LookOut Magazine n. 4 - aprile 2014

IL MONDO CHE NESSUNO RACCONTA
area 51
La verità che non t’aspetti
serbia
Manuale per una rivoluzione
polonia
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Copia abbinata a Panorama non acquistabile singolarmente | anno I - n. 4 aprile 2014 | www.lookoutnews.it
Lo scudo missilistico
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| anno I - numero 4 - aprile 2014
28
Società
14 God save the Kingdom
18 La piazza e le costituzioni
20 Studiare da rivoluzionari
la Sottile
22 Divide et impera
linea
ruSSa
geopolitica
Futuwwa al femminile
le rubriche
26
Spy gameS
AREA 51: un mito duro
a morire
80
Vi racconto
la mia Siria
50
a dire il Vero...
Anche l’Islam deve
arrivare alla
sua“Pace di Westfalia”
78
do you
Spread?
Economia italiana,
che macello!
90
90
l’araba Fenice
Futuwwa al femminile
94
oSSerVatorio
Sociale
Gli indipendentisti
della domenica
96
politicamente
Scorretto
Ciak, si taglia
97
un libro
al meSe
La casa di Via Garibaldi
28 La sottile linea RUSSA
34 Geopolitica di una
possibile invasione
36 Uno scudo attira l’altro
38 Euro entusiasmo
41 Kaliningrad, avamposto
russo nel cuore d’Europa
44 Il Medio Oriente c’est moi
46 Il mondo arabo è nostro
48 Le elezioni che non
cambiano la storia
economia
64 Il peso di Mosca
68 Non gasiamoci troppo
74 Con gli occhi dell’Oriente
Sicurezza
80 Vi racconto la mia Siria
83 Libano, le mani su Tripoli
84 In fuga dall’Africa
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l’aggiornamento quotidiano dal mondo
LOOKOUT 4 - aprile 2014
3
la Vignetta
di
“ TUR CH IA : Erd o gan ord in a
l ’ osc ur amen to d ei soc ial n etwor k”
Tutte le Russie
portano a Mosca
di mario mori
A
l’editoriale
nche se i toni si sono fatti
più cauti, il dibattito internazionale continua a
rimanere centrato sulla
crisi tra Russia e Ucraina.
È una crisi che ha risvolti complessi di natura etnica, economica e militare. Mosca
non intende abbandonare il suo ruolo
storico di protettore degli ucraini dell’est
e non vuole l’arrivo della NATO sui suoi
confini.
Kiev sembra insensibile alle esigenze
di autotutela strategica della Russia e
appare pericolosamente ottimista sui
prossimi effetti economici di una rottura con Mosca. Dall’analisi della situazione nella ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche il grado di dipendenza dal Cremlino risulta ancora
molto alto e continua a costituire un
freno oggettivo alle istanze di autonomia di questi Stati. Mosca, in sostanza,
resta il centro di tutte le Russie.
Per questo motivo abbiamo dedicato
una parte importante di questo numero agli eventi dell’Est. L’ambasciatore
polacco a Roma, Wojciech Ponikiewski,
visti gli storici legami tra il suo Paese e
l’Ucraina occidentale, ci aiuta con molta profondità a inquadrare le questioni
aperte dagli eventi di piazza Maidan alla
secessione della Crimea, valutandone i
profili economici, politici e militari. Tra
questi ultimi si riesamina il delicato
dossier sullo scudo missilistico nell’Europa Orientale: concepito dagli americani per difendere l’Europa dalla minaccia missilistica iraniana, si sta trasformando in un’arma di pressione
contro Mosca.
La secessione della Crimea sostenuta
dai tank russi ma anche da un innegabile sostegno popolare manifestatosi attraverso un referendum - che secondo
gli osservatori internazionali non è stato viziato da brogli - ci ha indotto non
soltanto a una riflessione tecnico-giuridica sui cambiamenti politici imposti
dalla piazza o sostenuti da richieste popolari, ma anche a uno sguardo di prospettiva sul prossimo appuntamento
potenzialmente “secessionista” che attende il Regno Unito il prossimo 18 settembre, il referendum sull’indipendenza sulla Scozia.
Non abbiamo trascurato il Medio
Oriente, focalizzando l’obiettivo sul fattore religioso rispetto a quello politico.
La “guerra civile” tra sciiti e sunniti in
Iraq e Siria, le persecuzioni dei cristiani
nel conflitto siriano e in Africa e la rottura tra Arabia Saudita e Qatar sono
state oggetto di riflessioni approfondite
anche con un ardito paragone storico
con la Guerra dei Trent’anni che in Europa sancì non soltanto la nascita degli
Stati Nazione ma anche e soprattutto il
distacco totale tra politica e religione.
inbox
il direttore editoriale
riSponde
Meglio la Russia o
l’Europa per l’Ucraina?
Grecia: la cura della Troika non ha prodotto
i risultati sperati
Prima o poi l’Ucraina pagherà l’errore che ha commesso mettendosi contro Mosca e si renderà conto che è meglio la Russia della Troika.
Concordo con la vostra analisi: “le conseguenze della politica di austerità
hanno finito col sorprendere gli stessi ispiratori del Fondo Monetario Internazionale”.
La recessione si è rivelata ben superiore alle attese.
CARLO CAFFO
ARA BABUKIAN
Dall’esterno spesso è difficile giudicare
la profondità degli odi interetnici che
attraversano Stati disomogenei.
L’Ucraina occidentale è popolata da persone
che non amano i russi da secoli. Anche se è
brutto ricordarlo, non possiamo trascurare
un dato storicamente accertato: quando nel
giugno del 1941 le truppe tedesche attraversarono il confine ucraino vennero accolte come liberatrici da gran parte della popolazione, in odio al comunismo e alla “Madre
Russia”. La tensione latente tra ucraini
dell’ovest e dell’est è esplosa in questi mesi
ma ha, come abbiamo visto, radici antiche.
Come può leggere nell’intervista all’ambasciatore polacco a pagina 38, è ora che in
Ucraina torni a parlare la politica al posto
della piazza e dei blindati. È presto per dire
che il tentativo di associazione di Kiev all’Europa sia un errore, ma è un fatto certo
che il conto da pagare a Mosca tra debiti e
aumento delle tariffe energetiche per
l’Ucraina sarà molto salato, tale da non
consentirle, se non a prezzo di sacrifici enormi, di raggiungere quei parametri di Maastricht che tanto per fare un esempio hanno
demolito l’economia greca.
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La politica dell’austerità espansiva imposta dalla Troika ad Atene è paragonabile
al coma farmacologico che viene indotto in alcuni pazienti traumatizzati per dare
tempo all’organismo di riprendersi da solo. Se il coma è troppo profondo e dura
troppo a lungo, si producono nella migliore delle ipotesi danni permanenti. L’atteggiamento della Troika nei confronti di Atene è apparso a tratti decisamente punitivo. Non
bisogna inoltre trascurare che in Europa le banche tedesche erano quelle maggiormente
esposte sul fronte del debito greco e che la Troika è molto sensibile alle esigenze di Berlino.
Erdogan si conferma al potere
Come mai nonostante le accuse di corruzione e i tentativi palesi di accentrare
a sé il potere legislativo, giuridico e amministrativo, il popolo turco ha continuato a
votare per Erdogan anche alle ultime elezioni amministrative?
YUCE AGRIMAN
Erdogan è il più islamista dei leader laici turchi. Forse il suo successo elettorale, nonostante scivoloni autoritari come la chiusura temporanea di Twitter e YouTube,
dipende dal fatto che probabilmente una parte maggioritaria della società turca,
nonostante quasi un secolo di governi secolari, sta riscoprendo la propria identità religiosa ed è disposta a passare sopra le accuse di corruzione nella speranza che il premier
rafforzi la presenza dell’Islam nel Paese. Senza dimenticare il buon andamento dell’economia e il miglioramento del tenore di vita per la popolazione turca.
Cosa c’è dietro l’intervento militare dell’UE
in Repubblica Centrafricana?
Non credo si tratti di una missione umanitaria. Oro, uranio, diamanti e forse
anche petrolio: sono questi i reali motivi dell’intervento dell’Europa.
MATTEO TARDINI
Occorre essere realisti: in geopolitica l’intervento puramente umanitario non esiste.
Checché ne dicano i governi, ogni intervento militare ha, tra le sue motivazioni,
anche quelle economiche e di controllo di aree strategiche dal punto di vista delle
risorse locali. Nel povero Rwanda, l’Occidente ha assistito senza battere ciglio al massacro di un milione di persone. Oggi evidentemente l’Unione Europea non può tollerare che
le enormi ricchezze nascoste nel sottosuolo della Repubblica Centrafricana cadano nelle
mani sbagliate. E quindi, per motivi “umanitari”, interviene.
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7
coSta rica
braSile
nigeria
ungheria
Ballottaggio surreale per
le presidenziali. Il candidato
dell’opposizione, Jhonny
Araya, ha rinunciato alla
candidatura. Vittoria di
Luis Guillermo Solis, che
è il primo presidente di
centrosinistra del Paese.
A poche settimane
dall’inizio dei Mondiali di
Calcio non tremano solo
i ponteggi dei nuovi
stadi ma anche il futuro
di Dilma Rousseff:
i consensi a suo favore
sono scesi dal 44 al 38%.
Economia nigeriana
al primo posto in Africa.
La situazione però resta
complicata: corruzione
endemica, furti di petrolio
e decine di cristiani uccisi
ogni giorno dagli islamisti
di Boko Haram.
Il partito Fidesz del
premier Orban tiene a
bada l’ultradestra Jobbik.
Dopo l’endorsement
di poche settimane fa,
Putin sa di poter contare
su un alleato affidabile
nell’Europa dell’Est.
rWanda
giordania
taiWan
corea del Sud
A vent’anni dal genocidio
dei ruandesi di etnia Tutsi,
cresce l’economia del
Paese centrafricano: PIL
in aumento per l’ottavo
anno consecutivo
e arrivo di investimenti
e turisti dall’estero.
Il governo di Amman
potrebbe rivelarsi
fondamentale per
mediare nella crisi
in corso tra i Paesi
del Golfo. Re Abdullah II
ha già preso contatti
con il Qatar.
Per Taipei, le cose
si mettono male
in Guatemala: l’ex
presidente Portillo ha
ammesso di aver ricevuto
denaro in cambio del
riconoscimento della
Repubblica di Cina.
Se Kim Jong-un abbia
ma non morde il merito
è di Seoul: la presidente
Park Geun-hye risponde
ai test missilistici
di Pyongyang,
confermandosi più
affidabile di Shinzo Abe.
Accadde
oggi
Chi è
Yuri Gagarin
Nome completo Yuri Alekseyevich Gagarin
Occupazione Astronauta, pilota
Data di nascita 9 marzo 1934
Data di morte 27 marzo 1968
Luogo di nascita Klushino, Russia
Luogo di morte Kirsach, Russia
10
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1961
2014
Aprile 1961:
i sovietici
conquistano
lo spazio
Un manifesto che
celebra il progresso
aerospaziale sovietico
ruSSia | di Luciano Tirinnanzi
Q
uel pomeriggio a Roma, lo strillone di
Piazza dei Cinquecento gridava a squarciagola: “È tornato
Ignazio, l’uomo dello spazio”. Il riferimento del venditore di giornali era a
Yuri Gagarin, il ventisettenne maggiore dell’aviazione dell’URSS, primo uomo nella storia dell’umanità a viaggiare nello spazio.
L’eco dell’impresa fece in pochi minuti il giro del mondo. Anche perché,
con sommo stupore di tutti - soprattutto del presidente USA Eisenhower - per
la seconda volta in meno di vent’anni
dopo l’ingresso delle truppe sovietiche a Berlino, i russi erano arrivati prima degli americani a un più che prestigioso traguardo. Sarebbe stata l’ultima volta che i russi avrebbero potuto
vantare un simile primato, almeno per
quanto riguarda la cosmonautica. Ma
quel giorno, 12 aprile del 1961, resterà
per sempre scolpito nella memoria collettiva come un trionfo di Mosca. Il giovane Gagarin sognava un viaggio nel
cielo infinto sin dal lancio del primo
sputnik russo nel 1957. “Quel pomeriggio - ricorderà più avanti il cosmonauta - io e i miei compagni tornavamo da un addestramento sugli aerei
visto “né la luna né alcun Dio” lassù nello
spazio, ma di aver goduto dello spettacolo
della terra “blu, e il sole dieci volte più luminoso che sulla terra, e
le stelle più lucenti e
limpide che mai”. Affermò entusiasta che
“tutto era diventato
progressivamente più
facile e leggero da fare” per l’assenza della
forza di gravità.
Tutto secondo i calcoli, insomma. A eccezione dell’atterraggio:
previsto a sud della città di Engels (regione del Volga, Oblast di Saratov), il
rientro di Gagarin avvenne invece in
aperta campagna: il cosmonauta fu prima espulso dall’abitacolo e quindi paracadutato a terra, anche se nei resoconti
ufficiali questa versione non compare.
Yuri non fu il solo a ricordare quel
momento. Riferirà, infatti: “Dopo l’atterraggio, incontrai due studentesse.
Quando mi videro con la mia tuta spaziale che camminavo trascinandomi
dietro il paracadute, iniziarono a indietreggiare impaurite. Dissi loro di
non spaventarsi, che ero anch’io un
sovietico come loro, tornato dallo spazio e che dovevo trovare un telefono
per chiamare Mosca”.
Se quest’ultima circostanza ha dell’incredibile, non lo è da meno la dipartita del primo uomo nello spazio.
Dopo soli sette anni dalla passeggiata
spaziale, durante un banale volo di addestramento, il MIG che pilotava si
schiantò al suolo, mettendo fine alla
sua vita e alimentando il mito di questo moderno Icaro.
MIG e, quando ricevetti la notizia, capii
che il giorno in cui l’uomo sarebbe andato nello spazio non era più così lontano”. Certo non immaginava che sarebbe stato proprio lui quell’uomo.
I primi tentativi della corsa allo spazio tra Est e Ovest erano iniziati alla
metà degli anni Cinquanta. Mosca
aveva dalla sua l’eredità di Konstantin
Ciolkovskij, pioniere dell’astronautica
vissuto a cavallo tra la fine dell’Ottocento e il primo trentennio del Novecento e padre della teoria del volo spaziale umano. Le idee visionarie del geniale scienziato russo furono poi messe a frutto dall’industria aerospaziale
sovietica, grazie al “miglior progettista”, come veniva soprannominato
l’ingegnere Sergej Korolëv. Il quale,
grazie alla considerazione che godeva
all’interno del Politbjuro all’epoca di
Kruschev, progettò e supervisionò le
più importanti tappe del programma
spaziale sovietico, dalla cagnetta Laika
(1957) fino a Yuri Gagarin.
Il maggiore venne lanciato nello spazio alle ore 09:07 del 12 aprile 1961,
orbitando intorno alla Terra per 88 minuti a bordo
DOVE TROVO UN TELEFONO
della navicella Vostok 1 (che
significa “Oriente”) e atterrò nuovamente alle 10:55
in Unione Sovietica. Cedro,
il nome in codice che si era
dato, raccontò di non aver
PER CHIAMARE
MOSCA?
YURI GAGARIN
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Faces
I volti più significativi
del mese
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ed miliband Classe 1969, il leader dei labursiti ha prima
sconfitto il fratello maggiore David nella sfida per la guida del partito e ora guarda minaccioso a un altro David, il premier Cameron.
Federica mogherini Classe 1973, il ministro degli Esteri
è la terza donna alla Farnesina dopo Susanna Agnelli ed Emma
Bonino, senz’altro la più giovane a essere arrivata sin qui.
agatha Sangma Nata nel 1980 a New Delhi, è nel parlamento indiano già dal 2009 ed è stata il più giovane Ministro
di Stato, nel secondo gabinetto del premier Singh.
axel Kicillof Bisogna essere il più promettente quarantenne del Paese per smettere gli abiti del docente e andare a ricoprire la terribile carica di ministro delle Finanze d’Argentina.
Sebastian Kurz L’enfant prodige austriaco è nato il 27
agosto 1986 e, non ancora ventottenne, è probabilmente il più
piccolo ministro degli Esteri che si ricordi nelle Alpi.
Kim jong un Classe 1983, il Supremo Leader della Repubblica Democratica Popolare di Corea ha da poco compiuto
trent’anni. La giovinezza non gli manca, la saggezza invece...
