Case Reports sulle Malattie Infiammatorie Croniche

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ISSN 0392 - 4203
Vol. 80 - Quaderno III / 2009
PUBLISHED FOUR-MONTHLY BY MATTIOLI 1885
ACTA BIO MEDICA
Atenei parmensis
founded 1887
O F F I C I A L J O U R N A L O F T H E S O C I E T Y O F M E D I C I N E A N D N AT U R A L S C I E N C E S O F PA R M A
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FINITO DI STAMPARE NEL SETTEMBRE 2009
QUADERNI
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN A. P. - D.L. 353/2003 (CONV IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB PARMA
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Cod. 903609
10-09-2009
Deposito AIFA: 10-09-2009
00-Cop Quad III-09
Gastroenterologia:
Case Reports sulle
Malattie Infiammatorie
Croniche Intestinali XIV parte
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www.actabiomedica.it
Listed in: Index Medicus / Medline, Excerpta Medica / Embase
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EDITOR IN CHIEF
Maurizio Vanelli - Parma, Italy
DEPUTY EDITOR
Cesare Bordi - Parma, Italy
ASSOCIATE EDITORS
Carlo Chezzi - Parma, Italy
Roberto Delsignore - Parma, Italy
Guglielmo Masotti - Parma, Italy
Almerico Novarini - Parma, Italy
Giacomo Rizzolatti - Parma, Italy
EDITORIAL BOARD
Fernando Arevalo - Caracas, Venezuela
Judy Aschner - Nashville, TN, USA
Michael Aschner - Nashville, TN, USA
Alberto Bacchi Modena - Parma, Italy
Salvatore Bacciu - Parma, Italy
Cesare Beghi - Parma, Italy
Sergio Bernasconi - Parma, Italy
Stefano Bettati - Parma, Italy
Corrado Betterle - Padova, Italy
Saverio Bettuzzi - Parma, Italy
Giulio Bevilacqua - Parma, Italy
Roberto Bolognesi - Parma, Italy
Mauro Bonanini - Parma, Italy
Antonio Bonati - Parma, Italy
Antonio Bonetti - Parma, Italy
Loris Borghi - Parma, Italy
David A. Bushinsky, Rochester, NY, USA
Carlo Buzio - Parma, Italy
Ardeville Cabassi - Parma, Italy
Anthony Capone Jr. - Detroit, MI, USA
Francesco Ceccarelli - Parma, Italy
Gian Paolo Ceda - Parma, Italy
Franco Chiarelli - Chieti, Italy
Giorgio Cocconi - Parma, Italy
Marco Colonna - St. Louis, MO, USA
Paolo Coruzzi - Parma, Italy
Lucio Guido Maria Costa - Parma, Italy
Massimo De Filippo - Parma, Italy
Filippo De Luca - Messina, Italy
Giuseppe De Panfilis - Parma, Italy
LINGUISTIC ADVISOR
Rossana Di Marzio
Parma, Italy
Francesco Di Mario - Parma, Italy
Guido Fanelli - Parma, Italy
Vittorio Gallese - Parma, Italy
Livio Garattini - Milano, Italy
Mario J. Garcia - New York, NY, USA
Gian Carlo Gazzola - Parma, Italy
Dominique Gendrel - Paris, France
Geoffrey L. Greene - Chicago, IL, USA
Donald J. Hagler - Rochester, MINN, USA
Rick Hippakka - Chicago, IL, USA
Andrew R. Hoffman - Stanford, CA, USA
Joachim Klosterkoetter - Colonia, Germany
Ingrid Kreissig - Heidelberg, Germany
Ronald M. Lechan - Boston, MA, USA
Nicola Longo - Salt Lake City, UT, USA
Wanyun Ma - Beijing, China
Carlo Maggini - Parma, Italy
Marcello Giuseppe Maggio - Parma, Italy
Norman Maitland - York, United Kingdom
Gian Camillo Manzoni - Parma, Italy
James A. McCubrey - Greenville, NC, USA
Mark Molitch - Chicago, IL, USA
Antonio Mutti - Parma, Italy
Giovanni Battista Nardelli - Parma, Italy
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Jose Luis Navia - Cleveland, OH, USA
Dario Olivieri - Parma, Italy
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Stefano Parmigiani - La Spezia, Italy
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EDITORIAL OFFICE MANAGER
Natalie Cerioli
Mattioli 1885 SpA - Casa Editrice
Strada Lodesana di Sopra, Loc. Vaio
43036 Fidenza (PR), Italy
Tel. ++39 0524 892111
Fax ++39 0524 892006
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Antonio Pezzarossa - Parma, Italy
Silvia Pizzi - Parma, Italy
Stephen M. Rao - Cleveland, OH, USA
Vittorio Rizzoli - Parma, Italy
Luigi Roncoroni - Parma, Italy
Simone Cherchi Sanna - New York, NY, USA
Leopoldo Sarli - Parma, Italy
Mario Savi - Parma, Italy
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Anthony Seaton - Edinburgh,
United Kingdom
Mario Sianesi - Parma, Italy
Carlo Signorelli - Parma, Italy
Giovanni Soncini - Parma, Italy
Nino Stocchetti - Milano, Italy
Mario Strazzabosco - New Haven, CT, USA
Maria Luisa Tanzi - Parma, Italy
Maurizio Tonato - Perugia, Italy
Roberto Toni - Parma, Italy
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The Netherlands
Vincenzo Violi - Parma, Italy
Raffaele Virdis - Parma, Italy
Marco Vitale - Parma, Italy
Pietro Vitali - Parma, Italy
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PUBLISHER
Alessandro Corrà
Società di Medicina e
Scienze Naturali
Via Gramsci, 12 - Parma, Italy
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Acta Bio Medica è la rivista ufficiale della Società di Medicina e Scienze
Naturali di Parma.
I Quaderni di Acta Bio Medica dedicati alla Gastroenterologia pubblicano principalmente case-reports, saranno inserite occasionalmente reviews
e lavori originali dedicati a quest’area della Medicina.
I dattiloscritti devono essere accompagnati da una richiesta di pubblicazione e da una dichiarazione firmata degli autori che l’articolo non è stato
inviato ad alcuna altra rivista, né che è stato accettato altrove per la pubblicazione. Tutti i lavori sono soggetti a revisione e si esortano gli autori ad
essere concisi. I manoscritti dovranno essere inviati a:
Dr.ssa Natalie Cerioli
Quaderni Acta Bio Medica - Gastroenterologia
c/o Mattioli 1885 S.p.A.
Strada di Lodesana 649/sx, Loc. Vaio - 43036 Fidenza
[email protected]
Tel. 0524/892111 - Fax 0524/892006
Il FRONTESPIZIO deve contenere:
• Un titolo informativo conciso
• Nome/i del/degli Autore/i
• Dipartimento o Istituto dove è stato condotto il lavoro
• Nome e indirizzo dell’autore a cui deve essere inviata la corrispondenza
relativa al manoscritto. Deve essere indicato inoltre numero di telefono,
fax ed indirizzo e-mail
• Un running title di non più di 40 caratteri
COME SCRIVERE UN CASE REPORT
La caratteristica chiave del case report è quella di aiutare il lettore a riconoscere e a trattare un problema simile, se mai dovesse ripresentarsi.
Utilizzare un linguaggio chiaro e senza ambiguità, per presentare il materiale in modo che il lettore abbia una chiara visione di:
-cosa è successo al paziente
-la cronologia di questi eventi
-perché il trattamento è stato eseguito in base a quei determinati concetti.
Cosa descrivere?
Osservare e pensare alla pratica clinica, vi sono molti casi rari o insoliti che
possono meritare una descrizione. La rarità non è però di per se stessa
motivo sufficiente di pubblicazione, il caso deve essere speciale e avere un
“messaggio” per il lettore; può servire a fornire la consapevolezza della condizione in modo tale che la diagnosi possa essere più facile in futuro o
come una linea di trattamento possa essere più adatta di un’altra.
Il ruolo dei case report è di stabilire un specie di “precedente giudiziario” per
malattie relativamente rare.
Un altro gruppo è quello dei casi associati a condizioni inusuali, anche sconosciute, che possono avere priorità diverse nel loro trattamento.
Come descrivere?
Titolo: Il titolo dovrebbe essere corto, descrittivo e capace di attirare l’attenzione. Se il titolo di un case report contiene troppi dati il lettore potrebbe avere la sensazione che esso abbia spiegato tutto quello che c’è da sapere.
Introduzione: Solitamente si tende a scrivere una breve storia della malattia, ma questo materiale può essere inserito nella discussione. Il report può
cominciare semplicemente con la descrizione del caso.
Descrizione del caso: Il report deve essere cronologico e descrivere adeguatamente la presentazione, i risultati dell’esame clinico e quelli degli accertamenti prima di andare avanti e descrivere l’evoluzione del paziente. La
descrizione deve essere completa, accentuare le caratteristiche positive
senza oscurarle in una massa di rilievi negativi. Considerare quali domande potrebbe fare un collega e assicurarsi che vi siano risposte chiare all’interno del report. Le illustrazioni possono essere utili.
Discussione del caso: Lo scopo principale della discussione è di spiegare
come e perché sono state prese le decisioni e quale insegnamento è stato
recepito da questa esperienza. Possono essere necessari alcuni riferimenti
bibliografici ad altri casi, bisogna evitare tuttavia di produrre una review.
Lo scopo deve essere di definire e dettagliare il messaggio per il lettore.
Il case report renderà chiaro come un caso analogo dovrebbe essere trattato in futuro.
REVIEWS- LAVORI ORIGINALI
Articoli originali: comprendono lavori che offrono un contributo nuovo o
frutto di una consistente esperienza, anche se non del tutto originale, in un
determinato settore. Devono essere completi di Riassunto e suddivisi nelle
seguenti parti: Introduzione, Obiettivi, Materiale e Metodi, Risultati,
Discussione e Conclusioni. Nella sezione Obiettivo deve essere sintetizzato con chiarezza l’obiettivo del lavoro, vale a dire l’ipotesi che si è inteso
verificare; nei Metodi va riportato il contesto in cui si è svolto lo studio
(Ospedale, Centro Specialistico…), il numero e il tipo di soggetti analizzati, il disegno dello studio (randomizzato, in doppio cieco…), il tipo di
trattamento e il tipo di analisi statistica impiegata. Nella sezione Risultati
vanno riportati i risultati dello studio e dell’analisi statistica. Nella sezione
Conclusioni va riportato il significato dei risultati soprattutto in funzione
delle implicazioni cliniche.
Review: devono essere inerenti ad uno specifico argomento e permettere al
lettore uno sguardo approfondito sul tema, offrendo una panoramica nazionale ed internazionale delle ultime novità in merito. L’autore deve offrire un
punto di vista personale basato su dati di letteratura ufficiali. Dovrà essere
suddiviso in Introduzione, Discussione e Conclusione e completo di
Riassunto. La bibliografia citata dovrà essere particolarmente ricca.
ILLUSTRAZIONI. È responsabilità dell’autore ottenere il permesso
(dall’autore e dal possessore dei diritti di copyright) di riprodurre illustrazioni, tabelle, ecc, da altre pubblicazioni. Stampe o radiografie devono
essere chiare.
Le TABELLE dovranno essere numerate consecutivamente con numeri
romani contraddistinte da un titolo.
Le VOCI BIBLIOGRAFICHE dovranno essere numerate secondo l’ordine di citazione nel testo; quelle citate solamente nelle tabelle o nelle
legende delle figure saranno numerate in accordo con la sequenza stabilita
dalla loro prima identificazione nel testo. La lista delle voci bibliografiche
deve riportare il cognome e l’iniziale del nome degli Autori (saranno indicati tutti gli autori se presenti 6 o meno; quando presenti 7 nomi o più,
indicare solo i primi 3 e aggiungere “et al.”), il titolo del lavoro, il nome
della rivista abbreviato in conformità dell’Index Medicus, l’anno di pubblicazione, il volume e la prima e l’ultima pagina dell’articolo, Esempio:
Fraioli P., Montemurro L., Castrignano L., Rizzato G.: Retroperitoneal
Involvement in Sarcoidosis. Sarcoidosis 1990; 7: 101-105. Nel caso di un
libro, si indicheranno nel medesimo modo il nome degli Autori, il titolo, il
numero dell’edizione, il nome dell’Editore, il luogo di pubblicazione, il
numero del volume e la pagina. Nessun addebito verrà effettuato per foto
in bianco e nero. Comunicazioni personali non dovrebbero essere incluse
in bibliografia ma possono essere citate nel testo tra parentesi.
COPYRIGHT
© 2009 ACTA BIO MEDICA SOCIETÀ DI MEDICINA E SCIENZE NATURALI
DI PARMA. La rivista è protetta da Copyright. I lavori pubblicati rimangono
di proprietà della Rivista e possono essere riprodotti solo previa autorizzazione dell’Editore citandone la fonte.
Direttore Responsabile: M. Vanelli
Registrazione del Tribunale di Parma n° 253 del 21/7/1955
Finito di stampare: Settembre 2009
La banca dati viene conservata presso l’editore, che ne è titolare. La rivista viene spedita in abbonamento; l’indirizzo in nostro possesso verrà utilizzato per l’invio di questa o di altre pubblicazioni scientifiche. Ai
sensi dell’articolo 10, legge 675/96, è nel diritto del ricevente richiedere la cessazione dell’invio e/o l’aggiornamento dei dati in nostro possesso.
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Guglielmo Masotti - Parma, Italy
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Acta Bio Medica è la rivista ufficiale della Società di Medicina e Scienze
Naturali di Parma.
I Quaderni di Acta Bio Medica dedicati alla Gastroenterologia pubblicano principalmente case-reports, saranno inserite occasionalmente reviews
e lavori originali dedicati a quest’area della Medicina.
I dattiloscritti devono essere accompagnati da una richiesta di pubblicazione e da una dichiarazione firmata degli autori che l’articolo non è stato
inviato ad alcuna altra rivista, né che è stato accettato altrove per la pubblicazione. Tutti i lavori sono soggetti a revisione e si esortano gli autori ad
essere concisi. I manoscritti dovranno essere inviati a:
Dr.ssa Natalie Cerioli
Quaderni Acta Bio Medica - Gastroenterologia
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• Un titolo informativo conciso
• Nome/i del/degli Autore/i
• Dipartimento o Istituto dove è stato condotto il lavoro
• Nome e indirizzo dell’autore a cui deve essere inviata la corrispondenza
relativa al manoscritto. Deve essere indicato inoltre numero di telefono,
fax ed indirizzo e-mail
• Un running title di non più di 40 caratteri
COME SCRIVERE UN CASE REPORT
La caratteristica chiave del case report è quella di aiutare il lettore a riconoscere e a trattare un problema simile, se mai dovesse ripresentarsi.
Utilizzare un linguaggio chiaro e senza ambiguità, per presentare il materiale in modo che il lettore abbia una chiara visione di:
-cosa è successo al paziente
-la cronologia di questi eventi
-perché il trattamento è stato eseguito in base a quei determinati concetti.
Cosa descrivere?
Osservare e pensare alla pratica clinica, vi sono molti casi rari o insoliti che
possono meritare una descrizione. La rarità non è però di per se stessa
motivo sufficiente di pubblicazione, il caso deve essere speciale e avere un
“messaggio” per il lettore; può servire a fornire la consapevolezza della condizione in modo tale che la diagnosi possa essere più facile in futuro o
come una linea di trattamento possa essere più adatta di un’altra.
