tar-lazio-sentenza-n-10765-2014 - Magistratura

N. 10765/2014 REG.PROV.COLL.
N. 08626/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8626 del 2013, proposto dai sig.ri Ezio Di Salvo e Mario
Ferrara, rappresentati e difesi dagli avv.ti Raffaele Izzo, Diego Vaiano e Alessandro Vinci Orlando,
con domicilio eletto presso lo Studio Legale Vaiano - Izzo in Roma, Lungotevere Marzio, 3,
contro
il Ministero dell'economia e delle finanze, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria,
l’Ufficio Elettorale Centrale e l’Ufficio Elettorale Provinciale presso la Commissione Tributaria
Provinciale di Frosinone, tutti rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12, nonché;
nei confronti di
sig.ri Michele Ancona, Lorella Fregnani, Santi Consolo, Massimo Scuffi, Giuliana Passero,
Giuseppe Caracciolo, Giuseppe Savoca, Giuseppe Di Martino, Lucia Picone, Lucio Di Nosse e
Alfredo Montagna rappresentati e difesi dagli avv. Mario Sanino, Carlo Emanuele Gallo ai quali,
per il solo sig. Alfredo Montagna, si sono aggiunti gli avv.ti Alessandro Botto e Silvia Cristina
Victoria Hofmann, con domicilio eletto presso l’avv. Mario Sanino in Roma, v.le Parioli, 180;
per l'annullamento
dell’atto di proclamazione degli eletti del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n.
10674 del 2 luglio 2013, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e collegato, tra cui: la nota
n. 3906 del 20 marzo 2013 del Presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria
recante l’indicazione dei nominativi dei designati a comporre l’Ufficio elettorale centrale; l’atto di
insediamento dell’Ufficio elettorale centrale, ivi compresa l’accettazione delle relative nomine da
parte dei componenti del predetto ufficio (art. 4, comma 1, d.m. n. 184 del 2002); la nota n. 6377
del 30 aprile 2013 del Presidente del Consiglio di Presidenza, recante l’indicazione del sostituto del
dott. Di Martino; il verbale di insediamento dell’Ufficio centrale elettorale a seguito di sostituzione
del componente; il verbale dell’Ufficio centrale elettorale relativo alle attività di verifica delle cause
d’ineleggibilità dei candidati (art. 5, comma 7, d.m. n. 184 del 2002); gli atti e comunicazioni
relative alle operazioni di cui all’art. 5, comma 7, d.m. n. 184 del 2002; la documentazione e/o
comunicazione attestante l’inoltro, da parte dell’Ufficio centrale elettorale, a tutti gli uffici elettorali
locali dei manifesti contenenti l’elenco dei candidati e delle schede elettorali (art. 6, comma 1, d.m.
n. 184 del 2002); l’elenco degli elettori redatto dal Presidente di ciascuna commissione tributaria
(art. 6, comma 1, d.m. n. 184 del 2002); i verbali degli Uffici elettorali regionali e provinciali
relativi alle operazioni preliminari di affissione dei manifesti contenenti l’elenco dei candidati
presso le Commissioni tributarie provinciali e regionali (art. 6, comma 3, d.m. n. 184 del 2002); gli
atti e verbali di insediamento di tutti gli Uffici elettorali provinciali e regionali (art. 4, comma 2,
d.m. n. 184 del 2002); i verbali delle operazioni di voto di tutti gli Uffici elettorali provinciali e
regionali; i verbali delle operazioni di scrutinio di tutti gli Uffici elettorali provinciali e regionali; il
verbale delle operazioni di apertura dei plichi da parte dell’Ufficio elettorale centrale e il verbale di
proclamazione; i verbali relativi alle eventuali operazioni di riconteggio dei voti; i decreti del
Ministero dell’economia e delle finanze dell’8 marzo 2013, del 22 marzo 2013 e del 5 giugno 2013,
nonché
per l’annullamento del diniego di accesso ai documenti di cui alle note nn. 12417 del 31 luglio 2013
e n. 12416 del 31 luglio 2013, nonché
con un primo atto di motivi aggiunti, depositato il 14 gennaio 2014, per l’annullamento
del decreto del Presidente della Repubblica del 31 dicembre 2013, che ha costituito il Consiglio di
Presidenza della Giustizia Tributaria nella nuova composizione, nonché
con un secondo atto di motivi aggiunti, depositato il 13 giugno 2014, per l’annullamento
dei verbali degli Uffici elettorali regionali e provinciali relativi alle operazioni preliminari di
affissione dei manifesti contenenti l’elenco dei candidati presso le Commissioni tributarie
provinciali e regionali; dei verbali di insediamento di tutti gli Uffici elettorali provinciali e
regionali; dei verbali delle operazioni di voto di tutti gli Uffici elettorali provinciali e regionali; dei
verbali delle operazioni di scrutinio di tutti gli Uffici elettorali provinciali e regionali; dei verbali
delle operazioni di apertura dei plichi da parte dell’Ufficio elettorale centrale; del verbale di
proclamazione degli eletti; della nota n. 9280 dell’8 giugno 3013 del Presidente del’Ufficio
Elettorale Centrale.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visto il primo atto di motivi aggiunti notificato il 10 gennaio 2014 e depositato il 14 gennaio;
Visto il secondo atto di motivi aggiunti, notificato il 6 giugno 2014 e depositato il successivo 13
giugno;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'economia e delle finanze del Consiglio di
Presidenza della Giustizia Tributaria, dell’Ufficio Elettorale Centrale e dell’Ufficio Elettorale
Provinciale presso la Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei sig.ri Michele Ancona, Lorella Fregnani, Santi Consolo,
Massimo Scuffi, Giuliana Passero, Giuseppe Caracciolo, Giuseppe Savoca, Giuseppe Di Martino,
Lucia Picone, Lucio Di Nosse e Alfredo Montagna;
Vista l’ordinanza n. 9439 del 5 novembre 2013, con la quale è stata accolta l’istanza di accesso ai
documenti.
Vista l’ordinanza n. 1933 del 18 febbraio 2014, con la quale sono stati disposti incombenti istruttori.
Viste le memorie prodotte dalle parti in causa costituite a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 22 ottobre 2014 il Consigliere Giulia Ferrari; uditi altresì i
difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO
1. Con ricorso notificato in data 1 ottobre 2013 e depositato il successivo 4 ottobre i sig.ri Ezio Di
Salvo e Mario Ferrara hanno impugnato, tra gli altri, l’atto di proclamazione degli eletti del
Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n. 10674 del 2 luglio 2013.
Espongono, in fatto, di essersi candidati in occasione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio di
Presidenza della Giustizia Tributaria ma di non essere risultati eletti. L’ultimo degli eletti ha infatti
ottenuto 443 voti, mentre il dott. Di Salvo 233 voti ed il dott. Ferrara 135 voti. Hanno quindi
interesse a censurare le numerose illegittimità perpetrate durante le operazioni elettorali, a partire
dalle prime fasi del procedimento scandito dal d.m. 19 luglio 2002, n. 184.
2. Avverso i predetti provvedimenti parte ricorrente è insorta deducendo:
a) Violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, ed in particolare per non essere stata
rispettata l’intera tempistica dettata dal d.m. n. 184 del 2002, con la conseguenza, tra l’altro, che è
risultata falsata la campagna elettorale.
I ricorrenti hanno inoltre sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, l. 6
giugno 2013, n. 64, nella parte in cui esclude dall’elettorato attivo i giudici tributari c.d.
soprannumerari (ben 586), ossia quelli risultati idonei all’esito del concorso bandito il 3 agosto 2011
ma fuori del numero dei posti previsti, nonostante gli stessi siano stati immessi in servizio e
nominati componenti le Commissioni tributarie, nonché i giudici componenti della Commissione
tributaria centrale..