Società
Scozia
Referendum
per l’indipendenza
Serbia
Pace e rivoluzione
yemen
La difficile
federazione
God
save
the
Kingdom
Tra cinque mesi il referendum
per l’indipendenza della Scozia.
Ma dopo tre secoli di matrimonio
con Londra, a Edimburgo
conviene davvero firmare
le carte del divorzio?
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/SCOZIA
14
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Scozia | di Dario Scittarelli
I
“
t’s Scotland’s oil”. Così partì negli anni ’70 la campagna in favore dell’indipendenza dello
Scottish National Party (SNP).
Perché, oltre al whisky, c’è anche - e soprattutto - il petrolio scozzese. Sottotitolo: volete dividerne i proventi con sessantaquattro milioni di
persone o con cinque? Allora gli abitanti del Regno Unito erano una decina di milioni in meno, ma la proporzione è rimasta grosso modo la stessa.
Venivano da poco alla luce i giacimenti di idrocarburi nel Mare del Nord, e
il loro sfruttamento aveva dato nuovo
vigore all’indipendentismo mai sopito
della Scozia, annessa nel 1707 all’Inghilterra per formare il Regno di
Gran Bretagna, cent’anni prima che si
arrivasse allo United Kingdom con l’Irlanda, all’epoca tutta intera.
Quarant’anni più tardi e 40 miliardi
di barili di petrolio dopo, l’SNP conquista - siamo nel 2011 - la maggioranza
a Holyrood, il parlamento scozzese nato nel 1999 con la devolution di Tony
Blair. “It’s still Scotland’s oil”, continuano
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15
Società
Il dizionario
Lo Scottish National Party è
il principale partito scozzese.
Fondato nel 1934, nel 2007
ottiene il maggior numero
di seggi a Holyrood (47 su
129), mettendo fine a otto
anni di coalizione tra laburisti
e liberal-democratici. Non
avendo i 65 seggi necessari
per la maggioranza, l’SNP
Chi potrà votare
il 18 settembre?
“La Scozia deve essere una
nazione indipendente?”. Ecco
il quesito cui sono chiamati a
rispondere il 18 settembre
tutti i residenti in Scozia, di
nazionalità britannica o
europea: un secco “yes”
o un “no”. Solo per questo
referendum, l’età minima è
stata abbassata a 16 anni. Su
un totale di 5,3 milioni di
abitanti, saranno dunque
circa 4,3 mln gli aventi
diritto. Non potranno
votare, invece, le 800mila
persone nate in Scozia ma
residenti in altre parti del Regno.
a rimarcare gli indipendentisti, che
dopo due anni annunciano la data del
referendum decisivo: 18 settembre
2014. Certo, non è solo una questione
di petrolio (e di gas). La Braveheart generation, cresciuta proprio negli anni
del decentramento amministrativo, si sente più nordeuropea che
inglese, e prende a modello nazioni virtuose come la Norvegia, la Danimarca e la Svezia,
all’avanguardia nel welfare e
contraddistinte da grande autonomia rispetto alla politica monetaria dell’Unione Europea.
E poi c’è il whisky, gioiellino
da 5 miliardi di sterline l’anno, senza contare i servizi finanziari (circa 750 miliardi di pound,
tra investimenti e pensioni) e i
40 milioni di conti correnti
I numeri del petrolio scozzese
D
al 1975 a oggi
sono stati estratti
oltre 40 miliardi
di barili, per un
valore in tasse di
circa 300 miliardi di pound, finiti nelle casse del governo di Londra. Dai giacimenti attualmente
sfruttati nel Mare del Nord (che
soddisfano, insieme a quelli di
gas, metà del fabbisogno energetico britannico) potrebbero essere
estratti ancora, nei prossimi trent’anni, 24 miliardi di barili, per
un’entrata fiscale di 10 miliardi
16
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forma quell’anno un
governo di minoranza con
il suo leader Alex Salmond
(foto) nel ruolo di primo
ministro. Nel 2011 arriva la
consacrazione: con 69
seggi l’SNP diventa il
primo partito a costituire,
da solo, un governo
di maggioranza nel
di sterline all’anno. Un discreto
tesoretto, che gli indipendentisti
vorrebbero naturalmente tenere
tutto per sé. Nei loro piani, basterebbe accantonare un miliardo all’anno per costituire nell’arco di
una generazione un fondo pensione petrolifero da 30 miliardi di
pound sul modello di quello norvegese (che già sfiora i 500 miliardi di sterline). Ma attenzione: la
produzione di idrocarburi nel
Mare del Nord è calata di quasi il
70% a partire dall’ultimo picco
nel 1999.
parlamento scozzese.
La formazione politica si
autopresenta così: “A left
leaning nationalist party
advocating secession from
the United Kingdom”,
“Un partito nazionalista
di sinistra che sostiene
la secessione dal Regno
Unito”.
bancari. Insomma, secondo il first minister e leader dell’SNP, Alex Salmond,
i numeri ci sono tutti. E la Scozia, con
la sua manciata di abitanti (solo
l’8,3% di tutta la popolazione targata
UK) potrebbe entrare facilmente nella top 20 mondiale per PIL pro-capite,
diventando (come pubblicizzano adesso i
manifesti della coalizione filo-indipendentista Yes Scotland) più ricca dello
stesso Regno Unito.
Ma non mancano le contraddizioni.
La prima è il pound: indipendenti sì,
ma con la sterlina, dicono da Edimburgo. Secca la risposta di Londra: nel
caso di una vittoria del sì al referendum non sarebbe possibile un’unione
monetaria tra la Scozia e il resto del
Regno. Un’argomentazione, questa,
che ha gelato i bollori degli indipendentisti. Contrattacca però Salmond:
Società
Regioni dove i partiti politici
sostengono l’indipendenza
Gli altri separatisti
d’Europa
Regioni con movimenti
separatisti-autonomisti
Scozia
Spagna
Pop. 5,3 mln
La proposta del referendum
indipendentista della Catalogna
è stata bocciata dalla corte
costituzionale il 25 marzo, dopo aver
già bocciato nel 2008 il referendum per
l’autodeterminazione dei Paesi Baschi.
Fiandre
Pop. 6,2 mln
Regno
Unito
Belgio
belgio
Padania
Pop. 33,3 mln
L’indipendenza delle Fiandre,
con Bruxelles capitale, è l’obiettivo
della formazione di destra N-VA,
Nuova Alleanza Fiamminga.
Saranno decisive le elezioni di maggio.
Paesi Baschi
Francia
Pop. 2,1 mln
Corsica
Francia
Pop. 300.000
Nonostante la grande autonomia di cui
gode la Corsica rispetto alle altre regioni
francesi, i militanti del Fronte di
Liberazione Nazionale Corso vorrebbero
fare dell’isola una nazione indipendente.
Italia
Spagna
Catalogna
italia
Pop. 7,5 mln
La Lega Nord vorrebbe creare una
nuova regione chiamata “Padania”
per separare il nord industrializzato
dal resto del Paese.
Fonte: Eurostat
se ciò dovesse accadere, la Scozia non sarà più disposta ad accollarsi la sua parte di debito
pubblico, ovvero oltre 120 miliardi di sterline su un trilione e
mezzo. Ancora sulle contraddizioni, bisognerà poi capire come farà Edimburgo a sbarazzarsi dei quattro sottomarini
della Royal Navy ormeggiati
nella base navale di Faslane (armati con missili a testata nucleare) e a rimanere all’interno
della NATO, che proprio di
quella base fa un punto cardine
della sua alleanza. Parlando di
un’altra importante membership che la nuova Scozia vorrebbe mantenere, c’è poi l’Unione
Europea. Ma, anche qui, l’ingresso di Edimburgo non è affatto scontato e sarebbe subordinato all’accettazione da parte
degli altri Stati-membri.
Che agli scozzesi, dunque,
convenga non firmare le carte
del divorzio? Probabilmente è
così. Ma anche soltanto aver
messo quelle carte sul tavolo,
Gli sfidanti
potrebbe produrre i suoi effetti: ad esempio, il conferimento
Yes Scotland vs Better Together
di una piena autonomia fiscale
Gli indipendentisti del gruppo Yes Scotland,
alla Scozia, pur rimanendo alcapitanati da Alex Salmond, sono sostenuti, oltre
l’interno del Regno. Un
che dall’SNP, dai verdi dello Scottish Green
compromesso cui
Party. Entrambe le formazioni sono
collocabili nell’area di centro-sinistra.
stanno già lavoGli ultimi
Il loro motto è “Scotland’s future in
rando gli unionisondaggi danno il
Scotland’s hands”, ovvero “Il futuro
sti della coalidella Scozia nelle mani della Scozia”.
zione Better
Dall’altra parte, gli unionisti della
Together e che
coalizione Better Together: laburisti,
persino i più
conservatori e liberal-democratici,
agguerriti indidei consensi agli
guidati dal laburista Alistair Darling.
pendentisti poIl
loro slogan: “A stronger Scotland,
indipendentisti
trebbero trovare
a United Kingdom”, “Una Scozia
più forte, un Regno Unito”. Nel caso di
interessante. Anche
una vittoria del sì, la Scozia dichiarerà la sua
se vincesse il fronte del
indipendenza il 24 marzo 2016. La data coincide
no, quindi, i braveheart ottercon la storica firma dell’Atto di Unione del 1707,
rebbero comunque un gran
quando il Kingdom of Scotland cessò di esistere.
bel risultato.
Del resto, si sa: per centrare
il bersaglio, bisogna tirare sempre un po’ più in alto.
30%
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17
Società
La piazza e le
È possibile conciliare
le ragioni della politica
con quelle del diritto?
Ragionamenti intorno
alla crisi d’identità
dell’Occidente
costituzioni
mondo | di Ciro Sbailò
C
i sono buone ragioni per
sostenere la legittimità
sia dell’elezione di Mohammed Morsi alla presidenza dell’Egitto sia
della sua rimozione forzata. Analogo
ragionamento può essere fatto mettendo a confronto la cacciata a furor
di popolo del presidente ucraino Viktor Yanukovich, da una parte, e il referendum sull’autodeterminazione della Crimea, dall’altra.
Ciclicamente, l’Occidente coltiva il
sogno di una conciliazione tra le ragioni della politica e quelle del diritto.
Altrettanto ciclicamente, si assiste poi
a un brusco risveglio. La più recente e
autorevole versione di questo sogno è
18
LOOKOUT 4 - aprile 2014
la dottrina del “Grande Medio Oriente”
(introdotto nel G8 del 2004), che può
essere sintetizzata così: la sicurezza e
gli interessi dell’Occidente possono
essere garantiti solo esportando o rafforzando il costituzionalismo democratico-liberale in un’area molto estesa, inscrivibile in una sorta di triangolo capovolto con ai vertici il Maghreb,
il Kazakhstan e il Corno d’Africa.
I presupposti di questa dottrina li
troviamo in due concetti elaborati in
Europa, rispettivamente nella filosofia
del XIX secolo e nella scienza costituzionale del XX secolo: la “fine della
storia” e l’“esaurimento del potere costituente”. Il secondo è, per certi versi,
la versione giuridica aggiornata del primo (formulato ben prima che venisse
pubblicato The End of History nel 1992).
Per definizione, il potere costituente è
un potere illimitato. Ma se la democrazia liberale rappresenta il culmine
dell’evoluzione della civiltà, il potere
costituente non ha più ragion d’essere. Non c’è volontà popolare o interesse geopolitico che tenga: i limiti di
qualsiasi ordinamento (e di qualsiasi
rivoluzione) sono fissati una volta per
tutte e coincidono con i principi del
costituzionalismo occidentale (separazione dei poteri, primato dei diritti individuali, laicità dello Stato, libertà
economica, etc.).
Il fallimento della dottrina del
“Grande Medio Oriente” deriva, per
l’appunto, dall’“esaurimento” di questi suoi presupposti. La storia ci dice
che senza lo Stato di tipo occidentale, basato sulla “neutralizzazione” di
ogni elemento identitario (religioso,
etnico, comunitario, etc.) non c’è
Società
Pareri a confronto
Michele Ainis
Giurista e costituzionalista italiano
democrazia costituzionale. Ma quel
modello non può essere applicato su
scala globale. Esso è in crisi ovunque,
specialmente dove è stato adottato di
recente. È il caso del Nord Africa, ad
esempio, dove i soggetti politico-sociali cresciuti dentro la dimensione statuale devono confrontarsi con il fenomeno della “ri-espansione del principio ordinatore islamico”, talora razionalizzandolo - vedi la nuova Costituzione in Tunisia - e talaltra contrastandolo con violenza - vedi le turbolenze
che persistono in Egitto - senza tuttavia poterlo cancellare.
La crisi del modello occidentale è
segnata, dunque, dall’emergere di
prospettive geopolitiche trans-nazionali e trans-statuali, potenzialmente
antagoniste nei confronti dell’Occidente, come potrebbero esserlo
l’“agenda neo-ottomana” di Erdogan
in Turchia o l’evoluzione euro-asiatistica dell’iniziale panslavismo di Putin
per la Russia. A fronte di ciò, la democrazia costituzionale di stampo liberale, più che destino globale, appare come il sistema di una determinata “civiltà” (anche Huntington riprendeva
teorie elaborate in Germania, a cavallo tra le due Guerre).
Il costituzionalista occidentale può
trovarsi, così, a doversi pronunciare
sopra un ordinamento voluto dalla
popolazione, ma in conflitto con i
principi e gli interessi dell’Occidente.
Ovvero, può trovarsi a dover scegliere
tra gli interessi dell’Occidente e le ragioni del diritto. Ancora una volta, bisogna fare realisticamente i conti con
una lotta tra opposti valori, in perenne e insanabile conflitto tra loro.
L’unico punto su cui le ragioni di
piazza e quelle del diritto possono
convergere è il rispetto della
Costituzione. Spesso si pongono
questioni che chiamano in causa
ora l’autodeterminazione dei popoli,
ora la vecchia ragion di Stato, che
a volte entra in conflitto con il
diritto internazionale o con le
norme che regolano gli ordinamenti
costituzionali dei singoli Paesi. Se
ogni minoranza all’interno di uno
Stato potesse rivendicare la propria
autonomia, si andrebbe però
inevitabilmente verso scenari
pericolosi. È bene dunque fare
chiarezza e distinguere sempre
tra referendum, ammesso e dunque
legittimo, e plebiscito, che invece
il più delle volte si traduce in una
sostanziale manipolazione della
volontà popolare.
Giovanni Sartori
Politologo tra i massimi esperti
di scienze politiche
In un sistema ideale gli Stati
sono guidati dalla Costituzione
ma in questo momento,
purtroppo, in quasi tutti i Paesi
del mondo la Magna Charta viene
violata costantemente e
prevalgono ora la forza ora la
politica (un “piccolo” esempio
è la Cina). Per quanto riguarda il
nostro Paese, aggiungo che non
solo l’Italia non segue la linea del
costituzionalismo, ma il problema
è che qui vige direttamente il
caos, perché neanche la politica
ha la forza per imporsi. Potremmo
così affermare che l’Italia è uno
Stato di “mezzo diritto”.
LOOKOUT 4 - aprile 2014
19
Società
Studiare da
rivoluzionari
L’attivismo politico
e la teoria delle azioni
non violente di CANVAS.
Storia di docenti
di rivoluzione sui generis
attraverso le parole
di Srdja Popovic
Serbia | di Mariana Diaz
I
l Centro per l’applicazione
Strategica di Azioni Non Violente CANVAS è un’associazione no-profit fondata nel 2004 a
Belgrado, in Serbia, il cui scopo è la diffusione delle tecniche relative “all’arte della lotta pacifica”. Srdja
Popovic, uno dei fondatori, spiega
che “l’attivismo è cominciato negli anni Novanta, quando non eravamo altro che un gruppo di studenti impegnati nella lotta contro Slobodan Milosevic. Insieme al mio socio, Slobodan Djinovic, all’epoca facevamo parte dei giovani fondatori di Otpor!, il
movimento che contribuì al rovesciamento di Milosevic nel 2000”.
È stata proprio tale esperienza a convincere Popovic che la lotta non violenta può essere portata avanti in qualsiasi
parte del mondo. Questa è la finalità di
CANVAS, vero e proprio centro studi
dove si tengono corsi e seminari su come organizzare una rivoluzione pacifica
con “una dozzina di istruttori provenienti da tutto il mondo che insegnano
le loro tecniche”.
20
LOOKOUT 4 - aprile 2014
Su cosa si basa il vostro metodo di
non-violenza?
