Discorso di Vladimir Putin al Valdai Club - anno

RISCHIOCALCOLATO vi propone il discorso del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin tenuto al Valdai Club del 2014. Mai i mezzi di informazioni occidentali (e italiani) mostrano versioni integrali dei suoi discorsi, spesso estraggono solo alcune frasi d'effetto.
Viene trascurata e non mostrata la capacità di ragionamento, d'argomentazione ed il punto di vista di un'importante zona del mondo, la Russia, tratto d'unione tra il mondo occidentale e l'Oriente.
Ci auguriamo che il seguente discorso (suddiviso e pubblicato da noi in tre parti) vi risulti interessante e vi fornisca di spunti di riflessione nuovi e alternativi a quelli propinati con insistenza dai comuni mezzi di informazione.
Si ringrazia Francesca Tarenghi per la collaborazione alla traduzione.
SABATO, 25 OTTOBRE 2014
DISCORSO DI PUTIN AL VALDAI CLUB 2014
Colleghi, signore e signori, amici, è un piacere darvi il benvenuto
all'undicesimo incontro del Valdai International Discussion Club.
E' già stato menzionato il fatto che quest'anno il club ha nuovi coorganizzatori. Questi includono organizzazioni non governative russe,
gruppi di esperti e università di primo piano. L'idea è stata anche
quella di allargare le discussioni fino a comprendere non solo le
problematiche legate alla Russia stessa, ma anche la politica globale e
l'economia.
Spero che questi cambiamenti nell'organizzazione e nel contenuto
rafforzeranno l'influenza del club come forum di esperti e di discussioni
importanti. Allo stesso tempo, spero che rimanga lo ‘spirito di Valdai’,
con quest'atmosfera libera e aperta, e l'opportunità di esprimere in
tutti i modi opinioni molto diverse e schiette.
Mi si lasci dire a riguardo che non vi deluderò e parlerò in modo diretto
e franco.
Alcune cose che dirò potranno sembrare un poco dure, ma se non parliamo
direttamente e onestamente su ciò che pensiamo in realtà, allora non ha
molto senso riunirsi in questi eventi. Sarebbe meglio in questo caso
mantenere uno stile diplomatico, in cui nessuno dice qualcosa che abbia
un senso reale e, ricordando le parole di un famoso diplomatico, ci si
rende conto che i diplomatici hanno la lingua giusta per non dire la
verità.
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discorso di Vladimir Putin al Valdai Club – anno 2014
Ci siamo riuniti per alcune ragioni. Ci siamo riuniti per parlare
apertamente l'un all'altro.
Abbiamo bisogno di essere diretti e schietti oggi, non per lanciare
stoccate, ma per tentare di andare a fondo di ciò che sta realmente
accadendo nel mondo, cercare di capire il motivo per cui il mondo sta
diventando meno sicuro e più imprevedibile, e perché i rischi sono in
aumento in tutto il mondo intorno a noi.
La discussione odierna si è svolta sul tema: Nuove Regole o Gioco senza
Regole. Io penso che questa formula descriva accuratamente il punto di
svolta storico che abbiamo raggiunto oggi e la scelta che dobbiamo
affrontare. Non c'è sicuramente nulla di nuovo nell'idea che il mondo
stia cambiando velocemente. So che di questo avete parlato nelle
discussioni odierne. E' certamente difficile non notare le drammatiche
trasformazioni nella politica globale e nell'economia, nella vita
pubblica, nell'industria, nelle tecnologie dell'informazione e della
società.
Permettetemi di chiedervi sin da ora di perdonarmi se ripeterò alcune
cose che i partecipanti alle discussioni hanno già detto. E' praticamente
impossibile evitarlo. Avete già sostenuto discussioni dettagliate, ma io
esprimerò il mio punto di vista. Questo coinciderà con le visioni di
alcuni partecipanti e differirà con quelle di altri.
Quando analizziamo la situazione odierna, non dobbiamo dimenticare le
lezioni della storia. Innanzitutto i cambiamenti su scala mondiale – e
quelli che vediamo oggi sono eventi di questa portata – sono solitamente
accompagnati se non da guerre e conflitti globali, da una serie di
intensi conflitti locali. Secondo, la politica globale è soprattutto
leadership economica, problemi di guerra e pace e la dimensione
umanitaria, inclusi i diritti umani.
Oggi il mondo è pieno di contraddizioni. Dobbiamo essere sinceri e
chiederci se siamo dotati di un'affidabile rete di sicurezza in loco. E'
triste, ma non c'è alcuna garanzia né certezza che l'attuale sistema di
sicurezza globale e regionale sia capace di proteggerci dagli
sconvolgimenti. Questo sistema è diventato estremamente
fragile,
frammentato e deformato. Le organizzazioni di politica internazionale e
regionale, economica e di cooperazione culturale stanno anch'esse
attraversando momenti difficili.
Sì, molti dei meccanismi che abbiamo per assicurare ordine al mondo sono
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stati creati molto tempo fa, includendo soprattutto il periodo
immediatamente
seguente alla Seconda Guerra Mondiale. Lasciatemi
sottolineare che la solidità del sistema creato allora si poggiava non
solo sul bilanciamento di potere e sui diritti dei paesi vincitori, ma
anche sul fatto che questo sistema dei “padri fondatori” avesse rispetto
di ciascuno, non cercasse di prevalere sugli altri, ma tentasse di
raggiungere degli accordi.
