La rassegna di oggi

RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – venerdì 5 settembre 2014
(Gli articoli della presente rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito
internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
ECONOMIA (pag. 2)
Segnali di ripresa in Fvg, ma il peggio non è passato (Piccolo)
REGIONE (pag. 3)
Caso Englaro, Lombardia censurata (M. Veneto)
Sanità, la super agenzia nel mirino di Lorenzin (M. Veneto, 2 articoli)
I medici di base sposano il riassetto: «La svolta strutturale è necessaria» (Piccolo)
CRONACHE LOCALI (pag. 5)
«L’Accordo sulla Ferriera messo a rischio dalle banche» (Piccolo Trieste)
«Paghe ridotte? Assurdo». Sindacato contro Piccinin (M. Veneto Pordenone)
Gruppo Santarossa, l’ipotesi di affitto d’azienda con Very System (Gazzettino Pordenone)
Ambiente servizi, lavoro a rischio (Gazzettino Pordenone)
Gli enti pubblici non pagano, Pessot costruzioni va in crisi (M. Veneto Pordenone)
«Basta con le cassandre nella sanità» (M. Veneto Pordenone)
Domovip premia 300 dipendenti (Gazzettino Pordenone)
Caso-afghani, lunedì un maxi-vertice (Piccolo Gorizia-Monfalcone, 2 articoli)
«Turni 6x6 in cantiere, un fallimento» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Chi e quanto inquina, un’indagine di A2A (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
«Elettrodotto, l'interesse europeo avrà la precedenza» (Gazzettino Udine, 2 articoli)
Pronto il nido dell’ospedale. Tariffe da 500 a 700 euro (M. Veneto Udine)
Fontanini: sì al rientro di chi è in distacco (M. Veneto Udine)
Sinfonica, i musicisti firmano il contratto (M. Veneto Udine)
ECONOMIA
Segnali di ripresa in Fvg, ma il peggio non è passato (Piccolo)
di Piercarlo Fiumanò TRIESTE Si allenta la morsa della crisi in regione ma il peggio non è passato. «Il
segnale è molto chiaro. Il trend della salute dell'industria regionale, dopo la flessione subita nel primo
trimestre, ha ripreso a salire»: il presidente regionale di Confindustria Friuli Venezia Giulia, Giuseppe
Bono, amministratore delegato di un colosso come Fincantieri, commenta così i risultati dell'indagine
congiunturale dell’economia regionale nel secondo trimestre 2014. Dalla lettura dei dati emerge infatti
qualche spiraglio: «La lenta e leggera ripresa iniziata attorno alla metà dell'anno scorso -chiarisce
Bono- ha segnato in questi ultimi mesi una confortante accelerazione. Speriamo che continui». In realtà
c’è molta cautela: «Malgrado i buoni risultati raggiunti nel secondo trimestre non ci si aspetta una
continuazione decisa della ripresa. Le previsioni sono orientate ad una sostanziale stabilità tendente ad
un lieve peggioramento», si legge nel rapporto. Per Bono, in ogni caso, si tratta di «un risultato
confortante, ma non ancora sufficiente per dirci che siamo usciti dal periodo di crisi e dal pericolo di
pesanti ricadute. Motivi per guardare al prossimo futuro con seria preoccupazione sono ancora,
purtroppo, numerosi». L’emergenza occupazione (-0,%1 nel periodo) resta pesante: «Credo che
potremo considerare superata la crisi solo quando anche il mercato del lavoro presenterà livelli di
crescita significativi». Secondo Confindustria Fvg «dati così univocamente favorevoli non si
registravano dal secondo trimestre 2011». Resta la grande risorsa dell’export (+9,6% le vendite
all’estero nel periodo). Il 59,9 del campione di imprese regionali al centro dell’indagine esporta
all’estero per un fatturato complessivo di 5.248 milioni con un fatturato medio per addetto di 280 mila
euro. Nel secondo trimestre 2014 la produzione industriale ha segnato +4,6%, il totale delle vendite
+8,2%, soprattutto grazie alla forte ripresa delle vendite Italia (+6,3%). A livello tendenziale la
produzione segna +5,8%, le vendite totali +6,7% (+3,5 in Italia e +8,7% all'estero). Buono anche
l'andamento dei nuovi ordini che risultano positivi sia nel confronto congiunturale (+7%) sia in quello
tendenziale (+4,4%). Le previsioni per il terzo trimestre 2014 sono orientate a una sostanziale stabilità
tendente a lieve peggioramento. Molto dipenderà, come osserva ancora Bono, dalle capacità di rilancio
del Sistema Paese: «L’Italia è tecnicamente in recessione economica. Che le cose nella nostra regione
vadano un po' meglio che nel resto d'Italia, ci può far piacere al momento, ma siamo anche convinti che
se la ripresa non investirà tutto il Paese e, con esso, anche il resto d'Europa, dove segni di debolezza
emergono anche da paesi trainanti, la timida ripresa del Friuli Venezia Giulia non potrà che sgonfiarsi
rapidamente. L'ho già detto e lo ripeto, bisogna prendere atto della assoluta centralità delle imprese per
poter rilanciare sviluppo ed occupazione ed in coerenza con questo imperativo attivare con massima
urgenza una articolata strategia di rafforzamento del sistema produttivo». Il presidente degli industriali
Fvg apprezza il piano di rilancio industriale della Regione ma la “cura” non potrà funzionare se non si
percorrerà questa via con decisione e con passo più veloce anche a livello di Governo nazionale».
REGIONE
Caso Englaro, Lombardia censurata (M. Veneto)
di TOMMASO CERNO Con più di cinque anni di ritardo (in totale fanno 23), anche l’ultimo dubbio
sul caso Eluana è chiarito. Il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittimo il decreto voluto da Roberto
Formigoni, allora governatore della Lombardia, con cui vietava a Eluana Englaro di sospendere le
terapie, come la Cassazione l’aveva autorizzata a fare. Una cacciata, una costrizione all’esilio, una
violenza contro una donna in stato vegetativo da quasi 18 anni. Ma soprattutto un atto che non aveva
titolo per essere ordinato, scritto, firmato da un ente pubblico. Fu quel “no” di Formigoni che portò
Eluana qui in Friuli, dove un popolo diviso – ma rispettoso - la accolse. E – dopo la sentenza è ormai
chiaro – lo fece rispettando la legge, la Costituzione e i diritti di quella donna immobile. Era buio e
pioveva quella sera di metà novembre del 2008. Allo studio degli avvocati Giuseppe e Massimiliano
Campeis, nel cuore di Udine, entra una Bmw grigia. Sono le otto passate. Scende un uomo, solo, che ha
guidato sotto la pioggia da Lecco. Quell’uomo è Beppino Englaro, il papà di Eluana. È nato a Paluzza,
ha lavorato in Svizzera e da una ventina d’anni vive a Lecco. «Avvocato», dice con un filo di voce, «le
parlo a nome di mia figlia: la Lombardia ci vieta di liberarla dalle terapie che le infliggono da 17 anni
contro la sua volontà. Mi può aiutare lei a portarla qui in Friuli, nella nostra terra?». Il legale lo fissa
per pochi istanti, poi risponde: «C’è uno Stato che non vuole attuare una sentenza della Cassazione, che
è lo Stato». Si ferma un istante. Poi aggiunge: «Signor Englaro, se non servono a questo gli
avvocati...». È così che quella notte il caso Englaro esce dalla Lombardia ed entra in Friuli. Tutto a
causa di quel “no” politico di Formigoni che, a distanza di troppi anni, è stato giudicato illecito.
Un’invasione delle idee personali di un governatore e del suo direttore generale, quel Carlo Lucchina
oggi rinviato a giudizio per gli scandali – quelli sì – della sanità lombarda, nella non-vita di una donna
indifesa, Eluana, che il 18 gennaio 1992 era uscita di strada con la propria auto perdendo per sempre
conoscenza. Oggi, dopo quel decreto bocciato dai magistrati, in Friuli Venezia Giulia si riaccende il
dibattito su quei giorni. Giorni in cui una piccola regione ha dato a quella piccola figlia della sua
montagna l’aiuto che nessuno, in alto, era stato in grado di darle. Un aiuto che ebbe molti protagonisti
friulani, anzi carnici. Carnico Englaro, carnico Campeis, carnico il medico che staccò il sondino,
Amato De Monte. E carnico il collega-governatore di Formigoni, Renzo Tondo, anche lui del Pdl
berlusconiano all’epoca in grande spolvero. Ma Tondo non fece come il Celeste. Non seguì gli ordini di
Roma. Non ascoltò nemmeno il suo assessore d’allora, Wladimir Kosic, che come i lombardi voleva
fermare Eluana. Tondo fece di testa sua, da carnico. Anche se di pressioni dall’alto ne ricevette tante.
