Il controllo chimico della placca nella terapia delle malattie

20 Industry Report
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Implant Tribune Italian Edition - Maggio 2014
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Il controllo chimico della placca nella terapia delle
malattie parodontali e perimplantari placca-indotte
Giuseppe Pizzo
Dipartimento di Discipline Chirurgiche, Oncologiche e Stomatologiche, Università degli Studi di Palermo
Le patologie infettive che colpiscono
i tessuti parodontali e perimplantari
hanno un comune primum movens
eziopatogenetico: l’accumulo di
placca batterica a livello marginale.
La placca batterica presenta tutte
le caratteristiche proprie di un bioilm; si tratta, infatti, di un aggregato di cellule microbiche adese a una
supericie e incluse in una matrice
polimerica extracellulare da esse
prodotta. Come tutti i bioilm, la
placca batterica è caratterizzata da
eterogeneità strutturale e interazioni biologiche complesse fra le specie
batteriche in essa incluse.
Subito dopo la detersione meccanica
delle superici dentarie o implantoprotesiche, si veriica la precipitazione di una pellicola composta prevalentemente da glicoproteine salivari
che mediano la successiva adesione
dei batteri orali a tali superici. I colonizzatori precoci della pellicola
sono rappresentati da specie aerobie
Gram-positive, appartenenti al genere Streptococcus e Actinomyces, con
metabolismo saccarolitico; tali specie, infatti, utilizzano come substrato energetico i carboidrati semplici
introdotti con la dieta. La mancata
rimozione della placca determina
un aumento del suo spessore, con
diminuzione della concentrazione
di ossigeno e dei nutrienti provenienti dal cavo orale negli strati più
profondi.
Le mutate condizioni ambientali inducono una progressiva variazione
della composizione del bioilm, soprattutto nella porzione che si estende sotto il margine gengivale (placca
sottogengivale). In questa sede, che
rappresenta una nicchia ecologica
dove i fattori antimicrobici salivari non hanno accesso, compaiono,
e si espandono progressivamente,
specie anaerobie facoltative e anaerobie obbligate, in prevalenza Gramnegative, caratterizzate da un metabolismo asaccarolitico; tali specie,
infatti, utilizzano come substrato
energetico proteine presenti nel luido del solco gengivale o della tasca
parodontale.
La presenza di batteri Gram-negativi
nella placca sottogengivale induce,
nell’arco di pochi giorni, un processo iniammatorio che si estrinseca,
dal punto di vista clinico, in una
gengivite marginale; tale processo,
se non adeguatamente trattato, può
evolvere in parodontite cronica, patologia che si estende anche ai tessuti parodontali profondi (connettivo
gengivale, legamento parodontale,
osso alveolare, cemento) determinandone la distruzione irreversibile.
Anche a livello dei tessuti perimplantari, l’accumulo di placca in
sede sopra- e sottogengivale induce
la comparsa di patologie placcaindotte: la mucosite perimplantare,
reazione iniammatoria reversibile
dei tessuti molli perimplantari che
non determina perdita di osso, e la
perimplantite, processo iniammatorio a carico dei tessuti perimplantari che si estende anche alla struttura ossea di sostegno di un impianto,
determinandone il riassorbimento.
Un corretto e costante controllo domiciliare della placca rappresenta
un requisito indispensabile per la
prevenzione della malattia parodontale; la letteratura scientiica ha altresì dimostrato che il successo della
terapia parodontale può essere ottenuto e mantenuto soltanto in presenza di un ottimo controllo di placca batterica da parte del paziente. In
presenza di impianti osteointegrati,
la mancata rimozione domiciliare
della placca aumenta in modo signiicativo il rischio di insorgenza delle
patologie iniammatorie perimplantari, e, analogamente a quanto dimostrato per le malattie parodontali, il
controllo della placca rappresenta
un momento fondamentale nella terapia delle patologie perimplantari
placca-indotte.