Il ruolo dei case report è di stabilire un specie di “precedente giudiziario” per
malattie relativamente rare.
Un altro gruppo è quello dei casi associati a condizioni inusuali, anche sconosciute, che possono avere priorità diverse nel loro trattamento.
Come descrivere?
Titolo: Il titolo dovrebbe essere corto, descrittivo e capace di attirare l’attenzione. Se il titolo di un case report contiene troppi dati il lettore potrebbe avere la sensazione che esso abbia spiegato tutto quello che c’è da sapere.
Introduzione: Solitamente si tende a scrivere una breve storia della malattia, ma questo materiale può essere inserito nella discussione. Il report può
cominciare semplicemente con la descrizione del caso.
Descrizione del caso: Il report deve essere cronologico e descrivere adeguatamente la presentazione, i risultati dell’esame clinico e quelli degli accertamenti prima di andare avanti e descrivere l’evoluzione del paziente. La
descrizione deve essere completa, accentuare le caratteristiche positive
senza oscurarle in una massa di rilievi negativi. Considerare quali domande potrebbe fare un collega e assicurarsi che vi siano risposte chiare all’interno del report. Le illustrazioni possono essere utili.
Discussione del caso: Lo scopo principale della discussione è di spiegare
come e perché sono state prese le decisioni e quale insegnamento è stato
recepito da questa esperienza. Possono essere necessari alcuni riferimenti
bibliografici ad altri casi, bisogna evitare tuttavia di produrre una review.
Lo scopo deve essere di definire e dettagliare il messaggio per il lettore.
Il case report renderà chiaro come un caso analogo dovrebbe essere trattato in futuro.
REVIEWS- LAVORI ORIGINALI
Articoli originali: comprendono lavori che offrono un contributo nuovo o
frutto di una consistente esperienza, anche se non del tutto originale, in un
determinato settore. Devono essere completi di Riassunto e suddivisi nelle
seguenti parti: Introduzione, Obiettivi, Materiale e Metodi, Risultati,
Discussione e Conclusioni. Nella sezione Obiettivo deve essere sintetizzato con chiarezza l’obiettivo del lavoro, vale a dire l’ipotesi che si è inteso
verificare; nei Metodi va riportato il contesto in cui si è svolto lo studio
(Ospedale, Centro Specialistico…), il numero e il tipo di soggetti analizzati, il disegno dello studio (randomizzato, in doppio cieco…), il tipo di
trattamento e il tipo di analisi statistica impiegata. Nella sezione Risultati
vanno riportati i risultati dello studio e dell’analisi statistica. Nella sezione
Conclusioni va riportato il significato dei risultati soprattutto in funzione
delle implicazioni cliniche.
Review: devono essere inerenti ad uno specifico argomento e permettere al
lettore uno sguardo approfondito sul tema, offrendo una panoramica nazionale ed internazionale delle ultime novità in merito. L’autore deve offrire un
punto di vista personale basato su dati di letteratura ufficiali. Dovrà essere
suddiviso in Introduzione, Discussione e Conclusione e completo di
Riassunto. La bibliografia citata dovrà essere particolarmente ricca.
ILLUSTRAZIONI. È responsabilità dell’autore ottenere il permesso
(dall’autore e dal possessore dei diritti di copyright) di riprodurre illustrazioni, tabelle, ecc, da altre pubblicazioni. Stampe o radiografie devono
essere chiare.
Le TABELLE dovranno essere numerate consecutivamente con numeri
romani contraddistinte da un titolo.
Le VOCI BIBLIOGRAFICHE dovranno essere numerate secondo l’ordine di citazione nel testo; quelle citate solamente nelle tabelle o nelle
legende delle figure saranno numerate in accordo con la sequenza stabilita
dalla loro prima identificazione nel testo. La lista delle voci bibliografiche
deve riportare il cognome e l’iniziale del nome degli Autori (saranno indicati tutti gli autori se presenti 6 o meno; quando presenti 7 nomi o più,
indicare solo i primi 3 e aggiungere “et al.”), il titolo del lavoro, il nome
della rivista abbreviato in conformità dell’Index Medicus, l’anno di pubblicazione, il volume e la prima e l’ultima pagina dell’articolo, Esempio:
Fraioli P., Montemurro L., Castrignano L., Rizzato G.: Retroperitoneal
Involvement in Sarcoidosis. Sarcoidosis 1990; 7: 101-105. Nel caso di un
libro, si indicheranno nel medesimo modo il nome degli Autori, il titolo, il
numero dell’edizione, il nome dell’Editore, il luogo di pubblicazione, il
numero del volume e la pagina. Nessun addebito verrà effettuato per foto
in bianco e nero. Comunicazioni personali non dovrebbero essere incluse
in bibliografia ma possono essere citate nel testo tra parentesi.
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© 2009 ACTA BIO MEDICA SOCIETÀ DI MEDICINA E SCIENZE NATURALI
DI PARMA. La rivista è protetta da Copyright. I lavori pubblicati rimangono
di proprietà della Rivista e possono essere riprodotti solo previa autorizzazione dell’Editore citandone la fonte.
Direttore Responsabile: M. Vanelli
Registrazione del Tribunale di Parma n° 253 del 21/7/1955
Finito di stampare: Settembre 2009
La banca dati viene conservata presso l’editore, che ne è titolare. La rivista viene spedita in abbonamento; l’indirizzo in nostro possesso verrà utilizzato per l’invio di questa o di altre pubblicazioni scientifiche. Ai
sensi dell’articolo 10, legge 675/96, è nel diritto del ricevente richiedere la cessazione dell’invio e/o l’aggiornamento dei dati in nostro possesso.
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3-09-2009
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Gastroenterologia: Case reports sulle Malattie Infiammatorie
Croniche Intestinali - XIV parte
DIREZIONE GENERALE
Presidente
Paolo Cioni
2
Foreword
DIREZIONE EDITORIALE
3
Review
Federico Cioni
Il medical management del morbo di Crohn
Vice Presidente e Direttore Scientifico
Federico Cioni
Editing Staff
Valeria Ceci
Natalie Cerioli
Cecilia Mutti
Anna Scotti
8
Case Reports
Antonio Panarese, Tommaso Ceglia, Salvatore De Stefano,
Roberto Lamanda
Un giallo clinico in due tempi
MARKETING E PUBBLICITÀ
Vice Presidente e Direttore Sviluppo
Massimo Radaelli
Marketing Manager
Luca Ranzato
Segreteria Marketing
Martine Brusini
Resposabile Distribuzione
Massimiliano Franzoni
Responsabile Area ECM
Simone Agnello
EXECUTIVE COMMITEE OF
THE SOCIETY OF MEDICINE
AND NATURAL SCIENCES OF
PARMA
PRESIDENT
Almerico Novarini
VICE-PRESIDENT
Silvia Iaccarino
PAST-PRESIDENT
Maria Luisa Tanzi
GENERAL SECRETARY
Maria Luisa Tanzi
TREASURER
Luigi Roncoroni
MEMBERS
Giorgio Zanzucchi
Giorgio Cocconi
Angelo Franzè
Enrico Cabassi
Patrizia Santi
12
Michele Sozzi, Cinzia Tonello, Stefano Martelossi
Rettocolite ulcerosa estesa steroido-dipendente e refrattaria alle
tiopurine e agli anti-TNF trattata con beclometasone dipropionato
orale. Descrizione di un caso clinico
19
Giovanna Margagnoni, Ermira Zykaj, Cristiano Pagnini,
Vito Domenico Corleto, Gianfranco Delle Fave
Il beclometasone dipropionato nel trattamento della colite sinistra:
un caso di ripresa di efficacia
22
Egidio Di Todaro
BDP e colite eosinofila: un’alternativa terapeutica
24
Francesca Praianò
Esordio di Malattia di Crohn che simula un linfoma del piccolo
intestino
26
Marco Daperno, Paola Salacone, Raffaello Sostegni, Alessandro Lavagna,
Franco Bertolino, Lorenzo Capussotti, Elena Ercole, Caterina Rigazio,
Rodolfo Rocca
La gestione della malattia di Crohn nel post-intervento: indicazioni e
revisione di una casistica
Inserto centrale staccabile “Il Punto… in breve”
02-foreword
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Pagina 2
ACTA BIOMED 2009; 80; Quaderno III: 2
© Mattioli 1885
F
O R E W O R D
Questo è il terzo numero del 2009 dei Quaderni
di Gastroenterologia di Acta BioMedica, ormai una
realtà nel panorama delle riviste di interesse medicoscientifico.
I lettori continuano ad apprezzare la qualità dei
casi pubblicati, dando soddisfazione a chi lavora per
rendere questa rivista sempre migliore e nello stesso
tempo spronando tutti noi a proseguire in questa avventura per l’avvenire.
In questo numero, abbiamo raccolto sei articoli
interessanti e che toccano vari argomenti, sempre molto interessanti ed utili per la gestione di problemi clinici rilevanti nella gestione quotidiana del paziente
gastroenterologico. Sicuramente rilevante è il caso di
una paziente con retto colite ulcerosa refrattaria ad
ogni trattamento attualmente proponibile nel caso di
una riacutizzazione severa, in cui il beclometasone dipropionato si è rilevato una efficace “rescue therapy” in
una situazione in cui la chirurgia era l’unica alternativa. Un altro caso riporta il riutilizzo del beclometaso-
ne dipropionato con successo in un paziente refrattario alle terapie immunosoppressive e intollerante agli
steroidi sistemici, che aveva già sperimentato un fallimento del beclometasone stesso in precedenza, fornendo numerosi spunti di riflessione comuni nella
pratica clinica. Gli altri articoli spaziano sulla difficoltà nella diagnosi delle malattie infiammatorie croniche, il cui iter diagnostico può apparire talvolta un
“giallo”, ad un update sulla malattia di Crohn fino ad
un’autorevole revisione di una casistica del follow-up
di pazienti operati per malattia di Crohn, che resta ancora un argomento con ben poche certezze.
Con l’augurio di essere riusciti a mantenere vivo
il Vostro interesse, Vi auguriamo buona lettura e Vi
diamo appuntamento al nuovo Quaderno.
Dott. Silvio Danese
Divisione di Gastroenterologia
Istituto Clinico Humanitas
IRCCS in Gastroenterologia, Milano
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R
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Il medical management del morbo di Crohn
Federico Cioni
Direttore Scientifico Mattioli 1885 spa
Il management medico di una patologia di rilevante interesse clinico come il morbo di Crohn è
un tema attuale e di grande interesse: recentemente il
British Medical Journal ha pubblicato una interessante messa a punto a firma di J.R. Fraser Cummings,
S. Keshav e S.P.L. Travis, della quale vi proponiamo
una breve sintesi.
differenziano dalla colite ulcerosa, nella quale l’infiammazione interessa solo la parte interna della parete intestinale (la mucosa), è sempre limitata al colon ed è continua, non presentando tratti sani tra due tratti colpiti.
Introduzione
La distribuzione capricciosa delle lesioni anatomiche, il grado variabile della infiammazione e la tendenza a guarigione delle singole lesioni con cicatrici e
conseguente riduzione del calibro del viscere, rendono
conto dell'ampio spettro di presentazione clinica della
malattia. Il sospetto clinico di malattia di Crohn si pone facilmente in presenza di uno stato generale di grave compromissione, con dolore addominale, diarrea,
segni clinico laboratoristici di malnutrizione accompagnati da altre manifestazioni tipiche quali la presenza di ascessi anorettali o di fistole tra intestino e cute
o tra intestino ed organi vicini. In altri pazienti possono prevalere sintomi da subocclusione intestinale o
manifestazioni extraintestinali. A differenza di questi
quadri clinici conclamati e di semplice diagnosi, è
esperienza comune di come la malattia di Crohn possa progredire in maniera clinicamente indolente e rimanere non diagnosticata per molti anni, per essere
talora diagnosticata quasi casualmente nel corso, per
esempio, di un intervento chirurgico condotto nel sospetto clinico di appendicite acuta. Questa evoluzione
subdola della malattia pone problemi diagnostici poiché i sintomi possono a lungo essere interpretati come
conseguenti a sindrome dell'intestino irritabile, una
La malattia, o morbo, di Crohn è una malattia infiammatoria cronica, con andamento a pousses, che
può interessare qualsiasi porzione del tratto digestivo.
L’approccio clinico e la terapia in questi ultimi dieci anni sono cambiati radicalmente con l’introduzione
della terapia biologica e con l’aumentato impiego degli
immunomodulatori.
Aspetti generali
L’incidenza media della malattia nel mondo occidentale è di 6,7 casi (range 1,6- 14,6) per 100.000 all’anno e la prevalenza è di 140 casi (10-199) per 100.000.
La malattia può presentarsi a qualsiasi età, anche
se è particolarmente frequente tra i 16 ed i 30 anni.
Il processo infiammatorio presenta 2 caratteristiche principali. La prima caratteristica è quella di coinvolgere tutti gli strati della parete intestinale e la seconda è che l’infiammazione può colpire punti diversi del
canale alimentare, con tratti di intestino apparentemente sani tra due tratti ammalati. Queste caratteristiche la
Segni e sintomi
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sindrome benigna che pure si caratterizza per dolore
addominale ed alterazioni della funzione intestinale.
Questa difficoltà diagnostica spiega perché vi è spesso
un ritardo nella diagnosi di Crohn rispetto al momento dei primi sintomi, ritardo che può essere anche di
1-2 anni. Astenia, episodi febbrili documentati e di
origine sconosciuta, risveglio notturno per la comparsa di dolore od urgenza alla defecazione e calo ponderale devono indurre ad approfondimenti.
Etiopatogenesi
La diarrea e la malnutrizione sono tra le manifestazioni cliniche più importanti del Crohn e sono determinate principalmente dal fatto che la porzione di intestino sano è ridotta a causa dell’infiammazione e delle ulcere che rendono inefficienti i meccanismi di assorbimento
dei nutrienti, di alcune vitamine e dell’acqua. Una marcata riduzione della superficie intestinale con conseguente
diarrea e malnutrizione può anche risultare da precedenti interventi chirurgici di asportazione di porzioni di intestino (realizzando una condizione di cosiddetto "intestino corto"). La diarrea può essere aggravata da una alterazione dei sali acidi biliari prodotti dal fegato ed indispensabili per l’assorbimento dei grassi. Una eccessiva
presenza di batteri nel piccolo intestino a causa di fistole
o stenosi può risultare nella formazione di sali biliari particolari che hanno potente funzione lassativa con conseguente aggravamento della diarrea.
Il dolore addominale accompagna spesso i pazienti
con Crohn come conseguenza dell’infiammazione e delle ulcere intestinali. Quando più intenso, il dolore è determinato dalla riduzione del calibro dell’intestino a causa dell’infiammazione e di fenomeni di tipo cicatriziale
che ostacolano il passaggio del contenuto intestinale. In
questi casi il dolore può essere spia di una sub-occlusione, quando l’ostacolo al transito è parziale, o di occlusione intestinale vera e propria quando il passaggio di feci e
di gas è completamente impedito.
