Gennaio 2014 - Diocesi di Caltanissetta

In caso di mancato recapito inviare al CPO di Caltanissetta per la restituzione al mittente previo pagamento della tariffa resi
A N N O VIII
Direttore responsabile Giuseppe La Placa
·
N. 1 - GENNAIO 2014
Aurora
www.diocesicaltanissetta.it
’
l
PERIODICO
DELLA
DIOCESI
DI
C A LTA N I S S E T TA
Registrazione del Tribunale di Caltanissetta n. 202 del 29-12-2006 - Redazione: Via Cairoli, 8 - 93100 CL
Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, CNS/Sud 2 - Caltanissetta
EDITORIALE
Giornalisti...
evangelisti
«Sanità siciliana iniqua»
di Giuseppe La Placa
iate santi». Questa l’inaspettata e impegnativa
consegna che i giornalisti nisseni hanno ricevuto a conclusione della celebrazione eucaristica
alla quale hanno partecipato, nella Cappella del
Seminario, in occasione della festa di San Francesco di Sales, il 24 gennaio scorso. Una santità – è
stato detto loro – da perseguire a partire dalla fatica di realizzare la pienezza della loro umanità anche attraverso il loro lavoro quotidiano. Santi, insomma, perché uomini veri e professionisti seri.
Proprio Francesco di Sales, infatti, fu tra i primi che, agli inizi dell’epoca moderna, contribuì a
dilatare l’orizzonte della santità e a renderla popolare. Nella sua Filotea, infatti, scriveva che sarebbe
impossibile al falegname perseguire la santità come il monaco che sta chiuso nel monastero. Come a dire che agli occhi di Dio Padre tutti abbiamo la stessa dignità in Cristo Gesù, perché tutti
siamo chiamati alla santità, in ogni circostanza, in
ogni rapporto, in ogni professione. L’importante
– diceva il santo vescovo – è essere quello che si è,
ma desiderando di esserlo alla perfezione.
Si potrà obiettare: ma allora basta scrivere dei
buoni pezzi di giornalismo per diventare santi?
Certamente no. È pur vero, però, che il giornalista che vuol diventare santo non può scrivere brutti pezzi di giornalismo. Pezzi, cioè, che non nascano dalla serietà, dall’onestà, dall’amore per la
verità o dall’indipendenza nei confronti del potere di turno. Pezzi che facciano un uso strumentale e destabilizzante di notizie non verificate allo
scopo di sostenere o danneggiare questa o quella
parte in causa nell'agone pubblico; che tacciono
sulle notizie che romperebbero pregiudizi che si
ha, invece, interesse a mantenere; che facciano un
uso voyeuristico e acritico del 'diritto di cronaca',
senza nessuna preoccupazione per le persone che
vi sono coinvolte.
Per un cristiano, ad esempio, dovrebbe essere
molto più rilevante l'attenzione al bimbo che è nato che non alla suora che lo ha partorito, perché la
sottolineatura del bene dovrebbe avere sempre uno
spazio maggiore di quella del male. Il giornalista
che trasmette solo ciò che è negativo – cadendo nel
trabocchetto degli indici di gradimento e di tiratura – rischia, infatti, di alimentare la sfiducia della gente, di dare la sensazione che il male è sempre
più forte del bene. Il giornalista deve poter essere
anche – e soprattutto – annunciatore della “buona notizia”. Un vero e proprio “evangelista”, capace di liberare il bene dal male, l'eternità dalla provvisorietà dell’attimo, la speranza dalla contingenza,
a volte brutale, del fatto che racconta.
«S
C
arissimi fratelli e sorelle, sto
seguendo con molta attenzione e preoccupazione la
situazione della sanità nel territorio
della nostra Diocesi nissena, con particolare cura per l’ospedale di Mussomeli.
Vi assicuro che ho interpellato i diversi responsabili a vari livelli e continuerò a seguire l’evolversi delle vicende.
Purtroppo devo con forza denunciare uno slittamento di piano e di livello nella attenzione di chi amministra e gestisce la sanità.
Al centro non c’è più la persona
umana, con i suoi bisogni e la sua salute, ma l’economia. La legge del mercato ha schiacciato con arrogante violenza, il diritto della vita e alla salute,
non curante di violenze la dignità della persona umana.
Nell’iniquo meccanismo della sa-
nità, e di quella siciliana in specie, i
soldi e i numeri sembra che valgono
più delle persone. Lo spietato sistema
del mercato viene adottato con semplicità e “distratta”coscienza da chi
governa la cosa pubblica che, invece
di porsi al servizio dei cittadini – e in
particolare dei deboli e dei più poveri.-.avverte i cittadini (quali sudditi”)
alla diabolica logica dell’economia,
passando sopra la testa delle persone,
schiacciando i diritti dei cittadini e
trattando la carta costituzionale di
una Repubblica, sempre più fondata
sulla disoccupazione e sugli interessi
di pochi. Il popolo è diventato una
massa da sfruttare schiacciare maltrattare … e da cercare solo al momento delle elezioni, illudendolo con
false e mai mantenute promesse.
Difendiamo dunque con coraggio
il nostro diritto alla salute, il nostro
ospedale di Mussomeli che è posto di
N.1 - GENNAIO 2014
riferimento per tutti i paesi del vallone,in particolare difendiamo il punto-nascite che nulla ha da invidiare al
altri illustri e vetusti ospedali.
Vi prometto, come ho già fatto,
che mi impegnerò per quanto e nelle
mie possibilità per il nostro ospedale,
sostenendovi anche attraverso i carissimi nostri sacerdoti, in questa giusta
e opportuna rivendicazione di un sacrosanto diritto.
Affido questo disarticolato e accorato messaggio al caro P. Pietro Genco, arciprete di Mussomeli, perché lo
trasmetta a voi e, tramite gli organi di
stampa, ne dia pubblica diffusione.
Assicurandovi la mia vicinanza e la
mia preghiera, di cuore tutti benedico nel Signore invocando l’intercessione della Madonna SS.ma dei Miracoli.
Vostro aff.mo
✠ Mario Russotto
P
2
E
R
I
O
D
I
C
O
D
E
L
L A
D
I O
C
E S
I
D
I
C
A
L T A
N
I
S S
E T
T A
PRIMO PIANO
l’
Aurora
Giornata della memoria per non dimenticare
Uno Yom Kippur per ogni uomo e ogni nazione per promuovere il bene della vita
Con la distruzione
”
del popolo d’Israele,
l’intero mondo cristiano
è stato defraudato.
Anche noi, che siamo fratelli
nella fede con gli Ebrei,
P
siamo stati attaccati
di Andrea Miccichè
rendere la parola di fronte al mysterium iniquitatis che l’orrore nazista mostra ad ogni persona è veramente complesso, specialmente quando si
è, come me, giovani ed inesperienti di vita:
sapere a quale grado di bestialità e crudeltà
è giunto l’uomo è veramente sconcertante.
Il monito del letterato Primo Levi, che
ha vissuto personalmente il dramma dei Lager, è sempre attuale: è un obbligo prima di
tutto verso se stessi scolpire nel proprio cuore il ricordo di quella Valle di lacrime della
civiltà.
La Shoah, la distruzione di un popolo,
quello ebreo, l’annientamento di tutti coloro che non rientravano nei “canoni” di perfezione ariana, la totale indifferenza ai principî non negoziabili, ai diritti naturali, sono
le conseguenze più chiare della volontà dell’uomo di assurgere ad arbitro fra il bene ed
il male.
Portando alle estreme conclusioni il pensiero del filosofo Nietzsche, Hitler nel manifesto ideologico del Partito Nazionalsocialista, il “Mein Kampf”, si prefiggeva di
creare quel superuomo – nazione, capace di
essere veramente la “misura di tutte le cose”, creatore di una morale fondata sul dominio del più forte, e in questo piano folle
non potevano rientrare le “razze inferiori”,
prive di quel “sangue tedesco – ariano”, unico garante del valore della persona.
Come è possibile dimenticare la perdita
di dignità degli Ebrei, che iniziava dalla riduzione della persona a numero – gli internati nei Lager, infatti, non avevano un nome che li distinguesse dagli altri –, le sommarie esecuzioni di interi convogli di deportati, secondo il macabro gusto dei gerarchi, gli aberranti ed indicibili esperimenti su uomini, donne e, persino, bambini,
considerati “cavie da laboratorio” e, infine il
dispregio per i cadaveri?
Secondo quanto recita uno dei salmi più
duri e forti della Sacra Scrittura, il Salmo
137, è «beato chi ti renderà quanto ci hai
fatto»: il testo è rivolto a Babilonia devastatrice, ma può essere applicato alla Germania nazista, che ha inferto al Popolo Eletto
il più duro colpo della sua storia.
Questa giustizia è stata resa e, secondo
me, di essa abbiamo testimonianza: Israele
sta rinascendo, pur nelle difficoltà e negli errori.
È vero, di fronte a questa immane tragedia si erge il dubbio «Dov’era Dio? Perché
non è intervenuto? Forse che non s’interessò del Suo popolo, che aveva scelto?».
Non è possibile rispondere in maniera
compiuta; come ha affermato il Papa Eme-
rito Benedetto XVI nel suo discorso ad Auschwitz, «noi non possiamo scrutare il segreto di Dio – vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di
Dio e della storia»: siamo davanti ad un mistero, ma possiamo dargli un senso, nella
misura in cui sentiamo la responsabilità di
ciò che è accaduto.
È un richiamo a non far cadere nell’oblio
quest’età buia, magari schermandosi dietro
inutili moralismi: quello che è stato definito dalla scrittrice e filosofa Hannah Arendt
“banalità del male”, indifferenza per ciò che
si compie, sia esso positivo o negativo, è sempre all’angolo.
Chiudere gli occhi di fronte alla Shoah è,
in un certo senso, perpetuarla sotto forme
diverse, è giustificarla e scusarla, ponendo le
basi per un ulteriore evento della stessa portata.
Noi non possiamo! Con la distruzione
del popolo d’Israele, l’intero mondo cristiano è stato defraudato. Anche noi, che siamo fratelli nella fede con gli Ebrei, siamo
stati attaccati.
Non possiamo sentirci spettatori estranei
al dramma.
Gli Ebrei asseriscono che, chi salva una
vita, salva un mondo; allo stesso modo, chi
uccide anche un solo individuo, distrugge
un universo; così l’Europa ha perso 6 mi-
”
lioni di mondi, con l’assassinio di 6 milioni di Israeliti.
Né si devono dimenticare tutti quelli che
hanno contribuito alla salvezza di molti
Ebrei, mettendo a rischio la propria vita.
Basti pensare ai cosiddetti “Preti di Dachau” – un gruppo di sacerdoti internati in
questo Lager per essersi opposti al regime
nazista –, ai vescovi, presbiteri, fedeli o laici appartenenti ad altre religioni o confessioni, riconosciuti come “Giusti tra le Nazioni”, infine, al Santo Padre Pio XII, che
ha messo a disposizione dei perseguitati lo
stesso Palazzo Apostolico.
Il compito di tenere sempre viva la memoria di quegli eventi è affidato a noi, nuove generazioni, formate alla scuola della Cittadinanza attiva e solidale, affinché nel futuro non si ripeta più quest’immane strage.
Siamo “cooperatores veritatis”, capaci di affermare con coerenza i principî che identificano l’uomo e lo contraddistinguono da
ogni altra creatura.
Abbiamo il dovere di ricordare: la Giornata della Memoria deve essere, simbolicamente, lo Yom Kippur del nostro Paese, un
giorno per non dimenticare gli orrori e chiedere perdono, non solo per il male commesso, ma per tutte le volte che nelle nostre
scelte abbiamo perso di vista quel bene sommo, che è il rispetto della vita
Al Liceo “Mignosi” l’Ebraismo rivive «critica-mente»
E
Una giornata di riflessione tra canti, rappresentazioni di midrashim, pane azzimo e sukkot
se fosse toccato a noi?
Se fossimo stati strappati dalle nostre case,
privati di un nome, ridotti a
numeri senza più storia né
identità? Se dietro le immagini
di quei corpi fragili, in piedi e
in attesa della morte, riconoscessimo i volti di chi abbiamo
amato, di nostro padre, nostra
madre, nostro figlio, cosa sarebbe allora il “Giorno della
Memoria”? Forse sono queste
le domande da porsi affinché la
rievocazione del 27 gennaio
di Silvia Dentico
1945 non diventi solo il tiepido ricordo di un evento storico che in fondo non ci appartiene o non ci è mai appartenuto.
