medicina di iniziativa - Il sole 24 Ore

CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
SOMMARIO
I NTRODUZIONE
di Nello Martini
3
L’esperienza di Regione Lombardia
di Walter Bergamaschi
5
L’assistenza primaria in Emilia-Romagna
di Imma Cacciapuoti,
Cure primarie H24: il quadro nel Veneto
di M. Cristina Ghiotto
14
di Andrea Vannucci,
18
Motivazioni e logica di questo Convegno
LE ESPERIENZE REGIONALI
Le cure primarie nella Regione Toscana
Andrea Donatini,
Antonio Brambilla,
Tiziano Carradori
Paolo Francesconi
9
L A GOVERNANCE
Antonio Gaudioso
22
24
29
33
36
40
43
46
di Germano Bettoncelli
50
di Giulio Marchesini
54
58
62
65
Il management delle Direzioni Aziendali
di Valerio Alberti
Indicatori di perfomance e di esito
di Fulvio Moirano
Gestione a budget per la sanità territoriale
di Enrico Desideri
Il ruolo del medico di medicina generale
di Giacomo Milillo
Gli aspetti organizzativi e gestionali
di Angelo Lino Del Favero
La struttura e le competenze necessarie
di Mariadonata Bellentani
Cosa cambia per le aziende farmaceutiche
di Massimo Scaccabarozzi
Empowerment e governance: i significati
di Alessio Terzi,
L E AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO
La broncopneumopatia cronica ostruttiva
Il banco di prova della malattia dibetica
Reggiani
Le criticità legate alla cura dell’osteoporosi
di Ovidio Brignoli
L’artrite reumatoide e il ruolo del Mmg
di Silvano Adami
Lo scompenso cardiaco e l’approccio Ebm
di Aldo Pietro Maggioni
IN COLLABORAZIONE C ON :
Accademia Nazionale di Medicina
COORDINAMENTO S CIENTIFICO:
Nello Martini
COORDINAMENTO EDITORIALE:
Stefania Ledda
PROMOZIONE :
Valentina Calandrone
Febbraio 2014
direttore responsabile
ROBERTO NAPOLETANO
vice direttore
Roberto Turno
Allegato al numero odierno di Sanità
reg. Trib. Milano n. 679 del 7/10/98
1
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
I NTRODUZ IONE
Motivazioni e logica di questo convegno
di Nello Martini *
I
l riordino dell’assistenza
territoriale e della Medicina
Generale, previsto dall’art. 1
del Decreto Balduzzi (Legge 189/2012), rappresenta
in linea di principio un passaggio
cruciale del riassetto del Servizio
Sanitario Nazionale, che va letto e
contestualizzato complessivamente tenendo conto del patto per la
salute, della riorganizzazione della
rete ospedaliera, del rinnovo della
Convenzione con la Medicina Generale e delle altre iniziative normative e di contesto.
L’implementazione delle cure primarie H(12)-24 si basa sul principio della “presa in carico della
cronicità” attraverso l’istituzione
di forme associative della Medicina
Generale (AFT-UCCP – Case della Salute) preferibilmente di tipo
poli-professionale.
Le novità del progetto politicoistituzionale delle cure primarie
H24 scaturiscono da alcune considerazioni di fondo:
- l’ospedale si fa carico attualmente di circa il 30% della cronicità in regime di ricovero e
cura con uno spreco enorme di
risorse economiche e umane;
- la Medicina Generale tradizionale e l’assistenza territoriale
sono basate sul rapporto “singolo medico – singolo paziente”,
che porta necessariamente a una
medicina difensiva e che non può
farsi carico della complessità della presa in carico della cronicità;
- peraltro l’assenza di una forte
Questo primo Convegno
Nazionale sulle cure
primarie H24 intende
avviare un approfondimento del progetto
politico-istituzionale, delle
esperienze regionali, dei
sistemi di governance e
di performance e di
alcune aree modello
della presa in carico
della cronicità
struttura assistenziale nel territorio da un lato alimenta la gestione di una parte rilevante della
cronicità da parte degli ospedali
e dall’altro contribuisce all’intasamento dei Pronto Soccorsi.
Le cure primarie H(12)-24 rovesciano questa logica, promuovendo la medicina di iniziativa,
adottando linee guida, una cartella
clinica condivisa e un sistema di
valutazione della performance basata sugli indicatori di processo
e di esito, rovesciando i controlli
tradizionali basati essenzialmente
sul monitoraggio delle prescrizioni
farmaceutiche del singolo medico
o su indicatori di perfomance delle
ASL secondo il modello “a silos”.
Non sono peraltro da sottova-
lutare le implicazioni sociali del
processo di cambiamento indotto
dalle strutture associate delle cure
primarie, per cui il singolo cittadino
non avrà più il “proprio” medico di
famiglia ma dovrà rivolgersi a una
struttura complessa in cui l’unicità
del rapporto con il medico è data
dalla condivisione della cartella clinica e del percorso assistenziale: si
tratta di un passaggio delicato che
va costruito, assecondato e seguito per non indurre fenomeni sorebound.
In questa fase, che possiamo considerare lo stato nascente delle cure
primarie H24, vi sono questioni di
fondo e scelte strategiche che sono
al centro del dibattito politico, delle
Regioni e delle professioni (in particolare da parte delle associazioni
sindacali della Medicina Generale).
Le questioni e le scelte fondamentali possono essere così riassunte:
- quali il ruolo e le competenze
rispettivamente del Ministero,
delle Regioni e della Convenzione con la Medicina Generale
zione e la organizzazione delle
cure primarie?
- quante rapporto tra AFT –
UCCP e distretto?
- come integrare nelle nuove
strutture le forme associative
attualmente esistenti?
- quali criteri e metodologia per
la integrazione nelle nuove
strutture degli specialisti, degli
* Direttore Ricerca e Sviluppo, Accademia Nazionale di Medicina, Roma
Febbraio 2014
3
I QUADERNI DI ACCADEMIA
-
-
-
-
4
infermieri, delle unità amministrative in collegamento con
l’Azienda Ospedaliera?
come avviene il finanziamento?
come verrà definito il budget –
per quota capitaria o secondo
altri parametri?
quali saranno i criteri, la professionalità e le procedure per la
nomina del coordinatore?
è prevedibile una quota del finan-
ziamento attribuibile al raggiungimento di indicatori di performance (payment by performance)?
- quale ruolo e quale endorsement
da parte delle associazioni dei
pazienti?
Si tratta in generale di un processo
di trasformazione molto complesso su cui insistono le differenti variabili politico – istituzionale – pro-
fessionale – sociale del processo
assistenziale.
Questo primo Convegno Nazionale
intende avviare un approfondimento
e un’analisi sul progetto politico-istituzionale, sulle esperienze regionali,
sui sistemi di governance e di performance e su alcune aree modello
della presa in carico della cronicità
(asma/BPCO – diabete – osteoporosi – artrite reumatoide).
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
LE ESPERIENZE REGIONALI
L’esperienza di Regione Lombardia
di Walter Bergamaschi *
L’
aumento della fragilità e della cronicità
sta determinando
anche in Lombardia
un
considerevole
aumento dei costi di gestione e
richiede un adeguamento delle
risposte assistenziali sia sul piano
clinico, sia su quello organizzativogestionale. I dati di Regione Lombardia (RL) indicano che i malati
cronici sono in costante aumento
(circa 3,2 milioni in Lombardia nel
2013, pari al 31,8% della popolazione assistita) e rappresentano
ben il 79,6% della spesa sanitaria
per attività di ricovero e cura, specialistica ambulatoriale e consumo
di farmaci. All’interno di questo
gruppo di pazienti sta sempre più
aumentando anche il numero di
persone in condizione di cronicità
socio-sanitaria (anziani non auto-
persone affette da dipendenze da
sostanze, ecc.), stimabili in circa
600.000. Il trattamento delle persone con cronicità è ancora oggi
molto legato all’assistenza ospedaliera: in alcuni presidi ospedalieri i
pazienti cronici arrivano a coprire
più del 90% della casistica e spesso il paziente cronico si rivolge
alle strutture ospedaliere, in particolare al PS, anche per richieste
che potrebbero trovare risposta a
livello territoriale.
Intervenire oggi sulla “cronicità”,
malati complessi, spesso anziani
Il nuovo paradigma
del “prendersi cura”
è attualmente in fase
di sperimentazione
in Regione Lombardia
in ambito sanitario,
con il modello CReG
(Cronic Related Group)
dedicato ai pazienti
in condizioni di cronicità
e nei quali incidono più patologie.
Lo stato di salute di queste perma in larga misura anche da determinanti personali, non biologici
e da fattori di contesto che interagiscono fra loro in maniera dinamica e condizionano la capacità di
accesso alle cure (fattori di rischio,
status economico e socio-familiare, ecc.). Si tratta di malati che si
rivolgono a numerosi specialisti e
una corretta integrazione della
cura. La mancata integrazione tra
operatori sanitari porta spesso a
inutili ripetizioni diagnostiche o
terapeutiche, con ripercussioni
notevoli anche sul piano della spesa sanitaria.
La tipologia dei bisogni derivanti
da situazioni di cronicità richiede
quindi un cambio di paradigma e
l’evoluzione da un modello di cura
basato sull’erogazione di prestazioni - tipico degli ospedali e del
un modello centrato sulla presa in
carico “proattiva” e integrata del
paziente cronico, la continuità di
assistenza ospedale-territorio e
percorsi dedicati di cura o di accesso ai servizi sanitari.
Il sistema sanitario lombardo già
da tempo si sta muovendo in questa direzione. L’ospedalizzazione
in regime di ricovero, erogata dai
circa 200 presidi ospedalieri pubblici e privati accreditati si è signi10 anni, mentre sono aumentate
le attività svolte in regime ambulatoriale. La Regione ha avviato una
revisione del modello di governance del sistema sanitario, secondo
una visione strategica che mira a
incidere sui meccanismi di promittenza e produzione, lungo due
direttrici principali:
• da un lato il completamento
di un modello a rete per l’assistenza ospedaliera;
•
to organizzativo in grado di consolidare lo spostamento dell’asse
di cura dall’ospedale al territorio.
Il percorso avviato in Lombardia per il governo della cronicità
* Direttore Generale Assessorato alla Sanità Regione Lombardia, Milano
Febbraio 2014
5
I QUADERNI DI ACCADEMIA
promuove quindi l’evoluzione del
sistema sanitario dal classico paradigma della “medicina d’attesa”,
adatto alla gestione delle malattie
acute, al nuovo paradigma della
medicina d’iniziativa (proattiva),
più consono alla gestione di malattie croniche. Il nuovo modello assistenziale che la Regione intende
realizzare, anche mediante un Piano Strategico dedicato alla cronicità attualmente in fase di sviluppo,
è un modello centrato sulla persona – e non sulla malattia o sulle
strutture – secondo una visione
sistemica capace di ricomporre
in una programmazione unitaria e
integrata l’attuale frammentazione
dei servizi forniti alla persona affetta da condizioni croniche (pur
se già numerosi e di elevata qualità
in Lombardia).
Il Piano che la Regione sta disegnando persegue una piena integrazione e “continuità di sistema”
tra i soggetti della rete dei servizi,
finalizzata a promuovere la continuità individuale lungo le varie fasi
del percorso di cura – dalla promozione della salute alla prevenzione,
alle cure ospedaliere o territoriali
– con parallele ricadute anche sulla
riduzione dei consumi sanitari e il
contenimento della spesa. L’obiettivo è garantire al malato cronico
il miglior compenso clinico, ritardare il danno d’organo, le acuzie, le
invalidità e/o disabilità. A tal fine,
la strategia regionale di governo
della cronicità si è orientata a migliorare l’organizzazione del processo di produzione-fruizione del
servizio di cura al paziente cronico, non tanto con interventi di tipo
strutturale sulle componenti hard
dell’organizzazione (tecnologie e
strutture), quanto piuttosto con
innovazioni di tipo funzionale sul
processo del servizio e sulle risorse umane. In altre parole, accanto
a interventi di natura istituzionale,
in grado di incidere sui meccani-
6
smi di programmazione, produzione, finanziamento e controllo
del servizio erogato, è possibile
implementare integrazioni di tipo
funzionale tra i vari ambiti di servizio, sviluppare nuove competenze
o ruoli professionali in grado di facilitare l’accesso ai servizi e garantire una presa in carico “proattiva”
e omnicomprensiva dei malati cronici, avvalendosi eventualmente di
servizi aggiuntivi per una buona
gestione clinico-organizzativa della malattia. Particolare importanza
viene data anche allo sviluppo di
una relazione di cura tra il medico
e la persona malata, che veda nel
malato stesso la chiave di successo
per la prevenzione e la cura delle
condizioni croniche (self management, empowerment del paziente).
Il Piano Strategico per la cronicità
che si sta sviluppando in Regione
Lombardia integra interventi di
sanità pubblica (promozione, prevenzione e attenzione ai determinanti di salute) con la presa in carico territoriale del sistema delle
cure primarie e con aspetti clinici
del livello ospedaliero durante le
fasi di riacutizzazione delle malattie croniche.
Per quanto riguarda la rete ospedaliera, la Lombardia è impegnata
al completamento del sistema in
rete già avviato, attraverso l’attribuzione di un ruolo più preciso ai
diversi presidi esistenti, con ospedali di riferimento e ospedali di
rete all’interno di bacini di utenza
omogenei. Particolare attenzione
va posta alla fase ospedaliera di riacutizzazione della malattia cronica. Stiamo sviluppando la capacità
dell’organizzazione ospedaliera di
riconoscere all’accesso il malato
cronico e di avviarlo verso percorsi strutturati diversamente in funzione dei diversi bisogni associati a
diversi livelli di gravità. Gli ospedali
sono organizzati per l’accesso di
casi acuti, ma il malato cronico può
avere bisogno di risposte diverse
anche all’interno di una classica
struttura ospedaliera.
Per la gestione post-acuta del paziente dopo la dimissione dall’ospedale, Regione Lombardia ha
regolamentato la modalità di assistenza delle cosiddette “cure
subacute”, definendo anche dei
requisiti strutturali e organizzativi
di accreditamento. Si tratta di una
modalità di assistenza indirizzata a pazienti, per lo più anziani e
cronici, caratterizzati da instabilità
clinica, che possono essere dimessi dall’ospedale ma non rientrare
subito al proprio domicilio per la
complessità del quadro clinico. È
una modalità di “presa in carico” in
un contesto di ricovero protetto,
di pazienti affetti da postumi di un
evento acuto o da scompenso clinicamente non complesso di una
patologia cronica. Le cure subacute richiedono, per ogni paziente, la
formulazione di un piano di trattamento che porti a conseguire degli
specifici obiettivi.
Il CReG
Per quanto riguarda la rete territoriale, il nuovo paradigma del
“prendersi cura” è oggi in fase di
sperimentazione in Regione Lombardia in ambito sanitario, con il
modello CReG (Chronic Related
Group), una modalità innovativa
di presa in carico delle persone
affette da malattie croniche, finalizzata ad assicurare la continuità
del percorso assistenziale. Avviata
con DGR IX/937 del 1° dicembre
2010 in 5 ambiti territoriali indicati nella Tabella 1, la sperimentazione CReG è stata disciplinata con
DGR n.1479 del 30.03.2011 e da
successive disposizioni regionali.
La sperimentazione riguarda alcune patologie croniche principali
(BPCO, scompenso cardiaco, diabete, insufficienza renale cronica,
ipertensione e cardiopatia ische-
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
Tabella 1 - Sperimentazione CReG in 5 ASL (dati 2013)
ASL
N° pazienti
arruolati
%
N° MMG
in CReG
%
BG
21.789
(51,7%)
206
(30,3%)
CO
17.280
(73,9%)
107
(28,9%)
LC
11.921
(67,8%)
75
(35,2%)
MILANO
6.699
(54,8%)
51
(4,7%)
MILANO 2
5.786
(39,8%)
45
(11,9%)
Totale
63.475
60%
484
(17,7%)
mica) e coinvolge al momento attuale 63.475 pazienti (circa il 60%
dei pazienti attesi) e 484 MMG (Tabella 1). Obiettivo della sperimentazione è verificare se una organizzazione dell’assistenza territoriale
su base budgetaria, simile quindi
a quella dei DRG ospedalieri, può
migliorare la qualità di cura (a risorse economiche sostanzialmente invariate), conseguentemente
a una miglior presa in carico del
paziente da parte del MMG.
Il modello CReG si fonda su quattro pilastri:
1. un sistema di classificazione
degli assistiti in funzione della
cronicità, che identifica i pazienti affetti da patologie “croniche”
(mono o poli-patologici), tramite algoritmi che “leggono” i flussi informativi istituzionali (BDA,
banca dati assistito) utilizzando
“traccianti” quali il consumo di
farmaci, la specialistica ambulatoriale, i ricoveri e/o le esenzioni per patologia. Questo sistema di classificazione pone le
sue radici nei primi anni 2000,
quando presso alcune ASL lombarde nacque e si consolidò
l’esperienza della BDA, che rappresenta la riconduzione a ogni
singolo assistito di tutti i fenomeni sanitari che lo riguardano.
Ogni paziente viene classificato
in base al suo tipo di cronicità,
Febbraio 2014
cioè allocato a una Classe CreG
che corrisponde a una patologia
o ad associazioni di due o più
patologie croniche prevalenti. Il
processo di classificazione genera dei cluster di “malati cronici” clinicamente significativi e
omogenei per assorbimento di
risorse assistenziali;
2. un sistema di remunerazione
che, in analogia col sistema dei
DRG, assegna una tariffa a ogni
raggruppamento omogeneo di
patologia (o pluripatologia). La
cosiddetta tariffa di responsabilità è una quota predefinita di
risorse che viene corrisposta a
un unico soggetto gestore. In
analogia col sistema a DRG, la
remunerazione è, quindi, predefinita e corrisposta al gestore
per la presa in carico territoriale del paziente. La Regione ha
potuto sviluppare queste tariffe
grazie alla disponibilità di flussi
informativi centrati sul paziente
(BDA), che consentono di stimare la tipologia/quantità di risorse sanitarie consumate in un
determinato periodo di tempo,
per ogni classe CReG;
3. il piano assistenziale individuale,
che tiene conto delle co-morbilità e degli scenari “reali” di
consumo descritti da un “elenco prestazioni attese” (EPA), periodicamente fornito dall’ASL al
gestore per ogni Classe CReG.
I pazienti cronici, affetti da più
patologie, non seguono con
elevata compliance i PDTA, per
varie ragioni, e spesso effettuano prestazioni o assumono farmaci non correlati al problema
clinico prevalente. Pur se linee
guida e PDTA restano un riferimento per il singolo MMG nella
pratica clinica, partendo dalle
“prestazioni attese” oltre che
dalla storia individuale, il MMG
definisce un piano individuale
di cura, personalizzato per ogni
paziente. Il modello CReG non
si fonda quindi su PDTA teorici
che definiscono il percorso di
cura per una singola patologia in
condizioni ”ideali”, ma fotografa
l’assistito nella sua condizione
reale di bisogno attraverso l’EPA,
che rappresenta l’insieme delle
prestazioni più probabili per le
diverse Classi CReG. Alcune differenze tra PDTA ed EPA sono
illustrate nella Tabella 2;
4. una modalità di presa in carico
omnicomprensiva dei malati
cronici. Il CReG prevede la gestione attiva dei pazienti attraverso un nuovo soggetto gestore individuato dall’ASL (oggi
cooperative di MMG), che si occupa di coordinare e di vigilare
sul percorso di diagnosi e cura
definito nei piani assistenziali individuali. Il gestore deve garantire al paziente tutte le prestazioni extra-ospedaliere (follow-up
e monitoraggio della persistenza
terapeutica, specialistica ambulatoriale, protesica minore, farmaceutica), oltre a una serie di
servizi aggiuntivi per una buona
gestione clinico-organizzativa
della malattia. Nella fase attuale, le cooperative di medici si
avvalgono di un sistema informativo sviluppato da Lombardia
Informatica per le esigenze del
progetto CReG e di un “centro
servizi” che supporta il MMG
nel coordinamento di varie pre-
7
I QUADERNI DI ACCADEMIA
Tabella 2 - Differenze tra PDTA ed EPA (Elenco Prestazioni
Attese)
PDTA
EPA
Su base clinica
Sulla base dell’evidenza storica dei consumi
Supporta l’approccio clinico
alla patologia
Finalizzato al benchmark
Riguarda la singola patologia
Orientato al paziente classificato dal CReG
Valido per ciascun singolo
paziente
Acquista attendibilità con l’aumento dei
pazienti monitorati
stazioni e servizi dedicati al paziente, anche col supporto della
telemedicina.
L’attuale assetto organizzativo per
l’erogazione del CReG è illustrato
in Figura 1. Gli attori principali del
modello sono:
- pazienti: il paziente viene informato di questa nuova possibilità
di presa in cura e accetta deliberatamente di prendere parte al CReG sottoscrivendo un
“patto di cura” col MMG;
- MMG: raggruppati in cooperative, garantiscono la regia del
percorso, l’integrazione delle
diverse tappe dello stesso, oltre
a rappresentare il punto di riferimento clinico costante per i
pazienti, con un call center/centro servizi che in questa fase è
attivo per 12 ore al giorno;
- ASL: funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo di tutti
gli attori coinvolti nella gestione
della patologia, oltre che di controllo delle risorse e di verifica
dell’adeguata erogazione dei
LEA per i pazienti arruolati nel
CReG;
- Regione: la Regione contribuisce a definire le regole del gioco, ha sviluppato gli algoritmi
Sperimentazione
Figura 1 - Gli attori
del CReG CReGin Lombardia
per classificare i pazienti e per
individuare l’EPA ed è il garante
istituzionale della correttezza di
gestione della sperimentazione.
L’analisi dei risultati della sperimentazione CReG ha fornito indicazioni per azioni di sviluppo
del disegno “CReG”, che saranno
sperimentate nel 2014 nelle stesse
ASL, e che riguarderanno:
-il sistema di remunerazione,
con la corresponsione al gestore CReG di una “quota di
responsabilità” per ogni paziente arruolato, a remunerazione
dei costi effettivi di presa in
carico, propedeutica all’evoluzione verso un sistema basato
sulla corresponsione al gestore
dell’intera tariffa CReG;
- la validazione del sistema di
classificazione isorisorse del
CReG;
- l’integrazione dei flussi informativi CReG;
- la sperimentazione di modelli organizzativi alternativi di
erogazione del servizio CReG,
nelle stesse ASL, in scenari alternativi di erogazione (a livello
distrettuale/ospedaliero);
- la valutazione della reale efficacia del modello CReG in diversi
scenari di erogazione.
Regione
ASL
ASL
Centro
servizi
Centro
servizi
Gestore CReG
(MMG)
Gestore CReG
(MMG)
Gestore CReG
(MMG)
Erogatori
Gestore CReG
(MMG)
Pazienti cronici
8
Centro
servizi
Centro
servizi
Sempre nel 2014 saranno condivisi criteri per le modalità di controllo previste dalle ASL e il monitoraggio dei dati di arruolamento
e di consumo dei pazienti gestiti
in CReG, al fine di misurare, tramite indicatori di processo, risultato e di esito, la percentuale di
adesione ai percorsi programmati
e l’impatto clinico-organizzativo
del CReG.
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
L E ESPERIENZE REGIONALI
L’assistenza primaria in Emilia-Romagna
di Imma Cacciapuoti *, Andrea Donatini *, Antonio Brambilla **, Tiziano Carradori ***
I
rilevanti cambiamenti dei
popolazione, dell’assetto
socio-economico delle co-
(1), associati alla rimodulazione in
atto nella rete dell’assistenza
ospedaliera, alla riarticolazione
delle funzioni e dei ruoli delle medesime strutture, impongono altrettanto rilevanti cambiamenti
nel modo di fornire l’assistenza
primaria, orientando il sistema
verso una nuova centralità dell’integrazione sanitaria e sociale,
tema principale delle politiche di
interventi di salute pubblica nell’area dell’assistenza primaria è fortemente legata a politiche di sviluppo dei servizi e delle attività
assistenziali che prevedano una
forte integrazione nella rilevazione dei bisogni e della programmazione, nel disegno e nell’erogazione dei servizi, degli interventi
sociali e degli interventi in area
sanitaria (2). È quindi indispensabile prevedere una organizzazione
che faciliti una visione integrata,
sanitaria e sociale, degli interventi.
In questo contesto, il ridisegno
delle relazioni tra l’assistenza
ospedaliera, la continuità dell’assistenza nelle cure primarie e nelle
cure specialistiche, permetterà di
sostenere il percorso di sviluppo
La Regione Emilia-Romagna
ha da tempo intrapreso
un percorso di ridefinizione
dei servizi territoriali,
per la presa in carico
complessiva delle persone,
attraverso la prossimità
delle cure, la continuità
assistenziale, l’accesso
ai servizi sanitari
e il coinvolgimento
delle comunità
dell’assistenza intermedia valorizzando i livelli di integrazione. Le
cure primarie devono inoltre assumere un ruolo maggiormente
incisivo utilizzando strumenti
quali la medicina d’iniziativa, il
case management e la presa in carico globale del paziente fragile.
Questo consente alle équipe professionali coinvolte di assumere
pienamente il ruolo di erogatore
della maggior parte dei servizi per
i target di popolazione individuati
e di responsabilità per i livelli assistenziali che garantiscono anche
cure complesse.
L’assistenza primaria in
Emilia-Romagna
La Regione Emilia Romagna ha da
tempo intrapreso un percorso di
mirato a garantire la presa in carico complessiva delle persone, anche attraverso la prossimità delle
cure, la continuità assistenziale, la
facilitazione dell’accesso ai servizi
sanitari e socio-sanitari e il coinvolgimento delle comunità nei
processi di programmazione, monitoraggio e valutazione dei risultati. All’interno di questa visione –
che pone la persona e la sua
comunità al centro della programmazione ed erogazione dei servizi
– il Distretto è stato riconosciuto
ambito ottimale per garantire una
risposta assistenziale integrata, sia
gli strumenti e delle competenze
professionali (3).
Il principio di integrazione interprofessionale e tra reti assistenziali (cure primarie, sanità pubblica,
salute mentale e servizi sociali degli Enti Locali), è stato ulteriormente rafforzato dal Piano Sociale
e Sanitario 2009–2011 e nel recente aggiornamento per il 2013–
2014. La Regione ha inoltre costituito in ogni Azienda USL i Nuclei
di Cure Primarie (NCP), team
multidisciplinari che coinvolgono
*
Salute, Regione Emilia-Romagna
**
Politiche per la Salute, Regione Emilia-Romagna
*** Direttore Generale Sanità e Politiche Sociali, Assessorato Politiche per la Salute, Regione Emilia-Romagna
Febbraio 2014
9
I QUADERNI DI ACCADEMIA
Tabella 1 - L’evoluzione del sistema delle cure primarie nella Regione Emilia-Romagna
1999
DGR 1235/1999: piano sanitario regionale per il
triennio 1999/2001
Istituzione dei Dipartimenti di cure primarie in ambito distrettuale
2000
DGR 309/2000: assistenza distrettuale.
Approvazione linee guida di attuazione PSR
1999/2001
Costituzione dei Nuclei di Cure Primarie, équipe multiprofessionali che, attraverso una maggiore integrazione dei
professionisti che operano in un determinato ambito territoriale,
migliorano il coordinamento e la qualità dei servizi erogati
2006
DGR 1398/2006: accordo integrativo regionale
per i rapporti con i medici di medicina generale
Sviluppo organizzativo dei Nuclei di Cure Primarie, quale
strumento di valorizzazione dell’assistenza primaria e delle
funzioni del Medico di Medicina Generale
2007
DGR 2011/2007: direttiva alle Aziende
Sanitarie per l’adozione dell’atto aziendale, di
cui all’art. 3, c. 4, della L.R. 29/2004: indirizzi
per l’organizzazione dei Dipartimenti di cure
primarie, di salute mentale e dipendenze
patologiche e di sanità pubblica
Definizione delle aree di responsabilità del Direttore di Distretto
e del Dipartimento delle cure primarie separando le funzioni di
valutazione del bisogno e programmazione dei servizi da quelle di
organizzazione gestione dei servizi
2008
Delibera Assemblea Legislativa n. 175/2008:
piano sociale e sanitario 2008–2010
Integrazione sanitaria e socio-sanitaria nel Distretto. Il sistema
delle cure primarie e la rete dei servizi
2009
DGR 427/2009: linee di indirizzo regionali di
attuazione del PSSR 2008/2010 per l’ulteriore
qualificazione delle cure primarie attraverso lo
sviluppo delle professioni sanitarie assistenziali
Delinea i modelli organizzativi che fanno riferimento alle reti
integrate di servizi, alla medicina d’iniziativa, al disease e al case
management, per erogare un’assistenza adeguata ai bisogni di
salute espressi
2010
DGR 291/2010: indicazioni regionali per la
realizzazione e l’organizzazione funzionale delle
Case della Salute
Porta a compimento il sistema delle cure primarie, definendo
gli aspetti principali che caratterizzano la Casa della Salute, sede
unitaria di erogazione dei servizi territoriali
2013
Indicazioni attuative del piano sociale e sanitario
regionale per il biennio 2013/2014
Si concentra sulla definizione di alcune scelte di riferimento che
orientano la programmazione territoriale per gli anni 2013 e 2014
2013
“Un nuovo approccio allo sviluppo della rete dei
servizi di assistenza primaria e la realizzazione
degli Ospedali di Comunità in regione EmiliaRomagna”, pubblicazione nel 2014
È stato definito il modello clinico-organizzativo degli Ospedali
di Comunità, unità di ricovero sanitario territoriale costituite
da moduli che possono essere collocati all’interno di Case della
Salute o all’interno di strutture ospedaliere che riorganizzano una
parte delle funzioni assistenziali
diversi professionisti e rappresentano la soluzione migliore per fornire risposte coerenti ai bisogni
assistenziali, in particolare modo
per i pazienti affetti da polipatologie di tipo cronico. Attualmente
tutti i MMG e i PLS aderiscono ai
214 NCP attivi a livello regionale.
La rete assistenziale distrettuale
della Regione Emilia-Romagna si
sviluppa su quattro aree, che pur
avendo tutte finalità di assistenza
generale alla popolazione, si rivolgono in modo specifico a target di
popolazione con bisogni di salute
differenziati, ma con un approccio
10
trasversale e integrato che vede al
centro i bisogni del singolo cittadino:
1. servizi territoriali, forniti da sanità pubblica, cure primarie e
medicina generale, salute mentale, per la promozione della
salute e l’erogazione delle cure;
2. cure intermedie (4), rivolte prevalentemente a cittadini non autosufficienti o che comunque
necessitano di assistenza domiciliare o residenziale;
3. servizi a sostegno della comunità, erogati da enti locali, terzo
settore, associazioni dei pazienti
e loro familiari, che contribui-
scono a formare e sostenere la
rete assistenziale territoriale
dei caregivers;
4.cure ospedaliere, sempre più
destinate al trattamento dei soli
problemi sanitari acuti.