Fattori di rischio
La malattia di Crohn colpisce prevalentemente i
giovani nella fascia di età tra i 15 ed i 25 anni, ed è par-
F. Cioni
ticolarmente frequente nei paesi a maggior sviluppo
socioeconocmico rispetto ai paesi in via di sviluppo. In
Italia si stima che circa 50 persone su 100.000 ne siano affette e che ogni anno si manifestino 4 nuovi casi
di malattia su 100.000 persone. Benché non si abbiano certezze sulla causa iniziale della malattia, oggi
sappiamo che fattori ambientali e fattori genetici sono
importanti. Tra i fattori ambientali, il fumo di sigaretta svolge certamente un ruolo importante poiché i
soggetti fumatori hanno un rischio 3 volte superiore
rispetto ai non fumatori di ammalarsi di Crohn. Inoltre nei pazienti con Crohn l’abitudine al fumo si associa ad un decorso più grave della malattia. Anche i fattori genetici sono importanti, come indicato dalla osservazione che la malattia è presente nel 50% dei casi
in entrambi i gemelli se questi sono omozigoti, cioè
geneticamente identici, ma solo nel 10% se sono eterozigoti, cioè non identici geneticamente. Ulteriore
evidenza è fornita dal dato secondo cui un paziente
con Crohn ha un consanguineo affetto da Crohn o colite ulcerosa in circa il 4% dei casi.
La ricerca della base genetica di queste aggregazioni familiari è molto attiva ed oggi il gene più implicato è il NOD2 situato sul cromosoma 16. Una alterazione di questo gene (detta mutazione) determina
una alterazione nella capacità del sistema immunitario
intestinale di reagire in modo appropriato alla presenza dei batteri che colonizzano l’intestino. Tuttavia solo il 30% dei pazienti presenta la mutazione NOD2,
ad indicare che la spiegazione del ruolo svolto dalla
genetica è complessa e che i geni coinvolti sono probabilmente molteplici.
Screening e diagnosi
Purtroppo non disponiamo di un test di semplice
esecuzione e poco costoso per identificare i pazienti con
malattia di Crohn. In presenza di sintomi gastroenterici, un aumento degli indici laboratoristici di infiammazione (VES, proteine della fase acuta), una lieve anemia
od un elevato numero di globuli bianchi costituiscono
indicazione ad approfondimenti diagnostici. La ricerca
di alcuni anticorpi nel siero (i cosiddetti ASCA) o di sostanze nelle feci prodotte dai globuli bianchi (calprotectina) può essere di qualche aiuto.
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Il medical management del morbo di Crohn
La distribuzione a scacchiera delle lesioni, che
possono coinvolgere tutto il tubo digerente, rende
conto della necessità di dover ricorrere ad una combinazione di tecniche diagnostiche per la diagnosi di
malattia. Con la gastro-duodenoscopia e la colonscopia è possibile studiare la parte più alta e la parte più
bassa dell’intestino, anche con l'obiettivo di prelevare
frammenti di tessuto (biopsie) per la conferma istologica della malattia. Così come per la diagnosi clinica,
anche la diagnosi istologica può essere elusiva. La presenza di un processo infiammatorio esteso a tutta la
parete del viscere e di particolari granulomi (negativi a
colorazioni specifiche per il bacillo tubercolare) sono
gli elementi istologici tipici che consentono una diagnosi accurata.
Per quanto riguarda il piccolo intestino, questo
non è visualizzabile con le comuni tecniche endoscopiche, ma è necessario ricorrere a 2 tecniche sofisticate. La prima consiste nell’utilizzo della cosiddetta videocapsula, una capsula della grandezza di una pillola
di antibiotico che ingerita dal paziente trasmette immagini del piccolo intestino. Questa metodica è molto ben tollerata dai pazienti, ma non consente di ottenere biopsie intestinali. La seconda metodica è costituita dall’enteroscopia a doppio pallone, che consente
la visualizzazione di tutto il piccolo intestino, la biopsia delle lesioni ed anche trattamenti terapeutici.
Questa tecnica è tuttavia riservata a casi particolari
poiché è impegnativa per il paziente e necessita di sedazione profonda.
La radiologia è di insostituibile importanza nella
valutazione dell’intestino in tutta la sua estensione:
oltre alle metodiche tradizionali quali la radiografia
del tubo digerente, un grande contributo è oggi offerto dalla possibilità di utilizzare la TAC o la risonanza
magnetica per evidenziare il tubo digerente nella sua
interezza. Un vantaggio di queste ultime metodiche è
che consentono non solo di visualizzare l’interno dei
visceri, come per le indagini radiologiche tradizionali, ma anche di valutare la struttura della parete addominale e degli organi ad essa adiacenti. La struttura
della parete intestinale è anche ben studiabile con l’ecografia, una tecnica non invasiva, ad elevata accuratezza diagnostica ed esente da rischi od effetti collaterali.
Attività della malattia e complicanze
La malattia di Crohn presenta localizzazioni extraintestinali in circa 1/3 dei pazienti. Queste localizzazioni extraintestinali riflettono in alcuni casi lo stato di attività clinica della malattia intestinale come nel
caso dell'artrite (20% dei casi), delle lesioni cutanee ed
oculari o del cavo orale (4%-20% dei casi). Altre manifestazioni sono permanenti e non associate all'attività della malattia intestinale, quali la calcolosi renale,
la calcolosi biliare o la spondilite anchilosante. Stenosi che determinano difficoltà al transito del contenuto
intestinale, la formazione di fistole, cioè di tragitti che
si aprono tra l’intestino ed organi adiacenti o tra intestino e cute, e la formazione di ascessi rappresentano
complicanze tipiche della malattia. Queste complicanze possono presentarsi per ogni localizzazione della
malattia ma, in termini molto generali, la localizzazione al solo piccolo intestino è contrassegnata da una relativa maggior frequenza di complicanze di tipo
ostruttivo e di fistole interne, mentre la localizzazione
al solo colon si associa più frequentemente alla formazione di fistole tra intestino e cute. Le fistole possono
accompagnarsi ad ascessi e la regione perianale è tipica per lesioni di questo tipo. La malattia di Crohn del
colon è associato a rischio di tumori del colon, ma nonostante questo rischio, è rassicurante constatare che
più del 90% dei pazienti con malattie infiammatorie
dell’intestino non sviluppa tumore del colon. Per chi
abbia la malattia da più di 8 anni sono fortemente raccomandabili controlli endoscopici periodici.
La terapia
L’obiettivo della terapia è di ridurre l’infiammazione che è causa dei sintomi e di mantenere una remissione a lungo termine. Questi obiettivi sono spesso raggiungibili con la terapia medica ma, talora, richiedono un approccio chirurgico. La strategia che regola l’utilizzo dei farmaci disponibili per il trattamento del morbo di Crohn è del tipo cosiddetto “sequenziale” (Fig. 1), che prevede l’impiego dei farmaci più
potenti, ma con maggiori effetti collaterali, quando
non vi è risposta clinica al trattamento con i farmaci
meno potenti ma più sicuri. I farmaci di cui oggi di-
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F. Cioni
Terapia convenzionale
Severità della
patologia
Chirurgia
Recente impiego di terapie biologiche
Chirurgia
Terapia
biologica
Steroidi
Tiopurine o
metotrexate
Terapia biologica
episodica
Budesonide
o prednisolone
Terapia biologica
e tiopurine
Figure 1. Diverse opzioni terapeutiche in base alla severità della patologia
sponiamo sono gli antinfiammatori, gli antibiotici, gli
immunomodulatori e i farmaci “biologici”.
Antinfiammatori: sono farmaci specifici per il
tratto intestinale e diversi da quelli comunemente utilizzati come analgesici.
Mesalazina: ha una azione tipicamente locale ed
agisce per contatto con la superficie intestinale colpita
da patologia. Viene assorbita in minima quantità e
quindi presenta una bassa tossicità generale. È disponibile in formulazioni per via orale e per applicazioni
per via rettale mediante microclismi o supposte. La
scelta fra queste formulazioni dipende dalla localizzazione della patologia.
Cortisonici: sono farmaci ad azione antinfiammatoria molto potenti che agiscono per via generale dopo somministrazione per bocca, per via rettale o per
infusione endovenosa. Gli effetti collaterali sono frequenti e spesso gravi per somministrazioni prolungate. Insonnia, ipereattività, sudorazioni notturne, acne,
gonfiore al volto possono comparire anche per brevi
periodi di trattamento mentre complicanze più serie
conseguenti ad uso protratto comprendono ipertensione arteriosa, diabete, osteoporosi, cataratte e suscettibilità alle infezioni. Va sottolineato che questi farmaci sono da utilizzare solo nella fase acuta della malattia e non vanno utilizzati nella terapia di mantenimento. Alcuni pazienti tuttavia manifestano una “dipendenza” da questi farmaci, necessitano cioè di cicli
ripetuti od anche di somministrazione costante di bas-
se dosi ed in questi casi è necessario passare a terapia
alternativa.
Antibiotici: gli antibiotici sono spesso utilizzati
nel Crohn in particolare per curare ascessi e/o fistole.
I due antibiotici più usati sono il metronidazolo e la
coprofloxacina.
Immunomodulatori: azatioprina e 6 mercaptopurina, sono i farmaci tradizionalmente più usati in questa
categoria ed il loro impiego si basa sulla convinzione
che la malattia sia in qualche modo legata ad un disturbo del sistema immunitario che mal controlla batteri, virus od altri elementi del contenuto intestinale.
La loro attività clinica si manifesta solo dopo 3
mesi di terapia che necessita di un costante monitoraggio per possibili effetti collaterali (riduzione globuli
bianchi, danno al fegato od al pancreas). Oltre che nel
controllare l’infiammazione, questi farmaci sono utili
anche nel trattamento delle fistole che spesso complicano il Crohn. Talora si utilizza il metotrexate se il paziente non tollera o non risponde ad altri immunomodulatori: anche questo farmaco può danneggiare il fegato e, al contrario di azatioprina e 6 mercaptopurina, non
deve essere utilizzato in corso di gravidanza.
I farmaci “biologici”: i farmaci cosiddetti biologici,
attivi nei confronti di citochine pro-infiammatorie
quali il TNF-α (tumor necrosis factor alpha), meritano un approfondimento particolare. Infliximab è stato
introdotto circa dieci anni fa e rappresenta l’ultimo
preparato con una risposta superiore all’80%. I periodi
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Il medical management del morbo di Crohn
di remissione della malattia dovuti alla terapia con
corticosteroidi sono più bassi (24%) (2). Questi farmaci sono diretti contro sostanze responsabili dell’infiammazione del morbo di Crohn.
L’infliximab è il farmaco al momento meglio conosciuto nei suoi pregi e nei suoi effetti collaterali. Secondo la strategia terapeutica attuale, questo farmaco
viene somministrato da solo od in associazione con altri immunomodulatori quando questi si dimostrano
inefficaci a controllare la malattia. L’infliximab è estremamente efficace nell’indurre la guarigione delle fistole e nel ridurre l’infiammazione intestinale sino a
farla scomparire in alcuni casi. Questi benefici per essere mantenuti necessitano tuttavia di somministrazioni ripetute del farmaco.
L’infliximab viene somministrato per via endovenosa ad intervalli di tempo regolari. È molto importante una attenta selezione dei pazienti candidati alla
terapia ed in particolare è importante accertare se hanno avuto un contatto con il bacillo della tubercolosi.
Questo perché vi è rischio di riattivazione della tubercolosi durante trattamento con infliximab. Altri rischi
sono legati all’insorgenza di reazioni allergiche al farmaco, o di infezioni talora gravi.
Altri farmaci biologici sono il natalizumab (inibisce il movimento linfocitario e raggiunge livelli alti di
remissione anche se in 3 casi ha provocato una leucoencefalopatia multifocale letale su 24.000 pazienti trattati)
(3) ed il certolizumab che, usato in associazione (prima
o dopo) con l’infliximab, ha avuto la recente autorizzazione europea al suo impiego per la malattia di Crohn.
Strategie alternative includono l’abatacept, farmaco usato nell’artrite reumatoide: sono in corso studi con questo farmaco nella malattia di Crohn.
Altre terapie prevedono gli inibitori di IL12 e
IL23, attualmente allo studio, infine è in corso uno
studio euro-canadese (ASTIC), basato sull’impiego di
cellule staminali autologhe, che potenzialmente può
modificare il corso della terapia.
Conclusioni
Come abbiamo visto le offerte terapeutiche per la
malattia di Crohn stanno diventando veramente molteplici anche se bisogna considerare con attenzione i potenziali rischi, come quelli della terapia con immunomodulatori e anti-TNF alfa, presenti soprattutto nella fase
iniziale della malattia. La terapia con anti-TNF alfa è invece preziosa nei casi severi della malattia e può essere
scelta in casi selezionati.
Questa breve panoramica vuole significare che,
pur essendo varia l’offerta terapeutica, bisogna valutare caso per caso quale sia il farmaco migliore per ogni
paziente in ogni fase della malattia.
Bibliografia
1. Fraser Cummings JR, Keshav S, Travis SPL. Medical management of Crohn’s disease. BMJ 2008; 336: 1062-66.
2. Hanauer SB, Feagan BG, Lichtenstein GR, Mayer LF, Schreiber S, Colombe lJF,et al. Maintenance infliximab for
Crohn’s disease: theACCENTI randomisedtrial. Lancet
2002;359:1541-9.
3. Baumgart DC, Sandborn WJ. Inflammatory boweldisease:
clinical aspects and established and evolving therapies. Lancet 2007;369:1641-57.
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A S E
R E P O R T
Un giallo clinico in due tempi
Antonio Panarese, Tommaso Ceglia , Salvatore De Stefano, Roberto Lamanda
U.O.C. di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Ospedale S. Maria delle Grazie, Pozzuoli, ASL NA2 Nord
Introduzione
Nella pratica clinica quotidiana talvolta ci confrontiamo con casi clinici particolari che possono rendere l’esercizio della medicina una sfida assolutamente imprevedibile. La professione del medico è stata paragonata a quella dell’investigatore in quanto entrambi decifrando e correlando segni ed indizi svelano ed
affrontano rispettivamente la malattia ed il crimine. Il
medico come l’investigatore oggi fa ricorso ad esami
tecnologicamente molto avanzati che talvolta rischiano di emarginare o di condizionare in modo sbagliato
il ragionamento diagnostico, cardine della medicina di
ogni tempo (1). Questo case report è un giallo, oltre
che per il finale non prevedibile, come per ogni giallo
che si rispetti, anche per il decorso clinico durante il
ricovero. Infine in due tempi in quanto nel primo tempo c’é stata una gestione internistica e nel secondo
tempo una gestione gastroenterologica.
Caso clinico
Un uomo di 46 anni arriva al Pronto Soccorso
dell’ospedale di Pozzuoli attraverso il circuito del 118
attivato per iperpiressia, dolore addominale e rettorra-
gia. All’anamnesi patologica remota storia clinica di
potus con riferita diagnosi di epatopatia cronica e
morbo di Crohn presso reparto chirurgico ospedaliero
di Napoli. All’anamnesi patologica prossima presenza
di febbre alta (fino a 39.5 gradi, preceduta da brividi),
dolori addominali e rettorragie. L’esame obiettivo all’ingresso evidenzia una facies sofferente, decubito indifferente ed ittero sclerale. Presenza in addome (fianco destro, posteriormente) di orificio secernente pus e
materiale ematico; addome meteorico, trattabile alla
palpazione superficiale e/o profonda. All’esplorazione
rettale feci semiformate e normocromiche in ampolla.