3. Con un primo atto di motivi aggiunti, notificato il 10 gennaio 2014 e depositato il successivo 14
gennaio, parte ricorrente ha impugnato il decreto del Presidente della Repubblica del 31 dicembre
2013, che ha costituito il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria nella nuova
composizione.
Avverso tale provvedimento parte ricorrente ha sviluppato i motivi dedotti con l’atto introduttivo
del giudizio.
4. Con un secondo atto di motivi aggiunti, notificato il 6 giugno 2014 e depositato il successivo 13
giugno, parte ricorrente ha impugnato i verbali degli Uffici elettorali regionali e provinciali relativi
alle operazioni preliminari di affissione dei manifesti contenenti l’elenco dei candidati presso le
Commissioni tributarie provinciali e regionali; i verbali di insediamento di tutti gli Uffici elettorali
provinciali e regionali; i verbali delle operazioni di voto di tutti gli Uffici elettorali provinciali e
regionali; i verbali delle operazioni di scrutinio di tutti gli Uffici elettorali provinciali e regionali; i
verbali delle operazioni di apertura dei plichi da parte dell’Ufficio elettorale centrale; il verbale di
proclamazione degli eletti; la nota n. 9280 dell’8 giugno 3013 del Presidente dell’Ufficio Elettorale
Centrale.
Avverso detta ultima nota ed i verbali impugnati parte ricorrente ha dedotto vizi di violazione di
legge.
5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'economia e delle finanze, il Consiglio di Presidenza
della Giustizia Tributaria, l’Ufficio Elettorale Centrale e l’Ufficio Elettorale Provinciale presso la
Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone, che hanno sostenuto l'infondatezza, nel merito,
del ricorso.
6. Si sono costituiti in giudizio i controinteressati sig.ri Michele Ancona, Lorella Fregnani, Santi
Consolo, Massimo Scuffi, Giuliana Passero, Giuseppe Caracciolo, Giuseppe Savoca, Giuseppe Di
Martino, Lucia Picone, Lucio Di Nosse e Alfredo Montagna, che hanno sostenuto l'infondatezza,
nel merito, del ricorso.
7. Con memorie depositate alla vigilia dell’udienza di discussione le parti costituite hanno ribadito
le rispettive tesi difensive.
8. Con ordinanza n. 4278 del 6 novembre 2013 (riformata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato
con ordinanza n. 4933 dell’11 dicembre 2013) è stata accolta l’istanza cautelare di sospensiva.
9. Con ordinanza n. 9439 del 5 novembre 2013 è stata accolta l’istanza di accesso ai documenti.
10. Con ordinanza 18 febbraio 2014, n. 1933 sono stati disposti incombenti istruttori.
11. All’udienza del 22 ottobre 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare il Collegio rileva la tardività del deposito di documentazione effettuato dalle
Amministrazioni resistenti in date 27 agosto, 6 settembre e 25 settembre 2014 e, dunque, oltre i
termini previsti dall’art. 73, comma 1, c.p.a.. I termini di quaranta giorni liberi per il deposito di
documenti, da computarsi a ritroso rispetto all’udienza pubblica, soggiacciono infatti alla
sospensione feriale estiva (Tar Bari, sez. I, 19 ottobre 2011, n. 1552).
Nella pubblica udienza del 22 ottobre 2014 i ricorrenti e i controinteressati hanno però accettato tale
deposito (con dichiarazioni riportate a verbale), rinunciando ai termini a difesa.
2. Come esposto in narrativa i sig.ri Ezio Di Salvo e Mario Ferrara hanno impugnato, tra gli altri,
l’atto di proclamazione degli eletti del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n. 10674
del 2 luglio 2013, essendosi candidati in occasione delle elezioni svoltesi il 23 giugno 2013 senza
però risultare eletti. L’ultimo degli eletti (dott. Di Nosse) ha infatti ottenuto 443 voti mentre il dott.
Di Salvo 233 voti ed il dott. Ferrara 135 voti. Hanno quindi proposto motivi volti a censurare le
numerose illegittimità che sarebbero state perpetrate durante le operazioni elettorali, a partire dalle
prime fasi del procedimento scandito dal d.m. 19 luglio 2002, n. 184, recante il Regolamento sulle
modalità di svolgimento delle operazioni elettorali per la nomina a componente del Consiglio di
Presidenza della Giustizia Tributaria.
Con l’atto introduttivo del giudizio e con i due atti di motivi aggiunti parte ricorrente, partendo
dall’assunto che tutti i termini individuati dal d.m. n. 184 del 2002 hanno natura perentoria,
individua le svariate volte in cui gli stessi sarebbero stati violati, per concludere nel senso
dell’invalidità dell’intera competizione elettorale e, dunque, del suo risultato.
Tale assunto non pare, nella sua generalizzazione, al Collegio condivisibile.
In primo luogo costituisce principio generale dell’ordinamento giuridico, direttamente promanante
da quello di legalità, che i termini stabiliti dalla legge ovvero da altre fonti normative di rango
subordinato devono intendersi come ordinatori, salvo che la legge stessa espressamente li dichiari
perentori ovvero colleghi esplicitamente al loro decorso un qualche effetto decadenziale o
comunque restrittivo (Cons. St., sez. V, 25 settembre 2014, n. 4828). Nel caso all’esame del
Collegio il d.m. n. 184 non definisce mai – né espressamente né indirettamente – la natura dei
termini che introduce.
Occorre dunque fare riferimento alla ratio sottesa al decreto ministeriale, che è di garantire, da un
lato, la par condicio tra i candidati alla competizione elettorale e, dall’altro, il consapevole esercizio
del diritto all’elettorato attivo dei magistrati chiamati ad eleggere i propri rappresentanti
nell’Organo di autogoverno.
Pertanto, a fronte di una norma che non individua direttamente o indirettamente la natura,
ordinatoria o perentoria, del termine da essa stessa introdotto, occorre verificare di volta in volta se
il rispetto di tale termine è posto a garanzia del diritto dell’elettore attivo o passivo. Detto
diversamente, se il mancato rispetto del termine potrebbe, in astratto, ledere il magistrato che deve
esercitare il proprio diritto di voto o quello che si è presentato come candidato.
3. Ciò chiarito, con la prima censura del primo motivo parte ricorrente afferma che illegittimamente
non sarebbero stati rispettati i termini perentori in cui si scandiscono le diverse fasi della procedura,
termini previsti dal d.m. n. 184 e ricordati dall’Ufficio terzo della Direzione della Giustizia
Tributaria del Dipartimento delle finanze nella nota n. 6357 del 5 aprile 2013, inviata a tutte le
“Segreterie delle Commissioni tributarie di ogni ordine e grado”.
Innanzitutto non sarebbe stata rispettata la data del 24 aprile 2013 per l’insediamento della
Commissione elettorale centrale presso il Dipartimento delle finanze (già Dipartimento delle
politiche fiscali del Ministero dell’economia e delle finanze), come richiesto dall’art. 4, comma 1,
d.m. n. 184 del 2002 (“sessanta giorni prima della data fissata per le elezioni”). Tale conclusione
sarebbe ricavabile dalla circostanza che in data 29 aprile 2013 un componente (dott. Giuseppe Di
Martino) si è dimesso ed è stato sostituito (dal dott. Carotenuto) solo con d.m. 5 giugno 2013, con la
conseguenza che sino a tale data la Commissione non sarebbe stata in grado di operare.