In questo contesto è necessario un
approccio gestionale della medicina d’iniziativa che ci impone di sviluppare programmi assistenziali
trasversali che integrino le attività
di tutti gli operatori coinvolti nei
processi di assistenza (territoriali,
ospedalieri, dei servizi sociali, associazioni di volontariato e associazioni dei pazienti) e che intervengano prioritariamente su:
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
- promozione della salute e attività di prevenzione individuale e
collettiva
- identificazione delle persone
fragili (sviluppo di modelli predittivi) e loro presa in carico
- sviluppo delle cure intermedie
-percorsi assistenziali per le
principali patologie croniche
(PDTA), con particolare attenzione alla gestione integrata delle situazioni complesse e delle
multimorbilità
- profili integrati di cura (PIC); ad
esempio programma Leggieri,
programma Alzheimer
- programmi educativi (patient-education) e di supporto al self-management del paziente e della famiglia e di auto-mutuo-aiuto (AMA),
formazione “paziente esperto”
per il supporto all’auto-cura.
Le azioni per sostenere il
cambiamento
Il completamento della rete delle
Case della Salute
Le strategie e i programmi innovativi della Regione Emilia-Romagna
hanno portato a sviluppare luoghi e
modelli assistenziali per favorire ulteriormente l’accesso all’assistenza
primaria. In particolare, la Regione
sta investendo nella realizzazione
della rete delle Case della Salute
(CdS), strutture sanitarie e sociosanitarie polivalenti e polifunzionali,
che si prendono cura delle persone
fin dal momento dell’accesso, con la
collaborazione dei professionisti e
la condivisione di percorsi assistenziali, favorendo lo sviluppo della gestione integrata delle patologie croniche, secondo le logiche della
medicina di iniziativa, proprie del
chronic care model, oramai validato a
livello internazionale. Le indicazioni
regionali per la realizzazione strutturale e l’organizzazione funzionale
(DGR n. 291/2010) definiscono la
CdS come un presidio del distretto,
la cui gestione complessiva è affida-
Febbraio 2014
ta al Dipartimento di cure primarie,
che comporta l’erogazione in una
stessa sede fisica di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, favorendo,
anche attraverso la contiguità spaziale dei servizi e degli operatori,
l’unitarietà e l’integrazione dei livelli essenziali di assistenza. Nel suo
ambito vengono messi in relazione i
professionisti dei dipartimenti territoriali (cure primarie, sanità pubblica, salute mentale) con i professionisti del sociale e di varie branche
specialistiche; le relazioni organizzative tra i diversi setting assistenziali
sono di norma raccordate dall’infermiere, secondo i principi del case-management, mentre i profili di
cura definiti dai professionisti (le
reti cliniche) sono erogati all’interno della rete organizzativa. Per tenere conto anche delle caratteristiche orogeografiche del territorio e
della densità della popolazione
sono state individuate diverse tipologie di CdS (grande, media, piccola). Attualmente le CdS attive in
Regione sono 56, mentre quelle
programmate sono 60 per un totale di 116 strutture. Le strutture esistenti sono al momento riferimento per una popolazione superiore
alle 800.000 persone, pari a un
quinto della popolazione regionale.
Per realizzare compiutamente i
contenuti assistenziali propri della
CdS, stiamo sviluppando sinergie e
modalità di approccio ai problemi
di salute che coinvolgano, nell’ambito di una comunità locale, le reti
del sistema sociale, del terzo settore e delle organizzazioni dei cittadini, in quanto l’efficacia degli interventi potrà essere garantita da
una governance inclusiva di tutte le
risorse. Occorre, inoltre, sviluppare nella CdS gli aspetti che riguardano l’accoglienza e l’orientamento ai servizi e la modalità di lavoro
in team interprofessionali, al fine di
rendere stabili quelle modalità di
integrazione che facilitano l’accesso ai servizi e la continuità dei pro-
cessi assistenziali, in modo che il
passaggio tra le diverse aree di intervento dei servizi sia preoccupazione dell’organizzazione e non delle persone e delle loro famiglie. Il
contesto unitario fornito dalla CdS
permette, infatti, un uso integrato di
competenze e di risorse professionali, al fine di attivare nei cittadini
processi di consapevolezza su scelte salutari e realizzare interventi
proattivi di prevenzione su gruppi
di popolazione omogenei per fattori di rischio legati all’età, a stili di vita
o a condizioni patologiche.
Lo sviluppo delle cure intermedie
Con l’obiettivo di perfezionare e
migliorare la capacità di risposta
dell’area dell’assistenza primaria, è
in corso una ridefinizione degli assetti assistenziali per intensità di
cura. Stiamo quindi definendo e
sviluppando l’area delle cure intermedie. Le cure intermedie sono
costituite da un’area di servizi integrati, sanitari e sociali, residenziali e domiciliari, erogati nel contesto
dell’assistenza primaria, che hanno
l’obiettivo primario di massimizzare il recupero dell’autonomia e di
mantenere il paziente più prossimo possibile al proprio domicilio.
I servizi sono erogati sulla base di
una valutazione multidimensionale
del paziente, che sostiene un piano
integrato e individualizzato di cura.
Le cure intermedie si occupano di
pazienti complessi e non autosufficienti o in alternativa al ricovero
ospedaliero, o come completamento di un percorso diagnosticoterapeutico-riabilitativo iniziato in
ospedale.
Gli Ospedali di Comunità
Gli Ospedali di Comunità (OsCo),
strutture intermedie residenziali
territoriali, sono finalizzati a ottenere specifici obiettivi sanitari, attraverso modelli assistenziali intermedi tra l’assistenza domiciliare e
l’ospedalizzazione, in particolari ti-
11
I QUADERNI DI ACCADEMIA
pologie di pazienti che prolungherebbero, senza particolari utilità, la
durata di un ricovero ospedaliero
o potrebbero essere trattate appropriatamente anche al di fuori
dell’ospedale, ma non a domicilio. I
pazienti eleggibili al ricovero in
OsCo sono riconducibili essenzialmente a due tipologie:
a. pazienti, prevalentemente anziani
provenienti da struttura ospedaliera, per acuti o riabilitativa, clinicamente dimissibili da ospedali
per acuti, ma non in condizioni di
poter essere adeguatamente assistiti al proprio domicilio;
b. pazienti fragili e/o cronici provenienti dal domicilio o dalle CRA,
per la presenza di una instabilità
clinica (ad es. riacutizzazione di
patologia cronica preesistente o
monitoraggio dell’introduzione
di presidi medici invasivi o nuovo
evento destabilizzante, ecc.).
La durata media della degenza attesa deve avere una durata limitata,
non superiore alle 6 settimane. Tra
gli obiettivi primari del ricovero,
deve essere posto anche l’empowerment di pazienti e caregivers, attraverso l’addestramento alla migliore
gestione possibile delle nuove condizioni cliniche e terapeutiche e al
riconoscimento precoce di eventuali sintomi di instabilità. L’assistenza all’interno degli OsCo è erogata
in moduli assistenziali di 20 postiletto a gestione infermieristica. L’assistenza medica negli OsCo è garantita dai MMG curanti dei
pazienti ricoverati o da altro personale medico individuato dall’Azienda Sanitaria, che si coordinano con
il personale infermieristico della
struttura. L’assistenza medica notturna e pre-festiva e festiva viene
garantita dal Servizio di Continuità
Assistenziale, salvo accordi locali.
Gli strumenti predittivi di rischio di
ospedalizzazione e di fragilità
La condizione di fragilità, che anticipa l’insorgenza di uno stato più
12
grave e irreversibile, dovrebbe essere individuata precocemente,
con strumenti di valutazione multidimensionali e fortemente predittivi, che integrino indicatori molteplici, sanitari, sociali e socio-sanitari.
È in fase di progettazione il Modello Predittivo Regionale di fragilità,
modello di analisi dei bisogni della
popolazione, finalizzato a riconoscere le condizioni potenziali di
fragilità, stratificato per le diverse
variabili (determinanti sociali, sanitarie, ecc.) e per orientare le azioni
più appropriate di intervento. Sono
già attive, in Regione, alcune esperienze pilota di sviluppo di Modelli
Predittivi di fragilità e di presa in
carico del cronico-fragile:
- AUSL di Parma, in collaborazione con l’ASSR\Jefferson University
sull’Indice di Rischio di Ospedalizzazione (RHO)
- Ausl di Bologna per il progetto
“Sostegno alla fragilità e prevenzione della non autosufficienza”
- Ausl di Ravenna “Epidemiologia
nominativa della fragilità”.
La CdS è luogo privilegiato per intervenire in modo proattivo sulla
fragilità, che meglio riesce a utilizzare le informazioni che verranno
dai Modelli Predittivi e per progettare strategie di interventi pesati
sulla base delle reali esigenze
dell’utente, tenuto conto delle risorse della comunità disponibili in
quello specifico territorio.
presenta l’operatore di riferimento
che si fa carico di identificare, valutare e monitorare il bisogno assistenziale della persona (DGR
427/2009). Gli ambulatori infermieristici per la gestione della cronicità
e gli Ospedali di Comunità rappresentano uno sviluppo strategico
del sistema delle cure territoriali,
dove si eroga medicina di iniziativa
rivolta a target specifici di cittadini,
in stretta connessione con MMG,
specialisti, assistenti sociali, associazioni di pazienti e di volontariato e
la rete dei servizi. In Emilia-Romagna sono stati previsti setting e attività (DGR 427/2009 e 291/2010)
per valorizzare gli apporti professionali e garantire risposte appropriate ai bisogni di assistenza infermieristica dei cittadini attraverso
l’uso di metodologie e strumenti di
pianificazione per obiettivi e la definizione di percorsi assistenziali
integrati. L’ambulatorio infermieristico è uno dei luoghi elettivi per il
supporto all’autocura e di educazione terapeutica del paziente e del
caregiver, per attività di prevenzione ed educazione alla salute e al
sostegno della partecipazione della
comunità. La necessità di avere
professionisti adeguatamente preparati ad affrontare nuove competenze richiederà l’istituzione di
percorsi formativi dedicati, come
ad esempio per la gestione della
cronicità e fragilità.
La valorizzazione del ruolo degli
infermieri nelle cure territoriali
Il processo di riqualificazione
dell’assistenza territoriale necessita di scelte organizzative che definiscano con precisione le competenze e i ruoli professionali, con la
finalità di fornire al cittadino la risposta più appropriata nel setting
assistenziale più adeguato. L’infermiere è figura indispensabile
dell’organizzazione territoriale per
la gestione dei soggetti affetti da
patologia cronica, in quanto rap-
Monitoraggio e valutazione della
qualità dell’assistenza erogata
In Emilia-Romagna, dal 2008 dopo
una fase sperimentale presso
l’AUSL di Parma durata circa due
anni, l’assessorato politiche per la
salute, fornisce ai NCP uno strumento, il Profilo di Cura, che utilizzando metodi epidemiologici, confronta, per ogni NCP, le pratiche
assistenziali sulla base di indicatori
di qualità del servizio offerto. I profili forniscono informazioni per valutare, in maniera retrospettiva, i
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
percorsi assistenziali intrapresi dai
pazienti e avviare percorsi di miglioramento. I Profili sono stati accolti e accettati dai MMG molto
positivamente. Lo strumento non
è infatti stato percepito come un
“controllo”, probabilmente anche
grazie alla scelta di non includere
dati di spesa, ma come uno strumento di supporto ai professionisti. Il Profilo rappresenta uno strumento di stimolo della discussione
tra professionisti e di promozione
del lavoro di gruppo all’interno del
NCP per migliorare l’accesso e la
qualità delle prestazioni e realizzare forme di assistenza specifica per
le patologie croniche.
In aggiunta alla elaborazione dei
Profili, la Regione ha attivato anche
un Osservatorio regionale sulle
cure primarie finalizzato a racco-
Febbraio 2014
gliere annualmente, mediante una
rilevazione on-line, una base di dati
funzionale all’analisi dell’evoluzione
dell’assistenza primaria e del ruolo
dei professionisti e delle loro forme
organizzative nella Regione EmiliaRomagna. L’Osservatorio favorisce
un processo di benchmarking interaziendale attraverso l’attivazione
di un confronto e discussione tra le
AUSL della Regione.
Bibliografia
1. World Health Organization 2013,
“The European health report 2012”:
http://www.euro.who.int/__data/
assets/pdf_file/0003/184161/TheEuropean-Health-Report-2012,FULL-REPORT-w-cover.pdf.
2. Starfield B. Primary care: An increasingly important contributor to ef-
fectiveness, equity, and efficiency of
health services. Sespas report 2012.
Gac Sanit 2012; 26 (Suppl 1): 20–26.
3.
Legge Regionale 2/2003, L.R.
27/2004, L.R. 29/2004, DGR
86/2006, DGR 2011/2007.
4. Rikkert MG, Parker SG, van Eijken
MI. What is intermediate care? BMJ
2004; 329: 360–361.
- Intermediate Care Review Project,
2013, South Kent Coast Clinical
Commissioning Group.
- Garasen H, Windspoll R, Johnsen R
“Intermediate care at a community
hospital as an alternative to prolonged general hospital care for elderly
patients: a randomized controlled
trial”, BMC Public Health, 2007; 7: 68.
- Maximising Recovery, Promoting Independence: An Intermediate Care
Framework for Scotland Monday,
2012;ISBN: 9781780458991.
13
I QUADERNI DI ACCADEMIA
LE ESPERIENZE REGIONALI
Cure primarie H24: il quadro nel Veneto
di M. Cristina Ghiotto *
L
-
a progressiva cronicizzazione delle malattie ha
messo in luce la necessità
di ripensare l’assistenza
primaria, evidenziando:
territorio un punto di riferi-
il monitoraggio della relazione
diagnostica-terapeutica con il
paziente, spesso frammentata
tra competenze specialistiche
diverse;
- la necessità di garantire un monitoraggio continuo nel territorio e l’integrazione funzionale
tra la realtà ospedaliera e quella
territoriale, tra la dimensione
sanitaria e quella sociale.
In Veneto si è assistito a una progressiva diffusione delle forme associative della medicina di famiglia,
sviluppo che ha assunto nel corso
del tempo connotati ben precisi:
- il quadriennio 2001–2004 si è
caratterizzato per uno sviluppo
“spontaneo” delle forme associative monocomponenti (ovvero tra medici di famiglia);
- il quadriennio 2005–2008 ha
assistito, invece, alla attivazione
di forme più complesse sebbene in via sperimentale, quali le
Unità Territoriali di Assistenza
Primaria (cosiddette UTAP)
con prevalenza della componente della medicina di famiglia
ma con il coinvolgimento, via via
stata rilevata l’importanza di
Il concetto di continuità,
articolato nelle tre
dimensioni di continuità
informativa, continuità
gestionale, continuità
relazionale, è stato
assunto già dal 2004
come obiettivo
prioritario della Regione
per migliorare la qualità
dell’assistenza offerta
più rilevante, della componente
infermieristica, dei collaboratori
di studio e degli specialisti ambulatoriali interni, avviando un
obiettivi di salute da perseguire;
- il quadriennio 2009–2012 ha sediffusione spontanea e/o sperimentale di forme associative,
più o meno evolute, a uno sviluppo programmato, avviando
ne sul territorio e prevedendo
sempre più un coinvolgimento
multiprofessionale. Alle Aziende
ULSS è stata, infatti, richiesta
una prima elaborazione di piani
aziendali per il potenziamento dell’assistenza primaria, con
aggiornamenti in progress ed è
di salute, da misurare con opportuni indicatori.
Tuttavia, pur avendo assistito al
progressivo diffondersi delle forme
associative e in particolare delle
medicine di gruppo e delle UTAP,
rimane ancora limitata l’esperienza di esercitare la professione del
medico di famiglia in équipe ovvero attraverso una reale attività in
team. Questa, infatti, rappresenta
la modalità di lavoro atta a:
- garantire, attraverso l’interdisciplinarietà e la multiprofessionalità, il coordinamento clinico,
assistenziale ed educativo necessario per affrontare i bisogni
di salute nella loro globalità;
medico e paziente che si esplipercorso di cura, nella condivisione degli obiettivi di salute e
delle azioni, dei ruoli e delle responsabilità per raggiungerli;
- sostenere e implementare sistemi di cure integrati per superare la frammentazione dei servizi
e delle prestazioni, in una logica
di integrazione tra ospedale e
territorio, tra sanitario e sociale, attraverso la realizzazione di
percorsi assistenziali integrati.
Parallelamente in Veneto è andata
via via accrescendosi l’importanza
attribuita all’integrazione tra ospe-
* Dirigente Unità Complessa Assistenza Distrettuale e Cure Primarie, Regione Veneto
14
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
dale e territorio al fine di garantire
la continuità dell’assistenza, prevedendo da un lato l’istituzione di
Dipartimenti funzionali ospedaleterritorio, dall’altro diffondendo
la necessità di definire percorsi
diagnostico-terapeutici assistenziali condivisi per rendere sempre
più cogente detta integrazione. Le
dimissioni protette si sono confermate l’ambito privilegiato in
cui l’integrazione è venuta a realizzarsi; la definizione di obiettivi
trasversali sul budget dell’ospedale
e sul budget del territorio ha supportato invece gli aspetti gestionali
(es. uso delle risorse, volumi di attività, efficienza, ecc.).
Il concetto di continuità, articolato
nelle tre dimensioni di continuità
informativa, continuità gestionale,
continuità relazionale, è stato assunto già dal 2004 come obiettivo
prioritario della Regione per migliorare la qualità dell’assistenza offerta.
Infatti l’esperienza sviluppata in
Veneto
nell’ultimo
decennio
può essere riletta secondo le dimensioni-chiave della continuità
dell’assistenza, ovvero:
-relativamente alla continuità
informativa, che presuppone la
conoscenza del paziente e una
efficace/efficiente trasferibilità
delle informazioni, si sono avviati processi di costruzione di
flussi informativi strutturati, di
sistemi informativi integrati tra
le varie componenti aziendali/
regionali, potenziando la capacità di “rendicontazione” quale
supporto delle metodiche di
audit clinici e organizzativi;
- con riferimento alla continuità
gestionale, che presuppone la
condivisione di obiettivi e procedure oltre che la capacità di
co-gestione dei casi, sono stati
avviati processi di definizione di
percorsi diagnostico-terapeutici
assistenziali, promuovendo l’organizzazione in team multiprofes-
Febbraio 2014
sionali, sviluppando figure perno
per l’assistenza (es. case manager);
- per quanto concerne la continuità relazionale, che si fonda
sulla stabilità della relazione e
sul concetto di “affiliazione”, si è
valorizzato il rapporto di fiducia
tra paziente-medico, implementando sistemi di “contattabilità”
del medico di famiglia nell’arco
delle 12h e promuovendo metodi di partecipazione del paziente
al proprio percorso di cura.
È però con il nuovo Piano SocioSanitario Regionale 2012–2016
(recepito con LR n.23/2012) che
viene delineata la cornice per lo
sviluppo delle cure primarie nel
Veneto, introducendo il concetto
di “filiera dell’assistenza” per rappresentare l’articolazione di strutture che concorrono con gradualità a rispondere ai bisogni di cura,
tutelando ciascuna fase del percorso di presa in carico della persona (Figura 1). Si tratta di favorire
una visione unitaria della persona
che deve trovare corrispondenza
in una organizzazione che ragioni
e dialoghi verso un percorso di
presa in carico convergente, verso
obiettivi condivisi e costruito per
tappe complementari. Ciò richie-
Figura 1 - Percorsi assistenziali e filiera dell’assistenza
Assumere un approccio per processo assistenziale
significa raggiungere i bisogni ovunque si manifestino
Domicilio
Ospedale
Assistenza primaria
Strutture
residenziali
Cure palliative
Assistenza specialistica
Strutture
di ricovero
intermedie
(H di Comunità,
Hospice e URT)
Cure domiciliari
Bisogni di assistenza
DISTRETTO:
la filiera dell’assistenza
Assistenza primaria
Assistenza specialistica
Cure domiciliari
Cure palliative
Assistenza residenziale (Centri di servizio)
Assistenza in strutture di ricovero intermedie
OBIETTIVI:
• Garantire un riferimento
certo per il rilancio
• Dare una risposta H24 7 gg su 7
• Realizzare una presa in carico
integrata e coordinata
• Garantire la continuità dell’assistenza
• Perseguire l’uniformità assistenziale
e l’equità nell’accesso ai servizi
Esiti sulla salute
15
I QUADERNI DI ACCADEMIA
de la messa a punto di strumenti a
supporto della continuità di cura e
che divengano essi stessi elemento
di continuità nell’organizzazione.
In termini operativi il nuovo quadro programmatorio prevede l’implementazione in modo diffuso, su
tutto il territorio regionale, delle
Medicine di Gruppo Integrate, forme associative più evolute, esito del
perfezionamento e consolidamento dei processi di sperimentazione
avviati nel corso degli anni. Si tratta cioè di radicare stabilmente un
modello organizzativo che propone
una rimodulazione dell’offerta assistenziale non solo in termini di accessibilità (ampliamento degli orari
di apertura degli studi medici), ma
anche rispetto al conseguimento di
specifici obiettivi di salute.
Nella gestione integrata della cronicità il medico/pediatra di famiglia
rappresenta il principale referente
e corresponsabile della presa in
carico, in grado di svolgere la funzione di accompagnamento dei pazienti, con l’obiettivo di conseguire
la migliore adesione ai percorsi assistenziali, nel pieno coinvolgimento dei pazienti stessi. Questo approccio presuppone una medicina
di famiglia organizzata e coadiuvata
da personale infermieristico, personale di supporto e amministrativo, una collaborazione funzionale con gli specialisti territoriali e
ospedalieri, la messa a punto di un
sistema informativo integrato.
Più in dettaglio, nel modello veneto, le Medicine di Gruppo Integrate
sono team multiprofessionali, costituite da medici e pediatri di famiglia,
specialisti, medici della continuità
assistenziale, infermieri, collaboratori di studio e assistenti sociali, che:
- erogano un’assistenza globale,
cioè dalla prevenzione alla palliazione, continua, equa e centrata sulla persona;
- assicurano un’assistenza H24, 7
gg su 7;
-sono parti fondamentali ed
16
essenziali del Distretto sociosanitario e assumono responsabilità verso la salute della Comunità.
L’aggettivo “integrate” vuole porre
l’enfasi su più orizzonti di senso,
ossia:
- confermare la bontà del modello integrato socio-sanitario quale peculiarità del sistema veneto;
-ribadire che l’integrazione è
elemento indispensabile per garantire la presa in carico globale
della persona;
- affermare che il modello organizzativo-funzionale deve essere
caratterizzato dalla multiprofessionalità;
- riconoscere che questo modello organizzativo è integrato nel
Distretto socio-sanitario;
- valorizzare la necessità di integrare e coinvolgere tutte le risorse della Comunità.
È opportuno sottolineare, in particolare, come uno degli elementi
di criticità del sistema sia rappresentato dalla difficoltà di inserire il
medico di continuità assistenziale
in attività effettivamente “in continuità e coerenza” con i processi
clinico-assistenziali. Questo aspetto richiede un maggiore coinvolgimento dei medici di continuità
assistenziale nelle attività diurne
finalizzato a realizzare un modello
di presa in carico H24 dei bisogni
per una popolazione di riferimento (che potrebbe essere quella di
una Medicina di Gruppo Integrata
o più efficientemente di una Aggregazione Funzionale Territoriale). In
ogni caso, ciò impone di superare
vincoli organizzativi e formativi
ossia legati alle competenze specifiche. Infatti l’obiettivo dichiarato
e condiviso dell’H24, 7gg/7 non
risiede soltanto nella garanzia di
una copertura oraria, ma anche
nell’intensità assistenziale con cui
vengono garantiti servizi, prestazioni e risposte. Già oggi la conti-
nuità assistenziale garantisce una
copertura oraria complementare
alla medicina di famiglia, ma i bisogni dei pazienti, specie se multiproblematici e complessi, necessitano
di una presa in carico globale e
continuativa nelle 24 ore. Va quindi potenziato il collegamento tra i
diversi professionisti che operano
in uno stesso territorio, per uno
stesso bacino di popolazione, professionisti che oggi paiono lavorare
in contesti attigui ma paralleli, che
forse in alcune realtà organizzativamente più evolute, sono connessi da un sistema informatico per lo
scambio di dati e informazioni ma
di rado hanno aree di attività in comune, di incontro e di confronto.
Per questo la costituzione dei
team deve avere come obiettivo
quello di assicurare una presa in
carico del paziente nel suo contesto di vita (qualsiasi questo sia), in
modo continuativo sia dal punto di
vista professionale sia temporale.
Considerato che l’organizzazione
delle cure primarie e la conseguente offerta di servizi e prestazioni
sanitarie e socio-sanitarie condiziona gli esiti di salute, il consumo
appropriato di risorse e il grado di
soddisfazione dei cittadini, è indispensabile utilizzare strumenti, approcci e modelli organizzativi per
implementare il governo clinico
nelle cure primarie, tenendo conto
di peculiarità e criticità dell’assistenza territoriale. Ciò richiede:
- di rafforzare la struttura distrettuale con particolare riferimento alla sua dimensione organizzativa e alla sua dimensione
clinico-assistenziale, privilegiando da un lato un’organizzazione trasversale e dall’altro un
approccio fondato su percorsi
assistenziali;
- reinterpretare il ruolo del medico di famiglia quale responsabile
della salute dell’assistito in tutti
i contesti di vita (domiciliare,
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
residenziale in struttura protetta o ambulatoriale). I servizi distrettuali in questa logica sono
funzionali a garantire la risposta
migliore ai bisogni di salute in
stretta sinergia con il medico di
famiglia;
- adottare un approccio di lavoro per percorsi assistenziali che
rappresentano lo strumento
più efficace per affrontare la
cronicità in quanto consentono
di mantenere una visione complessiva del problema (dalla prevenzione, alla diagnosi, alla cura
e riabilitazione), con la finalità di
verificare e monitorare i risultati conseguiti e ottimizzando
l’impiego delle risorse in modo
equo e trasparente.
In sintesi: l’organizzazione distret-
Febbraio 2014
tuale in questa visione diventa funzionale a semplificare i percorsi
degli assistiti e renderli più efficaci.
Azioni e fatti concreti per dare
operatività all’investimento sul territorio diventano allora:
- organizzare i servizi secondo
una visione di filiera dell’assistenza, individuando le risorse
appropriate per ciascuna fase
del percorso assistenziale;
- conoscere gli assistiti e saperli
stratificare sulla base della complessità;
- potenziare i sistemi informativi
e i sistemi di valutazione della
performance, in termini di qualità, equità e appropriatezza, al
fine di misurare e rendicontare
periodicamente sui processi e
sui risultati conseguiti anche in
termini di salute, quali strumenti a supporto del miglioramento
e delle attività di programmazione strategica;
- investire sulla formazione, quale
leva del cambiamento, una formazione continua e sul campo,
adeguata in tema di organizzazione, di gestione e di progettualità.
Il modello veneto, capitalizzando quindi l’esperienza prodotta
nell’ultimo decennio, si avvia a
costruire un territorio “di e per
tutti” ovvero in grado di essere
effettivamente punto di riferimento per l’assistito, implementando
modalità di lavoro condivise e funzionali alla continuità della presa in
carico, punto cardine della filiera
dell’assistenza territoriale.
17
I QUADERNI DI ACCADEMIA
LE ESPERIENZE REGIONALI
Le cure primarie nella Regione Toscana
di Andrea Vannucci *, Paolo Francesconi **
I mutamenti del Sistema
Sanitario toscano
I modelli culturali e organizzativi della sanità pubblica stanno diventando
inadeguati nei confronti dei cambiamenti profondi della società e a fronte del mutato quadro economico.
La Toscana possiede un sistema
sanitario che viene, a ragione, reputato avanzato. Gli indici di salute, la mortalità per le principali
cause, gli indicatori di esito sono
stati in costante miglioramento
negli ultimi due decenni, ma anche
qui i modelli di tutela della salute
ed erogazione dei servizi, se pur
ripetutamente razionalizzati, riorganizzati, territorializzati, non saranno più adeguati se non ci sarà
la capacità di mutarli.
