2015_03_06-rassegna

Dipartimento Comunicazione & Immagine
Responsabile - Lodovico Antonini
RASSEGNA STAMPA
Anno XVI - 06/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli
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Sommario
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
Bancari inquadrati in soli 6 livelli - La trattativa per il contratto è sempre più in salita e i rappresentanti dei
lavoratori non escludono nuovi scioperi e ricorsi legali se le banche vorranno cancellare i vecchi accordi dopo
il 31 marzo
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Abi e sindacati molto distanti - Sileoni (Fabi): «Posizione inconcepibile, non c’è accordo su tutta la linea»
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IL GIORNALE (Ed. Nazionale) venerdì 6 marzo 2015
CONTRATTO DEI BANCARI - Grandi, piccole e straniere fanno tilt al flipper Abi
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LIBERTA' venerdì 6 marzo 2015
Si avvicina la scadenza del 31 marzo oltre la quale scatterà la disapplicazione Contratto bancari ancora in
salita Trattativa difficile, resta il disaccordo tra sindacati e Abi
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ITALIA OGGI venerdì 6 marzo 2015
Vertice il 13 - Bancari: scontro sul contratto
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MILANO FINANZA NEWS 05/03/2015 16.00
Banche, Fabi: ulteriore distanza con Abi sugli inquadramenti
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RADIOCOR 5 3 2015 16:14
Banche: Sileoni (Fabi), lontani su inquadramenti, esecutivo Abi condizionato
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ADNKRONOS 05-MAR-15 15:46
BANCHE: FABI, ULTERIORE DISTANZA CON ABI SUGLI INQUADRAMENTI - Sileoni, banchieri vogliono
arrivare allo scontro senza rinnovare il contratto nazionale
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Federazione Autonoma Bancari Italiani via Tevere, 46 00198 Roma - Dipartimento Comunicazione & Immagine
Riservato alle strutture
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Derivati e manipolazione: due indagini a Roma - Sulla vicenda del derivato della Repubblica italiana chiuso
da Morgan Stanley sono in corso a Roma due indagini: una di carattere penale, l’altra già avviata un anno fa
dalla procura del Lazio della Corte dei conti.
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
L’aumento Mps costerà 130 milioni
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Il titolo Carige sale, la Fondazione scende
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Generali, primo round ad Agrusti
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Bankitalia, stretta sui dividendi delle più piccole
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Italia e Santa Sede cercano l’intesa sul monitoraggio
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Fuga dei capitali con nuove strategie
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Tutele crescenti, l’ora dell’avvio
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Il presidente di una banca risponde con il board
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ITALIA OGGI venerdì 6 marzo 2015
Un tetto ai diritti di voto - Nell'esame del testo su riforma popolari
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
Bancari inquadrati in soli 6 livelli - La trattativa per il contratto è sempre più in salita e i rappresentanti dei
lavoratori non escludono nuovi scioperi e ricorsi legali se le banche vorranno cancellare i vecchi accordi dopo
il 31 marzo
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
La mossa di Draghi tra luci e qualche ombra
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
Bce fissa l'agenda per la vigilanza - Angeloni: ridurremo le discrezionalità nazionali sul capitale e rivedremo
l'utilizzo da parte delle banche dei modelli interni di rating. Ma il sistema va verso livelli patrimoniali più
elevati
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
Bankitalia: evitare i rischi dello shadow banking
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Articoli
MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
Bancari inquadrati in soli 6 livelli - La trattativa per il contratto è sempre più in salita e i
rappresentanti dei lavoratori non escludono nuovi scioperi e ricorsi legali se le banche
vorranno cancellare i vecchi accordi dopo il 31 marzo
di Mauro Romano
La riunione di ieri tra sindacati e Abi per il rinnovo del contratto dei bancari non ha fatto altro che marcare la
distanza che ancora separa le parti.
L'associazione delle banche, come
peraltro aveva annunciato più volte, ha
presentato la proposta per ridurre i
livelli degli inquadramenti interni da 13
a 6; una razionalizzazione il cui
obiettivo implicito è la riduzione del
costo del lavoro.
Da anni le banche infatti lamentano
che oltre la metà dei dipendenti è
inquadrato ai livelli più alti, al
contrario di quanto succede in altri
settori produttivi. Come si vede nella
tabella pubblicata in pagina, la
proposta dell'Abi prevede di dividere
gli inquadramenti in tre aree:
manageriale, operativa ed esecutiva,
ognuna delle quali a sua volta
comprenderà solo due livelli d'inquadramento. In questo modo gli attuali quattro livelli direttivi saranno
assorbiti nei due nuovi livelli manageriali e lo stesso succederà nelle altre aree. La retribuzione base dei nuovi
livelli sarà in media più bassa di quella attuale (come emerge dalla stessa tabella), ma ovviamente chi ora
guadagna di più continuerà a percepire la stessa cifra. La differenza sarà inserita in una voce ad personam che
assorbirà i futuri aumenti. Ma proprio su questo meccanismo si è manifestata la netta contrarietà delle varie
sigle sindacali. Per tutti Lando Maria Sileoni, il segretario della Fabi, ha fatto
notare che in questo modo le banche otterrebbero di cancellare sotto altra forma
il sistema di crescita dinamica del costo del lavoro. Le banche infatti si sono
proposte fin dall'inizio della trattativa di raggiungere l'obiettivo bloccando gli
scatti e la rivalutazione del Tfr, ossia i due meccanismi di adeguamento
automatico della retribuzione. Con i nuovi livelli d'inquadramento il risultato
verrebbe comunque raggiunto perché gli scatti verrebbero calcolati sulla
retribuzione base più bassa, ma gli aumenti conseguenti sarebbero
inevitabilmente assorbiti dal bonus personale, il cui valore complessivo
continuerebbe a decrescere fino a che la nuova busta paga non raggiunga
l'ammontare di quella precedente.
Sempre l'Abi propone di stabilire con il contratto nazionale i nuovi livelli
retributivi, lasciando però alla contrattazione aziendale la definizione dei profili
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professionali. Ma questo è un altro punto respinto dai sindacati, che hanno rilanciato ricordando che negli
ultimi 14 anni i lavoratori bancari hanno perso mediamente 810 euro in termini di potere d'acquisto, mentre i
manager al vertice degli istituti avrebbero incrementato notevolmente i loro guadagni. Secondo una ricerca
della Filca Cgil, infatti, gli amministratori delegati dei primi cinque grandi gruppi bancari italiani avrebbero
incrementato i guadagni di 600 mila euro, passando in media dai 3,1 milioni del 2000 ai 3,7 milioni del 2014.
Il confronto prosegue quindi su posizioni sempre più divergenti e i sindacati, come ha annunciato Sileoni, si
riservano di dare una valutazione complessiva della vertenza contrattuale intorno al 20 marzo, «quando
avremo ben chiare le differenze e le distanze tra le parti», I sindacati sono pronti anche a promuovere nuovi
scioperi e a far partire le vertenze legali in ogni gruppo se l'Abi dovesse disapplicare il vecchio contratto dopo
il termine fissato per il 31 marzo. Così il capo delegazione dell'Abi, Alessandro Profumo, che si è detto
preoccupato per il futuro del sistema bancario italiano se dovessero permanere gli attuali costi, ha risposto il
segretario della Uilca Massimo Masi dicendo che non è minore la preoccupazione dei lavoratori che stanno
«pagando la crisi e le scelte sbagliate» del top management, mentre il segretario della Filca Cgil, Agostino
Megale, ha messo in guardia «quella parte di banchieri che punta a far fallire la trattativa per il rinnovo del
contratto per determinare la deregulation contrattuale del settore». (riproduzione riservata)
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Abi e sindacati molto distanti - Sileoni (Fabi): «Posizione inconcepibile, non c’è accordo su
tutta la linea»
Sul tavolo per il rinnovo del contratto dei 309mila bancari, Abi avanza una proposta di ridefinizione del sistema
degli inquadramenti (si veda la tabella a fianco). Secondo i banchieri «con l’obiettivo prioritario di un
miglioramento della gestione del personale e il conseguente rafforzamento dell’efficacia organizzativa delle
singole banche». Dalla tabella è chiaro che gli inquadramenti passerebbero da 13 a 6 e per quelli accorpati si
terrà buono lo stipendio del livello più basso. Con relativa conversione della fungibilità delle mansioni e
demandi alla contrattazione aziendale. I banchieri non chiariscono quale sarebbe, per le banche, il risparmio
della proposta e il sindacato, che ragiona in termini di compensazioni, la liquida come inaccettabile. I
banchieri, preoccupati dell’andamento del settore, chiedono sacrifici sul fronte della dinamica del costo del
lavoro. Più alta sarà la dinamica, ha detto al tavolo il capo della delegazione Abi Alessandro Profumo «meno
riusciremo a tutelare i livelli occupazionali».
