Inaugurazione anno giudiziario 2015 ( PDF, 367 kB )

PROCURA REGIONALE
PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER IL VENETO
INAUGURAZIONE
DELL’ANNO GIUDIZIARIO
RELAZIONE DEL PROCURATORE REGIONALE
Carmine Scarano
VENEZIA, 4 MARZO 2015
PROCURA REGIONALE
PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER IL VENETO
INAUGURAZIONE
DELL’ANNO GIUDIZIARIO
2015
RELAZIONE DEL PROCURATORE
REGIONALE
Carmine Scarano
VENEZIA, 4 MARZO 2015
INDICE
Pag.
1. Introduzione
1.1
Guardia di finanza
1.2
N.A.S.
2
2
2. Attività della Procura Regionale per il Veneto – Anno 2014
3
3. Casi rilevanti
4
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
3.7
3.8
Giudizio avente ad oggetto la indebita sottrazione di
risorse pubbliche ed il danno da disservizio arrecato
alla Azienda ULSS n. 9 di Treviso
Giudizio relativo ad un danno patrimoniale diretto
da mala gestio arrecato al Ministero della difesa Comando Brigata Alpina Julia – 7° Reggimento
alpini di Belluno
Giudizio riassunto avente ad oggetto l’irregolare
gestione del contenzioso presso la Capitaneria di
Porto di Venezia
Giudizio relativo ad alcuni illeciti a danno del
Comune di Treviso
Giudizio relativo ad un incarico affidato dalla
Provincia di Venezia in assenza dei requisiti di legge
Giudizi relativi alla violazione delle disposizioni
regolanti il rapporto fra medico di medicina generale
e Servizio Sanitario Nazionale
Giudizio conseguente ad una condanna inflitta dal
giudice del lavoro al Comune di San Donà di Piave
Giudizio riguardante lo svolgimento di incarichi
privi di autorizzazione da parte di un dirigente
regionale
4
4
5
5
6
7
7
8
3.9
3.10
3.11
3.12
3.13
3.14
3.15
3.16
3.17
3.18
3.19
Giudizio avente ad oggetto l’irregolare prescrizione di
farmaci a carico del SSN da parte di un medico
convenzionato di medicina generale presso l’Azienda
ULSS 20 di Verona
Giudizio in materia di danno da disservizio
derivante dalla condotta di un’assistente domiciliare
presso invalidi dell’Azienda ULSS 15 Alta
Padovana
Giudizio avente ad oggetto il mancato rinnovo dei
contratti relativi ad unità immobiliari dell’A.T.E.R.
di Venezia
Giudizio concernente l’esercizio abusivo della
professione da parte di un medico dell’Azienda
ULSS n. 5 Ovest Vicentino
Giudizio relativo all’omessa o tardiva registrazione di
contratti di locazione da parte di un Funzionario
dell’A.T.E.R. di Venezia
Giudizio avente ad oggetto il danno indiretto
derivante al Comune di Oderzo (TV) da una
condanna per mobbing
Giudizio avente ad oggetto una transazione a seguito
di azione risarcitoria intentata da un dirigente
dell’Azienda ULSS n. 17 di Este
Giudizio in materia di conferimento di incarichi da
parte dell’Azienda ULSS n. 12 Veneziana in
assenza dei requisiti
Giudizio in materia di indebita corresponsione di
aumenti ad alcuni dirigenti del Comune di Cittadella
Giudizio avente ad oggetto il risarcimento ottenuto da
privati nei confronti del Comune di Albignasego
(PD) in materia di accessione invertita
Giudizio relativo alla mancata percezione di canoni
concessori per occupazione del demanio marittimo
8
9
9
10
11
11
12
12
13
13
14
4. Il patrimonio immobiliare pubblico
16
5. Separazione tra indirizzo politico e amministrativo e
abolizione dei segretari comunali
23
6. La P.A. ed i problemi irrisolti
30
7. Il tema della corruzione
35
8. Conclusioni
38
9. Statistiche
41
Sig. Presidente,
Autorità, Signore e Signori.
Rivolgo un caloroso saluto al sig. Procuratore Generale, ai
componenti del Consiglio di Presidenza e al rappresentante
dell’Associazione Nazionale Magistrati della Corte dei conti.
INTRODUZIONE
Il 25 settembre 2014 si è tenuto il secondo giudizio di parifica
del rendiconto della Regione Veneto, in attuazione della legge n. 213
del 7 dicembre 2012.1
Sono state confermate le criticità già emerse l’anno precedente
in ordine all’intervento del Procuratore regionale, quale garante della
legalità, all’udienza della Sezione di controllo
È stato già detto, ma è opportuno ripeterlo, che le difficoltà
sono state molte per i tempi ristrettissimi nei quali si è dovuto
lavorare e, soprattutto, per la carenza di personale amministrativo,
che è stato distolto dall’abituale impegno legato all’attività
istruttoria della Procura.
Le difficoltà sono state superate grazie alla stretta
collaborazione con i magistrati ed il personale amministrativo della
Sezione del controllo ai quali va il mio ringraziamento.
1
Il Giudizio di parificazione sul rendiconto generale della Regione presenta alcuni caratteri peculiari rispetto
all'omologo svolto sul bilancio statale. Pur non mancando le potenzialità di utilizzo di questo istituto, soprattutto
nell'attuale articolato sistema dei controlli sulle autonomie, elementi sia strutturali sia contingenti non ne fanno ora
uno strumento realmente efficace. In carenza di un regolare e completo flusso di dati dalla Regione alla Corte dei conti
e in assenza delle necessarie misure organizzative e di rafforzamento dell'organico della magistratura contabile, il
rischio è di giungere ad una pronuncia parziale sul rendiconto generale della Regione, che finisce per dare un esito sulla
gestione non corrispondente ad un completo controllo. (NOTE A MARGINE DEL GIUDIZIO DI
PARIFICAZIONE SUL RENDICONTO GENERALE DELLA REGIONE) Prof. Carola PAGLIARIN
2
In tale frangente va detto che se da un lato è nato un positivo
punto di contatto tra le funzioni di controllo e quelle giurisdizionali
della Corte dei conti, nell’ottica della Procura regionale l’esito del
giudizio di parifica del rendiconto della gestione della Regione, risulta
insoddisfacente per i limiti strutturali imposti dalle limitate risorse.
Guardia di Finanza
Devo ancora una volta esprimere l’apprezzamento mio
personale e dei magistrati dell’Ufficio per la collaborazione fornita
dalla Guardia di Finanza con il Nucleo PT di Venezia e con i Nuclei
PT provinciali.
L’apporto di competenza e di impegno professionale del Corpo
costituisce un pilastro fondamentale dell’attività requirente
contabile, che richiede indagini complesse e di rilevante impegno
tecnico giuridico.
La Guardia di Finanza è altresì prezioso elemento di raccordo
per il coordinamento con l’attività requirente delle Procure della
Repubblica operanti in Veneto.
NAS
Come preannunciato l’anno scorso, nell’ottica di implementare
le attività di indagine della Procura, è stato firmato un protocollo
d’intesa con il Comando Carabinieri per la tutela della salute al fine
di rafforzare la lotta agli sprechi ed ai comportamenti illeciti nel
settore sanitario.
Il protocollo conferma la collaborazione già in atto con i NAS di
Padova e Treviso, in seguito alla quale la ULSS di Rovigo sta
recuperando da una clinica convenzionata – in parte attraverso
compensazioni – la somma di € 2.300.000,00 oltre ad accessori.
Nell’ambito di un’altra indagine, oggetto anch’essa di delega ai NAS
di Padova, l’ULSS n. 6 di Vicenza ha informato questa Procura di
3
avere recuperato da una clinica convenzionata in più riprese la
somma di € 2.038.383,96 oltre interessi per rimborsi ottenuti (totale €
4.338.383,96).
Attività della Procura Regionale per il Veneto – Anno 2014
Per quanto concerne le statistiche:
- le vertenze pendenti per i casi di illecito segnalati alla data del
1 gennaio 2014 ammontavano a 7.754, alle quali se ne sono aggiunte
1.142 sulla base delle denunce pervenute nel corso dell’anno;
- i fascicoli istruttori conclusi con archiviazione sono stati
n.1.252 (1.948 nel 2013);
- nell’anno 2014 sono stati citati in giudizio per danno erariale a
vario titolo n. 122 soggetti (n. 115 nel 2013) per un ammontare
complessivo di € 12.141.609,57 (€ 14.090.641,91 nel 2013) richiesto a
titolo di risarcimento per danno erariale;
Sotto il profilo dell’attività istruttoria sono state emesse n.
2.642 richieste istruttorie (n. 2507 nel 2013) e notificati inviti a
dedurre a n. 201 destinatari (n. 104 nel 2013).
Somme derivanti da riparazioni spontanee e Procedimenti
monitori € 244.308,47.
Esecuzione sentenze condanna di I e II grado recuperati €
3.037.941,18.
4
Casi rilevanti
1) Giudizio avente ad oggetto la indebita sottrazione di risorse
pubbliche ed il danno da disservizio arrecato alla Azienda
ULSS n. 9 di Treviso (Danno € 4.511.455,61 – 5 convenuti in
giudizio).
Il danno è stato causato da una dipendente della Azienda ULSS
n. 9 di Treviso che ha sottratto indebitamente, per circa dieci anni,
ingenti somme di denaro (€ 4.069.141,85), falsificando gli stipendi di
una particolare categoria di medici della Azienda. La Procura
contabile ha chiesto il risarcimento del danno alla citata dipendente
per dolo, nonché ai dirigenti e funzionari, in via sussidiaria per colpa
grave, posto che gli stessi avevano obblighi di verifica e controllo
dell’attività lavorativa svolta dalla dipendente di cui trattasi.