La sanità toscana si è trovata a far
fronte a una riduzione consistente
ziaria proprio quando il bisogno
socio-sanitario della popolazioè generare più “valore” per la
popolazione con le risorse di cui
disporremo. Senza un pensiero
costruire accettabili condizioni
di equilibrio tra diritti e risorse,
medicina e sanità, modelli e organizzazioni, domanda e offerta,
conoscenze e prassi.
La Delibera della Giunta Regionale Toscana 754 del 10 agosto 2012
“Azioni d’indirizzo alle Aziende e
La Casa della Salute
(CDS) è il nuovo modello
per la sanità territoriale
toscana. I cittadini possono
avere un presidio
territoriale integrato e
organizzato per la presa
in carico della domanda
di salute e di cura e
che garantisce i livelli
essenziali di assistenza
socio-sanitaria
agli altri Enti del SSR attuative del
DL 95/2012 e azioni di riordino
dei servizi del Sistema Sanitario
Regionale” è nata dalla consapevolezza della necessità di questo
profondo cambiamento e quindi
di interventi strutturali in tempi
ria del Sistema Sanitario e la sua
salvaguardia, ma, al tempo stesso,
studiati per non compromettere
le prospettive di lungo periodo. Il
cambiamento riformatore necessario per rinnovare il sistema sanitario regionale e per assicurare
ai cittadini i loro diritti costituzionali è costruito sulla coerenza tra i
vari interventi e ha come obiettivi:
- lo sviluppo dell’intero sistema
e non una somma di interventi
nali e organizzativi aziendali;
- la ricerca dell’appropriatezza
delle prestazioni e un incentivazione a produrre quelle a più alto
valore per la salute dei cittadini;
- la sistematica azione di corre- la stretta interconnessione delle cure, nei vari contesti dove
esse vengono erogate: gli ospedali, il territorio, le strutture
residenziali;
- la riorganizzazione delle attività di prevenzione individuale e
collettiva;
- il cambiamento strutturale di
quei servizi di supporto ad alto
valore aggiunto (le centrali 118, i
i processi di gestione dei farmaci,
dei dispositivi medici, così come
degli altri beni e servizi);
- un sistema di gestione tecnologica dell’informazione e della
comunicazione unico, unitario
e condiviso.
L’evoluzione delle cure
primarie
Se, come sta accadendo, i bisogni
di salute dei cittadini toscani sono
più numerosi e più complessi è
perché, secondo i più recenti dati
ISTAT, la frequenza complessiva
delle patologie croniche tende a
diminuire soltanto leggermente
mentre la popolazione continua
* Coordinatore Osservatorio qualità ed equità, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana (ARS)
** Responsabile Settore Sanitario dell’Osservatorio di Epidemiologia, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana (ARS)
18
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
a invecchiare in modo consistente
(oggi i cittadini toscani con più di
75 anni sono circa 460 mila, supereranno il mezzo milione entro 6
o 7 anni). L’insieme di questi fattori rende sempre più necessaria, al
fianco di servizi ospedalieri organizzati per rispondere agli eventi
acuti, l’attuazione di un sistema di
cure primarie che risponde a una
domanda sempre più complessa e
in continua crescita.
I territori, organizzati in Toscana
in 34 zone-distretto, già adesso
provvedono, con la rete dei loro
servizi sanitari e sociali, a fornire
risposte sostanzialmente appropriate e graduate in rapporto al
bisogno. Tuttavia in una fase così
dinamica di crescita e, soprattutto,
di mutamento dei bisogni sanitari è
indispensabile un intervento di riorganizzazione delle risposte territoriali, volto a favorire l’integrazione dei servizi in sedi nelle quali
sia possibile offrire una risposta
multi-professionale e continuata
consistente. È necessario rivedere
il bilanciamento tra cure ospedaliere e territoriali, grazie allo spiegamento e all’interconnessione di
risorse fisiche e professionali.
La distribuzione dell’offerta dei
servizi sul territorio in Toscana ha
svolto un ruolo storico importante, ma adesso deve tener conto sia
dei cambiamenti socio-economici
sia di quelli della medicina. L’ancor permanente dicotomia organizzativa tra ospedale-territorio
è però in corso di superamento,
sostituita da una comune visione
delle varie tappe che costituiscono il percorso clinico di cura di un
paziente perché il cambiamento
demografico e la nuova epidemiologia delle malattie cronicodegenerative hanno reso manifestamente inadeguate le logiche di
cura basate sugli interventi sui singoli eventi, aprendo all’idea e alla
prassi dei percorsi diagnostici-te-
Febbraio 2014
rapeutici-assistenziali/riabilitativi,
in cui le varie tappe, dal territorio
all’ospedale e viceversa, sono snodi fluidi e integrati del sistema e
non “isole” difficili da raggiungere
e da cui ripartire.
Non è sensato programmare e
pianificare cure primarie e servizi
territoriali, se non connessi a un
modello coerente di rete ospedaliera e di servizi residenziali,
quali quelli destinati alle cure intermedie e a quelle riabilitative.
Così come non è possibile alcuna
prassi senza conoscenze cliniche
ed esperienze assistenziali comuni o, perlomeno, reciprocamente
note. L’assenza di ciò costituirebbe un fattore limitante l’utilizzo
delle migliori opportunità per i
pazienti e per chi li deve assistere.
Da qui la necessità d’incoraggiare
il lavoro di team con strumenti
culturali, tecnologie e meccanismi
finanziari adeguati per ottenere la
cooperazione tra professionisti
delle UCCP operanti nelle Case
della Salute e quelli degli ospedali;
la condivisione tra loro di protocolli clinico-terapeutici e assistenziali/riabilitativi e la comunicazione pianificata tra ospedale e Case
della Salute-UCCP.
L’organizzazione di tutta l’assistenza per i cittadini con malattie
croniche si orienta in Toscana alla
“medicina d’iniziativa”, basata sul
chronic care model. L’obiettivo è di
arrivare a una copertura del 100%
degli assistibili in Toscana entro
i prossimi due anni. Un modello
di assistenza da non perdere neanche durante gli eventuali passaggi in ospedale, se riusciamo a
sviluppare bene un’integrazione
delle competenze delle varie professionalità che, pur specializzate
in attività diverse (cure intensive,
progressive e riabilitative) e operanti in sedi diverse, possono costituire un team che attua un’assistenza centrata sul paziente e sui
suoi specifici, talvolta complessi
ma sempre interconnessi, bisogni
sanitari e sociali.
Fin dal 1978, con la legge istitutiva
del SSN, si prevedeva di articolare le Unità Sanitarie Locali in Distretti e in queste aree programmare il livello dei servizi sanitari e
sociali di base, un obiettivo però
ancora oggi scarsamente raggiunto e poco consolidato.
Le esigenze di programmazione
nel Distretto socio-sanitario e
l’applicazione del Decreto Legge
158/2012, poi approvato dal Parlamento, e dell’Accordo Integrativo Regionale per la Medicina Generale richiedono di superare il
concetto indifferenziato dell’area
distrettuale e di procedere a una
sua suddivisione in aree di distribuzione dei servizi territoriali che
preveda sul territorio sedi dove
vengano erogati servizi a valenza
comunale (le Case della Salute),
intercomunale e aziendale.
Questo modello organizzativo evita la dispersione di risorse finanziarie e professionali, garantendo ai
cittadini, in modo uniforme, i livelli
essenziali delle prestazioni preventive, curative e riabilitative.
I criteri adottati in Toscana, come
guida per la rimodulazione dei
servizi territoriali, sono la definizione dei livelli di assistenza da
garantire nei territori, in base alla
loro popolazione residente, alla
conformazione geografica, alla
dislocazione storica dei servizi
con l’indicazione dei tempi di realizzazione. Si mantiene inalterata
l’offerta complessiva ma al tempo
si ricerca una riduzione dei costi
favorendo, attraverso le nuove
forme di erogazione del servizio
previste dall’Accordo Integrativo
Regionale della Medicina Generale (Aggregazioni Funzionali Territoriali e Case della Salute), una
governance clinica che consente un
uso più appropriato delle risorse.
19
I QUADERNI DI ACCADEMIA
Il nuovo modello affronta una
sfida molteplice: passare dalla
semplice erogazione dei servizi a
una presa in carico effettiva dei
bisogni socio-sanitari, facilitando
l’accesso dei cittadini ai servizi
territoriali; sviluppare l’approccio
proattivo e tempestivo nell’assistenza ai malati cronici; razionalizzare la tipologia dei servizi offerti
dall’Azienda Sanitaria; potenziare
l’integrazione e lo sviluppo innovativo dei ruoli dei professionisti
sanitari nella rete dei servizi sociali e sanitari. Tutto ciò con il
coinvolgimento dei MMG e dei
pediatri di famiglia nell’organizzazione dei servizi sanitari territoriali, con una responsabilità diretta nella gestione e nel possesso di
strumenti di comunicazione fra
ospedale e territorio, per garantire la continuità di assistenza, soprattutto per i malati cronici.
Dai Presidi Territoriali
Integrati alle Case della
Salute
Il Presidio Territoriale Integrato
(PTI) è la struttura socio-sanitaria
nella quale molti professionisti,
tra loro integrati, erogano prestazioni di salute alla popolazione.
L’Unità Complessa di Cure Primarie (UCCP) è “l’aggregazione
strutturale
multi-professionale
di cui fanno parte i medici di medicina generale insieme ad altri
operatori del territorio, sanitari,
sociali e amministrativi che opera, nell’ambito dell’organizzazione
distrettuale, in sede unica o con
una sede di riferimento” (DGRT
1231/2012 – AIR MMG).
In particolare possono essere ricompresi in tale definizione i presidi territoriali che erogano prestazioni ai cittadini e che, nell’arco di
una settimana “tipo”, ospitano le
seguenti tipologie di professionisti:
- MMG (con eventuale presenza
di pediatri di famiglia)
20
- medici di alcune specialità (fisicamente presenti o in teleconsulto)
- infermieri (siano essi dipendenti da AUSL o da altro datore di
lavoro)
- personale amministrativo (siano dipendenti da AUSL o da
altro datore di lavoro)
- assistenti sociali e/o operatori
socio-sanitari (siano essi dipendenti AUSL, comunali o in cooperativa, ecc.).
La Casa della Salute (CDS) è il
nuovo modello per la sanità territoriale toscana. I cittadini possono avere un presidio territoriale integrato e organizzato per
la presa in carico della domanda
di salute e di cura e che garantisce i livelli essenziali di assistenza
socio-sanitaria (DGR 625/2010).
La CDS si identifica con l’UCCP
citata nel Decreto Balduzzi del
2012. È un edificio o porzione di
esso che ospita un insieme poliprofessionale, il cui formato base
è costituito da almeno MMG, infermieri, amministrativi, specialisti (o servizio di telemedicina
specialistica, es.: tele ECG) e personale sociale (assistente sociale
o operatore socio-sanitario). La
CDS diventa l’unità di base della
produzione socio-sanitaria nel
territorio.
Al 3/12/2012 è stata condotta
un’indagine in Toscana per verificare quali PTI, esistenti e funzionanti, avessero le caratteristiche
per essere definiti UCCP e quindi
CDS.
Dei 54 PTI censiti, 11 ospitavano
un solo MMG e 7 due MMG e avevano una popolazione in media di
1522, pertanto non sono stati considerati, a differenza dei restanti
36, in possesso dei requisiti per
essere definiti quali UCCP/CDS.
Realizzare le AFT e le UCCP,
estendere progressivamente la
sanità d’iniziativa e il chronic care
model, contenere le liste di attesa: questi gli aspetti-chiave degli
accordi che l’assessore regionale
al Diritto alla Salute Luigi Marroni ha siglato con i rappresentanti
dei medici. Gli accordi toscani con
i medici di famiglia e con gli specialisti ambulatoriali convenzionati
sono stati i primi in Italia stipulati
dopo l’approvazione della legge
Balduzzi sulle cure primarie.
Il ruolo dei medici di
famiglia, le AFT e le UCCP
La Delibera di riorganizzazione
del Sistema Sanitario toscano
1231/2012 ha affidato un ruolo
fondamentale all’assistenza sul
territorio, coinvolgendo i MMG
e quelli di continuità assistenziale (guardie mediche) per essere
più vicini alla salute dei cittadini
ed evitare il ricorso improprio
all’ospedale. Dai medici di famiglia
toscani passerà un pezzo importante della razionalizzazione del
SSR. Si impegneranno sul terreno
dell’appropriatezza, sia nell’area
del farmaco sia in quella della diagnostica, con piena disponibilità a
collaborare sul fronte della ricetta
elettronica. Organizzandosi nelle AFT garantiranno l’erogazione
delle prestazioni mediche a livello territoriale come e meglio di
quanto oggi fatto dal medico singolo e coordineranno tra loro interventi e budget di spesa.
Ogni AFT avrà un medico coordinatore (eletto) che s’interfaccerà
con l’Azienda Sanitaria per il governo delle cure primarie sul territorio e i rapporti con l’ospedale.
Tra le mansioni vi è la contrattazione con l’Azienda degli obiettivi
di budget, intesa come la definizione degli obiettivi assistenziali
e delle risorse necessarie al loro
raggiungimento e la discussione
dello stesso all’interno dell’AFT.
In quest’ottica, la produzione di
una reportistica a supporto della
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
programmazione e del controllo
delle attività dell’AFT gioca un
ruolo importante. Sarà da ripensare profondamente il ruolo del
Distretto, sempre meno impegnato nell’erogazione diretta e sempre più nell’esercizio di un ruolo
di middle management. In tutta la
Toscana sono in fase di costituzione almeno 100 AFT. Ogni AFT
avrà un bacino di circa 30mila
abitanti e sarà costituita da circa 20–25 MMG e 5–6 medici di
continuità assistenziale. In alcune
AFT (una per ASL) si sperimenterà l’assistenza H16: i medici della
continuità assistenziale assicureranno l’assistenza fino alle ore 24
e il monte ore recuperato sarà
utilizzato in attività diurne.
I professionisti delle UCCP assicureranno una presenza quasi
continua nelle CDS, con un obiettivo prima di tutti: affrontare in
maniera integrata i problemi dei
malati cronici. Una sede unica
consente di offrire un luogo ri-
Febbraio 2014
conoscibile ai cittadini per le loro
necessità assistenziali. Anche parte della diagnostica sarà erogata
direttamente nelle UCCP: si potranno eseguire alcuni esami negli
studi medici e sarà potenziata l’attività di ecografia di primo livello.
Attualmente le UCCP sono poco
più di 30, ma entro un anno arriveranno a essere circa 50.
La sanità d’iniziativa e
la riduzione delle liste
d’attesa
La sanità d’iniziativa non aspetta il
cittadino in ambulatorio o, peggio,
in ospedale, ma gli “va incontro”
prima che le patologie insorgano o
si aggravino, puntando anche sulla
prevenzione e sull’educazione, basandosi sull’interazione proficua
tra il paziente (reso più informato
e attivo con opportuni interventi
di formazione e addestramento) e
il team multi-professionale di medici di famiglia, infermieri e ope-
ratori socio-sanitari. Tutti i MMG
dovranno aderire alla sanità d’iniziativa, prevista dagli accordi siglati recentemente. Quanto fatto
in via sperimentale fin dal 2010 e
parziale (il 40% della popolazione
toscana) andrà a regime per tutta
la popolazione toscana nei prossimi tre anni. Per i medici di famiglia
saranno fissati obiettivi precisi e
poi saranno pagati in base ai risultati ottenuti. Per ridurre le liste di
attesa della medicina specialistica,
l’accordo prevede anche l’aumento delle prestazioni erogate, con
un numero di ore aggiuntive di
attività specialistica programmata:
in caso di superamento dei tempi d’attesa le Aziende potranno
dunque avere a disposizione un
pacchetto aggiuntivo di ore. Sono
inoltre previsti programmi di formazione/informazione, rivolti ai
medici prescrittori e cioè i medici
e i pediatri di famiglia, per migliorare l’appropriatezza delle loro
prestazioni.
21
I QUADERNI DI ACCADEMIA
L A GOVERNANCE
Il management delle direzioni aziendali
di Valerio Alberti *
D
a molti anni l’OMS
ha individuato nello
sviluppo
dell’assistenza primaria la
strategia più importante nell’evoluzione dei servizi
sanitari.
La rilevanza di questo orientamento trova particolare motivazione in due grandi problemi di
sanità pubblica:
a. la crescente prevalenza all’interno della comunità di soggetti
affetti da patologie cronico-degenerative con il conseguente
forte impatto assistenziale e la
necessità di una loro presa in
carico; tale situazione appare
sempre più rilevante anche alla
luce del progressivo indebolimento delle reti informali di
sostegno (famiglia, nucleo parentale);
b. la necessità di sviluppare incisive politiche di prevenzione/
promozione della salute in
tempo conseguentemente lo
stato di salute della popolazione assistita.
I due grandi temi sopra riportati
sono presenti in tutte le programmazioni centrali, regionali ma anche aziendali, a testimoniare la
piena consapevolezza della loro
portata strategica sulle politiche
di sanità pubblica.
A fronte di ciò, un’assistenza territoriale così concepita ed evocata stenta a decollare nonostante il
L’assistenza territoriale
richiede di intervenire
su una molteplicità
di dimensioni,
quali una maggiore
strutturazione
dei processi di
assistenza e degli
assetti organizzativi e
una governance
sistemica
realizzarsi di due condizioni quali:
- l’indubbia crescita di servizi
anche di elevata intensità assistenziale presenti in molte
anni fa impensabili (su questo si
osserva che notevole è la differenza nella qualità di questi
servizi tra Regioni diverse e
anche all’interno di una stessa
Regione);
zione della spesa sanitaria con
menti dal livello ospedaliero a
quello territoriale.
dei compiti auspicati, l’assistenza
territoriale richiede di intervenire
su una molteplicità di dimensioni,
quali una maggiore strutturazione
dei processi di assistenza e degli
assetti organizzativi, una governance sistemica e l’adozione di modelruoli tradizionalmente svolti dalle
operano.
spensabile preliminarmente effettuare una lettura puntuale delle
caratteristiche della realtà che si
vuole governare.
La realtà territoriale diversamente da quella ospedaliera – più
strutturata, più compatta, più conosciuta e misurata – in virtù della
sua storia più antica e delle sue
caratteristiche, presenta alcune
peculiarità che rendono ragione
della complessità del suo governo.
sono costituiti da:
1. la molteplicità dei suoi interlocutori: personale dipendente,
personale convenzionato, terzo settore, comuni, ospedali.
Per quanto attiene, in particolare, il coordinamento dei
professionisti, aspetto questo
cessi di assistenza, minime sono
le leve di governo utilizzabili sia
per la dispersione degli stessi
sul territorio sia per la tipologia del rapporto con l’Azienda
convenzionati-dipendenti;
2. l’eterogeneità delle prestazioni;
3.
dei risultati;
* Presidente FIASO – Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere, Roma
22
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
4.la compresenza di un ruolo di
produzione diretta dei servizi
(in genere più consolidato) e di
un ruolo di committenza (centri di servizio, privato sociale
e accreditato, ambito sociosanitario) in genere molto più
debole;
5.gli elevati livelli di interdipendenza organizzativa tra più servizi o soggetti per la gestione
del processo di assistenza;
6.la non garanzia che la qualità
della singola prestazione garantisca il risultato, essendo questo
molto spesso legato all’intero
percorso di cura del paziente,
con l’interazione di professionisti e strutture diverse.
Tutto questo rende ragione della
inadeguatezza dei tradizionali approcci di programmazione e controllo e della necessità di una loro
evoluzione specifica per la realtà
territoriale capace di cogliere
maggiormente l’insieme di queste
dimensioni.
Tra la molteplicità degli interlocutori che operano nel territorio,
riflessione specifica va dedicata al
ruolo dei MMG, la figura chiave
che agisce nell’ambito della comunità. La loro organizzazione
struttura/funzionale, nell’ambito
di un disegno sistemico, è decisiva per dare sufficiente forza al
loro operare nell’applicazione dei
modelli di medicina di iniziativa e
nel loro essere riferimento per la
Febbraio 2014
presa in carico del paziente cronico pluri-patologico. Importante,
a questo proposito, è lo sviluppo
di modalità nuove di aggregazione
come centri di responsabilità con
caratteristiche strutturate multiprofessionali (Case della Salute,
UTAP, medicina di gruppo integrata, AFT, ecc.).
Tutto ciò considerato, la molteplicità delle situazioni evidenziata
richiede un approccio multidimensionale che tocca ambiti molto diversi.
Molto schematicamente si evidenziano una serie di possibili interventi che dovrebbero trovare
un’applicazione per quanto possibile contestuale:
-strutturazione del sistema
territoriale attraverso l’aggregazione funzionale/strutturale
dei MMG e la valorizzazione
del ruolo del personale infermieristico nella rete dei servizi
territoriali;
- progettazione di PDTA (percorsi di assistenza) standard
per patologie croniche;
-aggiornamento/sviluppo degli
strumenti di management (ad
esempio programmazione e
controllo, sistema di budget);
- strutturazione del sistema informativo territoriale;
- strutturazione del sistema delle
relazioni con i diversi interlocutori interni ed esterni all’Azienda Sanitaria (personale dipen-
dente e convenzionato, comuni,
terzo settore, scuole, ecc.);
- misurazione dei risultati raggiunti per un governo economico e
clinico dei servizi territoriali (il
percorso avviato dall’Agenas
con il progetto “Esiti” e ad oggi
rivolto all’assistenza ospedaliera
dovrebbe estendersi alla dimensione territoriale);
- strutturazione degli interventi
di promozione della salute secondo logiche di azioni intersettoriali rispetto agli altri soggetti
della comunità (comuni, scuole,
forze sociali, associazioni, ecc.)
dove l’Azienda Sanitaria assuma
una funzione di regia;
-valorizzazione del Distretto
come protagonista del governo
del sistema territoriale.
Molti quindi sono i versanti e i
soggetti sui quali è indispensabile
agire contestualmente; su questo
piano oltre alla chiarezza di idee
sul dove si vuole arrivare, sarebbe
molto importante avviare interventi formativi che accompagnino
e facilitino queste trasformazioni
ma che dovrebbero essere concepiti non settorialmente, come
oggi spesso accade, ma dovrebbero invece coinvolgere simultaneamente i diversi soggetti che operano sul territorio (ad esempio
personale del distretto e MMG) al
fine di riprogettare da subito insieme l’assetto e il funzionamento
dei servizi.
23
I QUADERNI DI ACCADEMIA
L A GOVERNANCE
Gli indicatori di perfomance e di esito
di Fulvio Moirano *
L
e Regioni e le Province
Autonome, nel rispetto
delle indicazioni fornite dal Ministero della
Salute e in parte grazie
anche ai modelli organizzativi proposti da Agenas per le reti territoriali, ospedaliera e della emergenza-urgenza e la loro integrazione,
molto hanno fatto per armonizzare la risposta ai bisogni di salute
dei cittadini.
Tuttavia ad oggi, anche sulla base
di quanto emerge dall’indagine conoscitiva svolta dalla Commissione
Sanità del Senato, dalla consultazione dei Programmi operativi delle Regioni in Piano di rientro e dai
piani sanitari regionali, è evidente
vello di maturazione e sviluppo dei
sistemi organizzativi e gestionali
dei diversi ambiti di attività sanitaria: a fronte di un ormai pressoché
consolidato sistema di soccorso
sanitario di emergenza e urgenza
(118 e PS/DEA) vi è tuttora una
modalità organizzative del servizio di continuità assistenziale (ex
Guardia Medica) e una carente
integrazione tra i diversi settori
dell’assistenza primaria e dell’emergenza e urgenza e della interazione tra la rete territoriale e
quella ospedaliera.
In particolare, mentre i principi generali del riordino della rete ospedaliera sono ormai ben delineati e
la riorganizzazione di tale rete alla
luce dei parametri dell’emanan-
Nell’ambito del riordino
dei servizi assistenziali
territoriali e ospedalieri,
è necessario prevedere
la riorganizzazione
della continuità
assistenziale, al fine
di una sua corretta
interazione con il sistema
dell’emergenza/urgenza
(vedi progetti Agenas
MATRICE e PNE)
do Regolamento appare in via di
da realizzare nell’ambito dell’assistenza territoriale, soprattutto
territorio. Infatti, spesso, l’ospedale
e il Pronto Soccorso (PS) rappresentano i punti di riferimento cui
il cittadino si rivolge per trovare
risposte veloci ai propri bisogni di
salute, sia sotto la spinta della percezione di una maggiore tutela offerta da modelli assistenziali ad alta
tecnologia, sia, a volte, per l’assenda parte delle strutture territoriali,
ma più spesso per la scarsa conoscenza della esistenza delle stesse.
Tale ricorso inappropriato sarà
molto minore se il cittadino si
sente all’interno di una rete di assistenza primaria in grado di anticipare/intercettare il suo bisogno.
In una logica di integrazione tra i
vari livelli dell’assistenza sanitaria
che possa appropriatamente rispondere ai crescenti e nuovi bisogni espressi dalla popolazione in
particolare anche per la cronicità,
fornita dal sistema dell’assistenza
primaria e in particolare dalla Medicina Generale che rappresenta
una fondamentale interfaccia tra la
popolazione e il SSN.
Essa comprende l’assistenza erogata dai Medici di Medicina Generale (MMG), dai Pediatri di Libera
Scelta (PLS), dai Medici di Continuità Assistenziale (MCA), dagli
Specialisti eventualmente inseriti
nelle attività di assistenza primaria territoriali, nonché l’assistenza
sanitaria e socio-sanitaria territoriale (AD e ADI) e ambulatoriale
ne (area materno-infantile, anziani,
disabili, malati cronici, psichiatrici,
patologie da dipendenze).
In tale ambito sono coinvolte numein un approccio multidisciplinare
unitario con una visione di integrazione delle risorse e di coordinamento dei processi che consenta la
continuità delle cure al cittadino.
monico sviluppo del sistema di
continuità assistenziale, già l’Accordo Stato Regioni del 27/7/2011
ipotizza diversi modelli organiz-
* Direttore Generale Agenas – Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, Roma
24
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
zativi adattabili ai diversi contesti
territoriali: in generale prevede che
“allo scopo di rendere efficace e
sostenibile l’integrazione tra i servizi della continuità assistenziale e
del sistema di emergenza e urgenza sia indispensabile centralizzare
le chiamate di assistenza primaria
su un numero unico in grado di assicurare una presa in carico delle
richieste continuativa nelle 24 ore,
sul modello di quanto già avvenuto
per il 118”.
Tale centralizzazione dovrà tenere
conto delle iniziative in atto per
la realizzazione del numero unico
116117 (servizio di continuità assistenziale non urgente), finalizzate
ad armonizzare la situazione italiana con quella di altri Paesi europei.
Nell’ambito della riorganizzazione
dei servizi assistenziali territoriale
e ospedaliero, è necessario prevedere la riorganizzazione del servizio di continuità assistenziale, al
fine di una sua corretta interazione
con il sistema dell’emergenza/urgenza, anche alla luce del riordino
dell’assistenza primaria previsto
dalla Legge 189/2012 e le nuove
“Linee di indirizzo per la riorganizzazione del sistema di emergenza
urgenza in rapporto alla continuità
assistenziale” sancite dalla Conferenza Stato Regioni nella seduta
del 7 febbraio 2013 (Rep. Atti n.
36/CSR). Per conoscere meglio la
gestione della cronicità sul territorio in relazione all’utilizzo corretto
dei livelli di assistenza (LA) Agenas
ha sviluppato il progetto MATRICE
che rappresenta una prosecuzione
del Programma “Mattoni del Servizio Sanitario Nazionale”. Il progetto MATRICE ha come obiettivo generale quello di creare un
sistema, il sistema MATRICE, che
utilizza i flussi amministrativi esistenti per leggere come vengono
seguite/curate/assistite le persone
affette da alcune patologie croniche e complesse.
Febbraio 2014
Le patologie identificate, che sono
oggetto di studio, sono: diabete,
cardiopatia ischemica, ipertensione, scompenso cardiaco, demenza.
Il progetto mira a integrare le informazioni relative a tutte le prestazioni (ospedaliere, diagnostiche,
specialistiche, terapeutiche, ecc.).
Si tratta di ricavare informazioni
utili per intercettare indicazioni sui
percorsi diagnostico-terapeutico
assistenziali (PDTA) dei malati difficilmente desumibili dalla semplice
registrazione di un contatto di cura.
I database amministrativi vengono
riletti in senso longitudinale, associando a ogni paziente/assistibile la
successione dei suoi contatti. L’architettura informatica del sistema
MATRICE consiste nello sviluppo
di tre distinti software integrati tra
di loro, due dei quali da installare
presso gli ambiti territoriali partecipanti e uno funzionante a livello
centrale, installato presso l’Agenzia.
Il motore di integrazione dati TheMatrix è costruito per identificare
i malati oggetto di studio e i loro
PDTA, sulla base dei flussi amministrativi disponibili, per poi mettere
a confronto tali percorsi con percorsi assistenziali “ideali”, costruiti
sulla base delle raccomandazioni
internazionali e nazionali.
Il motore statistico Neo consentirà di tradurre i dati prodotti dal
software TheMatrix in informazioni
leggibili attraverso report, grafici,
tabelle ecc., da modulare sulla base
delle necessità espresse dagli ambiti territoriali coinvolti.
A livello centrale un software di
business intelligence, TheOracle,
riceverà dalle realtà locali i dati
aggregati e produrrà un report di
benchmarking.