Il negoziato va avanti ma già al terzo incontro le parti sono ai ferri corti. Dopo la presentazione Lando Maria
Sileoni, segretario generale della Fabi ha spiegato che banche e sindacati sono «distanti su tutta la linea». La
proposta, per il leader degli autonomi, avrebbe come unico fine quello di «interrompere la crescita dinamica
del costo del lavoro. Una posizione inconcepibile per il sindacato». Dati alla mano, negli ultimi 14 anni, ha
ricordato Sileoni, «sono cresciuti soltanto gli stipendi dei manager , mentre i lavoratori bancari hanno perso
mediamente 810 euro in termini di potere d’acquisto, gli amministratori delegati dei primi 5 gruppi bancari ne
hanno guadagnati 600mila in più». La proposta evidenzia «un’ulteriore distanza rispetto alle posizioni
politiche di Abi sugli inquadramenti. Abbiamo la certezza che si voglia arrivare a uno scontro, che l’Abi non
voglia rinnovare il contratto nazionale, anche perché all’interno dello stesso esecutivo Abi è iniziata la
campagna elettorale per la successione di Patuelli, il cui mandato è alla scadenza naturale», sostiene Sileoni.
Secondo il segretario generale della Fiba Cisl Giulio Romani Abi «mira ad ottenere risparmi strutturali di costi
attraverso l’appiattimento delle future dinamiche salariali e la riduzione del numero dei livelli. Un simile
impianto mortificherebbe la professionalità dei lavoratori, specie per la categoria dei quadri e non risolverebbe
affatto nessun problema di flessibilità organizzativa». Per Romani «la trattativa resta carente di un’intesa di
fondo su quale sia il progetto di banca per il Paese su cui costruire professionalità e coerenti sistemi
retributivi». «A quella parte di banchieri che punta a far fallire la trattativa per determinare la deregulation
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ITALIA OGGI venerdì 6 marzo 2015
Vertice il 13 - Bancari: scontro sul contratto
Sul rinnovo del contratto dei bancari «siamo lontani anni luce, c'è una differenza importantissima a livello
economico e a livello normativo. Sul tema occupazionale non vogliono prendersi impegni». Lo ha dichiarato
Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, al termine del tavolo di ieri tra Abi e sindacati. Se non si
riuscirà a portare a casa il rinnovo del contratto entro il 31 marzo, «ci saranno vertenze legali, scenderemo in
piazza, ci saranno altri scioperi». I punti caldi sul tavolo, ha ricordato Sileoni, rimangono «la questione
economica, il recupero dell'inflazione, il mantenimento dell'area contrattuale, la riforma degli
inquadramenti». Secondo il segretario generale della Fiba-Cisl, Giulio Romani, «ci hanno detto che non sono
in grado di sapere quello che faranno domani. C'è un sistema bancario che dichiara pubblicamente che non è
in grado di progettare quale futuro avrà per il paese». «Vogliamo vedere il 13 marzo a che punto si arriva. Se
non ci dovesse essere un cambio radicale da parte delle controparti non saremo più disposti a proseguire», ha
concluso Romani. © Riproduzione riservata
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MILANO FINANZA NEWS 05/03/2015 16.00
Banche, Fabi: ulteriore distanza con Abi sugli inquadramenti
"L'incontro di oggi in Abi ha evidenziato un'ulteriore distanza rispetto alle posizioni politiche di Abi sugli
inquadramenti. Abbiamo la certezza che si voglia arrivare a uno scontro, che l'Abi non voglia rinnovare il
contratto nazionale, anche perché all'interno dello stesso esecutivo Abi è iniziata la campagna elettorale per la
successione di Patuelli, il cui mandato è alla scadenza naturale". Lo ha dichiarato Lando Maria Sileoni,
segretario generale della Fabi, a margine dell'incontro che si è svolto oggi in Abi nell'ambito della trattativa di
rinnovo del contratto nazionale dei 309mila lavoratori bancari italiani.
"La categoria è vittima di giochi di potere, d'interessi trasversali che condizionano l'intero esecutivo Abi, dove
prevalgono le posizione integraliste e ottuse e di "chi ce l'ha più duro", ha aggiunto. "Il sindacato", ha proseguito
Sileoni, "si è riservato di dare una valutazione complessiva della vertenza contrattuale intorno al 20 marzo,
quando avremo ben chiare le differenze e le distanze tra le parti".
"L'esecutivo Abi ha totalmente fallito nella sua strategia sindacale in quanto, prima che il rinnovo contrattuale,
ha come principale obiettivo l'interruzione della crescita dinamica del costo del lavoro, per noi inconcepibile.
Su argomenti fondamentali per il settore come il modello di banca, l'area contrattuale, la difesa
dell'occupazione, la riforma delle popolari, gli alti stipendi dei manager, le sofferenze bancarie, l'Abi", ha
concluso, "ha latitato nelle risposte, evidenziando l'assenza di una pur minima strategia per uscire, senza
traumi, dal difficile momento attuale".
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RADIOCOR 5 3 2015 16:14
Banche: Sileoni (Fabi), lontani su inquadramenti, esecutivo Abi condizionato
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Roma, 05 mar - Le posizioni tra l'Abi e i sindacati al tavolo del rinnovo del contratto
nazionale sono distanti anche sulla proposta sugli inquadramenti presentata oggi dai banchieri. E' l'indicazione
che arriva dal segretario generale del sindacato autonomo Fabi, Lando Sileoni, che in una nota denuncia anche
alcuni "condizionamenti" all'interno dell'Esecutivo Abi. "Abbiamo la certezza che si voglia arrivare a uno
scontro - si legge nella nota della Fabi - che l'Abi non voglia rinnovare il contratto nazionale, anche perche'
all'interno dello stesso esecutivo Abi e' iniziata la campagna elettorale per la successione di Patuelli" (in
scadenza a luglio 2016, ndr).
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Anno XVI - 06/03/2015
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l'Abi non voglia rinnovare il contratto nazionale, anche perché all'interno dello stesso esecutivo Abi è iniziata
la campagna elettorale per la successione di Patuelli, il cui mandato è alla scadenza naturale''. Lo dichiara
Lando Maria Sileoni, Segretario generale della Fabi, a margine dell'incontro che si è svolto oggi in Abi
nell'ambito della trattativa di r innovo del contratto nazionale dei 309mila lavoratori bancari italiani. ''La
categoria è vittima di giochi di potere, d'interessi trasversali che condizionano l'intero esecutivo Abi, dove
prevalgono le posizione integraliste e ottuse e di 'chi ce l'ha più duro''', continua Sileoni. Il sindacato si è
riservato di dare una valutazione complessiva della vertenza contrattuale intorno al 20 marzo, quando avremo
ben chiare le differenze e le distanze tra le parti. ''L'esecutivo Abi ha totalmente fallito nella sua strategia
sindacale in quanto, prima che il rinnovo contrattuale, ha come principale obiettivo l'interruzione della crescita
dinamica del costo del lavoro, per noi inconcepibile -continua Sileoni-. Su argomenti fondamentali per il
settore come il modello di banca, l'area contrattuale, la difesa dell'occupazione, la riforma delle popolari, gli
alti stipendi dei manager, le sofferenze bancarie, l'Abi ha latitato nelle risposte, evidenziando l'assenza di una
pur minima strategia per uscire, senza traumi, dal difficile momento attuale''. (Rem/AdnKronos) 05-MAR-15
15:46 NNNN
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ITALIA OGGI (Tempo reale) 05/03/2015 15.32
Contratto bancari, nulla di fatto all'incontro Abi-sindacati
Fumata nera oggi all'incontro per il rinnovo del contratto dei bancari.
"L'incontro di oggi in Abi ha evidenziato un'ulteriore distanza rispetto alle posizioni politiche di Abi sugli
inquadramenti. Abbiamo la certezza che si voglia arrivare a uno scontro, che l'Abi non voglia rinnovare il
contratto nazionale, anche perché all'interno dello stesso esecutivo Abi è iniziata la campagna elettorale per la
successione di Patuelli, il cui mandato è alla scadenza naturale", riferisce Lando Maria Sileoni, segretario
generale della Fabi.
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ANSA 5 3 2015
Banche: Sileoni (Fabi) banchieri vogliono arrivare a scontro - Ulteriore distanza con Abi sugli
inquadramenti
(ANSA) - ROMA, 5 MAR - "L'incontro di oggi in Abi ha evidenziato un'ulteriore distanza rispetto alle posizioni
politiche di Abi sugli inquadramenti. Abbiamo la certezza che si voglia arrivare a uno scontro, che l'Abi non
voglia rinnovare il contratto nazionale, anche perché all'interno dello stesso esecutivo Abi è iniziata la
campagna elettorale per la successione di Patuelli, il cui mandato è alla scadenza naturale". Lo dichiara Lando
Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, a margine dell'incontro che si è svolto oggi in Abi nell'ambito
della trattativa di rinnovo del contratto nazionale dei 309mila lavoratori bancari italiani.