Pressione arteriosa di 140/80, frequenza cardiaca 96
b/m’ temperatura corporea di 38 gradi. Peso 69 kg, altezza 165 cm. Pratica esami ematochimici e strumentali d’urgenza riassunti in tabella 1 e 2.
Il paziente viene ricoverato in Medicina, il nostro
ospedale non ha degenza ordinaria di Gastroenterologia ma solo di DH, e viene instaurata terapia antibiotica con metronidazolo 500 mg ev tre volte al giorno
associato a ciprofloxacina 400 mg ev due volte al giorno, Konakion e Prefolic fiale, soluzione fisiologica 250
cc con 2 fiale di Samyr 400 due volte al giorno e Asalex 800 mg 6 cp al giorno. Dal secondo giorno di degenza si assiste a scomparsa della febbre con miglioramento sintomatologico ed assenza di drenaggio dalla
Tabella 1. Esami ematochimici d’urgenza
Glicemia: 185
Sodiemia: 131
Quick:
61%
Emoglobina: 11.5 gr (MCV 110)
Piastrine:
110.000
Bilirubina:
7.3 (diretta 4.6)
GOT-GPT:
Gamma GT:
LDH:
Normali: urea e creatinina, K, amilasi, CPK, PTT, globuli bianchi e formula leucocitaria
375-129
2074
1208, Albumina: 2.8 gr.
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Tabella 2. Esami strumentali d’urgenza
Rx torace e diretta addome: assenza di reperti patologici.
E.C.G: tachicardia sinusale
Ecografia addome integrata con TAC in urgenza senza mdc: fegato aumentato di volume a struttura come da steatosi. Non dilatate le vie biliari intra ed extraepatiche. Colecisti alitiasica. Nei limiti pancreas, rene e milza. Marcato ispessimento del colon ascendente ed apparentemente dell’ultima ansa ileale con restringimento del lume viscerale. Disomogeneità del cellulare lasso con evidenza di raccolta ipodensa che si estende in adiacenza allo psoas omolaterale e raggiunge i tessuti sottocutanei. Presenti piccoli e diffusi linfonodi pericecali, lomboaortici e paracavali. CONCLUSIONI: raccolte intra-addominali e sottocutanee in paziente con malattia infiammatoria cronica intestinale già nota in anamnesi
fistola cutanea associati però ad aumento dell’ittero.
L’andamento della bilirubinemia è schematizzato nella figura 1.
Per questo ittero ingravescente vengono richiesti
markers virali per HBV e HCV, autoanticorpi (ANA,
AMA, ASMA e anti LKM) e RMN addominale con
colangiografia. Inoltre nel sospetto di epatopatia colestatica iatrogena vengono sospesi gli antibiotici (2). La
RMN evidenzia: sottile falda fluida periepatica e pelvica. Fegato ingrandito con abbattimento del segnale
da steatosi di grado severo in epatopatia cronica. Vie
biliari regolari e colecisti alitiasica. Si conferma il marcato ispessimento concentrico del cieco ed ascendente
con addensamento e disomogeneità del cellulare lasso
periviscerale in assenza di raccolte e con rilievo di almeno un tragitto fistoloso in parte attivo per elevato
segnale T2 che si apre sulla parete addominale postero-laterale destra in apparente continuità con le pareti
del grosso intestino. Numerosi linfonodi pericecali,
paracavali e lomboaortici. In figura 2 e 3 sono riportate due immagini della RMN.
Il giorno dopo aver effettuato la risonanza la bilirubina comincia a scendere ed in pochi giorni raggiunge i valori dell’ingresso (figura 4). I risultati dei
markers virali ed autoanticorpi sono tutti nella norma
e la fistola cutanea si chiude completamente. Il paziente, a questo punto, richiede ed ottiene una dimissione volontaria contro il parere dei sanitari e manifesta l’intenzione di contattare il reparto dove aveva ricevuto la prima diagnosi di malattia di Crohn.
Figura 2. RMN proiezione coronale
Figura 1. Variazioni bilirubinemia
Figura 3. RMN proiezione assiale
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A. Panarese, T. Ceglia, S. De Stefano, R. Lamanda
Figura 4. Andamento bilirubinemia
Dopo 2 settimane dalla dimissione il paziente ritorna al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Pozzuoli per
la ricomparsa di febbre (fino a 40 gradi) da due giorni
preceduta da brivido e riferita anemia. All’E.O. presenta a destra un massa che raggiunge la fossa iliaca ed
una fistola in regione lombare destra con gemizio di
materiale purulento, la temperatura corporea è di 38
gradi ed il peso corporeo è di 60 kg. In tabella 3 sono
riassunti gli esami ematochimici in urgenza.
Questa volta il paziente, prima del ricovero in
chirurgia, pratica consulenza gastroenterologica che
evidenzia: 47 enne con recente diagnosi di malattia di
Crohn ileocolica con fistola cutanea lombare destra
secernente muco-pus e febbre di tipo settico. Assenza
di alterazioni dell’alvo. Epatopatia cronica etilica con
compromissione funzionale epatica. Si consiglia ecografia addome con eventuale drenaggio percutaneo di
raccolte ascessuali, rivalutazione ematochimica con indici di flogosi, colonscopia, gastroscopia (ricerca varici) e terapia antibiotica con metronidazolo (500 mg ev
x 3) e ciprofloxacina. (400 mg ev x 2). L’ecografia mostra una raccolta ascessuale con nuclei aerei contestua-
li localizzata nello spazio retroperitoneale pararenale
destro che si estende caudalmente lungo la doccia paravertebrale a ridosso dei muscoli psoas; su guida ecografica si esegue puntura con ago da 18 G della raccolta con fuoriuscita di materiale purulento e viene
posizionato un catetere pig-tail da 8 F nella raccolta.
Dopo 3 giorni il paziente pratica la colonscopia che
evidenzia una iperflessuosità del colon e del sigma in
particolare che appare anche sub-stenotico, con numerosi diverticoli associati a minimi segni di flogosi. Sorprendentemente il colon destro e l’ultima ansa ileale
presentano mucosa di aspetto normale. La figura 5
della TC addome serve a dare un’idea della morfologia
del colon e della complessità tecnica della colonscopia
effettuata.
La TAC addome con mezzo di contrasto evidenzia: ispessimento concentrico del cieco-ascendente cui
si associa disomogeneità del cellulare lasso periviscerale ed ispessimento dei piani fasciali peritoneali di destra e della parete muscolare contigua con almeno due
tragitti fistolosi 1) tra colon destro e parete muscolare
Figura 5. TC addome
Tabella 3. Esami ematochimici in urgenza (II tempo)
Glicemia:
Sodiemia:
Quick:
Albumina:
138
126
50%
2.5 gr
Bilirubina:
Emoglobina:
Globuli bianchi:
Piastrine:
3.96 (diretta 2.21)
8.6 gr (MCV 118)
17.500 (neut. 85%)
470.000
Normali: urea, creatinina, calcio, K, LDH, amilasi, CPK
GOT,GPT:
Gamma GT:
Ammonio:
Fibrinogeno:
88, 63
150
85
996
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Un giallo clinico in due tempi
addominale in cui si rileva un ascesso di circa 3.5 cm
con presenza all’interno di mdc e livello idroaereo 2)
tra colon destro ed una raccolta ascessuale dello psoas
di destra con coinvolgimento anche dei piani fasciali
limitrofi; all’interno di tale raccolta si rileva mdc e catetere di accesso dal fianco destro. Gli indici di flogosi mostrano una VES di 75 ed una PCR di 18. Dopo
8 giorni di ricovero vista la persistenza di febbricola
non risolta dal drenaggio percutaneo (3) alla luce anche della colonscopia poco compatibile con un Crohn
(le biopsie endoscopiche evidenziano solo una flogosi
cronica aspecifica) viene posizionato uno stent nell’uretere destro e si procede ad intervento chirurgico così descritto: lapatotomia mediana xifo-pubica con evidenza all’apertura del peritoneo di un blocco di probabile natura infiammatoria comprendente il sigma piegato ad “U” fino alla parete laterale destra dell’addome
ed al piano posteriore. Il fegato scuro e di consistenza
aumentata appare micronodulare. Asportazione del
blocco comprendente il sigma che appare perforato
posteriormente. Asportazione di tragitto fistoloso. Ripristino della continuità intestinale con anastomosi
colica termino-laterale. Lavaggio peritoneale. Drenaggio nel Douglas ed ileostomia di protezione. L’esame istologico, in chiave con il reperto operatorio, evidenzia solo una diverticolosi con diverticolite del colon.
Discussione
Questo caso clinico è emblematico in quanto nell’era della medicina basata sulle evidenze e della massima diffusione dei centri di Gastroenterologia sul territorio esistono, purtroppo, ancora diagnosi sbagliate
di malattia infiammatoria cronica intestinale. Nella
valutazione clinica della malattia, se il paziente non è
noto, è importante rivalutare anche la diagnosi (4), ed
è fondamentale che il medico abbia una formazione
gastroenterologica. Un’ altra considerazione inevitabile è quella che mentre è relativamente agevole fare
una diagnosi non corretta è complessivamente più dif-
ficile correggerla. Inoltre una diagnosi sbagliata condiziona in modo determinante la gestione di un paziente specialmente nell’urgenza. Infatti nel primo tempo
del caso clinico la diagnosi sbagliata di malattia di
Crohn, anche se solo anamnestica, ha condizionato in
modo determinante l’interpretazione degli esami diagnostico-strumentali. Altra considerazione da fare è
che il paziente stesso per il basso livello sociale di appartenenza e la storia di alcolismo con cirrosi epatica
ha condizionato molto la gestione clinica, almeno nel
primo tempo, avvicinandola alla “malasanita”. Infine è
importante ricordare che nell’epoca in cui la diagnostica per immagini più sofisticata sta cercando di trasformare l’approccio clinico al paziente, la laparotomia
(cosa in verità oggi molto rara), grazie all’esatta anatomia chirurgica, permetta di stabilire una corretta diagnosi e terapia. Una gestione multidisciplinare con interazione continua tra gastroenterologo e chirurgo è in
medicina e nella malattia di Crohn, in particolare, un
approccio irrinunciabile (5). Voglio concludere questo
caso clinico con una massima di Louis Pasteur, il padre della moderna microbiologia, che recita: “Il caso…
giova solo alla mente preparata”.
Bibliografia
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Antonio Panarese
E-mail: [email protected]
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Rettocolite ulcerosa estesa steroido-dipendente e refrattaria
alle tiopurine e agli anti-TNF trattata con beclometasone
dipropionato orale. Descrizione di un caso clinico
Michele Sozzi1, Cinzia Tonello1, Stefano Martelossi2
1
S.C. di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva. Azienda Ospedaliero/Universitaria, Trieste
2
S.S. di Gastroenterologia e nutrizione clinica. IRCCS Materno-infantile “Burlo Garofolo”, Trieste
Caso clinico
Descriviamo il caso di una ragazza di 19 anni, affetta da retto-colite ulcerosa sinistra dall’età di 15 anni. All’esordio la malattia si era presentata con 10-15 scariche
di feci muco-sanguinolente, dolori addominali crampiformi, aumento della VES ed un quadro endoscopico
caratterizzato da iperemia, fragilità mucosa ed ulcerazioni multiple al colon discendente, al sigma ed al retto. L’istologia confermava la diagnosi di RCU con un quadro di
infiltrato infiammatorio mucoso severo accompagnato da
deplezione mucinosa delle ghiandole e da ascessi criptici.
Il quadro clinico si è risolto con terapia corticosteroidea e
antibiotica per 3 settimane ma, dopo due tentativi di graduale riduzione (5 mg alla settimana) del dosaggio del
corticosteroide (prednisone), i sintomi ricomparivano
quando si scendeva sotto la dose 20 mg/die. Per tale motivo è stata iniziata una terapia con azatioprina 100
mg/die oltre che con prednisone a dosi piene e poi a scalare. La paziente ha goduto di discreto benessere per poco più di anno, quando, nonostante la terapia immunomodulatrice a dosi adeguate (la concentrazione ematica
dei metaboliti dell’azatioprina rientrava nel range terapeutico), ha avuto un’ulteriore recidiva clinica (diarrea
muco-sanguinolenta e dolori addominali crampiformi),
laboratoristica (aumento della VES), endoscopica (ulcerazioni al colon sinistro) ed ecografica (ispessimento della parete del colon discendente e del sigma). È stata pertanto sospesa la terapia con azatioprina e reintrodotta terapia cortisonica sistemica con buona risposta clinica. Nei
mesi successivi, durante i quali, oltre al prednisone, la paziente assumeva mesalazina per os alle dosi di 800 mg tre
volte al dì, ci sono state recidive ogni volta che la dose di
prednisone scendeva al di sotto dei 20-25 mg/die. In considerazione della accertata corticodipendenza e della refrattarietà alla terapia immunomodulatrice con azatioprina, si è deciso di iniziare un trattamento prima con talidomide 100 mg/die per due mesi (nell’ambito di un protocollo di studio) e poi con infliximab (schema di induzione con tre somministrazioni) che sono risultati entrambi inefficaci. È stata quindi prospettata l’opzione chirurgica (intervento di colectomia) che la paziente ha rifiutato. Nei mesi successivi si è mantenuta la remissione
clinica proseguendo la terapia con prednisone a dosi di 25
mg/die. Ad una visita oculistica di controllo è stata però
riscontrata un’ipertensione oculare da trattamento steroideo ed è stata consigliata, oltre a terapia con levobunololo collirio, una riduzione del dosaggio del prednisone ed
una ripresa della terapia con mesalazina alle dosi di 800
mg quattro volte al dì (terapia che la paziente aveva sospeso di sua volontà da alcuni mesi). Dopo alcune settimane si è verificata un’ulteriore riacutizzazione della malattia con 8-9 scariche al dì di feci acquose, senza muco né
senza sangue, accompagnate da dolori addominali crampiformi. Non volendo reintrodurre il cortisonico sistemico è stata aumentata la dose di mesalazina a 4,8 g al dì in
tre somministrazioni ed è stata consigliata terapia con beclometasone dipropionato (BDP) alle dosi 10 mg al dì
per os. Dopo un mese persistevano ancora 3-4 scariche al
dì di feci acquose per cui, nell’ipotesi di un’intolleranza alla mesalazina, è stato sospeso quest’ultimo farmaco ed è
stata consigliata terapia antibiotica con ciprofloxacina
(500 mg due volte al dì) e con metronidazolo (250 mg tre
volte al dì), oltre alla prosecuzione della terapia orale con
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RCU refrattaria e beclometasone dipropionato
BDP a dosi invariate. Dopo 3 settimane la paziente godeva di completo benessere per cui sono stati sospesi gli
antibiotici ed è stata mantenuta solo la terapia con BDP
a dosi dimezzate (5 mg al dì). Tuttora, dopo 8 mesi di terapia, la paziente è in remissione clinica e bioumorale e
non presenta evidenti manifestazioni collaterali da terapia
steroidea. In particolare, l’ipertensione oculare, manifestatasi in corso di terapia con prednisone, non si è più ripresentata. Per meglio valutare l’effetto del BDP sulla secrezione endogena di cortisolo abbiamo anche dosato,
dopo 6 mesi di terapia alle dosi di 5 mg al dì, la concentrazione mattutina dell’ormone nel plasma che è risultata
nel range di normalità (11,5 µg/dl; range: 5-25 µg/dl).