Il punto principale è che il sistema ha bisogno di svilupparsi e,
nonostante le varie carenze, deve almeno essere in grado di mantenere gli
attuali problemi mondiali entro certi limiti e regolare l'intensità della
naturale competizione fra paesi.
Sono convinto che non possiamo prendere questo meccanismo di controlli e
bilanciamenti, costruiti nelle ultime decadi, talvolta con grande sforzo
e difficoltà, e semplicemente distruggerlo senza costruire niente al suo
posto, altrimenti rimarremmo senza nessun’altro strumento se non la forza
bruta.
Ciò che ci occorreva fare, è stato condurre una ricostruzione razionale e
adattarla alle nuove realtà del sistema di relazioni internazionali.
Ma gli Stati Uniti, auto-dichiaratisi vincitori della Guerra Fredda, non
hanno visto la necessità di farlo. Invece di stabilire un nuovo
equilibrio di potere, essenziale per mantenere l'ordine e la stabilità,
hanno intrapreso passi che hanno portato il sistema a squilibri profondi
e acuti.
La Guerra Fredda è finita, ma non lo è stata con la firma di un trattato
di pace contenente accordi chiari e trasparenti sul rispetto delle regole
esistenti o creando nuove regole o nuovi standard. Così si è creata
l'impressione che i cosiddetti “vincitori” della Guerra Fredda avessero
deciso di fare pressioni per rimodellare il mondo secondo i propri
bisogni ed interessi. Se il sistema attuale di relazioni internazionali,
diritto internazionale e controlli e contrappesi impediva questi
obiettivi, questo sistema veniva dichiarato inutile, vecchio e da
demolire.
Mi si perdoni l'analogia, ma questo è il modo in cui i nuovi
comportano quando improvvisamente finisce una gran fortuna,
caso, la dominazione e la leadership nel modellare il mondo.
gestire saggiamente la ricchezza, per il loro bene certamente,
questi abbiano commesso molte follie.
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ricchi si
in questo
Invece di
penso che
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Siamo entrati in un periodo di interpretazioni differenti e silenzi
deliberati nel mondo della politica. Il diritto internazionale è stato
forzato a ritirarsi sempre di più sotto i colpi violenti di un nichilismo
legale. L'obiettività e la giustizia sono stati sacrificati sull'altare
della convenienza politica, interpretazioni arbitrarie e valutazioni di
parte hanno rimpiazzato le norme legali. Allo stesso tempo, il controllo
totale dei mezzi di informazione globali ha reso possibile, quando
desiderato, mostrare il bianco come il nero ed il nero come il bianco.
In una situazione in cui sia ha la dominazione di una nazione e dei suoi
alleati, o piuttosto dei paesi satelliti, la ricerca di soluzioni globali
spesso volge in un tentativo di imporre le loro proprie ricette
universali. Le ambizioni di questo gruppo sono cresciute a tal punto che
essi iniziano a presentare le politiche messe insieme nei loro corridoi
di potere come la visione di un'intera comunità internazionale. Ma non è
questo il caso.
La nozione stessa di “sovranità nazionale” è diventata un valore relativo
per la maggior parte dei paesi. In sostanza, ciò che è stato proposto è
la formula: più grande è la lealtà verso l'unico centro di potere
mondiale, più grande è la legittimità di questo o quel regime dominante.
Più tardi ci sarà spazio per la discussione libera e sarò felice di
rispondere alle vostre domande e usare le mie ragioni per porre a voi
delle domande. Provate a confutare le argomentazioni che avanzerò durante
questa discussione.
Le misure prese contro coloro che rifiutano di sottomettersi sono ben
note e sono state provate e testate molte volte. Esse comprendono l'uso
della forza, la pressione economica e la propaganda, l'interferenza negli
affari interni e l'appellarsi a un certo tipo di legittimità
“sovralegale” quando hanno bisogno di giustificare l'intervento illegale
in questo o quel conflitto o di ribaltare regimi scomodi. Ultimamente
abbiamo avuto prova che nei confronti di numerosi leader sono stati fatti
dei ricatti. Non è un caso che il “Grande Fratello” stia spendendo
miliardi di dollari per mantenere sotto sorveglianza il mondo interno,
inclusi i propri alleati più stretti.
Chiediamoci, quanto ci sentiamo a nostro agio in questa situazione,
quanto siamo sicuri, come viviamo felici in questo mondo e quanto
corretto e razionale è diventato? Forse non abbiamo motivi reali per
preoccuparci, discutere e fare domande scomode? Forse l'eccezionale
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posizione degli Stati Uniti e il modo in cui stanno attuando la loro
leadership è una benedizione per tutti noi, ed il loro interferire negli
eventi di tutto il mondo è un portare pace, prosperità, progresso,
crescita e democrazia e forse dovremmo solamente rilassarci e gioire di
questo?
Lasciatemi dire che non è questo il caso, assolutamente non lo è.
Un diktat unilaterale e l'imporre i propri modelli produce il risultato
opposto. Invece di pacificare i conflitti porta alla loro escalation,
invece di stati stabili e sovrani vediamo crescere la diffusione del
caos, invece di democrazia vi è il sostegno a soggetti di dubbia natura,
che vanno dai neo-fascisti dichiarati agli islamici radicali.