"La categoria è vittima di giochi di potere, d'interessi trasversali che condizionano l'intero esecutivo Abi, dove
prevalgono posizione integraliste e ottuse". Il sindacato "si è riservato di dare una valutazione complessiva
della vertenza contrattuale intorno al 20 marzo, quando avremo ben chiare le differenze e le distanze tra le
parti. L'Esecutivo Abi ha totalmente fallito nella sua strategia sindacale in quanto, prima che il rinnovo
contrattuale, ha come principale obiettivo l'interruzione della crescita dinamica del costo del lavoro, per noi
inconcepibile. Su argomenti fondamentali per il settore come il modello di banca, l'area contrattuale, la difesa
dell'occupazione, la riforma delle popolari, gli alti stipendi dei manager, le sofferenze bancarie, l'Abi ha latitato
nelle risposte, evidenziando l'assenza di una pur minima strategia per uscire, senza traumi, dal difficile
momento attuale".(ANSA).
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Anno XVI - 06/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
acquisti di obbligazioni possano creare severe distorsioni ai rendimenti, suggerisce che il Qe non verrà
prolungato. Per Joerg Kraemer, capo economista di Commerzbank, tuttavia, è probabile che le previsioni della
Bce si rivelino troppo ottimistiche, come è avvenuto nel recente passato, e che quindi la banca sarà costretta
ad allungare il programma o ad aumentarne l’importo mensile. Poco dopo la conclusione della conferenza
stampa di Draghi, non ha mancato di far sentire la sua voce scettica un rappresentante della Bundesbank, una
delle banche centrali che hanno osteggiato il Qe, sostenendo che quanto meno il momento non era appropriato,
dato l’impulso all’economia del calo del petrolio. «Non è facile – ha detto in un’intervista televisiva alla
Bloomberg il consigliere della Bundesbank, Andreas Dombret – rispondere alla domanda se il Qe funzionerà».
La Bce ha precisato ieri alcuni dettagli dell’attuazione del Qe, su cui chiaramente vuole mantenere una certa
flessibilità. I 60 miliardi di euro mensili (1.100 miliardi in tutto) saranno composti per la più parte da titoli di
Stato e per il resto da titoli cartolarizzati (Abs) e obbligazioni bancarie garantite (covered bond), i cui acquisti
sono iniziati già nei mesi scorsi, oltre che da obbligazioni di 7 istituzioni europee (fra cui la Bei e i due fondi
salva-Stati Efsf e Esm) e 7 agenzie nazionali, di cui è stata fornita per la prima volta la lista. Draghi ha inoltre
precisato che la Bce acquisterà anche titoli che presentino un rendimento negativo (è il caso del debito della
Germania sotto i 5 anni), fino al livello del tasso sui depositi delle banche presso la Bce, che rappresenta la
soglia minima dei tassi ufficiali ed è oggi a -0,20%. Negli ultimi giorni, sono state sollevate perplessità sul fatto
che la Bce possa trovare titoli sufficienti per mettere in atto il suo programma, problema minimizzato da
Draghi. «Ci saranno complessità – ha detto – ma non rilevanti. Gli stessi dubbi erano stati sollevati all’inizio
del Qe di Stati Uniti e Gran Bretagna». Come sempre, Draghi ha fatto riferimento alla necessità che la politica
monetaria sia sostenuta dagli altri elementi della politica economica, soprattutto le riforme strutturali, da
mettere in atto «in modo rapido, credibile e efficace», per aumentare investimenti, creazione di posti di lavoro
e produttività, e la politica fiscale, a supporto della ripresa, ma nel rispetto del Patto di stabilità. La «piena e
coerente applicazione» del Patto sembra essere un riferimento all’insoddisfazione della Bce per gli ulteriori
due anni concessi alla Francia per raggiungere gli obiettivi di deficit pubblico. Ma Draghi ha citato anche la
necessità di ridurre gli squilibri macroeconomici, il più vistoso dei quali è l’enorme surplus esterno della
Germania. © RIPRODUZIONE RISERVATA Alessandro Merli
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Popolari, passa il tetto al 5% del diritto di voto
La «quadra» sembra essere stata trovata per la riforma delle banche popolari. Se non altro nelle commissioni
parlamentari: oggi il Dl passa in Aula alla Camera. Gli istituti di credito con attivi superiori a 8 miliardi di euro,
in base a un emendamento dei due relatori del dl banche potranno adottare un tetto del 5 per cento al diritto
di voto dopo la trasformazione in società per azioni. Il termine per la limitazione al diritto di voto
nell’assemblea delle popolari trasformate in spa dovrà essere «in ogni caso non successivo a ventiquattro mesi»
dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto.
Rossella Bocciarelli
? pagina 32
Confermata la soglia degli 8 miliardi per la trasformazione in Spa IL TESTO OGGI IN AULA Dentro al Pd
contrari Boccia e Fassina (Pd) Capezzone: «Chiusura totale da parte del Governo» Oggi discussione alla
Camera
ROMA
La «quadra», come direbbe Bossi, sembra essere stata trovata, per la riforma delle banche popolari. Se non
altro, per quel che riguarda la discussione - conclusa ieri con il via libera per l’Aula oggi - nelle Commissioni
parlamentari (Finanze e Attività produttiva) su come disciplinare la fine del principio «una testa un voto» nelle
banche popolari di dimensioni medio-grandi.
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Gli istituti di credito con attivi superiori a 8 miliardi di euro, in base a un emendamento dei due relatori del dl
banche, Marco Causi e Luigi Taranto, entrambi del Pd, potranno adottare un tetto del 5 per cento al diritto di
voto dopo la trasformazione in società per azioni. Il termine per la limitazione al diritto di voto nell’assemblea
delle popolari trasformate in spa dovrà essere «in ogni caso non successivo a ventiquattro mesi» dall’entrata
in vigore della legge di conversione del decreto. In base all’emendamento, sul quale il Governo ha espresso
parere favorevole, «nessun avente diritto al voto può esercitarlo, ad alcun titolo, per un quantitativo di azioni
superiore al 5% del capitale sociale avente diritto al voto, salva la facoltà di prevedere limiti più elevati». Le
modifiche riformulate dai relatori(Pd) chiariscono, inoltre, che nella stessa assemblea con la quale si vota la
trasformazione della popolare in spa si può procedere a una ulteriore votazione per modificare ulteriormente
lo statuto procedendo all’introduzione del limite al diritto dell’esercizio di voto. In tal modo, si può velocizzare
l’introduzione del tetto. Per entrambe le votazioni tenute nella stessa sede, poi, sarà sufficiente la maggioranza
semplificata, quella definita come voto capitario.
Va detto, però, che le modifiche concordate tra governo e maggioranza hanno lasciato insoddisfatte le
minoranze del Pd e le opposizioni. Questo dissenso potrebbe riproporsi, oltre che nel dibattito in aula che inizia
oggi alla Camera, dove il dl è atteso quest’oggi e dove il governo conta su una maggioranza sicura, nella
discussione sul provvedimento in Senato,dove i numeri sui quali il governo può fare affidamento sono meno
rocciosi. «Le banche popolari italiane, almeno le grandi, hanno natura ibrida, ben conosciuta da decenni,
perché hanno un rapporto controverso tra forma cooperativa, scopo di lucro e mutualità. Alle grandi resta solo
un elemento del vecchio modello originario, il voto capitario». Così si è espresso il relatore del decreto, Causi,
difendendo la ratio della trasformazione in Spa per gli istituti maggiori, dopo circa tre ore di dibattito sulla
riforma delle popolari.
Nella discussione sono intervenuti tutti i gruppi di opposizione, ma anche esponenti della minoranza Pd come
Francesco Boccia e Stefano Fassina, tanto da far dire a qualche deputato che è andato in scena «un congresso
del Pd». Boccia, ad esempio, ha polemizzato con uno dei consiglieri del premier Matteo Renzi, Yoram Gutgeld.
«Mi dovete convincere che questo decreto favorisce il credito alle imprese. A differenza di Gutgeld, mi pongo
dei quesiti e ho il dovere di chiedere al mio governo se non si siano sovrapposti i ruoli di governo e Parlamento
e regolatori. Se non mi si risponde, come temo, ho il dovere di chiedere un’indagine conoscitiva sul perché la
riforma tocchi solo dieci banche e non quindici, o meno». Altrettanto duro il commento del presidente della
Commissione Finanze,il deputato di Forza Italia Daniele Capezzone: «Da parte del Governo e dei relatori della
maggioranza si è oggi purtroppo confermato un atteggiamento di chiusura pressoché totale. La stessa loro
riformulazione degli emendamenti da me presentati ha il sapore della sterilizzazione e perfino per alcuni versi
del peggioramento della situazione, non certo dell’accoglimento». © RIPRODUZIONE RISERVATA Rossella
Bocciarelli
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Veneto banca e quei fidi in cambio di azioni
Quel prestito ha fatto un lunghissimo viaggio. Da Montebelluna, piena Marca trevigiana fino al cuore profondo
della Sicilia. Destinazione Enna Energia, una piccola srl con 2,8 milioni di euro di attivo, 125mila euro di
capitale netto e 2 milioni di debito. È il valore del prestito concesso da una sola banca, la Veneto Banca di
Montebelluna come ha scoperto Il Sole 24Ore. Nulla di strano, se non la massiccia esposizione che vale il 70%
dell'intero bilancio del 2013 ultimo anno disponibile della piccola srl. La stranezza è che quel credito non arriva
da solo, ma accompagnato, o meglio legato a filo doppio con l’acquisto da parte della società sicula di azioni
della stessa Veneto Banca per un valore di 301 mila euro. Nel bilancio di Enna Energia l'acquisto
contemporaneo di azioni a fronte del prestito viene definito «un atto ritenzione e compensazione». Nei
confronti di Veneto banca evidentemente. Compensazione di cosa? Del rischio di credito?