Basti ricordare il giorno dell’inaugurazione del Passante di Mestre, quando Silvio Berlusconi –
all’epoca premier – e l’allora ministro della Salute Maurizio Sacconi, entrambi schierati per impedire
l’attuazione della sentenza di Cassazione, si chiusero a capannello chiedendogli di fare tutto il possibile
perché la Regione autonoma fermasse Eluana e suo padre. Tondo ascoltò, tornò a Trieste meditabondo,
ma alla fine non obbedì. Convinto – e oggi la sentenza del Consiglio di Stato gli dà ragione – che l’ente
regionale non avesse titolo per interferire. Né per vietare ciò che la Cassazione aveva dopo 13 anni di
battaglie giudiziarie consentito a Eluana. Oggi ne è ancora convinto: «La sentenza conferma che
l’atteggiamento di grande rispetto istituzionale che ho tenuto all’epoca, distaccando le ragioni politiche
da quelle del mio ruolo di governatore, era giusto», dice Tondo. «Beppino Englaro era depositario di un
diritto rispetto al quale nessuno poteva opporsi. E io, nonostante le pressioni che ricevetti, restai fermo.
Devo dire che oggi sono sollevato, perché a distanza di anni i fatti mi hanno dato ragione». Già. I fatti.
Quelli che nella sentenza del Consiglio di Stato sono elencati con dovizia di dettagli: «È una sentenza
molto importante sul piano del diritto», dice l’avvocato Vittorio Angiolini, il costituzionalista che ha
seguito il ricorso. «I magistrati stabiliscono che la Regione Lombardia era tenuta a fornire le cure alla
paziente Englaro e che il diritto di avere una cura comprende, in se stesso, il diritto di interromperla.
Questo significa che Eluana avrebbe dovuto trovare in Lombardia quel tipo di assistenza che trovò
invece solo a Udine». Già, perché in un Paese che gridava, parlava, elucubrava solo il Friuli agì nel
concreto, trovando accoglienza ad Eluana a “La Quiete”. Fuori c’erano i laici e c’erano i cattolici. Gli
striscioni pro e quelli contro. Si dissero messe per “salvare” Eluana e si rispolverò la Costituzione per
garantirle il rispetto. Ma nessuno, in Friuli, usò il potere politico per fermare un diritto. Carta dopo
carta, documento dopo documento, ci si occupò solo della paziente Englaro Eluana Jolanda Giulia,
senza pensare alla bufera politica che in quei giorni riempiva i giornali di mezzo mondo, le aule del
parlamento, le trasmissioni tv, i telegiornali. È per questo che si può affermare che la sentenza del
Consiglio di Stato è una censura per Formigoni (la famiglia Englaro sta valutando le richieste di
risarcimento danni), ma al tempo stesso è una “promozione” per tutto il Friuli: «Si è comportato
secondo legge, anticipando ciò che, anni dopo, viene scritto in una sentenza, molto bella», spiega
Giuseppe Campeis. Anche per chi non era d’accordo. Anche per chi non l’avrebbe fato. Anche per
quelli che, in queste ore, non paghi di quei 18 anni di sofferenze, continuano a strumentalizzare la
sentenza. Per farsi pubblicità, magari dal parlamento, e per continuare a negare ciò che ormai è chiaro a
tutti: il comportamento della nostra terra con Eluana non fu solo opportuno, ma fu dovuto. Negarle
quell’aiuto, invece, sarebbe stato calpestare per l’ennesima volta un diritto.
Sanità, la super agenzia nel mirino di Lorenzin (M. Veneto)
di Maurizio Cescon UDINE C’è anche l’Ente per la gestione accentrata dei servizi sanitari nel mirino
del ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Non tanto per la sua funzione di centrale per gli acquisti,
quanto per l’accumulo di funzioni dirigenziali e amministrative che potrebbero di fatto svuotare le
Aziende sanitarie sopravvissute ai tagli della riforma Telesca. E’ l’indiscrezione emersa al termine del
lungo confronto che gli esponenti regionali del Nuovo Centrodestra, partito di Alfano e della Lorenzin
al Governo con Renzi ma all’opposizione di Serracchiani, hanno avuto due giorni fa con la stessa
responsabile della Sanità nazionale. Colautti, Cargnelutti e Gottardo hanno illustrato alla ministra tutti i
punti della riforma in discussione (ieri sono finite le audizioni in Terza commissione) e che presto
varcherà la soglia dell’Aula del consiglio regionale per l’approvazione. Secondo Alessandro Colautti,
capogruppo del Ncd, in assenza di modifiche sui punti più contestati del Ddl Telesca, il Ministero
potrebbe addirittura impugnare la legge. E quindi renderne difficoltosa, o quantomeno ritardare, la sua
applicazione, con l’entrata in vigore prevista da gennaio. Anzi Colautti non usa il condizionale, parla
apertamente di «sicura impugnazione», ma il suo partito è all’opposizione in Regione e lui giustamente
gioca un ruolo di partito, tirando l’acqua al suo mulino. In ogni caso dovrà pronunciarsi la ministra
Lorenzin che a Roma condivide con Renzi responsabilità di Governo. E Serracchiani, è bene ricordarlo,
è oltrechè presidente del Friuli Venezia Giulia anche vice segretario del Pd. «Ma qui non c’entra la
battaglia tra partiti - puntualizza Colautti -, i rilievi sulla riforma sanitaria sono prettamente tecnici e
giuridici. Il ministro Lorenzin anche a noi ha detto di condividere l’impianto che prevede meno
ospedale e più assistenza sul territorio, ma c’è un nodo rilevantissimo, quello del ruolo dell’università.
E’ incostituzionale, a un soggetto che dipende dal Miur, imporre assistenza medica fuori dalla struttura
dove studia, su questo non ci piove. Si creerebbe un problema legale ed economico affidando agli
atenei, adibiti a ricerca e innovazione, compiti di assistenza sanitaria propri degli ospedali. In più c’è un
secondo aspetto, relativo al nuovo Ente per la gestione accentrata dei servizi sanitari, la cosiddetta
super agenzia. Secondo la ministra Lorenzin il centro acquisti unico va bene. Quello che invece non va
è l’apparato dirigenziale e amministrativo. In pratica tutta la sanità, 20 mila dipendenti e un bilancio di
oltre 2 miliardi di euro l’anno, sarebbe in mano a un solo super dirigente di nomina politica. E le altre
aziende sanitarie? Sarebbero delle scatole vuote. Questo articolo della riforma è stato particolarmente
contestato da Lorenzin. Bisognerà correggere i due aspetti, ruolo dell’università e struttura dell’Ente
per la gestione accentrata, in sede di dibattito in Aula, perchè così com’è, la legge non passa l’esame di
Roma».
I medici: riforma senza piano-emergenza
UDINE Autonomia responsabile denuncia il taglio, nella riforma sanitaria, dell’unico reparto di
geriatria presente in Regione e la giunta corre ai ripari con l’assessore Telesca che parla di un «mero
errore materiale» compiuto nel completamento del ddl di ridefinizione del comparto. La III
Commissione, nel frattempo, ha completato la fase di audizione registrando da parte di Smi e Snami
una forte contrarietà alla riforma del sistema. Botta e risposta I consiglieri regionali di Autonomia
responsabile (Ar) sono partiti dall’ultimo rapporto Auser – che indica il Fvg come una delle Regioni
più vecchie d’Italia con il 23,4% della popolazione over 65 – per attaccare il ddl Telesca e, in
particolare, la cancellazione dell’unico reparto di geriatria esistente in Regione, a Trieste. «La cosa
preoccupante – scrivono in una nota comune Dipiazza, Santarossa, Revelant e Sibau – è che nella
prima bozza della riforma che il reparto era presente, mentre nell’articolato depositato ufficialmente in
Regione la struttura è sparita. La Soc di Geriatria è l’unica esistente per acuti in Fvg con i trattamenti
che comprendono sia la cura dell’emergenza che il contemporaneo intervento gestionale e preventivo
sul paziente. Speriamo sia stata soltanto una dimenticanza che, in ogni caso, rafforza i nostri sospetti di
come la riforma sia caratterizzata da una grave e pericolosa superficialità d’azione». Ad Ar ha risposto,
a stretto giro di posta, direttamente l’assessore Maria Sandra Telesca. «Come ho avuto modo di
spiegare in Commissione – ha detto – le schede ospedaliere allegate all’articolato sono in corso di
revisione. L’assenza della citazione del reparto nel ddl rappresenta un mero errore materiale a cui
rimedieremo perché il reparto di geriatria non verrà toccato”. Medici Nell’ultima giornata dedicata alle
audizioni dei soggetti interessati dalla riforma le contrarietà maggiori al provvedimento della giunta
sono arrivate dal Sindacato medici italiani (Smi) e dal Sindacato nazionale autonomo medici italiani
(Snami). I rappresentanti dello Smi hanno criticato, in particolare, l’assenza di «un vero Piano
dell’emergenza» chiedendo in contemporanea che vengano «lasciati in vita dei presidi che possano
rispondere ai casi più urgenti». Lo Snami, invece, ha espresso perplessità «sui finanziamenti che
dovrebbero essere trasferiti dagli ospedali al territorio dove la situazione è immutata da decenni»
evidenziando anche «l’assenza di regole certe per i medici di base, costretti a convivere su una
burocrazia prevalente sulla professione, entro cui operare serenamente». Farmacisti L’Ordine dei
farmacisti della Provincia di Udine si schiera contro l’ipotesi di aggregazione dei medici di medicina
generale. «Scelte simili effettuate in altre Regioni – ha detto il presidente Michele Favero – ci
insegnano come l’abbandono degli ambulatori nei piccoli paesi si traduca in un’immediata sofferenza
delle farmacie di riferimento che mettono in dubbio la loro stessa esistenza». Federfarma, invece,
chiede di estendere l’adozione delle ricette elettroniche che rappresentano “il 30% delle prescrizioni
mediche della Regione” negli ospedali e nelle altre strutture pubbliche. Mattia Pertoldi
I medici di base sposano il riassetto: «La svolta strutturale è necessaria» (Piccolo)
TRIESTE Dopo giorni di critiche a tamburo, ecco l’appello con tanto di messaggio di incoraggiamento
alla giunta a riformare. A sottoscriverlo è un gruppo di medici di famiglia, venticinque in tutto, con
primo firmatario Gianni Segalla, in servizio all’Ass 6 Friuli Occidentale. Una lettera aperta, che parte
da un’analisi del quadro in cui si trova attualmente la Sanità regionale e dei possibili scenari: il
comparto si regge su un «evidente paradosso», visto che si basa sull’assistenza ospedaliera per malati
acuti, mentre i cittadini soffrono ormai per l’80% di patologie croniche che andrebbero quindi gestite
sul territorio, più che nelle corsie dei reparti. Ma oggi il sistema «non è ancora organizzato, dotato e
preparato, perché è affidato troppo spesso al senso del dovere e all’abnegazione dei singoli operatori».