Perché danno appoggio a tali persone? Lo fanno perché decidono di usarle
come strumenti per raggiungere i loro obiettivi, ma poi si bruciano le
dita e indietreggiano. Non ho mai smesso di stupirmi per il modo in cui i
nostri partner continuano a tenere il passo con la stessa inclinazione,
come diciamo qui in Russia, cioè continuano a compiere sempre gli stessi
errori.
Una volta sponsorizzavano i movimenti estremisti per battere l'Unione
Sovietica. Questi gruppi hanno avuto esperienza di scontri in Afganistan
e più tardi hanno dato vita ai Talebani e ad Al-Qaeda. L'Occidente,
quando non ha fornito supporto, ha perlomeno chiuso gli occhi e, direi,
ha
fornito
supporto
d'intelligence,
politico
e
finanziario
per
l'invasione di terroristi internazionali in Russia (e questo noi non lo
abbiamo dimenticato) e nei paesi del Centro Asia. Solo dopo che orribili
attacchi terroristici sono stati compiuti sul suolo americano stesso, gli
Stati Uniti si sono svegliati verso la comune minaccia del terrorismo.
Lasciatemi ricordare che noi siamo stati il primo paese a sostenere gli
Americani, il primo a reagire come amici e partner alla terribile
tragedia dell'11 settembre.
Durante le mie conversazioni con i leader americani ed europei ho sempre
parlato della necessità di combattere uniti contro il terrorismo, come
sfida su scala globale. Non possiamo arrenderci e accettare questa
minaccia, o tagliarla in pezzi separati usando un doppio standard. I
nostri partner hanno espresso il loro accordo, ma poco tempo dopo siamo
tornati al punto di partenza. Prima c'è stata l'operazione militare in
Iraq, poi in Libia, che è stata spinta sull'orlo del precipizio. Perché
la Libia è stata portata a questa situazione? Oggi è un paese in pericolo
di disgregazione ed è divenuto terreno di esercitazione per i terroristi.
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Solo la determinazione e la saggezza dell'attuale leader egiziano hanno
salvato questo stato arabo chiave dal caos e dagli estremisti. In Siria,
come in passato, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno iniziato
direttamente ad armare e a finanziare i ribelli, consentendo loro di
riempire le proprie fila con mercenari di varie nazioni. Lasciatemi
chiedere: questi ribelli dove prendono il denaro, le armi e gli
specialisti militari? Da dove arriva tutto questo? Come ha fatto il
famoso ISI a diventare un gruppo così potente, una forza realmente
armata?
Fra le fonti di finanziamento oggi non troviamo solo la droga, la cui
produzione è aumentata esponenzialmente, e non solo di qualche punto
percentuale, da quando la coalizione internazionale è presente in
Afganistan. Voi siete consapevoli di questo: i terroristi ricavano denaro
anche dalla vendita del petrolio, il quale viene prodotto nel territorio
controllato dai terroristi, che lo vendono a prezzi stracciati, lo
producono e lo trasportano. Ma qualcuno compra, rivende e ci ricava un
profitto, non pensando al fatto che stanno finanziando dei terroristi e
che presto o tardi arriveranno sul loro suolo e semineranno distruzione
nei loro paesi.
Dove prendono le nuove reclute? In Iraq, dopo che Saddam Hussein fu
rovesciato, le istituzioni dello stato, incluso l'esercito, sono state
lasciate andare in rovina. Allora dicemmo di stare molto, molto attenti.
State mandato la gente per strada, e cosa faranno poi? Non dimenticate
(giustamente o no) che erano a capo di una potenza regionale e ora in che
cosa li state trasformando?
Quale è stato il risultato? Decine di migliaia di soldati, ufficiali ed
ex attivisti del partito Baath sono stati lasciati per strada e oggi si
sono uniti alle schiere dei ribelli. Forse questo spiega perché il gruppo
dello Stato Islamico sia diventato così efficiente? In termini militari
sta agendo in modo efficiente e ha al suo interno persone molto
professionali. La Russia ha avvertito ripetutamente sul pericolo di
azioni militari unilaterali, nei confronti degli affari degli stati
sovrani e della possibilità di intesa con gli estremisti e i radicali.
Abbiamo insistito perché questi gruppi che combattono contro il governo
centrale siriano, soprattutto lo Stato Islamico, fossero inseriti nella
lista
delle
organizzazioni
terroristiche.
Abbiamo
visto
qualche
risultato? Il nostro appello risultato vano.
A
volte
abbiamo
l'impressione
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che
i
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nostri
colleghi
e
amici
stiano
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costantemente combattendo contro le conseguenze delle loro stesse
politiche, impiegando tutti i loro sforzi contro i rischi che essi stessi
hanno creato e pagando un prezzo ancora più alto.
Colleghi, questo periodo di dominazione unipolare ha ampiamente
dimostrato che avendo un solo centro di potere non si rendono più
gestibili i processi globali. Al contrario, questo tipo di costruzione
instabile ha mostrato la sua inadeguatezza nel combattere le reali
minacce quali i conflitti regionali, il terrorismo, il traffico di droga,
il fanatismo religioso, lo sciovinismo e il neo-nazismo. Allo stesso
tempo ha aperto una strada ampia all'orgoglio nazionale, alla
manipolazione della pubblica opinione e ha lasciato che i forti
prevaricassero e i deboli venissero oppressi.