Tale sistema potrebbe costituire un utile strumento di governo
clinico a più livelli: distrettuale,
aziendale, regionale, ministeriale,
permettendo di monitorare l’appropriatezza clinica e organizzativa
e di fornire un supporto alle attivi-
tà degli operatori volte a seguire la
best practice.
Le Regioni coinvolte sono: l’EmiliaRomagna, la Lombardia, la Puglia, la
Toscana e il Veneto.
Le principali linee di attività sono:
- definizione delle patologie per
stadi di ingravescenza e identificazione del percorso assistenziale. Le patologie oggetto
di studio sono state definite
clinicamente e stadiate e sono
stati identificati degli indicatori
di percorso assistenziale che
abbiano la caratteristica di essere presenti nelle linee guida e
nelle raccomandazioni nazionali
e internazionali maggiormente
accreditate e al contempo che
si tratti di contatti di cura rilevabili dai flussi amministrativi;
-validazione degli algoritmi di
definizione del caso prevalente
e degli indicatori di processo
utilizzati nella creazione del database MATRICE. I dati relativi
alle diagnosi e ai percorsi dei
pazienti di almeno cinque MMG
saranno incrociati con le informazioni desunte dai dati amministrativi dell’Azienda Sanitaria.
L’incrocio dei dati sarà relativo
a circa 35.000 pazienti assistiti dai 25 medici coinvolti, che
sono ritenuti quali gold standard
per le loro capacità non solo cliniche, ma anche di registrazione
dei dati. L’attività di validazione
è stata preceduta da un’attività
di verifica dei medici quali gold
standard che ha consentito di
confermare tale scelta. Si è proceduto a sottoporre all’attenzione dell’Autorità garante per
la riservatezza dei dati personali
il disegno dello studio e le misure di sicurezza poste a tutela dei
cittadini;
-sperimentazione del sistema
MATRICE negli ambiti locali.
A seguito dell’installazione dei
software TheMatrix e Neo in un
25
I QUADERNI DI ACCADEMIA
ambito territoriale da scegliere
tra Regione, Azienda Sanitaria e
singolo Distretto, si procederà a
valutare la coerenza dei risultati
attraverso un confronto tra il re-
port prodotto e i dati elaborati
e analizzati mediante altri sistemi
di lettura delle banche dati;
- creazione a livello centrale di
una serie di indicatori per fare
benchmarking tra i risultati emersi
attraverso l’utilizzo del sistema
MATRICE nelle realtà locali. La
Tabella 1 descrive appunto alcuni indicatori di processo.
Tabella 1 - Indicatori di processo
Patologia
Cardiopatia
ischemica
cronica
Diabete
mellito di
tipo 2
Ipertensione
arteriosa
Scompenso
cardiaco
26
Indicatori MATRICE
1.
% di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica con almeno una valutazione del profilo lipidico nell’anno.
2.
% di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica con una misurazione della glicemia o dell’emoglobina
glicata nell’anno.
3.
% di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica in trattamento con aspirina o terapia alternativa con
anticoagulanti o antiaggreganti.
4.
% di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica e con pregresso IMA in trattamento con beta-bloccanti.
5.
% di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica e con pregresso IMA in terapia con ACE-inibitori o sartanici.
6.
% di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica e con pregresso IMA in trattamento con statine.
7.
% di pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica con almeno un ECG all’anno.
8.
% di pazienti affetti da cardiopatia ischemica con un test ergometrico ogni 2 anni.
1.
% di pazienti classificati come diabete di tipo 2 che hanno eseguito almeno 2 test per il dosaggio
dell’emoglobina glicata nell’anno.
2.
% di pazienti classificati come diabete di tipo 2 con almeno una valutazione del profilo lipidico nell’anno.
3.
% di pazienti classificati come diabete di tipo 2 che hanno effettuato almeno un monitoraggio della
microalbuminuria nell’anno.
4.
% di pazienti classificati come diagnosi di diabete di tipo 2 con almeno un esame dell’occhio nell’anno.
5.
% di pazienti classificati come diagnosi di diabete di tipo 2 in trattamento con statine.
6.
% di pazienti classificati come diagnosi di diabete di tipo 2 che hanno effettuato un test del filtrato
glomerulare o della creatinina o clearance creatinina nell’anno.
7.
% di pazienti classificati come diagnosi di diabete di tipo 2 in trattamento con aspirina, non trattati con
anticoagulanti o antiaggreganti.
8.
% di pazienti in Guidelines Composite Index (GCI).
1.
% di pazienti con diagnosi di ipertensione arteriosa con almeno una misurazione della creatinina o clearance
creatinina nell’anno.
2.
% di pazienti con diagnosi di ipertensione arteriosa con almeno una misurazione del profilo lipidico
(colesterolo totale, HDL, LDL, trigliceridi) nell’anno.
3.
% di pazienti con almeno una valutazione ECG nell’anno.
4.
% di pazienti con almeno un monitoraggio della microalbuminuria nell’anno.
5.
% di pazienti con almeno una misurazione della glicemia o dell’emoglobina glicata nell’anno.
1.
% di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco con almeno un monitoraggio di creatinina o clearance
creatinina, Na e K nell’anno.
2.
% di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco con valutazione attraverso esame ecocardiografico ogni 2 anni.
3.
% di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco in trattamento con ACE-inibitori o sartanici.
4.
% di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco in trattamento con beta-bloccanti.
5.
% di pazienti con scompenso cardiaco in trattamento con diuretici con almeno un dosaggio degli elettroliti
(Na/K) negli ultimi 6 mesi.
6.
% di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco che hanno eseguito un 6 Minute Walking Test al follow-up.
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
Demenza
1.
% di pazienti con almeno una visita neurologica o geriatrica nell’ultimo anno.
2.
% di pazienti con almeno un esame memoria multi test nell’ultimo anno.
3.
% di pazienti con almeno i seguenti esami ematochimici (glicemia, creatinina, transaminasi ed elettroliti)
nell’ultimo anno.
4.
% di pazienti con almeno un ECG nell’ultimo anno.
5.
% di pazienti in terapia con neurolettici atipici (quetiapina, olanzapina, risperidone).
6.
% di pazienti in terapia con neurolettici tipici (aloperidolo, promazina).
7.
% di pazienti in trattamento con neurolettici a cui sono stati prescritti i neurolettici atipici.
8.
% di pazienti con diagnosi di demenza presi in carico in percorsi di assistenza domiciliare.
9.
% di pazienti con diagnosi di demenza presi in carico in percorsi di assistenza residenziale generica.
10. % di pazienti con diagnosi di demenza presi in carico in percorsi di assistenza residenziale con specifica per
demenza.
11. % di pazienti con diagnosi di demenza presi in carico in percorsi di assistenza semiresidenziale generica.
12. % di pazienti con diagnosi di demenza presi in carico in percorsi di assistenza semiresidenziale con specifica
per demenza.
Ma già oggi Agenas ha realizzato la
valutazione indiretta delle attività
territoriali attraverso il Programma Nazionale Esiti (PNE).
Il PNE ha fino ad oggi affrontato
prevalentemente la valutazione
delle attività di assistenza ospedaliera utilizzando esclusivamente
il sistema informativo SDO, interconnesso con l’anagrafe tributaria
per le verifiche di validità e di stato
in vita. Gli indicatori di PNE sono
analizzati sia dal punto di vista della
produzione di servizi, attribuendo
gli esiti alle strutture ospedaliere
che hanno effettuato gli interventi,
sia da quello della funzione di tutela e committenza, attribuendo
gli esiti alle popolazioni di ciascuna
area/ASL. Molti degli esiti dei servizi ospedalieri possono quindi essere interpretati anche in rapporto al funzionamento delle reti, dei
percorsi di continuità assistenziale,
delle cure primarie.
Alcuni degli indicatori sviluppati
e pubblicati da PNE sono soprattutto mirati a stimare gli esiti in
termini di cure ospedaliere ad alta
probabilità di inefficacia e inappropriatezza delle attività delle cure
primarie e territoriali (Tabella 2).
In questa prospettiva di valutazio-
Febbraio 2014
Tabella 2
Ospedalizzazione per ipertensione arteriosa
Ospedalizzazione per scompenso cardiaco
Ospedalizzazione per angina senza procedure
Ospedalizzazione per intervento di tonsillectomia
Ospedalizzazione per influenza
Ospedalizzazione per gastroenterite pediatrica
Ospedalizzazione per asma pediatrico
Ospedalizzazione per asma negli adulti
Ospedalizzazione per asma senile
Ospedalizzazione per diabete non controllato (senza complicanze)
Ospedalizzazione per complicanze del diabete
Ospedalizzazione per complicanze a breve termine del diabete
Ospedalizzazione per complicanze a lungo termine del diabete
Ospedalizzazione per amputazione degli arti inferiori nei pazienti diabetici
Ospedalizzazione per BPCO
Ospedalizzazione per colecistectomia in pazienti con calcolosi semplice senza cc.
Ospedalizzazione per interventi di stripping delle vene
Ospedalizzazione per infezioni del tratto urinario
Ospedalizzazione per prostatectomia trans uretrale per iperplasia benigna
Ospedalizzazione programmata per intervento di isterectomia
27
I QUADERNI DI ACCADEMIA
ne delle cure primarie e territoriali, utilizzando come esito ricoveri
ospedalieri ad alta probabilità di
inefficacia e inappropriatezza, ciascun indicatore deve essere interpretato e letto in rapporto alle caratteristiche specifiche di ciascuna
patologia/condizione e alle linee
guida cliniche ad esse correlate.
Le analisi di questi indicatori, già
pubblicate da PNE, hanno messo
in luce forti eterogeneità tra aree/
ASL interpretabili sia in termini di
diversa efficacia e appropriatezza
delle cure primarie e territoriali,
sia, molto spesso, come effetto di
eccessi inappropriati di offerta di
servizi ospedalieri.
A partire dalla nuova edizione
2014 PNE utilizzerà inoltre per le
valutazioni di esito, come già avviene in alcuni programmi regionali di valutazione, le informazioni, interconnesse con le SDO, dei
sistemi informativi di emergenza
e pronto soccorso. Questa nuova
disponibilità di informazioni, oltre
28
a migliorare la validità delle stime
degli esiti ospedalieri, consentirà di
misurare a livello di popolazione i
fenomeni di accesso inappropriato
ai sistemi di emergenza determinati da carenze delle cure primarie.
Ma il grande avanzamento delle
valutazioni di esito delle cure primarie e dei percorsi di continuità
assistenziale avverrà solamente
con la completa interconnessione
dei sistemi informativi del SSN, in
particolare quello della farmaceutica e dell’assistenza ambulatoriale. Purtroppo i provvedimenti di
attuazione dell’art. 15, comma 25
bis della legge 135/2012, tardano
ad essere adottati anche per alcune complessità interpretative della
normativa sulla privacy.
Tuttavia in alcune Regioni, dove
questa interconnessione è già stata
realizzata, sono stati sperimentati
e introdotti indicatori di esito delle
cure primarie. Alcun esempi:
- la proporzione delle persone
sopravvissute a un infarto mio-
cardico acuto (identificate da
SDO) che, dopo la dimissione,
in un intervallo di follow-up definito, assume la combinazione
appropriata di farmaci prevista
dalle linee guida cliniche;
- il rischio di ricoveri ospedalieri per complicanze evitabili del
diabete nella popolazione di
diabetici identificati applicando
un algoritmo validato alle prescrizioni farmaceutiche;
-lo stesso rischio di ricoveri
ospedalieri per complicanze evitabili della BPCO in una
popolazione di persone con
BPCO identificate applicando
un analogo algoritmo validato
alle prescrizioni farmaceutiche.
Indicatori analoghi sono stati sviluppati per numerose altre patologie croniche e consentiranno,
finalmente, di iniziare a produrre a
livello nazionale valutazioni e confronti affidabili delle cure primarie
e dei percorsi di continuità assistenziale.
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
LA
GOVERNANCE
Gestione a budget per la sanità territoriale
di Enrico Desideri *
La Legge 189/2012
La L. 189, di conversione del c.d.
Decreto Balduzzi, insieme all’introduzione di un importante riordino
organizzativo delle cure primarie (le
AFT e le UCCP), ha previsto (art. 1,
b-ter e b-sexties) la possibilità per
mento “a budget”, “anche per il tramite del Distretto Sanitario”.
Si tratta di un’interessantissima
altà organizzative e gestionali della
dipendenza (sanitaria, sociale, amministrativo-tecnica).
Cos’è il budget e “come
funziona”
Come è noto, il budget costituisce
il principale strumento per la programmazione annuale operativa. Il
budgeting) è, ed è essenziale che sia, un
processo condiviso (negoziazione
di budget) che parte dalla:
lute, performance, esito)
cretamente disponibili e assicurabili (personale, consumi sanitari e non)
- tempi di raggiungimento degli
obiettivi.
nel migliore dei modi obiettivi e risorse, stimando correttamente la
fattibilità nel tempo.
Non si tratta, dunque, di una tec-
Il budget costituisce il
principale strumento
per la programmazione
annuale operativa delle
cure primarie; non si
tratta di una tecnica
meramente economicodel cruscotto di
monitoraggio
prevalentemente di tipo
bottom-up
ziaria, anche se – come intuibile
– con le risorse ogni programmazione deve fare i conti.
Il cruscotto di monitoraggio (vedi
ad es. Tabella 1) utilizza, nell’esperienza della ASL di Arezzo, indicatori relativi alle:
- prestazioni sanitarie utilizzate
(farmaci, presidi-ausili, specialistica – clinica e diagnostica –,
ricoveri, accessi al DEA)
- attività produttive svolte direttamente dai MMG (ADI, ADP,
vaccinazioni, sanità d’iniziativa,
screenings)
- percorsi diagnostico-terapeutici per patologia (precedentemente concordati).
deve essere, prevalentemente bottom-up, contiene precisi e misurabili
indicatori e obiettivi (Tabella 2) e il
suo monitoraggio, di solito mensile,
fornisce occasioni di confronto (audit) e miglioramento “fra pari” (non
è accettabile, invece, un approccio
“ispettivo” di controllo gerarchico).
Il budget delle cure primarie è per
AFT (Aggregazioni monoprofessionali Funzionali Territoriali) e per
UCCP (Unità multiprofessionali
Cure Complesse Primarie) ed è
negoziato in primis con il loro coordinatore.
Il processo parte dalla analisi dello storico e dei trend osservati;
tale analisi mira a evidenziare, in
relazione ai bisogni degli assistiti, gli aspetti migliorabili: cioè, in
sostanza, come utilizzare meglio
le risorse disponibili (ad es., valutando se, attraverso una riduzione
delle RMN dei ginocchi negli anziani – esame di solito di pochissima
utilità – o prevenendo la necessità
di ricovero nei pazienti con BPCO
– bronchite cronica ostruttiva – è
possibile migliorare l’assistenza a
domicilio dei pazienti fragili).
Il miglioramento va ricercato, oltre
che nella appropriatezza prescrittivalue
for money), ad esempio, quando
possibile, utilizzando farmaci equivalenti o generici, a minor costo
solo perché hanno perso il brevetto.
Cruciale, per il successo e la crescita del processo di budget, è lo
sviluppo di un sistema informativo capace di integrare i dati che
* Direttore Generale, USL 8 Arezzo
Febbraio 2014
29
I QUADERNI DI ACCADEMIA
Tabella 1 - Indicatori utili per la definizione del budget
Indicatore
Farmaceutica
Spesa/1000 abitanti
N° ricette/1000 abitanti
N° pezzi/1000 abitanti
Indicatori di appropriatezza prescrittiva
Specialistica
Spesa/1000 abitanti
N° prestazioni/1000 abitanti
Spesa e prestazioni/1000 abitanti varie branche
Tasso di consumo TC e RM/abitanti
Codici di priorità per le prestazioni specialistiche
Percentuale di prescrizioni per ciascun MMG per categoria di priorità (es.: breve)
Ricoveri ospedalieri
Spesa/1000 abitanti
N° ricoveri/1000 abitanti
Tassi di ospedalizzazione specifici per patologia
N° ricoveri/1000 abitanti escluso parto
DRG ad alto rischio di inappropriatezza
N° ricoveri medici ripetuti
N° ricoveri medici/1000 abitanti
Accessi in DEA
N° accessi cod. bianco/1000 abitanti
N° accessi cod. azzurro/1000 abitanti
N° accessi totali PS/abitanti
N° accessi ripetuti
Accessi (ADP, ADI, ADR)
Numero accessi/1000 abitanti
Per i valori di riferimento vedere DGRT 262/2010 Costo accessi per ADP/per ADI/1000 abitanti
nota 1
N° di pazienti trattati/1000 abitanti
Prestazioni aggiuntive
Costo totale/1000 abitanti
Per i valori di riferimento vedere DGRT 262/2010 Costo per singola prestazione/1000 abitanti
nota 1
Vaccinazioni
Ausili e Presidi
N° presidi/MMG/1000 abitanti
Costo presidi/MMG/1000 abitanti
N° di pazienti trattati/1000 abitanti
AFA
N° pazienti inviati ai corsi AFA a bassa disabilità/1000 abitanti
N° pazienti inviati ai corsi AFA ad alta disabilità/1000 abitanti
Copertura vaccinazione antinfluenzale
% di assistiti >65 anni vaccinati
Indice di Charlson
Indice di comorbilità
Sanità di iniziativa
Indicatori di monitoraggio progetto regionale
Mortalità
Tasso di mortalità generale/1000 abitanti
Trasporti sanitari
N° prescrizioni/1000 abitanti
Costo trasporti san. /1000 abitanti
Tipologia trasporto: ambulanza, mezzo attrezzato
(Estratto da DRG 123/2012: Accordo Collettivo Nazionele per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs.
502/1992 e degli art. 4.,14 e13-bis ACN/2009)
30
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
Tabella 2 - Obiettivi scelti
Ambiti di
intervento/criticità
Criterio di scelta
Indicatore
OBT/
monitoraggio
Specialistica ambulatoriale
Criticità aziendale, monitorata da M&S
1 -Tasso di RM
muscoloscheletriche >65 anni
Obiettivo
Specialistica ambulatoriale
Riduzione tempi di attesa
2 -Tasso di ecocolorDoppler
venosi agli arti inferiori
Obiettivo
Specialistica ambulatoriale
Prestazione segnalata come
inappropriata dal laboratorio
3 -Tasso di vitamina D
Obiettivo
Ricoveri ospedalieri
Monitorare la parte medica dei ricoveri
Pronto soccorso
Ridurre inappropriatezza accessi
bianco-azzurri
ADI
Aumentare utilizzo ADI
Ausili
Appropriatezza e risparmi
Indice di Charlson
Aumentare qualità rilevazione,
propedeutico al CCM
Trasporti sanitari
Appropriatezza e risparmi
4 -Tasso di ospedalizzazione su
drg M ordinari
5 -Tasso di accessi pronto
soccorso bianco-azzurri
Obiettivo
6 -Tasso di accessi ADI
Obiettivo
7 -Tasso di prescrizioni ausili
Obiettivo
8 -Indice di Charlson
9 -Tasso di trasporti sanitari
Tabella 3 - Schema indicatore: tasso di RM muscoloscheletriche
>65 anni
Definizione
Tasso di RM muscoloscheletriche >65 anni
Numeratore
Numero prestazioni di RM muscoloscheletrica eseguite
Denominatore
Numero pazienti assistiti con età maggiore di 65 anni
Formula
matematica
Numero prestazioni di RM muscoloscheletrica eseguite
Note per
l’elaborazione
Per il conteggio del numero di prestazioni vengono considerati:
- i pazienti di età maggiore di 65 anni
- le prestazioni 88.94.1 e 88.94.2
- i codici di accesso diversi da 05; 07; 04; 10; 51; 52; 54; 55
Per il conteggio del numero di pazienti vengono considerati:
- i pazienti di età maggiore di 65 anni
- i medici di base convenzionati
- zona del medico di base non vuota
-AFT del medico di base non vuota
Fonte
Flusso SPA
Parametro di
riferimento
Media USL, ZDD, AFT
Numero pazienti assistiti con età maggiore di 65 anni
amministrativi (come quelli che si
riferiscono ai ricoveri, alle prestazioni specialistiche, ai farmaci), con
i dati clinici registrati sulla cartella
clinica del MMG. Le prospettive
di sviluppo, in tale direzione, non
mancano sia per la recente nascita del cloud dedicato di AFT (che,
nel rispetto della privacy, dovrà
Febbraio 2014
Monitoraggio
X 1000
essere reso bidirezionalmente
collegato al repository delle Aziende Sanitarie, così da ottenere la
piena integrazione-condivisione
dei dati di ogni singolo malato), sia
per il nuovo Sistema Matrice, che
nasce da un grosso impegno congiunto di Agenas e Ministero della
Sanità, CNR (e di alcune ASL). Tale
Valutazione interna
Obiettivo
programma, attraverso algoritmi
condivisi e validati, utilizza i flussi
amministrativi (NSIS- art. 50), per
permettere la ricostruzione dei
Percorsi Assistenziali e di Cura per
ogni singolo paziente.
Analoga elaborazione, più orientata all’analisi dei costi, è, infine,
resa disponibile da un nuovo software elaborato in collaborazione
fra CNR e Federsanità-Anci (Lab.
SAATI).
Il sistema di reportistica (cruscotto AFT-UCCP) permette di
analizzare i dati, oltre che per singolo medico, per Zona/Distretto/
AFT-UCCP utilizzando grafici, istogrammi a supporto per un’analisi
di benchmark (vedi ad es. Figura 1),
al fine di gestire la variabilità “evitabile” e favorire le scelte di riallocazione delle risorse.
Va qui ricordato, che non tutta la
variabilità è negativa, al contrario,
la variabilità è anche “positiva” e
può guidarci al riconoscimento di
obiettivi di risultato più ambiziosi
cui puntare (si dice che il primo
uomo sia stato il prodotto di un’alterazione genetica nella scimmia
progenitrice).
31
I QUADERNI DI ACCADEMIA
Figura 1 - Tasso di RM muscoloscheletriche >65 anni - Primo semestre 2013
15,00
Aretina
10,00
Valdichiana
Casentino
5,00
0
Valdarno
Val Tiberina
AFT 1
AFT 2
AFT 3
AFT 4
Se il budget e il monitoraggio degli obiettivi affidati al sistema delle
cure primarie è dunque la precondizione per la governance della sanità territoriale, un aspetto, pur da
esaminare con attenzione, ma da
non sottacere, è come legare tutto
ciò al sistema incentivante.
L’ACN vigente, infatti, e di conseguenza anche gli accordi regionali
e aziendali, frammenta il sistema
remunerativo aggiuntivo (quota variabile) in molte voci. Alcune sono
legate alle modalità di erogazione/
organizzazione (moduli, équipe,
gruppi), e alla acquisizione di personale a supporto-integrazione (infermieri, collaboratori di studio): si
tratta di voci strutturali, proporzionate al numero di assistiti.
Altre voci sono legate a obiettivi
di salute/appropriatezza, ovvero
ad alcune prestazioni (ad es. domiciliari), o alla adesione a progettualità regionali (ad es. la medicina
di iniziativa), o, infine, a indennità
32
ASL 8
AFT 5
AFT 6
AFT 7
AFT 8
AFT 9
specifiche.
Legare una parte (quella non strutturale) della remunerazione variabile al raggiungimento di obiettivi
di risultato, magari superando l’anacronistica suddivisione prima
descritta, creerebbe i presupposti
di trasparenza e uniformità in un
contesto ove, in relazione alle diverse capacità di monitoraggio, i
medici in concreto rischiano tagli
stipendiali (ad es. per il parziale
raggiungimento di alcuni obiettivi),
senza una chiara possibilità di verificare, durante l’anno, l’andamento dei dati e, soprattutto, con una
visione frammentaria e oltretutto
non sempre coerente con l’unico
scopo comune (per medici e management): la tutela dei bisogni assistenziali dei cittadini.
Conclusioni
È dimostrato che lo sviluppo
organizzativo-funzionale dell’as-
AFT 10
AFT 11
AFT 12
AFT 13
sistenza primaria e un approccio
preventivo e pro-attivo diretto ai
malati cronici (la cui cura allo stato attuale assorbe circa i 2/3 dei
costi della Sanità) determina un
miglioramento in termini di esiti
(ridotta mortalità-morbilità, migliore aspettativa di vita) e che,
inoltre, produce un significativo
risparmio di risorse (riducendo il
tasso di ospedalizzazione e migliorando l’integrazione con l’assistenza ospedaliera e con quella sociale). Tuttavia, molti sistemi sanitari
occidentali, incluso quello italiano,
puntano ancora troppo poco, e
in modo non uniforme, alla cura
delle malattie croniche e al rafforzamento dei servizi territoriali. Si
osserva, però, di recente in Italia,
un vero nuovo fermento sui temi
delle politiche sanitarie territoriali
che non possiamo assolutamente
lasciar cadere.
I sintomi della ripresa ci sono, ma il
malato è ancora da guarire.
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
LA
GOVERNANCE
Il ruolo del medico di medicina generale
di Giacomo Milillo *
L
a Federazione Italiana Medici di Famiglia
(FIMMG) ha da tempo
colto la ineluttabile necessità di un profondo
cambiamento della organizzazione del lavoro e degli obiettivi
della Medicina Generale per rispondere da un lato all’evoluzione dei determinanti della salute
come invecchiamento della popolazione, aumento della cronicità,
complessità e fragilità e dall’altro
alla necessità di rimodulare l’organizzazione in funzione di un nonaumento o addirittura di una riQuesti cambiamenti sono stati
zione della Medicina Generale
formulato da FIMMG già nel 2007
e poi in parte accolti nella Legge
cd “Balduzzi” (Legge 189/2012)
che riconosce nell’ambito del SSN
il ruolo fondamentale del MMG
per il quale istituisce un ruolo
professionale unico che accorpa
cia dell’attuale assistenza primaria sia quelle orarie della attuale
continuità assistenziale. Ruolo
fessionale che la Legge “Balduzzi”
ribadisce anche relativamente al
percorso formativo necessario
per accedere al ruolo unico per le
funzioni di MMG del SSN.
Parimenti è emersa la constatazione che una riorganizzazione
incisiva della Medicina Generale
medicina di prossimità, e la modalità ordinaria on demand (medicina
di attesa) di organizzazione del
lavoro del medico di famiglia per
dare risposte al cittadino quando
questi avverte ed esplicita il suo
bisogno di salute.
Un interessante modello
di medicina di iniziativa
è rappresentato dal
chronic care model, che
costituisce anche un
esempio di budgeting
inteso per la programmazione di operatività e
non come tetto di spesa
e un modello di pay for
remunerativi
complessiva dell’area delle cure
primarie e dell’intero territorio.
Riorganizzazione però non vuol
dire stravolgimento dell’attuale
modalità operativa della Medicina
Generale, ma piuttosto miglioramento, per cui si riaffermano innanzitutto come valori imprescindibili lo status giuridico di libero
professionista del MMG, l’approccio olistico alla persona proprio
della medicina di famiglia, l’univocità e la insostituibilità del rapl’utilità di mantenere la capillare
diffusione sul territorio degli studi dei MMG, anche in un’ottica di
Avendo presenti questi valori, gli
obiettivi della riorganizzazione
sono:
- superare l’attuale modalità di lavoro prevalentemente isolato e
autoreferenziale e portare i medici a lavorare in squadra nelle
Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), che rappresentano il team funzionale monoprofessionale, delineando anche
le nuove modalità di lavoro di
un MMG a “ruolo unico” rispetto al quale ogni singolo MMG
subito la garanzia di “piena occupazione” e quindi svolgendo
attività esclusiva;
- dotare le AFT di una “rete”
clinica di condivisione dei dati
duciaria si riferiscono ai medici
della AFT, oggi modernamente
rappresentata da un cloud dedicato, che garantisca la necessaria condivisione dei dati clinici
a supporto di una effettiva ed
H24 e che supporti le attività
di self-audit e di peer review che
sono alla base del processo di
miglioramento delle performan-
* Segretario Generale Nazionale FIMMG – Federazione Italiana Medici di Famiglia, Roma
Febbraio 2014
33
I QUADERNI DI ACCADEMIA
ces professionali. Rete clinica di
AFT in grado di interfacciarsi e
interoperare con le reti delle
Aziende USL andando a costituire l’ossatura del Sistema Informativo aziendale e regionale;
-organizzare strutturalmente i
MMG delle AFT in sedi comuni,
dotandoli, per un adeguato numero di ore settimanali, di personale di studio appositamente
formato a supportare il MMG
nella sua attività, compresa la
nuova modalità di medicina di
iniziativa e quindi con profilo
professionale che preveda sia
competenze tecnico-organizzative sia competenze socio-assistenziali quale è la nuova figura
dell’“assistente di studio medico di famiglia” appositamente
creato da FIMMG all’interno del
CCNL studi professionali che è
il CCNL di riferimento. Dotando le AFT anche di tecnologia
diagnostica di primo livello, specialmente quella connessa con i
percorsi di gestione della cronicità e complessità, in cui la strumentazione sia in grado di colloquiare con il cloud della rete
clinica di AFT e di supportare
una attività di consulenza specialistica, anche in modalità di
telemedicina (telerefertazione
e/o teleconsulto), per mettere i
MMG della “squadra” in grado
di lavorare strutturalmente insieme per garantire risposte ai
bisogni di salute, sia completando in prima persona i percorsi
di cura più semplici, sia coordinando i percorsi più complessi.
