei potuto mostrare di essere preparato sulla materia, visto che il mio babbo fu il primo
a pubblicare in Italia da Camunia la biografia di Secondo Casadei, il maestro d’orchestra e violinista che spianò la strada al genere più amato
nelle balere italiane. Fu lui che, rimescolando la tradizione zingara e quella mediterranea, portò nelle aie emiliane certe mazurche e certe polche,
fu lui che dimostrò al nipote Raoul Casadei quanto poteva valere un’orchestra duellando a suon di musiche contro altre formazioni che cercavano di fargli le scarpe.
E se Daniele Manini mi avesse chiesto di parlarvi del punk emiliano,
della new wave toscana, del crossover milanese e del reggae e dello ska
piemontese non mi sarei certo trovato a disagio, essendomene occupato
spesso negli anni. Ma del liscio ambrosiano non ne avevo mai sentito
parlare, anche se il leader della Banda Putiferio sostiene che sia stata la
musica che ha cullato per anni la vita della Ligéra (la criminalità dell’epoca) nella mia città. Sospettando che anche qualcuno di voi possa
essere curioso di scoprire alcuni segreti di questo genere musicale inizio
a illustrarvene le origini. Le informazioni non sono farina del mio sacco
ma le ha fornite un mio basista di fiducia in cambio di due stecche di
sigarette e della tessera di una delle più prestigiose bocciofile di Milano.
Il liscio ambrosiano nacque nei primi del ’900 su suggestione dei valzer viennesi che si ballavano nelle corti reali e nei palazzi dei nobili. Il
popolo allora non aveva la possibilità di avere un’orchestra e si “accontentava” dei piani e organetti meccanici che giravano per le piazze e i
mercati, e improvvisava balli e feste nei ritrovi di allora.
L’avvento dei circoli operai ricreativi portò poi all’arrivo di musicisti
“orecchianti” che non avevano studiato musica ma che avevano un talento
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incredibile per l’improvvisazione e che riproducevano, imitavano e improvvisavano melodie, anche solo dopo averle ascoltate una volta sola.
Questi musici suonavano il piano con cadenze e dinamiche del tutto identiche agli strumenti meccanici.
Il più noto e definito inventore del liscio ambrosiano fu un tale Paggio
(Pagèt, in milanese) il quale, secondo le testimonianze dell’epoca, era il
più preciso nell’imitazione del piano meccanico. Magari il nome Paggio
vi farà venire in mente la figura di un preciso e reverente servo di corte,
ma la tradizione narra invece che il Pagèt era un uomo eccentrico e
portato alla mondanità. Erano gli anni ’30 e le canzoni milanesi venivano
arrangiate coi quattro tempi base del liscio ambrosiano: valzer, mazurka,
polka e scottish (una sorta di pre-foxtrot). Altri nomi di maestri del liscio
ambrosiani, non rimasti nella storia, erano Il Carlone, Emilio De Giorgi,
Enrico Ponzoni, e i “maestri non vedenti” dove andavano a lezione, ma
anch’essi suonavano: Scotti, Bregani, Cleto Venturati, Pierino Porta,
Teresio Callegari, Gianni Sali, Enzo Crosti.
I locali dove principalmente si ballava questi ritmi erano: La cuccagna
(via Cuccagna, angolo via Muratori), La Beveratura (via Carità), I Figli
del Lavoro (via Lomazzo). Il locale della Ligèra era lo Zirotti (via
Poliziano), dove si ballava col coltello sotto i tavoli.
Dopo quella generazione venne Vittorio Pinotti, anche lui cieco, considerato da molti l’inventore del liscio ambrosiano, ma che in realtà era un allievo
del Paggio e da lui aveva imparato tutti i rudimenti di questa magia musicale
lombarda. Pinotti va però ricordato perché rimane l’unico compositore originale del genere, in quanto tutte le altre canzoni venivano “arrangiate” per il
ballo ambrosiano, che consisteva in una sorta di medley di ritmi e canzoni
differenti intervallate dal grido “cambio!”, sicuramente mutuato dal francese
“changer la dame!”, degli autori di musette d’oltralpe.