È da questa “incongruenza” che prende le mosse la legge di riordino dell’esecutivo che prevede nella
sostanza la riorganizzazione delle cure soprattutto nelle Aziende sanitarie, a cui saranno destinate
maggiori risorse. Un’architettura che potrà funzionare «solo se in esso sarà veramente centrale il ruolo
del medico di famiglia», è la sottolineatura. «Questo professionista rimarca il gruppo di dottori costituisce di fatto quasi sempre il primo referente del cittadino con un problema di salute, ha il
compito di fare sintesi sulla singola persona degli interventi, per forza parziali, dei vari specialisti,
integra gli aspetti tecnici della cura con quelli bio-psico-sociali». Siamo quindi davanti a una
cambiamento radicale visto che «la riorganizzazione della medicina del territorio ha da tempo segnato
il passo e la storica figura del medico di famiglia ne ha subito i danni maggiori diventando spesso
marginale rispetto ai percorsi di cura e gestione del paziente». I motivi? L’eccessiva burocratizzazione,
il lavoro «solitario ed isolato», soprattutto dei medici. Ecco allora la necessità «di una riorganizzazione
strutturale e di contenuti professionali della medicina di famiglia per rispondere adeguatamente ai
nuovi bisogni di salute». Per i firmatari dell’appello la norma della giunta «sembra aver colto queste
esigenze e propone alcuni correttivi importanti», visto che prevede una serie di interventi. Si cita il
caso, ad esempio, del lavoro coordinato anche per via informatica, gli orari di apertura degli ambulatori
integrati in modo da coprire l’arco della giornata, la gestione delle patologie basate su percorsi
diagnostici, terapeutici ed assistenziali «definiti e strutturati con la collaborazione, la partecipazione e
la condivisione di tutti gli attori del sistemai in una rete di continuità assistenziale finalmente centrata
sul cittadino». Inoltre, dove il contesto urbanistico e sociale lo renderà opportuno, evidenzia il gruppo
di dottori, «questo potrà avvenire anche con la condivisione da parte di più medici di famiglia di
un’unica struttura ambulatoriale dotata di personale di segreteria e infermieristico e aperta anche
all’inserimento di altri operatori sanitari». La riforma, in conclusione, «se applicata con gradualità,
equilibrio, buon senso e convinzione, potrà garantire al cittadino un sistema sanitario regionale di
qualità, equo, sicuro e sostenibile. La medicina di famiglia ne potrà e dovrà essere il fulcro».
Conclusioni a cui è arrivata anche la Fimmg, la Federazione Italiana Medici Medicina Generale, il
sindacato più rappresentativo della categoria che ieri ha preso parte alle audizioni in piazza Oberdan
assieme ai responsabili dei Dipartimenti di prevenzione, delle dipendenze e della salute mentale, con le
associazioni di settore e altre sigle sindacali. «Condividiamo l’impostazione della norma, che andrà
accompagnata da atti concreti - ha rilevato il segretario regionale della Fimmg Romano Paduano anche se certamente ci sono correzioni di percorso da fare».
Subito le norme per l'industria (Gazzettino)
TRIESTE - La priorità della Regione? Una sola per il capogruppo di Forza Italia Riccardo Riccardi: il
lavoro. Da qui l’appello alla presidente Debora Serracchiani e alla Giunta «affinchè in Consiglio si
affronti subito questo tema portando in Aula i due disegni di legge annunciati a suo tempo
dall’assessore Bolzonello afferenti al piano di sviluppo industriale e si posticipi l’iter della riforma
degli enti locali che – puntualizza Riccardi – al confronto con la drammatica situazione occupazionale
e delle imprese, non può essere considerata in questo momento la priorità dell’Amministrazione». Il
calendario dei lavori, da qui a fine anno, prevede nell’ordine la riforma sanitaria, degli enti locali e la
Finanziaria mentre le politiche industriali slitterebbero al 2015. «Il territorio necessita di interventi
concreti a favore del lavoro – aggiunge – è urgente intervenire con una strategia efficace che ridia
slancio alle aziende che chiedono un recupero di competitività senza la quale è difficile immaginare
un’uscita dalla crisi». Ma Riccardi segnala un altro «pesante ritardo» quello legato alle politiche attive
del lavoro e al ruolo dei centri per l’impiego «attorno ai quali aleggia l’incertezza a seguito della finta
eliminazione delle province».
Si rivolge invece alla segretaria regionale del Pd Antonella Grim la deputata di Forza Italia Sandra
Savino chiedendole «se anche il ministro della salute starnazza quando esprime le proprie perplessità
sulla riforma sanitaria oppure la garbata espressione da lei usata è limitata solo agli esponenti di Forza
Italia che misero in evidenza i limiti di legittimità di un progetto normativo che non a caso sta
incontrando pesanti critiche da parte degli operatori del settore». «Chissà se adesso – conclude Savino
– anche i rilievi del ministro sono insensati alla luce di un ridisegno sanitario che tende più ad azzerare
tutto che a riformare il sistema». Elisabetta Batic
CRONACHE LOCALI
«L’Accordo sulla Ferriera messo a rischio dalle banche» (Piccolo Trieste)
di Ferdinando Viola Gli ostacoli sulla strada di una nuova vita per la Ferriera di Servola sembrano
spuntare ogni volta che l’operazione è avviata verso una soluzione. Ora ci si mettono anche le banche.
St, la Siderurgica Triestina, società partecipata al 100% dal Gruppo Arvedi, e Lucchini in
Amministrazione straordinaria confermano di essere pronte a firmare il preliminare del contratto di
cessione dello stabilimento siderurgico già il prossimo lunedì 8 settembre. «C'è però forte
preoccupazione - sottolinea Francesco Rosato, amministratore unico di St - in quanto una delle
condizioni sospensive necessarie per rendere efficace il contratto riguarda la sottoscrizione di un
accordo commerciale con Elettra per la fornitura di energia elettrica allo stabilimento. A tutt’oggi però
le banche creditrici di Elettra non hanno ancora autorizzato tale operazione, mettendo gravemente in
rischio il proseguimento della procedura di cessione, soprattutto per quanto riguarda le attività e
l’investimento previsti per il nuovo laminatoio». «E non ne conosciamo i motivi - aggiunge Rosato - ci
sembrava un passaggio formale. Il gruppo Arvedi, sin dalla presentazione dell’offerta vincolante a
luglio, aveva posto l’accento su questa condizione fondamentale per garantire l’assetto industriale dello
stabilimento: una condizione che sembrava facilmente raggiungibile anche perché utile per tutte le
parti. Ma a tutt’oggi non ci sono risposte». Venerdì scorso al Ministero dello sviluppo economico a
Roma era stato presentato il secondo Accordo di programma per Servola. Si tratta di un investimento
complessivo di 172 milioni, più 41 milioni di soldi pubblici. In un primo periodo dovrebbe rimanere
l’assetto produttivo attuale: altoforno (450mila tonnellate all'anno di ghisa), cokeria (55 sfornamenti al
giorno per 230mila tonnellate all'anno) e agglomerato (540mila tonnellate all'anno). Poi la valutazione
se mantenere o meno la produzione di ghisa e della cokeria e comunque lo sviluppo di un nuovo
complesso metallurgico a freddo con 340 addetti e una piattaforma logistica di intermodalità marittimoferroviaria con altri 40 addetti. Nell’Accordo anche la definizione degli impegni del nuovo proprietario
stabilendo che sarà Invitalia il soggetto esecutore per la bonifica ambientale dell’area. Questo a grandi
linee il Piano industriale di Siderurgica Triestina, la società al 100% di Finarvedi che sta portando
appunto a compimento l’acquisto della Ferriera. Impegni che St intende mantenere. Tanto che oggi,
afferma Rosato, partiranno le lettere di convocazioni alle organizzazioni sindacali per la consultazione
sull’accordo, come prevede la legge. «Noi non intendiamo tornare indietro - conclude l’amministratore
unico della Siderurgica Triestina - rispetteremo tutti gli impegni sottoscritti, ma le banche devono
provvedere al più presto a definire con Elettra l’accordo. I tempi sono stretti e tutta questa vicenda
porterebbe a ulteriori ritardi, se non al blocco di tutta l’operazione».
