Pierpaolo Masciocchi

DIREZIONE CENTRALE POLITICHE DEL LAVORO E WELFARE
Settore Sicurezza sul lavoro
LA NUOVA SICUREZZA SUL LAVORO
CASI, QUESITI E SOLUZIONI
Maggio 2014
DIREZIONE CENTRALE POLITICHE DEL LAVORO E WELFARE
Settore Sicurezza sul lavoro
A cura di:
Pierpaolo Masciocchi, Responsabile del Settore Sicurezza sul lavoro
Grazia Nuzzi, Funzionario del Setore Sicurezza sul lavoro
1
INDICE GENERALE
CAPITOLO 1
I SOGGETTI ATTIVI E PASSIVI DELLA TUTELA
1.
2.
3.
4.
5.
1.
2.
3.
4.
1.
2.
3.
4.
5.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Sezione I
Il datore di lavoro
Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del datore di
lavoro? Esiste, a livello normativo, una definizione di “datore di lavoro pubblico”?
Al di là della definizione giuridica, esistono degli indici specifici di riconoscimento di
tale figura?
Come è possibile individuare nelle Amministrazioni pubbliche la figura del datore di
lavoro? In mancanza di qualifiche dirigenziali, a chi viene attribuita ai fini della
sicurezza la qualifica di datore di lavoro?
Come si sostanzia, in concreto, l’obbligo di vigilanza imposto ai datori di lavoro? Quali
sono le azioni positive che deve compiere per un corretto esercizio del dovere di
controllo?
Le misure di tutela che deve adottare il datore di lavoro nell’esercizio della propria
attività devono essere indirizzate solo nei confronti dei propri dipendenti oppure
anche nei confronti di terzi che eventualmente versino in situazione di pericolo?
Sezione II
Il preposto
Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del preposto?
E’ necessaria un’investitura formale da parte del datore di lavoro o del dirigente?
Quali sono i tratti distintivi della figura del preposto?
Svolgo, nell’azienda in cui lavoro, mansioni che mi garantiscono un autonomo potere
di iniziativa e di controllo sulle attività a tutela della salute e della sicurezza. Non ho
tuttavia mai ricevuto un formale incarico al riguardo. Posso essere assimilato alla
figura del preposto?
Sono preposto in un’azienda di piccole dimensioni. Che tipo di responsabilità ho in
ragione delle mie funzioni?
Sezione III
Il dirigente
Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del dirigente?
Quali sono i tratti distintivi della figura del dirigente?
Svolgo di fatto mansioni dirigenziali anche se non ho mai ricevuto formale nomina.
Posso essere assimilato, quanto a compiti e responsabilità, al dirigente ai fini della
salute e sicurezza sul lavoro?
E’ compatibile, ai fini della sicurezza sul lavoro, la qualifica di dirigente con lo
svolgimento di mansioni esercitate con vincolo di dipendenza gerarchica?
Ai fini della sicurezza sul lavoro, sono assimilato al dirigente pur non avendo la
gestione di alcuna una struttura organizzativa?
Sezione IV
L’impresa familiare
Cosa si intende per impresa familiare? Nell’ambito dell’impresa, quali soggetti sono
considerati “familiari”?
Al di là della definizione giuridica, vi sono degli indici di riconoscimento che
consentano, nella pratica, di individuare facilmente quando ricorrono le condizioni per
configurarsi un’impresa familiare?
Vi sono delle particolari formalità da porre in essere per la costituzione di un’impresa
familiare?
Chi sono i soggetti che possono formare un’impresa familiare?
Ricorre la fattispecie dell’impresa familiare quando la prestazione lavorativa è
esercitata dal convivente?
A chi spetta l’amministrazione dell’impresa familiare?
2
7. A quale tipologia di lavoratori sono assimilati i collaboratori familiari?
8. Quali sono i diritti di collabora con l’impresa familiare?
9. Le disposizioni sull’impresa familiare si applicano anche nei casi di famiglia
coltivatrice?
10. Su chi ricadono gli obblighi di sicurezza nel caso di impresa familiare composta da
padre e figlio?
1.
2.
3.
4.
5.
1.
2.
3.
4.
5.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Sezione V
Il lavoratore autonomo
Gli obblighi di sicurezza dettati dal D.Lgs 81/08 gravano anche sui lavoratori
autonomi? Quale norma lo prevede?
Cosa si intende per lavoratore autonomo?
Quali sono i tratti distintivi del lavoro autonomo e di quello subordinato?
Esistono degli indici di riconoscimento delle due figure?
Cosa deve intendersi per subordinazione?
Sezione VI
I coltivatori diretti del fondo e gli artigiani
Cosa deve intendersi, ai fini della sicurezza sul lavoro, per imprenditore artigiano?
Quali sono le caratteristiche dell’impresa artigiana? Esistono condizioni di ordine
dimensionale per la qualificazione dell’impresa?
L’impresa artigiana può essere svolta con la prestazione d’opera di personale
dipendente diretto personalmente dall’imprenditore artigiano o dai soci?
Esistono criteri specifici per il calcolo dei dipendenti dell’impresa artigiana?
Cosa deve intendersi per coltivatore diretto? Esistono dei tratti specifici per
l’identificazione di tale figura?
Sezione VII
Il piccolo commerciante
Cose si intende per commerciante ai fini della sicurezza sul lavoro?
Come vengono classificate le attività commerciali?
Quali sono i criteri discretivi ai fine della distinzione tra piccolo, medio e grande
commerciante?
Esistono particolari indici di riconoscimento della figura del piccolo commerciante?
Può essere considerato un piccolo commerciante chi si avvale del lavoro proprio ma fa
utilizzo dei macchine molto costose?
Come deve essere determinata la prevalenza del lavoro proprio rispetto al capitale
investito per la qualificazione del piccolo commerciane?
Sezione VIII
Tutela delle lavoratrici madri
1. Quali sono i principali diritti di una lavoratrice madre?
2. Cosa si intende per lavoratrice madre? Qual’è il campo di applicazione della
normativa?
3. Quale sono le norme che si applicano alle lavoratrici a domicilio?
4. Sono un datore di lavoro che ha assunto alle proprie dipendenze una
5. E’ necessario presentare il certificato medico di gravidanza per poter fruire dei diritti
che la normativa concede alle lavoratrici madri?
6. Sono una lavoratrice divenuta da poco tempo madre. In seguito alla mia gravidanza il
datore di lavoro ha variato le mie mansioni. E’ legittimo?
7. Sono una lavoratrice madre addetta alla vigilanza di uno stabile. E’ frequente che la
mia attività mi porti a svolgere lavoro notturno. Quali sono i miei diritti in proposito?
8. In qualità di lavoratrice madre, ho diritto a permessi retribuiti dal lavoro?
9. Sono un datore di lavoro con alle dipendenze una lavoratrice madre. Quali obblighi di
sicurezza devo adottare? Quali, in particolare, sono i rischi che devo prendere in
considerazione?
10. Quali sono le misure di prevenzione e protezione che il datore di lavoro deve adottare
in caso di presenza nei luoghi di lavoro di lavoratrici madri?
3
Sezione IX
Lavoro minorile
1. Cosa si intende per lavoro minorile?
2. Qual è la principale normativa di riferimento? Quali i suoi contenuti?
3. Rientrano nel campo di applicazione della normativa a tutela del lavoro minorile i
lavori occasionali o di breve durata?
4. A quali altre categorie di lavoratori non è applicabile la normativa sul lavoro minorile?
5. Qual’è l’età minima per l’accesso al lavoro?
6. Esistono deroghe particolari al divieto di lavoro minorile?
7. Quali sono gli adempimenti e gli obblighi di sicurezza che competono al datore di
lavoro con riferimento al lavoro minorile?
8. Esistono delle lavorazioni per le quali è vietato adibire al lavoro gli adolescenti?
9. E’ vero che per poter ottenere l’ammissione al lavori di adolescenti è necessario
sottoporli a visita medica?
10. A quale tipologie di controlli medici devono essere sottoposti gli adolescenti?
11. E’ possibile adibire adolescenti al lavoro notturno?
12. Esistono eccezioni al divieto di adibire adolescenti al lavoro notturno?
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Sezione X
Disposizioni particolari
Su chi gravano gli obblighi di sicurezza in caso di contratto di somministrazione di
lavoro?
Su chi gravano gli obblighi di sicurezza in caso di distacco del lavoratore?
Nei confronti dei lavoratori a progetto o dei collaboratori coordinati e continuativi si
applicano le norme dettate dal D.Lgs 81/08?
Quali sono le norme di sicurezza applicabili confronti dei lavoratori che effettuano
prestazioni occasionali di tipo accessorio?
Quali norme di sicurezza si applicano in caso di lavoratori a domicilio?
Nel lavoro a distanza quali delle disposizioni dettate dal D.Lgs 81/08 sono applicabili?
Quali sono i criteri per il computo dei lavoratori utilizzati mediante somministrazione
di lavoro?
CAPITOLO 2
IL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
1. Nei casi in cui, un'attività è composta da titolare ed un solo lavoratore è necessaria la
nomina del RSL? Per Gli RSPP e RSL sono necessari corsi di aggiornamento annuali?
2. Se una soc. coop. è formata da tutti soci lavoratori, il presidente della soc. coop. può
essere nominato Rls e Rspp? Le singole attività, tipo: srl; sas; snc; soc coop; az.
agricole, ecc. ss quando si può nominare il Rspp e il Rls?
3. Quali sono gli obblighi del datore di lavoro con riferimento all’organizzazione della
prevenzione in azienda?
4. Il comma 7 stabilisce che nei casi di cui al comma 6 il RSPP deve essere interno. Il
mio caso riguarda alcune case di cura, che non hanno intenzione di assumere un
RSPP e non hanno personale interno disponibile. Conosce una scappatoia?
5. Nell’ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro può avvalersi di
persone esterne alla azienda?
6. Il RSPP esterno di un azienda come deve comportarsi nei confronti di un impresa
appaltatrice che svolge opere edili di manutenzione ordinaria all'interno della azienda,
utilizzando attrezzature difformi (per es. ponteggi). Quale è la documentazione da
richiedere?
7. Nel rispetto della normativa vigente, all'interno dello stesso servizio di prevenzione e
protezione, possono essere nominati 2 RSPP?
8. Con il D.Lgs 81/2008 la comunicazione del nominativo del RSPP (nel mio caso stesso
datore di lavoro) all'ispettorato del lavoro e all'asl non è più obbligatoria, servirà
comunque un foglio di nomina? Questo foglio deve comunque contenere l'indicazione
degli infortuni avvenuti in azienda? e se si, come si valutano le ore lavorate nel caso ci
siano lavoratori stagionali?
9. Con l'entrata in vigore del D.Lgs 81/08 è ancora in vigore l'obbligo di comunicazione
delle competenze del RSPP all'ispettorato del lavoro e all'ASL di competenza?
4
10. Esistono dei casi in cui l’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno
dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria?
11. Nei casi di aziende con più unità produttive devono essere istituiti più servizi di
prevenzione e protezione?
12. È possibile che chi ricopre l'incarico di preposto (nel caso in esame un ruolo della
carriera direttiva) all'interno dell'azienda possa contemporaneamente rivestire il ruolo
di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls)?
13. In un'impresa individuale artigiana, formata solo dal titolare, ci lavora il figlio come
coadiuvante familiare (non figura in visura camerale). L'azienda rientra tra i soggetti
obbligati a fare la sicurezza? (cioè avere le figure richieste RSPP-RLS e fare i corsi sul
pronto soccorso e antincendio?)
14. Sono interessato a svolgere le funzioni di responsabile del servizio di prevenzione e
protezione. Quali requisiti professionali devo avere?
15. Quali sono i requisiti dei corsi di formazione per Rspp?
16. L'art. 32 comma 6 del D.Lgs. 81/08 rimanda all'accordo stato regioni e tale accordo fa
ancora riferimento al D.Lgs. 626/94. Essendo io professionista esonerato dalla
frequenza dei moduli A e B dei corsi per l'abilitazione, ed ottenendo quindi l'effettiva
abilitazione a seguito della frequenza del corso modulo C, da quando devo considerare
inizi l'obbligo di aggiornamento periodico e quali sono i riferimenti normativi che
definiscono la decorrenza di tale obbligo?
17. Devo svolgere le funzioni di RSPP. Qual’è il modulo formativo di base che devo
frequentare e che durata ha?
18. Devo frequentare un corso di specializzazione per RSPP. Qual’è il modulo formativo
che devo frequentare e che durata ha?
19. Devo frequentare un corso di specializzazione per RSPP. Mi hanno detto che esiste un
modulo C da frequentare. Di cosa si tratta?
20. Mi trovo nella seguente situazione: ho frequentato nel 2002 un corso di 16 ore ai
sensi del DM 16/01/1997; attualmente non ho incarichi RSPP; vorrei avere la
possibilità di assumere l'incarico RSPP. Quali moduli, previsti dall'Accordo StatoRegioni, devo frequentare? Posso far valere il corso del 2002 come credito formativo ed
essere esonerato dal modulo A?
21. Volevo chiedere parere all'esperto riguardo gli obblighi formativi relativi alle imprese
familiari (art. 21 dlgs 81/08) e se questi si limitano a quanto previsto dall'art. 37 o se
sussistono comunque gli obblighi di nomina del RSPP, addetto al primo soccorso e
alla gestione delle emergenze.
22. Quali sono i soggetti abilitati allo svolgimento dei corsi di formazione?
23. Una azienda che eroga corsi di formazione professionale, con accreditamento
regionale, e con 5 sedi in tutta Italia (1 sede legale e 4 sedi secondarie) può avere un
SPP composto dal solo RSPP o deve designare anche degli addetti?
24. E’ possibile svolgere le funzioni di Rspp nei casi di mancato possesso del previsto
titolo di studio?
25. Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di formazione
devono essere registrate nel libretto formativo del cittadino?
26. Il RSPP esterno, ingegnere libero professionista ed abilitato ai sensi della L. 818/84 di
una azienda con rischio di incendio basso può effettuare la formazione della squadra
antincendio ed attestare l'avvenuta formazione?
27. Per formare ed attestare la formazione di dipendenti - preposti - datori di lavoro RSPP - RLS ai sensi del nuovo testo unico, bisogna avere requisiti particolari o può
tranquillamente farlo un tecnico ambientale come me che mi occupo di pratiche sulla
sicurezza - HACCP ed ambiente in generale?
28. Quali sono i principali compiti del servizio di prevenzione e protezione?
29. Quali sono le principali aree di competenza del Responsabile del servizio di
prevenzione e protezione?
30. Possono essere utilizzate figure di supporto al Rspp?
31. Quali sono Quali sono le principali caratteristiche che deve avere un modello di Spp
interno all’azienda? le principali caratteristiche che deve avere un modello di Spp
interno all’azienda?
32. In quali casi è possibile organizzare un Servizio di prevenzione e protezione interno
all'azienda con supporti esterni?
5
33. E’ possibile organizzare un unico servizio di protezione e prevenzione per più aziende?
34. E’ possibile organizzare un servizio di protezione e prevenzione comparto produttivo?
Quali caratteristiche deve avere?
35. Esistono delle indicazioni utili per orientarmi nella scelta del modello di prevenzione e
protezione?
36. Il datore di
lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di
prevenzione e protezione dai rischi?
37. Nel caso il Datore di Lavoro voglia svolgere la mansione di RSPP in una società
cooperativa che si occupa di movimentazione merci. In questo caso il limite di
dipendenti cui riferirsi nell'all. 2 del TU è 30 come aziende artigiane e industriali
oppure 200 come "altre aziende"?
38. Può un "Datore di lavoro delegato" svolgere anche la funzione di RSPP diretto se ha le
capacità/requisiti e rientrando nei casi previsti all'Allegato 2 del D.Lgs 81/08?
39. In caso di svolgimento diretto dei compiti di Rspp, il datore di lavoro deve frequentare
appositi corsi di formazione?
40. Quali sono i contenuti dei corsi di formazione per il datore di lavoro che intende
svolgere direttamente i compiti di Rspp?
41. Sono un datore di lavoro di un azienda con 16 lavoratori. Ho l’obbligo di convocare la
riunione periodica. In cosa consiste?
42. Per aziende con numero di dipendenti minore di 15, il RSL non è tenuto a convocare
la riunione periodica). Come deve allora comportarsi il RSPP, che necessita di questo
tipo di riunioni per definire, tra l'altro, la programmazione delle varie attività per la
sicurezza della ditta?
43. Quali sono gli adempimenti per i Datori di Lavoro che intendono svolgere direttamente
i compiti di prevenzione e protezione dai rischi?
44. Il datore di lavoro che intenda svolgere direttamente i compiti del servizio di
prevenzione e protezione deve comunicarlo all’organo di vigilanza?
45. Sono previsti corsi di aggiornamento per i Datori di Lavoro?
46. Se le aziende di cui all'articolo 31, comma 6, non hanno tra il personale soggetti in
possesso dei previsti requisiti professionali, possono ricorrere a consulenti esterni per
la copertura del ruolo di responsabile del servizio prevenzione e protezione (Rspp)?
47. In riferimento all'articolo 34 del nuovo Testo unico, il Datore di Lavoro non deve
inviare la dichiarazione indicata nell'articolo 10, comma 2 della 626/94. Deve essere
semplicemente custodita in azienda?
48. Si fa l’ipotesi di una Srl composta da due soci e da un amministratore esterno senza
compenso. Il responsabile del servizio prevenzione e protezione è uno dei due soci, che
al momento non è alle dipendenze dell'azienda. La Srl in questione è fuori norma?
49. Quando la legge stabilisce l'obbligatorietà del Rspp interno, è possibile nominare un
Rspp che è legato alla società da un contratto a progetto e che presta la propria opera
anche per altre imprese?
50. Quali sono le modalità di organizzazione e di gestione dei corsi per responsabile del
servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e addetto al servizio di prevenzione e
protezione (ASPP)? Quali sono i soggetti abilitati ad erogare la formazione, i requisiti
dei docenti, e le modalità di effettuazione della validazione e certificazione della
formazione?
CAPITOLO 3
I RAPPRESENTANTI DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA
1. Lavoro in un’azienda con 8 dipendenti. Cosa prevede la recente normativa di sicurezza
per l’elezione del rappresentante dei lavoratori?
2. Quali sono le procedure di elezione del rls in un’azienda con più di 15 lavoratori?
3. Qual è il numero minimo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza?
4. È possibile che chi ricopre l'incarico di preposto (nel caso in esame un ruolo della
carriera direttiva) all'interno dell'azienda possa contemporaneamente rivestire il ruolo
di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls) ?
5. Sono un Rls di una piccola azienda. Quali sono i miei principali compiti?
6. Può una stessa persona, dipendente di una specifica ditta, svolgere il ruolo di
6
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Dlgs 81/08) per tre diverse unità
produttive appartenenti a un unico gruppo?
7. Sono un rappresentante per la sicurezza. Come si configura il mio diritto di accesso ai
luoghi di lavoro? Quali poteri ho nel caso specifico?
8. Deve essere sempre rispettato i diritto del datore di lavoro a vedere preservato il
segreto industriale? Come si concilia con la facoltà di accesso ai locali?
9. Esistono accordi interconfederali che disciplinano le modalità di accesso del Rls nei
luoghi di lavoro?
10. Come si configura il diritto del Rls ad essere consultato? Quali sono i documenti che
devono essere fatti conoscere al Rls?
11. Esiste una formazione particolare che deve avere il Rls?
12. Sono un Rls appena designato in azienda. Mi dicono che tra i miei poteri vi è quello di
poter formulare al datore di lavoro proposte e osservazioni. Come si configura
esattamente tale potere?
13. Quando si deve ricorrere all’elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
territoriale?
14. Quali sono le procedure di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
territoriale?
15. Quali diritti e quali compiti ha il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
territoriale? Che tipologia di formazione deve avere?
16. Vorrei avere chiarimenti in merito alla nomina, formazione e aggiornamento dei
Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) nel caso di aziende con meno di 15
lavoratori.
17. In quali casi si deve designare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito
produttivo
18. Opero in un’azienda industriale. Esiste una specifica disciplina sui rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza dettata da accordi interconfederali?
19. Opero in un’azienda del terziario con 7 dipendenti. Esiste una specifica disciplina sui
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi interconfederali?
20. Opero in un’azienda del terziario con oltre 15 dipendenti. Esiste una specifica
disciplina sui rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi
interconfederali?
21. Sono Rls di un’impresa artigiana. Esiste una specifica disciplina sui rappresentanti
dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi interconfederali?
22. E vero che la nomina dei Rls deve essere comunicata? In caso di risposta affermativa,
a quale ente e con quale frequenza?
23. La comunicazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza deve essere
effettuata per ogni singola azienda o può essere effettuata cumulativamente in caso di
più aziende?
24. Quali sono le sanzioni in caso di mancata comunicazione del nominativo del Rls?
25. Devo provvedere alla comunicazione all'Inail dei Rappresentanti dei lavoratori per la
sicurezza in conformità di quanto previsto dall'articolo 47 del Dlgs 81/2008. Vorrei
sapere che cosa si intende per «unità produttiva». La nostra società esercita l'attività
di pulizie per conto di committenti pubblici e privati e, pertanto, opera presso le
strutture dei committenti. Tali strutture sono da ritenersi ciascuna «unità produttiva»
oppure no?
CAPITOLO 4
IL MEDICO COMPETENTE E IL MEDICO AUTORIZZATO
Sezione I
Il medico competente
1. Sono un datore di lavoro di una piccola azienda che necessita di sorveglianza
sanitaria. Devo quindi nominare il medico competente. A quale soggetto posso
rivolgermi?
2. Chi è obbligato alla nomina del medico competente? Una società di servizi con 5
dipendenti è obbligata a fare le visite mediche?
3. Salve, l'art 18 del D.Lgs 81/08 indica tra gli obblighi del datore di lavoro quello di
nominare il medico competente e la designazione del responsabile del servizio. Dal
7
punto di vista di adempimenti (incarico scritto, verbale di nomina ecc) che differenza
c'è?
4. In qualità di medico competente posso avvalermi della collaborazione di medici
specialisti?
5. E’ previsto che il medico competente debba collaborare con il datore di lavoro e con il
servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della
programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria. Come si esplica, in
concreto, tale attività? Quali compiti e quali obblighi mi competono?
6. Il D.Lgs 81/08 prevede che il medico competente debba programmare ed effettuare la
sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi
specifici. Come si attuano tali compiti?
7. Come si effettua la sorveglianza sanitaria per quanto riguarda i lavori con rischio di
esposizione alle radiazioni ionizzanti?
8. Nel caso si rendano necessari accertamenti complementari, a chi spetta la scelta?
Essa è rimessa al medico competente?
9. Quali informazioni devono essere contenute nella cartella sanitaria? Come deve essere
custodita e da chi?
10. Risponde al vero che il medico competente deve consegnare al datore di lavoro, alla
cessazione dell'incarico, la documentazione sanitaria in suo possesso?
11. Risponde al vero che il medico competente deve consegnare al lavoratore, alla
cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio e gli deve
fornire le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima?
12. Il D.Lgs 81/08 prevede che il medico competente debba fornire informazioni ai
lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti e, nel caso di
esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad
accertamenti sanitari anche dopo la cessazione della attività che comporta
l'esposizione a tali agenti. Come si forniscono tali informazioni? Sono previste
sanzioni?
13. Il medico competente deve fornire ai lavoratori anche le informazioni sull’esito degli
esami medici?. Deve rilasciare copia della documentazione sanitaria?
14. E’ vero che il medico competente deve comunicare per iscritto i risultati anonimi
collettivi della sorveglianza sanitaria e deve fornisce indicazioni sul significato di detti
risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità
psico_fisica dei lavoratori?
15. E’ un obbligo del medico competente visitare gli ambienti di lavoro o è una mera
facoltà?
16. I sopralluoghi negli ambienti di lavoro devono essere effettuati alla presenza del datore
di lavoro?
17. Quali sono le modalità per effettuare le visite negli ambienti di lavoro?
18. Risponde al vero che il medico competente deve partecipare alla programmazione del
controllo dell'esposizione dei lavoratori?
19. E’ ancora valido l’obbligo del medico competente di comunicare, mediante
autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti al Ministero della salute?
20. La sorveglianza sanitaria affidata al medico competente ha riguardo ai soli
accertamenti sanitari previsti dalle norme sulla sicurezza e salute dei lavoratori ovvero
anche agli accertamenti sanitari previsti dalle norme sul rapporto di lavoro?
21. Il medico competente ha l’obbligo di referto ?
22. L'art. 41, comma a) del D. Lgs. 81/08 stabilisce che la sorveglianza sanitaria è
effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle
direttive europee nonché dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui
all'art. 6. Si chiede quali sono in dettaglio questi casi e i relativi riferimenti legislativi e
inoltre se la sorveglianza riguarda anche le attività commerciali (negozi).
23. Quali sono i titoli o i requisiti per l’esercizio dell’attività di medico competente?
24. Quali percorsi formativi devono essere svolti dal medico competente?
25. Esiste un Albo dei medici competenti? Da chi è tenuto?
26. Sono lavoratore part time in un call center in fascia diurna per un totale di quattro ore
giornaliere. Quando sono in malattia sono assoggettato alla visita fiscale dalle 10 alle
12 e dalle 17 alle 19. Poiché svolgo un lavoro part time la mattina, la visita fiscale
dovrebbe ricadere solo nell'orario diurno?
8
Sezione II
Il medico autorizzato
1. Chi è il medico autorizzato?
2. La sorveglianza sanitaria su lavoratori di categoria A esposti deve essere effettuata
esclusivamente dal medico autorizzato o può essere realizzata anche dal medico
competente?
3. La sorveglianza sanitaria su lavoratori di categoria B esposti deve essere effettuata
esclusivamente dal medico autorizzato o può essere realizzata anche dal medico
competente?
4. Quali sono le attribuzioni specifiche del medico autorizzato? Quale norma le
disciplina?
5. Quali sono gli obblighi del medico autorizzato?
6. Come deve essere tenuta la documentazione sanitaria?
7. I lavoratori hanno diritto di accedere risultati delle valutazioni che li riguardano?
8. Risponde al vero che i documenti sanitari personali devono essere consegnati
all'ISPESL?
9. In caso di violazioni da parte del medico autorizzato delle norme di sicurezza, quali
sanzioni sono previste?
10. Qual’è la procedura per l'adozione dei provvedimenti disciplinari nei confronti del
medico autorizzato?
11. Da chi viene conferita la qualifica di medico autorizzato?
12. Quali sono i titoli per l’esercizio dell’attività di medico autorizzato?
13. Esiste un elenco dei medici autorizzati. Come ci si può iscrivere?
CAPITOLO 5
GESTIONE DELLE EMERGENZE, PRIMO SOCCORSO E PREVENZIONE INCENDI
Sezione I
Gestione delle emergenze e primo soccorso
1. Quali sono gli obblighi del datore di lavoro ai fini della gestione delle emergenze?
2. Esistono dei criteri o delle indicazioni per potersi orientare nell’individuazione dei
soggetti da designare come addetti alla gestione delle emergenze?
3. Il datore di lavoro è obbligato a predisporre un piano di emergenza? Quali contenuti
deve avere?
4. Quali sono gli obiettivi del piano di emergenza?
5. Esistono delle attività per le quali è obbligatorio il piano di emergenza?
6. Quale documentazione è necessaria ai fini della predisposizione di un piano di
emergenza?
7. Esiste una classificazione delle emergenze in termini di priorità degli interventi?
8. Risponde al vero che all’interno del piano di emergenza devono essere necessariamente
indicate le aree operative o il centro di controllo. In caso di risposta affermativa,
esistono dei criteri per una loro individuazione?
9. Cosa sono le squadre di intervento per l’emergenza? Devono essere sempre previste?
10. Esiste un particolare tipo di equipaggiamento di emergenza da adottare?
11. Il piano di emergenza aziendale deve indicare necessariamente un piano di
evacuazione?. In cosa consiste? Come si può individuarlo?
12. Qualora avvenga un evento pericoloso di proporzioni non limitabili e comunque non
immediatamente circoscrivibili con i mezzi disponibili all'interno dell'azienda, cosa è
necessario fare? Esistono delle prescrizioni in proposito?
13. Cosa sono le verifiche del piano di emergenza? Quando devono essere effettuate?
14. Esistono diverse tipologie di piani di emergenza è è possibile fare riferimento ad un
unico modello?
15. Cos’è il piano di emergenza di unità? In quali circostanze deve essere predisposto?
16. Cos’è il piano di emergenza esterno?
17. A norma dell’art. 18, comma 1, let. b) del D.Lgs 81/08, il datore di lavoro deve
designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di primo
soccorso. Quali sono le caratteristiche principali che devono possedere tali soggetti?
9
18. Che tipo di formazione devono ricevere i lavoratori incaricati dell’attuazione delle
misure di primo soccorso?
19. Esistono delle caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso?
20. Il decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 individua, tra le altre, attività lavorative
di Gruppo A). Quali sono?
21. Quali sono le aziende appartenenti al Gruppo C, ai fini delle caratteristiche minime
delle attrezzature di primo soccorso?
22. Sono un datore di lavoro di un’azienda con oltre sei lavoratori a tempo indeterminato
del comparto dell'agricoltura. Quali sono gli adempimenti che devo porre in essere in
tema di primo soccorso? Quali sono i contenuti minimi della cassetta di pronto
soccorso?
23. Sono un datore di lavoro di un’azienda con tre lavoratori a tempo indeterminato.
Quali sono gli adempimenti che devo porre in essere in tema di primo soccorso? Quali
sono i contenuti minimi della cassetta di pronto soccorso?
24. Sono un datore di lavoro di un’azienda con meno di tre lavoratori. Quali sono gli
adempimenti che devo porre in essere in tema di primo soccorso? Devo avere una
cassetta di pronto soccorso o è sufficiente il pacchetto di medicazione?
25. Sono un datore di lavoro di una media impresa (con 43 dipendenti) che ha appena
nominato un addetto al primo soccorso. Qual è la formazione minima che devo
garantire? Su chi gravano i costi? Chi deve svolgere la formazione? Con quale cadenza
deve essere ripetuta la formazione?
26. Sono un datore di lavoro un’azienda che produce e commercializza software con 5
dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato. Qual è la formazione minima
che devo garantire agli addetti al primo soccorso? Su chi gravano i costi? Chi deve
svolgere la formazione? Con quale cadenza deve essere ripetuta la formazione?
27. Ho appena nominato un addetto al primo soccorso. Lavoro in una piccola azienda (3
dipendenti). Esistono dei corsi di formazione specifici per gli addetti al primo
soccorso? Quali sono i requisiti?
28. Per una corretta classificazione delle aziende ai fini del primo soccorso, come vanno
considerati i lavoratori? Esistono dei criteri di computo?
29. Il datore di lavoro deve comunicare alla Asl l’appartenenza alle varie categorie previste
dal DM 388/03? Come deve avvenire la comunicazione? Esistono delle indicazioni sui
contenuti che devono essere assicurati nella comunicazione?
30. Che differenza c’è tra la cassetta di pronto soccorso e il pacchetto di medicazione?
31. E’ possibile integrare i contenuti della cassetta di pronto soccorso in relazione ad
specifici rischi presenti in azienda?
32. La cassetta di pronto soccorso come e dove deve essere custodita?
33. Lavoro in un’azienda appartenente al gruppo A. So che il DM 388/03 prevede che il
datore di lavoro deve garantire il raccordo tra il sistema di pronto soccorso interno e il
sistema di emergenza del SSN. Cosa significa? Che tipo di adempimenti devo
espletare? Esistono delle indicazioni in proposito?
34. Esistono prescrizioni particolare per l’organizzazione del sistema di primo soccorso
nelle attività edili?
35. Chi sono i soggetti abilitati allo svolgimento dei corsi di primo soccorso?
36. Che differenza c’è tra pronto soccorso ed assistenza medica d’emergenza? Avendo
un’azienda di medie dimensioni appartenente al Gruppo A, devo approntare anche
l’assistenza medica d’emergenza?
37. Con quale frequenza devono essere ripetuti i corsi per addetti al primo soccorso?
38. Esiste un numero minimo di addetti da impiegare al primo soccorso o la scelta può
essere rimessa al datore di lavoro?
39. Nella mia azienda svolge le funzioni di addetto al servizio di pronto soccorso un
medico professionale. Deve svolgere lo specifico corso di formazione?
40. Sono un datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di responsabile del servizio
di prevenzione e protezione e quelli di pronto soccorso. Devo frequentare gli appositi
corsi per addetti al primo soccorso oppure la formazione che ho ricevuto come Rspp è
sufficiente?
41. Quali sono le attrezzature minime per gli interventi di pronto soccorso?
42. Sono il titolare di un piccolo mobilificio costituito da 4 falegnami e 2 impiegati (uno
tecnico ed uno amministrativo). L'indice di inabilità INAIL per l'attività di falegnameria
10
è superiore a 4. Per classificare l'azienda secondo il DM 388/03 devo considerare il
totale dei dipendenti (vale a dire 6) e considerarmi nel gruppo "AII", oppure tenere
conto solamente di coloro che esercitano l'attività a rischio infortunistico più elevato (i
4 falegnami) e ritenermi quindi nel gruppo "B" ?
43. I dipendenti della mia azienda hanno effettuato un corso di Primo Soccorso nel
dicembre 2001. La nuova normativa prevede che tale corso sia ripetuto con cadenza
triennale. Quando inizio a calcolare il triennio: dall'effettuazione dell'ultimo corso (in
questo caso dovrei ripeterlo entro il dicembre 2004), oppure dall'entrata in vigore del
DM 388/03 prevista per il 3 febbraio 05 (in questo caso il corso dovrebbe essere
eseguito entro il febbraio del 2008) ?
44. Sono un datore di lavoro di una ditta di manutentori, che per il 90% della loro attività
sono impegnati in piccoli cantieri stradali. Gli operai si spostano prevalentemente in
coppia, su un automezzo munito di tutta l'attrezzatura di lavoro. Devo tenere su ogni
vettura un pacchetto di medicazione?
45. Qualcuno mi ha detto che la cassetta di Pronto Soccorso deve essere sostituita tutte le
volte che viene utilizzata, perchè deve essere sempre sigillata in occasione di un
eventuale controllo. Dato che la cassetta costa circa 80 € ed il pacchetto di
medicazione si avvicina ai 20 € vorrei sapere se questa affermazione è vera.
46. Sono il proprietario di una piccola falegnameria di 7 dipendenti. Ho provveduto solo
recentemente a nominare due miei dipendenti quali addetti al primo soccorso, a chi
mi devo rivolgere per far effettuare loro un corso di formazione specifico secondo il
D.M. 388/03 ?
47. Sono il direttore sanitario di una RSA lombarda: posso evitare di sottoporre il mio
personale infermieristico ai corsi di formazione per il primo soccorso?
48. In azienda ho nominato come addetto al Primo Soccorso Aziendale un lavoratore
dipendente che è anche volontario del 118: devo comunque procedere alla sua
formazione come previsto dal decreto?
49. Un'impresa rientrante nel gruppo A, per un malinteso tra medico competente e
consulente del lavoro, ha omesso di presentare la comunicazione per il pronto
soccorso. Chiede se la svista è sanzionata.
50. L'ente per cui lavoro ha la necessità di organizzare alcuni corsi di "aggiornamento per
quanto attiene alla capacità di intervento pratico" per gli addetti al pronto soccorso
aziendale che hanno seguito il corso tre anni fa.
51. Un'azienda mi chiede se sia consono procedere alla chiusura della cassetta di pronto
soccorso aziendale mediante apposita chiavetta a disposizione dei soli addetti al primo
soccorso, onde garantire la custodia della stessa e la conservazione/reintegrazione del
contenuto della medesima. A mio giudizio questa prassi risulta oltremodo corretta e
opportuna in quanto la cassetta di pronto soccorso non è un presidio messo a
disposizione di tutti i lavoratori, bensì degli addetti al primo soccorso che dovrebbero
garantire l'attuazione, in caso di qualsiasi incidente, di precisi protocolli di intervento,
conformemente alle procedure aziendali (si veda il combinato disposto del comma 2 e
1 art. 15 D. Lgs. 626/1994). Qual'è la vostra opinione al riguardo?
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Sezione II
Prevenzione incendi
La nomina degli addetti all’attuazione delle misure di prevenzione incendi può
avvenire in un momento successivo all’avvio dell’attività, ovvero quando, nel caso
concreto, si presentino rischi per la sicurezza?
Che tipo di formazione devono possedere i soggetti incaricati della prevenzione
incendi?
Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti antincendio in
attività a rischio di incendio basso? Quanto deve durare la formazione?
Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti antincendio in
attività a rischio di incendio medio? Quanto deve durare la formazione?
Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti antincendio in
attività a rischio di incendio elevato? Quanto deve durare la formazione?
Cos’è il certificato di prevenzione incendi?
Da chi è rilasciato il certificato?
11
8. In un condominio di 6 famiglie divise su 3 piani quanti estintori bisogna avere?
9. Il D.M. 10 marzo 1998 si applica su tutti i luoghi di lavoro?
10. Quali normative bisogna rispettare per un impianto promiscuo a gas e gasolio?
11. Vorrei sapere se i moduli per le certificazioni e dichiarazioni sono obbligatorie per i
professionisti.
12. Posso, in qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una
scuola, tenere corsi per addetti antincendio per rischio medio ai lavoratori e rilasciare
certificato controfirmato dal datore di lavoro? Oppure solo i Vigili del fuoco possono
tenere questi corsi?Mi è stato riferito che posso tenere questi corsi tranne nel caso di
rischio elevato.
13. In riferimento agli adempimenti di prevenzione degli incendi, in attività produttiva,
non trovo notizie complete ed esaustive riguardo la corretta e completa compilazione
del registro di prevenzione incendi.
14. Vorremmo sapere se è obbligatoria, per un locale di spettacolo con più di 100 posti,
la presenza dei Vigili del fuoco nelle serate di spettacolo. Considerato il fatto che si
tratta di Teatro stabile con squadra interna addestrata e formata dal comando
Vigili locale e con attestato di idoneità conseguito e rilasciato dallo stesso comando.
15. Ho incaricato una ditta specializzata che, periodicamente, provvede alla
manutenzione degli estintori collocati nella mia azienda. Se, da un controllo,
dovesse risultare che gli estintori non sono in regola o se, in situazione di incendio,
un dipendente subisce dei danni a causa di estintori difettosi, la responsabilita' su chi
ricade?
16. Se in un condominio fosse necessario adeguare i locali adibiti a posto macchina
alle norme antincendio, le spese relative spetterebbero a tutti i condomini, o
ricadrebbero interamente sui soli proprietari dei posti macchina?
17. Vorrei sapere quali sono i requisiti per assumere la qualifica di tecnico certificatore
di prevenzione incendi.
18. Avendo un solo dipendente, vorrei sapere quali sono le misure di prevenzione incendi.
L'impianto elettrico dell'ufficio (un normale appartamento) è stato messo a norma.
19. Un'azienda artigianale lavora nel settore della carpenteria metallica leggera. I
lavoratori non si assumono le responsabilità di prevenzione ed evacuazione. Che
cosa si deve fare?
20. Sono laureato in architettura e ho conseguito l'abilitazione all'esercizio della
professione. Vorrei sapere quali requisiti occorrono per poter progettare e adeguare
gli impianti antincendio degli immobili sia pubblici che privati.
CAPITOLO 6
INFORMAZIONE, FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO
1. Il D.Lgs 81/08 impone ai datori di lavoro di provvedere a erogare “informazione” ai
propri lavoratori. In cosa consiste l’informazione. Esistono dei contenuti minimi?
2. Sono un datore di lavoro che fruisce dell’attività di lavoratori a domicilio. Devo
assicurare a tali lavoratori una qualche forma di informazione sui contenuti del d.lgs.
81/08?
3. In cosa consiste, concretamente, l’attività di informazione?
4. Da chi deve essere erogata l’informazione? Dal datore di lavoro o dal responsabile
5. L’obbligo di informazione dei lavoratori grava anche sul medico competente?
6. Esistono delle modalità specifiche per l’erogazione dell’informazione?
7. Sono un datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di responsabile del servizio
di prevenzione e protezione. Quali sono i contenuti della formazione che devo
ricevere? Quale norma lo prevede? Qual è la durata dei corsi?
8. Oltre all’informazione il datore di lavoro deve provvedere anche a formare i propri
dipendenti? Qual’è la norma che lo prevede?
9. Quando deve avvenire la formazione dei lavoratori?
10. Quali sono i contenuti della formazione dei lavoratori? Qual è la durata dei corsi?
11. Anche il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto alla formazione?
Quali sono i contenuti ?
12. Sono un addetto alla gestione delle emergenze in una media impresa. Ho diritto alla
12
formazione e quale norma lo prevede?
13. A seguito dell’attività di formazione è necessario fornire una specifica documentazione
al lavoratore?
14. Risponde al vero che i lavoratori devono ricevere informazione e formazione sulla
segnaletica di sicurezza?
15. In qualità di datore di lavoro, devo assicurare un’informazione specifica ai miei
dipendenti sulle attrezzature di lavoro presenti in azienda?
16. Sono un lavoratore di una impresa industriale e, per l’esercizio della mia attività,
utilizzo dispositivi di protezione individuale? Devo ricevere dal datore di lavoro una
formazioni specifica in proposito?
17. Quali obblighi formativi gravano sul datore di lavoro in caso di movimentazione
manuale dei carichi?
18. In caso di utilizzo dei videoterminali, deve essere fornita adeguata formazione ai
lavoratori?
19. Quali sono i contenuti della formazione che devono ricevere i lavoratori che sono
esposti ai rischi da agenti cancerogeni?
20. In caso di esposizione ad agenti biologici è necessario formare i lavoratori? Quali sono
le caratteristiche della formazione? Su chi grava l’obbligo formativo, sul datore di
lavoro o sul medico competente?
21. Lavoro in una ditta che movimenta agenti chimici? Devo ricevere formazione specifica
da parte del datore di lavoro?
22. In caso di attività che prevedono l’utilizzo o la movimentazione di piombo metallico e
suoi composti ionici, amianto e rumore, sono previsti particolari obblighi formativi nei
confronti dei lavoratori? Quali sono i contenuti della formazione?
23. È obbligatoria la partecipazione ai corsi di formazione, ai sensi del Dlgs 81/08, oltre
che dal personale dipendente infermieristico, anche dei medici specialisti
ambulatoriali interni?
24. In riferimento al Dlgs 81 del 9 aprile 2008 in tema di sicurezza sul lavoro, premesso
che sono legale rappresentante di una Sas nonché socio accomandatario che si
occupa di commercio al minuto di articoli di ferramenta, considerato che attualmente
nel negozio ci lavoro solo io, quindi non ho dipendenti che lavorano con me, vi chiedo
se sono obbligato a svolgere un qualsivoglia corso previsto dal suddetto Dlgs per non
incorrere in sanzioni. Se sono obbligato, da quando decorre tale obbligo?
25. L'obbligo di frequenza ai corsi previsti in materia di sicurezza sul lavoro può essere
riconosciuto valido anche se frequentato dal collaboratore familiare e non dal titolare
dell'impresa?
26. In tema di formazione ai neoassunti sulla D.Lgs 81/08, finora l'azienda ha risolto la
formazione con un Cd che veniva fatto visionare al neoassunto, con emissione di una
stampa che attestava l'avvenuto "corso"; sembra che adesso non sia più sufficiente e
quindi potremmo trovarci fuori legge. Vorremmo sapere se questa autoformazione è
ancora valida e, se non lo dovesse essere, da quando.
27. Sono un architetto e assolvo l'incarico di Rspp esterno da due anni. Devo frequentare
un corso di formazione specifico? In caso negativo, posso rilasciare attestati di
formazione Rspp ad altri soggetti? Il mio collaboratore diplomato perito meccanico,
dotato di attestato di formazione, che svolge funzione di Rspp esterno in aziende da
tre anni, può conferire attestati ad altri soggetti?
28. L'articolo 34 del decreto legislativo 81/08, prevede che il datore di lavoro che intende
svolgere i compiti del servizio di prevenzione e protezione dai rischi "deve frequentare
apposito corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro,
promosso anche dalle associazioni dei datori di lavoro". Poiché questi corsi di
formazione risultano organizzati e gestiti da svariati soggetti senza che l'organo di
vigilanza abbia nulla da eccepire, sembrerebbe che l'inciso "promosso anche dalle
associazioni dei datori di lavoro" possa essere inteso nel senso che tale formazione
può essere promossa da "chiunque" ivi comprese le associazioni dei datori di lavoro.
E' corretta questa interpretazione?
29. Sono un medico dentista in contabilità ordinaria; ho sostenuto la spesa per
frequentare il corso di responsabile della sicurezza obbligatorio ai fini della D.Lgs
81/08. Vorrei sapere se è deducibile totalmente (essendo obbligatorio) o nella
misura del 50% come gli altri corsi di aggiornamento.
13
30. In qualità di amministratore di condominio, ho provveduto nei mesi addietro e per
alcuni dipendenti di fabbricato, ad adempiere agli obblighi previsti dal Dlgs
81/08, dando l'incarico a uno studio specializzato in sicurezza del lavoro, che ha
provveduto in seguito al corso di formazione-informazione per i dipendenti, a
elaborare le dovute certificazioni. E' corretta questa procedura?
31. Un datore di lavoro che ha nominato il responsabile del servizio di prevenzione
e protezione e ha assunto in proprio i compiti di prevenzione incendio e di
evacuazione e di pronto soccorso deve seguire specifici corsi per i ruoli assunti?
32. Svolgo da anni l'attività di esperto in sicurezza sul lavoro. Sono in possesso
anche di certificazione che attesta questa posizione e, da due anni, in occasione
dell'entrata in vigore delle nuove norme sulla sicurezza ricopro la funzione di
responsabile del servizio di prevenzione e protezione per varie aziende. Posso
ritenermi esente, anche parzialmente, dal corso di 120 (o 60) ore previsto dalla
<direttiva cantieri>?
33. I lavoratori incaricati di attuare le misure relative al pronto soccorso, alla
prevenzione incendi e alla gestione dell'emergenza, devono essere adeguatamente
informati sul programma degli interventi da eseguire e devono ricevere, pertanto, una
formazione adeguata a cura del datore di lavoro. In proposito vorrei sapere se
questi corsi di formazione devono essere effettuati solamente dalle autorità
istituzionali oppure possono essere effettuati anche da ditte od operatori
specializzati.
34. Amministro una piccola azienda commerciale di macchine utensili che ha sei
dipendenti di cui: tre addetti alla amministrazione (nessuno videoterminalista), un
magazziniere dotato di muletto elettrico per la movimentazione dei carichi, uno
addetto ai collaudi e alle piccole riparazioni delle macchine presso i laboratori dei
clienti che a volte mette in funzione, per dimostrazione, qualche macchina presso il
nostro magazzino. Ritenendo il nostro un caso di scarsa pericolosità, vorrei
svolgere io direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi. Dove posso
svolgere il corso di formazione?
CAPITOLO 7
LA VALUTAZIONE DEI RISCHI
1.
Nella mia qualità di datore di lavoro di una piccola impresa, vorrei sapere quali
devono essere gli obiettivi di miglioramento aziendale di cui devo tener conto
nell’ambito del processo di valutazione dei rischi?
2. Esistono dei criteri o delle indicazioni oggettive che devono essere contemplate nella
valutazione dei rischi?
3. Esistono delle modalità semplificate che possono essere utilizzate per condurre la
valutazione dei rischi in una piccola impresa?
4. Devo condurre la valutazione dei rischi nella mia azienda. Come posso valutare il
rischio di incidenti? Devo a tal fine utilizzare stime o statistiche specifiche?
5. Qual’è il termine di legge previsto per svolgere la valutazione dei rischi secondo le
modalità indicate dal D.Lgs 81/08
6. Nel documento di valutazione dei rischi va sempre indicata la nomina del medico
competente?
7. L’obbligo di valutare i rischi aziendali ricade unicamente sul datore di lavoro? Può,
questi, avvalersi o utilizzare competenze esterne?
8. Devo predisporre il documento di valutazione dei rischi aziendali e, per la mia
azienda è troppo costoso ricorrere a consulenti esterni. Vorrei sapere quali sono i
passaggi che devo compiere e quali sono le varie fasi del processo valutativo.
9. Quali sono i principali pericoli da prendere in considerazione nell’ambito della
valutazione dei rischi?
10. Esistono dei pericoli di natura ergonomia che devono essere presi in considerazione
nel documento di valutazione dei rischi? Se si quali sono?
11. Quali sono i pericoli specifici da valutare e prevenire nel sistema aziendale della
sicurezza sul lavoro?
12. Si può ritenere esistente il pericolo di assunzione per inalazione nel caso in cui le
14
concentrazioni siano inferiori ai TLV7?
13. Come si determina il pericolo derivante dall’esposizione al rumore? Quali sono i
criteri per determinarlo?
14. Nella valutazione dei rischi debbano essere considerati anche i pericoli di processo?
Quali sono e come si valutano?
15. Come si configura e come si valuta il pericolo di rilascio di sostanze tossiche e quello
derivante dal rilascio di energia termica?
16. Come si configura e come si valuta il pericolo di incendio e quello di esplosione?
17. Cosa si intende per pericoli organizzativi? Come si valutano e come si prevengono?
18. Esistono delle particolari categorie maggiormente sensibili ai rischi che devono
trovare una maggiore attenzione nell’ambito della valutazione dei rischi?
19. Ho appena terminato di valutare i rischi della mia azienda. Posso considerare
conclusi i miei compiti o devo compiere altri passaggi?
20. Se dalla valutazione dei rischi aziendali emerge l’esistenza di fonti di pericolo, quali
sono i passaggi che devo compiere? Come devo procedere? Devo nominare il medico
competente?
21. Quali sono le indicazioni per svolgere il processo di valutazione dei rischi? Come
rappresentare in un documento lo stato reale delle condizioni di lavoro della
azienda?
22. Esistono degli elementi o delle indicazioni per identificare i fattori di rischio
aziendali? Esistono dei metodi utilizzabili al riguardo?
23. Nella valutazione dei rischi deve essere ricompressa anche quella dello stress
lavorativo?
24. Come deve essere condotta la valutazione dello stress?
25. Su chi ricade la responsabilità dello stress lavoro correlato? Sul datore di lavoro? Se
si, come può il datore di lavoro svolgere da solo tale valutazione? Come deve fare?
26. La valutazione dello stress lavoro correlato ricomprende anche tutti i rischi
psicosociali. Che differenza c’è con il mobbing?
27. Che differenza intercorre tra lo stress lavorativo e la vera e propria violenza nel posto
di lavoro, che magari produce stress?
28. La valutazione dello stress lavorativo deve essere condotta singolarmente per ciascun
lavoratore?
29. La valutazione dello stress deve essere condotta sempre o solo nei casi in cui questo
possa incidere sulla sicurezza?
30. Lo stress lavorativo è una condizione puramente soggettiva. Anche la valutazione
dello stress deve essere condotta in maniera soggettiva?
31. Esistono degli indicatori oggettivi di potenziale stress?
32. Come si conduce la valutazione dei rischi derivanti da stress lavorativo in mancanza
di particolari elementi o indicatori oggettivi di stress?
33. Come si conduce la valutazione dello stress qualora vi siano in azienda determinati
fattori che possono denotare la presenza di stress nel luogo di lavoro?
34. Sono titolare di una media azienda di servizi. All’esito del procedimento di
valutazione dei rischi è emerso che alcuni dipendenti manifestavano evidenti
problemi di stress lavorativo. Cosa devo fare? Quali misure devo prevedere?
35. A seguito del processo di valutazione dei rischi in azienda sono emerse alcune aree
di criticità e dei pericoli. Quali sono i passaggi da compiere e cosa va evidenziato nel
documento di valutazione?
36. Quali sono i casi in cui, a seguito della valutazione, è opportuno il ricorso a misure
di igiene industriale o a criteri valutativi più specifici? La normativa vigente fornisce
in proposito delle indicazioni puntuali?
37. Quali sono le misure generali di tutela che devono essere ricompresse nel documento
di valutazione dei rischi?
38. E’ possibile avere un esempio pratico di quali devono essere le azioni da
intraprendere in seguito alla conclusione della valutazione dei rischi?
39. Quali sono i criteri di redazione del documento di valutazione dei rischi?
40. Dove deve essere custodito il documento di valutazione dei rischi?
41. Sono un datore di lavoro di una piccola impresa che svolge direttamente i compiti di
Rspp. Devo dare comunicazione di tale incarico? A chi e cosa devo comunicare?
42. E’ ancora valida la possibilità di non redigere il documento di valutazione dei rischi
15
43.
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55.
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57.
per le piccole imprese? Esistono dei criteri dimensionali d’impresa per rendere
possibile tale esclusione?
Ho appena aperto un’attività commerciale. Quanti giorni ho per procedere alla
valutazione dei rischi?
Ho sentito parlare della necessità di dover apporre la data certa al documento di
valutazione dei rischi. Come si fa in pratica? Esistono delle alternative?
E’ sempre obbligatoria la data certa nel documento di valutazione dei rischi?
Esistono delle esenzioni?
Può riportare degli esempi di situazioni di situazioni e di attività lavorative che
richiedono una valutazione dei rischi?
Un 'azienda esercente attività di trasporto e facchinaggio esplica servizi per conto di
tre aziende appaltanti in tre depositi di stoccaggio merci diversi. Quanti Dvr deve
redigere?
Il titolare di una ditta individuale con un figlio come coadiuvante, ai fini del Testo
unico 81/2008 è equiparato a un impresa con meno di 10 dipendenti e quindi con
tutti gli oneri che ne derivano, o è equiparato a un lavoratore autonomo, e quindi
non redige il Dvr, non nomina il medico competente, non nomina il Rspp e Rls,
eccetera?
L'articolo 5, comma 2, lettera d) del Dm 37/08 prevede l'obbligo del progetto elettrico
nei «locali adibiti ad uso medico». Un medico di base ha un solo dipendente: è
soggetto al Dpr 462/01, articolo 2 per la messa in esercizio dell'impianto e
all'articolo 4, comma 1, per le verifiche periodiche biennali? E’ tenuto a frequentare il
corso di formazione come datore di lavoro rspp?
Vorrei sapere se la data del 16 maggio, per l'invio della relazione sullo stress
correlato vedi Dl 81/2008, è stata prorogata e quali sono gli obblighi di legge
previsti. Posso fare la relazione anche io che sono consulente del lavoro?
In caso di trasferimento di sede in un'altra struttura, qual è il tempo massimo entro
cui bisogna eseguire la valutazione dei rischi e produrre un nuovo Dvr? Per
l'occasione, vorrei adottare una nuova struttura di documento, diversa dalla
precedente, in modo che risulti più aderente all'attuale normativa. Ci sono
controindicazioni al riguardo? Per quanto tempo è necessario conservare le
precedenti versioni?
Rispetto all'obbligatorietà imposta dal Dlgs 81/08 di strutturare un Dvr all'interno di
ogni organizzazione che abbia almeno un dipendente, esiste una categoria che si
possa sentire esclusa? In una Snc che ha un'officina nella quale lavorano solo i due
titolari, quali sono gli obblighi rispetto alla stesso decreto?
Nel caso di un lavoro edile, ad esempio la realizzazione della pavimentazione di una
rampa per la quale il Comune non ha richiesto nessun documento (né Dia né
permesso di costruire), affidato a una sola azienda il committente o il responsabile
dei lavori devono ottemperare solo all'articolo 90, comma 9; non è richiesto Duvri,
Pos o Dvr per lo specifico cantiere, solo il rispetto di quanto riportato dell'articolo 95
e 96. Se l'azienda subappalta a uno o più lavoratori autonomi deve rispettare anche
l'articolo 97?
Con l'entrata in vigore del Dlgs 81/2008 le aziende devono procedere alla valutazione
dei rischi. La normativa sulla sicurezza prevede un periodo transitorio per le aziende
al di sotto dei 10 dipendenti in cui possono anche non ottemperare alla normativa
sulla sicurezza e in particolare alla predisposizione della documento di valutazione
dei rischi limitandosi a predisporre questa autocertificazione? Nel caso l'azienda
ottemperi all'adempimento dell'autocertificazione, ma di fatto non provveda alla
valutazione dei rischi, è in regola con la normativa sulla sicurezza? In caso di
eventuali controlli è soggetta a sanzione?
Quali sono i nuovi criteri stabiliti dal Testo Unico a cui deve essere adeguato il
documento di Valutazioni dei Rischi?
In caso di nuova attività, quando deve essere effettuata la valutazione dei rischi?
Quali sono i contenuti minimi del Documento unico di valutazione dei rischi
interferenti (Duvri)?
16
CAPITOLO 8
LA SORVEGLIANZA SANITARIA
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
31.
In cosa si sostanzia la sorveglianza sanitaria? E’ possibile disporre accertamenti
preventivi sui lavoratori o esami clinici e biologici?
Quale ruolo ha il medico competente nell’ambito della sorveglianza sanitaria? Deve
solo eseguire le visite mediche o la sua attività si esplica anche nella prevenzione
primaria?
Quali determinazioni può assumere il medico competente qualora ravvisi la
necessità di escludere un lavoratore da determinati rischi?
In quali casi deve essere effettuata la sorveglianza sanitaria? Qual’è la normativa di
riferimento al riguardo?
E’ possibile effettuare visite mediche in fase preassuntiva?
E’ possibile effettuare visite mediche per accertare stati di gravidanza?
L’esito delle visite mediche deve essere comunicato al lavoratore o solo al datore di
lavoro? Dove devono essere conservate le risultanze delle visite mediche?
Quali sono i giudizi che possono essere espressi dal medico competente al termine
delle visite?
E’ possibile proporre ricorso avverso i giudizi espressi dal medico competente? Se si,
in che termini?
Quali sono le modalità di esecuzione delle visite nei casi di lavorazioni che
espongono all'azione di agenti chimici, fisici e biologici o che risultano comunque
nocivi?
Qual è la periodicità con cui si devono effettuare le visite mediche?
Cos’è la visita medica preventiva?
In caso di lavoratori esposti alle radiazioni ionizzanti, come viene attivata la
sorveglianza sanitaria? Deve essere disposta la visita medica preventiva?
Oltre alle visite preventive, sono previste anche visite periodiche? Se si, come deve
essere effettuata?
Cosa si intende per visita straordinaria?
E’ fatto obbligo al medico competente di effettuare le visite mediche su richiesta del
lavoratore?
Cos’è la visita medica eccezionale?
Cosa sono gli accertamenti sanitari? In cosa consistono?
Quali sono gli accertamenti da eseguire in caso di rischi da radiazioni ionizzanti?
E’ obbligo del medico competente comunicare gli esiti della visita medica? L’obbligo,
eventualmente, vale per tutti i giudizi di idoneità?
In caso di visite svolte su lavoratori esposti a rischi da radiazioni ionizzanti, è obbligo
del medico competente comunicare gli esiti della visita medica? L’obbligo,
eventualmente, vale per tutti i giudizi di idoneità?
Il medico competente o il datore di lavoro hanno particolari obblighi di informazione
nei confronti dei lavoratori sottoposti a visita medica? Come possono essere assolti
tali obblighi?
Il medico competente o il datore di lavoro hanno particolari obblighi di informazione
nei confronti dei lavoratori sottoposti a visita medica in quanto esposti ad agenti
biologici? Come possono essere assolti tali obblighi?
Quali obblighi ha il medico competente verso il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza?
Quali sono le modalità di formulazione del giudizio d'idoneità da parte del medico
competente?
Quali sono i giudizi di idoneità formulabili quale esito di una visita preventiva o
periodica in caso di radiazioni ionizzanti?
Quali obblighi ha il datore di lavoro in caso, all’esito della visita medica, il medico
competente formuli un giudizio di inidoneità alla mansione specifica?
Il giudizio di idoneità deve essere trasmesso anche al lavoratore? Esistono
particolari forme di comunicazione?
E lecito formulare giudizi di idoneità in fase di visita preventiva?
In caso di inidoneità al lavoro, quali obblighi ha il medico competente?
Quali sono le caratteristiche della sorveglianza sanitaria e, in particolare, dei giudizi
17
di idoneità nel caso di lavoratori esposti ad agenti nocivi?
32. Quali sono i criteri clinici che potrebbero motivare un giudizio medico di non
idoneità o di idoneità con limitazioni e/o prescrizioni in caso di esposizione a
radiazioni ionizzanti?
33. La visita medica preventiva, introdotta dal Dlgs 81/2008 in caso di attività lavorativa
considerata pericolosa dalla normativa sulla sicurezza, deve essere effettuata prima
dell’inizio dell’attività lavorativa o può essere effettuata anche qualche giorno dopo?
Nel caso venga effettuata successivamente all’assunzione, sono previste sanzioni?
34. Come devono essere condotti da parte del medico competente gli accertamenti
sull'uso di alcol in ambiente di lavoro (per le mansioni a rischio previste dalla legge)
?Attraverso l'audit test ed altre pratiche non invasive in prima istanza o direttamente
attraverso prelievi di sangue atti a rilevare il tasso alcolemico?In caso di analisi
invasive (prelievo sangue) è necessario il consenso da parte del lavoratore?
35. Se il medico aziendale prescrive ai dipendenti delle visite specialistiche, chi ne
sopporta il relativo onere economico? Nel caso in cui sia a carico del datore di
lavoro, di quali strutture puo' avvalersi?
36. Il decreto legislativo 81/08 prevede che <la sorveglianza sanitaria e' effettuata nei
casi previsti dalla normativa vigente. Si chiede quali sono in dettaglio questi
casi e i relativi riferimenti legislativi, e inoltre se la sorveglianza riguarda anche
piccole aziende a conduzione familiare e studi professionali con un solo
dipendente.
18
Premessa
Nonostante i recenti interventi correttivi operati dal legislatore, il quadro
legislativo che caratterizza il settore della salute e della sicurezza sul lavoro
rimane ancora oggi complesso ed articolato, soprattutto a causa dei
numerosi obblighi ed adempimenti cui sono tenuti i diversi soggetti coinvolti.
Mancano ancora del tutto, inoltre, indicazioni interpretative ed applicative
volte a fornire risposte chiare e precise agli operatori sui numerosi aspetti
ancora dubbi che sono emersi nel corso del periodo di vigenza del testo
unico.
Proprio per rispondere a tale esigenza, e con l’obiettivo di offrire una chiave
di lettura organica ed unitaria dell’intero corpo normativo, è stata
predisposta questa Guida, che raccoglie in maniera sistematica le soluzioni
e le risposte concrete a oltre 400 quesiti che la Confederazione ha fornito
sugli aspetti inerenti la sicurezza sul lavoro, organizzandoli in ordine logico e
metodologico all’interno di capitoli tematici.
Vengono così enucleate, in maniera pratica ed intuitiva, alcune categorie
generali utili per la comprensione di una materia così complessa e
frammentata, offrendo criteri operativi a fronte delle obiettive e molteplici
difficoltà affioranti in sede di interpretazione ed applicazione legislativa.
Il testo, utilizzando il metodo delle F.a.q. ripercorre in maniera critica i vari
obblighi di sicurezza imposti dalla normativa, offre indirizzi utili per
l'individuazione delle misure di tutela, dalla conformità normativa agli
aspetti gestionali e tecnico organizzativi.
Nella prima parte della Guida, vengono evidenziate le norme generali di
riferimento per la realizzazione del sistema di gestione della prevenzione nei
luoghi di lavoro e vengono individuati i soggetti attivi e passivi della tutela,
ne vengono descritte le mansioni, le attività e le prerogative. Nella parte
successiva vengono approfonditi tutti gli obblighi di sicurezza previsti
all’interno dei luoghi di lavoro, che spaziano dalla sorveglianza sanitaria alla
gestione delle emergenze, al pronto soccorso, alla prevenzione incendi.
Vengono poi affrontati gli aspetti relativi alla formazione, informazione ed
addestramento, anche alla luce dei recenti Accordi Stato Regioni in ordine
alle modalità e ai contenuti dei percorsi formatividi tutti i soggetti destinatari
della sicurezza.
Un capitolo apposito è poi dedicato ai quesiti pervenuti concernenti le
modalità e i criteri per la valutazione dei rischi, sia nelle forme ordinarie che
attraverso l’applicazione delle procedure standardizzate.
19
Capitolo 1
I soggetti attivi e passivi della tutela
20
Sezione I
Il datore di lavoro
1. Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del
datore di lavoro? Esiste, a livello normativo, una definizione di “datore di
lavoro pubblico”?
Nell’ambito delle disposizioni definitorie di portata generale, il D.Lgs. 81/08 ha
espressamente individuato i soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza e di
salute formulando una definizione più completa di “lavoratore” rispetto a quella
contenuta nella legislazione precedente e giungendo ad offrire anche la definizione
di “datore di lavoro”, della quale sono altresì stati tratteggiati anche alcuni caratteri
distintivi in relazione alla natura pubblica del settore di attività. Sul piano generale,
il parametro di riferimento per la individuazione della figura del datore di lavoro è
rimasto invariato.
Tale figura è definita come il soggetto “titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore
o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui
ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione
stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
Nelle pubbliche amministrazioni per datore di lavoro si intende il dirigente al quale
spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale,
nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia
gestionale, esso è individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni
tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene
svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa
individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore
di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo.
2. Al di là della definizione giuridica, esistono degli indici specifici di
riconoscimento di tale figura?
Gli indici di riconoscimento della figura datoriale sono dunque almeno due: l’uno di
carattere formale, che si riconduce appunto alla titolarità del rapporto di lavoro col
lavoratore, l’altro di natura sostanziale che si riconnette invece al concetto di
responsabilità in relazione ai tradizionali indici della autonomia – potere decisionale
e di spesa. Per la verità il decreto legislativo in questione, nell’ambito della
richiamata definizione, nel fissare la natura sostanziale della figura in esame, ne
“estende” il riconoscimento al così detto datore di lavoro di “fatto” a cui in qualche
modo si aggancia la mozione di “datore di lavoro delegato” pure introdotta
innovativamente dall’art. 16 del D.Lgs 81/08. Trattasi di un aspetto di grande
rilevanza pratica per molte aziende, in particolare ovviamente per quelle di non
modestissime dimensioni, in quanto l’esistenza di un valido atto di delega
costituisce al tempo stesso una condizione indispensabile al trasferimento
soggettivo della responsabilità penale (che notoriamente è personale) e sufficiente a
produrne l’effetto.
Non a caso, la concreta utilizzabilità in ambito giuridico e processuale di tal genere
di delega richiede la sussistenza di specifici requisiti senza i quali l’effetto che le è
proprio (del trasferimento della responsabilità penale) non potrebbe essere prodotto.
