Maggio 2014 - Diocesi di Caltanissetta

In caso di mancato recapito inviare al CPO di Caltanissetta per la restituzione al mittente previo pagamento della tariffa resi
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Direttore responsabile Giuseppe La Placa
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N. 5 - MAGGIO 2014
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www.diocesicaltanissetta.it
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PERIODICO
DELLA
DIOCESI
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Registrazione del Tribunale di Caltanissetta n. 202 del 29-12-2006 - Redazione: Via Cairoli, 8 - 93100 CL
Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, CNS/Sud 2 - Caltanissetta
EDITORIALE
Generato...
non prodotto
UNA CHIESA FAMIGLIA
di Giuseppe La Placa
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ei giorni scorsi la Corte Costituzionale è intervenuta in materia di procreazione assistita
dichiarando illegittima la norma della legge 40 che vieta la fecondazione eterologa.
La Consulta, in particolare, ha bocciato
quegli articoli della legge che prevedevano il divieto assoluto di fecondazione attraverso il ricorso a un donatore esterno di ovuli o spermatozoi e le sanzioni per i medici che l’avessero praticata.
Come era prevedibile, le reazioni non si sono fatte attendere. Soprattutto in riferimento alle inevitabili conseguenze che scaturiscono da quella sentenza. E cioè: i possibili, devastanti, effetti psicologici di chi domani verrà a
conoscere la sua doppia maternità (o paternità); la mercificazione dei gameti in quanto sarà molto difficile che,
senza “retribuzione”, giovani donne si sottopongano a
trattamenti ormonali pesanti e ad intervento chirurgico
per “regalare” i propri ovociti a persone estranee; la selezione del figlio, da scegliere forse su appositi “cataloghi”
in base alle caratteristiche fisiche che si desiderano dare
al nascituro; la deriva eugenetica (ossia la selezione del genere umano), con gli inevitabili richiami ai tragici scenari del passato; la nuova schiavitù delle donne povere, costrette a vendere il proprio corpo (ovuli o utero), in nome della “libertà” e della “realizzazione” di persone ricche
che non sanno, o non vogliono, accettare la frustrazione
di un proprio desiderio…, e via dicendo.
Il “diritto al figlio”, in altri termini, sarà il nuovo dogma che annullerà definitivamente il diritto del figlio. Il
quale potrà essere lecitamente “prodotto” in laboratorio.
L’unica morale che dovrà valere sarà quella imposta dalla tecnologia e dal progresso.
Peccato, però, che il punto di vista etico sia irriducibilmente diverso da quello tecnico. Tutti e due, certo, sono strutturati intorno al concetto di finalità. Ma, mentre
nel primo caso, essendo la tecnica un processo produttivo, il giudizio riguarderà la perfetta adeguazione tra i mezzi impiegati e l’obiettivo proposto – individuato, cioè, un
certo fine e avendo la disponibilità di certi strumenti, il
giudizio tecnico determina quali sono i mezzi migliori,
cioè più utili ed efficaci, per il raggiungimento di quel fine –, le cose stanno diversamente per quanto riguarda il
punto di vista etico. Infatti, se la finalità di tipo tecnico
considera solo l’utilità delle realtà assunte come mezzo e
come fine, prescindendo dalla loro natura – per cui ogni
cosa può essere un mezzo per un fine, come anche un fine per una serie di mezzi –, al contrario, la finalità morale è determinata dalla natura stessa di quelle realtà, per
cui alcune saranno per loro natura fine e non potranno
mai essere considerate come mezzi, mentre altre saranno
per loro natura mezzi e non potranno mai essere assunte come fini. Ed è competenza principale dell’etica individuare quali realtà sono fini, in modo che non ricevano
mai un trattamento puramente strumentale, e quali realtà sono mezzi, in modo che non siano mai assolutizzate, fino al punto di pretendere di strumentalizzare tutto
il resto in loro funzione.
Ora uno dei canoni più elementari della razionalità etica è il seguente: la persona è l’unico essere che vale in sé
stesso e non in ragione di altro. Non potrà mai essere trattata come mezzo per un fine. Neanche se il fine è quello
di soddisfare il legittimo desiderio di essere “genitori” D
al 23 al 26 aprile 2014 si è
svolto a Nocera Umbra (PG)
alla “XVI Settimana Nazionale di Studi sulla spiritualità coniugale
e familiare Maschio e femmina li creò...
(Gen 1,27): le radici sponsali della persona umana”. Vi abbiamo partecipato come Ufficio di pastorale familiare insieme
al nostro Vescovo. L’evento, il primo dei
due annuali previsti sul tema, aveva
l’obiettivo di offrire, con un respiro multidisciplinare, i fondamenti teologici e la
sapienza dell’antropologia cristiana evidenziando la ricchezza della differenza
sessuale e le radici sponsali della persona
umana. Le tre lectio ed i vari interventi
hanno fortemente sottolineato come la
differenza sessuale non solo riguarda l’apparato riproduttivo, ma ogni aspetto della persona, in tutto il suo essere, e particolarmente nella relazione con le altre
persone. Il testo del libro di “Genesi” da
cui è stato estrapolato il titolo, è stato il
fondamento su cui hanno sostato relazioni e lectio, di cui l’ultima, magistralmente donata dal nostro Vescovo Mons.
Mario Russotto, ha commosso nel profondo i cuori dei convegnisti. Si è poi riflettuto tanto su brani del “Cantico dei
cantici” e su alcuni spunti del discorso del
Papa all’incontro dei fidanzati di que-
st’anno, in particolare su quando diceva
che: «Il matrimonio è anche un lavoro di
tutti i giorni, potrei dire un lavoro artigianale, un lavoro di oreficeria, perché il
marito ha il compito di fare più donna la
moglie e la moglie ha il compito di fare
più uomo il marito. Crescere anche in
umanità, come uomo e come donna.…
Questo non viene dall’aria! Il Signore lo
benedice, ma viene dalla vostre mani, dai
vostri atteggiamenti, dal modo di vivere,
dal modo di amarvi… E i figli avranno
questa eredità di aver avuto un papà e una
mamma che sono cresciuti insieme, facendosi – l’un l’altro – più uomo e più
donna!». In questa luce risultava chiara la
ricchezza della differenza fra il maschile
e il femminile che solo nella reciprocità
dell’amore realizzano non solo il loro essere uomo e donna ma anche il loro essere ad immagine di Dio in quanto amore in relazione. I Workshop che si sono
tenuti hanno provato a tradurre i contenuti offerti dai relatori in sei ambiti: famiglia, scuola, parrocchia, strada, sport,
web, delineando i nodi critici da approfondire, in modalità online, durante l’intero anno in modo da preparare il secondo incontro che avrà l’obiettivo di elaborare proposte pastorali che esprimano
la differenza sessuale nel cammino quo-
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tidiano della comunità cristiana e della
società. Attraverso testimonianze e contributi di buone pratiche pastorali si potrà riscoprire la “bontà della differenza”
ed elaborare le scelte che derivano da questo orizzonte perché, la famiglia che nasce dall’unione stabile di un uomo e di
una donna che si aprono alla vita, divenga speranza e futuro per la Chiesa e per
l’intera società. In un momento in cui la
cultura contemporanea, frutto di un individualismo esasperato, mina alla base i
principi e la verità della diversità, questo
convegno è stato molto positivo sia per
gli spunti che ci hanno arricchito e rafforzato da un punto di vista personale,
sia perché ci ha fatto ancor più apprezzare tutto l’impegno del nostro Vescovo
Mario nel voler incoraggiare e sostenere
nella nostra diocesi tutte quelle iniziative
a favore della famiglia, tra cui il prossimo
evento annuale di grande rilevanza, “Insieme Giovani e Famiglie” (IGF) che quest’anno si è tenuto a S. Cataldo il 17 e 18
maggio. È solo dando una forte testimonianza al mondo di una Chiesa che è famiglia per le famiglie e con le famiglie
che si può riuscire veramente a contrastare le aberrazioni a cui la nostra società vuole condurre.
Lino Di Mattia
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Testimoni di speranza viva e di gioia indicibile
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Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II nella schiera dei santi... aspettando Paolo VI
di Crispino Sanfilippo
“O Roma felix!”. Con questa esclamazione, lungo i secoli, schiere innumerevoli di pellegrini, prima di
voi […], si sono mosse verso la città di Roma per inginocchiarsi sulle tombe degli
Apostoli Pietro e Paolo. […]
“O Roma felice!”. Felice perché anche oggi questa testimonianza, che tu conservi, è
viva ed è offerta al mondo, in particolare è
offerta al mondo delle giovani generazioni!».
Così Giovanni Paolo II salutava il milione di giovani convenuti a Roma in occasione della quindicesima Giornata Mondiale
della Gioventù nel 2000. E lo scorso 27 aprile a tanti quell’immagine e quell’afflusso di
gente proveniente da tutto il mondo nella
“città eterna” è tornata innanzi agli occhi.
Circa un milione di persone hanno infatti
“invaso” Piazza San Pietro e le zone circostanti in occasione della canonizzazione dei
due Pontefici Giovanni XXIII e Giovanni
Paolo II appunto. Un fatto eccezionale, raro
quasi; se si fa infatti eccezione per quelli dei
primi secoli dell’era cristiana che hanno testimoniato la loro fede con il martirio, sono
pochi i papi che hanno raggiunto la gloria
degli altari nella storia della Chiesa.
E questo tipo di eccezione, fortemente
voluta dall’attuale Pontefice, Francesco,
spezza anche la critica mossa da alcune parti: la Chiesa canonizzando i due Pontefici ha
fatto un passo indietro nella storia, glorificando se stessa. Ciò che si è visto invece, ciò
che il mondo ha testimoniato tuttavia, è ben
altro. «San Giovanni XXIII e San Giovanni
Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare
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le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto
vergogna della carne di Cristo, non si sono
scandalizzati di Lui, della sua croce; non
hanno avuto vergogna della carne del fratello, perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa
e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia». Due uomini del nostro tempo
insomma, ha affermato papa Francesco, «sacerdoti, e vescovi e papi del XX secolo. Ne
hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era
Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo e Signore della storia; più
forte in loro era la misericordia di Dio che
si manifesta in queste cinque piaghe; più forte era la vicinanza materna di Maria».
Essi dunque sono degli esempi da guar-
dare e ammirare, dai quali essere trascinati
per arrivare a testimoniare la fede nel nostro
secolo.
Il Pontefice gli ha anche assegnato dei “titoli”: ha definito Papa Roncalli il Papa della docilità allo Spirito Santo, in virtù della
sua capacità di saperne ascoltare la voce e
l’ispirazione. Da questa indole infatti è nata l’idea che ha cambiato la Chiesa: il Concilio Vaticano II.