Se ognuno di noi provasse a
sentire su di sé il peso di quella paura, del morire «per un sì
o per un no», come racconta
tragicamente Primo Levi; se ci
immedesimassimo davvero nel
dramma vissuto dal popolo
ebraico, che non è solo una categoria lontana verso cui provare pietà, ma è parte del-
l’umanità di cui siamo parte
anche noi, forse il “Giorno della Memoria” avrebbe un sapore diverso. Il sapore della solidarietà vera, del patire con l’altro, dell’essere fratelli. Ed è
proprio da lì che gli studenti
del liceo classico paritario “Pietro Mignosi” hanno preso le
mosse nel ricordare il genocidio degli ebrei: dalla fratellanza. Dalla volontà di instaurare
un dialogo vero con il mondo
ebraico, scoprendone gli aspetti culturali, religiosi e persino
N.1 - GENNAIO 2014
culinari che, per quanto apparentemente distanti dalle nostre tradizioni, offrono un messaggio senza confini ideologici
né geografici: il rispetto verso
l’altro, la speranza, il senso della rinascita.
Attraverso la lettura e la rappresentazione dei Midrashim
(racconti che interpretano la
Sacra Scrittura), intercalati da
canti ebraici eseguiti dai ragazzi e, infine, con la preparazione di pietanze tipiche della tradizione giudaica, quali l’haro-
set, il pane azzimo e i ginetti di
Sukkoth, gli studenti del “Mignosi” hanno potuto accostarsi all’ebraismo e interpretarlo
«critica-mente». Un percorso
di apertura autentica verso l’altro, che ha permesso loro di
guardare oltre il terribile piano
di distruzione di cui furono vittime gli ebrei e di cogliere,
piuttosto, le specificità di un
popolo che fu capace di ricostruirsi, dando uno straordinario esempio di fede e di speranza.
l’
Aurora
P
E
R
I
O D
I C
O
D
E
L
L A
D
I O C
E S
I
D I
C
A
L T A
N
I
S S E
TERZA PAGINA
T
T A
3
Inaugurato in tribunale il nuovo anno giudiziario
T
Tra consuetudini e tradizione sono emerse difficoltà ed efficienze della magistratura locale
di Giovanbattista Tona
appeti rossi, alte uniformi, picchetti d’onore e un’aula gremita di autorità, rappresentanti della politica
e della società dinanzi ad un emiciclo dove siederanno i magistrati della Corte di Appello e
gli esponenti degli ordini degli avvocati, a fare da corona alla massima autorità della magistratura del distretto, il Presidente della Corte di Appello.
È suo il compito di riferire all’opinione
pubblica quale sia lo stato dell’amministrazione della giustizia nel territorio, avvalendosi di dati statistici, grafici, risultanze processuali e valutazioni.
Il 25 gennaio 2014, come al solito nell’ultimo sabato del primo mese dell’anno, si è celebrato anche al Palazzo di giustizia di Caltanissetta un rito, ripetitivo e simbolico, per taluni anacronistico, per altri senza tempo: quello dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Piaccia o non piaccia, questa pur pomposa e formale cerimonia costituisce il momento in cui ci si riflette su aspetti essenziali della vita sociale: la conflittualità, le contese, le
attività illecite e i tentativi dello Stato di sedare le prime, dipanare le seconde e reprimere le terze. Così come oggi si ricostruiscono le
storie e le “micro-storie” del nostro Paese riprendendo le relazioni dei Procuratori generali del secolo scorso, così faranno domani i
nostri nipoti, riprendendo le relazioni dei Presidenti delle Corti di appello, quando vorranno capire gli anni che stiamo vivendo,
adesso, noi loro progenitori.
Forse questo basta per non trascurare ciò
che si è detto all’apertura dell’anno giudiziario. Legge e consuetudine vogliono che la relazione, pur se svolta a gennaio del 2014, riferisca riguardo al periodo che va dal 1° luglio
2012 al 30 giugno 2013.
Ma uno degli argomenti centrali è stato comunque un evento compiutosi a settembre
del 2013: la ridefinizione della geografia giudiziaria. La messa in opera di tale riforma ha
comportato la soppressione del Tribunale di
Nicosia e l’accorpamento del relativo circondario a quello di Enna: la Corte di Appello
quindi avrà un Tribunale in meno e un esteso e mal collegato territorio è stato privato dei
suoi uffici giudiziari.
“È stato un sacrificio doloroso e lacerante”, ha detto il Presidente della Corte di Appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale; il
Procuratore Generale facente funzioni, Antonino Patti, ha sottolineato che solo la storia
spiegherà se è stata giusta tale scelta del Governo, ma che adesso resta visibile solo il rammarico e lo sconcerto delle popolazioni del
territorio nicosiano; vibranti sono risuonate
ancora le critiche e le proteste del Presidente
del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di
Caltanissetta, Giuseppe Iacona, e del delegato dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura,
Michele Riggi, che hanno preso la parola alla cerimonia.
Compiacimento è stato espresso per il trasferimento del territorio di Niscemi, già fa-
cente parte del circondario del Tribunale di
Caltagirone, alla competenza degli uffici giudiziari di Gela e di Caltanissetta.
Un popoloso comune, quello di Niscemi,
che faceva parte della provincia nissena e che
ha forti legami sia leciti sia purtroppo illeciti
con essa.
Tuttavia all’aumento del lavoro che ne consegue non è corrisposto l’aumento dei magistrati e del personale amministrativo. Che anzi diminuiscono sempre di più.
I dati che ha offerto il Presidente Cardinale nella sua relazione hanno riproposto un
trend già noto; aumento dei procedimenti, aumento del numero delle cause che vengono
decise dai giudici, ma al contempo diminuzione dei giudici e del personale, per un verso, e mantenimento di un cospicuo arretrato,
per altro verso.
E tra questi dati si colgono i segni drammatici della crisi economica: le dichiarazioni
di fallimento di imprese sono aumentate di
un terzo, i procedimenti di esecuzione su immobili sono più che raddoppiati. Sono diminuiti di circa un terzo i cittadini che fanno
causa per questioni inerenti i loro contratti di
lavoro; probabilmente perché sono diminui-
ti (anche più di un terzo) i cittadini che hanno un contratto di lavoro.
Frattanto la criminalità organizzata, per
quanto silente e fortemente contrastata, perde terreno ma non molla la presa.
Parole di elogio sono venute dal Presidente Cardinale verso le iniziative che testimoniano la buona volontà dei cittadini e delle
istituzioni per arginare il predominio criminale. “Segnali di vitalità” che danno fiducia,
ha detto Cardinale; e citando Vitaliano Brancati, ha aggiunto che «non c’è notte di provincia che sia priva di stelle».
A questi segnali si è richiamato anche il
nuovo Presidente dell’ANM di Caltanissetta,
Fernando Asaro, che ha sottolineato l’impegno dei magistrati del distretto a fare dei palazzi di giustizia i luoghi trasparenti del servizio e del confronto con le migliori energie della comunità. E ha al contempo rivendicato
l’indipendenza come principio ispiratore dell’operato del magistrato “che deve imporgli la
ineludibile e concreta distanza da centri di potere politici ed economici, evitando qualsiasi
coinvolgimento in luoghi di potere o centri
affaristici che possono appannare la sua immagine.”
Il Presidente della Corte d’Appello tuona contro la corruzione
C
Cardinale sottolinea l’assenza di morale nella pubblica amministrazione
ome negli anni passati, la rilevazione statistica - ed in particolare il minoritario numero di iscrizioni (e di condanne) per i reati più significativi collegati all’abuso di pubblici poteri non riflette fedelmente la situazione reale
che, come emerge dagli studi condotti da
diversi organismi europei e nazionali, in Italia e nella stessa Sicilia è più grave e più allarmante rispetto a quella, riduttiva, indicata dai numeri. Invero, permane e si accentua, con riferimento ai delitti consumati dai
titolari di pubbliche funzioni, l’incoerenza
per difetto tra il dato numerico e la sensazione di diffusa illegalità - accompagnata da una
corrispondente estesa sensazione di impunità - che si percepisce, malgrado i limitati procedimenti penali istruiti, anche in questo Distretto, ove crescono un clima di generale sospetto, che non risparmia nessuno e ingenerosamente raggiunge anche coloro che con
ammirevole moralità si mantengono estranei
al malaffare, e l’ormai prevalente opinione
collettiva che, come diceva Sallustio, omnia
venalia, tutto è in vendita.
Inchieste giudiziarie, denunce di imprenditori, esposti di cittadini vessati da richieste
costrittive e l’ostentazione di ricchezze incompatibili con i redditi dichiarati hanno
messo in luce come persistano «sacche di corruzione sistemica con aspettativa di impunità per i protagonisti e un senso di impotenza per gli spettatori».
Ormai, si è radicata la convinzione che
l’esercizio di cariche elettive e lo svolgimento di funzioni pubbliche non siano più un
nobile servizio in favore della comunità ma
rappresentino la via più breve per raggiungere vantaggi patrimoniali illeciti.
Come ha scritto un attento osservatore, «il
principio del senso del limite sul terreno della morale e dell’etica è totalmente saltato. Nessuno lo pratica; ognuno fa quello che può fare, indifferente alle conseguenze». Cuncta fesN.1 - GENNAIO 2014
sa, tutto è a pezzi, avrebbe detto Tacito. Seppur in numero ridotto, rispetto ad anni bui
che fortunatamente fanno parte del passato,
vanno registrati ancora una volta, in alcuni
ambienti più permeabili, episodi di pericolosa commistione tra esercizio della funzione
pubblica e attività delle associazioni criminali in un clima di complicità e di voluta disamministrazione. Esiste anche la concreta
percezione di casi di compravendita di voti
che vedono, quali procacciatori di consensi a
pagamento, esponenti ed affiliati di sodalizi
mafiosi. (...) Di fronte al malaffare dilagante, sale la richiesta di abbattere un fenomeno che non può combattersi esclusivamente
con singole norme penali ma presuppone la
selezione di una nuova elite politica nazionale e locale che, dotata di «una robusta coscienza dal punto di vista morale», per un
lungo periodo imbibisca di legalità l’attività
legislativa e amministrativa.
S.C.