Essenzialmente il mondo unipolare è un modo semplice per giustificare la
dittatura sulle persone e sulle nazioni. Il mondo unipolare è diventato
troppo scomodo, pesante e ingestibile, un fardello persino per gli autoproclamati leader. I commenti su questa linea sono appena stati fatti e
mi trovano d’accordo. Questo è il motivo per cui, in questo momento
storico, vedo tentativi di ricreare una sembianza di un mondo quasipolare come modello conveniente per perpetuare la leadership americana.
Non importa chi prende il posto del cattivo nella propaganda americana,
il vecchio posto dell'URSS come principale avversario. Può essere l'Iran,
in qualità di nazione aspirante ad acquisire la tecnologia nucleare, la
Cina, in qualità di nazione con l'economia maggiore o la Russia, in
qualità di superpotenza nucleare.
Oggi vediamo nuovi sforzi per frammentare il mondo, tirare nuove linee
divisorie, mettere assieme coalizioni non costruite su qualcosa, ma
dirette contro qualcuno, chiunque, creare l'immagine di un nemico come fu
nel periodo della Guerra Fredda, e ottenere il diritto a questa
leadership, o diktat se preferite. La situazione è stata presentata in
questo modo durante la Guerra Fredda. Tutti noi lo abbiamo capito e lo
sappiamo. Gli Stati Uniti hanno sempre detto ai loro alleati: “Abbiamo un
nemico comune, un terribile avversario, il centro del male, e vi stiamo
difendendo, nostri alleati, da questo nemico, e quindi abbiamo il diritto
di darvi ordini, di forzarvi a sacrificare i vostri interessi politici ed
economici e pagare la vostra quota di costi per la difesa collettiva, ma
saremo noi a farci carico di tutto questo”. In breve oggi vediamo
tentativi di riprodurre in un mondo nuovo e mutevole i modelli di
gestione globale e tutto questo per garantire la loro (degli USA)
eccezionale posizione e consentir loro di raccogliere i dividendi
politici ed economici.
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Ma questi tentativi stanno sempre più deragliando dalla realtà e sono in
contraddizione con la diversità del mondo. Passi di questo tipo creano
inevitabilmente scontro e contromisure e provocano l’effetto opposto
rispetto agli obiettivi auspicati. Vediamo ciò che succede quando la
politica inizia a intromettersi avventatamente nell'economia e quando la
logica delle decisioni razionali lascia spazio alla logica del confronto,
che danneggia solo le posizioni economiche e gli interessi di uno
soltanto, inclusi gli interessi nazionali.
I progetti economici congiunti e gli investimenti reciproci avvicinano le
nazioni e le aiutano ad appianare i problemi attuali nelle relazioni fra
stati. Ma oggi, la comunità del business globale sta affrontando
pressioni senza precedenti da parte dei governi occidentali. Ma di cosa
possono parlare la convenienza economica, gli affari e il pragmatismo
quando sentiamo slogan come “la patria è in pericolo”, “il mondo libero è
sotto minaccia” e “la democrazia è in pericolo”? E quindi tutti si devono
mobilitare. Questo è il vero volto della politica di mobilitazione.
Le sanzioni stanno già sgretolando le fondamenta del commercio mondiale,
le regole dell'OMC e il principio dell'inviolabilità della proprietà
privata. Inoltre stanno fendendo un colpo al modello liberale di
globalizzazione basato sui mercati, sulla libertà e sulla concorrenza
che, vorrei far notare, è un modello di cui hanno principalmente
beneficiato i Paesi occidentali, che ora rischiano di perdere la loro
autorevolezza in qualità di leader della globalizzazione. Dobbiamo
chiederci: perché è stato necessario arrivare a ciò? Dopo tutto, la
prosperità degli USA si basa in larga parte sulla fiducia degli
investitori e degli stranieri che possiedono denaro e titoli in dollari
americani.
Tale fiducia sta chiaramente vacillando ed emerge già
visibilmente in molti Paesi la delusione verso i frutti della
globalizzazione.
Il noto precedente di Cipro e le sanzioni basate su motivazioni politiche
non hanno fatto altro che rafforzare la tendenza a cercare di rafforzare
la sovranità economica e finanziaria e il desiderio dei Paesi e dei loro
gruppi regionali di trovare dei modi per proteggersi dal rischio della
pressione esterna. Abbiamo già visto che un numero sempre crescente di
Paesi sta cercando il modo di dipendere sempre meno dal dollaro e sta
mettendo in piedi alternative finanziare e sistemi di pagamento e valute
per le riserve. Penso che i nostri amici americani si stiano
semplicemente scavando la fossa con le loro stesse mani. Non bisogna
mischiare politica ed economia, ma questo è ciò che sta accadendo proprio
ora. Ho sempre ritenuto, e tuttora sono convinto, che sanzioni dettate da
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motivi politici siano un errore che porterà danno a tutti, ma sono certo
che torneremo di nuovo su questo argomento in seguito.
Sappiamo come sono state prese queste decisioni e chi sta facendo
pressioni. Lasciatemi tuttavia sottolineare che la Russia non si sta
agitando, offendendo né sta bussando alla porta di nessuno. La Russia è
un Paese autosufficiente.