La giurisprudenza ha autorevolmente ed efficacemente fissato i criteri necessari a
far ritenere legittimamente applicabile la delega: essa deve essere conferita per
iscritto, deve essere comprovata e non presunta (principio di certezza), debbono
essere concretamente e dettagliatamente indicati i poteri delegati, deve essere
esplicitamente accettata dal delegato, è valida solo se correlata alle più ampie
facoltà di iniziativa e di organizzazione, ivi compreso il potere di disporre
21
autonomamente delle risorse necessarie. Non potrebbe d’altro canto esserne
consentito un uso strumentale, volto cioè all’aggiramento delle responsabilità, ma
appunto unicamente quello previsto di contribuire ad una più efficace attribuzione
delle competenze dei singoli nella gestione delle problematiche connesse alla tutela
della sicurezza e della salute dei lavoratori.
3. Come è possibile individuare nelle Amministrazioni pubbliche la figura del
datore di lavoro? In mancanza di qualifiche dirigenziali, a chi viene attribuita
ai fini della sicurezza la qualifica di datore di lavoro?
Allo stato attuale della legislazione, a partire dal D.Lgs. n. 29/93 e sue successive
modificazioni, vige notoriamente un riparto di competenze in relazione al quale nelle
Pubbliche Amministrazioni gli organi di governo ed elettivi sono titolari dei poteri di
indirizzo politico - amministrativo, di dotazione organica, strumentale ed
economico-finanziario e delle funzioni di controllo dell’ente; ai dirigenti spetta invece
la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa delle risorse assegnate e la
gestione del personale. Ai dirigenti pubblici è pertanto riconosciuta la titolarità degli
stessi poteri di autonomia decisionale e di spesa propri dei datori di lavoro nel
settore privato. A scanso di equivoci bisogna precisare che il rapporto di dipendenza
funzionale esistente con gli organi di governo vale per ciò che attiene agli obiettivi
definiti a livello di azione politico-amministrativa, non anche per altri, come quello
della “tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro”, che è la
stessa legge a definire e ad imporre in modo indifferenziato alle imprese pubbliche e
private. I dirigenti pubblici non sono pertanto equiparabili ai dirigenti del settore
privato ma piuttosto – ai sensi dell’art. 2 – comma 2, let. b) del D.Lgs. 81/08 – ai
datori di lavoro. Essi non hanno perciò vincoli di subordinazione in materia di
adempimento degli obblighi di sicurezza e non debbono sottostare alla decisone di
altri organi dell’ente di governo, fermo ovviamente restando il potere-dovere di
controllo di quest’ultimo sul lavoro operato connesso al rapporto di servizio che
comunque li lega all’ente. In mancanza di qualifiche dirigenziali, la figura del datore
di lavoro negli enti locali individuata ai sensi e per le finalità della normativa di
prevenzione, è quella del funzionario. In tale ambito, alla luce di alcune autorevoli
pronunce della Suprema Corte e della dottrina prevalente, appare inequivoco il
divieto di delega nel settore pubblico – inteso almeno nel senso di delega di
responsabilità con gli effetti giuridici poc’anzi richiamati – sia in relazione alla
insuperabile problematicità di conciliare l’esercizio della delega con le tutt’ora rigide,
seppure semplificate, procedure di impegno della spesa che regolano l’azione della
Pubblica Amministrazione, sia in considerazione della possibilità di creare
situazioni di disquilibrio negli assetti funzionali dell’Ente Pubblico. E’ comunque
certo che datori di lavoro da un lato e dirigenti dall’altro (in misura qualitativamente
e quantitativamente inferiore i così detti preposti) siano i soggetti primariamente
destinatari degli obblighi di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro sui quali
incombe infatti il dovere di attuazione degli obblighi e degli adempimenti in materia
di sicurezza e di salute).
4. Come si sostanzia, in concreto, l’obbligo di vigilanza imposto ai datori di
lavoro? Quali sono le azioni positive che deve compiere per un corretto
esercizio del dovere di controllo?
Il riferimento generale agli obblighi e ai connessi doveri di sicurezza, trova la propria
specificazione nell’art. 18 del D.Lgs 81/08, che indica, tra gli obblighi del datore di
lavoro, dei dirigenti e dei preposti, quelli di attuare, nell’ambito delle rispettive
attribuzioni e competenze, le misure di sicurezza previste nel decreto, di informare i
lavoratori sui rischi specifici derivanti dallo svolgimento delle loro mansioni e di
esigere il rispetto e l’osservanza delle disposizioni impartite. La prescritta vigilanza
sui comportamenti dei lavoratori ha carattere impositivo: l’imprenditore è infatti
22
tenuto a pretendere l’applicazione delle misure di sicurezza, usando tutta l’autorità
di cui è investito e adottando anche provvedimenti sanzionatori a carico dei
lavoratori. Si configura la deroga dell’esclusione della responsabilità del datore di
lavoro nel caso di comportamento anomalo del lavoratore che, se posto in essere, ha
valore di causa del sinistro o che, quando vi sia una valutazione del datore di
lavoro, può assumere il valore di causa sopravvenuta, da sola sufficiente a
cagionare l’evento, sicchè debba dirsi che causa del sinistro è stata quella condotta,
o che debba prendersi atto, constatato che qualcosa può rimproverarsi anche al
datore di lavoro, che l’evento è riconducibile al solo lavoratore, per avere questi
posto in essere una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento.
Naturalmente l’obbligo del datore di lavoro di vigilare per impedire atti o manovre
rischiose del dipendente non comporta un continuo controllo nell’esecuzione di ogni
attività né il dovere di affiancare un preposto a ogni lavoratore impegnato in
mansioni richiedenti la prestazione di una sola persona o di organizzare il lavoro in
modo da moltiplicare i controlli fra i dipendenti, richiedendosi solo una diligenza
rapportata in concreto al lavoro da svolgere, e cioè all’ubicazione del medesimo,
all’esperienza e specializzazione del lavoratore, alla sua autonomia, alla prevedibilità
della sua condotta, alla normalità della tecnica di lavorazione. Di conseguenza deve
escludersi la responsabilità del datore di lavoro se l’infortunio accaduto a un
lavoratore normalmente esperto trovi causa in una manovra dello stesso,
estremamente pericolosa e non necessaria per l’esecuzione del compito affidatogli,
poiché l’elevata pericolosità di tale condotta ne comporta l’imprevedibilità in un
lavoratore di normale esperienza. In conclusione si configura l’esonero da
responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri
della abnormità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive
organizzative ricevute, oppure dall’eccezionalità che si pone come causa esclusiva
dell’evento, mentre la semplice irrazionalità della condotta, quando sia pensabile in
anticipo, non vale a scagionare il datore di lavoro.
5. Le misure di tutela che deve adottare il datore di lavoro nell’esercizio della
propria attività devono essere indirizzate solo nei confronti dei propri
dipendenti oppure anche nei confronti di terzi che eventualmente versino in
situazione di pericolo?
Le misure garanti della sicurezza del lavoro devono proteggere anche l’integrità di
persone estranee che possono trovarsi nella situazione di pericolo, e ciò in aderenza
al principio in forza del quale, da un lato, il rischio ambientale deve essere coperto a
cura di chi organizza il lavoro, e, dall’altro, chiunque possa incorrere in tale pericolo
deve ritenersi destinatario di adeguata protezione. Un’applicazione particolare del
principio si rinviene nei casi in cui si è ritenuto sussistente il delitto di omicidio
colposo in danno di persone che siano entrate in fabbrica o in cantiere per un
qualsiasi motivo connesso con il lavoro (es. ispettore, committente, fornitore) o che
vi si trovino occasionalmente, con esclusione dei curiosi e degli abusivi. A tale logica
interpretativa si ispira la fattispecie in cui un operaio avventizio, che fino al giorno
prima aveva prestato la sua opera a richiesta del datore di lavoro, in un momento
successivo, dissuaso dal farlo perché il suo apporto lavorativo non era necessario, si
era attivato spontaneamente agendo su una macchina prestante le aperture di
alimentazione prive di idonei ripari e aveva riportato lesioni gravissime; la
Cassazione1 ha ritenuto che tale intervento, non costituiva qualcosa di occasionale
e imprevedibile, ma il naturale completamento dell’attività prestata e non faceva
venir meno, nonostante la spontaneità, la riconducibilità dell’evento al datore di
lavoro. Particolarmente interessante è l’ipotesi di infortunio verificatosi
nell’ambiente ed in costanza di lavoro ma in relazione ad attività non direttamente
1
Cfr Cass. sentenza n. 827 del 25 gennaio 1993
23
collegata allo stesso, come le aggressioni conseguenti alle condotte criminose di
terzi. Si pensi all’impiegato di banca che nel corso di una rapina, avvenuta dopo
due altri fatti analoghi, rimanga ferito nell’agenzia, la cui porta di accesso al
pubblico era munita di un congegno automatico di apertura difettoso. La frequenza
del fenomeno criminoso, che lo rendeva perciò stesso prevedibile, e l’interpretazione
estensiva dell’art. 2087 C.C. giustificata dal rilievo costituzionale del diritto alla
salute (art. 32 Cost.) e dai principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi
anche lo svolgimento del rapporto di lavoro, consentono di condividere la
risarcibilità di simili danni indiretti. In tal modo, l’ambito di applicazione della
disposizione richiamata viene a ricomprendere l’obbligo di preservare l’ambiente di
lavoro anche dai rischi connessi ad azioni illecite di terzi.
Sezione II
Il preposto
1. Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del
preposto? E’ necessaria un’investitura formale da parte del datore di lavoro o
del dirigente?
A norma dell’art. 2 del D.Lgs 81/08 si intende, per preposto, "la persona che, in
ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali
adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e
garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione
da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”. Col tale
definizione devono intendersi, senz'altro, i sovrintendenti che hanno ricevuto
l'investitura formale da parte dell'azienda. Ma ciò non è sufficiente. Infatti, se da un
lato il conferimento della qualifica formale senza un corrispondente contenuto (si
tratta del c.d. capo di se stesso, ossia sovrintendente senza dipendenti gerarchici:
caso non infrequente nelle aziende) non è di per se sufficiente a riconnettere al
lavoratore le responsabilità tipiche del preposto nella materia, dall'altro lato il
mancato conferimento della qualifica a chi svolge compiti di sovrintendenza non
basta a sottrarlo alle medesime responsabilità. Tanto la dottrina quanto la
giurisprudenza infatti hanno riguardo, a tali fini, più alla situazione di fatto che non
agli aspetti della gerarchia formale.
2. Quali sono i tratti distintivi della figura del preposto?
Per la dottrina il preposto ha la funzione di controllo diretto e immediato dell'attività
lavorativa e conseguentemente un certo potere d'impartire ordini ed istruzioni agli
operai dipendenti e ancora la vigilanza del preposto e strettamente sussidiaria e si
riferisce esclusivamente agli sviluppi esecutivi dell'opera: stante questa
configurazione, ancora secondo la dottrina, egli “deve sollecitare direttive tecniche” e
“non occorre che abbia una particolare qualifica”.
3. Svolgo, nell’azienda in cui lavoro, mansioni che mi garantiscono un
autonomo potere di iniziativa e di controllo sulle attività a tutela della salute
e della sicurezza. Non ho tuttavia mai ricevuto un formale incarico al
riguardo. Posso essere assimilato alla figura del preposto?
La giurisprudenza con estrema chiarezza ha enunciato che2 la “individuazione dei
destinatari delle norme di prevenzione degli infortuni va compiuta non soltanto in
relazione alla qualifica rivestita dall'agente nell'ambito dell’organizzazione
imprenditoriale, quanto e soprattutto in riferimento alle reali mansioni esercitate che
V. Cass. 22 gennaio 1969 n. 80, in Mass. giur. lav., 1969, 57, v. anche Cass. 29 gennaio
1981 n. 584.
2
24
importano l'assunzione di fatto della responsabilità a queste inerenti”. Oscillazioni o
almeno incertezze sussistono invece sulla figura del c.d. preposto di fatto, cioè di
colui che (pur senza occupare nella gerarchia aziendale un ruolo, sia formalmente
riconosciuto sia non ancora riconosciuto ma stabile e duraturo), solo
contingentemente e/o per un'operazione specifica sovraintende o per disposizione
aziendale o anche per propria iniziativa altri operai. Da un lato infatti si afferma che
pur se la legge non prevede la figura del preposto di fatto, cioè la figura di un
operaio che in un gruppo anche ristretto a due persone, agisca come capo-squadra
e ne esplichi in concreto le mansioni, ove ciò sul piano pratico avvenga non e
esclusa la responsabilità di questo soggetto nel caso in cui, in seguito agli ordini
che egli abbia impartito, si verifichi un evento colposo, d'altro lato si afferma, con
l'apparenza di smentire il precedente orientamento, che la legge non prevede la
figura del preposto di fatto, cioè dell'operaio che in un gruppo, anche ristretto a due
persone, agisca come capo squadra e ne esplichi le mansioni. Ove ciò avvenga di
fatto, cioè senza la qualifica o in mancanza di incarico da parte di chi ha maggiori
mansioni direttive, non è esclusa la corresponsabilità degli altri operai, i quali mai
potranno trincerarsi dietro l 'assunzione, contra legem, di iniziative da parte di chi
non vi è abilitato3.
4. Sono preposto in un’azienda di piccole dimensioni. Che tipo di
responsabilità ho in ragione delle mie funzioni?
Quando si parla di responsabilità del preposto può intendersi o una responsabilità
di tipo civilistico (che da luogo al solo risarcimento del danno) o una responsabilità
di tipo penalistico (che da luogo alla sanzione penale oltrechè al risarcimento del
danno). Nella normalità dei casi quando si parla di responsabilità del preposto ci si
riferisce alla responsabilità penale sia per le più gravi conseguenze che essa
comporta sia per il sistema del nostro ordinamento che relega la responsabilità
meramente civilistica nella materia de qua ad una posizione marginale. Infatti ai
sensi dell'art. 10 del T.U. approvato con D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 (T.U. delle
disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali) “l'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore
di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro” ma nei commi
successivi il testo di legge precisa che “nonostante l'assicurazione predetta permane
la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il
fatto dal quale l'infortunio e derivato. Permane altresì la responsabilità civile del
datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per
fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del
lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il Codice Civile. Le disposizioni
dei due commi precedenti non si applicano quando per la punibilità del fatto dal quale
l'infortunio e derivato sia necessaria la querela della persona offesa”. Potrà quindi
sorgere problema di responsabilità di tipo civilistico, indipendentemente ed a
prescindere da responsabilità di tipo penale, solo in casi marginali quali quello del
lavoratore non soggetto all'obbligo assicurativo (c.d. lavoratore non tutelato: p.es. gli
impiegati amministrativi in genere), quello del datore di lavoro obbligato alla
denuncia assicurativa ed inadempiente (sarà tenuto alle penalità previste per
l'evasione e non beneficerà dell'esonero dalla responsabilità civile prevista dall'art.
10 T.U. n. 1124 del 1965), quello della responsabilità verso i terzi non dipendenti
che subiscano un danno a seguito di inadempienze agli obblighi relativi alle misure
di sicurezza. Nell'obbligo del risarcimento del danno, in tali casi, potrà restare
coinvolto anche il preposto in una col datore di lavoro.
3
V. Cass. 17 novembre 1977 n. 14489, in Mass giur. lav., 1978, 771
25
Sezione III
Il dirigente
1. Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del
dirigente?
A norma dell’art. 2, comma 1, let. d) del D.Lgs 81/08, come modificato dal D.Lgs
106/09, per dirigente deve intendersi “la persona che, in ragione delle competenze
professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico
conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e
vigilando su di essa”.
2. Quali sono i tratti distintivi della figura del dirigente?
Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, ai fini del riconoscimento della
qualifica dirigenziale in dipendenza delle mansioni svolte, si deve tener conto che la
figura del dirigente si caratterizza per la preposizione, quale alter ego
dell'imprenditore, ad un intero settore di attività dell'azienda, con autonomia e
discrezionalità decisionale, di modo da poter influenzare la vita dell'intera azienda o
di un ramo rilevante ed autonomo di essa4.
Ai fini predetti, per «ramo autonomo» dell'azienda deve intendersi «un complesso
unitario di servizi finalizzati agli stessi scopi, che, pur operando nella sfera dello
stesso organismo, acquista una configurazione sua propria assommando attività e
mezzi che, diretti al medesimo fine, richiedono l'assoggettamento ad un unico
indirizzo”5.
3. Svolgo di fatto mansioni dirigenziali anche se non ho mai ricevuto formale
nomina. Posso essere assimilato, quanto a compiti e responsabilità, al
dirigente ai fini della salute e sicurezza sul lavoro?
Altre pronunce sembrano valorizzare maggiormente, al fine della qualificazione della
categoria dirigenziale, l'elemento consistente nell'ampiezza del potere decisionale, in
presenza del quale può ritenersi irrilevante la mancanza di preposizione ad uno
specifico ramo dell'azienda, sia pure a condizione che il potere decisionale del
dirigente fosse comunque idoneo di estendersi a tutte le attività e funzioni
aziendali6. Va però segnalato che si tratta di pronunce aventi ad oggetto il problema
inerente la configurabilità di una posizione dirigenziale di lavoratori che, pur in
possesso del predetto potere decisionale, siano legati da un vincolo gerarchico ad
altro dirigente. Al riguardo, secondo l'orientamento largamente prevalente, è
«ammissibile - anche in riferimento alla prassi aziendale e alla concreta
organizzazione degli uffici - la previsione di una pluralità di dirigenti (a diversi livelli,
con graduazione di compiti) i quali sono tra loro coordinati da vincoli di gerarchia,
che però faccia salva, anche nel dirigente di grado inferiore, una vasta autonomia
decisionale, circoscritta dal potere direttivo generale di massima del dirigente di
livello superiore7.
Cass., 20 agosto 1991, n. 8975, in Dir. e Prat. Lav., 1991, 2934; Id., 25 ottobre 1989, n.
4358, ivi, 1990, 525; Id., 24 ottobre 1989, n. 4326, ibid., 439; Id., 28 gennaio 1989, n. 537,
ivi, 1989, 1515; Id., 17 febbraio 1987, n. 1698, in Giust. Civ., 1989, I, 188; Id., 16 gennaio
1987, n. 362, in Dir. e Prat. Lav., 1987, 1650; Id., 23 aprile 1986, n. 2865, ivi, 1986, 2235;
Id., 2 aprile 1986, n. 2274, ibid., 1937; Id., 18 maggio 1987, n. 3070, ivi, 1985, 1259
5 Cass., 17 marzo 1987, n. 2698, in Dir. e Prat. Lav., 1987, 2306.
6 Cass., 18 maggio 1985, n. 3069, in Orient. Giur. Lav., 1986, 318; Id., 11 dicembre 1987, n.
9195, ivi, 1988,1266; Id., 27 novembre 1987, n. 8842, ibid., 1193; Id., 29 agosto 1987, n.
7137, ibid., 370; Id., 5 giugno 1987, n. 4926, ivi, 1987, 3023
7 cfr., da ultimo, Cass., 25 febbraio 1994, n. 1899, in Dir. e Prat. Lav., 1994, 1610
4
26
4. E’ compatibile, ai fini della sicurezza sul lavoro, la qualifica di dirigente con
lo svolgimento di mansioni esercitate con vincolo di dipendenza gerarchica?
Secondo un'isolata pronuncia sussisterebbe incompatibilità tra la qualifica di
dirigente e mansioni esercitate con vincolo di dipendenza gerarchica anche nei casi
di aziende ad organizzazione complessa con pluralità di dirigenti con graduazione di
compiti, occorrendo pure in tale ipotesi per la sussistenza delle funzioni dirigenziali
che le mansioni nel loro svolgimento siano coordinate con quelle degli altri dirigenti
e non già subordinate ad altre.8
Naturalmente, ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale, il lavoratore è
tenuto a provare non solo l'esercizio delle attività rivendicate, ma soprattutto che il
loro espletamento è avvenuto in regime di autonomia e responsabilità proprio del
livello dirigenziale9.
5. Ai fini della sicurezza sul lavoro, sono assimilato al dirigente pur non
avendo la gestione di alcuna una struttura organizzativa?
È interessante richiamare una pronuncia di merito secondo cui la mancata
preposizione ad una struttura organizzativa non è preclusiva al riconoscimento
della qualifica dirigenziale, in ipotesi di mansioni caratterizzate da elevata
professionalità, da autonomia, discrezionalità e poteri di iniziativa, da
responsabilità diretta verso i vertici dell'azienda e dal carattere fiduciario della
prestazione10.
Sezione IV
L’impresa familiare
1. Cosa si intende per impresa familiare? Nell’ambito dell’impresa, quali
soggetti sono considerati “familiari”?
L’impresa familiare è definita dall’art. 230-bis cod. civ. che recita: “Salvo che sia
configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua
attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento
secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa
familiare e ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in
ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato”. Le
decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti
alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa
sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. I
familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono
rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi. Il lavoro della donna è
considerato equivalente a quello dell’uomo. Ai fini della disposizione di cui al primo
comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini
entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti
entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Il diritto di partecipazione di cui al
primo comma è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari
indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi. Esso può essere
liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del
lavoro, e altresì in caso di alienazione dell’azienda. Il pagamento può avvenire in più
Cass., 23 febbraio 1994, n. 1806 in Dir. e Prat. Lav., 1994, 1547.
Cass., 21 giugno 1989, n. 2969, in Dir. e Prat. Lav., 1989, 2822; Id., 15 gennaio 1988, n.
262, ivi, 1988, 1518; Id., 8 aprile 1987, n. 3462, ivi, 1987, 2509; Id., 23 luglio 1986, n. 4174,
ivi, 1986, 2996; Id., 7 dicembre 1984, n. 6464, ivi, 1985, 515
10 cfr. Trib. Milano, 30 maggio 1984, in Lavoro 80, 1984, 815
8
9
27
annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice. In caso di divisione
ereditaria o di trasferimento dell’azienda i partecipi di cui al primo comma hanno
diritto di prelazione sull’azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, la
disposizione dell’art. 732. Le comunioni tacite familiari nell’esercizio dell’agricoltura
sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme.
2. Al di là della definizione giuridica, vi sono degli indici di riconoscimento
che consentano, nella pratica, di individuare facilmente quando ricorrono le
condizioni per configurarsi un’impresa familiare?
Il concetto di impresa familiare è maggiormente esplicato dalla giurisprudenza. Con
sent. n. 5603 del 18 aprile 2002, Sez. lavoro, la Cassazione si è così espressa: «Ai
fini del riconoscimento dell’istituto – residuale – della impresa familiare è necessario
che concorrano due condizioni, e cioè, che sia fornita la prova sia dello svolgimento,
da parte del partecipante, di una attività di lavoro continuativa (nel senso di attività
non saltuaria, ma regolare e costante anche se non necessariamente a tempo pieno),
sia dell’accrescimento della produttività della impresa procurato dal lavoro del
partecipante (necessaria per determinare la quota di partecipazione agli utili e agli
incrementi)». È importante il concetto di istituto residuale, in quanto viene a
profilarsi l’ipotesi dell’impresa familiare solo nel caso in cui non rientri in nessun
altro istituto e quindi in nessun altra specifica forma societaria. La sent. n. 5741
del 22 maggio 1991 della Cassazione civile, ha infatti disposto: «L’esclusione della
sussistenza dell’impresa familiare prevista dall’art. 230-bis, cod. civ., che è istituto a
carattere cosiddetto residuale, presuppone la prova dell’esistenza di un diverso
rapporto – che si pone come eccezione alla figura tipica prevista dalla norma con
riguardo all’ipotesi dell’esistenza di una famiglia nel cui ambito venga gestita
un’attività produttiva con la collaborazione dei suoi componenti – e pertanto non può
essere fatta discendere unicamente dall’esistenza di una clausola contrattuale in
contrasto con il principio maggioritario previsto dal comma 1, cit. art. per le decisioni
ivi indicate, derivando da tale circostanza solo la nullità della stessa clausola e
l’automatica sostituzione della medesima a opera dell’indicata norma di legge».
3. Vi sono delle particolari formalità da porre in essere per la costituzione di
un’impresa familiare?
La legge non richiede per la costituzione dell’impresa familiare particolari formalità.
Sul punto si vedano le seguenti sentenze: «La prestazione di lavoro nell’impresa
familiare prevista dall’art. 230-bis cod. civ. – per il cui sorgere non è necessaria una
manifestazione di volontà negoziale da parte dei soggetti interessati – può avvenire in
regime di subordinazione o di collaborazione personale coordinata (senza vincolo di
subordinazione), dando perciò luogo in entrambi i casi a rapporti le cui controversie
sono assoggettate al rito del lavoro, ai sensi rispettivamente, della disposizione del n.
1 o del n. 3 dell’art. 409 cod. proc. civ., senza che (con particolare riguardo a
quest’ultima previsione) possa attribuirsi alcuna rilevanza al fatto che la nuova
disciplina del rito del lavoro (introdotta dalla legge 533 dell’11 agosto 1973) sia
anteriore alla riforma del diritto di famiglia (attuata con la legge 19 maggio 1975, n.
151)» (Cass. civ., sent. n. 4651, 16 luglio 1981). La costituzione dell’impresa
familiare, di cui all’art. 230-bis cod. civ., richiede una manifestazione di volontà,
espressa o tacita, dei partecipanti, i quali devono essere muniti della qualità di
coniuge, di parente entro il terzo grado o di affine entro il secondo grado; pertanto,
come la nascita di detta impresa non deriva dalla mera qualità di familiare, nei
termini specificati, così la cessazione dell’impresa stessa può verificarsi nonostante
il perdurare della qualità di familiare (nella specie: qualità di coniuge, non esclusa
dalla sopravvenienza di separazione personale), qualora intervenga una
manifestazione di volontà contraria a quella che ne determinò la costituzione (per
esempio, recesso) (Cass. civ., sent. n. 6069, 23 novembre 1984). Qualora l’impresa
28
familiare prevista dall’art. 230-bis cod. civ., sia stata costituita a seguito di negozio
ritualmente formalizzato mediante atto scritto, chi intenda contestare la
configurabilità in concreto di siffatta impresa per essere rimasto ineseguito
l’accordo che vi ha dato origine, ha l’onere di dimostrare rigorosamente tale
inesecuzione, provando che è in realtà mancata quella effettiva collaborazione che
dell’impresa familiare costituisce elemento essenziale (Cass., Sez. lav., sent. n.
1304, 12 febbraio 1997).
4. Chi sono i soggetti che possono formare un’impresa familiare?
I soggetti che possono formare un’impresa familiare sono il coniuge, i parenti (entro
il 3° grado), gli affini (entro il 2° grado). Un’impresa familiare può risultare anche
dalla “mera collaborazione familiare tra coniugi” anche se la sent. della Cassazione,
Sez. lavoro, n. 5781 dell’11 giugno 1999, precisa che è «di per sé insufficiente a
integrare il requisito della partecipazione all’impresa disciplinata dall’art. 230-bis cod.
civ. ove coincida con l’attività oggetto di uno degli obblighi e doveri dei coniugi di cui
all’art. 143 e 147 cod. civ., può valere – soprattutto in caso di preesistenza di un atto
coniugi la qualità di partecipe a detta impresa, qualora essa risulti strettamente
correlata e finalizzata alla gestione della stessa, quale espressione di coordinamento
e frazionamento dei compiti nell’ambito del consorzio domestico, in vista
dell’attuazione dei fini di produzione o di scambio dei beni e servizi propri
dell’impresa familiare».
5. Ricorre la fattispecie dell’impresa familiare quando la prestazione
lavorativa è esercitata dal convivente?
Diverso è il caso della prestazione lavorativa esercitata dal convivente ossia in
presenza della cosiddetta famiglia di fatto: «L’art. 230-bis cod. civ., che disciplina
l’impresa familiare, costituisce norma eccezionale, in quanto si pone come eccezione
rispetto alle norme generali in tema di prestazioni lavorative ed è pertanto
insuscettibile di interpretazione analogica; deve peraltro ritenersi manifestamente
infondata la questione di costituzionalità dell’art. 230-bis nella parte in cui esclude
dall’ambito dei soggetti tutelati il convivente more uxorio, posto che elemento saliente
dell’impresa familiare è la famiglia legittima, individuata nei più stretti congiunti, e
che un’equiparazione fra coniuge e convivente si pone in contrasto con la circostanza
che il matrimonio determina a carico dei coniugi conseguenze perenni e ineludibili
(quale il dovere di mantenimento o di alimenti al coniuge, che persiste anche dopo il
divorzio), mentre la convivenza è una situazione di fatto caratterizzata dalla
precarietà e dalla revocabilità unilaterale ad nutum» (Cass., Sez. lav., sent. n. 4204,
2 maggio 1994).
6. A chi spetta l’amministrazione dell’impresa familiare?
La legge prevede che l’amministrazione spetta alla maggioranza per quello che
concerne l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione
straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa. Sul punto la
Cass., Sez. lav., n. 10412, 4 ottobre 1995, ha specificato che «Il potere di gestione
ordinaria dell’impresa familiare spetta ex art. 230-bis esclusivamente al titolare della
stessa e l’eventuale esercizio di tale potere in violazione degli obblighi scaturenti dalla
norma suddetta comporta non l’invalidità degli atti posti in essere ma unicamente
l’obbligo di risarcire i danni provocati».
Nell’impresa familiare i diritti dei
collaboratori non toccano la titolarità dell’azienda e rilevano solo sul piano
obbligatorio senza comportare alcuna modifica nella struttura dell’impresa facente
capo al titolare della stessa, che solo ha la qualifica di imprenditore e al quale
spettano i poteri di gestione e di organizzazione del lavoro implicanti la
subordinazione dei familiari che lo coadiuvano. Consegue, da una parte, che in sede
di ripartizione degli utili in favore dei familiari compartecipanti non deve tenersi
29
conto degli incrementi del capitale né delle spese del relativo ammortamento; d’altra
parte, che nella quantificazione dell’apporto lavorativo il giudice del merito ben può
differenziare quello dell’imprenditore, ove più gravoso per le maggiori responsabilità
assunte, da quello del familiare che ha prestato la sua attività in posizione di
subordinazione (Cass. civ., Sez. lav., sent. n. 1917, 6 marzo 1999).
7. A quale tipologia di lavoratori sono assimilati i collaboratori familiari?
I collaboratori familiari non rientrano né fra i lavoratori subordinati, né fra le forme
di lavoro atipico (salvo il caso in cui sussista un contratto o incarico in tale senso).
La loro attività deve essere caratterizzata dalla continuità intesa come “la continuità
dell’apporto”, mentre non si esige la continuità della presenza in azienda (Cass.,
Sez. lav., sent. n. 13849, 23 settembre 2002). La Suprema Corte ha inoltre
confermato la decisione di merito nella parte in cui essa aveva ritenuto accertata la
sussistenza di un apporto continuativo idoneo a configurare la partecipazione
all’impresa familiare alla stregua della redazione giornaliera della contabilità, della
tenuta dei rapporti con i fornitori, dell’aiuto, anche se non continuativo, all’esercizio
dell’attività aziendale. Anche la sent. n. 8033 della Cassazione, Sez. lav., 26 agosto
1997 sottolinea che «i requisiti dei famigliari per la collaborazione nell’impresa
famigliare sono la continuità, coordinazione, esplicazione prevalentemente personale».
8. Quali sono i diritti di chi collabora con l’impresa familiare?
L’art. 230-bis cod. civ. stabilisce che il familiare che presta in modo continuativo la
propria attività di lavoro e quindi prevede che ha diritto al mantenimento secondo la
condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare e
ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine
all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Ancora
più chiara la sent. n. 6559 del 27 giugno 1990 della Cassazione civile: «Nell’ambito
dell’istituto dell’impresa familiare di cui all’art. 230-bis, cod. civ., caratterizzato
dall’assenza di un vincolo societario e dall’insussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato tra i familiari e la persona del capo (quale riconosciuto dai partecipanti
in forza della sua anzianità e/o del suo maggiore apporto all’impresa stessa), vanno
distinti un aspetto interno, costituito dal rapporto associativo del gruppo familiare
quanto alla regolamentazione dei vantaggi economici di ciascun componente, e un
aspetto esterno, nel quale ha rilevanza la figura del familiare-imprenditore, effettivo
gestore dell’impresa, che assume in proprio i diritti e le obbligazioni nascenti dai
rapporti con i terzi e risponde illimitatamente e solidalmente con i suoi beni
personali, diversi da quelli comuni e indivisi dell’intero gruppo, anch’essi oggetto
della generica garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ.; ne consegue che il
fallimento di detto imprenditore non si estende automaticamente al semplice
partecipante all’impresa familiare».
9. Le disposizioni sull’impresa familiare si applicano anche nei casi di famiglia
coltivatrice?
In tema di contratti agrari, la sent. n. 9693 della Cass. Civ., Sez. III, 14 settembre
1995, precisa che «l’art. 48 della legge 203/1982 ha esteso alla famiglia coltivatrice
alcuni fondamentali principi dettati dall’art. 230- bis cod. civ. per l’impresa familiare,
attribuendo rilevanza esterna all’attività di collaborazione di ciascuno dei suoi
componenti, i quali nel loro insieme costituiscono un organismo collettivo formato dai
familiari consorziati, finalizzato all’esercizio di un’impresa agraria, cui è applicabile il
principio dell’amministrazione disgiuntiva nei confronti di tutti i partecipanti, ognuno
dei quali ha il potere di rappresentare il gruppo; ne consegue che, mancando da parte
della famiglia coltivatrice la nomina di un rappresentante, ciascuno dei componenti
può agire o, comunque, stare in giudizio con relativa legittimazione attiva e passiva e
con effetto nei confronti degli altri familiari, senza necessità della loro chiamata in
30
causa, ove in relazione al rapporto dedotto non sia ipotizzabile una sua diversa
posizione individuale». «Il requisito dell’abitualità della prestazione lavorativa ai fini
della operatività in agricoltura dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro a
norma dell’art. 205, comma 1, lett. b), D.P.R. 1124/1965, se non implica i connotati
dell’assolutezza o dell’esclusività delle prestazioni di opera manuale del soggetto,
richiede tuttavia sicuri e inequivoci profili di continuità e frequenza e pertanto una
costante dedizione alle incombenze colturali dell’azienda agricola, esclusa quindi la
rilevanza di un’attività saltuaria, sporadica o di occasionale sostituzione (fattispecie
relativa a infortunio accaduto al marito della proprietaria del fondo mentre raccoglieva
ciliegie: la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per
l’inadeguatezza degli accertamenti e delle valutazioni riguardo al requisito
dell’abitualità)» (Cass., Sez. lav., sent. n. 523, 21 gennaio 1998).
10. Su chi ricadono gli obblighi di sicurezza nel caso di impresa familiare
composta da padre e figlio?
Nel caso in cui un’impresa familiare sia composta da padre e figlio la prassi e la
giurisprudenza prevede che siano soci in posizione paritaria tra loro e che hanno
l’obbligo di adottare le misure di sicurezza. La responsabilità di un evento dannoso
ricade su ciascuno di essi. Tale caso è molto frequente e la sent. n. 18683 della
Cass. pen., 22 aprile 2004, ha disposto: «Nell’ambito di un’impresa familiare,
l’obbligo di adottare le misure necessarie alla tutela dell’integrità fisica dei lavoratori
incombe su tutte le persone che hanno l’obbligo di fare rispettare la normativa
antinfortunistica e, trovandosi i soci in una posizione tra loro paritaria, la
responsabilità di un evento dannoso ricade su ciascuno di essi (fattispecie relativa
all’utilizzo di una scala priva dei dispositivi di sicurezza)». «L’obbligo di adottare le
misure idonee e necessarie alla tutela dell’integrità fisica dei lavoratori, quando si
tratti di società di persone e non risulti l’espressa delega a persona di particolare
competenza nel settore della sicurezza, incombe su ciascun socio» (cfr. Cass., sent. n.
8195, 5 settembre 1997 e sent. n. 6300, 16 febbraio 1989). Di conseguenza nella
società di fatto, qual è l’impresa familiare, i soci si trovano in una posizione
paritaria, e la responsabilità dell’evento dannoso ricade su ciascuno di essi, e
quindi anche sul ricorrente. È ovvio che la violazione alle norme di sicurezza è a
carico di tutte le persone che avevano l’obbligo di fare rispettare la normativa
antinfortunistica e i relativi oneri. Si noti che l’omissione configura comunque
un’ipotesi di responsabilità, prevista dall’art. 43 cod. pen. (colpa per violazione di
leggi). Nessun problema di interpretazione è riscontrabile con il D.Lgs. 494/1996
che in modo chiaro all’art. 9 indica gli obblighi a carico dei datori di lavoro delle
imprese esecutrici e dispone che anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica
impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti e si impone l’adozione delle
misure conformi alle prescrizioni di cui all’allegato IV, la cura delle condizioni di
rimozione dei materiali pericolosi, previo, se del caso, coordinamento con il
committente o il responsabile dei lavori.
Sezione V
Il lavoratore autonomo
1. Gli obblighi di sicurezza dettati dal D.Lgs 81/08 gravano anche sui
lavoratori autonomi? Quale norma lo prevede?
Le disposizioni contenute nel D.Lgs 81/2008, secondo quanto indicato nell’art. 3
comma 4 dello stesso decreto e relativo al suo campo di applicazione, “si applicano a
tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi
equiparati, fermo restando quanto previsto dai commi successivi del presente articolo”
il quale al comma 11 precisa in più che “nei confronti dei lavoratori autonomi di cui
31
all'articolo 2222 del codice civile si applicano le disposizioni di cui agli articoli 21 e
26“.
2. Cosa si intende per lavoratore autonomo?
A norma dell’art. 2222 del codice civile ricorre la figura del lavoratore autonomo
quando una persona si obbliga a compiere dietro un corrispettivo (1351) un'opera o
un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione
nei confronti del committente.
3. Quali sono i tratti distintivi del lavoro autonomo e di quello subordinato?
L'ordinamento giuridico lascia l'imprenditore libero di avvalersi o dello strumento
del lavoro subordinato o dello strumento del lavoro autonomo a seconda della sua
convenienza e del suo insindacabile giudizio ed anche, d'altra parte, il lavoratore di
fare liberamente una scelta corrispondente. Le parti, fatte le valutazioni del caso,
dopo una trattativa faranno la loro scelta: quindi alla « volontà » delle parti che
occorre guardare per comprendere se le stesse hanno scelto l'uno o l'altro
strumento per regolare i loro rapporti. Non è tanto al tipo di attività svolto o al
rischio e alla sua incidenza o le singole modalità del rapporto che occorre guardare,
ma piuttosto alla « volontà » delle parti contenuta nel negozio giuridico. La stessa
attività potrà essere oggetto tanto di un rapporto di lavoro subordinato quanto di un
rapporto di lavoro autonomo (p. es. l'attività di un medico, di un legale, ecc.). Sarà
opera dell'interprete individuare la vera volontà delle parti tenendo peraltro presente
vuoi la possibilità di una simulazione delle parti stesse vuoi quella di un negozio in
frode alla legge. E’ noto infatti che al di là del nomen iuris del negozio l'interprete
deve guardare alla effettiva natura ed al reale contenuto del rapporto che è stato
messo in essere.
4. Esistono degli indici di riconoscimento delle due figure?
Ed a questo punto si rende necessario approfondire la diversa struttura dei due
istituti. Essi sono regolati da due norme ben distinte: l'art. 2094 definisce il
prestatore di lavoro subordinato «chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare
nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e
sotto la direzione dell'imprenditore», l'art. 2222 definisce il lavoratore autonomo la
«persona che si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio con
lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del
committente». Messi a confronto i due articoli, il 2094 e il 2222 c.c., rivelano
l'elemento differenziatore sostanziale: nel primo leggiamo «è prestatore di lavoro
subordinato chi si obbliga a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro... alle
dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore», nel secondo leggiamo che è
lavoratore autonomo chi «Si obbliga a compiere un'opera o un servizio... senza vincolo
di subordinazione». «Subordinato» e «alle dipendenze e sotto la direzione
dell'imprenditore» il primo; «senza vincolo di subordinazione» il secondo. È quindi a
questo elemento della «subordinazione» che occorre guardare per avere l'elemento
discriminatore.
5. Cosa deve intendersi per subordinazione?
Qui ci soccorre la giurisprudenza che definisce la subordinazione quale
«l'assoggettamento del lavoratore alle direttive ed alla vigilanza del datore di lavoro» e
ancora «oggetto del contratto di lavoro subordinato è la prestazione di attività
lavorativa in regime di collaborazione e di subordinazione con l'effetto dell'inserimento
del prestatore di lavoro nell'organizzazione aziendale dell'imprenditore alle
dipendenze e sotto la supremazia gerarchica e tecnico-amministrativa di costui». Non
possiamo che condividere questi orientamenti accentuandone anzi i tratti essenziali
col definire la subordinazione come una «potenziale dipendenza totale» del
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lavoratore intesa non solo come dipendenza alle direttive dell'imprenditore
nell'attività specifica ma anche nella persona stessa del lavoratore per cui questi,
una volta inserito nell'organizzazione, è tenuto a prestare la sua attività con
continuità, può essere anche adibito ad altra attività (c.d. mutamento di mansioni)
purchè equivalente, può essere trasferito ad altra sede, è tenuto all'osservanza di
una disciplina e nel caso di infrazioni può essere assoggettato a provvedimenti
disciplinari: connotati tutti questi che non ricorrono nel rapporto di lavoro
autonomo dove le ingerenze del datore di lavoro sulla sfera del lavoratore non
raggiungono un grado così elevato. Ovviamente la subordinazione in concreto si
presenterà in forme più o meno intese e più o meno attenuate a secondo del tipo di
attività esplicata dal lavoratore. Così sarà certamente più coinvolgente per i
lavoratori svolgenti mansioni a carattere esecutivo e meno per i lavoratori esplicanti
mansioni a più elevato contenuto, quali quelle del medico e del professionista in
genere, anche se nella realtà concreta non mancano forme di forti condizionamenti
dell'imprenditore anche su tali lavoratori e ciò con grave discapito delle stesse regole
tecniche e professionali nonché deontologiche.
Sezione VI
I coltivatori diretti del fondo e gli artigiani
1. Cosa deve intendersi, ai fini della sicurezza sul lavoro, per imprenditore
artigiano?
È imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in
qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con
tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura
prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo. Sono escluse
limitazioni alla libertà di accesso del singolo imprenditore all’attività artigiana e di
esercizio della sua professione. Sono fatte salve le norme previste dalle specifiche
leggi statali. L’imprenditore artigiano, nell’esercizio di particolari attività che
richiedono una peculiare preparazione ed implicano responsabilità a tutela e
garanzia degli utenti, deve essere in possesso dei requisiti tecnico-professionali
previsti dalle leggi statali.
2. Quali sono le caratteristiche dell’impresa artigiana? Esistono condizioni di
ordine dimensionale per la qualificazione dell’impresa?
È artigiana l’impresa che, esercitata dall’imprenditore artigiano nei limiti
dimensionali di cui alla presente legge, abbia per scopo prevalente lo svolgimento di
un’attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi,
escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di
intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano
solamente strumentali e accessorie all’esercizio dell’impresa. È artigiana l’impresa
che, nei limiti dimensionali di cui alla presente legge e con gli scopi di cui al
precedente comma, è costituita ed esercitata in forma di società, anche cooperativa,
escluse le società per azioni ed in accomandita per azioni, a condizione che la
maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro
personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell’impresa il lavoro
abbia funzione preminente sul capitale (comma così modificato dall’art. 13, c. 1, L.
n. 57/2000).
È altresì artigiana l’impresa che:
a) è costituita ed esercitata in forma di società a responsabilità limitata con
unico socio sempreché il socio unico sia in possesso dei requisiti indicati dall’art. 2
e non sia unico socio di altra società a responsabilità limitata o socio di una società
in accomandita semplice;
33
b) è costituita ed esercitata in forma di società in accomandita semplice,
sempreché ciascun socio accomandatario sia in possesso dei requisiti indicati
dall’art. 2 e non sia unico socio di una società a responsabilità limitata o socio di
altra società in accomandita semplice (comma aggiunto).
In caso di trasferimento per atto tra vivi della titolarità delle società di cui al terzo
comma, l’impresa mantiene la qualifica di artigiana purché i soggetti subentranti
siano in possesso dei requisiti di cui al medesimo terzo comma (comma aggiunto).
L’impresa artigiana può svolgersi in luogo fisso, presso l’abitazione dell’imprenditore
o di uno dei soci o in appositi locali o in altra sede designata dal committente
oppure in forma ambulante o di posteggio. In ogni caso, l’imprenditore artigiano può
essere titolare di una sola impresa artigiana.
3. L’impresa artigiana può essere svolta con la prestazione d’opera di
personale dipendente diretto personalmente dall’imprenditore artigiano o dai
soci?
L’impresa artigiana può essere svolta anche con la prestazione d’opera di personale
dipendente diretto personalmente dall’imprenditore artigiano o dai soci, sempre che
non superi i seguenti limiti:
a) per l’impresa che non lavora in serie: un massimo di 18 dipendenti,
compresi gli apprendisti in numero non superiore a 9; il numero massimo dei
dipendenti può essere elevato fino a 22 a condizione che le unità aggiuntive siano
apprendisti;
b) per l’impresa che lavora in serie, purché con lavorazione non del tutto
automatizzata: un massimo di 9 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero
non superiore a 5; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 12 a
condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti;
c) per l’impresa che svolge la propria attività nei settori delle lavorazioni
artistiche, tradizionali e dell’abbigliamento su misura, un massimo di 32
dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 16; il numero
massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 40 a condizione che le unità
aggiuntive siano apprendisti. I settori delle lavorazioni artistiche e tradizionali e
dell’abbigliamento su misura saranno individuati con decreto del Presidente della
Repubblica, sentite le regioni ed il Consiglio nazionale dell’artigianato;
d) per l’impresa di trasporto: un massimo di 8 dipendenti;
e) per le imprese di costruzioni edili: un massimo di 10 dipendenti, compresi gli
apprendisti in numero non superiore a 5; il numero massimo dei dipendenti può
essere elevato fino a 14 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti.
4. Esistono criteri specifici per il calcolo dei dipendenti dell’impresa
artigiana?
Ai fini del calcolo di tali limiti comma:
1) non sono computati per un periodo di due anni gli apprendisti passati in qualifica
ai sensi della legge 19 gennaio 1955, n. 25, e mantenuti in servizio dalla stessa
impresa artigiana;
2) non sono computati i lavoratori a domicilio di cui alla legge 18 dicembre 1973, n.
877, sempre che non superino un terzo dei dipendenti non apprendisti occupati
presso l’impresa artigiana;
3) sono computati i familiari dell’imprenditore, ancorché partecipanti all’impresa
familiare di cui all’articolo 230 bis del codice civile, che svolgano la loro attività di
lavoro prevalentemente e professionalmente nell’ambito dell’impresa artigiana;
4) sono computati, tranne uno, i soci che svolgono il prevalente lavoro personale
nell’impresa artigiana;
5) non sono computati i portatori di handicaps, fisici, psichici o sensoriali;
6) sono computati i dipendenti qualunque sia la mansione svolta.
34
5. Cosa deve intendersi per coltivatore diretto? Esistono dei tratti specifici
per l’identificazione di tale figura?
La figura del coltivatore diretto era già nota al legislatore dal 1942 che la introdusse
nel codice civile: nell'art. 1647 che la definisce in riferimento all'affitto dei fondi
rustici e nell'art. 2083, che lo ha inquadrato nella tipologia dei piccoli imprenditori
agricoli. Benché in dottrina ed in giurisprudenza si sia aperto un dibattito circa
l'omogeneità o meno delle formule definitorie usate, ai predetti fini, dai menzionati
articoli del codice civile, la giurisprudenza prevalentemente propende per una
sostanziale omogeneità in ordine ai parametri definitori, specie quello della
prevalenza del lavoro proprio e dei componenti della famiglia, anche se tende a
distinguere al nozione di coltivatore diretto da quella di piccolo imprenditore
agricolo, relativamente al tipo di attività agricola, esigendo ai fini della prima
qualifica che essa sostanzi in un'attività diretta alla coltivazione del fondo, ed
escludendo quelle altre attività, quali l'allevamento e la silvicoltura, che pure l'art.
2135 c.c. enumera tra quelle agricole. Circa gli ulteriori tratti caratterizzanti la
figura del coltivatore diretto - premesso che la predetta qualifica rileva ai fini sociali
per cui le singole leggi di volta in volta la richiedano e che in quanto tale va, altresì,
tenuta distinta dalle altre differenti qualifiche rilevanti ai diversi fini specifici
perseguiti dalle leggi speciali che la contemplano, (si veda ad es. la L. 203/82 la
quale sebbene tenga distinte le qualifiche di coltivatore diretto ed imprenditore
agricolo a titolo principale, a certi limitati effetti le equipara: così per la durata del
contratto di affitto l'art. 22, comma 2, equipara all'affittuario coltivatore diretto
l'affittuario non coltivatore diretto che sia imprenditore agricolo a titolo principale) si osserva che essi si evincono in primo luogo dai richiamati artt. 1647 e 2083 cod.
civ. (Cass. 4481/85), come integrati dalle leggi speciali di settore, specie in ordine al
rapporto - espresso in termini di forza lavoro occorrente - tra capacità lavorativa
familiare e fabbisogno lavorativo del singolo fondo (secondo Cass. 4481/85) ovvero
di tutti i fondi in proprietà o in enfiteusi posseduti dal coltivatore (secondo Cass.
2052/88). In tal modo si specifica il requisito della prevalenza del lavoro del gruppo
familiare rispetto ai fattori lavoro (esterno) e capitale attinenti alla organizzazione
dell'attività ci coltivazione. Così la Cassazione (sent. 10430/91) ha sostenuto che la
definizione di coltivatore diretto contenuta nell'art. 6, L. n. 203/82 è riferibile non
solo all'ipotesi dell'affitto, espressamente considerata dallo stesso articolo 6, bensì a
tutte le ipotesi di contratto contemplate dalla L. 203/82 che attribuiscono ad un
determinato soggetto il compito della coltivazione. Nei predetti termini la S.C.
valorizza una definizione tendenzialmente unitaria di coltivatore diretto: nozione che
va completata dal requisito della professionalità, quale si evince dal carattere
abituale ancorché non esclusivo, purché continuativo e stabile, dell'esercizio della
coltivazione del fondo. I menzionati caratteri vanno, comprovati attraverso una
documentazione amministrativa ( ad esempio certificazione del competente Ente
Previdenziale) che sia idonea a suffragare la dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà circa la qualità di coltivatore diretto ( di per se priva di valore probatorio,
almeno in sede giudiziaria, poiché proveniente dall'interessato).
Sezione VII
Piccolo commerciante
1. Cose si intende per commerciante ai fini della sicurezza sul lavoro?
E' commerciante quel soggetto (persona fisica o societa') che esercita un'attivita'
economica consistente nell'acquisto di merci allo scopo di rivenderle. Pertanto il
commerciante e' una figura di operatore economico nettamente distinta
dall'industriale e dall'artigiano, i quali acquistano merci non per rivenderle ma per
35
trasformarle in nuovi prodotti. Naturalmente se l'industriale e l'artigiano vendono
anche articoli da loro non prodotti, sono soggetti alla disciplina del commercio.
2. Come vengono classificate le attività commerciali?
L'attivita' commerciale puo' essere classificata in 3 tipi:
COMMERCIO ALL'INGROSSO
Esercita il commercio all'ingrosso chi acquista merci e le rivende:
• ad altri commercianti (grossisti, dettaglianti, esercenti pubblici)
• a utilizzatori professionali (industrie, aziende artigiane ecc)
Pertanto il grossista non puo' vendere al consumatore finale, anche se questi e'
disposto ad acquistare grandi quantitativi. Rientra nell'ambito del commercio
all'ingrosso anche il commercio di importazione ed esportazione.
COMMERCIO AL DETTAGLIO
E' il commercio esercitato da chi acquista merci e le rivende direttamente al
consumatore finale, ovvero al pubblico in generale.
Dunque il commercio
all'ingrosso e il commercio al dettaglio si differenziano per il tipo di cliente a cui si
rivolgono e non per la quantita' di merci scambiate. Il commercio al dettaglio puo'
essere esercitato sotto diverse forme; le piu diffuse sono quella in sede fissa (negozi)
e quella ambulante (o su aree pubbliche)
SOMMINISTRAZIONE DI ALIMENTI E BEVANDE
E' l'attivita' svolta da chi somministra al pubblico alimenti e bevande che sono
consumati sul posto (bar, ristoranti, pizzerie ecc)
3. Quali sono i criteri discretivi ai fine della distinzione tra piccolo, medio e
grande commerciante?
Ai fini della distinzione tra piccolo, medio e grande commerciante, bisogna tener
conto dell'attività svolta, dell'organizzazione dei mezzi impiegati, dell'entità
dell'impresa e delle ripercussioni che il dissesto produce nell'economia generale. In
particolare, secondo la Suprema Corte di cassazione (Cass., Sez. I, sent. n. 3690 del
28-03-2000” l'esercente l'attività di commercio ambulante può perdere i connotati
di "piccolo imprenditore", e divenire, pertanto, soggetto passivo di procedure
concorsuali, qualora organizzi ed estenda la propria attività in modo ed in misura
tali da far assumere alla stessa le caratteristiche della impresa industriale, e da
indirizzarla al conseguimento del profitto, e non solo del guadagno - normalmente
modesto - ricavabile da un'attività organizzata prevalentemente con il lavoro proprio
e della propria famiglia. Ne consegue che, ai fini dell'assoggettabilità a fallimento
dell'esercente il commercio ambulante, assumono rilievo decisivo le dimensioni
dell'attività dallo stesso svolta, le quali non possono essere desunte dalla entità
della esposizione debitoria che non abbia origine nell'esercizio dell'attività
imprenditoriale, e che costituisce, in mancanza di tale nesso con detta attività, solo
un elemento per stabilire lo stato di dissesto dell'imprenditore, ma non escludere la
sua qualifica di piccolo imprenditore”.
4. Esistono particolari indici di riconoscimento della figura del piccolo
commerciante?
Secondo autorevole dottrina il criterio discretivo consisterebbe nella prevalenza del
lavoro proprio e dei componenti della famiglia sul lavoro altrui e sul capitale
investito e tale caratteristica costituirebbe il connotato distintivo di tutti i piccoli
commercianti. La giurisprudenza segue l’orientamento dominante, infatti considera
il criterio della prevalenza del lavoro proprio e familiare come il parametro distintivo
di tutti i piccoli imprenditori.
In sintesi occorrono dunque due elementi tra loro interdipendenti al fine di
individuare il piccolo commerciante:
a) che l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa;
36
b) che il suo lavoro e quello degli eventuali familiari che collaborano nell’impresa
prevalgano sia rispetto al lavoro altrui sia rispetto al capitale (proprio o altrui)
investito nell’impresa.
5. Può essere considerato un piccolo commerciante chi si avvale del lavoro
proprio ma fa utilizzo dei macchine molto costose?
Non è perciò piccolo commerciante chi utilizzi nel processo produttivo macchine
molto costose o, comunque, effettui ingenti investimenti di capitale, anche se non si
avvale di alcun collaboratore o ricorre in misura assai limitata al lavoro di
dipendenti. Emblematico è il caso del gioielliere, che non utilizzi commessi e stia di
persona al banco di vendita. Egli non potrà essere considerato in ragione di ciò un
piccolo commerciante, perché l’investimento del capitale, necessario in questo
genere di attività commerciale, è nettamente prevalente sulla sua opera personale.
Un primo orientamento minoritario opina per il ricorso al criterio quantitativo –
aritmetico. Si tratterebbe di individuare il valore di mercato delle mansioni
esecutive svolte personalmente dall’imprenditore (ed eventualmente dei suoi
famigliari) facendo riferimento allo stipendio annuo che la contrattazione collettiva
riserva a tali mansioni.
6. Come deve essere determinata la prevalenza del lavoro proprio rispetto al
capitale investito per la qualificazione del piccolo commerciante?
Per quanto attiene alla prevalenza del lavoro sul capitale investito occorrerebbe
tenere conto non solo del capitale proprio, ma anche di quello risultante dal ricorso
al credito. L’orientamento maggioritario e in genere la giurisprudenza sostengono
che la prevalenza del lavoro proprio e dei componenti della famiglia debba
correttamente intendersi in senso qualitativo – funzionale. Si tratterebbe cioè di
stabilire, se funzionalmente, in relazione all’attività esercitata e agli obiettivi
perseguiti, l’apporto personale dell’imprenditore sia più rilevante dell’apporto altrui
e /o dei capitali investiti. È da valutare l’impatto che sul tema potrà avere l’art. 1
della nuova legge fallimentare, norma che all’evidenza privilegia una valutazione
eminentemente quantitativa del fenomeno della piccola impresa, in una prospettiva
che sembra superare la tradizionale centralità della figura del piccolo imprenditore.
Quest’ultimo, infatti, alla luce della novella potrebbe legittimamente effettuare
investimenti e conseguire remunerazioni significative senza perdere la veste di
piccolo imprenditore: e ciò potrebbe essere letto come una forte attenuazione della
rilevanza del lavoro svolto dal piccolo imprenditore (e dalla sua famiglia), in ordine
alla definizione del concetto di prevalenza.
Il tema se il nuovo criterio proposto dall’art. 1 L. Fall. rivesta un valore sistematico
che trascende la disciplina concorsuale e influenzi la stessa nozione di prevalenza, è
importante anche per sue evidenti e gravi implicazioni pratiche: non si può
escludere che su di esso si possa aprire un ampio dibattito interpretativo. Resta
valido il rilievo che i due tradizionali criteri possono portare a soluzioni
diametralmente opposte in casi analoghi – onde un criterio numerico certo
agevolerebbe notevolmente gli accertamenti e le indagini.
Sezione VIII
Lavoratrici madri
1. Quali sono i principali diritti di una lavoratrice madre?
Le condizioni di lavoro devono consentire alla donna lavoratrice l'adempimento della
sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale
e adeguata protezione.
Nei periodi di gravidanza e puerperio la lavoratrice pertanto:
37



è legittimata ad assentarsi dal lavoro, con diritto alla conservazione del
posto, per un periodo stabilito dalle leggi, dalla contrattazione collettiva, dagli
usi o secondo equità;
ha diritto ad un trattamento economico previdenziale a carico dell'INPS
(generalmente anticipato dal datore di lavoro) ovvero, in mancanza o ad
integrazione dello stesso, a trattamenti retributivi previsti dalla
contrattazione collettiva;
ha diritto al computo del periodo di assenza per le cause anzidette
nell'anzianità di servizio.
2. Cosa si intende per lavoratrice madre? Qual’è il campo di applicazione della
normativa?
Le norme legislative con le quali è stata disposta una particolare tutela delle
lavoratrici madri si applicano a tutte le lavoratrici, comprese le apprendiste, che
prestano la loro opera alle dipendenze di privati datori di lavoro e dalle società
cooperative anche se socie di queste ultime (Art. 2, lett. e, D.Lgs. n. 151/2001).
Tale tutela si applica, altresì, alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in
adozione o in affidamento, fino al compimento dei sette mesi di età (art. 6, comma
secondo, D.Lgs. 151/2001).
3. Quale sono le norme che si applicano alle lavoratrici a domicilio?
Alle lavoratrici a domicilio ed a coloro addette ai servizi domestici e familiari si
applicano le seguenti disposizioni di cui al D.Lgs. n. 151/2001:
 art. 6, comma terzo, in ordine all'assistenza sanitaria;
 artt. 16 e 17, circa il divieto di adibire al lavoro le donne;
 art. 22, comma terzo, per quanto concerne il trattamento economico e
previdenziale;
 art. 54 (limitatamente alle lavoratrici a domicilio) in riferimento al divieto di
licenziamento.
Tutto ciò salve, in ogni caso, le eventuali condizioni di maggior favore stabilite da
leggi, regolamenti, contratti e ogni altra disposizione.
4. Sono un datore di lavoro che ha assunto alle proprie dipendenze una
lavoratrice madre. Quali sono i miei obblighi?
Durante il periodo di gestazione e fino a sette mesi dopo il parto, è vietato adibire le
lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai "... lavori pericolosi,
faticosi ed insalubri" intendendosi per questi ultimi i lavori indicati dall'art. 5 del
D.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026 e riportati nell'Allegato A del D.Lgs. n. 151/2001
(art. 7 del D.Lgs. 151/2001).
Ne consegue che nel periodo indicato è vietato adibire le lavoratrici a lavori quali il
trasporto _ sia a braccia che a spalle, sia con carretti a ruote su strade o su guida, e
al sollevamento dei pesi, compreso il carico e scarico e ogni altra operazione
connessa _ o a lavori che comportino l'esposizione alle radiazioni ionizzanti o ancora
a quelli da espletarsi su scale ed impalcature mobili e fisse.
Per quanto concerne le radiazioni ionizzanti, peraltro, si rileva quanto stabilito
dall'art. 8 del D.Lgs. n. 151/2001 secondo cui "... le donne, durante la gravidanza,
non possono svolgere attività in zone classificate o, comunque, essere adibite ad
attività che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che ecceda un "millisievert"
durante il periodo della gravidanza" aggiungendo che "... è fatto obbligo alle
lavoratrici di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, non appena
accertato ..." e che "... è altresì vietato adibire le donne che allattano ad attività
comportanti un rischio di contaminazione".
38
Le lavoratrici madri, inoltre, non possono essere adibite a quei lavori che
comportino il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro indicati
nell'elenco di cui all'Allegato B del decreto medesimo (art. 7 del D.Lgs. n.
151/2001).
In particolare, le lavoratrici madri non possono essere impiegate in lavorazioni che
espongano loro ad agenti fisici _ lavoro in atmosfera di sovrappressione elevata, ad
esempio in camere sotto pressione, immersione subacquea ovvero biologici (quali
toxoplasma e virus della rosolia, a meno che sussista la prova che la lavoratrice è
sufficientemente protetta contro questi agenti dal suo stato di immunizzazione) o,
infine, chimici quali il piombo e suoi derivati, nella misura in cui questi agenti
possono essere assorbiti dall'organismo umano.
Parimenti è vietato impiegare le lavoratrici madri nell'espletamento di lavori
sotterranei di carattere minerario.
5. E’ necessario presentare il certificato medico di gravidanza per poter fruire
dei diritti che la normativa concede alle lavoratrici madri?
Gli obblighi a carico del datore di lavoro derivanti dalle norme di tutela fisica
diventano operativi solo dopo la presentazione del certificato medico di gravidanza.
Tale certificato deve essere presentato il più presto possibile, senza che, tuttavia,
eventuali ritardi comportino per la lavoratrice la perdita dei relativi diritti.
L'inosservanza delle disposizioni evidenziate, infine, è punita con l'arresto fino a sei
mesi (art. 7, comma settimo, D.Lgs. n. 151/2001).
6. Sono una lavoratrice divenuta da poco tempo madre. In seguito alla mia
gravidanza il datore di lavoro ha variato le mie mansioni. E’ legittimo?
Durante il periodo di gestazione e fino a 7 mesi dopo il parto le lavoratrici possono
essere addette ad altre mansioni rispetto a quelle ordinariamente svolte. Ai sensi
degli artt. 7 e 17 del D.Lgs. n. 151/2001, lo spostamento ad altre mansioni può
essere altresì disposto per quelle lavoratrici che, a giudizio dei Servizi ispettivi del
Ministero del lavoro, prestino la loro opera in condizioni di lavoro o ambientali
pregiudizievoli per la loro salute. Tale spostamento può essere disposto dai Servizi
ispettivi del Ministero del lavoro sia d'ufficio che su istanza della lavoratrice. Il
periodo per il quale è prevista la possibilità di spostamento ad altre mansioni può
essere frazionato in periodi minori anche rinnovabili su disposizione dei Servizi
ispettivi del Ministero del lavoro. Le lavoratrici adibite a mansioni inferiori a quelle
abituali conservano la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente
svolte e la qualifica originale. Nel caso in cui le lavoratrici vengano adibite a
mansioni equivalenti o superiori hanno diritto al trattamento corrispondente
all'attività svolta (ex art. 2103 cod. civ.). Nei casi in cui la lavoratrice non possa
essere impiegata in altre mansioni, il Servizio ispettivo del Ministero del lavoro,
competente per territorio, può disporre inoltre l'interdizione dal lavoro per tutto il
periodo necessario sulla scorta di idoneo accertamento sanitario.
In ogni caso il provvedimento dovrà essere emanato entro sette giorni dalla ricezione
dell'istanza della lavoratrice (art. 17, comma terzo, D.Lgs. n. 151/2001). Si
evidenzia, infine, che tutti i citati provvedimenti adottati dai Servizi ispettivi sono
definitivi e l'inosservanza degli stessi è punita con l'arresto sino a sei mesi.
7. Sono una lavoratrice madre addetta alla vigilanza di uno stabile. E’
frequente che la mia attività mi porti a svolgere lavoro notturno. Quali sono i
miei diritti in proposito?
Ai sensi dell'art. 53 del D.Lgs. n. 151/2001, è vietato adibire le donne al lavoro dalle
ore 24 alle ore 6 per tutto il periodo intercorrente dall'accertamento dello stato di
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gravidanza sino al compimento di un anno di età del bambino. Non può essere
obbligata, altresì, a prestare lavoro notturno la lavoratrice madre di un figlio di età
inferiore a tre anni o la lavoratrice che sia l'unico genitore affidatario di un figlio
convivente di età inferiore a dodici anni. Ai sensi dell'art. 5, comma 2, lett. c), della
legge 9 dicembre 1977, n. 903, infine, non può essere obbligata a prestare lavoro
notturno la lavoratrice che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.
8. In qualità di lavoratrice madre, ho diritto a permessi retribuiti dal lavoro?
Ai sensi dell'art. 14 del D.Lgs. n. 151/2001 le lavoratrici gestanti hanno diritto a
permessi retribuiti per l'effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici ovvero
visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbono essere eseguiti durante
l'orario di lavoro. Per la fruizione dei permessi in parola le lavoratrici devono
presentare al datore di lavoro apposita istanza e, successivamente, la relativa
documentazione giustificativa attestante la data e l'orario di effettuazione degli
esami.
9. Sono un datore di lavoro con alle dipendenze una lavoratrice madre. Quali
obblighi di sicurezza devo adottare? Quali, in particolare, sono i rischi che
devo prendere in considerazione?
Il datore di lavoro, nell'ambito e agli effetti della valutazione dei rischi di cui agli
artt. 28 e seguenti del D.Lgs. n. 81/2008, è tenuto alla valutazione dei rischi per la
sicurezza e la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento
fino a sette mesi dopo il parto, ed alla valutazione in particolare dei rischi di
esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui
all'allegato C _ peraltro non esauriente _ del D.Lgs. n. 151/2001 (art. 11, D.Lgs. n.