P
4
E
R
I
O
D
I
C
O
D
E
L
L A
D
I O
C
E S
I
D
I
C
A
L T A
N
I
S S
E T
T A
L’0PINIONE
l’
Aurora
Governabilità e partecipazione punti fermi della nuova legge elettorale
A
Il “diritto di belare” e la sentenza della Corte Costituzionale
”
di Alessandro Diotallevi
ll’indomani della sentenza della
Corte Costituzionale sulle leggi
elettorali, s’è aperto un dibattito,
con l’apparenza della democraticità, sfociante nel bisogno di governabilità e partecipazione, tuttora insoddisfatto. Con la memoria a
quanto accadeva appena 20 anni fa, sotto
l’emozione dei referendum di Segni, con la
memoria del senso di smarrimento impresso
in tante coscienze libere verso azioni politiche
di manomissione della democrazia per mezzo della corruzione, oggi, alle soglie di una obbligata stagione di riforme elettorali, benché
dissimulate, tornano a farsi sentire le oligarchie di potere, sorde ai richiami generalizzati
alla moralizzazione della vita pubblica. Ha ragione il professor Guccione quando ci ammonisce sul fatto che il sistema in cui viviamo è purtroppo il peggiore tra quelli oligarchici. E se non sarà “azzerato”, nessuna legge
elettorale sarà in grado di accompagnare il
processo essenziale di ogni democrazia di
identificare, attraverso l’espressione del consenso popolare, risorse rigenerate da assegnare alle istituzioni parlamentari. Senonché, oggi come nel ’93, con il supporto attivo della
comunicazione nelle sue diverse forme, torna
a farsi largo la logica di espropriazione del senso ultimo del voto da parte dei partiti, che dovrebbero, per obbligo costituzionale, favorire
il libero dibattito e la massima partecipazione, rifuggendo la tentazione della tirannide
maggioritaria. Hanno ragione, i partiti, a preoccuparsi della governabilità. Ne hanno di
meno se si considera che all’indomani della
caduta della prima Repubblica e dell’irruzione di nuove leggi elettorali, la governabilità
non si è realizzata. Mascherata nelle forme della semplificazione del bipolarismo, la povera
governabilità, al netto delle influenze internazionali, è stata alla fine sormontata da una
pressione fiscale violenta, una disoccupazione
disastrosa, una caduta insistita del principio
di affidabilità delle istituzioni. Così, agnelli sacrificali sugli altari degli interessi dei partiti,
comunque declinati, i cittadini, non immemori dei dispotismi delle maggioranze, sono
quasi impediti di belare. In effetti, per lo strapotere dei gruppi di interesse e per le convenzioni ad excludendum delle oligarchie di
partito, i cittadini sono sostanzialmente privati della parola pubblica, ad eccezione di
quella urlata nei baracconi mediatici. Gli resta quella privata, per fortuna, anche perché
conserva un che di libertario di cui il potere
non si dispiace, valutando come, con alcune
eccezioni clamorose, il grillismo, la società civile è sostanzialmente ininfluente nel determinare gli indirizzi politici generali. Delle
quali ultime, peraltro, non si approfondisce il
crescente fenomeno dell’astensionismo che riduce la capacità rappresentativa degli eletti in
misura proporzionale ai suoi dati quantitativi. Si fa strage, mediante manovre di soffocamento, da parte delle oligarchie imperversanti nel Paese, di ogni significativo tentativo di
associarsi liberamente da parte dei cittadini i
quali, isolati, come ammonisce Tocqueville
«non possono quasi nulla da soli». Converre-
Agnelli sacrificali
sugli altari degli interessi
dei partiti, i cittadini,
non immemori dei dispotismi
delle maggioranze, sono quasi
impediti di belare
”
mo, tutti, che la falda costituzionale delle comunità intermedie si è essiccata, meglio, è stata ostruita, per anni ed anni, impedendosi la
creazione di contrafforti democratici alle dittature maggioritarie, per prime quelle dei partiti e delle associazioni professionali.
In questo panorama, qui appena accennato, si accende la luce della sentenza 1/14 della Corte Costituzionale. Intanto, il giudice costituzionale ha il coraggio di sottolineare la
«perdurante inerzia del legislatore ordinario».
Non è una verità processuale, è una verità.
Non solo i partiti, quindi, ma un po’ tutti,
portano la responsabilità della crisi odierna,
con il beneficio della buona fede per i singoli cittadini ai quali è stato fatto credere che la
cornice istituzionale sia indifferente rispetto ai
loro problemi quotidiani, mentre il messaggio opposto, quello secondo il quale la capacità di governo è essenziale per lo sviluppo economico e sociale del paese, è stato intercettato o occultato.
Un’inerzia, dunque, che senza questa sentenza si sarebbe protratta ulteriormente. C’è
voluto il coraggio della Corte di Cassazione
di rilevare nelle leggi elettorali che abbiamo
maggioranza relativa, in quanto consente ad
una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la
maggioranza assoluta dei seggi»; B) «Una distorsione fra voti espressi ed attribuzione dei
seggi, pur presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da
compromettere la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto»; C) «La premialità produce un’eccessiva divaricazione tra la
composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’articolo 1, comma 2, Cost.»;
D) «Il meccanismo di attribuzione del premio
di maggioranza è tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto. Ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi»;
E) «La circostanza che alla totalità dei parla-
torali che rimangono immutate, sia per la Camera che per il Senato. Ciò che resta è precisamente il meccanismo in ragione proporzionale e le norme censurate riguardanti l’espressione del voto risultano integrate in modo da
consentire un voto di preferenza».
Mentre i partiti per mezzo dei loro segretari, fuori da un dibattito parlamentare, costruiscono pacchetti riformatori che continuano a contenere premi di maggioranza e lesioni della volontà popolare, una proposta alternativa va avanzata.
Con una breve premessa. La maggioranza
parlamentare ha nelle proprie mani il sistema
delle maggioranze che servono per approvare
gli atti fondamentali della vita istituzionale del
Paese. La Corte Costituzionale, per parte sua,
ha ricordato che tra le funzioni fondamentali delle assemblee parlamentari c’è la stessa garanzia della Costituzione, con la procedura
dell’articolo 138. Ma qui aggiungiamo le
maggioranze assolute per l’approvazione dei
regolamenti parlamentari; le maggioranze
qualificate per l’elezione dei componenti delle istituzioni fondamentali della democrazia,
compresa la Corte Costituzionale; le maggio-
usato in questi anni «una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica,
lesiva della stessa eguaglianza del voto, peraltro neppure idonea ad assicurare la stabilità di
governo»; c’è voluto il coraggio di alcuni giudici dotati di adeguata esperienza e competenza, valori ormai assenti nella programmaticità politica dei nuovi e vecchi partiti, per
abbattere il primo anello delle fortificazioni
oligarchiche del sistema. Il secondo anello è
stato frantumato dalla stessa Corte Costituzionale che ha dettato i seguenti principi: A)
«Il meccanismo premiale è foriero di una eccessiva sovrarappresentazione della lista di
mentari eletti, senza alcuna eccezione, manca
il sostegno della indicazione personale dei cittadini, ferisce la logica della rappresentanza
consegnata nella Costituzione»; F) «La normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto delle questioni sollevate
dalla Corte di Cassazione è complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo, in
particolare la normativa che rimane in vigore
stabilisce un meccanismo di trasformazione
dei voti in seggi che consente l’attribuzione di
tutti i seggi, in relazione a circoscrizioni elet-
ranze per l’approvazione delle leggi; le maggioranze di approvazione delle mozioni che
indirizzano l’attività del Governo. Se queste
maggioranze sono il frutto di una distorsione
rappresentativa, allora, ragionevolmente, si
può sostenere che siano la causa della mancanza di coesione di questo Paese, che è alla
base del suo declino.
Qual è dunque la proposta alternativa? Dopo anni che si è inseguita, anche con disegni
di legge parlamentare, la chimera di un’As-
N.1 - GENNAIO 2014
continua a pagina 12
l’
Aurora
P
E
R
I
O D
I C
O
D
E
L
L A
D
I O C
E S
I
D I
C
A
L T A
N
I
S S E
T
IL BENE COMUNE
T A
5
Le “madri della città” guardano alla società contemporanea
Donne, madri, minori, famiglia... i temi più urgenti e scottanti del progetto
T
di Maria Grazia Pignataro
re anni fa nasceva da un progetto, ideato e promosso dalla
Consulta delle aggregazioni laicali della diocesi nissena, il gruppo “Le
madri della città. Il carisma femminile a
servizio della città”, che ha coinvolto in
rete tutte le associazioni che tuttora sono impegnate nel campo del sociale .
Il primo convegno organizzato dal
gruppo risale al maggio 2011 sul ruolo
della donna nella famiglia, in cui si è provato a fornire un’idea quanto più esaustiva possibile sullo “stato di salute” del
nucleo familiare ai nostri giorni, con particolare riferimento al capoluogo nisseno. Ne è emerso un quadro a varie tinte:
da un lato la crisi della famiglia dimostrata dal costante aumento delle separazioni e dei divorzi, dall’altro un bisogno
crescente di maternità, che in certe situazioni induce la donna, d’accordo con
il proprio partner, a tentare la strada dell’adozione o dell’affido.
Da qui l’idea di un percorso formativo legato alla costituzione di una “banca
dati” delle famiglie disponibili a farsi carico in via temporanea di un minore a rischio su segnalazione dell’autorità giudiziaria o dei servizi sociali.
Nel 2012, invece, il secondo convegno
sul rapporto tra donna e lavoro. Ne è
emerso un quadro desolante all’interno
del quale le donne sono destinate a pagare il prezzo più alto per le conseguenze di una crisi che oltre che economica è
di natura politica e sociale.
Infine nel maggio 2013 la manifestazione su “donne e disabilità, soprattutto
in merito alla cura e all’assistenza dei figli minori in difficoltà.
È un tema che tocca nel profondo coloro che vivono quotidianamente la sofferenza e la fatica di dover prendersi cura di un bambino, che diventerà un ado-
lescente e poi un adulto, senza alcuna
prospettiva per il proprio futuro e quello del proprio caro. La nostra, infatti, è
una società all’apparenza incline alla tolleranza e all’integrazione, ma nei fatti poco convinta che i disabili possano occupare un ruolo, come persone con “diverse abilità”, nella realtà sociale.
Dall’incontro ne è scaturita l’idea di
uno spazio di coordinamento e di riflessione tra le associazioni che nel capoluogo si occupano di disabilità, che dovrebbe già nascere in via ufficiale la prossima
primavera e avere come obiettivo quello
di colmare un vuoto istituzionale in merito ai reali fabbisogni delle famiglie che
affrontano quotidianamente la disabilità
di un loro congiunto. “Le madri della città” hanno, in ultimo, lavorato alacremente a partire dal 2012, collaborando
con singoli ed enti pubblici e privati, alla creazione di un coordinamento sulla
violenza contro le donne, che è nato uf-
ficialmente lo scorso 19 novembre e che
vorrebbe costituire col tempo un punto
di riferimento fondamentale per tutti coloro che si occupano a vario titolo delle
vittime della violenza di genere.
«Di fronte al silenzio assordante della
politica ai diversi livelli, nazionale, regionale e locale – dice Pinella Falzone,
portavoce del gruppo – la società civile,
laica e cattolica, fa sentire con “madri della città” … la sua voce, scevra da interessi di parte ma indirizzata al bene comune e al servizio della collettività».
«D’altronde – aggiunge Piero Cavaleri, psicologo e tra i padri fondatori del
gruppo – “Le madri della città” nascono
dalla consapevolezza che nella società
contemporanea, contrassegnata da un indebolimento dei legami di prossimità, la
donna con la sua specificità di genere, che
la rende capace di relazioni di accoglienza e di cura, rappresenta un importante
“segno dei tempi”».
E all’orizzonte una nuova associazione per le famiglie
A
Sarà necessaria e fondamentale la collaborazione con le istituzioni locali
conclusione del 2013, dopo
tre anni di intensa attività,
“Le madri della città” hanno
avvertito il bisogno di “dedicarsi” un
momento di formazione e di riflessione
attraverso un incontro con Don Gino
Moro, padre spirituale e tra i fondatori
del movimento “Mondo migliore”.
Il confronto con Don Gino ha consentito al gruppo una rilettura di quanto fatto fino a quale momento e nel contempo una ridefinizione delle prospettive e dei progetti futuri.
«Le madri della città – ha detto Don
Gino – può essere vista da un lato come
una delle tante iniziative, civiche e culturali, che nascono nelle nostre comunità, ma dall’altro essere vissuta, ascoltata
e custodita nei suoi sviluppi, come
un’esperienza-tipo dove è in gioco un’intuizione generatrice, quella cioè di una
rifondazione etica del bene.
In quest’esperienza – continua il sacerdote – assistiamo all’eclissi dell’enfasi
sull’io e delle appartenenze claniche di
ciascuno e alla nascita di un nuovo “co-
dice relazionale”, che aggiorna la stessa
figura del bene, vincolando la nostra esistenza ad un patto intergenerazionale e
interculturale, un’alleanza cioè tra le
donne e i giovani per una ridefinizione
del legame sociale e pertanto per la nascita di nuova immagine della città».
«Allargando la prospettiva da quella
del carisma e genio femminile aggiunge
Piero Cavaleri – a quella più ampia della Chiesa, il messaggio emerso dalla dis-
sertazione di Don Gino è che quest’ultima, per potere meglio interpretare il proprio ruolo e crescere nella sua “mission”,
deve entrare in dialogo con il mondo, sapendone innanzitutto interpretare le
istanze e i bisogni e aprendosi alle emergenze che lo attraversano, in poche parole saper cogliere “i segni dei tempi”.
Oggi la recessione economica ed occupazionale, la crisi della famiglia – prosegue Cavaleri – le nuove dipendenze e
N.1 - GENNAIO 2014
le nuove forme di emarginazione sociale,
“interpellano” i laici da un lato e la Chiesa universale, come quella locale, dall’altro. Quest’ultima, pertanto, non può rigenerarsi se non attraverso il dialogo con
il mondo e con i “nuovi” ultimi. Le madri della città attraverso il progetto affido
per i minori a rischio, la fattiva collaborazione con il coordinamento contro la
violenza sulle donne, lo sportello per le
famiglie dei disabili, tenta nonostante i
propri limiti ad accogliere le sfide del nostro territorio e di porsi in un costruttivo atteggiamento di dialogo con esso».