La canzone più nota di Pinotti è Buli de la riva (con testo di Giannina
Pizzamiglio capace di conquistare il prestigioso Premio D’Anzi) e in genere molte delle sue canzoni furono composte in dialetto milanese. Come
ci ricorda la maestra di danza Linda Ruotto del Circolo Arci Corvetto:
«Sono molte le testimonianze storiche della diffusa pratica del ballo
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ambrosiano a partire dagli anni ’50, ma le origini sembrano essere precedenti. Si caratterizza per la sequenza senza interruzione in un unico brano di quattro balli (con tempo in 4/4) tipici del liscio: la polka, il walzer, la
mazurca e il foxtrot. La difficoltà consiste nel passare da un ballo all’altro senza perdere il tempo. Circa alla fine degli anni ’60 il ballo tradizionale ambrosiano entra in crisi a favore delle prime discoteche, che incontravano maggiormente le esigenze del pubblico giovane. In generale vi è
stato un progressivo indebolimento dovuto al disinteresse dei giovani verso i balli da sala». Oggi si può ancora ballare il liscio ambrosiano in alcuni
locali di Milano: il Circolo Arci Corvetto in via Oglio, dove sorgeva la
Cooperativa Casette, l’Ente Sport Popolare Cagnola, in via Varesina, e
La Balera dell’Ortica, in via Amadeo.
Lo so che adesso, dopo quello che avrete appreso su questa originale
musica, vi verrebbe voglia di ballarla o di assistere a esibizioni che la riguardano: non preoccupatevi, nei luoghi che abbiamo citato vi sarà facile
avvicinarvi a questo universo sonoro, ma potrà anche capitarvi di assistere
alle pirotecniche esibizioni che Claudio Merli riesce ogni tanto a organizzare fra le Colonne di San Lorenzo, con decine e decine di ballerini che
davanti alla basilica danzano con velocità e ritmo che rimandano a una
Milano di altri tempi.
E un giusto mix di musiche adatto a un vero e proprio spettacolo è
quello che ha approntato per l’occasione la Banda Putiferio, che mescola valzer, cha-cha-cha, tango, swing, polka, valzer, mazurka, maxise e
scottish. Esibizioni divise in due tempi, un intervallo e un bis (che per
ragioni tecniche viene nominato bonus track) che propongono una galleria di ritratti criminali unica nel suo genere: dal Signor Capone di
Brooklyn, abituato a far stragi con i suoi gangster a San Valentino, al
signor Wallace Souza di Manaus, che fa affari con i narcos e ama filmare omicidi in diretta per alzare l’audience del suo programma tv; dal
sottotenente William Calley, che sterminò con il napalm centinaia di inermi vietnamiti, ai Signori del Sempione, disposti a tutto per costruire un
traforo; dai Signori Eternit capaci di diffondere il cancro con il loro amianto
alla Signora con i Suoi Motivi ispirata ai Delitti esemplari di Max Aub.
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E poi mostri che vengono dalla pioggia, serial killer, kamikaze, la
saponificatrice di Correggio, personaggi che si fanno prendere dai raptus
più strani, farmacisti che hanno un debole per gli allucinogeni, anarchici
che attentano alla vita dei re d’Italia...
Insomma la Banda Putiferio ha fatto del suo meglio per raccogliere
un suo speciale museo degli orrori, collezionando casi e storie singolari
che, anche se riraccontate con ironia, non possono che inorridirci e spaventarci. Per raccontarle il gruppo capitanato da Daniele Manini ha fatto
sua la sua scuola di maestri delle murder ballads meneghine, come il
Signor J e il Signor G, ha fatto sua la scuola del teatro di San Vittore di
Giorgio Strehler cantato da Ornella Vanoni, ha imparato mosse, posture
e cantati da Fred Buscaglione e Renato Carosone, ha ricaricato la melodia del liscio con il punk ironico e al vetriolo dei CCCP (pensate alla
classica O Battagliero!). E allora, non resta che sedere anche voi nella
speciale balera allestita dalla Banda Putiferio aspettando che il capo orchestra comandi ad alta voce: «Vai col liscio!».
