RICORDANDO IL 25 APRILE Sacerdoti della Resistenza: don

RICORDANDO IL 25 APRILE
Sacerdoti della Resistenza:
don Giovanni Battista Bobbio
Ma chi è il prete di cui vediamo il monumento passando in piazza dell’Orto?
SI tratta di don Bobbio, una
figura tra le tante e forse
sottovalutate della guerra e
che nella ricorrenza del 25
aprile è doveroso ricordare.
Dei sacerdoti della Resistenza si pensa forse poco,
ma sono stati in diversi a
collaborare con i partigiani,
basti pensare ad esempio
anche a don Fontana, parroco di Cichero, don Ferrari
di Scurtabò, don Pavese
parroco di Alpi, o don Canessa di Cassego. Toccanti
allora le parole che don
Bobbio, il “prete dei partigiani”, confessò a don Nicola Tiscornia. Più volte gli era stato consigliato
di scappare o di nascondersi, ma lui dichiarò:
“Non ho fatto niente di male, ho la coscienza
a posto. Passo lunghe notti insonni. Ci stiamo
uccidendo tra italiani. La nostra popolazione
inerme, sottoposta ad ore di agonia, continua
a pagare e soffrire a causa delle due barricate.
A guerra finita, poi, si scatenerà la rabbia, e sarà
un macello. Non si può restare inerti a guardare, urge intervenire e rischiare”.
FERMEZZA CRISTIANA E PARTIGIANA
L’Anpi, Associazione Nazionale Partigiani
d’Italia, ricorda che Don Bobbio nacque a Bologna il 3 luglio 1914, diventando parroco di
Valletti (paesino allora poverissimo di La Spezia), 25 anni dopo. Venne fucilato a Chiavari
il 3 gennaio 1945. “Dopo l'8 settembre 1943
divenne amico e collaboratore di quei giovani
che, sull'Appennino ligure, avevano scelto la
strada della lotta per la libertà, dando un gran
contributo al lavoro per la costruzione di una
nuova vita democratica: giunte popolari, vettovagliamento dei partigiani e della popolazione
sulla base della solidarietà, scuole e così via”
raccontano. Diventato cappellano della Brigata Coduri non solo assistì spiritualmente i
partigiani, ma contribuì a rafforzarne i ranghi
“facendo da intermediario per portare soldati
della Divisione alpina repubblichina Monterosa, che presidiava il passo di Velva e il litorale,
nelle file della Resistenza. Riuscì persino a far
passare con i partigiani, a Torriglia, l'intero Battaglione Vestone, il 4 novembre 1944”.
LE ULTIME ORE PRIMA DI
MORIRE
E qui senza dubbio si fa
interessante il racconto
ripreso dai giornalisti Mario Bertelloni e Federico
Canale in “Cosa importa
se si muore” (Res editrice,
1992): “Don Bobbio è stato
arrestato dal capitano Lorenzo Malingher e portato
in carcere a Chiavari. Negli
ambienti repubblicani girano diverse voci sul prete: ha
fatto da pubblico ministero
nei processi intentati dai
partigiani ai fascisti catturati, ha più volte invitato
gli alpini di Velva a disertare, ha la canonica piena di
armi. Rinchiuso in cella la
notte di San Silvestro, don Bobbio è rimasto
48 ore in isolamento. Non ha avuto processo
né difese che, come quella di Policarpo Chierici, tenente colonnello della Monterosa, non
sarebbero certo mancate. E’ giudicato invece
sommariamente. Si dirà che la condanna
a morte era già stata decisa in alto, dal comando Armate Liguria. Resterà una vicenda
piena di interrogativi”. Piazza Muti, passo
alle Clarisse, via Entella e via Piacenza sono
l’ultimo percorso che si chiude al poligono:
“Nel gelo del mattino sono pochi i chiavaresi
che vedono sfilare il plotone con il condannato. Il sacerdote affronta la morte con estrema dignità, benedicendo gli uccisori”.
IL MONUMENTO
“Quando gli chiesero se voleva pregare prima di morire, ai nazifascisti rispose ‘Io sono
già a posto con la mia coscienza ma pregherò per voi’ e cadde con le mani in croce. A
testimoniare, con serena fermezza cristiana e partigiana, il valore di un’intesa salvatrice della patria e dell’umanità”. Recita così
l’epigrafe scritta dal partigiano Giovanni
Serbandini sul busto di don Bobbio.
Claudia Sanguineti
Raduno degli alpini a Tribogna nel
segno dei ricordi ma soprattutto
dell’orgoglio e dell’amicizia
Qualche settimana fa gli alpini del gruppo
Altavalfontanabuona si sono ritrovati a Tribogna per il consueto raduno, in occasione
del tesseramento 2014. La cerimonia ha avuto il consueto svolgimento: il ritrovo presso
il piazzale della chiesa parrocchiale per la
tradizionale "colazione" alpina offerta dai
soci di Tribogna, seguita dall'alzabandiera e
dalla posa di una corona di alloro alla lapide
dei caduti. Da sottolineare il momento del
suono del "Piave", eseguito in modo inedito
dalle campane della chiesa. La messa è stata
celebrata da Don Giancarlo Danami, il quale, nel momento dell'omelia, ha avuto come
sempre parole di sincero apprezzamento
per il corpo degli alpini e per le loro iniziative.
Uno speciale ringraziamento va rivolto a coloro che sono intervenuti durante il raduno:
il sindaco di Tribogna Corrado Bacigalupo, il
vicesindaco di Neirone Stefano Sudermania,
l'assessore del comune di Lumarzo Daniele
Nicchia e diversi alpini di primo piano quali
Alfredo Costa, Gianni Belgrano, Saverio Tripodi, Giannetto Raggio, e il carismatico maresciallo Marco Sciandra in servizio effettivo
al 2° Reg. Art. Da montagna di Fossano. La
giornata si è conclusa con un delizioso pranzo, frutto del lavoro degli alpini e di molti
volontari del comune stesso, i quali hanno
contribuito a portare avanti in allegria questa splendida giornata terminata con l'amainabandiera. Il gruppo tiene a sottolineare
che “La scelta è ricaduta su Tribogna per riconoscenza nei confronti del sindaco Corrado
Bacigalupo, per il legame di sincera e profonda
amicizia dimostrato agli alpini. Date le recenti
notizie che lo danno candidato Sindaco in altre
realtà del territorio, abbiamo voluto omaggiare il suo impegno e la sua dedizione nei nostri
confronti. Da tutti gli alpini grazie Corrado!”
Foto di Enrico Montaldo
NELLE MANI DEI FASCISTI
Fece anche azioni che diedero fastidio. Don
Bobbio, seppure consigliato di allontanarsi,
non volle abbandonare i suoi parrocchiani.
“Quando i nazifascisti arrivarono a Valletti, presero d'assalto la canonica, la devastarono e poi
la diedero alle fiamme come gran parte del paese. Il sacerdote, pur già nelle mani dei fascisti,
riuscì ancora a confortare due giovani paesani
che sarebbero stati di lì a poco eliminati sul posto. Venne poi trascinato via per la montagna,
lasciato per un'intera notte legato a una palizzata mentre turbinava la neve e poi, da Santa
Maria del Taro, trasportato in autocarro a Chiavari. Qui fu tenuto per due giorni in totale isolamento, prima che il suo calvario si concludesse
al poligono di tiro, con la fucilazione senza processo, il 3 gennaio 1945”.
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