2) Giudizio relativo ad un danno patrimoniale diretto da mala
gestio arrecato al Ministero della difesa - Comando Brigata
Alpina Julia – 7° Reggimento alpini di Belluno (Danno €
249.688,06 – 3 convenuti in giudizio).
La citazione attiene al danno patrimoniale diretto da mala
gestio nell’ambito del servizio di vettovagliamento, arrecato presso il
7° Reggimento alpini di Belluno, nel periodo 1 settembre 2010 – 31
dicembre 2011. La Commissione di inchiesta amministrativa interna
ha accertato irregolarità di notevole entità nella gestione del servizio
di vettovagliamento, per un danno erariale pari ad € 249.688,06. E’
emerso che il danno erariale è derivato dalla mancata ed inadeguata
applicazione delle disposizioni di cui alla Circolare ILE-NL-32100010-12-00B02 ed. 2003, recante “Norme per il servizio
vettovagliamento del personale dell’esercito”, nella parte in cui
5
prevede che le spese sostenute per il vettovagliamento del personale
devono essere contenute entro le quote previste dal controvalore
della razione viveri, così come stabilito con Decreto del Ministero
della Difesa del 28 maggio 2009.
3) Giudizio riassunto avente ad oggetto l’irregolare gestione del
contenzioso presso la Capitaneria di Porto di Venezia (Danno
€ 17.719,79 – 2 convenuti in giudizio).
La sentenza della 1^ Sez. d’Appello n. 291 depositata il
24/2/2014, in riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale del
Veneto n. 110/2011, ritenendo fondato il motivo principale d’appello
di questa Procura regionale, respingeva l’eccezione di prescrizione,
rinviando alla medesima Sezione giurisdizionale di primo grado per il
giudizio di merito.
La vicenda deriva dalla relazione di un ispettore dell’IGF che
ha evidenziato il disordine nella gestione del contenzioso, protrattosi
per diversi anni, da parte della Capitaneria di Porto di Venezia,
accertando che in molti casi l’ufficio non aveva dato seguito ad un
elevato numero di sanzioni amministrative.
Il danno erariale, quantificato in € 17.719,79, scaturisce dalla
mancata notifica dei verbali di sanzioni amministrative ai
trasgressori che ha determinato la prescrizione degli illeciti e la
perdita dell’introito delle sanzioni a favore dello Stato.
4) Giudizio relativo ad alcuni illeciti a danno del Comune di
Treviso (Danno € 1.266.895, 23 – 11 convenuti in giudizio).
I fatti oggetto del giudizio traggono origine dalla esecuzione di
un appalto di edilizia residenziale pubblica in cui il Comune aveva
proceduto alla consegna dell’opera quando ancora non erano
eseguibili i lavori (erano presenti inquilini che dovevano essere
6
trasferiti altrove). Successivamente, avendo esaurito i fondi del
quadro economico, il Comune ingenerava un ragionevole affidamento
in capo alla ditta esecutrice di realizzare varianti o integrazioni dei
lavori, senza dar seguito a quanto prospettato.
Pertanto, la ditta sospendeva i lavori e, dopo vane trattative,
ricorreva al lodo arbitrale, con condanna dell’Ente committente.
Il lodo arbitrale veniva impugnato senza sostanziali
motivazioni (lite temeraria) fino al grado di Cassazione, ricorrendo
anche ad avvocati esterni, nonostante il Comune di Treviso avesse
una propria Avvocatura civica.
5) Giudizio relativo ad un incarico affidato dalla Provincia di
Venezia in assenza dei requisiti di legge (Danno € 223.323,20
6 convenuti in giudizio).
Il giudizio ha per oggetto l’incarico di collaborazione coordinata
e continuativa affidato dal Presidente della Provincia di Venezia al
Segretario particolare dello stesso, ai sensi dell’art. 90 del T.U.E.L.,
in assenza dei requisiti di legge. Il collaboratore, infatti, pur avendo il
diploma di scuola media inferiore, è stato inquadrato come
CO.CO.CO. ed ha beneficiato di una retribuzione pari a quella di un
incarico dirigenziale. Il danno stimato è risultato pari alla differenza
tra la retribuzione che si doveva conferire al consulente in ragione del
corretto inquadramento e la retribuzione dirigenziale in concreto
percepita.
7
6) Giudizi relativi alla violazione delle disposizioni regolanti il
rapporto fra medico di medicina generale e Servizio Sanitario
Nazionale (Danno: 1° giudizio: € 114.758,00 – 1 convenuto;
2° € 296.203,35 – 1 convenuto; 3° € 581.889,48 – 1
convenuto in giudizio).
Si tratta di tre giudizi aventi per oggetto fattispecie analoghe,
consistenti nella violazione delle norme che regolano il rapporto fra i
medici di medicina generale incaricati dell’assistenza primaria, a
danno della Azienda ULSS n. 6 di Vicenza.
Le disposizioni in questione, nel considerare lo svolgimento
della libera professione dei medici convenzionati, dispongono che,
laddove l’attività libera venga svolta in forma organizzata e
continuativa con impegno orario superiore alle cinque ore
settimanali, debba essere operata una corrispondente riduzione del
numero degli assistiti e che non possa essere svolta attività di
medicina in forma associata: limiti che comportano l’erogazione di
minori corrispettivi.
Nei tre casi all’esame, le indagini della Guardia di Finanza
hanno portato ad accertare la sussistenza di un’attività autonoma in
forma organizzata e continuativa per oltre cinque ore settimanali,
non dichiarata all’USL. Da qui, le contestazioni della Procura per i
maggiori importi percepiti, non essendo state operate le decurtazioni
dei corrispettivi, a causa della mancata comunicazione dei reali
termini di svolgimento della libera professione.
7) Giudizio conseguente ad una condanna inflitta dal giudice
del lavoro al Comune di San Donà di Piave (Danno €
118.883,19 – 9 convenuti in giudizio).
L’atto di citazione è relativo ad un’ipotesi di illecito collegata
ad un episodio di demansionamento riconosciuto dal giudice del
8
lavoro con conseguente condanna al risarcimento dei danni e alle
spese di giudizio.
8) Giudizio riguardante lo svolgimento di incarichi privi di
autorizzazione da parte di un dirigente regionale (Danno €
602.938,42 – 1 convenuto in giudizio).
L’illecito amministrativo-patrimoniale portato all’attenzione
della Sezione è relativo ad una serie di incarichi svolti dal dipendente
in assenza dell’autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza
ed in conflitto di interessi con la stessa.
Il dirigente ha agito in violazione dell’art. 53 del D.Lgs
30/3/2001 n. 165 e, in base alla medesima norma, è tenuto a versare i
corrispettivi ricevuti all’Amministrazione di appartenenza.
9) Giudizio avente ad oggetto l’irregolare prescrizione di
farmaci a carico del SSN da parte di un medico
convenzionato di medicina generale presso l’Azienda ULSS
20 di Verona (Danno € 351.085,00 – 5 convenuti in giudizio)
A seguito della verifica di sistematiche iperprescrizioni
accertate per almeno 4 anni, con scostamenti, rispetto alla media del
bacino di utenza considerato, superiori al 50% in capo ad un medico
di medicina generale convenzionato con l’Azienda ULSS 20 di
Verona, i vertici della medesima e i loro organi di staff non
procedevano a chiedere al medico il rimborso delle somme eccedenti
la spesa sanitaria media, come previsto dalla normativa ex art. 1, co.
4, L. 425/1996, né ad attivare alcuna forma di recupero per la perdita
subita, neppure con atti cautelari di costituzione in mora, causando
la prescrizione del diritto al risarcimento del danno subito.
9
10) Giudizio in materia di danno da disservizio derivante dalla
condotta di un’assistente domiciliare presso invalidi
dell’Azienda ULSS 15 Alta Padovana (Danno € 14.888,06 – 1
convenuto).
La convenuta, assistente domiciliare presso invalidi della
Azienda ULSS 15 Alta Padovana, ha sottratto ripetutamente e in
modo sistematico, per oltre 2 anni e mezzo, danaro ad un anziano,
invalido al 100%, solo al mondo, approfittando del rapporto
fiduciario, venutosi a determinare a seguito dello svolgimento delle
proprie funzioni.
Le sentenze penali di condanna di primo e secondo grado, rese
nei confronti della suddetta, ai sensi degli articoli 646 e 61 n. 11 c.p.,
stigmatizzavano anche l’effetto dannoso causato alla organizzazione
ed allo svolgimento della attività della P.A.
La Corte di Cassazione, poi, annullava in parte, per
prescrizione, la sentenza impugnata e rinviava ad altra Sezione della
Corte di Appello per la rideterminazione della pena per i residui reati.
Questa Procura conveniva in giudizio la assistente domiciliare,
la quale aveva posto in essere un servizio, non soltanto diverso, ma
antitetico rispetto agli obblighi specifici di accudimento previsti dal
proprio ruolo professionale e, anche, rispetto ai principi di solidarietà
sociale ex artt. 3 e 32 Costituzione, nonchè, agli obblighi di servizio
ex art. 54 Cost., sotto il profilo soggettivo, e ex art. 97 Cost., sotto il
profilo oggettivo.
11) Giudizio avente ad oggetto il mancato rinnovo dei contratti
relativi ad unità immobiliari dell’A.T.E.R. di Venezia
(Danno € 348.615,38 – 4 convenuti in giudizio).
Nell’ambito di una verifica tra gli alloggi dell’A.T.E.R. locati a
prezzi concorrenziali - area non E.R.P. - è emerso che sussistevano
10
numerose posizioni con contratto scaduto da molti anni e non
rinnovato, i cui inquilini hanno pagato, per un considerevole lasso
temporale, esclusivamente l’indennità di occupazione, sub specie
dell’ultimo canone di locazione corrisposto con il contratto scaduto.