Karol Wojtyla è stato invece definito il
Papa della Famiglia, come lui stesso avrebbe voluto essere ricordato. Fedele agli insegnamenti della Chiesa, egli ha difeso la vita
dal concepimento fino alla morte naturale,
e ha dato ampio spazio nei suoi interventi
magisteriali al tema del matrimonio e della
famiglia. Papa Francesco, gli ha voluto affidare il prossimo Sinodo dei Vescovi che sarà proprio sulla famiglia.
«In questi due uomini» continua Fran-
cesco «contemplativi delle piaghe di Cristo
e testimoni della sua misericordia dimorava
“una speranza viva”, insieme con una “gioia indicibile e gloriosa” (1Pt 1,3.8). La speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi
discepoli, e delle quali nulla e nessuno può
privarli. La speranza e la gioia pasquali, passate attraverso il crogiolo della spogliazione,
dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all’estremo, fino alla nausea per
l’amarezza di quel calice. Queste sono la speranza e la gioia che i due santi Papi hanno
ricevuto in dono dal Signore risorto e a loro volta hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna riconoscenza».
Oggi la Chiesa si prepara alla beatificazione di un altro pontefice, che con la sua
forza e il suo carattere ha segnato la storia
dell’Italia e della Chiesa intera: Paolo VI.
Un’altra luce, un altro dono di Dio «C’eravamo pure noi a respirare santità»
’eravamo anche noi, pellegrini della Diocesi di
Caltanissetta, nella Piazza
gremita di fedeli provenienti da mille strade diverse; abbiamo vegliato anche noi
per tutta la notte, in attesa della proclamazione dei Santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II; abbiamo respirato
quell‘aria mistica che alle ore 5.00 del
mattino della domenica rapidamente si
espanse per tutta San Pietro; abbiamo
partecipato con fede alla solenne funzione della Canonizzazione dei beati; ci siamo sentiti cosparsi della grazia che i Santi in quel giorno particolare della Divina
Misericordia, hanno elargito alla Chiesa
Universale».
È questa la testimonianza dei cinquantadue pellegrini, che a cura dell‘Associazione “San Giovanni Paolo II” di San
Cataldo, presieduta dall‘ing. Gaetano Alù
e sotto la guida spirituale di Padre Biagio
Biancheri e Padre Vincenzo Giovino,
hanno partecipato, il 27 aprile 2014, in
Piazza San Pietro, alla cerimonia di Canonizzazione di Giovanni XXIII e Gio-
vanni Paolo II. I pellegrini, soci dell‘Associazione, sono riusciti ad entrare in
Piazza San Pietro dopo 16 ore di fila.
Hanno iniziato la fila da Via della Conciliazione alle ore 16,00 del sabato pomeriggio ed hanno raggiunto la Piazza alle ore 6,00 del mattino. La Celebrazione
parte centrale e in alto, il banner riportava la scritta «Associazione San Giovanni
Paolo II, Chiesa Madre - San Cataldo
(CL)» e il logo della Diocesi di Caltanissetta. Alle due estremità laterali, da una
parte, l‘immagine di San Giovanni Paolo
e il logo dell‘Associazione e dell’altra par-
Eucaristica ha avuto inizio alle ore 10,00
di domenica 27 Aprile.
L’Associazione nel corso della Celebrazione Eucaristica di Canonizzazione,
ha esibito in Piazza San Pietro, un banner lungo 7,00 metri e largo 1,30. Nella
te il logo della Chiesa Madre di San Cataldo, sede dell‘Associazione.
Questo banner ha testimoniato l’ardente zelo e il fervente amore dei pellegrini sancataldesi verso la figura di San
Giovanni Paolo II. Il banner, progettato
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dal presidente dell‘Associazione Gaetano
Alù, ha avuto notevole successo in Piazza San Pietro, è stato fotografato da migliaia di pellegrini presenti nella Piazza ed
è stato ripreso, durante la Canonizzazione dalle telecamere di Rai 1, Rai vaticana
e Rete 4, facendo il giro del mondo intero per tramite di altre televisioni.
Nel pomeriggio della domenica il Vescovo Mons. Mario Russotto, Presidente
onorario dell‘Associazione, ha presieduto, presso la Chiesa di Santa Brigida, una
Concelebrazione Eucaristica di ringraziamento per i Beati che in quel giorno sono stati annoverati tra i Santi della Chiesa universale ed accolti nella gloria dei cieli, a cui hanno partecipato i pellegrini della Diocesi. Il Vescovo Mons. Mario Russotto assieme al Vicario Generale Mons.
Giuseppe La Placa a Roma hanno accolto i pellegrini della Diocesi con tanto calore e, dopo la Celebrazione Eucaristica,
nella piazza antistante la Chiesa di Santa
Brigida, esponendo il Banner oramai famoso, hanno fatto una foto ricordo.
Gaetano Alù
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Sicilia allo sbando e politici irresponsabili
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La colpa però non è solo degli eletti ma anche del qualunquismo degli elettori
di Giuseppe Savagnone
rmai è evidente; l’idea è di
non cambiare nulla». Cominciava così un editoriale
di pochi giorni fa, dedicato alla politica siciliana, sul maggiore quotidiano della Sicilia
occidentale, un giornale che difficilmente
può essere considerato sovversivo.
Le prove che giustificano questa drastica
affermazione? Sono così numerose che non
è possibile elencarle tutte. A caso ne scegliamo qualcuna. Per es. la guerriglia per evitare o ritardare il più possibile l’emendamento che stabilisce un tetto di duecentomila euro per gli stipendi dei dirigenti dell’Ars. Oppure la quasi unanimità con cui sono stati
riammessi molti dei 300 precari recentemente licenziati, escludendoli dal contributo di cui avevano finora goduto, perché si era
scoperto (un po’ tardi!) che avevano redditi
familiari pari o superiori ai ventimila euro
annui (alcuni arrivavano alle centinaia di migliaia). Ebbene, è bastato cambiare nel provvedimento una parola – da “familiari” a “personali” – perché quasi tutti gli esclusi fossero recuperati. Miracoli del clientelismo!
Sono solo degli esempi, ch si potrebbero
moltiplicare. A dispetto delle dichiarazioni
fumogene di cui sono prodighi i suoi rappresentanti, la classe dirigente siciliana – sia
politica che amministrativa - continua a dare prova (con qualche rarissima eccezione,
purtroppo poco rilevante per l’esito complessivo) di una logica autoreferenziale e di
una sostanziale irresponsabilità nei confronti del bene comune.
Si inserisce in questo contesto il recente documento della Conferenza episcopale siciliana, intitolato “Considerazioni sull’attuale congiuntura della nostra regione”
(19 febbraio 2014), relativo all’attuale si-
«Altrettanto drammatico», continuano i
vescovi, «è quanto sta accadendo sul fronte
delle politiche sociali e della famiglia. Alle
promesse e ai proclami volti a sostenere i tanti poveri della nostra Regione sono seguite
scelte assolutamente parziali e insufficienti,
se non contraddittorie, che mostrano una
grave insensibilità verso il tema delle vecchie
e nuove povertà, purtroppo in costante aumento». Così come si critica la «generica
estensione dei diversi benefici previsti dalla
legislazione regionale a favore della famiglia
anche alle coppie di fatto» e il «progressivo
depauperamento dell’esperienza di formazione professionale in capo ai Salesiani e ad
altre Congregazioni Religiose».
L’indubbia durezza del documento ha dato immediatamente luogo a facili strumentalizzazioni sia da destra che da sinistra, volte a dimostrare che quella dell’episcopato siciliani era una chiara scelta di parte, a fianco degli oppositori dell’attuale governo. «I
vescovi siciliani bocciano Crocetta», ha scritto in quell’occasione qualche giornale.
Che l’attuale governatore non
fosse in grado di risolvere i problemi della Sicilia lo si poteva supporre già dalla circo-
stanze della sua elezione, in una tornata elettorale in cui più della metà degli elettori si
era astenuta e in cui la rappresentatività del
nuovo capo dell’esecutivo si limitava in sostanza al 15% dei cittadini. Ma i limiti drammatici della situazione siciliana hanno radici ben anteriori a Crocetta. Per restare al giudizio della Chiesa, nel documento “Finché
non sorga come stella la sua giustizia”, pubblicato il 15 maggio 1996, nel 50° anniversario dello Statuto della Regione Siciliana, i
vescovi siciliani avevano già denunciato senza perifrasi «una classe politica sempre più
avvitata su se stessa, incapace di progettualità, attenta soltanto ad assicurare a sé e al proprio entourage la sopravvivenza», nonché
«l’assenza di una pubblica amministrazione
che si ponga a servizio dei diritti legislativamente e costituzionalmente garantiti». «Di
conseguenza», continuava il documento, «risulta diffusa l’illegalità, i favoritismi sono di
regola, il burocratismo sembra ancora l’arma
più efficace per esercitare ricatti e vessazioni
nei riguardi dei cittadini» (n.3). Anche allora i presuli deprecavano «una diffusa incompetenza tecnico-dirigenziale» e l’«assenza di una moderna cultura organizzativa e
gestionale» (n.6).
Un altro libro di Savagnone
Q
tuazione economica, sociale e politica della
nostra Isola. Nel testo pubblicato dai vescovi si denunzia «la mancanza di un virtuoso e
tempestivo utilizzo delle risorse dell’Unione
Europea, ancora a disposizione della Sicilia»,
a monte della quale sta «un deficit di programmazione e di prospettiva progettuale,
frutto di una logica miope fatta di localismi
e frammentazione, priva di ampio respiro e
perciò incapace di innescare mutamenti
strutturali e di generare autentico e duraturo sviluppo». Né aiuta a risolvere il problema, osserva il documento, «una dirigenza
pubblica continuamente delegittimata e resa precaria in funzione della fedeltà politica,
più che spronata e responsabilizzata in ragione di un’effettiva professionalità».
uesto libro si rivolge a quattro categorie di persone: agli operatori
pastorali che sperimentano ogni giorno i
limiti dell’impostazione catechistica tradizionale e si interrogano sulla possibilità di
nuove vie; a coloro che faticano a trasmettere la fede ai figli e percepiscono che,
per comunicarla efficace- mente, dovrebbero rimettersi in discussione e riscoprirla
in forme nuove; a chi non sa se è credente oppure no, ma si sente respinto da una
diffusa interpretazione moralista e devozionista del cristianesimo; a tutti i non credenti che mantengono aperto lo spazio
della ricerca. Ci che qui viene proposto
non è un repertorio di argomenti, e tantomeno di tecniche, per convincere qualcuno a credere, ma una riflessione sulla necessità di un nuovo approccio al vangelo
da parte degli stessi credenti. Si tratta di
uscire dal mondo chiuso e rassicurante a
cui si è abituati per avventurarsi in terri-
tori sconosciuti – quelli che papa Francesco ha definito «periferie del- l’esistenza»
– imparando, con la libertà dello Spirito,
a comprenderne e a parlarne i linguaggi.