151/2001):
1. Agenti fisici
Allorchè vengono considerati come agenti che comportano lesioni del feto e/o
rischiano di provocare il distacco della placenta, in particolare:
a) colpi, vibrazioni meccaniche o movimenti;
b) movimentazioni manuale di carichi pesanti che comportano rischi, soprattutto
dorsolombari;
c) rumore;
d) radiazioni ionizzanti;
e) radiazioni non ionizzanti;
f) sollecitazioni termiche;
g) movimenti e posizioni di lavoro, spostamenti, sia all'interno sia all'esterno dello
stabilimento, fatica mentale fisica e altri disagi fisici connessi all'attività svolta dalle
lavoratrici.
2. Agenti biologici
Agenti biologici dei gruppi di rischio da 2 a 4 nella misura in cui sia noto che tali
agenti o le terapie che essi rendono necessarie mettono in pericolo la salute delle
gestanti e del nascituro.
3. Agenti chimici
Gli agenti chimici seguenti, nella misura in cui sia noto che mettono in pericolo la
salute delle gestanti e del nascituro:
a) sostanze etichettate R 40; R 45; R 46 e R 47 ai sensi della direttiva n.
67/548/CEE;
b) agenti chimici individuati dal relativo allegato al D.Lgs. n. 81/2008;
c) mercurio e suoi derivanti;
d) medicamenti antimitotici;
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e) monossido di carbonio;
f) agenti chimici pericolosi di comprovato assorbimento cutaneo.
10. Quali sono le misure di prevenzione e protezione che il datore di lavoro
deve adottare in caso di presenza nei luoghi di lavoro di lavoratrici madri?
Qualora i risultati della valutazione dei rischi rivelino un rischio per la salute e la
sicurezza delle lavoratrici gestanti, puerpere e in allattamento fino al settimo mese,
il datore di lavoro adotta le misure necessarie affinchè l'esposizione al rischio delle
lavoratrici sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o l'orario di
lavoro (art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 151/2001). Nei casi in cui la modifica delle
condizioni o dell'orario di lavoro non sia possibile per motivi organizzativi o
produttivi, il datore di lavoro è tenuto a modificare le mansioni assegnate alla
lavoratrice madre dandone contestuale informazione scritta al Servizio ispettivo del
Ministero del Lavoro competente per territorio il quale, ove ne ricorrano i
presupposti può disporre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo necessario.
L'omessa adozione di misure di sicurezza alternative e/o suppletive da parte del
datore di lavoro è punita con l'arresto sino a sei mesi (art. 12, comma quarto, D.Lgs.
151/2001).
Sezione IX
Lavoro minorile
1. Cosa si intende per lavoro minorile?
Con la locuzione "lavoro minorile" s'intende indicare il lavoro dei bambini e degli
adolescenti. In particolare _ ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge n. 977/1967 _
"bambino" è il minore che non ha ancora compiuto 15 anni di età o che è ancora
soggetto all'obbligo scolastico mentre "adolescente" è il minore di età compresa tra i
15 ed i 18 anni di età e che non è più soggetto all'obbligo scolastico. L'età minima
per l'ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il
periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore ai 15 anni
compiuti (art. 3 della legge n. 967/1977).
2. Qual è la principale normativa di riferimento? Quali i suoi contenuti?
Il decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 345 _ di attuazione della direttiva n. 94/33
CE _ modificando la legge 17 ottobre 1967, n. 977 ha innovato profondamente la
disciplina previgente in materia di tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti
al fine di adeguare la stessa, in ragione della specificità dei soggetti coinvolti, agli
standards europei. Una specificità, del resto, tradizionalmente considerata
meritevole di una tutela particolarmente attenta e caratterizzata soprattutto dalla
presenza di limiti alla capacità di lavoro in relazione sia all'età sia alle modalità di
impiego. In tale ottica l'art. 37 della Costituzione afferma che "... La legge stabilisce
il limite minimo di età per il lavoro salariato ..." aggiungendo che "... la Repubblica
tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro,
il diritto alla parità di retribuzione". Detta disposizione peraltro è strettamente
connessa ad altri principi stabiliti dalla Carta fondamentale in materia di:
 protezione dell'infanzia e della gioventù (art. 31, comma secondo, Cost.
secondo cui "... La Repubblica ... protegge la maternità, l'infanzia e la
gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo");
 tutela della salute (art. 32 Cost.);
 istruzione scolastica (art. 34, comma 2, Cost. secondo cui "... l'istruzione
inferiore impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita").
In particolare, la nuova disciplina _ il cui impianto generale, in ogni caso, continua
ad essere costituito dalla legge n. 977/1967, stante la scelta del legislatore
nazionale di apportare modifiche ed integrazioni a tale provvedimento anziché
41
abrogarlo _ intende promuovere soprattutto il miglioramento dell'ambiente di lavoro
per garantire un livello più elevato di tutela della salute dei lavoratori minorenni. A
tal riguardo, peraltro, si evidenzia che per quanto non diversamente stabilito dalla
legge n. 977/1967 si applicano le disposizioni del D.Lgs. n. 626/1994, poi confluito
nel D.Lgs. n. 81/2008. La nuova normativa ha unificato le disposizioni in materia di
lavoro minorile estendendone l'applicazione a tutti i rapporti di lavoro, ordinari e
speciali, che riguardino i giovani di età inferiore ai diciotto anni (c.d. minori).
Le nuove disposizioni, pertanto, si applicano anche all'apprendistato, ai contratti di
formazione e lavoro, al lavoro a domicilio, rapporti a termine, ecc.
3. Rientrano nel campo di applicazione della normativa a tutela del lavoro
minorile i lavori occasionali o di breve durata?
Non rientrano nell'ambito di applicazione della normativa in materia di lavoro
minorile quei lavori occasionali o di breve durata svolti dagli adolescenti nei servizi
domestici prestati in ambito familiare, nonché nelle imprese a conduzione familiare
e semprechè tali prestazioni non si concretino in attività nocive e/o pregiudizievoli
(art. 2 della legge n. 977/1967).
Tali prestazioni _ così come precisato dalla circolare del Ministero del lavoro 5
gennaio 2000, n. 1 _ sono quelle che "... non consentono una previa programmazione,
si concretano in attività fuori dalla logica della periodicità svolte da soggetti non
inseriti nell'organizzazione della famiglia o dell'impresa a conduzione familiare".
Con la stessa circolare, peraltro, il Ministero del lavoro ha precisato che "lavori
occasionali" sono le prestazioni casuali, sporadiche o saltuarie. Saltuarietà che,
tuttavia, di per sé non è elemento sufficiente ad escludere la presenza di un
rapporto di lavoro; occorre, quindi, distinguere tra continuità di rapporto e
continuità di prestazione, in quanto è possibile che alla continuità del rapporto si
accompagni l'intermittenza delle prestazioni. I lavori di breve durata possono
riferirsi a quelle prestazioni nelle quali l'elemento temporale non raggiunge quel
minimo necessario affinché l'attività svolta possa essere inclusa nelle fattispecie
tipiche previste dalla legge (es. tutte le ipotesi di contratto a termine).
4. A quali altre categorie di lavoratori non è applicabile la normativa sul lavoro
minorile?
Ai sensi dell'art. 2, comma secondo e terzo, la normativa in materia di lavoro
minorile non si applica:
 alle lavoratrici minori gestanti, puerpere o in allattamento nei confronti delle
quali si applicano le disposizioni del D.Lgs. n. 645/1996 ove queste
assicurino un trattamento più favorevole;
 agli adolescenti occupati a bordo delle navi per i quali sono fatte salve le
specifiche disposizioni legislative o regolamentari in materia di sorveglianza
sanitaria, lavoro notturno e riposo settimanale in ragione di una riconosciuta
peculiarità ed inderogabilità delle norme sul lavoro marittimo. L'interesse
generale alla sicurezza della navigazione, infatti, è ritenuto prevalente
rispetto alla tutela predisposta per il lavoro subordinato.
5. Qual’è l’età minima per l’accesso al lavoro?
L'art. 3 della legge n. 977/1967 fissa l'età minima per l'ammissione al lavoro al
momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e
comunque non prima che lo stesso abbia compiuto i 15 anni di età.
Proprio l'assolvimento dell'obbligo scolastico costituisce il tratto distintivo tra la
definizione di "bambino" _ minore che non ha ancora compiuto 15 anni di età o che
è ancora soggetto all'obbligo scolastico _ e l'adolescente inteso, invece, come il
minore di età compresa tra i 15 ed i 18 anni di età e non più soggetto all'obbligo
scolastico (art. 1, comma secondo, lett. a) e b). Appare evidente, in sostanza, il
42
principio secondo cui l'età minima di ammissione al lavoro non può essere inferiore
all'età in cui cessa l'obbligo scolastico. Principio questo, confermato espressamente
dall'art. 4 della legge n. 977/1967 secondo cui è vietato adibire al lavoro i bambini
(salvo i casi di cui al paragrafo successivo). Con particolare riferimento alla
sussistenza di tali requisiti, il Ministero della pubblica istruzione, con la circolare n.
22 del 1º febbraio 1999, in via transitoria e sino all'approvazione di un generale
riordino del sistema scolastico e formativo che preveda l'obbligatorietà con durata
decennale _ ha stabilito che attualmente l'obbligo di cui si discute è da considerarsi
assolto:
 da coloro che, nell'anno scolastico 1997/1998 hanno conseguito il diploma di
licenza di scuola media;
 da coloro che, alla data del 31 dicembre 1998, hanno compiuto il 15º anno di
età e dimostrino di aver osservato, per almeno otto anni, le norme
sull'obbligo;
 da coloro che, alla data del 31 agosto 1999, hanno adempiuto, per almeno
nove anni, all'obbligo in questione.
6. Esistono deroghe particolari al divieto di lavoro minorile?
Una deroga al generale divieto di adibire al lavoro i bambini _ sancito dall'art. 4 della
legge n. 977/1967 _ è costituita dall'impiego degli stessi, in via eccezionale, in
attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel
settore dello spettacolo.
In tali casi _ ai sensi dell'art. 4 citato e secondo le modalità autorizzatorie dettate
dall'art. 2 del D.P.R. n. 365/1994 _ la Direzione provinciale del lavoro competente
per territorio può autorizzare, previo assenso scritto dei titolari della potestà
genitoriale, l'impiego dei minori purché si tratti di attività che non pregiudichino la
sicurezza, l'integrità psico_fisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o
la partecipazione ai programmi di orientamento o di formazione professionale. La
prestazione lavorativa del minore impiegato in tali attività, in ogni caso, non può
protrarsi per un periodo di tempo superiore alle ventiquattro ore. Con particolare
riferimento a tale autorizzazione si evidenzia quanto stabilito dalla circolare del
Ministero del lavoro 5 gennaio 2000, n. 1 secondo cui è da intendersi esclusa
l'autorizzazione per tutte quelle attività che, per la loro natura intrinseca, per le
modalità di svolgimento o per il loro carattere episodico ed estemporaneo, non siano
in alcun modo assimilabili al concetto di lavoro e neanche ad una vera e propria
"occupazione" che, di per sé, è caratterizzata da elementi soggettivi, oggettivi,
temporali e programmatici.
Parimenti, si potrà prescindere dalla preventiva autorizzazione nel caso di attività
non retribuita svolta nell'ambito di iniziative didattiche promosse da organismi
pubblici istituzionali aventi compiti di educazione e formazione dei minori.
7. Quali sono gli adempimenti e gli obblighi di sicurezza che competono al
datore di lavoro con riferimento al lavoro minorile?
Come è noto, l'art. 17 del D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce l'obbligo per il datore di
lavoro di valutare i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori in relazione
alla natura dell'attività svolta, con particolare riguardo alla scelta delle attrezzature
di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella
sistemazione dei luoghi di lavoro. L'art. 7 della legge n. 977/1967 _ riprendendo
quanto disposto in via generale dall'art. 4 citato _ stabilisce che il datore di lavoro,
prima di adibire i minori al lavoro e in occasione del verificarsi di qualsivoglia
modifica rilevante delle condizioni di lavoro, deve effettuare la suddetta valutazione
dei rischi avendo riguardo, in particolare:
43
a) allo sviluppo non ancora completo, alla mancanza di esperienza e di
consapevolezza nei riguardi dei rischi lavorativi, esistenti o possibili, in relazione
all'età;
b) alle attrezzature ed alla sistemazione del luogo e del posto di lavoro;
c) alla natura, grado e durata di esposizione agli agenti chimici, biologici e fisici;
d) alla movimentazione manuale dei carichi;
e) alla sistemazione, alla scelta, alla utilizzazione ed alla manipolazione delle
attrezzature di lavoro e, segnatamente degli agenti, macchine, apparecchi e
strumenti;
f) alla pianificazione dei processi di lavoro e dello svolgimento del lavoro e della loro
interazione sull'organizzazione generale;
g) alla situazione della formazione e dell'informazione dei minori.
Si evidenzia peraltro, nel caso in cui siano impiegati dei minori, l'obbligo per il
datore di lavoro di fornire le informazioni di cui all'art. 36 del D.Lgs. n. 81/2008
anche ai titolari della potestà genitoriale (art. 7, comma 2, legge n. 977/1967). Per
quanto concerne, infine, le lavoratrici minori gestanti, puerpere o in allattamento il
datore di lavoro deve valutare i rischi per la salute e la sicurezza di tali lavoratrici e
procedere alla modifica temporanea delle condizioni o dell'orario di lavoro
ottemperando all'obbligo di informazione (artt. 4 e 5, D.Lgs. n. 645/1996).
8. Esistono delle lavorazioni per le quali è vietato adibire al lavoro gli
adolescenti?
Ai sensi dell'art. 6 della legge n. 977/1967 è vietato adibire gli adolescenti alle
lavorazioni, ai processi ed ai lavori indicati nell'Allegato I della legge citata così come
modificata dal D.Lgs n. 345/1999. Il suddetto allegato, in particolare, elenca tutte
le lavorazioni, i processi ed i lavori distinguendo tra esposizioni ad agenti chimici,
fisici e biologici.
Con riguardo ai singoli agenti il Ministero del lavoro, con la circolare n. 1/2000, ha
evidenziato quanto segue:
a) Rumore
Il divieto di esposizione al rumore non opera automaticamente ma discende dalla
valutazione dei rischi e scatta a partire da un livello di 80 dbA. La valutazione deve
essere operata sulla base delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 81/2008 _ che regola
la materia già regolata dall'art. 40 del D.Lgs. n. 277/1991 e dall'art. 49 quinquies
del D.Lgs. n. 626/1994.
b) Agenti chimici
Fermo restando il divieto assoluto di esposizione agli agenti etichettati come molto
tossici, tossici, corrosivi, esplosivi ed estremamente infiammabili, per gli agenti
nocivi ed irritanti il divieto vige solo per quelli etichettati con le frasi di rischio
riportate nel relativo Allegato. Ad esempio, tra gli agenti irritanti sono vietati solo
quelli sensibilizzanti per inalazione o per contatto cutaneo.
Per tutti gli agenti sopra considerati il divieto vige indipendentemente dalle quantità
presenti nell'ambiente di lavoro. Si ritiene, comunque, opportuno evidenziare che,
laddove il divieto è riferito solo ad alcune fasi del processo produttivo, lo stesso si
riferisce a tali specifiche fasi e non all'attività nel suo complesso. Ad esempio, il
divieto di lavoro nei magazzini frigoriferi riguarda solo l'accesso a tali luoghi e non
l'attività nel suo complesso (supermarket, magazzini ortofrutticoli, ecc.).
Lo stesso art. 6, in ogni caso, prevede la possibilità di derogare al divieto di
adibizione ai lavori indicati nell'Allegato I, per scopi didattici e di formazione
professionale. In tali casi gli adolescenti possono essere impiegati per il tempo
"strettamente" necessario alla formazione e purché tali lavori siano svolti _ in aula o
in laboratorio appositamente adibiti oppure in ambienti di lavoro di diretta
44
pertinenza del datore di lavoro _ sotto la sorveglianza di formatori competenti anche
in materia di prevenzione e di protezione e nel rispetto di tutte la condizioni di
sicurezza e di salute previste dalla vigente normativa.
L'attività di formazione _ fatta eccezione per gli istituti di istruzione e di formazione
professionale _ deve essere preventivamente autorizzata dalla Direzione provinciale
del lavoro (art. 6, comma 3, legge n. 977/1967).
Sul punto, peraltro, la circolare n. 1/2000 sottolinea che "...l'autorizzazione
riguarda l'attività di formazione e, pertanto, deve essere richiesta per specifiche
qualifiche e non va ripetuta per ogni singola assunzione di minore".
Un'ultima considerazione, infine, circa l'inclusione dell'apprendistato tra i rapporti
di lavoro con contenuti formativi di cui all'art. 6, comma secondo.
L'apprendista, infatti, è chiamato a svolgere _ durante il periodo di tirocinio _ oltre
che un'attività lavorativa anche un'attività di formazione pratica continua, in
affiancamento al datore di lavoro artigiano, oppure ai lavoratori qualificati o
specializzati presenti in azienda.
Ne consegue che tale attività concretizza quella "formazione professionale" di cui
alla deroga citata.
Per il contratto di apprendistato il formatore deve essere identificato con il tutore
previsto dall'art. 16 della legge n. 196/1997 purché quest'ultimo sia competente in
materia di sicurezza e salute (circolare Ministero del lavoro n. 1/2000).
9. E’ vero che per poter ottenere l’ammissione al lavori di adolescenti è
necessario sottoporli a visita medica?
Ai sensi dell'art. 8 della legge n. 977/1967 gli adolescenti ed i bambini _ questi
ultimi soltanto nei casi in cui siano impiegati in attività lavorative di carattere
culturale, artistico sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo
regolarmente autorizzate _ possono essere ammessi al lavoro purché siano
riconosciuti idonei, a seguito di visita medica, all'attività lavorativa cui saranno
adibiti. Idoneità all'attività lavorativa che, altresì, deve essere periodicamente
accertata con visite mediche da effettuare ad intervalli non superiori ad un anno a
cura ed a spese del datore di lavoro presso l'Azienda unità sanitaria locale
territorialmente competente (sul punto Cass. pen. 29 agosto 2002, n. 30164).
Peraltro, nel caso in cui il lavoratore raggiunga la maggiore età anteriormente alla
scadenza del termine di un anno dalla visita medica precedente, quest'ultima "non
deve essere ripetuta e non può ipotizzarsi un'anticipazione dell'obbligo che il
legislatore non ha inteso prevedere ... la stessa ratio legis è rivolta alla verifica
annuale della persistenza dell'idoneità dei lavoratori minorenni all'attività lavorativa
cui sono addetti, ma non estende detta peculiare tutela oltre il raggiungimento della
maggiore età" (Cass., sez. pen., 18 settembre 2000, n. 9772).
Costituisce eccezione all'art. 8 citato il caso di attività lavorative per le quali la
vigente normativa dispone la sorveglianza sanitaria ai sensi degli artt. 38 e 42 del
D.Lgs. n. 81/2008. In tali ipotesi _ come è stato puntualizzato dal Ministero del
lavoro con la circolare 17 gennaio 2001, n. 11 _ le visite mediche preventive e
periodiche devono essere effettuate dal medico competente individuato tra i
dipendenti "... di una struttura esterna pubblica o privata convenzionata con
l'imprenditore per lo svolgimento dei compiti di sorveglianza sanitaria o un libero
professionista o un dipendente del datore di lavoro ...".
10. A quale tipologie di controlli medici devono essere sottoposti gli
adolescenti?
In particolare, gli adolescenti devono essere sottoposti ai soli seguenti controlli e
cioè:
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a) ad accertamenti preventivi intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al
lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla
mansione specifica;
b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed
esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.
Il giudizio sull'idoneità o sull'inidoneità parziale o temporanea o totale del minore al
lavoro deve essere, altresì, comunicato per iscritto al datore di lavoro, al lavoratore
ed ai titolari della potestà genitoriale. Questi ultimi, inoltre, hanno la facoltà di
richiedere copia della documentazione sanitaria.
I minori che a seguito di visita medica periodica risultano non idonei ad un
determinato lavoro non possono essere ulteriormente adibiti allo stesso.
11. E’ possibile adibire adolescenti al lavoro notturno?
Ai sensi dell'art. 15 della legge n. 977/1967 è vietato adibire i minori al lavoro
notturno in ragione della sua particolare gravosità, specie nell'età giovanile. Con il
termine "notte" si intende un periodo di almeno 12 ore consecutive comprendente
l'intervallo tra le ore 22 e le ore 6, o tra le ore 23 e le ore 7 (art. 15, comma 2).
Tali periodi possono essere interrotti nei casi di attività caratterizzate da periodi di
lavoro frazionati o di breve durata nella giornata.
12. Esistono eccezioni al divieto di adibire adolescenti al lavoro notturno?
Tale divieto non opera _ ai sensi dell'art. 17 della legge n. 977/1967 _ in due ipotesi
affermate espressamente:
a) la prestazione lavorativa del minore impiegato nelle attività lavorative di carattere
culturale, artistico, sportivo o pubblicitario o nel settore dello spettacolo di cui
all'art. 4, comma secondo, può protrarsi non oltre le ore 24. In tal caso, peraltro, il
minore deve godere, a prestazione compiuta, di un periodo di riposo di almeno 14
ore consecutive;
b) gli adolescenti che abbiano compiuto almeno 16 anni possono essere adibiti al
lavoro notturno _ eccezionalmente e per il tempo strettamente necessario _ quando
si verifica un caso di forza maggiore che ostacola il funzionamento dell'azienda,
purché tale lavoro sia temporaneo e non ammetta ritardi, non siano disponibili
lavoratori adulti e siano concessi periodi equivalenti di riposo compensativo entro
tre settimane.
Il datore di lavoro deve dare immediata comunicazione alla direzione provinciale del
lavoro indicando i nominativi dei lavoratori, le condizioni costituenti la forza
maggiore, le ore di lavoro.
Spetta in tal caso, al minore, un equivalente periodo di riposo compensativo che
deve essere fruito entro tre settimane, oltre alle maggiorazioni retributive.
Sezione X
Disposizioni particolari
1. Su chi gravano gli obblighi di sicurezza in caso di contratto di
somministrazione di lavoro?
Nell’ipotesi di prestatori di lavoro nell’ambito di un contratto di somministrazione di
lavoro (articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276) tutti
gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico dell’utilizzatore, fatto salvo
l’obbligo a carico del somministratore di informare e formare il lavoratore sui rischi
tipici connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali viene assunto.
2. Su chi gravano gli obblighi di sicurezza in caso di distacco del alvoratore?
Nell’ipotesi di distacco del lavoratore (articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276), tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del
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distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il
lavoratore sui rischi tipici connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli
viene distaccato.
3. Nei confronti dei lavoratori a progetto o dei collaboratori coordinati e
continuativi si applicano le norme dettate dal D.Lgs 81/08?
Nei confronti dei lavoratori a progetto (articoli 61 e seguenti del decreto legislativo
10 settembre 2003, n. 276) e dei collaboratori coordinati e continuativi (articolo
409, n. 3, del codice di procedura civile), le disposizioni del decreto si applicano ove
la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente.
4. Quali sono le norme di sicurezza applicabili confronti dei lavoratori che
effettuano prestazioni occasionali di tipo accessorio?
Nei confronti dei lavoratori che effettuano prestazioni occasionali di tipo accessorio
(articolo 70 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276), il decreto e
tutte le altre norme speciali vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute si
applicano con esclusione dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario,
compresi l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai
bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili.
5. Quali norme di sicurezza si applicano in caso di lavoratori a domicilio?
Relativamente ai lavoratori a domicilio (legge 18 dicembre 1973, n. 877) trovano
applicazione gli obblighi di informazione e formazione di cui agli articoli 36 e 37 del
decreto in seguito commentate. Ad essi devono inoltre essere forniti i necessari
dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni assegnate.
6. Nel lavoro a distanza quali delle disposizioni dettate dal D.Lgs 81/08 sono
applicabili?
A tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro
a distanza, mediante collegamento informatico e telematico, compresi quelli di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70 e di cui all’accordoquadro europeo sul telelavoro concluso il 16 luglio 2002, si applicano le disposizioni
di cui al Titolo VII del decreto (Attrezzature munite di videoterminale),
indipendentemente dall’ambito in cui si svolge la prestazione stessa. Nell’ipotesi in
cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali
attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al Titolo IX (Sostanze
pericolose). I lavoratori a distanza sono informati dal datore di lavoro circa le
politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare in
ordine alle esigenze relative ai videoterminali ed applicano correttamente le direttive
aziendali di sicurezza. Al fine di verificare la corretta attuazione della normativa in
materia di tutela della salute e sicurezza da parte del lavoratore a distanza è
previsto che il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e le autorità
competenti abbiano accesso al luogo in cui viene svolto il lavoro nei limiti della
normativa nazionale e dei contratti collettivi, dovendo tale accesso essere
subordinato al preavviso e al consenso del lavoratore qualora la prestazione sia
svolta presso il suo domicilio. Il datore di lavoro deve poi garantire l’adozione di
misure dirette a prevenire l’isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri
lavoratori interni all’azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di
accedere alle informazioni dell’azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi
aziendali.
7. Quali sono i criteri per il computo dei lavoratori utilizzati mediante
somministrazione di lavoro?
47
Viene poi previsto che i lavoratori utilizzati mediante somministrazione di lavoro
(articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276) e i
lavoratori assunti a tempo parziale (decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61), si
computino sulla base del numero di ore di lavoro effettivamente prestato nell’arco di
un semestre, mentre per i lavoratori stagionali si prevede il computo sulla base del
numero di giornate di lavoro complessivamente prestate nell’arco di un anno. Il
numero degli operai impiegati a tempo determinato, anche stagionali, nel settore
agricolo si computa per frazioni di unità lavorative anno (ULA) come individuate
sulla base della normativa comunitaria.
48
Capitolo 2
IL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
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1. Nei casi in cui, un'attività è composta da titolare ed un solo lavoratore è
necessaria la nomina del RSL? Per Gli RSPP e RSL sono necessari corsi di
aggiornamento annuali?
Nel caso di specie la nomina del r.l.s. ex art. 47, D.lgs. n. 81/2008, sembrerebbe,
invero, non sorretta da logica giuridica, essendo per definizione ridondante la
nomina di un rappresentante dei lavoratori rappresentante solo di se stesso.
Potrebbe, semmai, farsi luogo alla nomina del rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza territoriale (RLST) ovvero di per la sicurezza di sito produttivo (RLSSP)
qualora ne ricorrano i presupposti previsti dagli articoli 48 e 49 come richiamati
dall'art. 47, c. 8, D.lgs. citato.
2. Se una soc. coop. è formata da tutti soci lavoratori, il presidente della soc.
coop. può essere nominato Rls e Rspp? Le singole attività, tipo: srl; sas; snc;
soc coop; az. agricole, ecc. ss quando si può nominare il Rspp e il Rls?
Ai sensi dell'art. 34, D.lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro può, nei casi previsti
dall'allegato II al D.lgs. medesimo (e salvo le eccezioni ivi previste) svolgere
direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione. Rileva,
peraltro, una evidente incompatibilità tra la figura di datore di lavoro e quella del
rappresentante dei lavoratori, deducibile dalla lettera della legge, mentre
l'incompatibilità tra il ruolo di r.s.p.p. e quello di rappresentante dei lavoratori è
stato ben delineato, tra le altre, da Cassazione Civile, sez. Lavoro, con sentenza n.
19965 del 15 settembre 2006.
3. Quali sono gli obblighi del datore di lavoro con riferimento
all’organizzazione della prevenzione in azienda?
L’articolo 31 del D.Lgs 81/08, tenendo conto di quanto originariamente disposto
dall’art. 8 del D.Lgs 626/1994, prevede che il datore di lavoro debba organizzare il
servizio di prevenzione e protezione all’interno della azienda o della unità
produttiva, o deve incaricare persone o servizi esterni costituiti anche presso le
associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici, secondo le regole di cui al
presente articolo.
4. Il comma 7 stabilisce che nei casi di cui al comma 6 il RSPP deve essere
interno. Il mio caso riguarda alcune case di cura, che non hanno intenzione di
assumere un RSPP e non hanno personale interno disponibile. E’ possibile
derogare?
Ai sensi dell'art. 31, commi 6 e 7, D.lgs. n. 81/2008, non sembra praticabile un
elusione del disposto di legge talché l'azienda, qualora non dotata di risorse interne,
sarà costretta ad integrare la pianta organica con l'assunzione di adeguato soggetto
in possesso delle qualifiche richieste per il r.s.p.p.
5. Nell’ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro può
avvalersi di persone esterne alla azienda?
Nell’ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro può avvalersi di
persone esterne alla azienda in possesso delle conoscenze professionali necessarie,
per integrare, ove occorra, l’azione di prevenzione e protezione del servizio. Ove il
datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni non è per questo esonerato dalla
propria responsabilità in materia.
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6. Il RSPP esterno di un azienda come deve comportarsi nei confronti di un
impresa appaltatrice che svolge opere edili di manutenzione ordinaria
all'interno della azienda, utilizzando attrezzature difformi (per es. ponteggi).
Quale è la documentazione da richiedere?
Il quesito riguarda diverse figure interessate all'intervento indicato. Per prima cosa,
il Rspp è così indicato nell'art. 2.1 lett. f) del d.lgs. n. 81/2008: "persona in
possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all'articolo 32 designata
dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e
protezione dai rischi;". I compiti del servizio di prevenzione e protezione sono
delineati dall'art. 33 del decreto. In secondo luogo, il quesito presuppone l'esistenza
di un cantiere edile all'interno dell'azienda. Non è però indicato se vi sia o meno il
coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione. Se la risposta fosse positiva,
sarebbe costui che deve vigilare sull'attività esecutiva e sui materiali utilizzati. In
caso contrario, spetta agli altri soggetti, tra cui il direttore dei lavori, garantire la
sicurezza in cantiere. In ogni caso, spetta all'impresa esecutrice dei lavori redigere il
piano operativo di sicurezza, che comprende anche l'utilizzo dei materiali. Questo è
quindi il documento da richiedere.
7. Nel rispetto della normativa vigente, all'interno dello stesso servizio di
prevenzione e protezione, possono essere nominati 2 RSPP?
Un'interpretazione letterale della norma (come è noto da privilegiare secondo la
previsione dell'ar. 12, c. 1, delle Disposizioni sulla legge in generale) farebbe tendere
per una risposta negativa al quesito, testualmente affermando l'art. 17, c. 1, lett. b,
D.lgs. n. 81/2008, l'indelegabilità, da parte del datore di lavoro, della designazione
"del" responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Rileva, peraltro, la
possibilità di nominare più addetti al servizio di prevenzione e protezione "...in
numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell'azienda" ai sensi dell'art. 31, c.
2, D.lgs. medesimo.
8. Con il d.Lgs. 81/2008 la comunicazione del nominativo del RSPP (nel mio
caso stesso datore di lavoro) all'ispettorato del lavoro e all'asl non è più
obbligatoria, servirà comunque un foglio di nomina? Questo foglio deve
comunque contenere l'indicazione degli infortuni avvenuti in azienda? e se si,
come si valutano le ore lavorate nel caso ci siano lavoratori stagionali?
Il quesito ha risposta negativa, nel senso che la comunicazione non è più
necessaria. Ai sensi dell'art. 34, D.lgs. n. 81/2008 sarà, comunque, necessaria, la
preventiva informazione al r.l.s. e il possesso dei requisiti di formazione previsti
dalla menzionata disposizione al comma 2.
9. Con l'entrata in vigore del d.lgs.81/08 è ancora in vigore l'obbligo di
comunicazione delle competenze del RSPP all'ispettorato del lavoro e all'ASL
di competenza?
Il quesito ha risposta negativa. Il D.lgs. n. 81/2008 non ha reiterato, invero, tale
obbligo già previsto dall'abrogato art. 8, c. 11, D.lgs. n. 626/1994 (cfr. articoli 17 e
18, D.lgs. n. 81/2008), talché, fermo restando l'indelegabilità della nomina del
r.s.p.p. ex art. 17, D.lgs. n. 81/2008, il suo nominativo non dovrà essere
comunicato come avveniva in passato.
10. Esistono dei casi in cui l’istituzione del servizio di prevenzione e
protezione all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque
obbligatoria?
L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda, ovvero
dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:
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a) nelle aziende industriali di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 17
agosto 1999, n. 334, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli
6 e 8 del medesimo decreto;
b) nelle centrali termoelettriche;
c) negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto
legislativo 19 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni;
d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi,
polveri e munizioni;
e) nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori;
f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori;
g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50
lavoratori.
11. Nei casi di aziende con più unità produttive devono essere istituiti più
servizi di prevenzione e protezione?
Nei casi di aziende con più unità produttive nonché nei casi di gruppi di imprese,
può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione. I datori di lavoro
possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione
degli addetti e del responsabile.
12. È possibile che chi ricopre l'incarico di preposto (nel caso in esame un
ruolo
della
carriera
direttiva)
all'interno
dell'azienda
possa
contemporaneamente rivestire il ruolo di rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza (Rls)?
Diversamente da quanto è previsto per il Rspp dall’articolo 50, comma 7 del Dlgs
81/2008 non sussistono ragioni di incompatibilità funzionale; è dunque possibile e
ragionevole che il Rappresentante dei lavoratori della sicurezza (Rls) possa essere
individuato tra i “preposti”, secondo i criteri e le modalità stabilite dall’articolo 47
del Dlgs 81/2008.
13. In un'impresa individuale artigiana, formata solo dal titolare, ci lavora il
figlio come coadiuvante familiare (non figura in visura camerale). L'azienda
rientra tra i soggetti obbligati a fare la sicurezza? (cioè avere le figure
richieste RSPP-RLS e fare i corsi sul pronto soccorso e antincendio?)
La definizione giuridica del soggetto deve essere identificata meglio. Se l'impresa
individuale artigiana agisce mediante contratti d'opera di cui agli artt. 2222 ss. c.c.,
trova applicazione l'art. 3.11 del d.lgs n. 81/2008. Se invece agisce come impresa
famigliare (art. 230.bis c.c.), trova applicazione il successivo comma 12 dell'art. 3.
In ogni caso, si applica il decreto legislativo 81 solo per le parti ivi indicate.
14. Sono interessato a svolgere le funzioni di responsabile del servizio di
prevenzione e protezione. Quali requisiti professionali devo avere?
Per lo svolgimento delle funzioni da parte dei soggetti interessati, è necessario
essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione
secondaria superiore nonché di un attestato di frequenza, con verifica
dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione adeguati alla natura dei rischi
presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative. Per lo svolgimento della
funzione di responsabile del servizio prevenzione e protezione, oltre ai requisiti di
cui al precedente periodo, è necessario possedere un attestato di frequenza, con
verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione
e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato, di
organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di
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comunicazione in azienda e di relazioni sindacali. I corsi di cui ai periodi precedenti
devono rispettare quanto previsto dall’accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome
di Trento e di Bolzano, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, serie generale, del 14
febbraio 2006, n. 37, e successive modificazioni e integrazioni.
15. Quali sono i requisiti dei corsi di formazione per Rspp?
In ordine all'organizzazione dei corsi di formazione, essi dovranno avere i seguenti
requisiti:
- individuazione di un responsabile del progetto formativo;
- impiego di docenti con esperienza almeno biennale in materia di prevenzione
e sicurezza sul lavoro;
- numero dei partecipanti per ogni corso: massimo 30 unità;
- tenuta del registro di presenza dei «formandi» da parte del soggetto che
realizza il corso;
- assenze ammesse: massimo 10% del monte orario complessivo.
Per quanto concerne la metodologia di insegnamento/apprendimento occorre
privilegiare le metodologie «attive», che comportano la centralità del discente nel
percorso di apprendimento.
A tali fini è necessario:
- garantire un equilibrio tra lezioni frontali, esercitazioni in aula e relative
discussioni, nonché lavori di gruppo, nel rispetto del monte ore complessivo
prefissato per ogni modulo;
- favorire metodologie di apprendimento basate sul problem solving, applicate a
simulazioni e problemi specifici, con particolare attenzione ai processi di
valutazione e comunicazione legati alla prevenzione.
16. L'art. 32 comma 6 del D.Lgs. 81/08 rimanda all'accordo stato regioni e
tale accordo fa ancora riferimento al D.Lgs. 626/94. Essendo io professionista
esonerato dalla frequenza dei moduli A e B dei corsi per l'abilitazione, ed
ottenendo quindi l'effettiva abilitazione a seguito della frequenza del corso
modulo C, da quando devo considerare inizi l'obbligo di aggiornamento
periodico e quali sono i riferimenti normativi che definiscono la decorrenza di
tale obbligo?
Il punto 3 dell'allegato I dello stesso Accordo della Conferenza Stato/regioni
prevede, ai sensi dell'abrogato art. 8 BIS, c. 5, del D.lgs. n. 626/1994, un
obbligo di aggiornamento formativo quinquennale a carico dei responsabili e
per gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro, da
adempiere attraverso la frequentazione ad appositi corsi di formazione di
aggiornamento. Detto punto prevede, in particolare, che tali corsi di
aggiornamento (frequentabili anche con modalità di formazione a distanza),
dovranno comunque far riferimento ai contenuti dei moduli del rispettivo
percorso formativo, con particolare riguardo: a) al settore produttivo di
riferimento; b) alle novità normative nel frattempo eventualmente intervenute
in materia; c) alle innovazioni nel campo delle misure di prevenzione. E',
inoltre, prevista la durata minima di detti corsi, in funzione del settore
ATECO dell'azienda di provenienza. Un'interpretazione secondo buon senso
non può che considerare la decorrenza dell'obbligo dal termine del precedente
corso di formazione.
17. Devo svolgere le funzioni di RSPP. Qual’è il modulo formativo di base che
devo frequentare e che durata ha?
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Il corso di base, per lo svolgimento della funzione di RSPP e di ASPP ha la durata di
28 ore. I contenuti delle attività formative:
a) sono conformi a quanto indicato nel D.M. 16 gennaio 1997 del Ministro del lavoro
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 3 febbraio 1997, n. 27), recante individuazione
dei contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti per la
sicurezza e dei datori di lavoro che possono svolgere direttamente i compiti propri
del responsabile del servizio di prevenzione e protezione;
b) integrano quelle di cui al D.M. 16 gennaio 1997, richiamato alla lettera a).
Al termine di questo modulo, obbligatorio per tutte le classi di attività lavorative e
propedeutico agli specifici moduli di specializzazione, i partecipanti devono
conseguire l'idoneità alla prosecuzione del corso, mediante test di accertamento
delle conoscenze acquisite. Tale idoneità, una volta conseguita, resta valida per tutti
i percorsi formativi successivi e relativi alle diverse specializzazioni. L'elaborazione
delle prove è di competenza del Gruppo Docente, supportato da un
Coordinatore/Tutor del corso.
Al termine del modulo base, è rilasciato un attestato di frequenza che certifica la
frequenza al corso (almeno il 90% del monte ore) e l'idoneità, ove riscontrata, a
frequentare i moduli di specializzazione.
La frequenza al modulo vale per qualsiasi macrosettore e costituisce Credito
Formativo permanente.
18. Devo frequentare un corso di specializzazione per RSPP. Qual’è il modulo
formativo che devo frequentare e che durata ha?
Il modulo di specializzazione, è il corso adeguato alla natura dei rischi presenti sul
luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative. La sua durata varia da 12 a 68 ore,
a seconda del macrosettore di riferimento. Come il modulo A, anche il modulo B è
comune alle due figure professionali di RSPP e di ASPP. Esso inoltre è idoneo alla
formazione dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e per quelli territoriali
oltre che per i datori di lavoro che intendono svolgere direttamente le funzioni di
RSPP.
Il modulo, adeguato alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle
attività lavorative, è obbligatorio per RSPP e ASPP. Esso inoltre è idoneo alla
formazione dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e per quelli territoriali
oltre che per i datori di lavoro che intendono svolgere direttamente le funzioni di
RSPP
La valutazione si articola in verifiche intermedie e verifiche finali:
Verifiche intermedie: durante lo svolgimento del modulo di specializzazione il
livello di apprendimento è controllato tramite verifiche, strutturate sia a test, che
come soluzioni di casi;
Verifica finale: tale valutazione si svolge secondo le seguenti modalità, anche in
forma integrata:
- simulazione obbligatoria al fine di misurare le competenze tecnicoprofessionali (come da standard formativi minimi) in situazione
lavorativa durante l'esecuzione di compiti coerenti con l'attività dei
due diversi ruoli;
- colloquio o test obbligatori, in alternativa tra loro, finalizzati a
verificare le competenze cognitive relative alla normativa vigente.
L'elaborazione delle prove è di competenza del Gruppo Docente, supportato dal
Coordinatore/Tutor del corso.
L'esito positivo della verifica finale, unitamente a una presenza pari almeno al 90%
del monte ore, consente il rilascio, al termine del modulo di specializzazione,
dell'attestato di frequenza con verifica dell'apprendimento. L'attestato dovrà
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riportare anche il macro-settore di riferimento del corso, in quanto è solo all'interno
del macrosettore interessato che il «formato» potrà svolgere le proprie funzioni.
La frequenza del modulo B costituisce Credito Formativo con fruibilità
quinquennale anche per l'eventuale nomina a RSPP o ASPP in altra azienda dello
stesso macrosettore. In ogni caso, dopo i cinque anni scatta l'obbligo
dell'aggiornamento.
19. Devo frequentare un corso di specializzazione per RSPP. Mi hanno detto
che esiste un modulo C da frequentare. Di cosa si tratta?
Il Modulo C) di specializzazione per le sole funzioni di RSPP, è il corso PREVISTO
dall’Accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, su prevenzione
e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e psico-sociale, di
organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di
comunicazione in azienda e di relazioni sindacali;
La sua durata è di 24 ore ed è obbligatorio solo per RSPP.
Quanto ai criteri di valutazione dei tre moduli A, B e C, si evidenzia quanto segue:
La valutazione si articola in verifiche intermedie e verifiche finali:
Verifiche intermedie: durante lo svolgimento del modulo C, il livello di
apprendimento sarà controllato tramite verifiche strutturate sia a test, che
con metodologie di problem solving (es. simulazioni di riunioni di lavoro,
discussione di casi);
Verifica finale: colloquio obbligatorio e finalizzato a verificare le competenze
organizzative, gestionali e relazionali previste dal D.Lgs 81/08.
L'esito positivo della verifica finale (colloquio), unitamente a una presenza pari
almeno al 90% del monte ore, consente il rilascio dell'attestato di frequenza con
verifica dell'apprendimento.
La frequenza al modulo C, vale per qualsiasi macrosettore e costituisce Credito
Formativo permanente.
20. Mi trovo nella seguente situazione: ho frequentato nel 2002 un corso di 16
ore ai sensi del DM 16/01/1997; attualmente non ho incarichi RSPP; vorrei
avere la possibilità di assumere l'incarico RSPP. Quali moduli, previsti
dall'Accordo Stato-Regioni, devo frequentare? Posso far valere il corso del
2002 come credito formativo ed essere esonerato dal modulo A?
Ai sensi dell'Accordo della Conferenza Stato regioni del 26 gennaio 2006 per
svolgere le attività di R.S.P.P. è necessario la frequentazione con successo anche dei
moduli B e C ivi previsti. Verosimilmente dovrebbe valere l'esonero anche dal corso
di cui al modulo A in forza di quanto previsto all'Allegato I, par. I, del citato
Accordo. Le tabelle A4 e A5 del medesimo Accordo recano, peraltro, il dettaglio delle
esperienze e attività pregresse quali valide al fine dell'esonero che interessa il
lettore.
21. Volevo chiedere parere riguardo gli obblighi formativi relativi alle imprese
familiari (art. 21 dlgs 81/08) e se questi si limitano a quanto previsto dall'art.
37 o se sussistono comunque gli obblighi di nomina del RSPP, addetto al
primo soccorso e alla gestione delle emergenze.
Quanto agli obblighi formativi l'articolo 21 del D.lgs. n. 81/2008 lascia,
effettivamente, la "facoltà" ai componenti dell'impresa familiare di "partecipare ai
corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro...secondo le
previsioni di cui all'articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme
speciali". Non risultano, peraltro, deroghe (se non quelle previste a livello generale)
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relativamente alla nomina del r.s.p.p. e addetti alla prevenzione incendi ed
emergenze.
22. Quali sono i soggetti abilitati allo svolgimento dei corsi di formazione?
Per quanto riguarda, in particolare, i corsi di formazione per responsabile del
servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e di addetto al servizio di prevenzione e
protezione (ASPP), i soggetti abilitati ad effettuarli sono quelli di cui al citato art. 32,
comma 4, del d.lgs. n. 81/2008, il quale, a sua volta, richiama quanto previsto al
punto 4 dell’Accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente
per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, e
successive modificazioni. Tale accordo oltre ad individuare, al punto 4.1, gli ulteriori
soggetti formatori rispetto a quelli già indicati dal citato art. 32, comma 4, d.lgs. n.
81/2008, - come pure i requisiti del personale docente impiegato nell’attività
formativa - al punto 4.2, stabilisce che altri soggetti, oltre a quelli espressamente
indicati nel paragrafo precedente, possono esercitare attività di formazione,
ricorrendo i seguenti requisiti:
“a) essere accreditato nella Regione o Provincia autonoma in cui intendono operare, in
conformità al modello di accreditamento definito in ogni Regione e Provincia
autonoma, ai sensi del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del
25 maggio 2001 n. 166; b) dimostrare di possedere esperienza almeno biennale,
maturata in ambito di prevenzione e sicurezza sul lavoro; c) dimostrare di disporre di
docenti con esperienza almeno biennale in materia di prevenzione e sicurezza sul
lavoro”.
Sembra opportuno notare che, in tali casi, e, in generale, in tutti i casi in cui la
normativa si limita a stabilire i requisiti minimi della formazione, senza indicare
particolari soggetti abilitati allo svolgimento dei relativi corsi, gli stessi possono
essere svolti da qualsiasi centro di formazione con esperienza nel settore della
sicurezza in conformità alla normativa che li ha istituiti e alla eventuale disciplina
dettata in materia dalle Regioni e dalle Province autonome.
Per quanto riguarda, infine, la certificazione di avvenuta formazione dei RSPP e
degli ASPP, la materia è disciplinata al punto 2.5 del predetto Accordo sancito in
data 26 gennaio 2006, il quale prevede che gli attestati di frequenza, con verifica
dell’apprendimento, vengano rilasciati dalle Regioni e Province autonome
competenti per territorio, sulla base dei verbali, redatti in sede di accertamento
dell’apprendimento dalle Commissioni di docenti interni, nei quali è formulato il
giudizio della medesima Commissione in termini di valutazione globale. Da tale
previsione sono esclusi gli attestati di frequenza rilasciati dai soggetti individuati
dall’art. 32 del d.lgs. n. 81/2008 e di quelli di cui al punto 4.1 dell’Accordo stesso,
che possono certificare autonomamente la avvenuta formazione.
23. Una azienda che eroga corsi di formazione professionale, con
accreditamento regionale, e con 5 sedi in tutta Italia (1 sede legale e 4 sedi
secondarie) può avere un SPP composto dal solo RSPP o deve designare anche
degli addetti?
Ai sensi dell'art. 31, c. 1, D.lgs. n. 81/2006, gli addetti e i responsabili del servizio
di prevenzione e protezione devono, tra l'altro, essere in numero sufficiente rispetto
alle caratteristiche dell'azienda. Il fatto che l'azienda disponga di cinque sedi in
Italia potrebbe non rilevare quanto alla presenza del solo r.s.p.p., purché il
medesimo sia in grado di assolvere professionalmente ai propri compiti presso tutte
le sedi aziendali.
24. E’ possibile svolgere le funzioni di Rspp nei casi di mancato possesso del
previsto titolo di studio?
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Possono altresì svolgere le funzioni di responsabile o addetto coloro che, pur non
essendo in possesso del previsto titolo di studio, dimostrino di aver svolto una delle
funzioni richiamate, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro,
almeno da sei mesi alla data del 13 agosto 2003 previo svolgimento dei corsi
secondo quanto previsto dall’accordo di cui al comma precedente. I corsi di
formazione sono organizzati dalle regioni e province autonome di Trento e di
Bolzano, dalle università, dall’ISPESL, dall’INAIL, o dall’IPSEMA per la parte di
relativa competenza, dal Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e
della difesa civile, dall’amministrazione della difesa, dalla Scuola superiore della
pubblica amministrazione, dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei
lavoratori o dagli organismi paritetici, nonché dai soggetti paritetici nel rispetto dei
limiti e delle specifiche modalità previste. Coloro che sono in possesso di laurea
triennale in “Ingegneria della sicurezza e protezione”, in “Scienze della sicurezza e
protezione”, in “Ingegneria della sicurezza industriale e nucleare”, in “Tecnico della
prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro” e della laurea magistrale ovvero di
altre lauree e lauree magistrali riconosciute corrispondenti ai sensi della normativa
vigente con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, su
parere conforme del Consiglio universitario nazionale, sono esonerati dalla
frequenza ai corsi di formazione.
25. Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di
formazione devono essere registrate nel libretto formativo del cittadino?
Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di formazione nei
confronti dei componenti del servizio interno sono registrate nel libretto formativo
del cittadino di cui all’articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni e integrazioni se concretamente
disponibile in quanto attivato nel rispetto delle vigenti disposizioni o nel libretto
formativo di cui all’Allegato IIIC del D.Lgs 81/08.
Negli istituti di istruzione, di formazione professionale e universitari il datore di
lavoro che non opta per lo svolgimento diretto dei compiti propri del servizio di
prevenzione e protezione dei rischi designa il responsabile del servizio di
prevenzione e protezione individuandolo tra il personale interno all’unità scolastica
in possesso dei requisiti che si dichiari a tal fine disponibile. Il datore di lavoro che
si avvale di un esperto esterno per ricoprire l’incarico di responsabile del servizio
deve comunque organizzare un servizio di prevenzione e protezione con un adeguato
numero di addetti.
26. Il RSPP esterno, ingegnere libero professionista ed abilitato ai sensi della
L. 818/84 di una azienda con rischio di incendio basso può effettuare la
formazione della squadra antincendio ed attestare l'avvenuta formazione?
Si ritiene che la risposta al quesito debba differenziarsi a seconda del tipo di
attività condotta dall'azienda in questione. Qualora essa ricada negli elenchi
di attività soggette a controllo dei Vigili del Fuoco (ed obbligo del c.p.i.) In
caso difforme (attività non soggette a controllo dei Vigili del Fuoco nel senso
di non ricadere nei sopra menzionati elenchi) si ritiene che sia lecita anche
una formazione erogata in via privata da parte di professionisti qualificati in
tal senso, purché conforme all'art 37, c. 9, del D.lgs. n. 81/2008.
27. Per formare ed attestare la formazione di dipendenti - preposti - datori di
lavoro - RSPP - RLS ai sensi del nuovo testo unico, bisogna avere requisiti
particolari o può tranquillamente farlo un tecnico ambientale come me che mi
occupo di pratiche sulla sicurezza - HACCP ed ambiente in generale?
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L'articolo 37 comma 5, del D.lgs. n. 81/2008, afferma come l'addestramento
debba essere condotto da "persona esperta e sul luogo di lavoro". Inoltre il
medesimo articolo al comma 2 demanda alla Conferenza Stato/regioni la
definizione dei contenuti minimi e della modalità della formazione da erogare
ai sensi del precedente comma 1.
28. Quali sono i principali compiti del servizio di prevenzione e protezione?
Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali deve provvedere:
a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e
all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di
lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza
dell’organizzazione aziendale;
b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive e
i sistemi di controllo di tali misure;
c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza
sul lavoro, nonché alla riunione periodica;
f) a fornire ai lavoratori le informazioni necessarie.
29. Quali sono le principali aree di competenza del Responsabile del servizio
di prevenzione e protezione?
Il Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione è caratterizzato da due aree
di competenza: una gestionale ed una tecnico-specifica, fra loro integrate. La prima
area attiene a capacità organizzative, relazionali ed amministrative cioè alla
capacità di programmare, pianificare, comunicare (con vari soggetti) gli obiettivi, di
reperire, sviluppare, gestire e motivare le risorse umane. Nell'area tecnico-specifica
invece possono essere rappresentate varie competenze culturali che concorrono a
definire più in generale la prevenzione. In particolare si può trattare di conoscenze
ricavate dall'igiene industriale o dalla sicurezza sul lavoro, dall'ergonomia e dalle
tecniche di analisi dell'organizzazione del lavoro nonché da altre discipline correlate
per aziende e/o unità produttive che si caratterizzano per particolari pericoli e/o
rischi e naturalmente dalla profonda conoscenza delle norme di legge e delle norme
di buona tecnica. Va ricordato che, il Responsabile del SPP non è definito nel D.Lgs
11
81/08 né dirigente nè preposto , nè tantomeno assoggettato a responsabilità
penale in quanto non menzionato nel titolo IX del D.Lgs, relativo alle sanzioni
conseguenti alle violazioni delle norme. Il problema della sua eventuale
responsabilità in caso di infortunio sul lavoro, sarà valutato dalla magistratura
sulla base della sua collocazione interna o esterna all'azienda e di un'attenta analisi
del processo che ha portato al verificarsi dell'infortunio. Se il Responsabile aveva
mancato di individuare un pericolo, e di conseguenza individuare le necessarie
misure preventive, non fornendo al datore di lavoro l'informazione necessaria per
attuare le stesse, potrebbe essere chiamato a rispondere, ovviamente in concorso
con il datore di lavoro, dell'evento; ove invece il Responsabile aveva correttamente
individuato il problema e indicate le soluzioni, ma il datore di lavoro o il dirigente o
il preposto non ha dato seguito alle sue indicazioni, egli dovrebbe essere sollevato
da qualsiasi responsabilità nel merito dell'evento. Sarà naturalmente l’autorità
giudiziaria a pronunciarsi su questioni di questo tipo.
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Naturalmente non esiste nessuna formale incompatibilità tra l’essere dirigente o preposto ad una specifica
funzione “x” e l’assumere anche la funzione di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione. In questo caso,
la persona mantiene ovviamente lo status (e le responsabilità) di dirigente o preposto per la specifica funzione “x”, ma
non viene a configurarsi tale status (e responsabilità) per la funzione di “responsabile del servizio di prevenzione e
protezione”.
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30. Possono essere utilizzate figure di supporto al Rspp?
Altre figure di supporto possono essere di volta in volta individuate a seconda della
complessità e specificità dei problemi di prevenzione emersi dalla valutazione del
rischio e dal programma di prevenzione e protezione scaturito da questo nonché dal
piano di informazione e formazione necessario per sostenerlo. Tali figure possono
naturalmente (ed in genere lo saranno) essere anche esterne al SPP o addirittura
all'azienda stessa (anche nel caso di un SPP aziendale).
31. Quali sono le principali caratteristiche che deve avere un modello di Spp
interno all’azienda?
Questo modello che opera dall'interno dell'azienda è soprattutto applicabile nelle
aziende di media e grande dimensione, sicuramente in quelle che impiegano più di
1000 lavoratori nello stesso luogo, ma probabilmente anche in quelle con almeno
500 addetti, e sono in grado di avere una equipe a tempo pieno con una
composizione multidisciplinare. La forza di questo modello di servizio interno
consiste, al di là del fatto di poter contare su un'équipe a tempo pieno: negli stretti
legami tra il servizio e gli altri settori dell'azienda, come la direzione, le unità
produttive, i rappresentanti per la sicurezza eletti dai lavoratori; e nell'accesso
all'informazione sull'attività dell'azienda, con i piani per la modifica o per la
realizzazione di nuovi posti lavoro, dell'organizzazione del lavoro, dei cicli produttivi
e delle attrezzature, etc. Un limite di questo modello è che esso richiede un alto
numero di lavoratori impiegati nella stessa azienda.
32. In quali casi è possibile organizzare un Servizio di prevenzione e
protezione interno all'azienda con supporti esterni?
Riteniamo questa la soluzione migliore per le aziende industriali con più di 200
addetti (per legge tenute ad avere il SPP interno) ma con meno di 1000 addetti (o
500, vedi punto precedente). In questo caso il SPP non avrà al suo interno tutte le
competenze necessarie, ma sarà più snello e agile, e sarà supportato da
un'adeguata rete di competenze esterne.
33. E’ possibile organizzare un unico servizio di protezione e prevenzione per
più aziende?
Organizzato congiuntamente da diverse aziende di piccola e media dimensione
generalmente localizzate nella stessa area geografica. L'amministrazione ed il
finanziamento del servizio può essere garantito congiuntamente dalle aziende del
gruppo interessato. Il vantaggio di questo modello è la vicinanza con il posto di
lavoro e la diretta proprietà da parte delle aziende, che sono i clienti del servizio, e
la sua flessibilità nel rispondere ai diversi bisogni delle piccole e medie aziende.
Ammesso che la popolazione di lavoratori di cui occuparsi sia sufficientemente
ampia, un'équipe a tempo pieno, ben equipaggiata e multidisciplinare, può essere
organizzata in modo assai simile a quella dei servizi delle grandi aziende. I problemi
evidenziati in questo tipo di modello sono invece legati al fatto che: l'attività viene
condotta dall'esterno delle aziende, e ciò potrebbe causare problemi particolarmente
se le aziende sono disperse in una vasta area geografica; si possono incontrare
anche ostacoli nel tentativo di rispondere a bisogni molto diversificati dato il grande
numero di clienti.
34. E’ possibile organizzare un servizio di protezione e prevenzione per
comparto produttivo? Quali caratteristiche deve avere?
E' questo un modello di servizio specificatamente organizzato per un particolare
settore dell'attività economica, come potrebbe essere quello delle costruzioni, quello
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alimentare, quello agricolo, etc. La copertura geografica di tale servizio può variare,
a seconda del comparto in questione, da un'area geografica circoscritta, fino ad una
dimensione regionale o interregionale. La forza di questo modello consiste nella
possibilità di organizzare servizi grandi, ben equipaggiati e con buon personale,
dotati, se necessario, di mezzi mobili, con la possibilità di concentrarsi su specifici
problemi del singolo comparto, e con la possibilità di portare avanti programmi di
prevenzione o azioni di promozione attraverso l'intero comparto. I problemi possono
derivare dal carattere esterno del servizio e, in alcuni casi, dalla localizzazione
remota rispetto all'azienda. Non vi è tuttavia dubbio sul fatto che in questo modello
come nel primo, è fortemente aumentata la possibilità di integrare l'attività di
prevenzione con il processo produttivo, seguendo in questa integrazione logiche
organizzative di "Total Quality".
35. Esistono delle indicazioni utili per orientarmi nella scelta del modello di
prevenzione e protezione?
La scelta del modello dovrebbe essere basata sulla realistica capacità di dare
soddisfazione ai bisogni delle aziende e dei lavoratori in questione e di assicurare la
più ampia copertura, senza, tuttavia, compromettere professionalità e qualità.
Oltre alla consulenza tecnico-scientifica i Servizi di prevenzione e protezione
dipendono in modo vitale dalla possibilità di accedere ad informazioni tecnicoscientifiche su problemi di prevenzione nei luoghi di lavoro e a dati sulle condizioni
di rischio e di salute a livello nazionale e di singole aziende. I sistemi informativi
locali, regionali e nazionali dovrebbero fornire informazioni sulla forza lavoro e sui
lavoratori occupati, sui pericoli e rischi, anche rilevanti, presenti a livello di
attrezzature, macchine, impianti, sostanze, prodotti e anche nell'ambito di attività
individuate per comparto produttivo, sulla situazione attuale e sulle tendenze degli
infortuni sul lavoro, sulle patologie professionali e su quelle correlate col lavoro e,
dove è possibile, sui dati di monitoraggio ambientale e biologico nonché sulle
soluzioni di bonifica sperimentate con efficacia e del loro impatto organizzativo.
Questi dati sono importanti come riferimenti per stimare la situazione dei rischi
nella azienda in cui il Servizio è interessato. Il Servizio ha bisogno, inoltre, di dati a
livello di azienda, sui cicli produttivi, sui piani di ristrutturazione, sulle condizioni
di salute dei lavoratori e sui livelli di assenteismo per motivi di salute, sugli
infortuni e sulle malattie professionali. L'accesso a tali dati dovrebbe essere
organizzato in forma sistematica e su base permanente che assicuri un flusso
tempestivo verso il Servizio su tutti gli aspetti più rilevanti per le finalità dallo
stesso perseguite. Poiché inoltre, solo i Servizi di prevenzione e protezione nei luoghi
di lavoro più grandi sono autosufficienti per tutti i tipi di attività delineati, la
maggior parte di questi, per realizzare propriamente tutti i compiti, hanno bisogno
del supporto di esperti esterni. Questi ultimi potrebbero essere utilizzati come
supporto di tipo informativo, di ricerca e di formazione ma anche essere integrati
per completare l'arco delle competenze del personale del Servizio. Le aree di
competenza che più frequentemente sono necessarie sono diverse e ricoprono il
campo dell'igiene della tossicologia, dell'analisi di sicurezza, della tecnologia di
controllo, dell'ergonomia, etc. Fondamentale quindi è la scelta di tali supporti
secondo criteri che certificano l’adeguatezza delle capacità nonché l'efficienza e
l'efficacia dei risultati.
36. Il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio
di prevenzione e protezione dai rischi?
Il datore di lavoro (Articolo 34 del D.Lgs 81/08, ex art. 10 del D.Lgs 626/1994) può
svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai
rischi, di primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, nelle
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ipotesi previste nell’allegato dandone preventiva informazione al rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza ed alle condizioni di cui ai commi successivi.
37. Nel caso il Datore di Lavoro voglia svolgere la mansione di RSPP in una
società cooperativa che si occupa di movimentazione merci. In questo caso il
limite di dipendenti cui riferirsi nell'all. 2 del TU è 30 come aziende artigiane
e industriali oppure 200 come "altre aziende"?
Effettivamente l'attività di movimentazione merci potrebbe essere assimilabile ad
un'attività di "trasporto per terra, per acqua o per aria" di cui al n. 3 dell'art. 2195,
c. 1, del codice civile (imprenditori soggetti all'obbligo di iscrizione al registro delle
imprese) e, in quanto tale, espressamente distinta dall'attività industriale tout court
(diretta alla produzione di beni o di servizi - art. 2195, c. 1, n. 1, citato), talché a
ragione la stessa potrebbe essere distinta dalle attività industriali o artigianali ai
sensi dell'art. 34 e allegato II, D.lgs. n. 81/2008. In qualsiasi caso dalla lettura
integrale del certificato di iscrizione alla Camera di Commercio potrà risalirsi ad un
corretto inquadramento dell'impresa in tal senso.
38. Può un "Datore di lavoro delegato" svolgere anche la funzione di RSPP
diretto se ha le capacità/requisiti e rientrando nei casi previsti all'Allegato 2
del D.Lgs. 81/08?
L'articolo 34 del D.lgs. n. 81/2008 consente, nei casi aziendali previsti dall'allegato
II, D.lgs. medesimo, lo svolgimento diretto da parte del "datore di lavoro" anche dei
compiti di r.s.p.p.. La fattispecie prospettata nel quesito risulta, invero, differente,
trattandosi non già del datore di lavoro bensì di "datore di lavoro delegato" con la
quale espressione si dovrebbe intendere, si ritiene, un manager delegato ai sensi
dell'art. 16, D.lgs. n. 81/2008, per talune problematiche afferenti alla sicurezza sui
luoghi di lavoro. Non essendo sovrapponibili le due qualifiche soggettive (datore di
lavoro e datore di lavoro "delegato") si ritiene, altresì, che l'ipotesi eccezionale
prevista dall'art. 34 non sia ampliabile, per analogia, a favore di altre qualifiche,
neanche se contigue.
39. In caso di svolgimento diretto dei compiti di Rspp, il datore di lavoro deve
frequentare appositi corsi di formazione?
Il datore di lavoro che intende svolgere tali compiti, deve frequentare corsi di
formazione, di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore, adeguati alla natura
dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, nel rispetto
dei contenuti e delle articolazioni definiti mediante accordo in sede di Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano adottati il 21 dicembre 2011.
40. Quali sono i contenuti dei corsi di formazione per il datore di lavoro che
intende svolgere direttamente i compiti di Rspp?
I percorsi formativi sono articolati in moduli associati a tre differenti livelli di richio
Basso – 16 ore
Medio – 32 ore
Alto – 48 ore
I moduli sono così definiti:
MODULO 1 - NORMATIVO giuridico
MODULO 2 – GESTIONALE gestione e organizzazione della sicurezza
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MODULO 3 – TECNICO individuazione e valutazione dei rischi
MODULO 4 – RELAZIONALE formazione e consultazione dei lavoratori
Salvo che nei casi di cui all’articolo 31, comma 6, del D.Lgs 81/08, nelle imprese o
unità produttive fino a cinque lavoratori il datore di lavoro può svolgere
direttamente i compiti di primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di
evacuazione, anche in caso di affidamento dell’incarico di responsabile del servizio
di prevenzione e protezione a persone interne all’azienda o all’unità produttiva o a
servizi esterni così come previsto all’articolo 31 del medesimo decreto, dandone
preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e previa
frequenza degli specifici corsi di formazione previsti agli articoli 45 e 46 del D.Lgs
81/08.
41. Sono un datore di lavoro di un azienda con 16 lavoratori. Ho l’obbligo di
convocare la riunione periodica. In cosa consiste?
Nelle aziende e nelle unità produttive che occupano più di 15 lavoratori, il datore di
lavoro, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi,
indice almeno una volta all’anno una riunione (Articolo 35 del D.Lgs 81/08, ex art.
11 del D.Lgs 626/1994) cui partecipano:
a) il datore di lavoro o un suo rappresentante;
b) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi;
c) il medico competente, ove nominato;
d) il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone all’esame dei partecipanti:
a) il documento di valutazione dei rischi;
b) l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali e della
sorveglianza sanitaria;
c) i criteri di scelta, le caratteristiche tecniche e l’efficacia dei dispositivi di
protezione individuale;
d) i programmi di informazione e formazione dei dirigenti, dei preposti e dei
lavoratori ai fini della sicurezza e della protezione della loro salute.
Nel corso della riunione possono essere individuati:
a) codici di comportamento e buone prassi per prevenire i rischi di infortuni e
di malattie professionali;
b) obiettivi di miglioramento della sicurezza complessiva sulla base delle linee
guida per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro.
La riunione ha altresì luogo in occasione di eventuali significative variazioni delle
condizioni di esposizione al rischio, compresa la programmazione e l’introduzione di
nuove tecnologie che hanno riflessi sulla sicurezza e salute dei lavoratori. Nelle
ipotesi di cui al periodo precedente, nelle unità produttive che occupano fino a 15
lavoratori è facoltà del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza chiedere la
convocazione di un’apposita riunione.