Questa riorganizzazione, funzionale prima e strutturale poi, di
lavoro in squadra della Medicina
Generale e del proprio personale di studio, ha come obiettivo
quello di mettere la Medicina Generale in condizione di garantire
la tutela complessiva della salute
della popolazione, nel rispetto
34
del rapporto di fiducia medicopaziente e del diritto alla libera
scelta del cittadino, facendosi
carico H24 della domanda di salute del cittadino e in particolare
di modificare il modus operandi
della Medicina Generale, da una
medicina di attesa a una medicina
di iniziativa, quando necessario e
cioè per una medicina di prossimità che raggiunga il risultato di
una compressione della morbidità
delle malattie croniche, mediante
azioni di prevenzione e di educazione alla correzione degli stili di
vita, quale primo e irrinunciabile
strumento per la sostenibilità del
SSN, e poi per la gestione proattiva della cronicità e della complessità, garanzia di equità di accesso
al Servizio stesso.
Le AFT devono essere anche il
fulcro della formazione specifica
in Medicina Generale, consentendo al medico in formazione la
partecipazione non solo alle attività a quota fiduciaria, ma anche a
quelle a quota oraria, attraverso
cui poter acquisire competenze
irrinunciabili per il sostegno della
nuova organizzazione della Medicina Generale in tema di governance, diagnostica di primo livello,
gestione del budget, gestione dei
collaboratori di studio.
Parimenti l’intera area della primary care deve rimodularsi individuando nei cittadini assistiti dalle
AFT i gruppi di pazienti intorno ai
quali ricondurre tutte le risposte,
adottando un approccio di sanità
di iniziativa basata sulla popolazione, sulla stratificazione del rischio
e su diversi livelli di intensità assistenziale, che garantisca per le situazioni di cronicità, complessità,
fragilità e non autosufficienza la
continuità dell’assistenza e la presa in carico dei bisogni, adottando la modalità di lavoro in team
multiprofessionale (UCCP) al
posto della autoreferenzialità dei
vari profili professionali coinvolti nella primary care, ridefinendo
anche l’organizzazione complessiva del territorio in cui il sistema
della domiciliarità e residenzialità
(ADI, RA, RSA, Ospedali di Comunità, ecc.) e le sedi comuni dei
MMG delle AFT o dei team multiprofessionali costituiscono una
rete integrata di sedi strutturali
tutti intesi come setting necessari
all’erogazione delle risposte integrate ai bisogni da parte dei team
mono o multi-professionali per
un determinato bacino di utenti.
La UCCP (Unità Complessa di
Cure Primarie) rappresenta il
team multi-professionale funzionale della primary care e segna il
punto di raccordo della Medicina
Generale con le altre figure territoriali, in primis infermieri e assistenti sociali, questi ultimi fondamentali per realizzare la vera
integrazione tra sociale e sanitario, che deve operare a domicilio
dei pazienti (ADI), nelle strutture
intermedie o in sedi comuni.
Anche i professionisti delle UCCP
hanno infatti la necessità di lavorare strutturalmente insieme per
garantire meglio le risposte integrate. Le sedi delle UCCP saranno
strutture territoriali del Distretto/ASL come le Case della Salute
o altre strutture.
Queste potranno essere “semplici” costituendo la sede della sola
UCCP o “complesse” potendo
ospitare nella stessa struttura altri servizi della Azienda (ad esempio SERT, Dipartimento di Salute
Mentale, Riabilitazione, Uffici amministrativi) e anche letti di cure
intermedie.
La riorganizzazione funzionale e
strutturale in team mono o multiprofessionali è finalizzata a consentire di passare da una modalità
operativa di medicina di attesa
a una medicina di iniziativa che,
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
nella flessibilità e personalizzazione della risposta assistenziale a
ciascun cittadino, tenga conto di
percorsi diagnostico-terapeutici
assistenziali (PDTA) condivisi per
la definizione di programmi assistenziali personalizzati per singoli
pazienti. Un interessante modello di medicina di iniziativa è rappresentato dal chronic care model
(CCM), che rappresenta anche un
esempio di budgeting inteso correttamente come programmazione di operatività e non come tetto di spesa e, per quanto riguarda
la remunerazione del MMG, un
modello di pay for performances.
In sintesi il CCM prevede di definire, per una determinata patologia
o problematica anche preventiva,
un PDTA ideale evidence based, da
personalizzare poi sulla peculiare
situazione del singolo paziente (patient centered). Definito il PDTA si
individuano le figure professionali
coinvolte assieme al medico di famiglia, si definisce chi fa cosa e con
che cadenza temporale. Il CCM
presenta due aspetti peculiari: il richiamo attivo del paziente da parte
del team (funzione di “segreteria”)
per il controllo periodico in accordo col PDTA e il coinvolgimento
attivo del paziente (empowerment)
Febbraio 2014
che opportunamente informato e
formato partecipa attivamente al
processo.
Ai medici delle AFT dotati di diagnostica e di personale di studio
proprio appositamente formato,
anche in un’ottica di sussidiarietà,
cioè di affidamento complessivo
alla Medicina Generale da parte
del SSN/SSR di percorsi o livelli
assistenziali da garantire ai cittadini come parte del loro diritto
alla salute compreso nei LEA, può
essere affidata la prevenzione e
la gestione completa di percorsi
relativi a singole patologie croniche o alla complessità che nasce
dalla contemporanea presenza di
più patologie in soggetti autosufficienti o con non-autosufficienza
lieve definendo obiettivi da garantire, indicatori da verificare e
risorse a disposizione per realizzare gli obiettivi (budgeting come
programmazione di operatività),
ma poi lasciando al MMG libero
professionista e alla sua organizzazione la libertà di pianificare
autonomamente fattori produttivi e modalità operative, creando
la possibilità, tra i medici della
AFT, di individuare nuove abilità
professionali, nuove expertise, in-
dividuando medici che possano
svolgere un ruolo da first opinion
prima di attivare lo specialista,
second opinion, oppure in grado di
effettuare diagnostica di primo livello (ecografia generalista, ECG,
spirometria, Holter, ecc.), riservando invece al team multi-professionale, cioè alla UCCP, proprio in un’ottica di appropriatezza
della risposta a differenti livelli di
intensità assistenziale, il trattamento di tutti quei pazienti affetti
da malattie croniche in cui la presenza di situazioni di comorbilità,
fragilità e non-autosufficienza richiede l’adozione di un approccio
integrato e multidisciplinare.
Tutto questo è realizzabile e realizzato laddove la Medicina Generale si organizza, dotandosi
di strumenti “organizzativi” ed
economici, definendo la necessità di una struttura “societaria”
gestionale che acquisisca per i
MMG tutti i fattori di produzione, avendo già attivato tramite la
creazione dei Fidiprof, i confidi
dei professionisti, la possibilità di
ottenere credito a tasso agevolato per supportare gli investimenti
necessari all’acquisizione dei fattori di produzione.
35
I QUADERNI DI ACCADEMIA
La governance
Gli aspetti organizzativi e gestionali
di Angelo Lino Del Favero*
Premessa
Le riflessioni sviluppate di seguito sono il risultato di un insieme
di esperienze personali e di una
sintesi legata all’osservazione di
punti di forza, criticità, delle diverse realtà delle Aziende associate a
Federsanità-ANCI.
L’adozione di nuovi modelli organizzativi di erogazione delle cure
comporta una costante riflessione
sulla direzione, sulle caratteristiche dei paradigmi sottostanti al
sistema di cura e come vanno modificati se si mira a un loro cambiamento. Pertanto, se da ormai più di
venti anni si discute sulla “gestione
integrata del paziente”, l’adozione
di modelli concreti che perseguono un tale approccio implica una
modifica delle caratteristiche generali dell’offerta di cura, riprogettando sia i fabbisogni informativi
(ad esempio, il fascicolo sanitario
elettronico, FSE), sia la capacità di
programmare e utilizzare i processi, intercettando i cambiamenti della domanda e articolando le
risposte del sistema nella maniera
più flessibile.
Focalizzando sul tema dell’informazione relativa al paziente, in
un modello “classico”, questa si
è sempre caratterizzata per una
sua frammentarietà e una sua non
gestione in maniera sistematica e
programmatica. In altri termini, ciò
che veniva posto come prioritario
era la capacità da parte del medico
di interpretare una serie di infor-
Il cambiamento di
paradigma introdotto
dal chronic care model:
gestendo il paziente e
ponendolo come snodo
principale di una rete di
offerta, è quest’ultima
(rete dell’assistenza) che
si costruisce in maniera
flessibile attorno al
paziente (medicina di
iniziativa)
mazioni richieste di volta in volta
al paziente. Questa strumentalità
delle informazioni (e della sua interpretazione) contiene diversi
elementi di inefficienza che vanno
dalla non standardizzazione delle
informazioni necessarie, ai costi
elevati, e via scrivendo.
Pertanto, nell’ambito delle declinazioni della “gestione integrata del
paziente”, assume un ruolo fondamentale anche il sistema di raccolta e gestione delle informazioni
(ICT). Anzi, probabilmente, laddove l’ICT è un sistema integrato con
i sistemi dell’offerta e i sistemi di
individuazione e monitoraggio dei
fabbisogni della popolazione servita, i modelli di “gestione integrata
del paziente”, si sono maggiormente evoluti.
Chronic care model e
fabbisogni informativi
Una delle principali criticità – e
volendo anche una prospettiva
d’insieme con un punto di vista
specifico – riguarda la creazione
(forse in certi casi, semplicemente
il funzionamento) di modelli e reti
in grado di gestire le patologie per
ripartire il carico assistenziale tra
cure primarie, territorio e ospedale. Le risposte dei servizi sanitari
sono state differenziate: fra queste
quella di interesse in questa riflessione è la medicina d’iniziativa e la
sua applicazione attraverso il chronic care model (CCM).
Il CCM è una delle risposte a quella
necessità di integrazione del trattamento fra la fase acuta e la fase di
cronicizzazione della patologia.
La necessità di una forte integrazione e di un coordinamento del
carico assistenziale richiede non
solo la implementazione di un modello di comunicazione fra tutti gli
attori del sistema (medici, personale sanitario, pazienti, erogatori
di prestazioni sanitarie e sociosanitarie, ecc.) ma soprattutto lo sviluppo di quella capacità d’iniziativa
del sistema in grado d’intercettare
quel fabbisogno ancora non trasformato in domanda.
Conseguentemente, il modello di
veicolazione delle informazioni relative al paziente non è semplicemente una modalità tecnica con la quale
queste vengono raccolte, immagazzinate e utilizzate, ma una parte so-
* Presidente di Federsanità ANCI - Associazione Nazionale Comuni Italiani, Roma
36
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
stanziale della strategia del CCM.
Si pensi a una tipica patologia che
richiede un’integrazione fra i diversi livelli di offerta di un sistema
sanitario, spostando il trattamento
su un livello territoriale. Il modello
del servizio da offrire si caratterizza per una relazione continua e
circolare, come dalla Figura 1.
In altri termini, l’adozione di tale
modello consente di:
1. definire puntualmente il target
dei pazienti nella cura;
2. programmare, sia ex-ante sia expost, la tipologia del percorso
di cura e di assistenza, standardizzando, per quanto possibile,
l’intervento;
3.spostare il focus sul paziente
poiché un siffatto modello implica adattare il percorso di cura
non sulle esigenze dell’organizzazione che offre la cura quanto
sui fabbisogni del paziente (es. il
controllo in remoto del paziente, la costanza nel triage, ecc.).
La circolarità della Figura 1 implica concretamente l’adozione di
sistemi informativi come vero e
proprio supporto alla cura del pazienti. In concreto, il sistema informativo, ha l’obiettivo di:
- essere un sistema di allerta per
eventi sentinella, che aiuta i team
assistenziali ad attenersi alle
linee-guida;
- rappresentare un feedback per i
medici mostrando i livelli di performance nei confronti degli inFigura 1
Paziente
Sistemi
territoriali
di cura
Febbraio 2014
Centro
di supporto
tecnologico
dicatori delle malattie croniche;
- costruire i registri di patologia
population based per pianificare
la cura individuale dei pazienti e
per amministrare i processi di
assistenza.
I sistemi informativi però dovranno considerare alcune condizioni:
a.applicazioni web based indirizzate alla gestione dei pazienti
cronici;
b.
piattaforme tecnologiche in
grado di supportare in maniera
estensiva l’uso dei servizi. Tali
piattaforme devono essere modulari, flessibili e facili da usare;
c. va tenuto conto che le diverse
applicazioni dovrebbero essere
fra loro integrate e rispondere
alle diverse evoluzioni tecnologiche (es. usando anche le diverse app dei telefoni mobili);
d.a tale massa di informazioni
deve corrispondere una flessibilità continua delle risposte
organizzative del servizio sanitario;
e. circolarità delle informazioni fra
i diversi attori del sistema.
Tali condizioni sono purtroppo nel
nostro Paese non sempre rispettate. Ad esempio, i sistemi informativi delle cure primarie (le cartelle
cliniche elettroniche, CCE) presenti negli studi dei Medici di Medicina Generale molto raramente
sono integrati con i sistemi informativi degli ospedali né, quando
sono presenti, con i sistemi informativi del territorio. Senza entrare
nelle cause di ciò, questa assenza
di integrazione produce sostanzialmente due modelli di medicina,
che al giorno d’oggi sono sintomo
di inefficienza, di costi e di insoddisfazione dei cittadini: la medicina
difensiva (si erogano prestazioni in
funzione di minimizzare rischi giudiziari e non in funzione del fabbisogno del paziente) e la medicina
d’attesa (l’erogazione della prestazione si avvia solo al momento della manifestazione di una domanda,
perdendo con ciò quella parte di
bisogno non ancora espresso nonché non inserendo rapidamente il
paziente nei percorsi diagnosticoterapeutici).
Una vera programmazione dei sistemi informativi in sanità implica
l’adozione diffusa del FSE 1.
Sono diverse le ragioni della scarsa
diffusione sia del FSE sia del patient
summary (resistenza al cambiamento, standard tecnologici differenti, assenza di una linea strategica comune, ecc.) ma purtroppo tali
aspetti hanno ritardato l’adozione
di sistemi informativi completi e
in grado di fungere da supporto
allo sviluppo di CCM. L’auspicio
per superare le difficoltà prima
descritte, nonché i vincoli legati
al contesto finanziario del SSN, è
quello di concepire un’architettura
di sanità elettronica che veda per
un verso la capacità di raccolta
sistematica delle informazioni già
esistenti, per l’altro una fornitura
di servizi e funzioni per la gestione
dei processi clinici e assistenziali
trasversali.
I chronic care model
come scelta strategica
dell’Azienda Sanitaria
Appare chiaro il cambiamento di
paradigma introdotto dal CCM.
Gestendo il paziente e ponendolo
come fattore di snodo principale
all’interno di una rete dell’offerta,
è quest’ultima (la rete dell’assistenza) che deve costruirsi in maniera flessibile attorno al paziente
(medicina d’iniziativa). Questo
all’opposto del modello tradizionale dove il paziente è un “normale cliente” che ha avuto un bisogno
espresso in domanda e chiede una
risposta cercando di entrare (non
sempre accettato) in uno degli
snodi della rete dell’offerta (medicina d’attesa).
In altre parole, per la cultura medica prevalente, il sistema dell’offer-
37
I QUADERNI DI ACCADEMIA
ta si attiva solo quando il paziente
manifesta un’acuzie. Ma quando
questa si è manifestata, le implicazioni di efficacia dell’intervento nonché di efficienza della cura
possono essere compromesse.
Da un punto di vista della governance, il passaggio da un paradigma
della medicina di attesa a quello
della medicina d’iniziativa, implica
l’adozione di:
a. un nuovo modello assistenziale
per la presa in carico “proattiva” dei cittadini;
b. un nuovo approccio organizzativo che intercetta il bisogno di
salute prima dell’insorgere della
malattia, o prima che essa si manifesti o si aggravi, prevedendo
e organizzando le risposte assistenziali.
In termini di sviluppo strategico,
avviare un CCM significa:
1.organizzare i team assistenziali2 (dalla relazione tradizionale
38
“paziente-medico” a quella “paziente-team”);
2.impostare un sistema assistenziale gestito e organizzato con
una forte, concreta e motivata
finalizzazione;
3.avviare un sistema di alleanze.
Si tratta di individuare quelle
strutture sul territorio (sociali,
volontariato, Chiesa, ecc.) per
preparare programmi dedicati
alla lotta dei fattori di rischio3
della cronicità;
4. ottimizzare il sistema informativo;
5. promuovere il self management,
rendendo i pazienti consapevoli
della malattia e condividendo la
responsabilità della propria salute con coloro che curano;
6.utilizzare sempre la migliore
evidenza scientifica.
In termini generali, il CCM è una
delle concretizzazioni del principio
sempre dichiarato fin dal 1978 dal
legislatore nazionale di spostare il
paziente dall’ospedale al territorio:
percorso che il servizio sanitario,
dopo averlo teorizzato per anni,
deve avviare e implementare.
Note
1
In diversi casi, al fine di sintetizzare per
pazienti non particolarmente complessi, tutte le informazioni contenute nel
FSE, si utilizza il patient summary. Allo
stato attuale sono però pochissime le
sperimentazioni del patient summary.
2
Ad esempio un team assistenziale in
un CCM sulla BPCO prevede: il MMG,
lo specialista pneumologo, il Centro
antifumo, il responsabile della farmaceutica territoriale, l’infermiere, il
medico di comunità, il dietista, l’OSS,
il responsabile del centro sociale, il terapista della riabilitazione.
3
I principali fattori di rischio secondo
l’OMS sono: ipertensione, tabagismo, alcol,
colesterolo, sovrappeso, scarso consumo
di frutta e verdura, inattività fisica.
Febbraio 2014
I QUADERNI DI ACCADEMIA
LA
GOVERNANCE
La struttura e le competenze necessarie
di Mariadonata Bellentani
L
*
a sostenibilità del sistema sanitario è minata
da molteplici cause: epidemiologiche, demogra-
maggior parte dei bisogni sanitari
(ma anche socio-sanitari) dei cittadini è legata alle malattie croniche
e alle loro conseguenze. Questi
bisogni devono trovare risposta
nella nuova organizzazione del territorio se vogliamo rendere equo e
sostenibile il sistema. Il modello di
Sanità necessario per affrontare in
maniera sostenibile l’epidemia delle
malattie croniche deve basarsi su
servizi territoriali profondamente
rinnovati, sia sul versante della programmazione e del governo, sia su
quello della produzione-erogazione
dei servizi. Il rinnovo delle cure
primarie dovrebbe partire dal superamento dell’attuale modalità di
lavoro prevalentemente isolato e
autoreferenziale dei vari operatori,
per transitare a un modello di lavoro in team, che affronti la cronicità
in un’ottica di medicina di iniziativa.
In particolare, proprio l’equità di
accesso, presupposto per l’equità
di trattamento, deve essere valorizzata nei confronti delle fasce più
deboli o svantaggiate della popolazione, quali anziani fragili, immigrati,
cittadini seguiti dai servizi sociali,
dai servizi di salute mentale e per la
cura delle dipendenze.
Il territorio rappresenta il luogo
privilegiato per valutare i bisogni
del paziente e presidiare i percor-
Le cure primarie
necessitano di una
riorganizzazione dei
servizi diretta dal livello
regionale, nel pieno
rispetto dell’autonomia
regionale
costituzionalmente
garantita, nell’ambito di
una cornice di principi
fondamentali sanciti dal
legislatore nazionale
si dei pazienti cronici, complessi
e fragili, costituendo un centro di
offerta proattiva e personalizzata
di servizi in integrazione e in continuità tra i vari servizi sanitari e
socio-sanitari. Occorre adeguare
l’organizzazione territoriale (e
liera dei suoi servizi secondo il criterio dell’integrazione delle cure
primarie con quelle intermedie e
con l’assistenza ospedaliera, spequella di implementare le previsioni normative del Decreto Legge 13
settembre 2012, n. 158, riorganizzando le cure primarie e l’assistenza territoriale in modo da fornire
ai cittadini un servizio nuovo ed
loro bisogni e ai bisogni emergenti
della società.
Il Decreto Legge 158/2012 intende
rendere concretamente realizzabili gli obiettivi di miglioramento del
Servizio Sanitario Nazionale (SSN),
impattando fortemente sull’organizzazione territoriale attraverso
la valorizzazione dell’alto numero
di professionisti interessati (oltre 90.000 medici convenzionati
tra Medici di Medicina Generale
(MMG), Pediatri di Libera Scelta
(PLS) e medici specialisti ambulatoriali) e delle funzioni di promozione dei processi assistenziali che
essi esercitano. La norma rende
obbligatorie, infatti, forme aggregative mono-professionali e multiprofessionali (rispettivamente le
AFT – aggregazioni funzionali territoriali – e le UCCP – unità complesse di cure primarie), previsione
già presente nell’Accordo Collettivo Nazionale per la Medicina
Generale del 2009, agevolando
l’integrazione e il coordinamento
operativo tra tutti gli operatori
del territorio secondo le modalità
operative e gli “standard organizzativi/strutturali” individuati dalle
Regioni.
L’assistenza territoriale sembra
tutt’ora carente di una logica di sistema: non ci sono principi generali che possano guidare la gestione
delle malattie croniche in maniera
organica e non frammentata come
invece accade adesso con servizi
che non comunicano tra di loro.
* Sezione Organizzazione dei Servizi Sanitari (OSS), Agenas – Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, Roma
40
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
Inoltre appare di primaria importanza migliorare l’integrazione tra
ambiti diversi di assistenza, quali il
territorio (distretto, dipartimento
di salute mentale, dipartimento
materno-infantile, dipartimento
delle dipendenze patologiche, dipartimento di prevenzione), l’ospedale e il sociale.
L’obiettivo è principalmente quello
di superare la modalità frammentata con cui si continua a lavorare
in modo da improntare l’assistenza
territoriale ai principi nuovi di tutela delle persone, chronic care model, presa in carico, garanzia della
continuità dell’assistenza, utilizzo
di équipe multidimensionali, con
conseguente riduzione degli accessi impropri al pronto soccorso
e attuazione di una vera e propria
assistenza H24.Tali obiettivi necessitano di una riorganizzazione dei
servizi diretta dal livello regionale,
nel pieno rispetto dell’autonomia
regionale costituzionalmente garantita, nell’ambito di una cornice
di principi fondamentali sanciti dal
legislatore nazionale. Per questo
occorrerebbe, innanzitutto, che le
Regioni monitorassero i bisogni
di salute della popolazione locale
per offrire un piano di assistenza
territoriale che sia in grado di modificare la logica prevalente volta al
finanziamento dell’offerta per passare a quella della soddisfazione
della domanda.
Il legislatore nazionale vede le AFT
e le UCCP come forme organizzative del SSN per l’erogazione delle
cure primarie, che comprendono
la medicina convenzionata integrata con professionisti sanitari
dipendenti dal SSN. Le Regioni
assicurano che tutti i medici facciano parte di una AFT e che tutte
le AFT facciano riferimento a una
UCCP, con l’obiettivo di costruire
una rete di professionisti e strutture che perseguono obiettivi di
salute e di attività definiti dall’A-
Febbraio 2014
zienda Sanitaria e dal Distretto.
Importante ribadire che le nuove
forme organizzative non sono da
considerate unicamente come
forme associative della Medicina
Generale, bensì servizi e presidi
del SSN, siano esse formate esclusivamente da MMG/PLS/medici di
continuità assistenziale o da più
professionisti del territorio.
In prospettiva, nelle UCCP e nelle
AFT dovranno confluire tutte le
diverse tipologie di associazione
della Medicina Generale e le aggregazioni funzionali e/o strutturali realizzate nelle varie Regioni (di
cui all’art. 54 dell’ACN 2009).
L’AFT, ai sensi del d.l. 158/2012,
è un raggruppamento funzionale,
mono-professionale della Medicina
Generale o della Pediatria. Le AFT
della Medicina Generale sono caratterizzate, di norma, ma con flessibilità legata a particolari caratteristiche orografiche e sociali, che
possono giustificarne una diversa
dimensione, da una popolazione di
riferimento di circa 30.000 assistiti e da un numero di medici non
inferiore a 20, inclusi i medici che
svolgono attività a quota oraria.
Alle AFT, dotate di diagnostica di
primo livello e di personale proprio
appositamente formato, anche in
un’ottica di sussidiarietà, è affidata la
prevenzione e la gestione completa
di percorsi relativi a singole patologie croniche o a persone con pluripatologie autosufficienti o con nonautosufficienza lieve; si riserva al
team multiprofessionale, nell’ambito
delle UCCP, proprio in un’ottica di
appropriatezza della risposta a differenti livelli di intensità assistenziale,
il trattamento di tutti quei pazienti
affetti da patologie croniche in cui
la presenza di situazioni di comorbilità, fragilità e non-autosufficienza
richiede l’adozione di un approccio
integrato e multidisciplinare.
Le UCCP costituiscono presidi
pubblici, in cui operano in forma
integrata diversi professionisti del
territorio, convenzionati e dipendenti del SSN, con una o più sedi
dislocate sul territorio. Il carattere
multi-professionale delle UCCP è
garantito dal coordinamento tra le
diverse professionalità, con particolare riguardo all’integrazione tra
la medicina specialistica e la medicina generale.
L’UCCP si configura come la struttura in grado di garantire una continuità dell’assistenza, ma anche
come servizio per la presa in carico
globale dei malati cronici attraverso
percorsi di supporto e di assistenza
da parte di una équipe multi-professionale. Progetti personalizzati
vengono creati e offerti ai soggetti non autosufficienti per garantire
risposte socio-sanitarie adatte alla
complessità dei loro bisogni.
Inoltre, la UCCP vuole garantire
la semplificazione dell’accesso ai
servizi della salute attraverso lo
snellimento delle procedure, l’integrazione fra servizi, l’informatizzazione delle comunicazioni e del
passaggio di dati. Fra i servizi offerti
al cittadino è necessario ricordare
i progetti educativi, non necessariamente sanitari, fondamentali per
incidere sugli stili di vita dell’utente
e, quindi, sulle cause principali delle
patologie croniche.
La UCCP ha un assetto organizzativo autonomo e strutturato, ai
sensi delle disposizioni nazionali e
regionali in materia, integrandosi
all’interno della rete dei servizi distrettuali e aziendali e permettendo una relazione diretta tra l’assistenza territoriale e gli altri nodi
della rete assistenziale.
Il disciplinare per le UCCP deve
privilegiare la costituzione di reti
di poliambulatori territoriali dotati
di strumentazione di base, aperti
al pubblico per tutto l’arco della
giornata, nonché nei giorni prefestivi e festivi con idonea turnazione, che operano in coordinamento
e in collegamento telematico con
le strutture ospedaliere.
41
I QUADERNI DI ACCADEMIA
Alla dotazione strutturale, strumentale e di servizi delle forme
organizzative provvedono le Regioni stesse, chiamate a fornire
tutti i fattori produttivi delle nuove
forme organizzative.
Le nuove forme organizzative del
SSN per l’erogazione delle cure
primarie consentiranno di sviluppare la medicina d’iniziativa quale
modello assistenziale orientato
alla promozione attiva della salute,
anche tramite l’educazione della
popolazione ai corretti stili di vita,
nonché alla assunzione del bisogno
di salute prima dell’insorgere della
malattia o prima che essa si manifesti o si aggravi, anche tramite una
gestione attiva della cronicità, seguendo alcuni principi chiave:
- la classificazione e la clusterizzazione dei pazienti rispetto alle
patologie e al grado di severità;
- l’analisi e la messa a rete delle
risorse della comunità;
-il supporto all’auto-gestione
dei pazienti ed empowerment in
modo da aiutare i pazienti e le
loro famiglie ad acquisire abilità
e fiducia nella gestione della ma-
42
lattia, procurando gli strumenti
necessari e valutando regolarmente i risultati e i problemi.
È importante enfatizzare il ruolo centrale del paziente nella
gestione della propria salute;
usare efficaci strategie di supporto auto-gestite che includano valutazione, definizione degli
obiettivi, pianificazione delle
azioni, risoluzione dei problemi
e follow-up; organizzare risorse
interne e sociali per fornire un
continuo sostegno ai pazienti;
-il riorientamento dei servizi
verso una medicina proattiva,
quale modalità operativa in cui
le consuete attività cliniche e
assistenziali sono integrate e
rafforzate da interventi programmati di follow-up sulla base
del percorso previsto per una
determinata patologia;
- l’utilizzo di linee guida in grado
di tener conto della comorbilità e della complessità assistenziale. È necessario promuovere
un’assistenza che sia in accordo
alle evidenze scientifiche e alle
preferenze del paziente. Ciò
significa integrare le linee guida basate sull’evidenza con le
attività cliniche quotidiane; condividere le linee guida basate
sull’evidenza e le informazioni
con i pazienti per incoraggiare
la loro partecipazione; utilizzare
metodi di insegnamento efficaci;
- la presenza di sistemi informativi evoluti in grado di leggere i
percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) al fine di
monitorare e valutare l’assistenza erogata al paziente cronico.
In particolare, i sistemi informativi computerizzati potrebbero
svolgere tre importanti funzioni:
- sistema di allerta che aiuta il
team ad attenersi e conformarsi alle linee guida;
- feedback per i medici, mostrando i loro livelli di performance nei confronti degli
indicatori delle malattie croniche;
-registri di patologia per
pianificare l’assistenza al
singolo paziente e per amministrare un’assistenza population-based.