«Nel nostro prossimo futuro – conclude Pinella Falzone – vi è anche la creazione di un’associazione per la famiglia,
che costituirebbe una sorta di “braccio
operativo” del gruppo e che andrebbe a
coinvolgere soprattutto il mondo dei
giovani, così da riallacciare un legame
che in realtà, alla luce di quanto detto,
non si è mai interrotto, anzi può e deve
essere continuamente rigenerato».
M.G.P.
P
6
E
R
I
O
D
I
C
O
D
E
L
L A
D
I O
C
E S
I
D
I
C
A
L T A
N
I
S S
ISTANTANEE DIOCESANE
Nuova chiesa a Mussomeli
N
E T
T A
l’
Aurora
Dopo cinque anni di lavori,
la Trasfigurazione in S. Teresa
al Castello è stata consacrata
di Giuseppe Di Vita
el 1961 il card. Giovanni Battista
Montini, allora arcivescovo di Milano, inaugura un piano per la costruzione di 22 nuove chiese nell’Arcidiocesi
di Milano, per venire incontro alle incalzanti
necessità dettate dallo sviluppo metropolitano.
L’idea era quella di avere la chiesa vicino alle
case, alle famiglie, alle fabbriche, dentro i condomini, dentro i magazzini, se occorreva. Risultava necessario essere “presenza” accanto alla gente. Montini, diventato arcivescovo, lanciò un appello al mondo dell’industria, a parrocchie, associazioni cattoliche e fedeli spiegando che la costruzione delle nuove chiese era
diventata una questione di “salute pubblica”.
Il Card. Montini, successore del Card. Ildefonso Schuster che aveva iniziato il processo di
nuove edificazioni, pensò di far edificare non
solo le chiese, ma anche le stanze per l’abitazione del sacerdote, i locali per le attività pastorali – le aule e i saloni –, insomma complessi parrocchiali. Monsignor Giuseppe Arosio, oggi ottantenne, fu all’epoca coinvolto nel
“Piano Montini”, diventando poi responsabile del settore “Nuove chiese” dell’arcidiocesi di
Milano tra il 1985 e il 2005, ed è stato anche
parroco di una cappella dentro un condominio in via Guerrazzi a Monza. Ebbe a dire: «Il
sogno di Montini era di costruire una chiesa
per ogni comunità. Per questo motivo tra il
1955 e il 1963, chiese vennero costruite in magazzini, dentro condomini e in prefabbricati».
L’idea di essere “presenza” accanto alla gente fu
confermata nel Concilio Vaticano II (19621965) chiuso proprio da Montini divenuto Papa col nome di Paolo VI. Tale presupposto risulta indispensabile per comprendere la motivazione che ha fatto sì che nella nostra Diocesi dal 2005 al 2013 venissero edificati 5 nuovi complessi parrocchiali in altrettanti quartieri privi della presenza di una chiesa. L’ultimo
complesso terminato è quello di Mussomeli di
contrada Castello, dedicato alla Trasfigurazione e a S. Teresa. Un progetto fortemente voluto dal Vescovo che durante la Visita Pastorale del 2005, recandosi a Mussomeli e par-
lando con l’allora Sindaco, Gero Valenza,
chiese un terreno in contrada Castello dove
potere edificare un nuovo complesso parrocchiale. 2005-2013, sono passati poco più di 8
anni e quella promessa è diventata realtà: la richiesta del Vescovo alla Conferenza Episcopale Italiana, il successivo impegno a portare
a termine l’opera, malgrado il contributo non
coprisse tutti i costi e l’affidamento degli incarichi ai tecnici prima e all’impresa dopo.
Cinque anni di intenso lavoro ma con la soddisfazione di avere portato, con successo, a termine l’opera entro i tempi previsti e con i costi preventivati. Il gruppo dei tecnici incarica-
ti dal Vescovo, coordinati dall’architetto Salvatore Tricoli, nella qualità di progettista capogruppo, sotto la guida di Mons. Giovanni
Speciale prima, e di Don Vincenzo Giovino e
dal sottoscritto dopo sono riusciti a soddisfare tutte indicazioni del Vescovo e del Parroco,
Sac. Calogero Mantione, rimanendo sempre
fedeli ai documenti ufficiali della Chiesa Cattolica. Grazie all’impresa edile Eredi Geraci di
Mussomeli, che ha eseguito tutte le lavorazioni, è stato possibile portare a compimento
l’opera. La chiesa del nuovo complesso parrocchiale, dalle forme semplici ma armoniose, è stata aperta al culto e dedicata il 22 di-
cembre scorso alla presenza delle autorità civili e militari, con una solenne cerimonia presieduta da Sua Eccellenza il Vescovo Mons.
Mario Russotto. Tutta la comunità di Mussomeli ha preso parte alla consacrazione dell’altare, opera dell’artista tedesco Martin Emscherman.
«Ora a voi tutti, artisti che siete innamorati della bellezza e che per essa lavorate: poeti e uomini di lettere, pittori, scultori, architetti, musicisti, gente di teatro e cineasti... A
voi tutti la Chiesa del Concilio dice con la
nostra voce: se voi siete gli amici della vera
arte, voi siete nostri amici!»
Wojtyla negli acquerelli di Guadagnuolo
no all’onorabilità di ciascuno. Come si può
vedere dai miei quadri, non si tratta solo di
dare una rappresentazione della sofferenza,
ma si tratta di vedere la sofferenza appartenente al mistero dell’uomo, in esso l’uomo
rintraccia il senso della vita, il proprio apostolato. Se pensiamo un attimo a Gesù e lo
vediamo nella Croce riceviamo il coraggio di
accettare e sopportare questo mistero soprannaturale. Papa Wojtyla ha composto per
noi la più bella ‘sinfonia dell’amore’ facendo
della Sua sofferenza la via privilegiata per incontrare Dio. «La morte del Santo Padre
Giovanni Paolo II – ha detto Papa Benedetto XVI – e i giorni che sono seguiti, sono stati per la Chiesa e per il mondo intero un tempo straordinario di grazia». Giovanni Paolo
II passò “alla Grande Vita” nel giorno dedicato a Maria – il primo sabato del mese – e
nella festa liturgica della Divina Misericordia. È così che ho voluto rappresentarlo nell’ultimo dipinto.
I
Organizzata nel Museo Diocesano del Seminario una mostra sul beato pontefice
n occasione della canonizzazione del
Beato Giovanni Paolo II, giorno 19
gennaio il Museo Diocesano “G. Speciale” ha presentato “Le opere d’arte di Francesco Guadagnuolo sull’apostolato di Giovanni Paolo II”.
Francesco Guadagnuolo ripercorre con la
sua arte il Pontificato di Giovanni Paolo II,
dal quale aveva meritato particolare stima
personale e del quale si è fatto “cantore” sia
delle opere letterarie sia del drammatico percorso di sofferenza e di universale esemplarità. È l’artista stesso che illustra i motivi della sua ispirazione e le tecniche pittoriche
adottate nelle sue opere sull’apostolato del
Beato Pontefice. Ho cercato di guardare il
Beato Papa Giovanni Paolo II dall’interno,
per giungere al volto, cercando di trasmettere attraverso lo sguardo le sue sofferenze;
interpretandolo con un linguaggio semplice, accessibile, diretto, trasfondendo la figura di un Papa mistico e nello stesso tempo
intensamente umano. Direi un Papa sospeso tra trascendenza e umanità.
Egli in vita è stato un mistico ed io ho
cercato di cogliere quest’aspetto. Le immagini, infatti, hanno in sé una particolare aspirazione di ricerca dell’Assoluto, che portano
a vedere il Pontefice in una dimensione del
tutto spirituale.
Durante il Pontificato di Giovanni Paolo
II mi sono state organizzate molte mostre in
alcune delle quali ebbi la fortuna di incontrarmi con il Papa e di fissare bene nella men-
te i singolari tratti caratteristici, da tali incontri nacquero i ritratti; quello che mi colpiva del Santo Padre era il suo sguardo, che
subito ti coglieva nel segno e nella mente.
Le tribolazioni delle pose vacillanti, la sofferenza del suo volto contratto, il corpo incurvato e le mani in preghiera che il Papa ha
mostrato a tutti gli uomini del mondo, sono il tema del sacrificio, del dolore che fanno parte di questa mostra. Specie nelle ultime drammatiche apparizioni pubbliche Giovanni Paolo II, non ha nascosto i suoi seri
problemi di sofferenza, consegnandosi ancor
di più alla fede in Dio, per condividerla con
tutta l’umanità. Egli ci ha indicato che la debolezza è un lato creativo della vita e che la
sofferenza deve essere sopportata senza dan-
N.1 - GENNAIO 2014
S.T.
l’
Aurora
P
E
R
I
O D
lo scorso dicembre. Il nuovo
complesso parrocchiale sarà
un punto di riferimento
I C
O
D
E
L
L A
D
I O C
E S
I
D I
C
A
L T A
N
I
S S E
T
ISTANTANEE DIOCESANE
T A
7
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
D
Anche la nostra Chiesa locale impegnata nell’ecumenismo
di Calogero Milazzo
al 18 al 25 gennaio di ogni anno
in tutta la Chiesa sparsa per le varie parti del mondo si celebra la
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Quest’anno l’espressione tematica per guidare la preghiera e la riflessione delle Chiese è
tratta dalla 1 Lettera ai Corinzi dell’Apostolo
Paolo. Essa afferma: «Cristo non può essere
diviso!». Nella nostra Chiesa particolare da diverso tempo sono maturati i rapporti con gli
Evangelici con Mons. A. M. Garsia e con gli
ortodossi con Mons. Mario Russotto, quest’anno ci si è riuniti cattolici, ortodossi ed
evangelici sia nella parrocchia cattolica di S.
Luca che nella parrocchia ortodossa San Calogero ed Elia il Nuovo. Il tema di quest’anno è un invito alla lettura della rivelazione di
Dio in Cristo nel Nuovo Testamento. I Vangeli infatti presentano questa rivelazione attraverso la narrazione di quanto Gesù ha fatto e detto nella sua vita terrena dalla discesa
nelle acque del fiume Giordano sino alla sua
morte-risurrezione. Essi richiamano quanto
lo Spirito del Signore Gesù ha concretizzato
all’interno della umanità dispiegando lungo i
secoli il Corpo Mistico di Cristo. L’Apostolo
Paolo invece in forza della sua esperienza personale ha concentrato la rivelazione del Figlio
di Dio (At 9, 1-19; Gal 1, 16; 2,2; 2 Cor 12,
2) sul Cristo Crocifisso (1 Cor 1, 2.22s).
I due aspetti diversi della presentazione della rivelazione di Dio ci aiutano a comprendere sia il senso della nostra preghiera in questa
settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sia la conseguente azione pratica da compiere per cogliere l’unità della Chiesa di Cristo. Lo Spirito infatti attualizzando nella storia l’unico Corpo del Signore, che è la Chiesa, ha donato una molteplicità di doni che solo per il nostro occhio poco pulito e per il nostro atteggiamento poco evangelico appaiono
in contrapposizione l’uno con l’altro mentre
invece nella luce dello Spirito che li ha donati essi costituiscono l’unico Corpo del Signore Gesù. L’Apostolo Paolo che ha visto il Cristo, cioè il Corpo Mistico del Signore, invita
i Corinzi e quindi anche noi a non vedere il
Cristo diviso perché in realtà non lo è. Occorre purificare il nostro occhio e agire quindi di conseguenza. L’occhio dell’Apostolo vede il tutto come Carità organizzata (1 Cor 1214). Anche il nostro Vescovo nell’incontro fra
il clero cattolico di Caltanissetta e il clero ortodosso d’Italia del 30 maggio 2013 presenta
il dialogo della Chiesa Cattolica e della Chiesa Ortodossa alla luce della Carità epifania della Trinità. L’Apostolo può vedere il Corpo Mistico come Carità organizzata perché nel Cristo Crocifisso vede il Tutto-Nulla dell’Amore. I vari doni dello Spirito perché possano essere colti come uno e nello stesso tempo molteplici necessitano che anche coloro che li
guardano siano anzitutto nel Signore Gesù e
che con il suo sguardo trinitario possano accogliere nel proprio nulla d’amore il tutto dell’amore dell’altro.