Aiutiamo le persone a comprendere
la natura del potere politico, quali sono le strutture attraverso cui il potere
agisce e qual è il livello di sottomissione del popolo a tali strutture. Il seguente passo si basa sulla consapevolezza che se le persone non ubbidiscono, i
governanti non possono governare. I
gruppi che vengono da noi hanno bisogno di capire le motivazioni che
portano le persone a ubbidire a una
determinata struttura. Lo scopo è dunque diminuire tale sottomissione. I partecipanti ai nostri corsi prima apprendono i principi fondamentali della nonviolenza: strategia, pianificazione e disciplina. Solo dopo imparano le tattiche
non violente. Sottolineo che CANVAS
non offre idee rivoluzionarie. La rivoluzione arriva dalle persone che vivono in
un determinato contesto e l’unica cosa
che noi offriamo sono le risorse perché
tali idee diventino azioni concrete.
Avete promosso la vostra strategia
pacifica in Ucraina?
Abbiamo lavorato con diversi gruppi di cittadini ucraini prima della Rivoluzione Arancione (2003-2004) ma
non siamo interessati a promuovere la
nostra strategia, preferiamo aspettare
che siano i cittadini a venire da noi
per chiederci materiale informativo o
per partecipare ai workshop.
Società
Foto piccole: una singolare somiglianza
cromatica e geomorfica di Crimea (sopra)
e Kosovo (sotto)
Foto grandi: due momenti di Piazza
Tahrir al Cairo, simbolo delle Primavere
Arabe e teatro delle enormi proteste
che hanno sconvolto l’Egitto dal 2011
a oggi (la piazza piena durante
la contestazione a Mubarak e vuota
dopo il coprifuoco imposto dai militari)
Yanukovich, Yushchenko e Timoshenko, si sono divisi. Tuttavia, la rivoluzione del 2004 ha reso i cittadini consapevoli della loro responsabilità riguardo il futuro del Paese e quando hanno
visto che l’Ucraina stava andando verso una direzione che non volevano,
specie quando Yanukovich ha deciso
di non firmare l’accordo di associazione con l’UE, i cittadini consapevoli
del loro potere sono scesi in piazza
per contestare questa decisione.
Alcune persone pensano che dietro
CANVAS si nasconda una base per
le attività segrete degli Stati Uniti.
Come risponde?
In Egitto, il Movimento 6 aprile ha
rovesciato uno dei migliori amici degli
Stati Uniti, ovvero Hosni Mubarak e
siamo stati proprio noi a insegnare loro le tecniche. Non è quindi possibile
che dietro di noi si nasconda la Casa
Bianca. Altri dicono che “la rivoluzione si può esportare”, che basta portare
un gruppo di agenti qualificati in un
determinato Paese per poi avere una
piazza in rivoluzione, come in Venezuela o in Ucraina. Se tale “import-export” della rivoluzione fosse vero, io
sarei la persona più felice del mondo.
Ma la lotta non violenta ha bisogno di
unità, coraggio e creatività. Queste tre
cose non sono esportabili.
Chi sono
I sostenitori di CANVAS
Avete anche insegnato ai protagonisti delle primavere arabe?
Sì, abbiamo condiviso le nostre conoscenze con gruppi provenienti dalla Tunisia, dalla Siria e dall’Egitto. Per
noi il Medio Oriente non è una regione diversa dalle altre.
Come si vince una rivoluzione?
Perché la rivoluzione pacifica abbia
successo, occorre pianificare anche il
dopo. Cosa succederà quando avremo
raggiunto l’obiettivo? Pensare al processo di transizione è fondamentale. Molte
volte, quando cala l’attenzione, anche
l’unità del gruppo diminuisce e subentrano i problemi che adesso vediamo in
Ucraina, dove si è persa l’unità della piazza. Nel 2004, una volta ottenuta la vittoria, i leader della rivoluzione ovvero
CANVAS organizza eventi,
conferenze e seminari in
collaborazione con molte associazioni
per i diritti umani, fra cui Amnesty
International e Oslo Freedom Forum,
oltre al Programma delle Nazioni Unite
per lo Sviluppo e all’Albert Einstein
Institution. Collabora anche con
alcune università di Belgrado e con
l’Università di Harvard negli Stati Uniti.
Il finanziatore più importante
è il co-fondatore e ora proprietario
della seconda società più grande
di telecomunicazioni in Serbia,
Slobodan Djinovic.
LOOKOUT 4 - aprile 2014
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Società
Divide et impera
Nel Paese
sconvolto dalla
recessione
e diviso
dalle spinte
separatiste,
l’appello
all’unità regge
solo grazie
alla promessa
di una nuova
Costituzione
yemen | dalla corrispondente Laura Silvia Battaglia
un governo regolarmente eletto; economiche, che riducano una crisi salita
alle stelle; strategiche, per dare un segnale di stabilità nel Golfo di Aden
ohammad A. Qubaty, membro della
agli osservatori internazionali. Di fatConferenza per il Dialogo Nazionale,
to, la fine della Conferenza ha sancito
ritiene che la crisi potrà essere supeil prolungamento a un anno della prerata appena ci saranno le condizioni:
sidenza formale di Mansour Hadi. In
“Bisogna affrontare con priorità il
questo lasso di tempo, il presidente ad
problema delle amnistie per i vecchi leader politici e
interim si impegnerà a redigere la
l’annosa questione separatista. Prima si risolve, prima il
nuova costituzione per poi, eventualPaese si rimette al passo”. Così ci diceva due mesi fa.
mente, uscire di scena aprendo la staOggi non è più così fiducioso, nonostante il 28 gennagione delle elezioni.
io, dopo 10 mesi di lavori, la Conferenza si sia chiusa
Le misure più urgenti sono però lecon parole di speranza da parte del presidente ad integate all’economia e alla sicurezza. Dalrim Abdu Rabu Mansour Hadi: “Questo giorno è una
la fine della rivoluzione nel febbraio
pietra miliare dopo decenni di oppressione”. Il giorno
2011 - che si è conclusa con la destituche sarebbe dovuto diventare “la pietra miliare”, Ahzione del presidente storico Ali Abd
med Sharaf al-Deen rappresentante della tribù Houti
Allah Saleh, al potere da 33 anni in Conferenza, è stato freddato da un killer. L’attentato è
l’economia è in caduta libera. Nel
stato rivendicato dai leader tribali della sua stessa rapPaese, già prima delle
presentanza: Saraf al-Deen sarebbe staproteste che hanno cauto accusato di tradimento per avere
sato circa duemila morti
scelto in Conferenza una linea di concie 10mila feriti tra civili e
liazione e dialogo, tradizionalmente
militari, la povertà era
contraria alle spinte separatiste del
dilagante: il 40% degli
Nord e delle tribù sciite di Saada.
yemeniti vive con due
Lo Yemen si prepara a trovare le convive con meno
dollari al giorno o andizioni migliori per andare a future eledi due dollari
che meno e un terzo
zioni ma deve prendere delle decisioni.
deve fare i conti con la
Politiche, che traghettino il Paese verso
al giorno
M
il 40%
degli
yemeniti
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LOOKOUT 4 - aprile 2014
Società
fame cronica. Oggi il valore del rial yemenita è sempre più fluttuante. Per
Faisal A. Darem, economista per il
quotidiano Yemen Observer, “lo Yemen
è un Paese che rischia di diventare
sempre più povero: il deficit di bilancio attuale è di 600 miliardi di Yer, pari
a 2,6 miliardi di dollari, circa il 50% in
più di quel che i funzionari del ministero delle Finanze si aspettavano alla fine del marzo scorso”. Per arginare
questa deriva economica e occupazionale e non arenare i risultati della
Conferenza per il dialogo nazionale,
il presidente ad interim Mansour Hadi ha appena incontrato gli ambasciatori dei Paesi del Golfo, per chiedere
di tenere alto l’interesse sugli investimenti nel Paese.
Ma è la questione sicurezza, quella
che si impone con urgenza: il ministero della Difesa, con l’attacco dei miliziani di Al Qaeda, attuato in grande
stile il 5 dicembre del 2013 (53 persone morte e 162 ferite) e reiterato con
le due esplosioni successive dell’1 febbraio, è diventato un simbolo governativo da abbattere. Nonostante il dispiegamento di forze e i checkpoint a presidio di ministeri e ambasciate, l’organizzazione terroristica mira e colpisce.
Sono sempre più frequenti, tra l’altro,
gli attacchi alle reti informatiche e ai
servizi di erogazione dell’elettricità intorno alla capitale, rivendicati da hacker qaedisti.
Forti delle spinte separatiste, i jihadisti di Ansar al-Sharia e AQAP
(Al Qaeda nella Penisola Araba)
hanno mantenuto il controllo
parziale nelle aree di Abyan, alBayda, nel Ma’rib, e nei governatorati di Shabwah e Lahij, con casi limite come quello di Jaar e Azzan, due città totalmente sotto il controllo dell’ala più intransigente degli
jihadisti, un “governatorato qaedista”,
simile a quello di Raqqa in Siria. Ad
aumentare la rabbia dei separatisti verso il governo e l’adesione, soprattutto
nel Sud, ad Al Qaeda, contribuiscono
gli attacchi dei droni USA sulle aree
tribali, soprattutto desertiche, confinanti con l’Arabia Saudita. Lo scorso 20
gennaio miliziani armati hanno attaccato i checkpoint governativi di Rada’a,
un distretto del governatorato di al-Beida’a. Sono morti sei miliziani e sei soldati, e un ufficiale è stato rapito. Motivo
della protesta: un drone americano, in
un attacco dei primi di dicembre 2013
avrebbe ucciso 12 civili, vicino al villaggio di Qaifa. Il governatorato di al-Beida avrebbe chiesto il cessate il fuoco
nell’area al governo centrale, ma sembra non sia stato ascoltato.
Le regioni del nuovo Stato federativo
Il presidente dello Yemen ha approvato il passaggio del Paese a
una confederazione di 6 regioni, e concesso maggiore autonomia al sud
Azal
ARABIA SAUDITA
Saba
OMAN
Tahama
Janad
Hadramout
YEMEN
Sanaa
100 miglia
Aden
100 km
ETIOPIA
Fonte: Reuters
Aden
Golfo di Aden
Socotra
La questione
meridionale
In Yemen la cosiddetta
“questione meridionale”
assume sempre più peso per
il futuro del Golfo di Aden.
Il leader del consiglio supremo
del Movimento dei Separatisti
del Sud, Hassan Baoum,
nell’ottobre 2013 è stato
chiaro: “Gli yemeniti del Sud
non hanno scelta e chiedono
libertà e indipendenza:
rifiutiamo totalmente una
soluzione parziale”. La spinta
separatista del Sud è infatti la
vera patata bollente nelle mani
della Conferenza per il Dialogo
Nazionale. Una questione
annosa, che risale al 1994,
appena quattro anni dopo
l’unificazione del Nord
e del Sud in un unico Stato
e che, fino a qualche mese fa,
sembrava aprirsi alla
conciliazione, grazie ai dialoghi
di Sanaa. Adesso, dopo gli
attacchi bomba nella capitale,
che si aggiungono ai continui
scontri a Sud con le truppe
governative, non sembrano
esserci molti dubbi. L’unico che
permane è quanto sia intensa
la pressione di Al Qaeda sui
leader tribali che aderiscono al
movimento separatista del Sud.
Da sempre, i separatisti prendono
formalmente le distanze
dall’organizzazione terroristica
e accusano il governo centrale
e l’ex presidente, l’autocrate Ali
Abdullah Saleh, di farsi scudo
con il pericolo qaedista per
combatterli e ottenere appoggi
internazionali.
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Società
l’opinione
Referendum per
l’indipendenza:
esercizio
di democrazia
o propaganda?
mikel etxebarria
Giornalista di Radio Kultura,
Paesi Baschi
U
n referendum è il miglior modo per ottenere l’indipendenza democraticamente. Paesi
come il Canada e il Regno Unito hanno
compreso che la voglia di autodeterminazione è un diritto che i cittadini del Quebec
e della Scozia devono poter esprimere liberamente. L’altra
faccia della medaglia è rappresentata dai casi di Spagna e
Francia, che invece si rifiutano di accettare le rivendicazioni
della Catalogna, dei Paesi Baschi e della Corsica.
Nei Paesi Baschi vivono circa 3 milioni di persone, hanno
una propria lingua, l’euskera, e un’identità ben definita. Il
territorio basco attualmente è diviso in tre amministrazioni.
Al sud, una parte importante della popolazione esige il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione. I partiti
politici nazionalisti rappresentano circa il 65% degli elettori, mentre l’ETA ormai da due anni ha deposto le armi. Ma
il governo spagnolo sinora ha sempre risposto che la Spagna è indivisibile. Al nord, ovvero nell’aria sotto l’amministrazione francese, il numero di indipendentisti costituisce
solo il 20% della popolazione, anche se la maggior parte
dei partiti politici locali rivendica uno status autonomo. E
anche qui la Francia, seguendo la linea della Spagna, non
ascolta le richieste dei cittadini.
In conclusione, possiamo dire che il desiderio di creare
uno Stato indipendente per vie politiche appare sempre
meno realizzabile. Ma i baschi non demordono, e osservano con interesse l’evoluzione della situazione in Scozia e
nella Catalogna.
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richard newbury
corrispondente dal Regno Unito
per Il Foglio e La Stampa
I
sondaggi sull’esito del referendum per l’indipendenza della Scozia dicono che il “no” è al 60% e il
“sì” al 40%. C’è da credere che sarà questo il risultato del voto del 18 settembre. Il premier scozzese
Alex Salmond, economista esperto con un passato
nella Banca di Scozia, sa che non vincerà la sua battaglia, ma
sa anche che questa campagna tornerà utile al suo partito, lo
Scottish National Party, in vista delle prossime elezioni.
D’altronde, la Scozia ha una struttura finanziaria che alla
lunga distanza non reggerebbe l’allontanamento dal Regno Unito. I debiti contratti dalle sue banche pesano per il
15% sul PIL nazionale e la stessa British Petroleum ha espresso i propri timori circa una possibile “gestione separata”
delle risorse energetiche scozzesi. Senza tralasciare il fatto
che quasi tutti gli istituti finanziari del Paese hanno provveduto ad aprire delle sedi in Inghilterra, e sono dunque
pronti a fare le valigie nel caso in cui dovesse vincere il “sì”.
Insomma, per la Scozia si prospetterebbe un futuro economico molto limitato, sul modello islandese.
A Londra, in pochi temono davvero l’esito di questo referendum, e lo stesso vale anche qualora fossero l’Irlanda
del Nord o il Galles a chiedere l’indipendenza. Il problema, semmai, potrebbe ritorcersi contro Spagna e Francia.
Se la Scozia diventasse indipendente e chiedesse l’annessione all’UE, lo stesso potrebbero voler fare anche la Catalogna, i Paesi Baschi o la Bretagna. E qui le conseguenze
economiche sarebbero molto diverse.
all neWS
Società
Sudan
Salve le piramidi dell’UNESCO
cuba
Svelato il piano segreto
del “Twitter cubano”
Il Qatar investe 100 milioni
di euro per preservare
i beni archeologici del Sudan.
Tra i pezzi pregiati del Paese
africano i siti di Gebel Barkal
e l’Isola di Meroe, riconosciuti
patrimonio mondiale
dell’umanità dall’UNESCO.
L’
agenzia federale americana USAID (United
States Agency for International Development) ha creato e diffuso a Cuba un servizio di messaggistica istantanea con l’obiettivo di
fomentare una rivolta giovanile contro il governo
di Raúl Castro. Lo svela un’inchiesta realizzata da
Associated Press. L’applicazione si chiama “ZunZuneo”, è stata utilizzata da 40mila utenti tra il 2009
e il 2011 ma non ha innescato nessuna rivoluzione.
tuniSia
maldiVe
Le vacanze d’oro
del principe saudita
N
on devono averla presa bene i tanti turisti
pronti a partire per le Maldive quando con
pochissimo preavviso gli è stato comunicato che le loro prenotazioni erano state annullate. A
rovinargli la vacanza è stato il principe ereditario
dell’Arabia Saudita, Salman bin Abdulaziz al-Saud,
che ha preteso solo per sé tre intere isole per quasi
un mese di soggiorno.
Francia
La seconda vita
del marchese De Sade
Il ritorno in Algeria della
Maschera della Gorgone
I
l governo tunisino ha annunciato la restituzione ad Algeri della Maschera della
Gorgone, una preziosa scultura di epoca
romana rubata nel 1990 dal sito archeologico di
Hippo Regius, nel nord est dell’Algeria. Si tratta di
uno dei 164 antichi reperti trovati nella casa del genero dell’ex presidente tunisino Ben Ali, deposto
dopo la rivolta popolare del 2011.