La dificoltà di ottenere e mantenere
elevati livelli di igiene orale ha indirizzato la ricerca in campo odontoiatrico degli ultimi decenni ad individuare agenti chimici antiplacca da
utilizzare, sotto forma di collutori o
dentifrici, in aggiunta alle manovre
di igiene orale domiciliare. Gli agenti
antiplacca attualmente più utilizzati nella pratica clinica appartengono alla categoria degli antisettici,
composti chimici caratterizzati da
attività batteriostatica o battericida, generalmente dose-dipendente,
Fig. 1 - Formula di struttura della clorexidina.
che danneggiano, per contatto, la
membrana batterica o determinano precipitazione dei componenti
citoplasmatici, con effetti di gravità
variabile (dal rallentamento della
duplicazione cellulare ino alla morte del microrganismo).
La clorexidina rappresenta, tra gli
antisettici orali, la molecola più diffusamente prescritta dagli odontoiatri. Per il suo spettro di azione molto
ampio, comprendente anche lieviti
e virus, e soprattutto per la sua elevata sostantività (è attiva nel cavo
orale ino a 12 ore), è considerata il
gold-standard fra gli agenti chimici
antiplacca. È un composto biguanidico, cationico, che presenta nella
sua formula chimica un residuo
guanidinico, responsabile della rapida e persistente adesione a superici
anioniche (idrossiapatite dello smalto, polisaccaridi della parete batterica, mucine salivari), un ponte carbonioso che conferisce alla molecola
spiccate proprietà lipoile (elevata
diffusibilità nei microrganismi) e un
anello cloro-fenilico, che esplica attività biocida ad ampio spettro (Fig.
1). La molecola della clorexidina, per
esplicare l’attività antiplacca, si lega
alle membrane cellulari, alterandone la permeabilità; ha attività batteriostatica o battericida, a seconda
della concentrazione, non ha effetti
collaterali sistemici, poiché non è
assorbita a livello gastro-intestinale,
e anche dopo uso prolungato non
induce resistenze batteriche o superinfezioni. La sua spiccata attività cationica e l’elevata sostantività
sono alla base degli effetti collaterali conseguenti all’uso prolungato:
pigmentazioni su denti, mucose, restauri (precipitazione di cromogeni
anionici della dieta), alterazioni del
gusto e sapore sgradevole, aumento
dell’accumulo di tartaro, erosioni
mucose (poco frequenti), parotidomegalia (rara).
La clorexidina è presente nelle seguenti formulazioni farmaceutiche:
collutorio, spray (per usi localizzati),
dentifricio, gel e vernici (per la prevenzione della carie radicolare).
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Fig. 2 - Il copolimero PVM/MA foma una “rete” sulle superici dentarie permettendo alle molecole di triclosan di esplicare attività batterica prolungata (12 ore). Immagine
cortesemente fornita da Colgate.
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La formulazione più utilizzata è il
collutorio, con concentrazione della
clorexidina pari a 0,2% o 0,12%, con
tempo di sciacquo pari a 30-60 secondi, con 10 o 15 ml di prodotto, rispettivamente; da pochi anni è disponibile
in commercio anche il collutorio contenere clorexidina 0,3%. Lo sciacquo
va effettuato almeno 30 minuti dopo
l’uso di dentifrici contenenti sodiolaurilsolfato, per l’interazione antagonista con questo o altri surfattanti/
detergenti anionici; analoga interazione è nota nei confronti della nistatina. Un’interazione inibente l’attività
antiplacca potrebbe veriicarsi anche
nei prodotti commerciali contenenti
sistemi anti-pigmentazione, sulla cui
piena eficacia permangono ancora
dubbi. L’agente anti-discolorante, infatti, inibisce l’attività pigmentante
della clorexidina legandosi a uno dei
due residui guanidinici, responsabili
del legame con i cromogeni alimentari, ma anche con le superici orali e
batteriche. È noto, inoltre, che i migliori risultati antiplacca si ottengono nel
breve termine, quando le manovre di
igiene orale sono dificili, inadeguate o
impossibili da effettuarsi. Al contrario,
l’utilizzo a lungo termine, per periodi
superiori a 10-15 giorni, è gravato dagli effetti collaterali sopra descritti.