Opereremo nello scenario economico che si è
formato sviluppando la produzione e la tecnologia nazionale e agiremo in
modo più deciso per apportare trasformazioni. La pressione dall'esterno,
come è successo in occasioni passate, potrà solo consolidare la nostra
società e mantenerci reattivi e concentrati sui nostri obiettivi di
sviluppo.
Naturalmente le sanzioni sono un ostacolo. Stanno cercando di
danneggiarci attraverso le sanzioni, tentano di bloccare il nostro
sviluppo e di spingerci in un isolamento politico, economico e culturale
obbligandoci, in altre parole, a rimanere arretrati. Ma lasciatemi
ripetere ancora una volta che il mondo oggi è molto diverso. Non abbiamo
intenzione di restare chiusi fuori rispetto agli altri né di scegliere
una sorta di percorso di sviluppo chiuso, all’insegna del vivere in
autarchia. Siamo sempre aperti al dialogo, soprattutto per quanto
riguarda la normalizzazione delle nostre relazioni economico-politiche.
Facciamo affidamento sull'approccio pragmatico e sulla posizione della
comunità degli affari nei Paesi avanzati.
Oggi qualcuno dice che la Russia sta voltando le spalle all'Europa queste parole sono probabilmente già state pronunciate anche qui durante
le discussioni - e che stiamo cercando nuovi partner commerciali
soprattutto in Asia. Lasciatemi dire che non è affatto così. La nostra
attività politica nella regione asiatica del Pacifico non è iniziata ieri
e non è una reazione alle sanzioni, bensì una politica che stiamo
perseguendo già da molti anni. Come molti altri Paesi, inclusi i Paesi
occidentali, abbiamo notato che l'Asia sta giocando un ruolo sempre
maggiore nel mondo, nell'economia e nella politica e non ci si può
permettere il lusso di non tenere in considerazione questi sviluppi.
Lasciatemi nuovamente dire che tutti stanno agendo in questo modo e che
anche noi lo faremo, tanto più che una grande porzione del nostro Paese
si trova geograficamente in Asia. Perché non dovremmo sfruttare i nostri
vantaggi competitivi in questa zona? Non farlo sarebbe una mossa
estremamente miope.
Sviluppare i legami economici con questi Paesi e attuare progetti di
integrazione comune incentiverà in modo significativo il nostro sviluppo
interno. Le tendenze demografiche, economiche e culturali odierne
suggeriscono che la dipendenza da un'unica super potenza diminuirà in
modo oggettivo. Gli esperti europei e americani ne stanno già parlando e
scrivendo.
Probabilmente gli avvicendamenti nella politica globale sono lo specchio
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degli sviluppi che vediamo nell'economia globale, ovvero la presenza di
un’intensa competizione in nicchie specifiche e frequenti cambiamenti di
leader in zone particolari. Questo è assolutamente possibile.
Non c'è dubbio che i fattori umanitari quali istruzione, scienza, sanità
e cultura svolgano un ruolo sempre maggiore nella competizione globale.
Questo rappresenta anche un forte impatto sulle relazioni internazionali,
anche perché queste risorse di ‘potere morbido’ (soft power) dipendono in
larga misura dagli effettivi risultati nello sviluppo del capitale umano
piuttosto che da sofisticati giochetti di propaganda.
Allo stesso tempo, la formazione di un cosiddetto ordine mondiale
policentrico (vorrei concentrare la vostra attenzione su questo punto,
colleghi) di per se stesso non migliora la stabilità, anzi è più
probabile che porti all'effetto opposto. L'obiettivo di raggiungere un
equilibrio mondiale si sta trasformando in un puzzle abbastanza
difficile, un’equazione con molte incognite.
Quindi cosa ci attende se scegliamo di non giocare secondo le regole,
anche se sono severe e poco convenienti, ma di vivere senza alcuna
regola? Questo scenario ha assolute possibilità di realizzarsi, non
possiamo escluderlo viste le tensioni esistenti a livello globale. Si
possono già fare molte previsioni, considerando le tendenze attuali, e
sfortunatamente sono tutt'altro che ottimistiche. Se non creiamo un
chiaro sistema di impegni e accordi, se non costituiamo meccanismi per
gestire e risolvere le crisi, i sintomi di un'anarchia globale non
potranno che crescere inevitabilmente.
Oggi ci troviamo già di fronte a una crescente probabilità che si
verifichino una serie di violenti conflitti con la partecipazione diretta
o indiretta delle maggiori potenze mondiali. I fattori di rischio non
riguardano soltanto i tradizionali conflitti multinazionali ma anche
l'instabilità interna dei singoli stati, specialmente se ci riferiamo a
nazioni che si trovano al crocevia degli interessi geopolitici dei
maggiori stati oppure al confine di continenti e civiltà culturali,
storiche e economiche.
L'Ucraina, che sono certo è stata discussa a lungo e verrà trattata
ancora, è un esempio di questo tipo di conflitti che influiscono
sull'equilibrio di potere internazionale e credo che non sarà di certo
l'ultimo. Da qui deriva la prossima vera minaccia di distruzione del
sistema degli accordi per il controllo delle armi. Questo pericoloso
processo è stato avviato dagli Stati Uniti d'America quando si sono
unilateralmente ritirati dal trattato contro i missili balistici nel 2002
e hanno poi iniziato, continuando ancora oggi, a perseguire attivamente
la creazione di un sistema di difesa missilistica globale.