Stati uniti
La Marina testa
i robot antincendio
Q
uest’estate la Marina degli
l rotolo di carta originale su cui il controverso
Stati Uniti sperimenterà il roscrittore francese marchese Alphonse de Sade
bot antincendio Saffir (Shipboard Autoscrisse il suo romanzo scabroso Le 120 giornate di
nomous Fire-fighting Robot). I primi prototipi,
Sodoma (composto nel 1785 mentre era imprigiocostruiti da ricercatori della Virginia Tech e
nato nella Bastiglia) torna in Francia dopo una di1.000.000 dalle università della California e della Pensputa giudiziaria durata trent’anni. Acquistato da
nsylvania, sono in grado di sopportare tempeI profughi siriani
Gerard Lheritier per 7 milioni di euro, verrà
rature più alte rispetto ai vigili del fuoco e posrifugiati in Libano
esposto presso il Museo delle lettere e dei manoseggono un sistema visivo capace di rintracciascritti di Parigi da settembre, per celebrare il bicenre i sopravvissuti.
tenario della morte dello scrittore.
I
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Spy gameS
Storie di Spionaggio e controSpionaggio
AREA 51:
un mito duro
a morire
Quando la suggestione (e Hollywood) si scontrano
con i documenti ufficiali desecretati
A
F117
Cacciabombardiere a lungo
raggio, è in grado di volare
senza scalo per migliaia
di chilometri. La sua
caratteristica fondamentale è
quella di essere “Stealth” cioè
invisibile ai radar. Operativo
nelle guerre del Golfo e in
Serbia nel 1999, raggiunge
una velocità massima
subsonica di 1.037 km/h.
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lzi la mano chi non
ha per un momento
creduto al fatto che
nella mitica “Area 51”
nel deserto del Nevada siano stati nascosti e studiati per decenni extraterrestri vivi o morti, dischi
volanti più o meno funzionanti e altre
diavolerie aliene.
Che cos’è l’Area 51? È un enorme
compound militare a soli 120 chilometri da Las Vegas,
situato in una
zona chiamata
Groom Lake
per la presenza
di un grande lago salato, collegato al resto del
mondo da un’autostrada super
vigilata e da un piccolo aeroporto
contenente da oltre quarant’anni installazioni super segrete.
La segretezza, si sa, genera miti e
mostri. Per questo motivo, quando
nella seconda metà degli anni Cinquanta non solo gli abitanti del Nevada ma anche piloti di linea che solcavano i cieli di Las Vegas iniziarono
spesso di notte ad avvistare strani “oggetti volanti” sconosciuti (gli UFO, appunto), luci misteriose saettanti sulla
volta celeste e altri oggetti misteriosi,
fu facile tirare delle somme affrettate:
l’Area 51 doveva essere il posto nel
quale venivano custoditi i segreti più
impenetrabili della storia del mondo,
quei segreti che secondo il mito venivano comunicati al presidente degli
Stati Uniti nelle ore immediatamente
successive al suo insediamento.
Col passare degli anni il mito dell’Area 51 si è gonfiato a dismisura. Nel
2009 Gleen Cooper, prolifico scrittore
americano, ha scritto una trilogia di
grande successo mondiale nella quale
l’Area 51 viene descritta con dovizia di
particolari “scientifici” come la location segretissima di una misteriosa biblioteca compilata nel Medioevo in
un’abbazia benedettina inglese, composta di centinaia di migliaia di volumi nei quali erano scritte le date di nascita e di morte di tutti gli abitanti della terra dal Medioevo all’anno 2027.
Come si vede, la fantasia letteraria, giornalistica e popolare non ha avuto limiti e
l’Area 51 per decenni è stata sinonimo di
mistero e di intrigo. Anche l’amministrazione federale dello Stato del Nevada ha
dato il suo contributo alla mitologia nominando la strada statale che costeggia
Groom Lake “Extraterrestrial Highway”.
Nell’era della grande comunicazione di massa anche i segreti custoditi
più gelosamente possono però venire
alla luce. Grazie all’incessante azione di
ricerca della Fondazione della George
Washington University “National Security Archive”, che da quasi trent’anni dedica le sue energie proprio alla
desecretazione della documentazione
governativa classificata, nell’agosto
del 2013 è venuto alla luce un voluminoso dossier della CIA che ci racconta
la verità sull’Area 51.
Grazie a questo dossier apprendiamo che nel 1955 la CIA decise di progettare e di costruire uno straordinario aereo spia in grado di volare ad altezze doppie di quelle dei jet allora in
attività e di sorvolare indisturbato per
scopi di spionaggio il territorio dell’Unione Sovietica e dei Paesi del Patto di Varsavia.
Il progetto di costruzione del nuovo aereo, che si sarebbe
chiamato U2, venne affidato a Richard Bissell, capo delle
operazioni clandestine della CIA, che solo pochi anni dopo
sarebbe stato licenziato per la disastrosa tentata invasione di
Cuba della Baia dei Porci. Bissell, sorvolando con un aereo
da turismo il deserto del Nevada, vista l’area del lago salato,
decise che sarebbe stata ideale per i suoi esperimenti.
L’U2, operativo nell’arco di pochi anni, era un aereo superveloce che volava ad altezze inconcepibili per i suoi
tempi ed era dotato di imponenti apparecchiature fotografiche. Per motivi di sicurezza, i voli sperimentali erano prevalentemente notturni e questo spiega i primi “avvistamenti di UFO”. Appena sulla terra del Nevada calava il buio della notte, l’U2 decollava e raggiungeva rapidamente i 18-20
chilometri di altezza, una quota alla quale poteva ancora
essere colpito dai raggi del sole, che a quelle vette non erano ancora tramontati. Per questo sia piloti di aerei di linea
che automobilisti segnalavano alle autorità l’avvistamento
di luci altissime e velocissime nei cieli dello Stato. Dopo
l’U2, nell’Area 51 vennero studiati, progettati e costruiti i
primi droni e gli aerei Stealth, tutti di forme stravaganti costruiti per sfuggire all’osservazione dei radar.
Insomma, per cinquant’anni l’Area 51 è stata un segreto
ben custodito (una volta tanto) da un governo che, volendo
mantenere segreti i propri più delicati progetti tecnologici
e militari, non ha esitato
con ambigui “no comment” e voci fatte filtrare ad arte a far sopravvivere il suo mito. Se si digita questo nome su Google,
oggi si ottengono oltre
559 milioni di risultati, il
99% dei quali parla di
autopsie di alieni, dischi
volanti catturati e studiati a fondo e altre fantasie. Il restante 1% racconta invece la realtà di
un’installazione segreta
nella quale sono nati non solo l’U2 ma anche il cacciabombardiere invisibile F117, o elicotteri come il Black Hawk
usato dai Navy Seal che hanno ucciso Bin Laden. Un’installazione segreta, dunque, ma non per questo misteriosa. E
pure alzi la mano chi non continua a credere che la favolosa Area 51 racchiuda in sé i misteri più indicibili.
Alfredo Mantici
Capo del dipartimento analisi del Sisde fino al 2008,
oggi è il direttore editoriale di LookOut News
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Analisi semiseria di una perdita di
tempo e di gas. Dalla diplomazia
di Vladimir Putin al ruolo
di Stati Uniti ed Europa
nella rischiosa querelle generatasi
intorno all’Ucraina
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LOOKOUT 4 - aprile 2014
geopolitica
La sottile linea
RUSSA
la copertina
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geopolitica
europa | di Giorgio Fanara*
“
a seguire
europa
La strategia russa e la
deterrenza NATO
Scudi missilistici
a confronto
polonia
L’opinione
del governo
ucraina
Infiltrazioni
e dietrologie
* Ceo di FANARA - SPEI, Studio
di Politica Economica Internazionale
Il Segretario di Stato
USA John Kerry
30
LOOKOUT 4 - aprile 2014
me, ama gli Stati Uniti d’America ne
riconosce lo straordinario contributo
rivet Barack, kak dela? Hello e il generoso sacrificio nel restituire
Ivan, how are you?...”. È fi- democrazia e libertà ai popoli europei
nita così, con una telefo- sottomessi al giogo del nazismo, con
nata, questa nuova (ma l’altrettanto determinante contribunon inedita) puntata di to e sacrifício dell’Armata Rossa. Ne
“Diplomacy Comedy Series”. Sceneg- apprezza, inoltre, lo sforzo continuo
giatura e scenografia ci hanno mostra- di volersi costituire baluardo a difeto alcuni malinconici frame di flashback sa delle libertà individuali e degli
della Guerra Fredda che hanno lascia- equilibri fra gli Stati, a tutti assicuto indifferenti pressoché tutti gli spet- rando indipendenza, sovranità e autatori. Prima increduli circa la sban- todeterminazione.
Per chi, come me, proprio per tali
dierata bellicosità dei rappresentanti
degli USA e dell’Europa che, guidati motivi ultimamente è stato colto da
dal governo del primo e da alcuni go- un senso di smarrimento e sorpresa,
verni della seconda - ben inteso, solo proviamo a spiegare perché è accaduto tutto questo. Gli scienzati poquelli con la lettera “G” seguita da
litici ci insegnano che le miun numero - si sono esibiti
nacce devono essere
in un liberatorio karaoke
Nell’ottica
commisurate alla effetdell’indimenticabile e
tiva complessità e graamato Jannacci: Vendiplomatica,
vità del supposto vulgo anch’io (al G8)!
nus; che deterrenza
No, tu no (siamo rie dissuasione devomasti solo in G7)!
no
essere percepite
Spettatori increduandrebbero riletti dal destinatario come
li all’inizio, dicevamo,
credibili ed effettivasenza alcuna sorpresa
e rivalutati
mente attuabili; che non
e con molto disincanto
si devono mai perdere di
sull’esito finale. Chi, come
P
carter
e reagan
geopolitica
vista gli interessi economici strategici
che assicurano stabilità, crescita e progressiva perequazione del benessere
dei propri cittadini.
Ogni iniziativa diplomatica, dall’abilità negoziale all’opzione militare,
dev’essere formulata e perseguita per
contemperare contenimento e distensione. Avviato ormai il Terzo Millennio, forse è il caso di rielaborare definitivamente la teoria di Kennan (deterrenza e contenimento), di ammirare le gesta di Ronald Reagan attraverso i libri di storia, di rivalutare Jimmy
Carter, di rivisitare e rafforzare la dottrina Eisenhower (garantire l’integrità
territoriale e l’indipendenza degli Stati, sopratutto del Medio Oriente, dalle
aggressioni sovietiche).
Purtroppo, di tutto questo travaglio
intellettuale e diplomatico oggi non
v’è più traccia. Il ricorso all’opzione
militare, magari dall’alto e con i droni, s’invoca imediatamente all’insorgere di ogni problema e, a volte, si
adopera con imprudente disinvoltura
per schiacciare gli inermi, ultimamente sempre più numerosi. “Side effects”, si usa dire. Sembra, insomma,
che ogni qual volta la situazione si faccia complessa e di difficile gestione o
l’interpretazione dei nuovi contesti di
un mondo non più bipolare richieda
studio, pazienza, approfondimento e
fatica negoziale, in tutti questi casi alla
qualità del dialogo sul terreno si preferisca ormai la scorciatoia delle bombe dall’alto.
Personalmente, provo un po’ di nostalgia e rammarico di fronte all’effimero mediatico, teso solo a conquistare
con immediatezza l’audience: “Yes, we
can”. In simili casi, verrebbe quasi voglia
di replicare: “Meno male che Ivan c’è”. Mi
spiego. Come Stato italiano, dobbiamo ovviamente continuare a credere
nel ruolo guida del nostro alleato americano, ma non cessare di contribuire
alla definizione congiunta degli indirizzi strategici e delle iniziative o (re)azioni
di volta in volta da intraprendere, laddove è richiesto un intervento a tutela
dei nostri interessi nazionali.
Il ministro degli
Esteri russo Sergei
Lavrov (a destra),
con il negoziatore
siriano
Walid al-Moualem
Sessant’anni di NATO
Stati membri NATO
con la data d’ingresso
Territorio dell’ex
Patto di Varsavia
Prossime adesioni
possibili
1999
Ungheria
Ingresso 1949
Islanda
Rep. Ceca
Lettonia
Polonia
Norvegia
2004
Estonia
Lituania
Danimarca
Paesi Bassi
Slovacchia
Regno Unito
Romania
Belgio
Slovenia
Lussemburgo
Bulgaria
Ucraina
Georgia
Francia
Italia
Portogallo
2009 Croazia
Albania
2009
Spagna 1982
Germania Ovest 1955
Macedonia
Turchia 1952
Grecia 1952
Nota: Canada e Stati Uniti aderirono nel 1949
1949 - Il Trattato del Nord Atlantico
viene firmato il 4 aprile a Washington
DC, USA. L’Alleanza è costituita
principalmente allo scopo di
scoraggiare un attacco da parte
dell’Unione Sovietica nei confronti
delle nazioni non comuniste
dell’Europa occidentale.
1966 - La Francia esce dalla NATO
su indicazione del presidente Charles
De Gaulle. Il quartier generale
dell’Alleanza si sposta da Parigi a
Bruxelles, in Belgio, l’anno successivo.
1999 - La NATO impegna le
proprie truppe su vasta scala
nella guerra del Kosovo, con
una campagna di bombardamenti
che dura 11 settimane.
1991 - Il Patto di Varsavia e l’Unione
Sovietica si dissolvono.
1955 - L’Unione Sovietica e i Paesi
comunisti dell’Europa orientale
firmano un’alleanza denominata Patto
di Varsavia, per opporsi alla NATO.
1994 - La NATO intraprende la sua
prima azione militare contro le forze
serbo-bosniache nella ex repubblica
jugoslava di Bosnia-Erzegovina.
2003 - La NATO prende il comando
dell’International Security Assistance
Force (ISAF) in Afghanistan.
2009 - La Francia rientra nella NATO,
su indicazione del presidente
Nicolas Sarkozy, dopo 43 anni.
Fonte: The Military Balance
LOOKOUT 4 - aprile 2014
31
geopolitica
Il dizionario
All’indomani del referendum
nel quale il 96,6% degli
elettori di Crimea si è
pronunciato a favore della
secessione dall’Ucraina, il
Parlamento locale ha votato
formalmente per
l’indipendenza (88 deputati
favorevoli su 95), prima di
essere annesso alla Russia. In
quell’occasione, il Parlamento
Certo, molti sono i quesiti
da esaminare e altrettanto numerose le risposte da elaborare. Prendiamo appunto il recente caso Ucraina: le reiterate minacce di innalzamento
delle sanzioni e delle possibili
conseguenze - al di là del bloco di asset finanziari di alcuni
potenti uomini d’affari russi avrebbero veramente provocato un crollo del governo Putin, anche solo in termini di
credibilità o gradimento, e un
cambiamento di rotta sulle decisioni assunte da Mosca? Veramente la NATO avrebbe scatenato la guerra al centro di
un’area delicatissima per gli
equilibri mondiali? E per conseguire cosa? E adesso, sul serio qualcuno crede che sarà
Perché i Paesi
europei
dovrebbero
abbandonare
le relazioni
economiche
e strategiche
con Mosca?
ristabilito lo status quo ante,
cioè che la Crimea sarà restituita all’Ucraina, perché abbiamo credibilmente preoccupato e intimorito la Federazione Russa? E i Paesi europei, che
intrattengono relazioni economiche strategiche con Mosca,
le abbandoneranno? E per quale motivo? Non possiamo aver
creduto che in men che non si
dica dagli USA arriverà lo shale gas, dopo che il Congresso
sarà tornato sui suoi passi cancellando il suo precedente Act
a tutela dei suoi interessi energetici. Nessuno ha mai calcolato quanto tempo ci vorrà?
