Newletter 4_REV - Progetto Biocolor

Progetto: “Produzione ed estrazione di coloranti naturali da residui della produzione del pomodoro e colture cellulari
fotosintetiche” – BIOCOLOR – CUP: G66D11000470009 - Progetto finanziato con fondi del PSR Sicilia 2007-2013 – Misura
124: Cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie nei settori agricolo e alimentare, e in quello
forestale.
Newsletter 4
Progetto Biocolor: La produzione delle colture unicellulari fotosintetiche
Nell’ambito del progetto BIOCOLOR, finanziato dal PSR Sicilia 2007/2013 - Misura 214
“Cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie nei settori agricolo e
alimentare, e in quello forestale” sono state sviluppate azioni che avevano per oggetto la
produzione di microalghe. In particolare, l’azione WP2: “Progettazione, realizzazione e collaudo di
un impianto a scala pilota precompetitiva per la produzione di colture unicellulari fotosintetiche
ricche in coloranti” ha permesso tra le altre finalità anche di ricostruire il quadro scientifico e
tecnologico della coltivazione di questi organismi.
Un mondo affascinante quello di questi microorganismi e che merita di essere descritto.
Il mondo delle microalghe Le microalghe, anche note come fitoplancton, sono
organismi
microscopici
unicellulari
che
vivono
singolarmente o in colonie (catene o altri tipi di
aggregati), in acque dolci e salate. A seconda della
specie, le loro dimensioni individuali possono variare da
pochi micrometri a qualche centinaia (millesimi di
Fitoplancton: da fito=pianta e plancton
(dal greco πλαγκτόν, ossia vagabondo,
errante) è la categoria ecologica che
comprende il complesso di organismi
acquatici galleggianti che, non essendo in
grado di dirigere attivamente il loro
movimento, vengono trasportati
passivamente dalle correnti e dal moto
ondoso.
millimetro, 10-6 m). La loro attività fotosintetica è fondamentale per la vita sulla Terra, in quanto si
stima che producano il 30-50% dell’ossigeno atmosferico, assorbendo contemporaneamente
anidride carbonica, il maggiore gas ad effetto
serra, per poter crescere e sintetizzare nuova
sostanza organica (biomassa).
La biodiversità delle microalghe è enorme e
rappresenta una risorsa poco studiata e sfruttata;
Microalghe al microscopio
solamente 35.000 specie sono state descritte
rispetto a quelle esistenti, stimate essere fra 200.000 e 800.000, secondo i dati della Wageningen
University. Questi microrganismi producono comunemente numerosissimi composti bioattivi come
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polisaccaridi, amido, proteine, acidi grassi,
carotenoidi, antiossidanti, enzimi, polimeri,
peptidi,
tossine
e
steroli;
costituiscono
potenzialmente una rilevante fonte di geni per
percorsi di biosintesi particolari, a volte unici.
Semplificando si può dire che le microalghe
più utili appartengono a 5 o 6 classi principali,
Le specie maggiormente diffuse
distinguibili per la loro morfologia, la loro
pigmentazione, il loro ciclo biologico e la loro struttura cellulare.
Le microalghe fungono da fonte energetica
primaria per buona parte degli ecosistemi marini,
in quanto costituiscono il nutrimento di numerosi
animali,
dal
microscopico
zooplancton
ai
molluschi e crostacei filtratori. Tali organismi
rappresentano il successivo anello della catena
alimentare e sono poi a loro volta predati. Al
fitoplancton è stata attribuita addirittura la metà di
tutta l’attività fotosintetica della Terra e, di
conseguenza, la produzione di buona parte della
nuova
biomassa
(sostanza
organica),
con
conversione dell’energia della radiazione solare in
energia chimica che sta alla base delle reti
trofiche. Da rimarcare la velocità di crescita di
determinate specie microalgali, che le pongono ai
vertici
La catena alimentare delle specie marine
della
fotosintetici.
produttività
tra
gli
organismi
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La vita delle microalghe e la fotosintesi La struttura delle microalghe è sostanzialmente funzionale alla fotosintesi, priva di ulteriori apparati
oltre la cellula, il che consente loro di adattarsi facilmente a diversi ecosistemi, sperimentando un
ampio range di salinità, temperatura e pH. Le cellule procariote (cyanobacteria) sono prive degli
organi cellulari come il nucleo, mentre le eucariote ne sono dotate.