La censura (reiterata con la prima censura del primo atto di motivi aggiunti) non è suscettibile di
positiva valutazione atteso che la Commissione era stata insediata entro il 24 aprile 2013. Solo
successivamente (il 29 aprile 2013) si è creata la vacanza di un posto a causa delle dimissioni
presentate da un componente e si è reso necessario provvedere alla sua sostituzione. Risulta
pertanto rispettato il termine per la (prima) costituzione della Commissione. Diversamente
opinando, ritenere cioè necessario che i sessanta giorni debbano intercorrere in ogni caso tra la data
fissata per la competizione elettorale e quella di costituzione della Commissione elettorale centrale
nella composizione che curerà poi tutta la procedura elettorale sino alla sua conclusione, potrebbe
comportare il rischio di continui slittamenti della data delle elezioni ove, nel corso dei lavori, un
componente debba, per una qualsiasi ragione, essere sostituito.
La nomina del nuovo componente l’Ufficio elettorale centrale, avvenuta solo il 5 giugno 2013,
potrebbe rappresentare un vizio della procedura solo se, a causa della vacatio determinatasi nel
periodo 29 aprile 2013 - 5 giugno 2013, l’Ufficio non avesse potuto assolvere gli incombenti ad
esso imposti dagli artt. 5 e 6, d.m. n. 184, profilo di illegittimità, anche questo, denunciato dai
ricorrenti.
4. Ed infatti, con la terza censura del primo motivo dedotto con l’atto introduttivo del giudizio
(reiterata e approfondita con la terza censura del primo atto di motivi aggiunti e ripresa nella prima
censura del secondo atto di motivi aggiunti) i ricorrenti affermano che non sarebbe stato rispettato
neanche il termine dell’8 giugno 2013 entro il quale, ai sensi dell’art. 5, comma 7, d.m. n. 184,
l’Ufficio elettorale centrale avrebbe dovuto trasmettere alla Segreteria del Consiglio di Presidenza
della Giustizia Tributaria l’elenco delle candidature ammesse.
La censura non è fondata.
L’art. 5, comma 7, del Regolamento prevede che la verifica della mancanza di cause di
ineleggibilità deve essere effettuata dall’Ufficio elettorale centrale nei dieci giorni successivi alla
scadenza del termine (“almeno venticinque giorni prima della data fissata per le elezioni”) entro il
quale i candidati devono far pervenire allo stesso Ufficio elettorale le schede di presentazione della
propria candidatura, mentre non fissa un termine certo e determinato per la trasmissione, alla
Segreteria del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, delle candidature ammesse,
limitandosi a chiarire che tale invio deve avvenire “immediatamente”. Dunque la trasmissione deve
avvenire in brevissimo tempo, ma non necessariamente lo stesso giorno. Il Consiglio di Presidenza
ha dato atto di aver appreso, nella seduta dell’11 giugno 2013, che l’elenco trasmesso alle
Commissioni tributarie regionali e provinciali era pervenuto, senza data e verbali, il 10 giugno
2013, alle ore 18,32, dunque appena due giorni dopo il termine dell’8 giugno. La successiva
rettifica dell’elenco, effettuata il 13 giugno 2013, ha riguardato un dato marginale (la Commissione
tributaria di appartenenza, id est la Commissione tributaria del Veneto e non quella regionale della
Puglia) relativo ad un candidato (dott. Giuseppe Caracciolo), e non i nominativi dei candidati
ammessi all’elettorato passivo.
Da rilevare, infine, che la mancanza della data sull’elenco trasmesso dall’Ufficio elettorale centrale
impedisce di accertare il giorno esatto in cui lo stesso è stato inviato ma, seppure l’elenco fosse
stato inviato lo stesso giorno (10 giugno 2013) in cui è pervenuto al Consiglio di Presidenza, può
ritenersi comunque rispettata la prescrizione del comma 7 dell’art. 5, d.m. n. 184 del 2002, che ne
richiede la trasmissione “immediata”.
5. Affermano i ricorrenti (seconda censura del primo motivo dell’atto introduttivo del giudizio,
seconda censura del primo atto di motivi aggiunti e prima censura del secondo atto di motivi
aggiunti) che sarebbe stato eluso anche il termine (“almeno venti giorni prima della data fissata per
le elezioni”) del 3 giugno 2013 entro il quale, ai sensi del comma 2 dell’art. 4, d.m. n. 182,
dovevano insediarsi, presso le Commissioni tributarie regionali e provinciali, gli Uffici elettorali
locali.
Con ordinanza istruttoria 18 febbraio 2014, n. 1933 la Sezione aveva disposto l’acquisizione di
documenti ritenuti necessari al fine del decidere, tra cui i verbali di insediamento di tutti gli Uffici
elettorali provinciali e regionali. Afferma il Presidente dell’Ufficio elettorale centrale nella relazione
dell’11 aprile 2014, di accompagnamento alla documentazione prodotta in ottemperanza
all’ordinanza istruttoria, che, stante la mancata previsione normativa dell’obbligo di predisporre i
verbali, poche Commissioni li hanno redatti. Peraltro, dai verbali delle operazioni di voto e da altra
documentazione versata in atti è possibile evincere, con certezza con riferimento ad almeno alcune
Commissioni tributarie, che effettivamente il termine del 3 giugno 2013 (id est, “almeno venti
giorni prima del 23 giugno 2013”) non è stato rispettato.
Prima di passare all’esame dei singoli casi in cui il termine del 3 giugno 2013 non è stato rispettato,
ritiene il Collegio di dover chiarire che, a differenza di quanto afferma parte ricorrente,
l’insediamento cui fa riferimento il comma 2 dell’art. 4, d.m. n. 184 del 2002 coincide con la
costituzione dell’Ufficio perché è con la nomina dei componenti che l’organo collegiale può
cominciare ad operare e, quindi, a svolgere tutte le attività che il Regolamento gli demanda.
Segue da ciò che per verificare se il termine del 3 giugno 2013 sia stato o meno rispettato – e a
prescindere, per il momento, dalle conseguenze dell’eventuale mancato rispetto, su cui ci si
soffermerà in seguito – occorre fare riferimento alla data di nomina dei componenti l’Ufficio, quale
risulta dai verbali depositati in atti o dagli stessi decreti presidenziali di nomina, ove anch’essi
prodotti.
Dalla documentazione agli atti di causa risulta che i Presidenti della Ctp di Vercelli, della Ctp di
Brescia e della Ctp di Genova hanno nominato i componenti degli Uffici elettorali locali con
decreti, rispettivamente, n. 342, n. 74 e n. 1653 del 4 giugno 2013; il Presidente della Ctp di Roma
ha nominato i componenti l’Ufficio elettorale locale con decreto n. 578 del 5 giugno 2013; i
Presidenti della Ctp di Viterbo e della Ctp di Bologna hanno costituito il seggio elettorale con
decreti, rispettivamente nn. 7 e 1176 del 6 giugno 2013; i Presidenti della Ctp di Sassari e della Ctp
di Ravenna hanno costituito i rispettivi Uffici elettorali locali il 7 giugno 2013; il Presidente della
Ctp di Piacenza ha nominato i componenti l’Ufficio elettorale locale l’11 giugno 2013; il Presidente
della Ctp di Alessandria ha nominato i componenti del Collegio elettorale con decreto del 12 giugno
2013 (come risulta dal verbale delle operazioni di voto, essendo il decreto versato in atti mancante
di data e di numero di protocollo).
I ricorrenti individuano puntualmente (pagg. 9-12 del secondo atto di motivi aggiunti) molti altri
casi in cui la data del 3 giugno non sarebbe stata rispettata ma arrivano a tale conclusione facendo
riferimento alla data di insediamento quale risulta dal verbale redatto il giorno delle elezioni mentre
il Collegio, come già chiarito, ritiene si debba vedere la data di costituzione dell’Ufficio perché da
tale data esso è pienamente operativo.
Questo in punto di fatto.