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Continua pagina 30
Fabio Pavesi
Continua da pagina 29 Forse. Ma quel rischio è già coperto da pegno a favore dell'istituto sulle stesse azioni di
Enna Energia. La garanzia c'è già, perché far acquistare titoli della banca? Azioni a fronte di mutui e prestiti.
Qui la correlazione è scritta nero su bianco. Evidente. E quello scambio tra fidi e titoli della banca è il cuore
dell'inchiesta della Procura di Roma sulla banca trevigiana. E che dire di Giuseppe Samorì? Nel bilancio 2012
della sua Modena Capitale ecco comparire un prestito a medio termine con Veneto banca per 23,4 milioni. Con
quei soldi Modena Capitale compra azioni Mediobanca senza prevedere reintegri di garanzie in caso di
andamento avverso dei mercati. Scarsa cautela. Sarà un caso ma Modena Capitale a fronte di quel credito da
23,4 milioni proveniente da Montebelluna, ricambia il favore dato che sempre nel 2012 ci sono a bilancio azioni
di Veneto Banca per 9,17 milioni di euro, più di un terzo del controvalore del credito concesso. Uno scambio?
Ti dò fidi, linee di credito e tu compri le mie azioni. Le testimonianze raccolte dal Sole 24 Ore sono numerose
e sarà l'inchiesta romana a fare luce. Un bel modo per fare un doppio affare. Concedo mutui e prestiti, ma nel
contempo vendendo azioni , incasso e innalzo il mio patrimonio. Più prestiti, più capitale alla banca . Che le
azioni di Veneto banca fossero fortemente “spinte” tra la clientela lo documenta una delle prime ispezioni
Consob che finì per sanzionare a inizio 2013 con 495mila euro (sanzioni poi ridotta dalla Corte d'Appello di
Venezia) l'intero Cda per «condotte irregolari relative alla valutazione di adeguatezza delle operazioni disposte
dalla clientela su azioni e obbligazioni emesse dalla Banca». In sintesi per Consob si vendevano titoli e bond
della banca anche a clienti con profilo di rischio non idoneo all'investimento. La Consob è in questi giorni di
nuovo negli uffici di Veneto Banca per appurare se quelle prassi sono ancora in vigore. Si vedrà. Sta di fatto
che la storia delle azioni Veneto banca fino a ieri è un susseguirsi ininterrotto di crescita, indipendentemente
dalla crisi del sistema bancario. Un'anomalia. Tanto per dare un'idea del sovrapprezzo fatto pagare ai loro sociclienti, l'ultimo aumento di capitale dell'estate del 2014 è stato fatto a 36 euro per azione, quando il valore
patrimoniale per azione, come documenta Consob, era di solo 29 euro. Un buon 24% di ipervalutazione. Chi
ha comprato ha pagato più del dovuto e la banca ha risparmiato. E sì che le avvertenze erano esplicite: Consob
nel prospetto ricorda che «potrebbero sorgere sia difficoltà di vendita che di poter ottenere in caso di vendita
un valore uguale all'investimento». Un monito inascoltato. Da tempo vendere le azioni Veneto Banca è quasi
impossibile. Non sono quotate e la banca non ha alcun interesse a ricomprare azioni sopravvalutate con ogni
probabilità. Tra il valore del patrimonio netto attuale di 3,3 miliardi per Veneto Banca e la capitalizzazione a
39,5 euro per azione che dice che Veneto vale 4,4 miliardi balla oltre 1 miliardo di plusvalore apparente diffuso
tra gli oltre 80 mila soci. Ma è tutto teorico, dato che se non si vende a 39,5 euro quel guadagno è solo sulla
carta .Tutto virtuale. E soprattutto qualsiasi analista direbbe che una banca che chiude da tre anni in perdita
non può valere il 30% in più del suo capitale. Finchè Veneto Banca starà da sola quell’ iper-valore
autoassegnato può reggere. Ma se dovesse fondersi o quotarsi i nodi delle perdite per i soci verrebbero tutti al
pettine. In un colpo solo. [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA Fabio Pavesi
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Inchiesta Trani, il Mef non si costituisce parte civile
Udienza con «giallo» al processo per manipolazione del mercato a sei tra manager e analisti delle società di
rating Standard & Poor’s e Fitch in corso dinanzi al tribunale di Trani.
Il legale di uno degli analisti di S&P ha accusato il pm, Michele Ruggiero, di avere «occultato» ai difensori e al
giudice dell’udienza preliminare - che dispose i rinvii a giudizio delle 2 agenzie - la deposizione di Mario Monti.
Secca la replica: mai nascosto nulla a nessuno. Intanto il Mef non si è costituito parte civile, ammesse invece
le associazioni dei consumatori.
Vincenzo Rutigliano
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Anno XVI - 06/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
non può valere il 30% in più del suo capitale. Finchè Veneto Banca starà da sola quell’ iper-valore
autoassegnato può reggere. Ma se dovesse fondersi o quotarsi i nodi delle perdite per i soci verrebbero tutti al
pettine. In un colpo solo. [email protected]© RIPRODUZIONE RISERVATA Fabio Pavesi
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Derivati e manipolazione: due indagini a Roma - Sulla vicenda del derivato della Repubblica
italiana chiuso da Morgan Stanley sono in corso a Roma due indagini: una di carattere
penale, l’altra già avviata un anno fa dalla procura del Lazio della Corte dei conti.
Cimmarusti e Ludovico pagina 30
ROMA
La verifica dell’andamento del mercato - oscillazioni dei titoli e del valore degli altri strumenti finanziari - per
riscontrare se c’è stato il reato di manipolazione. Ma anche l’esame dei profili di ipotesi di danno erariale
connessi al contratto tra il Tesoro e Morgan Stanley, con la clausola di scioglimento anticipato del contratto
derivato che ha consentito alla banca d’affari di incassare 2,5 miliardi di euro tra dicembre 2011 e gennaio
2012.
Sulla vicenda sono ormai due i fronti inquirenti romani: quello penale, curato dal procuratore aggiunto Nello
Rossi (si veda IlSole24Ore di ieri). E l’attività d’indagine già cominciata un anno fa dalla procura del Lazio della
Corte dei conti. Quest’ultima - che, tra l’altro, ha termini di prescrizione di gran lunga più ampi rispetto al
penale - per ora resta un’attività inquirente generica: non ci sono stati ancora «avvisi a dedurre», l’equivalente
di un avviso di garanzia che presuppone l’iscrizione dell’interessato nel registro degli indagati. L’apertura ora
di un fascicolo da parte dei colleghi di piazzale Clodio è probabile che riesca ad aggiornare e soprattutto ad
accelerare l’azione della magistratura contabile . È altrettanto probabile che a breve ci sia uno scambio di
fascicoli tra gli uffici giudiziari, come da prassi consolidate ormai negli anni. Sull’esito finale delle azioni
inquirenti è difficile per ora scommettere: certo, se l’indagine penale resta minacciosa ma complessa negli
accertamenti quella contabile - in presenza dei dovuti riscontri - potrebbe essere persino più incisiva. Del resto
se l’incasso della banca d’affari con lo scioglimento anticipato del contratto è stato di 2,5 miliardi, le
quantificazioni di danno erariale potrebbero essere di somme altrettanto notevoli.
L’inchiesta guidata da Nello Rossi si concentra sulla clausola di scioglimento anticipato, definita «unica nel
suo genere» dagli investigatori e perciò oggetto principale del focus della procura, che finora in questo fascicolo
non ha nessun iscritto nel registro degli indagati. Non si può neanche escludere, tuttavia, che entrambi i
fascicoli giudiziari si concludano con l’archiviazione. © RIPRODUZIONE RISERVATAIvan Cimmarusti e arco
Ludovico
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
L’aumento Mps costerà 130 milioni
L’aumento di capitale del Montepaschi costa alla banca 130 milioni di euro e in campo scendono nove banche,
capitanate da Ubs, che faranno da garanti della riuscita dell’operazione. È quanto emerge dalla relazione
illustrativa del consiglio di amministrazione pubblicata in vista dell’assemblea straordinaria degli azionisti.