Inoltre, poiché sangue ed essudati iniammatori ne diminuiscono l’attività
antiplacca, la clorexidina è più eficace
quando utilizzata come presidio preventivo, cioè per inibire la formazione
del bioilm su una supericie non ancora colonizzata dai batteri e per conservare lo stato di salute gengivale.
L’associazione luoruro amminicoluoruro stannoso, brevettata negli
anni ‘80 dall’azienda svizzera GABA
e formulata in collutorio o dentifricio
(meridol®), è stata ampiamente studiata per i suoi effetti antiplacca. L’attività antibatterica dell’associazione è
assicurata dallo ione stannoso, stabilizzato mediante inserimento nel polo
idroilo della molecola di luoruro amminico, che ha a sua volta un’attività
antibatterica intrinseca, grazie alla
presenza del luoro e della componente amminica.
I dati provenienti da studi in vitro/in
situ hanno evidenziato importanti effetti inibenti sulla crescita del bioilm
e sulla vitalità delle specie batteriche
in esso contenute; gli studi clinici
hanno indicato un’attività antiplacca
clinicamente signiicativa, inferiore a
quella della clorexidina, ma priva degli effetti collaterali associati all’uso
dell’antisettico biguanidico (pigmentazioni, alterazioni del gusto). Per tali
caratteristiche, l’associazione luoruro
amminico-luoruro stannoso ben si
presta all’utilizzo prolungato, specie
nei pazienti in terapia di mantenimento, nei quali permette di ottenere
un migliore controllo della placca e
della gengivite rispetto a quello ottenuto con la tradizionale igiene orale
meccanica. Trial clinici documentano
inoltre l’eficacia clinica del luoruro
amminico-luoruro stannoso dopo
chirurgia parodontale o implantare, supportandone l’uso alternativo
alla clorexidina in queste situazioni
cliniche, così come l’effetto sinergico
dell’associazione collutorio-dentifricio-spazzolino meridol® sulla riduzio-
ne dell’indice di sanguinamento (62%
rispetto alle misure standard di igiene
orale domiciliare). La posologia d’uso
del collutorio contenente l’associazione luoruro amminico-luoruro stannoso prevede 2 sciacqui giornalieri,
ognuno della durata di 30 secondi, con
10 ml di prodotto non diluito.
Il triclosan è un antisettico fenolico
presente da quasi 50 anni in prodotti
commerciali per l’igiene personale o
l’igiene delle mani in ambiente ospedaliero; dagli anni ’80 è presente nei
dentifrici come agente antiplacca.
È dotato di attività antibatterica ad
ampio spettro d’azione e di proprietà
anti-iniammatorie intrinseche. Il triclosan danneggia la membrana cellulare, inducendo rapidamente la morte
dei microrganismi con cui viene a
contatto, oppure ne inibisce la crescita
interferendo con l’uptake degli amminoacidi; l’attività anti-iniammatoria
è mediata dall’inibizione esercitata
sulla biosintesi delle citochine pro-iniammatorie e dei mediatori logistici,
nonché sull’attività collagenolitica dei
ibroblasti gengivali.
Colgate ha brevettato una speciica
formulazione del triclosan con un
copolimero PVM/MA (Polivinilmetil
etere/acido maleico), che aumenta la
sostantività dell’antisettico ino a 12
ore (Fig. 2). Gli studi disponibili in letteratura documentano altresì effetti
beneici sulla lora sottogengivale,
rallentamento della progressione della parodontite lieve/moderata, riduzione di tartaro, alitosi e carie. È stata
altresì dimostrata l’eficacia del triclosan-copolimero nella riduzione della
perdita di attacco nei giovani, specie
a livello di tasche profonde, e la riduzione degli indici di placca e di logosi,
compreso il sanguinamento, a livello
dei tessuti perimplantari.
L’utilizzo, anche a lungo termine,
del dentifricio contenente triclosan
0,3%-copolimero 2% non è gravato da
nessun effetto collaterale speciico,
come pigmentazione o disgeusia, né
da insorgenza di resistenze o superinfezioni; la sua sicurezza, peraltro, è documentata da più di 80 studi e certiicata da autorità regolatorie negli USA,
in Canada e nell’Unione Europea.
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