Alias, supplemento settimanale de «Il Manifesto

ALIAS DOMENICA
18 MAGGIO 2014
(8)
A MILANO, PALAZZO REALE, FINO AL 14 LUGLIO
LUINI
CINQUECENTO ■ «BERNARDINO LUINI E I SUOI FIGLI», A CURA DI AGOSTI E STOPPA
Una calma Lombardia
nell’officina
dell’università statale
di CLAUDIO GULLI
MILANO
●●●La Milano di Strehler, di Testori,
di Arbasino, come linea di stile. Una
pedagogia manzoniana, che educhi
con le grandi narrazioni popolari. Una
filologia piana, chiara, che agisca sui
documenti non meno che sui testi figurativi, secondo un metodo messo a
punto sulla scia di maestri come Paola
Barocchi, Dante Isella e Gianni Romano. Questi gli ingredienti di base di
una mostra – che raccontiamo da dietro le quinte – dove si prova a dire tanto di nuovo su Bernardino Luini e i suoi
figli, a cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa (Palazzo Reale, fino al 14 luglio, catalogo Officina Libraria).
Questa mostra non è che un capitolo di una saga che consiste nella riscrittura di pagine centrali della vicenda artistica lombarda. Da ricordare almeno
la monografica su Foppa organizzata
dal Comune di Brescia (2003), il Mantegna del Louvre (2008), l’esplorazione del Rinascimento nelle terre ticinesi
a Rancate (2010), la scommessa del
Bramantino di appena un anno fa. In
un decennio in cui le mostre piacevano se c’erano le code alla biglietteria,
non se insegnavano qualcosa a qualcuno. Qui invece il cuore è la didattica e la ricerca: i collaboratori sono studenti universitari che lavorano in
squadra e capiscono come funzionano schede, bibliografie, fotografie, allestimento, e tutto quel che significa
curare una mostra. Al visitatore presentiamo quel che emerge dallo studio, incertezze incluse. Un modello
che viene dalla Siena di Giovanni Previtali e Luciano Bellosi, dove, fra anni
ottanta e novanta, una serie di mostre ha consentito di capire meglio il
ciclo di quella storia dell’arte, dal gotico a Beccafumi, grazie a un forte legame fra università e comune. E oggi
che musei e soprintendenze sono
sempre più sotto attacco, la partita
delle mostre appare ancora più decisiva. Non come rifugio, ma come ariete: per rientrare dalla porta maggiore.
La speranza è insomma che la generazione di storici dell’arte che ora si va
formando – all’università di Milano e
non solo – riesca a fare tesoro di esperienze di questo genere. E faccia capire, al pubblico e al potere, qual è il
senso reale del proprio mestiere.
La Madonna con Bambino del Castello Sforzesco di Vincenzo Foppa
(1475), dipinta quando Luini è ancora
bambino, sta a indicare che è lunga la
gittata che si vuole percorrere: in funzione di prologo, è l’opera di un patriarca prospettico e scheggiato. Come la Crocifissione della Sabauda di
Gaudenzio Ferrari, posta all’apertura
del Seicento lombardo da Testori nel
1973, sempre a Palazzo Reale. Ancora
tre Madonne, prima di scoprire il primo Luini: segnalano inversioni di rotta verso Leonardo (il Maestro della Pala Sforzesca) o fedeltà a una chiarezza
lattea di paese (il Bergognone della
Carrara). Dell’attività giovanile di Luini, su cui si è tanto discusso, si ipotizza di rintracciare le mosse in Veneto:
si fa capo a una pala d’altare, oggi al
Jacquemart-André, firmata e datata
1507, di cui è ignota la provenienza –
nel 1794 era in una collezione privata
di Venezia. L’aria che tira richiama Treviso: e in sala, su tutto, svetta quel Ritratto di giovane di Lorenzo Lotto
(1503-1505 circa, anche lui dalla Carrara) che sta fra il genio e l’idiozia. Anche di due polittici smembrati non è
chiara la provenienza: per il primo,
cinque Santi in collezione Borromeo
(1510), si propone una divisione di
mani: di Bernardino (si è trovata la firma) sarebbe solo il fulgido San Sebastiano, dal corpo tutto in luce, e di altri due pittori, Bernardino Ferrari e il
Maestro di York, le restanti quattro.