L’aumento di capitale fino a 3 miliardi avrà «un effetto diluitivo significativo», considerato che la banca ai
valori attuali capitalizza circa 2,8 miliardi (al 4 marzo), si limitano poi a scrivere gli amministratori: indicazioni
più precise saranno fornite nel momento in cui saranno determinati il prezzo, il numero delle azioni da
emettere e il rapporto di opzione. (R.Fi.)?
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Anno XVI - 06/03/2015
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Il titolo Carige sale, la Fondazione scende
Fondazione Carige scende ancora e si porta intorno al 3% della Cassa di risparmio di Genova. L’ente ligure secondo quanto risulta a Radiocor - ha già ulteriormente limato la partecipazione nell’istituto bancario con
vendite sul mercato nel corso delle ultime sedute: in particolare la Fondazione, che domenica aveva
ufficialmente comunicato di detenere il 4,8% al netto dell'operazione Malacalza, ha dismesso un altro 2% circa
approfittando dell’ottima performance del titolo in Borsa. Dall'annuncio dell’ingresso della famiglia Malacalza,
Carige ha guadagnato il 13% sul listino. Vendendo il 2% a questi valori l’incasso per la Fondazione ligure
dovrebbe aggirarsi sui 14 milioni. (R.Fi.)
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Generali, primo round ad Agrusti
Generali dovrà pagare più o meno 6,6 milioni di euro a Raffaele Agrusti, assistito dagli studi legali Dattrino e
Scorcelli. Lo ha stabilito la sentenza di primo grado non definitiva emessa ieri dal giudice del lavoro di Trieste
che ha rigettato la richiesta del Leone di impugnativa dell’accordo transattivo raggiunto con l’ex manager al
momento dell’uscita. Il giudice ha anche respinto la domanda risarcitoria delle Generali così come ha rifiutato
quelle promosse da Agrusti in via riconvenzionale.
Merita venga ricordato che in precedenza, relativamente alla posizione dell’ex amministratore delegato,
Giovanni Perissinotto, il giudice si era dichiarato non competente. In questo caso, invece, si è espresso
riservandosi di depositare le motivazioni entro i prossimi 60 giorni. E l’esito è, stando al dispositivo della
sentenza, che la parte «attrice è tenuta a ottemperare all’accordo del 31.07.2013 e in particolare a corrispondere
in favore del convenuto l’importo lordo di 6 milioni di euro e l’importo lordo di 100.000 euro con gli interessi
legali, previa rivalutazione dalla data del dovuto al saldo». Il giudice ha anche condannato Generali a
corrispondere «l’importo lordo di 450 mila euro» a titolo di bonus per il periodo 2011-2013. E ha quindi
stabilito di dare mandato a un perito perchè definisca la parte restante del “premio” che andrà pagata all’ex
manager. Una volta che verrà quantificata, verrà decisa anche la questione delle spese. Fonti vicine alle
Generali hanno fatto sapere che la «società prende atto dell’esito di questa prima fase dell’articolato
procedimento e attende le motivazioni della sentenza per compiere le proprie valutazioni in ordine al prosieguo
del giudizio». In altre parole, come detto, essendo la sentenza di primo grado e non definitiva, Trieste potrebbe
decidere di impugnarla ma, prima di compiere qualsiasi altro passo, aspetterà di conoscere le motivazioni.
(L.G.)
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Bankitalia, stretta sui dividendi delle più piccole
Palazzo Koch sta inviando una lettera alle 480 banche italiane “meno significative” in cui definisce le regole
per la distribuzione degli utili del 2014: nel farlo, le banche dovranno rispettare anche in prospettiva i ratio
patrimoniali di Basilea 3.
Luca Davi pagina 32
Le prime lettere sono arrivate ieri. Le altre giungeranno in questi giorni. Alla fine, saranno circa 480 le banche
italiane “meno significative” (perchè dotate di attivi inferiori ai 30 miliardi) che dovranno allinearsi alle nuove
indicazioni che Banca d’Italia sta emanando su input Bce. Tema: le politiche relative alla distribuzione dei
dividendi. Che, come raccomandato da Francoforte a gennaio alle principali 130 banche europee, dovrà essere
più prudente rispetto al passato.
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Anno XVI - 06/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
Nel dettaglio, Palazzo Koch sta chiedendo all’universo bancario italiano sotto il suo controllo diretto di usare
un criterio conservativo nel pagamento degli utili 2014.
Le banche che vorranno dare dividendi ai soci, in sostanza, dovranno infatti non soltanto rispettare i ratio
patrimoniali in vigore oggi ma anche ragionare in maniera prospettica, e guardare alla progressiva attuazione
dei criteri imposti da Basilea 3 a regime, in termini fully loaded, e quindi avere avere un Cet1 ratio minimo del
4,5%, un Total capital ratio dell’8% e un Total Capital inclusivo del conservation buffer del 10,5% al 2019.
Chi, a fine 2014, era virtuoso ed era già sopra i requisiti, potrà distribuire dividendi ma solo a patto che questa
scelta non vada a intaccare la capacità di garantire livelli patrimoniali adeguati in caso di stress finanziario.
Diversamente, le banche significative che a fine 2014 non avevano soddisfatto le richieste “fully loaded”
potranno distribuire utili ai soci ma solo a due condizioni. La prima è che questa mossa non incida nel percorso
di progressivo avvicinamento alle richieste di Basilea 3. La seconda è che i dividendi siano compatibili con i
livelli imposti dal processo interno di determinazione dell’adeguatezza patrimoniale (il cosiddetto Icaap).
Via Nazionale stringe così la vite su tutte le banche, dalle popolari alle Bcc (che pure devono già accantonare
buona parte degli utili a patrimonio). Ma, nelle sue richieste, Bankit dovrebbe comunque tenere in
considerazione le diverse specificità delle singole banche. L’attenzione sarà dunque maggiore sulle dodici
banche più grandi, tra quelle appartenenti al gruppo delle less significant che dovranno avvertire in anticipo
Bankit qualora dovessero disattendere le nuove indicazioni. Nel dettaglio, tra gli altri, si tratta di istituti come
Creval, Banca Etruria, Credem, Unipol Banca, Banca Sella, Cr Asti, Pop. Bari, Banco di Desio e Brianza, Cr
Bolzano. Chi ha chiuso in rosso, sarà invitato ovviamente a non distribuire utili.
L’invito dell’Authority, in buona sostanza, è affinchè le banche più fragili ci pensino due volte prima di
dimostrarsi generose con i soci. Soprattutto in una fase come quella attuale, in cui il patrimonio è oramai la
prima urgenza dei regolatori. .@lucaaldodavi© RIPRODUZIONE RISERVATA Luca Davi
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Italia e Santa Sede cercano l’intesa sul monitoraggio
Chiusa la finestra dei 60 giorni prevista dalla legge 186/14(rientro dei capitali) per l’emersione dei paesi black
list, si riapre la partita sulla Città del Vaticano. Partita aperta dal premier Renzi con un tweet in piena campagna
dei bilaterali fiscali - quando annunciò l’esistenza della trattativa - e riaperta ieri dallo stesso premier con
l’abstract di un’intervista: «Non c’è solo l’accordo fiscale con la Svizzera. Spero di recuperare un po’di denari
anche dal Vaticano».
Secondo Renzi in riferimento ai conti accesi presso lo Ior «ci sono molti italiani coinvolti e credo che la Santa
Sede sia interessata a fare un repulisti». Dall’altra parte del Tevere, per la prima volta, arrivano conferme ma
anche puntualizzazioni. Sono «effettivamente in corso interlocuzioni per collaborare con l’Italia ad andare
verso il traguardo di una più ampia e completa trasparenza e dello scambio di informazioni ai fini fiscali» ha
dichiarato in serata Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana. Il confronto non
riguarderebbe tanto la posizione di cittadini privati con conti in Vaticano, poiché su questo aspetto la revisione
condotta negli ultimi due anni allo Ior ha portato alla chiusura dei conti di soggetti non ecclesiastici o non
dipendenti della Santa Sede.
Il Vaticano, pur non presente nelle black list italiane, è considerato «paese non equivalente» da una nota
interna della Banca d’Italia sul piano degli standard finanziari, nonostante le normative in materia di
trasparenza bancaria e di lotta al riciclaggio adottate nel corso degli ultimi anni, compresa la «vigilanza
prudenziale» certificate dal comitato europeo Moneyval.
L’ex presidente dello Ior, Ernst von Freyberg, al passaggio di consegne nel 2013 disse che tutti i clienti in
futuro avrebbero dovuto «pagare le tasse nei propri paesi d’origine e, soprattutto, dimostrarcelo». L’ex
presidente rivendicava poi il lavoro svolto dal suo ingresso allo Ior, a pochi giorni dalla rinuncia al pontificato
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normativi - perni del Jobs act - entreranno in vigore da domani e i datori di lavoro potranno procedere con le
nuove modalità di assunzione.