In alcune ipotesi, inoltre, è emerso che gli inquilini sono stati
autorizzati alla permanenza all’interno dell’alloggio nonostante non
avessero pagato i canoni di locazione o in carenza di un regolare
contratto. Il danno è consistito nel mancato introito che l’Ente ha
sofferto in ragione del protratto omesso rinnovo di numerosissime
posizioni contrattuali.
12) Giudizio concernente l’esercizio abusivo della professione da
parte di un medico dell’Azienda ULSS n. 5 Ovest Vicentino
(Danno € 2.113.606,06 – 2 convenuti in giudizio).
La citazione concerne il danno da svolgimento di attività
medica in assenza del titolo di studio di laurea, posto che il
convenuto ha svolto, presso l’Azienda sanitaria ULSS n. 5 Ovest
Vicentino, dall’anno 1989 all’anno 2012, le mansioni di medico
addetto al servizio di laboratorio a seguito di un pubblico concorso.
Lo stesso convenuto ha falsificato, al momento del concorso, il
diploma di laurea in medicina, il diploma di specializzazione ed il
documento che attestava l’iscrizione al relativo albo e, nel corso degli
anni, nessun controllo è stato posto in essere dai dirigenti incardinati
nel servizio del personale della Azienda sanitaria. La Procura ha
ottenuto il sequestro conservativo ante causam degli immobili di
proprietà del convenuto, del T.F.S., delle somme depositate presso il
conto corrente bancario e delle somme di cui disponeva la P.A. nei
confronti dello stesso convenuto.
11
13) Giudizio relativo all’omessa o tardiva registrazione di
contratti di locazione da parte di un Funzionario
dell’A.T.E.R. di Venezia (Danno € 11.001,40 – 1 convenuto
in giudizio).
Il danno concerne la mancata e/o tardiva registrazione dei
contratti di locazione stipulati dall’A.T.E.R. di Venezia. La Guardia
di Finanza ha, infatti, estrapolato n. 549 avvisi di accertamento
riguardanti l’assegnazione di alloggi nell’area non E.R.P. Le
contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sono consistite nella
ritardata e/o mancata registrazione dei contratti di locazione da parte
del Responsabile del Servizio Attività Immobiliari dell’Azienda.
14) Giudizio avente ad oggetto il danno indiretto derivante al
Comune di Oderzo (TV) da una condanna per mobbing
(Danno € 51.150,02, 1 convenuto in giudizio).
La fattispecie concerne il danno non patrimoniale, sub specie di
danno indiretto arrecato al Comune di Oderzo, quale soggetto che ha
dovuto sostenere le spese del risarcimento del danno ed altre spese
connesse al mobbing che ha subito un dipendente dello stesso
Comune.
Il danno da mobbing è una fattispecie che risale alla
responsabilità datoriale, di tipo contrattuale, prevista dall’art. 2087
del codice civile, che pone a carico del datore di lavoro l’onere di
adottare, nell’esercizio di impresa, tutte le misure necessarie a
tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di
lavoro. Avendo il Comune di Oderzo dovuto risarcire il danno da
mobbing e sussistendo tutti gli altri elementi della responsabilità
amministrativo-contabile, la Procura ha citato il soggetto che ha
causato tale responsabilità indiretta.
12
15) Giudizio avente ad oggetto una transazione a seguito di
azione risarcitoria intentata da un dirigente dell’Azienda
ULSS n. 17 di Este (Danno € 25.000,00 – 1 convenuto in
giudizio).
Trattasi del danno patrimoniale e non patrimoniale, sub specie
di danno indiretto, arrecato alla Azienda ULSS n. 17 di Este, quale
soggetto che ha dovuto sostenere le spese derivanti dalla transazione
a seguito di un’azione risarcitoria intentata da un dirigente, in
relazione al demansionamento subìto.
La transazione è derivata dalla richiesta del dirigente
demansionato degli arretrati retributivi e del risarcimento dei danni
per illegittima revoca ante tempus dell’incarico di responsabile del
Dipartimento contratti, con il mancato conferimento di un incarico
di valore equivalente.
16) Giudizio in materia di conferimento di incarichi da parte
dell’Azienda ULSS n. 12 Veneziana in assenza dei requisiti
(Danno € 23.731,20 – 4 convenuti in giudizio).
Il danno deriva dall’illecito conferimento di un doppio incarico
di consulenza di un ex Procuratore Generale della Repubblica di
Venezia in ambito sanitario, in assenza dei requisiti previsti dalla
specifica normativa, in quanto le attività che avrebbe dovuto
espletare il consulente non sono state esplicitate in alcuna relazione o
resoconto da parte dello stesso: inoltre, le medesime attività
potevano essere svolte dal personale in servizio presso l’Azienda.
13
17) Giudizio in materia di indebita corresponsione di aumenti ad
alcuni dirigenti del Comune di Cittadella (Danno €
492.184,52 – 10 convenuti in giudizio).
La vicenda trae origine da una relazione dell’Ispettorato
Generale della Ragioneria Generale dello Stato e riguarda l’indebita
corresponsione, per alcuni anni, ai dirigenti ed al segretario comunale
di Cittadella di aumenti delle indennità di posizione e di risultato.
Tali aumenti sono stati giustificati da accordi decentrati che li
ricollegavano, in un primo momento, alla classificazione quale “ente
complesso” del Comune e, in una seconda fase, all’accrescimento ai
dirigenti rimasti delle indennità di posizione e risultato già erogate a
favore dei dirigenti cessati dal servizio.
Nella fattispecie, dopo l’inizio dell’indagine della Procura
regionale della Corte dei conti, il Comune risulta avere
tempestivamente cessato l’erogazione delle indennità indebite ed
attivato una procedura di recupero per le annualità più recenti.
Risulta che un ex segretario abbia risarcito integralmente l’ente con
la restituzione di quanto percepito indebitamente.
Sono stati chiamati in giudizio i dirigenti interessati alle
indennità, alcuni come beneficiari ed altri come responsabili dei
pagamenti indebiti, nonché i revisori dell’ente ed un segretario
comunale.
18) Giudizio avente ad oggetto il risarcimento ottenuto da privati
nei confronti del Comune di Albignasego (PD) in materia di
accessione invertita (Danno € 57.311,77 – 21 convenuti in
giudizio).
Il danno deriva dal risarcimento pagato dall’ente a soggetti
privati coinvolti in un caso di accessione invertita (espropriazione
acquisitiva) per un’opera pubblica del Comune di Albignasego (PD).
14
La vicenda, è stata determinata da illegittimità commesse nella
procedura prevista dalla legge n.1/1978 per la variante al PRG, non
sottoposta all’approvazione regionale, e per la procedura di
esproprio.
Il TAR Veneto ha accolto il ricorso dei privati espropriati e,
successivamente, è seguita la controversia civile per il risarcimento
del danno chiesto dagli stessi espropriati, le perizie tecniche e, infine
il risarcimento del danno dovuto dal Comune dopo una transazione,
cui si è sommato un ulteriore danno determinato dalla scelta di fare
stipulare l’atto pubblico di transazione da un notaio anziché dal
segretario comunale come prevede la legge Bassanini n. 127/1997.
La vicenda, già oggetto di un primo giudizio non deciso nel
merito, è stata riproposta in termini più precisi sul valore
dell’indennità che l’ente avrebbe dovuto pagare se la procedura fosse
stata eseguita correttamente.
Sono stati chiamati in giudizio, i componenti del consiglio
comunale che votarono a favore della delibera di approvazione della
variante al PRG, il funzionario tecnico che diede il parere favorevole
alla proposta ed il segretario comunale, nonché i membri della Giunta
che procedettero in modo irregolare agli atti esecutivi.
19) Giudizio relativo alla mancata percezione di canoni
concessori per occupazione del demanio marittimo (Danno €
536.727,88 – 7 convenuti in giudizio).
La vicenda riguarda la mancata riscossione, per circa dieci anni,
dei canoni concessori, a carico di consorzi di allevatori di vongole
all’interno della Laguna veneziana. Le indagini hanno accertato una
responsabilità per il mancato incameramento dei canoni previsti da
ricondursi, in parte, ai dirigenti degli uffici finanziari e, in parte, ai
responsabili del Magistrato alle Acque di Venezia.
15
L’ente pubblico concedente Magistrato alle Acque di Venezia
aveva l’obbligo, oltreché di imporre una cauzione o polizza
fideiussoria ai concessionari, anche di inviare le autorizzazioni
provvisorie all’Amministrazione finanziaria cui competeva la
determinazione e riscossione del canone dovuto. Dalla disamina degli
atti, risulta un periodo tra aprile 2001 ed gennaio 2005 in cui il
M.A.V. non ha inviato le autorizzazioni all’Amministrazione
finanziaria, fino al 28.1.2005 in concomitanza con la prima
attivazione della Guardia di Finanza rispetto alla vicenda in oggetto.
La Procura pertanto, escludendo i periodi pregressi prescritti o
compensati dall’escussione dell’unica polizza fideiussoria contratta,
ha citato in giudizio, per il danno di € 46.514,64, un dirigente e un
funzionario della Amministrazione finanziaria in relazione alla
mancata stipula della polizza fideiussoria; mentre, per il maggiore
danno di € 489.069,95 connesso alle autorizzazioni inviate
tardivamente dal M.A.V., ha citato i dirigenti del Magistrato alle
Acque di Venezia, sia per l’ingiustificato ritardo con cui dette
autorizzazioni provvisorie furono trasmesse all’Agenzia del Demanio
di Venezia, sia, anche in questo caso, per l’omessa verifica della
stipula della polizza assicurativa da parte del concessionario.