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Quanto poco sia cambiato in seguito lo
attesta un successivo documento della Conferenza episcopale siciliana, “Amate la giustizia voi che governate sulla terra”, del 9 ottobre 2012, alla vigilia delle ultime elezioni regionali (prima, dunque, che Crocetta diventasse governatore), dove si parlava di «una fase di allarmante decadimento culturale, politico, sociale ed economico della Sicilia».
Il problema, però, in un regime democratico, non sono gli eletti, ma gli elettori.
Chi si trova oggi a rappresentare i siciliani non
si è imposto con un colpo di Stato militare,
ma con il consenso di chi ha votato e di chi
non lo ha fatto. Un consenso spesso viziato, in
entrambi i casi, dal qualunquismo dilagante in
Italia e di cui la Sicilia è un esempio luminoso. È qualunquismo quello di chi non legge i
giornali (assai più utili a capire le situazioni che
non i notiziari e i talk show televisivi, i primi
di solito parziali, i secondi basati in larga misura sulla logica dello spettacolo) e poi neppure va a votare, perché, dice, “tanto sono tutti ladri”. È qualunquismo quello di chi, pur
partecipando alle consultazioni elettorali, vota per qualcuno che gli è stato “raccomandato” da un amico o da un parente, senza neppure degnarsi di conoscerne il programma. È
qualunquismo quello di chi vota sulla base delle proprie aspettative di favori o di vantaggi
personali, invece di guardare all’interesse generale. Sono problemi che, come si diceva, in
realtà riguardano tutto il nostro Paese. Alle ultime consultazioni nazionali non è stata la promessa del rimborso di qualche centinaio di
euro dell’Imu a essere decisivo, nelle ultime
settimane, per cambiare radicalmente l’esito
del voto? Il problema della Sicilia è, anche se
esasperato, lo stesso dell’Italia: la formazione
di una nuova coscienza civile che metta la democrazia in grado di funzionare. Perché, in
questa forma di governo, sono i cittadini a dovere svolgere il ruolo di politici: civitas, da cui
deriva il primo termine, non è altro che la traduzione latina di polis, che è all’origine del secondo, e significa la stessa cosa: “città” intesa
come comunità politica. Se si vuole evitare che
“tutto cambi perché nulla cambi”, come finora è avvenuto, bisogna avere, perciò, il coraggio e la pazienza di cominciare da noi stessi, dal basso, magari – e sarebbe ora! – da una
formazione alla cittadinanza da svolgere sistematicamente nelle parrocchie, sulla base
della dottrina sociale della Chiesa P
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L’Europa a 12 anni dall’introduzione dell’Euro
Un’istituzione che convince pochi ma migliora la qualità del quotidiano di molti
Viviamo un momento
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di delusione collettiva purtroppo
legittimato dalla reazione ad
una crisi economica che invece
di unire ha diviso i Paesi
I
di Liliana Ciccarelli
l progetto iniziale era coraggioso,
quasi impossibile, eppure l’unica via
d’uscita dai disastri della prima e della seconda guerra mondiale. Dopo la prima
guerra mondiale l’idea europeista era un
“programma” di élite di intellettuali politicamente impegnati, dopo la seconda diventa un obiettivo di politica internazionale.
Europeisti spesso visionari oltre ogni limite…nel 1944 in un documento del Partito di Azione ispirato da Altiero Spinelli il
PDA arriva a chiedere che, tra i principi della futura Costituzione italiana, fosse sancito
che «la sovranità assoluta di cui dispone lo
Stato Italiano venga considerata provvisoria»
e richiedesse inoltre «l’impegno di adottare
una politica estera che non pregiudichi l’adesione dell’Italia ad una federazione».
Per Spinelli e per i federalisti europei,
l’Europa federata non era solo la fine dello
Stato nazione ma la condizione per la nascita di una nuova democrazia, di un nuovo patto sociale (cfr. Storia e politica dell’Unione Europea, G. Mammarella - P.Caca-
ce, ed. Laterza); un progetto che a tutt’oggi,
bisogna ammetterlo, non è riuscito.
Oggi l’Europa appare un dato
scontato, abbiamo con la moneta unica
“l’Europa in tasca”, abbiamo la possibilità di
scegliere direttamente i parlamentari europei, mentre noi italiani non abbiamo la possibilità di scegliere il candidato al parlamento italiano (!), sono aumentati i poteri del
Parlamento europeo mentre si svuotano
quelli del Parlamento nazionale, eppure tutto questo non basta a farci sentire davvero
cittadini europei.
L’ultima generazione di cittadini europei
entusiasti forse è quella della, cosiddetta “generazione Erasmus”. Gli studenti Erasmus
dell’Unione Europea
nel 2013 sono stati quasi 250mila in tutta
Europa, ma si registra purtroppo una diminuzione nell’erogazione delle borse di studio. Dal 2014 al 2020 sono stati stanziati 16
miliardi per 4 milioni di borse, si stima che
nel 2020 gli ex Erasmus saranno 7 milioni.
É un tassello importante di esperienze concrete di partecipazione attiva dei cittadini e
dei giovani alla creazione di uno spazio politico, sociale e culturale dell’Unione Europea.
C’è tuttavia un livello di quotidianità, alla portata di tutti, che dovrebbe riconsegnarci ad una appartenenza alla cittadinanza europea, del quale forse non siamo pienamente consapevoli e che rappresenta uno
degli elementi di forza e uno dei pilastri dell’Unione Europea: siamo cittadini consumatori e utenti che operano in un mercato
unico utilizzando non solo la stessa moneta, ma godendo delle stesse tutele e garanzie.
A chiedere o garantire tutela per 3
milioni di pendolari italiani non è il nostro
Governo di turno, ma la Commissione Eu-
ropea che pochi giorni fa ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia europea per non
aver recepito la normativa comunitaria in
materia di diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario (regolamento (CE) n.
1371/2007). Il Regolamento europeo impone parità di accesso al trasporto in particolare per evitare discriminazioni basate su
residenza/nazionalità o disabilità o mobilità ridotta e ancora il diritto di avere informazioni prima della partenza (per es. sul
prezzo del biglietto) e nelle varie fasi del
viaggio (per es. ritardi, coincidenze); il diritto al rimborso del prezzo del biglietto in
caso di soppressione o ritardi prolungati; il
diritto a un servizio di trasporto alternativo
(itinerario alternativo) o a una nuova pre-
notazione in caso di ritardi prolungati o
soppressione del servizio; il diritto a un livello minimo di assistenza nelle stazioni e a
bordo dei treni in attesa dell’inizio o del proseguimento di un servizio.
E ancora, è grazie al recepimento
della direttiva europea sui consumatori (direttiva europea recepita dal decreto legislativo n.21 del 21 febbraio 2014) che, a partire dal prossimo 14 giugno, entrerà in vigore il nuovo codice del consumo con importanti migliorie per il consumatore come ad esempio: in caso di servizi o beni
non richiesti sarà possibile non pagare la
prestazione e in casi di acquisti a distanza
passano da 10 a 14 i giorni per esercitare il
diritto di recesso. I nuovi diritti dei consumatori riguardano anche la consegna del
bene in quanto in caso di merce danneggiata risponderà direttamente il venditore
(non lo spedizioniere). Aumentano inoltre
i poteri di vigilanza dell’Antitrust in un’ottica sempre più di tutela collettiva preventiva, efficace e gratuita per il consumatore.
Dal 2015 inoltre, sempre in attuazione di
direttive comunitarie, saranno ulteriormente agevolate le procedure di risoluzione delle controversi per i consumatori con
l’intento di evitare cause giudiziarie lunghe
e costose. In generale, qualsiasi controversia di consumo dovrà essere risolta entro 90
giorni. Il Parlamento europeo inoltre, attraverso l’ordine di protezione europeo, interviene anche in tema di protezione delle
vittime di reati. Le misure poste in essere
per la tutela delle vittime dei reati da parte dei singoli Paesi non si applicano se la
vittima si trasferisce in un altro paese. Il
Parlamento ha approvato nuove norme, in
vigore dal 2015, volta ad assicurare che
chiunque goda di protezione in un paese
dell’UE ottenga una protezione simile se si
trasferisce in un altro paese dell’Unione. La
copertura di tali tutele riguarderà tutte le
vittime di reati tra cui molestie, rapimento, stalking e tentato omicidio, oltre alla
violenza di genere.
E ancora in tema di salute la Direttiva
2011/24/Ue ha definito regole chiare per facilitare l’accesso a servizi sanitari sicuri e di
elevata qualità nell’Unione Europea, assicurando la mobilità dei pazienti che cercano
servizi sanitari in un altro Stato Membro.
L’Europa quindi non chiede solo rigore,
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ma anche tutela dei diritti e concorrenza a
beneficio delle imprese e dei consumatori.
Al momento sono pendenti 114 procedure di infrazioni nei confronti dell’Italia per
mancato recepimento di direttive comunitarie che riguardano settori più disparati con
notevole impatto sulla vita quotidiana (consultabilihttp://eurinfra.politichecomunitarie.it/ElencoAreaLibera.aspx), tra questi 22
riguardano l’ambiente, 17 i trasporti, 7 la salute, 7 il lavoro e gli affari sociali, 5 la giustizia, 3 l’energia, 3 la tutela dei consumatori.
Gli esempi di quanto l’Europa incida nel nostro quotidiano potrebbero essere
davvero molti altri (basti pensare a tutto il
settore della sicurezza alimentare), eppure
l’Europa rischia di restare sempre e “solo”
quella del mercato unico seguendo la teoria
dei funzionalisti (mettere in comune determinate attività e risorse economiche) e non
quella dei federalisti.
La storia, seppure ancora breve (la nascita della CECA è del 1951 ed il Trattato
di Roma che istituiscono il Mercato Co-
mune è del 1957) dell’Unione Europea
tende a ripetersi ciclicamente. Le spinte europeiste hanno conosciuto momenti di
grande espansione ma anche di notevoli
battute d’arresto.
A dodici anni dall’introduzione dell’euro, che segna nel bene e nel male, uno dei
momenti più alti di integrazione, viviamo
un momento di delusione collettiva purtroppo legittimato dalla reazione ad una
crisi economica che invece di unire ha diviso i Paesi dell’Unione Europea alla ricerca di improbabili soluzioni populiste, e dalla mancanza di coraggio a fronte della ricerca di democrazia e partecipazione dei
popoli che ha fatto dire a molti : “l’Europa è morta a Kiev” l’
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IL BENE COMUNE
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La gestione “ordinaria e ordinata” di Licia Messina
Conclude il suo mandato di Commissario straordinario al Comune di San Cataldo
a cura della redazione
Quali sono gli ambiti e i limiti della gestione
commissariale di un Comune?
Questa domanda mi porta a fare una riflessione. Al momento del mio insediamento, il 15 novembre 2013, ho avuto subito
coscienza e consapevolezza di assumere un
incarico impegnativo. Il mio mandato prevede la gestione ordinaria dell’ente con i poteri del Sindaco e della giunta.