In diritto, invece, occorre verificare, come chiarito sub 2, se il termine del 3 giugno 2013 – in alcuni
casi non rispettato pur facendo riferimento alla data di costituzione dell’Ufficio elettorale locale –
ha natura perentoria e, dunque, se il suo mancato rispetto è tale da inficiare l’intera operazione
elettorale.
Ritiene il Collegio che, poiché compito dell’Ufficio elettorale locale è, come chiarito dall’art. 21,
comma 2 bis, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, assicurare “l’espletamento delle operazioni di voto”,
la sua mancata costituzione, da parte del Presidenti delle Commissioni tributarie provinciali, entro il
3 giugno 2013 può costituire profilo di illegittimità solo se e in quanto ciò ha impedito di adempiere
alle operazioni allo stesso demandate, operazioni che, a tutela dell’elettorato attivo e passivo,
devono necessariamente avvenire entro un certo termine, questo sì di natura perentoria. In altre
parole, il termine introdotto dal comma 2 dell’art. 4, d.m. n. 184 del 2002 (e, quindi, la data del 3
giugno 2013) ha carattere strumentale, essendo stato individuato come idoneo a consentire il
regolare e tempestivo espletamento di tutte le altre attività che gli Uffici elettorali locali sono tenuti
ad adempiere prima del giorno individuato per la competizione elettorale (nella specie, il 23 giugno
2013).
Si deve dunque verificare se la costituzione di tali Uffici presso alcune Commissioni tributarie,
dopo il 3 giugno 2013, abbia impedito il successivo, regolare espletamento delle operazioni
propedeutiche alla corretta espressione del voto il 23 giugno 2013.
Le argomentazioni che seguiranno dimostreranno che il diritto dell’elettore a poter esprimere il
proprio voto con piena cognizione di causa e quello del candidato a che sia rispettata la par condicio
informativa sono stati entrambi garantiti, nonostante non sia stato sempre rispettato il predetto
termine del 3 giugno 2013.
6. L’art. 6, comma 3, d.m. n. 184 del 2013 demanda agli Uffici elettorali locali il compito di esporre,
“almeno sette giorni prima della data fissata per le elezioni”, i manifesti contenenti l’elenco dei
candidati.
I ricorrenti, anche ricollegandosi a quanto precedentemente dedotto in ordine al mancato rispetto del
termine del 3 giugno 2013, affermano (quarta censura del primo motivo dell’atto introduttivo del
giudizio, quarta censura del primo atto di motivi aggiunti e prima censura del secondo atto di motivi
aggiunti) che anche questa tempistica non sarebbe stata rispettata in tutte le Commissioni tributarie,
non essendo stati in tutte affissi gli elenchi dei candidati entro il 14 giugno 2013.
Tale profilo di doglianza era apparso alla Sezione suscettibile di positiva valutazione all’esito del
sommario esame della fase cautelare ed aveva portato all’accoglimento dell’istanza di sospensione
degli atti impugnati (ordinanza n. 4278 del 6 novembre 2013). In sede di appello le
Amministrazioni resistenti hanno prodotto dichiarazioni dei Presidenti delle Commissioni Tributarie
regionali e provinciali o dei Direttori dei relativi Uffici di Segreteria che hanno attestato l’affissione
dei manifesti contenenti gli elenchi dei candidati entro il 14 giugno 2013. Tale documentazione è
stata determinante per l’accoglimento dell’appello (ordinanza della IV Sezione n. 4933 dell’11
dicembre 2013). Le stesse dichiarazioni sono state poi (27 dicembre 2013) versate anche agli atti
del presente giudizio (con attestazione del Presidente dell’Ufficio centrale elettorale che esse sono
state rese da tutte le Commissioni tributarie) e smentiscono, in punto di fatto, l’irregolarità
denunciata, facendo esse fede fino a querela di falso, querela non presentata dai ricorrenti,
nonostante i dubbi palesati nel primo atto di motivi aggiunti in ordine alla veridicità di quanto è
stato dichiarato (pagg. 24 ss.).
Non smentisce tale conclusione neanche la nota del Presidente facente funzioni della Ctp di Ragusa
del 19 novembre 2013, che attesta che l’affissione è stata effettuata lo stesso giorno in cui se ne è
venuti a conoscenza, e cioè il 17 giugno 2013, atteso che, come chiarito con successiva nota del 19
novembre dal Direttore dell’Ufficio di Segreteria della stessa Commissione, su ordine del
Presidente, il 17 giugno 2013 è stato affisso l’elenco dei candidati rettificato, mentre il primo elenco
era stato pubblicato l’11 giugno. Ed è a tale ultimo elenco che occorre far riferimento ai fini della
verifica del rispetto del termine, atteso che, come chiarito sub 4, la rettifica ha riguardato un dato
marginale (la Commissione tributaria di appartenenza del candidato dott. Giuseppe Caracciolo, id
est la Commissione tributaria del Veneto e non quella regionale della Puglia) e non i nominativi dei
candidati ammessi all’elettorato passivo.
Né appare impossibile, come sostiene invece parte ricorrente, la materiale affissione del manifesto
solo perchè lo stesso è stato inviato a mezzo pec soltanto il 13 giugno 2014, alle ore 17,12, essendo
il successivo adempimento (stampa dell’allegato alla e mail) di tale semplicità da consentire
l’affissione in pochissimo tempo.
I ricorrenti non possono essere seguiti neanche allorché affermano che, a fronte dell’evidente
contrasto tra le date di insediamento che risultano nei verbali agli atti di causa e quanto dichiarato
dai Presidenti o dai Dirigenti in relazione alla data di affissione dei manifesti – data che in alcuni
casi sarebbe addirittura antecedente la costituzione dell’Ufficio elettorale locale, palesando così la
non attendibilità delle dichiarazioni – debba senza dubbio essere data prevalenza al verbale, che fa
fede fidefacente. Come è stato chiarito sub 5, è alla data di costituzione dell’Ufficio elettorale locale
che occorre fare riferimento ai fini previsti dal comma 2 dell’art. 4, d.m. n. 184 del 2002 e detta
data, anche quando successiva al 3 giugno 2014, è stata comunque tale da garantire il rispetto del
termine del 14 giugno 2013 previsto per l’affissione degli elenchi dei candidati.
A seguito del deposito delle dichiarazioni rese dai Presidenti delle Commissioni tributarie e dai
Dirigenti degli Uffici di Segreteria parte ricorrente afferma, nel secondo atto di motivi aggiunti, che
in ogni caso, pure ammettendo che l’affissione dei manifesti sia avvenuta entro il 14 giugno, la
stessa è stata effettuata dal personale dell’Ufficio di Segreteria e non dall’Ufficio elettorale locale,
come previsto dal comma 3 dell’art. 6, d.m. n. 184.
Anche tale doglianza non è suscettibile di positiva valutazione, atteso che la norma non esclude che
l’Ufficio elettorale possa avvalersi dell’ausilio materiale del personale della Segreteria della
Commissione tributaria.
Sostengono ancora i ricorrenti che in ogni caso l’affissione, ove pure effettuata, non lo sarebbe stata
correttamente, essendo avvenuta in locali diversi da quelli normativamente indicati. La norma
prevede infatti che il manifesto contenente l'elenco dei candidati deve essere esposto “nei locali
delle Commissioni tributarie provinciali e regionali, ovvero nei locali o nelle adiacenze dei locali
ove si svolgono le operazioni di voto”.
Anche tale assunto non è suscettibile di positiva valutazione non solo perché la norma fa generico
riferimento ai “locali delle Commissioni tributarie provinciali e regionali” e gli Uffici di segreteria
sono posti in locali all’interno della Commissione tributaria, ma anche perché scopo della norma è
rendere visibili e conoscibili ai magistrati votanti l’elenco dei candidati, risultato questo
raggiungibile anche affiggendo il manifesto nell’Ufficio di segreteria, e ciò nella considerazione che
ogni magistrato si reca a votare presso la propria Commissione tributaria e dunque non ha difficoltà,
in un ambiente che ben conosce, a trovare il posto ove l’elenco è stato affisso o a chiedere
informazioni.