Il contratto a tutele crescenti si applicherà ai nuovi assunti operai, impiegati e quadri del settore privato,
nonchè ai lavoratori destinatari della conversione di un attuale contratto a tempo determinato o di un rapporto
d’apprendistato. Il nuovo accordo si applicherà, inoltre, ai vecchi assunti di imprese fino a 15 dipendenti che
supereranno tale soglia dopo l’entrata in vigore del decreto. Per i lavoratori già assunti in aziende più grandi
continueranno a valere, invece, le disposizioni contenute nell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (legge
300/70).
Le tutele crescenti rappresentano uno spartiacque nella disciplina giuslavoristica nazionale, eliminando la
reintegrazione nel posto di lavoro come sanzione unica in caso di licenziamento illegittimo, mantenuta solo in
alcuni casi tipizzati come il licenziamento discriminatorio, quello intimato in forma orale o in cui venga provata
l’insussistenza del fatto materiale contestato.
La tutela accordata d’ora in avanti in caso di recesso del datore di lavoro sarà, infatti, di natura essenzialmente
indennitaria, legata cioè al pagamento di un indennizzo economico destinato a crescere parallelamente
all’anzianità di servizio del dipendente coinvolto. Una scelta, quest’ultima, controbilanciata da un contratto
che sarà a tempo indeterminato e incentivato dalla decontribuzione per i nuovi assunti fino al 31 dicembre
prossimo grazie a uno sgravio previsto dalla legge di stabilità 2015 che avrà valenza triennale e ammonterà a
8.060 euro annui per ogni assunto.
Innovativa anche la scelta contenuta nell’altro decreto relativo agli ammortizzatori sociali, il quale dal
prossimo 1° maggio introduce la nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego (Naspi) al posto di
Aspi e mini Aspi. La Naspi è destinata ai lavoratori disoccupati con almeno 13 settimane di contribuzione nel
quadriennio precedente il licenziamento e con 30 giorni di lavoro nei 12 mesi precedenti.
La nuova assicurazione durerà non più di 104 settimane (78 dal 2017) e avrà un importo massimo di 1.300
euro, con riduzione del 3% al mese per ogni mese successivo al terzo. L’erogazione della Naspi è condizionata
alla partecipazione dell’interessato a iniziative di attivazione lavorativa. Chi, pur avendo beneficiato della
Naspi, dovesse rimanere poi senza occupazione e in condizione di bisogno, potrà ottenere un assegno di
disoccupazione (Asdi) per massimo 6 mesi e un importo pari al 75% della Naspi.
Viene riconosciuta, ancora, un’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione
coordinata e continuativa (anche a progetto) iscritti in via esclusiva alla gestione separata.
Il contratto di ricollocazione - a cui sono destinati 50 milioni nel 2015 e 20 nel 2016 - garantirà, infine, un
tesoretto individuale proporzionato al profilo di occupabilità del lavoratore e spendibile presso i soggetti
pubblici o privati accreditati al servizio di assistenza nella ricerca del lavoro. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Mauro Pizzin e Matteo Prioschi
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IL SOLE 24 ORE venerdì 6 marzo 2015
Il presidente di una banca risponde con il board
Il presidente del Consiglio di amministrazione di un istituto di credito deve “padroneggiare” il business
bancario. E se chiamato a rispondere solidarmente con gli altri membri del board per la violazione delle norme
sull’intermediazione mobiliare non può trincerarsi dietro la mancata conoscenza degli aspetti concreti della
gestione. La Cassazione, con la sentenza 4502 depositata ieri, accoglie i ricorsi del Mef e della Consob contro
la decisione della Corte d’Appello di cancellare la sanzione al presidente del Consiglio di amministrazione.
Secondo la Corte territoriale tra i compiti del presidente del Cda non rientrava, a parte direttive generiche o
specifiche sull’andamento aziedale, la funzione di controllo sulle responsabilità del personale addetto che, in
un’organizzazione complessa spetta a manager o collaboratori. Una posizione distinta da quella del collegio
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Anno XVI - 06/03/2015
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Bce», così come gli istituti di altre aree geografiche come gli Usa. Sul comprehensive assessment relativo alle
banche dell'Eurozona, Angeloni ha detto di preferire la traduzione italiana di «esame approfondito», proprio
perché l'analisi «è andata a fondo su alcuni punti, mentre ha lasciato momentaneamente da parte altre
componenti»: tra queste il supervisore ha citato il funding e la leva, aspetti tuttavia che sono affrontati ora
dalla Bce e dalle autorità nazionali nel lavoro giornaliero di supervisione. L'avvio del meccanismo di vigilanza
unico, secondo Angeloni, è stato positivo e veloce oltre le attese, anche se restano «lacune da colmare».
L'Unione bancaria, come ha ricordato il supervisore, viene criticata per alcune mancanze, come una dotazione
inadeguata del fondo di risoluzione o l'assenza di una garanzia comune sui depositi. Angeloni ha sottolineato
che «ogni passo avanti dipenderà da come gli organi di supervisione svolgeranno la loro funzione» e a tal
proposito ha aggiunto: «Sappiamo che Francoforte è sotto la lente per capire se è capace di rendere più sicuro
il sistema. Siamo sotto esame e in fase di rodaggio, ma sono convinto che gli effetti si vedranno tra due o tre
anni». Sulla riforma delle popolari italiane il membro del Consiglio di vigilanza Bce ha detto che a Francoforte
le iniziative del governo si seguono «con molta attenzione e molto interesse». Il principio cardine della
supervisione, rimarcato più volte da Angeloni, è quello individuato dal regolamento sulla vigilanza unica,
ovvero la «sicurezza e solidità» del sistema, che tuttavia lascia spazio alla diversità dei modelli di banca, anche
dal punto di vista della governance. Oltre alla stabilità degli istituti, tuttavia, resta il problema del sostegno alla
ripresa: al convegno di ieri il presidente di SocGen Lorenzo Bini Smaghi ha sottolineato che una stringente
regolamentazione può pesare sul funzionamento delle banche e sul finanziamento dell'economia reale.
(riproduzione riservata)
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
Bankitalia: evitare i rischi dello shadow banking
di Ugo Brizzo
Nell'attuale fase congiunturale «è fondamentale evitare di generare anche in Italia rischi di natura sistemica»
derivanti dalle attività di shadow banking, ovvero quelle forme di intermediazione creditizia che coinvolgono
entità in parte o totalmente al di fuori del sistema bancario tradizionale. Lo ha affermato ieri Carmelo
Barbagallo, capo del dipartimento di vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia, intervenendo al
World Finance Forum a Milano. Secondo Barbagallo, «l'attenzione dei regolatori è volta non solo a presidiare
con il necessario rigore i rischi di natura bancaria generati dal sistema bancario ombra, ma anche a promuovere
la crescita». Contro i rischi dello shadow banking Bankitalia ha previsto «regole prudenziali per evitare che vi
sia un trasferimento del rischio di credito entro i conglomerati finanziari dal comparto bancario a quello
assicurativo al solo scopo di ridurre i requisiti patrimoniali». A supporto di questi provvedimenti, ha aggiunto
Barbagallo, «si è previsto che l'attività di screening e monitoring, cuore dell'attività bancaria, resti affidata alle
banche nel caso dei veicoli di cartolarizzazione. Per le assicurazioni il rischio di credito dovrà essere gestito e
mitigato con tutti gli strumenti adottati dalle banche». Bankitalia ha citato inoltre «le regole di
compartecipazione al rischio e di limitazione dei conflitti d'interesse. Per evitare rischi reputazionali sono stati
posti vincoli alla collocazione di strumenti presso investitori al dettaglio. È stata infine prevista l'estensione ai
nuovi soggetti abilitati a erogare credito dell'obbligo di segnalazione alla centrale dei rischi». Queste misure, è
la conclusione, costituiscono «un insieme organico e coerente» e sono basate «sull'assunto che solo attraverso
questo approccio complessivo è possibile contenere forme nuove di rischi. Altri approcci che concentrano i
controlli prudenziali sul sistema bancario tradizionale, trascurando gli intermediari non bancari, sono meno
efficaci e più gravosi per il sistema economico». (riproduzione riservata)
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
Tra i gruppi Usa ora è corsa a emettere bond in euro
di Roberta Castellarin
Berkshire Hathaway, società del finanziere Warren Buffett, collocherà bond in euro per un corrispettivo di 3
miliardi di dollari. I tre bond offerti hanno una durata di 8, 12 e 20 anni e propongono un rendimento
rispettivamente dello 0,84%, dell'1,27% e dell'1,68%. Questa è l'ultima di una lunga serie di emissioni di società
Usa in euro.
Da inizio anno, in base ai dati Dealogic, si stima un totale di emissioni per circa 30 miliardi di euro. La scorsa
settimana Coca-Cola ha collocato un bond da ben 8,5 miliardi di euro, che rappresenta la maggior emissione
mai effettuata da una società americana in Europa e la seconda in euro nel mondo corporate. Coca-Cola ha
collocato obbligazioni con scadenze tra due e 20 anni a tasso sia fisso che variabile. Un bond a otto anni paga
una cedola di solo lo 0,75%. Gli analisti si aspettano che il trend continui nei prossimi mesi alla luce del
prolungato calo dei rendimenti dei titoli di Stato europei di riferimento, determinato anche dall'avvio del
Quantitative easing annunciato dalla Banca Centrale Europea. Le condizioni sono interessanti per gli emittenti,
visto che il rendimento medio dei corporate bond decennali europei ormai si attesta a un minimo dell'1,08%.