È una frase che ha inventato Raoul Casadei ma che anche a noi
meneghini piace, non fa veni’ voglia de vusa’ ma de bala’ cui scarpet’
de tennis!
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1963, Danze San Novo - Milano
(foto di Virgilio Carnisio)
Le storie, i versi, le parole e soprattutto...
il mal di pancia
di Gianluca Mercadante
Se esiste qualcosa che ho giurato e stragiurato di non fare mai nella
vita, questo qualcosa è la curatela di un’antologia. I mal di pancia che si
sono presi illustri curatori, incaricati di selezionare altrettanto illustri autori da coinvolgere in un progetto a più voci, lo sanno soltanto loro – e, per
quanto mi riguarda, il mal di pancia possono pure tenerselo, già che ci
sono. Si può invidiare tutto, ma il mal di pancia no.
Brutta gente, gli scrittori (presenti esclusi...). Quanto ai poeti, non
saprei, del resto chi si è occupato di selezionare quelli raccolti in questo
volume è Daniele Manini, l’anima dei Banda Putiferio, la pazza band di
Monza con la quale collaboro da anni, lasciandomi travolgere dall’entusiasmo che infondono in ogni loro nuova esperienza musicale, esperienza
che finisce poi con l’espandersi ad altri linguaggi artistici, quali il teatro, il
fumetto, la narrativa. E la poesia, naturalmente.
Ma, ripeto, per i poeti non posso garantire. Per gli scrittori sì, quanto
meno perché uno in particolare lo vedo tutte le mattine riflesso sullo
specchio del bagno. Non è una bella partenza, credetemi. Soprattutto se
con quel cespuglio atomico di capelli, e la tipica espressione stampata in
faccia di chi si farebbe altre dieci ore di dormita no-stop dopo una nottata
a battere tasti, ci devi convivere minuto per minuto, trecentosessantacinque
giorni all’anno, senza straordinari, d’accordo, ma pure senza ferie e senza mutua. Non parliamo di stipendi – o di royalties editoriali, nel caso
specifico degli scrittori, per carità d’Iddio.
Perciò, garantisco: brutta gente, gli scrittori. Gente difficile da mettere d’accordo, intendo dire, niente di personale. Gente che spesso, quando gli chiedi un racconto per un’antologia che stai curando, è capace di
promettertene uno entro i tempi concordati, per poi ignorare le tue successive e sempre più pressanti richieste, siccome i tempi concordati, quegli
stramaledetti, son già finiti da un bel pezzo e oltre. Del racconto in questione non s’è letta una riga. E giù col mal di pancia.
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Ma, a dispetto delle mie iniziali perplessità di fondo, le persone che io
e Daniele Manini abbiamo voluto a bordo per questo progetto il mal di
pancia ce l’hanno risparmiato, aderendo al tema in modo onesto e consapevole – e non senza quel sano, epidermico entusiasmo che è benzina
per questo genere di prodotti letterari. Sì, crediamo che alla fine sia stata
messa insieme una gran bella squadra, anzi: una squadra doppia, in un
certo senso, se consideriamo per un attimo scisse e indipendenti le parti
narrative e poetiche del volume.
Ah, ecco, giusto: vediamo un secondo di quante e quali parti si compone, il volume. Una prefazione servirà pur a qualcosa, in fin dei conti.
Nella sezione “Le storie” troverete i racconti, nella sezione “I versi”
troverete le poesie, nella sezione “Le parole” troverete infine i testi che
compongono l’ultimo album dei Banda Putiferio qui allegato, di cui questo libro, per quanto fisicamente più ingombrante di un cd, è figlio. Tutto
molto semplice.