In natura microalghe e cianobatteri sono i produttori primari nelle acque, una componente
importante del “biofilm”, entrano in molte simbiosi, colonizzano rocce, suoli desertici, ghiacci
polari ed alpini, e sono presenti nel suolo agrario e forestale. Gli ambienti di elezione delle
microalghe sono i corpi d’acqua, sia dolce che di
mare, salmastra o ipersalina dove costituiscono il
fitoplancton e parte del fitobentos; sono cioè il
primo anello della catena alimentare.
Le microalghe, compresi i cianobatteri che con le
microalghe
condividono
il
metabolismo
bioenergetico (la fotosintesi ossigenica), ma ne
differiscono per la struttura cellulare (eucariotica
nelle prime, procariotica nei secondi), sono
direttamente responsabili di poco meno del 50%
della fotosintesi sulla terra. Tuttavia, se si
considera che, secondo la teoria dell’endosimbiosi, i cianobatteri sotto forma di cloroplasti sono
presenti nelle microalghe, così come nelle macroalghe e nei vegetali inferiori e superiori, in realtà
tutta la fotosintesi ossigenica sulla terra è opera di questi antichi microrganismi procariotici.
La fotosintesi dei cianobatteri ha luogo nella loro membrana tilacoidea, in modo analogo a quello
che avviene nei cloroplasti delle alghe, dei muschi, delle felci e delle piante con semi.
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La clorofilla a è presente nella maggior parte degli organismi fotosintetici e svolge un ruolo
fondamentale nel processo fotosintetico. Essa partecipa
direttamente alle reazioni in presenza di luce,
consentendo la conversione dell’energia solare in
energia chimica. Ma la clorofilla a non è il solo
pigmento, nel cloroplasto, importante per la fotosintesi.
Altri pigmenti possono assorbire luce e trasferire
l’energia alla clorofilla a, in modo da far avviare
successivamente le reazioni in presenza di luce. Questi
pigmenti vengono definiti accessori. Tra questi il più
importante risulta essere la clorofilla b. Si tratta di
pigmenti molto simili tra loro, le cui differenze sono
legate sostanzialmente al colore: la prima ha una
colorazione blu-verde; la seconda giallo-verde. Gli
spettri di assorbimento della luce nelle due clorofille
differiscono: nella clorofilla a l’assorbimento nella zona del rosso è compreso fra 680 e 640 nm,
con un massimo di a 662 nm; nella clorofilla b è spostato fra 655 e
Il nanomètro, simbolo nm, è
un'unità di misura di
lunghezza, corrispondente a
-9
10 metri (cioè un
miliardesimo di metro, pari ad
un milionesimo di millimetro).
630 nm, con un massimo a 642 nm. L’assorbimento, nella zona
dell’azzurro, inizia a 480 nm nella clorofilla b e per la clorofilla a a
445 nm. Altre clorofilla sono la clorofilla c, che è presente nelle
alghe brune, nelle dinoflagellate e nelle diatomee, e la clorofilla d,
presente quasi esclusivamente nelle alghe rosse.
Il cloroplasto contiene inoltre altri pigmenti accessori che supportano, all’interno della cellula, il
processo di fotosintesi. Tra questi ricordiamo il gruppo dei pigmenti chiamati carotenoidi che, a
differenza della clorofilla, hanno colorazioni che vanno dal giallo all’arancio. I carotenoidi,
localizzati anch’essi sulla membrana dei tilacoidi, sono coinvolti in una funzione di fotoprotezione
delle clorofille. Sono composti notevolmente più stabili delle clorofille, le quali hanno un tempo di
degradazione assai rapido. Hanno la funzione di estendere l’assorbimento della luce a regioni dello
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spettro non coperte in modo adeguato dalle clorofille (da 440 a 470 nm, blu-violetto), per
trasmettere poi l’energia alla clorofilla a.
I carotenoidi sono divisi in due classi: i caroteni e le xantofille. Le xantofille sono presenti
soprattutto nelle alghe verdi e nelle alghe brune. La principale xantofilla delle diatomee, in
particolare, e delle alghe brune, in generale, è chiamata fucoxantina e caratterizza gli organismi con
il classico colore tendente al marrone.
Un ultimo gruppo di pigmenti, oltre alle clorofille e ai carotenoidi, sono le ficobiline che si
ritrovano esclusivamente nelle alghe rosse e nei cianobatteri. In particolare, la ficoeritrina colora di
rosso le alghe rosse, mentre la ficocianina fa apparire blu-verdi i cianobatteri. Le ficobiline sono i
pigmenti accessori che consentono l’assorbimento della luce alle lunghezze d’onda blu e verdi nelle
acque profonde.