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
LA
GOVERNANCE
Cosa cambia per le aziende farmaceutiche
di Massimo Scaccabarozzi *
L
a tutela della salute
rappresenta uno dei
valori prioritari della
società per la sfera e
l’essenza oggettiva che
le disposizioni costituzionali intendono tutelare, ovvero un bene
assolutamente primario tra tutti i
diritti fondamentali.
nita dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità come “uno stato di
tale e sociale e non solamente
l’assenza di malattia o di inabilità”,
ovvero una condizione di armopsichico dell’organismo dinamicamente integrato nel suo ambiente
naturale e sociale.
sico non è mai solamente una condizione statica, ma estremamente
mutevole a seconda dei suoi rapporti con l’ambiente naturale e sociale. Condizione strettamente correlata anche al diritto all’assistenza
e, quindi, all’onere per le Istituzioni
di assicurare prestazioni sanitarie
assistenziali e di prevenzione.
In campo sanitario, l’Italia occupa
una posizione eccellente. Il nostro
SSN è considerato uno dei primi
in Europa, se non al mondo, sulla
base di tre indicatori fondamentali:
il miglioramento dello stato complessivo della salute della popolazione, la risposta alle aspettative di
L’aspettativa della nuova
organizzazione delle cure
primarie è l’inversione di
tendenza basata su un
approccio puramente
economicistico, adottando
il metodo della
appropriatezza e quindi
inquadrando il farmaco
come strumento per
del nostro Ssn
salute e di assistenza sanitaria dei
cittadini, l’assicurazione delle cure
sanitarie a tutta la popolazione.
Tutti i Paesi industrializzati stanno
coltà connesse alla sostenibilità del
sistema. Ciò in quanto:
- l’età media della popolazione
aumenta;
- la domanda di salute cresce;
- i costi della ricerca aumentano
progressivamente;
- le moderne tecnologie e i conzionano il modo di sviluppare
nuovi farmaci;
pongono vincoli di bilancio sempre più stringenti e quindi politiche di contenimento della spesa.
Per la Sanità in Italia non si spende
troppo – anzi i livelli di spesa procapite sono di circa il 20% inferiori a quelli della media dei Big Ue
– ma si spende spesso male, con
forti differenze a livello di singola
struttura e penalizzando l’innovazione. Per riequilibrare il sistema,
sono quindi necessari degli interciente la spesa: rivedere l’organizzazione dell’assistenza; garantire
l’appropriatezza delle prestazioni;
razionalizzare le risorse; eliminare
gli sprechi; utilizzare al massimo le
nuove tecnologie e l’informatizzazione.
Il riordino dell’assistenza territoriale e della Medicina Generale,
previsto dall’articolo 1 del Decreto Salute (legge 8 novembre 2012,
n. 189), rientra in tale contesto e
pone le basi per una migliore assistenza territoriale, secondo una
all’ospedale la gestione dell’emergenza, della diagnostica complessa, dell’interventistica chirurgica
e strumentale, delegando invece
al territorio, e quindi alla Medicina Generale, la diagnosi e il trattamento delle patologie croniche
attraverso l’istituzione delle AFT
(aggregazioni funzionali territoriali) e le UCCP (unità di cure primarie) – Case della Salute.
Questa nuova organizzazione,
per funzionare in modo adeguato, ha però bisogno di risorse
adeguate, di meccanismi pre-
* Presidente Farmindustria, Roma
Febbraio 2014
43
I QUADERNI DI ACCADEMIA
mianti in base a indicatori di performance e di esito che mettano
la Medicina Generale in grado di
poter agire nelle migliori condizioni logistiche e professionali.
Ciò consentirà di diminuire i ricoveri ospedalieri e accessi al pronto
soccorso (minore spesa), ridurre
le liste di attesa (migliore servizio
ai cittadini), appropriatezza delle
prestazioni.
Per quanto riguarda il settore farmaceutico, l’aspettativa è che da
questa nuova organizzazione possano derivare:
-una gestione più sostenibile
della spesa, evitando tagli al SSN
che troppo spesso incidono in
maniera sproporzionata sulla
farmaceutica;
-una migliore appropriatezza
prescrittiva in grado di ridurre i
costi diretti e indiretti degli altri
costi sanitari;
- una più adeguata aderenza terapeutica garantita da un sistema in grado di seguire con
continuità i pazienti attraverso
l’assistenza, sia presso gli studi
professionali, sia domiciliare;
- un immediato accesso per i
farmaci innovativi destinati alle
malattie croniche. In tale con-
Figura 1 - L’uso appropriato dei medicinali riduce gli altri costi
sanitari: l’esempio del diabete
16%
15%
14%
12%
12%
10%
10%
8%
6%
5%
4%
2%
0%
<40%
40%–59%
60%–79%
80%–99%
4%
100%
Grado di aderenza alla terapia farmacologica
Figura 2 - Migliorare la compliance per favorire risparmi in sanità
Pharmacy costs
$2,000
$1,058
$1,000
Medical spending
$601
$656
$429
Overall savings
$0
($1,258)
($1,860)
($1,000)
($2,000)
($3,000)
($3,756)
($4,413)
($3,908)
($4,337)
($4,000)
($5,000)
($6,000)
($7,000)
($7,823)
($8,000)
($9,000)
($8,881)
Congestive heart failure
Hypertension
Diabetes
Dyslipidemia
Figura 3 - La salute costa, ma la malattia costa di più. Farmaci e vaccini sono un investimento per
ridurre la spesa socio-sanitaria complessiva
L’uso corretto dei farmaci può determinare risparmi
per il SSN:
• con la prevenzione
• riducendo il rischio di malattie invalidanti
• rendendo non necessari interventi chirurgici
(ad es. ulcere gastroduodenali)
• rallentando la degenerazione o attenuando i sintomi
di alcune malattie tipiche dell’invecchiamento
(ad es. morbo di Parkinson e Alzheimer)
• accorciando i tempi di ospedalizzazione (ad es. per
la chemioterapia) o evitando il ricovero ospedaliero
(ad es. per malattie croniche)
Un giorno di ricovero in ospedale costa circa
1000 euro, più di 5 volte la spesa pro-capite per
assistenza pubblica per medicinali in farmacia
44
Italia, uso dei farmaci per patologie croniche:
rapporto costo/beneficio (cardiovascolare,
respiratorio, depressione, Alzheimer)
Mld €/anno
Spesa sostenuta per medicinali
6,3
Costi sanitari evitati
6,1
Costi non sanitari evitati
5,6
(minore ospedalizzazione, interventi chirurgici non
necessari, rallentamento degenerazione malattie)
(minori giorni di lavoro persi, minore spesa per
assistenza sociale)
Risparmi ottenibili dai vaccini: 1 euro speso per la vaccinazione
può equivalere a 24 euro per curare chi si ammala
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
testo, una parte dei risparmi
derivanti dalla riduzione dei ricoveri e delle complicazioni di
alcune patologie croniche tramite la prevenzione (es.: diabete, ipertensione) dovrebbe essere reinvestita nel sistema per
assicurare l’immediata disponibilità dei farmaci innovativi.
Questo nuovo approccio dovrebbe invertire la tendenza che fino
a oggi ha guidato le scelte politiche degli ultimi anni e cioè abbandonare l’approccio puramente
economicistico per adottare il
metodo dell’appropriatezza, inquadrando il farmaco nel suo giusto ruolo: quello di strumento per
l’efficienza e la qualità del SSN.
Febbraio 2014
Figura 4 - Innovazione: assicurare accesso rapido e adeguato
riconoscimento ai nuovi prodotti
Autorizzazione comunitaria
12-15 mesi
Autorizzazione nazionale
12 mesi
Inserimento nei Prontuari Regionali
Oltre 2 anni
il tempo totale
per l’accesso a un nuovo
farmaco
e dopo l’accesso una serie di
vincoli che ne limitano l’uso
-24% differenza tra Italia e Big
UE delle vendite procapite di
nuovi medicinali lanciati tra il
2008 e il 2012
2 anni
Prima dell’uso effettivo negli ospedali
45
I QUADERNI DI ACCADEMIA
LA
GOVERNANCE
Empowerment e governance: i significati
di Alessio Terzi * e Antonio Gaudioso **
C
ome è noto a tutti
gli osservatori attenti, la questione della
sostenibilità dei servizi sanitari precede
anni si parla di una crisi del modello sociale europeo (ACN, 2007).
Nell’ambito della salute, si è consolidato un radicale cambiamento
che ha spostato il peso prevalente
nalizzato alla guarigione) delle malattie acute alla cura delle malattie
croniche, oncologiche e della non
vece, da una presa in carico orientata alla promozione dei massimi
livelli possibili di autonomia e di
qualità della vita delle persone.
La trasformazione ha indotto
profonde revisioni degli approcci
concettuali, organizzativi e professionali e la consapevolezza diffusa ma ancora pericolosamente
incompleta che, nella “presa in
carico”, il cambiamento riguarda
il “gioco” e non soltanto le regole. In questo ambito, l’universalità del Servizio Sanitario non
è garantita dall’applicazione di
principi astrattamente uniformi
ma dall’impegno a garantire concretamente a ogni cittadino, quali
che siano le sue condizioni, il diritto a non cadere in condizioni
di esclusione sociale a causa della
malattia. Si è anche affermata l’idea che centrare la medicina sul
malato non è un lusso ma la via
Le forme tradizionali
della rappresentanza dei
cittadini e delle comunità
locali non sono adatte a
sostenere adeguatamente
i processi
di trasformazione in ambito
sanitario: l’empowerment
dei cittadini e delle
comunità risulta tuttavia
decisivo per la riforma
delle cure primarie
maestra per evitare perdite di
tempo, passaggi inutili e sprechi.
La patient centered care non è più
soltanto un “valore” da rispettare
ma una vera e propria disciplina
che trova il suo riscontro formale
nei piani personalizzati di trattamento diagnostico, terapeutico
e assistenziale (PDTA) o, in altri
ambiti, nei piani individuali di assistenza (PAI). Varie sperimentazioni hanno dimostrato che questo
approccio mette a valore risorse
(degli individui, delle famiglie, dei
professionisti e delle comunità)
che, diversamente, restano fuori
gioco o inutilizzate.
Si potrebbe dire, con qualche (ma
non eccessiva) enfasi, che le co-
noscenze teoriche e pratiche necessarie per costruire una nuova
offerta sanitaria, fondata sulla valorizzazione del territorio, esistono e sono disponibili. Purtroppo
lerare questo tipo di trasformazione – come, ingenuamente, ci si
poteva attendere – ha stimolato
tagli lineari e azioni di carattere
verticistico, con esiti del tutto
discutibili. È da dimostrare, per
esempio, che la continua revisione
degli assetti istituzionali e organizzativi (es. accorpamenti e centralizzazione degli acquisti) produca i risparmi desiderati, mentre
zione degli organigrammi e delle
politiche aziendali ha prodotto un
clima di incertezza, disorientando
personale, cittadini e interlocutori. Gli standard e i criteri elaborati
di obiettivi e di percorsi condivisi,
tradotti in disposizioni immediatamente vincolanti, hanno perso
Tradurre per comprendere
(e agire)
La complessità del problema richiederebbe una trattazione che
va al di là dei limiti di spazio di
un articolo e delle competenze
dell’autore. È possibile però rilevare che le azioni di governo, con
* Past President di Cittadinanzattiva, Roma
** Segretario Generale di Cittadinanzattiva, Roma
46
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
poche meritorie eccezioni, ignorano un fatto cruciale, e cioè, che
la trasformazione del Sistema Sanitario comporta una sostanziale
revisione dei rapporti con (e fra)
i suoi attori, ispirata all’empowerment e nuove forme di governance.
Tradurre bene questi termini è
necessario se si vuole evitare che
l’affermazione resti una frase a effetto, priva di significati concreti.
L’empowerment non è soltanto una
forma raffinata di educazione sanitaria volta a indurre stili di vita appropriati, ma, come dice Rappaport
– il maggiore studioso dell’argomento – è un “processo dell’azione
sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle
proprie vite, al fine di cambiare il
proprio ambiente sociale e politico
per migliorare l’equità e la qualità
di vita” (Agenas, 2010, pag. 11). Ciò
comporta, necessariamente, una
progressiva assunzione di conoscenze di poteri e di responsabilità
da parte dei cittadini, dei professionisti e delle comunità, in ordine
all’organizzazione e ai processi di
assistenza e di cura.
La governance non si riduce a forme
solo istituzionali di consultazione –
che pure non guasterebbero – ma
diventa la costante ricerca di un
governo condiviso dei problemi
volto a valorizzare il contributo
di tutti gli attori. L’esperienza del
Tribunale per i Diritti del Malato
ha messo in evidenza nei rapporti
fra cittadini, servizi sanitari e professionisti una sorta di “terra di
nessuno” dove manca un sistema
di norma, valori, risorse, procedure
e comportamenti codificati, condiviso e praticato da tutti i soggetti
coinvolti (Cittadinanzattiva, 2006).
Negli ospedali l’esistenza di strutture gerarchiche definite maschera
un problema che nell’ambito delle
cure primarie diventa, invece, del
Febbraio 2014
tutto evidente. “In 53 distretti su
120 il giudizio sull’informazione
e sulla comunicazione è scadente (40) o pessimo (13). Un terzo
scarso dei distretti fornisce ai medici di famiglia e ai pediatri opuscoli
sull’ADI da mettere a disposizione
nei propri studi. In una metà scarsa
sono a disposizione del pubblico
strumenti informativi sull’organizzazione delle prestazioni (accesso
all’ADI, gestione e autorizzazione
di ausili, revoca e scelta del medico, diritto di libera scelta, cure
all’estero, esenzioni per patologia
e invalidità, prestazioni gratuite dei
medici di famiglia e dei pediatri).
Nei distretti, come si è visto, sono
bassi anche gli indici della qualità e
della tutela. Se a questo si aggiunge che anche l’organizzazione dei
medici di famiglia e dei pediatri è
alquanto critica – solo il 37% dei
professionisti pratica la medicina di
gruppo e la connessione degli studi
con i CUP è estremamente ridotta
(13%) – l’ipotesi di imperniare sui
distretti e sulla medicina di base le
strutture portanti del nuovo sistema delle cure primarie potrebbe
essere messa in discussione.” (Cittadinanzattiva, 2010, pag. 64).
Di nuovo, lo spazio dell’articolo e
le competenze dell’autore sono
insufficienti per una trattazione
adeguata. È possibile però portare
l’attenzione su alcune questioni,
normalmente trascurate, che potrebbero facilitare la comprensione del problema e l’individuazione
di alcune vie di uscita.
Per un empowerment dei
professionisti del territorio
“Le vittime della medicina frammentata, fatta di tanti segmenti
indipendenti, ciascuno con proprie
regole e obiettivi sono due: la persona in difficoltà, non protetta da
un sistema adatto alle varie tappe
della sua malattia, e il medico la cui
professione si riduce a un insieme
di atti tecnici, spesso slegati fra di
loro (dei quali non sempre comprende lo scopo) e circa i quali
non di rado è costretto ad accettare decisioni prese da altri con cui
non è in sintonia” (Trabucchi, 2009,
pag. 53).
Questa considerazione, da una
parte, mostra un importante problema presente nella “terra di
nessuno”, dall’altra, aiuta a comprendere meglio che la costruzione delle reti di medici di famiglia
necessarie per il nuovo sistema
di cure primarie presenta aspetti
molto problematici. Aggiungere
nuovi compiti e prefigurare strutture organizzative affidando alla
contrattazione sindacale la loro
traduzione pratica, forse, non è
la strada migliore per raggiungere
l’obiettivo.
Stimolare la partecipazione attiva
dei MMG, territorio per territorio,
alla progettazione e alla costruzione della nuova organizzazione è
certamente più laborioso e complicato ma, forse, è in realtà l’unico modo per passare dalle ipotesi
cartacee alla realtà. I campi in cui
ciò è possibile – lo dimostrano varie sperimentazioni – sono molti.
Le opportunità – dall’implementazione di circuiti informatici volti a
fare circolare le informazioni invece che le persone alla telemedicina, dal miglioramento dell’ADI ai
rapporti con i centri di riferimento delle malattie croniche e così
via – non mancano, basta volerle
cogliere.
Nei territori, fra l’altro, esistono
da sempre le farmacie, che, per
effetto delle più recenti decisioni
nel settore, sono alla ricerca di un
nuovo ruolo. In Piemonte, Federfarma ha avviato un programma di
“farmacia di comunità” come sostegno per l’assistenza domiciliare
ai malati cronici. Accogliere e stimolare questi apporti, superando
47
I QUADERNI DI ACCADEMIA
antiche diffidenze, può mettere in
campo nuove importanti risorse.
Per un empowerment dei
cittadini
Nella chronic care e nelle long term
care, i malati e le loro famiglie investono molto in termini economici (costi di trasporto, bollette
energetiche, dispositivi, farmaci e
parafarmaci), culturali (conoscenza, interpretazione e gestione della
malattia), organizzativi (caregiver
e/o badanti). È frequente, inoltre,
che il malato o il suo caregiver assumano di fatto il coordinamento organizzativo dei percorsi cura, dalla
gestione delle prenotazioni alla
comunicazione fra i professionisti,
ecc. Questo ruolo non è stato ancora adeguatamente riconosciuto,
in tutti i suoi aspetti. Nessuno si
permette di negare che l’acquisizione dell’esperienza dei pazienti è
una conoscenza necessaria per la
corretta progettazione dei PDTA
e per la loro concreta personalizzazione (ACN, 2013). Molto raramente però i malati e le loro organizzazioni sono coinvolti a questo
proposito: talvolta la formalizzazione del loro punto di vista è affidata
a un professionista, più spesso è lasciata al semplice buon senso degli
operatori. Eppure questi strumenti
sono un cardine della nuova organizzazione sanitaria e dovrebbero,
quindi, essere trattati con l’approccio dell’health technology assessment, con strumenti e procedure
che favoriscono la partecipazione
dei cittadini (NICE, 2013).
Un secondo aspetto, di grande rilievo ma colpevolmente trascurato,
riguarda l’interlocuzione e la tutela
dei diritti. Nel territorio i cittadini non trovano facilmente punti di
riferimento adeguati. I punti unici
di accesso, nel 2011, erano assenti
nel 15% dei distretti e solo un terzo era in grado di svolgere l’intero
48
processo organizzativo della presa
in carico (Agenas, 2011). I percorsi
personalizzati, così, diventano una
strada in salita fin dall’inizio. Non
casualmente, varie indagini del
Tribunale per i Diritti del Malato
hanno certificato frequenti casi di
sottoutilizzazione dei servizi per
mancanza di informazioni. Gli URP
restano confinati negli ospedali e
presso le direzioni aziendali e nei
territori mancano le sedi per inoltrare reclami e segnalazioni, per
reagire a eventuali comportamenti
professionali impropri o dannosi
e avere risposte soddisfacenti in
tempi utili e pertinenti.
Infine, anche quando le risorse del
malato e della sua famiglia sono
una componente indispensabile del
PDTA o dei PAI, questi restano, di
fatto, atti unilaterali dell’amministrazione, esposti, fra l’altro, al rischio di
interpretazioni arbitrarie degli uffici.
In alcune realtà, fortunatamente, è
stata adottata una prassi di sottoscrizione congiunta dei piani stessi.
È una consuetudine che potrebbe
aprire la strada per una innovazione
importante e cioè la loro trasformazione in “contratti”, sia pure di
tipo particolare, che permettono ai
“contraenti” di pretendere e ottenere il rispetto degli impegni presi,
e, quando necessario, di partecipare
alla loro ridefinizione.
Per un empowerment delle
comunità locali
Un effetto particolarmente negativo dell’approccio top down finora
prevalentemente utilizzato, è la progressiva emarginazione delle comunità locali, trattate, erroneamente,
come meri “bacini di utenza” invece
che come “attori sociali” (Nicoli et
al., 2010). Le promesse non mantenute, l’adozione di provvedimenti
mal comunicati e, spesso, contraddittori, le riduzioni, la soppressione di presidi storici senza misure
compensative, hanno provocato un
senso di abbandono e di impotenza. L’unica forma di interlocuzione
possibile è rimasto il conflitto, subito stigmatizzato come mera protesta corporativa, ignorando il valore
simbolico dei presidi ospedalieri,
fondati e sostenuti con lasciti testamentari e con altre risorse per
garantire l’assistenza per i membri
disagiati delle comunità. Nel mondo della “medicina segmentata”,
inoltre, “l’ospedale rappresenta il
luogo dove meglio vengono messe
a punto le informazioni riguardo al
paziente (intensività del rapporto,
continuità dell’osservazione, disponibilità di strumentazione, ecc.)
(Trabucchi, pag. 50).
Le forme tradizionali della rappresentanza non sono adatte a sostenere il passaggio e le Conferenze
dei Sindaci stentano ad avere un
ruolo forte rispetto alle Aziende
Sanitarie e ai Distretti (Agenas,
2011).
Resta indispensabile, però, costruire patti che restituiscano alle
comunità poteri e responsabilità
per il proprio futuro. Una ricerca
di Agenas ha rilevato un numero,
ridotto ma significativo, di esperienze di empowerment volte a
sviluppare “processi/strumenti di
governo locale capaci di coinvolgere i cittadini e le organizzazioni
nelle scelte in merito a problemi,
bisogni, domande come, ad esempio, i Patti di solidarietà o i Forum
dei cittadini, gli strumenti di programmazione strategica.” (Caracci
e Carzaniga, 2010, pp. 14–16). Lo
studio delle esperienze rilevate
nell’anno europeo dell’invecchiamento attivo, inoltre, fa emergere
una capacità della cittadinanza attiva di “riempire” la terra di nessuno
con iniziative di sussidiarietà, come
le reti di anziani attivi capaci di veicolare informazioni dalle istituzioni
ai cittadini e viceversa, di istituire
centri di socializzazione, informa-
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
zione e di consulenza, di garantire
l’accompagnamento dei soggetti
fragili, ecc. (ACN, 2011). La comunità locale, infine, è l’ambito in cui
si spendono concretamente le risorse dei professionisti, degli enti
locali e di molti altri attori.
È doveroso quindi sviluppare forme di governance capaci di riconoscere questo insieme di risorse.
Una strada potrebbe essere la rivisitazione dei piani di zone della
legge 328/00 o delle Conferenze
dei Servizi del Dpcm del 19/5/95.
In un caso e nell’altro si dovrebbero garantire:
- una lettura dell’offerta sanitaria,
condotta con gli strumenti, ormai consolidati, della valutazione civica (Terzi et al, 2010), volta
a fare emergere soprattutto gli
aspetti “nascosti” dell’offerta
sanitaria (domiciliarità, centri
di riferimento per le cronicità,
accessibilità dei servizi di emergenza), considerati dal punto di
vista del territorio;
- la definizione di piani di azione
condivisi e cogenti per tutti gli
attori, non modificabili unilateralmente;
- la verifica periodica e l’aggiornamento dei piani di azione stessi.
Il percorso può sembrare troppo complicato e impegnativo ma,
in una stagione come quella che
stiamo vivendo, è difficile pensare
a qualcosa di meno se davvero si
vuole ricostruire un rapporto di
fiducia con i cittadini e con le comunità locali. Chi considera questo problema di scarsa rilevanza
dovrebbe sentire l’obbligo di indicare strade diverse effettivamente
percorribili che non siano quelle
Febbraio 2014
di affidare a chi sa quale modello il
magico potere di risolvere, da solo,
ogni problema.
Piccola nota conclusiva
L’impianto normativo necessario
per procedere nelle direzioni indicate esiste o, al massimo, richiede
pochi ritocchi. Quello che manca
sono politiche chiare, trasparenti
e verificabili e sistemi intelligenti
di controllo che premino effettivamente i migliori (lasciando ad essi
la dovuta libertà di azione) e favoriscano il tempestivo intervento nei
casi di inattività e incompetenza.
La difficoltà a procedere in questo
senso è un male antico dell’amministrazione italiana che la legislazione,
da sola, non riesce a risolvere, come
ha dimostrato ampiamente l’esperienza. Allora, probabilmente, è inutile perdere altro tempo intorno a
nuovi modelli. È meglio lavorare a
soluzioni, come quelle indicate, che
facciano spazio a chi può portare
risorse, a partire dai cittadini.
Letture consigliate
- Active Citizenship network (ACN),
Fondaca – Patients’ rights in Europe: Civic information on the implementation of the European Charter
of Patients’ Rights – January 2007.
http://www.activecitizenship.net/
images/stories/DOCS/monitoring/
Patients%20Rights%20Report%20
final-eng.pdf
- Active Citizenship network (ACN),
Fondaca (2012) – Active Ageing
in practice! Experience of Civic
engagement in Health policies –
Brussels, 2011. http://www.activecitizenship.net/files/take_action/
active_ageing_eu_policy.pdf
- Active Citizenship network (ACN),
Fondaca (2012) – The patient’s involvement in health policies in Europe.
http://www.cittadinanzattiva.it/editoriale/europa/4974-7ma-giornataeuropea-dei-diritti-del-malato.html
- Agenas – Il sistema sanitario e l’empowerment – Quaderno di Monitor n. 6/2010, Roma
- Agenas - La rete dei distretti sanitari in Italia – Quaderno di Monitor
n. 8/2011, Roma
- Caracci G, Carzaniga S. I risultati
della ricerca Agenas. Definizione,
modello di analisi, strumenti di rilevazione ed esperienze significative di empowerment in sanità – in
Quaderno di Monitor n.6/2010.
- Cittadinanzattiva – VI Rapporto
Audit civico – Il sistema sanitario
visto dai cittadini - Roma 2010 .
http://www.cittadinanzattiva.it/progetti-salute/audit-civico/rapportie-documenti-audit-civico/rapportinazionali-audit-civico.html
- NICE - National Institute for Health and Clinical Excellence - Patient and Public involvement policy
– 2012.
-http://www.nice.org.uk/getinvolved/patientandpublicinvolvement/
patientandpublicinvolvementpolicy/
patient_and_public_involvement_
policy.jsp
- Nicoli MA et al. Empowerment di
comunità: gli orientamenti in regione Emilia Romagna in Monitor
2010, cit.
- Terzi A, Tanese A, Lamanna A. L’Audit civico in sanità: una espressione
della cittadinanza attiva– Mecosan
n.74/2010, pagg. 129–151.
- Trabucchi M. L’ammalato e il suo
medico. Il Mulino, Bologna 2009.
49
I QUADERNI DI ACCADEMIA
LE
AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO
La broncopneumopatia cronica ostruttiva
di Germano Bettoncelli *
L’
Organizzazione delle Nazioni Unite nel
2011 ha affermato
che le malattie croniche non trasmissibili
sono la grande priorità di salute di
quest’ultimo decennio. Anche secondo l’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS) le malattie croniche rappresentano una minaccia
globale che comprende, non solo i
tumori, le malattie cardio-vascolari
e il diabete, ma anche le malattie
respiratorie croniche, tra le quali
nel mondo occidentale la più importante è la broncopneumopatia
cronica ostruttiva (BPCO).
Le malattie respiratorie croniche
colpiscono milioni di persone, di
tutte le età, in tutto il mondo, soprattutto nei paesi meno sviluppati, causando, secondo l’OMS, circa
4 milioni di morti ogni anno.
L’OMS negli anni recenti ha affermato che l’epidemia di malattie
croniche può essere affrontata
solo attraverso adeguate politiche
di prevenzione e con il tempestivo
trattamento delle patologie già in
atto.
La BPCO è tra queste patologie
una delle più rilevanti, con una
preoccupante tendenza alla crescita sia in termini di morbilità sia
di mortalità, al punto che da qui
al 2030 essa potrebbe divenire la
terza causa di morte. Ciò nonostante la BPCO oggi è considerata
una malattia prevenibile e curabile
ed è possibile, quanto meno, rallentarne l’evoluzione.
Nell’ambito della nuova
organizzazione
delle cure primarie
è essenziale il passaggio
da un modello
basato sulla malattia
a un modello
che sia centrato
sul paziente con
broncopneumopatia
cronica ostruttiva
La causa principale della BPCO è il
fumo di sigaretta e si stima che dal
15 al 50% dei fumatori svilupperà
una BPCO nel corso della propria
vita. Altri inquinanti ambientali, domestici e lavorativi, possono inoltre svolgere un ruolo importante
come fattori patogenetici.
matoria dell’apparato respiratorio,
caratterizzata da un’ostruzione
bronchiale che determina un progressivo declino della funzionalità
polmonare. Tale compromissione
viene percepita dal paziente sotoria, che si manifesta dapprima
sotto sforzo e successivamente
anche a riposo. Si tratta di una
condizione cronica nella quale l’o-
struzione bronchiale di solito non
è reversibile o può esserlo solo
parzialmente.
Nel corso della malattia possono
di riacutizzazione, caratterizzati
dall’aumento di frequenza e intensità dei sintomi abitualmente
presenti. Tali eventi non raramente
sono causa di ricovero ospedaliero, talora anche in unità di terapia
respiratoria intensiva. Sebbene il
numero degli episodi di riacutizzazione vada aumentando con la
gravità della malattia, anche una
BPCO ancora in fase moderata
(VEMS ≥50% del predetto) può
presentare una certa ricorrenza di
tali evenienze. La frequenza delle
esacerbazioni condiziona in modo
proporzionalmente negativo il decorso della malattia, la qualità della
vita e la prognosi quoad vitam.