Se d’altro canto non esistesse la musica dei Banda Putiferio, e la
ricerca che questa volta ha spinto i monzesi musici a ripercorrere le
tracce storiche e le ambientazioni sonore del liscio ambrosiano e della
Ligèra milanese, è piuttosto probabile che nessuna delle seguenti pagine
sarebbe stata scritta, inclusa quella che state leggendo ora.
A proposito: sarei dell’idea di apprestarmi a togliere il disturbo, di là
c’è fermento. Sapete – ma sia chiaro: qui lo dico e qui lo nego, eh? – per
quanto potessi pensarne male, creare un’antologia è stata un’esperienza
che non stento a definire interessante. Addirittura catartica, sì, in un certo qual modo che sinceramente non saprei spiegare meglio di non spiegarlo affatto. Ma ci provo, giusto per dovere: è un po’ come mettere
insieme una squadra di calcio, se capite cosa intendo.
Capite cosa intendo?
Io, francamente, no. Di calcio non ci capisco una fava. Capisco di
scrittori, però, e di scritture, siano esse votate alla prosa o alla poesia.
E vi garantisco che in questo libro di scritture ne troverete molte,
tutte diverse. Eppure, similmente alla scaletta decisa per un disco, o
alla sopracitata formazione calcistica, ogni testo vive di vita propria
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fino alle ultime righe, momento in cui sembra voler anticipare il testo
successivo. Così fino alla fine dei novanta minuti. Così fino all’ultima
nota. Così fino all’ultima pagina.
Quello che non troverete in questo libro, semmai, è proprio lui: il liscio
ambrosiano, sebbene l’amico Luca Crovi l’abbia sviscerato poco fa, rivelandovene un mondo dal retrogusto ormai epico. Agli autori dei testi
qui antologizzati si è invece proposto di analizzare la figura criminale
dell’assassino attraverso una serie di testi che ne rileggano le molte
sfaccettature alla luce di una sensibilità contemporanea.
Insomma: vedi titolo. Il liscio lo si è affidato al disco – nonché ai teatri
italiani, in una pièce di prossima uscita, una commedia musicale che racconterà l’universo della Ligèra visto oltre sessant’anni dopo, e dunque di
nuovo secondo un odierno sentire.
Gli assassini ce li siamo presi noi. Col loro carico esistenziale, con
l’illuminata decadenza di cui si rendono specchio attraverso lo strumento
magico della finzione narrativa, che filtra le malattie di ogni epoca della
storia umana per mezzo delle infinite variazioni sul tema delle solite, misere, ma in qualche misura eccezionali vicende che viviamo fuori dalla
carta. Da lì, ci muoviamo in qua, verso la pagina, come viaggiatori spaesati, aprendo con ansia i bagagli che di volta in volta riempiamo con le
poche cose utili a raccontare ciò che si è visto, sentito, immaginato o
vissuto: un pugno di parole, qualche cicatrice invisibile che ancora brucia,
e un assassino da scovare perché perda la sfida che s’illude di portare a
termine.
O perché possa vincerla al posto nostro.
Mal di pancia permettendo, s’intende.
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1969, via Santa Marta - Milano
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Le storie
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Conto alla rovescia
di Stefano Massaron
Guardateli. Vi prego, guardateli soltanto un attimo. Sì, quei due ragazzi che stanno uscendo in questo momento dalla bocca grigia delle scale
della metropolitana. Lei è spigliata, solare, radiosa. Lui è vivace, sorridente, divertito. Mano nella mano, dipingono il ritratto della felicità. In
molti si voltano a guardarli. Si parlano, si baciano, si sorridono. Scherzano, si prendono in giro. Alle loro spalle, il tramonto è ormai solo un ricordo
rossastro nel cielo scuro della sera. Sono felici, non vi pare?
Non mi prendereste sul serio se vi dicessi che questi due ragazzi
moriranno tra cinque minuti. Sembra impossibile, vero? Eppure è così.