Discussione
Approssimativamente il 20% dei pazienti con rettocolite ulcerosa, che rispondono ad un iniziale trattamento cortisonico, manifestano steroido-dipendenza a distanza di un anno dall’esordio della malattia (1, 2). Per
steroido-dipendenza si definisce la riattivazione della
malattia allo scalare del corticosteroide o dopo poche settimane dalla sua sospensione (3). Le opzioni terapeutiche
in questi casi non sono molte e spesso i pazienti steroidodipendenti vanno incontro ad un intervento di colectomia totale come quelli refrattari fin dall’inizio alla terapia
medica. La necessità di mantenere la malattia in remissione senza usare gli steroidi deriva dalla frequente insorgenza degli effetti collaterali sistemici che questi farmaci
danno, specie con il loro uso prolungato. Per tale motivo
sono state proposte formulazioni di corticosteroidi che
abbiano prevalentemente un effetto sulla mucosa intestinale, grazie al loro rilascio selettivo nell’intestino tenue
distale e nel colon ed al loro alto metabolismo epatico di
primo passaggio (BDP a rilascio modificato). Il BDP si
è dimostrato efficace quanto la mesalazina nel portare a
remissione la rettocolite ulcerosa di entità lieve-moderata (4).
Nel caso clinico che riportiamo si è manifestata fin
dall’inizio una steroido-dipendenza, nonostante appropriati dosaggi, durata e gradualità di sospensione dello
steroide.
In queste circostanze l’immunomodulazione con
azatioprina, pur avendo dato risultati contrastanti negli
studi clinici finora condotti su pazienti con rettocolite ul-
13
cerosa (5, 6), è la strategia terapeutica più frequentemente usata ed è spesso anche l’unica opzione farmacologica
disponibile prima di considerare l’approccio chirurgico,
come suggerito dalla maggior parte delle linee guida (79). La nostra paziente ha seguito terapia con azatioprina
a dosi appropriate (comprovate dal dosaggio ematico dei
metabolici del farmaco) ma ha avuto dopo circa 1 anno
di trattamento una recidiva importante, per la quale è stata necessaria la reintroduzione della terapia cortisonica.
Quando un paziente steroido-dipendente non trae beneficio dalle tiopurine sono poche le scelte che restano, nessuna delle quali è peraltro confortata da evidenze scientifiche definitive. Tra queste il metotrexate, che si è dimostrato inefficace nei pochi studi controllati riportati in
letteratura (10, 11), l’infliximab, che, pur essendo efficace
nella rettocolite ulcerosa refrattaria alla terapia con trattamenti convenzionali (12), ha dato risultati contradditori
nei pochi studi non controllati condotti sulla malattia steroido-dipendente (13, 14, 15) e la granulocito-aferesi,
che ha il vantaggio di avere minimi effetti collaterali e che
è ampiamente usata in Giappone, ma per la quale esistono prevalentemente studi non controllati, su piccole popolazioni e di durata limitata (6).
La nostra paziente è stata dapprima inserita in un
protocollo sperimentale sull’efficacia della talidomide
nella rettocolite ulcerosa e poi, non avendone tratto beneficio, trattata con infliximab, nuovamente senza risultati soddisfacenti.
L’opzione chirurgica, che restava l’unica soluzione
possibile ma che avrebbe comportato un intervento mutilante come la procto-colectomia, è stata decisamente respinta dalla paziente per cui, nella necessità di mantenere la malattia in remissione con terapia steroidea, che
però aveva già dato effetti collaterali (ipertensione oculare), ci siamo orientati verso le nuove formulazioni di steroidi “non-sistemici”, optando per il BDP gastro-resistente a rilascio modificato. Abbiamo anche sospeso la
terapia con mesalazina nell’ipotesi che questo farmaco
(che può, seppure raramente, causare diarrea come effetto collaterale) fosse almeno parzialmente responsabile
della sintomatologia della paziente, soprattutto nelle fasi
di diarrea acquosa, non muco-sanguinolenta.
Abbiamo così ottenuto la remissione della malattia
e la paziente ha goduto di completo benessere fino ad oggi (a distanza di otto mesi dall’episodio acuto) con la sola assunzione del BDP alle dosi di 5 mg al dì.
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Per quanto la terapia con BDP orale si sia dimostrata di pari efficacia e sicurezza rispetto a quella con
mesalazina nel trattamento a breve termine della rettocolite ulcerosa lieve/moderata (4) e abbia mostrato un beneficio nei non-responders alla terapia combinata con
mesalazina orale e topica (16), non ci sono dati sulla sua
efficacia e sicurezza nel trattamento a lungo termine e nei
pazienti con steroido-dipendenza. Nel caso che qui riportiamo la terapia con BDP è stata l’unica a consentire
una remissione di malattia per un periodo sufficientemente prolungato, con un buon profilo di sicurezza, in
una paziente cortico-dipendente, refrattaria alle terapie
con tiopurine e con farmaci anti-TNF (infliximab e talidomide) e che aveva già manifestato effetti indesiderati
in corso di terapia cortico-steroidea sistemica. Non sappiamo quanto abbia contribuito alla remissione la sospensione della terapia con aminosalicilati, nei confronti
dei quali avevamo ipotizzato un’intolleranza. Verosimilmente la sospensione della terapia con BDP ed un successivo “re-challenge” con mesalazina potrebbero aiutarci
a testare questa ipotesi, che però non riteniamo molto
probabile anche in considerazione di precedenti periodi
di benessere di cui la paziente aveva goduto in passato
mentre era in terapia con aminosalicilati.
In conclusione, riteniamo che, alla luce del caso clinico qui presentato, i corticosteroidi “non-sistemici”, ed
in particolare il BDP, possano essere presi in considerazione come opzione terapeutica non solo nell’induzione
della remissione ma anche nel trattamento a medio-lungo termine dei pazienti con retto-colite ulcerosa corticodipendente e refrattaria ad altre terapie. Nell’attesa che
questa opzione venga testata per efficacia e per sicurezza
in studi clinici controllati ci limitiamo a proporla nei casi in cui l’opzione chirurgica, che trova attualmente indicazione nella rettocolite ulcerosa cortico-dipendente refrattaria ad altre terapie, venga rifiutata dal paziente.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Michele Sozzi
E-mail: [email protected]
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R E P O R T
Il beclometasone dipropionato nel trattamento della colite
sinistra: un caso di ripresa di efficacia
Giovanna Margagnoni, Ermira Zykaj, Cristiano Pagnini, Vito Domenico Corleto,
Gianfranco Delle Fave
U.O.C. Malattie dell’Apparato Digerente e del Fegato, Seconda Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza”, Ospedale Sant’Andrea, Roma
Introduzione
La storia naturale della colite ulcerosa può dipendere da diversi fattori tra cui l’estensione di malattia, il
decorso, la severità e la risposta alle diverse terapie (1).
È ben noto che l’efficacia del trattamento è strettamente influenzata dall’ appropriatezza del farmaco,
dalla posologia e durata del trattamento e dall’aderenza del paziente alla terapia prescritta, oltrechè da eventuali trattamenti pregressi e/o concomitanti (2, 3).
Considerando tutte queste variabili, un farmaco risultato inefficace o solo parzialmente efficace può essere
nuovamente utilizzato in una diversa fase della storia
naturale della malattia ed ottenere comunque una
buona risposta clinica.
Caso clinico
P.P., maschio di 69 anni, affetto da rettocolite ulcerosa (RCU), giunge alla nostra osservazione nel mese di settembre 2008 per la persistenza di una sintomatologia caratterizzata da alvo diarroico (fino a 5
evacuazioni al giorno di feci liquide, saltuariamente
con sangue), dolori addominali e calo ponderale (circa
5 kg in cinque mesi).
La diagnosi di RCU era stata posta nel 2005
presso altro istituto, con estensione macroscopica e
microscopica al colon sinistro. In anamnesi patologica
remota il paziente riferiva intervento di colecistectomia per litiasi ed intervento di resezione transuretrale
di papilloma vescicale risultato essere all’esame istolo-
gico un carcinoma in situ (2000). Sin dall’esordio la
malattia ha avuto un andamento cronico ricorrente,
caratterizzato da almeno una riaccensione all’anno con
necessità di terapia steroidea sistemica.
A settembre 2008, quando è giunto alla nostra
osservazione, il paziente era in terapia di mantenimento con salicilati per os (2,4 g/die) e beclometasone dipropionato topico (3 mg/die) con scarso controllo della malattia.
Il paziente riferiva, infatti, dolori addominali,
diarrea (fino a 5 evacuazioni/die) e rettorragia. Alla biochimica era presente una lieve anemia microcitica ipocromica (Hb 11.4 g/dl, MCV 72 fl, MCHC 28 g/dl) ed
incremento degli indici di flogosi (VES 28 mm/h, PCR
16 mg/dl, ferritina 350 mg/dl). Nella norma gli indici
di funzionalità epatica e renale. L’esame colturale, parassitologico delle feci e la ricerca della tossina del Clostridium difficile risultavano negativi.
In primo luogo, veniva ottimizzato il dosaggio della terapia con salicilati per os (4 g/die), mantenendo la
terapia topica con salicilati e beclometasone dipropionato, ed introdotto il beclometasone dipropionato per
os alla dose di 10 mg/die con scarsa risposta clinica.
Il paziente veniva quindi sottoposto ad una rettosigmoidocolonscopia condotta fino al cieco, che mostrava un quadro compatibile con rettocolite ulcerosa
in fase attiva di grado moderato/severo che interessava il colon sinistro.
Alla luce del quadro clinico ed endoscopico, considerato l’andamento steroido-dipendente della malattia,
veniva quindi indotta la remissione con un nuovo ciclo
di terapia steroidea sistemica e considerando l’introdu-
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zione di un trattamento immunosoppressivo con azatioprina, veniva eseguita analisi genetica dei polimorfismi
della TPMT che documentava un quadro di omozigosi
normale. Fu quindi introdotta azatioprina alla dose di
2,5 mg/Kg in maniera progressiva.
Nonostante i precedenti controlli urologici risultati
negativi, nel febbraio 2009 veniva diagnosticata una recidiva estesa della patologia neoplastica vescicale, motivo per cui veniva sottoposto ad intervento di cistectomia
totale. Veniva pertanto sospesa la terapia immunosopressiva, mantenendo i salicilati per os e terapia topica
con salicilati e beclometasone diopropionato.
A quindici giorni dall’intervento di cistectomia il
paziente veniva nuovamente ricoverato per sepsi e concomitante riacutizzazione della colite ulcerosa (fino a 5 evacuazioni al giorno di feci liquide con sangue e dolori addominali). Alla TC con m.d.c. si documentava la presenza di un ascesso in prossimità della sede della cistectomia
e le emocolture risultavano positive per Proteus Mirabilis. Alla rettosigmoidoscopia erano presenti erosioni del
retto-sigma in assenza di ulcerazioni della mucosa.
Considerato il grave quadro clinico e l’impossibilità di somministrare corticosteroidi per il trattamento
della recidiva di malattia, si è deciso di iniziare terapia
con beclometasone dipropionato per os alla dose di 10
mg/die per 4 settimane e, a seguire, 5 mg/die per altre
8 settimane, continuando i salicilati per os (4g/die) e la
terapia topica con salicilati e beclometasone dipropionato. Dopo opportuna terapia antibiotica (amoxicillina e meropenem) il quadro settico è progressivamente
regredito ed anche dal punto di vista intestinale si è assistito ad un graduale e lento miglioramento del quadro clinico fino a completa remissione clinica, biochimica ed endoscopica a fine trattamento.
Attualmente il paziente presenta alvo regolare (2
evacuazioni/die di feci semiformate) con sporadici
episodi di rettorragia; assume salicilati per os (2,4
g/die) e beclometasone dipropionato topico e recentemente reintrodotto la terapia immunosoppressiva.
Discussione
Gli steroidi sistemici, per la loro immediata ed alta efficacia, sono il gold standard del trattamento della
colite ulcerosa in fase attiva, sia delle forme moderate-
G. Margagnoni, E. Zykaj, C. Pagnini, V. D. Corleto, G. Delle Fave
severe sia di quelle lievi-moderate non responsive alla
sola terapia con aminosalicilati orali e/o topici (3, 4).
La loro azione è però accompagnata da molti effetti collaterali, motivo per cui recentemente sono stati
formulati corticosteroidi dalla stessa efficacia antinfiammatoria, ma con una bassa biodisponibilità, tale da
ridurre gli effetti sistemici (5-7). Il beclometasone dipropionato, nella formulazione rettale ed orale, è stato
ampiamente usato nel trattamento della rettocolite ulcerosa lieve-moderata (8-11). Il 75% dei pazienti con
malattia lieve-moderata, trattati con beclometasone dipropionato, ottiene la remissione clinica confermando
che tale trattamento farmacologico rappresenta una valida opzione terapeutica da considerare prima di ricorrere all’uso dei steroidi sistemici convenzionali (12).
Inoltre, recenti studi hanno dimostrato una parità
di efficacia del beclometasone dipropionato e della
mesalazina quando usati per via topica nella colite ulcerosa distale di grado lieve (13) e la maggiore efficacia, per via orale, del beclometasone dipropionato,
quando associato alla mesalazina, rispetto alla monoterapia con mesalazina (10).
Nelle malattie infiammatorie croniche intestinali
diversi fattori sia clinici che genetici, di cui alcuni non
noti, concorrono nel determinare la risposta ad una
determinata terapia: l’età, le terapie concomitanti, lo
stato degli organi preposti al metabolismo dei farmaci
ed inoltre il solo background genetico sembrerebbe essere responsabile di un’ampia variabilità della risposta
ai farmaci (20%-95%) (14).
Il presente caso mostra come la risposta ad un determinato trattamento sia estremamente eterogenea e
che un trattamento farmacologico risultato poco efficace in un determinato momento della storia clinica della
malattia possa diventare invece un trattamento adeguato in una fase successiva della storia naturale. Questo
mette in risalto quanto le numerose opzioni terapeutiche
possano modificare la risposta ad uno stesso farmaco. Si
può supporre che trattamenti immunomodulatori possano alterare il grado di infiammazione sistemica e tissutale, tali da creare condizioni favorevoli ad una piena
efficacia di un farmaco considerato precedentemente
poco efficace, oppure che terapie concomitanti (antibiotici nel nostro caso) possano concorrere a massimizzare
l’efficacia di un farmaco che nello stesso paziente aveva
mostrato scarso effetto.
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Il beclometasone dipropionato nel trattamento della colite sinistra: un caso di ripresa di efficacia
La parziale risposta al precedente trattamento
con formulazione a bassa biodisponibilità non dovrebbe, infatti, essere considerata in maniera definitiva. Il
grado di attività della malattia, i precedenti e concomitanti trattamenti farmacologici ed il contesto clinico possono definire i nuovi margini entro i quali poter
utilizzare con sicurezza ed efficacia un determinato
trattamento.