Della riunione deve essere redatto un verbale che è a disposizione dei partecipanti
per la sua consultazione.
42. Per aziende con numero di dipendenti minore di 15, il RSL non è tenuto a
convocare la Riunione Periodica (d.lgs. 81-2008, art. 35, comma 4). Come deve
allora comportarsi il RSPP, che necessita di questo tipo di riunioni per
definire, tra l'altro, la programmazione delle varie attività per la sicurezza
della ditta?
L'art. 35, c. 4, D.lgs. n. 81/2008 riconosce in tal senso una facoltà al
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, eletto ai sensi dell'art. 47, c. 3, D.lgs.
62
citato. E', dunque, opportuno che quest'ultimo inoltri formalmente una richiesta
scritta di indizione della riunione periodica, meglio se su modulo di comunicazione
interna o mail con ricevuta di risposta.
43. Quali sono gli adempimenti per i Datori di Lavoro che intendono svolgere
direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi?
I Datori di Lavoro che intendono svolgere direttamente i compiti di prevenzione e
protezione dai rischi, devono (art. 34):
dare preventiva informazione al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza;
- frequentare corsi di formazione, di durata minima di 16 ore e massima di 48
ore, adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle
attività lavorative.
In sostanza questi adempimenti sono invariati rispetto a quanto previsto nel
precedente Dlgs. 626/94.
La novità introdotta dall’attuale normativa consiste nella variazione della durata dei
corsi.
Inoltre per la definizione dei contenuti e delle articolazioni dei corsi il nuovo TU
rinvia alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, accordo che è intervenuto il 21 dicembre 2011.
44. Il datore di lavoro che intenda svolgere direttamente i compiti del servizio
di prevenzione e protezione deve comunicarlo all’organo di vigilanza?
Da un raffronto tra l’art. 10 dell’abrogato d.lgs. 626/94 e l’attuale art. 34
(svolgimento diretto da parte del d.d.l. dei compiti del servizio di prevenzione e
protezione) effettivamente si desume che non vi sia più l’obbligo di trasmettere all’
organo di vigilanza territorialmente competente alcuna comunicazione, nè
l’attestazione della frequenza
del corso di formazione nonché la relazione
sull’andamento degli infortuni.
45. Sono previsti corsi di aggiornamento per i Datori di Lavoro?
Certamente, infatti i Datori di Lavoro che intendono svolgere direttamente i compiti
di prevenzione e protezione dai rischi (art. 34) devono frequentare corsi di
aggiornamento quinquennale, così come individuati in sede di Accordo della
conferenza Stato-Regioni.
E’ importante ricordare che sono altresì sottoposti all’obbligo di aggiornamento
coloro che abbiano frequentato i corsi di cui all’articolo 3 del DM 16 gennaio 1997 e
coloro che erano stati esonerati dalla frequenza dei corsi, ai sensi dell’articolo 95 del
Dlgs 626/94.
46. Se le aziende di cui all'articolo 31, comma 6, non hanno tra il personale
soggetti in possesso dei previsti requisiti professionali, possono ricorrere a
consulenti esterni per la copertura del ruolo di responsabile del servizio
prevenzione e protezione (Rspp)?
Il comma 7 dell'articolo 31 è abbastanza esplicito nel prevedere che nell'ipotesi di
attività elencate nel comma 6, «il responsabile del servizio di prevenzione e
protezione deve essere interno». Pertanto, non essendo ammesse deroghe, l'azienda
dovrà assumere appositamente un soggetto in possesso dei requisiti di cui
all'articolo 32 per lo svolgimento dei compiti di responsabile del servizio prevenzione
e protezione, fermo restando che tale mansione non dovrà essere necessariamente
esclusiva.
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47. In riferimento all'articolo 34 del nuovo Testo unico, il Datore di Lavoro
non deve inviare la dichiarazione indicata nell'articolo 10, comma 2 della
626/94. Deve essere semplicemente custodita in azienda?
L'articolo 29, comma 5, nel recepire il contenuto dell'articolo 10 del decreto
legislativo 626/94, in attuazione del principio della semplificazione delle procedure,
ha riformulato le deroghe in materia di valutazione dei rischi da parte del Datore di
Lavoro che occupi fino a 10 dipendenti. È, infatti, ora previsto che tali datori
effettuino la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate
individuate con decreto interministeriale del 27 novembre 2012 ed entrate in vigore
dal 1° giugno 2013.
48. Si fa l’ipotesi di una Srl composta da due soci e da un amministratore
esterno senza compenso. Il responsabile del servizio prevenzione e protezione
è uno dei due soci, che al momento non è alle dipendenze dell'azienda. La Srl
in questione è fuori norma?
Ipotizzando che non svolga alcuna delle attività previste dall'articolo 31, comma 6 il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione può essere anche non interno
all'azienda. Per interno all'azienda deve ritenersi che tra azienda e responsabile del
servizio prevenzione e protezione deve esistere un rapporto tale da garantire la
continuità della prestazione e della presenza che, in linea di massima, configura un
rapporto di lavoro subordinato.
49. Quando la legge stabilisce l'obbligatorietà del Rspp interno, è possibile
nominare un Rspp che è legato alla società da un contratto a progetto e che
presta la propria opera anche per altre imprese?
L'articolo 31, comma 7, del decreto legislativo 81/08 stabilisce che nelle ipotesi di
attività indicate nel comma 6, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione
(Rspp) deve essere interno.
Tale scelta fatta dal legislatore, in considerazione delle particolari attività di cui al
comma 6, si ritiene sia avvenuta per garantire la costante presenza del Rspp sul
posto di lavoro
Peraltro, gli stessi compiti individuati dall'articolo 33, correlato con il citato comma
6, non sembrano lasciare discrezionalità circa la scelta del rapporto di lavoro, atteso
che il contratto a progetto, ai sensi dell'art. 61 e seguenti del decreto legislativo
276/03 si caratterizza per la determinatezza o la determinabilità della prestazione.
Tali imprescindibili condizioni sembra che contrastino con il principio introdotto dal
comma 7 dell'articolo 31 del decreto legislativo 81/08 che, prevedendo che il Rspp
sia interno all'azienda, ne presuppone l'inserimento nell'organizzazione anche ai fini
di una continua presenza.
50. Quali sono le modalità di organizzazione e di gestione dei corsi per
responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e addetto al
servizio di prevenzione e protezione (ASPP)? Quali sono i soggetti abilitati ad
erogare la formazione, i requisiti dei docenti, e le modalità di effettuazione
della validazione e certificazione della formazione?
Il d.lgs. n. 81/2008 (c.d. “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro), nel
valorizzare la formazione dei lavoratori come uno dei principali strumenti di
prevenzione e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, prevede varie tipologie di
corsi di formazione, dettando al proposito una disciplina differenziata. Per quanto
riguarda, in particolare, i corsi di formazione per responsabile del servizio di
prevenzione e protezione (RSPP) e di addetto al servizio di prevenzione e protezione
(ASPP), i soggetti abilitati ad effettuarli sono quelli di cui al citato art. 32, comma 4,
del d.lgs. n. 81/2008, il quale, a sua volta, richiama quanto previsto al punto 4
64
dell’Accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, e successive
modificazioni. Tale accordo oltre ad individuare, al punto 4.1, gli ulteriori soggetti
formatori rispetto a quelli già indicati dal citato art. 32, comma 4, d.lgs. n.
81/2008, - come pure i requisiti del personale docente impiegato nell’attività
formativa - al punto 4.2, stabilisce che altri soggetti, oltre a quelli espressamente
indicati nel paragrafo precedente, possono esercitare attività di formazione,
ricorrendo i seguenti requisiti:
“a) essere accreditato nella Regione o Provincia autonoma in cui intendono operare, in
conformità al modello di accreditamento definito in ogni Regione e Provincia
autonoma, ai sensi del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del
25 maggio 2001 n. 166; b) dimostrare di possedere esperienza almeno biennale,
maturata in ambito di prevenzione e sicurezza sul lavoro; c) dimostrare di disporre di
docenti con esperienza almeno biennale in materia di prevenzione e sicurezza sul
lavoro”.
Sembra opportuno notare che, in tali casi, e, in generale, in tutti i casi in cui la
normativa si limita a stabilire i requisiti minimi della formazione, senza indicare
particolari soggetti abilitati allo svolgimento dei relativi corsi, gli stessi possono
essere svolti da qualsiasi centro di formazione con esperienza nel settore della
sicurezza in conformità alla normativa che li ha istituiti e alla eventuale disciplina
dettata in materia dalle Regioni e dalle Province autonome.
Per quanto riguarda, infine, la certificazione di avvenuta formazione dei RSPP e
degli ASPP, la materia è disciplinata al punto 2.5 del predetto Accordo sancito in
data 26 gennaio 2006, il quale prevede che gli attestati di frequenza, con verifica
dell’apprendimento, vengano rilasciati dalle Regioni e Province autonome
competenti per territorio, sulla base dei verbali, redatti in sede di accertamento
dell’apprendimento dalle Commissioni di docenti interni, nei quali è formulato il
giudizio della medesima Commissione in termini di valutazione globale. Da tale
previsione sono esclusi gli attestati di frequenza rilasciati dai soggetti individuati
dall’art. 32 del d.lgs. n. 81/2008 e di quelli di cui al punto 4.1 dell’Accordo stesso,
che possono certificare autonomamente la avvenuta formazione.
65
Capitolo 3
I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza
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1. Lavoro in un’azienda con 8 dipendenti. Cosa prevede la recente normativa
di sicurezza per l’elezione del rappresentante dei lavoratori?
Ai sensi dell'art. 47 del D.Lgs 81/08 in tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o
designato il rappresentante per la sicurezza.
Nelle aziende, o unità produttive, che occupano sino a 15 lavoratori, il
rappresentante per la sicurezza:
 è eletto direttamente dai lavoratori al loro interno;
 può essere individuato per più aziende nell'ambito territoriale ovvero del
comparto produttivo12;
 può essere designato o eletto dai lavoratori nell'ambito delle rappresentanze
sindacali, così come definite dalla contrattazione collettiva di riferimento.
2. Quali sono le procedure di elezione del rls in un’azienda con più di 15
lavoratori?
Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori, il rappresentante per la
sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell'ambito delle rappresentanze
sindacali in azienda; in assenza di tali rappresentanze, è eletto dai lavoratori
dell'azienda al loro interno. Il numero, le modalità di designazione o di elezione del
rappresentante per la sicurezza, nonchè il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti
per l'espletamento delle funzioni, sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva.
3. Qual è il numero minimo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza?
In ogni caso il numero minimo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza è il
seguente:
a) un rappresentante nelle aziende ovvero unità produttive sino a 200 dipendenti;
b) tre rappresentanti nelle aziende ovvero unità produttive da 201 a 1.000
dipendenti;
c) sei rappresentanti in tutte le altre aziende ovvero unità produttive.
Qualora non si proceda alle elezioni, le funzioni di rappresentante dei lavoratori per
la sicurezza sono esercitate dai rappresentanti territoriali o di sito produttivo, salvo
diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
4. È possibile che chi ricopre l'incarico di preposto (nel caso in esame un ruolo
della carriera direttiva) all'interno dell'azienda possa contemporaneamente
rivestire il ruolo di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls) ?
Diversamente da quanto è previsto per il Rspp dall’articolo 50, comma 7 del Dlgs
81/2008 non sussistono ragioni di incompatibilità funzionale; è dunque possibile e
ragionevole che il Rappresentante dei lavoratori della sicurezza (Rls) possa essere
individuato tra i “preposti”, secondo i criteri e le modalità stabilite dall’articolo 47
del Dlgs 81/2008 (si veda anche l’ Accordo interconfederale 22 giugno 1995 in tema
di Rls, siglato tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil).
5. Sono un Rls di una piccola azienda. Quali sono i miei principali compiti?
Con l'accordo provinciale del 18 luglio 1998, le Organizzazioni territoriali di categoria (ACER, INTERSIND e FENEAL,
FILCA, FILLEA) hanno istituito una nuova figura: il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di ambito territoriale
(R.L.S.T.). L'accordo _ la cui vigenza è sperimentalmente fissata in quattro anni, con decorrenza dal 1º gennaio 1998 al
31 dicembre 2001 _ prevede che il Rappresentante territoriale svolga la propria attività nell'ambito di operatività delle
imprese edili ed affini di Roma e provincia con cantieri operanti nelle quali non sia stato nominato il rappresentante
per la sicurezza. Il R.L.S.T. deve comunicare preventivamente all'impresa interessata i sopralluoghi che intende
effettuare, compatibilmente con le esigenze produttive, negli ambienti di lavoro. Nel corso di dette visite il
Rappresentante territoriale, affiancato dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione, verifica l'efficacia
delle misure adottate nel cantiere in materia di prevenzione dei rischi e, al termine delle stesse, redige un verbale che
sarà poi conservato presso la sede del Comitato tecnico paritetico della provincia di Roma. Nel caso in cui sorgano
controversie con le imprese è lo stesso Comitato tecnico _ in qualità di organo di prima istanza _ che esprime un parere
entro 3 giorni (10 giorni nei casi particolarmente complessi).
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67
Il rappresentante per la sicurezza:
a) accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;
b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei
rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della
prevenzione nell'azienda ovvero unità produttiva;
c) è consultato sulla designazione degli addetti al servizio di prevenzione, all'attività
di prevenzione incendi, al pronto soccorso, alla evacuazione dei lavoratori;
d) è consultato in merito all'organizzazione della formazione degli incaricati
all'attività di pronto soccorso, lotta antincendio ed evacuazione dei lavoratori;
e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente la valutazione dei
rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti le sostanze e i
preparati pericolosi, le macchine, gli impianti, l'organizzazione e gli ambienti di
lavoro, gli infortuni e le malattie professionali;
f) riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza;
g) riceve una formazione adeguata;
h) promuove l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di
prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori;
i) formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità
competenti;
l) partecipa alla riunione periodica in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
m) fa proposte in merito all'attività di prevenzione;
n) avverte il responsabile dell'azienda dei rischi individuati nel corso della sua
attività;
o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di
prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro e i mezzi impiegati
per attuarle non siano idonee a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è inoltre agevolato, nello
svolgimento delle sue funzioni dalla circostanza che il decreto legislativo n. 81/2008
impone al datore di lavoro, dirigente e preposto di permettere ai lavoratori di
verificare mediante il rappresentante per la sicurezza l'applicazione delle misure di
sicurezza e di protezione della salute e di consultare il rappresentante dei lavoratori
sulla:
 valutazione dei rischi, individuazione, programmazione, realizzazione e
verifica della prevenzione nell'azienda ovvero nell'unità produttiva;
 designazione dei lavoratori addetti al servizio di prevenzione, all'attività di
prevenzione incendi, al pronto soccorso, all'evacuazione dei lavoratori e sulla
formazione di tali lavoratori.
6. Può una stessa persona, dipendente di una specifica ditta, svolgere il ruolo
di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Dlgs 81/08) per tre diverse
unità produttive appartenenti a un unico gruppo?
L'articolo 47, comma 2 del Dlgs 81/2008 afferma il diritto dei lavoratori di eleggere
o designare il responsabile della sicurezza dei lavoratori in tutte le aziende o unità
produttive. Va chiarito che l'elezione o designazione del Rls non è un obbligo
dell'azienda ma un diritto dei lavoratori. Pertanto, nel caso citato dal lettore, i
lavoratori possono eleggere o designare il/i Rls secondo le modalità previste dal
Ccnl dove sono anche definiti i tempi di lavoro retribuito da dedicare all'attività e le
modalità di espletamento dell'incarico. Nel caso in cui i lavoratori di un'azienda
decidessero di non avvalersi di questo diritto, il legislatore ha previsto che le
funzioni di Rls siano espletate dai Rlst (Rappresentanti dei lavoratori per la
sicurezza territoriali), articolo 47, comma 8 del Dlgs 81/2008.Quindi, nel caso
citato, o i lavoratori eleggono/designano i Rls nelle singole unità produttive oppure
si avvalgono dei Rlst nei modi e nei termini previsti dall'articolo 48 del citato
decreto.
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7. Sono un rappresentante per la sicurezza. Come si configura il mio diritto di
accesso ai luoghi di lavoro? Quali poteri ho nel caso specifico?
Il diritto di accedere ai luoghi di lavoro da parte del RLS non fa parte di disposizioni
«nuove» che il decreto 81/08 ha introdotto in materia di salute e sicurezza. Tale
diritto, anche se non in forma esplicita, era già contenuto nell’art. 9, dello Statuto
dei lavoratori, ove si precisa che «I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno
diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e
delle malattie professionali». La determinazione delle modalità per l’esercizio del
diritto di accesso ai luoghi di lavoro è demandata dalla legge alla contrattazione
collettiva nazionale. Il diritto di accesso deve essere esercitato «nel rispetto delle
esigenze produttive con le limitazioni previste dalla legge» secondo la maggior parte
degli accordi collettivi (nel testo dell’accordo per il commercio vengono peraltro
evidenziate anche le «esigenze organizzative»), richiamando anche il segreto
industriale al quale il RLS è tenuto.
8. Deve essere sempre rispettato i diritto del datore di lavoro a vedere
preservato il segreto industriale? Come si concilia con la facoltà di accesso ai
locali?
L’obbligo a carico del RLS del rispetto del segreto industriale è espressamente
sancito dall’art. 50, comma 6, del D.Lgs 81/08. In esso si legge che: «Il
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è tenuto al rispetto delle disposizioni di
cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e del segreto industriale
relativamente alle informazioni contenute nel documento di valutazione dei rischi e
nel documento di valutazione dei rischi di cui all'articolo 26, comma 3, nonché al
segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle
funzioni».
Il «rispetto delle esigenze produttive» peraltro può essere fatto valere dal datore di
lavoro solo in presenza di «reali» esigenze, delle quali egli possa dimostrare
l’esistenza, eliminando così il rischio di un uso mirato ad ostacolare o rendere
difficile l’attività del rappresentante. I tempi e i termini relativi alla segnalazione
preventiva delle visite del RLS in azienda sono previsti dalla disciplina collettiva.
9. Esistono accordi interconfederali che disciplinano le modalità di accesso
del Rls nei luoghi di lavoro?
Negli accordi Confindustria e pubblica amministrazione il riferimento è generico («il
RLS segnala preventivamente al datore di lavoro le visite che intende effettuare agli
ambienti di lavoro»). Nell’accordo del commercio è prevista una diversa
regolamentazione per il RLS eletto direttamente dai lavoratori all’interno
dell’azienda e per il rappresentante territoriale per la sicurezza. A carico del primo è
disposto l’obbligo di segnalare al datore di lavoro le visite che intende effettuare con
preavviso di «almeno 2 giorni lavorativi»; per il secondo con preavviso di «almeno 7
giorni». Più in generale è da dire che l’utilizzo dei permessi da parte del RLS deve
comunque essere comunicato alla direzione aziendale con un periodo di preavviso
che, laddove non espressamente indicato dalla contrattazione collettiva, è da
ritenersi stabilito in 24 ore, in analogia a quanto previsto dall’art. 23, ultimo
comma, dello Statuto dei lavoratori, per i permessi sindacali retribuiti. In genere gli
accordi prevedono che le visite si possano «anche svolgere congiuntamente al
responsabile del servizio di prevenzione e protezione o ad un addetto da questi
incaricato» (vedi ad esempio l’accordo Confindustria).
Diversa, al riguardo, è l’impostazione dell’accordo per il settore artigiano. In esso si
prevede, per le imprese che occupano fino a 15 dipendenti, che l’accesso ai luoghi di
lavoro da parte del rappresentante territoriale per la sicurezza (RLTS) avvenga «alla
presenza dell’Associazione cui l’impresa è iscritta o alla quale conferisce mandato»,
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previa comunicazione scritta alla componente datoriale dell’Organismo paritetico
territoriale. L’eventuale conferma della disponibilità alla visita del r.l.t.s nei luoghi
di lavoro dell’impresa dovrà pervenire dall’associazione a cui l’impresa è iscritta o
ha dato mandato «entro 7 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione di cui
sopra». L’accesso all’impresa da parte del RLTS dovrà comunque effettuarsi entro i
successivi 7 giorni. I termini di cui sopra sono ridotti a «3 giorni», per «emergenze
che attengano al pregiudizio della sicurezza dei lavoratori». Il diritto di accesso ai
luoghi di lavoro è garantito sul piano penale.
10. Come si configura il diritto del Rls ad essere consultato? Quali sono i
documenti che devono essere fatti conoscere al Rls?
Il rappresentante per la sicurezza deve essere consultato dal datore di lavoro
preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla
individuazione, alla programmazione, alla realizzazione ed alla verifica della
prevenzione nell'azienda ovvero unità produttiva. Deve essere consultato, altresì,
sulla designazione degli addetti al servizio di prevenzione, all'attività di prevenzione
incendi, al pronto soccorso, alla evacuazione dei lavoratori. In tale ottica, peraltro,
lo stesso rappresentante partecipa alla riunione periodica in materia di sicurezza e
salute sul lavoro, propone iniziative in merito all'attività di prevenzione e, infine,
avverte il responsabile dell'azienda dei rischi individuati nei luoghi di lavoro.
11. Esiste una formazione particolare che deve avere il Rls?
Il rappresentante per la sicurezza ha diritto ad una formazione particolare in
materia di salute e sicurezza, concernente la normativa in materia di sicurezza e
salute e i rischi specifici esistenti nel proprio ambito di rappresentanza, tale da
assicurargli adeguate nozioni sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei
rischi stessi. Il rappresentante per la sicurezza non può subire pregiudizio alcuno a
causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le
stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali. I rappresentanti
per la sicurezza sono tenuti al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono
a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni (art. 50, D.Lgs. n. 81/2008). Un
ultimo cenno, infine, al ruolo del rappresentante per la sicurezza ed al suo
coinvolgimento durante le ispezioni delle autorità competenti. Al riguardo il
Ministero del lavoro ha evidenziato la necessità di un maggiore coinvolgimento dei
rappresentanti dei lavoratori da parte degli organi e dei servizi di ispezione e
controllo "... sia prima che durante il sopralluogo ispettivo" (Ministero del lavoro _
direttiva 23 febbraio 2000). Un coinvolgimento, più in particolare, finalizzato
all'acquisizione di dati e notizie più precise e dettagliate circa le effettive situazioni
di rischio presenti nell'azienda. Coerentemente, appare evidente che il personale
ispettivo e di controllo non solo attingerà notizie ed informazioni utili direttamente
dal rappresentante per la sicurezza, ma dovrà comunicare a quest'ultimo le
eventuali irregolarità riscontrate tramite consegna della copia del verbale di
ispezione "... opportunamente depurato degli aspetti strettamente penali".
12. Sono un Rls appena designato in azienda. Mi dicono che tra i miei poteri
vi è quello di poter formulare al datore di lavoro proposte e osservazioni.
Come si configura esattamente tale potere?
Uno degli aspetti più significativi del D.Lgs 81/08 risiede nel radicale mutamento
culturale da una logica di semplice riparazione del danno a quella della
prevenzione, rafforzando e privilegiando così quel potere d’iniziativa proveniente
anche dal «basso» voluto espressamente dal legislatore.
In questa cornice si collocano le attribuzioni del RLS, previste dall’art. 50, 1°
comma, lettere h), i) ed m). Tali compiti, tra i più delicati fra quelli di cui il RLS è
titolare, richiedono un ruolo di forte stimolo e di piena interattività nel luogo di
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lavoro soprattutto nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, dal datore di lavoro agli
stessi lavoratori. Una corretta azione propositiva presuppone peraltro l’acquisizione
di conoscenze sui modi di produzione e sull’intera organizzazione aziendale. Da qui
l’importanza di una adeguata preparazione, anche tecnica, del RLS. Il potere di
formulare proposte da parte del RLS non rappresenta una totale novità nel
panorama normativo italiano. Già la seconda parte dell’art. 9 dello Statuto dei
lavoratori riconosce ai lavoratori, mediante loro rappresentanze, un potere di
iniziativa circa la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione delle misure di sicurezza.
13. Quando si deve ricorrere all’elezione del rappresentante dei lavoratori per
la sicurezza territoriale?
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (Articolo 48 del decreto e
articolo 1, comma 2, lett. g) della legge 123/2007) esercita le competenze del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza con riferimento a tutte le aziende o
unità produttive del territorio o del comparto di competenza nelle quali non sia
stato eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
14. Quali sono le procedure di elezione del rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza territoriale?
Le modalità di elezione o designazione del rappresentante sono quelle individuate
dagli accordi collettivi nazionali, interconfederali o di categoria, stipulati dalle
associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale.
15. Quali diritti e quali compiti ha il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza territoriale? Che tipologia di formazione deve avere?
Per l’esercizio delle proprie attribuzioni, il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza territoriale accede ai luoghi di lavoro nel rispetto delle modalità e del
termine di preavviso individuati. Il termine di preavviso non opera in caso di
infortunio grave. In tale ultima ipotesi l’accesso avviene previa segnalazione
all’organismo paritetico. Ove l’azienda impedisca l’accesso, nel rispetto delle
modalità di cui al presente articolo, al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
territoriale, questi lo comunica all’organismo paritetico o, in sua mancanza,
all’organo di vigilanza territorialmente competente. L’organismo paritetico comunica
alle aziende e ai lavoratori interessati il nominativo del rappresentante della
sicurezza territoriale. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale ha
diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i
rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale
da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e
prevenzione dei rischi stessi. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della
formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale sono
stabiliti in sede di contrattazione collettiva secondo un percorso formativo di almeno
64 ore iniziali, da effettuarsi entro 3 mesi dalla data di elezione o designazione, e 8
ore di aggiornamento annuale. L’esercizio delle funzioni di rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza territoriale è incompatibile con l’esercizio di altre funzioni
sindacali operative.
16. Vorrei avere chiarimenti in merito alla nomina, formazione e
aggiornamento dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) nel caso
di aziende con meno di 15 lavoratori.
La durata, i contenuti specifici e le modalità della formazione del Rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza (Rls) sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva
nazionale, nel rispetto dei requisiti minimi individuati da comma 11 dell’ art. 37.
71
La durata minima dei corsi è di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici presenti
in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione, con verifica di
apprendimento. La contratatzione collettiva andrà a disciplinare inoltre le modalità
dell’obbligo di aggiornamento periodico.
17. In quali casi si deve designare il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza di sito produttivo
I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo (Articolo 49 del
decreto e articolo 1, comma 2, lett. g) della legge 123/2007) sono individuati nei
seguenti specifici contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più aziende
o cantieri:
a) i porti di cui all’articolo 4, comma 1, lettere b), c) e d) della legge 28
gennaio 1994, n. 84, sedi di autorità portuale nonché quelli sede di autorità
marittima da individuare con decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza
sociale e dei trasporti da emanare entro dodici mesi dall’entrata in vigore del
presente decreto;
b) centri intermodali di trasporto di cui alla direttiva del Ministro dei trasporti
del 18 ottobre 2006, n. 3858;
c) impianti siderurgici;
d) cantieri con almeno 30.000 uomini-giorno, intesa quale entità presunta
dei cantieri, rappresentata dalla somma delle giornate lavorative prestate dai
lavoratori, anche autonomi, previste per la realizzazione di tutte le opere;
e) contesti produttivi con complesse problematiche legate alla interferenza
delle lavorazioni e da un numero complessivo di addetti mediamente operanti
nell’area superiore a 500.
Nei contesti di cui al punto precedente il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza di sito produttivo è individuato, su loro iniziativa, tra i rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza delle aziende operanti nel sito produttivo.
18. Opero in un’azienda industriale. Esiste una specifica disciplina sui
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi
interconfederali?
Nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori il rappresentante
per la sicurezza è eletto direttamente dai lavoratori al loro interno.
Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori i rappresentanti vengono
designati di norma nell'ambito delle R.S.U. (l'elezione diretta è prevista solo in
assenza di tali organismi).
I rappresentanti per la sicurezza restano in carica 3 anni.
Il numero dei rappresentanti ed i permessi loro attribuiti per l'espletamento dei
compiti istituzionali risultano dal prospetto che segue:
N. dipendenti (*) dell'unità
produttiva
N. rappresentanti per la
sicurezza
fino a 5
da 6 a 15
da 16 a 200
da 201 a 300
da 301 a 1.000
oltre 1.000
1
1
1
3 (**)
3
6
Ore annue di permesso
retribuito
per
in
rappresentante complesso
12
12
30
30
40
40
40
120
40
120
40
240
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(*) L'accordo Confapi specifica che, ai fini dell'applicazione delle classi dimensionali, sono conteggiati tutti
i dipendenti a libro matricola che prestano la loro attività nelle sedi aziendali; i lavoratori a tempo
parziale vengono conteggiati "pro_quota".
(**) Di cui _ secondo l'accordo Confindustria _ 1 eletto tra i lavoratori e 2 individuati tra i componenti della
R.S.U.
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad una formazione
specifica impartita secondo un programma base di 32 ore che deve comprendere:
- conoscenze generali sugli obblighi e diritti previsti dalla normativa in materia di
igiene e sicurezza del lavoro;
- conoscenze generali sui rischi dell'attività e sulle relative misure di prevenzione e
protezione;
- metodologie sulla valutazione del rischio;
- metodologie minime di comunicazione.
Alla contrattazione nazionale di categoria è demandata l'individuazione di ulteriori
contenuti specifici della formazione (anche per quanto riguarda la metodologia
didattica).
Per lo svolgimento del programma di formazione sono concessi permessi retribuiti
aggiuntivi rispetto a quelli risultanti dalla tabella che precede.
E' stato inoltre previsto che la riunione annuale, di cui all'art. 35 del D.Lgs. n. 81
del 2008, deve essere convocata con un preavviso non inferiore a 5 giorni lavorativi
e su un ordine del giorno scritto.
19. Opero in un’azienda del terziario con 7 dipendenti. Esiste una specifica
disciplina sui rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi
interconfederali?
Nelle aziende che occupano fino a 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza è
eletto direttamente dai lavoratori al loro interno.
Per l'espletamento dei propri compiti istituzionali, al rappresentante per la sicurezza
sono riconosciuti permessi pari a:
a) 12 ore annue nelle aziende fino a 5 dipendenti;
b) 16 ore annue nelle aziende da 6 a 10 dipendenti;
c) 24 ore annue nelle aziende da 11 a 15 dipendenti.
Per le aziende stagionali il monte ore suindicato viene riproporzionato in relazione
alla durata del periodo di apertura e comunque con un minimo di: 4 ore annue nel
caso previsto sub a); 5 ore annue nel caso sub b) e 7 ore annue nel caso sub c).
In considerazione delle peculiarità del settore e in attuazione del criterio sussidiario
contenuto nell'art. 18 del D.Lgs. n. 626 (vedi ora artt. 47 e seguenti del D.Lgs. n.
81/2008) è stato previsto anche un modello di rappresentanza territoriale. In
questo caso i rappresentanti territoriali sono designati dalle Organizzazioni
sindacali dei lavoratori.
20. Opero in un’azienda del terziario con oltre 15 dipendenti. Esiste una
specifica disciplina sui rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata
da accordi interconfederali? Nelle aziende o unità produttive con più di 15
dipendenti i rappresentanti vengono designati di norma nell'ambito delle R.S.A.
(l'elezione diretta è prevista solo in assenza di tali organismi).
Il numero di rappresentanti per la sicurezza è così individuato:
_ 1 rappresentante nelle unità produttive fino a 200 dipendenti;
_ 3 rappresentanti nelle unità produttive da 201 a 1.000 dipendenti;
_ 6 rappresentanti nelle unità produttive oltre 1.000 dipendenti.
Per l'espletamento dei loro compiti istituzionali, i rappresentanti per la sicurezza
hanno diritto, individualmente, a 30 ore annue nelle unità produttive da 16 a 30
dipendenti e a 40 ore annue nelle unità produttive oltre 30 dipendenti.
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Per le aziende stagionali il monte ore suindicato viene riproporzionato in relazione
alla durata del periodo di apertura e comunque con un minimo di 9 ore annue nelle
unità produttive da 16 a 30 dipendenti e di 12 ore annue nelle unità produttive
oltre 30 dipendenti.
I rappresentanti per la sicurezza durano in carica 3 anni.
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad una formazione
specifica impartita secondo un programma base di 32 ore analogo a quello previsto
per il comparto industriale.
Per lo svolgimento del programma di formazione sono concessi permessi retribuiti
aggiuntivi rispetto a quelli indicati sub A) e B).
21. Sono Rls di un’impresa artigiana. Esiste una specifica disciplina sui
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi
interconfederali?
Per le aziende aderenti alle Confederazioni dell'artigianato, l'ipotesi di accordo del
22 novembre 1995 prevede _ in attuazione del criterio sussidiario contenuto nell'art.
18 del D.Lgs. n. 626 del 1994 (vedi ora artt. 47 e seguenti del D.Lgs. n. 81/2008) _
l'adozione del modello di rappresentanza territoriale.
La designazione dei rappresentanti territoriali viene formalizzata dalle
Organizzazioni sindacali dei lavoratori (Organizzazioni confederali unitamente alle
rispettive Federazioni di categoria). Tali rappresentanti possono essere scelti anche
tra i dipendenti delle imprese interessate (con esclusione comunque delle aziende
con meno di 5 dipendenti). I dipendenti eventualmente designati avranno diritto ad
un periodo di aspettativa per tutta la durata del mandato e l'azienda potrà
assumere a tempo determinato un altro lavoratore in sostituzione del lavoratore
distaccato.
Fermo restando l'impegno delle parti alla realizzazione in via generalizzata del
modello territoriale, l'accordo prevede comunque, nelle condizioni e secondo le
modalità che verranno definite a livello di categoria, l'eventuale individuazione di un
rappresentante per la sicurezza nelle imprese fino a 15 dipendenti, nonchè _ in
attuazione dell'obbligo di legge _ l'elezione di un rappresentante per la sicurezza
nelle imprese con più di 15 dipendenti nell'ambito delle rappresentanze sindacali
aziendali ovvero in mancanza fra i dipendenti dell'impresa.
Richiamando la specifica normativa in vigore per il comparto, l'accordo precisa che
gli apprendisti ed i lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro non
concorrono alla determinazione del limite dei 15 dipendenti.
I rappresentanti hanno diritto a permessi retribuiti per 40 ore all'anno, da utilizzare
con un preavviso di almeno 48 ore, salvo i casi di forza maggiore e tenendo conto
delle esigenze tecnico_produttivo_organizzative dell'impresa, nonchè a permessi
retribuiti aggiuntivi per complessive 32 ore destinati alla formazione secondo un
programma base analogo a quello sopra esaminato per il comparto industriale.
Per il finanziamento del meccanismo di rappresentanza territoriale le imprese sono
tenute all'accantonamento in un apposito Fondo regionale di un importo pari a € 5
(L. 10.000) annue per dipendente.
22. E vero che la nomina dei Rls deve essere comunicata? In caso di risposta
affermativa, a quale ente e con quale frequenza?
L’art. 13, lettera f) del decreto legislativo n.106 del 5 agosto 2009 ha modificato la
lettera aa) dell’art.18 del Decreto legislativo n. 81/2008 in materia di obblighi del
datore di lavoro e del dirigente. In base a tale modifica i suddetti soggetti devono
comunicare in via telematica all’INAIL (e all’IPSEMA per quanto riguarda le categorie
tutelate dallo stesso Ente) in caso di nuova nomina o designazione, i nominativi dei
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima applicazione l’obbligo
74
di cui alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori già
eletti o designati”.
Rimane invariata la previsione di cui all’art.47 che stabilisce i criteri e le modalità di
elezione e designazione dei suddetti Rappresentanti nelle aziende e/o nelle unità
produttive.
A differenza di quanto previsto nella formulazione della norma in oggetto contenuta
nel decreto legislativo n. 81/2008, la comunicazione in argomento non va più
effettuata con cadenza annuale, ma solo in caso di nuova nomina o designazione.
In fase di prima applicazione del Decreto legislativo n. 106/2009, l’obbligo di cui
alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori già eletti
o designati”.
Pertanto:
a) coloro i quali hanno ottemperato all’obbligo - secondo le istruzioni emanate
dall’Istituto in attuazione del Decreto legislativo n.81/2008 - comunicando il
nominativo (o i nominativi se piu’ di uno) con riferimento alla situazione al 31
dicembre 2008 non devono effettuare alcuna comunicazione, se non nel caso
in cui siano intervenute variazioni di nomine o designazioni nel periodo dal
1° gennaio 2009 alla data della presente circolare.
b) coloro i quali non hanno effettuato alcuna comunicazione secondo le istruzioni
emanate dall’Istituto con la richiamata circolare n. 11/2009 devono inviare la
segnalazione per la prima volta seguendo le istruzioni operative come di
seguito specificato.
Per coloro i quali non versano nelle enunciate fattispecie, l’obbligo di
comunicazione scatta in occasione di prima elezione o designazione del RLS.
Successive comunicazioni dovranno essere effettuate solo nel caso in cui
dovesse essere nominato o designato RLS differente da quello segnalato. In
difetto si ritiene immutata la situazione già comunicata.
Si ricorda che rientrano nell’obbligo di comunicazione i datori di lavoro ovvero i
dirigenti - se tale compito rientra nelle competenze attribuite loro, nell’ambito
dell’organizzazione, dal datore di lavoro - di qualsiasi settore privato e pubblico
(art. 3, comma 1).
Sono escluse da tale obbligo le Amministrazioni, gli Istituti e le
Organizzazioni così come previsto dall’art. 3, commi 2 e 3bis, al cui riguardo si
esprime riserva di dare indicazioni in considerazione del rinvio alla
emanazione di Decreti attuativi, contenuto nelle disposizioni succitate.
Appare inoltre utile rimarcare come le elezioni o le designazioni dei
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza non costituiscono un obbligo per
il datore di lavoro ma una facoltà dei lavoratori, che potrebbe non essere
esercitata dai medesimi. Infatti, il datore di lavoro non ha alcun titolo
decisionale al riguardo e non deve ingerire in alcuna forma o modo per non
violare le libertà delle organizzazioni sindacali previste dalla legge n. 300/70.
23. La comunicazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza deve
essere effettuata per ogni singola azienda o può essere effettuata
cumulativamente in caso di più aziende?
La comunicazione deve essere effettuata per la singola azienda, ovvero per
ciascuna unità produttiva in cui si articola l’azienda stessa, nella quale operano i
Rappresentanti.
24. Quali sono le sanzioni in caso di mancata comunicazione del nominativo
del Rls?
75
L’art. 55 del Decreto legislativo n. 81/2008, cosi’ come modificato dall’art. 32 del
Decreto legislativo n. 106/2009: “Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente”
prevede, in caso di violazione dell’art. 18 comma 1, lettera aa) del Decreto legislativo
n. 81/2008, nel testo modificato dall’art. 13 lettera f) dal Decreto legislativo n.
106/2009, una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50,00 a 300,00.
25. Devo provvedere alla comunicazione all'Inail dei Rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza in conformità di quanto previsto dall'articolo 47 del
Dlgs 81/2008. Vorrei sapere che cosa si intende per «unità produttiva». La
nostra società esercita l'attività di pulizie per conto di committenti pubblici e
privati e, pertanto, opera presso le strutture dei committenti. Tali strutture
sono da ritenersi ciascuna «unità produttiva» oppure no?
La definizione di «unità produttiva» è contenuta all’articolo 2, comma 1, lettera t) del
Dlgs 81/2008 e indica lo «stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni
o all'erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale».
Peraltro va precisato che l’«unità produttiva» in relazione alla quale deve essere
adempiuto, da parte del datore di lavoro, l’obbligo della comunicazione annuale
all'Inail dei nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (articolo 18,
comma 1, lettera aa) del Dlgs 81/2008) è quella relativa alla propria organizzazione
imprenditoriale (azienda), non quelle di terzi datori di lavoro committenti, presso le
quali si opera in regime di «appalto interno» ex articolo 26 del Dlgs 81/2008. Ne
deriva che, nel caso prospettato, l’obbligo di comunicazione non sussiste.
76
Capitolo 4
Il medico competente e il medico autorizzato
77
Sezione I
Il medico competente
1. Sono un datore di lavoro di una piccola azienda che necessita di
sorveglianza sanitaria. Devo quindi nominare il medico competente. A quale
soggetto posso rivolgermi?
A norma dell’art. 39, comma 2, del D.Lgs 81/08, il medico competente, che deve
essere nominato dal datore di lavoro, svolge la propria opera in qualità di:
a) dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata, ivi
comprese quelle costituite su iniziativa delle organizzazioni datoriali, convenzionata
con l'imprenditore;
b) libero professionista;
c) dipendente del datore di lavoro.
Il datore di lavoro ha quindi piena libertà di scelta del proprio collaboratore,
ricordando però che se decide di rivolgersi ad un dipendente da una struttura
pubblica, quest'ultimo non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del
territorio nazionale, l'attività di medico competente qualora esplichi attività di
vigilanza (D.Lgs. n. 81/2008, art. 39, comma 3).
2. Chi è obbligato alla nomina del medico competente? Una società di servizi
con 5 dipendenti è obbligata a fare le visite mediche?
Non si vede perché il datore di lavoro in questione non dovrebbe procedere alla
nomina del medico competente, sottraendosi, in tal senso, all'obbligo su di esso
gravante ai sensi dell'art. 18, c. 1, lett. a, D.lgs. n. 81/2008, sanzionato
penalmente, in caso di omissione, con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda
da da Euro 3.000,00 ad Euro 18.000,00 (art. 55, c. 4, lettera F, D.lgs. citato). Il
medico, a propria volta, dovrà esplicare la sorveglianza sanitaria prevista dalla legge
all'art. 41 del D.lgs. medesimo (a) visita medica preventiva intesa a constatare
l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di
valutare la sua idoneità alla mansione specifica; b) visita medica periodica per
controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla
mansione specifica....; c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia
ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni
di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell'attività lavorativa svolta, al fine
di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica; d) visita medica in
occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla mansione
specifica; e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti
dalla normativa vigente). E', peraltro, evidente come nel caso in questione più che di
nomina si parlerà di un contratto all'uopo intercorso con professionista all'uopo
individuato ed in possesso delle qualifiche previste dall'art. 38, D.lgs. n. 81/2008.
3. L'art 18 del D.lgs 81/08 indica tra gli obblighi del datore di lavoro quello di
nominare il medico competente e la designazione del responsabile del
servizio. Dal punto di vista di adempimenti (incarico scritto, verbale di
nomina ecc) che differenza c'è?
Trattandosi di un obbligo penalmente sanzionato in caso di inadempimento (arresto
da tre a sei mesi o ammenda da 3.000 a 10.000 euro - art. 55, c. 4, lett. F, D.lgs. n.
81/2008) si ritiene che un dettagliato incarico scritto e controfirmato (per
78
accettazione) dall'interessato sia una buona prassi operativa, valida ad evitare
l'applicabilità della sanzione medesima.
4. In qualità di medico competente posso avvalermi della collaborazione di
medici specialisti?
Il medico competente può avvalersi, per accertamenti diagnostici, della
collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne
sopporta gli oneri (D.Lgs. n. 81/2008, art. 39, comma 5). Viene così risolto il
problema riguardante la sorveglianza sanitaria delle piccole e medie unità
produttive; infatti per piccole attività artigianali o industriali è possibile per il
medico competente gestire tutti gli adempimenti che gli sono affidati dal D.Lgs. n.
81/2008, mentre nelle grandi aziende è di fatto indispensabile la presenza di un
servizio di medicina del lavoro che garantisca l'organizzazione anche per l'attività di
un medico che non sia dipendente. Anzi, lo stesso articolo 39, al comma 6, precisa
che nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi di imprese
nonché qualora la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità, il datore di lavoro
può nominare più medici competenti individuando tra essi un medico con funzioni
di coordinamento. Nelle situazioni intermedie, per le quali sarebbe troppo oneroso
istituire un vero servizio medico, è bene che venga fornito un minimo supporto
logistico e organizzativo e che, nella lettera d'incarico al professionista, vengano
esplicitati quali mezzi e condizioni gli saranno assicurati e quali compiti, oltre quelli
tipicamente professionali, dovrà esplicare. In ogni caso, per alcuni adempimenti il
datore di lavoro deve mettere a disposizione la propria struttura organizzativa al
medico, quale che sia il tipo di rapporto in essere; si ricordano in particolare alcuni
obblighi che possono configurare la necessità di fornire un supporto:
- il datore di lavoro fornisce al medico competente informazioni in merito a
(D.Lgs. n. 81/2008, art. 18, comma 2):
- la natura dei rischi;
- l'organizzazione del lavoro, la programmazione e l'attuazione delle
misure preventive e protettive;
- la descrizione degli impianti e dei processi produttivi;
- i dati relativi ai provvedimenti presi per evitare che le misure tecniche
adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o
deteriorare l'ambiente esterno
- i dati relativi alle malattie professionali;
- i provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza;
- il datore di lavoro concorda con il medico competente il luogo di custodia delle
cartelle sanitarie d di rischio;
- il datore di lavoro, tenendo conto della natura dell'attività e delle dimensioni
dell'azienda o dell'unità produttiva, sentito il medico competente ove nominato,
prende i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso e di assistenza
medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone presenti sui
luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni, anche
per il trasporto dei lavoratori infortunati (D.Lgs. n. 81/2008, art. 45, comma
1).
5. E’ previsto che il medico competente debba collaborare con il datore di
lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi,
anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza
sanitaria. Come si esplica, in concreto, tale attività? Quali compiti e quali
obblighi mi competono?
E' evidente che il medico competente non può, come avveniva un tempo in molti
casi, limitarsi ad effettuare solo visite mediche su lavoratori inviati dal datore di
lavoro, talora al suo studio professionale e quindi senza la sua presenza in fabbrica,
79
sulla base di generiche descrizioni di attività lavorative, senza conoscere a fondo le
caratteristiche dell'azienda. La nuova formulazione del primo degli obblighi del
medico competente amplia i compiti a lui assegnati nell'ambito della predisposizione
della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico _fisica
dei lavoratori, con particolare riguardo a:
- programmazione della sorveglianza sanitaria: non è più quindi un semplice
esecutore di visite mediche, deve invece farsi parte attiva nella valutazione
dei protocolli di sorveglianza sanitaria, come meglio definito nella successiva
lettera b);
- attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori: deve quindi
farsi parte attiva nell'organizzazione dei numerosi corsi di informazione e
formazione previsti dal D.Lgs. n. 81/2008;
- organizzazione del servizio di primo soccorso: è quindi il medico che,
conoscendo i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e quindi i rischi
sanitari correlati, può meglio indicare le caratteristiche del primo soccorso da
attuare in azienda;
- attuazione e valorizzazione di programmi volontari di promozione della
salute: il medico competente, stante la sua conoscenza nel campo della
medicina preventiva, deve estendere la sua opera anche verso quegli obiettivi
di miglioramento della salute che bene possono inserirsi in un contesto
aziendale.
6. Il D.Lgs 81/08 prevede che il medico competente debba programmare ed
effettuare la sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari definiti in
funzione dei rischi specifici. Come si attuano tali compiti?
Viene qui ribadito l'obbligo per il medico competente, già citato nella lettera
precedente, di farsi parte attiva nel programmare, oltre che ovviamente eseguire, la
sorveglianza sanitaria obbligatoria per legge. Viene inoltre sancito l'ulteriore obbligo
di predisporre dei protocolli sanitari (visite mediche, visite specialistiche,
accertamenti strumentali e di laboratorio) calibrati sui rischi specifici, non
dimenticando comunque lo stato generale di salute del lavoratore. Particolare
importanza riveste l'inciso tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più
avanzati: viene infatti richiesto al medico competente un costante aggiornamento
scientifico come peraltro previsto dall'articolo 38 del D.Lgs. n. 81/2008 in merito
all'obbligo di partecipare al programma di educazione continua in medicina ai sensi
del D.Lgs. n. 229/1999 e s.m.i.. L'articolo 41 citato precisa, in modo giustamente
generico, che la sorveglianza sanitaria è effettuata nei casi previsti dalla normativa
vigente, nonché dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva permanente,
oltre che a richiesta del lavoratore. Rispetto alla rigidità prevista dal D.Lgs. n.
626/1994 che prevedeva le visite esclusivamente nei casi previsti dalla legislazione
nazionale, la formulazione attuale rende subito applicative, per questo scopo, le
eventuali direttive europee che dovessero in futuro essere emanate, eliminando in
questo modo gli inevitabili ritardi dovuti al recepimento delle direttive stesse. Si
ottiene così, grazie ad una minore rigidità di norme, una migliore tutela della salute
dei lavoratori. Ugualmente degna di nota è la possibilità di adeguarsi con
immediatezza alle indicazioni della Commissione consultiva i cui compiti sono, tra
l'altro; a) esaminare i problemi applicativi della normativa di salute e sicurezza sul
lavoro e formulare proposte per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione
vigente; b) validare le buone prassi in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
7. Come si effettua la sorveglianza sanitaria per quanto riguarda i lavori con
rischio di esposizione alle radiazioni ionizzanti?
Per quanto riguarda i lavori con rischio di esposizione alle radiazioni ionizzanti la
sorveglianza sanitaria e le relative modalità sono regolamentate dal D.Lgs. n.
80
230/1995 che attribuisce al medico competente la facoltà di effettuare la
sorveglianza medica esclusivamente nei confronti dei lavoratori esposti di categoria
B. Gli accertamenti sanitari comprendono esami clinici e biologici e indagini
diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente (D.Lgs. n.
81/2008, art. 41, comma 4). Tali accertamenti devono prevedere, nei casi previsti
dalla legislazione, la verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di
assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. Si estende l'obbligo per il medico
competente di accertarsi di queste due condizioni in mansioni che comportano
particolari rischi di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l'incolumità e la
salute dei terzi; ovviamente gli accertamenti relativi alla tossicodipendenza devono
essere espletati presso un SERT. Gli esiti della visita medica, in particolare degli
accertamenti complementari, devono essere allegati alla cartella sanitaria e di
rischio di cui all'articolo 25, comma 1, lettera c), secondo i requisiti minimi
contenuti nell'Allegato III del D.Lgs. n. 81/2008. E' ovvio che una corretta
sorveglianza sanitaria deve iniziare e concludersi con un'ottima visita medica che
rispetti tutti i canoni classici della semeiotica, dalla raccolta approfondita
dell'anamnesi, all'esecuzione di un attento e mirato esame obiettivo. Inoltre, per
alcuni rischi lavorativi, regolamentati da apposite leggi, esistono precisi protocolli
diagnostici minimi obbligatori, comunque implementabili a giudizio del medico
competente.
8. Nel caso si rendano necessari accertamenti complementari, a chi spetta la
scelta? Essa è rimessa al medico competente?
Per la maggioranza dei rischi invece, la scelta di accertamenti complementari è
lasciata alla valutazione del medico cui spetta il compito di non trascurare
l'esecuzione delle indagini utili per una diagnosi precoce, anche in periodo
preclinico, di eventuali malattie professionali e, nel contempo, constatare il
permanere delle condizioni di sopportabilità del rischio. Queste indagini devono
essere eseguite ad intervalli di tempo idonei, secondo quanto suggerito dalla
letteratura scientifica, ed evitando accertamenti inutili ``a largo spettro'' o non
mirati al rischio specifico. Si ricorda che il medico competente può avvalersi, per
motivate ragioni e quindi per queste indagini complementari, della collaborazione di
medici specialisti scelti dal datore di lavoro che ne sopporta gli oneri (D.Lgs. n.
81/2008, art. 39, comma 5). Si può in sintesi ricordare che, ai fini di una corretta
esecuzione della sorveglianza medica, il medico competente deve perseguire un
costante aggiornamento scientifico in considerazione, soprattutto, del continuo
evolversi delle tecnologie lavorative e dell'affinamento delle tecniche diagnostiche.
9. Quali informazioni devono essere contenute nella cartella sanitaria? Come
deve essere custodita e da chi?
Le notizie contenute nella cartella sanitaria sono in buona parte sottoposte al
vincolo del segreto professionale; ne consegue che solo il medico può istituirla ed
aggiornarla. In alcuni casi particolari le cartelle sanitarie devono essere conformi a
modelli specifici. Per una migliore valutazione di tutti i dati anamnestici, è concesso
al medico competente di accedere alle cartelle relative ad eventuali attività
precedenti del lavoratore, che, nei casi previsti dalla legge, sono state inviate
all'ISPESL alla cessazione del precedente rapporto di lavoro. Nel D.Lgs. n. 626/1994
le cartelle sanitarie dovevano essere custodite presso il datore di lavoro; il D.Lgs. n.
81/2008 prevede invece che per le aziende con meno di 15 dipendenti sia il medico
competente unico responsabile della custodia delle stesse; negli altri casi il medico
competente concorda con il datore di lavoro il luogo di custodia. Tale custodia deve
essere effettuata in modo da garantire il rispetto del segreto professionale: in pratica
in locale o armadio con chiusura di sicurezza e di cui una copia delle chiavi sia
sempre disponibile, ma controllata, presso l'azienda. Le modalità di istituzione,
81
aggiornamento e tenuta delle cartelle sanitarie e di rischio sono meglio delineate
nella sede specifica dove sono riportate anche delle proposte di modulistica.
10. Risponde al vero che il medico competente deve consegnare al datore di
lavoro, alla cessazione dell'incarico, la documentazione sanitaria in suo
possesso?
E’ vero. Si tratta di un obbligo non contemplato dalla precedente legislazione; si
semplificano così tutti quei casi in cui, per vari motivi, non era possibile un
passaggio diretto tra il medico uscente e quello subentrante. Ovviamente la
consegna deve avvenire con le stesse attenzioni previste dalla lettera precedente.
11. Risponde al vero che il medico competente deve consegnare al lavoratore,
alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio
e gli deve fornire le informazioni necessarie relative alla conservazione della
medesima?
Si. Anche questo è un nuovo obbligo, già in vigore per il Documento Sanitario
Personale previsto per i lavoratori esposti a radiazioni ionizzanti (D.Lgs. n.
230/1995, art. 90, comma 2). Non viene precisato se debbano essere consegnati gli
originali, ovvero una copia; si propende per quest'ultima opzione anche
considerando la possibile interpretazione della successiva lettera f). Le informazioni
riguardo la necessità di conservazione saranno indirizzate sull'importanza della
documentazione sanitaria e lavorativa, sia come valida storia clinica del soggetto,
sia per raccolta anamnestica in caso di successive esposizioni lavorative. Non va
infine dimenticata l'importanza di tale documentazione in caso di eventuali
contenziosi medico_legali.
12. Il D.Lgs 81/08 prevede che il medico competente debba fornire
informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono
sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine,
sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione
della attività che comporta l'esposizione a tali agenti. Come si forniscono tali
informazioni? Sono previste sanzioni?
La previsione legale rende obbligatoria, e conseguentemente sanziona, quella che
dovrebbe essere una generale norma di comportamento di tutti i medici. In
occasione della visita medica, nell'ambito del colloquio anamnestico, il medico
competente deve rendere edotto il lavoratore sui rischi collegati alla sua particolare
attività lavorativa, sul significato di eventuali indici di esposizione e, nel caso di
lavoratori esposti ad agenti nocivi misurati, sulle dosi ricevute, spiegando anche
l'esistenza o meno di eventuali rischi correlati. Poiché l'obbligo di informazione è
sanzionato, può essere opportuno far sottoscrivere al lavoratore una dichiarazione
in cui affermi di aver ricevuto le informazioni previste. Tale dichiarazione può essere
inserita nella cartella sanitaria e di rischio o nel giudizio d'idoneità: si rimanda alle
sedi specifiche per una trattazione più accurata. Per quanto riguarda gli agenti
nocivi con effetti a lungo termine, viene normalizzato il vecchio concetto della "visita
medica conclusiva'' più volte auspicata dagli organi di vigilanza. Poiché spesso la
cessazione dell'esposizione coincide con la risoluzione del rapporto, il datore di
lavoro deve darne tempestiva comunicazione in modo da permettere al medico di
completare tutti gli accertamenti integrativi della visita prima della cessazione del
rapporto di lavoro. In tale occasione, in caso di esposizione ad agenti che possono
manifestare i loro effetti nocivi anche a distanza di tempo (tempo di latenza),
verranno fornite al lavoratore tutte le indicazioni che, sulla base della storia
lavorativa e delle conclusioni cliniche, debba eventualmente seguire sia come
abitudini di vita che, soprattutto, come accertamenti sanitari. È bene che tali
indicazioni vengano fornite in forma scritta, chiara e schematica ed è opportuno far
82
sottoscrivere al lavoratore un'ulteriore dichiarazione in cui affermi di aver ricevuto
le informazioni previste. Tutte queste informazioni _ in forma anonima, collettiva e
utilizzando ogni sistema che eviti la possibilità di risalire agli interessati _ potranno
essere fornite, a richiesta, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
13. Il medico competente deve fornire ai lavoratori anche le informazioni
sull’esito degli esami medici?. Deve rilasciare copia della documentazione
sanitaria?
L'informazione sugli esami medici (visita, accertamenti specialistici, esami
strumentali e di laboratorio) è un obbligo per qualunque medico ed è il giusto
preambolo alla comunicazione del giudizio d'idoneità. L'informazione non deve
limitarsi ad una mera elencazione di dati, ma deve prevedere un ampio commento
degli stessi in modo da far comprendere le reali condizioni di salute, fornendo validi
consigli se necessari o, come sperabile, confermando uno stato di benessere. E'
buona norma consegnare comunque copia degli accertamenti complementari per
fornire un'eventuale utile documentazione per il medico curante. Anche in questo
caso può essere opportuno far sottoscrivere al lavoratore una dichiarazione in cui
affermi di aver ricevuto le informazioni previste. Anche tale dichiarazione verrà
eventualmente inserita nella cartella sanitaria e di rischio o nel giudizio d'idoneità.
14. E’ vero che il medico competente deve comunicare per iscritto i risultati
anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria e deve fornisce indicazioni sul
significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela
della salute e della integrità psico_fisica dei lavoratori?
E’ vero. In tale occasione il medico competente presenterà una relazione annuale il
cui scopo non è tanto quello di elencare le azioni svolte, quanto di valutare la
validità e congruità delle stesse. Uno dei punti essenziali di tale relazione è l'analisi
della sorveglianza sanitaria e la valutazione, in modo collettivo e variamente
aggregato, a seconda dei risultati che si vogliono ricavare, degli accertamenti clinici,
di laboratorio e strumentali eseguiti. Anche in questo caso i dati devono essere
forniti in forma anonima e utilizzando ogni sistema per evitare che si possa risalire
agli interessati. Nelle aziende, ovvero unità produttive, che occupano più di 15
dipendenti, il datore di lavoro, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e
protezione dai rischi, indice almeno una volta all'anno una riunione cui
partecipano:
a) il datore di lavoro o un suo rappresentante;
b) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi;
c) il medico competente ove nominato;
d) il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (D.Lgs. n. 81/2008, art. 35).
15. E’ un obbligo del medico competente visitare gli ambienti di lavoro o è una
mera facoltà?
Il D.Lgs 81/08 prevede chiaramente che il medico competente debba visitare gli
ambienti di lavoro almeno una volta all'anno o a cadenza diversa che stabilisce in
base alla valutazione dei rischi; la indicazione di una periodicità diversa
dall'annuale deve essere comunicata al datore di lavoro ai fini della sua annotazione
nel documento di valutazione dei rischi.
16. I sopralluoghi negli ambienti di lavoro devono essere effettuati alla
presenza del datore di lavoro?
Considerando che la responsabilità delle attività a rischio in azienda ricade sul
datore di lavoro, è opportuno che i sopralluoghi sugli ambienti di lavoro vengano
effettuati anche in presenza del datore di lavoro, oltre che con il responsabile del
83
Servizio di prevenzione e protezione dai rischi e che ne rimanga traccia scritta
mediante verbali sottoscritti da tutti i partecipanti.
17. Quali sono le modalità per effettuare le visite negli ambienti di lavoro?
Le visite negli ambienti di lavoro devono essere eseguite con le lavorazioni in atto e,
quando esista una certa variabilità delle attività, il medico competente deve poter
osservare e analizzare le singole postazioni e le diverse fasi delle lavorazioni. È utile
nell'occasione un colloquio diretto con i lavoratori addetti, possibilmente con la
partecipazione di un preposto che conosca a fondo l'insieme dei possibili rischi
presenti. Per quelle attività lavorative che comportano una valutazione
dell'esposizione alle varie noxae chimiche o fisiche è di indubbia utilità la
partecipazione del medico, sia pure saltuaria, all'esecuzione di monitoraggi
ambientali; in tal modo gli sarà possibile comprendere meglio i risultati di tali
valutazioni che gli devono essere inviati con tempestività. Si suggerisce che, in caso
di esposizioni accidentali o di emergenza, la comunicazione delle valutazioni basate
sui dati disponibili sia immediata (anche se soggetta a errore) e rapidamente
aggiornata con dati definitivi. Si realizza in pratica, anche per i rischi convenzionali,
una sorta di comunicazione delle dosi ricevute, in analogia a quanto previsto per
l'esposizione alle radiazioni ionizzanti la cui sorveglianza, per i lavoratori esposti di
categoria B può essere eseguita anche dal medico competente. Questi sopralluoghi
periodici rappresentano inoltre un momento essenziale per la compilazione e la
revisione della scheda di destinazione lavorativa e sono indispensabili al medico per
fornire al datore di lavoro la propria collaborazione in merito al miglioramento della
tutela della salute dei lavoratori e nella stesura del documento per la valutazione
dei rischi (D.Lgs. n. 81/2008, art. 28). Resta ferma l'obbligatorietà di visite ulteriori
allorché si modifichino le situazioni di rischio.
18. Risponde al vero che il medico competente deve partecipare alla
programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori?
Si. In tutti quei casi in cui il controllo dell'esposizione è possibile, spesso
obbligatoria (agenti fisici, chimici, cancerogeni e/o mutageni, biologici), il medico
competente, in considerazione anche delle sue conoscenze specifiche, deve
partecipare attivamente alla programmazione dei controlli di esposizione,
pretendendo nel contempo una regolare esecuzione e trasmissione dei risultati. Tali
risultati, essenziali per la valutazione dei rischi cui il medico competente è tenuto a
partecipare, sono anche indispensabili per una corretta sorveglianza sanitaria
mirata al rischio specifico.
19. E’ ancora valido l’obbligo del medico competente di comunicare, mediante
autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti al Ministero della salute?
Il comma 4 dell'articolo 38 del D.Lgs. n. 81/2008 prevede che i medici in possesso
dei titoli e dei requisiti idonei e previsti dal comma 1 dello stesso articolo, sono
iscritti nell'elenco dei medici competenti istituito presso il Ministero della salute. Per
tale motivo si rende necessaria la suddetta comunicazione. Va infine ricordato
l'obbligo sancito dall'articolo 40 del D.Lgs. n. 81/2008, comma 1, che prevede che il
medico competente, entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di
riferimento trasmetta, esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per
territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai
dati collettivi sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria
secondo il modello in allegato 3B del decreto stesso.
20. La sorveglianza sanitaria affidata al medico competente ha riguardo ai soli
accertamenti sanitari previsti dalle norme sulla sicurezza e salute dei
84
lavoratori ovvero anche agli accertamenti sanitari previsti dalle norme sul
rapporto di lavoro?
E' ancora in discussione la questione se la sorveglianza sanitaria affidata al medico
competente riguardo i soli accertamenti sanitari previsti dalle norme sulla sicurezza
e salute dei lavoratori (Cfr. All. I del D.Lgs. n. 758 del 1994) ovvero anche gli
accertamenti sanitari previsti dalle norme sul rapporto di lavoro (es. gli
accertamenti per l'inidoneità fisica diversa da quella derivante dai rischi
professionali e i controlli sugli invalidi assunti obbligatoriamente al lavoro ai sensi
della legge n. 482 del 2 aprile 1968). Al riguardo la Corte Costituzionale con
sentenza n. 354 del 21 novembre 1997 ha dichiarato infondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 16 del D.Lgs. n. 626 del 1994 sollevata in
riferimento agli artt. 35 e 38 della Costituzione nella parte in cui prevede che il
"medico di fabbrica" debba svolgere accertamenti preventivi anche sui lavoratori
invalidi avviati obbligatoriamente al lavoro. Secondo l'Alta Corte le leggi in esame
sono tra loro compatibili in quanto da un lato hanno diversi ambiti soggettivi e
oggettivi e dall'altro lato operano in tempi successivi, nel senso che dopo l'eventuale
valutazione di inidoneità da parte del medico competente per la sorveglianza
sanitaria, l'invalidità può con ricorso, domandare l'accertamento sanitario al
collegio medico ai sensi dell'art. 20 della legge n. 482 del 1968 in considerazione del
carattere speciale di tale normativa.
21. Il medico competente ha l’obbligo di referto ?
L'art. 365, cod. pen. stabilisce che chiunque avendo, nell'esercizio di una
professione sanitaria, prestato la propria assistenza o opera (per Cass. pen. n. 9199
del 10 ottobre 1997 tali sono quei soggetti che sono intervenuti nell'immediatezza
del fatto) in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si
debba procedere d'ufficio, omette o ritarda di riferirne all'Autorità giudiziaria o ad
altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne (art. 361, cod. pen.) è punito
con la multa fino a L. 1.000.000. Il suddetto obbligo anche se trova applicazione più
frequentemente con riferimento ai medici del pronto soccorso e ai medici degli
ospedali, in quanto obbligo rivolto a "chiunque esercita una professione sanitaria",
riguarda anche il medico competente. La Corte di Cassazione ha precisato che per
far scattare l'obbligo di referto è sufficiente che si ravvisi la concreta possibilità di
un delitto perseguibile d'ufficio13. Inoltre perché la denuncia sia liberatoria
dall'obbligo derivante dalla norma penale generale essa deve essere diretta ad una
autorità che abbia con il soggetto un rapporto in virtù del quale l'informativa
ricevuta valga a farle assumere l'obbligo medesimo in via primaria ed esclusiva. In
particolare la Suprema Corte ha escluso che tra le "altre Autorità" di cui all'art. 361
cod. pen. possa individuarsi l'INAIL giacché l'informativa fatta a detto istituto è
effettuata in base a disposizioni aventi scopi diversi da quello perseguito dall'art.
365 cod. pen. (Cass. pen. n. 4400 del 30 aprile 1996).
22. L'art. 41, comma a) del D. Lgs. 81/08 stabilisce che la sorveglianza
sanitaria è effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa
vigente, dalle direttive europee nonché dalle indicazioni fornite dalla
Commissione consultiva di cui all'art. 6. Si chiede quali sono in dettaglio
questi casi e i relativi riferimenti legislativi e inoltre se la sorveglianza
riguarda anche le attività commerciali (negozi).