Oltre a tali partite di danno, è stata contestata ai dirigenti del
Magistrato alle Acque un canone di € 1.143,29 per una pratica
specifica.
16
Il patrimonio immobiliare pubblico
Come evidenziato nelle citazioni sopra richiamate tra i casi
rilevanti (n. 11 e n. 13), la gestione del patrimonio immobiliare
pubblico compare sempre più spesso sulle cronache dei giornali in
ragione delle inchieste penali e contabili che interessano tale settore.
Il governo dei beni immobili di rilievo pubblicistico appare, invero,
quale momento particolarmente critico e difficoltoso delle attività
della Pubblica Amministrazione, probabilmente in ragione degli
enormi interessi economici e sociali che si condensano in tale ambito.2
Negli anni Novanta, maturata ormai la consapevolezza
dell’importanza anche per l’ente pubblico di dover operare con i
criteri di economicità e di efficienza tipici dell’impresa privata, è
venuta in rilievo la necessità di dotare gli enti preposti allo sviluppo
delle politiche di edilizia residenziale pubblica (I.A.C.P.) delle risorse
necessarie al raggiungimento degli obiettivi già perseguiti negli anni
Settanta, ma mai conseguiti.
2
La Legge Luzzatti ha istituito, il 31 maggio 1903, con il R.D. n. 251, l’Istituto Case Popolari (I.C.P), al
fine di ridurre la speculazione privata e di consentire alle fasce più deboli di poter beneficiare di una abitazione
dignitosa a canoni calmierati. Giova, sul tema, ricordare che tale ente (I.C.P) non era costituito da un unico organismo,
ma si componeva, in concreto, da più soggetti che si aggregavano a livello comunale o provinciale. Il R.D. n. 251 del
1903 si è inserito, infatti, in un quadro di una politica sociale che ha consentito l’intervento dello Stato a beneficio dei
ceti meno abbienti, al fine di trasformare e migliorare le condizioni di vita di tali ceti, applicando nel rapporto sociale il
principio della solidarietà, riconducibile a inequivocabili esigenze di giustizia distributiva.A seguire, in seno al settore
immobiliare di interesse pubblico, è intervenuto, in data 30 novembre 1919, il Testo Unico sull’Edilizia Economica e
Popolare e, successivamente, il T.U. 24 marzo 1938, n. 1165, recante, anch’esso, disposizioni sull’Edilizia Economica e
Popolare. Il complesso normativo da ultimo citato ha definito un nuovo assetto, su base provinciale, degli Istituti
Autonomi Case Popolari (I.A.C.P.). Il 22 ottobre 1971 è stata promulgata poi la Legge n. 865, la quale ha trasformato
gli Istituti Case Popolari da Enti Pubblici Economici ad Enti Pubblici non Economici con prevalenza, pertanto,
dell’attività pubblico-assistenziale ed è stato avviato il decentramento burocratico con trasferimento delle deleghe alle
Regioni, mediante il D.P.R. n. 616 del 1977. In applicazione della Legge n. 865 del 1971 furono emanati i D.P.R. n.
1035 e n. 1036 del 1972, disciplinanti le assegnazioni e l’organizzazione degli Enti Pubblici operanti nel settore
dell’edilizia residenziale pubblica.
17
Si è giunti, quindi, all’emanazione di leggi regionali, mediante le
quali gli I.A.C.P. sono stati trasformati in Aziende Territoriali per
l’Edilizia Residenziale (A.T.E.R.), enti costituiti al fine di soddisfare
il bisogno primario della casa.
La trasformazione da Istituto in Azienda è avvenuta nel
momento in cui lo Stato, non potendo più garantire i finanziamenti
derivanti dai piani pluriennali, ha delegato le funzioni alle Regioni,
transitando conseguentemente, nel settore dell’intervento costruttivo
pubblico, da un mercato monopolistico ad un mercato competitivo,
perseguendo, quindi, un’idea di “flessibilità” anche nell’ambito di un
ente pubblico.3
Giova, altresì, ricordare che le Aziende Territoriali non sono
inserite nel conto economico consolidato della Pubblica
Amministrazione, individuato ai sensi dell’art. 1, comma 3, della
Legge 31 dicembre 2009, n. 196 e non beneficiano di contribuzioni, di
natura periodica o continuativa.
Le fonti di finanziamento delle A.T.E.R. derivano: dai rimborsi
per spese tecniche e generali relativi ai programmi di edilizia
residenziale pubblica, da una quota dei canoni di locazione degli
3
L’A.T.E.R. è un Ente Pubblico Economico, che è stato costituito mediante la Legge Regionale del Veneto
n. 10 del 9 marzo 1995. L’Azienda in parola, dotata di personalità giuridica propria e di autonomia organizzativa,
patrimoniale e contabile, è Ente economico, in quanto è volto ad operare sul libero mercato con criteri di economicità
concorrenziale ed è anche Ente pubblico, poiché è istituzionalmente indirizzato sia ad assistere gli Enti pubblici nella
realizzazione delle loro attività urbanistiche ed edilizie, sia ad agire con effetti perequativi sul mercato immobiliare, sia
a facilitare l’accesso alla casa mediante le forme dell’edilizia residenziale sovvenzionata, agevolata o convenzionata.
Sul punto, non va omesso, che - pur non applicandosi integralmente all’Ente le disposizioni di cui al D. Lgs. 30 marzo
2001, n. 165 - posto che lo stesso è stato trasformato da I.A.C.P. in A.T.E.R., avente natura di Ente Pubblico
Economico (Consiglio di Stato n. 641 del 2012), l’attività dello stesso Ente deve, tuttavia, essere improntata ai
principi ispiratori dello stesso D. Lgs. n. 165 del 2001, con riferimento al raggiungimento dell’efficienza, efficacia ed
economicità e buon andamento (gli I.A.C.P. erano, peraltro, compresi in origine nell’elencazione di cui all’art. 1, comma
2, del citato D. Lgs. 165 del 2001), anche in relazione all’art. 97 della Carta Costituzionale ed alla Legge 7 agosto
1990, n. 241.
18
alloggi E.R.P. e dagli ulteriori proventi di cui all’art. 5 della L.R. n.
10 del 1995.
Le A.T.E.R., nondimeno, sono soggette alla vigilanza ed al
controllo della Regione Veneto, in quanto enti strumentali della
stessa Regione, ai sensi della Legge Regionale n. 53 del 1993, il cui
presupposto si fonda sugli articoli 13 e 39 del D.P.R. 24 luglio 1977,
n. 616. (vigilanza sul patrimonio non E.R.P., sugli atti di
programmazione aziendale relativi al patrimonio e sulla congruità
economica dei programmi di intervento di E.R.P.).
Tali Enti compiono attività a sostegno della Regione, degli Enti
Locali e dei privati, per la progettazione e l’attuazione di interventi
di edilizia residenziale inseriti nei programmi di recupero o
riqualificazione edilizia ed urbanistica, per la realizzazione di
interventi di edilizia convenzionata agevolata, progettazione e
realizzazione urbanistico – edilizia, manutentivo – gestionale e di
assetto territoriale, svolgendo, altresì, ogni altra attività collegata a
programmi di edilizia residenziale pubblica.
Giova osservare che le A.T.E.R. esercita le attività previste
dall’art. 5 della legge istitutiva, operando principalmente nell’ambito
della creazione di condizioni più favorevoli per consentire una
corretta soluzione al problema della casa ed in particolare per le
categorie socialmente ed economicamente più disagiate; la locazione
o vendita di unità immobiliari ad uso residenziale a prezzi
concorrenziali secondo criteri di economicità tendenti al fine di
esercitare un effetto calmieratore e perequativo sul mercato.
Il patrimonio delle A.T.E.R. è, composto da: a) immobili
costruiti con risorse proprie (area non di Edilizia Residenziale
Pubblica – non E.R.P.); b) immobili costruiti o recuperati con
contributi dello Stato, della Regione o dei Comuni (L.R. n. 10 del
19
1996 - area E.R.P.); c) immobili di proprietà dei Comuni affidati in
gestione all’A.T.E.R.
Gli immobili di area E.R.P. rappresentano lo strumento
attraverso cui soddisfare le necessità abitative dei soggetti a basso
reddito, mediante contratti di locazione a tempo indeterminato con
applicazione di canoni determinati, ai sensi della L.R. n. 10 del 1996.
Gli alloggi dell’area non E.R.P. (non realizzati con contributi
statali, regionali, provinciali o comunali), al contrario, possono essere
concessi in locazione ai sensi della Legge 9 dicembre 1998, n. 431,
norma recante disciplina delle locazioni degli immobili adibiti ad uso
abitativo.
In specie, l’A.T.E.R. di Venezia4, con particolare riferimento
all’area non E.R.P., negli ultimi anni, si è palesato quale ente gestito
con modalità ben lontane dai fondamentali principi di efficienza,
efficacia ed economicità.
Occorre ricordare sul tema che i citati parametri si sono
certamente consolidati nell’ordinamento vigente, poiché gli stessi
sono stati previsti dalla citata Legge n. 241 del 1990. L’inosservanza
delle norme che disciplinano la materia della corretta gestione dei
beni immobili comporta, quindi, inevitabilmente la diretta lesione
dell’articolo 97 della Costituzione (buon andamento, imparzialità e
buona amministrazione), nonché dei principi di cui all’articolo 1,
comma 1, della stessa Legge n. 241 del 1990.
In virtù di tale specifica previsione, detti criteri hanno
acquistato, di conseguenza, dignità normativa, assumendo rilevanza
sul piano della legittimità dell’azione amministrativa (C.d.S. n.