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11. Rizzello F, Gionchetti P, D'Arienzo A, Manguso F, Di
Matteo G, Annese V, Valpiani D, Casetti T, Adamo S, Prada A, Castiglione GN, Varoli G, Campieri M.Oral beclometasone dipropionate in the treatment of active ulcerative
colitis: a double-blind placebo-controlled study. Aliment
Pharmacol Ther. 2002 Jun;16(6):1109-16
12. Aratari A, Cossu A, Tanga M, Papi C. L’efficacia del beclometasone dipropionato nella colite ulcerosa lieve-moderata refrattaria ai salicilati. Acta Bio Medica 2008, vol 79,
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13. L. Biancone, P. Gionchetti, G. del Vecchio, A. Orlando, V.
annese, c. Papi, R. sostegni, R. D’ Incà, C. Petruzziello, A.
Casa, G. Sica, E. Calabrese, M. Campirei, F. Pallone. Beclomethasone dipropionate versus mesalazine in distal ulcerative colitis: a multicenter, randomized, double-blind
study.Digestive and Liver Disease 2007, 39,329-337.
14. W.E. Evans, D. Pharm, H. L. McLeod. Pharmacogenomics-Drug Disposition, Drug targets, and Side effects. N
Engl j Med 2003, 348;6.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott.ssa Giovanna Margagnoni
E-mail: [email protected]
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BDP e colite eosinofila: un’alternativa terapeutica
Egidio Di Todaro
Direttore U.O.C. Medicina / U.O.S Gastroenterologia, ASL TA . P.O. Massafra-Mottola
Di ritorno da un viaggio in oriente nel gennaio
2008, M.C. e N.D. (coniugi : in ordine marito e moglie) iniziarono ad accusare vaghi dolori addominali di
tipo peristaltico e scariche diarroiche prevalentemente
diurne (5/6 al dì) senza muco né sangue.
La sig.ra N.D. riferiva inoltre sitomatologia generale caratterizzata da cefalea, febbricola ed astenia
intensa.
Per tale sintomatologia il medico curante prescrisse ad entrambi esami di laboratorio routinari che
evidenziarono un incremento della VES (46) ed una
discreta eosinofilia (28%) per M.C.
N.D. presentava un minor incremento della VES
(26) e dell’eosinofilia (19%)
Avviati ad una consulenza gastroenterologica
presso la nostra Struttura, venivano visitati dopo circa
3 mesi dalla comparsa dei primi sintomi (aprile 2008).
Il controllo ematochimico, l’esame fecale chimico-fisico-microbiologico e S.O.F. non evidenziarono
nulla di patologico tranne una conferma dell’eosinofilia di 3000 u/l per M.C. e 2100 u/l per N.D..
In attesa dell’approfondimento diagnostico veniva iniziato il trattamento ex adiuvantibus con beclometasone dipropionato (BDP) 15 mg/die (3 cp) per 2
settimane secondo lo schema di 2 cp al mattino ed una
nel primo pomeriggio per 15 gg seguito da svezzamento in altre 2 settimane scalando di una cp per settimana (1).
Completa e rapida la risposta clinica con normalizzazione dei parametri precedentemente alterati della VES ( M.C. 6 – N.D. 11 ) e dell’eosinofilia a 4 settimane (rispettivamente 700 e 230 u/l) (giugno 2008).
A distanza di 6 mesi (dicembre 2008) si assiste ad
una recidiva della sintomatologia addominale per entrambi i pazienti, nuovamente accompagnata da intensa eosinofilia (M.C. 3800 – N.D. 3000 u/l) e incremento della VES (rispettivamente 34-38) (2).
Apparentemente in buone condizioni generali, i pazienti venivano ricoverati in day hospital e sottoposti a:
• Ect addome: n.n.
• Egds con biopsie gastriche e duodenali per istologia, hp, studio dei villi: negativo il quadro endoscopico ed istologico
• Colonscopia con biopsie random del colon sinistro, trasverso e destro: quadro endoscopico negativo ma intensa infiltrazione eosinofila sottomucosa.
Diagnosi: recidiva di colite eosinofila.
Si riprendeva il trattamento con BDP a 15
mg/die prolungandolo per 8 settimane a dose piena (2
cp. al mattino ed una nel pomeriggio) e proseguendo
con un programma di svezzamento graduale che in 8
settimane (2 cp al mattino per 4 sett. Seguite da 1 cp
al mattino per 4 sett.) , portava alla sospensione del
farmaco (aprile 2009).
A 2 mesi dalla sospensione della terapia, permane lo stato di benessere clinico e la negatività dell’esame emocromocitometrico.
Discussione
Le sindromi ipereosinofile (Hypereosinophilic
syndromes, HES) costituiscono una raro ed eteroge-
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BDP e colite eosinofila: un’alternativa terapeutica
neo gruppo di disordini caratterizzati da persistente e
marcata ipereosinofilia (>1.5x109/L per più di 6 mesi
consecutivi) associati a evidenza di danno d’organo indotto dalle cellule eosinofile (EO) laddove siano
escluse altre cause di ipereosinofilia quali diatesi allergica o parassitosi (3-4).
La prevalenza di queste forme è sconosciuta. Le
HES insorgono più frequentemente nell’età giovane
adulta con una predominanza per i maschi (4-9:1).
Le manifestazioni cliniche della HES sono estremamente variabili, essendo strettamente in funzione
del/degli organi infiltrati dagli EO (5).
Le manifestazioni gastroenterologiche sono a patogenesi ignota e possono comprendere dolore addominale, nausea, vomito, diarrea secondaria a diversi
quadri di gastrite, enterite e/o colite eosinofila.
Altri segni o sintomi includono debolezza, astenia, anoressia, febbre, perdita di peso, sudorazione
notturna, artralgie e mialgie.
La colite eosinofila (inclusa nel capitolo delle gastroenteriti eosinofile) è una patologia verosimilmente
sottostimata, a eziologia e patogenesi non note.
Caratterizzata da eosinofilia serica e tissutale può
interessare la parete del tratto digestivo in maniera
segmentaria e trans murale.
La negatività delle indagini ematochimiche, lo
studio fecale per parassiti e batteri, l’ect addominale e
gli esami endoscopici avevano consentito di sospettare
la primarietà dell’eosinofilia (pur persistendo qualche
dubbio a proposito , avendo la patologia coinvolto entrambi i coniugi al ritorno da un viaggio dopo aver
condiviso le medesime esperienze alimentari, igiene di
vita ecc.).
Il BDP utilizzato è uno steroide di sintesi con un
assorbimento sistemico pressocchè nullo.
La immediata risposta chimico-clinica e strumentale, anche in assenza di un follow-up a lungo termine, ci fa proporre questa come valida alternativa terapeutica rispetto alla terapia steroidea sistemica.
Bibliografia
1. Rizzello F, Gionchetti P, et al. Oral BDP in the treatment of
active ulcerative colitis – controlled study. Aliment Pharmacol Ther 2002; 16: 1109-16.
2. Talley NJ, Shorter RG, et al. Eosinophilic gastroenteritis.
GUT 1990; 31: 54.
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5. Roufosse F, Cogan E, Goldman M. Recent advances in
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Egidio Di Todaro
E-mail: [email protected]
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Esordio di Malattia di Crohn che simula un linfoma del
piccolo intestino
Francesca Praianò
ASL 5 Spezzino - Ospedale Civile S. Andrea - S.C. Gastroenterologia
Caso Clinico
Uomo di 36 anni, ricoverato per comparsa di
diarrea, dolore addominale e febbricola. Non familiarità per MICI, né per neoplasie del tratto gastroenterico. Anamnesi personale silente.
All’ingresso in reparto riferisce anoressia, 12-15
scariche di feci liquide miste a pus, ma senza sangue,
astenia e lieve calo ponderale. All’esame obiettivo si
presenta disidratato, l’addome è globoso, con peristalsi vivace, trattabile, ma dolorabile alla palpazone superficiale ed ipertimpanico TC 37,8.
Gli esami ematici dimostrano aumento degli indici di infiammazione, non anemia, lieve leucocitosi
neutrofila.
Durante la degenza esegue RMN addome che
evidenzia ispessimento delle anse del piccolo intestino,
per cui viene posto il sospetto di linfoma del piccolo
intestino.
Viene quindi programmata colonscopia con ileoscopia retrograda che dimostra ileite terminale. Dai
prelievi eseguiti in ileo, l’esame istologico descrive la
presenza di un infiltrato infiammatorio tipico di MICI, con infiltrato linfocitario senza atipie sospette e
profilo, valutato all’immunofluorescenza, negativo per
la diagnosi di linfoma a localizzazione intestinale.
Esegue anche, a completamento diagnostico,
EGDS, con riscontro di gastropatia erosiva.
La diagnosi definitiva è di malattia di Crohn a localizzazione ileale, per cui il paziente inizia terapia con
beclometasone dipropionato in compresse alla dose di
10 mg in unica dose giornaliera (1).
2 mesi dopo viene programmata colonscopia con
ileoscopia retrograda di controllo. Le condizioni cliniche sono notevolmente migliorate. L’esame endoscopico, completo di biopsie multiple, risulta negativo ed
il paziente passa alla dose di 5 mg di beclometasone
dipropionato in compresse.
Discussione
Il MC è una patologia che, all’esordio, può manifestarsi con un quadro clinico sfumato ed aspecifico.
La diagnosi di malattia può essere posta in relazione al
combinarsi del quadro clinico e laboratoristico-strumentale (2). È infatti fondamentale, ai fini di una accurata diagnosi, interpretare i dati clinico-laboratoristici alla luce dei risultati delle indagini strumentali,
derivanti dallo studio radiologico ed endoscopico,
completo di prelievi bioptici multipli. Come in questo
caso, infatti, assume ruolo dirimente l’esito dell’esame
istologico della mucosa enterica, corredata dall’immunofluorescenza con la tipizzazione dei linfociti dell’infiltrato infiammatorio. L’interpretazione dell’insieme
dei dati a disposizione ha consentito di formulare una
corretta diagnosi, presupposto fondamentale per l’impostazione di una appropriata terapia.
Bibliografia
1. Astegiano M, Pagano N, Sapone N, Simondi D, Bertolusso
L, Bresso F, Demarchi B, Pellicano R, Bonardi R, Marconi
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25
Esordio di Malattia di Crohn che simula un linfoma del piccolo intestino
S, Rizzetto M. Efficacy and safety of oral beclomethasone
dipropionate for ileal-right colon Crohn’s disease of mild to
moderate activity or in remission: retrospective study. Biomed Pharmacothe 2007; 61 (6): 370-6. Epub 2007 Mar 12.
2. Podolsky DK. Inflammatory Bowel Disease. N Engl J Med
2002; 347:417-29.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott.ssa Francesca Praianò
E-mail: [email protected]
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La gestione della malattia di Crohn nel post-intervento:
indicazioni e revisione di una casistica
Marco Daperno1, Paola Salacone1, Raffaello Sostegni1, Alessandro Lavagna1, Franco Bertolino2,
Lorenzo Capussotti2, Elena Ercole1, Caterina Rigazio1, Rodolfo Rocca1
1
2
Centro Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, S.C. Gastroenterologia, A.O. Ordine Mauriziano, Torino
S.C. Chirurgia Epatobiliopancreatica, A.O. Ordine Mauriziano, Torino
Introduzione
La malattia di Crohn è una patologia infiammatoria cronica del tratto gastrointestinale a decorso non
letale, gravata dalla necessità di almeno un intervento
chirurgico in oltre ? dei casi, con una probabilità di ulteriori interventi chirurgici in circa 60% dei casi (1).
La probabilità di un primo intervento è legata alla localizzazione ed all’atteggiamento di malattia (la
localizzazione di malattia al tenue è maggiormente a
rischio di recidiva, l’atteggiamento infiammatorio è
protettivo rispetto al rischio di intervento chirurgico),
un ulteriore fattore di rischio per il primo intervento,
non confermato da tutti gli studi, è rappresentato dal
fumo di sigaretta.
Tra i fattori che incrementano il rischio di recidiva di malattia vi sono invece alcune caratteristiche legate al primo intervento (resezioni ileali estese -> 100
cm- o indicazione all’intervento per malattia perforante), ancora la localizzazione di malattia (in questo
caso la localizzazione di malattia al colon) e, ancora
con alcuni dati contradditori, il fumo di sigaretta.
Dato l’elevato rischio di recidiva di malattia dopo
un primo intervento, è stato proposto che alcune tecniche diagnostiche, utilizzate precocemente e sistematicamente, potessero anticipare quali pazienti avrebbero effettivamente sviluppato nel tempo recidive cliniche, ed eventualmente sarebbero stati maggiormente a
rischio di recidiva chirurgica (1).
La recidiva di malattia, infatti, può essere distinta a seconda della definizione che se ne dà:
• Recidiva strumentale: recidiva evidenziata
esclusivamente con metodiche d’immagine (endoscopia, radiologia, ecografia), in pazienti peraltro asintomatici
• Recidiva laboratoristica: alterazione di indici infiammatori e parametri laboratoristici in pazienti
asintomatici, ove gli stessi parametri si fossero normalizzati nel post-intervento.
• Recidiva clinica: ripresa dei sintomi clinici di malattia dopo un intervento chirurgico, distinguibili dal
semplice alvo diarroico parafisiologico nel post-intervento per insorgenza dopo normalizzazione dei
sintomi nel post-intervento; talora negli studi clinici o negli studi di popolazione si utilizzano indicatori maggiormente oggettivi per la recidiva clinica,
come alterazione degli score di attività clinica, necessità di variazione della terapia, introduzione di un
nuovo trattamento (steroidi, immunosoppressori,
biologici) o verificarsi di un nuovo ricovero ospedaliero.
• Recidiva chirurgica: necessità di un nuovo intervento resettivo o di stricturoplastica, escludendo invece
interventi per patologia perianale o per sindrome
aderenziale.
È stato dimostrato che i diversi tipi di recidiva si
verificano con tempistica diversa, e la recidiva strumentale precede generalmente di alcuni anni la recidiva clinica, e quella chirurgica, laddove si verifichi, tende a seguire ulteriormente nel tempo le prime due (2).
Inoltre negli anni sono state proposte diverse terapie per la prevenzione della recidiva di malattia, anche se ad oggi non esiste un accordo univoco sulla migliore strategia profilattica da utilizzare.
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La gestione della malattia di Crohn nel post-intervento: indicazioni e revisione di una casistica
Scopo di questa revisione è identificare le attuali
linee guida e le evidenze scientifiche a supporto della
migliore gestione (in termini diagnostici e terapeutici), inoltre verrà valutata la casistica locale degli Autori per verificare la prassi realmente presente in un singolo centro di riferimento per la gestione e la cura delle malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (IBD).