Ma dietro la scelta c'è anche la previsione che l'euro resti debole a lungo. Resta poi il fatto che molte
multinazionali Usa hanno tanta cassa all'estero, ma per motivi fiscali non la possono rimpatriare. Secondo la
normativa attuale, infatti, i gruppi Usa sono sottoposti a una tassazione del 35% degli utili che raccolgono in
giro per il mondo, godono di un credito d'imposta per i pagamenti effettuati a favore degli altri governi e non
devono versare nulla al fisco di casa finché non rimpatriano i capitali. Il sistema incentiva così a rendicontare
gli utili fuori dai confini nazionali e a lasciarli lì.
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
Il Tesoro non sarà parte civile al processo a S&P
di Manuel Costa
Il Tribunale collegiale di Trani ha ammesso quattro associazioni dei consumatori e 13 privati come parti civili
nel processo in corso all'agenzia di rating Standard & Poor's e a cinque suoi manager e analisti, accusati dalla
Procura di manipolazione di mercato aggravata e continuata (anche Contrarian a pagina 20). È quanto
comunicato dal presidente del Tribunale, Giulia Pavese, in apertura della seconda udienza.
In dettaglio, il collegio ha rigettato la richiesta di escludere le parti già costituite in udienza preliminare (ovvero
l'Adusbef), presentata dagli avvocati degli imputati lo scorso 4 febbraio e ammesso anche le altre associazioni
che ne hanno fatto richiesta (Adusbef Puglia, Acu e Federconsumatori), più i singoli consumatori che si
ritengono lesi dai declassamenti operati da S&P tra il 2011 e il 2012. Nel processo sono parti offese Consob e
Bankitalia, mentre non lo è il ministero dell'Economia, nonostante le esplicite richieste che si sono susseguite
negli ultimi giorni in particolare da parte da parte dell'ex ministro Renato Brunetta, oggi capogruppo di Forza
Italia a Montecitorio. La decisione di Via XX Settembre suscita da settimane accese polemiche politiche,
soprattutto dopo il deposito di nuovi atti da parte dell'accusa a cui risulta che il Tesoro, dopo il declassamento
del rating dell'Italia deciso da S&P nel 2011, pagò a Morgan Stanley 2,5 miliardi di euro così come era previsto
da una clausola del contratto di finanziamento della banca d'affari statunitense. Poiché Morgan Stanley è tra
gli azionisti di Mc Graw Hill (anche se - va precisato - la quota è custodita nei fondi), il colosso che controlla
S&P, secondo la procura il pagamento rappresenta un «forte elemento indiziario» a carico di S&P.
(riproduzione riservata)
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Federazione Autonoma Bancari Italiani via Tevere, 46 00198 Roma - Dipartimento Comunicazione & Immagine
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Anno XVI - 06/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
Assopopolari, associazione di categoria delle banche cooperative, non si fa molte illusioni. Il tetto al diritto di
voto al 5% sarà probabilmente l'unica concessione che il governo Renzi farà agli istitui associati in vista della
trasformazione in società per azioni. Su questa base, fragile ma almeno certa, i banchieri dovranno disegnare
i futuri assetti di governance degli istituti che da qui a un anno abbandoneranno la forma cooperativa.
La scelta di demandare alle assemblee l'introduzione delle nuove soglie di voto e degli altri strumenti antiscalata come il voto maggiorato suggerisce che nei prossimi mesi la fantasia di consulenti e studi legali potrebbe
sbizzarrirsi. E se è vero che gli statuti dovranno comunque passare l'esame di Banca d'Italia e Bce, è innegabile
che molti banchieri abbiano già le idee chiare.
L'obiettivo è quello di blindare almeno il 20-25% del capitale attraverso due strumenti: lo scorporo dell'azienda
bancaria dalla cooperativa oppure la costituzione di un patto di sindacato tra i soci più influenti del gruppo. In
linea teorica lo scorporo sarebbe la soluzione più semplice per gli istituti al momento sprovvisti di grandi
azionisti di riferimento, come la Banca Popolare di Milano . In sostanza si tratterebbe di prendere a modello il
meccanismo previsto dalla Legge Amato per le ex Casse di risparmio: l'attività bancaria verrebbe conferita in
una newco che assumerebbe la forma giuridica di società per azioni e sarebbe regolarmente quotata in Piazza
Affari.
La cooperativa invece manterrebbe funzioni mutualistiche e istituzionali e resterebbe partecipata dai soci
storici della banca, dai dipendenti e forse da qualche ente locale. La partecipazione diretta nel capitale della
spa consentirebbe alla cooperativa di essere il socio di riferimento dell'istituto almeno per qualche anno e di
influenzarne così governance e scelte strategiche attraverso i propri rappresentanti in cda. La strada dello
scorporo, come detto, piace soprattutto alle banche che oggi non possono contare su uno zoccolo di soci di
riferimento e che dunque rischiano di trovarsi disarmate di fronte alle incursioni di eventuali raider. In
alternativa, le popolari maggiori potrebbero scegliere la strategia meno dispendiosa, ma altrettanto sicura, del
patto di sindacato. La banca potrebbe insomma arruolare i soci più influenti per blindare una maggioranza
relativa vicina al 20-25% del capitale. «Le categorie a cui ci rivolgeremo nei prossimi mesi sono tre: le grandi
famiglie imprenditoriali storicamente vicine all'istituto, le fondazioni di origine bancaria e le istituzioni
finanziarie con cui abbiamo sviluppato una certa assiduità», spiega a MF-Milano Finanza il presidente di una
grande popolare. Per istituti come Ubi Banca, Banco Popolare o Popolare dell'Emilia Romagna il compito non
dovrebbe essere particolarmente difficile visto che quote significative di queste banche sono controllate dalle
categoria di soci appena menzionate. Proprio in queste settimane molte delle popolari coinvolte nella riforma
avrebbero già avviato incontri, presentazioni e roadshow rivolti ai soci di capitale per sensibilizzarli sugli effetti
della trasformazione e tastare il terreno in vista di eventuali alleanze che, non bisogna dimenticarlo, dovranno
essere strette nel giro di un anno.
Nel frattempo il confronto tra Assopopolari e il governo potrebbe durare ancora qualche giorno, anche se
difficilmente la categoria porterà a casa altri sconti. Una volta concluso l'iter del decreto alla Camera,
l'associazione presieduta da Ettore Caselli potrebbe riunire il consiglio di amministrazione per fare il punto sul
nuovo quadro normativo. A quel punto qualche istituto meno morbido degli altri potrebbe smarcarsi e
intraprendere azioni legali autonome contro il decreto, anche se per il momento la categoria appare ancora
abbastanza compatta. Il merito, va riconosciuto, è del presidente Caselli che in queste settimane di fuoco ha
saputo coniugare la difesa del modello cooperativo a coraggiose (e non sempre popolari, è il caso di dirlo)
aperture riformiste. (riproduzione riservata)
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
BlackRock gestirà 3,8 mld per Eurovita
di Anna Messia
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Responsabile - Lodovico Antonini
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Anno XVI - 06/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
che al momento dell'avvio di Solvency II Eiopa ne limiti il numero richiesto allo stretto necessario per garantire
un livello appropriato di armonizzazione tra i Paesi», aggiunge Jones.
Ma c'è di più. Gli assicuratori europei chiedono che nel primo anno di vita di Solvency II venga concessa una
semplificazioni dei dati che dovranno essere forniti dalle compagnie al Financial stability reporting. Si tratta
di informazioni che dovranno essere utilizzate per valutare i rischi da un punto di vista macroprudenziale e per
cogliere eventuali criticità a livello di sistema finanziario complessivo. «Tra l'altro», conclude Focarelli, «la
tempistica del Financial stability reporting a livello di gruppo è più stretta rispetto a quella prevista per il
reporting normale; per ridurre gli oneri amministrativi sarebbe bene allineare tutte le scadenze».
(riproduzione riservata)
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
Fondi pensione, allarme portabilità
di Paola Valentini
I fondi pensione negoziali vanno all'attacco del disegno di legge sulla concorrenza varato dal governo il 20
febbraio scorso. «Confidiamo che questo provvedimento possa essere adeguatamente emendato, se non
stralciato nei punti di maggiore criticità e incoerenza con il sistema previdenziale complessivo», ha dichiarato
ieri Michele Tronconi, presidente dell'Assofondipensione.