Per quanto riguarda l’Unione Europea, poi, possiamo affermare che ha avuto un ruolo determinante nel difendere
gli interessi energetici dei suoi
maggiori Stati membri, ma non
certo per il solo fatto che Herman Van Rompuy (presidente
del Consiglio Europeo) e Manuel Barroso (presidente della
Commissione Europea) sono
stati accolti al tavolo da pranzo G7 con tanto di foto opportunity. Siamo tutti convinti che
Kennan e la strategia del contenimento
el 1946, durante una missione in Unione Sovietica, il diplomatico
americano, George Kennan, dall’ambasciata USA a Mosca inviò al
presidente Harry Truman il “Long Telegram”, un telegramma di 5.000
battute nel quale il futuro capo del Policy Planning Staff del Dipartimento di Stato
delineava quella “strategia del contenimento” che sarebbe diventata più avanti
nota come “Dottrina Truman”. Di fronte all’evidente intenzione di Stalin di esportare
il modello sovietico all’interno di tutti i Paesi che - secondo la dottrina di Yalta - si
trovavano sul versante russo della Cortina di Ferro, Kennan con quel telegramma
invitava l’Amministrazione americana a elaborare una strategia di lunga scadenza
atta a “contenere” l’espansionismo sovietico in Oriente, nel Sud dell’Europa e in
Africa. La strategia del contenimento non faceva tanto leva sulla deterrenza
nucleare quanto sull’esigenza di contrastare sul terreno l’attività e le ramificazioni
internazionali del comunismo. È dalla “Dottrina Kennan” che nacquero il Piano
Marshall, l’appoggio alla Democrazia Cristiana in Italia contro il Partito Comunista
Italiano e la risposta militare all’aggressione militare nordcoreana in Corea del Sud.
N
32
LOOKOUT 4 - aprile 2014
di Simferopoli ha anche
stabilito che la moneta
ufficiale della Crimea è ora il
rublo. Le forze dell’ordine e gli
apparati dello Stato resteranno
in carica fino all’adozione
della nuova costituzione. Dal
30 marzo, inoltre, è cambiata
anche l’ora legale: quella
di Mosca è due ore avanti
rispetto a quella di Kiev.
G8
Ne fanno parte:
Stati Uniti,
Giappone,
Germania,
Francia, Regno
Unito, Italia,
Canada.
La Russia
è entrata
nel 1998
Pagina seguente:
il Consiglio
di Sicurezza ONU
Nella foto in basso:
George Kennan
geopolitica
Timeline della crisi ucraina
21 novembre 2013
12 marzo G7 e UE annunciano
Il presidente Viktor Yanukovich
abbandona l’accordo di scambio
commerciale con l’UE a favore di una
più stretta cooperazione con la Russia.
sanzioni contro la Russia.
dicembre 2013 Manifestanti
pro-Unione Europea occupano
il Municipio e Piazza Maidan nella
capitale Kiev.
20 Febbraio 2014 Almeno
88 persone restano uccise durante
violenti scontri a Kiev.
21 Febbraio Il presidente
Yanukovich firma un accordo
di compromesso con i leader
dell’opposizione.
22 Febbraio Il presidente
Yanukovich fugge da Kiev.
Il Parlamento vota la sua destituzione
e fissa nuove elezioni al 25 maggio.
27-28 Febbraio Manifestanti
armati pro-russi occupano edifici-chiave
a Simferopoli, capoluogo della Crimea.
1 marzo Il Parlamento russo
approva la richiesta del presidente
Vladimir Putin di poter utilizzare forze
armate in Ucraina.
6 marzo Il parlamento autonomo
di Crimea fissa al 16 marzo un
referendum per votare l’annessione
alla Federazione Russa.
16 marzo La Repubblica
autonoma di Crimea vota l’annessione
alla Federazione Russa.
20 marzo I leader europei
condannano l'annessione della
Crimea. USA e UE estendono l’elenco
delle persone soggette a sanzioni.
21 marzo A Mosca, Vladimir
Putin firma per annettere formalmente
la penisola.
22 marzo La Crimea festeggia
l’annessione alla Russia.
23-24 marzo Il presidente
USA Obama chiede una riunione
d’emergenza del G7, che escluda
la Russia. I leader del Sette nazioni
concordano di non partecipare
al G8 previsto a Sochi, in Russia,
e di sospendere qualsiasi
nuova partecipazione al G8 “finché
la Russia non cambierà rotta”.
25 marzo Il governo dell’Ucraina
ordina alle proprie truppe di ritirarsi
dalla Crimea.
29 marzo Il presidente
russo Vladimir Putin telefona
al suo omologo Barack Obama
per concordare una soluzione
della crisi.
per molto tempo ancora non si potrà
parlare effettivamente di politica estera europea. Per lo meno fino a quando non si prenderà in seria considerazione una riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che accolga - con pari dignità di USA, Russia e
Cina - anche il seggio dell’Unione Europea, con contemporaneo arretramento di Francia e Regno Unito. Non
è fantapolitica, e prima o poi succederà. Ma, sic stantibus rebus, una comune politica estera europea rimane illusione velletaria e utilizzabile solo in
occasioni elettorali.
E l’Italia? Naturalmente, a pochi
giorni dall’insediamento del nuovo
Presidente del Consiglio e dei principali responsabili dei dicasteri coinvolti,
il nostro Paese non era in grado di
svolgere appieno quel ruolo di mediazione e interfaccia che, viste le ottime
relazioni con Mosca, avrebbe potuto
con profitto svolgere. Ciò nonostante,
ha fatto almeno emergere una propria
visione e ha fatto notare che il precipitare dell’inasprimento delle sanzioni e
della bellicosità (teorica) doveva contemperarsi con l’effettiva capacità di
agire sulla base delle nostre necessità e
delle limitazioni dettate dal concreto
livello di indipendenza energetica.
Per una economia di trasformazione come la nostra, il tema è cruciale e
non si può che darne atto al nuovo ministro degli Esteri Mogherini. Se USA
e UE, invece di alimentare una specie
di gara a invocare ognuno la minaccia
maggiore - competizione incomprensibile nei risultati attesi e poco credibile
nella effettiva attuazione - avessero da
subito (qualche malizioso direbbe, da
prima) accompagnato quelle dichiarazioni indignate con proposte concrete
alla Russia per risolvere i problemi
economici dell’Ucraina - perché, come sempre, di questo si tratta - USA e
UE avrebbero raggiunto uno scopo e
affermato un metodo che sarebbero rimasti da esempio e guida per le prevedibili crisi future. Meno male che un
metodo l’ha proposto Putin, telefonando per primo a casa Obama.
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geopolitica
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LOOKOUT 4 - aprile 2014
geopolitica
Geopolitica di una
possibile invasione
Mentre Mosca ammassa truppe ai confini orientali,
per il Segretario Generale della NATO Rasmussen
“la difesa comincia con la deterrenza”
uSa | di Vincenzo Perugia
“
È
mia opinione che i russi
potrebbero
invadere
l’Ucraina in sole 12 ore,
dopo aver ricevuto l’ordine” dice il generale Philip Breedlove, comandante supremo
delle forze NATO in Europa. La dichiarazione non proprio rassicurante,
resa dal comandante alla fuoriclasse
della CNN Christiane Amanpour, è avvenuta dopo due soli giorni dalla telefonata che si voleva distensiva tra i presidenti Vladimir Putin, il primo ad alzare la cornetta dal Cremlino, e Barack Obama, che
ha ascoltato per più di un’ora le ragioni
dell’uomo del KGB
(dall’Arabia Saudita,
Fantapolitica?
dove si trovava per una
Se, come
visita di Stato). Dopodisostengono
ché la NATO ha an- i generali NATO,
nunciato di aver interle truppe russe
al confine
rotto “ogni cooperazioorientale
ne pratica, civile e milidovessero
tare con la Russia”.
invadere,
Questo il clima nei
potrebbero
rapporti Est-Ovest raggiungere
forse tocca rispolvefacilmente
rare
giornalistica- Kharviv, Luhansk
mente proprio quee Donetsk, fino
ad assestarsi
ste terminologie che
ritenevamo desuete - lungo il confine
naturale del
durante il periodo di
fiume Dnepr.
Quaresima. E, se il
Conquistando
diavolo è nei dettagli, Odessa, inoltre,
l’annuncio della sochiuderebbero
spensione della collalo sbocco al
mare a Kiev
borazione anche tra
NASA e la controparte spaziale russa,
racconta di quanto le relazioni tra Stati
Uniti e Federazione Russa siano tese e
alimenta le speculazioni sugli sviluppi
possibili della crisi ucraina.
Le deduzioni dell’intelligence USA
circa le reali intenzioni di Mosca che
hanno portato i vertici militari a simili
dichiarazioni si basano sulle rilevazioni
dei satelliti e sullo studio dei precedenti casi in cui Mosca si è dimostrata alquanto irrequieta (Cecenia e Georgia).
Tali dati, secondo il Pentagono, dimostrano come i movimenti e i numeri delle truppe russe al confine siano “significativamente superiori” a quanti necessari per svolgere quelle esercitazioni di cui
continua a parlare il Cremlino.
Una gran parte delle forze russe - i cui
numeri oscillano tra le 40mila secondo
Washington e le 88mila secondo Kiev sarebbe concentrata intorno alle città
russe di Rostov, Kursk e Belgorod: da lì
il Pentagono ipotizza che l’esercito di
Mosca potrebbe sconfinare con l’obiettivo di raggiungere Kharkiv, Luhansk e
Donetsk (che già si dichiara russa), tutte
città a buona percentuale di russofoni
ma, soprattutto, geograficamente determinanti per annettere l’intera parte sudorientale dell’Ucraina e creare un cuscinetto alla Crimea (vedi cartina).
Dall’altra parte, la Polonia ha chiesto
l’invio di almeno 10mila truppe NATO
per difendere il proprio territorio e in
questi giorni sono andate in scena contemporaneamente esercitazioni navali
NATO nel Mar Nero, pattugliamenti di
aerei Awacs sopra i cieli degli Stati Baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), della Polonia e della Romania.
Se non c’è alcuna evidenza che le
truppe russe stiano attuando manovre
di pre-invasione, l’aumento delle attività NATO è allora preventivo nelle intenzioni dell’Alleanza Atlantica. Dato
che, come sottolinea il Segretario Generale della NATO Rasmussen: “la difesa comincia con la deterrenza”.
Avamposti russi
Possibili obiettivi
Movimenti truppe
Rischio invasione
200 miglia
200 km
BIELORUSSIA
Kursk
POLONIA
Belgorod
Kiev
UCRAINA
Kharkiv
Luhansk
Donetsk
MOLDAVIA
Rostov
Odessa
ROMANIA
RUSSIA
Sebastopoli
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geopolitica
L
Uno
a European Phased Adaptive Approach (EPAA) venne annunciata da
Barack Obama nel settembre del
2009, e segnò l’inizio di una risposta strategica alla minaccia missilistica proveniente da Iran, Pakistan e Corea del
Nord verso la popolazione e il territorio europeo (e, indirettamente, americano) dell’Alleanza Atlantica.
Con gli USA che offrivano il sistema di difesa e gli europei che avrebbero dovuto contribuire al finanziamento e alla logistica dei
sistemi d’arma. Finora, solo Germania e
Olanda hanno risposto positivamente alla richiesta di Washington sull’EPAA.
L’ultimo step dell’operazione è stato sospeso
da Obama. Ma le “fasi” attuali sono comunque
quattro: la prima fase organizza una rete di radar (AN/TPY-2) collegata a un sistema di missili intercettori (SM-3 Block IA) su navi di classe
Aegis. Questa fase è stata completata nel marzo
2011: la nave USA Monterey che opera tra il Mar
Rosso e le basi spagnole, è il primo asset strategico di questa difesa antimissile, mentre il comando è a Ramstein, in Germania.
Nella “fase due”, che cesserà nel
2015, avremo una seconda serie di
intercettori SM-3 (IB) che saranno posti anche sul terreno, al
Mosca vuole
fine di proteggere l’area NAl’accesso alle
TO anche dai missili a medio
tecnologie e corto raggio (150-2400 km.),
con una base in Romania, videgli Stati Uniti e
cino a Costanza.
dei suoi alleati
Successivamente, nella “fase
tre” avremo un modello di intercettori SM-3 (Block IIA) che saranno posti non solo in Romania ma anche in Polonia, e collegati al sito radar in Turchia che fa da intercettazione avanzata, e che
sarà in rete con il radar USA-NATO attivo in
Qatar e quello già posizionato in Israele (ci sarà anche un radar nella Repubblica Ceca). Tutto questo non basta, comunque. Anche se
combiniamo queste reti con i 26 intercettori di
Fort Greeley in Alaska e quelli della base Vandenberg in California (ben 4), non si riesce a
mettere insieme abbastanza intercettori per
contrastare completamente la minaccia russa.
Le traiettorie del Mar Nero e del Mar di Norvegia sono tali da mettere in pericolo il territorio della Russia e, naturalmente, il comandante
russo Makarov nel maggio 2012 ha minacciato
SCUDO
attira l’altro
Se qualcuno lo avesse
dimenticato, lo scudo antimissile
della NATO in Europa è
considerato sempre più un
sistema di difesa irrinunciabile
(per gli USA). Quale risposta
sta progettando Mosca?
europa | di Marco Giaconi
36
LOOKOUT 4 - aprile 2014
geopolitica
LO SCUDO NATO
Segnale inviato
negli USA
Che succede
in caso di minaccia?
Missile
intercettore
Satellite per le
comunicazioni
1 Un missile balistico nemico
viene lanciato
2 I radar e i satelliti di difesa
di allarme istantaneo rilevano
e tracciano la minaccia
non appena il missile viene
attivato. I dati vengono inviati
negli USA
2
5
GERMANIA
Comando
Centrale
di Ramstein
3 Il radar di terra ad alta
risoluzione in banda X rileva
il missile e i falsi bersagli
4
3
POLONIA
4 Uno o più intercettori vengono
lanciati dalle basi terrestri
4
5 L’intercettore isola la testata
nemica dai falsi
bersagli e/o dai
frammenti
Radar
terrestre
a banda X
ROMANIA
SPAGNA
Quattro navi di difesa
equipaggiate con missili
balistici di difesa
6 L’intercettore
localizza
la testata e
la distrugge
Satelliti di
sorveglianza
a infrarossi
6
2
TURCHIA
1
Radar
di allarme
istantaneo
Fonte: Missile Defense Agency, FAS, U.S. Senate
IL SISTEMA RUSSO
Il sistema di Kaliningrad
Voronezh-DM
Per il controllo del settore Ovest
VORONEZH RADAR SYSTEM
Altri sistemi russi o associati alla Russia
Distanze e date di sviluppo
Dnieper: Murmansk, Irkutsk
e Balkhash (Kazakhstan)
Voronezh-М, Lehtusi
Settore Nord-Ovest
Voronezh-DM*, Armavir
Settore Sud-Ovest
Dnieper
2,500 km (anni '60)
DTV: Pechora e Gabala (Azerbaijan)
DTV
6,000 km (anni '70)
Volga: nei pressi di Baranovichi (Bielorussia)
Volga
5,000 km (anni '70)
Voronezh
6,000 km (anni '90)
Voronezh-VP*, near Irkutsk
Per il controllo dell’Asia
Dnieper: Mukachevo e Sebastopoli
(Ucraina), sovrapposti al radar Voronezh
*In fase di assemblaggio
o di sviluppo
SISTEMA MISSILISTICO ISKANDER-M
Lanciamissili ad auto propulsione
(Sistema NATO SS-26 classe Stone)
RUSSIA
Oceano
Atlantico
Veicolo lanciamissili
Voronezh-DM
Kaliningrad
Personale
stimato
per il lancio
3 persone
Stati membri NATO
NORVEGIA
SVEZIA
ESTONIA
LETTONIA
Regione di Kaliningrad
Redzikovo,
Polonia
Gli USA stanno
sviluppando intercettori
di terza generazione
(di terra e di mare)
RUSSIA
LITUANIA
500 км
BIELORUSSIA
POLONIA
GERMANIA REPUBBLICA
CECA
UCRAINA
200 km
500 km. Gittata
massima per i missili
Iskander da Kaliningrad
I missili sono
solitamente
equipaggiati
con testate
convenzionali
ma possono
montare
anche testate
nucleari
2 missili Iskander
9M723K1 per veicolo
Testata
480 кg
Gittata
280-500 km
Peso
3,8 ton.
7.3 m
direttamente l’uso della forza contro gli
obiettivi NATO più vicini al confine. Infatti, Mosca ha già disposto i suoi missili
Iskander nella sua enclave di Kaliningrad, la vecchia patria del filosofo Kant,
e poi in Transnistria e Belarus, con una
ipotesi di ritorno della Moldavia dentro
i confini post-sovietici.
Evidentemente, dunque, la protezione missilistica sia pure non dichiaratamente indirizzata contro Iran, Pakistan e Corea del Nord, intende bloccare la minaccia non solo di Mosca ma
anche dei suoi alleati essenziali, come
appunto l’Iran, e dei suoi alleati necessari, come la Cina.