Avviciniamoci. Solo un po’ . Sentite il profumo dei capelli di lei? Lacca. Forse anche uno shampoo alle erbe. Un buon odore, un odore che fa
venir voglia di camminare con passo più rapido, più vivo. Lui ha il giubbotto di jeans. Se guardate bene sopra il colletto rivoltato all’insù, coglierete il barbaglio di un orecchino che riflette i neon dei negozi e i fari delle
automobili quando passano. È di quelli minuscoli, a perlina. Deve averglielo regalato lei. Oh, dio, ascoltatela ridere! Il suono della sua risata non
vi fa venire una strana nostalgia per qualcosa che non avete mai avuto
ma che forse vi sarebbe piaciuto avere?
Quattro minuti.
Aumentate il passo. Non perdiamoli. Voglio sentire cosa si dicono.
Chissà da quanto tempo si conoscono. Pochi giorni, o forse anni. La
voglia con cui si guardano è di quelle che non se ne vanno mai. Forza,
raggiungiamoli... adesso, che la piccola folla che aspetta l’autobus li ha
costretti a rallentare un po’ .
Ascoltiamo.
– Sei scemo. Oh dio ma come si fa? Smettila! Ti guardano tutti.
– Guardano te, vuoi dire. Cammini come un’indossatrice.
Lei ride, lo spinge lontano, poi lo riprende.
– Io sono un’indossatrice, stupido! –, lo spinge via di nuovo.
– D’accordo. E io sono un elastico, allora. Piantala di tirarmi!
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Si abbracciano. Davanti all’entrata della chiesa, due signore si scostano per farli passare. Loro non se ne curano. Sono abituati ad avere la
strada libera. O forse non se ne sono neppure accorti. Hanno altro a cui
pensare... e si vede.
Si baciano: un contatto rapido delle labbra, due sorrisi che si uniscono
trasformandosi in risatine divertite. Barcollano, perché il bacio impedisce
loro di guardare dove stanno andando. Ridono ancora.
– Fermati. Mi stai facendo venire il mal di pancia.
Lui si ferma e l’abbraccia. Allunga una mano dietro di sé, forse
inconsapevolmente, per appoggiarsi al muro di mattoni rossi della chiesa. Lei si preme contro di lui. Questa volta, dai loro sorrisi spuntano
le lingue: visibili solo per un brevissimo istante, subito scompaiono nel
segreto di un altro bacio.
Lei chiude gli occhi. Si lascia andare. Lui le accarezza i capelli.
Avete visto come le sue narici si sono dilatate impercettibilmente per
inalare il profumo di lei? Avete visto?
Sono pronto a scommettere che lui non se n’è neppure accorto, preso
com’è dalla sofficità di quel corpo premuto contro il suo. Qualcuno di voi
se la sente di dargli torto?
Tre minuti.
Lei si scosta bruscamente, gli pizzica la pancia. Lui ride. Tra le loro
labbra c’è lo spazio di un capello, i loro volti ravvicinati confinano le luci
della sera in una sagoma multicolore che si restringe sempre più, trasformandosi con grazia irriverente in un altro bacio. Questa volta, però, lei
tiene gli occhi aperti.
– Dimmi ancora come sono i miei occhi –, gli sussurra a fior di labbra.
Oh, dio... non è sembrato anche a voi di poter quasi sentire sulle
vostre labbra la carezza lieve del suo fiato?
Lui tira indietro la testa di qualche centimetro.
– Qualcosa di abbagliante –, dice serio. Ma osservatelo bene: lo vedete anche voi? I suoi stanno sorridendo al posto delle labbra.
– Ho incontrato te, donna fatale, e la mia vita s’è perduta in un oceano di deliziose sofferenze.
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Lei inarca la schiena, rovesciando la testa all’indietro. La sua risata è
limpida, i suoi denti sono bianchi e perfetti dietro le labbra soffici e piene.
Non vorreste stringerla, anche solo per un attimo? Sentire per una frazione di secondo il ritmo del suo cuore contro il vostro petto, attutito dallo
spessore morbido del seno? Avere la consapevolezza, solo per un istante,
che quel cuore batte per voi?