847/02; n. 6684/02), con importanti ricadute in tema di illegittimità e
4 Lo Statuto dell’A.T.E.R. di Venezia è stato approvato con la deliberazione del C.d.A. n. 111 del 2004,
modificato con deliberazione C.d.A. n. 154 del 2004.
20
di illiceità dell’attività amministrativa, non potendo più prescindersi
dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti ed i costi
sostenuti.
Si ricorda, sul punto, la fondamentale sentenza della Suprema
Corte di Cassazione resa a Sezioni Unite n. 14488 del 2003, la quale
ha statuito che “la violazione dei criteri di economicità assume rilievo
anche nel giudizio di responsabilità, dal momento che l'antigiuridicità
dell'atto amministrativo costituisce un presupposto necessario della
"colpevolezza" di chi lo abbia posto in essere” (Sez. Giur. Sicilia n.
1552/2013; SS. UU. n.10069/2011).
Lo spostamento del baricentro del sistema organizzativo e
gestionale dei pubblici poteri verso i modelli di tipo imprenditoriale
(come gli Enti Pubblici Economici – A.T.E.R.) e verso i “risultati”l’obiettivo
dell’economicità
della
gestione,
l’attenzione
all’ottimizzazione delle risorse disponibili, la valutazione dell’azione
amministrativa in termini di costi-benefici - costituiscono non più
mere affermazioni di principio, ma rappresentano contenuti
immediati e concreti della responsabilità amministrativa.
A questi principi corrispondono, difatti, numerosi e ben
tipizzati obblighi di fare e di agire nell’interesse pubblico, che è
anche, e soprattutto, interesse della collettività al raggiungimento dei
risultati dell’efficacia e dell’economicità e del corretto impiego delle
risorse disponibili.
Risultati che si realizzano anche attraverso decisioni finalizzate
alla efficiente gestione dei beni immobili di proprietà pubblica.
Essendo ormai assunti tra i requisiti normativi che regolano
l’attività amministrativa anche i criteri di “economicità” e di
“efficacia”, deve ritenersi che rientri tra i poteri della Corte dei conti,
nell’ambito del giudizio di responsabilità, anche quello di verificare la
ragionevolezza dei mezzi impiegati in relazione agli obiettivi
21
perseguiti, atteso che anche tale verifica è fondata su valutazioni di
legittimità e non di mera opportunità (SS. UU. n. 14488/2003).
L’interesse pubblico che si palesa nell’ambito dell’area non
E.R.P. dell’A.T.E.R. di Venezia è, pertanto, quello di locare beni
immobili di proprietà dello stesso Ente, a prezzi perequati e
calmierati, a soggetti aventi specifici requisiti reddituali.
Al contrario, si deve sottolineare che, in seno ad una puntuale
verifica tra gli alloggi locati della citata area, è emersa una gestione
posta in essere in palese contrasto con i citati principi di efficienza,
efficacia ed economicità.
E’ stato acclarato, infatti, che sussistono numerosissime
posizioni con contratto scaduto da molti anni e non rinnovato (200
immobili su 600 beni immobili di proprietà A.T.E.R. in area non
E.R.P., quindi, almeno un terzo degli immobili complessivi), i cui
inquilini hanno pagato, per lungo tempo, esclusivamente l’indennità
di occupazione senza alcun adeguamento al canone maggiorato.
E’ stata avviata, da parte dello stesso Ente, una verifica tra gli
alloggi dell’A.T.E.R. locati a prezzi calmierati ed è emerso che
sussistevano numerose posizioni con contratto scaduto da molti anni
e non stipulato ex novo. Gli inquilini di tali immobili hanno pagato,
per un notevole lasso di tempo, esclusivamente l’indennità di
occupazione, ossia l’ultimo canone di locazione del contratto scaduto,
non avendo, pertanto, potuto aggiornare il canone con gli incrementi
previsti dalle disposizioni di settore.
I danni erariali sono consistiti, quindi, da un lato, dalle somme
di cui non ha potuto beneficiare l’ente in ragione del protratto
omesso rinnovo di numerosissime posizioni contrattuali e, dall’altro,
dalle sanzioni comminate dall’Agenzia delle Entrate all’Ente, in
ragione della omessa registrazione dei contratti di locazione.
22
In buona sostanza, l’A.T.E.R., con riferimento alle locazioni
degli immobili non E.R.P. con prezzi calmierati, è stata gestita, per
diversi anni (almeno dall’anno 2008 in avanti), in palese violazione
delle norme che dispongono l’obbligo di stipulare nuovi contratti alla
scadenza dei precedenti e, quindi, con negligente incuria.
Va evidenziato che l’attività di vigilanza della Regione Veneto
non ha condotto a significativi mutamenti della gestione del
patrimonio da parte dell’Azienda.
Con deliberazione della Giunta Regionale n. 2029/DGR del 28
ottobre 2014, è stato avviato il procedimento di scioglimento del
C.d.A. dell’A.T.E.R. di Venezia, per persistente inattività o
inefficienza, tali da pregiudicare il normale funzionamento dell’Ente.
In tale provvedimento si rileva che, con deliberazione n. 71 del
2013, il C.d.A. dell’ A.T.E.R. ha approvato il Conto consuntivo 2012,
per il quale il Collegio dei Revisori dei Conti dell’Azienda ha
evidenziato alcune criticità relative anche alla mancanza di liquidità
del sistema finanziario, con riferimento al deterioramento del
patrimonio ed alla necessità di mettere in atto nuove strategie
relativamente alle unità immobiliari non E.R.P.
La relazione del Collegio dei Revisori dei conti ha, quindi,
concluso portando all’attenzione del C.d.A. la necessità di risolvere il
problema della presenza in bilancio di “debiti per versamenti da utenti
da allocare” per incassi derivanti da posizioni non regolarizzate
(mancata definizione dei contratti di affitto, etc.), soprattutto, per
unità immobiliari non E.R.P., che sono passati da quasi euro
170.000,00 nell’anno 2011, ad € 240.000,00 nell’anno 2012 e ad euro
304.000,00 nel 2013”.
Quanto al conto consuntivo per l’anno 2013, il Collegio dei
Revisori dei conti, nella relazione allegata al bilancio, ha
23
ulteriormente evidenziato rilevanti inefficienze organizzative e
gestionali dell’Azienda.
La questione della perdurante omessa stipula dei contratti è
stata, pertanto, una delle motivazioni che ha indotto la Giunta
Regionale ad iniziare il procedimento di scioglimento del C.d.A., in
ragione della grave perdita economica subita dall’A.T.E.R. e del
danno che si è andato consolidando nel corso del tempo, tuttavia non
vi sono evidenze certe in ordine all’effettivo scioglimento del citato
C.d.A..
In conclusione, va osservato che l’A.T.E.R. di Venezia, per
quanto attiene in particolar modo all’area non E.R.P., si è
significativamente discostata dall’interesse pubblico della efficiente,
efficace ed economica gestione dei beni immobili, pertanto va
fortemente stigmatizzata e censurata, posto che tale settore
rappresenta un ambito estremamente delicato e permeabile ad
interessi privati di varia natura.
Separazione tra indirizzo politico e amministrativo e abolizione
dei segretari comunali
Un’occasione di riflessione viene dal testo dell’emendamento
13500 al disegno di legge delega di riforma della pubblica
amministrazione (n. 1577) in esame al Parlamento, nel quale si
ipotizza una possibile eliminazione della responsabilità per danno
erariale per gli amministratori politici.
L’emendamento in questione prevede: “g-quater: rafforzamento
del principio di separazione tra indirizzo politico-amministrativo e
gestione e del conseguente regime di responsabilità dei dirigenti, anche
attraverso l'esclusiva imputabilità agli stessi della responsabilità
amministrativo-contabile per l'attività gestionale”.
24
Pur con tutte le riserve legate alla circostanza che si tratta di
una disposizione ancora in discussione e condizionata per la sua
attuazione dai decreti delegati, essa preoccupa non poco per l’effetto
che provocherebbe, ove recepita nel testo attuale, nel senso di un
ingiustificato squilibrio del carico di responsabilità, che renderebbe
sicuramente la norma lesiva del buon andamento ed imparzialità
della P.A..
La separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione
non è un principio costituzionale, ma organizzativo, stabilito
attraverso norme di legge introdotte già con la prima riforma
organica della disciplina degli enti locali, ossia la L. 142 del 1990.
La stessa legge introdusse l’obbligo di emanazione ed
allegazione dei pareri dei funzionari responsabili del servizio, del
responsabile del servizio economico finanziario e del segretario
comunale sulle proposte di deliberazione.
Indubbiamente, nel disegno del legislatore questo schema
organizzativo e di controllo è stato visto come attuazione dell’art. 97
della Costituzione: “I pubblici uffici sono organizzati secondo
disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e
l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono
determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità
proprie dei funzionari”.
Tali norme vennero accolte come definizione del riparto di
competenze ed in particolare di una migliore definizione delle
responsabilità dei dirigenti e funzionari, ai quali infatti è stata
attribuita la formalizzazione del parere sulle proposte di delibera
della Giunta e del Consiglio.
Tale sistema si correlava con la riforma della P.A. attuata dalla
legge 241/1990, che ha introdotto la figura del c.d. responsabile del
25
procedimento, l’obbligo di motivazione dell’atto e quello di
comunicazione della conclusione dei procedimenti.
Si è tentato di superare un modello di Amministrazione lontana
dai cittadini, non dialogante e caratterizzata dalla segretezza, anziché
dalla trasparenza, come si conviene in un sistema democratico.