«Paghe ridotte? Assurdo». Sindacato contro Piccinin (M. Veneto Pordenone)
PRATA Chiedere ai dipendenti di ridursi lo stipendio per garantire maggiori guadagni all’azienda?
Non se ne parla nemmeno. La proposta choc dell’imprenditore Angelo Piccinin non trova sponda nei
rappresentanti dei lavoratori ovvero nei sindacati. L’industriale di Prata, presidente del consiglio di
amministrazione di Santa Lucia spa, mobilificio sino a qualche anno fa additato come modello di
modernità e di lungimiranza, stavolta è rimasto isolato. Anzi, le sue dichiarazioni suonano come un
boomerang per l’immagine di un’azienda, la quale, forte di 140 dipendenti, ha appena trovato una
soluzione temporanea ai suoi problemi economici convincendo il sistema bancario a concederle ancora
fiducia. Attuando una politica di ristrutturazione del debito, l’azienda nata nel 1965 e specializzata nei
settori giorno e notte, sta vedendo la luce alla fine del tunnel, ma non può dirsi ancora fuori del guado.
Ha del sorprendente, pertanto, la presa di posizione di Piccinin. «Non si possono spostare i problemi
delle aziende della zona del mobile sui lavoratori, ovvero su quanti subiscono già le decisioni corrette o
errate dell’imprenditore – ammonisce severamente Simonetta Chiarotto della Fillea Cgil – Per quanto
mi riguarda non devono essere assolutamente toccati né il contratto nazionale né gli accordi integrativi,
ma le soluzioni alle oggettive difficoltà vanno ricercate altrove». Le piaghe dell’industria del mobile,
un tempo fiorente tanto da essere paragonata a una locomotiva mai ferma, sono profonde e ben note
come sottolinea Chiarotto. «Sappiamo tutti che i problemi per il settore derivano dal forte
indebitamento aziendale, la scarsa propensione a monitorare i mercati esteri e la penuria di investimenti
strutturali – spiega la rappresentante di Fillea-Cgil – Non è più possibile andare avanti a produrre
mobili che non si distinguano né per qualità né per stile». E aggiunge: «Purtroppo i mobilifici del
distretto industriale sono rimasti fermi a un prodotto commerciale che non ha marchio, non è
innovativo e non è rivolto ad alcuna nicchia di mercato». Sulla stessa lunghezza d’onda Sonia Quatrida
della Filca Cisl. «Il ragionamento di Angelo Piccinin non può definirsi corretto – esordisce – Sono
d’accordo che la tassazione è troppo elevata per le aziende e per i dipendenti, ma non è che se tagli gli
stipendi l’azienda migliora automaticamente. È superfluo ricordare, oltretutto, che esistono già gli
ammortizzatori sociali. Vogliamo intraprendere delle strade insieme? Bene, lottiamo assieme. Il
problema si risolve con numerose azioni: fare squadra, per esempio, e dotarsi un unico marchio di
qualità distrettuale dal momento che nel mondo il made in Italy continua a pagare». Giacinto
Bevilacqua
Gruppo Santarossa, l’ipotesi di affitto d’azienda con Very System (Gazzettino Pordenone)
PORDENONE - (d.l.) Prosegue il percorso per la messa in sicurezza delle aziende del Gruppo
Santarossa. Il pre-concordato (sia per la Contract che per la Spa di Viallanova di Prata) è stato
perfezionato nei giorni scorsi. Ieri i lavoratori della Spa di Villanova si sono riuniti in assemblea con il
sindacato per fare il punto. Oggi ci sarà un nuovo incontro con il commissario. L’ipotesi è quella del
contratto di affitto d’azianda da parte della Very System, società che fa parte della stessa famiglia e che
occupa un’ottantina di addetti. L’ipotesi è di salvaguardare più della metà dei 255 addetti della Spa.
I percorsi che seguiranno le due società avranno comunque tempi diversi. La Srl di Caneva,
specializzata nella produzione di sistemi e componenti di cabine e bagni per navi da crociera, ha
firmato un contratto d’affitto con la Marine Interiors Spa, una controllata di Fincantieri. L’accordo è
già definito, pertanto la sua ufficializzazione avrà tempi molto rapidi. Diversa la situazione della
Santarossa Spa, penalizzata da una grave crisi finanziaria. Il contratto di affitto è in corso di
predisposizione e si sta tentando di chiuderlo il prima possibile per evitare il blocco della produzione
nello stabilimento di Villanova. L’obiettivo è di evitare qualsiasi interruzione produttiva. Per entrambe
le società sono stati sospesi alcuni contratti bancari e di leasing al fine di tutelare la par condicio ai
creditori. La Concrat ha 60 giorni per sottoporre al Tribunale la sua proposta di concordato. La Spa ha
invece ottenuto 90 giorni.
Ambiente servizi, lavoro a rischio (Gazzettino Pordenone)
Emanuele Minca Scendono in campo pure i sindacati nella guerra dell'acqua in corso fra Ambiente
servizi e i consorzi che gestiscono il servizio idrico integrato Caibt (Basso Tagliamento) e Abl (Basso
Livenza). Al centro della querelle che ha oltrepassato ormai lo scontro verbale per approdare a quello
dei decreti ingiuntivi, c'è un milione 200 mila euro. È quanto chiede Ambiente servizi ai consorzi per la
depurazione delle acque effettuata negli anni 2012 e 2013 e 2014. A questa somma si devono
aggiungere altri 450 mila euro richiesta per lavori effettuati per evitare infiltrazioni nella condotta che
serve i Comuni di Arzene, Valvasone, San Martino, Casarsa per arrivare a San Vito. I circa 130
dipendenti di Ambiente servizi stanno vivendo da mesi con apprensione la difficoltà di questa fase e
hanno quindi bussato ai sindacati inoltrando loro «una ferma e compatta richiesta di intervento». E ieri
i rappresentanti sindacali di Fp Cgil, Fit Cisl e Uil Trasporti, rispettivamente Flavio Venturoso,
Maurizio Angeli e Michele Cipriani, hanno partecipato a una riunione promossa dalla società per
discutere il «perdurare delle difficoltà a vedere onorati i crediti vantati». Nell'occasione Ambiente
servizi ha comunicato ai sindacati che nel caso si protraesse tale difficoltà «la società si vedrebbe
costretta a intervenire su più fronti, anche disapplicando gli accordi collettivi decentrati in essere, con
le conseguenti, penalizzanti implicazioni a carico del personale dipendente della società (premi,
straordinari), nonché evitando nuove assunzioni». Per i sindacati «una simile prospettiva è
inaccettabile. Lo scenario che ci è stato prospettato graverebbe su persone chiamate a svolgere
quotidianamente un lavoro delicato e importante anche socialmente». Venturoso, Angeli e Cipriani
annunciano quindi che nei prossimi giorni «saranno indette assemblee rivolte al personale e si proporrà
di coinvolgere il prefetto di Pordenone, attivando la procedura di raffreddamento nel caso si realizzasse
materialmente un danno a carico del personale dipendente. Tale iniziativa, peraltro, si affiancherebbe a
ulteriori forme di protesta e mobilitazione, anche eclatanti».