Il rilievo relativo all’effettivo scopo della norma, che è rendere conoscibili i nomi dei candidati,
rende irrilevante le annotazioni di parte ricorrente in ordine al formato dei manifesti, non essendo
comunque dedotto che gli stessi non fossero realmente leggibili.
7. Con censura dedotta con il secondo atto di motivi aggiunti i ricorrenti denunciano la violazione
anche del termine del 13 giugno 2013, previsto dall’art. 6, comma 2, lett. b, d.m. n. 184 (“almeno
dieci giorni prima della data fissata per le elezioni”) per la ricezione delle schede elettorali e degli
elenchi degli elettori da parte degli Uffici elettorali.
La censura deve essere respinta stante il carattere non perentorio di tale termine, non assumendo
alcuna rilevanza, agli effetti del regolare espletamento del diritto di voto e del diritto di essere votati
nel rispetto della par condicio tra tutti i candidati, che le schede e l’elenco dei magistrati votanti
pervengano agli Uffici elettorali locali oltre la data del 13 giugno 2013.
8. Con il secondo motivo dell’atto introduttivo del giudizio si afferma che illegittimamente il seggio
di Frosinone sarebbe stato chiuso prima della 21.00, orario fissato dall’art. 21, comma 1, d.lgs. n.
545 del 1992.
Il motivo è poi ripreso con la quinta censura del primo atto di motivi aggiunti e sviluppato ed esteso
con la seconda censura dedotta con il secondo atto di motivi aggiunti, con la quale si afferma che
anche altri seggi sarebbero stati chiusi prima delle 21.00. Aggiungono i ricorrenti che la
dichiarazione resa dal Dirigente della Ctp di Frosinone, secondo cui il seggio avrebbe chiuso alle
21,10, contrasta con quanto risulta dal verbale delle operazioni di voto, che indica nelle 12,40
l’orario di chiusura.
Il profilo di doglianza è in parte infondato ed in parte inammissibile.
Quanto alle Commissioni tributarie (Campobasso, Catanzaro, Cuneo, Isernia e Vibo Valentia) in
relazione alle quali i verbali dell’operazione elettorale del 23 giugno 2013 non recano l’orario di
chiusura, contrariamente all’assunto di parte ricorrente – che da tale carenza fa derivare la
presunzione di una chiusura anticipata rispetto alle ore 21.00 – deve ritenersi, nel silenzio del
verbale sul punto e di una effettiva prova offerta dai ricorrenti, rispettato l’orario di chiusura del
seggio alle ore 21.00.
Dai verbali depositati in atti risulta invece che hanno certamente chiuso prima delle ore 21.00 i
seggi elettorali delle Commissioni tributarie di Avellino, Crotone, Frosinone, Gorizia, Grosseto,
Oristano, Rovigo, Sondrio e Trieste. La chiusura anticipata è stata giustificata sull’assunto che gli
elettori che ancora non si erano recati al seggio avevano già fatto sapere (con lettera o con e mail o
con telefonata) che non si sarebbero recati alle urne. I magistrati che non intendevano votare erano,
complessivamente, 27 (o 30, ove si considerino i 3 di Frosinone di cui sembra non ci siano state
manifestazioni espresse di non voto). Ora, anche ammettendo che questi avessero cambiato idea e si
fossero recati a votare ma che avessero poi trovato il proprio seggio chiuso, e che avessero tutti e 27
(o 30) intenzione di votare per i ricorrenti, questi ultimi non supererebbero comunque la prova di
resistenza. Come già chiarito sub 1, l’ultimo degli eletti (dott. Di Nosse) ha ottenuto 443 voti,
mentre il dott. Di Salvo 233 voti ed il dott. Ferrara 135 voti, con la conseguenza che, anche
togliendo a tutti i candidati eletti i 27 (o 30) voti non espressi ed aggiungendoli ai 233 e ai 135
ottenuti, rispettivamente, dal dott. Di Salvo e dal dott. Ferrara, nessuno dei due raggiungerebbe i
416 (o 413) voti (443-27 o - 30) del dott. Di Nosse, conseguendo, rispettivamente, 260 (o 263) e
162 (o 165) voti.
La censura, per questa parte, è quindi inammissibile per carenza di interesse. Ciò in base al
principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza del giudice amministrativo, secondo cui nel
giudizio in materia elettorale il principio della prova di resistenza nel quadro di una giusta
composizione tra l'esigenza di reintegrare la legittimità violata nel corso delle operazioni elettorali e
quella di salvaguardare la volontà espressa dal corpo elettorale, non consente di pronunciare
l'annullamento dei voti in contestazione se l'illegittimità denunciata al riguardo non ha influito in
concreto sui risultati elettorali, sicché l'eliminazione di tale illegittimità non determinerebbe alcuna
modifica dei risultati medesimi (Cons. St., sez. V, 8 agosto 2014, n. 4241).
Il Collegio è ben a conoscenza dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il principio della
prova di resistenza non è utilizzabile nel caso in cui le contestazioni riguardino gli aspetti generali
delle operazioni elettorali, quale appunto l’arbitraria chiusura della sezione elettorale, orientamento
peraltro formatosi in relazione alle elezioni amministrative, e dunque a fattispecie ben diversa dalle
elezioni di un Organo che, seppure di indiscussa e indiscutibile importanza, ha un ambito di
operatività circoscritto, con la conseguenza che anche l’elezione dei suoi componenti interessa un
gruppo limitato, ben individuato di soggetti. La deroga a tale principio, che trova fondamento nella
necessità di consentire il regolare esercizio del diritto di voto (e che dunque sembra riferirsi più
all’ipotesi in cui il ricorrente sia un cittadino elettore che non un candidato non eletto), non pare al
Collegio potersi applicare nel caso sottoposto al suo esame in cui a ricorrere non sono i giudici della
Commissione tributaria, che non hanno potuto votare perchè hanno trovato il seggio chiuso
(peraltro nessuno di questi giudici ha protestato in tal senso, segno che effettivamente nessuno ha
cambiato idea rispetto a quanto aveva dichiarato), quanto piuttosto due candidati al Consiglio di
presidenza. I dott.ri Di Salvo e Ferrara non agiscono, infatti, in giudizio a tutela del loro diritto a
votare quanto piuttosto dell’aspettativa a vedersi eletti, risultato questo che non avrebbero raggiunto
neanche se tutti i seggi elettorali delle Commissioni tributarie di Avellino, Crotone, Frosinone,
Gorizia, Grosseto, Oristano, Rovigo, Sondrio e Trieste avessero regolarmente chiuso alle 21.00, se
tutti i magistrati che avevano manifestato la propria intenzione di non recarsi a votare avessero poi
cambiato idea e - infine e soprattutto - se tutti avessero votato per i due ricorrenti.
Solo per completezza, prima di concludere l’esame dei profili di doglianza relativi all’orario di
chiusura dei seggi, il Collegio rileva che la dichiarazione resa dal Direttore dell’Ufficio di
Segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone non è in contrasto con il verbale
relativo alle operazioni svoltesi nel seggio il 23 giugno 2013 e dunque non è una dichiarazione
“falsa”, tale quindi da indurre il Collegio a rimettere gli atti alla Procura della Repubblica per le
valutazioni di competenza. Il Direttore ha infatti certificato che il 23 giugno 2013 “questo Ufficio di
Segreteria ed i locali di questa Commissione” sono rimasti ininterrottamente aperti dalle ore 8.09
alle ore 21.00, ma non che anche il seggio elettorale è rimasto aperto sino alle 21.00.