Dunque, la separazione tra indirizzo politico e amministrativo
non nasceva certo per garantire aree di irresponsabilità o sfere
protette dalla giurisdizione ma, al contrario, per rendere più visibili
ai soggetti destinatari i responsabili degli atti dell’amministrazione.
La specializzazione si è avuta anche sul piano degli atti
amministrativi, passando da un sistema in cui i consigli comunali e
provinciali decidevano pressochè su tutto (con una confusione di
ruoli e compiti tra burocrazia e amministratori), ad un sistema in cui
le delibere consiliari decidono solo su alcune materie, tassativamente
stabilite dalla legge, mentre per gli altri atti provvedono la Giunta o i
dirigenti con le proprie determine.
Di fronte alla generalità della competenza amministrativa e
dirigenziale e dunque dell’area della gestione, il legislatore ha lasciato
agli amministratori politici il c.d. indirizzo politico amministrativo
che dovrebbe ricomprendere la programmazione, le scelte strategiche
dell’ente ed il controllo della gestione amministrativa.
Nel concreto, tuttavia, sono emerse delle situazioni assai più
complesse rispetto a quanto previsto dalla norma.
Pertanto, negli oltre 8.000 Comuni e nelle oltre 100 Province,
gli amministratori eletti con suffragio diretto, nominano i dirigenti
responsabili fiduciariamente e tendono, quindi, a condizionare anche
la gestione amministrativa e, in qualche caso, i funzionari e gli stessi
dirigenti (spesso provenienti dalla politica più che da reali selezioni).
In un ambito così particolare si è posto il problema della
responsabilità amministrativa di fronte alla Corte dei conti estesa
26
agli Enti locali e alle Regioni a seguito delle leggi n. 142/1990 e n.
20/1994.
Il legislatore, riformando solo due anni dopo la legge n.20/1994,
con la legge 639/1996 ha introdotto la c.d. “esimente politica”.
L'art. 1, co. 1-ter della citata Legge n. 20/94, per come novellata
dalla l. 639/1996, stabilisce infatti che "nel caso di atti che rientrano
nella competenza propria degli uffici tecnici e/o amministrativi la
responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona
fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito
l'esecuzione".
Questa, secondo la costante giurisprudenza della Corte dei
conti, non rappresenta una clausola di salvaguardia tesa a rendere
totalmente irresponsabili i titolari degli organi politici in ragione del
fatto che tutti gli atti amministrativi sono istruiti dall'apparato
burocratico.
Deve infatti essere sempre valutato in che misura i vari
momenti della sequenza procedimentale concorrono all’adozione di
un provvedimento finale che in seguito ha cagionato danno erariale.
La c.d. scriminante politica, ove accertata, solleva da
responsabilità l'organo politico soltanto nel caso di approvazione di
atti causativi di danno nella competenza degli uffici tecnici od
amministrativi dell'ente.
Essa non può essere genericamente e semplicisticamente
applicata a tutte le scelte operate dall'organo di governo, essendo
necessario valutare la specifica condotta del soggetto da cui è
derivato il concreto verificarsi del danno per l’Amministrazione.
Del resto la norma stessa parla di organi politici che in buona
fede abbiano approvato gli atti ovvero ne abbiano autorizzato o
consentito l'esecuzione.
27
Peraltro può essere provato che uno o più amministratori
abbiano avuto un ruolo decisivo nel determinare l’adozione di un atto
illecito, anche inducendo il funzionario ad emettere un parere
favorevole contra legem.
In tali casi è evidente che anche gli amministratori debbano
essere chiamati a rispondere del danno.
Come si è accennato in precedenza, bisogna tenere conto che la
P.A., proprio a partire dalle stesse riforme degli anni ’90, ha recepito
in qualche misura il principio del c.d. spoil system, ossia della nomina
dei dirigenti da parte dei nuovi amministratori, secondo un criterio
strettamente fiduciario.
Anche le nomine dei dirigenti e del Segretario comunale, dopo
la riforma attuata con la legge 127/1997, oltre a quelle dei direttori
generali, hanno ampliato significativamente l’ambito fiduciario nella
scelta del corpo burocratico, che dovrebbe invece riferirsi ad un
criterio oggettivo.
Non bisogna dimenticare che gli amministratori, sia pure con il
temperamento dell’intervento dei nuclei di valutazione, restano
arbitri della corresponsione della parte variabile della retribuzione dei
dirigenti e dipendenti, ossia delle indennità di posizione e di risultato.
In un tale contesto la tutela dell’imparzialità del dirigente o del
funzionario pubblico e la effettività del principio di separazione, non
appaiono sufficientemente garantite.
Una disposizione come quella proposta nell’emendamento in
discussione non rafforzerebbe, quindi, il principio di separazione tra
politica e gestione, ma andrebbe in una direzione decisamente
contraria.
Una norma siffatta, sarebbe da ritenere del tutto contraria allo
spirito dell’art. 97 della Costituzione, prevedendo una responsabilità
esclusiva dei funzionari e dirigenti che sarebbero sempre più indotti
28
ad un comportamento non indipendente nei confronti di chi li ha
nominati.
Anche le disposizioni del DDL 1577 (emendamenti vari all’art.
10) che riguardano l’abolizione della figura del segretario comunale e
provinciale, da un lato, e la nomina o il mantenimento dei direttori
generali, dall’altro, appaiono contrastare con quei principi di
imparzialità e buona amministrazione che prevede l’art. 97 della
Costituzione.
Infatti la figura del segretario sia pure incisa negativamente
dalla legge Bassanini n. 127/1997 (poi trasfusa nel Testo Unico degli
Enti Locali) aveva una funzione di garanzia, di imparzialità e
garantiva una adeguata preparazione giuridica.
Il Segretario comunale è una figura che ai sensi dell’art. 97 del
T.U.E.L. “svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine
alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai
regolamenti”.
All’indomani dell’abolizione dei controlli di legittimità sugli atti
dei CORECO, la figura del segretario, nonostante la riforma predetta
fortemente peggiorativa, è rimasta l’unica figura di riferimento per
garantire un minimo di controllo sul piano della legalità ed una
figura unificante per il mondo eterogeneo degli enti locali.
E’ significativo che anche per l’incarico di responsabile
anticorruzione, previsto dalla legge n. 190/2012 e norme attuative, è
stato individuato il Segretario comunale, che costituisce dunque
l’interlocutore naturale dell’Autorità anticorruzione.
Soprattutto per quanto concerne i numerosi comuni medio
piccoli, il segretario rappresenta spesso l’unico interlocutore
professionale.
29
Se è vero che gli emendamenti del DDL prevedono la sua
sostituzione con una nuova figura di direttore generale, questo
rappresenta un ulteriore grave rischio, sia sul piano della
professionalità, sia su quello della spesa.
E’ evidente che la scelta del direttore generale si baserà
esclusivamente sull’intuitu personae e non sarà frutto di un concorso
pubblico cui possono accedere soggetti in possesso di precisi titoli di
studio, come accade per i Segretari comunali.
Inoltre, in un contesto di risorse assai limitate per gli enti locali,
in previsione di una maggior spesa per i direttori generali non
ancorati a contratti collettivi nazionali, è intervenuta la legge 23
dicembre 2009, n. 191 che ha elevato da 15.000 a 100.000 abitanti il
limite di popolazione dei Comuni che possono nominare i direttori
generali.5
In conclusione, andando oltre gli annunci che accompagnano
alcune riforme della P.A., l’avvicendamento dei Segretari comunali
con i direttori generali, ove avvenisse in concreto, andrebbe in
contrasto con il principio improntato alla trasparenza della divisione
di competenze tra un corpo amministrativo professionale ed
imparziale e l’area dell’indirizzo politico e controllo riservata agli
amministratori.
Una simile soluzione si potrebbe, dunque, rivelare
potenzialmente lesiva dell’interesse della collettività ad avere
un’amministrazione imparziale, efficiente e rispettosa della legalità.
5
(art. 2, comma 176, lettera d), successivamente modificata dal D.L. 25 gennaio 2010, n. 2, convertito con
modificazioni nella legge 26 marzo 2010, n. 42.
30
La P.A. ed i problemi irrisolti
Un’amministrazione pubblica che non funziona fa sì che non
funzioni tutto il Paese.
I mass-media danno quotidianamente conto delle forme più
svariate in cui si manifestano i sintomi di malfunzionamento del
settore pubblico.
Fenomeni che, per qualità e dimensione, trascendono i confini
dell’apparato che ne è investito e finiscono per incidere su altri ambiti
e per rappresentare un connotato negativo dell’intera società.
E’ innegabile che un condizionamento generale lo esercitino:
l’abuso nell’utilizzo delle pubbliche risorse da parte della classe
politica, l’oppressione infinita di una burocrazia che appare sempre
più autoreferenziale, l’incapacità di una vera lotta all’evasione
fiscale, il continuo emergere di reati contro (e nella) pubblica
amministrazione su tutto il territorio.
Un elenco lungo di situazioni negative che danneggiano il senso
morale della società ed i rapporti tra cittadini ed istituzioni, sono di
certo un fattore negativo destinato ad aggravare la crisi economica
del Paese.
A fronte di tanto, vi è, ineludibile, la domanda, più immediata,
e di difficile risposta: quali le cause di una simile situazione?
Di certo non vi è una sola motivazione, ma alcuni dei nodi
irrisolti della questione possono forse essere sicuramente individuati.
Una delle ragioni è rappresentata dalla dismisura quantitativa
e qualitativa delle leggi.
Un censimento sicuro del numero delle leggi in Italia non esiste.
Si va da statistiche che le indicano in decine di migliaia ad altre
che le computano in oltre 150.000.