Non esistono dei parametri che fissino i
limiti di questa attività; va da sé però che il
comune doveva essere portato nel modo più
sereno e con una buona amministrazione fino alla successiva tornata elettorale, ormai
prossima. La gestione dunque doveva essere ordinaria, senza adottare quelle scelte che
potessero avere e dare un’impronta prettamente politica o che potessero impegnare in
modo definitivo l’amministrazione che verrà eletta.
Non c’è dunque un limite previsto da una
norma ma soltanto molto “buon senso”.
Che tipo di collaborazione ha trovato all’interno del Comune di San Cataldo?
Nel Comune ho trovato una buona collaborazione, anche se ho subito riscontrato
delle criticità che rendevano oggettivamente difficile la gestione organizzativa della
macchina amministrativa. L’Ente, infatti,
prevede in pianta organica la presenza di tre
dirigenti, invece ve ne era soltanto uno, una
persona validissima, alla quale va tutta la mia
considerazione: il dirigente dell’ufficio tecnico Ing. Paolo Iannello, che proprio per la
sua competenza professionale molto specifica, mi sembrava difficile e inopportuno
che potesse anche svolgere il ruolo di ragioniere capo del Comune.
Non esisteva neanche l’altrettanto importante figura del segretario generale. Mancava e manca tutt’ora il comandante della
Polizia Municipale.
Premesso che l’azione amministrativa deve essere improntata a parametri di efficienza, efficacia, trasparenza ed economicità, non mi sembrava ragionevole far prevalere soltanto uno di questi parametri: quello dell’economicità, se non a discapito degli
altri che sono egualmente importanti.
Attraverso un bando pubblico ho dunque nominato segretario generale il Dott.
Andrea Varveri, del quale siamo molto soddisfatti. Ho conferito l’incarico di ragioniere capo ad un valido funzionario del comune, il Dott. Elio Cirrito. Per quanto riguarda la Polizia Municipale, invece, l’incarico
viene brillantemente espletato, come già accadeva prima, dal vice-comandante Ispettore Angelo Intilla.
Tengo a precisare che qualsiasi incarico o
impegno che ho assunto per il comune,
l’ho limitato all’ambito temporale del mio
mandato.
Infine, avendo parlato di collaboratori,
non posso non ricordare la dott.ssa Cirneco e la Sig.ra Amico dell’Ufficio di Gabinetto, essendo state le persone che ho avuto più vicine.
Su quali realtà è intervenuta nella sua gestione commissariale?
Non posso non ricordare, soprattutto
perché mi ha impegnata tantissimo sin dal
giorno del mio insediamento, l’attività che
ha consentito il rilancio dell’IPAB “Can.
Cataldo Pagano”, una struttura nata come
centro di assistenza e accoglienza degli anziani, ma che già dal 2009 non aveva più
ospiti e non era più operativa.
Il consiglio comunale mi ha chiesto subito di intervenire sulla vicenda e lo stato
dell’arte era questo: il commissario regionale, nominato per l’amministrazione dell’IPAB, avendo esperito tutti i tentativi di
possibili e diverse soluzioni, aveva già avviato il procedimento per l’estinzione dell’ente. Il consiglio comunale, il giorno successivo al mio insediamento, era chiamato
ad esprimere un parere, tra l’altro non vincolante, su questa procedura di estinzione,
il cui termine ultimo assegnato dal competente assessorato regionale sarebbe scaduto
il 18 novembre 2013.
Con la chiusura definitiva dell’ente si sarebbe posto il problema molto serio della
prospettiva occupazionale dei diciotto dipendenti e della gestione della stessa struttura, interessata da diverse procedure esecutive, sulle quali tutti pensavano dovesse far
fronte il Comune.
Mi sono messa in contatto con il commissario dell’IPAB e con la Regione siciliana e ho ottenuto una dilazione del termine
per la definizione della procedura di estinzione dell’istituto. Al commissario dell’IPAB è stato prorogato l’incarico. E così,
d’intesa anche con la Prefettura di Caltanissetta, abbiamo avviato un percorso di rilancio della struttura che è stata riaperta, i dipendenti sono stati riassunti dall’ente gestore e oggi vi sono ospitati immigrati.
Tengo a dire che i primi immigrati ad essere accolti sono quelli che per mesi hanno
bivaccato fuori dal centro di Pian del lago
di Caltanissetta, suscitando orrore anche a
livello nazionale. Certamente inserire degli
stranieri in una comunità, non è stata cosa
semplice; innanzitutto perché andava data
adeguata informazione. Su questo ho avuto
una grossa delusione.
Pensavo infatti che il consiglio comunale, che era stato da me informato su tutti i
passaggi e che è rimasto a guardare, a questo punto, anziché diventare collaborativo,
nell’espressione di molti consiglieri, ha preso ufficialmente posizione contro questa tipologia di riapertura, lasciandomi assai stupita soprattutto perché era stato chiesto aiuto per i dipendenti; in secondo luogo perché una società civile, non può, senza delle
oggettive ragioni, rifiutare l’accoglienza a
persone disperate.
In proposito, ho assunto due iniziative
che secondo me sono state utili e importanti. La prima è l’istituzione del “vigile di
quartiere”, una figura che “passeggia” per le
strade della città, pronta ad ascoltare le
istanze dei cittadini. La seconda è stata rivolta alla sensibilizzazione. Su consiglio di
S.E. il Vescovo ho contattato l’Arciprete e
gli altri parroci di San Cataldo, invitandoli formalmente – anche se ero sicura che
l’avessero già fatto spontaneamente – a parlare nelle loro parrocchie di questa realtà
nuova e dell’importanza dell’accoglienza, in
modo da smussare quei sentimenti di diffidenza che spesso si nutrono verso le situazioni nuove.
Quali sono, secondo lei, le criticità più evidenti
del Comune di San Cataldo?
Credo che in questo momento il comune di San Cataldo patisca le stesse difficoltà
degli altri comuni della Sicilia e forse dell’Italia, ovvero i mancati o ridotti trasferimenti da parte della Regione e dello Stato.
Va fatta però una considerazione sulla gestione dei rifiuti, che in Sicilia sta cambiando in virtù dell’affrancamento dagli ATO.
Abbiamo lanciato un piccolo progetto. Mi
spiego. Si parla sempre di raccolta differenziata quale scelta e soluzione possibile per
una migliore gestione dello smaltimento dei
rifiuti. Come comune, d’intesa con i dirigenti scolastici, abbiamo lanciato nelle scuole primarie e secondarie di San Cataldo il
progetto “Differenziamo per l’Ambiente”,
un concorso di idee con lo scopo di educare i ragazzi alla raccolta differenziata e che si
concluderà con l’anno scolastico.
N.5 - MAGGIO 2014
Sul piano della sua crescita umana e professionale che cosa ha significato per lei l’esperienza
di Commissario nel Comune di San Cataldo?
È stata un’esperienza bellissima. Io avevo
già fatto qualche anno fa quella della gestione commissariale in un comune sciolto per
infiltrazione mafiosa durata ben trentacinque
mesi. Ma quel tipo di gestione risulta essere
più semplice sotto certi profili, perché una
commissione straordinaria composta da tre
commissari gestisce tutto il comune senza organi elettivi. Se si ha, quindi, una buona collaborazione dai dipendenti e una buona intesa con i colleghi commissari, alla fine amministrare risulta abbastanza semplice. La gestione “ordinaria ed ordinata”, come mi ero
prefissa nel comune di San Cataldo è stata invece molto diversa. Innanzitutto per la dimensione del comune, per la presenza di un
organo elettivo e di un apparato amministrativo piuttosto complesso. Come viceprefetto
ho avuto spesso a che fare con i comuni e con
le loro problematiche, ma vivere questi stessi
problemi da una prospettiva differente per me
è stato un test di conoscenze che mi ha allargato gli orizzonti e mi ha arricchito tantissimo dal punto di vista professionale ed umano, proprio perché le competenze e gli approfondimenti si hanno soltanto quando si
vivono le esperienze in prima persona Aurora
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DIRETTORE RESPONSABILE
Giuseppe La Placa
CAPO REDAZIONE
Crispino Sanfilippo
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www.diocesicaltanissetta.it
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PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
Salvatore Tirrito - Curia Vescovile
Caltanissetta
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ISTANTANEE DIOCESANE
Le «Dieci parole»
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Aurora
Con un linguaggio concreto
e ricco di esempi si è svolta
a Campofranco una catechesi
di Francesca Di Giovanni
partire dal 14 febbraio, ogni
venerdì sera, alle 21,15 nella
nostra Chiesa Madre di Campofranco, i frati minori conventuali della
fraternità di Montevago, ovvero fra Salvatore, fra Luca e fra Gaspare, hanno dato inizio ad un corso di catechesi sulle
“Dieci Parole”, ossi un percorso di fede
che parte dall’annunzio dei dieci comandamenti e invita i partecipanti attraverso
una serie di catechesi a sfondo biblico e
di taglio esistenziale a ritornare a se stessi
e alle radici della propria fede.
Partiti dalla capitale, dall’intuizione di
don Fabio Rosini, direttore per il Servizio
Vocazioni del Vicariato di Roma, le lezioni sui «Dieci Comandamenti», hanno
un po’ contagiato tutta Italia e sono arrivate anche nella nostra comunità per
espressa volontà del parroco don Alessandro Rovello, del suo vicario parrocchiale
don Bernardo Briganti e del Consiglio Pastorale parrocchiale.
In sicilia queste catechesi sono presenti da circa un quinquennio nella città di
Palermo, con un percorso che dura circa
18 mesi, condotte da frati francescani e
da qualche sacerdote diocesano. A Campofranco dopo una capillare opera di informazione, abbiamo dato inizio a questa
esperienza, con l’obbiettivo principale di
rievangelizzazione dell’intera comunità
parrocchiale, dai diciotto anni in su.
La chiesa al momento delle catechesi
registra il quasi “tutto esaurito” e questo
forse perchè gli incontri sui «Dieci comandamenti» hanno un linguaggio concreto, ricco di esemplificazioni che richiamano la quotidianità dell’esistenza,
per cui tutti ci si possono ritrovare.
Alla fine di ogni comandamento si
svolge una verifica personale con la Sacra
Scrittura, con la Bibbia in mano, ogni partecipante è invitato a lasciarsi interpellare
R
dalla Parola di Dio, che, in concreto, nel
particolare comandamento vuole parlargli.
I tempi di assimilazione del «viaggio»
nel decalogo sono piuttosto rilassati. Come già detto, si impiega più di un anno
per portare a termine il percorso intrapreso.
Nella nostra comunità solo da poco abbiamo concluso l’approfondimento relativo al primo comandamento, un viaggio
attraverso il quale i frati ci hanno guidato con un linguaggio mai apodittico o impositivo, ma didascalico-sapienziale. Ci
hanno chiamati ad una sapienza che non
è intellettuale ma del cuore, che passa per
tutte le dimensioni del nostro essere e ci
aiuta a prendere possesso della bontà della Legge.