Questo rende obbligate e non-egemoniche le scelte russe in Medio
Oriente e in Asia Centrale. E, certamente, in questa chiave il Cremlino
non avrà più l’interesse a limitare il
programma nucleare iraniano.
Il problema è che Mosca vuole troppo: ha sempre proposto una collaborazione sulla difesa antimissile con la
NATO che riguardi anche la forma
del sistema difensivo, e perfino l’ex
presidente russo Dmitri Medvedev
propose nel 2010 che alcune parti dell’area NATO entrassero nel settore di
protezione antimissile russa. Perché?
Mosca vuole, con ogni evidenza, avere
accesso alle tecnologie americane e alleate. Mentre Washington non vuole
dare garanzie legali al Cremlino circa
il fatto che il nuovo sistema antimissile
non sarà mai diretto contro la Russia.
Quindi, detto in termini strategici classici, il nuovo sistema antimissile: rafforzerà il ruolo di Polonia e Romania nella
NATO; farà avanzare il limes, il confine
dell’Alleanza oltre la vecchia rete della
“Guerra Fredda”; chiuderà la Russia in
un’area che Mosca non ritiene consona
al suo ruolo di nuova potenza globale;
tenterà di rompere il linkage tra Russia e
Iran e tra Asia Centrale e Medio Oriente, isolando relativamente la Cina.
Mosca, naturalmente, da parte sua rafforzerà le proprie difese regionali sul confine e cercherà compensazioni strategiche altrove. Come sta avvenendo in Crimea e, prossimamente, anche in Siria.
La tecnologia è
progettata per
ridurre la visibilità
dei radar (stealth)
Fonti: arms-expo.ru,
www.rtisystems.ru,
globalsecurity.org
LOOKOUT 4 - aprile 2014
37
geopolitica
Euro
entusiasmo
La Polonia, membro della
NATO, confina sia con
l’Ucraina che con la Russia
attraverso Kaliningrad.
Dei timori e delle certezze
abbiamo parlato con
l’Ambasciatore in Italia,
Wojciech
ponikiewski
polonia | di Luciano Tirinnanzi
Come giudica l’attuale divisione
dell’Ucraina? Cosa si sarebbe
dovuto fare in relazione alla crisi
che ha destituito Yanukovich
e cosa si dovrebbe fare adesso?
Domanda difficile. E, del resto, sul
passato ormai si può solo speculare,
mentre la situazione che ci ritroviamo
davanti va assolutamente risolta. Noi
siamo molto preoccupati e il motivo
principale è che si è un po’ tornati a
leggere le relazioni internazionali secondo schemi che ormai speravamo
appartenessero al passato. Non si vedevano simili situazioni da decenni,
almeno non di questo rango. Mosca
ha reagito in modo unilaterale, con argomenti che non possono convincere
nessuno. Fra l’altro, la comunità internazionale ha condannato questa decisione con la risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU. Le decisioni
del parlamento russo o la concentrazione delle truppe russe ai confini
orientali con l’Ucraina non danno
molto ottimismo circa la de-escalation. Il Cremlino sembra determinato
a concludere questo progetto geostrategico, anche se ancora non sappiamo
quale sia e se tutto finisce qui.
38
LOOKOUT 4 - aprile 2014
Chi è
Wojciech Ponikiewski
Ambasciatore della Repubblica di
Polonia presso la Repubblica Italiana,
di Malta e San Marino, è nato nel 1963
a Rabat, in Marocco. Dopo aver studiato
in Polonia, Francia e Belgio, è stato
direttore del Dipartimento degli Affari
Economici e poi del Dipartimento
Americano presso il ministero degli
esteri polacco. Già capo negoziatore
polacco per il protocollo di Kyoto.
Varsavia
Lo skyline cittadino
dominato dal celebre
Palazzo della Cultura
e della Scienza
geopolitica
Ma l’attuale governo è legale, a suo giudizio?
Il governo in Ucraina è legale per noi, perché gode
dell’appoggio del parlamento da cui è stato eletto, tra
l’altro anche grazie al consenso del partito di Yanukovich. Dovremo avere una verifica democratica nel prossimo futuro, ovviamente. Ma non c’è nessun dubbio che lo
sia e noi nutriamo molta stima per il premier Yatsenjuk.
Del resto, Yanukovich si è dato alla fuga, fatto piuttosto
inedito. Non credo fosse davvero minacciato. Immaginare il suo ritorno oggi è improbabile e sono convinto che
neanche Putin lo ipotizzi. In passato abbiamo lavorato
molto con Yanukovich, il quale manteneva ottimi rapporti con il nostro presidente per esempio. Improvvisamente, però, si è rivelato molto confuso e non più in grado di
decidere. Ha iniziato a fare un passo avanti e due indietro. Si vedeva che soffriva nel dover prendere ogni decisione. È triste vedere un politico finire così.
Come giudica una “guerra di sanzioni
economiche” tra Russia e Unione Europea?
È difficile immaginare una guerra di sanzioni economiche per via dell’interdipendenza tra Europa e Russia,
mentre è più probabile che vengano rivisti i programmi
di cooperazione e le esportazioni di hi-tech, soprattutto
in campo militare. La cancellazione dei contratti sulla
vendita delle portaerei Mistral sarebbe un colpo duro. È
un importante messaggio. Europa e Stati Uniti potranno considerare l’introduzione della terza fase delle sanzioni se non ci sarà un vero progresso verso la de-escalation. Le sanzioni porteranno anche dei costi per i nostri
Paesi. Dal punto di vista polacco, i rapporti con la Russia sono cruciali. Nel nostro bilancio del consumo di
gas, le importazioni dalla Russia incidono per quasi due
terzi del totale. Tradizionalmente, inoltre, siamo enormemente legati a Mosca per il settore agricolo e i nostri
agricoltori patirebbero qualsiasi chiusura del mercato a
est. Ciò detto, ora deve prevalere la politica. Noi vediamo i futuri rapporti in questa prospettiva, che deve imporsi sull’economia. Non si può limitare il rapporto con
gli altri Paesi al solo livello economico.
E il rapporto con l’enclave di Kaliningrad?
Fino a qualche giorno fa - e forse ancora adesso - il
rapporto era ottimo e noi eravamo molto contenti di
ciò. Siamo fautori della politica amichevole del “piccolo
movimento di persone”: ovvero una libertà di muoversi
attraverso la frontiera senza visti, per facilitare gli scambi
e il turismo. Del resto, c’è un grandissimo interesse nel
mantenere forti relazioni con la Russia ed è anche un
vantaggio economico per entrambi, visto che i russi di
Kaliningrad vengono in Polonia anche per fare la spesa.
PER SAPERNE DI PIÙ
Elezioni in Ucraina:
i canditati
alla presidenza
A meno di due mesi dalle elezioni
politiche che decideranno il futuro
politico-istituzionale dell’Ucraina, tre
candidature spiccano già sulle altre.
Si vota il 25 maggio 2014.
Petro Poroshenko
48 anni, magnate del cioccolato,
è il favorito. È stato al governo sia con
la Tymoshenko che con Yanukovich.
È il canditato del partito UDAR
Yulia Tymoshenko
L’ex primo ministro è la candidata
forte del partito Patria
Serghei Tighipko
54 anni, ex vicepremier di
Yanukovich, non più sostenuto
dal Partito delle Regioni filorusso,
si candida come indipendente
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/POLONIA
LOOKOUT 4 - aprile 2014
39
geopolitica
Sarebbe un peccato se cambiasse
qualcosa. Non ne vedo la necessità. Purtroppo, però, le cose cambiano e non dobbiamo mai sottovalutare le emozioni.
Che intende?
Quello che vediamo in Russia e
che preoccupa forse di più al momento, è la rinascita della fierezza
per il potere. L’approccio “aggressivo” del Paese è un concetto
che credevamo superato, invece si
è risvegliato improvvisamente.
Oggi i cittadini russi sembrano
molto più nazionalisti di quanto
non lo siano gli occidentali e appaiono felici di vivere in un Paese
forte che interpreta un ruolo di
prim’attore negli affari globali.
Questa ragione non è da sottovalutare nell’ottica del consenso di
Putin, il cui consolidamento del
potere è fondamentale.
USA e NATO parlano di
truppe nei Baltici e di scudo
missilistico. Quale la posizione
del governo polacco?
Allo scudo missilistico non si è
mai rinunciato, è un progetto che
è sempre stato valido e che si farà.
Si può forse pensare a un’accelerazione della sua operatività - se
non sbaglio, la prima fase operativa è prevista per il 2018 - ma non
dimentichiamo che non ha niente a che fare con Mosca, nonostante l’isteria propagandistica.
Lo scudo non è stato concepito
contro la Russia, che non è considerata un nemico della NATO,
ma piuttosto contro l’Iran. Ovviamente è logico che la Polonia, vicina a Russia e Ucraina tanto
quanto i Paesi Baltici, chieda alla
NATO rassicurazioni della sua
presenza e garanzie circa la capacità di proteggere i propri membri da qualsiasi attacco esterno.
Quando e perché la Polonia
farà il suo ingresso nell’Euro?
40
LOOKOUT 4 - aprile 2014
Varsavia,
18 marzo 2014
Il vice presidente
USA Joe Biden
parla con
il presidente
polacco Bronislaw
Komorowski
al palazzo
presidenziale
Partiamo da una premessa. Noi
crediamo nell’UE e pensiamo che
dobbiamo essere dentro a tutti i
settori chiave, per non venire
esclusi dai processi decisionali. Su
questo non c’è dubbio e la linea è
molto netta. Il governo, in particolare, è assolutamente d’accordo
che non abbiamo altra scelta: il
nostro futuro è legato alla moneta
unica. Per due motivi, uno politico e uno economico. Il primo: in
futuro la pressione sarà ancora più
forte per creare un nucleo duro
attorno all’euro. E noi, ripeto, a
differenza di Paesi come il Regno
Unito, non possiamo permetterci
di restare ai margini.
Quanto al fattore economico, secondo tutte le analisi il nostro ingresso nella zona euro sarebbe
vantaggioso per le imprese, dal
momento che i cambi, il costo del
denaro e del credito sono sempre
più alti in Polonia. Questo è il quadro generale.
Non rilevate nessun problema?
Certamente sì, anzitutto le tempistiche. Oggi si parla molto male
della zona euro e della sua crisi.
Questo spaventa l’opinione pubblica che, se da un lato è entusiasta dell’Europa (il consenso è quasi all’80%), dall’altro lato teme la
moneta unica, il cui consenso è
molto più basso. Dobbiamo dunque prepararci per tempo a incontrare i criteri di Maastricht allargati, ma siamo sulla buona strada. E,
una volta superata la crisi, anche
l’opinione pubblica si convincerà.
Pensate a un referendum?
Secondo la Costituzione, la moneta polacca è lo Zloty. Dunque, si
dovrà cambiare la parola nella
Carta, ma per adesso non c’è una
sufficiente maggioranza nel parlamento per una riforma costituzionale. Il referendum servirebbe ad
avere la chiarezza su che cosa vuole il popolo polacco.
geopolitica
KALININGRAD,
avamposto russo
nel cuore d’Europa
ruSSia | di Rocco Bellantone
I
ncastonata tra la Polonia e la Lituania, dalle coste del Mar Baltico l’exclave di Kaliningrad torna a ritagliarsi sprazzi di notorietà, ora che lo scontro tra il
blocco occidentale e la Russia si infiamma e ora che Mosca ha bisogno più che
mai di un avamposto per marcare la propria presenza in Europa. Costruita sulle
macerie dell’antica Königsberg, dal
1457 capoluogo della Prussia orientale,
nel 1724 la città dà i natali al filosofo Immanuel Kant. Ma è nel 1945 che la sua
storia cambia per sempre quando, al termine della seconda guerra, mondiale viene scippata alla Germania dall’Unione
Sovietica, che ordina l’immediata espulsione della popolazione tedesca residente e il cambio di nome in Kaliningrad.
L’Oblast (regione) di Kaliningrad
diventa così una delle aree più militarizzate dell’URSS. Ma quando crolla il
Muro di Berlino, ancora una volta la
città deve inventarsi una nuova identità. Più di 200mila soldati si ritrovano
per strada, e povertà e criminalità iniziano a dilagare. Da baluardo sovietico
Kaliningrad si trasforma in un’area
franca, un meticciato di etnie e nazionalità (circa 430mila abitanti, russi
principalmente, ma anche bielorussi,
ucraini, lituani, armeni, tedeschi e polacchi) che rischia di implodere. Per
salvarla dal collasso, nel 1996 la Federazione Russa le concede lo status di
Zona Economica Speciale. Vengono
introdotti una serie di vantaggi fiscali
che permettono alla regione di attrarre acquirenti e investitori esteri e intensificare gli scambi commerciali soprattutto con gli ex Paesi satellite
dell’URSS entrati nell’Unione Europea, facilitati anche da uno speciale regime di transito transfrontaliero (Local Border Traffic), introdotto nel luglio del 2012 dopo che Mosca e Bruxelles hanno concordato una revisione
del Trattato di Schengen.
Il sogno di Boris Eltsin di fare di Kaliningrad una “Hong Kong russa” non si
è mai realizzato. Nonostante ciò Putin
sa bene quale sia il suo vero valore. Nel
porto di Baltiysk, l’unico libero dai
ghiacci, è infatti attraccata la Flotta russa
del Baltico. Da qui il presidente russo
nel 2008 ha minacciato di dispiegare
missili a corto raggio in risposta al piano
degli Stati Uniti di costruire basi di
difesa missilistica in Polonia e Repubblica Ceca. E qui è in programma la costruzione di una
nuova centrale nucleare, un progetto a cui intende partecipare anche l’Italia. Tutti
elementi che dimostrano
quanto sia strategica questa città: qualcosa di ben
più rilevante oltre le sigarette, la vodka e la
benzina a basso costo e
le centinaia di traffici
sommersi che ogni giorno passano per questa
terra di mezzo tra l’Europa e l’Asia.
Anders Fogh
Rasmussen
Il Segretario
Generale NATO
lascerà a ottobre
Cambio al vertice
della NATO
N
on si è trattato di un “pesce
d’aprile”. Il primo del mese il
Consiglio del Nord Atlantico
ha davvero deciso di nominare
Jens Stoltenberg
(nella foto a figura intera)
nuovo Segretario generale della
NATO e Presidente del Consiglio
Nord Atlantico. Stoltenberg assumerà
le funzioni di Segretario Generale
dal 1 ottobre 2014, succedendo ad
Anders Fogh Rasmussen, che ha
guidato l’Alleanza per 5 anni e 2 mesi.
Jens Stoltenberg è nato a Oslo il 16
marzo 1959 ma ha trascorso l’infanzia
all’estero, per via del padre diplomatico.
Dopo la laurea in Economia conseguita
nel 1987 presso l’Università di Oslo,
ha iniziato i lavori nell’istituto Statistics
Norway. Nel 1990 fu chiamato dal
primo ministro Gro Harlem
Brundtland come Segretario di Stato
per l’ambiente, per poi divenire nel
1993 membro del Parlamento, quindi
ministro del Commercio e dell’Energia
e ministro delle Finanze nel biennio
1996-1997. Stoltenberg è stato
nominato primo ministro per la prima
volta nel 2000, all'età di 40 anni.
Capo dell’opposizione dal 2001
al 2005 è stato nuovamente
primo ministro nel governo di
coalizione, fino a ottobre 2013.
Attualmente è leader del partito
laburista norvegese e inviato
speciale delle Nazioni Unite
per i cambiamenti climatici.
Durante il suo premierato,
le spese per la difesa della
Norvegia sono aumentate
costantemente, con il risultato
che il Paese è oggi uno degli
alleati NATO con la più alta
spesa pro capite per la difesa.
Stoltenberg ha anche contribuito
a trasformare le forze armate
norvegesi e, sotto la sua guida,
il governo ha impegnato le forze
militari in varie operazioni della
NATO.
LOOKOUT 4 - aprile 2014
41
geopolitica
La telefonata
Nuland-Pyatt
I punti salienti della conversazione
telefonica tra il vice-Segretario di Stato,
Victoria Nuland, e l’ambasciatore degli
Stati Uniti in Ucraina, Geoffrey Pyatt,
ormai nota come “Fuck the ue
conversation”
P
er i dietrologi, la telefonata tra il vicesegretario Victoria Nuland e l’ambasciatore
USA in Ucraina Geoffrey Pyatt che si scambiano riflessioni su come gestire i leader
dell’opposizione locale, è la “pistola fumante” delle ingerenze USA nella rivolta di Kiev, che
ha portato al rovesciamento del potere in Ucraina. Vere
o meno che siano queste ricostruzioni, restano le loro
parole (registrate chissà da chi e chissà come) caricate
su Youtube il 6 febbraio 2014.