Colleghi, amici,
voglio sottolineare che non siamo stati noi a cominciare questo percorso.
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Ancora una volta stiamo scivolando in un periodo in cui, invece di un
equilibrio di interessi e mutue garanzie, sono la paura e un equilibrio
basato sulla mutua distruzione ad impedire alle nazioni di entrare in
conflitto diretto. In assenza di strumenti legali e politici, le armi
sono ancora una volta il punto saliente dell'agenda globale, poiché vi si
ricorre ovunque e comunque senza ricevere sanzioni da parte del consiglio
di sicurezza dell'ONU.
Se il Consiglio di Sicurezza si rifiuta di
produrre tali decisioni, siamo di fronte alla prova lampante che si
tratta di uno strumento desueto e inefficace.
Molti stati non vedono altri modi per garantire la loro sovranità se non
quello di avere le proprie bombe. Ciò è estremamente pericoloso.
Insistiamo perché le trattative continuino. Non soltanto siamo a favore
delle trattative, ma insistiamo perché queste continuino al fine di
ridurre gli arsenali nucleari. Meno armi nucleari ci saranno al mondo e
meglio sarà. Siamo pronti a discussioni serie e concrete sul disarmo
nucleare, ma solo se si tratta di discussioni fondate senza l’adozione di
due pesi e due misure.
Cosa voglio dire con questo? Attualmente molte tipologie di armamenti ad
alta precisione sono paragonabili, come potenziale, alle armi di
distruzione di massa e nel caso in cui si rinunci totalmente alle armi
nucleari o si provveda ad una radicale riduzione del potenziale nucleare,
le nazioni che sono già in testa nella creazione e produzione di sistemi
ad alta precisione saranno fortemente avvantaggiate sul piano militare.
La parità strategica verrebbe meno portando molto probabilmente alla
destabilizzazione. Si può essere tentati di fare il cosiddetto primo
attacco preventivo globale. In poche parole, il rischio, invece di
ridursi, si amplifica.
Un'altra chiara minaccia è l'escalation progressiva di conflitti etnici,
religiosi e sociali. Tali conflitti sono pericolosi non solo in quanto
tali, ma anche perché creano zone di anarchia, mancanza di riferimenti
legali e caos nelle aree circostanti, ovvero creano il terreno adatto per
terroristi e criminali, luoghi dove prosperano la pirateria, il traffico
di esseri umani e di stupefacenti.
Peraltro, in quel periodo, i nostri colleghi hanno tentato di gestire
questi processi in qualche modo, utilizzando i conflitti regionali e
progettando 'rivoluzioni colorate' per venire incontro ai propri
interessi, ma le redini della situazione gli sono sfuggite di mano. Pare
che i padri della teoria del caos controllato non sappiano più cosa
farsene visto il disordine che si è creato nelle loro file.
Abbiamo seguito da vicino le discussioni sia dell'élite al potere sia
della comunità di esperti. È sufficiente leggere i titoli della stampa
occidentale nell'ultimo anno. Gli stessi soggetti sono prima definiti
combattenti per la democrazia e poi islamisti, prima si scrive delle
rivoluzioni e poi si passa a chiamarle rivolte e disordini. Il risultato
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è evidente: il caos globale continua a espandersi.
Colleghi, visto lo scenario globale, è giunto il momento di cominciare ad
accordarsi su dei punti fondamentali. È incredibilmente importante nonché
necessario, ed è di gran lunga l'opzione migliore piuttosto che ritornare
ognuno nel proprio giardinetto privato. Più si affrontano i problemi
congiuntamente e più ci troviamo sulla stessa barca. La soluzione più
logica va verso la cooperazione fra nazioni e società per trovare delle
risposte collettive alle sfide sempre crescenti e per gestire il rischio
da un fronte unito. Ovviamente alcuni dei nostri partner, per qualche
ragione, si ricordano di questo solo quando favorisce i loro interessi.
L'esperienza pratica ci indica che reagire alle sfide a fronte unito non
è sempre la panacea per tutti i mali, dobbiamo renderci conto di questo.
Inoltre, in molti casi, tali risposte sono difficili da raggiungere. Non
è semplice superare le differenze insite negli interessi nazionali, i
diversi approcci a carattere soggettivo, soprattutto quando si tratta di
nazioni con tradizioni storiche e culturali differenti. Tuttavia abbiamo
assistito a esempi in cui la presenza di obiettivi comuni e l'azione
basata sugli stessi criteri hanno permesso di raggiungere successi
concreti.
Vorrei ricordarvi la soluzione del problema sulle armi chimiche in Siria
e il sostanziale dialogo sul programma nucleare iraniano, nonché il
nostro operato riguardo alle questioni nord coreane, che ha portato a
risultati positivi. Perché non possiamo sfruttare questa esperienza per
risolvere sfide locali e globali in futuro?
Quale potrebbe essere il presupposto legale, politico ed economico per un
nuovo ordine mondiale che porterebbe alla stabilità e alla sicurezza,
incoraggiando al tempo stesso una concorrenza sana ed evitando la
formazione di nuovi monopoli che ostacolerebbero lo sviluppo? È poco
probabile
che
in
questo
momento
si
possano
fornire
soluzioni
assolutamente esaustive e già pronte per l’uso. È necessario un lavoro
molto ampio, che veda la partecipazione di una largo numero di governi,
imprese globali, società civili e piattaforme di esperti come la nostra.