Ogni Chiesa è chiamata a divenire nel suo
interno questo Nulla-Tutto dell’Amore di Dio
per essere Comunione che travalica nel Nulla-Tutto dell’Amore dell’altra Chiesa. Papa
Francesco che il prossimo 24-26 maggio va in
Terra Santa è una testimonianza evangelica di
tutto questo. Sarebbe bene seguirlo nel suo
pellegrinare.
Giunte a Caltanissetta le reliquie di Santa Bernadette
«A
Per tre giorni sono rimaste nella parrocchia S. Croce esposte alla venerazione dei fedeli
lzai la testa guardando
in direzione della grotta. Vidi una Signora vestita di bianco: aveva un vestito bianco
e una cintura blu e una rosa gialla in
ogni piede, dello stesso colore del suo
rosario. Quando la vidi, mi stropicciai
gli occhi; credevo di sbagliarmi. Misi la
mano in tasca; trovai il rosario. Volevo
farmi il segno della croce; non riuscii a
portare la mano alla fronte: mi cadeva.
La Visione si fece il segno della croce.
La mia mano tremava, cercai di farlo e
ci riuscii. Ho iniziato a recitare il rosario; la Visione percorreva i grani del suo,
ma non muoveva le labbra. Quando ebbi finito il mio rosario, la Visione scomparve all’improvviso. Ho chiesto alle altre due bambine se avessero visto qualcosa ma mi dissero di no». Così Bernadette descrive la prima apparizione avvenuta nel Febbraio del 1858 in una
grotta a Lourdes: un luogo sporco, oscuro, umido e freddo.
È in questo luogo che Maria, tutto
biancore, tutta purezza, segno dell’amore di Dio, cioè segno di ciò che
Dio vuole fare in ciascuno di noi, è voluta apparire.
Chi era Bernadette? Bernadette era
figlia di un mugnaio ridotto alla miseria; viveva in una casa fredda e umida,
in un luogo di estrema povertà e fin da
bambina conobbe la fame e la malattia.
Era, infatti, cagionevole di salute e soffriva di asma.
All’epoca delle apparizioni Berna-
Bernadette ha trascorso la sua breve
esistenza (morì a soli trentacinque anni) nell’umile accettazione della sofferenza fisica, come generosa risposta all’invito dell’Immacolata di sacrificarsi
per il riscatto di tante anime che vivono nel peccato.
dette aveva quattordici anni ed era praticamente analfabeta.
È stata la prima pellegrina di Lourdes. La “Signora”, che le è apparsa nella grotta di Massabielle rivelandosi come l’Immacolata Concezione, le ha mostrato come muoversi nella grotta, le ha
insegnato a pregare, l’ha introdotta nel
rapporto personale con Lei.
Ha vissuto la carità come servizio
gratuito, così anche noi unitalsiani, seguendo il suo esempio, ci impegniamo
nel servire i sofferenti.
Oggi dopo 156 anni dall’apparizione, la Diocesi di Caltanissetta, per la
prima volta ha accolto le reliquie di Santa Bernadette, in pellegrinaggio per tutta l’Italia per iniziativa dell’UNITALSI.
N.1 - GENNAIO 2014
L’accoglienza dell’Ostensorio è avvenuta giorno 29 Gennaio in Piazza Garibaldi con S. E. Mons. Mario Russotto.
Insieme, ci si è recati in processione verso la parrocchia Santa Croce (Badia),
dove il Vescovo ha presieduto la solenne Celebrazione Eucaristica. La teca è
rimasta in chiesa fino al 31 Gennaio.
L’UNITALSI è sicuramente conosciuta per i continui pellegrinaggi Mariani soprattutto a Lourdes, meta privilegiata; ma è importante sapere che le
attività unitalsiane continuano a livello
sezionale e sottosezionale, attraverso
momenti forti di preghiera e di condivisione. La sottosezione di Caltanissetta, costituita nel 1965 con il suo servizio grazie all’impegno di numerosi volontari tra barellieri e dame, è diventata un’espressione di carità per la nostra
diocesi e soprattutto per i nostri fratelli malati.
La presenza di Bernadette, oggi, diventa per tutti una preziosa occasione
per interrogarsi sul senso della vita, come dono d’amore da parte di Dio e come risposta di generosità da parte di
ognuno di noi.
F abio Amico
P
8
E
R
I
O
D
I
C
O
D
E
L
L A
D
I O
C
E S
I
D
I
C
A
L T A
N
I
S S
A PROPOSITO DI...
E T
T A
l’
Aurora
Museo diocesano: nuovo catalogo delle opere esposte
A
di Nadia Rizzo
distanza di 13 anni proporre un
nuovo catalogo significa voler
esprimere una rinnovata e rafforzata idea di museo diocesano che nella sua peculiarità sta cercando di diventare sempre più punto di riferimento per la
chiesa nissena, diocesana «attorno a cui si
animi il progetto di rivisitazione del passato e di scoperta del presente negli aspetti migliori e talvolta sconosciuti».
Dal 1987, quando fu inaugurata la prima sala, ad oggi il nostro museo diocesano ha operato scelte significative per concretizzare la sua funzione di collegamento fra il visitatore ed il territorio, proponendosi quale centro di servizi pastorali e
culturali, andando ben oltre l’idea di semplice contenitore espositivo e di conservazione dei beni culturali.
La volontà di prendersi cura, di non disperdere, di fare memoria ha animato la
raccolta e la conservazione di oltre 500
opere che offrono un percorso per conoscere la vita, la storia della diocesi.
Il percorso espositivo propone le varie
opere secondo un ordine cronologico e il
nuovo catalogo presenta in modo detta-
Un intreccio con la città
gliato tutte le opere che si trovano nelle
dieci sale e nelle due gallerie. In ognuna
di esse sono presenti dipinti, sculture, paramenti e oggetti sacri in oro, argento o
legno che nella loro peculiarità permettono di avere una visione variegata dell’arte
sacra e di cogliere la ricchezza creativa degli artisti, la sapiente lavorazione degli ar-
Le sale dedicate al ’900
I
di Aurelia Speziale
L
di Daniela Vullo
a prima è una porzione d’affresco
raffigurante il ritratto del sacerdote
Raffaele Riccobene, il quale, grazie
ad un lascito testamentario di 1000 onze,
nel 1720 commissionò al pittore fiammingo Guglielmo Borremans gli affreschi della volta della Cattedrale.
Il ritratto fu dipinto sulla parete di fondo della chiesa, lateralmente l’altare maggiore, alla destra del quadro dell’Immacolata di Borremans che si trovava all’interno
di una ricca prospettiva architettonica affrescata. Nel dopoguerra, a seguito dei gravi danni bellici che colpirono la Cattedrale, si decise di restaurala e completarla realizzando il transetto, il coro e la cupola per
cui la parete di fondo fu demolita ed il ritratto di Riccobene andò perduto. Ritrovato in tempi recenti fu, generosamente, consegnato a Padre Speciale perchè potesse collocarlo vicino alle altre opere del grande pittore fiammingo.
La seconda opera è un calice in argento
sbalzato e cesellato, recante il punzone della zecca di Palermo del 1799, costituito da
una base riccamente lavorata che sostiene
un fusto a torchon sul quale poggia la coppa che reca un’iscrizione: per la guarigione
di Giuseppe Mazzone. Ingegner Sebastiano Mottura.
Mottura e Mazzone, ambedue piemontesi, giunsero a Caltanissetta per motivi di
lavoro; il primo, geologo, per dirigere la
“Regia Scuola Mineraria”, il secondo, stabilitosi a Caltanissetta per gestire i servizi di
ristorazione e alloggio dei tecnici impegnati nella costruzione della galleria ferroviaria,
divenne imprenditore nel campo della gestione del servizio elettrico e nel settore alberghiero. Fu proprio Mottura che progettò la grandiosa villa per la famiglia Mazzone, divenuta successivamente il Grand Hotel Concordia.
In conclusione un ricordo personale legato all’acquasantiera in marmo alabastrino custodita nella terza sala, un’opera molto raffinata, di scuola gaginiana, raffigurante il culto della Vergine Annunziata, proveniente dalla chiesa di San Francesco di
Paola, nella quale fu portata a seguito della demolizione della vicina chiesa del Carmine.
La relatrice racconta che nel 2005, durante i lavori di restauro della chiesa di San
Calogero, da lei diretti, ricevette la visita in
cantiere di Padre Speciale, allora responsabile dell’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali, il quale mostrò immediatamente un
notevole interesse per l’acquasantiera tanto da richiederla per custodirla al Museo
nel quale oggi si trova ed è possibile ammirarla.
gentieri e l’abilità manuale delle monache
capaci di trasformare tessuti di abiti dismessi dall’aristocrazia o di arredo in paramenti sacri di pregevole fattura. L’insieme di queste opere, in ogni sala (dalla prima all’ottava), evoca costantemente il legame che esiste tra esse e il luogo sacro
per il quale sono state create e in cui si celebrano le liturgie. Il nuovo catalogo concepito per guidare, per accompagnare nella visita, è impostato per presentare le opere seguendo il percorso espositivo e si
completa con il catalogo pubblicato nel
2001 che comprende una serie di interventi scientifici che presentano le opere
per tipologia, senza tener conto della loro collocazione all’interno del museo.
Questo Museo vuole continuare a raccogliere per non disperdere; a custodire
per conservare; a ordinare, per illustrare;
a significare per educare.
l nuovo catalogo del Museo costituisce un’occasione unica per riflettere su
due sale, la IX e la X, che non erano
state ancora studiate e nelle quali è conservato il frutto della ricerca attenta di mons. Giovanni Speciale di opere della contemporaneità che raccontassero Dio. Quanto raccolto in questi spazi è il frutto dei suoi viaggi e
delle sue conoscenze e, in piccolo, riproduce
due fondamentali esperienze dell’arte religiosa contemporanea, entrambe fortemente segnate dall’impronta di Paolo VI: il museo di
Villa Clerici a Milano e la Collezione di Arte Moderna Religiosa nei Musei Vaticani.
Ma facciamo un passo a ritroso: nel 1926,
in una dimora settecentesca a Milano nacque
la Casa di Redenzione Sociale che doveva raccogliere ex carcerati e orfani per sostenerli e
immetterli nel tessuto sociale. Nel 1955 il
direttore della casa, Dandolo Bellini, appassionato collezionista d’arte, ritenendo
opportuno coltivare anche (o forse soprattutto) in chi vive nel disagio l’amore per il
bello, pensò di aprire la Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei, uno spazio che contenesse opere d’arte a forte connotazione religiosa. Bellini chiamò come consulenti
Francesco Messina e Aldo Carpi, maestri indiscussi dell’Accademia di Brera, nonché
credenti sensibili e appassionati. Al progetto non mancò la collaborazione dell’Arcivescovo di Milano Giovan Battista Montini,
il quale sentiva l’arte contemporanea distante ma aveva una grande voglia di riconciliarsi con il nuovo linguaggio.
Il futuro Paolo VI amava l’arte: durante
il II conflitto mondiale, operando presso la
Segreteria di Stato Vaticana, aveva favorito
il ricovero di moltissime opere dei musei italiani dentro lo Stato Pontificio per evitare
che i Tedeschi le trafugassero.
Divenuto Papa, memore della sua esperienza a Villa Clerici, volle fortemente la na-
N.1 - GENNAIO 2014
scita della nuova collezione dei Musei Vaticani nel 1973. Orbene, come un piccolo
museo come il nostro è stato influenzato da
tutto ciò? Attraverso il nostro instancabile
monsignore che ha acquistato opere di artisti che Paolo VI amava e che hanno lavorato per lui: Carpi, Ciminaghi, Calvelli,
Consadori, Filocamo, Longaretti, Pellini,
Manfrini. Quest’ultimo, in particolare, è
stato di recente ricordato per aver realizzato
il calco di un anello che doveva essere dono
per Paolo VI, che fu realizzato in argento
dopo la morte del Papa, ed è stato scelto da
Papa Francesco come anello piscatorio. Si
può consultare il catalogo delle opere della
casa milanese e notare come le nostre sale
siano speculari rispetto a quell’esperienza
(http://www.museovillaclerici.it/modules/c
atalogo/embed/?id=0).