Gli impieghi delle microalghe nell’alimentazione umana La pasta microalgale secca, in polvere o in compresse, di alcune specie (es. Chlorella) contiene
elevate quantità di carboidrati semplici e complessi, oltre a numerosi altri composti. Tipici delle
microalghe sono i beta glucani, in grado di potenziare la risposta del nostro sistma immunitario.
In altre specie (es. Arthrospira) è preponderante il contenuto in proteine, che le rende un integratore
indicato
in
stati
di
debilitazione organica o per
gli sportivi.
Dentifrici, lozioni, unguenti
e
alginati
assimilabili
in
creme
attraverso
la
pelle sono alcuni dei prodotti
con sostanze di derivazione
microalgale
più
comunemente
commercializzati dalle industrie farmaceutiche, principalmente in Giappone.
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In campo medico vengono sfruttate le loro proprietà antibatteriche, antivirali e antitumorali.
Le microalghe contengono quantità interessanti di vitamine, tra cui la A, quelle del gruppo B
inclusa la B12, la C, la D, la E, la K che ne aumentano il valore nutrizionale. La quantità prodotta
dipende strettamente dalle condizioni di crescita e da tutti i processi che vanno dalla raccolta al
confezionamento della biomassa.
Nella tabella qui sopra si evidenzia l’elevato contenuto in proteine, carboidrati e lipidi di alcune
specie di microalghe rispetto a quello di alcuni alimenti più comuni.
Fra i numerosi acidi grassi riscontrabili nelle microalghe i più importanti sono l’acido
docosaesanoico (DHA, 22:6n-3), l’acido arachidonico (ARA 20:4n-6), l’acido eicosapentaenoico
(EPA 20:5n-3), l’acido gamma-linoleico e l’acido alfa-linolenico, noti come PUFA,
polyunsaturated fatty acids, gli acidi grassi poliinsaturi Omega-3 e Omega-6.
Notevoli sono anche le proprietà antiossidanti. Sono presenti svariate molecole attive in questo
senso, tra cui i carotenoidi astaxantina e beta carotene. Inoltre sono presenti oligominerali nella loro
forma organica maggiormente assimilabile. Tali composti possono o essere estratti dalla biomassa
algale prima di altre utilizzazioni (uso indiretto), o assorbiti consumando la pasta microalgale tal
quale, umida o secca (uso diretto).
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La Spirulina Il genere Arthrospira appartiene al gruppo sistematico dei Cianobatteri, antichissimi organismi
procarioti apparsi sulla Terra 3 miliardi di anni fa.
I Cianobatteri, pur essendo organismi primitivi,
possiedono caratteristiche tipiche di quelli più
evoluti, un sistema fotosintetico costituito dalla
clorofilla-a e dal fotosistema II (PS-II), la presenza
nella parete cellulare del glicogeno. Tutto ciò
rende difficile la loro classificazione botanica;
infatti, alcuni autori li inseriscono tra le alghe
(Cianophicaee o alghe azzurre), altri tra i batteri
fotosintetici ossigenici (Cianobatteri) (Istituto
Superiore di Sanità, 1999).
Molte specie sono in grado di fissare (ridurre) l’azoto atmosferico disponendo di strutture
specializzate dette eterocisti; si distinguono, inoltre, sia specie tossiche (Microcistis spp.) sia
commestibili (Nostoc, Arthrospira, Aphanizomenon) la maggior parte delle quali sono adattate ad
habitat estremi, che includono le profondità degli oceani, le sorgenti calde ed i ghiacci antartici.
Esiste una certa confusione tra i termini Spirulina e Arthrospira dovuta a un’erronea classificazione
botanica delle specie commestibili avvenuta negli anni ‘50. Infatti, tutte le specie utilizzate per
trarre alimenti, commercializzate con il nome di Spiruline, in realtà appartengono al genere
Arthrospira (Arthrospira maxima e Arthrospira platensis). Fanno parte, invece, del genere
Spirulina (es. Spirulina subsalsa, Spirulina major, etc.) un gruppo di Cianobatteri non
commestibile, per il quale non è stato ancora studiato l’impiego
alimentare. Quando si parla di Spiruline, quindi, si tratta delle
microalghe del genere Arthrospira, che si presentano all’analisi
microscopica come piccoli filamenti avvolti su se stessi, di
Il micromètro (simbolo: µm) è
un'unità di misura della
lunghezza corrispondente a un
milionesimo di metro (cioè
millesimo
di
millimetro).