La telefonata è del 5 febbraio, poco prima che la rivolta di Kiev s’inasprisca. Da lì in poi scoppieranno violenti
scontri a piazza Maidan e, dal 18
febbraio, compariranno anche piSvoboda
stole, fucili e mitragliette (alla fine
Il Partito
Nazionalista di
si conteranno quasi 100 morti). Il
estrema destra
21 febbraio arriva un accordo tra
fondato nel 1991
Yanukovich e i partiti d’opposiziosostiene la NATO
ne, sotto l’egida dei ministri degli
Esteri di Francia, Polonia e Germania. Ma il giorno successivo i miliziani occupano parlamento e governo e Yanukovich è costretto alla fuga.
La città cade in mano alle milizie e il potere passa all’opposizione, che forma un governo apparentemente
coerente con le volontà espresse da Pyatt e Nuland
nella telefonata incriminata. Arseniy Yatseniuk, ex ministro al tempo del premierato della Tymoschenko, diviene primo ministro e numerosi neonazisti entrano
nel governo. Tra questi: il vice primo ministro, Aleksandr Sych, membro del Partito per la Libertà, Svoboda, e il ministro della Difesa, Igor Tenjukh, laureato
negli Stati Uniti e organizzatore dell’assedio di Sebastopoli durante la guerra in Georgia del 2008, poi nominato viceammiraglio.
Mentre Vitalij Klitscko, ex pugile e grande animatore
della rivolta - inizialmente proposto anche come nuovo
premier - e Oleh Tyahnybok, politico e leader del partito
neonazista Svoboda, sono rimasti dietro le quinte.
42
LOOKOUT 4 - aprile 2014
L’ambasciatore chiede alla
Nuland un commento su
Klitscko al governo: “Che
ne pensi?” chiede Pyatt.
“Non sarebbe una buona
idea” risponde. Secondo lei,
l’ex pugile deve restare fuori
a fare pressione e “roba
del genere”. La Nuland dice
che farà una telefonata per
mettere Klitscko “nel posto
dove lui si adatti meglio allo
scenario”. Pyatt sembra
contento: “È esattamente
quello che hai fatto con
Yats”, cioè il neo premier
Arseniy Yatseniuk. “Il
problema saranno Tyahnybok
e i suoi ragazzi”, dice Pyatt
riferendosi al leader degli
estremisti di Svoboda.
I “suoi ragazzi”, infatti,
sembra stiano facendo
da raccordo tra i gruppi
neonazi riuniti sotto la
sigla Praviy Sektor, e
spingano per trasformare
la protesta pro-EU in una
vera guerra contro
Yanukovich. La Nuland
pensa che sia Yatseniuk
l’uomo giusto per il governo
e che “quello di cui lui ha
bisogno sono Klitsch e
Tyahnybok all’esterno...”.
Sull’inviato speciale ONU,
Robert Serry, la Nuland
osserva: “Sarebbe bello
se contribuisse a incollare
questa cosa e ad avere
il supporto delle Nazioni
Unite. E poi... fanculo
l’Unione Europea”.
La telefonata
TymoshenkoShufrych
In vista delle elezioni
di maggio della “Nuova
Ucraina”, Yulia Tymoshenko
ha annunciato la propria
candidatura a presidente.
Questo è avvenuto due
giorni dopo la scioccante
telefonata intercettata (e
poi pubblicata su YouTube)
tra la leader della
Rivoluzione Arancione
ed ex premier dell’Ucraina,
e Nestor Shufrych,
membro del parlamento ed
ex segretario del National
Security and Defense
Council ucraino, organo
consultivo della Difesa
al servizio del presidente.
Nella conversazione
rubata, la Tymoshenko si
rivolge a Shufrych dicendo
- tra le altre cose - di voler
“sollevare il mondo
per ridurre in cenere la
Russia” e che “è arrivato
il momento di prendere le
pistole e andare a uccidere
quei maledetti russi
insieme al loro leader”.
L’ingerenza straniera
ucraina | di Tersite
L’
Ucraina è storicamente divisa in due.
Diceva Henry Kissinger, segretario di
Stato Usa negli anni Settanta, che quel
Paese doveva rimanere un Paese-ponte. Ma un Paese-ponte è anche punto
di frizione. E regola della politica di potenza è conoscere i punti di frizione avversari, per poterli sfruttare a proprio vantaggio.
Se l’aut-aut della UE ha portato alla crisi dei nostri
giorni, la “questione Crimea” non è causa ma effetto.
È un problema semmai maggiore - per la rottura dell’intelaiatura democratica - il governo di piazza instauratosi a Kiev con decisivi ministri filonazisti, dopo la
fuga del presidente. La spaccatura tra le regioni che,
per etnia e storia, possono preferire un maggior interscambio con l’Europa Occidentale o con quella
Orientale, è oggi il punto nodale su cui si gioca il futuro ucraino. Ma qualsiasi piano per concludere la
coabitazione - oggi divenuta esplosiva - presuppone
una spartizione.
Ma a chi può interessare una partizione risolutoria dell’Ucraina? La cooperazione russo-europea in tal senso sarebbe
un pericolo per gli USA, il cui interesse
primario nel Vecchio Continente è proprio rompere la collaborazione russo-tedesca, preludio a una temibilissima partnership continentale europea, che vedrebbe enormi risorse energetiche russe e una
forte moneta alternativa al dollaro unite e
concorrenti agli Stati Uniti.
Si può così comprendere l’aperta sfida in
atto in Ucraina, giunta fino all’instaurazione di un governo sorretto dai neonazisti
della Grande Ucraina, che rifiuta ogni idea di
divisione. E dietro cui avanza l’Enlargement (allargamento) della NATO, triplicato da quando il presidente americano George Bush senior garantì a Mikhail Gorbaciov il contrario.
Ma fin dove si può spingere la NATO? Può davvero portare il “Grande
Gioco” geopolitico nel cortile di casa
della Russia? E troncare poi le forniture
di gas, base della cooperazione russo-europea? Fino a dove potrebbero arrischiarsi gli USA per ricacciare indietro la minaccia alla loro supremazia
che soffia dal Cremlino? Per rinsaldare l’Alleanza Atlantica e distogliere
l’Europa da tentazioni autonomistiche, si può davvero rischiare di sconquassare un Paese e forse un continente intero?
In Paesi ex comunisti, già numerosi
volontari chiedono di arruolarsi “per
soccorrere i fratelli russi”, mentre a
sud arrivano i mercenari filo-americani della Blackwater (vedi box) e negli
Oblast orientali (regioni) si formano milizie
popolari, contrapposte a
quelle neonaziste di
Kiev. Insomma, il rischio
della Guerra Fredda avviata da Truman per rafforzare
la supremazia USA ha già
funzionato. Può funzionare
ancora. Ma se il gioco a far
compiere la prima mossa all’avversario può durare a lungo, può anche far precipitare
tutto all’improvviso.
il
punto
di
vista
Mercenari
in Ucraina?
Fonti d’intelligence e
funzionari russi
rivelano che agli inizi
di marzo, centinaia di
contractor sarebbero
sbarcati all’aeroporto
internazionale
Boryspil di Kiev, con
tanto di “bagaglio
pesante”. Una di
queste fonti individua
tali soggetti
nei dipendenti della
Greystone Limited.
Greystone è una
società di contractor
collegata ad ACADEMI,
società privata
di sicurezza e risk
management
- conosciuta fino
al 2011 con il nome
di Blackwater - che
recluta ex militari,
poliziotti e
professionisti,
specializzati in
operazioni sensibili.
ACADEMI oggi
gestisce migliaia di
uomini e ha già operato
in contesti quali
Afghanistan e Iraq.
Con sede a Moyock,
in North Carolina, è
ritenuta molto vicina
all’Amministrazione
USA.
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/UCRAINA
LOOKOUT 4 - aprile 2014
43
geopolitica
I DUE VOLTI DEL GOLFO
Il Medio Oriente
c’est moi
Nella lotta per la supremazia
sulla Penisola Araba, i sauditi
temono soltanto la concorrenza
spietata del Qatar
arabia Saudita |
di Marta Pranzetti
Q
Abdullah bin
Abdulaziz Al Saud
Secondo il Re saudita,
il Qatar non è un vero
e proprio Stato
ma poco più che
“una protuberanza
dell’Arabia Saudita”
44
LOOKOUT 4 - aprile 2014
uando, nel gennaio
2011, l’Arabia Saudita
accoglieva il presidente tunisino Ben Ali - il
primo sconfitto della
grande casta degli intoccabili arabi Riad non sapeva ancora a cosa stava
andando incontro. Di lì a poco, infatti, anche l’Egitto destituiva il suo “faraone” mentre contemporaneamente
insorgevano i vicini Yemen e Bahrain.
La velocità con cui Washington aveva
accomiatato l’ex presidente egiziano
Hosni Mubarak, mostrando ben poca
premura per il grande alleato in Medio Oriente, aveva spiazzato gli ambienti reali di Casa Saud.
Da allora, tutta la politica estera saudita è andata muovendosi nel tentativo
di mantenere inalterata la supremazia
regionale (oltre che la stabilità interna), conscia di essere in sostanza isolata
e di non poter contare più su nessun alleato. Infatti, è stata travolta dall’impeto
rivoluzionario, quando i cari vecchi
equilibri macro-regionali di cui si era
fatta garante dagli anni Novanta in poi,
sono stati definitivamente ribaltati con
le rivoluzioni arabe del 2011, il cui esito
resta tuttora un’incognita (quantomeno finché durerà la crisi in Siria).
geopolitica
Da allora, le sfide affrontate sono state e sono tuttora molteplici. Il Regno ha
dovuto infatti: tener testa alle ambizioni
egemoniche del Qatar; decidere mosse
e alleanze in terra siriana; affrontare il
revival islamista post-rivoluzionario, tenendo a bada i pericolosi jihadisti sauditi attivi all’estero; contrastare l’eterno
rivale iraniano (ora più forte sulla scena
internazionale dopo l’elezione a presidente del moderato Hassan Rouhani,
gradito all’Occidente); infine, mantenere salda la sua presa sulle redini del
Consiglio di Cooperazione del Golfo,
che invece sembra sfuggirli. Il tutto,
mentre Re Abdullah ha visto scemare la
storica alleanza con gli USA.
Pur avendo ripristinato l’alleanza
con l’Egitto - dopo la parentesi islamista di Morsi - il potente colosso saudita
non vanta altre importanti amicizie regionali, tanto che si è sentito costretto a
chiamare i rinforzi ammettendo le monarchie di Marocco e Giordania a membri osservatori del GCC. E proprio all’interno del Consiglio di Cooperazione del
Golfo si palesano significativi disaccordi
(la creazione della moneta unica osteggiata dagli Emirati Arabi, la creazione di
un’Unione del Golfo osteggiata dall’Oman, e il recente trattato comune
sulla sicurezza che ha provocato la rottura diplomatica con il Qatar), che potrebbero incidere ulteriormente sul farsi e disfarsi di nuove alleanze.
Comunque la pur incerta politica
estera statunitense in Medio Oriente,
che ha sensibilmente raffreddato la
vecchia amicizia con casa Saud
(l’apertura verso Teheran che la Casa
Bianca ha dimostrato nei recenti colloqui internazionali, ha alimentato i
contrasti tra Riad e Washington già tesi circa la politica di intervento da assumere in Siria) tornerà forse con
maggiore veemenza a premere sul suo
imprescindibile alleato regionale. Soprattutto adesso che la prospettiva del
nuovo confronto bipolare apertosi
con la crisi in Ucraina lascia supporre
il rinnovo di storici allineamenti. Così,
se l’asse russo-iraniano si confermerà
anche in questo scenario, è certo che
il Regno saudita avrà il suo ruolo centrale al fianco di Washington. O almeno questo è ciò che Obama ha tentato
di assicurarsi con la sua recente visita
a Riad.
Il ritorno
di Bandar
Smentito
il cambio al vertice
dell’intelligence
saudita: il Principe
Bandar bin Sultan
riassume l’incarico
dopo una pausa
in Marocco dovuta
a ragioni mediche
LA FAMIGLIA
REALE SAUDITA
RE ABDULAZIZ IBN SAUD
In carica
(1876-1953) Creatore del moderno
Regno dell’Arabia Saudita nel 1932
Linea di successione
RE SAUD
RE FAISAL
RE KHALED RE FAHD
(1902-1969)
Deposto dalla
famiglia nel 1964
(1904-1975)
Costruttore
del moderno
Stato arabo,
assassinato
nel 1975
(1912-1982)
Ha dato ai
conservatori
religiosi maggior
controllo
sull’istruzione
PRINCIPE
KHALED
(1940 - )
Ex governatore
della provincia della
Mecca, è ministro
dell’Istruzione
(1922-2005)
Ha gestito strette
relazioni con gli USA
e guidato il Paese
durante il crollo del
prezzo del petrolio
(anni ’80) e durante
la prima Guerra
del Golfo (1990-91)
RE
ABDULLAH
(1923 - )
Ha introdotto
più riforme di
qualsiasi
predecessore
e ha aperto il
Regno
all’economia
di mercato
PRINCIPE
EREDITARIO
SULTAN
PRINCIPE
EREDITARIO
NAYEF
PRINCIPE
EREDITARIO
SALMAN
(1926-2011)
Ha gestito un
massiccio
programma
di armamenti
come ministro
della Difesa
(1933-2012)
È stato ministro
dell’Interno dal
1975 fino alla
morte, avvenuta
a giugno 2012
(1936 - )
Ministro della
Difesa dal 2011,
dopo 50 anni
da governatore
di Riad
altri 31 figli
PRINCIPE
AHMED
PRINCIPE
MUQRIN
(1941 - )
Ministro dell’Interno
da giugno 2012,
è stato sollevato
dall’incarico dopo
pochi mesi per
sua richiesta
(1945 - )
Capo della
Direzione
Generale
dell’Intelligence,
è stato sollevato
dal suo incarico
a luglio 2012
PRINCIPE
SAUD
PRINCIPE
MOHAMMED
PRINCIPE
MITEB
PRINCIPE
KHALED
PRINCIPE
BANDAR
PRINCIPE
MOHAMMED
PRINCIPE
SULTAN
(1941 - )
Il più longevo
ministro degli
Esteri al mondo,
in carica dal 1975
(1951 - )
Ex governatore della
provincia Orientale,
dove sono situati la
maggior parte dei
giacimenti di petrolio
(1953 - )
A capo della
Guardia Nazionale
Saudita, unità
militare chiave
oggi divenuta
ministero
(1949- )
Comandante
delle forze saudite
durante la Prima
Guerra del Golfo
e uno degli ufficiali
di primo piano
(1949- )
Ambasciatore a
Washington per oltre
vent’anni, è a capo
dell’intelligence dal
luglio del 2012
(1959- )
Ministro degli Interni da
novembre 2012, ha
guadagnato consensi per
la gestione di Al Qaeda
nel Regno quand’era
ministro della Difesa
(1959- )
Ministro del
Turismo saudita,
è stato il primo
astronauta arabo
nel 1985
Fonti: Reuters, Saudi Press Agency
LOOKOUT 4 - aprile 2014
45
geopolitica
Bab al-Azizia, quartier generale
del Colonnello Gheddafi
I DUE VOLTI DEL GOLFO
Il mondo arabo
è nostro
La competizione di Doha con l’Arabia Saudita è al
limite della spregiudicatezza. Ma l’astro nascente della
penisola non intende rinunciare al dominio regionale
qatar | di Marta Pranzetti
N
egli anni Novanta la micro monarchia del Qatar faceva il suo ingresso
sulla scena internazionale con la fondazione
del canale televisivo satellitare Al Jazeera, che rappresenta oggi lo strumento
più prezioso del soft power di cui dispone la dinastia al-Thani. Ma il salto di
qualità che ha conferito al Qatar quel
tanto ambito ruolo di attore regionale
chiave è giunto solo con le rivoluzioni
arabe. Cioè quando, scalzando l’egemonia saudita, si è elevato ad alleato
delle forze rivoluzionarie, appoggiando i movimenti islamisti che dal 2011
si sono imposti sulla scena politica nazionale dei vari Paesi.