9. Con la terza censura del secondo atto di motivi aggiunti parte ricorrente afferma che
mancherebbe la concreta individuazione dei votanti nelle Commissioni Tributarie Provinciali di
Trento di primo grado, Arezzo, Bari, Cremona, Ferrara, Foggia, Isernia, Latina, Messina, Palermo,
Rieti, Savona, Torino e Viterbo e nella Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo. In questi
seggi, infatti, non sarebbe stata effettuata l’identificazione dei votanti (per un numero totale di 264
voti espressi), con conseguente incertezza della partecipazione al voto da parte degli effettivi aventi
diritto.
La censura è infondata in punto di fatto atteso che dalla documentazione versata in atti, in più
riprese, dalle Amministrazioni resistenti (ed il cui deposito è stato accettato, come chiarito sub 1,
dalle controparti rinunciando ai termini a difesa) emerge come l’identificazione dei votanti è stata
fatta in tutti i seggi.
Nè è condivisibile l’assunto dei ricorrenti secondo cui alcune schede contenenti la riprova
dell’accertamento dei votanti non sarebbero riconducibili ai seggi ai quali le Amministrazioni
resistenti li riferiscono. Ed invero, dai nominativi dei votanti appare indubbia l’individuazione della
Commissione di appartenenza e l’anno (e dunque il giorno) in cui si è svolta la votazione.
10. Con la quarta censura, anch’essa dedotta con il secondo atto di motivi aggiunti, parte ricorrente
denuncia ulteriori irregolarità:
a) l’Ufficio elettorale locale presso la Ctp di Ancona non ha redatto il verbale di scrutinio ma solo il
modello prov/1, nel quale risulta che alcun elettore ha esercitato il diritto di voto (neppure i
componenti lo stesso Ufficio elettorale) posto che su 11 elettori sono indicate 12 schede non
utilizzate, di cui 11 timbrate e controfirmate;
b) presso l’Ufficio elettorale locale della Ctp di Massa Carrara sono state stampate 10 schede
elettorali, di cui 8 (quanti sono gli elettori) controfirmate e timbrate e 2 non controfirmate e
timbrate; dal verbale di scrutinio risultano però 8 schede valide, 1 scheda bianca e 2 non utilizzate,
per un totale di 11 e non di 10 schede;
c) presso l’Ufficio elettorale locale della Ctp di Caserta sono state stampate 77 schede elettorali, di
cui solo 70 controfirmate e timbrate; una scheda è stata poi sostituita, con la conseguenza che le
schede non controfirmate e timbrate sono diventate 6. Nelle operazioni di scrutinio si dà poi atto
che hanno votato 53 magistrati + 2 schede bianche e risultano utilizzate 54 schede. Il numero delle
schede utilizzate è quindi pari a 53 votate + 2 bianche + 1 sostituita, per un totale di 56 schede,
anche se risulta che abbiamo votato solo 53 persone;
d) nel verbale di scrutinio del seggio della Ctp di Milano si dà atto che sono state stampate 147
schede quanti sono i magistrati votanti aumentati del 10% e sono state timbrate e controfirmate 134
schede, quanti sono i votanti, mentre le rimanenti 13 schede sono state riposte in separata sede; alle
ore 14,45 è stato verbalizzato che è stata erroneamente vidimata una scheda in più e che la stessa è
stata annullata d’ufficio, con la conseguenza che le schede avanzate risultano 13 e non 14, mentre in
realtà avrebbero dovuto essere 12. E’ stato ancora verbalizzato che erroneamente è stata data una
scheda ad un magistrato che avrebbe dovuto votare presso la Commissione tributaria regionale, con
la conseguenza che “si provvede ad annullare detta scheda, che viene prelevata da quelle avanzate,
previa vidimazione delle stesse, di conseguenza che quelle avanzate diventano 12”. Alle ore 21.00
si dà atto della chiusura delle operazioni di voto e si precisa che sono rimaste inutilizzate n. 54
schede precedentemente timbrate e controfirmate e n. 12 schede non autenticate. Nel verbale di
scrutinio del giorno successivo il Presidente ha accertato che il numero delle schede non utilizzate è
pari a 55 e che il numero di quelle non autenticate è di 12. E’ palese quindi l’incertezza delle schede
effettivamente utilizzate.
La censura, in tutte le sue articolazioni, non è suscettibile di positiva valutazione:
a) quanto al seggio presso la Ctp di Ancona, effettivamente nessun magistrato si è recato a votare,
con la conseguenza che tutte le schede non sono state utilizzate;
b) relativamente al seggio presso la Ctp di Massa Carrara, dal verbale depositato in atti relativo alle
votazioni tenutesi il 23 giugno risulta che le schede in totale erano 10, e cioè 8, tutte votate (tante
quanti i magistrati elettori, che hanno dunque tutti esercitato il proprio diritto di voto) – compresa 1
bianca – e 2 non utilizzate (che peraltro, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, sono state
timbrate e controfirmate). L’errore in cui sono incorsi i ricorrenti è aver computato la scheda bianca
al di fuori delle 8, mentre la stessa fa parte di quelle consegnate agli 8 magistrati elettori e da uno di
questi inserita nell’urna senza espressione di voto;
c) anche in relazione alle votazioni presso la Ctp di Caserta i ricorrenti hanno erroneamente
computato le due schede bianche in aggiunta alle 53 votate mentre le stesse fanno parte delle 53
consegnate ai magistrati votanti e da due di questi inserite nell’urna senza espressione di voto;
d) quanto alle schede utilizzate presso il seggio della Ctp di Milano, il verbale relativo alle
operazioni di voto del 23 giugno 2013 conferma la regolarità delle operazioni. Si precisa che
dall’elenco dei 135 elettori se ne deve espungere uno (il dott. Previati), elettore presso la Ctp di
Padova, con la conseguenza che gli elettori diventano 134. Si aggiunge che delle 147 schede
pervenute, 134 (tante cioè, quanti sono i magistrati elettori) sono timbrate e vidimate e le restanti 13
– non timbrate e vidimate – sono riposte separatamente dalle altre. Alle 14,45 il Presidente del
seggio, al rientro da una breve pausa, si è reso conto che originariamente era stata vidimata e
controfirmata una scheda di troppo e l’ha annullata d’ufficio. Quindi le schede non vidimate erano
13 anziché 14 perché 1 era stata erroneamente ritenuta da utilizzare. Successivamente è stata
annullata un’altra scheda perché consegnata ad un magistrato che avrebbe dovuto votare al seggio
della Commissione tributaria regionale, con la conseguenza che le schede avanzate e non
controfirmate né annullate sono divenute 12. Come indicato nel verbale, sono rimaste inutilizzate
55 schede, delle quali 54 vidimate e controfirmate e 1 (che era stata presa da quelle messe da parte)
annullata, per un totale di 67 schede. Tali 67 schede non utilizzate, sommate alle 80 votate, fanno
proprio le 147 schede in possesso del seggio.
13. Esaminate e respinte tutte le censure, proposte in via principale sia con l’atto introduttivo del
giudizio che nella via dei motivi aggiunti (primo e secondo atto) avverso le operazioni elettorali,
occorre passare al vaglio del motivo dell’atto introduttivo del giudizio e del primo atto di motivi
aggiunti, con il quale i ricorrenti sollevano la questione di legittimità costituzionale, per contrasto
con gli artt. 3, 48 e 77 Cost., dell’art. 1, comma 2, l. 6 giugno 2013, n. 64, nella parte in cui esclude
dall’elettorato attivo i giudici tributari c.d. soprannumerari (ben 586), ossia quelli risultati idonei
all’esito del concorso bandito il 3 agosto 2011 ma fuori del numero dei posti previsti, nonostante gli
stessi siano stati immessi in servizio e nominati componenti le Commissioni tributarie. Ad avviso
dei ricorrenti la norma sarebbe illogica perchè esclude dall’elettorato attivo i soprannumerari,
nonostante questi abbiano ottenuto la qualifica di giudice tributario e siano confluiti in un ruolo
unico dei giudici tributari. Sono stati parimenti esclusi i giudici della Commissione tributaria
centrale.