È arte sacra o religiosa, secondo la distinzione che tanto piaceva a Paolo VI? Il visitatore potrà interrogarsi osservandola. È
segno di una riconciliazione certamente, foriera di un messaggio attualissimo che il Papa nel ’64 ha rivolto agli artisti: «Vi abbiamo peggio trattati, siamo ricorsi ai surrogati, all’“oleografia”, all’opera d’arte di pochi
pregi e di poca spesa; e siamo andati anche
noi per vicoli traversi, dove l’arte e la bellezza e – ciò che è peggio per noi – il culto
di Dio sono stati male serviti. Rifacciamo la
pace? Quest’oggi? Qui? Vogliamo ritornare
amici?».
l’
Aurora
P
E
R
I
O D
I C
O
D
E
L
L A
D
I O C
E S
I
D I
C
A
L T A
N
I
S S E
DA 170 ANNI DIOCESI
T
T A
9
La Santità dei preti e il cattolicesimo sociale
I
La Chiesa nissena tra consolidamento interno e confronto con la società locale
di Francesco Lomanto
n seguito all’unificazione nazionale il vescovo Giovanni Guttadauro
(1859-1896) percepì subito i mutamenti in atto e spinto da forti convinzioni agì con prudente realismo per salvaguardare la diocesi dalla rivoluzione
unitaria e per orientarla al vasto movimento di idee della Chiesa universale.
Curò innanzitutto la formazione di un
esemplare clero diocesano insistendo in
special modo sull’esigenza della santità
personale e proponendo l’ideale di un
forte impegno morale e spirituale. Fondò il seminario per la formazione dei candidati al presbiterato e istituì l’accademia
di S. Tommaso d’Aquino per incentivare nei seminaristi e nel clero lo studio della teologia tomistica. Riuscì così a preparare una generazione di sacerdoti zelanti e aperti alle innovazioni pastorali.
Guttadauro prese parte al Concilio
Vaticano I, schierandosi dapprima tra gli
infallibilisti e alla fine per «un caso di coscienza» tra gli antinfallibilisti: fu così
uno dei 5 vescovi antinfallibilisti italiani
e l’unico siciliano; ma successivamente si
sottometteva e aderiva alle decisioni del
concilio in una lettera inviata a Pio IX.
Inoltre egli lottò contro la diffusione della stampa irreligiosa, l’insegnamento ateo
nelle scuole di Stato, il permissivismo
morale, l’associazionismo anticlericale,
nonché contro la deficienza della pietà
popolare. Per alimentare una fede più
personale e coltivare una devozione più
interiore, introdusse nuove forme di devozione militante. Iniziarono allora le pie
tradizioni del mese di maggio e del mese di ottobre, dedicati al culto della Madonna e solennizzati con la predica, il
canto di inni e la recita del rosario. Un
forte incremento ebbe anche la pietà eucaristica e la devozione al papa.
All’indomani della crisi dei Fasci dei lavoratori, consigliato dal suo vicario generale Nicolantonio Diliberto, Guttadauro
intraprese la via del cattolicesimo sociale
e stimolò il clero giovane a farsi portatore
di istanze sociali secondo le indicazioni
dell’enciclica Rerum Novarum. Sorse per
opera sua la scuola di studi sociali, che servì a preparare i cattolici ai tempi nuovi e
ad indirizzarli nelle iniziative sociali del
movimento cattolico. I preti giovani presero parte all’iniziativa del movimento cattolico, non trovando spazio per la loro attività apostolica nella vecchia struttura
parrocchiale, poiché alla fine dell’Ottocento il numero delle parrocchie era rimasto lo stesso per una popolazione che
dai 90.135 del 1860 era salita a quasi
150.000 abitanti. Il 12 ottobre 1893 Guttadauro inviò una lettera circolare ai parroci, per invitarli a farsi mediatori nelle
controversie tra proprietari e contadini
esortandoli a conoscere le regole della giustizia e ad osservarle secondo lo spirito del-
la carità cristiana. Con la loro azione i parroci procurarono di persuadere i proprietari a sostituire, per quanto fosse possibi-
C
le, la mezzadria al contratto di gabella.
Ignazio Zuccaro (1896-1905), vescovo
sensibile alle nuove forme di rinnova-
mento destatesi nella Chiesa siciliana con
il primo congresso cattolico regionale del
1895 e in continuità con l’indirizzo pastorale di Guttadauro, incoraggiò e sostenne il movimento cattolico nisseno, che
ebbe uno sviluppo piuttosto parallelo alla
vita della parrocchia. Il suo segretario don
Angelo Gurrera diresse il periodico diocesano «L’Aurora» e diede grande incremento alle iniziative sociali che ben presto si diffusero in tutta la diocesi.
Sul vescovo però si riversò il risentimento di quanti erano in contrasto con
il gruppo capeggiato dal Gurrera, nonché l’odio dei detentori tradizionali del
potere locale, che inviarono esposti e denunzie alla S. Sede. Dopo la visita apostolica di p. Ernesto Bresciani, Zuccaro
dovette dimettersi dal suo ufficio episcopale, ma il successore, Antonio Augusto
Intreccialagli (1907-1921), in una relazione alla S. Sede, dimostrò la falsità delle accuse e la superficialità di giudizio del
visitatore apostolico. Negli anni dell’episcopato di mons. Zuccaro il movimento
cattolico «divenne sinonimo di azione
pastorale d’avanguardia destinata ad inglobare tutte le dimensioni operative della Chiesa locale» e «struttura portante
della pastorale diocesana».
Il movimento cattolico nisseno
on l’avanzata del
socialismo i cattolici nisseni si volsero agli artigiani urbani o paesani con l’intento di costituire, in contrapposizione ai
primi circoli operai socialisti,
società operaie di mutuo soccorso di sicura fedeltà alla
Chiesa. Questo primo movimento cattolico di carattere
mutualistico non riuscì a
consolidarsi bene in quanto
si orientò verso una posizione puramente difensiva e
non si interessò di costituire
sodalizi che raccogliessero
operai e artigiani per migliorare le loro condizioni economiche e sociali. Non poté,
infatti, frenare la disgregazione del ceto artigiano e la
dispersione degli zolfatai,
che cominciavano a orientarsi verso organizzazioni
non promosse e non guidate
dal clero.
In una seconda fase il movimento cattolico si volse alle campagne, dove i Fasci dei
lavoratori avevano raccolto
moltissime adesioni minacciando il distacco dalla Chie-
sa delle popolazioni contadine tradizionalmente molto
legate alla pratica religiosa.
In seguito alla repressione dei
Fasci il clero rispose prontamente alle indicazioni di
Leone XIII e si impegnò per
l’introduzione di moderne
società economico-sociali già
Tra il 1895 e il 1907, e più
lentamente fino al primo dopoguerra, il movimento cattolico penetrò in tutti i comuni della diocesi con le sue
casse rurali, le cooperative di
lavoro e di consumo, le affittanze collettive, i monti frumentari, i comitati parroc-
sperimentate dal movimento
cattolico del Nord Italia con
il quale cominciò adesso un
collegamento più intenso e
continuo mediato da personalità di spicco come don
Luigi Cerutti (1865-1932),
che fu presente al primo congresso cattolico della Sicilia.
chiali, i circoli democraticocristiani, le società operaie e
le associazioni varie, che risposero ai problemi del ceto
medio contadino ed anche
agli interessi dei piccoli proprietari terrieri, dei professionisti (avvocati e agronomi) e artigiani di paese. Il
N.1 - GENNAIO 2014
mondo contadino costruì le
sue edicole devozionali e le
sue chiesette rurali nell’intento di cristianizzare lo spazio e di umanizzare le campagne sconfiggendovi l’usura e promuovendo una pietà
popolare radicata nella devozione tradizionale.
Nel periodo prebellico il
movimento cattolico rimase
ancorato alla concezione della lotta politica sulla base delle clientele dei notabili liberali, ma fu dotato di una certa autonomia e capacità di
condizionare e perfino di determinare le loro scelte e i loro orientamenti. Soltanto
con la nascita del partito popolare il movimento cattolico si liberò da questa subalternità e si presentò come
forza politica di centro cercando di aggregare contadini di ceto medio, piccola e
media borghesia (proprietari
e professionisti). L’impegno
politico e sociale non trasformò l’antica funzione del
sacerdote, ma si aggiungeva
ai compiti ministeriali.
F.L.
P
E
10
R
I
O
D
I
C
O
D
E
L
L A
D
I O
C
E S
I
D
I
C
A
L T A
N
I
S S
L’IMPEGNO
E T
T A
l’
Aurora
Cooperativa Unakor 13 per “essere” e “stare”
Attenzione all’altro, capacità di ascolto, accoglienza e salvaguardia del creato i suoi fini
«T
di Donatella D’Anna
utti noi abbiamo dei sogni.
Qualcuno li vuole realizzare e lotta affinchè ciò accada, rischiando qualunque cosa. Molti altri
si accontentano, ma così non conosceranno
mai qual è lo scopo e il senso della loro vita» (G. Paruzzo). Nasce così a gennaio 2012
la “Cooperativa Unakor 13”, con la condivisione di un sogno. Il nostro sogno di colleghe ed amiche che partecipando fianco a
fianco al servizio reso ai “poveri” in seno alla Caritas Diocesana di Caltanissetta, decidiamo un giorno di concepire e generare un
progetto che fosse la realizzazione concreta
di un modo di vivere il lavoro e l’impegno
cristiano nel sociale.
La filosofia della cooperativa è tutta racchiusa nel suo nome “Unakor 13”, che sta
per Prima lettera ai Corinzi, capitolo 13: «Se
anche parlassi le lingue degli uomini e degli
angeli, ma non avessi la carità, sono come
un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e
possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla... La carità è paziente, è
benigna la carità; non è invidiosa la carità,
non si vanta, non si gonfia, non manca di
rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non
gode dell’ingiustizia, ma si compiace della
verità. … Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma
di tutte più grande è la carità!» Per me e Va-
lentina Riso, presidente della “Unakor 13”,
infatti, in qualsiasi tipo di attività si cimenti
la cooperativa è fondamentale non tanto il
“fare” o il “dare”, ma l’“essere”, lo “stare” in
ciascuna relazione nata a ridosso di ogni intervento attuato in favore dei fratelli o delle
sorelle più bisognose. L’attenzione all’altro,
la capacità di ascolto, di accoglienza e di accettazione sono imprescindibili ai fini dell’erogazione di qualsivoglia servizio.
Dal 2012 ad oggi la Cooperativa ha accolto altre due socie al suo interno, Viviana
Ippolito e Tatiana Speziale; una compagine
tutta al femminile ove ognuna ha trovato il
proprio spazio di espressione, nel rispetto
delle inclinazioni personali, per la gestione
di progetti soprattutto dedicati alle donne,
ai giovani e alla sostenibilità ambientale. La
salvaguardia del creato rappresenta un impegno importante per la “Unakor 13” che
ha avviato il progetto “I care”, programma
educativo sulla sostenibilità ambientale e la
cittadinanza attiva, dedicato agli studenti
degli istituti superiori per sensibilizzarli all’acquisizione di uno stile di vita sobrio ed
eticamente corretto.
La Cooperativa ha gestito diversi progetti in collaborazione con la Caritas Diocesana, innanzi tutto la meravigliosa esperienza
di “Città dei Ragazzi”, un centro diurno per
minori con un metodo pedagogico ed educativo innovativo di cui tanti minori dal
2005 al 2013 hanno potuto usufruire. Un
progetto di formazione che, puntando alla
riscoperta dei talenti inespressi e al bilancio
di competenze, dedicato ai giovani e alle
donne immigrate, ha permesso a tanti ragazzi di essere formati al mondo cooperativistico e d’impresa e ad un gruppo di donne analfabete e con bassa scolarizzazione di
ricevere i rudimenti necessari per migliorare nella comunicazione in lingua italiana,
ma anche e soprattutto ha permesso loro di
avere uno spazio di incontro e di confron-
«V
to tutto al femminile. “La vita non è un gioco” un’iniziativa progettuale pensata per arginare la piaga sempre più grave del gioco
d’azzardo che prevede una formazione specifica rivolta agli operatori parrocchiali,
chiamati ad individuare i casi che necessitano di un percorso di “liberazione” dalla dipendenza. Ancora una iniziativa originale,
la prima in Sicilia e in Italia, il“Temporary
Social Shop”, nato con lo scopo di coniugare sviluppo locale e promozione sociale.