-6
Ovvero: 1 µm = 1 × 10 m.
lunghezza e larghezza variabile (rispettivamente tra 100-200 µm e
8-10 µm). Disponendo di vescicole gassose, queste microalghe vivono sulla superficie dei corpi
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idrici dove spesso, in presenza di un eccesso di sostanze nutritive, possono provocare la così detta
“fioritura dall’acqua” o flos aquae. Le Arthrospire per poter crescere hanno bisogno di acque ricche
di sali minerali, calde (a temperature tra 35-37°C) e alcaline (con un pH tra 8,5 e 10,5).
La coltivazione tradizionale della Spirulina
Sembra che le Arthrospire fossero utilizzate come alimento già dagli Aztechi. Le testimonianze dei
conquistatori spagnoli e dei missionari che
raggiunsero per primi il “nuovo continente”,
raccontano che la città di Tenochtitlán sorgeva al
centro di un lago (chiamato Tezcoco) dove le
alghe negli strati superficiali producevano una
sostanza melmosa che veniva periodicamente
raccolta, essiccata al sole, ridotta in piccoli pezzi,
trasformata in una specie di focaccia dal sapore e
dal profumo di formaggio e venduta nei mercati di
nella lingua locale
tecuitlatl,
che significa
escrementi delle pietre.
Dopo la scomparsa del lago Tezcoco, non è stato
possibile sapere di cosa fosse fatto il tecuitlat;
alcuni ricercatori ritengono che questo alimento
fosse proprio a base di Spiruline.
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L’Arthrospira
platensis
rappresenta
una
fonte
alimentare per una popolazione africana che vive nella
regione lagunare del Kamen in Ciad e questo uso è stato
per la prima volta documentato a metà degli anni ’60 da
una spedizione belga trans-shariana. Queste microalge
seccate al sole formano pani di forma rotondeggiante
che sono tagliati e conservati per molto tempo grazie al
clima particolarmente secco della regione. Questo prodotto, che in lingua locale è chiamato “dihè”,
viene direttamente consumato dalla popolazione del posto e commercializzato in tutto il Sahel.
La coltivazione industriale della Spirulina La coltivazione delle microalghe su base industriale necessita di adeguati sistemi colturali che
possiamo suddividere in sistemi colturali da laboratorio e in sistemi colturali massivi. I primi hanno
lo scopo di preservare in purezza i differenti ceppi di microalghe per produrre opportuni volumi di
inoculo per le colture massive, mentre i secondi hanno l’obiettivo di produrre microalghe
quantitativamente e qualitativamente adeguate alle esigenze produttive.
I sistemi colturali in laboratorio Oltre al mantenimento e alla caratterizzazione delle specie algali, le colture in laboratorio
consentono la ricerca di base sulle specie microalgali al fine di definirne le proprietà funzionali.
Colture monospecifiche vengono iniziate in provette di volumetria ridotta, variabile tra 10 e 50 mL,
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in condizioni ambientali controllate, in mezzi liquidi oppure in mezzi solidi (generalmente agar su
piastre Petri). Nella prima fase lo scopo principale è il mantenimento della qualità dei ceppi che
serviranno per inoculi in volumi più grandi. Non si richiede una crescita rapida per cui, anche se in
mezzi liquidi, non è necessario insufflare aria e CO2. Le popolazioni microalgali vengono
mantenute in ambienti asettici (per evitare contaminazioni), a temperature costanti (tipicamente 1820°C) e illuminazione permanente con luce fluorescente fredda a bassa intensità (fino a 1000 lux). I
ceppi vengono replicati mensilmente per evitare che le colture superino la fase lineare di crescita e
quindi decadano. Le repliche sono effettuate inoculando circa 1/5 - 1/10 delle colture precedenti in
nuove provette preventivamente riempite con acqua alla salinità voluta e nutrienti, previa
sterilizzazione chimica o in autoclave a temperatura di 120°C. Per i ceppi su mezzi solidi, la replica
avviene prelevando una piccola quantità della coltura precedente e spandendola sulla capsula Petri
contenente il mezzo di crescita. Le operazioni si effettuano sotto cappa a flusso laminare per evitare
inquinamenti. Periodici conteggi tramite camere di conta al microscopio (emocitometro di
Neubauer) o tramite letture da spettrofotometri tarati con letture di densità cellulare al microscopio
ottico, forniscono indicazioni sulla concentrazione delle colture algali.