Tronconi è intervenuto nel corso dell'audizione dell'associazione (che riunisce i comparti di categoria, cui sono
iscritti oltre 2 milioni di lavoratori) davanti alla commissione parlamentare di Controllo sull'attività degli enti
gestori di forme obbligatorie di previdenza. Il disegno di legge interviene sulla portabilità dei fondi pensione,
prevedendo la possibilità di trasferire automaticamente a un'altra forma pensionistica complementare il
contributo che il datore di lavoro versa al fondo pensione negoziale cui è iscritto il dipendente. Fondi aperti e
Piani individuali di previdenza (pip) non danno diritto a questo contributo. Secondo Assofondipensione, il
provvedimento sminuisce il ruolo dei fondi pensione negoziali, incentivando fondi pensione aperti e piani
individuali di previdenza delle assicurazioni «a trasformare gli aderenti ai nostri fondi in una sorta di terreno
di caccia preferenziale», ha detto Tronconi. I lavoratori, ha spiegato il presidente di Assofondipensione,
sarebbero incentivati a transitare nei fondi negoziali solo al fine di acquisire il diritto al contributo del datore
di lavoro, mentre i fondi aperti e i pip sarebbero incentivati a preferire (e ricercare) questa tipologia di clienti,
che portano in dote il contributo pagato dalle aziende. In questo modo, secondo Assofondipensione, non si
crea sana concorrenza, bensì una guerra fratricida: la corsa ai già iscritti avrebbe un effetto a somma zero e
andrebbe a scapito delle adesioni complessive alla previdenza integrativa. Senza contare, secondo Tronconi,
che la discontinuità dei flussi finanziari a favore del singolo fondo pensione, proprio per via di possibili uscite
per trasferimenti verso altre forme di previdenza complementare, «spingerà la gestione del risparmio
previdenziale verso le asset class più liquide con ottiche di breve termine, ossia l'opposto del rafforzamento dei
fondi pensione quali investitori di lungo periodo nell'interesse del lavoratore». Il presidente di
Assofondipensione ha anche ricordato gli ottimi rendimenti medi delle gestioni della previdenza
complementare: a fronte di una rivalutazione del Tfr al minimo storico del 1,3%, nel 2014 i fondi pensione
negoziali hanno reso il 7,3%, i pip il 7,2% e i fondi aperti il 7,5%. Riguardo alla mancata corsa alle adesioni ai
fondi pensione negoziali da una parte e all'incremento delle sottoscrizioni registrate nel caso di forme
previdenziali individuali (in particolare i pip, spinti dalle reti di vendita delle assicurazioni) dall'altra, Tronconi
ha portato all'attenzione della commissione un dato significativo. Se si considera la cosiddetta «posizione
media capitaria» (che si ottiene dividendo il saldo delle risorse destinate alle future prestazioni per il numero
degli aderenti), si scopre un andamento ben diverso rispetto al volume delle adesioni. Per i fondi negoziali è
cresciuta nell'ultimo anno del 15,3%, per i fondi aperti dell'8,9% e per i pip soltanto del 5,4%; il tutto a
dimostrazione, spiega Assofondipensione, della maggiore regolarità contributiva dei fondi negoziali, sostenuti
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dal contributo del datore di lavoro, mentre negli altri casi le sospensioni dei versamenti e le richieste di
anticipazioni sono più frequenti. (riproduzione riservata)
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
Banca Generali e Fineco, raccolte boom
di Valerio Testi
Ieri due delle società di risparmio gestito quotate a Piazza Affari ha reso noti i volumi di raccolta relativi al
mese di febbraio. Da inizio 2015 Finecobank , gruppo Unicredit , ha registrato una raccolta netta di 908 milioni,
in crescita del 43% rispetto allo stesso periodo del 2014. La raccolta netta totale tramite la rete di promotori
finanziari è stata di 822 milioni (+38% rispetto al primo bimestre 2014). Nel solo mese di febbraio la raccolta
netta è stata di 516 milioni (+34%), mentre la raccolta gestita ha raggiunto quota 463 milioni, attestandosi da
inizio anno a 629 milioni (+83%). A fine febbraio i clienti totali di Fineco erano circa 980 mila: dall'inizio
dell'anno sono stati acquisiti circa 21 mila nuovi clienti, in linea con lo stesso periodo dell'anno precedente.
L'altra società ad avere fornito l'aggiornamento è stata Banca Generali , che a febbraio ha segnato una raccolta
netta di 299 milioni, di cui 192 realizzati dalla rete Banca Generali (444 milioni da inizio anno) e 107 da Banca
Generali private banking (261 milioni da inizio anno). In evidenza la raccolta netta gestita di 649 milioni, che
nel mese è aumentata del 55% rispetto a un anno fa. In crescita anche la raccolta netta di fondi/sicav e gestioni
di portafoglio per 128 milioni nel mese (195 milioni da inizio anno, +24%). «L'accelerazione della raccolta netta
nei primi due mesi dell'anno», ha commentato l'ad del gruppo, Piermario Motta, «oltre un terzo in più rispetto
al 2014, riflette la grande attenzione dei risparmiatori per una consulenza finanziaria professionale. La
progressiva discesa dei rendimenti, prossimi allo zero per i titoli di Stato, favorisce la presa di coscienza tra le
famiglie del bisogno di affidarsi a interlocutori specializzati, di solida reputazione e competenze, nella
valorizzazione dei propri risparmi». (riproduzione riservata)
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MF-MILANO FINANZA venerdì 6 marzo 2015
Pro o contro S&P's? Si abbia la pazienza di valutare le prove
Contrarian
Il processo che si sta celebrando a Trani, in particolare, contro l'agenzia Standard & Poor's per i rating emessi
tra il 2011 e il 2012 sul debito dell'Italia, diventa oggetto di contesa. Negli ultimi giorni, da una parte si registra
la posizione di chi afferma che la condotta di S&P non appare irregolare o illecita, valutando fondata la
posizione del Tesoro che ha deciso di non costituirsi parte civile nel processo; dall'altra parte vi sono i
sostenitori, a volte pregiudiziali, dell'ipotesi della colpevolezza e collegano le valutazioni espresse da S&P con
la risoluzione anticipata di un contratto in derivati da parte di Morgan Stanley, indiretta partecipante di S&P,
stipulato con il Tesoro (con onere per quest'ultimo di 2,5 miliardi).
Sempre in questo schieramento vi sono poi quelli che inquadrano i rating rilasciati nella strategia del presunto
complotto contro il governo Berlusconi che portò a novembre del 2011 alla sostituzione con l'esecutivo Monti.
Il ministro dell'Economa, Pier Carlo Padoan, ha confermato la decisione del governo di non costituirsi nel
processo, asserendo che è molto arduo valutare l'effetto che i giudizi rilasciati hanno avuto sui titoli del debito
pubblico, essendo gli andamenti del mercato influenzati da una molteplicità di fattori che rendono difficile
isolare un solo elemento, quello dell'effetto dei rating. Nel primo schieramento quel che risalta di più è l'affanno
per considerare l'agenzia quasi insindacabile, coperta da una sorta di immunità per cui si dovrebbe trarre la
conclusione che è stato grave sottoporla a indagini giudiziarie. In realtà negli Usa alle agenzie in questione
sono comminate anche pesanti sanzioni. Ridurre tutto alla discrezionalità dei rating significa legittimare anche
l'arbitrarietà, non essendo sufficiente una nozione precisa di discrezionalità per coprire ciò che potrebbe essere
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avvenuto nel caso in questione. Dall'altra parte, il legame con l'asserita destabilizzazione del governo
Berlusconi, che è legittimo analizzare, può tuttavia fornire argomenti a quanti, banalizzando l'ipotesi del
complotto politico, alla fine pensano di ridimensionare o assolvere anche ciò che può essere avvenuto nello
stretto comparto finanziario. Da entrambe le parti si trascura che vi è un processo in corso per manipolazione
del mercato, reato di pericolo, non di danno (la legge fa riferimento a comportamenti astrattamente idonei ad
alterare i corsi borsistici): le indagini della Procura hanno superato il vaglio del Gup che ha dato via libera al
processo che si sta svolgendo. L'accusa ha a disposizione materiale probatorio non certo limitato alle ipotesi
delle suddette connessioni tra rating e risoluzione anticipata del contratto con il Tesoro che non dovrebbe
limitarsi ovviamente solo all'esame di quegli eventuali collegamenti. Allora si può attendere che vengano
contestate quelle che ad avviso della Procura sono prove della manipolazione prima di arrivare a un giudizio
sulle cronache di non colpevolezza e, magari, prima di rivolgere critiche al pm che si sarebbe permesso di
indagare Standard&Poor's? Vogliamo per forza dare prova di una subalternità e svalutare a priori un lungo e
attento lavoro del pubblico ministero? Si abbia la pazienza di attendere e analizzare, quando le esporrà il pm,
tutte le prove raccolte. Poi si valuterà chi ha sbagliato e se ne trarranno le conseguenze. E, infine, lo stesso
Tesoro non ha nulla da dire sulla normativa e sui controlli che riguardano queste agenzie? Va tutto bene?
Luc de Clapiers de Vauvenargues
Ogni ingiustizia ci offende, quando non ci procura alcun profitto.
.c.
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