Aggiungono i ricorrenti che la l. n. 64 del 2013 non avrebbe potuto essere applicata ad elezioni
indette in data antecedente (l’8 marzo 2013) la sua entrata in vigore (8 giugno 2013), non avendo
carattere interpretativo ma innovativo. Ove dovesse ritenersi corretta l’interpretazione data della
norma, come applicabile anche alle elezioni già bandite alla data della sua entrata in vigore, la
stessa sarebbe incostituzionale. Il comma 2 dell’art. 1, l. n. 64 del 2013 è incostituzionale anche per
un ulteriore profilo, trattandosi di previsione del tutto estranea alle questioni disciplinate dal d.l. 8
aprile 2013, n. 35 - convertito, appunto, dalla l. n. 64 - che reca disposizioni urgenti per il
pagamento dei debiti scaduti della Pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli
enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali. La riprova è che la
disposizione in questione non si inserisce nel decreto legge, ma rimane allo stesso estranea, in
quanto disposizione della sola legge di conversione (di cui costituisce il comma 2 dell’unico
articolo).
La questione, sollevata con riferimento all’esclusione dal diritto di voto dei soprannumerari e al
contenuto innovativo della disposizione incriminata rispetto al d.l. n. 35 del 2013, è rilevante atteso che l’eventuale accertata incostituzionalità della norma avrebbe, come effetto, il rifacimento
delle operazioni elettorali con l’ammissione, all’elettorato attivo e passivo, delle categorie escluse –
ma è manifestamente infondata.
Ritiene il Collegio che ragioni di ordine logico inducono a principiare dall’ultimo profilo di
illegittimità denunciato, e cioè dalla non conformità ai principi costituzionali di una norma, inserita
in una legge di conversione di un decreto legge, che avrebbe contenuto tutt’affatto diverso da quello
disciplinato dalla decretazione d’urgenza.
La questione, come si è detto, è manifestamente infondata.
In primo luogo perché la disposizione incriminata non è stata inserita, dalla legge di conversione,
nel decreto legge (che peraltro pure contiene, all’art. 10, disposizioni in materia tributaria), ma è
contenuta nell’unico articolo della l. n. 64 del 2013, legge che con l’allegato introduce modifiche al
decreto che converte con il comma 1 nell’unico suo articolo, con la conseguenza che anche a voler
ritenere che sia disposizione del tutto spuria dal contenuto del decreto legge, questa circostanza non
la renderebbe incostituzionale non essendo norma entrata a far parte del tessuto normativo del
decreto legge. In altri termini, la l. n. 64 del 2013 non è solo norma di conversione del d.l. n. 35 del
2013 (convertito, appunto, con il comma 1 dell’articolo unico, con le modifiche apportate
dall’allegato richiamato dallo stesso comma 1), ma contiene anche norme proprie (nel comma 2
dell’articolo unico), come dimostra la sua epigrafe, che non è identica a quella del decreto legge
convertito, ma reca l’aggiunta “Disposizioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della
giustizia tributaria”. La norma sui soprannumerari – che, come si è detto, è norma della l. n. 64 e
non del d.l. n. 35 nel testo modificato dalla legge di conversione – non si pone dunque in violazione
del principio che esclude la possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge
emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario, e ciò non solo per
esigenze di buona tecnica normativa, ma perché così imposto dall’art. 77, comma 2, Cost., che
istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato
dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di
approvazione peculiare rispetto a quello ordinario.
Tale rilievo, di carattere assorbente, comporta che la disposizione non dovrebbe neanche possedere
il necessario connotato dell’urgenza che deve avere il decreto legge, connotato peraltro che nel caso
in esame è invece presente stante l’imminenza dell’espletamento del procedimento elettorale per il
rinnovo del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria.
Le conclusioni cui è pervenuto il Collegio rendono irrilevante il richiamo ai principi espressi dalla
Corte costituzionale nella sentenza 13 febbraio 2012, n. 22, nella quale il giudice delle leggi fa
sempre riferimento all’ipotesi di “immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge” e
all’”inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto”, che “spezza il legame
logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed «i
provvedimenti provvisori con forza di legge»”, ipotesi queste diverse da quella in esame nella quale
la norma tacciata di incostituzionalità (comma 2 dell’articolo unico) resta evulsa dal decreto legge
(disciplinato dal comma 1 dell’articolo unico e dall’allegato dallo stesso comma richiamato). Non è
in tal modo violato il principio, espresso nella stessa sentenza dalla Corte, secondo cui “la
necessaria omogeneità del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione
all’apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento, del singolo caso
straordinario di necessità e urgenza, deve essere osservata dalla legge di conversione”, non
risultando in alcun modo inciso il contenuto della decretazione d’urgenza.
Quanto poi alla decisione dell’Amministrazione di applicare il comma 2 dell’art. 1, l. n. 64 del 2013
alle elezioni indette l’8 marzo 2013, ritiene il Collegio che la stessa sia immune da vizi.
Anche nel procedimento elettorale trova applicazione la generale regola dell'immediata applicabilità
al procedimento in corso della norma sopravvenuta, in applicazione del principio tempus regit
actum, per il quale ciascuna fattispecie deve realizzarsi nell'osservanza della norma vigente al
momento in cui si perfeziona, con la conseguenza che ciascuno degli atti che si susseguono nella
sequenza procedimentale deve essere posto in essere nel rispetto della norma vigente al momento
dell'emissione (Cons. St., sez. V, 19 ottobre 2006 n. 6211; Tar Catanzaro, sez. I, 19 luglio 2010, n.
1733; Tar Lazio, sez. III, 25 gennaio 2007, n. 563; Tar Lecce, sez. II, 12 gennaio 2006, n. 144).
Pertanto, laddove il procedimento si articoli in più fasi, connotate da distinti requisiti ed
adempimenti, ciascuna di esse resta regolata dalla disciplina vigente al momento in cui vengono
posti in essere i singoli atti della sequenza procedimentale, configurandosi altrimenti la violazione
del principio di irretroattività delle leggi (Tar Napoli, sez. I, 12 febbraio 2014, n. 985).
Il procedimento elettorale è un procedimento complesso caratterizzato da una pluralità di atti dei
quali quello dell’indizione dei comizi elettorali costituisce il momento di avvio. Anche rispetto a
tale procedimento non può, pertanto, che darsi attuazione alla regola generale dell'immediata
applicazione della disposizione sopravvenuta, in ossequio al principio tempus regit actum. Ne
consegue che gli atti successivi all’indizione dei comizi elettorali (presentazione ed ammissione
delle candidature, svolgimento delle elezioni, proclamazione e convalida degli eletti) sono ciascuno
regolati dalla normativa al momento vigente (Tar Catania, sez. IV, 7 febbraio 2014, n. 437).
L’art. 1, comma 2, l. n. 64 del 2013 disciplina due specifiche fasi del procedimento elettorale, quelle
di individuazione dell’elettorato passivo e di quello attivo, entrambi ancora da definire alla predetta
data dell’8 marzo 2013. Ed infatti, il termine per presentare le candidature scadeva, ai sensi dell’art.