I progetti futuri prevedono l’attivazione
di un programma di Sviluppo locale e sociale, promosso ancora dalla Caritas Diocesana, che mediante la raccolta, selezione e
riuso degli abiti usati permetteranno di offrire formazione ed occupazione a uomini e
donne in stato di bisogno. Il progetto prevede tra l’altro l’impiego di persone in laboratori di sartoria e presso una lavanderia
così detta “sociale”, ove verranno sterilizzati gli abiti destinati al riuso e ai mercatini di
solidarietà.
La cooperativa si sta preparando, tra l’altro, all’apertura di un proprio punto destinato all’esposizione e la vendita dei prodotti realizzati con materiali di riuso e alla realizzazione di bomboniere solidali in collaborazione con il laboratorio di ceramica e
tessitura della Missione Cattolica di Blinisht- Albania. La Unakor 13, infatti, aderisce anche al Coordinamento Missionario
Diocesano, istituito dal nostro Vescovo
Mons. Mario Russotto, in seno al quale si
occupa di attività dedicate alla cooperazione, al dialogo culturale e religioso e al turismo responsabile.
Temporary social shop: modello di economia di solidarietà
iviamo in un tempo in cui
il denaro è diventato tanto importante, ma la sua
importanza dipende dall’uso che se ne fa.
Il “bisogno” irrefrenabile di acquistare innesca un meccanismo a catena: denaromerce-denaro, che provoca in una moltitudine di persone la perdita di qualsiasi valore. Dovremmo, invece, ripensare l’economia in modo nuovo, un’economia che ci
permetta di ricalibrare il valore che diamo
alle cose, al denaro e alle persone. Siamo
convinti ormai che tutto ciò che possediamo, tutta la “merce”, tutti i servizi non solo sono utili, ma addirittura necessari. Allora perché sentiamo il bisogno di case grandi, se abbiamo un solo figlio, possedere tre
telefoni se abbiamo una sola bocca, possedere due macchine se possiamo guidarne
una sola? Dovremmo pensare piuttosto in
modo più sobrio, dando vita ad una “Economia di solidarietà”, educando al risparmio, al rispetto ed all’acquisto consapevole,
creando luoghi di scambio (di beni, di idee,
di servizi), facendo crescere la voglia di poter fare insieme (cooperative, consorzi..) e
sviluppando l’interesse in tutti per la cosa
pubblica. Non è impossibile, gli uomini so-
no capaci di grandi cambiamenti, bisogna
solo iniziare dal piccolo per poter successivamente pensare che un mondo diverso è
possibile!».
Nasce da questa riflessione del co-Direttore della Caritas Diocesana Giuseppe
Paruzzo, l’idea del primo “Temporary Social Shop” una iniziativa di solidarietà unica nel suo genere realizzata dalla Cooperativa “Unakor 13” in occasione delle festività natalizie. Un “modello economico” nato con lo scopo di coniugare sviluppo locale e promozione sociale, pensato tutto su
dimensione “locale”. Nello specifico è stato allestito, un “negozio di vicinato” in cui
hanno trovato spazio i prodotti delle nu-
merose e piccole realtà imprenditoriali del
nostro territorio, nonché i manufatti realizzati con materiali di riuso da soggetti in
situazioni di marginalità sociale ed economica coinvolti dalla Cooperativa in laboratori artigianali. Ciascun produttore “locale”, nell’aderire all’iniziativa, si è impegnato a devolvere alla Caritas parte del suo
guadagno (minimo 25%) per il sostegno
dei progetti di promozione sociale della
stessa. In tal modo si è favorita anche la cultura di un’economia locale-solidale. Inoltre, con l’apertura del Temporary Social
Shop si è voluto così anche sensibilizzare la
collettività verso scelte di consumo critico
e di filiera corta. Il punto vendita, in quan-
N.1 - GENNAIO 2014
to temporaneo, è rimasto aperto per un periodo limitato ai giorni a ridosso delle festività natalizie. Nel Temporary Social Shop
si sono confezionate scatole/ceste natalizie
con prodotti locali e biologici.
La cittadinanza ha risposto bene, soprattutto ha gradito la doppia finalità dell’iniziativa economico-sociale e condividendone gli scopi e le obiettivi in molti hanno fatto la scelta di un regalo solidale, un gesto originale e al tempo stesso di valore e
dal significato forte e duraturo nel tempo.
Quando si parla di acquisti solidali, spesso le persone manifestano una certa diffidenza, non avendo un riscontro immediato, sia sulla provenienza dei prodotti, ma
anche sulla destinazione del denaro derivante dalla loro commercializzazione. In
questo caso, invece, trattandosi di vendita
di prodotti provenienti dalle aziende locali, conosciute o comodamente accessibili si
poteva facilmente risalire al percorso di produzione di ogni singolo prodotto. E per
quanto riguarda le finalità sociali, le persone sono state ben liete di sostenere progetti che potranno essi stessi visionare ad accertarne l’effettiva realizzazione.
Valentina Riso
l’
Aurora
P
E
R
I
O D
I C
O
D
E
L
L A
D
I O C
E S
I
D I
C
LO SPIGOLO
A
L T A
N
I
S S E
T
T A
11
La sanità nissena specchio di una politica miope e assente
L
Mobilitazione generale contro la chiusura dell’Ospedale “M. I. Longo” di Mussomeli
di Roberto Mistretta
”
a sanità è malata a Caltanissetta e
nella sua provincia, e le varie proteste in atto a Niscemi e Mazzarino a cui si sommano quelle eclatanti organizzate a Mussomeli (nel momento in cui scriviamo la Sala consiliare è ancora occupata),
sono la cartina tornasole di una politica sempre più ripiegata su se stessa e lontana anni luce dai veri bisogni della gente.
Non uno solo dei cosiddetti politici che
contano nella nostra provincia infatti, s’è mai
fatto ricoverare, fosse solo per protesta e per
un solo giorno, in uno dei nostri ospedali, così da toccare con mano le spasmodiche attese
di ore e ore al Pronto soccorso dell’ospedale
Sant’Elia, il diniego a partorire a Niscemi e
Mazzarino, il cibo che sa di plastica visto che
viene preparato altrove e portato negli ospedali in contenitori sigillati, i letti e gli armadi
talmente vetusti da essere buoni per i ferrivecchi, medici ed infermieri in perenne affanno, reparti ancora lavati con acqua e liscivia e olio di gomito per fare andare gli stracci. E siamo nel 2014!
È la spietata politica dei tagli ci viene detto da chi quella stessa politica la rappresenta.
E se alla gente comune viene negato l’elementare e sacrosanto diritto alla vita ed alla
salute, diritto per altro sancito dalla Carta Costituzionale, “chissenefrega”.
Il refrain, a perenne giustificazione da parte di chi ha davvero molto da farsi perdonare
da questa terra, richiama i parametri di Maastricht entro i quali dev’essere contenuta la
spesa sanitaria. E quindi si richiamano i dettami di Bruxelles e il decreto Balduzzi, e l’accordo Stato Regioni.
Guarda caso però, a pagare sono sempre i
più deboli, le popolazioni più disagiate, gli ultimi degli ultimi.
È la storia che non cambia. La storia che
da millenni è uguale a se stessa, da una parte
una casta di privilegiati che fa gli affari propri
e dall’altra tutti gli altri, la plebe, gente senza
volto né nome tranne quando c’è da chiedere il voto.
La nuova bozza di Rimodulazione regionale sanitaria è impietosa verso la nostra provincia che tuttavia, paradossalmente, vede aumentare la dotazione dei posti letto, ma solo
in favore di Gela.
Un caso? Ognuno è libero di pensarla come crede.
Tale bozza prevede per la nostra provincia
due distretti: Distretto 1 con gli ospedali riuniti di Caltanissetta, San Cataldo e Mussomeli, e Distretto 2 con gli ospedali riuniti di
Gela, Niscemi e Mazzarino.
E questa è la proposta della nuova dotazione di posti letto.
Caltanissetta e San Cataldo da 394 posti
letto del 2010 (ultimo decreto di rimodulazione), passano a 380, mentre Mussomeli da
82 p.l. passa a 54.
Gela da 218 sale a 275 posti letto, mentre
Niscemi da 56 p.l. scende a 36 e Mazzarino
da 42 scende a 36 p.l.
Questo il quadro complessivo, con l’aggiunta che Mussomeli perderebbe anche il
L’ospedale di Mussomeli
ha un bacino d’utenza
di oltre 65.000 persone,
e serve 16 comuni che ricadono
nella provincia di Caltanissetta,
Agrigento e Palermo
Punto nascite. A rischio perfino il mantenimento dell’Unità Operativa di Ostetricia (in
verifica di deroga e in assenza della quale i posti letto saranno riconvertiti), e sempre a Mussomeli le Unità Operative Complesse diventerebbero Unità Operative Semplici, ovvero
perderebbero i primariati.
Insomma se tutti gli ospedali tranne Gela,
vedono i posti letto ridotti, l’ospedale di Mussomeli è ancora più penalizzato perché diventerebbe un satellite morto dell’ospedale
Sant’Elia già di suo iperintasato dalla vasta
utenza. E considerata la viabilità da terzo
mondo che separa Caltanissetta da Mussomeli, viene chiedersi se chi elabora tali piani
e predispone i tagli, abbia mai messo piede da
queste parti ed abbia percorso a bordo d’auto (gli risparmiamo il viaggio in ambulanza),
il tragitto che separa il capoluogo di provincia dalla capitale del Vallone.
Da qui il senso della plateale protesta che
a Mussomeli ha preso avvio il 13 gennaio, a
conclusione del Consiglio straordinario che
ha approvato all’unanimità un ordine del giorno inviato in assessorato per difendere l’ospedale dagli ennesimi tagli, preludio ad una
morte pressoché certa. Se ogni giorno diminuiamo i viveri ad una creatura, questa morirà. È una legge di natura. E poco cambia se
al posto della creatura mettiamo un ospedale.
L’ospedale di Mussomeli ha un bacino
d’utenza di oltre 65.000 persone, e serve 16
comuni che ricadono nella provincia di Caltanissetta ma anche in quelle di Agrigento e
Palermo. Un ospedale quindi che andrebbe
potenziato, altro che ridurre i servizi e mantenerlo sempre in affanno di personale ed attrezzature. E di questo per altro, sono convinti
tutti i sindaci del territorio. Ed infatti, alla plateale e partecipatissima protesta “Letti in piazza”, messa in campo il 18 gennaio (28 letti
tanti quanti i posti letto che si vogliono ta-
”
gliare, montati davanti al municipio), hanno
preso parte anche i big della politica e i sindaci del territorio che si sono ritrovati a Mussomeli per difendere i posti letto dell’ospedale dall’ennesimo scippo.
Era presente anche il vice presidente della
VI° Commissione, Gino Joppolo accompagnato a Mussomeli dall’ex assessore regionale
Giovanna Candura, che ha detto: «Recandomi personalmente a Mussomeli ho potuto
constatare direttamente un’ottima struttura
sanitaria per la quale di recente sono stati spesi oltre 4 milioni di euro e un livello professionale di medici e paramedici assolutamente adeguato ai bisogni di un territorio tra i più
difficili della Sicilia. Mussomeli, infatti rappresenta l’ospedale di zone ricadenti in ben tre
province, Caltanissetta, Agrigento e Palermo,
i cui abitanti, altrimenti, dovrebbero affrontare lunghi e pericolosi viaggi. Sosterrò, a nome dell’intero gruppo parlamentare Lista Musumeci le ragioni per le quali un ospedale come quello di Mussomeli va piuttosto potenziato che ridimensionato».
Presente anche il leader dei grillini, Giancarlo Cancelleri: «L’assessore e la Commissione devono assolutamente venire a Mussomeli perché sarà il momento giusto per fare capire a chi ha scritto il decreto Balduzzi, ovvero persone comodamente sedute dietro una
scrivania, che tale decreto non è applicabile in
un territorio come il nostro. E seppure Mussomeli dista 40 km da Caltanissetta, bisogna
percorrere queste strade per rendersi conto di
cosa parliamo. E se il caso, che si ricoverino
anche per un giorno in questo ospedale».