31
Chiunque, dal cittadino che ne ha occasione, all’addetto ai
lavori, ha modo di toccare con mano quale sia il profluvio di norme
con le quali ci si imbatte in ogni circostanza.
Alle leggi statali e regionali, va aggiunta la miriade di
disposizioni di rango inferiore derivate da altre fonti, quali
regolamenti e circolari, che fanno ulteriormente accrescere la
confusione.
Inoltre, ci si imbatte di frequente in testi mal scritti, dal tenore
poco chiaro, redatti con una tecnica (si fa per dire) di rimandi,
aggiunte e correzioni criptiche di disposizioni precedenti, finanche di
variazione di parole e punteggiature.
E’ facile immaginare quali possano essere le conseguenze di una
simile fenomenologia: difficoltà interpretative, incertezze operative,
rallentamenti, contenziosi giudiziari abnormi.
Ma, soprattutto, legiferare a oltranza favorisce la
deresponsabilizzazione di coloro che sono chiamati ad applicare le
norme.
Più si aumentano regolamentazioni e procedimentalizzazioni,
più ci si può nascondere dietro qualche non detto dalla norma,
ritenendo che tutto essa avrebbe dovuto prevedere.
Più si incrementano le disposizioni, maggiori saranno le
giustificazioni fondate sulle difficoltà ricognitive ed interpretative.
Più si dettano prescrizioni, più si tolgono spazi all’autonomia
operativa, ingessando il sistema.
Un caso emblematico è dato dal D.Lgs 12/4/2006, n. 163,
cosiddetto Codice dei contratti pubblici, costituito da 257 articoli, cui
sono da aggiungere i regolamenti attuativi, le disposizioni rimesse
alla potestà normativa regionale e le svariate circolari esplicative.
32
Un testo più volte rivisto, del cui eccesso di normazione si è
preso atto da più parti (in particolare l’Autorità anticorruzione), a
seguito dei fatti che hanno riguardato i lavori dell’Expo di Milano.
La sovrabbondanza di vincoli, da un lato non è servita ad
impedire gli abusi, da un altro lato ha assicurato la formale regolarità
degli atti, ma non ha aiutato assunzioni di responsabilità dirette per
la mancanza di verifiche effettive e di risultati.
Altra ragione del malessere amministrativo pubblico risiede
nell’irrisolto nodo costituito dal rapporto fra classe politica e
apparato dirigenziale, come sopra accennato.
Un rapporto il cui punto di equilibrio è già, di per sé, difficile da
trovare, ma che nella storia passata e recente del Paese manifesta
gravi criticità, se non un vero e proprio sviamento dai termini di una
corretta dialettica.
I segni di un eccessivo condizionamento della dirigenza, da
parte della classe politica, sono spesso ben visibili.
Un’influenza esercitata sia in via diretta, negli enti politici
(Regione, Comune), attraverso il canale istituzionale, sia
indirettamente negli enti i cui vertici sono comunque, in qualche
modo, di derivazione politica.
Vi è ovviamente un modo di interagire fra politici e dirigenti,
fisiologico, improntato a forme di sano e utile dialogo, ed un altro in
cui una parte - nel caso specifico quella politica - trasmoda, e finisce
per occupare indebitamente spazi gestionali e comprimere autonomie
operative.
Se molte cose non funzionano nei processi gestionali che
riguardano il settore pubblico, ciò è dovuto anche, e particolarmente,
a tale fenomeno.
33
Disporre di un apparato amministrativo che comunica, ma non
asservito al potere politico, è fondamentale per la corretta ed
efficiente gestione della cosa pubblica.
Allo stesso modo fondamentale è che la scelta della dirigenza
ricada su soggetti capaci e non in ragione di un qualche tipo di
appartenenza o per garantirsi maggiore accondiscendenza.
Purtroppo, eventi corruttivi che hanno interessato tutto il
Paese, compreso il Veneto, dimostrano il prevalere dell’aspetto
deteriore di un rapporto non inteso correttamente.
L’esplodere di scandali quali gli appalti dell’Expo di Milano, la
vicenda Mose e molte altre, con un’equa e diffusa distribuzione sul
territorio nazionale, sono il segno evidente del mancato intervento
dei responsabili amministrativi e tecnici sotto la cui vigilanza
avrebbero dovuto essere concepite, affidate ed eseguite le opere.
Non appare possibile che, inefficienze, rallentamenti, intrecci e
operazioni malsane, si siano protratti per anni senza che da parte dei
soggetti responsabili si sia verificato e indagato approfonditamente e
fatto emergere le patologie inerenti tali gestioni.
Un mancato intervento che non è spiegabile se non ipotizzando
incapacità, appiattimento su altrui volontà o, peggio, corruzione.
Altro fattore distorcente è dato dalla proliferazione delle
gestioni pubbliche, per tali intendendo non solo gli enti pubblici in
senso proprio, ma anche gli enti che svolgono le loro funzioni
servendosi di pubbliche risorse.
Tra di essi vanno pertanto annoverati gli enti strumentali,
statali e regionali, agenzie costitute dagli enti locali, enti pubblici
economici, società partecipate in house e non in house.
Un fenomeno certamente favorito dalle spinte al
decentramento territoriale e alla creazione di autonomie varie che
34
hanno dato luogo ad una specie di incontrollata partenogenesi
amministrativa.
L’istituzione di autonomie territoriali e amministrative
rappresenta senz’altro una forma di governo auspicabile e opportuna.
Ma ciò solo a certe condizioni.
Vale a dire a condizione che essa si innesti su un tessuto sociale
e politico sano e preparato e che da quest’ultimo prendano corpo
serie e rigorose forme di controllo della legalità e della spesa pubblica.
Quanto si è potuto registrare in questi anni sembra invece sia
andato in direzione inversa.
Il processo di creazione di enti con propria autonomia
amministrativa si è accresciuto, culminando, da ultimo, nella
costituzione di migliaia di società partecipate, non solo da parte di
Regioni, Province e Comuni, ma anche da parte di altri enti quali
ULSS e Camere di commercio.
Questa dinamica negativa si è inserita in un contesto politicosociale e ordinamentale inadeguato e non è stato accompagnata da
una parallela attivazione di rigorosi controlli amministrativi e
finanziari.
Ne sono seguite situazioni tutt’altro che migliorative del
sistema.
I sub enti in questione sono spesso sorti non per ragioni di
razionalità economica e di efficacia amministrativa, ma per
convenienze politiche.
Se ne è fatto a volte un uso strumentale, come ad esempio per
sfuggire ai vincoli della finanza pubblica o per collocazioni di
personale ad elusione delle regole sulle assunzioni nel pubblico
impiego. La spiccata autonomia concessa non è stata usata per
favorire gestioni più snelle ed efficienti, ma per far lievitare le
35
posizioni economiche di amministratori e dipendenti, rispetto agli
omologhi del settore pubblico tradizionale.
Si è accresciuto il numero degli organismi che, grazie
all’attribuzione di una differente soggettività giuridica (enti pubblici
economici, società), non rientrano fra gli enti tenuti ad osservare
regole limitative (ex D.Lgs 165/2001), quali quelle sulle consulenze e
sugli incarichi dirigenziali.
In diversi casi, chi doveva vigilare sugli andamenti
amministrativi e finanziari (in particolare Regioni, Comuni), ha perso
addirittura cognizione del numero e delle vere condizioni in cui
versavano gli enti vigilati, trovandosi, all’improvviso, di fronte a
situazioni di vero e proprio fallimento economico.
Fenomeni, quelli ora richiamati, comportanti, come è facile
immaginare, una indebita dilatazione della spesa pubblica.
Il tema della corruzione
In tale situazione ha trovato terreno fertile il fenomeno della
corruzione, intesa come abuso nell’esercizio della funzione pubblica al
fine di ottenere vantaggi privati.
La disamina del fenomeno deve prendere l’avvio dalla nozione
di trasparenza amministrativa, uno dei principali strumenti di
prevenzione della corruzione.
Prevalentemente l’accezione di corruzione ha una valenza
penalistica, in una generale ottica che identifica la morale pubblica
con il parametro dell’imputazione penale e carica la magistratura di
aspettative irrealizzabili da parte della pubblica opinione.
Così “..la magistratura è da tempo uscita dal terreno del controllo,
che è quello ad essa congeniale, per addentrarsi in quello della
36
mediazione e della regolazione del conflitto sociale” (Presidente emerito
Corte Costituzionale Gaetano Silvestri).
Ad ogni modo, nel tempo, la nozione di corruzione è entrata
nell’uso comune per esprimere una pervasiva violazione delle regole
base di buona amministrazione e si è ampliata, nel senso di prevedere
la prevenzione correlata a strumenti di diritto costituzionale e
amministrativo.
L’organizzazione a monte di strutture trasparenti e di
procedure agili predefinite rappresenta, nell’ottica della normativa
anticorruzione vigente (L. 190/2012 e successivi decreti attuativi), la
vera strategia che può impedire un sistema illecito che possa
annidarsi nelle pieghe di una amministrazione farraginosa,
estremamente burocratizzata e caratterizzata da molteplici
procedure talvolta inutili e sovrabbondanti.
L’apprestamento di strumenti di verifica del potere pubblico da
parte dei consociati può consentire di monitorare e controllare
l’utilizzazione delle risorse, consentendo l’emersione di fenomeni di
corruttela.
L’accesso a documenti e informazioni e la pubblicità sono i due
strumenti prevalenti per perseguire le finalità di trasparenza,
prefigurando una P.A. che offra l’immagine di una casa di cristallo.
La trasparenza non è soltanto partecipazione al procedimento,
ma è misura, modalità della funzione amministrativa, non solo
circoscritta ai titolari di interessi diretti, concreti e attuali.
E’ strumento di controllo sociale generalizzato.