Cass. pen. n. 1170 del 29 gennaio 1998; Cass. pen. n. 6 del 5 gennaio 1998; Cass. pen. n. 8761 del 27 settembre
1997; Cass. pen. n. 8143 del 3 settembre 1997; Cass. pen. n. 4400 del 30 aprile 1996; Cass. pen. n. 1598 dell'11
ottobre 1995. Per Cass. pen. n. 68 dell'8 gennaio 1998 il reato di omissione di referto può essere punito solo a titolo di
dolo
13
85
La norma citata si riferisce ovviamente alla generalità dei casi in cui è obbligatoria
la sorveglianza sanitaria. Occorre quindi valutare in concreto quale sia l'attività alla
quale ci si riferisce. Per le attività commerciali, è quindi indispensabile chiarire di
che si tratta (es. grande distribuzione o meno, localizzazione in centri commerciali o
meno, tipologia merceologica food - no food ecc.)
23. Quali sono i titoli o i requisiti per l’esercizio dell’attività di medico
competente?
Possono essere nominati medico competente coloro che abbiano:
- specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e
psicotecnica;
- docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e
psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia e
igiene del lavoro o in clinica del lavoro;
- autorizzazione di cui all'art. 55 del D.Lgs. n. 277/1991; trattasi di laureati in
medicina e chirurgia che, pur non possedendo i precedenti requisiti, hanno
svolto alla data di entrata in vigore dello stesso D.Lgs. n. 277/1991 l'attività di
medico competente per almeno quattro anni e che hanno ottenuto
dall'assessorato regionale alla sanità l'autorizzazione ad esercitare la funzione
di medico competente;
- specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale.
Relativamente a questi ultimi due titoli, trattandosi di specializzazioni nel cui
cursus studiorum non sono previsti tutti gli insegnamenti inerenti la medicina
del lavoro, lo stesso articolo 38, al comma 2, precisa che tali medici sono
tenuti a frequentare appositi percorsi formativi universitari che saranno
definiti con apposito decreto del Ministero dell'Università e della ricerca
scientifica di concerto con il Ministero della salute. Precisa inoltre che i medici
che dimostrino, alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2008 (15 maggio
2008), di avere svolto tali attività per almeno un anno nell'arco dei tre anni
anteriori sono abilitati a svolgere le medesime funzioni. A tal fine sono tenuti a
produrre alla Regione attestazione del datore di lavoro comprovante
l'espletamento di tale attività;
- con esclusivo riferimento al ruolo dei sanitari delle Forze Armate, compresa
l’Arma dei carabinieri, e della Polizia di Stato, svolgimento di attività di medico
nel settore del lavoro per almeno quattro anni.
24. Quali percorsi formativi devono essere svolti dal medico competente?
Il decreto precisa altresì che, per lo svolgimento delle funzioni di medico
competente, è necessario partecipare al programma di educazione continua in
medicina ai sensi del D.Lgs. n. 229/01999 e s.m.i., a partire dal programma
triennale successivo all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2008. I crediti previsti dal
programma triennale dovranno essere conseguiti nella misura non inferiore al 70
per cento del totale nella disciplina medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti di
lavoro.
25. Esiste un Albo dei medici competenti? Da chi è tenuto?
I medici in possesso dei titoli e dei requisiti di medico competente devono essere
iscritti nell'elenco dei medici competenti istituito con D.M. 4 marzo 2009 (G.U.
26/6/2009, n. 146) presso l’Ufficio II della Direzione generale della prevenzione
sanitaria del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. I sanitari che
svolgono l'attività di medico competente sono tenuti a comunicare, mediante
autocertificazione, al predetto Ufficio il possesso dei titoli e requisiti abilitanti per lo
svolgimento di tale attività; sono altresì tenuti a comunicare, con le stesse
modalità, eventuali successive variazioni comportanti la perdita di requisiti
86
precedentemente autocertificati e la cessazione dello svolgimento dell'attività. Il
conseguimento dei crediti formativi del programma triennale di educazione
continua in medicina, ovvero il completo recupero dei crediti mancanti entro l'anno
successivo alla scadenza del medesimo programma triennale di educazione
continua in medicina, previsto dall'art. 38, comma 3, del decreto legislativo n. 81
del 9 aprile 2008, quale requisito necessario per poter svolgere le funzioni di medico
competente, comporta, per l'interessato, l'obbligo della comunicazione del possesso
del necessario requisito formativo mediante l'invio all'Ufficio della certificazione
dell'Ordine di appartenenza o di apposita autocertificazione. Il Ministero del lavoro,
della salute e delle politiche sociali effettua con cadenza annuale verifiche, anche a
campione, dei requisiti e dei titoli autocertificati. L'esito negativo della verifica
comporta la cancellazione d'ufficio dall'elenco. L'elenco dei medici competenti è
consultabile attraverso il portale del Ministero del lavoro della salute e delle
politiche sociali. L'iscrizione all'elenco non costituisce di per sè titolo abilitante
all'esercizio dell'attività di medico competente.
26. Sono lavoratore part time in un call center in fascia diurna per un totale di
quattro ore giornaliere. Quando sono in malattia sono assoggetato alla visita
fiscale dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19. Poiché svolgo un lavoro part time la
mattina, la visita fiscale dovrebbe ricadere solo nell'orario diurno?
Lo stato di malattia, comunicato dal lavoratore e certificato dal medico curante, può
essere controllato, su richiesta del datore di lavoro o dell'Inps, mediante l'utilizzo di
apposite strutture sanitarie pubbliche (articolo 5, legge 638/83; articolo 2 legge
33/80). La legge indica tali verifiche con il termine di "visite di controllo" che
possono essere effettuate nelle cosiddette "fasce orarie di reperibilità". Per
consentire le visite di controllo il lavoratore deve comunicare, in occasione dell'invio
della certificazione medica, l'indirizzo della località dove si trova durante la malattia
(se diversa dal domicilio abituale). Allo scopo di rendere possibile il controllo dello
stato di malattia il lavoratore (con qualsiasi rapporto di lavoro in corso) ha l'obbligo
di essere reperibile presso l'indirizzo indicato durante tutta la durata della malattia,
nel corso delle fasce orarie di reperibilità, fissate dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 di
ogni giorno, comprese le domeniche e i festivi ( Dm 15 luglio 1986). La reperibilità
del lavoratore è dunque esclusivamente finalizzata a consentire il controllo dello
stato di malattia da parte del medico competente, iscritto nelle apposite liste
speciali istituite presso l'Inps, a prescindere dalle concrete modalità di svolgimento
del rapporto di lavoro.
Sezione II
Il medico autorizzato
1. Chi è il medico autorizzato?
Il medico responsabile della sorveglianza medica dei lavoratori esposti al rischio da
radiazioni ionizzanti classificati come lavoratori esposti di categoria A viene definito
medico autorizzato.
2. La sorveglianza sanitaria su lavoratori di categoria A esposti deve essere
effettuata esclusivamente dal medico autorizzato o può essere realizzata
anche dal medico competente?
I datori di lavoro, nell'ambito di queste attività, devono assicurare la sorveglianza
medica del personale dipendente avvalendosi esclusivamente di tale figura
professionale.
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3. La sorveglianza sanitaria su lavoratori di categoria B esposti deve essere
effettuata esclusivamente dal medico autorizzato o può essere realizzata
anche dal medico competente?
La sorveglianza medica sui lavoratori esposti classificati in Categoria B, oltre che
dal medico autorizzato, può essere effettuata anche dal medico competente (art. 83,
comma 2, D.Lgs. n. 230/1995).
E' competenza esclusiva del medico autorizzato la sorveglianza medica eccezionale
(art. 91, D.Lgs. n. 230/1995) e la consulenza al datore di lavoro in caso di
esposizioni accidentali o di emergenza (art. 89, comma 1, lett. d), D.Lgs. n.
230/1995).
4. Quali sono le attribuzioni specifiche del medico autorizzato? Quale norma
le disciplina?
Le attribuzioni del medico autorizzato sono elencate nell'art. 89 del D.Lgs. n.
230/1995 e consistono in:
- analisi dei rischi individuali connessi alla destinazione lavorativa e alle
mansioni ai fini della programmazione di indagini specialistiche e di
laboratorio atte a valutare lo stato di salute del lavoratore, anche attraverso
accessi diretti negli ambienti di lavoro;
- istituzione e aggiornamento dei documenti sanitari personali e loro consegna
all'ISPESL;
- consegna al medico subentrante dei documenti sanitari personali, nel caso di
cessazione dall'incarico;
- consulenza al datore di lavoro per la messa in atto di infrastrutture e
procedure idonee a garantire la sorveglianza medica dei lavoratori esposti, sia
in condizioni di lavoro normale che in caso di esposizioni accidentali o di
emergenza.
5. Quali sono gli obblighi del medico autorizzato?
Per ogni lavoratore esposto il medico addetto alla sorveglianza medica deve istituire,
tenere aggiornato e conservare un documento sanitario personale in cui sono
compresi:
- i dati raccolti nella visita preventiva e nelle visite mediche periodiche,
straordinarie ed in occasione della sorveglianza medica eccezionale;
- la destinazione lavorativa, i rischi ad essa connessi e i successivi mutamenti;
- le dosi ricevute dal lavoratore, derivanti sia da esposizioni normali, sia da
esposizioni accidentali o di emergenza, ovvero soggette ad autorizzazione
speciale, utilizzando i dati trasmessi dall'esperto qualificato.
6. Come deve essere tenuta la documentazione sanitaria?
Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentiti l'ANPA e
l'ISPESL, sono determinate le modalità di tenuta della documentazione e sono
approvati i modelli della stessa. Fino all'adozione del suddetto decreto, valgono le
disposizioni dell'allegato XI del D.Lgs. n. 241/2000.
7. I lavoratori hanno diritto di accedere risultati delle valutazioni che li
riguardano?
I lavoratori hanno diritto ad accedere ai risultati delle valutazioni di dose, delle
introduzioni e degli esami medici e radiotossicologici, nonchè ai risultati delle
valutazioni di idoneità, che li riguardano, e di ricevere, dietro loro richiesta, copia
della relativa documentazione. Copia del documento sanitario personale deve essere
consegnata dal medico all'interessato alla cessazione del rapporto di lavoro. Il
documento sanitario personale deve essere conservato sino alla data in cui il
lavoratore compie o avrebbe compiuto il settantacinquesimo anno di età, ed in ogni
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caso per almeno trenta anni dopo la cessazione del lavoro comportante esposizione
alle radiazioni ionizzanti.
8. Risponde al vero che i documenti sanitari personali devono essere
consegnati all'ISPESL?
Il medico addetto alla sorveglianza medica provvede entro sei mesi dalla cessazione
del rapporto di lavoro o dalla cessazione dell'attività di impresa comportante
esposizioni alle radiazioni ionizzanti a consegnare i predetti documenti sanitari
personali all'ISPESL, che assicurerà la loro conservazione. Entro tre giorni dal
momento in cui ne abbia effettuato la diagnosi il medico deve comunicare
all'Ispettorato provinciale del lavoro e agli organi del Servizio sanitario nazionale
competenti per territorio i casi di malattia professionale. I medici, le strutture
sanitarie pubbliche e private, nonchè gli istituti previdenziali o assicurativi pubblici
o privati, che refertano casi di neoplasie da loro ritenute causate da esposizione
lavorativa alle radiazioni ionizzanti, trasmettono all'ISPESL copia della relativa
documentazione clinica ovvero anatomopatologica e quella inerente l'anamnesi
lavorativa (art. 90, D.Lgs. n. 230/1995). L'ISPESL inserisce nell'archivio nominativo
i casi di neoplasia.
9. In caso di violazioni da parte del medico autorizzato delle norme di
sicurezza, quali sanzioni sono previste?
Su segnalazione degli organismi di vigilanza il capo dell'Ispettorato medico centrale
può disporre, previa contestazione degli addebiti, senza pregiudizio delle altre
sanzioni previste dalla legge, la sospensione, non superiore a sei mesi, dall'esercizio
delle funzioni del medico autorizzato, in caso di accertata inosservanza dei rispettivi
compiti. Nei casi più gravi il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, su
proposta del capo dell'Ispettorato medico centrale del lavoro può disporre la
cancellazione del medico autorizzato dagli elenchi ministeriali; lo stesso Ispettorato
si avvale, nella valutazione, del parere della Commissione per l'iscrizione nell'elenco
nominativo dei medici autorizzati (D.Lgs. n. 241/2000, all. V). I provvedimenti di cui
sopra possono essere adottati dopo che sia stato assegnato all'interessato un
termine di sessanta giorni per presentare le proprie controdeduzioni sugli addebiti
contestati. Tali provvedimenti non possono essere adottati decorsi sei mesi dalla
presentazione delle controdeduzioni da parte dell'interessato. La procedura per
l'adozione dei provvedimenti disciplinari viene iniziata d'ufficio in caso di condanna
definitiva a pena detentiva del medico autorizzato per reati inerenti alle funzioni
attribuite.
10. Qual’è la procedura per l'adozione dei provvedimenti disciplinari nei
confronti del medico autorizzato?
La procedura per l'adozione dei provvedimenti viene iniziata d'ufficio anche in caso
di sentenza non passata in giudicato con condanna a pena detentiva (art. 93, D.Lgs.
n. 230/1995). Avverso il giudizio in materia di idoneità medica all'esposizione alle
radiazioni ionizzanti è ammesso ricorso, entro il termine di trenta giorni dalla data
di comunicazione del giudizio stesso, all'Ispettorato medico centrale del lavoro (art.
94, D.Lgs. n. 230/1995); lo stesso Ispettorato si avvale, nella valutazione del
ricorso, del parere della Commissione per l'iscrizione nell'elenco nominativo dei
medici autorizzati (D.Lgs. n. 241/2000, all. V). Decorsi trenta giorni dalla data di
ricevimento del ricorso senza che l'Ispettorato abbia provveduto, il ricorso si intende
respinto. Il medico autorizzato, alla cessazione dell'incarico deve consegnare il
Documento sanitario personale e tutta la documentazione relativa alla sorveglianza
medica al medico autorizzato subentrante che firma per ricevuta.
11. Da chi viene conferita la qualifica di medico autorizzato?
89
La qualifica di medico autorizzato viene conferita dal Ministero del lavoro previo
accertamento del possesso dei requisiti, successivamente indicati, attraverso una
apposita commissione.
12. Quali sono i titoli per l’esercizio dell’attività di medico autorizzato?
I requisiti richiesti sono costituiti da:
- laurea in medicina e chirurgia nonchè il titolo di medico competente secondo
il decreto legislativo n. 626/1994 (All. V, D.Lgs. n. 230/1995);
- siano cittadini italiani o di Stati membri dell'Unione europea, ovvero cittadini
di altri Stati nei cui confronti vige un regime di reciprocità;
- godano dei diritti politici e non risultino essere stati interdetti;
- non siano stati cancellati dagli elenchi nominativi degli esperti qualificati e
dei medici autorizzati negli ultimi cinque anni.
13. Esiste un elenco dei medici autorizzati. Come ci si può iscrivere?
L'istanza, al fine dell'iscrizione nell'elenco dei medici autorizzati, deve essere
indirizzata al Ministero del lavoro che, annualmente, attraverso una commissione di
esame valuta la validità dei titoli prodotti. La tassa di esame è stabilita con il D.M. 8
giugno 2001 (L. 388.000 pari a euro 200, 38). Le iscrizioni negli elenchi nominativi
degli esperti qualificati e dei medici autorizzati istituiti dal decreto del Presidente
della Repubblica 13 febbraio 1964, n. 185, conservano a tempo indeterminato la
loro validità, numero progressivo e, se presenti, le loro limitazioni all'attività in
campo sanitario. Il Ministero del lavoro, con comunicazione n. 778 del 14 maggio
1998, ha trasmesso alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici l'elenco
nominativo dei medici autorizzati; in conseguenza di ciò, presso ogni Ordine
provinciale è stato istituito un apposito elenco e la suddetta qualifica è compresa
nei certificati e negli attestati di iscrizione, con ogni validità di legge.
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Capitolo 5
Gestione delle emergenze, primo soccorso e prevenzione incendi
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Sezione I
Gestione delle emergenze e primo soccorso
1. Quali sono gli obblighi del datore di lavoro ai fini della gestione delle
emergenze?
Sulla base del combinato disposto dell’art. 18, comma 1, let. b) del D.Lgs 81/08 con
gli artt. da 43 a 46 del D.Lgs 81/08, il datore di lavoro ha l’obbligo di nominare
preventivamente i lavoratori incaricati della gestione delle emergenze. Il datore di
lavoro deve inoltre:
a) organizzare i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia
di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell’emergenza;
b) designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle
misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di
lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e,
comunque, di gestione dell’emergenza;
c) informare tutti i lavoratori che possono essere esposti a un pericolo grave e
immediato circa le misure predisposte e i comportamenti da adottare;
d) programmare gli interventi, prende i provvedimenti e dà istruzioni affinché
i lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato che non può essere evitato,
possano cessare la loro attività, o mettersi al sicuro, abbandonando
immediatamente il luogo di lavoro;
e) adottare i provvedimenti necessari affinché qualsiasi lavoratore, in caso di
pericolo grave ed immediato per la propria sicurezza o per quella di altre persone e
nell’impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, possa prendere le
misure adeguate per evitare le conseguenze di tale pericolo, tenendo conto delle sue
conoscenze e dei mezzi tecnici disponibili;
f) garantire la presenza di mezzi di estinzione idonei alla classe di incendio ed
al livello di rischio presenti sul luogo di lavoro, tenendo anche conto delle particolari
condizioni in cui possono essere usati. L’obbligo si applica anche agli impianti di
estinzione fissi, manuali o automatici, individuati in relazione alla valutazione dei
rischi.
2. Esistono dei criteri o delle indicazioni per potersi orientare
nell’individuazione dei soggetti da designare come addetti alla gestione delle
emergenze?
Ai fini delle designazioni, il datore di lavoro tiene conto delle dimensioni dell’azienda
e dei rischi specifici dell’azienda o della unità produttiva. I lavoratori non possono,
se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione. Essi devono essere formati,
essere in numero sufficiente e disporre di attrezzature adeguate, tenendo conto
delle dimensioni e dei rischi specifici dell’azienda o dell’unità produttiva.
Il datore di lavoro deve, salvo eccezioni debitamente motivate, astenersi dal chiedere
ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste
un pericolo grave ed immediato.
3. Il datore di lavoro è obbligato a predisporre un piano di emergenza? Quali
contenuti deve avere?
Dall’analisi della nuova disciplina normativa si evince che il concetto di piano di
emergenza ha subito una significativa evoluzione: l'andamento e l'evoluzione di una
situazione di emergenza sono fatti dipendere dal livello organizzativo interno
dell'azienda (risorse umane predisposte e disponibili, sistemi impiantistici idonei,
etc.) e dalla capacità di contenere i danni (formazione professionale dei lavoratori). Il
D.Lgs 81/08 richiede, in sostanza, al sistema aziendale che l'organizzazione interna
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per affrontare l'eventuale stato di emergenza sia uno strumento operativo facente
parte a tutti gli effetti dell'insieme dei provvedimenti di sicurezza da attuare.
Le situazioni critiche, che possono dar luogo a situazioni di emergenza, possono
essere grossolanamente suddivise in:
- eventi legati ai rischi propri dell'attività (incendi e esplosioni, rilasci tossici e/o
radioattivi, etc.)
- eventi legati a cause esterne (allagamenti, terremoti, condizioni meteorologiche
estreme, etc.).
4. Quali sono gli obiettivi del piano di emergenza?
Obiettivi principali e prioritari di un piano di emergenza aziendale, sono pertanto
quello di:
- ridurre i pericoli alle persone;
- prestare soccorso alle persone colpite;
- circoscrivere e contenere l'evento (in modo da non coinvolgere impianti e/o
strutture che a loro volta potrebbero, se interessati, diventare ulteriore fonte di
pericolo) per limitare i danni e permettere la ripresa dell'attività produttiva al
più presto.
5. Esistono delle attività per le quali è obbligatorio il piano di emergenza?
Il piano di emergenza deve essere sicuramente predisposto per quelle attività, che
comportando il rischio specifico di incendio, esplosione, rilascio tossico e/o
radioattivo, sono soggette ad una o più normative tecniche o legislative specifiche.
In tutte le restanti attività, salvo diversa determinazione, non si ritiene necessaria
la stesura di un vero e proprio piano di emergenza, bensì può essere sufficiente la
predisposizione di procedure formalizzate che prevedano:
- una adeguata informazione e formazione dei lavoratori per quanto riguarda
l'utilizzo degli equipaggiamenti di emergenza (estintori, autorespiratori, etc.)
determinati ed introdotti in base alla valutazione dei rischi;
- una corretta gestione dei luoghi di lavoro (non ostruzione delle vie di esodo,
rimozione, occultamento o manomissione degli equipaggiamenti di
emergenza, etc.)
- una corretta e tempestiva manutenzione degli impianti.
6. Quale documentazione è necessaria ai fini della predisposizione di un piano
di emergenza?
Un piano di emergenza comporta, in fase preliminare, l'acquisizione di informazioni
necessarie alla sua predisposizione ed alla sua successiva gestione. In particolare la
documentazione deve contenere:
- informazioni sul sito e sull'ambiente, intesi come vicinanza di insediamenti
civili e industriali, corsi fluviali e grandi vie di comunicazione, orografia della
zona, etc.;
- indicazioni su tutte le vie di accesso interne ed esterne all'azienda con
dettaglio sulla viabilità, larghezza, etc.;
- indicazioni sui cicli produttivi (materie prime e ausiliarie, prodotti intermedi,
prodotti finiti, etc.);
- indicazioni sul lay-out dell'attività con la segnalazione delle zone o aree nelle
quali è stata individuata la possibilità di eventi incidentali (incendi,
esplosioni, rilasci, etc.);
- indicazioni sui sistemi di protezione attiva (mezzi di estinzione incendi,
sistemi
di
abbattimento
e/o
inertizzazione,
etc.)
o
passiva
(compartimentazione, sistemi di rilevazione, percorsi di esodo protetti, etc.);
- informazioni su eventi analoghi avvenuti in precedenza e relativi interventi di
contenimento attuati (case history);
93
-
organigrammi generali e particolari di reparto. La conoscenza dettagliata
della composizione dei reparti e delle competenze professionali presenti in
azienda permette di individuare le diverse figure che dovranno gestire il
piano di emergenza sia in fase preventiva (addestramento e formazione,
verifica della funzionalità dei sistemi di protezione) sia in fase di intervento.
7. Esiste una classificazione delle emergenze in termini di priorità degli
interventi?
Lo studio e la valutazione delle possibili conseguenze degli eventi incidentali ed una
loro classificazione sono necessari a dimensionare adeguatamente gli interventi da
attuare. La classificazione può essere organizzata, ad esempio:
- per scala di gravità (Tabella 1),
- considerando che uno stesso evento incidentale può interessare una singola
unità o impianto, più unità e, nei casi più gravi, anche zone o aree esterne
allo stabilimento,
- per tipologia di evoluzione (Tabella 2),
- per tipologia di evento.
Tabella 1 - Classificazione degli incidenti secondo la gravità
Incidenti minori
Incidenti di
categoria 1
Incidenti di
categoria 2
Incidenti di
categoria 3
Possono essere facilmente controllati dal solo personale
operativo o di sicurezza dell'unità (o impianto).
(non richiede la mobilitazione di forze esterne)
Come per la categoria precedente, ma con massiccio impiego
delle risorse interne dell'azienda (è consigliabile mettere in
preallarme le forze esterne per il caso di escalation
dell'incidente).
Possono essere controllati con l'ausilio di forze esterne
limitate.
Se controllabili, possono esserlo solo attraverso l'impiego di
massicce risorse (è necessaria la mobilitazione di tutte le forze
disponibili, anche su vasta scala territoriale).
Tabella 2 - Classificazione degli incidenti secondo la tipologia di evoluzione
Incidenti di
entità
limitata o a
lenta
evoluzione
Incidenti ad
escalation
potenziale
Incidenti a
rapido
sviluppo
Incidenti
catastrofici
improvvisi
Possono richiedere al più l'evacuazione del personale interno e
della popolazione nelle immediate adiacenze dell'azienda (esempi
tipici: incendio o limitato rilascio di tossici).
Pongono in pericolo l'integrità di serbatoi o apparecchiature
maggiori contenenti materiali pericolosi, ma lasciano a
disposizione un periodo di tempo ragionevole per l'evacuazione
(esempi tipici: incendio o danno meccanico)
Non è assolutamente consigliabile l'evacuazione, ma occorre
affidarsi ai comportamenti mitiganti individuali, in particolare il
rifugio indoor, e quindi alla preventiva corretta istruzione della
popolazione (esempi tipici: incipiente BLEVE con fireball oppure
rilascio tossico con formazione di nube non eccessivamente
estesa).
Le possibili azioni pianificate sono necessariamente limitate alle
sole operazioni di soccorso e di bonifica (esempi tipici: grosse
esplosioni o rilasci massicci e persistenti di tossici)
94
8. Risponde al vero che all’interno del piano di emergenza devono essere
necessariamente indicate le aree operative o il centro di controllo. In caso di
risposta affermativa, esistono dei criteri per una loro individuazione?
All'interno di un piano di emergenza devono sempre essere individuati in modo
puntuale i luoghi, aree operative e centro di controllo, da cui dirigere e
sovraintendere le operazioni di emergenza. Alle aree operative, collocate in luoghi
sicuri e in prossimità delle zone in cui potrebbero verificarsi gli incidenti,
afferiscono generalmente le squadre di intervento, i responsabili locali e il
responsabile di piano di emergenza per l'effettuazione del primo intervento e di una
prima e immediata stima sull'evoluzione dell'accaduto. Il centro di controllo viene
invece utilizzato e attivato quando l'incidente assume proporzioni tali da richiedere
più squadre ed una loro gestione coordinata: esso rappresenta, nella gestione
dell'emergenza, sicuramente l'elemento più delicato e vulnerabile in quanto è il
luogo univoco di riferimento dal quale e con il quale deve essere sempre possibile
comunicare, sia dall'esterno che dall'interno, in modo da disporre in tempo reale di
tutte quelle informazioni e direttive utili alla conduzione dell'emergenza stessa. Al
centro di controllo afferisce il responsabile del piano di emergenza che coordina
tutte le successive operazioni predisponendo, se necessario, la richiesta di soccorso
esterno, l'evacuazione del personale e l'attivazione del pronto soccorso. Ovviamente
a seconda delle dimensioni e delle tipologie aziendali o delle tipologie di eventi
ipotizzati le aree operative possono coincidere con il centro di controllo. All'interno
del centro di controllo deve essere sempre disponibile (e aggiornata) la
documentazione inerente la gestione dell'emergenza (planimetrie, schede di
sicurezza dei prodotti, collocazione degli equipaggiamenti e delle attrezzature
supplementari, etc.).
9. Cosa sono le squadre di intervento per l’emergenza? Devono essere sempre
previste?
Le squadre di intervento sono costituite da personale interno, espressamente
individuato per effettuare anche questo tipo di lavoro, immediatamente disponibile
all'occorrenza. La pronta disponibilità va intesa come presenza fisica sempre
assicurata sia dal punto di vista della composizione prevista per la squadra, che per
qualificazione professionale dei componenti, anche in caso di lavoro a turni o
assenze; il numero delle squadre e la loro composizione vanno stabiliti in funzione
dei rischi e della dimensione dell'attività. Particolare attenzione va posta alla
qualificazione professionale degli operatori che compongono la squadra, in quanto
deve essere direttamente correlata al compito da svolgere.
10. Esiste un particolare tipo di equipaggiamento di emergenza da adottare?
Sulla base della classificazione delle emergenze devono essere individuati e
predisposti i relativi equipaggiamenti. Questi sono generalmente costituiti dai mezzi
personali di protezione, dai mezzi di salvataggio, dalle attrezzature necessarie per
fronteggiare l'emergenza e dalla specifica segnaletica (ad esempio per la restrizione
degli accessi e per l'ulteriore segnalazione delle vie di fuga) e dei quali devono essere
dotate le squadre di intervento. Gli equipaggiamenti devono essere collocati in
luoghi prefissati (aree operative); in particolare è opportuno che la specifica
dotazione delle squadre sia posta in luoghi protetti e in prossimità delle zone in cui
potrebbero verificarsi gli eventi ipotizzati. Una scorta di equipaggiamenti, valutata
sulla base di possibili esigenze legate all'evoluzione dell'incidente, deve essere
sempre collocata in luogo protetto (cioè situato a distanza di sicurezza interna
rispetto alle possibili zone pericolose) e facilmente accessibile. E' opportuno
sottolineare che, in alcune situazioni (es. rilasci tossici), è necessario mettere a
95
disposizione dei lavoratori, non impegnati nelle squadre di intervento, i mezzi di
protezione personale per potersi allontanare dal luogo pericoloso. Tutte le
informazioni sulla collocazione degli equipaggiamenti devono essere riportate su
planimetrie opportunamente dislocate all'interno dei locali. L'equipaggiamento di
emergenza deve essere periodicamente verificato per accertarne lo stato di
conservazione e l'efficienza: le verifiche devono essere annotate su un apposito
registro, con data e firma della persona incaricata del compito. In occasione delle
esercitazioni o prove di simulazione, le squadre di intervento e le altre persone
coinvolte devono fare uso di quanto predisposto (DPI, attrezzature, etc.)
11. Il piano di emergenza aziendale deve indicare necessariamente un piano di
evacuazione?. In cosa consiste? Come si può individuarlo?
Fermo restando la predisposizione di vie ed uscite di emergenza, il piano di
emergenza deve individuare tutti i percorsi, preferenziali ed alternativi, che da
ciascun posto di lavoro devono essere seguiti per raggiungere i luoghi sicuri.
In situazioni con elevato affollamento di persone, ed in particolare in presenza di
pubblico, può essere necessario predisporre nuclei di operatori esclusivamente
addetti all'evacuazione, cioè capaci di indirizzare e convogliare verso le vie di fuga,
prestabilite dal piano di emergenza, i flussi di persone; loro compito specifico è
anche quello di verificare che l'evacuazione sia completa e avvenga in modo
ordinato verso luoghi sicuri o centri di raccolta. I centri di raccolta sono zone in cui
devono confluire inizialmente le persone per poi essere allontanate definitivamente
ed in modo ordinato per evitare intralcio agli eventuali mezzi di soccorso. Nei luoghi
di lavoro non aperti al pubblico il centro di raccolta deve essere utilizzato anche per
censire le persone evacuate. Qualora l'evacuazione sia predisposta esclusivamente
verso i centri di raccolta sarà necessario prevedere un appropriato numero di
sistemi o mezzi di trasporto per effettuare l'ulteriore allontanamento delle persone.
Dai centri di raccolta deve essere possibile comunicare con il centro di controllo
dell'emergenza. I luoghi sicuri e le vie di emergenza devono essere riportati sulle
planimetrie citate per gli equipaggiamenti; in situazioni particolarmente complesse
può essere necessario predisporre planimetrie separate.
12. Qualora avvenga un evento pericoloso di proporzioni non limitabili e
comunque non immediatamente circoscrivibili con i mezzi disponibili
all'interno dell'azienda, cosa è necessario fare? Esistono delle prescrizioni in
proposito?
Il coinvolgimento della pubblica Autorità (Prefettura, Vigili del fuoco, etc.) è una
decisione che va ponderata accuratamente e deve essere presa quando non si è in
grado di valutare l'entità dell'evento oppure ci si rende conto che è impossibile
arrestare l'emergenza con le procedure previste o questa può travalicare i confini
dello stabilimento. Pertanto ogni qualvolta un evento pericoloso assume proporzioni
non limitabili e comunque non immediatamente circoscrivibili con i mezzi
disponibili all'interno dell'azienda vanno attivate, per gradi, le risorse esterne
predisposte dalla pubblica Autorità.
Nel richiedere l'aiuto esterno vanno fornite, anche in tempi successivi, il maggior
numero di informazioni possibili e utili a migliorare l'intervento stesso quali ad
esempio:
- stato dell'emergenza (allarme, preallarme)
- ubicazione dell'evento,
- dimensioni dell'evento,
- tipo e quantità delle sostanze coinvolte,
- equipaggiamenti di emergenza presenti in azienda,
- condizioni climatiche (ad esempio in caso di rilascio di sostanze pericolose)
- previsioni sulle possibili conseguenze esterne
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- dati identificativi di chi trasmette.
E' anche necessario che vengano individuate una o più persone che sul posto siano
in grado di fornire informazioni più dettagliate sull'evento ai responsabili della
pubblica Autorità intervenuti sul luogo. Le procedure di richiesta di intervento della
pubblica Autorità, all'interno di un piano di emergenza, devono includere in modo
preciso i diversi enti da coinvolgere (a seconda del tipo di incidente), le modalità di
richiesta, i soggetti incaricati di effettuare la richiesta, ed infine i vari livelli di
attivazione (Vigili del fuoco, AUSL, Sindaco, Prefettura, Regione, etc.)
13. Cosa sono le verifiche del piano di emergenza? Quando devono essere
effettuate?
Un piano di emergenza, prima di essere definitivamente adottato, deve essere
sottoposto ad una sorta di "analisi di congruità" che ne accerti l'effettiva capacità di
applicazione in tutte le situazioni esaminate. In particolare occorre valutare e
verificare:
- la risposta dei piano di emergenza in merito all'eliminazione o
minimizzazione delle conseguenze;
- la capacità/tempestività decisionale ed applicativa delle procedure espressa
dai responsabili di piano di emergenza;
- l'efficienza e l'affidabilità degli equipaggiamenti predisposti;
- l'adeguatezza delle vie di esodo e delle eventuali aree di sicurezza (o centri di
raccolta);
- l'affiatamento, la capacità tecnica e la tempestività delle squadre di
intervento;
- il grado di conoscenza delle procedure da parte di tutti i lavoratori presenti in
azienda.
Queste verifiche, devono essere effettuate con simulazioni ed esercitazioni; è
opportuno che siano coerenti con gli eventi ipotizzati e con la dimensione
dell'attività, non devono cioè essere limitate solo ai singoli impianti, ma prevedere
anche situazioni più ampie, come il coinvolgimento dell'intero stabilimento o della
pubblica Autorità; devono ovviamente essere affrontate in tutte le condizioni
possibili (dì, notte, giorni festivi, condizioni di maltempo, etc.) ove richiesto dalla
tipologia e dalle caratteristiche dell'attività. I risultati delle simulazioni, esercitazioni
o prove possono fornire, infine, utili indicazioni sia in merito a modifiche,
integrazioni, predisposizioni di procedure alternative sia alla reale risposta dei
sistemi o presidi di emergenza predisposti.
14. Esistono diverse tipologie di piani di emergenza è è possibile fare
riferimento ad un unico modello?
A seconda delle caratteristiche della attività (intese come dimensione, numero di
addetti o persone presenti, tipo di impianti, collocazione urbanistica) possono
essere individuati diversi livelli di piano di emergenza ciascuno dei quali, pur
rispettando i criteri e le procedure generali, ha un diverso grado di approfondimento
e di complessità in una possibile scala di gravità; questi possono essere sintetizzati
in:
- piano di emergenza di unità o di impianto;
- piano di emergenza di stabilimento;
- piano di emergenza esterno o generale.
15. Cos’è il piano di emergenza di unità? In quali circostanze deve essere
predisposto?
Il piano di emergenza di unità (o di impianto) è quella parte del piano di emergenza
complessivo che riguarda espressamente la singola unità o impianto. Prende in
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considerazione tutti gli eventi incidentali che possono verificarsi nell'unità o
nell'impianto e deve individuare chiaramente:
- responsabili locali per ciascun turno
- area/e operativa/e dove devono recarsi il responsabile del piano di
emergenza di stabilimento, il responsabile locale, le squadre di intervento, i
soccorritori ed il nucleo degli addetti all'evacuazione. In caso di incidente il
responsabile di PE di stabilimento, effettuata una immediata valutazione
dell'entità e dei possibili sviluppi quali-quantitativi dell'evento, deciderà se
attivare o meno i piani di emergenza di altre unità o dell'intera attività (piano
di emergenza di stabilimento) o che interessano anche l'esterno (piano di
emergenza esterno);
- composizione delle squadre di intervento,
- composizione del nucleo di soccorritori,
- composizione dell'eventuale nucleo di evacuatori,
- collocazione dell'equipaggiamento di emergenza e specificazione dei mezzi da
utilizzare in base al tipo di evento incidentale,
- collocazione dell'equipaggiamento di emergenza di scorta,
- ubicazione dei DPI a disposizione del personale da evacuare,
- sistemi di allarme per allertare le squadre di intervento, i soccorritori e gli
addetti all'evacuazione, nonchè le procedure per la loro attivazione,
- sistemi di comunicazione tra aree operative, centri di raccolta e centro di
controllo,
- vie di esodo, centri di raccolta ed eventuali mezzi per l'ulteriore
allontanamento delle persone, nonchè le zone ad accesso limitato o
interdetto.
Il piano di emergenza di unità viene predisposto esclusivamente per l'unità che
presenta potenzialmente il rischio di eventi incidentali; si identifica con il piano di
stabilimento quando quest'ultimo coincide con l'unità stessa. Nel caso di incidenti
minori o emergenze facilmente circoscrivibili può risultare sufficiente e risolutivo.
Il piano di emergenza di stabilimento viene predisposto quando l'azienda presenta
più unità a rischio di eventi incidentali, o quando unità di per sè non a rischio
possono essere interessate da incidenti verificatisi in altre unità. Esso è costituito
dai piano di emergenza delle varie unità (o impianti) e dalle necessarie correlazioni
tra gli stessi; deve inoltre individuare con precisione:
- responsabile del piano di emergenza di stabilimento e i suoi sostituti,
- collocazione del centro di controllo,
- modalità di comunicazione tra centro di controllo, centri di raccolta e aree
operative,
- modalità di comunicazione tra centro di controllo e l'esterno dello
stabilimento,
- modalità di attivazione della pubblica Autorità, sia da parte dei responsabili
locali che da parte del responsabile del piano di emergenza di stabilimento
16. Cos’è il piano di emergenza esterno?
Il piano di emergenza esterno è quel piano che viene messo a punto dalla pubblica
Autorità per tutelare l'incolumità della popolazione e la salvaguardia dell'ambiente.
La sua applicazione (in caso di eventi legati ai rischi propri dell'attività) viene
richiesta, dal responsabile del piano di emergenza di stabilimento o dalla pubblica
Autorità (VVF, AUSL, etc.) intervenuta in fase di emergenza, quando l'evento evolve
o può evolvere verso situazioni gravi che interessano aree esterne allo stabilimento.
Il piano di emergenza esterno può essere preparato espressamente per ogni
stabilimento che sia potenziale sorgente di pericolo, oppure avere carattere più
generale e onnivalente per tutte le necessità comuni alle varie emergenze (es:
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gestione dell'ordine pubblico, regolamentazione del traffico, utilizzo degli ospedali,
etc.).
17. A norma dell’art. 18, comma 1, lett. b) del D.Lgs 81/08, il datore di lavoro
deve designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle
misure di primo soccorso. Quali sono le caratteristiche principali che devono
possedere tali soggetti?
Per queste figure professionali il mandato è richiamato sommariamente nel D.Lgs
81/08. La variabilità degli ambienti di lavoro, in termini di dimensioni,
localizzazione, rischi specifici, non consente a questo livello di trattazione
specificazioni; d’altra parte è prevista una ulteriore normazione in tal senso. Si
ritiene che nella maggior parte delle attività soggette all’obbligo di osservare il D.Lgs
81/08, queste figure dovranno svolgere un ruolo di “attesa attiva” delle strutture
esterne preposte ai pronto soccorso, limitandosi ad evitare l’aggravarsi di danni già
eventualmente instaurati ed evitando atteggiamenti eccessivamente “interventistici”.
È da sottolineare come verosimilmente tale ruolo non potrà essere indifferentemente
svolto da qualsiasi soggetto, per cui andranno opportunamente valutati aspetti di
tipo personale e caratteriale. Devono essere distinti in relazione al grado di
complessità aziendale e alla specifica natura dei rischi ivi presenti, anche dopo
verifica dell’andamento del fenomeno infortunistico (sede, natura e gravità delle
lesioni) e tenendo presente il ruolo di indirizzo che dovrà svolgere al proposito il
medico competente. Ad un livello di base si potrà prevedere:
- conoscenza di nozioni elementari del primo soccorso in relazione a danni
oculari, ferite, emorragie, ustioni gravi, arresto cardio-respiratorio, perdita di
conoscenza.
In situazioni più strutturate o a rischio o logisticamente disagevoli potrà essere utile
una formazione più specialistica nell’ambito di una particolare strutturazione
organizzativa, finalizzata al primo trattamento di:
- danni oculari, ustioni e causticazioni, ferite, amputazioni, distorsioni, lesioni
muscolo-tendinee, lussazioni, fratture, traumi cranici, politraumatismi gravi,
folgorazione, intossicazione acuta da inquinanti aerodispersi, avvelenamenti,
punture di insetto, morso di vipera, patologia acuta da calore e da basse
temperature, epistassi, perdita di coscienza, arresto cardio-respiratorio.
In ogni caso la formazione dovrà comprendere l’acquisizione delle seguenti capacità:
- saper descrivere alle unità di soccorso esterno lo stato del soggetto da
soccorrere e le caratteristiche topografiche del luogo da raggiungere;
- sapere proteggere la propria persona dai rischi derivanti dall’opera di pronto
soccorso.
Le caratteristiche individuali di scolarità possono essere molto varie; è comunque
opportuno un discreto livello di cultura generale. È da vedere con favore l’esistenza
di una personale propensione verso l’argomento.
18. Che tipo di formazione devono ricevere i lavoratori incaricati
dell’attuazione delle misure di primo soccorso?
La formazione dovrà essere pratica ed essenziale, in grado di dare luogo, al bisogno,
a comportamenti precisi ed efficaci e potrà essere direttamente curata dal medico
competente. Il datore di lavoro, tenendo conto della natura della attività e delle
dimensioni dell’azienda o della unità produttiva, sentito il medico competente ove
nominato, prende i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso e di
assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone
presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni,
anche per il trasporto dei lavoratori infortunati.
99
19. Esistono delle caratteristiche minime delle attrezzature di primo
soccorso?
Le caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso, i requisiti del
personale addetto e la sua formazione, individuati in relazione alla natura
dell’attività, al numero dei lavoratori occupati ed ai fattori di rischio sono
individuati dal decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 e dai successivi
decreti ministeriali di adeguamento. In particolare, il decreto prevede che le aziende
ovvero le unità produttive sono classificate, tenuto conto della tipologia di attività
svolta, del numero dei lavoratori occupati e dei fattori di rischio, in tre gruppi.
20. Il decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 individua, tra le altre,
attività lavorative di Gruppo A). Quali sono?
I) Aziende o unità produttive con attività industriali, soggette all'obbligo di
dichiarazione o notifica, di cui all'articolo 2, del decreto legislativo 17 agosto 1999,
n. 334, centrali termoelettriche, impianti e laboratori nucleari di cui agli articoli 7,
28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, aziende estrattive ed altre
attività minerarie definite dal decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 624, lavori in
sotterraneo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 320,
aziende per la fabbricazione di esplosivi, polveri e munizioni;
II) Aziende o unità produttive con oltre cinque lavoratori appartenenti o
riconducibili ai gruppi tariffari INAIL con indice infortunistico di inabilità
permanente superiore a quattro, quali desumibili dalle statistiche nazionali INAIL
relative al triennio precedente ed aggiornate al 31 dicembre di ciascun anno. Le
predette statistiche nazionali INAIL sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale;
III) Aziende o unità produttive con oltre cinque lavoratori a tempo indeterminato del
comparto dell'agricoltura.
21. Quali sono le aziende appartenenti al Gruppo C, ai fini delle caratteristiche
minime delle attrezzature di primo soccorso?
Gruppo B:
Aziende o unità produttive con tre o più lavoratori che non rientrano nel gruppo A.
Gruppo C:
Aziende o unità produttive con meno di tre lavoratori che non rientrano nel gruppo
A.
22. Sono un datore di lavoro di un’azienda con oltre sei lavoratori a tempo
indeterminato del comparto dell'agricoltura. Quali sono gli adempimenti che
devo porre in essere in tema di primo soccorso? Quali sono i contenuti minimi
della cassetta di pronto soccorso?
Il datore di lavoro, sentito il medico competente, ove previsto, deve identificare la
categoria di appartenenza della propria azienda od unità produttiva e, come nel
caso di riportato nel quesito, appartenendo al gruppo A, la comunica all'Azienda
Unità Sanitaria Locale competente sul territorio in cui si svolge l'attività lavorativa,
per la predisposizione degli interventi di emergenza del caso.
Nel caso in cui l'azienda o l’unità produttiva sia classificata di gruppo A, il Datore
di Lavoro dota il luogo di lavoro di una cassetta di pronto soccorso (il cui contenuto
è conforme a quanto indicato nella tabella seguente), integrata dai materiali
eventualmente scelti, su parere anche del medico competente, in funzione dei rischi
specifici aziendali e di un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il
sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale.
CONTENUTO MINIMO DELLA CASSETTA DI PRONTO SOCCORSO
100
Guanti sterili monouso (5 paia).
Visiera paraschizzi
Flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 1 litro (1).
Flaconi di soluzione fisiologica (sodio cloruro - 0, 9%) da 500 ml (3).
Compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole (10).
Compresse di garza sterile 18 x 40 in buste singole (2).
Teli sterili monouso (2).
Pinzette da medicazione sterili monouso (2).
Confezione di rete elastica di misura media (1).
Confezione di cotone idrofilo (1).
Confezioni di cerotti di varie misure pronti all'uso (2).
Rotoli di cerotto alto cm. 2,5 (2).
Un paio di forbici.
Lacci emostatici (3).
Ghiaccio pronto uso (due confezioni).
Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari (2).
Termometro.
Apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa.
La cassetta di Pronto Soccorso deve essere tenuta presso ciascun luogo di lavoro e
deve essere adeguatamente custodita in un luogo facilmente accessibile ed
individuabile con segnaletica appropriata.
23. Sono un datore di lavoro di un’azienda con tre lavoratori a tempo
indeterminato. Quali sono gli adempimenti che devo porre in essere in tema di
primo soccorso? Quali sono i contenuti minimi della cassetta di pronto
soccorso?
Se l'azienda è ricompresa nel gruppo B, il datore di lavoro dota il luogo di lavoro di
una cassetta di pronto soccorso (il cui contenuto è conforme a quanto indicato nella
tabella sottostante), integrata dai materiali eventualmente scelti, su parere anche
del medico competente, in funzione dei rischi specifici aziendali e di un mezzo di
comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio
Sanitario Nazionale.
CONTENUTO MINIMO DELLA CASSETTA DI PRONTO SOCCORSO
Guanti sterili monouso (5 paia).
Visiera paraschizzi
Flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 1 litro (1).
Flaconi di soluzione fisiologica (sodio cloruro - 0, 9%) da 500 ml (3).
Compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole (10).
Compresse di garza sterile 18 x 40 in buste singole (2).
Teli sterili monouso (2).
Pinzette da medicazione sterili monouso (2).
Confezione di rete elastica di misura media (1).
Confezione di cotone idrofilo (1).
Confezioni di cerotti di varie misure pronti all'uso (2).
Rotoli di cerotto alto cm. 2,5 (2).
Un paio di forbici.
Lacci emostatici (3).
Ghiaccio pronto uso (due confezioni).
Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari (2).
Termometro.
Apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa.
La cassetta di Pronto Soccorso deve essere tenuta presso ciascun luogo di lavoro e
deve essere adeguatamente custodita in un luogo facilmente accessibile ed
individuabile con segnaletica appropriata.
101
24. Sono un datore di lavoro di un’azienda con meno di tre lavoratori. Quali
sono gli adempimenti che devo porre in essere in tema di primo soccorso?
Devo avere una cassetta di pronto soccorso o è sufficiente il pacchetto di
medicazione?
Nel caso prospettato l’azienda appartiene al gruppo C. E’ quindi sufficiente un
pacchetto di medicazione (il cui contenuto è conforme a quanto indicato nella
tabella sottostante), integrato dai materiali eventualmente scelti, su parere anche
del medico competente, sulla base dei rischi specifici aziendali. Anche in questo
caso è necessario che vi sia a disposizione un sistema per le comunicazioni
sanitarie di emergenza.
CONTENUTO MINIMO DEL PACCHETTO DI MEDICAZIONE
Guanti sterili monouso (2 paia).
Flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 125 ml (1).
Flacone di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0,9%) da 250 ml (1).
Compresse di garza sterile 18 x 40 in buste singole (1).
Compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole (3).
Pinzette da medicazione sterili monouso (1).
Confezione di cotone idrofilo (1).
Confezione di cerotti di varie misure pronti all'uso (1).
Rotolo di cerotto alto cm 2,5 (1).
Rotolo di benda orlata alta cm 10 (1).
Un paio di forbici (1).
Un laccio emostatico (1).
Confezione di ghiaccio pronto uso (1).
Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari (1).
Istruzioni sul modo di usare i presidi suddetti e di prestare i primi soccorsi in attesa del servizio di
emergenza.
Il pacchetto di medicazione di Pronto Soccorso deve essere tenuto presso ciascun
luogo di lavoro e deve essere adeguatamente custodito in un luogo facilmente
accessibile ed individuabile con segnaletica appropriata.
25. Sono un datore di lavoro di una media impresa (con 43 dipendenti) che ha
appena nominato un addetto al primo soccorso. Qual è la formazione minima
che devo garantire? Su chi gravano i costi? Chi deve svolgere la formazione?
Con quale cadenza deve essere ripetuta la formazione?
Gli addetti al pronto soccorso, designati dal Datore di lavoro, sono formati con
istruzione teorica e pratica per l'attuazione delle misure di primo intervento interno
e per l'attivazione degli interventi di pronto soccorso.
La formazione dei lavoratori designati è svolta da personale medico, in
collaborazione, ove possibile, con il sistema di emergenza del Servizio Sanitario
Nazionale. Nello svolgimento della parte pratica della formazione il medico può
avvalersi della collaborazione di personale infermieristico o di altro personale
specializzato. La formazione degli addetti andrà ripetuta con cadenza triennale
almeno per quanto attiene alla capacità di intervento pratico.
Nel caso prospettato, l’azienda rientra nel Gruppo A)
Gli obiettivi didattici e i contenuti minimi della formazione dei lavoratori designati al
pronto soccorso per le aziende di gruppo A sono indicati nelle Tabelle seguenti.
OBIETTIVI
DIDATTICI
Prima giornata
modulo A
Allertare il
sistema
di soccorso
PROGRAMMA
TEMPI
Totale n. 6 ore
Cause
e
circostanze
dell'infortunio
(luogo
dell'infortunio, numero delle persone coinvolte,
stato degli infortunati, ecc.);
Comunicare le predette informazioni in maniera
102
chiara e precisa ai Servizi di assistenza sanitaria
di emergenza.
Riconoscere
un'emergenza
sanitaria
a) Scena dell'infortunio:
raccolta delle informazioni;
previsione dei pericoli evidenti e di quelli
probabili;
b) Accertamento delle condizioni psico-fisiche del
lavoratore infortunato:
funzioni vitali (polso, pressione, respiro);
stato di coscienza;
ipotermia e ipertermia;
c) Nozioni elementari di anatomia e fisiologia
dell'apparato cardiovascolare e respiratorio.
d) Tecniche di autoprotezione del personale addetto al
soccorso.
Attuare
gli interventi
di primo soccorso
a) Sostenimento delle funzioni vitali:
posizionamento dell'infortunato e manovre per la
pervietà delle prime vie aeree;
respirazione artificiale;
massaggio cardiaco esterno.
b) Riconoscimento e limiti d'intervento di primo
soccorso:
lipotimia, sincope, shock;
edema polmonare acuto;
crisi asmatica;
dolore acuto stenocardico;
reazioni allergiche;
crisi convulsive;
emorragie
esterne
post-traumatiche
tamponamento emorragico;
e
Conoscere i rischi specifici dell'attività svolta
OBIETTIVI
PROGRAMMA
DIDATTICI
Seconda giornata
modulo B
Cenni di anatomia dello
scheletro;
Acquisire
Lussazioni, fratture e complicanze;
conoscenze
Traumi e lesioni cranio-encefalici e della
generali sui
colonna vertebrale.
traumi in
ambiente di lavoro
Traumi e lesioni toraco-addominali.
Acquisire
conoscenze
generali sulle
patologie
specifiche in
ambiente di lavoro
OBIETTIVI
DIDATTICI
Terza giornata
Modulo C
Acquisire capacità
di
Intervento pratico
TEMPI
Totale n. 4 ore
Lesioni da freddo e da calore.
Lesioni da corrente elettrica.
Lesioni da agenti chimici.
Intossicazioni.
Ferite lacero contuse.
Emorragie esterne.
PROGRAMMA
TEMPI
Totale n. 6 ore
Tecniche di comunicazione con il sistema di
emergenza del S.S.N.
Tecniche di primo soccorso nelle sindromi cerebrali
acute.
Tecniche di primo soccorso nella sindrome di
insufficienza respiratoria acuta.
Tecniche di rianimazione cardiopolmonare.
103
Tecniche di tamponamento emorragico.
Tecniche di sollevamento, spostamento e trasporto
del traumatizzato.
Tecniche di primo soccorso in casi di esposizione
accidentale ad agenti chimici e biologici.
26. Sono un datore di lavoro un’azienda che produce e commercializza
software con 5 dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato. Qual
è la formazione minima che devo garantire agli addetti al primo soccorso? Su
chi gravano i costi? Chi deve svolgere la formazione? Con quale cadenza deve
essere ripetuta la formazione?
L’azienda appartiene al Gruppo B. Gli obiettivi didattici e i contenuti minimi della
formazione dei lavoratori designati al pronto soccorso per le aziende di gruppo B
sono indicati nelle Tabelle seguenti.
OBIETTIVI
DIDATTICI
Prima giornata
modulo A
Allertare il
sistema
di soccorso
PROGRAMMA
TEMPI
Totale n. 4 ore
a) Cause e circostanze dell'infortunio (luogo
dell'infortunio, numero delle persone coinvolte, stato
degli infortunati, ecc.);
b) Comunicare le predette informazioni in maniera
chiara e precisa ai Servizi di assistenza sanitaria di
emergenza.
Riconoscere
un'emergenza
sanitaria
a) Scena dell'infortunio:
raccolta delle informazioni;
previsione dei pericoli evidenti e di quelli
probabili;
b) Accertamento delle condizioni psico-fisiche del
lavoratore infortunato:
funzioni vitali (polso, pressione, respiro);
stato di coscienza;
ipotermia e ipertermia;
c) Nozioni elementari di anatomia e fisiologia
dell'apparato cardiovascolare e respiratorio.
d) Tecniche di autoprotezione del personale addetto
al soccorso.
Attuare gli
interventi
di primo soccorso
a) Sostenimento delle funzioni vitali:
posizionamento dell'infortunato e manovre per
la pervietà delle prime vie aeree;
respirazione artificiale;
massaggio cardiaco esterno.
b) Riconoscimento e limiti d'intervento di primo
soccorso:
lipotimia, sincope, shock;
edema polmonare acuto;
crisi asmatica;
dolore acuto stenocardico;
reazioni allergiche;
crisi convulsive;
emorragie esterne post-traumatiche e tamponamento
emorragico.
Conoscere i rischi specifici dell'attività svolta
OBIETTIVI
PROGRAMMA
DIDATTICI
Seconda giornata
modulo B
Cenni di anatomia dello scheletro.
Acquisire
TEMPI
Totale n. 4 ore
104
conoscenze
generali sui
traumi in
ambiente di lavoro
Acquisire
conoscenze
generali sulle
patologie
specifiche in
ambiente di lavoro
OBIETTIVI
DIDATTICI
Terza giornata
Modulo C
Acquisire capacità
di
Intervento pratico
Lussazioni, fratture e complicanze.
Traumi e lesioni cranio-encefalici e della colonna
vertebrale.
Traumi e lesioni toraco-addominali.
Lesioni da freddo e da calore.
Lesioni da corrente elettrica.
Lesioni da agenti chimici.
Intossicazioni.
Ferite lacero contuse.
Emorragie esterne.
PROGRAMMA
TEMPI
Totale n. 4 ore
Tecniche di comunicazione con il sistema di emergenza
del S.S.N.
Tecniche di primo soccorso nelle sindromi cerebrali
acute.
Tecniche di primo soccorso nella sindrome di
insufficienza respiratoria acuta.
Tecniche di rianimazione cardiopolmonare.
Tecniche di tamponamento emorragico.
Tecniche di sollevamento, spostamento e trasporto del
traumatizzato.
Tecniche di primo soccorso in casi di esposizione
accidentale ad agenti chimici e biologici.
27. Ho appena nominato un addetto al primo soccorso. Lavoro in una piccola
azienda (3 dipendenti). Esistono dei corsi di formazione specifici per gli
addetti al primo soccorso? Quali sono i requisiti?
L’azienda appartiene al Gruppo C. Gli obiettivi didattici e i contenuti minimi della
formazione dei lavoratori designati al pronto soccorso per le aziende di gruppo C
sono indicati nelle Tabelle seguenti
OBIETTIVI
DIDATTICI
Prima giornata
modulo A
Allertare il
sistema
di soccorso
Riconoscere
un'emergenza
sanitaria
PROGRAMMA
TEMPI
Totale n. 4 ore
a) Cause e circostanze dell'infortunio (luogo
dell'infortunio, numero delle persone coinvolte, stato
degli infortunati, ecc.);
b) Comunicare le predette informazioni in maniera
chiara e precisa ai Servizi di assistenza sanitaria di
emergenza.
a) Scena dell'infortunio:
raccolta delle informazioni;
previsione dei pericoli evidenti e di quelli
probabili;
b) Accertamento delle condizioni psico-fisiche del
lavoratore infortunato:
funzioni vitali (polso, pressione, respiro);
stato di coscienza;
ipotermia e ipertermia;
c) Nozioni elementari di anatomia e fisiologia
dell'apparato cardiovascolare e respiratorio.
d) Tecniche di autoprotezione del personale addetto
al soccorso.
105
Attuare gli
interventi
di primo soccorso
a) Sostenimento delle funzioni vitali:
posizionamento dell'infortunato e manovre per
la pervietà delle prime vie aeree;
respirazione artificiale;
massaggio cardiaco esterno.
b) Riconoscimento e limiti d'intervento di primo
soccorso:
lipotimia, sincope, shock;
edema polmonare acuto;
crisi asmatica;
dolore acuto stenocardico;
reazioni allergiche;
crisi convulsive;
emorragie esterne post-traumatiche e
tamponamento emorragico.
Conoscere i rischi specifici dell'attività svolta
OBIETTIVI
PROGRAMMA
TEMPI
DIDATTICI
Totale n. 4 ore
Seconda giornata
modulo B
Cenni di anatomia dello scheletro.
Acquisire
Lussazioni, fratture e complicanze.
conoscenze
Traumi e lesioni cranio-encefalici e della colonna
generali sui
vertebrale.
traumi in
ambiente di lavoro
Traumi e lesioni toraco-addominali.
Acquisire
Lesioni da freddo e da calore.
conoscenze
Lesioni da corrente elettrica.
generali sulle
Lesioni da agenti chimici.
patologie
Intossicazioni.
specifiche in
Ferite lacero contuse.
ambiente di lavoro
Emorragie esterne.
Conoscere i rischi specifici dell'attività svolta
OBIETTIVI
PROGRAMMA
DIDATTICI
Terza giornata
Modulo C
Tecniche di comunicazione con il sistema di
Acquisire capacità
emergenza del S.S.N.
di
Tecniche di primo soccorso nelle sindromi cerebrali
Intervento pratico
acute.
Tecniche di primo soccorso nella sindrome di
insufficienza respiratoria acuta.
Tecniche di rianimazione cardiopolmonare.
Tecniche di tamponamento emorragico.
Tecniche di sollevamento, spostamento e trasporto
del traumatizzato.
Tecniche di primo soccorso in casi di esposizione
accidentale ad agenti chimici e biologici.
TEMPI
Totale n. 4 ore
28. Per una corretta classificazione delle aziende ai fini del primo soccorso,
come vanno considerati i lavoratori? Esistono dei criteri di computo?
Con nota del 22 giugno 2004, il Ministero della Salute ha chiarito che, ai fini della
classificazione delle aziende, vanno considerati tutti i lavoratori dell'azienda. La
classificazione dipenderà, oltre che dal numero di lavoratori occupati, dalla tipologia
di attività svolta e dai rischi cui sono esposti i lavoratori. In particolare, se l'azienda
o l'unità produttiva svolge attività lavorative comprese in diversi gruppi tariffari
INAIL - nel caso ci si debba ricondurre a tali gruppi per identificare la categoria di
appartenenza -, il datore di lavoro dovrà riferirsi all'attività con indice più elevato,
106
fermo restando che il numero di lavoratori riconducibili a tale attività sia superiore
a 5.
Una tale classificazione porta le aziende suddivise in più unità produttive a poter
classificare in maniera differente (e dunque a darsi differenti organizzazioni nella
gestione del pronto soccorso) le singole unità produttive. Riteniamo che risulti
assimilabile ad unità produttiva ogni sede dell’azienda con diversa ubicazione
territoriale.
29. Il datore di lavoro deve comunicare alla Asl l’appartenenza alle varie
categorie previste dal DM 388/03? Come deve avvenire la comunicazione?
Esistono delle indicazioni sui contenuti che devono essere assicurati nella
comunicazione?
E’ previsto che il datore di lavoro, sentito il medico competente ove previsto,
identifichi la categoria di appartenenza dell’Azienda / Unità produttiva e, qualora di
gruppo A, invii comunicazione all’Azienda USL competente territorialmente.
La comunicazione dovrà essere inoltrata tramite un’apposita autocertificazione. Le
diverse regioni potranno indicare dove inviare l’autocertificazione (Servizio di
Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, Centrale del 118 territorialmente
competente), l’importante è che le informazioni riportate non risultino un mero
esercizio di raccolta cartacea, ma servano nel caso di intervento, a rispondere
correttamente e tempestivamente all’emergenza.
30. Che differenza c’è tra la cassetta di pronto soccorso e il pacchetto di
medicazione?
Le aziende o le unità produttive di gruppo A e B devono avere la cassetta di pronto
soccorso mentre per le aziende o unità produttive di gruppo C basta il pacchetto di
medicazione. I contenuti minimi di cassetta e pacchetto, indicati agli allegati n. 1 e
2 del Decreto 388/2003, differiscono dal punto di vista qualitativo (nella cassetta ci
sono alcuni componenti in più, quali visiera paraschizzi, teli sterili monouso, rete
elastica, termometro, apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa), e
soprattutto quantitativa (ad es. maggior numero di guanti sterili monouso nella
cassetta, soluzione fisiologica in flaconi da 500 cc anziché 250, ecc.).
31. E’ possibile integrare i contenuti della cassetta di pronto soccorso in
relazione ad specifici rischi presenti in azienda?
Trattandosi di contenuti minimi è possibile che vengano integrati quali e
quantitativamente in base ai rischi specifici presenti e alle dimensioni dell’azienda.
Nel caso della cassetta di pronto soccorso l’integrazione è effettuata da parte del
datore di lavoro in base alle indicazioni del medico competente, se previsto. In ogni
caso il datore di lavoro deve garantire la completezza e il corretto stato d’uso dei
presidi contenuti.
Nel caso del pacchetto di medicazione il decreto non prevede chi dovrà fornire le
indicazioni per l’integrazione pur tuttavia richiama il ruolo, svolto dal medico
competente quando previsto, di collaborazione con il datore di lavoro per assicurare
la completezza ed il corretto stato d’uso dei presidi.
32. La cassetta di pronto soccorso come e dove deve essere custodita?
Sia la cassetta di pronto soccorso che il pacchetto di medicazione devono essere
custoditi in un luogo facilmente accessibile e segnalato (il decreto limita la
segnalazione alla cassetta ma ci sembra doveroso segnalare in ogni azienda il luogo
dove sono tenuti i presidi di pronto soccorso). In ogni caso, ciascun lavoratore deve
essere correttamente informato sul luogo ove sono custoditi tali presidi e sul
nominativo/i dell’addetto/i al pronto soccorso.
107
33. Lavoro in un’azienda appartenente al gruppo A. So che il DM 388/03
prevede che il datore di lavoro deve garantire il raccordo tra il sistema di
pronto soccorso interno e il sistema di emergenza del SSN. Cosa significa?
Che tipo di adempimenti devo espletare? Esistono delle indicazioni in
proposito?
Questa dicitura, riportata all’art 2, comma 4, del DM 388/03 potrebbe lasciare
spazio a diverse ipotesi interpretative. Infatti non è perfettamente chiaro a cosa si
riferiscano alcuni termini quali:
- consorziate in quanto mai nel decreto si parla di possibile consorzio tra ditte
nella gestione del pronto soccorso aziendale;
- raccordo non è chiaro tra chi e a che livello (tra il responsabile del pronto
soccorso aziendale e il sistema di emergenza del SSR, tra quest’ultimo e il
datore di lavoro).
- sistema di pronto soccorso interno: Si tratta di quanto previsto dall’art. 45
del D.Lgs 81/08 oppure il termine "sistema" lascia intendere qualcosa di più
complesso (presenza di infermeria, autoambulanza, ecc.).
Comunque, in base alle considerazioni sopra riportate, si deve intendere che le
aziende di gruppo A, richiamate all’art 2 comma 4, anche in forma consorziata, in
aggiunta a quanto previsto dal comma 1 dello stesso articolo (cassetta di
medicazione e mezzo di comunicazione), qualora dotate di un proprio sistema di
pronto soccorso (infermeria, mezzo di primo soccorso, …) debbono garantire il
raccordo tra questo sistema interno e il sistema di emergenza del SSR.
34. Esistono prescrizioni particolare per l’organizzazione del sistema di primo
soccorso nelle attività edili?
E’ indispensabile che nei cantieri edili, nell’impossibilità che ogni singola impresa
disponga di una persona adeguatamente formata, si realizzi una gestione unitaria
delle emergenze (e dunque del pronto soccorso) e che questa, progettata dal
coordinatore della sicurezza, sia gestita da un datore di lavoro di una delle imprese
presenti (quando presente dell’impresa appaltatrice), anche tramite un proprio
preposto. A questa gestione, tutte le imprese dovranno partecipare in modo da
garantire la costante presenza nel cantiere di almeno una persona formata nella
gestione del pronto soccorso.. Un’organizzazione simile potrebbe essere fatta per
tutti quei casi in cui l’azienda manda i suoi lavoratori a lavorare presso altre
strutture (squadre di pulizia, addetti alla ristorazione collettiva operanti presso
mense aziendali) o nei casi in cui le aziende sussistono in un'unica struttura
(poliambulatori, centri commerciali).