Tuttavia è chiaro che il successo e l’ottenimento di risultati tangibili
sono possibili soltanto se i partecipanti di spicco dell'arena
internazionale concorderanno sull'armonizzazione degli interessi di base,
applicheranno un ragionevole autocontrollo e agiranno da esempio di
leadership positiva e responsabile. Dobbiamo identificare chiaramente
dove terminano le azioni unilaterali e applicare meccanismi multilaterali
per migliorare almeno in parte l'efficacia del diritto internazionale,
dobbiamo risolvere il dilemma che investe le azioni della comunità
internazionale per garantire la sicurezza e il rispetto dei diritti umani
nonché il principio di sovranità nazionale volto a non interferire negli
affari interni di alcuno stato.
Proprio queste collisioni portano con frequenza sempre crescente a
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interferenze arbitrarie dall'esterno nei complessi processi interni e
talvolta sfociano in pericolosi conflitti fra i maggiori attori della
scena globale. Il mantenimento della sovranità diviene di importanza
fondamentale per conservare e rafforzare la stabilità globale.
Certamente è molto difficile discutere i criteri di utilizzo della forza
esterna, poiché è praticamente impossibile separarlo dagli interessi
delle specifiche nazioni. Tuttavia ciò è molto più pericoloso quando
mancano accordi chiari per tutti e non ci sono condizioni definite per
attuare interferenze legittime e necessarie.
Vorrei aggiungere che le relazioni internazionali devono essere basate
sul diritto internazionale, il quale si appoggia a principi morali quali
la giustizia, l'uguaglianza e la verità. Forse l'elemento più importante
è il rispetto per i partner di un Paese e i loro interessi. Questa è una
formula ovvia, ma il semplice fatto di applicarla potrebbe cambiare
radicalmente la situazione globale.
Sono convinto che quando c'è la volontà sia possibile ripristinare un
sistema efficace di istituzioni regionali e internazionali. Non dobbiamo
costruire qualcosa di nuovo né partire da zero. Questo non implica che
'abbiamo carta bianca' poiché ci sono delle istituzioni costituite dopo
la Seconda Guerra Mondiale che hanno un carattere essenzialmente
universale e a cui può essere data una una chiave moderna e adeguata per
gestire la situazione attuale.
Questo vale per il miglioramento dell'operato dell'ONU, il cui ruolo
centrale è insostituibile, così come l'OSCE che per 40 anni ha dimostrato
di essere un meccanismo necessario per assicurare la sicurezza e la
cooperazione nella regione euro-atlantica. Devo dire che, anche in questo
momento in cui si sta cercando di risolvere la crisi nella parte sudorientale dell'Ucraina, l'OSCE sta svolgendo un ruolo molto positivo.
Alla luce dei fondamentali mutamenti nell'ambiente internazionale, del
carattere incontrollabile e dell'aumento delle diverse minacce c'è
necessità di un nuovo consenso globale fra forze responsabili. Non si
tratta di accordi locali o della divisione in sfere d'influenza nello
spirito della diplomazia di stampo tradizionali oppure del dominio
globale da parte di qualche soggetto. Penso che abbiamo bisogno di un
tipo di interdipendenza. Non dobbiamo averne timore. Al contrario, questo
è un buono strumento per concertare le diverse posizioni che diviene
particolarmente rilevante visto il rafforzamento e la crescita di alcune
regioni
del
pianeta,
dato
che
questo
processo
necessita
dell'istituzionalizzazione di tali nuovi poli e della creazione di
organizzazioni regionali forti insieme allo sviluppo di regole per
l'interazione
fra
questi.
La
cooperazione
fra
questi
centri
contribuirebbe sostanzialmente ad aumentare la stabilità della sicurezza,
della politica e dell'economia. Per stabilire tale dialogo bisogna
procedere dall'assunto che tutti i centri regionali e i progetti di
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integrazione che vi si sviluppano attorno hanno pari diritti di sviluppo,
in modo tale da potere diventare complementari e da non essere obbligati
a entrare artificialmente in conflitto o in contrapposizione. Queste
azioni distruttive romperebbero i legami fra stati e gli stati stessi
sarebbero soggetti a difficoltà estreme o addirittura alla totale
distruzione.
Vorrei ricordarvi i fatti dell'anno scorso. Avevamo detto ai nostri
partner americani ed europei che astiose decisioni prese dietro le
quinte, per esempio riguardo all’adesione dell'Ucraina all'UE, sarebbero
state foriere di gravi rischi per l'economia. Non abbiamo parlato di
politica, ma solo di economia dicendo che tali azioni perpetrate senza
accordi precedenti toccano gli interessi di molti Paesi, inclusa la
Russia visto che siamo il principale partner commerciale dell'Ucraina, e
che è necessaria un'ampia discussione di queste problematiche. Apro una
parentesi a questo riguardo, ricordando ad esempio i negoziati
sull'ingresso della Russia nell'OMC che si sono protratti per 19 anni. È
stato un lavoro difficile ed è stato raggiunto un certo consenso.