Tuttavia, nonostante i complessi e raffinati strumenti
apprestati, la corruzione resta endemica, caratterizzante il sistema
senza soluzione di continuità.
Il Presidente della Corte dei conti ed il Procuratore Generale
hanno analizzato compiutamente, lo scorso 10 febbraio, nel corso
della cerimonia d’inaugurazione dell’Anno Giudiziario, il fenomeno
37
della corruzione, evidenziando non soltanto il logorio che determina
sull’etica del Paese, ma anche gli effetti distorsivi diretti sulla
economia e sulla concorrenza.
In ultimo, la vicenda Mose e le altre che ne sono seguite, hanno
disvelato un territorio aggredito dal malaffare, attraverso un sistema
corruttivo endemico, finalizzato ad influenzare, indistintamente ad
ogni livello, i vertici e i responsabili delle procedure, per evitare
intoppi, ritardi, ripensamenti, revisioni critiche, etc.
Se, ad oltre vent’anni da Tangentopoli siamo ancora dinanzi a
questo problema non soltanto irrisolto ma, se possibile, ulteriormente
aggravato, vuol dire che la malattia non può essere del tutto
debellata, ma soltanto curata con strumenti efficaci.
Si impongono una semplificazione ed una coerenza normativa
di lungo periodo, frutto di una presa di coscienza collettiva che
annulli il distacco tra la politica e i cittadini, coinvolgendo la società
in un movimento di riscatto generale che la proietti in un futuro
virtuoso.
In tale ottica vanno realmente potenziati il controllo e la
giurisdizione della Corte dei conti perché, con il dichiarato obiettivo
di riforme epocali, c’è chi invece ha spesso tentato di limitarne le
funzioni.
E in questo non si rende un buon servizio al Paese.
Certamente alcuni aspetti della giurisdizione contabile
andrebbero rivisti ed adeguati ai tempi, senza però stravolgere
l’assetto attuale.
Il regolamento di procedura, ad esempio, è del 1933 (R.D. 13
agosto 1933, n. 1038), anche se conserva tutt’oggi una sua validità.
Vanno individuati criteri certi e definiti per l’esercizio del
potere riduttivo da parte del giudice; il progressivo aumento delle
riparazioni spontanee, per importi anche molto consistenti, negli
ultimi anni dimostra che sarebbe opportuna l’introduzione di una
forma di patteggiamento in primo grado.
38
Dovrebbe essere modificato il limite di € 5.000 previsto per il
procedimento monitorio.
Andrebbe infine rivista la normativa sull’esecuzione delle
sentenze di condanna, introdotta con il D.P.R. n. 260/1998, che
prevede il controllo da parte della Procura regionale sulle procedure,
ma non un intervento dello stesso P.M. sulle rateizzazioni, spesso
eccessivamente generose concesse dalle amministrazioni.6
Conclusioni
Nel quadro delle iniziative formative nelle scuole promosso
dalla Procura Generale e dall’Associazione magistrati della Corte dei
conti, oggi sono presenti gli studenti del Liceo Stefanini di Mestre ed
il Dirigente Scolastico della Scuola Elementare Tiziano Vecellio, tra
le premiate nel concorso “L’Italia incompiuta” indetto dalla Procura
Generale della Corte dei conti e dal MIUR.
A questi ragazzi dobbiamo consegnare un messaggio di
speranza, perché non è tanto nelle aule di giustizia, ma nelle aule di
scuola che si possono realizzare le condizioni per migliorare la nostra
società e liberarla dal giogo della corruzione.
La freschezza della gioventù e la purezza degli ideali sono la
linfa per cambiare e costruire un futuro degno di questo Paese.
6
In tal senso vi era stata una proposta di legge di iniziativa parlamentare presentata alla Camera dei Deputati nel
2009, avente ad oggetto: “Delega al Governo per l’emanazione di un codice di procedura per i giudizi innanzi alla
Corte dei conti”, la quale prevedeva, all’art. 1, lettera p, una “disciplina della fase della esecuzione della sentenza
soggetta alla vigilanza della procura regionale competente, al fine di garantire l’effettività del giudicato, con facoltà di
promuovere, in caso di inerzia, avanti al giudice collegiale, idonei provvedimenti sostitutivi con previsione anche di
confisca contabile in favore del soggetto danneggiato.”
39
La nostra generazione al potere deve continuare con l’impegno
quotidiano nella lotta alla corruzione ed allo sperpero delle risorse
della collettività.
La magistratura contabile, nelle funzioni di giurisdizione e
controllo, costituisce ancora un valido argine, nonostante una
malcelata insofferenza di chi ben si rende conto del pericolo costituito
da un giudice capace di controllare l’azione amministrativa e
reprimerne efficacemente gli abusi.
Così si ritiene preferibile inasprire le pene e usare l’accetta,
piuttosto che andare alla radice del problema, potenziando le risorse
della Corte dei conti, giudice naturale dei comportamenti di
amministratori e funzionari.
Quando si arriva all’intervento del giudice penale il danno è
ormai divenuto irreversibile.
Finora le manette non hanno scoraggiato i fenomeni di
corruzione, ma hanno soltanto posto fine ad episodi singoli destinati
a riprodursi in futuro.
Un autorevole magistrato della Procura di Venezia in prima
linea sulla lotta alla corruzione, ha affermato, in una recente
intervista, che l’inasprimento delle pene non serve e che il punto
nodale della questione risiede nella proliferazione normativa e la sua
soluzione sta nel contrasto all’evasione fiscale che consente la
costituzione di fondi neri da destinare ai corrotti.
Diagnosi esatta che condividiamo pienamente.
Non a caso lo scandalo MOSE ha preso avvio da verifiche fiscali
della Guardia di Finanza che hanno portato alla luce false
fatturazioni da parte di ditte consorziate.
Il problema è anche culturale e di sistema.
Per controllare il sistema P.A. e cercare di fare opera di
prevenzione, per quanto possibile, una Corte dei conti ben altrimenti
40
attrezzata può costituire un valido argine al fenomeno corruttivo,
prima che degeneri in comportamenti penalmente rilevanti.
Il momento repressivo non risarcisce la perdita economica
complessiva derivante dalla cattiva gestione delle risorse della
collettività.
I continui scandali ai quali l’opinione pubblica è ormai
assuefatta ci dicono che il fenomeno non può essere risolto, almeno
nell’immediato, ma va combattuto con costante attenzione nel
tentativo di contrastarlo con ogni mezzo.
Ciascuno deve fare la sua parte ad ogni livello della vita
pubblica per dare una risposta concreta e credibile ai cittadini,
migliorando l’esistente, sfrondando la selva legislativa, ma
soprattutto fornendo un esempio di condotta morale che sia di
stimolo al cambiamento e di riferimento per le giovani generazioni.
“L’onestà è lodata da tutti, ma muore di freddo”7.
Le numerosissime segnalazioni di danno erariale dimostrano
che i cittadini veneti guardano con fiducia alla Corte dei conti, che
agli occhi dell’opinione pubblica non è un vuoto simulacro, ma
un’istituzione fortemente impegnata nella salvaguardia della legalità
e nel controllo del buon andamento e dell'imparzialità della Pubblica
Amministrazione.
Sig. Presidente
al termine di questo breve intervento, Le chiedo di dichiarare
aperto l’Anno Giudiziario 2015 della Corte dei conti del Veneto.
7
GIOVENALE – Satire – “Probitas laudatur et alget”
41
Procura Regionale per il Veneto
VENEZIA
Attività 2014
Importo recuperato in esito a
sentenze esecutive
€ 3.037.941,18
Vertenze pendenti
al 1 gennaio 2014
7754
Denunce pervenute e aperte
nell’anno
1142
Segnalazioni prearchiviate
99
Archiviazioni istruttorie
1252
Vertenze pendenti
al 31 dicembre 2014
7508
Attività istruttorie e deleghe
2642
Consulenze e perizie
6
Inviti a dedurre
46
Audizioni personali
25
Citazioni
36
Pareri in materia di conti
giudiziali
1512
Appelli
10
Sequestri conservativi chiesti
1
42
CORTE DEI CONTI
Procura Regionale per il Veneto
VENEZIA
Somme derivanti da riparazioni spontanee
a seguito
apertura V
(escussione
polizze
fidejussorie:
tasse
autom, ecc)
Anno di
riferimento
a seguito di
attività
istruttoria
a seguito di
invito a
dedurre
in corso di
giudizio
2010
96.054,08
2.176,91
8.359,33
2011
139.140,79
14.544,11
1.702,96
2012
72,309,22
20.000,00
5.454,21
221.194,90
2013
513.505,38
15.250,35
116.380,03
38.134,73
2014
128.071,44
6.544,39
40.789,41
64.728,23
Procedimenti monitori
Anno di riferimento
Importi
2010
6.765,00
2011
6.557,00
2012
8.753,00
2013
600,00
2014
4.175,00
Esecuzione sentenze condanna di I e II grado
Anno
2014
n.
sentenze
di
condanna
di I grado
n.
sentenze
condanna
di I grado
appellate
Stato
10
1
E. Locali
4
2
Amm.ne
danneggiata
n.
sentenze
condanna
di II
grado
Importo di
condanna
di I grado
(Sentenze
passate in
giudicato)*
Importo di
condanna
di II
grado**
Anno di
riferimento
103.987,59
5
8.000,00
Importo
recuperato
nell'anno di
riferimento in
esito a sentenze
esecutive di I e
II grado anche
pregresse
2.753.088,00
516.592,43
Regioni
237.954,06
2014
Altri enti
1
1
1
Totale
15
4
6
111.987,59
7.000,00
46.899,12
523.592,43
3.037.941,18
43