L’art. 45 del D.Lgs 81/08 prevede che l’organizzazione del pronto soccorso tenga
conto delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro. Comunque
un’organizzazione coordinata ed integrata tra più aziende operanti nello stesso
ambiente lavorativo deve essere valutata, pianificata e portata a conoscenza dei
lavoratori e dei loro rappresentanti per la sicurezza.
35. Chi sono i soggetti abilitati allo svolgimento dei corsi di primo soccorso?
I corsi devono prevedere un’istruzione teorica ed una pratica, possono essere tenuti
esclusivamente da personale medico in collaborazione, se possibile, con il sistema
di emergenza del SSN. Possono essere chiamati a collaborare personale
infermieristico ed altro soggetto specializzato.
Gli obiettivi didattici dei corsi indicano la necessità di una collaborazione tra il
medico competente, il sistema di emergenza del SSR, il sistema di vigilanza delle
Aziende Sanitarie. Gli stessi obiettivi indicano che la struttura formativa debba
dimostrare di possedere tutta l’attrezzatura necessaria per lo svolgimento della
parte pratica (manichino, ecc). In considerazione del fatto che la gran parte delle
108
aziende è dislocata in zone dotate di viabilità adeguata e raggiungibili in modo
relativamente agevole dai mezzi di emergenza, i corsi dovrebbero dare maggior
spazio a come allertare il sistema di soccorso interno ed esterno ed a come
agevolarne l’intervento, alle tecniche di autoprotezione del personale addetto al
soccorso e a quegli interventi di primo soccorso realmente effettuabili da personale
non sanitario.
36. Che differenza c’è tra pronto soccorso ed assistenza medica d’emergenza?
Avendo un’azienda di medie dimensioni appartenente al Gruppo A, devo
approntare anche l’assistenza medica d’emergenza?
Si ritiene al riguardo che i termini "pronto soccorso" ed "assistenza medica
d’emergenza", genericamente utilizzati nella normativa siano poco appropriati.
Infatti questi termini caratterizzano specificamente le prestazioni erogate dai presidi
di "Pronto Soccorso territoriale" che dispongono di mezzi, professionalità e
procedure ben codificate, tali da permettere, "…oltre agli interventi diagnostico
terapeutici di urgenza compatibili con le specialità di cui sono dotati, almeno il primo
accertamento diagnostico, clinico, strumentale e di laboratorio, nonché gli interventi
necessari alla stabilizzazione del paziente". Nei luoghi di lavoro invece, un
intervento in caso di infortunio o malore si configura come un "primo soccorso", sia
per la differenza di risorse a disposizione (interventi effettuati da personale non
medico né paramedico, dotazione di attrezzature mediche non sostitutive di quelle
disponibili nei presidi sanitari pubblici), sia perché l’attività di soccorso sanitario è
di competenza esclusiva del SSN.
37. Con quale frequenza devono essere ripetuti i corsi per addetti al primo
soccorso?
I corsi di formazione per gli addetti al pronto soccorso, attestati dalla presenza di un
programma, elenco docenti e certificazione del soggetto/i formato/i, ultimati entro
la data di entrata in vigore del decreto ministeriale 388/03 (3 febbraio 2005) sono
validi come è enunciato dal comma 5 dell’articolo 3. Ogni tre anni la formazione
deve essere ripetuta, almeno nella sua componente pratica. La ripetizione dei corsi
deve riguardare anche quelli effettuati prima del 3.2.2005. Per questi la scadenza
dei 3 anni decorre a partire dalla data di svolgimento. Ricordiamo che per i corsi
effettuati antecedentemente la data indicata e di cui non risulti l’effettuazione della
parte pratica, questa va comunque programmata il prima possibile.
38. Esiste un numero minimo di addetti da impiegare al primo soccorso o la
scelta può essere rimessa al datore di lavoro?
Non viene specificato nel decreto il numero di addetti da formare ed adibire al
pronto soccorso; si deve dedurre che il datore di lavoro debba prevedere la
formazione di un numero di lavoratori tale da garantire la copertura di tutti i turni
di lavoro e che a tale copertura sia addetto un numero di persone formate che
garantisca l’effettiva efficienza e funzionalità del sistema di emergenza in funzione
dei rischi specifici valutati per ciascuna azienda o unità produttiva. Si deve pur
tuttavia ritenere indispensabile che per le aziende con un 1 dipendente o dove lavori
un solo lavoratore in assenza di altre persone, compresa quella del datore di lavoro
e dove quindi non risulta necessaria l’attività di formazione prevista dal Decreto, il
datore di lavoro debba provvedere a formare il lavoratore al corretto utilizzo di
quanto contenuto nel pacchetto di medicazione e a fornire un idoneo mezzo di
comunicazione.
109
39. Nella mia azienda svolge le funzioni di addetto al servizio di pronto
soccorso un medico professionale. Deve svolgere lo specifico corso di
formazione?
Non sono tenuti a svolgere la formazione tutte quelle aziende od unità produttive
che indicano come addetto al servizio di pronto soccorso un medico o un infermiere
professionale.
40. Sono un datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di responsabile
del servizio di prevenzione e protezione e quelli di pronto soccorso. Devo
frequentare gli appositi corsi per addetti al primo soccorso oppure la
formazione che ho ricevuto come Rspp è sufficiente?
Anche il datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di responsabile del
servizio di prevenzione e protezione, qualora si attribuisca i compiti di pronto
soccorso, è tenuto alla formazione così come prevista dal Decreto. I corsi di
formazione potranno essere frequentati da lavoratori di aziende diverse, dato che gli
argomenti trattati sono di interesse generale; dovrà peraltro essere cura del datore
di lavoro, in collaborazione con il medico competente ove previsto, integrare gli
argomenti trattati nei corsi in relazione ai rischi specifici presenti ed alla
organizzazione dell'azienda. Si intende con ciò sottolineare il fatto che il programma
dei corsi esaurisce la preparazione di base minima per ogni addetto, che dovrà
essere eventualmente integrata per ogni singola azienda. La frequentazione del
corso da parte degli addetti al primo soccorso, quindi, può non essere esaustiva
degli obblighi di formazione ed informazione previsti a carico del datore di lavoro,
che dovranno invece essere compiutamente individuati in sede di valutazione dei
rischi.
41. Quali sono le attrezzature minime per gli interventi di pronto soccorso?
Senza distinzione di gruppo di appartenenza dell’azienda o unità produttiva il
datore di lavoro in collaborazione con il medico competente, ove previsto, e sulla
base dei rischi specifici, individua e rende disponibili le attrezzature minime di
equipaggiamento ed i dispositivi di protezione individuale per gli addetti al primo
intervento interno ed al pronto soccorso. Le attrezzature ed i dispositivi di cui sopra
devono essere appropriati rispetto ai rischi specifici connessi all’attività lavorativa
dell’azienda o dell’unità produttiva e devono essere mantenuti in condizioni di
efficienza e di pronto impiego e custoditi in luogo idoneo e facilmente accessibile. Il
luogo di custodia deve essere noto ai lavoratori incaricati del pronto soccorso..
42. Sono il titolare di un piccolo mobilificio costituito da 4 falegnami e 2
impiegati (uno tecnico ed uno amministrativo). L'indice di inabilità INAIL per
l'attività di falegnameria è superiore a 4. Per classificare l'azienda secondo il
DM 388/03 devo considerare il totale dei dipendenti (vale a dire 6) e
considerarmi nel gruppo "AII", oppure tenere conto solamente di coloro che
esercitano l'attività a rischio infortunistico più elevato (i 4 falegnami) e
ritenermi quindi nel gruppo "B" ?
Se l'azienda o unità produttiva svolge attività lavorative comprese in gruppi tariffari
INAIL diversi (nel caso in cui ci si debba ricondurre a tali gruppi per identificare la
categoria di appartenenza), il datore di lavoro deve riferirsi all'attività con indice più
elevato, fermo restando che il numero di lavoratori riconducibili a tale attività sia
superiore a 5. In conclusione, la sua azienda rientra nel gruppo "B".
43. I dipendenti della mia azienda hanno effettuato un corso di Primo
Soccorso nel dicembre 2001. La nuova normativa prevede che tale corso sia
ripetuto con cadenza triennale. Quando inizio a calcolare il triennio:
dall'effettuazione dell'ultimo corso (in questo caso dovrei ripeterlo entro il
110
dicembre 2004), oppure dall'entrata in vigore del DM 388/03 prevista per il 3
febbraio 05 (in questo caso il corso dovrebbe essere eseguito entro il febbraio
del 2008) ?
In questo caso la nuova norma ci sembra chiara ed esauriente. Infatti all'art. 3
comma 5 è riportato testualmente: "Sono validi i corsi di formazione per gli addetti
di primo soccorso ultimati entro la data di entrata in vigore del presente decreto. La
formazione dei lavoratori designati andrà ripetuta con cadenza triennale almeno per
quanto attiene alla capacità di intervento pratico".
Le due affermazioni sono concatenate ed inserite (non a caso) nello stesso comma,
perciò la triennalità parte dalla data di effettuazione dell'ultimo corso di primo
soccorso.
44. Sono un datore di lavoro di una ditta di manutentori, che per il 90% della
loro attività sono impegnati in piccoli cantieri stradali. Gli operai si spostano
prevalentemente in coppia, su un automezzo munito di tutta l'attrezzatura di
lavoro. Devo tenere su ogni vettura un pacchetto di medicazione?
Anche l'autovettura usata dall'impiegato per spostarsi tra gli uffici deve avere
il pacchetto?
Si tratta di un'attività di cantiere di breve durata, che si svolge verosimilmente in
luoghi non urbanizzati e che coinvolge un numero esiguo di dipendenti; riteniamo
che sia necessaria ed al tempo stesso sufficiente la presenza del pacchetto di
medicazione su ogni automezzo.
Nel caso della vettura che si sposta in città tra un ufficio e l'altro è nostro parere
che non sia obbligatoria la presenza del pacchetto di medicazione, anche se la
presenza dello stesso non è vietata.
Riportiamo di seguito il testo dell'art. 2 comma 5 del Decreto....
"Nelle aziende o unita' produttive che hanno lavoratori che prestano la propria
attivita' in luoghi isolati, diversi dalla sede aziendale o unita' produttiva, il datore di
lavoro e' tenuto a fornire loro il pacchetto di medicazione di cui all'allegato 2, che fa
parte del presente decreto, ed un mezzo di comunicazione idoneo per raccordarsi
con l'azienda al fine di attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio
Sanitario Nazionale."
45. Qualcuno mi ha detto che la cassetta di Pronto Soccorso deve essere
sostituita tutte le volte che viene utilizzata, perchè deve essere sempre
sigillata in occasione di un eventuale controllo. Dato che la cassetta costa
circa 80 € ed il pacchetto di medicazione si avvicina ai 20 € vorrei sapere se
questa affermazione è vera.
No, l'affermazione non è vera.
Il decreto dice che la cassetta di pronto soccorso deve "essere adeguatamente
custodita in un luogo facilmente accessibile .... contenere la dotazione minima
indicata nell'allegato 1 ... da integrare sulla base dei rischi presenti nei luoghi di
lavoro ... su indicazione del medico competente, ove previsto, .... e della quale sia
costantemente assicurata la completezza ed il corretto stato d'uso dei presidi ivi
contenuti".
Se ne deduce che:
- il requisito fondamentale è che la dotazione minima sia presente, completa
ed in buone condizioni;
- su indicazione del Medico Competente la dotazione può anche essere
aumentata, e dunque la cassetta può anche essere "assemblata" a partire dai
singoli presidi, sempre con la collaborazione del Medico Competente;
- tutte le volte che si usa il ghiaccio pronto, ad esempio, sarà poi sufficiente
reintegrare prontamente la dotazione minima con una nuova confezione,
senza sostituire l'intera cassetta.
111
-
Analogo discorso si può fare per il pacchetto di medicazione.
46. Sono il proprietario di una piccola falegnameria di 7 dipendenti. Ho
provveduto solo recentemente a nominare due miei dipendenti quali addetti al
primo soccorso, a chi mi devo rivolgere per far effettuare loro un corso di
formazione specifico secondo il D.M. 388/03 ?
Riteniamo che per l'effettuazione dei corsi di formazione agli addetti al pronto
soccorso il datore di lavoro debba rivolgersi in primo luogo al medico d'azienda. Il
D.Lgs. 81/08 infatti definisce il ruolo del medico competente in maniera dettagliata
stabilendo che il medico competente collabora con il datore di lavoro alla
predisposizione del servizio di pronto soccorso e che collabora all'attività di
formazione ed informazione.
In caso di mancata disponibilità del medico competente (oppure in assenza dello
stesso in quanto non previsto) l'azienda può rivolgersi alle Associazioni
Imprenditoriali che potrebbero avere già attivato corsi specifici per i lavoratori
addetti al pronto soccorso delle aziende loro associate.
Ovviamente tali corsi, a partire dal 3 febbraio 2005 (data di entrata in vigore del
D.M. 388), dovranno essere svolti da personale medico che, per quanto riguarda lo
svolgimento della parte pratica, potrà avvalersi della collaborazione di personale
infermieristico.
Le caratteristiche dei corsi sono riportate negli allegati 3 e 4 del DM 388.
47. Sono il direttore sanitario di una RSA lombarda: posso evitare di
sottoporre il mio personale infermieristico ai corsi di formazione per il primo
soccorso?
Nel corso delle indagini svolte negli anni scorsi nelle Case di Riposo o RSA
(Residenze Sanitarie Assistite), è stato verificato che talvolta la Direzione Sanitaria
di queste strutture considera tutto il personale sanitario già adeguatamente formato
sugli argomenti di primo soccorso e pertanto non ritiene necessario fornire ulteriore
formazione al riguardo.
In realtà, la circolare della Regione Lombardia del 24 mag 04 sul DM 388/03 e
l'analoga circolare del 27 lug 04 indicano che: "Tutte le imprese, senza esclusione
alcuna, sono tenute alla formazione degli addetti al primo soccorso individuati al
proprio interno... Nel caso particolare delle strutture sanitarie si ritiene che il
personale sanitario facente parte del sistema di emergenza possa essere esonerato,
qualora sia designato quale addetto al pronto soccorso, esclusivamente dalla
formazione relativa alla gestione dell'emergenza sanitaria e all'attuazione delle
misure di pronto soccorso, ma non dalla parte di formazione relativa
all'allertamento del sistema di pronto soccorso."
Ne consegue, a nostro giudizio, che:
- Il personale sanitario delle RSA che opera direttamente sul paziente con
interventi clinico-terapeutici (medici ed infermieri professionali), nominato
quale addetto al primo soccorso, possa ritenersi adeguatamente preparato
all'emergenza sanitaria in quanto, per gli studi compiuti, ha già avuto una
preparazione di base. Si tratterà semplicemente di approfondire le procedure
di allertamento del sistema di pronto soccorso;
- Il personale sanitario delle RSA che effettua solamente interventi di tipo
assistenziale nei confronti del paziente (ASA e OSA), nominato come addetto
al primo soccorso, deve invece essere adeguatamente formato allo specifico
112
ruolo con corso di formazione specifico di 12 ore (come previsto dall'art. 3 del
DM 388/03 per le aziende dei gruppi B e C).
48. In azienda ho nominato come addetto al Primo Soccorso Aziendale un
lavoratore dipendente che è anche volontario del 118: devo comunque
procedere alla sua formazione come previsto dal decreto?
Il documento del Coordinamento Tecnico Interregionale della Prevenzione nei
Luoghi di Lavoro denominato "Primi Indirizzi applicativi del D.M. 388/2003"
chiarisce che "non sono tenuti a svolgere la formazione tutte quelle aziende od unità
produttive che indicano come addetto al servizio di pronto soccorso un medico o un
infermiere professionale" Quindi formalmente solo i medici e gli IP, nominati come
addetti al PS aziendale, sono esonerati dall'effettuazione di un corso specifico. Nel
concreto riteniamo che un'azienda possa fare a meno del corso nei confronti del
proprio addetto che è già volontario presso strutture territoriali di pronto intervento
sanitario (118, Croce Rossa, Croce Bianca, et cetera) solamente se è in grado di
dimostrare che il lavoratore ricopre presso la struttura territoriale di pronto
intervento sanitario un ruolo attivo nel prestare i primi soccorsi. Ovvero possiede la
qualifica di "soccorritore" o di "istruttore", ed ha ottenuto la certificazione di
qualificazione rilasciata da una Azienda Sanitaria abilitata.
In questo caso si tratterà semplicemente di fornire al lavoratore le procedure di
allertamento del sistema aziendale di pronto soccorso, e di verificare che la
formazione venga ripetuta almeno ogni triennio.
49. Un'impresa rientrante nel gruppo A, per un malinteso tra medico
competente e consulente del lavoro, ha omesso di presentare la
comunicazione per il pronto soccorso. Chiede se la svista è sanzionata.
No, la mancata comunicazione non è sanzionata.
Quindi, dando per scontato che il primo soccorso aziendale sia stato correttamente
organizzato, la comunicazione può essere effettuata anche in ritardo (in presenza di
un malinteso) o comunque quando si avverano le condizioni per l'appartenenza al
gruppo A.
50. L'ente per cui lavoro ha la necessità di organizzare alcuni corsi di
"aggiornamento per quanto attiene alla capacità di intervento pratico" per gli
addetti al pronto soccorso aziendale che hanno seguito il corso tre anni fa.
L'art. 3, comma 5, del D.M. 388/2003 non specifica però la durata che deve
avere questo "corso di aggiornamento". Mi chiedevo se la durata fosse in
qualche modo legata al numero di addetti dell'impresa e quindi potesse variare
dalle 4 alle 6 ore di formazione. Ringrazio per le delucidazioni e saluto
cordialmente.
La parte "pratica" occupa la terza giornata (modulo C) dei corsi di formazione
descritti negli allegati 3 e 4 del DM 388. Perciò parliamo di 6 ore per il gruppo A e di
4 ore per i gruppi B e C. Tenga presente che il Decreto richiede l'aggiornamento
triennale almeno per la parte pratica: significa che non è obbligatorio ripetere
l'intero corso.
51. Un'azienda mi chiede se sia consono procedere alla chiusura della cassetta
di pronto soccorso aziendale mediante apposita chiavetta a disposizione dei
soli addetti al primo soccorso, onde garantire la custodia della stessa e la
conservazione/reintegrazione del contenuto della medesima. A mio giudizio
questa prassi risulta oltremodo corretta e opportuna in quanto la cassetta di
pronto soccorso non è un presidio messo a disposizione di tutti i lavoratori,
bensì degli addetti al primo soccorso che dovrebbero garantire l'attuazione, in
113
caso di qualsiasi incidente, di precisi protocolli di intervento, conformemente
alle procedure aziendali (si veda il combinato disposto del comma 2 e 1 art. 15
D. Lgs. 626/1994). Qual'è la vostra opinione al riguardo?
Concordiamo perfettamente con questa impostazione.
Sempre che, ovviamente ma vale comunque la pena ribadirlo, in azienda ci sia un
numero "adeguato" di addetti in maniera da coprire, comunque e sempre, tutti i
turni di lavoro.
Le alternative d'altronde potrebbero essere:
- cassetta senza chiave con possibile rischio di "saccheggio" del contenuto;
- cassetta chiusa a chiave con quest'ultima collocata in un luogo noto a
disposizione di chiunque la richieda.
In entrambe queste alternative si rischia però che il singolo lavoratore si
automedichi senza avere adeguate conoscenze in materia e senza seguire le
procedure aziendali per l'intervento di primo soccorso.
Sezione I
Prevenzione incendi
1. La nomina degli addetti all’attuazione delle misure di prevenzione incendi
può avvenire in un momento successivo all’avvio dell’attività, ovvero quando,
nel caso concreto, si presentino rischi per la sicurezza?
La legge è chiara in proposito. A norma dell’art. 18, comma 1, let. b) del D.Lgs
81/08, il datore di lavoro deve designare preventivamente i lavoratori incaricati
dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di
evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato e si
salvataggio.
2. Che tipo di formazione devono possedere i soggetti incaricati della
prevenzione incendi?
I soggetti incaricati all’attuazione delle misure di prevenzione incendi dovranno
possedere una qualificazione specificamente tecnica (salvataggio, lotta antincendio,
attivazione di dispositivi di sicurezza), ma anche essere dotati di particolari requisiti
personali, sia in termini di capacità di prendere decisioni rapide e razionali in
situazioni di emergenza, che nella direzione di fornire un supporto psicologico
rassicurativo onde evitare o contenere eventuali situazioni di panico. Mentre sulle
competenze tecniche una adeguata formazione può essere considerata strumento
necessario e sufficiente, per quanto attiene al secondo blocco di requisiti è
necessario prevedere in partenza particolari doti caratteriali e personali sulle quali
potranno utilmente innestarsi gli interventi di natura formativa, ovvero:
- conoscenza dei principi della lotta antincendio
- conoscenza di situazioni che possono dar luogo a stati di emergenza
(sversamenti, rilasci di sostanze nocive, ecc.)
- conoscenza degli specifici compiti assegnati nell’ambito del piano di
emergenza
- conoscenza dei percorsi e dei siti strategici della procedura di evacuazione
- conoscenza della dislocazione e del funzionamento dei dispositivi di
sicurezza, dei dispositivi di protezione individuale e dei presidi antincendio e
dei sistemi di abbattimento e contenimento
- conoscenza di siti critici dell’azienda in relazione a situazioni di emergenza
(depositi di materiale infiammabile, tossico, nocivo, etc.)
114
capacità di individuare l’entità dell’evento e le sue possibili conoscenze, in
relazione alla necessità o meno di attivare interventi esterni (VVFF, Agenzie
regionali per l'ambiente, etc:)
- capacità di prevenire o almeno contenere eventuali situazioni di panico
tramite opportuno supporto psicologico-rassicurativo.
Le caratteristiche di scolarità di questi soggetti possono essere di varia natura,
mentre sarà verosimile prevedere che essi saranno scelti tra personale collocato
precedentemente in posizioni lavorative intermedie (capireparto, capiturno, etc.) Ciò
appare opportuno sia per il grado di conoscenza dell’azienda che queste figure
hanno e che è particolarmente utile in situazioni di emergenza, sia per il ruolo
gerarchico da essi svolto ordinariamente, che può essere prezioso al momento in cui
sia necessario attivare una procedura che dovrà essere eseguita fedelmente.
-
3. Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti
antincendio in attività a rischio di incendio basso? Quanto deve durare la
formazione?
Il DM 10/03/98 introduce (All. IX) i "Contenuti minimi dei corsi di formazione per
addetti alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze, in
relazione al livello di rischio dell'attività", individuando in modo preciso e dettagliato
i contenuti del corso, la cui durata è di 4 ore:
L'INCENDIO E LA PREVENZIONE (1 ora):
- principi della combustione;
- prodotti della combustione;
- sostanze estinguenti in relazione al tipo di incendio;
- effetti dell'incendio sull'uomo;
- divieti e limitazioni d'esercizio;
- misure comportamentali.
PROTEZIONE ANTINCENDIO E PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO DI
INCENDIO (1 ora):
- principali misure di protezione antincendio;
- evacuazione in caso di incendio;
- chiamata dei soccorsi.
ESERCITAZIONI PRATICHE (2 ore):
- Presa visione e chiarimento sugli estintori portatili;
- Istruzioni sull'uso degli estintori portatili effettuata o avvalendosi di sussidi
audiovisivi o tramite dimostrazione pratica.
4. Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti
antincendio in attività a rischio di incendio medio? Quanto deve durare la
formazione?
Il DM 10/03/98 introduce (All. IX) i "Contenuti minimi dei corsi di formazione per
addetti alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze, in
relazione al livello di rischio dell'attività", individuando in modo preciso e dettagliato
i contenuti del corso, la cui durata è di 8 ore:
L'INCENDIO E LA PREVENZIONE INCENDI (2 ore):
- Principi sulla combustione e l'incendio;
- le sostanze estinguenti;
- triangolo della combustione;
- le principali cause di un incendio;
- rischi alle persone in caso di incendio;
- principali accorgimenti e misure per prevenire gli incendi.
115
PROTEZIONE ANTINCENDIO E PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO DI
INCENDIO (3 ore):
- Le principali misure di protezione contro gli incendi;
- vie di esodo;
- procedure da adottare quando si scopre un incendio o in caso di allarme;
- procedure per l'evacuazione;
- rapporti con i vigili del fuoco;
- attrezzature ed impianti di estinzione;
- sistemi di allarme;
- segnaletica di sicurezza;
- impianti elettrici di sicurezza;
- illuminazione di sicurezza;
- illuminazione di emergenza.
ESERCITAZIONI PRATICHE (3 ore):
- Presa visione e chiarimento sui mezzi di estinzione più diffusi;
- Presa visione e chiarimenti sulle attrezzature di protezione individuale;
- Esercitazioni sull'uso degli estintori portatili e modalità di utilizzo di naspi e
idranti.
5. Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti
antincendio in attività a rischio di incendio elevato? Quanto deve durare la
formazione?
Il DM 10/03/98 introduce (All. IX) i "Contenuti minimi dei corsi di formazione per
addetti alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze, in
relazione al livello di rischio dell'attività", individuando in modo preciso e dettagliato
i contenuti del corso, la cui durata è di 16 ore:
L'INCENDIO E LA PREVENZIONE INCENDI (4 ORE)
- Principi sulla combustione;
- le principali cause di incendio in relazione allo specifico ambiente di lavoro;
- le sostanze estinguenti;
- i rischi alle persone e all'ambiente;
- specifiche misure di prevenzione incendi; accorgimenti comportamentali per
prevenire gli incendi;
- l'importanza del controllo degli ambienti di lavoro;
- l'importanza delle verifiche e delle manutenzioni sui presidi antincendio.
LA PROTEZIONE ANTINCENDIO (4 ore)
- Misure di protezione passiva;
- vie di esodo, compartimentazioni, distanziamenti;
- attrezzature ed impianti di estinzione,
- sistemi di allarme;
- segnaletica di sicurezza;
- impianti elettrici di sicurezza;
- illuminazione di sicurezza.
PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO DI INCENDIO (4 ore)
- Procedure da adottare quando siscopre un incendio;
- procedure da adottare in caso di allarme;
- modalità di evacuazione;
- modalità di chiamata dei servizi di soccorso;
- collaborazione con ivigili del fuoco in caso di intervento;
116
-
esemplificazione di una situazione di emergenza e modalità proceduralioperative.
ESERCITAZIONI PRATICHE (4 ore)
- Presa visione e chiarimenti sulle principali attrezzature e impienti di
spegnimento;
- presa visione sulle attrzzature di protezione individuale (maschere,
autoprotettore, tute, etc.);
- esercitazioni sull'uso delle attrezzature di spegnimento e di protezione
individuale.
6. Cos’è il certificato di prevenzione incendi?
Il certificato di prevenzione incendi attesta il rispetto delle prescrizioni previste dalla
normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza
antincendio nei locali, attività, depositi, impianti ed industrie pericolose,
individuati, in relazione alla detenzione ed all'impiego di prodotti infiammabili,
incendiabili o esplodenti che comportano in caso di incendio gravi pericoli per
l'incolumità della vita e dei beni ed in relazione alle esigenze tecniche di sicurezza,
con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare a norma dell'articolo 17,
comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'interno,
sentito il Comitato centrale tecnico-scientifico per la prevenzione incendi. Con lo
stesso decreto è fissato il periodo di validità del certificato per le attività ivi
individuate.
7. Da chi è rilasciato il certificato?
Il certificato di prevenzione incendi è rilasciato dal competente Comando provinciale
dei vigili del fuoco, su istanza dei soggetti responsabili delle attività interessate, a
conclusione di un procedimento che comprende il preventivo esame ed il parere di
conformità sui progetti, finalizzati all'accertamento della rispondenza dei progetti
stessi alla normativa di prevenzione incendi, e l'effettuazione di visite tecniche,
finalizzate a valutare direttamente i fattori di rischio ed a verificare la rispondenza
delle attività alla normativa di prevenzione incendi e l'attuazione delle prescrizioni e
degli obblighi a carico dei soggetti responsabili delle attività medesime. Resta fermo
quanto previsto dalle prescrizioni in materia di prevenzione incendi a carico dei
soggetti responsabili delle attività ed a carico dei soggetti responsabili dei progetti e
della documentazione tecnica richiesta. In relazione ad insediamenti industriali ed
attività di tipo complesso, il Comando provinciale dei vigili del fuoco può acquisire,
ai fini del parere di conformità sui progetti, le valutazioni del Comitato tecnico
regionale per la prevenzione incendi, avvalersi, per le visite tecniche, di esperti in
materia designati dal Comitato stesso, nonchè richiedere il parere del Comitato
centrale tecnico scientifico. Ai fini del rilascio del certificato di prevenzione incendi,
il Comando provinciale dei vigili del fuoco, oltre ad eseguire direttamente
accertamenti e valutazioni, acquisisce dai soggetti responsabili le certificazioni e le
dichiarazioni attestanti la conformità delle attività alla normativa di prevenzione
incendi, rilasciate da enti, laboratori o professionisti, iscritti in albi professionali,
autorizzati ed iscritti, a domanda, in appositi elenchi del Ministero dell'interno. Il
rilascio delle autorizzazioni e l'iscrizione nei predetti elenchi sono subordinati al
possesso dei requisiti stabiliti con decreto del Ministro dell'interno.
Qualora l'esito del procedimento rilevi la mancanza dei requisiti previsti dalle norme
tecniche di prevenzione incendi, il Comando provinciale non provvede al rilascio del
certificato, dandone comunicazione all'interessato, al sindaco, al prefetto e alle altre
autorità competenti ai fini dei provvedimenti da adottare nei rispettivi ambiti. Le
determinazioni assunte dal Comando provinciale sono atti definitivi.
Indipendentemente dal periodo di validità del certificato di prevenzione incendi,
117
l'obbligo di richiedere un nuovo certificato ricorre quando vi sono modifiche di
lavorazione o di strutture, nei casi di nuova destinazione dei locali o di variazioni
qualitative e quantitative delle sostanze pericolose esistenti negli stabilimenti o
depositi e ogni qualvolta sopraggiunga una modifica delle condizioni di sicurezza
precedentemente accertate.
8. In un condominio di 6 famiglie divise su 3 piani quanti estintori bisogna
avere?
Il D.M. 16 maggio 1987, n. 246 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.148 del 27
giugno1987) recante "Norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile
abitazione " non prescrive, come misura obbligatoria, la presenza di estintori presso
i suddetti fabbricati. Tuttavia è facoltà dei singoli condomini tenere a disposizione
presso le singole unità immobiliari o negli spazi comuni, mezzi di estinzione anche
non espressamente previsti dalle norme vigenti.
9. Il D.M. 10 marzo 1998 si applica su tutti i luoghi di lavoro?
Il D.M. 10 marzo 1998 si applica alle attività che si svolgono nei luoghi di lavoro.
10. Quali normative bisogna rispettare per un impianto promiscuo a gas e
gasolio?
Per l'installazione di che trattasi può farsi riferimento alle prescrizioni più restrittive
dettate al D.M. 12 aprile 1996 (S.O.G.U. n° 103 del 4 maggio 1996) per gli impianti
termici a gas, e dalla circolare del Ministero dell'Interno 29 luglio 1971, n° 73, per
gli impianti termici alimentati a combustibile liquido. In particolare il Comitato
Centrale Tecnico Scientifico per la prevenzione incendi nell'esaminare un quesito
analogo, ha ritenuto ammissibile l'installazione in un'unica centrale termica di
bruciatori funzionante con alimentazione mista gasolio - G.P.L.. purchè:
- la centrale termica abbia accesso dall'esterno;
- venga realizzato all'esterno del locale un contenimento con soglia rialzata di
altezza non inferiore a 20cm ad almeno 60cm dall'apertura di ventilazione;
- venga installato un rilevatore di G.P.L. a pavimento collegato ad un allarme e ad
una elettrovalvola per l'intercettazione del gas all'esterno del locale.
11. Vorrei sapere se i moduli per le certificazioni e dichiarazioni sono
obbligatorie per i professionisti.
I moduli per le dichiarazioni e le certificazioni da allegare alla domanda di
sopralluogo ai fini del rilascio del Certificato di prevenzione incendi, sono stati
predisposti dalla Direzione Generale della Protezione Civile e di Servizi Antincendi
del Ministero dell'Interno, in collaborazione con i Consigli e i Collegi professionali, in
linea con le indicazioni del D.M. 4 maggio 1998. Ciò premesso, pur non adottando
con un atto ufficiale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, se ne raccomanda la stretta
osservazione al fine di garantire la necessaria uniformità e facilitare la fase di
controllo da parte dei Comandi dei Vigili del Fuoco.
12. Posso, in qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione
di una scuola, tenere corsi per addetti antincendio per rischio medio ai
lavoratori e rilasciare certificato controfirmato dal datore di lavoro? Oppure
solo i Vigili del fuoco possono tenere questi corsi?Mi è stato riferito che posso
tenere questi corsi tranne nel caso di rischio elevato.
I corsi di formazione nella materia della prevenzione incendi possono essere
svolti sia dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sia da enti pubblici e privati.
Peraltro solo il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è competente per il rilascio
dell’attestato di idoneità ai lavoratori designati dai datori di lavoro previo
118
superamento di una prova tecnica. Secondo quanto dispone l’articolo 17,
comma 4 del Dlgs 8 marzo 2006, n. 139 le attività per le quali sussiste la
competenza esclusiva del Corpo nazionale dei vigili del fuoco in merito alla
formazione e all’addestramento del personale addetto alla prevenzione,
all’intervento antincendio e alla gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro,
sono in particolare quelle a rischio di incendio elevato, soggette al rilascio del
certificato di prevenzione incendi (locali, attività, depositi, impianti e
industrie pericolose, individuati sia in relazione alla detenzione e all’impiego
di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti che comportano, in caso di
incendio, gravi pericoli per l’incolumità della vita e dei beni, sia in relazione
alle esigenze tecniche di sicurezza).
13. In riferimento agli adempimenti di prevenzione degli incendi, in attività
produttiva, non trovo notizie complete ed esaustive riguardo la corretta e
completa compilazione del registro di prevenzione incendi.
Il registro dell'antincendio è uno strumento atto a fornire un quadro d'insieme
sintetico sulle attività svolte dal titolare dell'azienda (Enti e privati) in merito alla
"gestione della sicurezza antincendi". Il registro, obbligatorio dal 10 maggio 1998,
deve essere mantenuto costantemente aggiornato e disponibile per i controlli dei
Comandi provinciali dei Vigili del fuoco. La normativa vigente e la "prassi
amministrativa" non richiamano modalità per la "corretta" compilazione del
"registro".
14. Vorremmo sapere se è obbligatoria, per un locale di spettacolo con piu` di
100 posti, la presenza dei Vigili del fuoco nelle serate di spettacolo.
Considerato il fatto che si tratta di teatro con squadra interna addestrata e
formata dal comando Vigili locale e con attestato di idoneita` conseguito e
rilasciato dallo stesso comando.
In assenza di indicazioni specifiche del Dm 19 agosto 1996 riteniamo che
debbano valere le direttive della circolare del ministero dell'Interno 27 del 7
ottobre 1991. Secondo tali direttive, la vigilanza deve essere effettuata, fra
l'altro, nei teatri con capacità superiore ai 500 posti e nei teatri di posa (per
riprese cinematografiche e televisive) con capacità superiore a 100 posti.
15. Ho incaricato una ditta specializzata che, periodicamente, provvede alla
manutenzione degli estintori collocati nella mia azienda. Se, da un
controllo, dovesse risultare che gli estintori non sono in regola o se, in
situazione di incendio, un dipendente subisce dei danni a causa di estintori
difettosi, la responsabilita' su chi ricade?
La responsabilita' ricade, in primo luogo, sugli organi della linea
operativa-produttiva aziendale, In secondo luogo, su chiunque renda
inservibili apparecchi o altri mezzi destinati alla estinzione di un
incendio. Così come previsto dall'articolo 451 del Codice penale.
16. Se in un condominio fosse necessario adeguare i locali adibiti a posto
macchina alle norme antincendio, le spese relative spetterebbero a tutti i
condomini, o ricadrebbero interamente sui soli proprietari dei posti
macchina?
Le spese attengono direttamente all'adeguamento di alcuni locali (posti
macchina). Pertanto la spesa stessa si ripartisce a carico dei relativi
proprietari (articolo 1123 terzo comma del Codice civile). Tuttavia la
questione e' controversa. Infatti sotto altro profilo si puo' sostenere la tesi
119
che la spesa in questione si rifletterebbe pur sempre nella sicurezza
dell'edificio in generale, sicchè la spesa stessa sarebbe di competenza di tutti
i condomini. Occorre quindi verificare le circostanze del caso singolo e il tipo
di spesa di cui al quesito.
17. Vorrei sapere quali sono i requisiti per assumere la qualifica di tecnico
certificatore di prevenzione incendi.
Non sono stati 'codificati' i requisiti professionali necessari per la progettazione
e gli adeguamenti degli impianti antincendio. I tecnici (laureati e diplomati)
abilitati all'esercizio della professione possono svolgere questa attivita' nei limiti
delle loro competenze e attribuzioni. Per quanto riguarda l'attivita' professionale di
certificazione in materia di prevenzione incendi, invece, esiste una consistente
normativa che, fra l'altro, prevede l'istituzione di 'elenchi' presso il ministero
dell'Interno, elenchi che vengono periodicamente aggiornati.
18. Avendo un solo dipendente, vorrei sapere quali sono le misure di
prevenzione
incendi.
L'impianto
elettrico
dell'ufficio
(un
normale
appartamento) è stato messo a norma.
L'impianto elettrico, realizzato a regola d'arte (secondo le norme del Comitato
elettrotecnico italiano), deve essere dichiarato dall'impresa installatrice conforme
alle norme di sicurezza (articolo 9, legge 46/90). Ai fini della prevenzione
incendi il piccolo ufficio sarà dotato di: una lampada di illuminazione sussidiaria
alimentata in bassa tensione (con batteria in tampone), installata al di sopra
della porta di uscita, contrassegnata da segnaletica di sicurezza; un estintore
portatile di primo intervento ad anidride carbonica (CO2) da 5 chilogrammi
agganciato a parete, a portata di mano, segnalato da apposito cartello antincendio.
19. Un'azienda artigianale lavora nel settore della carpenteria metallica
leggera. I lavoratori non si assumono le responsabilità di prevenzione ed
evacuazione. Che cosa si deve fare?
Il datore di lavoro designa preventivamente i lavoratori
incaricati
dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di
evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato, di
salvataggio, di pronto soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza. I
lavoratori non possono, se non per giustificato motivo, rifiutare la
designazione. Essi devono essere formati, essere in numero sufficiente
e disporre di attrezzature adeguate, tenendo conto delle dimensioni
ovvero dei rischi specifici dell'azienda ovvero dell'unità produttiva. I
compiti di prevenzione incendi e di evacuazione possono essere svolti
direttamente dal datore di lavoro che assume le funzioni di responsabile del
servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
20. Sono laureato in architettura e ho conseguito l'abilitazione all'esercizio
della professione (1995). Vorrei sapere quali requisiti occorrono per poter
progettare e adeguare gli impianti antincendio degli immobili sia pubblici
che privati.
Non sono stati 'codificati' i requisiti professionali necessari per la
progettazione e gli adeguamenti degli impianti antincendio. I tecnici
(laureati e diplomati) abilitati all'esercizio della professione possono
svolgere queste attivita' nei limiti delle loro competenze e attribuzioni. Per
quanto concerne l'attivita' professionale di certificazione in materia di
prevenzione incendi, invece, esiste una consistente normativa che, tra
l'altro, prevede l'istituzione di 'elenchi' , periodicamente aggiornati, presso
il ministero dell'Interno.
120
121
Capitolo 6
Informazione, formazione e addestramento
122
1. Il D.Lgs 81/08 impone ai datori di lavoro di provvedere a erogare
“informazione” ai propri lavoratori. In cosa consiste l’informazione. Esistono
dei contenuti minimi?
Ai sensi dell'art. 36 del D.Lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 il datore di lavoro, il dirigente
ed il preposto nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze provvedono
affinché ciascun lavoratore riceva un'adeguata informazione su:
a) i rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale;
b) le misure e le attività di protezione e prevenzione adottate;
c) i rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, le normative di
sicurezza e le disposizioni aziendali in materia;
d) i pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle
schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona
tecnica;
e) le procedure che riguardano il pronto soccorso, la lotta antincendio, l'evacuazione
dei lavoratori;
f) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ed il medico competente;
g) i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di emergenza.
2. Sono un datore di lavoro che fruisce dell’attività di lavoratori a domicilio.
Devo assicurare a tali lavoratori una qualche forma di informazione sui
contenuti del D.Lgs 81/08?
I contenuti dell’informazione previsti dall’art. 36 del D.Lgs 81/08 devono essere
forniti anche ai lavoratori a domicilio o con contratto di portierato di diritto privato.
I soggetti suddetti, inoltre, adottano le misure appropriate affinché soltanto i
lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li
espongono ad un rischio grave e specifico e informano il più presto possibile i
lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e
le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione.
3. In cosa consiste, concretamente, l’attività di informazione?
A tal proposito va rilevato che quando la legge stabilisce l'obbligo di informare circa
i rischi specifici non vuole significare che il destinatario della norma debba, di volta
in volta, spiegare al lavoratore il modo di comportarsi in qualsiasi operazione
elementare propria della sua attività e al suo livello professionale ma, piuttosto,
intende imporre il dovere di avvertire, in via preliminare, e una volta per sempre,
quali rischi specifici caratterizzano l'attività lavorativa che si va ad intraprendere;
ciò, peraltro, risulta evidente dalla esemplificazione dei mezzi e delle modalità
tramite le quali i lavoratori debbono (o possono) essere informati14.
Dal canto loro, i lavoratori sono tenuti all'osservanza delle disposizioni e delle
istruzioni impartite loro dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della
protezione collettiva ed individuale (art. 20, D.Lgs. n. 81/2008).
Peraltro, appare opportuno segnalare che obblighi di informazione già erano previsti
dalle normative degli anni cinquanta secondo le quali i datori di lavoro i dirigenti e i
preposti nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze devono rendere edotti
i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza le norme
essenziali di prevenzione mediante affissione, negli ambienti di lavoro, di estratti
delle norme o, nei casi in cui non sia possibile l'affissione, con altri mezzi 15.
14
Cass., sez. pen., 23 marzo 1994, n. 3483
così l'art. 4, lett. b) del D.P.R. n. 547 del 1955; cfr. anche l'art. 49 dello stesso D.P.R., l'art. 4, lett. a) del
D.P.R n. 303 del 1956 che non riproduce peraltro l'obbligo di affissione e l'art. 4, lett. a) del D.P.R. n. 128
del 1959
15
123
Lo stesso Ministero del Lavoro ha ritenuto opportuno intervenire in materia
precisando che:
 con riferimento agli obblighi di informazione e formazione dei lavoratori, le
relative attività devono incentrarsi proprio sugli esiti complessivi della
valutazione dei rischi e sulle conseguenti misure di protezione adottate
(Ministero del lavoro circolare 7 agosto 1995, n. 102);
 appare fondamentale l'esigenza di fornire una tempestiva informazione ai
lavoratori circa gli aspetti relativi alla consultazione e partecipazione dei
lavoratori in rapporto alla necessità di consentire agli stessi l'adozione delle
determinazioni di propria competenza (Ministero del lavoro circolare 7 agosto
1995, n. 102);
 ai fini dell'assolvimento degli obblighi di informazione e formazione nei
confronti dei lavoratori con rapporto contrattuale privato di portierato, il
datore di lavoro nei condomini va individuato nella persona
dell'amministratore condominiale pro_tempore (Ministero lavoro circolare 5
marzo 1997, n. 28).
4. Da chi deve essere erogata l’informazione? Dal datore di lavoro o dal
responsabile del servizio di prevenzione e protezione?
Pur essendo obbligo proprio del datore di lavoro, dirigente e preposto, nell'ambito
delle rispettive attribuzioni e competenze, le informazioni sono fornite _ se presente _
dal servizio di prevenzione e protezione che ha, tra l'altro, il compito di proporre i
programmi di informazione e formazione dei lavoratori (art. 33 del D.Lgs. n. 81 del
2008).
5. L’obbligo di informazione dei lavoratori grava anche sul medico
competente?
Si. Il medico competente, infatti:
 fornisce informazioni ai lavoratori sul significato degli accertamenti sanitari
cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo
termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la
cessazione dell'attività che comporta l'esposizione a tali agenti. Fornisce
altresì, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti dei lavoratori per
la sicurezza;
 informa ogni lavoratore interessato dei risultati degli accertamenti sanitari e,
a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria;
 collabora all'attività di formazione e informazione.
6. Esistono delle modalità specifiche per l’erogazione dell’informazione?
E' buona regola di esperienza quella di fornire le informazioni ai lavoratori in forma
semplice ed immediata, nella lingua loro facilmente comprensibile e facendo
preferibilmente uso anche di immagini e figure, specie con riferimento ai lavoratori
di bassa scolarizzazione. Spesso si fa luogo alla consegna di brevi opuscoli illustrati
controfirmati per ricevuta dai lavoratori o, in azienda dove ciò è possibile, in film su
schermi del circuito televisivo chiuso aziendali, in locali dove i lavoratori sono soliti
sostare (es. in sala mensa). Tuttavia secondo la giurisprudenza la mera consegna di
opuscoli non basta, ma deve essere accompagnata ad un'opera di sensibilizzazione
ed ausilio sulla loro effettiva lettura e comprensione (cfr. Cass. sez. pen. 3 giugno
1995, n. 6486).
7. Sono un datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di responsabile
del servizio di prevenzione e protezione. Quali sono i contenuti della
124
formazione che devo ricevere? Quale norma lo prevede? Qual è la durata dei
corsi?
I corsi di formazione, secondo l’Accordo Stato Regioni del 21 dicembre 2011, devono
prevedere, quale contenuto minimo, i seguenti moduli:
MODULO 1. NORMATIVO – giuridico
il sistema legislativo in materia di sicurezza dei lavoratori;
la responsabilità civile e penale e la tutela assicurativa;
la “responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle
associazioni, anche prive di responsabilità giuridica” ex D.Lgs. n. 231/2001,
e s.m.i. ;
il sistema istituzionale della prevenzione;
i soggetti del sistema di prevenzione aziendale secondo il D.Lgs. 81/08: compiti,
obblighi, responsabilità;
sistema di qualificazione delle imprese.
MODULO 2. GESTIONALE - gestione ed organizzazione della sicurezza
I criteri e gli strumenti per l’individuazione e la valutazione dei rischi;
la considerazione degli infortuni mancati e delle modalità di accadimento degli
stessi;
la considerazione delle risultanze delle attività di partecipazione dei lavoratori;
il documento di valutazione dei rischi (contenuti specificità e metodologie);
modelli di organizzazione e gestione della sicurezza;
gli obblighi connessi ai contratti di appalto o d’opera o di somministrazione;
il documento unico di valutazione dei rischi da interferenza;
la gestione della documentazione tecnico amministrativa;
l’organizzazione della prevenzione incendi, del primo soccorso e della gestione
delle emergenze;
MODULO 3. TECNICO - individuazione e valutazione dei rischi
i principali fattori di rischio e le relative misure tecniche, organizzative e
procedurali di prevenzione e protezione;
il rischio da stress lavoro-correlato;
rischi ricollegabili al genere, all'età e alla provenienza da altri paesi;
i dispositivi di protezione individuale;
la sorveglianza sanitaria;
MODULO 4. RELAZIONALE – formazione e consultazione dei lavoratori
l’informazione, la formazione e l’addestramento;
le tecniche di comunicazione;
il sistema delle relazioni aziendali e della comunicazione in azienda;
la consultazione e la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori per la
sicurezza:
natura, funzioni e modalità di nomina o di elezione dei rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza.
Aggiornamento
L’aggiornamento che ha periodicità quinquennale (cinque anni a decorrere dalla
data di pubblicazione dell’ Accordo – 11 gennaio 2012), ha durata, modulata in
relazione ai tre livelli di rischio sopra individuati, come segue:
BASSO
6 ore
MEDIO
10 ore
ALTO
14 ore
125
L’obbligo di aggiornamento va preferibilmente distribuito nell’arco temporale di
riferimento e si applica anche a coloro che abbiano frequentato i corsi di cui
all’articolo 3 del decreto ministeriale 16 gennaio 1997 (di seguito D.M. 16/01/1997)
e agli esonerati dalla frequenza dei corsi, ai sensi dell’articolo 95 del D.Lgs. 19
settembre 1994, n. 626. Per gli esonerati appena richiamati il primo termine
dell’aggiornamento è individuato in 24 mesi dalla data di pubblicazione dell’Accordo
e si intende assolto con la partecipazione ad iniziative specifiche aventi ad oggetto i
medesimi contenuti previsti per la formazione del DL SPP. Nei corsi di
aggiornamento quinquennale non dovranno essere meramente riprodotti argomenti
e contenuti già proposti nei corsi base, ma si dovranno trattare significative
evoluzioni e innovazioni, applicazioni pratiche e/o approfondimenti nei seguenti
ambiti:
- approfondimenti tecnico-organizzativi e giuridico-normativi;
- sistemi di gestione e processi organizzativi;
- fonti di rischio, compresi i rischi di tipo ergonomico;
- tecniche di comunicazione, volte all’informazione e formazione dei lavoratori
in tema di promozione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Al fine di rendere dinamica e adeguata all’evoluzione dell’esperienza e della tecnica
l’offerta formativa dell’aggiornamento sono riportate di seguito alcune proposte per
garantire qualità ed effettività delle attività svolte:
- utilizzo della modalità di apprendimento e-Learning;
- possibilità da parte delle Regioni e Province Autonome di riconoscere singoli
percorsi formativi d’aggiornamento, connotati da un alto grado di
specializzazione tecnica ed organizzati da soggetti diversi da quelli previsti
dall’Accordo.
Adempimento degli obblighi formativi in caso di esercizio di nuova attivita’
In caso di inizio di nuova attività il datore di lavoro che intende svolgere, nei casi
previsti dal decreto stesso, i compiti del servizio di prevenzione e protezione dai
rischi deve completare il percorso formativo di cui al presente accordo entro e non
oltre novanta giorni dalla data di inizio della propria attività.
Disposizioni transitorie
In fase di prima applicazione, non sono tenuti a frequentare i corsi di formazione di
cui sopra i datori di lavoro che abbiano frequentato – entro e non oltre sei mesi
dalla entrata in vigore dell’accordo– corsi di formazione formalmente e
documentalmente approvati alla data del 12 gennaio 2012, rispettosi delle
previsioni di cui all’articolo 3 del D.M. 16/01/97 per quanto riguarda durata e
contenuti.
8. Oltre all’informazione il datore di lavoro deve provvedere anche a formare i
propri dipendenti? Qual’è la norma che lo prevede?
Ai sensi dell'art. 37 del D.Lgs. n. 81 del 2008 "il datore di lavoro o il dirigente
assicura che ciascun lavoratore, ivi compresi i lavoratori a domicilio e quelli con
contratto di portierato di diritto privato del D.Lgs. medesimo "riceva una formazione
sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento
al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni".
Il datore di lavoro, in ogni caso, non deve limitare l'obbligo di formazione ai rischi
specifici disinteressandosi dell'ordinario svolgimento del lavoro e dei rischi comuni
sul presupposto di una loro evidenza che li rende percepibili direttamente dal
lavoratore"16.
16
Cass. pen. 6 febbraio 2004, n. 4870
126
La Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni, dopo un complesso e
articolato iter, ha approvato il 21 dicembre 2011 gli Accordi sulla formazione dei
datori che svolgono direttamente le funzioni di Spp, dei lavoratori, preposti e
dirigenti, dando così attuazione a quanto previsto, rispettivamente, dagli artt. 34 e
37 del D.Lgs 81/08 (c.d. Testo Unico sulla sicurezza). Gli Accordi, pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale n. 8 del 11 gennaio 2012, regolamentano contenuti, durata e
modalità dei percorsi formativi e dell’aggiornamento, diversamente articolati in base
al tre specifiche condizioni di rischio (basso – medio – alto). L’accordo che disciplina
la formazione per i lavoratori chiarisce la netta distinzione tra formazione e
informazione e prevede un percorso formativo che si snoda in due momenti, uno di
base (formazione generale) identico per tutti e l’altro più specifico per le differenti
attività produttive individuate secondo la classificazione ATECO. Vengono poi
previste le modalità per l’utilizzo di metodi di formazione e-learning, precisando i
casi per le quali è possibile fare ricorso alla stessa e specificando le condizioni da
rispettare e riportate in un apposito allegato.
9. Quando deve avvenire la formazione dei lavoratori?
La formazione deve avvenire in occasione:
a) dell'assunzione;
b) del trasferimento o cambiamento di mansioni;
c) dell'introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove
sostanze e preparati pericolosi.
La formazione deve essere periodicamente ripetuta in relazione all'evoluzione dei
rischi ovvero all'insorgenza di nuovi rischi.
10. Quali sono i contenuti della formazione dei lavoratori? Qual è la durata dei
corsi?
La formazione dei lavoratori deve essere articolata in due moduli.
A. Formazione Generale
La durata del modulo generale non deve essere inferiore alle 4 ore, e deve essere
dedicata alla presentazione dei concetti generali in tema di prevenzione e sicurezza
sul lavoro.
Contenuti:
 concetti di rischio,
 danno,
 prevenzione,
 protezione,
 organizzazione della prevenzione aziendale,
 diritti, doveri e sanzioni per i vari soggetti aziendali,
 organi di vigilanza, controllo e assistenza.
Durata Minima:

4 ore per tutti i settori.
B. Formazione Specifica
La formazione deve avere durata minima di 4, 8 o 12 ore, in funzione dei rischi
riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di
prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza
dell'azienda. Tali aspetti e i rischi specifici di cui ai Titoli del D.Lgs. n. 81/08
127
successivi al I costituiscono oggetto della formazione. Infine, tale formazione è
soggetta alle ripetizioni periodiche previste al comma 6 dell’articolo 37 del D.Lgs. n.
81/08, con riferimento ai rischi individuati ai sensi dell’ articolo 28.
Contenuti:













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







Rischi infortuni,
Meccanici generali,
Elettrici generali,
Macchine,
Attrezzature,
Cadute dall’alto,
Rischi da esplosione,
Rischi chimici,
Nebbie - Oli - Fumi - Vapori – Polveri,
Etichettatura,
Rischi cancerogeni,
Rischi biologici,
Rischi fisici,
Rumore,
Vibrazione,
Radiazioni,
Microclima e illuminazione,
Videoterminali,
DPI Organizzazione del lavoro,
Ambienti di lavoro,
Stress lavoro-correlato,
Movimentazione manuale carichi,
Movimentazione merci (apparecchi di sollevamento, mezzi trasporto),
Segnaletica,
Emergenze,
Le procedure di sicurezza con riferimento al profilo di rischio specifico,
Procedure esodo e incendi,
Procedure organizzative per il primo soccorso,
Incidenti e infortuni mancati,
Altri Rischi.
La durata minima della formazione specifiche dei lavoratori è determinata come
segue:
 4 ore per i settori della classe di rischio basso;
 8 ore per i settori della classe di rischio medio;
 12 ore per i settori della classe di rischio alto.
11. Anche il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto alla
formazione? Quali sono i contenuti ?
Il rappresentante per la sicurezza ha diritto ad una formazione adeguata e
comunque ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza,
concernente la normativa in materia di sicurezza e salute e i rischi specifici esistenti
nel proprio ambito di rappresentanza, tale da assicurargli adeguate nozioni sulle
principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi.
128
Le modalità, durata e contenutispecifici della formazione del rls sono stabiliti in
sede di contrattazione collettiva nazionale, nel rispetto dei seguenti contenuti
minimi:
a) principi giuridici comunitari e nazionali;
b) la legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
c) i principali soggetti coinvolti ed i relativi obblighi;
d) la definizione e l'individuazione dei fattori di rischio;
e) la valutazione dei rischi;
f) l'individuazione delle misure (tecniche, organizzative, procedurali) di prevenzione
e protezione;
g) aspetti normativi dell'attività di rappresentanza dei lavoratori;
h) nozioni di tecnica della comunicazione.
La durata dei corsi per i rappresentanti dei lavoratori è di trentadue ore, di cui 12
sui rischi specifici dell’azienda e misure di prevenzione e protezione.
12. Sono un addetto alla gestione delle emergenze in una media impresa. Ho
diritto alla formazione e quale norma lo prevede?
Ai sensi del quinto comma dell'art. 37 del D.Lgs. n. 81 del 2008 i lavoratori
incaricati dell'attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei
lavoratori in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di pronto soccorso
e, comunque, di gestione dell'emergenza devono essere adeguatamente formati.
13. A seguito dell’attività di formazione è necessario fornire una specifica
documentazione al lavoratore?
L'attestazione della avvenuta formazione deve essere conservata in azienda a cura
del datore di lavoro. Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle
attività di formazione sono registrate nel libretto formativo del cittadino di cui
all'articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276,
e successive modificazioni se concretamente disponibile. Il contenuto del libretto
formativo del cittadino è considerato dal datore di lavoro ai fini della
programmazione della formazione e di esso gli organi di vigilanza tengono conto ai
fini della verifica degli obblighi di cui al presente decreto.
14. Risponde al vero che i lavoratori devono ricevere informazione e
formazione sulla segnaletica di sicurezza?
Ai sensi del Titolo V del D.Lgs. n. 81/2008 il datore di lavoro provvede affinché:
a) il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sia informato di tutte le misure
adottate e da adottare riguardo alla segnaletica di sicurezza impiegata all'interno
dell'impresa ovvero dell'unità produttiva;
b) i lavoratori siano informati di tutte le misure adottate riguardo alla segnaletica di
sicurezza impiegata all'interno dell'impresa ovvero dell'unità produttiva.
Il datore di lavoro provvede affinché il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
ed i lavoratori ricevano una formazione adeguata, in particolare sotto forma di
istruzioni precise, che deve avere per oggetto specialmente il significato della
segnaletica di sicurezza, soprattutto, quando questa implica l'uso di gesti o di
parole, nonché i comportamenti generici e specifici da seguire.
15. In qualità di datore di lavoro, devo assicurare un’informazione specifica ai
miei dipendenti sulle attrezzature di lavoro presenti in azienda?
Il datore di lavoro provvede affinché per ogni attrezzatura di lavoro a disposizione, i
lavoratori incaricati dispongano di ogni informazione e di ogni istruzione d'uso
necessaria in rapporto alla sicurezza e relativa:
129
a) alle condizioni di impiego delle attrezzature anche sulla base delle conclusioni
eventualmente tratte dalle esperienze acquisite nella fase di utilizzazione delle
attrezzature di lavoro;
b) alle situazioni anormali prevedibili.
Le informazioni e le istruzioni d'uso devono risultare comprensibili ai lavoratori
interessati.
Il datore di lavoro si assicura che:
a) i lavoratori incaricati di usare le attrezzature di lavoro ricevono una formazione
adeguata sull'uso delle attrezzature di lavoro;
b) i lavoratori incaricati dell'uso delle attrezzature che richiedono conoscenze e
responsabilità particolari, ricevono un addestramento adeguato e specifico che li
metta in grado di usare tali attrezzature in modo idoneo e sicuro anche in
relazione ai rischi causati ad altre persone.
I lavoratori si sottopongono ai programmi di formazione o di addestramento
eventualmente organizzati dal datore di lavoro.
Essi lavoratori utilizzano le attrezzature di lavoro messe a loro disposizione
conformemente all'informazione, alla formazione ed all'addestramento ricevuti.
16. Sono un lavoratore di una impresa industriale e, per l’esercizio della mia
attività, utilizzo dispositivi di protezione individuale? Devo ricevere dal
datore di lavoro una formazioni specifica in proposito?
Il datore di lavoro fornisce istruzioni comprensibili per i lavoratori, informa
preliminarmente il lavoratore dei rischi dai quali il DPI lo protegge e rende
disponibile nell'azienda, ovvero unità produttiva, informazioni adeguate su ogni
DPI.
Egli inoltre assicura una formazione adeguata e organizza, se necessario, uno
specifico addestramento circa l'uso corretto e l'utilizzo pratico dei DPI.
In ogni caso l'addestramento è indispensabile:
a) per ogni DPI che appartenga alla terza categoria;
b) per i dispositivi di protezione dell'udito.
I lavoratori utilizzano i DPI messi a loro disposizione conformemente
all'informazione e alla formazione ricevute e all'addestramento eventualmente
organizzato.
17. Quali obblighi formativi gravano sul datore di lavoro in caso di
movimentazione manuale dei carichi?
Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto
riguarda:
a) il peso di un carico;
b) il centro di gravità o il lato più pesante nel caso in cui il contenuto di un
imballaggio abbia una collocazione eccentrica;
c) la movimentazione corretta dei carichi e i rischi che i lavoratori corrono se queste
attività non vengono eseguite in maniera corretta, tenuto conto degli elementi di cui
al relativo allegato.
Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata.
18. In caso di utilizzo dei videoterminali, deve essere fornita adeguata
formazione ai lavoratori?
Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto
riguarda:
a) le misure applicabili al posto di lavoro, in base all'analisi dello stesso;
b) le modalità di svolgimento dell'attività;
c) la protezione degli occhi e della vista.
130
Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata in particolare in
ordine a quanto sopra indicato.
19. Quali sono i contenuti della formazione che devono ricevere i lavoratori
che sono esposti ai rischi da agenti cancerogeni?
Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori, sulla base delle conoscenze disponibili,
informazioni ed istruzioni, in particolare per quanto riguarda:
a) gli agenti cancerogeni o mutageni presenti nei cicli lavorativi, la loro dislocazione,
i rischi per la salute connessi al loro impiego, ivi compresi i rischi supplementari
dovuti al fumare;
b) le precauzioni da prendere per evitare l'esposizione;
c) le misure igieniche da osservare;
d) la necessità di indossare e impiegare indumenti di lavoro e protettivi e dispositivi
individuali di protezione ed il loro corretto impiego;
e) il modo di prevenire il verificarsi di incidenti e le misure da adottare per ridurre al
minimo le conseguenze.
20. In caso di esposizione ad agenti biologici è necessario formare i
lavoratori? Quali sono le caratteristiche della formazione? Su chi grava
l’obbligo formativo, sul datore di lavoro o sul medico competente?
Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori, sulla base delle conoscenze disponibili,
informazioni ed istruzioni, in particolare per quanto riguarda:
a) i rischi per la salute dovuti agli agenti biologici utilizzati;
b) le precauzioni da prendere per evitare l'esposizione;
c) le misure igieniche da osservare;
d) la funzione degli indumenti di lavoro e protettivi e dei dispositivi di protezione
individuale ed il loro corretto impiego;
e) le procedure da seguire per la manipolazione di agenti biologici del gruppo 4;
f) il modo di prevenire il verificarsi di infortuni e le misure da adottare per ridurne al
minimo le conseguenze.
L'informazione e la formazione di cui ai sopra sono fornite prima che i lavoratori
siano adibiti alle attività in questione, e ripetute, con frequenza almeno
quinquennale, e comunque ogni qualvolta si verificano nelle lavorazioni
cambiamenti che influiscono sulla natura e sul grado dei rischi.
Nel luogo di lavoro sono apposti in posizione ben visibile cartelli su cui sono
riportate le procedure da seguire in caso di infortunio od incidente.
21. Lavoro in una ditta che movimenta agenti chimici? Devo ricevere
formazione specifica da parte del datore di lavoro?
I datori di lavoro, i dirigenti ed i preposti informano i lavoratori nonché i loro
rappresentanti dei rischi specifici cui sono esposti e delle misure di prevenzione
adottate; informano altresì i lavoratori sulle misure da osservare nei casi di
emergenza o di guasti; provvedono ad un adeguato addestramento all'uso dei mezzi
individuali di protezione; curano informazione e formazione completa e periodica dei
lavoratori ovvero dei loro rappresentanti su:
1) i rischi connessi con l'esposizione dei lavoratori all'agente e le misure tecniche di
prevenzione;
2) i metodi per la valutazione dei rischi, l'indicazione dei valori limite e, ove fissate,
le misure da prendere o già prese per motivi di urgenza, in caso di loro
superamento, per ovviarvi.
E' inoltre previsto l'accesso dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti ad
un'informazione adeguata, atta a migliorare le loro conoscenze dei pericoli cui sono
esposti.
131
22. In caso di attività che prevedono l’utilizzo o la movimentazione di piombo
metallico e suoi composti ionici, amianto e rumore, sono previsti particolari
obblighi formativi nei confronti dei lavoratori? Quali sono i contenuti della
formazione?
I datori di lavoro, i dirigenti ed i preposti che esercitano o sovrintendono alle varie
attività nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze:
a) informano i lavoratori nonché i loro rappresentanti dei rischi specifici dovuti
all'esposizione all'agente ed alle mansioni dei lavoratori medesimi e delle misure di
prevenzione adottate, anche mediante dettagliate disposizioni e istruzioni lavorative,
volte anche a salvaguardare il controllo strumentale; forniscono ai medesimi
informazioni anonime collettive contenute nei registri di cui all'art. 4, comma 1,
lettera q), e, tramite il medico competente, i risultati anonimi collettivi degli
accertamenti clinici e strumentali effettuati, nonché indicazioni sul significato di
detti risultati; informano altresì i lavoratori sulle misure da osservare nei casi di
emergenza o di guasti (lett. b dell'art. 5, cit.);
b) provvedono ad un adeguato addestramento all'uso dei mezzi individuali di
protezione (lett. d dell'art. 5, cit.).
Con particolare riferimento al rischio derivante dall'esposizione al piombo metallico
o ai suoi composti ionici, inoltre, il D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce l'obbligo per il
datore di lavoro di fornire ai lavoratori, prima che essi vengano adibiti a tali attività,
nonché ai loro rappresentanti, informazioni su:
a) i dati ottenuti attraverso la valutazione del rischio e ulteriori informazioni ogni
qualvolta modifiche importanti sul luogo di lavoro determinino un cambiamento di
tali dati;
b) le informazioni sugli agenti chimici pericolo presenti sul luogo di lavoro, quali
l'identità degli agenti, i rischi per la sicurezza e la salute, i relativi valori limite di
esposizione professionale e altre disposizioni normative relative agli agenti;
c) la formazione ed informazioni su precauzioni ed azioni adeguate da intraprendere
per proteggere loro stessi ed altri lavoratori sul luogo di lavoro;
d) l'accesso ad ogni scheda dei dati di sicurezza messa a disposizione dal fornitore.