Gestione della malattia di Crohn nel post-chirurgico:
monitoraggio
Lo storico studio di Rutgeerts e colleghi (2), e gli
studi successivamente effettuati per la valutazione di
farmaci per la profilassi della recidiva post-chirurgica,
hanno dimostrato che un numero variabile di pazienti
tra 65-90% di coloro che sono stati sottoposti a chirurgia resettiva per malattia di Crohn presenta segni
endoscopici di recidiva a 12 mesi dall’intervento e
pressoché tutti i pazienti presentano un grado variabile di recidiva endoscopica entro i 36 mesi dall’intervento. Tuttavia stratificando i pazienti sulla base della
classificazione originalmente proposta da Rutgeerts e
colleghi (2) (Tabella 1), coloro che presentano a 6-12
mesi dall’intervento assenza di recidiva o segni solo
iniziali di recidiva (classi i0-i1) hanno un rischio di recidiva clinicamente manifesta estremamente limitato,
mentre al contrario coloro che manifestano gradi più
avanzati di recidiva endoscopica avrebbero un rischio
Tabella 1. Score di Rutgeerts (2) per la gradazione della recidiva post-chirurgica della malattia di Crohn. I due gradi inferiori (i0 e i1) rappresentano le lesioni minime, a minor rischio di
recidiva clinica o chirurgica, mentre i 3 gradi maggiori (i2-i3i4) presentano maggiore rischio di recidiva clinica o chirurgica
Grado
Caratteristiche endoscopiche
i0
Nessuna lesione nell’ileo distale
i1
≥ 5 lesioni aftoidi
i2
>5 lesioni aftoidi con mucosa normale frapposta, o
skip areas di lesioni più estese, o lesioni confinate
all’anastomosi ileocolica
i3
Ileite aftosa diffusa con mucosa diffusamente
infiammata
i4
Infiammazione diffusa anche con ulcere più grandi,
noduli e/o stenosi
27
assai più elevato, o una quasi certezza, di recidiva post-chirurgica clinicamente rilevante.
I pazienti che non presentano recidiva o solo segni di iniziale recidiva endoscopica (i0-i1) avrebbero
infatti un rischio di recidiva clinica trascurabile (9% a
7 anni) e significativamente inferiore a coloro che presentano segni di recidiva endoscopica di grado i2 o superiore (virtualmente probabilità di recidiva clinica del
100% a 3 anni).
Da questa evidenza deriva la raccomandazione,
contenuta nelle vigenti linee guida ECCO per la gestione della malattia di Crohn (1), di utilizzare precocemente l’endoscopia per diagnosticare la recidiva post-chirurgica.
Tuttavia, data l’invasività della metodica, negli
anni alcune altre tecniche di imaging si sono proposte
per verificare la recidiva strumentale di malattia e sono considerate alternative o surrogati dell’endoscopia
stessa, con un grado di accuratezza variabile.
L’ecografia intestinale si è rilevata altamente sensibile ed accurata nella valutazione della recidiva postchirurgica di malattia (3), ed i parametri più utilizzati
sono lo spessore della parete intestinale a livello anastomotico (lo spessore di 3 o 4 mm viene proposto
nella maggior parte dei lavori in Letteratura per ottimizzare sensibilità e specificità rispettivamente) e la
perdita della regolare pluristratificazione. L’esame
ecografico è certamente più accettato da parte dei pazienti, tuttavia la resa non è del tutto sovrapponibile
all’endoscopia tradizionale. Il protocollo in uso nel nostro centro prevede una valutazione basale pre-dimissione, in modo da escludere falsi positivi per recidiva
legati a complicanze perichirurgiche o a residui di malattia non resecati, e poi controlli seriati ogni 3 mesi,
in caso di riscontri positivi, oppure all’anno dall’intervento, si effettua comunque ileocolonscopia di conferma della recidiva postchirurgica.
Le metodiche radiologiche che includono radiazioni ionizzanti (Rx clisma del tenue, transito del tenue o entero-TC) non trovano indicazione in questo
contesto, in primo luogo per motivi di radioprotezione (il ricorso a radiazioni ionizzanti in pazienti asintomatici non è accettabile), e secondariamente per la minore resa diagnostica rispetto ad altre metodiche di
imaging. Un discorso a parte potrebbe valere per la
RMN con protocollo per lo studio del piccolo intesti-
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no, che potrebbe, secondo alcuni dati presenti in Letteratura, fornire dati equivalenti o superiori rispetto a
quelli forniti dall’ecografia intestinale.
Da ultimo è stato proposto l’uso dell’enteroscopia con video capsula per verificare la recidiva endoscopica di malattia. Anche se concettualmente questa
metodica potrebbe offrire un’alternativa mini invasiva
sufficientemente sicura (il rischio di ritenzione della
video capsula dovrebbe essere minimo in pazienti
asintomatici in cui siano stati asportati i tratti intestinali stenotici entro l’anno precedente) all’endoscopia
tradizionale, sono ancora necessari dati che supportino la sua reale equivalenza all’endoscopia tradizionale. In particolare va sottolineato che vi sono rischi di
esami non diagnostici per mancato raggiungimento
dell’anastomosi o per mancata pulizia dell’ileo neoterminale, con conseguente mancate diagnosi accurate di recidiva post-chirurgica, nonostante i costi intrinseci della metodica. Inoltre non esiste al momento uno score endoscopico video capsulare accettato
diffusamente, e non esiste certezza circa la possibilità
che lo score di Rutgeerts per la recidiva post-chirurgica possa essere tout-court applicato all’enteroscopia
capsulare.
In sintesi le raccomandazioni della ECCO (1) sono di effettuare l’ileocolonscopia in presenza di sospetto di recidiva post-chirurgica. La prassi suggerita più
correntemente e in linea di principio adottata anche dal
nostro gruppo è di effettuare una colonscopia di controllo all’anno dopo l’intervento, o prima se il paziente
presenta elevato rischio di recidiva (sulla base di criteri
accettati o sulla base del sospetto del clinico) e di classificare la recidiva in accordo con lo score di Rutgeerts;
laddove sia disponibile sembrerebbe ragionevole utilizzare la metodica di imaging disponibile (se possibile e
soprattutto se nelle mani del clinico l’ecografia intestinale rappresenta il migliore compromesso tra accuratezza, costo ed invasività) per anticipare eventualmente la
tempistica della valutazione endoscopica suggerendo
una recidiva già in atto, anche in pazienti del tutto asintomatici, dato che come si è detto la recidiva clinica segue per lo più quella strumentale.
Il punto che rimane controverso, come si vedrà a
seguire, è quale variazione terapeutica sia giustificata
dall’evidenza sulla base della necessità rilevata dalla
presenza di un’eventuale recidiva grave di malattia.
M. Daperno, P. Salacone, R. Sostegni, et al.
Gestione della malattia di Crohn nel post-chirurgico:
profilassi medica
Le attuali linee guida della ECCO (1) stabiliscono che non esiste al momento evidenza sufficientemente robusta da suggerire un trattamento sicuramente efficace per la prevenzione del rischio di recidiva
post-chirurgica.
Ciononostante il farmaco di scelta per la prevenzione della recidiva postchirurgica è la mesalazina, al dosaggio di almeno 2 g al giorno. La sua efficacia è stata
stabilita da una meta-analisi (4, 5) pubblicata circa un
decennio orsono, che somma oltre 1100 pazienti trattati nei diversi studi clinici randomizzati e controllati, rilevando un margine di superiorità rispetto al placebo compreso tra 10 e 18%, di conseguenza il vantaggio è stato
misurato con un number-needed-to-treat (NNT) per
prevenire una recidiva post-chirurgica è nell’ordine di
5.5-10 casi per la prevenzione di recidiva clinica, endoscopica o chirurgica. Il trattamento precoce ed a dosi
sufficientemente elevate è ben tollerato e rappresenta ad
oggi un presidio assolutamente adeguato per la prevenzione del rischio di recidiva post-chirurgica (1).
Per quanto riguarda gli antibiotici, vi sono dimostrazioni che sia i nitroimidazoli (metronidazolo ed
ornidazolo), sia i chinolonici (ciprofloxacina) siano efficaci nel ritardare la recidiva post-chirurgica, ma solo
finché vengano assunti, e la loro assunzione per lunghi
periodi è limitata dall’insorgenza di effetti collaterali
che ne riducono la compliance al trattamento, non sono pertanto accettabili mezzi di trattamento profilattico a lungo termine (1).
Da ultimo le tiopurine, ed in particolare l’azatioprina e la 6-mercaptopurina, sono state studiate per la
profilassi della recidiva post-chirurgica. Le raccomandazioni della ECCO attualmente vigenti (1) la consideravano un’opzione da considerare, anche se con un
grado di evidenza inferiore a quello disponibile per la
mesalazina. I due lavori pubblicati da Hanauer (6) e
Ardizzone (7) supportavano infatti una superiorità
modesta dell’azatioprina o della 6-mercaptopurina rispetto a mesalazina e placebo, con disegni metodologici però differenti e risultati non sovrapponibili. Tuttavia nell’ultimo anno sono stati resi disponibili i risultati di uno studio randomizzato (8) che ha confrontato, in pazienti ad alto rischio di recidiva post-chirur-
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La gestione della malattia di Crohn nel post-intervento: indicazioni e revisione di una casistica
gica, il trattamento per 3 mesi con metronidazolo con
il trattamento con metronidazolo ed azatioprina.
Questo studio dimostra che l’inizio precoce della terapia antibiotica associato alla terapia con azatioprina
per la prevenzione della recidiva è una strategia significativamente più efficace della terapia con i soli antibiotici nitroimidazolici, con risparmio di recidive endoscopiche gravi, con un OR (odd ratio) di 2.9, e con
un maggior numero di pazienti senza alcuna lesione
endoscopica ad un anno (con un OR di 7.8).
Sulla base di questi dati la prossima stesura delle
linee guida ECCO, presentata al congresso ECCO di
febbraio 2009, raccomanda l’inizio di qualsiasi trattamento profilattico precocemente dopo l’intervento,
suggerisce la superiorità delle tiopurine sulla mesalazina per la prevenzione della recidiva e raccomanda il loro uso in particolare nei pazienti a più alto rischio.
Al di fuori delle linee guida, poi, esistono ad oggi
suggerimenti in Letteratura (9) che anche il trattamento con farmaci biologici, in particolare con infliximab,
potrebbe essere significativamente superiore rispetto al
placebo. Tuttavia questo dato si riferisce a un solo studio randomizzato e controllato pubblicato in extenso e
su piccolissimi numeri di pazienti. Il maggiore problema con un approccio tanto aggressivo alla prevenzione
del rischio di recidiva di malattia dopo un intervento
chirurgico è legato al rischio di sovratrattare pazienti altrimenti non a rischio di gravi recidive cliniche, esponendo a rischi di effetti collaterali non trascurabili.
D’altra parte ad oggi non esistono, come si è detto
poc’anzi, affidabili ed univoci indicatori di rischio aumentato, e l’unico fattore su cui esiste accordo è rappresentato dal quadro endoscopico di recidiva avanzata.
della Struttura Complessa di Gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino. I
pazienti in cui non sono state effettuate resezioni intestinali, o per i quali il follow-up è risultato inferiore a
6 mesi sono stati scartati dall’analisi.
Nell’arco del periodo di tempo considerato, sono
stati identificati 106 casi di malattia di Crohn sottoposti
a interventi resettivi intestinali, 50 (47%) maschi e 56
(53%) femmine, l’età mediana al termine del follow-up
è di 42 anni (range interquartile –IQR- 33-53).
Le caratteristiche dei pazienti e degli interventi
effettuati sono riportate nella Tabella 2.
Tabella 2. Caratteristiche cliniche dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico nel periodo 2004-2008 presso il Centro
IBD dell’AO Ordine Mauriziano di Torino
Variabile
Numero (%)
Casi
106 (100%)
Localizzazione
Ileo
Colon
Allo scopo di verificare l’attuazione delle linee
guida e delle evidenze nella pratica clinica, abbiamo
rivalutato l’esperienza di un singolo centro di riferimento in un periodo che va dal gennaio 2004 al dicembre 2008, per verificare le modalità di evoluzione
della malattia, la frequenza di recidiva endoscopica,
clinica e chirurgica, e le strategie terapeutiche utilizzate presso il Centro Malattie Infiammatorie Croniche
46 (40%)
7 (6%)
Ileocolon
48 (42%)
UpperGI
5 (5%)
Atteggiamento
Fistolizzante
45 (43%)
Stenosante
54 (47%)
Infiammatorio
7 (6%)
Malattia perianale
29 (27%)
Età alla diagnosi (anni)
Età < 40 anni
29.5 (22.8-38.6)
82 (77%)
Durata malattia (anni)
Fumo attivo
La gestione della malattia di Crohn nel post-chirurgico: uno spaccato di vita reale
Mediana (IQR)
8.5 (4.2-14.8)
47 (44%)
Indicazione all’intervento
Stenosi
53 (50%)
Fistola
21 (20%)
Refrattarietà
32 (30%)
Tipo intervento
Resez. IC laparoassistita
36 (34%)
Resez. IC laparotomica
48 (45%)
Resezioni coliche
15 (14%)
Altri interventi
7 (7%)
I dati categorici sono riportati come frequenza (n) e percentuale (%),
i dati continui come mediana e range interquartile (IQR)
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Per quanto riguarda il monitoraggio della malattia dopo l’intervento chirurgico il protocollo abitualmente utilizzato presso il nostro Centro prevede teoricamente l’effettuazione di ecografie intestinali seriate (ogni 3-6 mesi sino all’anno, annualmente successivamente), di ileocolonscopia ad un anno dall’intervento (o prima nel sospetto di una recidiva precoce), ed in
alcuni casi dopo il 2006, nell’ambito di un protocollo
di studio, enteroscopia con video capsula.
Per la definizione di recidiva clinica sono state valutate tutte le cartelle cliniche dei pazienti, ed è stato stabilito che vi fosse recidiva clinica in presenza di definizione esplicitata nella visita associata ad un cambio della terapia (introduzione ex novo di steroidi, immunosoppressori o terapia con biologici) a seguire la data della visita indice; per la definizione di recidiva chirurgica, invece, sono state utilizzate le date dell’intervento resettivo
successivo, l’ultimo follow-up è stato stabilito al momento dell’ultima visita o esame effettuato dal paziente
all’interno dell’A.O. Ordine Mauriziano di Torino. Per i
pazienti in cui erano disponibili i dati degli esami endoscopici o video capsulari, questi sono stati codificati in
accordo con lo score di Rutgeerts (2), e di conseguenza
la presenza di recidiva endoscopica o video capsulare è
stata definita alla data dell’osservazione endoscopica e
con il grado corrispondente. Per quanto riguarda l’ecografia intestinale, è stato utilizzato uno score arbitrario di
recidiva con assenza di recidiva (nessuna lesione anastomotica o perianastomotica evidente all’esame, con descrizione della regione anastomotica), recidiva lieve
(ispessimento tra 3-4 mm, ma stratificazione conservata
e assenza di captazione Doppler) o moderata-grave
(ispessimenti superiori, ipoecogenicità di parete e/o captazione Doppler), e la recidiva ecografica è stata stabilita al primo controllo positivo.
La valutazione dei pazienti ha rilevato che la recidiva clinica si è verificata in 43 (41%) dei casi, dopo
un tempo mediano di 15.9 mesi (IQR 6.8-23.4).
La recidiva chirurgica è stata osservata solo in 5
(5%) casi, dopo un tempo mediano di 8.8 mesi (range
5.4-60.9).
I risultati di almeno una ileocolonscopia erano disponibili per 67 (63%) pazienti, con una frequenza di
recidiva endoscopica del 69% (46/67), dopo un tempo
mediano di 12.3 mesi (IQR 5.9-19.7); le recidive sono risultate di grado i2 in 6 casi (9%), i3 in 17 casi
M. Daperno, P. Salacone, R. Sostegni, et al.
(25%) e i4 in 23 casi (34%), per questa analisi sono
stati considerati non in recidiva endoscopica i pazienti con recidiva di grado i0 (11, 16%) o i1 (10, 15%).