Per il secondo polittico (1510-1512),
gli indizi convergono verso la pista luganese, in forza del ritrovamento di
copie seicentesche in una parrocchiale del luogo. Silenziosamente, Luini
trova la sua cifra, quasi che avvicinare ai fedeli madonne e santi fosse una
vocazione istintiva. Normalizza le sperimentazioni intellettualistiche di Bramantino, dove ogni geometria era
mutata in mistero. Un altro rapporto
forte di Luini è con Bernardo Zenale:
i due si legano in compagnia e condividono una stessa posizione cultura-
In alto a sinistra, Bernardino Luini, «Compianto
su Cristo» (part.), 1515-’16, Milano, San Giorgio al Palazzo;
a destra, Bernardino Luini, «San Sebastiano», 1510,
Isola Bella, collezione Borromeo
le: fare i conti col passato (Foppa, Bergognone) ma esplorare, per quanto
possibile, il nuovo senso bramantiniano e leonardesco delle cose. Ma ci
sarebbe voluta in mostra la Pala Busti di Zenale (1515), prestito sciaguratamente non concesso da Brera.
In campagna, nella villa detta la Pelucca – ma si tratta di un’azienda agricola –, a Sesto San Giovanni, Luini dipinge per Gerolamo Rabia un ciclo di
affreschi (1513-1514 circa), sala per sala, e di una, ora, si è precisata l’iconografia: sono storie tratte dal Driadeo
d’Amore di Luca Pulci, poemetto fiorentino del 1465. Staccati fra 1821 e
’22 da Stefano Barezzi, in un’operazione che Alessandro Conti definiva «di
pura speculazione», gli affreschi poi
viaggiano fra Brera e il collezionismo
privato: alcuni finiscono nei musei di
Washington, Parigi e Londra. Ma il tazebao braidense con le Donne al bagno, scarnificato dallo stacco, si impone nella percezione collettiva: oltre a
Puvis de Chavannes, vengono in mente Balthus e Hopper. E infatti l’origine
di queste squadrature di volumi va ricercata in Bramantino.
L’opera-simbolo di questo nostro
Luini è la Madonna del roseto di Brera
(1516-1517 circa): copertina coraggiosa del catalogo è il graticcio, da cui
spuntano fogliame, steli spinosi e due
rose bianche, ma altre stanno per
sbocciare. Stessa scelta per il manifesto della mostra, ma nel dettaglio si include il Bambino meditabondo: è una
dimensione più umana. Luini pittore
calmo, non piatto; dolce e naturale,
privo di malizia, non di malinconia –
guardiamo anche i ritratti. Nel 1516 dipinge per Santa Marta, dove superiora del convento è una nobile milanese, Arcangela Panigarola, che crede in
una riforma della Chiesa e ha delle visioni. E allora le Sante a monocromo
di Luini (ma c’è anche un Lazzaro) –
affreschi staccati normalmente nei depositi di Brera, qui riuniti in una sala –
ti sembrano colonne di un Vangelo in
cui si legge una verità povera.
Di un viaggio a Roma di Luini parla
Cesare Cesariano, nel commento alla
prima traduzione italiana del De Architectura di Vitruvio (1521), ma non
ci sono i presupposti per uno choc stilistico. La pittura di Leonardo e di Raffaello irretisce Luini, che nei due trova
nuovi registri emotivi. Del primo è in
mostra la Scapiliata della Galleria Nazionale di Parma (1505-1506), accanto, due Salomè: una, da brivido, è di
Solario (dalla Sabauda, 1505-1510), la
seconda, di Luini, è un’opera che consacra la fama ottocentesca del pittore,
anche per la sua collocazione in Tribuna agli Uffizi (1525 circa). È questo il
Luini che si è «malinteso», che Longhi
distingueva dalla schiera dei leonardeschi e accostava invece a Solario e Boltraffio: pittori di una sensualità eterodossa, da non appiattire sul vinciano.