Non a caso, a conclusione, ci si è ritrovati tutti insieme a «scrutare la Parola»
perchè, ciascuno potesse ascoltare, nel
profondo del proprio cuore, ciò che Dio
voleva «suggerire».
Viviamo l’esperienza del seminatore
che esce per seminare, purtroppo non tutto il seme giunge a portare frutti, e anche
nella nostra comunità non tutti quelli che
hanno iniziato il cammino hanno continuato a perseverare nell’ascolto, la Parola
di Dio ha sempre qualcosa di serio e di
profondo da dirci e non tutti sono in grado di mettersi seriamente in discussione.
Quello che stiamo vivendo è un momento di grazia, in cui il Signore, che non
si stanca mai di noi, della nostra indifferenza, della nostra infedeltà, della nostra
tiepidezza, ci chiama attorno a sè per ricordarci che esiste una sola via per trovare la pace del cuore, la gioia di vivere ed
è solo Lui,il suo amore: solo se ci «perderemo» in Lui ci ritroveremo S. Lucia: l’«eredità» dei fratelli Cimino a 90 anni dalla fondazione
icorre quest’anno il novantesimo anniversario dell’istituzione della Parrocchia Santa Lucia in Caltanissetta. Nel 1924 infatti il
servo di Dio Mons. Giovanni Iacono
istituiva nuove parrocchie in diocesi per
venire incontro adeguatamente alle mutate condizioni della città e rispondere
pastoralmente alle esigenze dei fedeli.
Per la ricorrenza, la comunità parrocchiale, con una santa Messa solenne, ha
voluto ricordare quanti, in questi 90 anni, si sono impegnati pastoralmente, per
la crescita spirituale e materiale dei fedeli. In modo particolare è stato ricordato l’ultimo parroco defunto: Mons.
Antonino Cimino, di cui ricorre il 21°
anniversario della morte. Insieme al fratello Padre Gaetano, egli è stato un punto di riferimento per il quartiere di Santa Lucia e per tutta la città.
Era noto per la sua mitezza, per la
semplicità evangelica, per la disponibilità verso il prossimo.
Molti laici e sacerdoti accorrevano a
lui per la confessione... e per tutti aveva
una parola di conforto, di incoraggiamento, di fiducia nella bontà misericordiosa di Dio. Tutti poi toccavano con
mano il suo spirito di povertà e il distacco dai beni di questo mondo. La sua
volontà di donare tutti i suoi beni alla
parrocchia è stata pienamente condivisa
dal fratello. A tutti i parrocchiani ha laN.5 - MAGGIO 2014
sciato in eredità l’esempio della bontà e
del servizio disinteressato.
Alla fine della santa Messa, la figura
di Mons. Antonino Cimino è stata affettuosamente tratteggiata dal Prof. Felice Dell’Utri che, per molti anni ha condiviso con i fratelli Cimino, gioie e dolori.
Per ricordare l’evento, il parroco Don
Giuseppe Catarinicchia ha fatto realizzare, dal pittore Antonio Chiarello, i ritratti su tela dei due fratelli Cimino e dei
parroci che, dall’istituzione della parrocchia, si sono succeduti nella guida
della comunità parrocchiale.
Giuseppe Catarinicchia
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biblica sui dieci comandamenti
per richiamare alle radici
della propria vita di fede
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A Genova... tra il porto e l’orizzonte
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L’equipe diocesana al Convegno nazionale di Pastorale Giovanile
di Rino Dello Spedale Alongi
ensare Genova è pensare: la Lanterna, il Porto, il Museo del Migrante,
l’Acquario, Cristoforo Colombo,
Giuseppe Mazzini, Palazzo Ducale, i cantautori genovesi e tanto altro ancora. Per me pensare Genova è far ritornare alla mente l’esperienza del XIII Convegno Nazionale di Pastorale Giovanile svoltosi lo scorso febbraio. Chi
si ritrova ad avere a che fare con i giovani ne
respira gli slanci, ma anche i facili entusiasmi;
i sogni, ma insieme anche illusioni e abbagli
sempre in agguato. E così l’educatore rischia
di cadere facilmente nella tentazione di non
avere tenuta di fronte a questi continui sbalzi
di tensione. Quante volte la stanchezza di educatori ed operatori pastorali viene dallo sconforto di dover troppo rapidamente “ricominciare da capo”?
C’è bisogno di una passione profonda che
torni senza paura alla domanda: perché lo facciamo? E perché lo dobbiamo fare?
Ci dispiace e soffriamo nel vederli sbandati, in balìa di se, senza futuro, implicati in problemi e drammi più grandi di loro. Ci dispiace e soffriamo nel vederli alla deriva sul fronte dell’impegno e della speranza, prigionieri di
un materialismo soffocante e senza ideali; a volte persino nel giro di circuiti di morte. Sicuri
che dal Vangelo viene ancora la parola buona
che permette di incontrare il cuore della vita e
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il suo senso. Tra i relatori Mons. Franco Giulio Brambilla, Vescovo di Novara, che ha offerto una puntuale relazione sulla cura educativa, Nando Pagnoncelli ha invece catturato
l’attenzione snocciolando i dati sulla condizione dei giovani, a partire da quelli offerti dal
Rapporto dell’Istituto Toniolo e dalla recente
ricerca realizzata dall’Ipsos. Pierpaolo Triani,
dell’Istituto Toniolo, ha offerto in maniera
convincente un dizionario essenziale con il
quale non solo riflettere sui giovani, ma tenere acceso lo sguardo su di loro, senza stancarsi da una parte di ascoltarli, dall’altra di mantenere alte le domande, coltivando un’attenzione educativa. «I giovani? Camaleonti adattabili al dinamismo incalzante, sono ricci nei
confronti delle istituzioni (Chiesa inclusa)».
Sanno adattarsi alle condizioni lavorative, anche se nutrono risentimenti nei confronti di
un Paese che sono convinti non sappia valorizzarli.
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Tra i relatori anche i salesiani don Rossano
Sala, che ha sottolineato l’importanza di uno
stile educativo fatto di “familiarità e contatto”
e don Domenico Ricca, che ha ricordato come ogni educatore deve esserci e non stare fuori dal campo dove viene giocata la partita. Questo però si raggiunge attraverso una cammino
di formazione “specifica e permanente” e di
spiritualità che lo rende «capace di individuare le cure di cui hanno bisogno i giovani attraverso strategie di avvicinamento».
Infine il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, durante
la veglia di preghiera celebrata in cattedrale ha
invitato tutti ad allenarsi frequentando «la palestra della Confessione e dell’Eucarestia», perché «allenare gli altri ci costringe ad allenare
noi stessi».
Per informazioni più dettagliate cfr.
www.chiesacattolica.it/giovani/ o www.avvenire.it Seminario sui B.C.E. Giubileo Spotiano a Vallelunga
li abitanti nel mondo hanno ormai superato quota 7 miliardi e
quelli Italiani 60 milioni, in percentuale meno dell’1%. Diverse statistiche
circolano sulla quantità di Beni Culturali che
possiede l’Italia rispetto a quelli mondiali: alcuni dicono il 40%, altri il 50% e altri si
spingono oltre per arrivare al 60%. Certamente è difficile dirlo con esattezza ma, dato incontrovertibile, è che oggi l’Italia possiede il maggior numero di siti UNESCO:
ben 49. Certamente avere un notevole patrimonio fa del nostro Paese una tappa per
molti turisti anche se, non sempre, tale situazione diventa un ritorno economico interessante. Questa grande quantità di Beni
Culturali diventa una grossa responsabilità
per i proprietari. Ricordiamo l’art.9 della
Costituzione della Repubblica Italiana che
recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Ancora il
D.Lgs. 42 del 2004, conosciuto come Codice Urbani all’art.30 recita tra l’altro: «Lo
Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno l'obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di
loro appartenenza».
Tra i Beni Culturali la Chiesa Cattolica,
certamente, ne detiene il maggior numero è
quindi di conseguenza un grosso onere. La
Conferenza Episcopale Italiana, da molti an-
ni è impegnata nella formazione di chi si occupa di Beni Culturali Ecclesiastici nelle
Diocesi, con incontri, seminari, lezioni, etc.
Per questo motivo la nostra Diocesi, in collaborazione con l’ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici e l’Ufficio Edilizia di Culto
della Conferenza Episcopale Siciliana ha organizzato il 30 maggio scorso, un seminario
formativo presso il Museo Diocesano
“Mons. Giovanni Speciale”, che ha avuto
inizio alle ore 9,00 e si è concluso alle 18,00.
Ha introdotto il Vicario Generale della Diocesi Mons. Giuseppe La Placa. Tra i relatori
il Prof. Arch. Paolo Rocchi, dell’Università
La Sapienza di Roma, che ha trattato argomenti su: Meccanica degli edifici in muratura e Lettura del quadro fessurativo negli edifici in muratura. Nel pomeriggio si è svolta
una visita presso un cantiere di restauro. Il
seminario è stato a numero chiuso e a tutti
gli intervenuti è stato rilasciato un attestato
di partecipazione. Agli architetti sono stati
riconosciuti 4 crediti formativi.
Giuseppe Di Vit a
omenica 11 maggio, nella chiesa
madre “Maria SS. di Loreto” di Vallelunga, gremita di fedeli, è stata celebrata la memoria del Beato Padre Francesco
Spoto dei Missionari servi dei Poveri (bocconisti) - settimo successore del Beato padre fondatore Giacomo Cusmano - morto eroicamente nell’allora Congo Belga, oggi Repubblica Democratica del Congo, in Africa, il 27
dicembre 1964.
Il suo martirio è stato riconosciuto ed approvato dall’Autorità ecclesiastica, e con il solenne Rito, nella chiesa cattedrale di Palermo,
il 21 aprile del 2007, è stato iscritto all’albo dei
Beati.
Nato a Raffadali (AG), l’8 luglio del 1924,
dodicenne entrò in Congregazione, diventando presbitero il 22 luglio 1951. Eletto Superiore Generale il 23 luglio del 1959, con dispensa pontificia per l’età, riuscì a “lanciare” il
piccolo seme del Boccone del Povero, in Italia
e all’estero.
Fu proprio col Beato Spoto che nel 1960,
grazie all’iniziativa, alla generosità e all’infaticabile zelo dell’arciprete del tempo, P. Calcedonio Ognibene, i primi padri del “Boccone
del Povero” giunsero a Vallelunga per assistere
gli orfani alloggiati presso la Casa del fanciullo.
Nell’agosto del 1964, partì per l’Africa, a visitare e confortare i tre confratelli, mentre era
in atto la rivoluzione secessionista che presto si
trasformò in una feroce persecuzione contro
gli europei e i cristiani in genere.
Catturato, colpito e ferito, dopo un “calva-
N.5 - MAGGIO 2014
rio” durato alcune settimane, spirò nel silenzio
e nella solitudine, ad Erira, nel nord del Congo, all’alba del 27 dicembre 1964.