L'informazione deve essere ripetuta con periodicità triennale e comunque ogni
qualvolta vi siano delle modifiche nelle lavorazioni che comportino un mutamento
significativo nell'esposizione.
In relazione a tali attività il datore di lavoro inoltre deve informare ogni singolo
lavoratore, tramite il medico competente, dei risultati, delle misurazioni della
piombemia e di altri indicatori biologici che lo riguardano, nonchè
dell'interpretazione data a tali risultati, ed i lavoratori ovvero i loro rappresentanti
dei risultati statistici non nominativi del controllo biologico.
In riferimento alle attività che comportano le condizioni di esposizione di legge, il
datore di lavoro è tenuto a fornire altresì informazioni, per iscritto e con periodicità
annuale, circa:
a) l'esistenza dei valori limite e la necessità del controllo dell'esposizione dei
lavoratori al piombo nell'aria e del controllo biologico;
b) il corretto uso degli indumenti protettivi e dei mezzi individuali di protezione.
Al fine di evidenziare l'obbligo di "fornire informazioni per iscritto", infine, la
Suprema Corte ha precisato che l'informazione dei lavoratori, fuori dalle ipotesi
contemplate dal citato art. 72 octies, può essere orale17.
23. È obbligatoria la partecipazione ai corsi di formazione, ai sensi del Dlgs
81/08, oltre che dal personale dipendente infermieristico, anche dei medici
specialisti ambulatoriali interni (Sumai)?
132
Secondo quanto dispone l’articolo 37 del Dlgs 81/2008, i corsi di formazione in
materia di sicurezza sul lavoro sono previsti indistintamente per tutti i lavoratori
dipendenti, o a questi assimilabili. Con riguardo al caso di specie, – qualora non si
tratti di lavoratori dipendenti – l‘obbligo formativo sussiste solo qualora i medici
specialisti ambulatoriali siano inquadrati con contratto «a progetto» ai sensi
dell’articolo 61 del Dlgs 276/2003, e sempre che la loro attività sia svolta in forma
esclusiva a favore del committente.
24. In riferimento al Dlgs 81 del 9 aprile 2008 in tema di sicurezza sul lavoro,
premesso che sono legale rappresentante di una Sas nonché socio
accomandatario che si occupa di commercio al minuto di articoli di
ferramenta, considerato che attualmente nel negozio ci lavoro solo io, quindi
non ho dipendenti che lavorano con me, chiedo se sono obbligato a svolgere
un qualsivoglia corso previsto dal suddetto Dlgs per non incorrere in sanzioni.
Se sono obbligato, da quando decorre tale obbligo?
Stante l’assenza di lavoratori subordinati (o equiparati), ed essendo unico il socio
accomandatario, questi non acquista, nel caso di specie, la qualifica di datore di
lavoro ai fini della sicurezza, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera b) del Dlgs
81/2008. Ne consegue l’esenzione da qualsivoglia obbligo formativo.
25. L'obbligo di frequenza ai corsi previsti in materia di sicurezza sul lavoro
può essere riconosciuto valido anche se frequentato dal collaboratore familiare
e non dal titolare dell'impresa?
È obbligo del titolare dell’impresa, in quanto datore di lavoro, qualora intenda
svolgere direttamente i compiti propri del responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, di frequentare uno specifico corso di formazione. Si tratta di un obbligo
personale, direttamente correlato alla qualifica prevenzionistica posseduta.
26. In tema di formazione ai neoassunti sulla D.Lgs 81/08, finora l'azienda ha
risolto la formazione con un Cd che veniva fatto visionare al neoassunto, con
emissione di una stampa che attestava l'avvenuto "corso"; sembra che adesso
non sia più sufficiente e quindi potremmo trovarci fuori legge. Vorremmo
sapere se questa autoformazione è ancora valida e, se non lo dovesse essere,
da quando.
Occorre considerare in primo luogo che la formazione per la "sicurezza" ha la
peculiare caratteristica di non configurarsi soltanto quale strumento per elevare la
professionalità dei lavoratori, ma come processo psicologico e culturale volto a
rendere il destinatario (discente) atto a prendersi cura della propria e dell'altrui
salute e sicurezza. Inoltre, tutte le forme "commerciali" (comprese centinaia di
supporti informatici) di prodotto formativo si sono rivelate irrilevanti per tendere o
addirittura raggiungere l'obiettivo teorizzato (e propagandato). Premesso ciò, dalla
domanda posta, fra l'altro non si evincono le forme giuridiche, il settore
merceologico, il tipo dell'azienda interessata, i previsti destinatari della formazione e
le caratteristiche del sistema sicurezza aziendale. In generale, si può dire che ogni
azienda dovrebbe avere un servizio di sicurezza (Spp interno o esterno) in grado,
con l'apporto del suo responsabile (Rspp), di chiarire le specifiche necessità
formative aziendali. In linea con il Dlgs 81/08 si configurano destinatari dell'obbligo
di formazione i seguenti soggetti (con necessità formative evidentemente
diversificate) : tutti i lavoratori; il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; i
lavoratori incaricati dell'attività di primo soccorso, antincendio ed evacuazione; il
datore di lavoro che intenda svolgere direttamente i compiti del servizio di
prevenzione e protezione, nonchè di prevenzione incendi ed evacuazione; il
133
responsabile e gli addetti al servizio di prevenzione e protezione.La formazione deve
avvenire al momento dell'assunzione, del trasferimento o cambiamento di mansioni,
dell'introduzione di nuove attrezzature, tecnologie, sostanze e preparati pericolosi e,
comunque, deve essere periodicamente ripetuta «in relazione all'evoluzione dei
rischi ovvero all'insorgenza di nuovi rischi». Dai dati in possesso emerge che la
"formazione" è stata vissuta dalla aziende italiane più come un obbligo, che come
un'opportunità per rendere tutti i soggetti attori partecipi dell'organizzazione
aziendale della sicurezza. Per quanto concerne società o enti con strutture di
formazione specifiche, ricordiamo che tutte le strutture imprenditoriali da tempo
offrono servizi di supporto e consulenza in materia. Specifici e qualificati sportelli vi
sono presso le singole regioni e presso le Camere di commercio. Per concludere, in
estrema sintesi: la normativa legislativa di riferimento non prevede la formazione
con " Cd"; non è da ritenere valida la didattica basata esclusivamente su supporti
informatici; la formazione con " Cd" può essere, in determinati casi, ritenuta
integrativa di interventi didattici qualificati; chi ha praticato tale metodologia (solo
Cd) deve sottoporsi (o far sottoporre) a idonea e qualificata formazione (lezioni
frontali, attive con esercitazioni e valutazioni intermedia e finale).
27. Sono un architetto e assolvo l'incarico di Rspp esterno da due anni. Devo
frequentare un corso di formazione specifico? In caso negativo, posso
rilasciare attestati di formazione Rspp ad altri soggetti? Il mio collaboratore
diplomato perito meccanico, dotato di attestato di formazione, che svolge
funzione di Rspp esterno in aziende da tre anni, può conferire attestati ad
altri soggetti?
Pur in possesso della laurea in Architettura occorre l'attestato di frequenza ai corsi
di formazione. Solo le strutture didattiche possono rilasciare gli attestati di
formazione per Rspp. Il perito meccanico non può conferire attestati di Rspp o di
addetto ai Spp.
28. L'articolo 34 del decreto legislativo 81/08, prevede che il datore di lavoro
che intende svolgere i compiti del servizio di prevenzione e protezione dai
rischi "deve frequentare apposito corso di formazione in materia di sicurezza e
salute sul luogo di lavoro, promosso anche dalle associazioni dei datori di
lavoro". Poiché questi corsi di formazione risultano organizzati e gestiti da
svariati soggetti senza che l'organo di vigilanza abbia nulla da eccepire,
sembrerebbe che l'inciso "promosso anche dalle associazioni dei datori di
lavoro" possa essere inteso nel senso che tale formazione può essere promossa
da "chiunque" ivi comprese le associazioni dei datori di lavoro. E' corretta
questa interpretazione?
Nel decreto legislativo 81/08 la norma si limita ad affermare che il datore di lavoro,
che intende svolgere i compiti di cui al comma 1, deve frequentare apposito corso di
formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo del lavoro, promosso anche
dalle associazioni dei datori di lavoro. Circa la formazione del "rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza viene affermato che le modalità e i contenuti specifici
"sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale di categoria con il
rispetto di determinati contenuti minimi. Successivamente si afferma che gli
organismi paritetici (costituiti tra organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei
lavoratori) hanno (ove costituiti) funzioni di orientamento e di promozione di
iniziative formative nei confronti dei lavoratori. Le funzioni di tali organismi sono,
dalla norma, definite "di orientamento e di promozione di iniziative formative".
Teoricamente, quindi, la "collaborazione" anzidetta non contempla né la "gestione
dei corsi" e l'attività didattica, né l'organizzazione dei corsi stessi. L'azienda
interessata notifica all'organo paritetico, ove costituito, l'intenzione di attuare la
"formazione" prevista dalla normativa; l'organo paritetico può attivarsi per un
134
migliore "orientamento" delle strutture aziendali preposte. In assenza
dell'attivazione anzidetta, l'azienda programma autonomamente tutta l'attività
formativa, tenendo anche presenti gli accordi sindacali specifici che prevedono i
contenuti e la durata minima della formazione dei rappresentanti dei lavoratori.
29. Sono un medico dentista in contabilità ordinaria; ho sostenuto la spesa
per frequentare il corso di responsabile della sicurezza obbligatorio ai fini
della D.Lgs 81/08. Vorrei sapere se è deducibile totalmente (essendo
obbligatorio) o nella misura del 50% come gli altri corsi di aggiornamento.
L'articolo 50 del Tuir prevede che: "le spese di partecipazione a convegni, congressi
e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e
soggiorno, sono deducibili nella misura del 50% del loro ammontare". Questa
regola deve essere applicata anche al caso prospettato nel quesito. La
disposizione contenuta nell'articolo citato, infatti, non prevede un diverso
trattamento fiscale per la partecipazione a corsi obbligatori.
30. In qualità di amministratore di condominio, ho provveduto nei mesi
addietro e per alcuni dipendenti di fabbricato, ad adempiere agli obblighi
previsti dal Dlgs 81/08, dando l'incarico a uno studio specializzato in
sicurezza del lavoro, che ha provveduto in seguito al corso di formazioneinformazione per i dipendenti, a elaborare le dovute certificazioni. E'
corretta questa procedura?
L'articolo 51 del Dlgs 81/08 richiede la costituzione, a livello territoriale, di
organismi paritetici tra le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei
lavoratori con funzioni limitate all'orientamento e alla promozione di iniziative
formative. La norma non richiede interventi di orientamento e promozione, in tutti
i casi; inoltre non prevede espressamente la collaborazione nella gestione
complessiva dei corsi stessi.
31. Un datore di lavoro che ha nominato il responsabile del servizio di
prevenzione e protezione e ha assunto in proprio i compiti di prevenzione
incendio e di evacuazione e di pronto soccorso deve seguire specifici corsi per
i ruoli assunti?
Sì. Questi compiti, contemplati D.Lgs 81/08 e richiedono apposita formazione.
32. Svolgo da anni l'attività di esperto in sicurezza sul lavoro. Sono in
possesso anche di certificazione che attesta questa posizione e, da due
anni, in occasione dell'entrata in vigore delle nuove norme sulla sicurezza
ricopro la funzione di responsabile del servizio di prevenzione e protezione per
varie aziende. Posso ritenermi esente, anche parzialmente, dal corso di 120
(o 60) ore previsto dalla <direttiva cantieri>?
Esistono specifici requisiti professionali per lo svolgimento dell'attività di
coordinatore per la progettazione e di coordinatore per l'esecuzione dei lavori.
L'attestato di frequenza al corso non è richiesto per i dipendenti in servizio
presso pubbliche amministrazioni che svolgono nell'ambito delle stesse
amministrazioni le funzioni di coordinatore e per coloro che, non piu' in
servizio, abbiano svolto attività tecnica in materia di sicurezza nelle costruzioni,
per almeno cinque anni, in qualità di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico
servizio. Lo stesso vale anche per coloro che producano un certificato
universitario attestante il superamento di uno o piu' esami del corso o diploma di
135
laurea, equipollenti ai fini della preparazione conseguita con il corso o
l'attestato di partecipazione a un corso di perfezionamento universitario con le
medesime caratteristiche di equipollenza. Tali requisiti non sono richiesti per le
persone che:
a) sono in possesso di attestazione comprovante il loro inquadramento in
qualifiche che consentono di sovraintendere altri lavoratori e l'effettivo
svolgimento di attivita' qualificata in materia di sicurezza sul lavoro nelle
costruzioni per almeno quattro anni, rilasciata da datori di lavoro pubblici o
privati; l'attestazione e' accompagnata da idonea documentazione comprovante il
regolare versamento dei contributi assicurativi per i periodi di svolgimento
dell'attivita';
b) dimostrano di avere svolto per almeno quattro anni funzioni di direttore tecnico
di cantiere, documentate da certificazioni di committenti pubblici o privati e in tal
caso vidimate dalle autorità che hanno rilasciato la concessione o il permesso di
esecuzione dei lavori.
33. I lavoratori incaricati di attuare le misure relative al pronto soccorso,
alla prevenzione incendi e alla gestione dell'emergenza, devono essere
adeguatamente informati sul programma degli interventi da eseguire e
devono ricevere, pertanto, una formazione adeguata a cura del datore di
lavoro. In proposito vorrei sapere se questi corsi di formazione devono
essere effettuati solamente dalle autorità istituzionali oppure possono
essere effettuati anche da ditte od operatori specializzati.
Il D.Lgs 81/08 prevede espressamente che il datore di lavoro assicuri che ciascun
lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di sicurezza e di
salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro o alle proprie mansioni.
Per quanto concerne la prevenzione incendi e l'emergenza, le attività di
informazione e formazione appaiono così regolate:
A) Obblighi informativi - Il datore di lavoro deve provvedere affinche' ogni
lavoratore riceva un'adeguata informazione su:
a) rischi d'incendio legati all'attivita' svolta nell'impresa;
b) rischi d'incendio legati alle specifiche mansioni svolte;
c) misure di prevenzione e protezione incendi adottate in azienda;
d) ubicazione delle vie di esodo e uscite;
e) procedure da adottare in caso d'incendio e in particolare: azioni da attuare
quando si scopre un incendio; come azionare un allarme; azioni da attuare
quando si sente un allarme; procedure di evacuazione fino al punto di raccolta;
modalita' di chiamata dei Vigili del fuoco;
f) i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di prevenzione
incendi, lotta antincendio, evacuazione e pronto soccorso;
g) la figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Il servizio
di prevenzione
e protezione è istituzionalmente preposto all'attivita' di
informazione.
B) Obblighi formativi - In attuazione delle disposizioni dettate dall'articolo 37 del
D.Lgs 81/08, il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco provvede alle attività di
vigilanza e a quelle relative alla formazione del personale mediante le proprie
strutture operative, tecniche e didattiche e avvalendosi del personale addetto.
34. Amministro una piccola azienda commerciale di macchine utensili che
ha sei dipendenti di cui: tre addetti alla amministrazione (nessuno
videoterminalista), un magazziniere dotato di muletto elettrico per la
movimentazione dei carichi, uno addetto ai collaudi e alle piccole
riparazioni delle macchine presso i laboratori dei clienti che a volte mette in
funzione, per dimostrazione, qualche macchina presso il nostro magazzino.
136
Ritenendo il nostro un caso di scarsa pericolosità, vorrei svolgere io
direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi. E' possibile?
Dove posso svolgere il corso di formazione?
Nel caso prospettato il titolare di una azienda individuale o amministratore/datore
di lavoro può svolgere direttamente i compiti di prevenzione e protezione. I corsi
possono essere promossi anche dalle associazioni dei datori di lavoro.
137
CAPITOLO 7
VALUTAZIONE DEI RISCHI
138
1. Nella mia qualità di datore di lavoro di una piccola impresa, vorrei sapere
quali devono essere gli obiettivi di miglioramento aziendale di cui devo tener
conto nell’ambito del processo di valutazione dei rischi?
La necessità che nell'impresa si proceda ad una stretta integrazione tra la
produzione, tutte le funzioni aziendali ad essa collegate (direzione lavori, acquisti,
gestione del personale, manutenzione, etc.), e la prevenzione dei rischi da essa
derivanti al fine di progettare "lavoro sicuro", è chiaramente esplicitata tra le misure
generali di tutela indicate nell'art. 15. Tra queste, infatti, viene indicata la
programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integri in modo
coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive ed organizzative
dell'azienda nonchè l'influenza dei fattori dell'ambiente di lavoro. La valutazione del
rischio deve essere, pertanto, uno strumento fortemente finalizzato alla
programmazione delle misure di prevenzione e più in generale alla organizzazione
della funzione e del sistema prevenzionale aziendale. L'esame sistematico dei
problemi di prevenzione in tutti gli aspetti dell'attività lavorativa non dovrà
trascurare le situazioni di lavoro che esulano dalla routine (manutenzione, pulizia,
arresto e riattivazione di impianti, cambio di lavorazioni, ...), come chiaramente
indicato negli orientamenti CEE. Non va persa di vista la natura di processo
partecipato che la valutazione deve assumere, sia a garanzia di aver raccolto tutta
l'informazione disponibile sui fattori di rischio (tra cui le trasformazioni che
l'organizzazione del lavoro "formale" subisce, all'atto della sua concreta messa in
pratica da parte dei lavoratori), sia per ottenere il coinvolgimento attivo di tutte le
parti in causa nella ricerca delle soluzioni più efficaci e nella loro applicazione. Non
va infatti dimenticato, per esempio, che gli studi del fenomeno infortunistico che
utilizzano un approccio solo "deterministico", mirato ad identificare cause di
infortunio solo in errori umani o in inconvenienti tecnici o in deficienze strutturali,
presentano limiti importanti ed insolubili se non affrontano anche le
interconnessioni con il tessuto organizzativo della produzione. A quanto sopra detto
rimanda peraltro, in modo esplicito, anche lo stesso art. 15 del D.Lgs 81/08.
2. Esistono dei criteri o delle indicazioni oggettive che devono essere
contemplate nella valutazione dei rischi?
Caratteristica peculiare al processo di valutazione dei rischi è la sua “soggettività”.
In particolare possono pesare negativamente nella valutazione quegli elementi di
percezione soggettiva del rischio che spesso, più che caratterizzare un singolo
soggetto, fanno parte di una certa "cultura d'impresa", là dove un'abituale
sottostima del rischio ha alimentato l'abitudine a considerare "normali" procedure,
attrezzature, metodi, del tutto inadeguati. In quelle situazioni si rende necessario
uno sforzo rilevante, da parte del datore di lavoro, in termini di comunicazione e di
formazione corretta sui rischi lavorativi, perchè la presa di coscienza dell'esistenza
di un rischio non rappresenti un evento episodico, non condiviso e, come tale, non
generatore di cambiamenti significativi.
3. Esistono delle modalità semplificate che possono essere utilizzate per
condurre la valutazione dei rischi in una piccola impresa?
Per incentivare la massima estensione dell'attività di valutazione da parte dei datori
di lavoro si favorirà, soprattutto nelle imprese di piccole dimensioni e rischi
modesti, la semplificazione delle procedure di valutazione, che dovranno essere tese
a raccogliere le informazioni sufficienti, dati e notizie all’uopo pertinenti e rilevanti.
A tal fine sarà utile, nelle indicazioni da fornire alle imprese, chiarire che per
"valutazione del rischio" è da intendersi principalmente l'individuazione dei possibili
centri/fonti di pericolo per la sicurezza e la salute dei lavoratori, l'identificazione dei
lavoratori potenzialmente esposti a rischio e la valutazione dell'entità
139
dell'esposizione. A tale proposito si potrà suggerire l'utilizzazione in prima istanza,
ove possibile e adeguata, di metodi e criteri di valutazione approssimata del rischio
in grado di distinguere chiaramente condizioni francamente accettabili da situazioni
francamente non accettabili. Tali metodi possono consistere anche in valutazioni di
tipo induttivo (quantità di materiale utilizzato, cubatura, ventilazione) o
semiquantitativo. Sarà possibile di conseguenza identificare quelle situazioni in cui
è necessario un approfondimento da realizzare con più complesse procedure
analitiche.
4. Devo condurre la valutazione dei rischi nella mia azienda. Come posso
valutare il rischio di incidenti? Devo a tal fine utilizzare stime o statistiche
specifiche?
Non è necessario, salvo casi particolari da individuare, che la "valutazione del
rischio" comprenda stime probabilistiche di accadimento di guasti o di eventi
accidentali così come, invece, previsto dalla normativa vigente per le imprese a
rischio di incidente rilevante. Di grande utilità per l'utenza sarà l'avvalersi di linee
guida di valutazione con riferimento al settore e al comparto produttivo tenuto
conto della variabile distribuzione dei diversi rischi lavorativi. Da quanto sopra
emerge l'indicazione che l'elemento centrale degli adempimenti previsti dall'art. 28
appare essere "l'individuazione delle misure preventive e di protezione" definite o
programmate, per la cui realizzazione dovranno essere scelti tempi e metodi congrui
con la valutazione di gravità del rischio. E' opportuno, a questo proposito, che
vengano individuate scale qualitative circa l'urgenza dei provvedimenti da
assumere, formulate anche in base ad eventuali programmi di sviluppo aziendali.
Tenendo presente che non è accettabile mantenere in atto inadempienze a precisi
obblighi di legge, dovranno essere definite misure accessorie di natura organizzativa
o procedurale in grado di provvedere al controllo ed alla riduzione del rischio nel
periodo che intercorre tra la sua individuazione e la messa in atto dell'intervento
tecnico risolutivo. Poiché, tuttavia, non sempre è possibile fare a priori una stima
significativa della gravità degli effetti derivanti da un'esposizione e della probabilità
che tali effetti si manifestino, è preferibile affidarsi ad uno studio approfondito della
specifica situazione lavorativa e procedere secondo una logica squisitamente
prevenzionistica.
5. Qual’è il termine di legge previsto per svolgere la valutazione dei rischi
secondo le modalità standardizzate indicate dal D.Lgs 81/08
Il termine per svolgere la valutazione dei rischi aziendali in conformità alle nuove
disposizioni di legge è stato fissato in sede di prima applicazione al 1^ gennaio
2013. Poiché la valutazione dei rischi complessivi presenti in una azienda e la
stesura dei conseguenti programmi di prevenzione è, per lo più, un atto tecnico
tutt'altro che semplice, era stato a suo tempo suggerito ai datori di lavoro di reperire
al più presto quelle competenze tecnico-professionali per metterli in grado di
assolvere adeguatamente al proprio compito, al di là della formalizzazione degli
incarichi.
6. Nel documento di valutazione dei rischi va sempre indicata la nomina del
medico competente?
Per quel che riguarda la figura del medico competente, esso potrà essere
formalmente incaricato (con documentazione scritta) sin da subito in tutti quei casi
in cui la normativa vigente prevede un obbligo già definito a priori di sottoporre i
dipendenti ad accertamenti sanitari periodici. Nel caso, invece, in cui la necessità e
l'obbligo di sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria sia condizionato dalla
preventiva valutazione dell'esistenza del rischio, come ad esempio nel caso della
movimentazione manuale di carichi, dell'esposizione a cancerogeni e ad agenti
140
biologici, la nomina del medico competente potrà essere effettuata successivamente
una volta conclusa la fase di valutazione.
7. L’obbligo di valutare i rischi aziendali ricade unicamente sul datore di
lavoro? Può, questi, avvalersi o utilizzare competenze esterne?
L'obbligo di realizzare il processo di valutazione, controllo e gestione dei rischi
lavorativi riguarda essenzialmente il datore di lavoro. E' evidente tuttavia che dal
punto di vista tecnico, operativo e procedurale il datore di lavoro dovrà allo scopo
avvalersi di alcune competenze professionali e gestionali, peraltro in larga misura
indicate dallo stesso D.Lgs 81/08. In primo luogo è opportuno prevedere che al
processo di valutazione/gestione dei rischi partecipi l'intera "linea" aziendale
rappresentata dai dirigenti e dai preposti; gli stessi sono infatti, al contempo,
depositari di importanti conoscenze e titolari di obblighi, per cui è opportuno
prevedere un loro ampio coinvolgimento in questa fase del processo. Alla
valutazione collaborano altresì il responsabile (e/o gli addetti) del servizio di
prevenzione e protezione nonchè, ove previsto, il medico competente: essi forniscono
il loro contributo di conoscenze, per il rispettivo ambito professionale, utili
all'inquadramento (e qualificazione) dei rischi lavorativi e alle strategie più idonee
per il loro contenimento. La valutazione si avvale, inoltre, del contributo del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza il quale da un lato, laddove
adeguatamente formato, è a sua volta ravvisabile come una specifica risorsa
tecnica, e dall'altro lato costituisce il punto di riferimento ed il collettore delle
specifiche conoscenze, esperienza e valutazione dei lavoratori, che pure rivestono
grande importanza nel processo di controllo dei rischi lavorativi, come d'altronde
stabilito in diversi punti del decreto legislativo. Infine, al processo di valutazione e
gestione dei rischi partecipano, più o meno direttamente, i progettisti, i fabbricanti,
i fornitori e gli installatori; gli stessi, infatti, devono anche fornire informazioni
relative a criteri, ambiti e limiti per l'utilizzazione (sicura) di ambienti, impianti e
strumenti di lavoro. La scrupolosa verifica del rispetto di tali criteri da parte degli
altri soggetti protagonisti della valutazione rappresenta un ulteriore rilevante
contributo al processo generale di valutazione e gestione dei rischi.
8. Devo predisporre il documento di valutazione dei rischi aziendali e, per la
mia azienda è troppo costoso ricorrere a consulenti esterni. Vorrei sapere
quali sono i passaggi che devo compiere e quali sono le varie fasi del processo
valutativo.
L’avvio del processo di valutazione dei rischi viene fatto solitamente coincidere con
l’individuazione di aree omogenee in termini di pericolo; in più casi si dovrebbe
ottenere una distribuzione dei pericoli sovrapponibile all’ area produttiva o
funzionale (impianti, spedizioni, uffici, magazzini, etc.). L’individuazione delle aree
omogenee va particolarmente studiata per un confronto ottimale con le presenze
(addetti presenti nell’area di lavoro) e la tipologia delle attività svolte nell’azienda.
Nella pratica applicativa, la valutazione dei rischi viene condotta con il
procedimento sotto elencato:
a) L’attività in esame viene suddivisa in aree, in modo da rendere più precisa,
puntuale e mirata l’analisi dei pericoli e la susseguente valutazione dei
rischi.
b) Per ognuna delle aree così individuate si procede al censimento dei pericoli e
delle relative sorgenti, in relazione agli impianti, macchine, attrezzature, ciclo
tecnologico e modalità operative adottati. Il censimento prende in
considerazione quei pericoli potenziali che l’analisi degli estensori,
l’esperienza degli addetti, i dati storici e l’esame impiantistico indicano come
evidenti.
141
c) Sono censiti gli addetti presenti nell’unità produttiva considerata, al fine di
individuare la popolazione potenzialmente esposta ai pericoli; tra di essi sono
evidenziati i soggetti tutelati, come disabili, invalidi, etc..
d) Vengono quindi censite le mansioni e per ciascuna area omogenea vengono
individuate quelle mansioni così dette rappresentative alle quali è
successivamente applicata l’analisi di rischio per mansione (JSA).
e) Si procede alla raccolta delle misure tecniche, organizzative e procedurali già
predisposte per la prevenzione e protezione degli addetti esposti ai pericoli;
nell’inventario vengono anche considerati i dispositivi di protezione
individuale e collettiva.
f) Per le mansioni rappresentative si effettua l’analisi di rischio per mansione
per la stima del rischio. Nel corso dell’analisi, mediante interviste dirette, si
tiene conto dell’esperienza operativa degli addetti e si procede, ove
necessario, a verifiche sul campo di quanto raccolto; si tiene infine conto
della storia infortunistica e degli incidenti registrati nell’installazione.
g) Nei casi in cui si rinviene una motivata ed attuabile possibilità di riduzione
dei rischi si provvede ad indicarne le modalità di attuazione (misure definite
per il miglioramento); le misure definite sono state organizzate, per tipologia
di intervento (misure tecniche, organizzative/procedurali e DPI)
h) Si provvede infine a stendere il programma di realizzazione delle misure di
prevenzione e protezione da secondo le priorità individuate.
9. Quali sono i principali pericoli da prendere in considerazione nell’ambito
della valutazione dei rischi?
Sono quei pericoli che si trovano generalmente presenti nella grande maggioranza
delle attività produttive, collegati alla struttura fisica produttiva, sia come fabbricati
che come impiantistica e attinenti possibilità di infortuni inerenti sia gli ambienti di
lavoro, (passaggi, scale, pavimenti, illuminazione, etc.), sia macchine, attrezzature
ed impianti, (accessibilità a parti in movimento, proiezioni di frammenti/schegge,
mezzi di sollevamento e trasporto, elettrocuzione, etc.). I pericoli da individuare non
possono riferirsi a situazioni di carenze o violazioni alle normative, intese in senso
largo ovvero includenti standards e codici di buona tecnica conosciuti. Di seguito si
riporta un elenco non esaustivo di pericoli riconducibili alla categoria ordinari o
generici. Il pericolo di cadute dall’alto deve essere preso in considerazione per
operazioni in quota (superiore a 2 m); la caduta è infatti sempre possibile anche in
condizioni di assoluta regolarità delle protezioni, ad esempio in corrispondenza dei
varchi per l’accesso o per necessità di manovre in prossimità dei parapetti. Il
pericolo di scivolamenti, etc., si riferisce a pavimentazioni bagnate o irregolari Il
pericolo di proiezioni di schegge e frammenti deve essere parimenti preso in
considerazione per attività con apparecchiature a norma, che comunque possano
liberare i frammenti o le schegge. Per quanto concerne i pericoli di elettrocuzione,
questi si riferiscono a operazioni od interventi su quadri e parti in tensione
accessibili, per manutenzione o necessità operative.
10. Esistono dei pericoli di natura ergonomia che devono essere presi in
considerazione nel documento di valutazione dei rischi? Se si quali sono?
I c.d. pericoli ergonomici sono quei pericoli evidenziati dalla nuova normativa,
collegati a criteri ergonomici errati, che in generale risultano non strettamente
correlati in modo specifico al ciclo tecnologico sviluppato, come :
- Movimentazione manuale dei carichi.
- Posture incongrue.
- Videoterminali.
Per quanto riguarda la movimentazione manuale di carichi, il D.Lgs. 81/08, impone
il limite massimo di 30 kg, come valore “a rischio”; il pericolo tuttavia permane
142
anche per carichi assai minori, in conseguenze dei movimenti e delle frequenze; si
suggerisce quindi di denunciare situazioni di pericolo in modo ampio, ove la
movimentazione di carichi costituisca una attività operativa non sporadica; in sede
di valutazione, con l’assistenza specifica del Medico Competente, si provvederà a
individuare eventuali situazioni di rischio.
Il pericolo di posture operative
incongrue si riferisce non soltanto a posizioni di lavoro continuative ma anche ad
operazioni di breve durata in posizioni difficili (ad esempio operazioni su
apparecchiature, manovre su comandi o dispositivi posti in posizioni difficili da
raggiungere). Per i videoterminali, premesso che la norma pone condizioni
specifiche di tutela solo per i lavoratori che utilizzano una attrezzatura munita di
videoterminale in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali per tutta la
settimana lavorativa, si suggerisce di effettuare un censimento di tutte le
apparecchiature assimilabili e di dichiarare il pericolo connesso; in sede di
valutazione, con l’assistenza specifica del medico competente, si provvederà a
individuare eventuali situazioni di rischio.
11. Quali sono i pericoli specifici da valutare e prevenire nel sistema aziendale
della sicurezza sul lavoro?
Sono quei pericoli che risultano maggiormente imputabili e correlati allo specifico
procedimento di lavorazione o ciclo tecnologico adottato e che si manifestano
durante l’espletamento dei compiti assegnati ai lavoratori, come :
- Pericoli riconducibili ad agenti chimici pericolosi utilizzati sotto qualunque stato
fisico: solido, liquido, gas o vapore.
- Pericoli riconducibili alla presenza di agenti fisici specifici delle lavorazioni,
quali: rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non, polveri inerti, microclima.
- Pericoli riconducibili alla presenza di agenti biologici utilizzati.
Si sottolinea che ricadono in questa categoria i pericoli che si configurano durante
le normali e prevedibili condizioni di esercizio.
Anche in questo caso, i pericoli da individuare non possono riferirsi a situazioni di
carenze o violazioni alle normative, intese in senso largo; si intendono pertanto
rispettati i limiti imposti da norme, standards, contratti collettivi nazionali, etc…
Per quanto concerne in particolare la presenza di agenti chimici nel ciclo di
lavorazione, la semplice possibilità di contatti diretti (ad esempio prese campione a
ciclo aperto, recipienti aperti, ecc…), l’adozione di organi di tenuta non ermetica
(baderne, flange e guarnizioni, etc.), sono elementi sufficienti a determinare
situazioni di pericolo, indipendentemente dalla concentrazione o reali possibilità di
effetti dannosi, da accertare nel seguito.
12. Si può ritenere esistente il pericolo di assunzione per inalazione nel caso
in cui le concentrazioni siano inferiori ai TLV7?
Il pericolo di assunzione per inalazione può sussistere anche se le concentrazioni
sono inferiori ai TLV7, anche in relazione alla sensibilità e reattività individuali;
questa condizione sarà tuttavia valutata nella fase successiva, diretta proprio ad
accertare i rischi per la salute. Per quanto concerne il pericolo di ingestione,
eliminato per principio l’atto volontario, esso è prevalentemente collegato a forme
indirette di assunzione, come nel caso in cui si consumino cibi e bevande in
ambiente contaminato, in carenza di precauzioni igieniche (lavaggio mani, cambio
indumenti, etc.).
13. Come si determina il pericolo derivante dall’esposizione al rumore? Quali
sono i criteri per determinarlo?
Il pericolo rumore deve essere collegato ad una situazione emissiva e non di
esposizione; ad esempio si può supporre che il pericolo rumore, in base al D.Lgs.
81/08, possa sussistere per apparecchiature con LAeq superiore a 80 dB(A); anche
143
in questo caso la valutazione di eventuali situazioni di esposizioni a rischio viene
effettuata in un secondo momento. Le polveri inerti che costituiscono sorgente di
pericolo sono costituite dalla frazione inalabile; qualora le sostanze abbiano
caratteristiche di nocività od effetti dannosi potenziali di tipo chimico, il pericolo va
inserito fra quelli pertinenti agli agenti chimici pericolosi.
14. Nella valutazione dei rischi debbano essere considerati anche i pericoli di
processo? Se si, quali sono e come si valutano?
Sono quei pericoli che risultano strettamente correlati allo specifico ciclo tecnologico
sviluppato, riconducibili alla possibilità di incidenti, anomalie o deviazioni delle
normali condizioni operative o di funzionamento.
Rientrano in questa categoria i seguenti pericoli:
- Pericolo di rilasci di sostanze tossiche (in quantità considerevoli).
- Pericolo di rilasci di energia termica/meccanica.
- Pericolo di incendio.
- Pericolo di esplosione.
Gli eventuali incidenti possono avere conseguenze limitate all’area esaminata
(incidenti minori) o conseguenze gravi (“incidente rilevante”), tali da poter
interessare zone ampie, anche esterne allo stabilimento.
15. Come si configura e come si valuta il pericolo di rilascio di sostanze
tossiche e quello derivante dal rilascio di energia termica?
Il pericolo di rilasci di sostanze tossiche è principalmente connesso alla presenza di
significative quantità di sostanze tossiche che possono essere immesse in
atmosfera, sia tramite aperture funzionali (PSV, dischi di rottura, prese campione,
etc.) che per cause di mancato contenimento (fessurazioni, rotture, etc.); in sede di
valutazione, si provvederà a individuare eventuali situazioni di rischio.
Per quanto concerne il pericolo di rilasci di energia termica/meccanica, il pericolo è
connesso alla presenza di apparecchiature o recipienti che possono dar luogo a
proiezione di parti o frammenti, a seguito di collasso e fluidi caldi o getti a pressione
sia tramite aperture funzionali che per cause di mancato contenimento. In sede di
valutazione, si provvederà a individuare eventuali situazioni di rischio; ad esempio,
ad un recipiente a pressione, progettato, costruito, controllato e mantenuto in
condizioni di conformità a norme e codici di buona progettazione, potrà essere
assegnata una remota probabilità di collasso.
16. Come si configura e come si valuta il pericolo di incendio e quello di
esplosione?
Il pericolo di incendio è collegato alla presenza di agenti chimici infiammabili (o
combustibili) in significativa quantità, dal momento che, salvo eccezioni, l’aria,
comburente e le sorgenti di innesco si ritengono ineliminabili. Il pericolo di
esplosione, salvo situazioni particolari, è collegato alla possibile formazione di
atmosfere esplosive per la presenza di agenti chimici facilmente infiammabili,
esplosive o reattive ed in grado di liberare sostanze facilmente infiammabili o di
decomporsi in modo da liberare grandi quantità di gas.
17. Cosa si intende per pericoli organizzativi? Come si valutano e come si
prevengono?
Con la definizione di pericoli organizzativi si intendono quelle situazioni
organizzative aventi una potenzialità di generare danni.
Quando di parla di organizzazione, si intende l’insieme dei ruoli, delle funzioni e
delle relazioni fra di essi. I pericoli organizzativi, sono quindi collegati a carenze,
difetti o improvvise variazioni in uno qualunque di questi elementi costituitivi.
144
Alcuni lati critici dell’organizzazione possono essere individuati sulla base dei
seguenti punti.
- Presenza di personale inesperto, non sufficientemente formato o addestrato;
- responsabilità non chiaramente definite (suddivisione dei compiti non chiara e
precisa (potenziali conflitti e sovrapposizioni);
- carenza o assenza di un sistema di autorizzazioni;
- carenza di documentazione;
- verifiche interne insufficienti / inadeguate.
Questi aspetti sono considerati sempre più importanti ai fini della prevenzione di
incidenti, anche gravi, la cui prevedibilità può sfuggire al vaglio delle tecniche di
analisi fondate prevalentemente sull’esame di fattori “materiali”, di più facile
valutazione, in quanto misurabili o rilevabili oggettivamente. Sempre più spesso,
infatti, si osserva come le cause alla radice di incidenti gravi, sono riconducibili al
fattore umano, dizione che raccoglie in sé una molteplicità di elementi, che
coinvolgono gli aspetti sopra richiamati. Il pericolo “organizzativo” si risolve in
generale come causa alla radice dei pericoli di altra natura.
18. Esistono delle particolari categorie maggiormente sensibili ai rischi che
devono trovare una maggiore attenzione nell’ambito della valutazione dei
rischi?
La popolazione degli esposti può infine contenere delle categorie maggiormente
sensibili ai rischi, quali ad esempio :
- Portatori di handicap.
- Donne in stato di gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio.
- Dipendenti con malattie croniche acquisite e che evidenziano malattie del
sistema immunitario.
- Altro personale che, per età, formazione od altre cause può essere ritenuto
particolarmente sensibile ad alcuni rischi.
Di questa particolare porzione della popolazione esposta va tenuto conto, non solo
per quanto concerne aspetti relativi a particolare sensibilità ai pericoli e
vulnerabilità in caso di rischio, ma anche in relazione alle misure di tutela, da
attagliare ai casi specifici. Si pensi ad esempio al problema che presenta
l’evacuazione in emergenza di una persona disabile e la necessità di programmare
una necessaria assistenza. Per quanto riguarda le donne in stato di gravidanza e
fino a sette mesi di età del figlio la normativa (D.Lgs. 151/2001) vieta che siano
adibite alle attività riportate negli allegati A e B e prescrive che il datore di lavoro in
adempimento all’art. 28 valuti i rischi per le lavoratrici ed in particolare i rischi di
esposizione ad agenti fisici, chimici e biologici, processi o condizioni di lavoro di cui
all’allegato C.
Qualora i risultati della valutazione rivelino un rischio per la salute e la sicurezza
delle lavoratrici, il datore di lavoro deve adottare le misure necessarie affinché
l’esposizione al rischio sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o
l’orario di lavoro o la mansione.
19. Ho appena terminato di valutare i rischi della mia azienda. Posso
considerare conclusi i miei compiti o devo compiere altri passaggi?
Ulteriore passo per l’esecuzione di una corretta valutazione dei rischi aziendali è
quello di ricondurre l’insieme delle misure generali di tutela ad alcune categorie di
riferimento. Ai fini della progettazione, della programmazione e della verifica degli
eventuali interventi
Se si considerano finalità ed oggetti, e seguendo un indirizzo già presente nella
normativa, in generale le misure di tutela, preventive e protettive, possono essere
suddivise in quattro principali categorie:
- Misure tecniche.
145
-
Misure organizzative.
Misure procedurali.
Misure di protezione personale, individuali o collettive.
Misure tecniche
In questa categoria sono compresi gli interventi sugli ambienti di lavoro, sugli
impianti, sul ciclo tecnologico e sulle sostanze, sia di carattere preventivo che di
mitigazione o di contenimento dei rischi per la salute e la sicurezza, come ad
esempio:
o Introduzione di sistemi a circuito chiuso (ad esempio nelle prese campione).
o Sistemi di aspirazione.
o Insonorizzazione di apparecchiature rumorose.
Misure organizzative
Le misure di tutela a carattere organizzativo includono studi, interventi ed azioni
atti a migliorare le prestazioni del fattore umano (organizzazione, persone e
relazioni) ai fini della prevenzione o del contenimento dei rischi, come ad esempio:
- L’impostazione di un sistema aziendale di gestione della salute e della sicurezza
dei lavoratori.
- Le attività di informazione, formazione ed addestramento, il miglioramento
dell’efficienza ed efficacia nelle comunicazioni, la segnalazione dei pericoli/rischi,
etc.
- Interventi sull’organizzazione del lavoro per ridurre livelli e tempi di esposizione
a pericoli.
- Attività di controllo, sia ambientale che sanitario.
Misure procedurali
In questa categoria si collocano gli interventi migliorativi sulle modalità e sulle
pratiche di lavoro all’interno dell’attività considerata (interventi sul sistema di
lavoro). Si includono pertanto le attività indirizzate alla verifica, estensione ed
aggiornamento di tutti i regolamenti e le procedure interne finalizzati alla tutela
della salute e della sicurezza, nonché altri strumenti necessari per realizzare le
migliori condizioni di lavoro, come manuali, istruzioni, norme operative, etc.
Misure di protezione personale
In questa categoria sono compresi:
- I dispositivi di protezione individuale (DPI), come ad esempio calzature di
sicurezza, guanti, caschi, occhiali, cuffie, etc.
- I dispositivi di protezione collettiva, ovvero dispositivi di protezione personale
non assegnati all’individuo ma disponibili nella collettività, come ad esempio
autorespiratori, maschere antigas, etc.
20. Se dalla valutazione dei rischi aziendali emerge l’esistenza di fonti di
pericolo, quali sono i passaggi che devo compiere? Come devo procedere?
Devo nominare il medico competente?
-
se nella conduzione della valutazione viene individuato un pericolo per la
salute o la sicurezza, la cui esistenza appare certa e fonte di possibile danno
ai lavoratori, che sia riferibile o meno ad una mancata messa in atto di
quanto previsto dalla normativa esistente, le misure di tutela eventualmente
individuabili possono opportunamente essere attuate o programmate senza
acquisire ulteriori elementi valutativi, se non quelli strettamente necessari
alla definizione della priorità da assumersi per gli interventi stessi;
146
-
-
se un possibile pericolo, connesso all'attività lavorativa in esame, è stato in
precedenza valutato con esito favorevole (rischio assente o molto limitato)
ovvero il pericolo stesso è stato ridotto o eliminato con l'adozione di
opportune misure (può essere il caso della valutazione dell'esposizione dei
lavoratori a piombo, amianto e rumore), la valutazione dei rischi può limitarsi
ad una presa d’atto di tali risultanze, previa verifica della loro attualità;
al contrario, là dove l'esistenza di un pericolo risulti dubbia, o incerta la
definizione delle possibili conseguenze, o complessa l'individuazione delle
appropriate misure di prevenzione, appare opportuno condurre una
valutazione dei rischi che si articoli in un percorso logico e procedurale più
completo ed approfondito.
21. Quali sono le indicazioni per svolgere il processo di valutazione dei rischi?
Come si rappresenta in un documento lo stato reale delle condizioni di lavoro
della azienda?
Al fine di una sua corretta collocazione temporale e maggiore rappresentatività delle
reali condizioni di lavoro, la valutazione va fatta precedere da un'attenta
ricognizione circa le caratteristiche dell'attività lavorativa (produzione di beni o di
servizi, di serie o per campagne, produzione conto terzi etc. e relativa variabilità
delle lavorazioni in relazione al variare della produzione...) con particolare
riferimento all'esistenza di attività di servizio alla produzione (pulizia,
manutenzione...) od occasionali (guasti, riattivazione di impianti...); non dovrà
essere trascurata la considerazione di prestazioni eventualmente erogate dai
lavoratori all'esterno dell'abituale luogo di lavoro (montaggi, riparazioni...) come
pure la possibilità di presenza sul luogo di lavoro di dipendenti di altre aziende o di
utenti. Dovrà essere scelta la sequenza logica che il valutatore riterrà più opportuno
adottare nell'analisi dei pericoli e dei rischi:
sequenza ordinata delle lavorazioni nel ciclo produttivo
compiti assegnati ai lavoratori
ambienti di lavoro
aggregati in base al linguaggio aziendale ("reparti", “linee”, “uffici”...), avendo
unicamente cura di:
esplicitare la scelta fatta
attenersi ad essa in modo coerente.
22. Esistono degli elementi o delle indicazioni per l’identificazione dei fattori
di rischio aziendali? Esistono dei metodi utilizzabili al riguardo?
Un'ulteriore fase preliminare da non trascurarsi è l’acquisizione e l’organizzazione di
tutte le informazioni e le conoscenze già disponibili su elementi utili a connotare i
fattori di rischio e/o gli eventuali danni riferibili al lavoro.
A titolo esemplificativo, in tabella 1 viene proposta una lista di informazioni o fonti
informative possibilmente presenti in azienda:
Tabella 1
Informazioni o fonti informative
•
•
•
•
•
layout dei reparti
numero di addetti ripartito per reparti e per mansioni con
breve descrizione delle operazioni svolte
denunce di impianti e verifiche periodiche
registro delle manutenzioni ordinarie e straordinarie
schede
di
sicurezza
di
sostanze/prodotti/apparecchiature/impianti in uso
147
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
schede tecniche e manuali operativi di macchine e impianti
risultati di precedenti indagini condotte sulla sicurezza e
sull'igiene del lavoro inclusi verbali di prescrizione degli
organi di vigilanza
risultati di eventuali misurazioni di igiene industriale
risultati collettivi anonimi di controlli sanitari periodici
denunce INAIL su casi di malattie professionali
dati sugli infortuni (dall’apposito registro) e incidenti
avvenuti
atti autorizzativi
procedure di lavoro scritte, ordini di servizio
elenco e caratteristiche dei dispositivi di protezione
individuale forniti ai lavoratori
modalità pratiche di distribuzione/ricambio dei dispositivi di
protezione individuale
conoscenze ed esperienze dei lavoratori e dei preposti
Tabella 2
Fasi per la conduzione della valutazione e la redazione del documento
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
identificazione dei fattori di rischio
identificazione dei lavoratori esposti
stima dell'entità delle esposizioni
stima della gravità degli effetti che ne possono derivare
stima della probabilità che tali effetti si manifestino
verifica della disponibilità di misure tecniche, organizzative,
procedurali, per eliminare o ridurre l'esposizione e/o il
numero di esposti
verifica dell'applicabilità di tali misure
definizione di un piano per la messa in atto delle misure
individuate
verifica dell'idoneità delle misure in atto
redazione del documento
definizione di tempi e modi per la verifica e/o
l’aggiornamento della valutazione
23. Nella valutazione dei rischi deve essere ricompresa anche quella dello
stress lavorativo?
A norma di quanto disposto dall'articolo 28 del D.Lgs n. 81/2008, nel testo
modificato dal D.Lgs 106/2009, la valutazione “deve riguardare tutti i rischi per la
sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di
lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavorocorrelato18, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004”. La
valutazione dello stress lavoro-correlato è effettuata nel rispetto delle indicazioni
elaborate dalla commissione consultiva per la salute la sicurezza sul lavoro di cui
all’art. 6 del d.lgs. n. 81/2008, e il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle
Si ricorda che, in virtù dell’art. 32 del D.L. 30/12/08, n. 207, convertito dalla legge 27/02/09, n. 14 (G.U. n. 49 del
28/2/2009), la necessità di valutare i rischi derivanti da stress lavoro correlato è divenuta operativa dal 16 maggio
2009, termine successivamente prorogato.
18
148
predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a fare data
dal 1° agosto 2010.
24. Come deve essere condotta la valutazione dello stress?
Relativamente a quest’ultimo profilo, la valutazione del rischio richiede l’adozione
degli stessi principi e processi basilari di altri pericoli presenti sul luogo di lavoro:
identificare le fonti di stress, decidere quali azioni è necessario intraprendere,
comunicare i risultati della valutazione e revisionarli a intervalli appropriati. Le
ricerche relative alle fonti di stress presenti nelle organizzazioni fanno di sovente
riferimento a due tipi di rischi, quelli ambientali e quelli psicosociali.
Se il problema di stress da lavoro è identificato, bisogna agire per prevenirlo,
eliminarlo o ridurlo.
25. Su chi ricade la responsabilità dello stress lavoro correlato? Sul datore di
lavoro? Se si, come può il datore di lavoro svolgere da solo tale valutazione?
Come deve fare?
La responsabilità di stabilire le misure adeguate da adottare spetta al datore di
lavoro. Queste misure saranno attuate con la partecipazione e la collaborazione dei
lavoratori e dei loro rappresentanti. È consigliabile, nel caso in cui l’azienda non
disponga al suo interno di competenze sufficienti, ricorrere a competenze esterne in
conformità alle leggi europee e nazionali, ai contratti collettivi e alle prassi. I
problemi individuati possono essere affrontati nel quadro del processo di
valutazione di tutti rischi, programmando una politica aziendale specifica in
materia di stress e/o attraverso misure specifiche mirate per ogni fattore di stress
individuato. Si possono introdurre misure di gestione e di comunicazione in grado
di chiarire gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore, di assicurare un
sostegno adeguato da parte della direzione ai singoli individui e ai team di lavoro, di
portare a coerenza responsabilità e controllo sul lavoro, di migliorare
l’organizzazione, i processi, le condizioni e l’ambiente di lavoro. A tali interventi
devono affiancarsi iniziative formative e informative che introducano una maggiore
conoscenza dello stress, delle sue possibili cause e dei rimedi. In particolare, lo
stress legato all'attività lavorativa può essere prevenuto o neutralizzato
riorganizzando l'attività professionale, migliorando il sostegno sociale e prevedendo
una ricompensa adeguata agli sforzi compiuti dai lavoratori
Tra i fattori da analizzare, l’Accordo europeo evidenzia:
- inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro:
disciplina dell’orario di lavoro, grado di autonomia, corrispondenza tra
competenze e requisiti professionali richiesti, carichi di lavoro ecc.
- condizioni di lavoro e ambientali: esposizione a comportamenti illeciti, rumore,
calore, sostanze pericolose, ecc.
- comunicazione: incertezza in ordine alle prestazioni richieste, alle prospettive di
impiego o ai possibili cambiamenti, ecc.
- fattori soggettivi: tensioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte
alle situazioni, percezione di mancanza di attenzione nei propri confronti ecc.
26. La valutazione dello stress lavoro correlato ricomprende anche tutti i
rischi psicosociali. Che differenza c’è con il mobbing?
Il primo aspetto da porre in luce è che l'art. 28 non fa riferimento ai rischi
psicosociali, ma al ben diverso fenomeno dello stress lavoro correlato: i contorni di
questo tipo di rischio sono stati definiti nell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004. A
differenza di quanto viene indicato, oggetto di valutazione, quindi, non sono né i
rischi psicosociali in generale né il mobbing né la violenza sul lavoro né il disturbo
post traumatico da stress. E' opportuno ricordare che il mobbing si sostanzia in
una azione aggressiva cosciente e volontaria, protratta nel tempo, finalizzata a
149
mettere uno o più lavoratori in una condizione di forte disagio col fine
dell’espulsione dal contesto lavorativo (licenziamento o trasferimento) o della
sottomissione (frustrarne cioè la capacità personale di contrattare, di difendere i
propri diritti, di far valere le proprie ragioni). A differenza dello stress, che si
sostanzia in una risposta dell’individuo in termini di adattamento a sollecitazioni
provenienti dal contesto lavorativo o extralavorativo, il mobbing presuppone
comportamenti volontariamente lesivi della dignità umana, che trovano già gli
strumenti di reazione nell’ordinamento, in sede disciplinare, civile e penale.
27. Che differenza intercorre tra lo stress lavorativo e la vera e propria
violenza nel posto di lavoro, che magari produce stress?
La violenza nel posto di lavoro afferisce invece a comportamenti illeciti, sanzionati
sotto i profili penale, civile e disciplinare, che nulla hanno a che vedere con la
reazione individuale a sollecitazioni presenti nel contesto lavorativo o
extralavorativo. La sindrome post traumatica da stress (disturbo post traumatico da
stress), poi, differisce dallo stress in quanto si tratta di una risposta ritardata o
protratta ad un evento fortemente stressante o a una situazione di natura
altamente minacciosa o catastrofica in grado dì provocare diffuso malessere in
quasi tutte le persone. Questo disturbo evidenzia un quadro clinico
difficilmente correlabile ai rischi lavorativi.
28. La valutazione dello stress lavorativo deve essere condotta singolarmente
per ciascun lavoratore?
In tema di stress lavoro-correlato, un aspetto da porre in evidenza è il riferimento a
“gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari”: la precisa locuzione normativa
consente di escludere un approccio olistico al tema dello stress, dovendosi, invece,
individuare previamente gruppi di lavoratori eventualmente interessati dal rischio
stress.
29. La valutazione dello stress deve essere condotta sempre o solo nei casi in
cui questo possa incidere sulla sicurezza?
La valutazione dello stress lavorativo deve essere condotta - per espressa previsione
di legge - secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 e quindi dell’
accordo interconfederale stipulato il 9 giugno 2008. Quest’ultimo prevede che il
dovere da parte del datore di lavoro di tutelare la salute e sicurezza dei lavoratori si
applica anche in presenza di problemi di stress lavoro-correlato “in quanto essi
incidano su un fattore di rischio lavorativo rilevante ai fini della tutela della salute e
della sicurezza”. Lo stress lavoro-correlato, quindi, rientra nell’iter di valutazione dei
rischi ma occorre accertare che questo fattore incida su rischi rilevanti ai fini della
sicurezza.
30. Lo stress lavorativo è una condizione puramente soggettiva. Anche la
valutazione dello stress deve essere condotta in maniera soggettiva?
La valutazione dello stress lavoro correlato dev’essere di tipo oggettivo: secondo
l’accordo interconfederale, infatti, benché potenzialmente “lo stress possa
riguardare ogni luogo di lavoro ed ogni lavoratore, indipendentemente dalle
dimensioni dell’azienda, dal settore di attività o dalla tipologia del contratto o del
rapporto di lavoro, ciò non significa che tutti i luoghi di lavoro e tutti i lavoratori ne
sono necessariamente interessati.” Innanzitutto, quindi, occorre verificare – anche
attraverso l’organigramma o il funzionigramma aziendale - la presenza di gruppi
omogenei di lavoratori che, svolgendo mansioni o compiti particolari (es. perché
ripetitivi, monotoni, particolarmente rischiosi), potrebbero essere esposti al rischio
stress. Se questa fase dovesse dare (ad esempio, per le ridottissime dimensioni
dell’azienda) risultato negativo, la valutazione potrebbe concludersi con l’impegno a
150
monitorare eventuali comportamenti anomali, magari su segnalazione del medico
competente.
31. Esistono degli indicatori oggettivi di potenziale stress?
Se l’organizzazione aziendale consente di individuare gruppi omogenei di lavoratori
potenzialmente esposti a rischio stress, occorrerebbe valutare l’esistenza,
nell’organizzazione aziendale o nell’ambiente di lavoro, di indicatori oggettivi di
stress.
Ad esempio, tra i segnali che possono denotare la presenza del problema, anche
secondo l’Accordo, possono rientrare:
- alto tasso di assenteismo
- elevata rotazione del personale
- frequenti conflitti interpersonali
- lamentele da parte delle persone
- infortuni
- richieste di cambio mansione/settore
- disfunzioni o episodi di interruzione/rallentamento dei flussi comunicativi
Accanto a questi elementi, occorrerebbe indagare anche i flussi comunicativi bottom
up e top down presenti in azienda.
In assenza di uno di questi fattori (o similari) o di criticità ed in assenza comunque
di cambiamenti comportamentali dei lavoratori tali da denotare un rischio di stress,
o in presenza di azioni già messe in atto dal datore di lavoro prima dell’entrata in
vigore della norma, la valutazione potrebbe concludersi con l’impegno a monitorare
nel tempo eventuali comportamenti anomali, magari su segnalazione del medico
competente o degli uffici del personale.
32. Come si conduce la valutazione dei rischi derivanti da stress lavorativo in
mancanza di particolari elementi o indicatori oggettivi di stress?
In assenza degli indici oggettivi di stress ma in presenza di mutamenti
comportamentali all’interno del gruppo di lavoratori, occorrerebbe valutare il rischio
stress e individuare i motivi della reazione soggettiva, al fine di verificarne il nesso
con fattori lavorativi o extralavorativi e individuare gli strumenti di prevenzione
compatibili con il contesto complessivo aziendale. Data la complessità del fenomeno
stress, non vi è uno strumento o un metodo che esaurisca in sé la molteplicità degli
aspetti. Può essere necessario, a seconda dei risultati della ricognizione, l’approccio
organizzativo (metodi di lettura e interventi sulla organizzazione del lavoro),
l’approccio psicologico, l’approccio medico, l’approccio comunicazionale o
relazionale, in relazione al bisogno effettivo. Fondamentale è il coinvolgimento di
tutti i soggetti interessati, anche eventualmente attraverso interviste o test. Se la
risposta consente di correlare lo stress manifestato dal lavoratore a fattori
lavorativi, potrebbe essere necessario approfondire i connessi problemi di ordine
psicologico, organizzativo o medico. Se la risposta, al contrario, non evidenzia un
nesso eziologico tra lavoro e stress, ovvero evidenzia fattori extralavorativi, non
trattandosi di un rischio lavorativo, la valutazione dei rischi potrebbe concludersi
con l’impegno a monitorare nel tempo eventuali comportamenti anomali, magari su
segnalazione del medico competente o degli uffici del personale.
33. Come si conduce la valutazione dello stress qualora vi siano in azienda
determinati fattori che possono denotare la presenza di stress nel luogo di
lavoro?
In presenza di fattori che possono denotare la presenza di stress nel luogo di lavoro,
ovvero comunque nel caso di mutamenti comportamentali del gruppo di lavoratori,
si dovrebbe verificare quale sia la reazione soggettiva dei singoli lavoratori
interessati in termini di percezione dello stress. Si dovrebbe, cioè, indagare che tipo
151
di percezione hanno i singoli lavoratori facenti parte di un determinato gruppo
rispetto all’organizzazione o all’ambiente di lavoro. Solo a questo punto potrebbe
essere adottato un approccio individuale al tema stress, attraverso interviste o
somministrazione di test. Se, nonostante l’evidenza di una reazione individuale da
parte dei lavoratori, non vengono manifestati collegamenti con l’organizzazione e
con l’ambiente di lavoro, la valutazione del rischio potrebbe concludersi con
l’impegno a monitorare nel tempo eventuali comportamenti anomali, magari su
segnalazione del medico competente o degli uffici del personale. Se, al contrario, la
reazione individuale evidenzia un collegamento causale tra organizzazione o
ambiente di lavoro e manifestazione di stress, occorre un intervento di tipo
organizzativo, psicologico o medico per affrontare e ridurre o eliminare il rischio.
34. Sono titolare di una media azienda di servizi. All’esito del procedimento di
valutazione dei rischi è emerso che alcuni dipendenti manifestavano evidenti
problemi di stress lavorativo. Cosa devo fare? Quali misure devo prevedere?
Nei casi in cui la valutazione si concluda con l’evidenziazione di un problema di
stress lavoro correlato, occorre prevedere l’adozione delle misure di prevenzione o
protezione. Nello scegliere le misure ed i provvedimenti di prevenzione adeguati,
dato il carattere variabile del fenomeno stress, legato a fattori “imprevedibili” (es. le
diverse reazioni dei gruppi - o del singolo - nei confronti della medesima scelta
aziendale che sia tecnica, gestionale, organizzativa o un evento che subentra nella
vita di una persona), si potrebbero adottare differenti misure. Tra queste:
- misure tecniche, organizzative, procedurali
- potenziamento di automatismi tecnologici
- alternanza di mansioni nei limiti di legge e di contratto
- riprogrammazione dell’attività
- particolare formazione e addestramento
- forme di comunicazione
- forme di coinvolgimento
- particolare sorveglianza sanitaria.
Nonostante una nutrita serie di studi in materia di valutazione dello stress lavorocorrelato, la comunità scientifica non è ancora pervenuta ad un metodo scientifico
consolidato. Le indicazioni che precedono, quindi, rivestono un carattere
meramente indicativo, e si fondano esclusivamente sulle previsioni normative
contenute nel D.Lgs n. 81/2008 e sui contenuti dell’accordo 8 ottobre 2004, come
recepito nell’accordo interconfederale del 9 giugno 2008.
35. A seguito del processo di valutazione dei rischi in azienda sono emerse
alcune aree di criticità e dei pericoli. Quali sono i passaggi da compiere e cosa
va evidenziato nel documento di valutazione?
In relazione alle situazioni pericolose messe in luce dalla prima fase della
valutazione, si evidenzierà il numero dei lavoratori che è possibilmente esposto ai
fattori di rischio, individualmente o come gruppo omogeneo. E’ opportuno che i
lavoratori esposti siano identificati nominalmente, sia in funzione della eventuale
segnalazione al medico competente per gli adempimenti in merito alla sorveglianza
sanitaria,
sia
per
la
programmazione
dei
successivi
interventi
di
informazione/formazione. L’identificazione dei lavoratori esposti non potrà
prescindere dalla rilevazione delle effettive modalità di lavoro; a tale fine si richiama
l’esigenza di avvalersi di modalità partecipative nella raccolta delle informazioni in
merito.
152
36. Quali sono i casi in cui, a seguito della valutazione, è opportuno il ricorso
a misure di igiene industriale o a criteri valutativi più specifici? La normativa
vigente fornisce in proposito delle indicazioni puntuali?
A misure di igiene industriale sembra riferirsi anche l’art. 25, là dove prevede che il
medico competente riceva i “risultati” del controllo dell’esposizione dei lavoratori,
senza peraltro precisare quando ciò sia previsto. In prima approssimazione si può
affermare che il ricorso a misure di igiene industriale o comunque a criteri più
specifici ed approfonditi di valutazione dell’esposizione trova un suo opportuno
campo di applicazione quantomeno nei casi indicati nella seguente tabella.
Indicazione di casi in cui è opportuno il ricorso a misure di igiene industriale
o a criteri di valutazione più specifici
•
•
•
•
•
•
nei casi in cui è esplicitamente previsto (cancerogeni,
radiazioni ionizzanti, ecc)
nei casi di esposizione a sostanze dotate di elevata tossicità
intrinseca e/o in grado di provocare incidenti (atmosfere
infiammabili/esplosive) o danni alla salute in basse
concentrazioni
nella verifica di efficacia dei sistemi di prevenzione adottati
se necessario ai fini della progettazione o realizzazione di
idonei presidi di bonifica
nel dirimere i casi dubbi o controversi
qualora si siano verificati infortuni/incidenti gravi o con
dinamiche ripetitive
Inoltre valutazioni igienistico-ambientali, eventualmente corredate da misurazioni,
sono raccomandate ogni qualvolta vengano modificate sostanzialmente linee di
produzione in modo tale da poter prevedere una variazione dell’esposizione dei
lavoratori a fattori di rischio chimico-fisici, al fine di progettare contestualmente le
più idonee misure di prevenzione. Di seguito si riportano i criteri d’analisi del
processo produttivo ai fini della valutazione dei rischi chimico-fisici.
a. Indagine preliminare
- materie prime, intermedi, prodotti finiti, rifiuti
- fasi del processo, compreso il trattamento degli effluenti solidi, liquidi, gassosi
- schemi di flusso
- mansioni, esposizione a inquinanti
- individuazione dei gruppi di lavoratori omogeneamente esposti
- protezioni attive e passive
- esposizioni conseguenti a trattamento degli effluenti solidi, liquidi, gassosi
b. Identificazione dei fattori di rischio e ipotesi di priorità nella loro quantificazione
c. Valutazione delle modalità e dei punti di generazione e propagazione degli
inquinanti
d. Strategia di campionamento e analisi degli inquinanti
e. Misura dell’efficienza e dell’efficacia dei sistemi di abbattimento
f. Valutazione complessiva dei risultati ambientali
g. Interazione con i risultati della sorveglianza sanitaria dei lavoratori
37. Quali sono le misure generali di tutela che devono essere ricompresse nel
documento di valutazione dei rischi?
153
Il datore di lavoro, nel corso della valutazione dei rischi, dovrà individuare le misure
generali di tutela, facendo riferimento ai principi gerarchici della prevenzione dei
rischi indicati dall’art. 15 del D.Lgs 81/08:
- evitare i rischi
- utilizzare al minimo gli agenti nocivi
- sostituire ciò che è pericoloso con ciò che non è pericoloso o lo è meno
- combattere i rischi alla fonte
- applicare provvedimenti collettivi di protezione piuttosto che individuali
- limitare al minimo il numero di lavoratori che sono o che possono essere
esposti al rischio
- adeguarsi al progresso tecnico
- cercare di garantire un miglioramento del livello di protezione
- integrare le misure di prevenzione/protezione con quelle tecniche e
organizzative dell’azienda.
38. E’ possibile avere un esempio pratico di quali devono essere le azioni da
intraprendere in seguito alla conclusione della valutazione dei rischi?