Perché sto menzionando questi fatti? Perché nell'attuazione del progetto
di adesione dell'Ucraina i nostri partner passerebbero dalla 'porta sul
retro' per farci giungere le loro merci e i loro servizi. Noi non abbiamo
espresso la nostra approvazione e nessuno ce l'ha chiesta. Abbiamo
discusso tutte le tematiche relative all'adesione dell'Ucraina all'UE, e
sono state discussioni costanti, ma vorrei sottolineare che sono avvenute
sempre in modo civile, definendo possibili problemi e portando ovvi
ragionamenti e motivazioni. Nessuno ha voluto ascoltarci e nessuno ha
voluto parlarne. Ci hanno semplicemente detto che non erano affari
nostri, punto, fine della discussione. Invece di un dialogo comprensivo,
e sottolineo, civile, il risultato è stato un governo rovesciato. Il
Paese è stato gettato nel caos, nel collasso economico e sociale, in una
guerra civile con un enorme quantità di vittime.
Perché? Quando chiedo ai miei colleghi le loro ragioni, non hanno
risposte da dare, nessuno dice nulla. Questo è quanto. Tutti sono
disorientati, dicendo che è semplicemente andata così. Queste azioni non
avrebbero dovuto essere incoraggiate, perché non avrebbero funzionato.
Dopo tutto (e l'ho già detto) il precedente presidente ucraino Janukovich
ha firmato tutto, si è detto d'accordo con tutto. Perché fare ciò? Qual
era lo scopo? Si può definire questo un modo civile per risolvere i
problemi?
Pare
che
coloro
che
costantemente
organizzano
nuove
'rivoluzioni colorate' si considerino 'artisti brillanti' e semplicemente
non sono in grado di smettere.
Sono certo che il lavoro di associazioni integrate e la cooperazione
delle strutture regionali debba basarsi su fondamenta chiare e
trasparenti. Il processo di formazione dell'Unione Economica Euroasiatica
è un buon esempio di trasparenza.
Gli stati che hanno preso parte a
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questo progetto hanno informato in anticipo il loro partner riguardo alle
loro intenzioni e hanno specificato i parametri di tale associazione e i
principi del suo funzionamento, che corrispondono con le regole
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Aggiungo che avremmo anche visto con favore l'inizio di un dialogo
concreto fra l'Unione Euroasiatica e l'Unione Europea. Ma anche questo ci
è stato negato e il motivo non è chiaro: quali sono i timori al riguardo?
Certamente pensavamo che con un operato congiunto avremmo dovuto
impegnarci a costruire un dialogo (ho parlato molte volte di questo e
ricevuto segnali di approvazione da molti partner occidentali, per lo
meno in Europa) sulla necessità di creare uno spazio comune per la
cooperazione economica e umanitaria che coinvolgesse tutti i Paesi,
dall'Oceano Atlantico al Pacifico.
Colleghi, la Russia ha compiuto la sua scelta. Le nostre priorità stanno
migliorando ancora di più le nostre istituzioni democratiche e di
economia di libero mercato, accelerano lo sviluppo nazionale tenendo in
considerazione
tutte
le
favorevoli
tendenze
moderne
globali
e
consolidando una società basata su valori tradizionali e patriottici.
La nostra agenda è orientata all'integrazione, è positiva e pacifica e
stiamo lavorando attivamente insieme ai nostri amici dell'Unione
Economica Euroasiatica, all'Organizzazione per la Cooperazione di
Shangai, ai BRICS e agli altri partner. La nostra agenda punta a
sviluppare i legami fra i governi, non a creare distanza. Non stiamo
cercando di mettere insieme alcun blocco di Paesi né di inserirci in uno
scambio di colpi.
Le asserzioni e le dichiarazione secondo cui la Russia sta tentando di
costituire una sorta di impero violando la sovranità dei suoi vicini sono
senza fondamento.
La Russia non ha bisogno di un posto speciale ed
esclusivo nel mondo, e desidero evidenziare questo fatto. Nel rispetto
degli interessi degli altri, vogliamo semplicemente che i nostri
interessi vengano presi in considerazione e che venga rispettata la
nostra posizione.
Siamo tutti consapevoli che il mondo è entrato in un periodo di
cambiamenti e di trasformazioni globali, nel quale è necessario usare
grande cautela ed evitare mosse sconsiderate. Negli anni che hanno
seguito la Guerra Fredda, gli attori della politica globale hanno in
qualche modo perso queste qualità; ora è il momento di ricordargliele,
altrimenti la speranza di uno sviluppo pacifico e stabile sarà soltanto
un'illusione pericolosa, e il tumulto odierno sarà solo il preludio al
collasso dell'ordine mondiale.
Sì, certamente, ho già detto che costruire un ordine mondiale stabile è
un compito difficile. Stiamo parlando di un lavoro lungo e faticoso.
Siamo riusciti a definire regole a favore dell'integrazione dopo la
Seconda Guerra Mondiale e siamo stati in grado di arrivare a un accordo a
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Helsinki negli anni settanta. Il nostro dovere comune consiste
risolvere questa sfida cruciale in questa nuova fase di sviluppo.
Grazie mille per la vostra attenzione.
nel
Fonte della traduzione: http://eng.kremlin.ru/news/23137
Video del discorso (in russo): https://www.youtube.com/watch?v=VJGsDaLaXuY
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