Lei lo bacia ancora. Avete visto? Un riflesso candido, fuggevole, già
scomparso. È la mano, la mano di lei che gli accarezza l’inguine con la
violenza innamorata del desiderio. Non vorreste toccare anche voi quel gonfiore emozionato? Non vorreste sentire, anche solo per un attimo, la ruvidità
lisa di quei jeans sfregarvi contro il palmo della mano, avendo la sfrontata
certezza d’esser voi la causa di quel turgore splendido e improvviso?
– Quando mi baci.
– Sì?
– Fragore assordante. Rombo di tuono nelle mie orecchie.
– Scemo! –, lei lo spinge via, ridendo. Lo costringe a riprendere a
camminare.
– Questa te la potevi risparmiare. Sono meglio quelle che scrivono
sulle cartine dei Baci Perugina. Il che è tutto dire.
– Grazie tante –, lui si ferma, si rivolge a un pubblico che non c’è.
– Uno fa il romantico e questa è la risposta!
Lei ridacchia.
– Smettila! Ci guardano tutti! –, gli bacia il collo. Abbracciati, girano
l’angolo.
Due minuti.
Aspettate. Fermatevi un istante. Lasciamoli andare un po’ avanti,
d’accordo? Dietro di noi è arrivato l’autobus. La gente si affolla davanti
alle porte e sale disciplinatamente. Aspettiamo ancora un secondo. Diamo ai due innamorati qualche metro di vantaggio. Ecco, può bastare.
Andiamo, svoltiamo l’angolo anche noi.
Vento in faccia. Un po’ umido, trattiene un presagio di primavera. O
forse è l’odore dei capelli di lei. Non è possibile distinguerli l’uno dall’altro. Comunque, non ha importanza, vero?
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I due ragazzi si sono fermati ancora, a ridosso della siepe che separa
il campetto dell’oratorio dalla strada. Possiamo anche fare a meno di
avvicinarci: il vento soffia verso di noi, portandoci i loro sussurri.
– Non ho voglia di andare a quella festa. Mi sa di pacco.
Bacio. Le mani si cercano, si trovano, si stringono. Forte. Le nocche
diventano bianche, le dita si arrossano. Vedete come trema il mento di
lui? È l’emozione, che altro potrebbe essere? E la linea del collo di lei...
una curva protesa verso l’alto, una linea attiva di totale abbandono. Non
è bellissima?
– Anche a me. Non ci andiamo. Cinema? Discoteca? Birreria? Sesso?
Lei ride. Anche lui. Si guardano. Si stringono. Lei giocherella con
l’orecchino di lui, rigirandolo nel lobo con le dita sottili e delicate.
– Mi sono innamorata di uno scemo, mio dio.
Lui la rovescia con forza, mimando un tango appassionato.
– Cosa verrà dopo di me, bambola?
Lei inizia una risata, poi s’interrompe. Diventa quasi seria. Il suo sorriso esita, passando in un lampo da un’espressione di scherno complice a
una di struggente felicità.
– Il nulla –, dice guardandolo da sotto in su. Le sue iridi raccolgono
per un istante la luce dei lampioni. Lui non sa più cosa dire. Forse si è
reso conto che, in quest’attimo che purtroppo è già trascorso, lei gli ha
detto qualcosa di molto più profondo e sentito di quanto sembrasse in
apparenza. La risolleva. La guarda negli occhi.
– Ti amo.
Un minuto.
L’istante si protrae, i loro sguardi si caricano di una tensione tanto palpabile
da vincere il vento. Le mani fremono, dipingendo nell’aria gesti sospesi, incompiuti. Chiudono gli occhi, tutt’e due nel medesimo istante, forse per impedire alla marea che li ha travolti di abbandonarli troppo in fretta, o forse per
assaporarla e riviverla intimamente sullo schermo delle palpebre chiuse.
Guardate: questa volta, il bacio che si scambiano è teso, immobile. Sofferente, perché deve esprimere ciò che le parole non riescono più a definire.