I sistemi colturali massivi Le tecniche variano a seconda dell’uso finale della biomassa. Variano sostanzialmente i volumi di
allevamento e le modalità di coltura (sistemi al chiuso o all’aperto). Le colture si avviano in piccoli
contenitori da pochi litri per arrivare ai volumi di utilizzo (da 20-30 L a veri e propri bacini di
crescita) tramite passaggi in volumi crescenti. I passaggi ripetuti permettono la riduzione dei tempi
di crescita (le colture vengono a trovarsi sempre nella fase di massima velocità di crescita), un
controllo più accurato e uno sviluppo più facilmente programmabile. Una volta raggiunti i volumi
di utilizzo, le colture possono essere gestite secondo diverse modalità: semi-continua, continua o
discontinua.
La modalità semi-continua consiste nel mantenere attiva la coltura per lunghi periodi di tempo,
prelevandone ad intervalli il 20-30% e riportando a volume con mezzo acqueo arricchito. I prelievi
cominciano quando la concentrazione algale è dell’ordine di milioni di cellule/mL con ampie
variazioni a seconda delle dimensioni della microalga.
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Nella modalità continua il prelievo ed il ricambio sono continui. Tale tecnica di gestione, come
quella sopra descritta, espongono le colture a maggiori rischi di inquinamenti.
La modalità discontinua consiste nel portare la coltura alla massima concentrazione possibile (che
varia con la specie allevata), e nell’utilizzo completo in una sola volta della biomassa ottenuta.
Rispetto alla precedente, questa tecnica è più semplice, garantisce una maggiore purezza della
popolazione fitoplanctonica ma richiede una rigorosa programmazione delle colture.
Più in generale, le tecniche di coltivazione massive di microalghe sono sostanzialmente due: in
ambiente aperto, in cosiddetti open ponds, e in ambiente chiuso all’interno di fotobioreattori.
Spesso le due tecnologie sono abbinate ed i fotobioreattori chiusi sono impiegate per avere in tempi
rapidi soluzioni ad alte concentrazioni di biomassa da utilizzare come inoculo per colture in bacini
aperti.
Recentemente si sta cercando il modo di rendere economicamente vantaggiosi i fotobioreattori per
poter avviare su grandi spazi sistemi costituiti da moduli di molti reattori, ottenendo così una
produzione intensiva di grande efficienza.
Gli “Open ponds” I bacini aperti (open ponds) possono essere considerati dei grandi reattori plug flow a cielo aperto.
Tali vasche possono essere di diversa foggia. La più semplice è una vasca in cui le microalghe
crescono essenzialmente come fanno in natura, sospese nella colonna d’acqua e rimescolate solo dal
vento. Benché molto usate nel trattamento delle acque reflue e anche in alcuni sistemi di produzione
commerciale di microalghe, tali tipi di vasche presentano una produttività molto bassa. Ciò è
dovuto, almeno in parte, alla carenza di CO2 che è assorbita solo attraverso la superficie aperta
dell’impianto. Per ottenere un’omogenea distribuzione della CO2 è necessaria la presenza di un
meccanismo di agitazione della vasca.
Uno dei primi sistemi all’aperto con agitazione per la coltura intensiva di alghe è stata una vasca a
struttura circolare, sviluppata in Giappone negli anni cinquanta per coltivare in maniera intensiva la
microalga verde Chlorella (Tamiya, 1957) e usata dagli anni sessanta per la sua produzione
commerciale.
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Tale tipologia impiantistica tuttavia, presentava diversi svantaggi associati alla sua limitata
dimensione e al costo elevato nella costruzione e gestione del sistema di agitazione. Agli inizi degli
anni cinquanta vennero studiate per la prima volta in California le vasche aperte note con il nome di
raceway (chiamata anche vasca ad
alta velocità) per il trattamento di
acque reflue. Si tratta di canali di
forma oblunga, siano essi delle
singole unità o più unità in serie
(“meander”
o
ad
andamento
serpeggiante), dove il brodo di coltivazione è riflussato e miscelato mediante una pala rotante in
prossimità della quale è di continuo alimentata la specie di coltivazione. La profondità deve essere
ridotta per permettere un’efficace penetrazione della radiazione solare nella coltura e massime
superfici per unità di volume. La sezione agitata da pale meccaniche (paddle wheel) ha la funzione
di permettere lo scambio di materia con l’atmosfera. Infatti, per un corretto sviluppo delle
microalghe, è necessario rimuovere l’ossigeno che esse sviluppano nella reazione di fotosintesi e
che ha un’azione inibente dei loro processi biologici. Inoltre sfruttando l’evaporazione spontanea di
parte del mezzo liquido si ottiene il raffreddamento della coltura. Naturalmente questo fenomeno
deve essere monitorato perché potrebbe non essere del tutto efficace come controllo termico e
perché comporta lo svantaggio di perdite di acqua, peraltro possibili anche a causa di cedimenti del
rivestimento plastico del fondo del bacino.