In merito alla programmazione degli interventi, le conclusioni desunte
dall'identificazione dei fattori di rischio e dei lavoratori esposti, dell’entità
dell’esposizione, della probabilità con cui possono verificarsi effetti dannosi e
dell’entità delle possibili conseguenze, orienteranno le azioni conseguenti alla
valutazione stessa. Un esempio di tale processo decisionale è riportato nella tabella
seguente.
Azioni conseguenti alle conclusioni possibili riguardo ai rischi
CONCLUSIONI
AZIONI
I rischi sono insignificanti ora e non è ragionevolmente
prevedibile che aumentino in futuro.
I rischi sono sotto controllo ad un livello accettabile per
es. conformemente alle norme della Comunità o a quelle
nazionali.
Terminare ora le valutazioni. Non sono necessarie
ulteriori misure.
E’ possibile apportare miglioramenti alla protezione.
Terminare le valutazioni. Il mantenimento del rispetto
delle norme compete ai sistemi di prevenzione del
datore di lavoro.
Stabilire le precauzioni per migliorare la protezione;
mantenere, eliminare, controllare e minimizzare le
possibilità di esposizioni maggiori. Determinare
misure aggiuntive per riprendere il controllo in caso si
verifichi una situazione ad alto rischio, malgrado le
precauzioni.
Paragonare le misure esistenti alle norme di buona
prassi. Se il paragone è negativo determinare cosa è
stato fatto per migliorare le misure di prevenzione e di
protezione.
Eliminare i rischi o modificare il regime di controllo in
modo da conformarsi ai principi stabiliti, basandosi
sulla buona prassi come guida.
Identificare e porre in atto misure provvisorie
immediate per prevenire e controllare l’esposizione ai
rischi (esaminare l’eventualità di bloccare il ciclo
produttivo). Valutare le esigenze a lungo termine.
Continuare a cercare altre informazioni a seconda
della necessità finchè è possibile giungere ad una
delle conclusioni di cui sopra. Nel frattempo applicare
i principi di sicurezza professionale per minimizzare
l’esposizione.
I rischi sono ora sotto controllo ma è legittimo pensare
che aumenteranno in futuro, oppure i sistemi di
controllo esistenti hanno la tendenza a funzionare male
o ad essere male impiegati.
Vi sono rischi possibili ma non vi sono prove che
causino malattie o ferite.
I rischi sono adeguatamente controllati ma non sono
rispettati i principi generali stabiliti all’art. 15 del D.Lgs
81/08.
Vi sono rischi elevati e non adeguatamente controllati.
Non vi sono prove che esistano o meno rischi.
154
La valutazione delle misure di prevenzione e protezione non dovrà trascurare la
verifica di idoneità e di efficacia di quelle già in essere e, progressivamente, di quelle
via via adottate. Il piano di attuazione dovrà contemplare i tempi previsti per la
realizzazione degli interventi, la verifica della loro effettiva messa in atto, la verifica
della loro efficacia, la revisione periodica in merito ad eventuali variazioni intercorse
nel ciclo produttivo o nell’organizzazione del lavoro che possano compromettere o
impedire la validità delle azioni intraprese.
39. Quali sono i criteri di redazione del documento di valutazione dei rischi?
Al termine del processo valutativo il datore di lavoro deve elaborare un documento
scritto ove sono contenute le risultanze della valutazione aziendale. Il documento è
elaborato con il contributo delle diverse componenti presenti in azienda e riporta
quanto è stato intrapreso o viene programmato in tutela della salute e della
sicurezza dei lavoratori. Dovrà pertanto essere leggibile, sia per linguaggio che per
esplicitazione delle tappe del percorso fatto. La scelta dei criteri di redazione del
documento è rimessa al datore di lavoro, che vi deve provvedere con criteri di
semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantire la completezza e
l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di
prevenzione. Il documento di valutazione dei rischi dovrà quindi contenere:
- i criteri adottati:
in questa voce possono essere comprese indicazioni circa l’individuazione
delle aree/posizioni di lavoro, dei compiti/mansioni dei lavoratori, di
macchine/impianti/lavorazioni etc. oggetto della valutazione; standard di
riferimento adottati; modalità con le quali è stata ottenuta la collaborazione
degli esperti e la consultazione del rappresentante per la sicurezza; criteri
seguiti per l’assunzione delle decisioni..., etc.
- le conclusioni della valutazione:
è opportuno elencare i fattori di rischio presi in considerazione, per i quali la
valutazione concluda circa l’assenza di rischio o comunque per la non
necessità di prevedere ulteriori misure di prevenzione; per gli altri rischi,
invece, saranno riportati gli elementi utili a stimare gravità e probabilità delle
possibili conseguenze, nonchè l’identificazione dei lavoratori esposti e, se
disponibili, i relativi livelli di esposizione;
- l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione definite in
conseguenza della valutazione, nonchè delle attrezzature di protezione
utilizzate;
- il programma di attuazione di ulteriori misure previste per migliorare nel tempo
i livelli di sicurezza.
40. Dove deve essere custodito il documento di valutazione dei rischi?
Il documento di valutazione dei rischi deve essere tenuto a disposizione in azienda
per la consultazione anche da parte dell'organo di vigilanza.
41. Sono un datore di lavoro di una piccola impresa che svolge direttamente i
compiti di Rspp. Devo dare comunicazione di tale incarico? A chi e cosa devo
comunicare?
Qualora l’imprenditore si avvalga della facoltà ex art. 34 per svolgere direttamente i
compiti di responsabile del servizio di prevenzione e protezione dovrà darne
informazione al rls.
42. E’ ancora valida la possibilità di non redigere il documento di valutazione
dei rischi per le piccole imprese? Esistono dei criteri dimensionali
d’impresaper rendere possibile tale esclusione?
155
L’art. 29, comma 5 esonerava le aziende fino a 10 addetti dall’obbligo di redigere il
documento di valutazione dei rischi, sostituendolo con l’obbligo di autocertificare
l’avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi e l’adempimento degli obblighi
ad essa collegati. Tale possibilità è venuta meno al 31 maggio 2013; tali imprese
sono ora obbligate all’ applicazione delle procedure standardizzate approvate dalla
Commissione consultiva il 16 aprile 2012 e recepite con decreto ministeriale del 27
novembre 2012. Va sottolineato con estrema chiarezza che il disposto normativo
non attenua minimamente l’obbligo per il datore di lavoro di procedere alla
valutazione dei rischi (né, tantomeno, attenua gli obblighi preventivi), ma
costituisce semplicemente un alleggerimento degli obblighi documentali e
burocratici.
43. Ho appena aperto un’attività commerciale. Quanti giorni ho per procedere
alla valutazione dei rischi?
Con una modifica introdotta dal D.Lgs 106/09, viene riproposta la previsione di cui
all’articolo 96-bis del d.lgs. n. 626/1994, necessaria per consentire una più
compiuta ed effettiva valutazione dei rischi di lavoro (entro il termine di 90 giorni)
da parte di chi inizi una attività ex novo difettando egli della conoscenza di tutti i
fattori di rischio che da tale attività possono discendere e della loro combinazione in
concreto. Viene infatti previsto che in caso di costituzione di nuova impresa, il
datore di lavoro è tenuto ad effettuare immediatamente la valutazione dei rischi
elaborando il relativo documento entro novanta giorni dalla data di inizio della
propria attività.
44. Ho sentito parlare della necessità di dover apporre la data certa al
documento di valutazione dei rischi. Come si fa in pratica? Esistono delle
alternative?
Tra le possibilità che il datore ha per la datazione del documento di valutazione dei
rischi, vi è quella di apporre sul documento stesso la data certa.
Nell’anno 2000 il Garante per la protezione dei dati personali con il Provvedimento
del 5/12/2000 - Misure minime di sicurezza - fornì alcuni chiarimenti sulla data
certa dell'atto previsto dall'art. 1 della L. 325/2000. In proposito, per quanto di
competenza, il Garante osservava che tale requisito si collega con la comune
disciplina civilistica in materia di prove documentali e, in particolare, con quanto
previsto dagli artt., 207319 e 270420 270521 del codice civile, i quali recano
un'elencazione non esaustiva degli strumenti per attribuire data certa ai documenti,
consentendo di provare tale data anche in riferimento a ogni "fatto che stabilisca in
modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento". La legge n.
325/2000 presuppone quindi che il documento in questione sia collegabile ad
19
Art. 2703 (Sottoscrizione autenticata) Si ha per riconosciuta [c.p.c. 215] la sottoscrizione autenticata [c.c. 2022,
2023, 2206, 2296, 2300, 2333, 2648, 2652, 2702, 2821, 2834, 2835] dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò
autorizzato [c.p.c. 214]. L'autenticazione consiste nell'attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è
stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l'identità della persona che sottoscrive
20 Art. 2704 (Data della scrittura privata nei confronti dei terzi) La data della scrittura privata della quale non è
autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata
registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l'hanno
sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si
verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento. La data
della scrittura privata che contiene dichiarazioni unilaterali non destinate a persona determinata può essere accertata
con qualsiasi mezzo di prova. Per l'accertamento della data nelle quietanze il giudice, tenuto conto delle circostanze,
può ammettere qualsiasi mezzo di prova.
21 Art. 2705 (Telegramma) Il telegramma ha l'efficacia probatoria della scrittura privata [c.c. 2702], se l'originale
consegnato all'ufficio di partenza è sottoscritto dal mittente, ovvero se è stato consegnato o fatto consegnare dal
mittente medesimo, anche senza sottoscriverlo. La sottoscrizione può essere autenticata da notaio [c.c. 2703; c.p.c.
634]. Se l'identità della persona che ha sottoscritto l'originale del telegramma è stata accertata nei modi stabiliti dai
regolamenti, è ammessa la prova contraria. Il mittente può fare indicare nel telegramma se l'originale è stato firmato
con o senza autenticazione.
156
un fatto oggettivo attribuibile al soggetto che lo invoca, ma sottratto alla sua
esclusiva sfera di disponibilità.
In questa prospettiva, senza pretesa di indicare in modo esauriente tutti i possibili
strumenti idonei ad assegnare al documento una data certa, il Garante richiama
l'attenzione dei titolari del trattamento sulle seguenti possibilità che appaiono
utilmente utilizzabili:
- ricorso alla c.d. "autoprestazione" presso uffici postali prevista dall'art. 8 del
d.lg. 22 luglio 1999, n. 261, con apposizione del timbro direttamente sul
documento avente corpo unico, anziché sull'involucro che lo contiene 22;
- in particolare per le amministrazioni pubbliche, adozione di un atto deliberativo
di cui sia certa la data in base alla disciplina della formazione, numerazione e
pubblicazione dell'atto;
- apposizione della c.d. marca temporale sui documenti informatici (art. 15,
comma 2, legge 15 marzo 1997, n. 59; D.P.R. 10 novembre 1997, n. 513; artt.
52 ss. d.p.c.m. 8 febbraio 1999). Il sistema della marca temporale basa la
propria modalità di certificazione della marca temporale su un procedimento
informatico regolamentato dalla legge italiana, che permette di datare in modo
certo ed opponibile a terzi un oggetto digitale (file). La Data Certa è un servizio
di certificazione temporale apposto, per es. tramite il servizio INFOCAMERE
della Camera di Commercio che permette di datare in modo certo ed opponibile
a terzi qualunque tipo di documento. Tra i profili probatori del documento
informatico assume un'importanza fondamentale l'attribuzione della cosiddetta
'data certa' e cioè la prova della formazione del documento in un certo arco
temporale o, comunque, della sua esistenza anteriormente ad un dato evento
(art. 2704 codice civile). Nel tradizionale sistema di documentazione cartacea,
l'attribuzione della data certa (efficace nei confronti dei terzi e non solo tra le
parti) deriva principalmente dal riscontro di un'attestazione fatta da un
soggetto terzo ed imparziale depositario di pubbliche funzioni. (autentica
comunale). La marca temporale (digital time stamp) attesta infatti l'esistenza di
un documento informatico (o meglio di un file informatico) ad una determinata
data ed ora ('validazione temporale'). L'apposizione di una marca temporale
produce l'effetto giuridico di attribuire 'ad uno o più documenti informatici una
data ed un orario opponibili ai terzi' (art. 8 comma 1, e art 22, comma 1, lettera
g, d.p.r. n. 445/2000) e, dunque, non solo efficaci tra le parti. La veridicità ed
esattezza di una marca temporale, come per i certificati delle chiavi pubbliche
si presume fino a prova contraria.
Ricorso alla posta elettronica certificata. La posta elettronica certificata è il
servizio di posta elettronica che fornisce al mittente la prova legale dell'invio e
della consegna di documenti informatici. La posta elettronica certificata (PEC) è
la trasmissione telematica di comunicazioni con ricevuta di invio e di una
ricevuta di consegna e avviene ai sensi del decreto del Presidente della
Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68. La trasmissione del documento
informatico per via telematica, effettuata mediante la posta elettronica
certificata, equivale, nei casi consentiti dalla legge, alla notificazione per mezzo
della posta e ha valore legale. La data e l'ora di trasmissione e di ricezione di un
documento informatico trasmesso mediante posta elettronica certificata sono
opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e alle relative regole tecniche. Nei casi
Il Decreto Legislativo 22 luglio 1999, n. 261 - "Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo
sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio" pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 182 del 5 agosto 1999 all’a rt. 8 (Autoprestazione) prevede:
1. E' consentita, senza autorizzazione, la prestazione di servizi postali da parte della persona fisica o giuridica che e'
all'origine della corrispondenza (autoprestazione) oppure da parte di un terzo che agisce esclusivamente in nome e
nell'interesse dell'autoproduttore.
22
157
-
di invio o ricezione di messaggi verso caselle di posta elettronica tradizionale, il
sistema non può eseguire tutti i passi previsti dal circuito della posta certificata
e non esplica tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente. Per tale ragione la
trasmissione dei messaggi non ha gli stessi effetti legali di validità e
opponibilità.
apposizione di autentica, deposito del documento o vidimazione di un verbale,
in conformità alla legge notarile; formazione di un atto pubblico;
registrazione o produzione del documento a norma di legge presso un ufficio
pubblico.
45. E’ sempre obbligatoria la data certa nel documento di valutazione dei
rischi? Esistono delle esenzioni?
In relazione alle ripetute segnalazioni ricevute in ordine alla complessità della
procedura necessaria ad ottenere la certezza della data, il D.Lgs 3 agosto 2009, n.
106, al duplice fine di non gravare sulle imprese con un onere amministrativo
piuttosto pesante in termini gestionali e di ribadire che il documento di valutazione
del rischio è il frutto di una azione sinergica e condivisa dei soggetti delle sicurezza
in azienda, ha introdotto il principio per il quale, in alternativa alla data certa,
possa essere sufficiente l’attestazione della sottoscrizione del documento da parte
del datore di lavoro (il quale solo, beninteso, ne assume la giuridica responsabilità)
nonché, ai soli fini della prova della data, dalla sottoscrizione del responsabile del
servizio di prevenzione e protezione, e del rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e dal
medico competente, ove nominato.
46. Può riportare degli esempi di situazioni di situazioni e di attività
lavorative che richiedono una valutazione dei rischi?
1.
IMPIEGO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO
- Elementi in movimento rotatorio o traslatorio non sufficientemente
protetti, che possono causare schiacciamenti, tagli, perforazioni, urti,
agganciamenti o trazioni.
- Elementi o materiali in movimento libero (caduta, rotolamento,
scivolamento, ribaltamento, dispersione nell'aria, oscillazioni, crolli) cui
possono conseguire danni alle persone.
- Movimenti di macchinari e di veicoli.
- Pericolo di incendio e di esplosione (per es: per attrito; serbatoi in
pressione).
- Intrappolamento.
2.
METODI DI LAVORO E DISPOSIZIONE DEGLI IMPIANTI
- Superfici pericolose (bordi acuminati, spigoli, punte, superfici abrasive,
parti protundenti).
- Attività in altezza.
- Compiti che comportano movimenti/posizioni innaturali.
- Spazi limitati (per es: necessità di lavorare tra parti fisse).
- Inciampare e scivolare (superfici bagnate o comunque scivolose, etc.).
- Stabilità del posto di lavoro.
- Conseguenze derivanti dalla necessità di indossare attrezzature di
protezione personale su altri aspetti del lavoro.
- Tecniche nei metodi di lavoro.
- Ingresso e lavoro in spazi confinati.
3.
IMPIEGO DELL'ELETTRICITA'
- Pannelli di comandi elettrici.
- Impianti elettrici, per es: rete principale di adduzione, circuiti di
illuminazione.
158
4.
5.
6.
7.
8.
9.
- Attrezzature, sistemi di controllo e di isolamento a comando elettrico.
- Impiego di attrezzi elettrici portatili.
- Incendi o esplosioni causati dall'energia elettrica.
- Cavi elettrici sospesi.
ESPOSIZIONE A SOSTANZE O PREPARATI PERICOLOSI PER LA SICUREZZA
E LA SANITA'
- Inalazioni, ingestione e assorbimento cutaneo di materiale pericoloso per
la salute (compresi aerosol e polveri).
- Impiego di materiali infiammabili e esplosivi.
- Mancanza di ossigeno.
- Presenza di sostanze corrosive.
- Sostanze reattive instabili.
- Presenza di sensibilizzanti.
ESPOSIZIONE AD AGENTI FISICI
- Esposizione a radiazioni elettromagnetiche (calore, luce, raggi X,
radiazioni ionizzanti).
- Esposizione a laser.
- Esposizione al rumore od a ultrasuoni.
- Esposizione a vibrazioni meccanica.
- Esposizione a sostanze/mezzi ad alta temperatura.
- Esposizione a sostanze/mezzi a temperatura molto bassa.
- Presenza di fluidi sotto pressione (aria, vapore, liquidi compressi).
ESPOSIZIONE AD AGENTI BIOLOGICI
- Rischio di infezioni derivanti dalla manipolazione e dall'esposizione non
intenzionale a microorganismi, esotossine ed endotossine.
- Rischio di infezioni dovute all'esposizione non intenzionale a
microorganismi (per es: legionella liberata dai sistemi radianti di
raffreddamento).
- Presenza di allergeni.
FATTORI AMBIENTALI E AMBIENTE DI LAVORO
- Illuminazione non adeguata o tecnicamente errata.
- Controllo inadeguato di temperatura, umidità, ventilazione.
- Presenza di agenti inquinanti.
INTERAZIONE DEL POSTO DI LAVORO E DEI FATTORI UMANI
- Dipendenza del sistema di sicurezza dalla necessità di ricevere ed
elaborare con cura le informazioni.
- Dipendenza dalle conoscenze e dalle capacità del personale.
- Dipendenza dalle norme di comportamento.
- Dipendenza da una soddisfacente comunicazione e da istruzioni corrette
per far fronte a condizioni mutevoli.
- Conseguenze di deviazioni ragionevolmente prevedibili dalle procedure di
lavoro in condizioni di sicurezza.
- Adeguatezza delle attrezzature di protezione professionale.
- Scarsa motivazione alla sicurezza.
- Fattori ergonomici, quali la progettazione del posto di lavoro per venire
incontro alle esigenze del dipendente.
FATTORI PSICOLOGICI.
- Difficoltà di lavoro (intensità, monotonia).
- Dimensioni dell'ambiente di lavoro, per es: claustrofobia, solitudine.
- Ambiguità del ruolo e/o situazione conflittuale.
- Contributo al processo decisionale con conseguenze sul lavoro e sulle
mansioni.
- Lavoro molto esigente a scarso controllo.
- Reazioni in caso di emergenza.
159
10.
11.
ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO
- Fattori condizionati dai processi di lavoro (per es: lavoro in continuo,
sistemi di turni, lavoro notturno).
- Sistemi efficaci di gestione e accordi per l'organizzazione, la pianificazione,
il monitoraggio e il controllo degli aspetti attinenti alla sicurezza e alla
sanità.
- Manutenzione degli impianti, comprese le attrezzature di sicurezza.
- Accordi adeguati per far fronte agli incidenti e a situazioni di emergenza.
FATTORI VARI
- Pericoli causati da terzi, per es: violenza a colleghi, personale di
sorveglianza, polizia, attività sportive.
- Lavoro con animali.
- Lavoro in atmosfere a pressione superiore o inferiore al normale.
- Condizioni climatiche difficili.
- Integrità dei software.
- Lavorare in prossimità di specchi d'acqua o sott'acqua.
- Posti di lavoro variabili.
47. Un 'azienda esercente attività di trasporto e facchinaggio esplica servizi
per conto di tre aziende appaltanti in tre depositi di stoccaggio merci diversi.
Quanti Dvr deve redigere?
I Dvr, conformi a quanto previsto dagli articoli 28 e 29 del Dlgs 81/2008, operando
in tre distinte realtà, dovrebbero essere tre. Comunque, si ritiene possibile redigere
un unico Dvr ma suddiviso in tre sezioni/parti distinte che tengano conto delle
particolarità che i tre differenti siti, ove si svolge l’attività, sicuramente presentano.
48. Il titolare di una ditta individuale con un figlio come coadiuvante, ai fini
del Testo unico 81/2008 è equiparato a un impresa con meno di 10 dipendenti
e quindi con tutti gli oneri che ne derivano, o è equiparato a un lavoratore
autonomo, e quindi non redige il Dvr, non nomina il medico competente, non
nomina il Rspp e Rls, eccetera?
In base a ciò che dispone l’articolo 21 del Dlgs 81/2008, i componenti dell'impresa
familiare di cui all'articolo 230-bis del Codice civile devono utilizzare attrezzature di
lavoro a norma, e munirsi ed utilizzare Dpi a norma, oltre a dover indossare,
qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano
attività in regime di appalto o subappalto, un’apposita tessera di riconoscimento
corredata di fotografia, contenente le proprie generalità. Peraltro, detti collaboratori
familiari non vanno computati ai fini della determinazione del numero di lavoratori
dal quale il Dlgs 81/2008 fa discendere particolari obblighi: ciò significa, ad
esempio, che nel caso prospettato vi è esenzione dalla attività di valutazione dei
rischi e di redazione del documento correlato (Dvr), così come da ogni obbligo
conseguente (ad esempio la nomina del Rspp e del medico competente).
49. L'articolo 5, comma 2, lettera d) del Dm 37/08 prevede l'obbligo del
progetto elettrico nei «locali adibiti ad uso medico». Un medico di base ha un
solo dipendente: è soggetto al Dpr 462/01, articolo 2 per la messa in esercizio
dell'impianto e all'articolo 4, comma 1, per le verifiche periodiche biennali? E’
tenuto a frequentare il corso di formazione come datore di lavoro rspp?
La risposta al primo quesito è affermativa. Riguardo il secondo quesito, il comma 2
dell'articolo 34 del citato decreto, impone al datore di lavoro che intende svolgere
direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi, di frequentare uno
specifico corso di formazione di durata minima 16 ore e massima di 48 ore.
160
50. Vorrei sapere se la data del 16 maggio, per l'invio della relazione sullo
stress correlato vedi Dl 81/2008, è stata prorogata e quali sono gli obblighi di
legge previsti. Posso fare la relazione anche io che sono consulente del lavoro?
Il termine del 16 maggio 2009 per l’integrazione del Documento di valutazione dei
rischi con la valutazione dei rischi collegati allo stress lavoro-correlato, era stato
prorogato 31 dicembre 2011. L’analisi del rischio e l’elaborazione del documento
correlato sono di stretta ed esclusiva competenza del Servizio di prevenzione e
protezione, ragion per cui è necessario il possesso dei requisiti di qualificazione
professionale, nonché la designazione da parte del datore di lavoro.
51. In caso di trasferimento di sede in un'altra struttura, qual è il tempo
massimo entro cui bisogna eseguire la valutazione dei rischi e produrre un
nuovo Dvr? Per l'occasione, vorrei adottare una nuova struttura di
documento, diversa dalla precedente, in modo che risulti più aderente
all'attuale normativa. Ci sono controindicazioni al riguardo? Per quanto tempo
è necessario conservare le precedenti versioni?
Il Testo unico della sicurezza sul lavoro (Dlgs 81/2008) non offre indicazioni
specifiche al riguardo. Per altro verso è ragionevole ipotizzare un congruo lasso di
tempo ai fini della elaborazione di un Dvr (documento di valutazione dei rischi)
aderente ai profili di rischio insiti e/o correlati allo svolgimento dell'attività
lavorativa nella nuova sede. Si può richiamare, quale parametro di medianità
orientativa, quanto indicato nel D.Lgs 106/09 in base al quale il datore di lavoro
che intraprende un'attività lavorativa è tenuto a elaborare il documento di
valutazione dei rischi entro tre mesi dall'effettivo inizio dell'attività. Nessuna norma
prevede poi un tempo di conservazione minima delle versioni precedenti di Dvr.
52. Rispetto all'obbligatorietà imposta dal Dlgs 81/08 di strutturare un Dvr
all'interno di ogni organizzazione che abbia almeno un dipendente, esiste una
categoria che si possa sentire esclusa? In una Snc che ha un'officina nella
quale lavorano solo i due titolari, quali sono gli obblighi rispetto alla stesso
decreto?
Gli obblighi previsti dal Dlgs n. 81/2008 – tra i quali quello di valutazione dei rischi
e di redazione del Dvr - operano alla condizione della presenza di un lavoratore
(subordinato od equiparabile), senza alcuna condizione di esclusione dagli obblighi
di legge correlata alla tipologia dell'attività di lavoro esercitata.
53. Nel caso di un lavoro edile, ad esempio la realizzazione della
pavimentazione di una rampa per la quale il Comune non ha richiesto nessun
documento (né Dia né permesso di costruire), affidato a una sola azienda il
committente o il responsabile dei lavori devono ottemperare solo all'articolo
90, comma 9; non è richiesto Duvri, Pos o Dvr per lo specifico cantiere, solo il
rispetto di quanto riportato dell'articolo 95 e 96. Se l'azienda subappalta a uno
o più lavoratori autonomi deve rispettare anche l'articolo 97?
Nel caso in cui in un cantiere temporaneo o mobile, in cui si svolgono lavori edili o
di ingegneria civile, sia presente una sola impresa non sussiste l'obbligo di nomina
dei coordinatori per la progettazione e per l'esecuzione. Restano a carico del
committente gli obblighi previsti dall'articolo 90 commi 1 e 9 del Dlgs 81/2008. A
sua volta, il datore di lavoro dell'unica impresa presente in cantiere, dovrà
adempiere agli obblighi previsti dall'articolo 95 e 96 del citato decreto che prevedono
la redazione del Piano operativo di sicurezza. Nel caso in cui l'unica impresa
presente subappaltasse parte dei lavori a uno o più lavoratori autonomi, essa dovrà
chiedere autorizzazione espressa al committente, valutarne preventivamente
l'idoneità tecnico professionale secondo quanto previsto dal punto 2 dell'allegato
XVII al citato decreto, attuare quanto previsto dall'articolo 97 e prevedere nel
161
proprio Pos anche le specifiche misure per il coordinamento dei lavoratori autonomi
necessario per eliminare o ridurre al minimo i rischi interferenziali derivanti dalla
copresenza, nello stesso spazio e nello stesso tempo, dell'impresa e dei lavoratori
autonomi. Questi ultimi, a loro volta, saranno tenuti al rispetto di quanto previsto
dall'articolo 94 (prima parte del periodo) del Dlgs 81/2008.
54. Con l'entrata in vigore del Dlgs 81/2008 le aziende devono procedere alla
valutazione dei rischi. La normativa sulla sicurezza prevede un periodo
transitorio per le aziende al di sotto dei 10 dipendenti in cui possono anche
non ottemperare alla normativa sulla sicurezza e in particolare alla
predisposizione della documento di valutazione dei rischi limitandosi a
predisporre questa autocertificazione? Nel caso l'azienda ottemperi
all'adempimento dell'autocertificazione, ma di fatto non provveda alla
valutazione dei rischi, è in regola con la normativa sulla sicurezza? In caso di
eventuali controlli è soggetta a sanzione?
In riferimento al quesito, si ricorda che l'articolo 29, comma 5, del Dlgs 81/2008
chiede ai datori di lavoro delle imprese che occupano fino a 10 lavoratori di
effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate (che
vanno a sostituire l’autocertificazione). Applicando queste ultime il legislatore ha
soltanto voluto agevolare l'obbligo per le piccole imprese della redazione formale
scritta del documento di valutazione dei rischi. Gli obblighi di legge per la tutela
della salute e della sicurezza dei lavoratori devono sempre essere attuati e sono
condizione minima ma irrinunciabile per la legittimità dell'esercizio dell'attività
imprenditoriale. Quindi, resta fermo l'obbligo, anche per il datore di lavoro delle
imprese che occupano fino a 10 lavoratori, di procedere sempre alla valutazione dei
rischi al fine di verificare la conformità alle norme di legge vigenti e gli eventuali
interventi per l'eliminazione (ove possibile) o la riduzione al minimo dei rischi
presenti durante l'esecuzione dell'attività lavorativa. Se ciò non venisse
concretamente fatto, l'azienda si troverà esposta, in caso di verifica ispettiva da
parte degli enti di vigilanza, alle sanzioni previste dall'articolo 55 del Dlgs 81/2008
nonché a tutte le altre sanzioni previste in caso di constatata mancata rispondenza
alla normativa vigente di attrezzature di lavoro, luoghi di lavoro, eccetera.
55. Quali sono i nuovi criteri stabiliti dal Testo Unico a cui deve essere
adeguato il documento di Valutazioni dei Rischi?
Il Datore di Lavoro per effettuare la Valutazione dei rischi (art. 28) di cui all’articolo
17, c. 1, let. a), si deve adeguarsi ai seguenti criteri:
- valutazione dei rischi per la scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o
dei preparati chimici impiegate; nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro
- valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi
quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche
quelli collegati allo stress lavoro-correlato,
- valutazione dei rischi riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza,
- valutazione dei rischi connessi alla differenze di genere, all’età, alla provenienza
da altri Paesi.
56. In caso di nuova attività, quando deve essere effettuata la valutazione dei
rischi?
Il comma 3-bis dell’art. 28 del d.lgs. 81/08 e s.m.i. stabilisce che in caso di
costituzione di nuova impresail datore di lavoro è tenuto ad effettuare
162
immediatamente la valutazione dei rischi elaborando il relativo documentoentro
novanta giorni dalla data di inizio della propria attività.
57. Quali sono i contenuti minimi del Documento unico di valutazione dei
rischi interferenti (Duvri)?
Nella predisposizione del Documento il committente dovrà tener conto delle
sovrapposizioni tra i lavoratori propri e i lavoratori dell'appaltatore e di eventuali
subappaltatori. Il documento dovrà tenere conto dei rischi derivanti da tali
eventuali sovrapposizioni di più attività svolte da operatori diversi, oppure di quelli
immessi nel luogo di lavoro del committente dalle lavorazioni dell'appaltatore. La
presenza del Documento unico di valutazione dei rischi interferenti non esonera
l'appaltatore dal preparare il proprio documento di valutazione dei rischi, che sarà
la base per il conteggio del costo per la sicurezza.
163
Capitolo 8
Svolgimento della sorveglianza sanitaria
164
1. In cosa si sostanzia la sorveglianza sanitaria? E’ possibile disporre
accertamenti preventivi sui lavoratori o esami clinici e biologici?
A norma di quanto disposto dall’art. 41 del D.Lgs 81/08, nel testo integrato dal
D.Lgs 106/09, la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente nei casi
previsti dalla normativa vigente o a richiesta del lavoratore e comprende gli
accertamenti preventivi intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro
cui i lavoratori sono destinati e gli accertamenti periodici per controllare il loro stato
di salute ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. Tali
accertamenti comprendono esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al
rischio ritenuti necessari dal medico competente.
2. Quale ruolo ha il medico competente nell’ambito della sorveglianza
sanitaria? Deve solo eseguire le visite mediche o la sua attività si esplica
anche nella prevenzione primaria?
L'attività del medico competente, soprattutto nella visione delle più recenti leggi in
materia di medicina del lavoro, è molto ampia ed inserita in numerosi contesti
aziendali; non è quindi limitata alla sola esecuzione delle visite mediche, che però
rappresentano il momento più importante di contatto diretto con i singoli lavoratori
nell'ambito della tutela della loro integrità psicofisica. Questi controlli medici, nella
definizione classica della medicina del lavoro, vanno intesi come prevenzione
secondaria, in quanto il loro scopo è quello di fare in modo che eventuali agenti
nocivi, con cui il lavoratore viene a contatto per motivi professionali, non
determinino uno stato di malattia o, quanto meno, che un'eventuale tecnopatia
venga identificata precocemente. La prevenzione primaria è rappresentata da tutte
quelle azioni utili ad evitare l'esposizione del lavoratore agli agenti nocivi; poiché
questa prevenzione non può essere totale, si rendono necessarie le visite mediche
che hanno lo scopo di ottimizzare il rapporto uomo _lavoro e di valutare la
compatibilità tra l'esposizione ai vari fattori di rischio e lo stato di salute dei
lavoratori. Le visite mediche, preventive e periodiche, non vanno quindi viste come
eventuale selezione di soggetti più capaci o resistenti, né, tanto meno, come attività
atta a tutelare interessi estranei al lavoratore o, peggio, riguardanti la sola
produzione.
3. Quali determinazioni può assumere il medico competente qualora ravvisi la
necessità di escludere un lavoratore da determinati rischi?
Qualora, nel corso della visita, il medico competente ravvisi la necessità di
escludere un lavoratore da determinati rischi, dovrà indirizzare il lavoratore stesso
verso un'attività più confacente, oppure consigliare al datore di lavoro l'utilizzo di
particolari precauzioni e l'attuazione di interventi preventivi, adattando quindi il
lavoro all'uomo e non viceversa.
4. In quali casi deve essere effettuata la sorveglianza sanitaria? Qual’è la
normativa di riferimento al riguardo?
La sorveglianza sanitaria, disciplinata dall’articolo 41 (ex art. 16 del D.Lgs
626/1994) è effettuata dal medico competente:
a) nei casi previsti dalla normativa vigente; tali casi vengono periodicamente
aggiornati tramite decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministero del
lavoro, adottato sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico
competente correlata ai rischi lavorativi;
La sorveglianza sanitaria comprende:
165
a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni
al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla
mansione specifica, ivi compresa la verifica di assenza di condizioni di alcol
dipendenza e l’assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti per mansioni
comportanti particolari rischi per la sicurezza e l’incolumità dei terzi;
b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed
esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali
accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di
norma, in una volta l’anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita
dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L’organo di
vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della
sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;
c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico
competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute,
suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di
esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare
l’idoneità alla mansione specifica;
e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla
normativa vigente;
f) visita medica preventiva in fase preassuntiva;
g) visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per
motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di
verificare l’doneità delle mansioni.
5. E’ possibile effettuare visite mediche in fase preassuntiva?
Le visite mediche preventive possono essere svolte in fase preassuntiva, su scelta
del datore di lavoro, dal medico competente o dai dipartimenti di prevenzione delle
ASL. La scelta dei dipartimenti di prevenzione non è incompatibile con le
disposizioni dell’articolo 39, comma 3, del D.Lgs 81/08.
6. E’ possibile effettuare visite mediche per accertare stati di gravidanza?
Le visite mediche non possono essere effettuate per accertare stati di gravidanza e,
comunque, negli altri casi vietati dalla normativa vigente.
7. L’esito delle visite mediche deve essere comunicato al lavoratore o solo al
datore di lavoro? Dove devono essere conservate le risultanze delle visite
mediche?
Le visite mediche, a cura e spese del datore di lavoro, comprendono esami clinici e
biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico
competente. Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria
e di rischio e predisposta su formato cartaceo o informatizzato.
6. Quali sono i giudizi che possono essere espressi dal medico competente al
termine delle visite?
Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche, esprime uno
dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:
a) idoneità;
b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
c) inidoneità temporanea;
d) inidoneità permanente.
Nei casi di cui alle lettere a), b), c) e d) il medico competente esprime il proprio
giudizio per iscritto dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al datore di
lavoro.
166
Nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea vanno precisati i limiti
temporali di validità.
9. E’ possibili proporre ricorso avverso i giudizi espressi dal medico
competente? Se si, in che termini?
Avverso i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase
preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione
del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che
dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca
del giudizio stesso.
10. Quali sono le modalità di esecuzione delle visite nei casi di lavorazioni che
espongono all'azione di agenti chimici, fisici e biologici o che risultano
comunque nocivi?
Nelle lavorazioni che espongono all'azione di agenti chimici, fisici e biologici o che
risultano comunque nocivi, i lavoratori devono essere visitati da un medico
competente prima della loro ammissione al lavoro per constatare se essi abbiano i
requisiti di idoneità al lavoro al quale sono destinati e successivamente, per
constatare il loro stato di salute. Si ricorda che il D.Lgs. n. 81/2008 fa carico al
medico competente di farsi parte attiva nel programmare, oltre che ovviamente
eseguire, la sorveglianza sanitaria obbligatoria per legge. Deve inoltre predisporre
dei protocolli sanitari (visite mediche, visite specialistiche, accertamenti strumentali
e di laboratorio) calibrati sui rischi specifici, non dimenticando comunque lo stato
generale di salute del lavoratore.
11. Qual è la periodicità con cui si devono effettuare le visite mediche?
E' importante osservare come sia stata generalizzata per tutta la sorveglianza
sanitaria l'indicazione ad una periodicità, di norma, annuale, così come era stata
già introdotta per molti rischi specifici (ad esempio il rischio chimico). Ovviamente il
medico competente può stabilire una diversa periodicità, sempre inferiore e sempre
motivata sul DVR. Per quanto riguarda i lavori con rischio di esposizione alle
radiazioni ionizzanti la sorveglianza sanitaria e le relative modalità sono
regolamentate dal D.Lgs. n. 230/1995 che attribuisce al medico competente la
facoltà di effettuare la sorveglianza medica esclusivamente nei confronti dei
lavoratori esposti di categoria B.
12. Cos’è la visita medica preventiva?
La sorveglianza sanitaria comprende la visita medica preventiva intesa a constatare
l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di
valutare la sua idoneità alla mansione specifica (D.Lgs. n. 81/2008, art. 41, comma
2, lett. a)23.
13. In caso di lavoratori esposti alle radiazioni ionizzanti, come viene attivata
la sorveglianza sanitaria? Deve essere disposta la visita medica preventiva?
Il datore di lavoro deve provvedere a che i lavoratori esposti, prima di essere
destinati ad attività che li espongono alle radiazioni ionizzanti, siano sottoposti a
visita medica a cura del medico addetto alla sorveglianza medica. Il datore di lavoro
deve altresì rendere edotto il medico, all'atto della visita, della destinazione
lavorativa del soggetto, nonché dei rischi, ancorché di natura diversa da quella
radiologica, connessi a tale destinazione. La visita medica preventiva deve
Si ricorda che l’art. 32 del D.L. 30/12/08, n. 207, convertito dalla legge 27/02/09, n. 14 (G.U. n. 49 del
28/2/2009), ha prorogato al 16 maggio 2009 la disposizione relativa al divieto di effettuare le visite mediche in fase
preassuntiva (anche per tale fattispecie era già stato previsto dalla L. 2 agosto 2008 n. 129 un primo differimento al
1° gennaio 2009). Il divieto è stato poi definitivamente abolito dal decreto correttivo.
23
167
comprendere una anamnesi completa, dalla quale risultino anche le eventuali
esposizioni precedenti, dovute sia alle mansioni esercitate sia a esami e trattamenti
medici, e un esame clinico generale completato da adeguate indagini specialistiche
e di laboratorio, per valutare lo stato generale di salute del lavoratore (D.Lgs. n.
230/1995, art. 84). Nel riportare, a titolo di esempio, le prescrizioni in merito alla
visita preventiva per alcuni rischi di diversa natura, si vuole soffermare l'attenzione
sullo scopo principale di questi accertamenti: quello cioè di controllare lo stato di
salute generale del lavoratore e la presenza di eventuali malformazioni o malattie
che lo rendano più suscettibile di danno in conseguenza dei rischi cui sarà esposto.
Nel corso della visita il medico dovrà anche prestare una particolare attenzione nel
raccogliere l'anamnesi lavorativa per annotare eventuali precedenti esposizioni allo
stesso o ad altri rischi che possano presentare sinergismi d'azione, oppure essere
motivo di confondimento medico legale nel caso si manifesti in futuro una malattia
professionale. E' quindi essenziale che il medico competente sia stato
preventivamente informato dal datore di lavoro sui rischi cui sarà esposto il
lavoratore, possibilmente tramite una scheda di destinazione lavorativa e
sopralluoghi nei posti di lavoro, in modo da individuare gli organi critici e
soffermarsi maggiormente su di essi nel corso della visita e stabilire gli accertamenti
complementari ritenuti più utili. La visita medica preventiva rappresenta
sicuramente un momento delicato della sorveglianza sanitaria cui sarà sottoposto il
lavoratore: un errore di valutazione in questo momento può essere foriero di gravi
conseguenze qualora determini l'esposizione ad un rischio specifico di un soggetto
che, per le sue caratteristiche psicofisiche, presenti una minore capacità di
sopportare il rischio stesso. E' ovvio che una visita medica deve essere considerata
preventiva ad ogni variazione dell'attività lavorativa o, comunque, dell'esposizione al
rischio, in quanto ogni visita medica è eseguita per rischi ben definiti e il
conseguente giudizio d'idoneità è emesso per un lavoro specifico.
14. Oltre alle visite preventive, sono previste anche visite periodiche? Se si,
come deve essere effettuata?
Il medico competente deve eseguire accertamenti periodici per controllare lo stato di
salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica
(D.Lgs. n. 81/2008, art. 41, comma 2, lett. b) con le periodicità previste per i singoli
rischi. Lo scopo è quello di cogliere fin dall'inizio i sintomi di malattie attribuibili ad
eventuali esposizioni lavorative, al fine di allontanare i soggetti dal rischio; questa è
però una misura cautelativa tardiva, ben lontana dal concetto attuale di protezione
dei lavoratori, e indice di un fallimento dei sistemi di prevenzione primaria. La visita
riveste comunque una particolare importanza in relazione alla finalità di segnalare
al datore di lavoro le carenze riscontrate e procedere quindi ad una nuova
valutazione dei rischi e dei sistemi di prevenzione con sicuri benefici per la
collettività.
Anche la visita periodica deve essere eseguita con la metodologia utilizzata per la
visita preventiva: valutare cioè l'idoneità del lavoratore a continuare ad essere
esposto al rischio senza pregiudizio per la propria salute. In questa occasione sarà
inoltre possibile controllare la correttezza delle valutazioni effettuate nel corso dei
precedenti accertamenti e la validità dei giudizi di idoneità formulati, e provvedere
alle eventuali correzioni. Le visite mediche sono straordinarie quando, pur essendo
eseguite nel contesto di una sorveglianza sanitaria già in atto, non rispettano la
periodicità stabilita; è questo il caso delle visite eseguite su lavoratori
precedentemente giudicati non idonei, per una loro eventuale riammissione, oppure
nel caso in cui il medico addetto alla sorveglianza medica decida la prosecuzione
della sorveglianza medica anche dopo la cessazione dell'esposizione al rischio da
radiazioni ionizzanti (D.Lgs. n. 230/1995, art. 85).
168
15. Cosa si intende per visita straordinaria?
Va considerata inoltre come visita straordinaria anche la visita conclusiva alla
cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente che, oltre
che prevista dall'art. 41, comma 2, lett. e), è sottintesa anche nell'obbligo che
incombe al medico competente di fornire informazioni, nel caso di esposizione ad
agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti
sanitari anche dopo la cessazione. Per le radiazioni ionizzanti è invece
espressamente statuito che il datore di lavoro deve far sottoporre a visita medica il
lavoratore prima della cessazione del rapporto. In tale occasione il medico deve
fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da
osservare (D.Lgs. n. 230/1995, art. 85, comma 5).
16. E’ fatto obbligo al medico competente di effettuare le visite mediche su
richiesta del lavoratore?
Il medico competente effettua le visite mediche richieste dal lavoratore qualora tale
richiesta sia correlata ai rischi professionali (D.Lgs. n. 81/2008, art. 41, comma 2,
lett. c). E' degno di nota considerare che essendo tale tipo di visita inserita nel
contesto della sorveglianza sanitaria, è fuor di dubbio che anche essa debba
concludersi con un giudizio di idoneità.
17. Cos’è la visita medica eccezionale?
Questo tipo di visita è prevista per i lavori con esposizione a rischi da radiazioni
ionizzanti; infatti il datore di lavoro deve anche provvedere a che siano sottoposti a
visita medica eccezionale, da parte di un medico autorizzato, i lavoratori che
abbiano subito una esposizione a radiazioni ionizzanti tale da comportare il
superamento dei valori stabiliti. Deve altresì provvedere a che i lavoratori in
questione siano sottoposti a sorveglianza medica eccezionale, comprendente in
particolare i trattamenti terapeutici, il controllo clinico e gli esami, che siano
ritenuti necessari dal medico autorizzato a seguito dei risultati della visita medica.
Le successive condizioni di esposizione devono essere subordinate all'assenso del
medico autorizzato (D.Lgs. n. 230/1995, art. 91, comma 2). Una analoga visita,
anche se non qualificata espressamente, è prevista per i lavori con esposizione al
piombo: quando la piombemia individuale supera il valore di 60 mg di piombo per
100 ml di sangue, o 40 mg Pb/100 ml di sangue per le lavoratrici in età fertile. Solo
per alcuni dei rischi lavorativi, sia fisici che chimici o biologici, è previsto un
controllo di tipo eccezionale in caso di superamento di certi parametri, a meno che
non si tratti di eventi accidentali; è comunque buona norma prevedere, qualora si
abbia la certezza o anche solo il sospetto di una sovraesposizione ad agenti nocivi,
l'esecuzione di accertamenti straordinari immediati mirati sugli effetti specifici
attesi. In caso di agenti che siano caratterizzati da effetti patologici tardivi, gli
accertamenti suddetti continueranno per il tempo ritenuto necessario.
18. Cosa sono gli accertamenti sanitari? In cosa consistono?
Gli accertamenti sanitari comprendono esami clinici e biologici ed indagini
diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente (D.Lgs. n.
81/2008, art. 41, comma 4) che può avvalersi, per motivate ragioni, della
collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne
sopporta gli oneri (D.Lgs. n. 81/2008, art. 39, comma 5). La moderna medicina non
può prescindere dall'utilizzo di ausili diagnostici; anche in medicina del lavoro
quindi, le visite mediche non possono essere limitate ad un semplice esame
obiettivo del lavoratore _ peraltro sempre indispensabile per un approccio diretto _
ma devono comprendere anche tutti quegli accertamenti ritenuti indispensabili
(secondo la valutazione professionale del medico competente) per effettuare una
corretta prevenzione dai rischi lavorativi. Per alcuni rischi specifici la legge prevede
169
un protocollo minimo di esami specialistici obbligatori; in altri casi è lasciata invece
al medico competente la valutazione sulla necessità dei suddetti esami.
19. Quali sono gli accertamenti da eseguire in caso di rischi da radiazioni
ionizzanti?
Per quanto riguarda i rischi da radiazioni ionizzanti, non vengono indicati i tipi di
accertamenti da eseguire, in quanto i possibili effetti lesivi sono molti e dipendono
dal tipo di rischio specifico; viene però sancita l'obbligatorietà dell'effettuazione di
indagini complementari nel corso della visita medica preventiva che deve
comprendere adeguate indagini specialistiche e di laboratorio (D.Lgs. n. 230/1995,
art. 84, comma 3), mentre le visite mediche periodiche sono integrate da tali
indagini solo ove necessario (D.Lgs. n. 230/1995, art. 85, comma 1). La medicina
del lavoro è una branca medica che prevede lo studio di tutti gli organi ed apparati
del corpo umano; è ovvio quindi che in alcuni casi il medico competente, oltre al
ricorso ad accertamenti di laboratorio o strumentali, debba richiedere la
collaborazione di colleghi specialisti. In tal caso la scelta dei medici specialisti è
lasciata al datore di lavoro, che deve sopportare l'onere della spesa; non va però
dimenticato che tali professionisti devono godere della massima fiducia del medico
competente, dovendo egli formulare le proprie conclusioni anche sui loro giudizi
diagnostici; è bene quindi che la scelta dei collaboratori sia effettuata di comune
accordo. E' doveroso ricordare infine che le valutazioni conclusive ed il conseguente
giudizio d'idoneità sono di competenza esclusiva del medico del lavoro, che ha la
visione d'insieme dello stato di salute del lavoratore in rapporto ai rischi lavorativi, e
non dei singoli specialisti, che devono limitare la propria opera ad una diagnosi
inerente la propria specialità ed a fornire consulenza al medico competente sulla
base di precisi quesiti.
20. E’ obbligo del medico competente comunicare gli esiti della visita medica?
L’obbligo, eventualmente, vale per tutti i giudizi di idoneità?
Come conclusione della visita medica il medico deve comunicare per iscritto al
datore di lavoro il giudizio d'idoneità, qualunque esso sia (D.Lgs. n. 81/2008, art.
41, comma 8) e non più solo in caso di inidoneità, come prevedeva il D.Lgs. n.
626/1994; è obbligatorio precisare, in caso di inidoneità temporanea, i limiti
temporali di validità (D.Lgs. n. 81/2008, art. 41, comma 8); è inoltre opportuno
indicare chiaramente eventuali prescrizioni o limitazioni.
21. In caso di visite svolte su lavoratori esposti a rischi da radiazioni
ionizzanti, è obbligo del medico competente comunicare gli esiti della visita
medica? L’obbligo, eventualmente, vale per tutti i giudizi di idoneità?
Anche per i rischi da radiazioni ionizzanti il medico comunica per iscritto al datore
di lavoro il giudizio di idoneità ed i limiti di validità del medesimo (D.Lgs. n.
230/1995, art. 84, comma 5). Particolarmente importanti sono le informazioni
relative all'evidenza di anomalie o malattie riscontrate in gruppi omogenei di
lavoratori in quanto, in conseguenza di queste osservazioni, il datore di lavoro può
effettuare una nuova valutazione del rischio e, ove sia tecnicamente possibile, una
misurazione della concentrazione dell'agente in aria per verificare l'efficacia delle
misure adottate. Queste informazioni, che rappresentano un obbligo per il medico
competente in caso di esposizione a determinati agenti nocivi quali i cancerogeni o
mutageni (D.Lgs. n. 81/2008, art. 242, comma 4) ed i biologici (D.Lgs. n. 81/2008,
art. 279, comma 3), dovrebbero comunque essere fornite tutte le volte che, per
qualsiasi tipologia di rischio, vengano evidenziate anomalie che facciano sospettare
una difettosa prevenzione primaria.
170
22. Il medico competente o il datore di lavoro hanno particolari obblighi di
informazione nei confronti dei lavoratori sottoposti a visita medica? Come
possono essere assolti tali obblighi?
Anche nei confronti del lavoratore uno dei principali obblighi di informazione è
quello relativo al giudizio d'idoneità, che deve essere sottoscritto dal lavoratore sulla
cartella sanitaria e di rischio oppure sul documento sanitario personale. La
comunicazione al lavoratore potrebbero intendersi assolta con la suddetta firma,
ma, considerando soprattutto che il lavoratore deve essere inoltre informato sul suo
diritto di effettuare ricorso avverso il giudizio stesso, è opportuno inviare anche a lui
copia del giudizio. Il medico competente fornisce informazioni ai lavoratori sul
significato degli accertamenti sanitari cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione
ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti
sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta l'esposizione a tali
agenti; informa inoltre ogni lavoratore interessato dei risultati degli accertamenti
sanitari e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria
(D.Lgs. n. 81/2008, art. 25, comma 1, lett. g) e h). In caso di esposizione a
radiazioni ionizzanti, il medico, nell'ambito della visita, illustra al lavoratore esposto
il significato delle dosi ricevute, delle introduzioni di radionuclidi, degli esami medici
e radiotossicologici (D.Lgs. n. 230/1995, art. 84, comma 6) e, prima della
cessazione del rapporto di lavoro, deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni
relative alle prescrizioni mediche da osservare (D.Lgs. n. 230/1995, art. 85, comma
5).
23. Il medico competente o il datore di lavoro hanno particolari obblighi di
informazione nei confronti dei lavoratori sottoposti a visita medica in quanto
esposti ad agenti biologici? Come possono essere assolti tali obblighi?
Per quanto riguarda gli agenti biologici, il medico competente deve fornire ragguagli
sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione (D.Lgs. n.
81/2008, art. 279, comma 5). Una corretta sorveglianza sanitaria prevede uno
stretto rapporto di fiducia tra il medico competente e il lavoratore e molto spesso,
considerando il carattere squisitamente preventivo delle visite, è proprio nel corso di
queste che sono diagnosticati problemi sanitari asintomatici che non verrebbero
altrimenti evidenziati. Proprio per questo motivo è essenziale una corretta ed
approfondita informazione da parte del medico che aiuti il lavoratore a comprendere
tutti i contenuti della sorveglianza sanitaria ed effettuare un'utile informazione al
medico curante. Si ricorda infine che al lavoratore, al momento della risoluzione del
rapporto di lavoro e comunque in ogni momento dietro sua richiesta, deve essere
consegnata copia della cartella sanitaria e di rischio ovvero del documento sanitario
personale (D.Lgs. n. 626/1994, art. 25, comma 1, lett. e) e D.Lgs. n. 230/1995, art.
90, comma 2).
24. Quali obblighi ha il medico competente verso il rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza?
In considerazione del ruolo assegnato ai rappresentanti dei lavoratori per la
sicurezza, è stato introdotto l'obbligo per il medico competente di fornire loro
(ovviamente in forma anonima) informazioni sul significato degli accertamenti
sanitari cui sono sottoposti i lavoratori e, nel caso di esposizione ad agenti con
effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche
dopo la cessazione dell'attività che comporta l'esposizione a tali agenti; inoltre il
medico comunica, in occasione delle riunioni periodiche di prevenzione e protezione
dai rischi, ai rappresentanti per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi degli
accertamenti clinici e strumentali effettuati e fornisce indicazioni sul significato di
detti risultati (D.Lgs. n. 81/2008, art. 25, comma 1, lett. g) e i).
171
25. Quali sono le modalità di formulazione del giudizio d'idoneità da parte del
medico competente?
Le modalità di formulazione del giudizio d'idoneità sono così riassunte:
- il medico competente esprime i giudizi di idoneità alla mansione specifica al
lavoro;
- il medico competente fornisce informazioni ai lavoratori, nel caso di
esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di
sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che
comporta l'esposizione a tali agenti;
- il medico competente comunica sempre per iscritto il giudizio di idoneità al
datore di lavoro ed al lavoratore.
La lettura combinata di questi punti sopraesposti permette di evidenziare i possibili
giudizi di idoneità formulabili quale esito di una visita preventiva o periodica:
a) idoneità;
b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
c) inidoneità temporanea;
d) inidoneità permanente.
26. Quali sono i giudizi di idoneità formulabili quale esito di una visita
preventiva o periodica in caso di radiazioni ionizzanti?
Per quanto riguarda le radiazioni ionizzanti, il D.Lgs. n. 230/1995 indica dei giudizi
lievemente diversi: non è prevista la non idoneità temporanea, ma è data possibilità
al medico addetto alla sorveglianza medica di proporre il reinserimento del
lavoratore al cessare dei motivi di non idoneità; di fatto quindi questa
continuazione della sorveglianza medica può essere interpretata come una non
idoneità temporanea fino a nuova comunicazione del medico.
Sempre per quanto riguarda le radiazioni ionizzanti, al termine di una attività a
rischio è previsto che il medico possa emettere il seguente giudizio: lavoratori
sottoposti a sorveglianza medica dopo la cessazione del lavoro che li ha esposti alle
radiazioni ionizzanti. Si configura in questo caso, a differenza di quanto sancito dal
D.Lgs. n. 81/2008, un obbligo di prosecuzione degli accertamenti sanitari.
27. Quali obblighi ha il datore di lavoro in caso, all’esito della visita medica, il
medico competente formuli un giudizio di inidoneità alla mansione specifica?
Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo
1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6 del D.Lgs 81/08
indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla
mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in
difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni
di provenienza.
28. Il giudizio di idoneità deve essere trasmesso anche al lavoratore? Esistono
particolari forme di comunicazione?
I giudizi formulati dal medico competente devono essere trasmessi per iscritto di
volta in volta al lavoratore ed al datore di lavoro per gli eventuali adempimenti di
competenza e costituiscono prova dell'avvenuta esecuzione delle relative visite
mediche; pertanto è raccomandabile che, fatto salvo l'obbligo di inviare un
eventuale giudizio di non idoneità, venga comunque trasmesso sempre anche il
giudizio di idoneità. Essendo questo un obbligo sanzionato, è bene che il medico
conservi prova dell'avvenuta trasmissione: raccomandata AR o verbale di
ricevimento sottoscritto dai destinatari in caso di consegna a mano. In molti casi gli
organi di vigilanza hanno ritenuto sufficiente il report di una trasmissione via fax
allegata a copia del giudizio di idoneità o, nel caso di pubblica amministrazione,
l'indicazione del numero di protocollo interno.
172
29. E lecito formulare giudizi di idoneità in fase di visita preventiva?
In caso di visita preventiva, trattandosi di lavoratori per i quali non è ancora
possibile un'esposizione al rischio, è meglio che il medico competente si astenga dal
formulare il giudizio di idoneità fino alla cessazione di una eventuale situazione
morbosa presente o fino al completamento di eventuali ulteriori accertamenti.
All'atto pratico, qualora si preveda di dover prolungare oltre un certo tempo questa
situazione di "assenza di giudizio", può essere utile che il medico, nel rispetto del
segreto professionale, comunichi al datore di lavoro tale evenienza. Anche in caso di
visita periodica, qualora l'esecuzione di accertamenti complementari o eventuali
dubbi diagnostici non permettano di formulare in tempi brevi il giudizio d'idoneità,
è consigliabile che il medico ne dia comunicazione al datore di lavoro proponendo
anche, se ritenuta necessaria, una temporanea non idoneità fino all'emanazione del
giudizio definitivo. Nel giudizio di idoneità devono essere anche precisati i limiti di
validità del giudizio stesso; tali limiti possono essere intesi come temporali in
quanto le varie leggi prevedono una diversa periodicità per diverse attività
lavorative.
30. In caso di inidoneità al lavoro, quali obblighi ha il medico competente?
Nonostante l'ovvietà del giudizio di non idoneità, è bene che il medico ribadisca
l'obbligo di allontanamento dal rischio del lavoratore non idoneo; considerando
inoltre che ogni successiva esposizione lavorativa può avere gravi conseguenze sulla
salute del lavoratore e comportare quindi gravi responsabilità penali, tale
comunicazione deve essere effettuata nel più breve tempo possibile e va ribadita la
necessità di un intervento immediato. E' importante prevedere anche una proposta
di reinserimento, in occasione della cessazione di un eventuale periodo di non
idoneità; per tale motivo il medico può predisporre la prosecuzione della
sorveglianza medica e, in occasione di ogni visita, motivare dettagliatamente il
giudizio di idoneità. Solo nel caso in cui il medico reputi che la non idoneità sia
permanente può, se non sussistono altre motivazioni di ordine clinico, sospendere
la sorveglianza medica.
31. Quali sono le caratteristiche della sorveglianza sanitaria e, in particolare,
dei giudizi di idoneità nel caso di lavoratori esposti ad agenti nocivi?
La sorveglianza sanitaria svolta su lavoratori esposti ad agenti nocivi che possono
determinare danni alla salute a distanza nel tempo e la cui comparsa sia soggetta a
probabilità statistica, quali ad esempio i cancerogeni o le radiazioni ionizzanti,
presenta, com’è evidente, elementi di maggiore complessità. La formulazione del
giudizio d'idoneità è più difficile proprio perché non è possibile stabilire a priori una
diretta correlazione esposizione_danno. In linea di massima, si può affermare che
ogni possibile cautela deve essere attuata verso quei soggetti i cui parametri clinico
biologici, importanti nei riguardi dei rischi specifici, si allontanino in misura
significativa da quelli del cosiddetto "uomo standard" o "uomo di riferimento".
Poiché i parametri protezionistici (TLV, limiti di dose, ALI, ecc.) sono stati elaborati
per l'uomo standard, tali scostamenti dalla norma potrebbero far sì che il rischio
"accettabile" per l'uomo di riferimento, divenga "inaccettabile" per i soggetti che
presentino scostamenti significativi dalla norma. La formulazione del giudizio di
idoneità per i lavoratori esposti al rischio da cancerogeni e radiazioni ionizzanti
deve ovviamente tenere conto dei possibili effetti stocastici connessi appunto a tale
rischio.
Le caratteristiche di tali effetti sono le seguenti:
- La dipendenza dalla dose è relativa alla frequenza di comparsa e non alla
gravità ("legge della tutto o nulla")
173
-
Relazione dose-effetto di tipo lineare con estrapolazione passante per l'origine
(ipotesi conservativa: la mancanza di soglia di dose è una ipotesi
scientificamente accettabile, ma non ha accertata)
Induzione per danno ad una cellula o a poche cellule
Latenza lunga o molto lunga
Assenza di reversibilità (diversa, ovviamente, dall'assenza di curabilità)
Aspecificità (questi effetti sono indistinguibili dagli analoghi ad incidenza
"spontanea" nella popolazione umana)
Dimostrazione attraverso il confronto statistico tra popolazioni esposte al rischio
e popolazioni di controllo
Attribuzione dell'effetto nel singolo caso su base probabilistica.
32. Quali sono i criteri clinici che potrebbero motivare un giudizio medico di
non idoneità o di idoneità con limitazioni e/o prescrizioni in caso di
esposizione a radiazioni ionizzanti?
Secondo le indicazioni, ormai classiche, elaborate per le radiazioni ionizzanti, in via
estremamente sintetica, è possibile schematizzare in quattro gruppi i più
importanti criteri clinici che potrebbero motivare un giudizio medico di non idoneità
o di idoneità con limitazioni e/o prescrizioni.
1. Il primo gruppo comprende quelle condizioni cliniche suscettibili di essere
confuse con (o attribuite a) danni da esposizione al rischio specifico (anemie
croniche, leucopenie, leucocitosi persistenti, trombocitopenie, ecc.).
2. Il secondo gruppo si riferisce a quelle forme morbose capaci di favorire
l'assorbimento e/o la ritenzione di agenti nocivi (dermatiti, deficit dei vari emuntori:
polmoni, fegato, reni, ecc.)
3. Il terzo gruppo riguarda condizioni cliniche che possono porre problemi di ordine
terapeutico, ad esempio nel trattamento medico chirurgico di eventi accidentali con
contaminazione con l'agente nocivo (dermatosi croniche, infiammazioni croniche
delle mucose, ecc.).
4. Il quarto gruppo comprende condizioni cliniche virtualmente suscettibili di
essere attivate o aggravate dall'esposizione all'agente nocivo (poliglobulie, stati
preleucemici, lesioni precancerose, ecc.).
33. La visita medica preventiva, introdotta dal Dlgs 81/2008 in caso di
attività lavorativa considerata pericolosa dalla normativa sulla sicurezza, deve
essere effettuata prima dell’inizio dell’attività lavorativa o può essere
effettuata anche qualche giorno dopo? Nel caso venga effettuata
successivamente all’assunzione, sono previste sanzioni?
La visita medica preventiva di cui all’articolo 41, comma 2, lettera a) del Dlgs n.
81/2008 intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore
è destinato, al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica, è effettuata di
regola dopo l’assunzione, ma prima dell’inizio dell’attività lavorativa. In caso di
inosservanza, è prevista la sanzione dell’arresto fino a due mesi o dell’ammenda da
1.000 a 4.500 euro.
34. Come devono essere condotti da parte del medico competente gli
accertamenti sull'uso di alcol in ambiente di lavoro (per le mansioni a rischio
previste dalla legge) ?Attraverso l'audit test ed altre pratiche non invasive in
prima istanza o direttamente attraverso prelievi di sangue atti a rilevare il
tasso alcolemico?In caso di analisi invasive (prelievo sangue) è necesario il
consenso da parte del lavoratore?
I controlli alcolimetrici sul luogo di lavoro, previsti dall’articolo 15 della legge 30
marzo 2001, n. 125 (legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati), e
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dall’ Intesa della conferenza Stato-Regioni del 16 marzo 2006, sono quelli clinici, a
fini diagnostici. Detti controlli rientrano nella competenza esclusiva del medico
competente, ai sensi dell'articolo 2 comma 1, lettera h), del Dlgs 81/2008, nonché
dei medici del lavoro dei servizi ispettivi della Ausl, con funzioni di vigilanza ex
articolo 13 del Dlgs 81/2008.La legge 125/2001 non richiede esplicitamente il
consenso dell’interessato a sottoporsi ai controlli; di talché, avuto riguardo alle
indicazioni offerte dalla Corte costituzionale in tema di analisi per l’accertamento
dell’infezione da Hiv (gli accertamenti sanitari rivolti ad accertare l’assenza della
patologia, sia pure nel rispetto della dignità della persona e della privacy, sono
“condizione per l'espletamento di attività che comportano rischi per la salute dei
terzi”: Corte costituzionale, sentenza 2 giugno 1994, n. 218), il rifiuto ingiustificato
del lavoratore (comunque non coercibile) è sanzionabile disciplinarmente e con il
mutamento delle mansioni coinvolgenti la sicurezza di terzi, e, nei casi più gravi,
con la risoluzione del rapporto di lavoro.
35. Se il medico aziendale prescrive ai dipendenti delle visite specialistiche,
chi ne sopporta il relativo onere economico? Nel caso in cui sia a carico del
datore di lavoro, di quali strutture puo' avvalersi?
Il medico competente puo' avvalersi, per motivate ragioni, della collaborazione
di medici specialisti scelti dal datore di lavoro che ne sopporta gli oneri. Il datore di
lavoro puo' fare ricorso sia a strutture pubbliche che private.
36. Il decreto legislativo 81/08 prevede che <la sorveglianza sanitaria e'
effettuata nei casi previsti dalla normativa vigente. Si chiede quali sono
in dettaglio questi casi e i relativi riferimenti legislativi, e inoltre se la
sorveglianza riguarda anche piccole aziende a conduzione familiare e studi
professionali con un solo dipendente.
In primo luogo, occorre rilevare che la sorveglianza sanitaria riguarda tutti i
casi esposti. Si deve organizzare la sorveglianza sanitaria e nominare il medico
competente prevalentemente in relazione ai rischi sottoindicati.
A) Lavorazioni industriali che espongono all'azione di sostanze tossiche o infettanti
o che risultano comunque nocive: visite mediche preventive e periodiche
B) Rischi amianto, piombo, rumore
C) Rischio silicosi
Aree di rischio: 1) dispositivi di protezione individuale; 2) movimentazione
manuale dei carichi; 3) videoterminali 4) agenti cancerogeni; 5) agenti biologici.
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