– Dolcissima. Andremo dove vuoi.
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Lei non riesce a parlare. Annuisce soltanto. Lo prende per mano.
Riprendono a camminare. Lui la stringe a sé, passandole un braccio intorno alle spalle. Il suo gesto solleva il giubbotto di jeans, che sale a metà
schiena scoprendo il verde smeraldo di una felpa di cotone.
Trenta secondi.
– Lo dai la settimana prossima, l’esame? –, chiede lei.
– Se non mi stremi di sesso tutte le sere.
– Cretino! –, lei fa il gesto di andarsene, poi ride. Ormai conoscete la
sua risata fresca, spontanea. È il suono che, ne sono sicuro, vorreste
udire nel giorno più triste della vostra vita. Non c’è bisogno di dirlo, vero?
Basta ascoltare.
– Vieni qui! –, lui mima una rincorsa, la prende, la bacia. Lei finge di
lottare, poi si abbandona. Nelle loro labbra si stempera il sovraccarico di
emozioni che li ha storditi poco fa.
– Cosa farei senza di te.
– Il pagliaccio.
– Confermo. È per questo che non ti lascerò mai.
Lei lo spinge in avanti. Verso la strada.
– E meno male.
Dieci secondi.
Sono scesi dal marciapiede. Attraversano. Guardate i loro piedi, come
cadono sulla prima striscia pedonale all’unisono, quasi stessero marciando. I loro sguardi si cercano ancora. Un altro bacio, un’esitazione. Una
carezza.
Cinque secondi.
Le loro teste si voltano di scatto. I loro occhi si spalancano all’improvviso.
Tre secondi.
Qualcosa di abbagliante.
Due.
Fragore assordante. Rombo di tuono.
Uno.
Il nulla.
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I versi
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Le varianti della resa
di Sergio Rotino
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1
hanno assaltato le facce degli avventori con urla ringhi
male parole spintonato i contenuti lasciatogli addosso
tracce di
[unto la morchia pesante dei motori con cui
sono arrivati a questa destinazione fatto quanto dovevano
fare dandosi ragione cercandola insistite volte nello
sguardo
[degli spaventati ché quelli a dire sì certamente
sono abituati a mettere nebbia dentro la stretta opinione a
dirsi persino lontani dall’atto caso mai servisse navigare
nel
[fiotto degli sputi calasse poi il sole o nascesse ancora
infine
dettate le condizioni per ordine per grado superiore
attraverso le voci loro affidate soddisfatti del niente
avverato
[hanno voltato le spalle mestamente feroci
verso un altrove muto veloci sono ripartiti
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2
incartano di parole quelle promesse che ognuno vorrebbe
sentirsi dire la grotta dei tesori il carnevale
pronto per dopodomani capace di durare in eterno farci
scavalcare da fermo la rima bruta inverno-inferno le
avvolgono ben strette nel già detto nel pontificato poi nel
possibile sentito dire mai del già fatto o
di una luce di progetto mosso in direzione del divenire
niente si fa prossimo allora ma attorno
come per magia nessuno ascolta seriamente della speranza
prossimamente sicura nessuno
vuole fare a meno non si alza la testa non si prende parola e
loro i comprensivi di tanto
coro vanno agiscono rapidi proprietari dell’inesatto alzano
la voce fanno il lavoro
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3
non credono al buio ma solo a quella pressione leggera
che il buio dona ai movimenti loro al dito sulla morsa del
cane tirato facendoli
materiale scollato dalla pesantezza del dover essere vera
forma del pensiero comunque intriso seppure poi dopo di
color nero
seppia sparso a macchia su quanto adesso è forma chiara e
susseguente sparo
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Le canzoni
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1969, Trattoria via Ascanio Sforza - Milano
(foto di Virgilio Carnisio)
PRIMO TEMPO
Efferati mandanti e mandatari
Il signor Capone (valzer lento - 4’ 38”)
Il signor Souza (cha-cha-cha - 3’ 46”)