Gli enti pubblici non pagano, Pessot costruzioni va in crisi (M. Veneto Pordenone)
di Enri Lisetto La crisi dell’edilizia – uno dei comparti più colpiti dalla recessione – e il mancato
pagamento dei crediti da parte degli enti pubblici – ben 700 mila euro – ha messo in ginocchio la terza,
per dimensioni, azienda del settore del Friuli occidentale, la Pessot Costruzioni srl, con sede legale a
Fontanafredda, ammessa dal tribunale di Pordenone alla procedura di concordato preventivo. Le
prospettive, tuttavia, se la ristrutturazione del debito, 8 milioni di euro, andrà a buon fine, potrebbero
portare a una ripartenza. La società, assistita dall’avvocato Barbara Bortolussi, aveva presentato, il 7
maggio, una proposta di concordato con riserva e chiesto al tribunale 60 giorni per depositare un
progetto, come avvenuto a fine luglio. Nel frattempo, però, Pessot Costruzioni srl, aveva in piedi
cinque commesse nel ramo lavori pubblici: due col Consorzio di bonifica Cellina-Meduna, una col
Comune di Sesto al Reghena, col Comune di Montereale Valcellina, una con la Provincia di
Pordenone. Col concordato i lavori si sarebbero interrotti, cagionando un danno alla stessa esecutrice
per mancanza di introiti e agli enti commissionanti. E’ stata, quindi, chiesta una procedura particolare,
ovvero l’affitto, con successivo impegno di vendita a soggetti terzi, delle cinque commesse e ciascuna
di queste è stata considerata un ramo d’azienda. A sovrintendere all’operazione, con compiti di
sorveglianza sugli adempimenti, il tribunale aveva nominato un pre-commissario, Paolo Pilisi Cimenti.
Due i bandi d’asta indetti: il primo per le commesse del Consorzio di bonifica e del Comune di Sesto al
Reghena; il secondo per la commessa del Comune di Montereale Valcellina. La Provincia di Pordenone
aveva invece optato per la rescissione del contratto senza penale. Al primo bando hanno partecipato sei
aziende e la Ceconi di Treviso si è aggiudicata l’asta al doppio del prezzo base, 240 mila euro su 120
mila iniziali. L’affitto d’azienda è stato ufficializzato venerdì scorso e la prossima settimana
riprenderanno i lavori. Il secondo bando ha visto vincente la Bettiol srl di Pordenone. Ma il Comune di
Montereale, dopo la comunicazione dell’atto aggiudicativo, ma inviato al pre-commissario una lettera
di revoca della proposta, affidando i lavori ad un’altra impresa. La procedura concordataria potrebbe
ricorrere, inviando gli atti per una valutazione al tribunale, che ieri (presidente Francesco Pedoja, Maria
Paola Costa e giudice delegato e relatore Francesco Petrucco Toffolo) ha ammesso al concordato la
storica srl di Fontanafredda. Contestualmente ha nominato commissario Paolo Pilisi Cimenti e fissato
l’adunanza dei creditori per il 13 ottobre alle 9.30. La proposta di concordato prevede il pagamento in
toto dei creditori privilegiati e l’11,1 per cento della parte chirografaria. La liquidità dovrebbe arrivare,
secondo il progetto, dalla vendita di attrezzature (solo gli escavatori sono oltre duecento), capannoni,
sede operativa di Roveredo in Piano compresa, appartamenti costruiti su molti paesi del Friuli
occidentale. Quanto ai dipendenti, ora 25, in parte sono impiegati nei lavori pubblici affidati attraverso
la procedura di affitto dei “rami d’azienda” e, secondo il progetto, dovrebbero essere trasferiti nelle
società che acquisteranno, dopo il periodo di affitto, le commesse affidate.
«Basta con le cassandre nella sanità» (M. Veneto Pordenone)
SACILE «Le cassandre sacilesi vogliono visibilità e condannano la riforma sanitaria, ma la gente ha
imparato a conoscerle». Mena fendenti Ezio Vendruscolo vertice sindacale Cgil Spi con 5 mila
pensionati iscritti: scende in campo sulla riforma. Quella che trasformerà l’ospedale di via Ettoreo, da
gennaio, per ottimizzare l’offerta e risparmiare. «La cassandra sacilese è Gigi Zoccolan – apre il
confronto Vendruscolo –. Ha spesso inventato i mali della sanità sacilese e ha allargato l’orizzonte su
Maniago. Facendo intendere che il primario Giorgio Siro Carniello ha contribuito a rovinare la sanità a
Sacile e farà lo stesso a Maniago. L’incarico ricevuto dall’assessore regionale alla sanità Telesca,
invece, per Carniello ha l’obiettivo di costruire un sistema sanitario ospedale-territorio, sul Modello
Sacile». La proposta di riforma varata dal consiglio regionale ha incassato una larga condivisione nel
settore sanitario. «Le riforme proposte sono basate su un grande obiettivo, cioè quello di risparmiate
risorse nella spesa ospedaliera e spostarle sul territorio – Vendruscolo fa memoria sugli intenti –.
Significa mettere tutti gli ospedali della provincia in rete: assegnando a ognuno varie specializzazioni.
Senza chiudere nessuna struttura». Riforma vuole dire eliminare i doppioni esistenti. «Diciamo la verità
– incalza Vendruscolo –: i doppioni sono serviti per creare posti al vertice ai nuovi primari, non per
migliorare il servizio. Di fatto, in Friuli abbiamo troppi medici e pochi infermieri. La riforma vuole
mettere in sicurezza i reparti: ad esempio, se in provincia c’è un pronto soccorso senza specializzazioni
di reparti, quel presidio diventa pericoloso per la salute dell’utenza». Il primario Carniello ha costruito
il Modello Sacile integrato: è nella riforma. «Carniello ha interpretato in anticipo quel modello – va
avanti il sindacalista – e ha costruito, anche con un contributo della Cgil Spi, la Cittadella della salute.
Si tratta del collegamento tra ospedale e la sanità nel territorio». La filiera della salute fa un passo
avanti: con la riforma. «Capita spesso che, dopo la fase dell’acuzie, il paziente sia dimesso
dall’ospedale e si debba arrangiare – ha verificato Vendruscolo –. Con lo sviluppo della sanità
territoriale, invece, verrà preso in carico per continuare le cure a domicilio. Le cassandre sacilesi non
sono informate bene, forse». Chiara Benotti
Domovip premia 300 dipendenti (Gazzettino Pordenone)
AVIANO - (lp) Il Gruppo Carraro cresce e distribuisce 200 mila euro di premio produzione ai
dipendenti: in tempi di recessione, un esempio in assoluta controtendenza. Nei giorni scorsi, si è tenuta
la riunione di chiusura dell'anno commerciale. All'evento ha partecipato il presidente del gruppo
Domovip Europa, Bruno Carraro, che ha tenuto una conferenza illustrando le iniziative attuate ed
esposte le strategie per il futuro, oltre che distribuiti i premi di produzione a dipendenti e collaboratori.
«In periodi difficili come questi, segnati dalla crisi e dai conseguenti disagi economici e sociali - ha
spiegato Carraro - distribuire ai collaboratori il premio produzione è un segnale di ottimismo per il
futuro e ci aguriamo che altre aziende vogliano emularci». Il Gruppo Domovip Europa, attivo dal 1984,
è in continua crescita e attualmente impiega più di 300 addetti, tra dipendenti e collaboratori. L'azienda
è specializzata nella ricerca, nella produzione e nella distribuzione, attraverso la vendita diretta, di
prodotti innovativi. Oltre a una specializzazione nell'ambito dei sistemi d'allarme, l'offerta comprende
elettrodomestici, pannelli solari e fotovoltaici, sistemi di riposo, climatizzatori e caldaie, piscine,
sistemi di purificazione e addolcimento dell'acqua, sistemi per la pulizia della casa e magnetoterapia.
«In questi anni, sono state aperte numerose agenzie sull'intero territorio nazionale, creando nuovi posti
di lavoro», ha ricordato Carraro. Il gruppo si è alloargato e ora ricomprende Domovip Italia ed
Elettropiù (Aviano), Metra (Fiume Veneto), Linea Domus, Linea Duemme, Immobiliare Colle, Gbm
Immobiliare (settore alberghiero e ristorazione) e Cb Immobiliare. Ogni settimana viene eseguita una
ricerca di personale e la selezione viene fatta a palazzo Menegozzi-Carraro di Aviano. Nella stessa sede
viene tenuta la scuola di vendita del gruppo. Il palazzo viene spesso messo a disposizione per vari
eventi culturali e promozionali del territorio.
Caso-afghani, lunedì un maxi-vertice (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain «È una situazione penosa». Vittorio Zappalorto, prefetto di Gorizia, è diretto e non fa
troppi giri di parole. La tendopoli costruita in riva dall’Isonzo da una sessantina di profughi afghani sta
suscitando reazioni a getto continuo: sullo sfondo il dibattito (cruciale) sull’immigrazione e sulle
strategie per affrontarla. La Prefettura, accogliendo il caldo e pressante invito del presidente della
Provincia Enrico Gherghetta, ha convocato un vertice lunedì mattina. «Ho deciso di chiamare tutti i
sindaci della provincia oltre ai rappresentanti delle forze dell’ordine - annuncia Zappalorto -.