Almeno un’ecografia intestinale era stata effettuata
in 93 (88%) pazienti, con una frequenza di recidiva ecografica del 67% (62/93), dopo un tempo mediano di 14
mesi (IQR 7.7-21.1); gli esami negativi per recidiva sono risultati 31 (33%), una recidiva ecografica lieve è stata osservata in 32 (34%) casi e una recidiva ecografica
moderata-grave è stata osservata in 30 (32%) casi.
I dati dell’enteroscopia capsulare erano disponibili solo per 10 (9%) casi, con assenza di lesioni in 2 casi, lesioni equiparabili al grado i2 secondo Rutgeerts in
2 casi, e 3 casi ciascuno riportanti lesioni equiparabili
ai gradi i3 ed i4 secondo Rutgeerts.
Nelle figure a seguire (Figure 1-4) si osservano le
analisi di sopravvivenza relativamente ai principali 4
outcomes: recidiva endoscopica, recidiva ecografica,
recidiva clinica, recidiva chirurgica.
Il rischio di recidiva clinica o il tempo necessario
perché la recidiva clinica si verifichi non sono risultati
significativamente diversi sulla base dei trattamenti
medici preventivi; analogamente non sono state rilevate differenze significative sulla base dei trattamenti
profilattici effettuati neanche per la recidiva chirurgica o ecografica, o rispetto ai tempi necessari perché
queste si verifichino. La recidiva endoscopica (ma non
il tempo necessario alla recidiva) è invece significativa-
Figura 1. Analisi di Kaplan-Meier per sopravvivenza libera da
recidiva endoscopica
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La gestione della malattia di Crohn nel post-intervento: indicazioni e revisione di una casistica
Figura 2. Analisi di Kaplan-Meier per sopravvivenza libera da
recidiva ecografica
Figura 3. Analisi di Kaplan-Meier per sopravvivenza libera da
recidiva clinica
mente più frequente nei pazienti non trattati con mesalazina (93% vs 62%; OR=8.75; p=0.048).
L’analisi di regressione logistica ha rilevato che
tra tutte le variabili cliniche (incluse caratteristiche
dell’intervento, indicazioni, caratteristiche di malattia,
e le caratteristiche endoscopiche ed ecografiche) le
uniche due significativamente ed indipendentemente
associate al rischio di recidiva clinica sono risultate essere la presenza di recidiva ecografica (OR=5.39,
p=0.039) ed endoscopica (OR=9.25, p=0.004). Il rischio di recidiva chirurgica non è risultato significativamente associato ad alcuna delle variabili considera-
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Figura 4. Analisi di Kaplan-Meier per sopravvivenza libera da
recidiva chirurgica
te. Il rischio di recidiva endoscopica, invece, è risultato significativamente ed indipendentemente associato
solo alla presenza di recidiva ecografica (OR=18.54,
p=0.0006). Il rischio di recidiva ecografica è risultato
per converso significativamente ed indipendentemente associato solo alla presenza di recidiva endoscopica
(OR=10.86, p<0.0005).
L’effettuazione di analisi di regressione tempo dipendente secondo Cox ha rilevato che in questa popolazione le covariate significativamente ed indipendentemente associate al tempo necessario allo sviluppo
della recidiva clinica sono: l’atteggiamento stenosante
di malattia (p=0.0115), l’età alla diagnosi < 40 anni
(p=0.0366) e la presenza di recidiva endoscopica
(p=0.00043).
A causa del basso numero di pazienti che incorrono nella recidiva chirurgica, nessuna covariata è risultata invece significativamente associata al tempo
necessario allo sviluppo di recidiva chirurgica.
Per quanto riguarda il tempo necessario allo sviluppo di recidiva endoscopica, invece, l’unica covariata associata significativamente tempo necessario allo
sviluppo della recidiva chirurgica è risultata essere la
presenza di recidiva ecografica (p=0.0365).
Da ultimo la presenza di recidiva endoscopica è
risultata essere l’unica covariata significativamente associata al tempo necessario allo sviluppo di una recidiva ecografica (p=0.0032).
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Conclusioni
La gestione della malattia di Crohn post-chirurgica è ad oggi un campo particolarmente complesso, e
rispetto al quale non esistono certezze assolute.
Tuttavia alcuni suggerimenti proposti dalle linee
guida [1] e dall’analisi della Letteratura possono essere condivisibili:
• In assenza di affidabili predittori del decorso di malattia dopo l’intervento chirurgico, l’utilizzo di terapie di mantenimento con mesalazina al dosaggio di
almeno 2 g al giorno è il minimo trattamento efficace praticabile, anche se andrebbe discusso con il paziente il fatto che la terapia non possa offrire una
protezione completa dal rischio di recidiva
• L’effettuazione di metodiche di imaging, ed in particolare della ileocolonscopia, rappresenta un presidio
gestionale essenziale per precorrere il destino dei pazienti dopo l’intervento chirurgico: la presenza di recidiva endoscopica avanzata è il principale fattore di rischio per lo sviluppo di recidive cliniche successive
• Occorrono dati ulteriori che possano consentire di stabilire il miglior trattamento per la prevenzione del rischio post-chirurgico, ed anche che permettano di stabilire con precisione il profilo del rischio individuale
del singolo caso sulla base dei dati clinici e di imaging
L’esperienza della casistica torinese potrebbe suggerire alcuni elementi ulteriori di riflessione:
• L’ecografia intestinale, laddove disponibile, rappresenta un presidio utile ed adeguato, con elevata sensibilità
e specificità per il monitoraggio della recidiva clinica,
e peraltro rappresenta uno dei predittori più importanti del rischio di recidiva clinica ed endoscopica
• L’analisi della nostra popolazione consente di rilevare che una proporzione vastissima dei pazienti viene
sottoposta a terapia con mesalazina, questo potrebbe condurre ad una sottostima del tasso di recidiva
clinica e chirurgica (teoricamente superiore del 1520% in assenza di terapia, e pertanto nell’ordine rispettivamente del 50% e 7.5%, anziché gli osservati
41% e 5%), che sono effettivamente inferiori rispetto a quanto riportato in Letteratura
• L’analisi della casistica locale ha consentito di verificare che nella pratica clinica l’applicazione dei protocolli
teoricamente utilizzati è inferiore a quanto atteso, nel
nostro gruppo di pazienti solo 60 (corrispondenti a
M. Daperno, P. Salacone, R. Sostegni, et al.
57%) hanno effettuato sia l’ecografia, sia l’ileocolonscopia per la valutazione della recidiva post-chirurgica, anche pressoché la totalità dei pazienti ha effettuato l’una
o l’altra metodica d’immagine (100 casi, 94%).
Bibliografia
1. Caprilli R, Gassull MA, Escher JC, et al. European evidence based consensus on the diagnosis and management of Crohn’s disease: special situations. Gut 2006;55(Suppl I):i36-i58.
*** Contiene le linee guida vigenti della ECCO sulla gestione
post-chirurgica della malattia di crohn, valide sino alla pubblicazione delle prossime linee guida, già compilate, ma ancora in fase di pubblicazione
2. Rutgeerts P, Geboes K, Vantrappen G, et al. Predictability of the
postoperative course of Crohn’s disease. Gastroenterology
1990;99:956-63.
3. Maconi G, Sampietro GM, Cristaldi M, et al. Preoperative characteristics and postoperative behavior of bowel wall on risk of
recurrence after conservative surgery in Crohn's disease: a prospective study. Ann Surg 2001;233(3):345-52.
** Articoli che analizzano la performance di endoscopia ed ecografia per la valutazione post-chirurgica della recidiva di malattia e ne valutano le implicazioni prognostiche
4. Cammà C, Giunta M, Rosselli M, et al. Mesalamine in the
maintenance treatment of Crohn's disease: a meta-analysis
adjusted for confounding variables. Gastroenterology 1997; 113
(5):1465-73.
5. Cottone M, Cammà C. Mesalamine and relapse prevention in
Crohn's disease. Gastroenterology 2000;119(2):597.
6. Hanauer SB, Korelitz BI, Rutgeerts P, et al. Post-operative
maintenance of Crohn’s disease remission with 6-mercaptopurine, mesalamine, or placebo: a 2-year trial. Gastroenterology
2004;127(3):723-9.
7. Ardizzone S, Maconi G, Sampietro GM, et al. Azathioprine
and mesalamine for prevention of relapse after conservative surgery for Crohn’s disease. Gastrenterology 2004;127(3):730-40.
8. D'Haens GR, Vermeire S, Van Assche G, et al. Therapy of metronidazole with azathioprine to prevent postoperative recurrence of Crohn's disease: a controlled randomized trial. Gastroenterology 2008;135(4):1123-9.
** Letteratura relativa alla terapia medica della recidiva postchirurgica nel Crohn, in particolare dati meta-analitici sulla
mesalazina e lavori sulle tiopurine
9. Regueiro M, Schraut W, Baidoo L, et al. Infliximab prevents
Crohn's disease recurrence after ileal resection. Gastroenterology 2009; 136(2):441-50.
* Recentissimo lavoro che propone l’utilizzo dell’infliximab per
la profilassi della recidiva post-chirurgica
Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Marco Daperno
E-mail: [email protected]
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Il unto...
in breve
Rettocolite ulcerosa estesa steroidodipendente e refrattaria alle tiopurine
e agli anti-TNF trattata con
beclometasone dipropionato orale.
Descrizione di un caso clinico
M. Sozzi, C. Tonello, S. Martelossi
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il caso clinico
Sesso
femminile
Età
19 anni
Patologia rettocolite ulcerosa sinistra, dall’età di 15 anni
ESORDIO
· Quadro clinico: - 10-15 scariche di feci
muco-sanguinolente
- dolori addominali
crampiformi
- aumento della VES
Rettocolite ulcerosa estesa steroidodipendente e refrattaria alle tiopurine e
agli anti-TNF trattata con beclometasone
dipropionato orale. Descrizione di un caso
clinico
· Quadro endoscopico: - iperemia
- fragilità mucosa
- ulcerazioni multiple
al colon discendente, sigma, retto
Terapia
· terapia corticosteroidea con prednisone e antibiotica per 3 settimane
· graduale riduzione (5 mg alla settimana) del prednisone } 2 tentativi
· Quadro istologico: infiltrato infiammatorio
mucoso severo
accompagnato da
deplezione mucinosa
delle ghiandole e da
ascessi criptici
confermata diagnosi di RCU
Effetti
· i sintomi ricompaiono scendendo sotto la dose di 20 mg/dì di
prednisone
Effetti
Terapia
· terapia immunomodulatrice con azatioprina 100 mg/dì + prednisone a
dosi piene e poi a scalare
· dosi adeguate: la concentrazione ematica dei metaboliti
dell’azaotioprina rientra nel range terapeutico
Terapia
· sospesa la terapia con azatioprina
· reintrodotta terapia cortisonica sistemica con prednisone
Terapia nei mesi successivi
· tentativi di riduzione del prednisone al di sotto di 20-25 mg/dì
+
· mesalazina per os, 800 mg tre volte al dì
(poi sospesa dalla paziente per sua iniziativa)
· per poco più di 1 anno: discreto benessere
· dopo poco più di un anno:
- recidiva clinica: diarrea muco-sanguinolenta e dolori
addominali crampiformi
- recidiva laboratoristica: aumento della VES
- recidiva endoscopica: ulcerazioni al colon sinistro
- recidva ecografica: ispessimento della parete del colon
discendente e del sigma
Effetti
· buona risposta clinica
Effetti
· recidive ogni volta che il prednisone scende sotto 20-25 mg/dì
accertata cortico-dipendenza e refrattarietà alla
terapia immunomodulatrice con azatioprina
Terapia
Effetti
Terapia
Effetti
Terapia
· la paziente rifiuta l’opzione chirurgica
· talidomide 100 mg/dì per 2 mesi
· infliximab: schema di induzione con 3 somministrazioni
· viene prospettata la colectomia
· inefficace
· inefficace
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Effetti
Terapia nei mesi successivi
· prednisone 25 mg/dì
· si mantiene la remissione clinica
· visita oculistica di controllo: ipertensione oculare da
trattamento steroideo
Terapia per alcune settimane
Effetti
Terapia per 1 mese (non si vuole reintrodurre il
cortisonico sistemico)
Effetti
· ulteriore riacutizzazione della malattia: 8-9 scariche al dì con feci
acquose senza muco né sangue, con dolori addominali
crampiformi
· levobunololo collirio
· riduzione del prednisone
· ripresa della terapia con mesalazina, 800 mg, 4 volte al dì
· si aumenta mesalazina a 4.8 g/dì in 3 somministrazioni
· BECLOMETASONE DIPROPIONATO 10 mg/dì PER OS
· persistono 3-4 scariche al dì di feci acquose (ipotesi di
intolleranza alla mesalazina)
Nella necessità di mantenere la
malattia in remissione con terapia
steroidea, che però aveva già dato
effetti collaterali (ipertensione
oculare), ci siamo orientati verso le
nuove formulazioni di steroidi
“non-sistemici”, optando per il
BECLOMETASONE DIPROPIONATO
gastro-resistente a rilascio
modificato.
Terapia per 3 settimane
· sospesa mesalazina
· terapia antibiotica con ciprofloxacina 500 mg, 2 volte al dì
+metronidazolo 250 mg, 3 volte al dì
+ BECLOMETASONE DIPROPIONATO 10 mg/dì PER OS
Effetti
· completo benessere
Effetti ad oggi
Terapia
· sospesi gli antibiotici
· BECLOMETASONE DIPROPIONATO
A DOSI DIMEZZATE = 5 mg/dì PER OS
· remissione clinica e bioumorale
· non presenti manifestazioni collaterali da terapia
steroidea
· dopo 6 mesi di terapia si è valutato l’ef fetto del beclometasone
dipropionato sulla secrezione endogena di cortisolo: nel range di
normalità (11.5 µg/dl; range: 5-25 µg/dl)
· ipertensione oculare: non si è più ripresentata
Abbiamo così ottenuto la remissione
della malattia e la paziente ha goduto di
completo benessere fino ad oggi (a
distanza di 8 mesi dall’episodio acuto)
con la sola assunzione del
BECLOMETASONE DIPROPIONATO
alle dosi di 5 mg al dì.
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Rettocolite Ulcerosa (RCU) e
steroido-dipendenza
Steroido-dipendenza: riattivazione della malattia allo scalare del corticosteroide o dopo poche settimane dalla
sua sospensione
Approssimativamente il 20% dei pazienti con RCU , che rispondono ad un iniziale trattamento cortisonico,
manifestano steroido-dipendenza a distanza di 1 anno dall’esordio della malattia
Opzioni terapeutiche per pazienti refrattari fin dall’inizio alla terapia medica o ster oido-dipendenti
• intervento di colectomia totale
• utilizzo di corticosteroidi che abbiano prevalentemente un effetto sulla mucosa intestinale, grazie al loro rilascio
selettivo nell’intestino tenue distale e nel colon ed al lor o alto metabolismo epatico di primo passaggio (beclometasone dipropionato a rilascio modificato)
In conclusione, riteniamo che, alla luce
del caso clinico qui presentato, i
corticosteroidi “non-sistemici”, ed in
particolare il BECLOMETASONE
DIPROPIONATO, possano essere presi
in considerazioni come opzione
terapeutica non solo nell’induzione
della remissione ma anche nel
trattamento a medio-lungo termine dei
pazienti con retto-colite ulcerosa
cortico-dipendente e refrattaria ad
altre terapie.