Traslate le sue spoglie in Italia, dal 1987 sono custodite in un sarcofago, all’interno della
chiesa parrocchiale “Cuore Eucaristico di Gesù”, in Palermo. Ricorrendo i cinquant’anni
dalla sua morte, si è pensato di indire uno speciale Anno Giubilare Spotiano.
Proprio per questo motivo, si è programmata la solenne Concelebrazione eucaristica,
presieduta dal Rev.mo Superiore Provinciale
dei Missionari, p. Salvatore Fiumanò, nei giorni scorsi a Vallelunga per compiere la Visita canonica presso la Comunità bocconista. Con il
Provinciale, hanno concelebrato il superiore
della Casa, P. Leonardo Lipani e il diacono,
mentre l’arciprete ha assistito alla celebrazione,
dando il saluto di accoglienza e motivando la
celebrazione, all’inizio della liturgia.
Nell’omelia, il presidente, riallacciandosi alla liturgia del giorno, in onore del Cristo Buon
Pastore e alla Giornata mondiale di preghiera
per le vocazioni, ha sviluppato la riflessione,
fondandosi sull’espressione del salmo 126,5
«chi semina nel pianto, raccoglie nella gioia» e
su una frase di Tertulliano, apologeta cristiano
del secondo/terzo secolo: «il sangue dei martiri è semente di nuovi cristiani».
Elevata la preghiera al beato, guadagnando
il prezioso dono dell’indulgenza plenaria concessa dal Santo Padre per l’Anno giubilare, con
la benedizione, impartita con il reliquiario, si
è conclusa la celebrazione.
Leonardo Lipani sdP
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A PROPOSITO DI...
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Jep, Don Chisciotte e il sentimento della bellezza
Il valore e l’urgenza di “bellezza” nel film italiano vincitore dell’Oscar
Nel film la bellezza
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appare sopraffatta dalla volgarità,
dalla rinuncia e dalla delusione
dei personaggi, un’umanità
contraddittoria e anchilosata,
D
di Angela Giunta
elegante e volgare
stinata alla sconfitta ma capace di un’umanità sincera, innocente, non scontata; e intorno, ancora, una «sfilata di un’umanità vacua e disfatta, potente e deprimente. Tutta la
fatica della vita, travestita da capzioso, distratto divertimento» (F. Caprara intervista P.
Sorrentino).
a quando, a maggio dello scorso
anno, il film di Sorrentino La
Grande Bellezza ha fatto la sua
apparizione nelle sale cinematografiche, è come se gli italiani avessimo improvvisamente
scoperto il valore, la necessità, l’urgenza di
“bellezza”.
Più o meno consapevolmente, più o meno propriamente, il termine si è insinuato,
pervasivo, tra le parole degli uomini politici, degli intellettuali, dei sociologi, degli uomini di spettacolo, richiamando l’attenzione del cuore e della mente di ciascuno su
qualcosa di cui forse ci si era dimenticati.
Nel film la bellezza appare sopraffatta
dalla volgarità, dalla rinuncia e dalla delusione dei personaggi, un’umanità «contradditoria e anchilosata, elegante e volgare,
squallida o proterva»(L. Chiodi intervista P.
Sorrentino), che Jep Gambardella, il giornalista e scrittore protagonista del film, osserva con sguardo disincantato e sentimentale.
Come in un grande affresco, ispirati dalla realtà ma ricreati nel gioco della fantasia
Ciò che consente di tenere tutto insieme è lo sguardo disincantato e sentimentale di Jep, che tenta di sorprendere, di cogliere inaspettatamente di questo mondo
grottesco la recondita bellezza. Consapevole
del nulla in cui si muove, «attraversa e a tratti asseconda con passo lieve i riti della mondanità intellettuale o pseudointellettuale» (T.
Servillo), dissipando il proprio talento e lasciando dietro di sé una scia di rimpianto, di
occasioni mancate, di illusioni smarrite; ma
è anche “destinato alla sensibilità” e dunque
condannato ad una tragica impasse da cui
vorrebbe evadere senza averne la forza. Solo
quando al termine della notte il vortice si placa e si trova a vagare nella città eterna nella
purezza dell’aurora e nel silenzio, allora sente la bellezza, il sublime che lo circonda e ac-
entrano ed escono dalla narrazione i tipi dell’eterna commedia umana: l’aristocratica che
torna, straniata, nell’antico palazzo non più
suo, per riascoltare dalla voce impersonale
dell’audioguida la storia illustre della sua famiglia; il porporato gaudente, travolto dalla
mondanità delle feste, che si intende più di
cucina che di fede; Romano, lo scrittore fallito, malinconico e dolente, il solo che riesca
a ritrarsi dal gioco al massacro, tornando alla vita di provincia da cui era fuggito; Dadina, la direttrice del giornale per cui scrive Jep,
che per compensare la sua deformità – è affetta da nanismo – insegue il riscatto sociale, si finge colta ma fonda il suo successo sul
giornalismo più turpe; Ramona, la spogliarellista custode di un doloroso segreto, de-
carezza l’idea di esserne contagiato.
In modo imprevedibile e per contrasto,
Jep Gambardella, evoca in me Alonso Chisciano, il nobiluomo secentesco che, stanco
di vivere nell’ozio, in una società ormai priva di eroismo, si ordina cavaliere errante,
cambia il suo nome in Don Chisciotte e da
quel momento, come per incanto, nobiltà,
coraggio e onore irrompono nella realtà abbellendola, riempiendo tutti gli spazi lasciati vuoti dalla perdita dei valori cavallereschi.
Come ogni cavaliere degno di chiamarsi tale, anche Don Chisciotte ha bisogno di un
fedele destriero e gli basta battezzare il suo
ossuto ronzino con il nome, «a parer suo, alto, sonoro», di Ronzinante per trasformarlo
in un purosangue; si sceglie uno scudiero, un
contadino del paese, Sancio Panza, che lo seguirà nelle sue avventure attratto dalla possibilità di guadagni e dalla promessa di ottenere un’isola da governare, e forma con lui
una delle coppie più celebri della storia della letteratura: il cavaliere alto, magro e allampanato in sella al suo destriero, e lo scudiero basso e tondo in groppa al suo somaro, erranti alla ricerca di fama e di gloria. Poco importa se dalle avventure che correrà
uscirà malconcio, deriso, egli ha da compiere una missione, quella di adornare la realtà
con il manto dorato della bellezza. Attraversa la Mancia e tutto si nobilita ai suoi occhi:
le locande diventano castelli, greggi di pecore eserciti nemici, brandisce la sua lancia credendo che possa provocare ferite ma pure
guarirle; se serve, affronta senza scrupoli la
legge, come quando si ostina a liberare un
gruppo di galeotti in cammino verso la prigione, ma è sempre generosamente certo del
suo ideale, e dunque libero.
Francisco Rico, filologo e critico, figura quasi leggendaria della cultura
spagnola, dichiara che la grandezza del Don
Chisciotte è esattamente questa: «Rappresenta una volta per tutte il punto d’incontro della vita e della letteratura, il crocevia
tra verità e finzione. Ci riguarda tutti perché tutti noi siamo creature narrative: ci raccontiamo ogni giorno a noi stessi, tra la speranza di un domani alla misura del nostro
desiderio e la nostalgia del come avrebbe
potuto essere il passato, a volte fuggendo
dalla realtà e altre volte fuggendo verso la
realtà. [...] Don Chisciotte esemplifica al
massimo grado questa dimensione narrativa della vita, e lo fa provocando in noi al
tempo stesso il sorriso e l’adesione, facendo sì che lo osserviamo dalla prossimità delle nostre storie, ma anche dalla distanza rassicurante della finzione [...] Don Chisciotte c’est moi, anzi siamo noi» (Intervista di B.
Craveri).
La ragione dell’indiscusso interesse che
Don Chisciotte ha suscitato e continua a
suscitare in ogni tempo è proprio in questa
sua dimensione archetipica, che aiuta tutti
noi a capirci un po’ meglio, e nell’essere, la
sua vicenda, una grande parabola della condizione esistenziale dell’uomo nell’avventura della vita, dove giocoso e tragico, grottesco e sublime, surreale e reale si susseguono e si esprimono in un incessante gioco di
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”
specchi. È lo stesso fantasmagorico spettacolo de La Grande Bellezza.
Differenti sono, invece, i due protagonisti che ne tengono insieme i pezzi:
Don Chisciotte crede nel potere del sogno o
in quella magica follia che impone l’ideale
nel reale stabilendo la bellezza come principio anche dove non c’è, incanto, utopia, rinascita connotano ogni sua azione; Jep è ossessionato dall’idea del fallimento e della delusione; bicchiere in mano, completi di buon
taglio, occhiali da sole, è testimone rassegnato della volgarità delle vite degli altri che
osserva con ironia pungente e mondana, e
della sua che gli appare incompiuta. Cinico
e al tempo stesso sentimentale, malinconico
e indolente, vede la grande bellezza solo nel
miraggio di un amore giovanile, e si incanta
e si illude di essersi ritrovato quando ne scorge “sparuti e incostanti sprazzi” nel presente.
L’epilogo è per entrambi tragico, amaro.
Ancor prima di morire, rinsavito e pentito,
uscito sconfitto da una delle sue avventure,
Don Chisciotte dirà a Sancio: «Lasciami mo-
rire sotto il peso de’ miei pensieri e sotto quello delle mie sventure. Io nacqui, o Sancio, per
vivere morendo». E Jep nell’ultima scena così ci congeda: «Finisce sempre così. Con la
morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta
sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza.
E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla.
Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è
solo un trucco».
Entrambi ci interrogano l’
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DA 170 ANNI DIOCESI
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Rapporto Chiesa nissena e società civile
Dall’omogeneità religiosa alla pastorale missionaria in una società pluralista e secolarizzata
L
di Francesco Lomanto
a costruzione dell’identità diocesana è accompagnata dai mutamenti del senso di appartenenza
ecclesiale e dalle modalità specifiche di rapporto della Chiesa nissena con la società civile. La constatazione sui pericoli di dissoluzione dell’omogeneità religiosa che provenivano dall’indifferentismo, dalla propaganda settaria dei ceti borghesi e il rilievo sulle infiltrazioni di valdesi nella città di
Caltanissetta indussero i vescovi Giovanni
Guttadauro e Ignazio Zuccaro a promuovere, in perfetta consonanza con il progetto leoniano, la riconquista cristiana della
società alla Chiesa, tramite le iniziative del
movimento cattolico svolte nella rigorosa
soggezione all’autorità ecclesiastica. Il progetto apostolico della Chiesa – realtà compiuta e perfetta, in quanto presenza della
divino-umanità del Verbo Incarnato, e perciò concepita quasi coincidente con il Regno di Dio – si pensava realizzabile pienamente sulla terra senza tensione escatologica, in un’azione di spirito caritativo e nel-
lo stesso tempo di militanza, antisocialista,
antisettaria e nella prospettiva di rigenerazione della società dalle sue fondamenta.