L’incontro sarà a porte chiuse. Perché ho voluto la presenza di tutti i primi cittadini? Perché questo non
è un problema che riguarda soltanto i Comuni di Gorizia, di Gradisca d’Isonzo e di Sagrado: della
questione devono farsi carico tutte e 25 le municipalità dell’Isontino. È chiaro che quelle tende e quei
rifugi di fortuna vanno smantellati al più presto. È in gioco la sicurezza, non possiamo nasconderci
dietro a un dito». Ma dalle parole del prefetto Zappalorto emerge un altro elemento, assolutamente
inedito. Sino a ieri, si era parlato di richiedenti asilo: ciò lasciava presupporre che le autorità avessero
già identificato coloro che vivono all’addiaccio. Ma non è così. «Stiamo cercando di capire chi sono e
chi ce li ha mandati - spiega -. Stiamo verificando da dove vengono e se, realmente, hanno fatto
richiesta di asilo. È chiaro che si tratta di asilanti, li prenderà in carico la Prefettura e, a quel punto,
dovremo studiare qualche convenzione per dar loro ospitalità. Se invece emergerà che non sono
richiedenti asilo, allora dovremo interessare immediatamente il ministero degli Interni». Intanto, si è
fatta sentire anche la Regione. E ha chiesto che sia attivata una procedura accelerata per risolvere il
caso della presenza nel Goriziano di varie decine di rifugiati, accampati in modo precario sulle rive
dell’Isonzo. «Si tratta di richiedenti asilo in attesa del completamento dell’iter di accoglienza,
attualmente esposti al maltempo e senza adeguata assistenza - scrive la Regione -. Anche a seguito di
questa richiesta, il prefetto di Gorizia Vittorio Zappalorto ha immediatamente provveduto a convocare
per il prossimo lunedì una riunione operativa intesa a dare soluzione a una situazione estremamente
anomala». E sempre riguardo alla Regione, dopo le visite dei consiglieri regionali al Cie–Cara di
Gradisca, al fine di chiarire la situazione e capire quali sono le intenzioni e le preoccupazioni del
territorio, il presidente della VI commissione, Franco Codega ha convocato per oggi alle 10.15 i sindaci
dell’Isontino, oltre alla Provincia per fare chiarezza sulla situazione del centro di Gradisca. Chiamati a
esprimersi sulla situazione vissuta sui territori, sono i primi cittadini dei Comuni di Gradisca, Capriva
del Friuli, Cormòns, Monfalcone, Romans d’Isonzo, Sagrado, San Canzian d’Isonzo, Staranzano e
Turriaco. Inoltre, alla commissione parteciperà anche il presidente della Provincia di Gorizia Enrico
Gherghetta. «Da una parte abbiamo riscontrato il proseguimento dei lavori di ristrutturazione dell’ex
Cie che ci preoccupano perché ci fanno pensare a una ricostruzione – fa sapere Codega – dall’altra
abbiamo le prese di posizione anche da parte del governo nazionale, con il ministro Alfano il quale ha
affermato che non si ricostruirà nulla». Altro problema che Codega evidenzia riguarda il Cara. «In
questo caso ci preoccupa un eventuale raddoppio che porterebbe la struttura a ospitare 400 persone che
a differenza di quelle presenti nel Cie, possono uscire durante il giorno. Da queste considerazioni, in
attesa di capire con assoluta chiarezza cosa si farà a Gradisca, vogliamo partire proprio dai sindaci per
capire cosa, innanzitutto, vorrebbero loro».
«Non si può scaricare l’emergenza sui Comuni»
Intervenire. Fare qualcosa. «Si propone in prima istanza di avviare una struttura provvisoria per
l’accoglienza ed il pernottamento, utilizzando una delle caserme dismesse della città, ovvero un’ala
dell’ex ospedale, promuovendo e coordinando l’organizzazione di un supporto di assistenza minimale a
cura delle associazioni di volontari disponibili e/o del personale militare»: a prendere posizione i
consiglieri comunali Stefano Abrami (Italia dei valori) e Emanuele Traini (Federazione della Sinistra)
che hanno indirizzato l’appello al prefetto Vittorio Zappalorto e al sindaco Ettore Romoli,
sottolineando anche che tutto è avvenuto «nell’imbarazzante inerzia o indifferenza delle istituzioni
locali, ad eccezione della Provincia». La risposta del sindaco Ettore Romoli non si è fatta attendere.
«Non si possono scaricare sui Comuni anche queste pesanti problematiche, cui deve provvedere il
ministero degli Interni, ovvero lo Stato e l’Unione europea. Il Comune di Gorizia parteciperà
sicuramente al vertice convocato per lunedì dal prefetto ma va ribadito che in questa situazione, frutto,
purtroppo di una politica nazionale e internazionale sull'immigrazione del tutto inadeguata, non c'è
alcuna possibilità di intervento da parte dell'ente - scandisce chiaramente il primo cittadino -. Noi
possiamo assistere, infatti, solamente i cittadini residenti sul territorio goriziano e, con l'attuale crisi
economica, di goriziani in stato di difficoltà, ce ne sono molti e non penso proprio sia il caso di togliere
risorse a loro per dare risposte agli immigrati, pur comprendendone il dramma umano e la disperazione,
frutto di miseria e di guerre». E riguardo alla possibilità di uno sgombero, evocata dalle componenti più
vicine alla destra? «Il terreno è della Regione, il sindaco non può far sgomberare», precisa Ettore
Romoli. (fra.fa.)
Smart gas incassa il sì di Porto e Consorzio (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Laura Borsani Apertura al progetto di rigassificatore proposto da Smart Gas dal Consorzio per lo
sviluppo industriale e dall’Azienda speciale per il Porto, pur con i dovuti approfondimenti. La
Capitaneria di Porto ha auspicato la rivisitazione del punto di accosto previsto dal progetto,
valutandone eventualmente la sua ricollocazione, ai fini della sicurezza in ordine all’ormeggio delle
gasiere sul versante portuale della cassa di colmata, «interessata da venti dominanti che si
abbatterebbero perpendicolari sulle murate delle unità navali». Altrettanto importante un aspetto: la
congruenza del progetto di Smart Gas con la pianificazione del porto ancora in corso di elaborazione.
Sotto l’incalzare delle domande dei consiglieri riuniti ieri pomeriggio all’ex Pretura per la seconda
audizione delle Commissioni unificate, il comandante Massimo Toninato, ha osservato quando gli è
stato chiesto se non vi sarà alternativa alla banchina prevista dalla società proponente: «In condizioni
meteo sfavorevoli sarei costretto a bloccare l’accosto delle gasiere. In ogni caso, la posizione della
banchina come indicata dal progetto, non può che pregiudicare il traffico portuale». Intanto, per
competenza istituzionale e procedurale, i Vigili del fuoco, di fronte a un impianto per sua natura «a
rischio di incidente rilevante», hanno avviato una prima fase istruttoria esaminando, attraverso un
Comitato tecnico, il rapporto di sicurezza preliminare inoltrato da Smart Gas, in ordine alla descrizione
dei rischi e delle misure di sicurezza. Un percorso lungo, inserito nell’ambito della procedura di Via,
che proprio in materia di sicurezza presuppone un’analisi dei rischi in base a rigorosi parametri di
legge. Altra “maratona” in Consiglio, con gli interventi del presidente del Csim, Enzo Lorenzon,
affiancato dal direttore Gianpaolo Fontana, del presidente dell’Aspm, Paolo Maschio, con il direttore
Sergio Signore, nonchè il comandante Toninato e il responsabile della Direzione regionale dei Vigili
del fuoco Fvg, Tolomeo Litterio. Gli aspetti sviscerati, grazie anche all’intervento dei consiglieri con i
loro sempre innumerevoli quesiti, sono stati molteplici. Lorenzon ha sostenuto di guardare con
attenzione e interesse al progetto di Smart Gas, sotto il profilo «degli effetti positivi sul tessuto
produttivo e occupazionale» e che «darebbe sostegno alle aziende della regione, anche in ordine ai costi
relativi alle dinamiche del mercato energetico». Ha fatto riferimento allo sviluppo del Porto e allo
sfruttamento di una nuova cassa di colmata, da utilizzare anche come banchina. Ha chiamato in causa il
Piano regolatore del porto, datato 1979, per concludere sostanzialmente: «Mettendo insieme, con le
garazie di sicurezza e tutela dell’ambiente dovute, questo progetto e un nuovo piano del Porto valido
almeno per 20 anni, si potrebbero offrire nuove possibilità di sviluppo». Maschio non ha sottaciuto
l’esigenza di addivenire al nuovo piano del Porto «per rendere coerenti iniziative importanti come il
rigassificatore», sottolineando altresì le tempistiche che, secondo l’assessore regionale Santoro, ne
indicherebbero il licenziamento solo a primavera 2016. Un aspetto, la questione dell’avvio dell’iter del
progetto di Smart Gas nell’alveo del vecchio Prg del porto, sul quale anche le domande dei consiglieri
hanno posto l’accento. Maschio, osservando come il rigassificatore «comporta comunque, per sua
natura e tipologia, effetti positivi ma anche criticità da approfondire», ha parlato di «un necessario
compromesso. L’Aspm, che s’è confrontata con gli operatori, sostiene il progetto esprimendo un
giudizio positivo». Toninato ha ricordato: «L’Amministrazione marittima avrà un ruolo specifico in un
momento successivo, quando, definite le procedure di Via, occorrerà svolgere un’attività istruttoria al
fine del rilascio del titolo concessorio per l’occupazione e l’uso del Demanio marittimo,
dell’autorizzazione a nuove opere o infrastrutture e all’esercizio di operazioni portuali». Ha aggiunto:
«Si è dell’avviso che il progetto debba preventivamente essere contemplato nello strumento di
pianificazione portuale in corso di estensione».