L’azione del SSN per il controllo
della BPCO deve svilupparsi attraverso le seguenti direttrici:
1. prevenzione dello sviluppo della BPCO attraverso una decisa
riduzione del numero di fumatori;
2. tempestiva e accurata diagnosi della BPCO attraverso una
maggior sensibilizzazione di
tutti gli operatori sanitari e un
utilizzo più diffuso dei test spirometrici;
3. incoraggiamento e sostegno al
paziente nell’auto-gestione della propria malattia;
* Responsabile Nazionale Area Pneumologica, SIMG – Società Italiana Medicina Generale, Firenze
50
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
Secondo l’OMS il modo più efficace oggi praticabile per far fronte
all’impatto sociale delle più importanti patologie croniche, consiste
in un maggior utilizzo dei principi
e dei metodi di approccio caratteristici della primary care. In particolare tali modelli sono applicabili
alle patologie fumo-correlate e in
generale alla malattie respiratorie
croniche, poiché la maggior parte
delle consultazioni per questi problemi avviene proprio nel setting
della Medicina Generale.
Al medico di medicina generale
(MMG) compete quindi la presa
in carico globale del paziente con
BPCO, a cominciare dall’intervento
di prevenzione primaria sull’abitudine tabagica. Tale azione si deve
realizzare attraverso la sistematica
registrazione del dato fumo nella
cartella di tutti gli assistiti, nel consiglio elargito ai non fumatori, in particolare nella fascia adolescenziale,
nel minimal advice fornito a tutti i
fumatori secondo il modello delle
5A, eventualmente nell’invio ai centri antifumo di 2° livello e infine nel
supporto agli ex fumatori affinché
persistano nel mantenersi tali.
La diagnosi precoce rappresenta
un momento fondamentale della
prevenzione secondaria, in grado
di condizionare in modo determinante il successivo decorso della malattia. Il MMG si trova nella
miglior condizione per formulare
il sospetto di BPCO, grazie alla
conoscenze che gli derivano dai
frequenti contatti con tutti i suoi
pazienti e con i loro familiari. Va
posto il sospetto di malattia in
presenza di sintomi caratteristici
quali tosse e catarro cronici e/o
Febbraio 2014
dispnea, insorti in soggetti con
fattori di rischio, quali fumo di tabacco, esposizioni lavorative, inquinamento domestico o ambientale.
Il sospetto di malattia va quindi verificato attraverso l’esecuzione di
un esame spirometrico che, oltre
a confermare la diagnosi è necessario anche per stadiare la gravità
della malattia. Sebbene la formulazione del sospetto di malattia e
la successiva conferma diagnostica
spirometrica non comportino nella
maggior parte dei casi particolari
difficoltà, in tutto il mondo la BPCO
rimane una patologia ancora ampiamente sottodiagnosticata. Nel nostro Paese, a fronte di una stima di
prevalenza del 5–6%, nel principale
database della Medicina Generale
italiana, Health Search, la prevalenza
della BPCO al 31-12-2012 non superava il 2,9% (Figura 1).
Inoltre queste diagnosi sono accompagnate dalla richiesta di un
esame spirometrico solo nel 56%.
Quasi la metà di esse pertanto potrebbe essere posta oggettivamente in discussione. Pur senza voler
qui ulteriormente approfondire
le cause che spiegano questi dati,
anomali anche rispetto all’anda-
mento delle altre principali condizioni di cronicità, va detto che
esse risiedono probabilmente sia
nei medici sia nei pazienti. Per ovviare al fatto che, ancora oggi, non
pochi pazienti ricevono una prima
diagnosi di malattia in occasione
dell’accesso in pronto soccorso
per l’esacerbazione di una BPCO
già in avanzato stadio di gravità, è
indispensabile che il MMG adotti
una nuova strategia di popolazione
basata su una vera medicina d’iniziativa. Con questo si intende un
modello di gestione delle malattie croniche che punti a superare
quello – ancora prevalente – di una
medicina d’attesa adatta soprattutto alle patologie acute. Un modello
che sia in grado di intercettare il
bisogno di salute anticipando, per
quanto possibile, l’insorgere della
malattia, o che comunque punti a
intervenire prima che essa si manifesti o si aggravi, che ne rallenti
il decorso, garantendo al paziente
interventi adeguati e personalizzati
in rapporto al livello di rischio.
A livello territoriale, il modello di
riferimento per l’implementazione
di questo nuovo concetto di assistenza, è quello del chronic care
Figura 1 - Prevalenza BPCO anni 2003–2012
6
5
Prevalenza %
4. promozione della gestione integrata dell’assistenza ai pazienti
con BPCO, centrata sulle cure
primarie e con il coinvolgimento di quelle specialistiche e di
tutti gli altri operatori interessati.
4
3
2
1
0
Maschi
Femmine
Totale
2003
2,8
1,5
2,1
2004
3,0
1,6
2,2
2005
3,2
1,8
2,4
2006
3,3
1,9
2,6
2007
3,4
2,1
2,7
2008
3,5
2,2
2,8
2009
3,5
2,2
2,8
2010
3,5
2,3
2,9
2011
3,5
2,3
2,9
2012
3,5
2,3
2,9
Dati Health Search al 31-12-2014
51
I QUADERNI DI ACCADEMIA
model (Prof. Wagner del Mac-Coll
Institute for Healthcare Innovation)
che si caratterizza per una serie
di elementi la cui combinazione dà
come risultato: l’interazione efficace tra un paziente divenuto esperto mediante opportuni interventi
di informazione e di educazione e
un team assistenziale multi-professionale, a composizione variabile,
composto da medico di famiglia,
infermieri e altre figure professionali (operatore socio-sanitario,
dietista, fisioterapista, specialista di
riferimento). Sotteso a questi concetti è il passaggio da un modello
assistenziale orientato essenzialmente alla malattia a uno centrato
sul paziente con BPCO. Di conseguenza, dal perseguire un obiettivo
di compliance, condizione essenzialmente di tipo passivo, a uno di
adherence, che coinvolge il paziente
in maniera più attiva e consapevole.
L’aderenza del paziente con BPCO
inizia dalla consapevolezza della
propria condizione clinica, implica
la comprensione del razionale della terapia prescritta, la sua corretta
e regolare assunzione, l’adozione
di uno stile di vita adeguato, il rispetto del programma di follow-up
pianificato insieme al medico. Purtroppo vi è ampia letteratura che
evidenzia come l’aderenza terapeutica dei pazienti con patologie
croniche, in generale, non superi
il 50% dell’atteso e ciò accade anche per quanto riguarda la BPCO.
Ancora i dati di Health Search ci
mostrano che il 48% dei pazienti
con diagnosi di BPCO non riceve
nessun trattamento farmacologico
o, nella migliore delle ipotesi lo assume in maniera discontinua. Negli ultimi anni sono stati effettuati
straordinari progressi nel campo
delle terapie per le patologie respiratorie ostruttive, così disponiamo
oggi di farmaci potenti ed efficaci,
utilizzabili a bassi dosaggi grazie
alla loro azione topica e quindi
con scarsi effetti avversi. Questi
52
vantaggi sono però attenuati dalla
necessità di assumere le molecole
attraverso i relativi devices, i quali,
pur essendo sempre più evoluti
nel senso della semplificazione e
richiedendo ancora un minimo di
abilità da parte del paziente, comportano qualche difficoltà nel caso
che questi sia anziano. Per questo
si raccomanda che a ogni incontro
il medico verifichi, chiedendone la
dimostrazione pratica, se l’utilizzo
dei farmaci prescritti è corretto.
Il trattamento deve essere impostato in funzione dello stadio di
gravità del paziente e per questo la
conoscenza del dato spirometrico
è indispensabile. Verosimilmente,
sulla scorta del basso numero di
spirometrie richieste dai MMG,
in buona parte i trattamenti vengono ancora prescritti in modo
del tutto empirico. È pur vero che
recentemente, anche nelle più referenziate linee guida, si è venuto
affermando il bisogno di un inquadramento del paziente basato non
solo sul dato funzionale respiratorio, ma esteso alla sua globalità
e complessità, quindi all’intensità
dei sintomi, alle patologie concomitanti, alla frequenza e al rischio
di riacutizzazioni. Un approccio,
in fondo, piuttosto vicino a quello tradizionale, olistico, del MMG.
Anche gli obiettivi terapeutici non
dovrebbero tener conto esclusivamente degli intendimenti del medico ma, in funzione della maggior
adesione del paziente, andrebbero
modulati sulle sue aspettative e in
funzione del tipo di vita che egli intende condurre. Non è raro infatti
che, anche a parità del dato funzionale respiratorio, i medici possano trovarsi al cospetto di soggetti affatto diversi per condizioni
generali di salute, tolleranza allo
sforzo, stile di vita e programmazione della stessa. In tale contesto
la gestione della terapia necessita
di una maggiore flessibilità rispetto agli schemi più rigidi proposti
in passato, con un atteggiamento
da parte del medico favorevole
ad accompagnare il paziente in un
precorso che renda i limiti imposti
dalla malattia più accettabili. Anche
nelle sue fasi più avanzate, quelle
dell’insufficienza respiratoria che
richiede la somministrazione di
ossigeno per molte ore al giorno
o l’utilizzo di ausilii meccanici per
la respirazione. Fino alle fasi della
terminalità, condizione per la quale deve ancora meglio svilupparsi
Figura 2 - BPCO
Bronchite
Enfisema
1
11
2
5
3
4
8
6
Ostruzione
al flusso
7
12
Asma
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
e diffondersi una cultura medica
in grado di applicare i criteri della
palliazione ai pazienti cronici non
neoplastici.
La BPCO è una malattia complessa, in parte non ancora del tutto
conosciuta, secondo alcuni un’insieme di più condizioni, come ci ricorda il cosiddetto diagramma non
proporzionale di Venn (Figura 2).
A tale complessità si aggiunga la
frequenza con cui, nello stesso
paziente, essa si accompagna ad altre condizioni patologiche, con le
quali interferisce e dalle quali viene
condizionata nelle manifestazioni
cliniche, nelle interferenze farmacologiche, negli esiti della qualità
di vita e nella prognosi. È evidente
che se al MMG si richiede una presa in carico globale non solo del
singolo paziente BPCO, ma di tutti
i pazienti BPCO presenti nella popolazione dei suoi assistiti, preliminarmente vanno definiti gli obiettivi assistenziali in funzione delle
risorse disponibili. Ciò presuppone
l’individuazione di un percorso di
cura praticabile da tutti gli operatori sanitari a vario titolo coinvolti,
condiviso al cospetto delle istituzioni locali e regionali e delle associazioni dei pazienti. In questa prospettiva la definizione dei rispettivi
ruoli, induce precisi profili di responsabilità, mentre dagli obiettivi
assistenziali stabiliti deriva la messa
a punto del necessario sistema di
indicatori di rilevazione e di monitoraggio.
In tale contesto, di quale modello
organizzativo deve dotarsi la Medicina Generale? Oggi tale risposta
non è per nulla scontata in presenza di (per altro pochi) Sistemi
Febbraio 2014
Sanitari regionali radicalmente differenti tra di loro, i più datati dei
quali, seppur ancora relativamente
recenti, cominciano solo ora a produrre i primi dati di esito. Ma se
vi sono profonde differenze tra il
modello della Regione Lombardia
basato sui CReG e ad esempio
quello della Regione Toscana basato sui principi del chronic care model, è indubitabile che le esigenze
dei pazienti e quindi gli obiettivi assistenziali, dovrebbero essere simili ovunque. Così come è evidente
che i risultati della Medicina Generale saranno in funzione dell’organizzazione di cui dispone il medico
nel proprio ambito di lavoro. Sebbene non vi siano ancora molti dati
che documentino esiti migliori nelle forme associative della medicina
di famiglia rispetto chi opera in singolo, è verosimile che, in obbedienza al Decreto Balduzzi, la maggior
parte dei MMG si orienterà in tal
senso. In tale contesto potrebbero
emergere medici con particolari
competenze su specifiche materie
(capaci ad esempio di effettuare
un counselling più strutturato per
la disassuefazione tabagica o una
spirometria di primo livello) che
potrebbero essere messe a disposizione dei pazienti degli altri
colleghi. L’informatizzazione degli
studi medici costituisce una realtà
ormai generalizzata, non tanto perché obbligatoria, ma anche perché
irrinunciabile sia per motivi clinici
sia burocratici. Il controllo degli assistiti in termini di fattori di rischio
per la BPCO, verifica della correttezza diagnostica e della stadiazione con spirometria, adeguatezza
delle prescrizioni e soprattutto
adesione al piano di cura, vaccinazioni profilattiche e altro ancora,
richiedono non solo una cartella
clinica informatizzata, ma anche
strumenti elettronici di supporto. La messa in rete dei dati della
propria attività è importante non
solo per il controllo degli indicatori assistenziali predefiniti, ma anche
come premessa per il processo di
audit clinico, uno tra gli strumenti
più evoluti di formazione medica.
Vi sono buoni esempi dell’efficacia
di tali reti nell’ambito dei processi
di clinical governance realizzati in alcune aree.
Una delle maggiori necessità della
primary care è la presenza sul territorio di un numero di infermieri
adeguato alle reali necessità, ovvero agli obiettivi assistenziali. Si
stima che nel nostro Paese vi sia
un fabbisogno di 15-20.000 infermieri adeguatamente formati
per l’assistenza extraospedaliera.
Si tratta di professionisti che dovrebbero agire di concerto con
il MMG operando secondo ampi
mandati piuttosto che per compiti specifici. Il loro campo d’azione
principale deve essere la cronicità
e, per quanto riguarda le malattie
respiratorie e la BPCO in particolare, dovrebbero presidiare settori strategici come la prevenzione,
l’individuazione dei soggetti a rischio, la verifica degli accertamenti
diagnostici programmati, l’educazione terapeutica, l’adesione alle
campagne vaccinali (antinfluenzale
e antipneumococcica). Non sarà
possibile un reale trasferimento
delle cure dall’ospedale al territorio senza l’inserimento massiccio
di tali figure accanto al MMG.
53
I QUADERNI DI ACCADEMIA
LE
AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO
Il banco di prova della malattia diabetica
e dell’aspettativa di vita per i pazienti. Il motivo epidemiologico è
ben documentato; l’inarrestabile
aumento nella prevalenza del diabete in Italia, dettato dall’aumentata prevalenza di obesità e dal
progressivo invecchiamento della
popolazione, ha raggiunto livelli di
vera epidemia, particolarmente in
alcune Regioni italiane. L’Osservatorio ARNO-Diabete ha tracciato
la prevalenza della malattia sulla
base delle prescrizioni dei farmaci
ipoglicemizzanti in una coorte di
circa 11 milioni di persone in varie
Regioni italiane; si è passati da una
prevalenza intorno al 3% nel 1997
a valori ormai prossimi al 6% nel
2012. In termini pratici, considerando anche l’aumento totale della
popolazione, quest’aumentata prevalenza si traduce in un aumento
del numero totale delle persone
di persone negli ultimi 15 anni. La
prevalenza della malattia è poi particolarmente elevata nella classi di
La suddivisione e la
integrazione dei ruoli
professionali per le cure
primarie deve essere
raggiungimento di
obiettivi che riguardano
tutto il processo della
prevenzione, diagnosi e
cura del diabete
valori prossimi al 20% nella popolazione di età maggiore di 65 anni.
Ovviamente, anche il costo totale
della malattia per il SSN è aumentato sensibilmente e circa il 10%
viene oggi speso per le persone
con diabete. Il costo totale diretto di ogni persona con diabete si
aggira oggi intorno a € 3000, un
valore doppio rispetto al costo di
una persona senza diabete. Questo costo risulta dalla somma della
spesa farmaceutica (circa € 1000),
la spesa per servizi (circa € 500)
e la spesa per ricoveri ospedalieri
(circa € 1500). Solo il 22–23% della spesa farmaceutica è assorbita
(7–8% della spesa totale), segno
Figura 1 - Prevalenza del diabete farmaco-trattato per fasce di
età e sesso e spesa per antidiabetici
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
600,00
500,00
400,00
300,00
200,00
100,00
0–19
20–34
35–49
50–64
Classi di età
65–79
≥80
Spesa media per trattato (€)
L
e ragioni che fanno del
diabete una patologia
di primaria importanza per la Sanità italiana sono molteplici. Il
diabete è patologia ad alta prevalenza accompagnata dalla facile
tracciabilità, dall’alto costo, dalla
complessità della patologia che
richiede l’intervento di molteplici
attori, dall’importanza delle complicanze che si traducono in una
*
Prevalenza
di Giulio Marchesini Reggiani
0,00
Prevalenza di diabete farmaco-trattato M
Spesa per trattato M
Prevalenza di diabete farmaco-trattato F
Spesa per trattato F
* Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna
54
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
della complessità della patologia
che richiede molteplici interventi
anche farmacologici. Ovviamente, la spesa pro-capite diminuisce
all’aumentare dell’età, dal momento che è di molto inferiore per
gli ipoglicemizzanti orali, usati nel
diabete tipo 2, rispetto alla terapia
insulinica che è unico trattamento
del diabete tipo 1 nella popolazione giovanile.
Anche il rischio per i ricoveri ospedalieri aumenta con l’età:
un’analisi dei dati ARNO documenta un rischio aumentato per
varie patologie nella popolazione
con diabete, fino a valori aumentati di 8–10 volte per le amputazioni. A questo si aggiunga il peso
sanitario del diabete nella popolazione ospedaliera, ove una percen-
tuale di soggetti prossima al 40%
presenta alterazioni della glicemia
che devono trovare trattamento e
continuità ospedale-territorio.
In questo panorama si pongono le
molteplici azioni e attività regolatorie condotte in questi anni per
regolare l’accesso alle cure nel
diabete, frutto di un’intensa attività svolta dalle associazioni dei pazienti e variamente recepita dagli
organi istituzionali. Dalla dichiarazione di Saint-Vincent del 1986 e
la successiva legge 115, attraverso
varie tappe che hanno visto nei
progetti regionali di assistenza integrata la progressiva integrazione
tra medici di Medicina Generale
(MMG) e Centri Specialistici (CS),
si è giunti nel 2012 alla promulgazione del Piano Nazionale Diabe-
Tabella 1 - Rischio di ospedalizzazione nel diabete per varie
patologie
Patologia responsabile del ricovero
OR
95% CI
lnfarto miocardico
1,85
1,77-1,92
Ictus ischemico
2,07
1,96-2,18
Amputazione
8,77
7,16-10,75
Scompenso cardiaco
2,48
2,40-2,58
Aritmia
1,49
1,45-1,53
Complicanza renale
2,82
2,73-2,91
Neuropatia
3,77
3,55-4,00
Complicanza oculare
1,74
1,70-1,79
Malattia infettiva
1,87
1,83-1,90
ARNO Diabete 2010 - Bruno et al; NMCD 2011
Tabella 1 - La suddivisione dei ruoli nella cura del diabete
Cure primarie - Medici di Medicina Generale
→ Prevenzione e promozione stili di vita sani
→ Diagnosi precoce
→ Gestione integrata
Team diabetologico - Specialista diabetologo
→ Diabete tipo 1 - Gravidanza diabetica
→ Prevenzione e cura complicanze
→ Fasi di scompenso e di ricovero
Febbraio 2014
te (PND), punto di riferimento di
ogni possibile condivisione di futuri accordi terapeutici.
Il PND indica chiaramente la necessità di un nuovo disegno reticolare e multicentrico orientato alla
gestione dei pazienti con patologia
a lungo termine, nel quale essi possano circolare attraverso specifici
percorsi diagnostico-terapeutici
assistenziali (PDTA) integrati e
personalizzati, in rapporto al grado evolutivo della patologia, alla
complessità assistenziale e ai bisogni del paziente, senza una delega
schematica a una o all’altra figura
professionale, ma con una interazione dinamica dei vari attori. In
questo si riconosce la necessità
che ogni Regione strutturi tale disegno sulla base di scelte che tengano in conto la storia, il territorio,
i servizi, il potenziale esistente e i
limiti di ogni territorio. Il PND riafferma la centralità della persona
con diabete come risorsa del sistema, il ruolo delle associazioni di
volontariato come rappresentanti
dei bisogni sanitari e sociali, attribuendo ruoli specifici ai diversi
attori.
La suddivisione dei ruoli è finalizzata al raggiungimento di obiettivi
che riguardano tutto il processo
della prevenzione, diagnosi e cura
della malattia diabetica, e in particolare:
- obiettivo 1: migliorare la capacità del SSN nell’erogare e
monitorare i servizi, attraverso
l’individuazione e l’attuazione
di strategie che perseguano la
razionalizzazione dell’offerta e
che utilizzino metodologie di lavoro basate soprattutto sull’appropriatezza delle prestazioni
erogate;
- obiettivo 2: prevenire o ritardare l’insorgenza della malattia
identificando precocemente le
persone a rischio e quelle con
diabete; favorire adeguate politiche di intersettorialità per la
55
I QUADERNI DI ACCADEMIA
epidemiologica finalizzate alla
programmazione e al miglioramento dell’assistenza, per una
gestione efficace ed efficiente
della malattia;
- obiettivo 8: aumentare e diffondere le competenze tra gli operatori della rete assistenziale favorendo lo scambio continuo di
informazioni per una gestione
efficace ed efficiente, centrata
sulla persona;
- obiettivo 9: promuovere l’appropriatezza nell’uso delle tecnologie;
- obiettivo 10: favorire varie forme di partecipazione, in particolare attraverso il coinvolgimento di associazioni di persone
con diabete rappresentative a
livello regionale, sviluppando
l’empowerment delle persone
con diabete e delle comunità.
In questo processo comune di miglioramento dell’assistenza, appare
evidente sia il ruolo fondamentale
del MMG nella prevenzione e nella
diagnosi precoce, sia la necessità
di corretti e tempestivi trattamenti nei momenti cardinali dello
sviluppo della malattia. Una serie
di studi condotti negli ultimi anni
ha infatti documentato la fondamentale importanza della precoce
popolazione generale e a rischio
e per le persone con diabete;
- obiettivo 3: aumentare le conoscenze circa la prevenzione, la
diagnosi il trattamento e l’assistenza, conseguendo, attraverso
il sostegno alla ricerca, progressi di cura, riducendo le complicanze;
- obiettivo 4: rendere omogenea
l’assistenza, prestando particolare attenzione alle disuguaglianze
sociali e alle condizioni di fragilità e/o vulnerabilità socio-sanitaria sia per le persone a rischio
sia per quelle con diabete;
- obiettivo 5: nelle donne diabetiche in gravidanza raggiungere
outcomes materni e del bambino
equivalenti a quelli delle donne
non diabetiche; promuovere iniziative finalizzate alla diagnosi
precoce nelle donne a rischio;
assicurare la diagnosi e l’assistenza alle donne con diabete
gestazionale;
- obiettivo 6: migliorare la qualità di vita e della cura e la piena
integrazione sociale per le persone con diabete in età evolutiva anche attraverso strategie di
coinvolgimento familiare;
- obiettivo 7: organizzare e realizzare le attività di rilevazione
correzione della alterazioni metaboliche. Sia nel diabete tipo 1 (risultati dell’estensione dello studio
Diabetes Control and Complication
Trial – DCCT), sia nel diabete tipo
2 (estensione dello studio UK Prospective Diabetes Study – UKPDS)
hanno messo in evidenza che il
mancato raggiungimento di un ottimale controllo metabolico nelle
prima fasi di malattia viene pagato con un aumento delle complicanze, indipendentemente dal
raggiungimento a distanza di un
buon controllo metabolico. Si è
così sviluppato il concetto che le
alterazioni metaboliche debbano
essere aggredite in modo appropriato ed efficace, per contrastare
la “memoria metabolica” fin dal
momento della diagnosi, evitando
atteggiamenti di inerzia terapeutica da parte del MMG – e anche da
parte dello specialista. Purtroppo, i
dati degli Annali AMD rilevano che
un numero elevato di pazienti con
diabete mantiene livelli di emoglobina glicata ben al di sopra dei
target terapeutici accettati. Ugualmente, nei dati ARNO si rileva una
scarsa aggressività terapeutica anche in soggetti con diabete ad alto
rischio di complicanze, trattati in
modo insufficiente con le diverse
Figura 2 - Annali AMD. Indicatori di esito intermedio
100
100
Soggetti con HbA1C ≤7
90
90
80
80
70
70
60
60
50
40
22,5±19,2
23,9±17,0
24,4±14,8
50
23,1±14,0
30
20
20
25,6±15,1
0
24,8±15,8
23,7±14,4
24,9±20,9
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
27,6±19,2
24,0±17,9
40
30
10
Soggetti con HbA1C ≥7
2011
21,6±14,8
22,7±14,6
10
0
2004
2005
2006
2007
21,4±12,9
21,6±12,9
22,6±14,2
26,0±19,0
2008
2009
2010
2011
Percentuale di soggetti con diabete a target (HbA1C ≤7%) e con scompenso metabolico (HbA1C ≥9%) nel corso degli anni nelle diverse
strutture diabetologiche
56
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
categorie di farmaci attivi sul rischio cardiovascolare.
Il PND ha lo scopo di indirizzare
verso un sistema che realizzi tale
integrazione, con una progressiva
transizione verso un modello “reticolare” pluricentrico, che persegua
PDTA condivisi e centrati sui bisogni della persona affetta da diabete.
Il sistema deve tenere conto delle
realtà locali, con l’obiettivo di organizzare una rete che integri i MMG,
capillarmente presenti sul territorio (assistenza primaria), con i team
diabetologici (cure specialistiche),
eventualmente raccordati con centri regionali di alta specializzazione. La maggior parte dei costi del
diabete deriva dai ricoveri per le
complicanze. Lo sforzo, quindi, deve
mirare soprattutto a prevenirli,
ricorrendo alla “medicina d’iniziativa” e a un “follow-up proattivo”,
sia da parte dei MMG sia dei team
diabetologici, attraverso strumenti
che garantiscano un monitoraggio
continuo dei pazienti in tutte le fasi
della malattia e di intraprendere
azioni correttive precoci ogniqualvolta i parametri metabolici escono
dal “range obiettivo” definito per
ciascun paziente sulla base di criteri
condivisi.
In questa prospettiva anche la
struttura specialistica deve spostare progressivamente il proprio
livello di produzione quanto più
possibile verso formule di gestione ambulatoriale o di day-service.
Partendo da un’idonea stadiazione
dei pazienti, il sistema deve attivare
PDTA personalizzati, differenziati
in rapporto al grado di complessità
Febbraio 2014
della malattia nel singolo individuo
e ai suoi specifici fabbisogni, indirizzando i casi più complessi verso
programmi di cura che contemplino un follow-up specialistico più
intensivo e quelli meno complessi
verso una gestione prevalente, da
parte del MMG/PLS. Tutti i pazienti, sin dal momento della diagnosi,
devono essere inseriti in un processo di “gestione integrata”, in cui
MMG/PLS e centri di diabetologia
partecipano alla definizione del
PDTA e alla definizione e verifica
degli obiettivi terapeutici. Il modello specifico può essere diverso
nelle diverse Regioni (CREG, Case
della Salute, ecc.); quello che non
può mancare è l’aderenza a un
modello di riferimento generale
come dettato dal PND.
In questo complesso panorama si
inserisce anche l’innovazione terapeutica, che ha portato nel trattamento del diabete nuove classi
di farmaci (incretino-mimetici, sia
DPP4-inibitori, sia GLP1-agonisti,
ma presto anche glifozine) e nuove
formulazioni dell’insulina, che possono contribuire efficacemente al
miglioramento del compenso metabolico. I nuovi farmaci sono stati
ad oggi regolati da precise disposizioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per quanto riguarda
la rimborsabilità, inseriti in un monitoraggio sistematico per valutarne l’appropriatezza prescrittiva
e la sicurezza nella pratica clinica
e limitandone la prescrivibilità ai
soli Centri Specialistici. Questo ha
portato finora a un loro uso contenuto in una piccola percentuale
di pazienti (inferiore al 10% di tutti
i casi con diabete tipo 2), limitando
l’aumento del costo della malattia
che si realizzerebbe in presenza di
un utilizzo più diffuso. Evidentemente, alcuni di questi farmaci si
situano nella fascia di pazienti condivisi tra MMG e CS, e il loro uso
richiede una rivalutazione alla luce
del PND. Le nuove regole dettate
da AIFA all’inizio dell’anno hanno
lasciato largamente insoddisfatti
sia i medici, sia le associazioni del
pazienti, sia le aziende produttrici.
Si va tentando una fenotipizzazione del paziente con diabete, basata
su rilievi clinici, biochimici e fisiopatologici, per definire criteri di
applicazione di algoritmi terapeutici in grado di migliorare il controllo metabolico e ridurre l’incidenza
e la gravità delle complicanze, garantendo al tempo stesso la sostenibilità del sistema.
Evidentemente, “la complessità della medicina moderna si esprime
attraverso la molteplicità dei problemi assistenziali posti da pazienti
per bisogni ed esigenze sempre
meno di pertinenza di singole specialità e sempre più spesso legati a
risposte multi-specialistiche e multi-professionali. Di fronte al carico
assistenziale delle patologie cronico-degenerative – di cui il diabete
è il paradigma – l’elemento critico
ai fini di una buona qualità dell’assistenza è il coordinamento e l’integrazione tra servizi e professionalità distinte chiamati a intervenire
nei diversi momenti di uno stesso
percorso evolutivo” (Grilli-Taroni, Il
Governo Clinico, 2006).
57
I QUADERNI DI ACCADEMIA
LE
AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO
Le criticità legate alla cura dell’osteoporosi
di Ovidio Brignoli *
S
formulata nel 1993 e accettata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’osteoporosi è una
malattia che determina riduzione
della massa ossea, fragilità dell’osso e un conseguente aumentato
rischio di frattura.
Le sedi tradizionalmente interessate sono il femore e le vertebre.
I dati di seguito riportati si riferiscono al comportamento usuale
di 32 MMG della provincia di Brescia dalle cartelle cliniche dei quali
sono stati estratti alcuni dati riferiti all’osteoporosi.