Il signor Guglielmo (tango & swing - 4’ 08”)
I signori del Sempione (polka recitata - 3’ 20”)
I signori Eternit (canzone valzer - 4’ 21”)
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Intervallo
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La signora coi suoi motivi (i quattro tempi ambrosiani - 2’ 54”)
SECONDO TEMPO
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Abitudinari e di circostanza
Il signor “M”. Il mostro di qualunque pioggia
(canzone mazurka - 5’ 19”)
Signor Seriale e Kamikaze Signora (canzone polka - 2’ 53”)
La signora Leonarda (canzone valzer - 4’ 42”)
Il signor Raptus (machiche - 1’ 45”)
Il signor Dad(d) (scottish & swing - 3’ 01”)
Il signor Gaetano (polka a due voci - 5’ 15”)
La signorina Doretta (tango cantato - 5’ 09”)
La signorina Kate Bender e famiglia (country & scottish - 4’ 55”)
Bonus track
Madame Léonarde (versione in francese - 4’ 42”)
Consulenza sui profili criminali di Eleonora Mistretta
Il signor Capone (Ballata di San Valentino)
(Barbini/Cappi)
È la notte di San Valentino
d’ogni altra più fredda sarà
sette uomini in un magazzino
cosa mai riscaldare potrà?
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Se vuoi bere un bicchiere di whisky
ti rivolgi all’Organizzazione.
Ma se non vuoi correre rischi
vallo a chiedere al signor Capone.
Nella notte di San Valentino,
la più fredda di tutte le notti,
gli emissari di un assassino
si vestirono da poliziotti.
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Eran quattro di blu vestiti,
solo quattro potevan bastare:
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sette uomini un po’ infreddoliti
sono facili da eliminare.
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Nella notte di San Valentino
quattro killer sono già entrati
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dentro un gelido magazzino,
tutti e quattro di mitra armati
Figurava come un’ispezione:
«I liquori son contrabbandati!»
Ma i sicari del signor Capone
per ben altro eran stati pagati.
Nella notte di San Valentino
pochi istanti son sufficienti
e ai lor piedi stan, lì vicino,
sette uomini ormai morenti
Gli assassini sono scappati,
quattro ombre vestite di blu,
ma là dentro, morti ammazzati,
sono in sette a non vivere più
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A Chicago se vuoi un liquore
devi bertelo di contrabbando.
Al Capone è il solo signore,
solo lui è rimasto al comando.
È la notte di San Valentino
d’ogni altra più fredda sarà.
Sette uomini in un magazzino
cosa mai risvegliare potrà?
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Alphonse Gabriel Capone, meglio conosciuto come Al “Scarface” Capone
(Brooklyn, 17 gennaio 1899-Palm Island, 25 gennaio 1947), è stato un criminale statunitense, di origine italiana; è considerato un simbolo del
gangsterismo americano e della crisi della legalità che gli Stati Uniti dovettero affrontare nel corso degli anni Venti.
Profilo
Mafie. Malattie che portano all’omicidio in serie per cause legate a presunte mancanze di rispetto e onore a un sistema di prevaricazione e taglieggiamento che
sfocia in favoritismi e soprusi, prevalentemente riferiti a personaggi con poteri
politici ed economici. Molto diffuse in Italia, Cina, Russia e Stati Uniti. Come una
sorta di nuovo culto, influenzano la vita di gran parte del sistema sociale mondiale.
Esecuzione
Daniele Manini: voce alcolica
Roberto Barbini: piano, fisa, musica proibita e antico piano giocattolo
Massimo Braga: contrabbasso con custodia senza mitra
Alessandro Stufano: chitarre gangster
Simone Riva: batteria incalzante
Trio Sbergia: cori etici
Andrea Carlo Cappi: testo attinente
Sergio Rossi: voce intro di tratta dal film Banditi a Milano di Carlo Lizzani
(De Laurentis, 1968)
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2014, Arci Corvetto - Milano
(foto di Carlo Dulla)
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