Chi e quanto inquina, un’indagine di A2A (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Un’indagine affidata a una società altamente specializzata a livello nazionale per fornire una mappatura
delle ricadute inquinanti della centrale e della loro incidenza relativa rispetto alle altre sorgenti
provenienti dai diversi comparti del territorio. È la nuova iniziativa messa in campo da alcuni mesi da
A2A, che vuole ulteriormente verificare l’effettivo contributo in termini di impatto ambientale
dell’impianto termoelettrico nel contesto complessivo degli apporti inquinanti rilevati nel
monfalconese. La società incaricata è la Arianet di Milano, che collabora da anni con i Ministeri, le
Agenzie per la protezione dell’ambiente, nonché l’Enea. Lo studio ha utilizzato i dati censiti a livello
regionale, nazionale ed europeo relativi agli apporti inquinanti delle sorgenti presenti sul territorio e su
quelli limitrofi (Slovenia), avvalendosi di un modello matematico avanzato in grado di simulare le
ricadute al suolo delle specie inquinanti di ogni sorgente di emissione del territorio. Il “focus”
dell’indagine è incentrato proprio sulla centrale e sulle misure reali delle sue emissioni al camino.
L’incidenza delle emissioni prodotte viene messa in relazione con quelle degli altri comparti, in
particolare quello industriale, veicolare, portuale e aeroportuale, nonchè domestico (riscaldamento). La
tecnica d’analisi è denominata “Source Apportionment”, apporto di sorgenti. Il monitoraggio prende in
esame macro-inquinanti come NOx, SO2, polveri, CO, e micro-inquinanti (metalli pesanti) tra cui
arsenico, piombo, mercurio, cadmio e interessa un’area di 32 chilometri quadrati di lato centrata sulla
centrale. Lo studio s’avvarrà, inoltre, del confronto con i dati rilevati dalle centraline dell’Arpa. Il
modello tiene conto anche dell’effetto-meteorologico che influenza le ricadute al suolo, a partire dai
dati raccolti a livello nazionale e individua l’anno più rappresentativo e attendibile in Regione per le
simulazioni. Il responsabile degli impianti termoelettrici del Gruppo A2A, ingegner Massimo Tiberga,
assieme al direttore della centrale cittadina, ingegner Roberto Scottoni, hanno osservato: «L’esigenza di
promuovere questa ulteriore indagine è scaturita dal fatto che ad oggi non è disponibile una mappatura
aggiornata della effettiva incidenza della centrale nel contesto dell’apporto inquinante complessivo
prodotto sul territorio. Ciò al fine di aiutare a fare chiarezza recependo anche i solleciti espressi
nell’ambito del Tavolo tecnico ambientale. La nostra iniziativa è aggiuntiva alle prescrizioni imposte
dalla legge e rappresenta un contributo integrativo alle altre indagini messe in atto dagli enti preposti».
Si affianca alla ricerca di biomonitoraggio promossa dalla Regione: «Gli esiti appena resi noti - ha
osservato Tiberga - ci confortano: emerge nel complesso che la qualità dell’aria sia generalmente
buona, specie in città, tranne per la presenza di concentrazioni di alcuni metalli in punti localizzati, per
le quali gli esperti ritengono necessari ulteriori approfondimenti». Il tutto si integra con i risultati della
ricerca affidata da A2A al CNR, nell’ambito delle prescrizioni legate all’installazione dei DeNOx, i cui
dati saranno resi noti nelle prossime settimane contestualmente ai risultati dell’indagine Arianet. È
inoltre già partita l’indagine epidemiologica promossa dalla Regione. Intanto oggi alle 11,30, nella sala
della Giunta provinciale sarà presentato il ‘’Rapporto sulla riconversione della centrale di Monfalcone’’
commissionato dalla Provincia.(la.bo.)
«Elettrodotto, l'interesse europeo avrà la precedenza» (Gazzettino Udine)
David Zanirato OSOPPO - «Siamo sereni e tranquilli, ricordiamoci che questa infrastruttura è stata
riconosciuta dall'Europa come »Pci" ovvero progetto di interesse comunitario e crediamo che alla fine
tale indicazione prevarrà sulle altre". Accoglie così Fabrizio Scaramuzza, responsabile per l'Alpe Adria
Energia Spa del progetto di elettrodotto Wurmlach-Somplago, la notizia della bocciatura da parte del
Tribunale amministrativo federale dell'Austria al tratto di linea in territorio carinziano. «Non capisco
tutta questa enfasi - aggiunge - si tratta di un primo grado di giudizio, abbiamo già incaricato i nostri
legali a Vienna di esaminare la sentenza, ricordiamo che in Austria oltre al Tribunale amministrativo ci
sono poi la Corte suprema amministrativa e quella che è l'equivalente della nostra Corte
costituzionale».
«Da quello che abbiamo comunque potuto apprendere sino ad ora - analizza Scaramuzza - il loro
giudizio si sarebbe basato meramente sull'impatto paesaggistico del tracciato, non su quello della fauna
o su quello ambientale per esempio. Si sono poi dimenticati di considerare che tale preciso tracciato
(sconfinamento da Pramosio, ndr) era l'unica alternativa possibile per consentire alla linea di varcare il
confine visto che dall'Italia si era già bocciata l'ipotesi originaria (quella a lato di Passo Monte Croce,
ndr)». Per Scaramuzza comunque il nodo fondamentale è l'interesse comunitario riconosciuto
all'elettrodotto: «in tempi in cui si parla di integrazione europea a vari livelli e settori, la nostra è la
soluzione che più si addice agli obiettivi dettati dalle agende di Bruxelles. Ricordiamo che una volta
realizzata l'infrastruttura rimarrà solamente per un tot di anni a disposizione dei privati, poi sarà ceduta
ai gestori nazionali diventando quindi di pubblica utilità». Scaramuzza infine puntualizza anche la
questione dell'alternativa «interrata» e del progetto concorrente Klauss-Secab: «il Tribunale
amministrativo non mi sembra sia entrato nel merito di questa questione, possono solo dire che sarà
l'Apg, il gestore delle reti energetiche austriache, a dover fare le giuste valutazioni, ricordo solo che ai
tempi, quando fu chiamata ad esprimersi per la prima volta, scrisse che l'interrato non era fattibile».
Paluzza tira un sospiro di sollievo
PALUZZA - Massimo Mentil, sindaco di Paluzza, tira un sospiro di sollievo: «questa decisione non
può che ridare serenità all'intera Valle del But, preservandola da una infrastruttura che sarebbe stata
altamente impattante e permettendole quindi di non avere ostacoli nel disegno di rilancio che stiamo
predisponendo per i prossimi anni assieme ai colleghi sindaci e alla Regione. «La nostra contrarietà
all'opera si è sempre manifestata in tutte le circostanze - ricorda Mentil - purtroppo nei mesi scorsi
l'annuncio del parere positivo al Via italiano giunto da Roma ci aveva fatti preoccupare parecchio, del
resto era stata la Giunta Tondo a suo tempo a definire strategica la linea nonché di interesse pubblico
quando lo sapevano tutti che si tratta di una Merchant line, dal ministero si sono inevitabilmente
adeguati». «Ora fortunatamente l'Austria ci ha dato un grosso aiuto - conclude Mentil - ma non
dimentichiamoci però del problema energetico e del gap che scontano le nostre imprese sul prezzo
dell'energia, dobbiamo lavorare su modelli e sistemi di approvvigionamento che riescano a mantenere
in equilibrio le esigenze del territorio e quelle del comparto produttivo».
Grande soddisfazione da parte di Renato Garibaldi, leader di Carnia in Movimento: «Questa è una
vittoria della gente sull'economia di pochi ma soprattutto ci auguriamo serva da lezione per la politica
regionale, quella che si è passata il testimone in questo decennio, da Illy a Tondo a Serracchiani.