5, comma 2, d.m. n. 184 del 2002, il 29 maggio 2013 (“venticinque giorni prima della data fissata
per le elezioni”), mentre ai sensi del successivo art. 6, comma 2, lett. a), l’elenco degli elettori
doveva essere stilato dal Presidente di ciascuna Commissione tributaria “almeno dieci giorni prima
della data fissata per le elezioni” (12 giugno 2013). Ne consegue che in base al principio tempus
regit actum alle date del 29 maggio 2013 e del 12 giugno 2013 la disposizione introdotta dal comma
2 dell’art. 1, l. n. 64 del 2013 era applicabile, rectius, doveva essere, applicata.
In conclusione, l’applicazione della richiamata disciplina al procedimento elettorale indetto prima
della sua entrata in vigore non determina una situazione di illegittima retroattività della norma ma
costituisce applicazione del principio generale tempus regit actum che impone, come si è detto, in
assenza di deroghe, l’applicazione della normativa sostanziale vigente al momento dell’esercizio del
potere amministrativo.
Passando al profilo di incostituzionalità che impinge nel merito della disciplina introdotta dall’art.
1, comma 2, l. n. 64 del 2013, e cioè la previsione di escludere dall’elettorato attivo e passivo i
soprannumerari, il Collegio ritiene che la norma non sia contraria ai principi di logica e di parità di
trattamento ove si pensi che detti soprannumerari in effetti ancora non esercitano le funzioni di
giudici, tanto è vero che non godono di alcun trattamento economico, neanche della componente
fissa dello stesso, con la conseguenza che correttamente non sono ammessi ad eleggere i
rappresentanti in seno all’Organo di autogoverno o a presentarsi quali candidati per entrare a farvi
parte. Correttamente quindi essi, non svolgendo ancora l’attività di giudici tributari – e non essendo
a priori neanche possibile stabilire se e quando inizieranno ad esercitarla – non hanno diritto a
concorrere alla formazione dell’Organo chiamato a verificare il corretto operato del plesso dei
giudici tributari.
14. La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata, invero senza l’approfondimento
dedicato all’esclusione dei soprannumerari, anche nella parte in cui il comma 2 dell’articolo unico
della l. n. 64 del 2013 esclude dall’elettorato i magistrati della Commissione tributaria centrale.
E’ noto che l’art. 42, comma 3, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, ha previsto che la Commissione
tributaria centrale è soppressa e cessa di funzionare, tenuto conto dei ricorsi pendenti, entro la data
stabilita con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle
finanze. Dunque i magistrati della Commissione tributaria centrale prestano ancora servizio e se è
certo che la loro attività cesserà con l’esaurimento di tutto il contenzioso arretrato che pende presso
detta Commissione, incerto è il quando.
Peraltro, ciò nonostante, detti magistrati non possono essere eletti né eleggere i componenti del
Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria. Lo ha stabilito, come si è detto, il comma 2
dell’articolo unico della l. n. 64 del 2013, ma prima ancora l’art. 17, d.lgs. 31 dicembre 1992, n.
545, decreto adottato in attuazione dell’art. 30, l. 30 dicembre 1991, n. 413, che ha delegato il
Governo ad emanare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge, uno o più
decreti legislativi recanti disposizioni per la revisione della disciplina e l'organizzazione del
contenzioso tributario. La lett. n) del comma 1 dell’art. 30 ha previsto, appunto, l’”istituzione” di un
Organo di Presidenza della Giustizia Tributaria. L’art. 17, al comma 3, ha individuato l’elettorato
attivo del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria prevedendo che “i componenti del
Consiglio di Presidenza sono eletti da tutti i componenti delle Commissioni tributarie provinciali e
regionali”. In questo la legge delegata si è attenuta fedelmente alla legge delega, che all’art. 30,
comma 1, lett. t), aveva previsto che i componenti del Consiglio di Presidenza sono “eletti da tutti i
componenti delle nuove commissioni tributarie”.
Tutto ciò chiarito, prima ancora di accertare la fondatezza della questione, occorre verificare la sua
rilevanza, e ciò anche in relazione ai voti che i due ricorrenti hanno riportato all’esito della
competizione elettorale.
A tal fine, alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2014, originariamente fissata per la trattazione della
causa, il Collegio ha chiesto chiarimenti alle parti in ordine: a) il Consiglio di Presidenza della
Giustizia Tributaria è Organo di autogoverno anche dei giudici della Commissione tributaria
centrale; b) il numero dei giudici incardinati alla Commissione tributaria centrale alla data del 23
giugno 2013, giorno in cui si è svolta la competizione elettorale.
Con memorie depositate dai ricorrenti il 17 ottobre 2014 e dalle Amministrazioni resistenti il 18
ottobre 2014, entrambe le parti hanno motivatamente risposto ai predetti quesiti. Sulla prima
questione le conclusioni sono state diametralmente opposte, avendo le Amministrazioni affermato
che il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria non è Organo di autogoverno anche dei
giudici della Commissione tributaria centrale, mentre i ricorrenti hanno sostenuto il contrario,
depositando in atti, a riprova di tale assunto, una risoluzione del Consiglio di Presidenza n. 6 del 20
luglio 2010, che detta i criteri per l’applicazione alle sezioni regionalizzate della Commissione
tributaria centrale dei giudici delle Commissioni tributarie regionali e provinciali. Al secondo
quesito invece le Amministrazioni resistenti hanno risposto individuando in 77 il numero dei
componenti della Commissione tributaria centrale al 23 giugno 2013 mentre i ricorrenti in 73 al 31
dicembre 2013.
In considerazione di tale ultimo dato ed in applicazione del principio della prova di resistenza applicabile alla fattispecie in relazione alla peculiarità della vicenda contenziosa, proposta da
candidati non eletti al solo fine di tutelare la propria aspettativa a vedersi nominare componenti il
Consiglio di Presidenza (v. quanto già chiarito sub 8) - la questione di legittimità costituzionale
diventa irrilevante e ciò esime il Collegio dal verificare la corretta soluzione al primo dei due
interrogativi.
Come già chiarito sub 1, l’ultimo degli eletti (dott. Di Nosse) ha ottenuto 443 voti, mentre il dott. Di
Salvo 233 voti ed il dott. Ferrara 135 voti. A tale numero di voti si devono aggiungere quelli che
avrebbero ipoteticamente potuto ottenere dagli elettori dei seggi elettorali delle Commissioni
tributarie di Avellino, Crotone, Frosinone, Gorizia, Grosseto, Oristano, Rovigo, Sondrio e Trieste
che hanno chiuso prima delle ore 21.00 i seggi (v. sub 8), raggiungendo così 260 (o 263) e 162 (o
165) voti mentre gli stessi voti devono essere tolti al dott. Di Nosse (che avrebbe così 416 o 413
voti).
Ora, aggiungendo i 77 voti dei giudici della Commissione tributaria centrale che non hanno potuto
votare il dott. Di Salvo raggiungerebbe 337 (o 340) voti ed il dott. Ferrara 242 (o 239) voti. In
entrambi i casi inferiori quindi ai 416 (o 413) conseguiti dal dott. Di Nosse. In altri termini, anche
tutti i voti che i ricorrenti avrebbero potuto ottenere dai giudici della Commissione tributaria
centrale (ammettendo che tutti, in modo compatto, avessero votato per loro) non avrebbero fatto
ottenere l’elezione a componente il Consiglio di Presidenza. Ne consegue che la questione di
legittimità costituzionale, concernente il comma 2 dell’articolo unico della l. n. 64 del 2013, nella
parte in cui esclude dall’elettorato i magistrati della Commissione tributaria centrale, non può essere
sollevata mancando il presupposto della rilevanza agli effetti della decisione del ricorso.
14. Per le ragioni che precedono il ricorso, unitamente agli atti di motivi aggiunti, deve essere
respinto.
Quanto alle spese di giudizio, in considerazione della complessità della vicenda contenziosa può
disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2014 con l'intervento dei
magistrati:
Italo Riggio, Presidente
Giuseppe Sapone, Consigliere
Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/10/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)