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Oggi gran parte della produzione mondiale avviene in vasche all’aperto in zone tropicali e sub-
tropicali, dove è possibile abbattere i costi utilizzando al meglio la luce solare come sorgente di
energia lungo tutto il corso dell’anno. In molte regioni non tropicali gli impianti di colture algali
all’aperto hanno spesso lo svantaggio di trovarsi in condizioni climatiche sfavorevoli, tali da non
permettere cicli di produzione lungo tutto il corso dell’anno; in tali casi si è obbligati a
massimizzare produzione e raccolta dell’alga nei periodi più caldi.
I maggiori svantaggi delle colture algali in bacini aperti sono rappresentati da evaporazione
dell’acqua soprattutto in caso di elevate temperature, perdite di CO2, rischi di inquinamento da altre
specie algali indesiderate (che in presenza di condizioni favorevoli possono sostituire la coltura
iniziale) o da animali quali insetti o fitoplanctofagi acquatici (rotiferi, copepodi, ecc.) e protozoi il
cui sviluppo risulta quasi sempre incontenibile. I sistemi aperti tuttavia possono raggiungere
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dimensioni maggiori con costi associati molto più ridotti di quelli relativi a tecniche in ambienti
chiusi.
Generalmente gli open ponds sono molto diffusi per applicazioni dell’industria nutraceutica e
cosmetica;; infatti, l’alto valore aggiunto del prodotto ottenuto riesce a giustificare impianti di
notevole estensione. In effetti, il principale svantaggio di questo tipo di strutture è di occupare vaste
aree, spesso situate in zone altrimenti destinabili all’agricoltura.
I fotobioreattori I fotobioreattori sono dei contenitori a tenuta per il mezzo liquido di coltura equipaggiati in modo
da evitare qualsiasi contatto della coltura con l’atmosfera o con altri tipi di contaminanti (polvere,
precipitazioni, altri microrganismi, insetti e animali) e garantire il giusto apporto di nutrienti, di
anidride carbonica e di energia. La funzione principale di un fotobioreattore è quella di garantire un
processo controllato nel quale sia possibile produrre alte concentrazioni di biomassa di un’unica
specie ed evitare ogni meccanismo di competizione fra diverse specie che porterebbe
inevitabilmente a cali della produttività.
Tale tecnica di coltivazione microalgale è stata per lungo tempo associata ad alti costi di gestione,
soprattutto quando il funzionamento di tali sistemi era ancora totalmente dipendente da
illuminazione e termostatazione artificiali. Recentemente è stata avviata la produzione su larga scala
di una vasta gamma di specie algali quali Spirulina, Chlorella ed Haematococcus in sistemi chiusi,
posti all’aperto o in serra, con cui è possibile ottenere biomassa algale di maggior purezza in alta
concentrazione, limitando nel contempo i costi grazie all’illuminazione e, ove possibile, al
riscaldamento naturale.
Le tipologie esistenti per la produzione di alghe tramite fotobioreattori sono riconducibili ai
seguenti sistemi sia da esterno che da interno: 1) Sistemi a lamina piana, o lat panels; 2) Sistemi a
colonna con sistema a gorgogliamento d’aria, o bubble columns; 3) Sistemi cilindrici orizzontali, o
tubular reactors.
Qui di seguito offriamo alcuni esempi di impianti di fotobioreattori:
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fotosintetiche” – BIOCOLOR – CUP: G66D11000470009 - Progetto finanziato con fondi del PSR Sicilia 2007-2013 – Misura
124: Cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie nei settori agricolo e alimentare, e in quello
forestale.
sopra: bioreattore a pannello a lamina piana
a destra: colture algali in sacche di materiale plastico
a sinistra: fotobioreattori a pannello alveolare
in membrana plastica
sopra: a pannello a lamina piana
a sinistra: i fotobioreattori cilindrici dell’impianto
sperimentale di Biocolor
sopra: impianto industriale a pannello