Chiedevamo una vera e democratica concertazione che invece non c'è stata. Devono imparare
dall'Austria dove i tecnici fanno i tecnici ed i politici fanno i politici, senza subalternità o pressioni».
Garibaldi precisa comunque che la vicenda non deve essere letta come una contrapposizione tra
comitati e società proponenti: «se Pittini e Fantoni ci avessero ascoltato e si fossero impegnati in un
confronto reale con il territorio come hanno fatto per esempio in casi analoghi la Secab o Massarutto riflette Garibaldi - si sarebbe potuti magari arrivare ad una soluzione condivisa, invece questi hanno
sbagliato impostazione sin dall'inizio, spendendo tra l'altro solo in carte 1 milione di euro che
avrebbero potuto invece utilizzare in altro modo». D.Z.
Pronto il nido dell’ospedale. Tariffe da 500 a 700 euro (M. Veneto Udine)
di Elena Del Giudice Conto alla rovescia per l’apertura dell’asilo nido aziendale dell’Ospedale di
Udine. Originariamente prevista per l’1 settembre, l’inaugurazione del servizio, e dei relativi locali, è
slittata per ragioni tecniche di alcune settimane. La data esatta non c’è ancora ma l’Ass 4 Medio Friuli,
che ha finanziato in parte il nuovo servizio, ha ufficializzato la disponibilità di 6 posti per il personale
aziendale che intendesse utilizzare il nido. A gestire l’asilo per bambini da 3 a 36 mesi, sarà l’Rti (il
raggruppamento temporaneo di imprese) composto dalla cooperativa sociale “Le pagine”, la coop
sociale “Il raggio verde” e la “Cir Food”, aggiudicatario della gara bandita dal dipartimento servizi
condivisi per un importo di 1 milione 341 mila 360 euro per 36 mesi. Una sessantina i posti a
disposizione delle neomamme che potranno utilizzare il servizio dalle 6,45 alle 18,45, dal lunedì al
venerdì. Tre i turni, ma sarà possibile anche l’accesso orario, a partire dal giornaliero, oppure il
mattutino o ancora pomeridiano. La tariffa massima applicabile parte da 621 euro per il turno
giornaliero dal lunedì al venerdì, che scende a 550 euro nel caso in cui il turno sia di 7 ore, e scende
ancora a 430 euro per il turno di 5 ore. A questi costi andranno sommati quelli relativi al pasto e alla
merenda, pari a 3 euro e 45 centesimi al giorno. Conteggiando dunque anche la spesa legata ai pasti, il
costo per le famiglie sale a 696 euro per l’intera giornata, a 625 euro per 7 ore e 505 euro per 5 ore.
Rispetto alle premesse, o alle “promesse”, sulla base delle quali era stato presentato l’asilo nido
dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Udine, la flessibilità d’orario è stata mantenuta, anche se solo
in parte. L’apertura del servizio un quarto d’ora prima delle 7, evidentemente consente alle mamme che
prendono servizio con il turno del mattino, di passare al nido per affidare il bimbo prima di entrare in
reparto. Ma di assistenza notturna, di cui peraltro si era parlato, nella circolare della Ass 4 nè nella
delibera dell’Azienda Santa Maria della Misericordia che aggiudica il servizio all’Rti, non c’è traccia.
«Gli orari - spiegano dall’Azienda ospedaliera - per il momento sono quelli indicati, ma c’è la
disponibilità a valutare l’estensione del servizio nelle giornate di sabato o in orario serale, in presenza
di un congruo numero di richieste». L’asilo nido è stato costruito al posto dell’ex Centro di prevenzione
antitubercolare, in un’area baricentrica rispetto ai flussi del personale, su un terreno dell'Azienda per i
servizi sanitari del Medio Friuli che ha contribuito con 200 mila euro a finanziare l’opera il cui costo
supera il milione e mezzo di euro. Ispirato ai criteri della bioedilizia, l’edificio che ospita il nido si
estende su un unico piano per circa 500 metri quadrati, sposa le più moderne soluzioni in fatto di
antisismica, di isolamento termico e acustico con copertura a verde sul tetto e suddivisione degli spazi
per sezione (dai 3 ai 12 mesi, dai 12 ai 24 mesi e dai 24 ai 36 mesi). I lavori sono stati realizzati da
un’associazione temporanea d'impresa composta dalla ditta Rossi & C. Snc di Spilimbergo e dalla
Calor srl di Pasian di Prato, e si sono conclusi in primavera. Durante l’estate si è provveduto agli arredi
e all’attrezzatura necessaria alla cucina dove verranno preparati i pasti per i piccoli ospiti. Ospiti che
saranno i figli dei dipendenti (circa 3.800) dell’Azienda ospedaliera e quelli dell’Azienda per i servizi
sanitari n. 4 Medio Friuli (circa 2.300), di età compresa tra i 3 mesi e i 3 anni.
Fontanini: sì al rientro di chi è in distacco (M. Veneto Udine)
«In questo momento, in cui gli organici degli enti pubblici sono ridotti all’osso, è necessario poter
contare su ogni singola unità. Per questo auspico quanto prima il completo rientro di coloro i quali sono
attualmente in distacco sindacale». È l’auspicio del presidente della Provincia di Udine, Pietro
Fontanini all’indomani della presentazione della legge Madia sul taglio negli enti pubblici dei distacchi
sindacali. Complessivamente in Provincia di Udine sono 4 le persone in distacco sindacale: due full
time e due part time. «Nei prossimi giorni incontreremo i sindacati affinché – prosegue Fontanini – la
legge Madia possa essere applicata. Quel che temo è che i tempi diventino biblici. Siamo molto
preoccupati anche a fronte dell’applicazione della legge regionale che, in modo iniquo, ha imposto il
taglio del personale non di ruolo agli enti del Comparto unico. L’iniquità sta nel fatto che enti virtuosi
come il nostro, con fondi già stanziati per i propri interinali sono costretti a lasciarli a casa e le risorse
andranno nel calderone per ripianare i buchi di quelli meno virtuosi».
Sinfonica, i musicisti firmano il contratto (M. Veneto Udine)
di Giacomina Pellizzari Dopo anni di battaglie, si è chiusa la vertenza dei musicisti dell’Orchestra
sinfonica rimasti senza lavoro. Ieri, negli uffici della Direzione territoriale del lavoro (Dtl), 22 dei 39
orchestrali e le due addette alla segreteria di produzione hanno firmato il contratto di assunzione
temporanea, dal 5 settembre al 31 dicembre 2014, con il Progetto musica. Firmando quel contratto i
musicisti hanno rinunciato alla rivendicazione dei diritti maturati in passato nei confronti della stessa
associazione. Gli altri 17 non hanno potuto farlo perché impegnati altrove anche in veste di docenti. A
dirigere l’orchestra sarà il maestro bulgaro, Vram Tchiftchian. Il programma sarà presentato a
brevissimo. Quella di ieri è una data da ricordare per il Progetto musica, l’associazione alla quale la
Regione ha affidato gli 800 mila euro necessari alla gestione dell’orchestra per un anno. Un compito
tutt’altro che facile proprio perché si trattava di dare garanzie a un gruppo di musicisti storici che da
oltre un decennio era passato da una gestione all’altra con contratti a tempo. Da qui le proteste di
piazza e il concerto gratuito offerto lo scorso Natale durante il quale era stata messa in scena
l’ennesima protesta. Lunga la trattativa avviata la scorsa primavera dal coordinatore generale
dell’Orchestra Mitteleuropea del Friuli Venezia Giulia per conto di Progetto musica, Massimo
Gabellone, e chiusa ieri con la firma dei contratti da parte dei musicisti e del presidente
dell’associazione, Federico Macor. «Siamo molto soddisfatti di essere giunti alla conclusione della
trattativa» ha sottolineato il direttore generale di Progetto musica, Loris Celetto, ricordando l’impegno
profuso da tutte le parti coinvolte. «In primo luogo dai musicisti, cui va il nostro ringraziamento per la
disponibilità dimostrata, ma anche dall’assessore regionale alla Cultura, Gianni Torrenti, dai sindacati
(i musicisti sono stati seguiti da Cgil e Uil ndr) e dagli enti con cui ci accingiamo a collaborare».
Progetto musica, infatti, ha affittato dalla fondazione Teatro Giovanni da Udine la sala prove per
l’orchestra e noleggiato dalla fondazione Luigi Bon alcuni strumenti e partiture. L’unico dispiacere
resta quello di non aver potuto firmare il contratto con tutti i 39 musicisti: «Con chi è rimasto fuori hanno assicurato Macor e Celetto - c’è un preciso impegno di contattarli qualora dovessimo proseguire
l’attività dell’orchestra anche nei prossimi anni». Questo, in effetti, resta il nodo da sciogliere perché il
futuro dell’orchestra è legato alla certezza, che al momento non c’è, del finanziamento regionale.
Intanto, oggi, iniziano le prove in teatro.