Tanti poi sindaci presenti. Salvatore Noto
vicesindaco di Marianopoli: «È doveroso lottare tutti insieme e sostenere la popolazione
che rischia di perdere un punto di riferimento per tutto il territorio. Se ci facciamo scappare queste occasioni, la povertà territoriale
aumenterà».
N.1 - GENNAIO 2014
Salvatore Caruso sindaco di Acquaviva Platani: «Sono qua per testimoniare che l’ospedale di Mussomeli va difeso perché questo territorio è martoriato da una pessima viabilità
che rende difficoltoso raggiungere gli altri
ospedali».
Totò D’Anna sindaco di Campofranco:
«La nostra partecipazione dà il senso della protesta. Si fanno sempre i tagli a scapito della
povera gente e la popolazione è stanca e noi
siamo qua per dire che il territorio ha bisogno
di questo ospedale».
Mario D’Amico presidente del Consiglio
di Mussomeli: «La presenza oggi di tutti i sindaci è la testimonianza che quella di oggi non
è la battaglia di una comunità, ma di tutta la
popolazione che vive in una grande area disagiata. La nostra è una battaglia di civiltà e la
politica deve riprendersi la responsabilità di
dare risposte alla gente, perché la gente è stufa di scandali che coinvolgono i politici della
nostra Regione». Totò Grizzanti sindaco di
Sutera: «Noi siamo impegnatissimi affinché
l’ospedale di Mussomeli non chiuda perché è
nevralgico per tutta la nostra gente. Tutti conoscono la nostra viabilità e il nostro ospedale è baricentrico per i 15 comuni che qui afferiscono».
Salvatore Lo Sardo sindaco di Bompensiere: «Mantenere aperto e vitale questo ospedale è indispensabile, ma la lotta dovrà continuare anche dopo, affinché gli utenti dei vari comuni possano agevolmente arrivarci perché siamo davvero isolati».
Rosolino Ricotta vice sindaco di Vallelunga: «Il diritto alla salute dev’essere uguale per
tutti. Il nostro territorio è disastrato dalla viabilità e non può essere ulteriormente penalizzato. E questo ospedale è sempre stato punto
di riferimento per Vallelunga. Venerdì faremo
un Consiglio straordinario proprio contro i
tagli dell’ospedale».
Carmelo Curto assessore di Milena:
«L’eventuale chiusura di un ospedale sarebbe
deleteria per tutti i cittadini e mi riferisco a
tutti gli ospedali, perché salvare vite umane è
importante». Francesco Onorato sindaco di
Castronovo di Sicilia: «Pur essendo il nostro
un comune palermitano, noi siamo vicini a
questo ospedale e molti miei concittadini sono nati qua, e la sua eventuale chiusura sarebbe una gravissima perdita per noi».
Presenti anche il sindaco di Villalba Alessandro Plumeri e il presidente del Consiglio
Salvatore Bordenga.
Il sindaco di Mussomeli Salvatore Calà: «La
politica s’è mossa e posso assicurare che il 27
alle ore 16 ospiteremo a Mussomeli l’assessore Borsellino e la VI Commissione Sanità. Saranno presenti anche tutti i sindaci. Ho notizia che i posti letto non saranno tagliati ma
esiste un problema che riguarda il Punto nascita, anche se abbiamo acquisito un’ulteriore proroga. Posso quindi dire che la politica
non ha abbandonato questo ospedale e chiederemo di rendere efficiente il nostro ospedale, tagliando qualche ramo secco ovvero i reparti che non funzionano, e quindi rivedendo tutta l’organizzazione interna perché le rendite di primariato non devono mettere in discussione il futuro dell’ospedale»
P
E
12
R
I
O
D
I
C
O
D
E
L
L A
D
C
E S
I
D
I
C
A
L T A
N
I
S S
l’
Aurora
T A
Pubblicato il volume di Pasquale Petix
Il diritto
di belare
semblea costituente, che avrebbe dovuto essere eletta su base proporzionale, alla fine, ma
indirettamente, non volendo la Corte impingere nella discrezionalità del legislatore, si offre una storica opportunità di rinascita morale dell’Italia.
La legge elettorale che emerge intatta dalla sentenza della Corte è una legge conforme
alla Costituzione, proporzionale, munita della forza di consentire agli elettori di esprimere una preferenza, (e quindi all’interno della
logica referendaria nei primi anni 90). È una
legge che permette di dar vita ad una legislatura costituente che si snodi sul doppio binario della proposizione di un’architettura costituzionale rinnovata e della indicazione di
politiche sociali economiche e civili per il rilancio del sistema Paese.
È pronta. È utile a costringere i partiti a dire chiaramente, finalmente, a tutti gli elettori dove e come vogliono condurre l’Italia. Ma
è anche utile a partiti di rinnovamento per
proporre a loro volta programmi di cambiamento, con la salvaguardia del principio democratico di partecipazione di tutti alla gestione del Paese. Che senso ha scontrarsi su
questa o quella soglia minima, su questo o
quel premietto o premione di maggioranza,
su questa o quella preferenza, su questa o quella articolazione delle circoscrizioni elettorali,
se l’esito è scontato e consiste della riproposizione di una classe dirigente, seppure mutata
nelle persone e nelle referenze anagrafiche, che
porta su di sé la responsabilità del mancato
sviluppo dell’Italia, della sua inadeguatezza a
fronteggiare il cambiamento globale? L’Italia
può esprimere una nuova classe dirigente. Alle elezioni si deve andare con il meccanismo
sopravvissuto all’incostituzionalità delle leggi
elettorali per una legislatura costituente.
Si lasci almeno in vita il coraggio di affermarlo, altrimenti si continui a belare
I
È passato il Generale Patton...
e non solo
Dalla prefazione di Vito Lo Monaco
n questo libro l’autore usa la tecnica del flashback, riprende fatti
accaduti in precedenza, per raccontare l’attualità. Per scrivere della trattativa Stato-Mafia di cui si parla nei processi per le stragi di fine novecento, narra del Generale Patton che a capo delle
truppe Usa sbarca il 10 luglio del 1943
a Gela e libera la Sicilia occidentale dall’esercito mussoliniano e dai suoi alleati
tedeschi ricongiungendosi a Messina con
le truppe inglesi di Alexander che risalivano dal versante sud-est dell’Isola. La liberazione della Sicilia è preceduta dal lavoro di intelligence dei servizi segreti
americani e inglesi che entrano in contatto con esponenti della classe dominante agraria e la sua rappresentanza politica che sarà prima separatista, poi indipendentista, liberale e democristiana.
Di essa era parte integrante la mafia, la
quale, colpita solo nei suoi ranghi bassi
da Mori e dal fascismo, risorge a nuovo
protagonismo presentandosi agli alleati
come antifascista. Gli alleati, pur informati dai loro servizi sulla appartenenza
alla mafia, nominarono sindaci uomini
come Calogero Vizzini e tanti altri, dando inizio a una intesa tra nuova classe dirigente e mafia per conservare privilegi di
classe (allora dominante era quella terriera). Il pactum sceleris si espande durante gli anni fino ad oggi e costellato da
stragi (dal 1947 a Portella sino a quelle
del 1992), accompagna le trasformazioni sociali, economiche e politiche della
Sicilia.
Il sociologo Petix scorre le varie fasi,
dal banditismo sino al terrorismo politi-
co-mafioso della fine del secolo scorso,
evidenziando le trasformazioni del ruolo
della mafia, da quello servente a quello
integrato nella parte violenta della classe
dirigente. Da un po’ di anni la mafia non
si fa solo rappresentare politicamente passivamente da altri, comincia a designare i
propri membri nell’economia legale e nelle assemblee elettive. Dal banditismo arruolato, dal separatismo sino all’autonomismo tradito e alla vicenda del Muos di
Niscemi, Petix vede un solo filo storico
che lega Sicilie storicamente diverse, ma
sempre alla ricerca di nuova identità per
recuperare quella mitica perduta.
Dalla Sicilia contadina di Vittorini a
quella di Sciascia e Consolo. Dai feudi e
dalle miniere di zolfo e di sali potassici
oggi scomparsi o chiuse e diventate ricettacolo europeo di rifiuti tossici, Petix
intravede una «duplice polarità, un continuo gioco di luci e tenebre, comico e
Iniziato l’anno dedicato a Francesco Spoto
ome ogni anno,
anche nel 2013, i
Missionari servi
dei Poveri, unitamente agli
altri componenti la Famiglia
Cusmaniana, hanno celebrato la memoria del dies natalis
del Beato Padre Francesco
Spoto, Martire.
In effetti, dal giorno della
Beatificazione, avvenuta il 21
aprile 2007, questo appuntamento annuale era stato sostituito dalla celebrazione
propria della memoria del
Beato, fissata al 24 settembre,
giorno del suo Battesimo.
Tuttavia, in questo anno,
volendo attenzionare più da
E T
IN ULTIMA
da pagina 4
C
I O
vicino l’evento del prossimo
cinquantesimo della morte di
P. Spoto, avvenuta il 27 di-
cembre del 1964, con l’indizione di un “Anno Spotiano”,
si è stabilita come data di ini-
zio dell’Anno Giubilare proprio quella del 27 dicembre.
Nel pomeriggio, presso la
chiesa parrocchiale “Cuore
Eucaristico di Gesù”, a Palermo, nel cui interno sono cu-
stodite e venerate le reliquie
del Martire, dal giorno della
loro traslazione, il 21 novembre 1987, ci siamo ritrovati
insieme una folta rappresentanza di Missionari provenienti dalle varie case, con i
familiari del Beato, numerose suore serve dei Poveri, associati, ex allievi, amici e devoti.
Ha presieduto la solenne
Eucarestia, l’Em.mo Card.
Paolo Romeo, Arcivescovo di
Palermo, agli inizi del cui Ministero pastorale, avvenne il
Rito di Beatificazione dello
Spoto.
N.1 - GENNAIO 2014
Salvatore Fiumanò
tragico, canto e disincanto». Nell’autore
non c’è alcun cedimento al pessimismo,
tanto è vero che citando Marx mette in
rilievo che le continue dominazioni straniere nei secoli non hanno prodotto alcuna natura servile dei siciliani, come dimostrano la partecipazione al Risorgimento, ai Fasci siciliani, al movimento
per la riforma agraria nel secondo dopoguerra. E alla Sicilia dei Basile e dei Florio, «sinonimo di qualità, di innovazione tecnologica, di correttezza degli affari, di apertura al mercato globale», quella a cui pensa Petix. E la Sicilia «metafora del mondo e che rappresenta tutti i
Sud». Pasquale Petix è riuscito a sintetizzare in un piccolo libro una grande storia. Leggerlo, proporlo alle nuove generazioni è l’occasione per una decisa sollecitazione a non abbassare la guardia. La
Sicilia può cambiare, deve cambiare, sta
cambiando come dimostrano la crescita
e la diffusione di una nuova coscienza critica antimafiosa anche tra quei ceti borghesi più indifferenti o contigui.
Si tratta di mantenere salda la convinzione che, solo cambiando cultura e
sistema di produzione della ricchezza al
quale non deve mai essere estraneo, come sancisce la Costituzione, il suo fine
sociale, è possibile dare un futuro più democratico al Paese e all’Europa. Nell’era
della globalizzazione asservita al dio Mercato, grazie a una concezione neoliberista che ha pervaso trasversalmente destra
e sinistra, il processo educativo assume
rilevanza assoluta. Se l’educazione è politica cioè guarda alla «Polis», al bene comune, la politica diventa educazione. E
l’unica strada per liberare il Paradiso-Sicilia dai diavoli.
Aurora
l’
DIRETTORE RESPONSABILE
Giuseppe La Placa
CAPO REDAZIONE
Crispino Sanfilippo
SITO WEB
www.diocesicaltanissetta.it
E-MAIL
[email protected]
TELEFONO
0934 21446
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
Salvatore Tirrito - Curia Vescovile
Caltanissetta
STAMPA
Tipolitografia Paruzzo
Zona Industriale - Caltanissetta