L’instaurazione del regno sociale di Cristo
era la traduzione dell’impegno di coniugare la fede e la civiltà.
Agli inizi del Novecento venne superata l’idea di militanza intransigente e, nella
chiara coscienza di una ancora salda omogeneità religiosa della società locale, prevalse il progetto di restaurazione cristiana
della società. Mons. Antonio Augusto Intreccialagli avvertendo che l’azione sociale
e politica del movimento cattolico volta al
recupero della società alla pratica religiosa
aveva prodotto reazioni anticlericali di liberali e socialisti, ridimensionò la partecipazione del clero alle lotte politiche e sociali, e introdusse più chiare distinzioni tra
il ministero sacerdotale e la funzione di guida nel movimento cattolico. In seguito alla dissoluzione del partito popolare e alla
fine degli arditi progetti del movimento
cattolico, esauritosi il contrasto ideologico
e politico, mons. Giovanni Jacono indirizzò la sua azione pastorale alla cura della
pietà contadina delle popolazioni nissene.
Inserendosi nel solco tracciato dai suoi predecessori, perseguì con chiarezza e fedeltà
la sua linea pastorale volta a costruire una
Chiesa di popolo, cioè aperta a tutti e specialmente ai poveri ossia alla gente comune priva di preparazione, di strumenti di
cultura e di grandi doti spirituali. Di qui
l’importanza della moltiplicazione del numero delle parrocchie, della formazione
del clero, dell’istruzione catechistica, del
senso di appartenenza ecclesiale dei laici e
dell’indirizzo apostolico delle associazioni
di Azione cattolica.
Nella seconda metà del Novecento,
sempre nella visione di un quadro positivo del rapporto Chiesa e società, mons.
Francesco Monaco registrò forti incrinature provocate dalla ricerca del benessere
materiale, dalla disaffezione alla pratica religiosa, dall’adesione a partiti politici di
ispirazione anticristiana e mons. Alfredo
Maria Garsia interpretò i fatti negativi –
come la chiusura alla trasmissione della vita – alla luce della degradazione del tessuto sociale ed economico. Nello stesso tem-
I
Modelli di laico nella Chiesa nissena
n epoca preunitaria i laici nella loro
grande maggioranza erano semplici
fedeli o devoti. Il movimento confraternale fu l’alveo che raccolse in gran parte le aspirazioni di rinnovamento del «laicato devoto» e favorì negli associati la crescita di una nuova posizione ecclesiale rispetto al semplice popolo dei fedeli. Tuttavia i doveri ecclesiali del sodale o laico devoto rimasero a lungo confinati nei termini tradizionali della pietà e della carità.
Dopo i rivolgimenti politici e sociali dell’unificazione nazionale, anche la Chiesa
nissena visse uno dei momenti di passaggio
più significativi nel modo di concepire la figura del laico. Venuto meno cioè l’appoggio dello Stato alla Chiesa, i fedeli laici, sotto la spinta della secolarizzazione, furono
progressivamente sollecitati ad organizzarsi
e a scendere in campo per svolgere una funzione attiva nella società non solo sul piano
religioso, ma anche politico e sociale. Nacque così il «laicato militante» che acquistò
un suo ruolo nella vita ecclesiale e una sua
autonoma responsabilità e capacità di contribuire alla riconquista della società. Tuttavia, accanto alle nuove organizzazioni di laici, continuarono a sussistere autentiche associazioni di fedeli con finalità e metodi
esclusivamente religiosi e perfino insensibili alla mentalità attivistica e polemica del cattolicesimo militante. Perciò le opere economico-sociali cattoliche nacquero dalla nuova pietà ultramontana e intransigente che
era stata introdotta nella Chiesa nissena nel
secondo Ottocento.
Nei primi decenni del Novecento i laici,
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po, malgrado gli effetti dell’emigrazione
sul senso di appartenenza ecclesiale e le
conseguenze del declino dell’associazionismo cattolico nel postconcilio, cominciò
ad affermarsi una vita di pietà più legata ai
sacramenti e alla liturgia con una maggiore consapevolezza dell’appartenenza ecclesiale e del significato della comunione. Negli anni del Concilio Vaticano II si consolidò il senso della partecipazione alla liturgia e l’istanza di soggettualità ecclesiale dei
laici; nell’immediato postconcilio si propose il nesso evangelizzazione e promozione umana, si compì la scelta della pastorale della famiglia e si intensificò l’impegno
di trasmissione della fede con la presenza
nel settore culturale e l’attenzione all’ambito socio-politico. Superata infine la mentalità ecclesiale della situazione di coincidenza tra popolazione e appartenenza ecclesiale, riacquistata la coscienza della polarità Chiesa e mondo, è emersa l’urgenza di una pastorale missionaria nella società secolarizzata e religiosamente pluralista e non più omogenea nell’adesione al
cattolicesimo contadini e artigiani, sollevati mediante le
opere sociali ed economiche dalla piaga dell’usura, furono indirizzati a una ripresa della vita cristiana. In linea con le indicazioni
che venivano da Roma venne affidato alle
associazioni dell’Azione cattolica lo slancio
per la rifondazione cristiana della società.
Esse si distinsero sul piano dell’impegno formativo-religioso, caritativo-assistenziale e in
seguito si allinearono al marcato intervento
della Chiesa e delle sue organizzazioni sul
terreno politico, a fianco della democrazia
cristiana. Il laico, però, fu considerato sempre oggetto dell’azione pastorale della Chiesa gerarchica, da educare alla fede e da inserire anche nel campo sociale e politico, ma
sempre legato da forti vincoli gerarchici.
Con la recezione della «teologia del popolo di Dio» o «ecclesiologia di comunione» del Concilio Vaticano II, la qualificazione del laicato e la sua appartenenza alla
Chiesa sono state fondate sul sacerdozio
universale, e si è evidenziata la compartecipazione dei laici alla missione unitaria della Chiesa.
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L’IMPEGNO
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Alzheimer: una patologia che “investe” la famiglia
A Sommatino un’associazione di volontariato per l’informazione e il sostegno
L
a malattia di Alzheimer è una patologia a carattere degenerativo
del sistema nervoso centrale, progressiva e inguaribile.
In Italia ne soffrono circa 800 mila persone, nel mondo 18 milioni, con una prevalenza di donne. Col progredire della malattia le persone non solo dimenticano, ma
perdono la capacità di parlare e di muoversi autonomamente necessitando anche
di continua assistenza personale. Frequenti sono anche alterazioni della personalità:
più precisamente l’anziano appare meno
interessato ai propri hobby o al proprio lavoro, oppure ripetitivo. La capacità di giudizio è diminuita spesso precocemente,
cosicché il paziente manifesta un ridotto
rendimento lavorativo e può essere incapace di affrontare e risolvere problemi anche semplici relativi ai rapporti interpersonali o familiari. Talvolta l’inizio della
ha sede, in favore di persone affette da malattia di Alzheimer e delle loro famiglie, ed
in senso estensivo l’intera popolazione, relativamente alla fase di prevenzione e promozione alla ricerca delle cause e delle migliori cure relative a tale malattia.
L’associazione ispirandosi ai principi
della solidarietà umana, promuove iniziative culturali, convegni, eventi ed altre manifestazioni che facilitino la diffusione di
informazioni e la raccolta di fondi per la
realizzazione degli obiettivi per cui la stessa è stata costituita.
L’ associazione è nata il 21 Aprile 2013.
Il primo convegno si è realizzato presso
l’Asilo parrocchiale con la presenza delle
autorità locali, dei presidenti delle associazioni di Caltanissetta e Mussomeli.
Il 4 maggio 2013 è avvenuta
l’apertura di uno sportello informativo
che si intrecciano in modo semplice e
spontaneo e che penetrano con forza nel
cuore di chi assiste l’evolversi inesorabile
della malattia. Un seguirsi continuo di stati d’animo che esprime il sentimento più
profondo, meta del viaggio. È l’amore che
muove tutto!
Il 12 Luglio è stata realizzata la giornata dello screening. L’iniziativa, promossa
dall’Associazione Familiari Alzheimer di
Sommatino, ed in collaborazione con lo
psicologo del centro Alzheimer di Caltanissetta, si è svolta presso i locali messi a
disposizione dai sacerdoti dell’unita pastorale di Sommatino.
Consistente la partecipazione della popolazione, nello specifico sono state svolte 10 visite di screening ed effettuati numerosi interventi di sensibilizzazione ed
informazione al fenomeno delle demenze.
Lo screening ha visto la somministra-
malattia è contrassegnato dalla sospettosità nei confronti di altre persone, accusate
di sottrarre oggetti o cose che il malato non
sa trovare. Nella grande maggioranza dei
casi, solo a distanza di 1-2 anni dall’esordio della malattia il disturbo della memoria è tale che i familiari ricorrono all’aiuto
di uno specialista perché i sintomi iniziali dell’Alzheimer sono spesso attribuiti all’invecchiamento, allo stress oppure a depressione.
presso il Poliambulatorio di Sommatino
tutti i sabati dalle ore 09:00 alle ore 12:00
in coincidenza della presenza del geriatra
e neurologo, dove gli associati tecnici fornivano le relative informazioni richieste.
Il 9 giugno si è realizzata la prima giornata di promozione, informazione e sensibilizzazione, presso il piazzale Padre Pio
a Sommatino con grande partecipazione
da parte della cittadinanza.
Al convegno del 14 giugno La memoria e la sua perdita palazzo Trabia sono sati presenti il presidente dell’ Associazione
di Caltanissetta e lo psicologo della Cooperativa Etnos, del centro Alzheimer di
Caltanissetta e Delia. In tale occasione è
stato presentato un toccante documentario di Luca Vullo che conduce nel misterioso mondo della persona malata di Alzheimer. Un viaggio tra emozioni diverse
zione di specifiche prove neuropsicologiche attraverso le quali individuare i segni
precoci di un eventuale deterioramento
cognitivo. In alcuni casi i soggetti sono
stati invitati ad effettuare ulteriori accertamenti presso uno dei servizi medici presenti sul territorio nisseno. Tra le caratteristiche di questo gruppo sono stati rilevati alcuni elementi interessanti: l’età media è di 61 anni mentre la scolarità si attesta intorno ai 7 anni; la maggior parte
si è rivolto agli operatori dello stand di
propria iniziativa, in alcuni casi si è rilevato l’ interesse da parte di un familiare
preoccupato. Gli altri soggetti sottoposti
a valutazione non hanno mostrato un rischio significativo riconducibili ad una
patologia neurodegenerativa, in tutti i casi si è comunque consigliato di monitorare nel tempo la sintomatologia lamen-
Tutto il problema cade sulla famiglia che si trova spesso impreparata ad
affrontare questo nuovo disagio.