Descrizione popolazione
Sono stati estratti i dati relativi
agli assistiti di 32(+2) MMG, pari a
53.768 persone. Il 51,4% di sesso
femminile, l’età media di 46,4 anni
(DS=19,8).
L’analisi è stata però limitata ai
33.105 soggetti di età ≥40 anni di
cui il 52,6% di sesso femminile.
Le caratteristiche generali della
popolazione in analisi sono riportate in Tabella 1.
Prevalenza osteoporosi e
fattori di rischio
La diagnosi dell’osteoporosi risultava essere stata eseguita per il 10,5%
delle donne (1831) e per il 0,9% degli uomini (143). In entrambi i sessi
si notava un chiaro aumento con
l’aumentare dell’età (Tabella 2).
Per la osteoporosi non
esiste una vera
continuità terapeutica
tra medici di medicina
generale e specialisti
per una serie di motivi:
mancata concordanza
sulla tavola del rischio,
la nota 79 e variabilità
delle regole regionali
A questo riguardo bisogna tener
presente che non solamente vi
è una sottostima diagnostica ma
talvolta la diagnosi di osteoporosi
non viene riportata sulla cartella elettronica pur in presenza di
evento suggestivo (es. cuneizzazione vertebrale asintomatica).
L’analisi logistica multivariata (Tabella 3) mostrava come nei 33.100
soggetti indagati la diagnosi di
osteoporosi oltre a essere maggiormente presente nel sesso
femminile (odds ratio, OR=10,9) e
all’avanzare con l’età (OR=1,07 per
ogni anno d’età) fosse anche associata in maniera statisticamente sipatologiche: trapianto (OR=6,1),
malattie reumatiche (OR=4,0), ano-
ressia (OR=2,8), malattie gastroenteriche (OR=1,7), malattie endocrine (OR=1,4) e per le donne la
menopausa precoce (OR=3,1). Per
malattie ematologiche e IRC non si
notava alcuna associazione statistiL’aver utilizzato alcuni farmaci (Tabella 4) quali i cortisonici, gli ormoni tiroidei, i citostatici, la ciclosporina, i barbiturici, risultava essere in
maniera statisticamente associata
con la diagnosi di osteoporosi. In
particolare per i cortisonici si nota
un forte effetto dose-dipendente.
Va però fatto rilevare che spesso
l’utilizzo di tali farmaci è associato
a patologie che sono esse stesse
fattori di rischio per l’osteoporosi
(per esempio cortisonici nelle malattie reumatiche o ematologiche),
e che quindi è probabile un effetto
di confondimento oltre che un’interazione tra malattia e uso del
farmaco non correggibile tramite
analisi logistica ma solo attraverso
Fratture ossee
Il 9,1% dei soggetti inclusi nell’analisi risultava avere avuto in precedenza almeno una frattura (3002
eventi) senza differenze statisti(9,4%) e femmine (8,8%), (p=0,07).
La prevalenza dell’evento frattura
aveva però una distribuzione diversa nei due sessi con l’avanzare dell’età (Tabella 6): stabile nei
maschi ma in rapido aumento con
* Vice Presidente SIMG – Società Italiana Medicina Generale, Firenze
58
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
Tabella 1 - Caratteristiche generali della popolazione in analisi
n.
FUMO
Totale assistiti
33.105
di cui femmine
17.409
52,6%
Fumo registrato
21.470
64,9%
Non fumatori
IMC
PATOLOGIE
%
12.202
56,8%
Ex fumatori
4083
19,0%
Fumatori
5185
24,1%
IMC registrato
20.230
61,1%
Magrezza
609
3,0%
Normopeso
7622
37,7%
Sovrappeso
7882
39,0%
Obesità
4117
20,4%
Menopausa precoce
283
1,6%
Diabete tipo 1
68
0,2%
Osteoporosi
Anoressia
46
0,1%
IRC
677
2,0%
Malattie endocrine
699
2,1%
Malattie reumatiche
348
1,1%
Malattie ematologiche
531
1,6%
Malattie gastroenterologiche
2073
6,3%
Trapianto
49
0,1%
3002
9,1%
Fratture femore
184
0,6%
Fratture vertebre
257
0,8%
Fratture (tutte)
l’avanzare dell’età nelle donne (p
<0,0001).
Nonostante tali differenze e tenendo conto del fattore età, la diagnosi
di osteoporosi risultava fortemente associata a fratture sia nei maschi (OR=4,8; p <0,0001) sia nelle
femmine (OR=2,6; p <0,0001). Oltre all’osteoporosi si riscontrava
un’associazione positiva tra fratture con il fumo (OR=1,17; p=0,002)
e l’IMC elevato (OR=1,01 per categoria p=0,006).
Esame densitometrico
Risultavano avere effettuato almeno un esame densitometrico 3005
assistiti, pari al 9,1% degli assistiti.
Tra questi 1725 (57,4%) ne avevano eseguito uno solo, 651 due
(21,6%), 314 tre (10,4%), fino a un
massimo di 3 pazienti che ne avevano eseguiti 14.
Per il 96% si trattava di donne
(2890), infatti solo 115 erano i maschi che avevano eseguito tale esame. Per le donne la fascia d’età tra i
60–69 anni era quella in cui l’esame
era stato eseguito da una percentuale più elevata (32,6%) (Tabella 7).
Dei 3005 assistiti che risultavano
avere effettuato almeno un esame densitometrico 1130 (37,6%)
avevano diagnosi di osteoporosi,
mentre 1875 no. Da notare che vi
erano 844 soggetti con diagnosi di
Tabella 2
Fasce d’età
Donne
40–49
50–59
60–69
70–79
≥80
Numerosità
4970
3311
2332
2057
1849
% con diagnosi del MMG in cartella
0,57%
4,69%
14,28%
22,73%
23,54%
4,4
12,8
26,5
41,3
40–49
50–59
60–69
70–79
≥80
Numerosità
5132
4120
3402
2089
833
% con diagnosi del MMG in cartella
0,14%
0,41%
0,87%
2,58%
4,03%
11,8
14,1
17,9
18,3
% studio ESOPO
Uomini
% studio ESOPO
Febbraio 2014
59
I QUADERNI DI ACCADEMIA
Tabella 3 - Analisi logistica multivariata avente la diagnosi di
osteoporosi quale variabile dipendente
Variabili indipendenti
Odds ratio
IC 95%
inf
sup
p
Età (per anno)
1,07
1,067
1,075
<0,0001
Sesso (F vs M)
10,9
9,12
12,93
<0,0001
Trapianto
6,1
2,31
16,09
<0,0001
Malattie reumatiche
4,0
3,01
5,26
<0,0001
Anoressia
2,8
1,20
6,48
0,018
Malattie gastroenterologiche
1,7
1,44
2,05
<0,0001
Malattie endocrine
1,4
1,06
1,74
0,015
Malattie ematologiche
1,3
0,94
1,82
0,114
IRC
0,9
0,67
1,14
0,327
Menopausa precoce
3,1
2,19
4,29
<0,0001
osteoporosi (42,8%) per cui non
era riportata l’esecuzione di alcun
esame densitometrico e che dei
436 pazienti con frattura di femore e/o vertebra negli ultimi 5 anni
solo 101 (23,2%) avevano eseguito
un esame densitometrico.
Va fatto inoltre rilevare che il numero di assistiti che aveva eseguito un esame densitometrico negli
ultimi 5 anni era di 1880, mentre
968 l’avevano eseguito nei 2 anni
precedenti.
Terapia dell’osteoporosi
Il consumo di farmaci è riportato
nella Tabella 8. Dei 2678 soggetti
Tabella 4 - Analisi logistica multivariata avente la diagnosi di osteoporosi quale variabile
dipendente e l’utilizzo di alcuni farmaci quale variabile indipendente
Odds ratio
IC 95%
p
Inf
Sup
n. soggetti
utilizzanti il
farmaco
Età (per anno)
1,1
1,1
1,1
<0,0001
Sesso (F vs M)
10,7
9,0
12,7
<0,0001
Clortalidone
1,2
0,8
1,8
0,33
282
Furosemide
0,9
0,8
1,1
0,39
2379
Idantoina
2,3
0,7
7,5
0,18
30
Barbiturici
0,5
0,3
0,9
0,02
213
Ormoni tiroidei
1,5
1,3
1,8
<0,0001
1214
Ciclosporina
6,5
2,8
15,1
<0,0001
42
Citostatici
1,7
1,1
2,5
0,013
216
Cortisonici ultimi 5 anni
0-4 prescrizioni
1,0
32.290
5-9 prescrizioni
1,7
1,3
2,4
0,001
475
10-19 prescrizioni
2,5
1,7
3,6
<0,0001
196
>20 prescrizioni
8,3
5,5
12,6
<0,0001
140
Tabella 6 - Percentuale soggetti con anamnesi di frattura
Fasce d’età
Donne
Diagnosi del MMG in cartella
Uomini
Diagnosi del MMG in cartella
60
40–49
50–59
60–69
70–79
≥80
4,3%
6,4%
9,3%
13,9%
16,9%
40-49
50-59
60-69
70-79
≥80
9,2%
9,7%
8,9%
9,7%
10,2%
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
Tabella 7 - Percentuale di soggetti che hanno effettuato
almeno un esame densitometrico per sesso e fascia d’età
Fasce d’età
Donne (2890)
% con esame densitometrico
eseguito
Uomini (115)
Diagnosi del MMG in cartella
40–49
50–59
60–69
70–79
≥80
1,9%
17,9%
32,6%
26,6%
9,7%
40–49
50–59
60–69
70–79
≥80
0,27%
0,48%
0,87%
1,92%
1,19%
Tabella 8 - Consumo di farmaci
Farmaco
N. soggetti
facenti uso
del farmaco
Di cui con diagnosi
di osteroprosi
N
%
% dei soggetti con
osteoporosi facenti
uso del farmaco
Alendronato
552
433
78,4%
21,9%
Ibandronato
88
72
81,8%
3,6%
Risedronato
227
180
79,3%
9,1%
Clodronato
328
190
57,9%
9,6%
Ranelato di
stronzio
140
110
78,6%
5,6%
Calcio+ Vit D
2069
989
47,8%
50,1%
Almeno uno dei
farmaci sopra
menzionati
2678
1348
50,3%
68,3%
Vit D
1202
472
39,3%
23,9%
Calcio
201
74
36,8%
3,7%
Tabella 9
In terapia per
osteoporosi
N. totale
N.
%
M fratture femore in età <55
20
3
15,0
M fratture femore in età ≥55
164
73
44,5
F fratture vertebre in età <55
38
5
13,2
F fratture vertebre in età ≥55
219
137
62,6
facenti uso di farmaci specifici per
l’osteoporosi (in grassetto nella
Tabella 8) 1332 (49,7%) avevano
Febbraio 2014
eseguito una densitometria ossea.
Dei 436 soggetti con pregressa
frattura di femore o di vertebra
(indipendentemente dall’età) solo
il 49,8% (217 soggetti) aveva ricevuto almeno una prescrizione di
farmaci per osteoporosi.
Per i soggetti di età inferiore ai 55
anni la prescrizione risulta sporadica (intorno al 15%). Per i soggetti
di età superiore ai 55 anni per cui
la frattura è molto probabilmente
correlata a bassa densità ossea, risultava una prescrizione di farmaci
specifici per il 44,5% nelle fratture di femore e per il 62,6% per le
fratture vertebrali (Tabella 9).
Conclusioni e riflessioni
- I MMG sembrano riconoscere
i fattori di rischio di frattura,
sebbene i livelli di monitoraggio
(DXA) e di trattamento risultino piuttosto bassi; fa eccezione
la presenza di una diagnosi confermata di osteoporosi.
- La persistenza al trattamento
risulta piuttosto bassa; considerando in trattamento anche gli
utilizzatori sporadici e criteri di
definizione di trattamento continuativo meno specifici, non supera comunque il 30% dei nuovi
utilizzatori.
- Non esiste una vera continuità
terapeutica tra MMG e specialisti per una serie di motivi (mancata concordanza sulla tavola
del rischio, difficoltà ad applicare la nota 79, variabilità delle
regole regionali).
- Nonostante la pletora di PDTA
regionali sull’osteoporosi, mancano in realtà valutazioni sui
processi e sugli esiti dei percorsi diagnostico-terapeutici.
- La Medicina Generale non ha
ancora inserito nel suo cruscotto di valutazione l’osteoporosi e
quindi non esiste un processo di
audit permanente come avviene
per altre patologie croniche.
61
I QUADERNI DI ACCADEMIA
LE
AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO
L’artrite reumatoide e il ruolo del Mmg
di Silvano Adami *
N
egli ultimi decenni
il livello specialistico di alcune
branche della medicina si è evoluto
moltissimo consentendo diagnosi
precoci e soprattutto interventi
terapeutici selettivi ma talora con
più incerto.
rie e in particolare l’artrite reumatoide (AR), l’artrite psoriasica (AP)
e le spondilo-artriti (SPA), hanno seguito questo trend soprattutto negli
ultimi 30 anni, prima con l’impiego
sistematico di disease-modifying antirheumatic drugs (DMARD) e poi
con la disponibilità dei cosiddetti
“biologici”, farmaci in grado di neutralizzare in maniera del tutto selettiva momenti cruciali dei processi
nuovi farmaci è rappresentato
dalla possibilità di ridurre drasticamente l’uso di cortisonici, farmaci
a lungo termine da eventi avversi
drammatici.
La dimestichezza nell’uso di
DMARD (anni ‘90) e quindi dei
“biologici” (primi anni 2000) fu
acquisita gradualmente ed emerse
che un intervento precoce poteva
consentire anche una diversa evoluzione delle deformazioni articolari tipiche delle artriti.
Le conseguenze di questa rivoluzione terapeutica hanno avuto un
Nell’ambito
delle malattie
reumatiche infiammatorie
possono essere
identificate
aree di competenza
specifica per i medici
di medicina generale
in ambito diagnostico
e nel follow-up
terapeutico del paziente
impatto importante nella identiprendersi cura delle malattie reugli anni ‘80 un paziente con una AR
poteva essere occasionalmente
siatri e ortopedici) ma era seguito
costantemente dal solo medico di
medicina generale (MMG) il cui
compito consisteva nel gestire
alla meglio la terapia cortisonica
steroideo. Con le nuove opportunità terapeutiche si poneva sia il
problema di una diagnosi accurata
e precoce sia quello della prescrizione (appropriata) e gestione di
zione professionale che oggi può
essere garantita solo dallo specialista reumatologo.
Questa esclusività è stata anche
in parte favorita dalla politica sanitaria seguita in Italia, caratterizspecialisti o addirittura centri
specialisti come i soli autorizzati
a prescrivere a carico del SSN i
nuovi farmaci. Ciò può sembrare
comprensibile quando il loro impiego è complesso (ad es. necessità di infusione e.v.) o gravato da
potenziali rischi, ma in molti casi le
da ragioni economiche. Il rischio di
questo approccio è rappresentato dal compensare con un blocco
all’accesso il pericolo di inappropriatezza prescrittiva.
Le conseguenze di tutti questi processi di ultra-specializzazione che
riguardano quasi tutte le specialistiche mediche sono paradossali:
oggi molti medici (specialisti, internisti o MMG) non conoscono
neppure l’esistenza dei farmaci
utilizzati dallo specialista della porta accanto. L’impatto più negativo
riguarda la gestione dei pazienti
in trattamento con questi farmaci
“sconosciuti” da parte di internisti-geriatri (in corso di ricoveri
ospedalieri) e MMG.
Per i MMG è assolutamente necesaree di intervento e il livello di aggiornamento professionale necessario anche nell’ambito del riordino
dell’assistenza territoriale e della
* Direttore UOC Reumatologia, Università degli Studi di Verona – A.O.U.I. di Verona
62
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
MedicinaGenerale(Legge189/2012).
Nell’ambito della malattie reumatiche infiammatorie possono essere identificate aree di competenza
per i MMG in ambito diagnostico e
nel follow-up terapeutico.
Diagnosi delle artriti e
MMG
Il primo problema da affrontare è
rappresentato dalla appropriatezza
della richiesta di visita specialistica.
Inappropriatezza significa intasare
gli ambulatori specialistici e ridurre quindi la possibilità di accesso ai
pazienti che ne hanno più bisogno.
Per altro verso è indubbiamente
necessario per alcune patologie
(incluse AR e SPA) poter arrivare
alla diagnosi e quindi alla terapia
tempestivamente. Sono stati quindi
identificati dei criteri relativamente facili per identificare il paziente
da inviare allo specialista per le
malattie infiammatorie più comuni
(vedi Tabella 1).
Il problema di poter giungere a una
diagnosi precoce per alcune malat-
tie reumatiche rimane aperto. L’utilizzo dei criteri esemplificati nella
Tabella 1 consente di poter indirizzare precocemente il paziente allo
specialista. Per altro verso la loro
presenza dovrebbe favorire un
accesso privilegiato alle strutture
specialistiche per evitare ritardi
nella diagnosi e terapia.
Il percorso diagnostico
Il processo diagnostico da seguire in caso di sospetto di artrite
è sicuramente competenza dello
specialista anche per la complessità e costo di alcune di queste procedure. Va sottolineato che anche
lo specialista dovrebbe responsabilmente seguire le linee guida
disponibili anche al fine di poter
condividere il percorso diagnostico col MMG responsabile in ultima
istanza dei problemi sanitari complessivi del paziente. In altre parole
è dovere dello specialista indicare
e giustificare le indagini di secondo
e terzo livello programmate e possibilmente le linee guida seguite.
Tabella 1
La presenza di questi segni-sintomi deve far richiedere la consulenza
reumatologica per:
Artrite reumatoide
(Emery et al. Early referral recommendation for newly diagnosed rheumatoid arthritis:
Evidence based development of a clinical guide. Ann Rheum Dis 61: 290-297, 2002)
Tumefazione articolare
Rigidità (specie delle mani) per ≥30 minuti
Dolore alla pressione delle metacarpo-falangee e metatarso-falangee
Il sospetto è molto rinforzato da:
Astenia e perdita di peso (<40%)
Aumento degli indici di flogosi (<60%)
Positività del fattore reumatoide o degli anti-CCP (<50%)
Mal di schiena infiammatorio (sospetta spondilo-artrite)
prima di 50 anni
(Rudwaleit M et al. Inflammatory back pain in ankylosing spondylitis – a reassessment of
the clinical history for classification and diagnosis. Arthritis Rheum 54: 569–578, 2006)
Rigidità della schiena al mattino per ≥30 minuti
Attenuazione del dolore con l’esercizio fisico
Il dolore provoca almeno un risveglio notturno
Dolore alternante alle natiche
Febbraio 2014
Terapia
La strategia terapeutica più appropriata per le artriti infiammatorie
compete sicuramente allo specialista reumatologo. La complessità
dell’intervento terapeutico e il
conseguente coinvolgimento del
MMG può variare enormemente.
Nei casi più fortunati il MMG
può prendersi carico totalmente del paziente e re-indirizzarlo
allo specialista solo in caso di una
evoluzione inattesa della patologia. Questo potrebbe ad esempio
accadere in caso di remissione
clinica della malattia col paziente
non in trattamento farmacologico
o trattamento minimo come ad
esempio FANS al bisogno o solo
idrossiclorochina.
La tipologia di intervento più comune in caso di AR è rappresentato dall’uso di un DMARD associato
o meno a dosi minime di steroide.
L’identificazione della dose più idonea ad esempio di metotressato
compete in genere allo specialista,
ma quando il quadro clinico sarà
stabilizzato il monitoraggio sia per
safety sia per efficacia può essere
garantito dal MMG, aiutato magari
da appropriato materiale informativo dello specialista. In questi casi
un controllo annuale dello specialista può essere sufficiente.
Quando si rendono necessarie
strategie terapeutiche più impegnative il monitoraggio dello specialista si rende sempre più stretto
ma non deve mai comportare l’esclusione dai processi decisionali
del MMG. Quest’ultimo deve essere informato in maniera succinta
ma esaustiva sulle caratteristiche
delle terapie avviate: potenzialità
terapeutiche, eventi avversi, interazioni con altri farmaci, ecc.
auspicabilmente utilizzando documenti pre-confezionati di facile
consultazione. È dovere del MMG
conoscere i farmaci che il paziente
sta assumendo anche se distribuiti
63
I QUADERNI DI ACCADEMIA
direttamente dallo specialista: non
dobbiamo dimenticare che solo il
MMG può fare da legame tra i vari
specialisti che si prendono cura del
proprio assistito.
Alcuni dei farmaci gestiti oggi direttamente dallo specialista reumatologo (inclusi alcuni biologici)
64
alla luce delle esperienze accumulate si stanno rilevando assai
più maneggevoli di quanto atteso.
Sarebbe auspicabile che periodicamente le autorità sanitarie preposte (es. AIFA) in collaborazione
con qualificati specialisti, procedessero a una rivisitazione delle limi-
tazioni di prescrivibilità di alcuni
farmaci. Per alcune patologie con
andamento clinico abbastanza costante (es. alcune spondilo-artriti)
si potrebbe già da ora consentire
la gestione diretta del farmaco da
parte del MMG previo specifico
corso di aggiornamento.
Febbraio 2014
CURE PRIMARIE H24. CHRONIC CARE MODEL E MEDICINA DI INIZIATIVA
LE
AREE MODELLO DELLA CRONICITÀ OSPEDALE-TERRITORIO
Lo scompenso cardiaco e l’approccio Ebm
di Aldo Pietro Maggioni
*
Note epidemiologiche
introduttive
Lo scompenso cardiaco è una sindrome estremamente diffusa. È la
più importante causa di ospedalizzazione per i pazienti di età superiore ai 65 anni. Ne è affetto il
2–3% della popolazione generale, il
10–15% se si considerano le fasce
più alte di età. A causa dell’invecchiamento della popolazione generale e del miglioramento delle
cure della fase acuta delle malattie
cardiovascolari, si prevede un incremento della prevalenza entro il
ventennio 2010–2030 (+25%) che
potrà associarsi a un aumento dei
costi diretti e indiretti dell’assistenza (+215% circa). In particolare, si prevede che, negli Stati Uniti,
i costi sanitari annuali pertinenza
legati allo scompenso cardiaco
passino da $24,7 a $77,7 miliardi e
quelli indiretti dovuti a morbidità e
mortalità da $9,7 a $17,4 miliardi.
Punto di vista cardiologico
Nell’ultimo decennio è stato condotto un numero rilevante di studi osservazionali nei pazienti con
scompenso cardiaco acuto. Anche
nel nostro paese due recenti studi hanno permesso di descrivere
zienti che necessitano di un ricovero per scompenso cardiaco
acuto.
Nello studio condotto nel 2005, la
mortalità totale intraospedaliera
dei pazienti con scompenso acuto
L’obiettivo principale
dovrebbe essere quello
di ottenere, attraverso
una migliore continuità
assistenziale terapeutica
e una maggiore/più
appropriata aderenza
alle raccomandazioni
evidence-based,
una riduzione significativa
delle ospedalizzazioni
era del 7,3%. La mortalità di gran
lunga più elevata veniva riscontrata nei soggetti che si presentavo
al ricovero ospedaliero con shock
cardiogeno (oltre il 25%).
Uno studio più recente, condotto
dal 2007 al 2009, ha consentito
anche a lungo termine e di confrontarli con quelli dei pazienti con
scompenso cronico. Nello studio
sono stati inclusi 5610 pazienti,
3755 con scompenso cardiaco
cronico e 1855 ospedalizzati per
scompenso cardiaco acuto.
Mentre la mortalità dei soggetti
con scompenso cardiaco cronico si è ridotta notevolmente nel
corso degli ultimi decenni, grazie
anche alla diffusa applicazione dei
trattamenti dimostratisi utili negli
studi clinici controllati, soprattutto
beta-bloccanti, bloccanti del sistema renina-angiotensina e antagonisti dell’aldosterone, la mortalità
dei soggetti con scompenso cardiaco acuto è rimasta inaccettabilmente elevata. Lo studio citato ha
evidenziato una mortalità totale a
un anno del 5,9% nei soggetti ambulatoriali con scompenso cronico
contro il 24% nei soggetti ospedalizzati per scompenso acuto,
situazione per la quale non sono
purtroppo ancora disponibili trattamenti capaci di migliorare l’outcome clinico.
I dati amministrativi
Una recente analisi sui casi di
ospedalizzazione per scompenso
cardiaco acuto occorsi nel 2010
è stata condotta utilizzando i dati
amministrativi dell’Osservatorio
ARNO, che includono 2.970.973
soggetti, assistiti in 7 Aziende Sanitarie Locali italiane. I ricoveri per
scompenso cardiaco acuto sono
risultati essere 8754, cioè il 3,0%
della popolazione totale di soggetti considerata. L’analisi di questi
dati amministrativi evidenzia alcuni
elementi di notevole interesse epidemiologico e gestionale:
- quando un paziente viene ricoverato per scompenso acuto,
solo nel 22% dei casi viene gestito dalle cardiologia, mentre in
oltre il 70% dei casi la gestione è
a carico di medicine o geriatrie;
- l’età mediana di questa popo-
* Centro Studi ANMCO – Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, Firenze
Febbraio 2014
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I QUADERNI DI ACCADEMIA
lazione non selezionata di pazienti ricoverati per scompenso
acuto è di 79 anni, sicuramente
più elevata di quella osservata
nei trial o nei registri cardiologici citati sopra e condotti nella
stessa condizione clinica;
- la percentuale di utilizzo dei
trattamenti raccomandati (betabloccanti, bloccanti del sistema
renina-angiotensina e antagonisti
dell’aldosterone) è risultata essere lontana dall’ottimale;
- la probabilità di re-ospedalizzazione nell’anno che segue il
ricovero indice, è elevatissima,
circa il 60%, con la probabilità
per ogni paziente re-ospedalizzato di esserlo almeno due
volte nel corso dell’anno di osservazione;
- le cause di re-ospedalizzazione
sono cardiovascolari solo nel
54% dei casi, nei rimanenti casi
le cause sono non cardiovascolari, documentando la rilevanza
della presenza di comorbidità
in popolazioni di questa elevata
età e con questa specifica condizione clinica.
I problemi
Scompenso cardiaco cronico
Questa situazione clinica può
considerarsi matura per quel che
riguarda la disponibilità di trattamenti raccomandati. Numerosi
trial hanno evidenziato la capacità di migliorare la qualità di vita e
di prolungare la sopravvivenza da
parte di beta-bloccanti, bloccanti
del sistema renina-angiotensina e
antagonisti dell’aldosterone. Il problema è quello di un loro corretto
utilizzo sia in termini di prescrizione sia in termini di aderenza ai do-
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saggi raccomandati. L’Osservatorio
ARNO ha documentato che i pazienti dimessi vivi dopo un ricovero
per scompenso acuto ricevono nel
69,7% un ACE-I/ARB, nel 51,6% un
beta-bloccante e nel 39,6% un antagonista dell’aldosterone.
Uno studio più recente, condotto
a livello europeo da un network di
cardiologi, ha evidenziato che solo
un terzo dei pazienti trattati con i
trattamenti raccomandati riceveva
i dosaggi dimostratisi utili nei trial.
Al di là di ricerche future, capaci
di identificare nuove efficaci strategie terapeutiche farmacologiche
o non farmacologiche, il problema
principale in questo contesto clinico di scompenso cardiaco cronico
è quello di una corretta applicazione di quello che abbiamo oggi a
disposizione.
Scompenso cardiaco acuto
In questa condizione clinica, i problemi principali sono due:
- la identificazione di terapie,
da attuarsi nella fase acuta di
scompenso, capaci di migliorare
la sopravvivenza dei pazienti;
- la riduzione del numero di reospedalizzazioni, che determinano un carico insostenibile sia
per la qualità di vita dei pazienti
sia per i costi a carico del SSN.
I costi
L’Osservatorio ARNO, essendo in
grado di effettuare un linkage tra
dati relativi alle prescrizioni e quelli
delle ospedalizzazioni e delle attività specialistiche e diagnostiche, ha
consentito di valutare il costo totale medio annuale di un paziente
che ha necessitato di un ricovero
ospedaliero per scompenso acuto.
Questo costo assomma a €10.697
per paziente/anno: lo 86,1% è dovuto ai costi delle ospedalizzazioni,
il 3,0% ai farmaci cardiovascolari, il
6,5% ai farmaci non cardiovascolari,
e il 4,4% alle prestazioni diagnostiche e specialistiche.
Le opportunità
L’implementazione delle cure primarie H(12)-24, che si basano sul
principio della “presa in carico della cronicità” attraverso l’istituzione di forme associative della Medicina Generale preferibilmente di
tipo poli-professionale, potrebbe
consentire un approccio concreto,
capace di affrontare le principali
problematiche relative alla gestione di questa condizione clinica a
elevato impatto epidemiologico e
costo assistenziale.
L’obiettivo principale dovrebbe essere quello di ottenere, attraverso
una migliore continuità assistenziale terapeutica e una maggiore/più
appropriata aderenza alle raccomandazioni terapeutiche evidencebased, una riduzione significativa
delle ospedalizzazioni.
Un raggiungimento, anche parziale
di questo obiettivo, insieme a una
razionalizzazione, e conseguente
risparmio, delle prescrizioni farmacologiche e delle procedure
diagnostico-terapeutiche potrebbe liberare una entità di risorse
economiche sufficiente a rendere
sostenibile l’introduzione di nuovi
trattamenti per lo scompenso cardiaco acuto, che dovessero dimostrarsi terapeuticamente efficaci
nel prossimo futuro.
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