Una parte per niente secondaria
del lavoro per questa mostra ha riguardato Aurelio (1530-1592), figlio minore di Bernardino, ospitato nella Sala
delle Cariatidi, insieme a una scelta di
pittori di confronto. Non può essere
I Luini, dal classicismo dolce
del padre Bernardino
al manierismo del figlio
Aurelio: una mostra esemplare
che lega l’attività di studio
alla programmazione civica
lui, ma una personalità sfuggente che eredita la bottega
alla morte di Bernardino, a dipingere la Sacra Famiglia
con Sant’Anna e San Giovannino dell’Ambrosiana
(1535-1540 circa), opera che dipende dal cartone della
Sant’Anna di Leonardo, ora alla National Gallery. Ma in
quel momento a Milano il vinciano è più venerato che
capito. Bernardino muore troppo presto per consegnare ad Aurelio un qualche mandato di stile e la giovinezza di questi è letta dai curatori in senso veneto. A Milano, in Santa Maria delle Grazie, non
mancava un Tiziano: la Coronazione
di spine del 1543 oggi al Louvre. È poi
GLI ITINERARI LUINESCHI, CON VADEMECUM
centrale la presenza di Aurelio nel
1557 nella chiesa di San Vittore a Me●●●Una mostra, in Italia, se vuole essere politica, per i cittadini, non può che
da: qui dipingono Antonio Campi,
introdurti a ribattere strade antiche, a ritrovare opere dentro chiese, un tempo
uno degli invasori della famiglia crenei borghi o nei campi, e ora magari sommerse da industrie e speculazione. Per
monese che irrompe nella scena milaquesto il nostro Luini – pittore eletto dal gusto di un secolo, l’Ottocento, ad
nese, e Giovanni da Monte, pittore
alfiere della civiltà lombarda – parla a un pubblico disposto a ragionare su
vertiginoso e poco noto – e in mostra
un’identità: cittadina, regionale, su una rete di scambi fra centri e territorio. Il
trovi le ante d’organo della chiesa di
volume di trenta Itinerari (a cura di Giovanni Agosti, Rossana Sacchi e Jacopo
San Nazaro (1568-1570 circa): un
Stoppa, con fotografie di Mauro Magliani, Officina Libraria) ti conduce davanti alle
trionfo di venetismo, in senso tizianeopere di Bernardino e Aurelio, sparse fra Milano e i laghi. Passeggia in corso
sco e manierista. Aurelio si gioca tutte
Torino e incontrerai a un certo punto una chiesa, San Giorgio al Palazzo: lì c’è il
le sue carte su toni spettacolari: è una
Luini su tavola più bello che puoi vedere a Milano. Un Compianto lucido, analitico,
pittura di colpi di scena. Una prova
fitto di dolore e compassione per quel che è successo, brillante se passi dai verdi
grandiosa è il Compianto su Cristo delagli azzurri ai rossi potenti. Facce commosse che guardano in sù, ragazzi puliti
la chiesa dei Santi Paolo e Barnaba
che guardano te, donne che baciano mani a occhi chiusi, vecchi che si asciugano
(1575-1580 circa): la contrazione degli
le lacrime dagli occhi. Bellissimo. Se torni a Palazzo Reale trovi il contesto di quel
spazi produce una congestione di ludipinto: il disegno preparatorio – dal Louvre – e un altro Compianto del veronese
ci, colori e azioni. Dopo un secolo di
Caroto, che non capiamo se, rispetto a Luini, dia o riceva illuminazioni (ma il
pittura – e dopo l’ultimo dipinto di AuCaroto è ancora scioccato di come può essere il mondo dopo Mantegna). Una
relio, un Martirio di Santa Tecla strapmostra insomma che gioca ifra dentro e fuori. E ai nostri lettori consigliamo di
palacrime (1592), dalla sacrestia del
andare a Saronno o a Lugano, perché Luini, ad affresco, lì, è in forma smagliante:
Duomo –, il sipario si chiude con
donne e uomini sembrano tutti fratelli di un’età dorata dove conta solo la
un’Ultima Cena di Camillo Procaccidolcezza dei modi e del carattere. O a Legnano, o a Como. A Pallanza, se vuoi
ni (San Simpliciano, 1587): un’altra
vedere il capolavoro di Aurelio.
(cl. gu.)
storia, quella dei bolognesi migrati a
Milano, tutta da raccontare.