Scopo dell’associazione Alzheimer di
Sommatino è svolgere la propria attività di
volontariato nell’ambito del territorio della regione siciliana e con particolare attenzione al territorio in cui l’associazione
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tata e di rivolgersi al proprio medico di
famiglia.
Il 30 luglio l’ associazione ha aderito alla giornata del volontariato a Sommatino
organizzata dalla Croce Rossa.
Il 21 settembre in occasione della ventesima giornata mondiale “Alzheimer”, si
è effettuato uno screening testologico della memoria.
Le attività che l’ associazione ad
oggi realizza sono: sportello informativo
presso il centro polivalente, incontri mensili con i familiari, visite domiciliare in cui
si da un sostegno sia al soggetto affetto di
Alzheimer sia al familiare che si prende cura di lui il cosiddetto cargiver, Le attività
invece che l’ associazione si propone di effettuare sono:
- Gruppo di auto-mutuo-aiuto in cui i
soggetti riportano i loro vissuti, le loro
esperienze e cercano di sostenersi reciprocamente raggiungendo obiettivi comuni;
- Cafè Alzheimer al fine di combattere l’
isolamento sociale che come ben sappiamo
è conseguenza della malattia, i soggetti tendono ad isolarsi, queste attività invece mirano a mantenere abilità e funzioni altrimenti destinate ad essere perdute. Sono attività finalizzate alla riabilitazione e a creare situazioni di benessere specifiche per i
malati di Alzheimer mediante l’intervento
di terapeuti specializzati, in cui il soggetto
possa recuperare le capacità relazionali, recuperare e sviluppare l’autostima, riattivare
memorie corporee in un contesto socializzante, stimolante, rasserenante.
Nel contempo i familiari possono ritrovarsi insieme e trascorrere liberamente un
paio di ore in un’area loro dedicata dove godere della reciproca compagnia e di un gustoso caffè.
L’ associazione si propone di continuare
a sensibilizzare, informare e formare in materia di disabilità mentale con specifico riferimento alla patologia di Alzheimer; incontrare settimanalmente le famiglie dei disabili con svolgimento di attività di segretariato sociale, somministrazione di test, avviamento verso i centri Unità Valutazione
Alzheimer (presso AUSL e Azienda Ospedaliera). Tutte le attività vengono svolte con
periodicità quindicinale, mensile e bimensile grazie alla costante collaborazione dei
volontari tra i quali 2 psicologi, 2 assistenti sociali e operatori OSA l’
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Caltanissetta all’ultimo posto anche per il pubblico trasporto
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Una città “ferma” e 26 lavoratori a casa senza stipendio da dodici mensilità
di Maria Grazia Pignataro
uando i cittadini nisseni leggono ogni anno le classifiche delle
città italiane con la migliore qualità di vita sono ormai abituati a vedere Caltanissetta collocata inesorabilmente agli ultimi posti.
E d’altronde se qualche osservatore esterno arrivasse in questo frangente nel capoluogo nisseno per dare un giudizio di merito sulla qualità della nostra vita si ritroverebbe davanti ad una città in cui circolano
soltanto autoveicoli e ciclomotori privati e
nemmeno l’ombra di un servizio pubblico
di trasporto, che tradotto in termini politici, economici, sociali e culturali significa una
sola cosa: arretratezza, degrado, mancanza di
una visione di noi stessi e degli altri proiettata in un futuro che altrove è già presente,
se non addirittura passato.
Mentre, infatti, nei Comuni d’Italia
l’obiettivo è ormai da tempo quello di potenziare al massimo i servizi di trasporto pubblico urbano, da noi accade esattamente tutto il contrario: un aumento incessante di mezzi privati e una parallela diminuzione di mezzi pubblici fino ad arrivare all’azzeramento.
Il braccio di ferro tra la Scat, società cooperativa concessionaria del servizio di linea
urbana, l’amministrazione comunale e la Regione va avanti ormai da anni tra manifestazioni di protesta, tentativi di dialogo, interruzione forzata del servizio.
Stabilire con esattezza i torti e le ragioni
di ciascuna parte è complesso, ma rimane un
dato di fatto ineludibile e cioè che al momento ci sono 26 lavoratori a casa, che van-
tano arretrati pari a 12 mensilità, e un numero, seppur imprecisato, di cittadini che
non possono usufruire del servizio di trasporto pubblico.
«Attendiamo segnali da parte della Regione – dice Eugenio Alessi, segretario generale del comune di Caltanissetta - che non
arrivano. Nonostante le sollecitazioni, le risposte rimangono generiche e i tempi d’attesa per l’erogazione delle somme spettanti
per contratto, imprevedibili. L’unica certezza è che da due anni a questa parte l’ente regionale ha ridotto con due note successive,
di cui l’ultima risale a circa dieci giorni fa,
del 26% l’ammontare del contributo destinato al servizio di trasporto urbano, con conseguenze facilmente immaginabili».
2Infatti, ammesso pure – continua Alessi – che la Regione sarebbe nelle condizioni
di trasferire regolarmente al Comune le somme da destinare alla Scat per l’erogazione del
servizio, rimarrebbe da coprire un disavanzo, pari a circa 650 mila euro, che impedi-
rebbe di fatto alla società di rimettere in attivo il proprio bilancio».
«A mio avviso – conclude il segretario generale - la soluzione potrebbe essere quella
di rivedere l’intera organizzazione del servizio, e non solo a partire dal numero delle corse giornaliere ma anche dal contratto dei dipendenti, che per mantenere il loro posto di
lavoro difficilmente potranno continuare a
percepire la stessa retribuzione di qualche anno fa. L’amministrazione comunale, dal canto suo, oltre a continuare ad anticipare, fin
dove possibile, le somme necessarie per portare avanti il servizio, si è già impegnata a firmare un protocollo d’intesa con la Scat per
il trasporto disabili, per un costo pari a circa 100 mila euro».
«Confermo quanto detto dal dott. Alessi
sul protocollo d’intesa – afferma Roberta
Leonardi, presidentessa della Scat – ma non
quanto sostenuto a proposito delle somme
anticipate dall’amministrazione comunale,
in quanto solo per il 2014 abbiamo ricevu-
«Città indifferente e senza amore»
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ul tema del servizio di trasporto urbano nisseno e sui problemi che attraversa abbiamo pensato di sentire
il parere di alcuni cittadini, veri protagonisti,
insieme ai lavoratori, dei conseguenti disagi
che sta vivendo a tal proposito la città.
«Abito a Caltanissetta da quarant’anni –
dice Antonina Leanza, 75 anni – e devo confessare che ho preso il bus pubblico soltanto
un paio di volte, in quanto ho sempre usufruito dell’automobile oppure in molti casi ho
coperto le non lunghe distanze a piedi. Ciò,
però, non vuole dire affatto che in un Comune che si rispetti non debba esserci un efficiente servizio di trasporto pubblico, per motivi che mi sembra superfluo sottolineare».
«Il vero problema – continua Valentina
Averna, 39 anni – è che a Caltanissetta non è
mai esistita una seria politica urbanistica. Non
abbiamo la cultura del mezzo pubblico, che significa anche rispetto per l’ambiente. Quello
che chiediamo sono solamente nuovi parcheggi, ma a mio avviso non solo non se ne
dovrebbero costruire di nuovi, bensì si do-
La S.C.A.T., società cooperativa di produzione e di lavoro senza fini di lucro, nasce il
28 gennaio 1971. È concessionaria da allora del servizio pubblico di linea urbana del Comune di Caltanissetta, che riceve a sua volta un contributo regionale.
Si avvale di 26 tra soci lavoratori e dipendenti e gestisce in autonomia la pubblicità
sia sugli autobus che a terra, avvalendosi degli spazi pubblicitari delle paline e pensiline
di fermata. I 9 mezzi in dotazione, più 3 di riserva, sviluppano 6 linee oltre alle 2 linee
scolastiche ( Santa Barbara e San Luca), alla linea diretta verso il cimitero e a quella che
il sabato mattina porta al mercatino. Il costo del biglietto è di 1,20 euro, con un maggiorazione di 30 centesimi se fatto sul bus, oltre ad una serie di abbonamenti e agevolazioni.
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to soltanto 100 mila euro a fronte di 600 mila, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti i cittadini nisseni. Inoltre vorrei
precisare che la nostra società non è in passivo, ma ha semplicemente problemi finanziari che si risolverebbero in breve tempo se
il Comune ci desse le somme spettanti, cosa che non fa da ben quattro anni».
«Noi – aggiunge la Leonardi – abbiamo
un regolare contratto con il Comune nisseno, che vorrei ricordare è l’ente proprietario
del servizio mentre la Scat è soltanto l’ente
erogatore. Pertanto qualunque rimodulazione del servizio ( a tal proposito abbiamo
comunque presentato uno studio di fattibilità, che giace sulla scrivania di qualche funzionario dallo scorso novembre) non spetta
a noi ma all’amministrazione comunale, con
la nostra collaborazione, e in ogni caso tale
rimodulazione non può riguardare la rivisitazione delle contribuzioni dei lavoratori,
che sono stabilite a livello di contrattazione
nazionale e non certo da noi o dall’ente comunale. La nostra speranza è che in sede giudiziaria potremo finalmente vedere rivendicati i nostri diritti, anche se nel frattempo
occorrerebbe sensibilizzare quanto più possibile l’opinione pubblica, che al momento
appare divisa tra coloro che rimangono indifferenti al problema e coloro che invece
volgono la protesta nella direzione sbagliata. Dal nuovo sindaco, che verrà eletto ormai a breve, speriamo di ottenere la possibilità di allacciare un dialogo sereno e costruttivo, caratterizzato da correttezza e onestà intellettuale, e di cogliere l’occasione per
creare una politica della mobilità, tuttora
inesistente» vrebbero, per lo meno al centro storico, ridurre
al massimo quelli esistenti, così da “costringere” i cittadini ad usufruire dei bus urbani, che
ad onor del vero vedo, o meglio vedevo, circolare quasi vuoti a fronte di un ingiustificato
traffico provocato dai mezzi privati».
«Ho importanti problemi di salute – aggiunge Francesco Averna, 62 anni – e trovavo utile se non indispensabile poter usufruire dei mezzi pubblici, che fino a poco tempo
fa prendevo regolarmente. Trovo incivile non
solo la sospensione di un servizio del genere
per un capoluogo di provincia con più di 62
mila abitanti, ma anche il fatto che dai miei
concittadini non sia mai giunta una pubblica voce di protesta. Noi nisseni abbiamo sviluppato in minima misura il senso civico, che
si tradurrebbe nei fatti in atteggiamenti solidali, di attenzione nei confronti dei bisogni
e delle sofferenze altrui. Ci caratterizza da
sempre un atteggiamento di sostanziale indifferenza e non amore nei confronti della città e dei suoi abitanti».
«Se in famiglia non avessimo l’automobile – dicono Calogero e Luca, studenti e abitanti del villaggio Santa Barbara – non potremmo neanche andare a scuola, come è accaduto ad altri nostri compagni».
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