Economia del Qatar
È stata proprio la tracotanza qatarina
a scatenare la reazione di Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrain, che a inizio
marzo hanno interrotto i rapporti diplomatici con il piccolo Stato, criticandone l’atteggiamento non conforme ai
principi stabiliti in sede di Consiglio di
Cooperazione del Golfo (GCC). Non a
caso, all’episodio è seguita anche la messa al bando ufficiale dal Regno saudita
della Fratellanza Musulmana, segnale di
un palese riavvicinamento con l’Egitto
del generale Al Sisi, dove il Movimento
è stato dichiarato “organizzazione terroristica” a dicembre 2013.
La frattura interna agli Stati del Golfo è sintomatica di un ben più ampio
mutamento delle alleanze nello scacchiere mediorientale. In particolare,
con l’Arabia Saudita lo Stato del Qatar
aveva già diversi conti in sospeso: il
CRESCITA DEL PIL
Per PIL pro capite, in dollari
25 miglia
10
0
Svezia
ARABIA SAUDITA
-10
UAE
46
Qatar
Svizzera
Australia
Emirati Arabi
QATAR
25 km
LOOKOUT 4 - aprile 2014
Fonte: International
Monetary Fund
(IMF) World Economic
Outlook Database
-20
1980
112.135
105.478
98.737
Lussemburgo
Norvegia
20
Doha
La risoluzione 1973
del Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite, fu
una misura relativa al
conflitto in Libia, adottata
il 17 marzo 2011
su proposta di Stati Uniti,
Francia, Regno Unito
e Libano. La risoluzione
stabiliva “un immediato
cessate il fuoco” e
autorizzava la comunità
internazionale a istituire
una no-fly zone sopra
i cieli della Libia e a
utilizzare “tutti i mezzi
necessari” per imporre
un cessate il fuoco
a salvaguardia della
popolazione. In seguito
a tale risoluzione, Francia
e Regno Unito poterono
intervenire (dal 19 marzo)
con attacchi aerei
e gli Stati Uniti con
bombardamenti dal mare.
TOP 10 ECONOMIE
30
Golfo
Persico
BAHRAIN
Risoluzione
ONU 1973
Danimarca
1990
2000
2010
Canada
Singapore
80.473
68.939
64.780
60.020
58.668
52.364
52.179
geopolitica
suo sostegno all’invasione irachena del
Kuwait (1990-1991) aveva costituito la
prima grande rottura con il vicino sauI Fratelli Musulmani, o Fratellanza, è il movimento islamista più antico
e diffuso in tutto il mondo arabo. Fondato in Egitto nel 1928 da Hassan
dita. Che per tutta risposta aveva sosteAl Banna, segue rigorosamente la legge islamica e persegue la sua
nuto i membri deposti della famiglia
piena applicazione, in contrapposizione alla secolarizzazione e
reale qatarina per indebolire il potere
all’Occidente corrotto. Al Banna viene assassinato nel 1948, due mesi
di Sheikh Hamad bin Khalifa al-Thani
dopo la morte del premier egiziano Mahmud Fahmi Nokrashi, che aveva
(alla guida del Paese dal 1995). Nonoordinato lo scioglimento del movimento. I Fratelli Musulmani divengono
stante la comune appartenenza al GCC
illegali in Egitto nel 1954, in seguito all’accusa di aver assassinato Nasser.
e dietro un’apparente riconciliazione,
Da allora, sono considerati illegittimi: nel 1966 l’ideologo del movimento
la competizione tra i due Paesi è andaSayyid Qutb è impiccato e i Fratelli perseguitati. Ma già dagli anni
ta crescendo per poi palesarsi del tutto
Settanta entrano in politica sotto diversi simboli. Dopo la parentesi della
presidenza Morsi in Egitto (rappresentante dei Fratelli) il Movimento è
con lo scoppio delle primavere arabe
tornato in clandestinità. Oggi il leader è considerato Muhammad Badie,
ed è oggi sempre più evidente nel conottava Guida della Fratellanza, in carcere al Cairo da agosto 2013.
testo del conflitto siriano.
L’interventismo del Qatar, che aspira
a conquistare un ruolo di primo piano
ai danni del colosso saudita, ha preso
forma distintamente con la rivoluzione
in Libia. Il primo ministro qatarino Hamad bin Jassim al-Thani è stato, infatti,
uno dei sostenitori più accaniti della Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza per l’intervento NATO in Libia e le
“truppe” di Al Jazeera (che hanno dato la
loro versione del conflitto, sostenendo
le mosse dell’Emirato) sono state le prime a sbarcare a Bengasi, testa di ponte
della sollevazione libica. In Siria, il Qatar ha spinto per la militarizzazione
della sommossa, ed è poi intervenuto rifornendo di armi le forze ribelli, attraverso la Turchia. L’apice dell’affermazione geopolitica
del Qatar è l’estate del 2012, con
l’elezione dell’islamista Mohammed Morsi alla presidenza egiziana. Il suo breve “regno” - cui i
Sheikh
militari hanno posto fine nel luHamad
glio 2013 - ha segnato anche il debin Khalifa
clino dell’influenza qatarina in
al-Thani
Medio Oriente e la concomitante
Se il presunto
riaffermazione dell’alleanza tra
complotto
Riad e Il Cairo.
tra Gheddafi
e l’Emiro
Dalla nuova inimicizia nel Golfo
per uccidere
discende così una polarizzazione
l’attuale Re
delle forze in Medio Oriente: alla
saudita fosse
tradizionale opposizione tra l’asse
riuscito, oggi
irano-sciita e quello saudi-sunnita,
il Qatar
si frappone adesso l’asse Qatar-Frasi spartirebbe
tellanza, che sembra destinato a
l’Arabia
dominare la scena regionale nel
prossimo futuro a scapito dei sauditi.
La Fratellanza
LOOKOUT 4 - aprile 2014
47
geopolitica
aFghaniStan
| di Cristiana Era
D
iciamo le cose come
stanno: il futuro dell’Afghanistan rimane
incerto anche dopo il
voto del 5 aprile. Un voto certamente importante, ma più dal
punto di vista simbolico che pratico,
indipendentemente dal risultato. Di
fatto, poco cambierà in un cammino
di cui si poteva intravedere la direzione già durante (per non dire prima)
la campagna elettorale. A dispetto della propaganda governativa, il Paese è
tutt’altro che pacificato e l’insicurezza
è tornata ad essere cronica ben prima
dell’inizio dei comizi elettorali, con
un’escalation di violenza direttamente
proporzionale al progressivo disimpegno delle forze della coalizione e all’assunzione di responsabilità da parte
dell’ANSF (Forze di Sicurezza Nazionali Afghane) che hanno dimostrato
di non essere in grado di garantire gli
standard minimi di sicurezza.
Mentre si portano avanti i negoziati
di pace, i talebani hanno boicottato le
elezioni e costretto gli osservatori elettorali dell’NDI (National Democratic
Institute) a lasciare il Paese dopo l’attentato all’Hotel Serena nel giorno del
Nowruz (il capodanno afghano che
coincide con l’inizio della primavera).
Il fatto che, secondo le fonti governative, la violenza sia stata limitata non dimostra - come sostenuto da alcuni - la
debolezza dei talebani. Al contrario, occorre tenere a mente due cose: in primo
luogo, campagna elettorale e votazioni
non si sono concluse il 5 aprile. Il risultato preliminare verrà annunciato
non prima del 24 aprile, mentre la
Commissione Elettorale renderà noto
quello definitivo solo il 14 maggio. Le
previsioni generali indicano un probabile ballottaggio (nessuno crede che
uno dei tre candidati favoriti, Abdullah
Abdullah, Ashraf Ghani e Zalmai Rasoul, possa superare il primo turno con
il 50%+1 dei voti). Non è dato conoscere la strategia dei talebani, ma già in
48
LOOKOUT 4 - aprile 2014
Le elezioni che non
cambiano la storia
Doveva essere uno spartiacque, ma le elezioni afghane
hanno mascherato solo il fallimento della comunità
internazionale e non hanno portato grandi novità
passato questi hanno alternato
periodi di attacchi quotidiani
con pause di relativa calma, per
poi riprendere gli attentati subito
dopo. Per boicottare le elezioni,
dunque, c’è ancora tempo.
Secondariamente, in alcune
aree rurali come le province meridionali a dominanza pashtun,
dove è maggiormente radicata la
presenza talebana, la minaccia di
uccisioni e amputazioni delle
mani o delle dita per coloro che
si recavano a votare, ha giocato
un ruolo ben maggiore dell’atto
concreto dell’attentato, soprattutto con una presenza insufficiente dell’ANSF a protezione
dei villaggi. Un esempio è la provincia di Logar, dove l’affluenza
è stata tra lo scarso e lo zero assoluto.
Che a Kabul, Herat e Kandahar (quest’ultima, santuario talebano) vi siano
stati pochi attentati e un’alta affluenza
di votanti, è un fatto meno rappresentativo della realtà afghana di quello
che viene propagandato. Fa comodo a
tutti mostrare la parte (minoritaria) di
un Paese che volta pagina andando a
votare sfidando l’ira talebana, ma non
è la realtà. Certo serve al governo per
sbarazzarsi dell’ingombrante presenza
straniera, e alle cancellerie occidentali
per invocare “missione compiuta” senza mostrare il fallimento che si lasciano dietro. Fallimento che pagheranno
gli afghani, indipendentemente da
chi sarà il successore del presidente
Hamid Karzai.
COME SI VOTA
IN AFGHANISTAN
Il 5 aprile si è votato per eleggere
sia il nuovo presidente sia
i consiglieri delle 34 Province.
Alle elezioni presidenziali,
per essere eletto al primo turno,
il candidato deve ottenere il
50% +1 dei voti validi (sistema
uninominale a doppio turno).
In caso contrario è previsto il
ballottaggio al secondo turno,
tra i due candidati che hanno
ottenuto il maggior numero
di voti.
all neWS
geopolitica
Stati uniti
giappone
Scontro spaziale
tra Washington e Mosca
Il riarmo giapponese
I
La crisi ucraina si fa sentire
anche oltre i confini terrestri.
La NASA, l’Agenzia Spaziale
Statunitense, ha infatti
comunicato di aver interrotto
in via “indefinita” i progetti in
corso con Mosca.
l governo giapponese si appresta ad allentare
il divieto in vigore sull’esportazione di armi introdotto dopo la seconda guerra mondiale. Il
premier Shinzo Abe assicura che verranno effettuati rigorosi controlli su produttori e acquirenti.
La mossa però preoccupa Pechino e agita ancor di
più le acque nel Mar Cinese.
egitto
La corsa solitaria
del generale Al Sisi
moldaVia
Porte aperte per
l’area Schengen
A
fine marzo Abdel Fattah Al Sisi si è dimesso
da capo delle Forze Armate, annunciando
la candidatura alle elezioni presidenziali
del 26 e 27 maggio. Il generale può ora gareggiare
senza validi avversari: la magistratura ha infatti avviato un’indagine per appropriazione indebita di
soldi pubblici nei confronti di Hamdeen Sabbahi,
l’unico sfidante credibile.
D
al 28 aprile i cittadini moldavi potranno
viaggiare liberamente nei 26 Paesi dell’area
Schengen e in altri quattro Stati UE non facenti parte dell’accordo (Romania, Bulgaria, Croazia e Cipro). Tra il 2010 e il 2013 il tasso di visti rifiutati ai moldavi dagli Stati dell’Unione è sceso
dall’11,4% al 4,8%.
Venezuela
Caracas salda il
debito con le
compagnie aeree
libia
Al-Thinni
il negoziatore
D
opo dieci giorni di sciopero,
a fine marzo Air Canada
l premier ad interim Abdullah al-Thinni, suha
riattivato
i voli verso il Venebentrato allo sfiduciato Ali Zeidan, conferma
zuela.
Il
servizio
non
era stato bloccato per via
la nomea di esperto negoziatore. Il nuovo
delle
tensioni
diplomatiche
tra Washington e
primo ministro ha trovato un accordo con i seCaracas,
ma
a
causa
di
un
debito
di circa 3 mii
milioni
di
indiani
paratisti di Ibrahim al-Jadran, riprendendo il
che
voteranno
fino
liardi
di
euro
che
il
governo
venezuelano
aveva
controllo dei terminal petroliferi della Cirenaial 12 maggio per
accumulato
nei
confronti
della
compagnia
caca e allungando ancora per qualche tempo il suo
le politiche
nadese
e
di
altre
23
società
tra
cui
Air
Europe,
Tap
mandato.
Portugal e l’ecuadoriana Tame.
I
810
LOOKOUT 4 - aprile 2014
49
a dire il Vero...
il mondo che neSSuno racconta
di Alfredo Mantici
N
ella ricostruzione e
nell’analisi degli eventi
della Storia dell’umanità è sempre azzardato proporre paragoni
tra fatti, episodi e fenomeni verificatisi
e sviluppatisi in epoche diverse. Con il
continuo mutare delle condizioni politiche, sociali e ambientali del mondo, è difficile sovrapporre meccanicamente - ricercando analogie e similitudini - problemi e fenomeni di epoche
nel 1600 a uno scontro epocale tra cattolici e protestanti nella
Guerra dei Trent’anni in Europa, per tentare di ricavarne elementi utili all’analisi del grande disordine che attraversa
l’Islam contemporaneo nella sua contraddittoria e a tratti violenta ricerca di percorsi di sviluppo, che vanno dalla conservazione alla modernizzazione.
Nel 1618 il Re Spagnolo Ferdinando II, destinato dal Papa a
cingere la corona di capo del Sacro Romano Impero, tentò di
imporre a tutti i suoi domini europei l’obbligo della religione
cattolica e il rifiuto dell’eresia protestante. La reazione di tutta
l’aristocrazia protestante di Austria, Boemia, Olanda, Danimarca e di parte dei principati tedeschi, dette il via a trent’anni di
guerra che sconvolsero tutto il Vecchio Continente e devastarono molti Paesi, prima fra tutti la Germania, principale campo di battaglia del conflitto tra luterani, calvinisti e cattolici.
Anche l’Islam deve arrivare alla sua
“Pace di Westfalia”
diverse. Tuttavia, l’uomo
è sempre lo stesso e
tende a ripetere le
Il risultato fu
proprie azioni e
specialmente i prol’esclusione della
pri errori. Per questo, evitando di cadere nella trappola
dalle cose
dei “corsi e ricorsi”
della politica
della Storia, è forse
possibile tentare di
studiare eventi contemporanei anche con la comparazione con eventi strutturalmente simili accaduti nel passato. Senza cadere nel determinismo più ottuso,
può essere utile il raffronto tra epoche diverse per tentare di capire attraverso l’analisi di ciò che è accaduto nel passato cosa potrebbe accadere nel futuro.
Per questo vogliamo provare a rileggere le dinamiche storiche che portarono
religione
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La guerra, nata per motivi religiosi, sconvolse l’intero
assetto politico e istituzionale del Vecchio Continente, e
si concluse con la vittoria della politica sulla religione
portando alla nascita degli Stati Nazione. Con il Trattato
di Westfalia che nel 1648 pose fine a trent’anni di guerra, vennero ridisegnati la nuova carta geopolitica europea e i principi fondamentali di un nuovo ordine continentale destinato a durare fino ai giorni nostri. Ma il risultato più importante della Grande Guerra di religione
fu l’esclusione formale della religione dalle cose della
politica.
Il Papa, per primo, perse il potere vincolante di incoronazione dei re cristiani, mentre al clero protestante
venne lasciato solo il privilegio di dettare i fondamenti
etici della politica. Se proviamo allora a guardare a cosa
sta avvenendo nel mondo islamico in questa fase della
storia contemporanea, non possiamo non notare molte
analogie con quello che accadde nell’Europa del Seicento. In tutto l’Islam, dal Libano alla Siria, dall’Iraq alla
Striscia di Gaza, dall’Algeria al Libano, negli ultimi anni
le tensioni e le insanabili contrapposizioni dottrinarie
tra sciiti e sunniti si sono trasformate in una vera e propria guerra di religione sempre più feroce e sanguinosa.
PER SAPERNE DI PIÙ
A DIRE IL VERO - WWW.LOOKOUTNEWS.IT
Il confronto tra sciiti e sunniti: una versione aggiornata
della Guerra dei Trent’Anni
In Iraq, dove la minoranza sunnita
non vuole cedere quel potere che gli
veniva garantito da Saddam Hussein a
una maggioranza sciita uscita vincente
dalle ultime elezioni, solo nel 2013 sono morte in combattimento oltre 9mila persone. In Siria la guerra è tra sciiti-alawiti, minoranza e classe dirigente
per decenni, e una maggioranza sunnita
che si riconosce in gran parte nell’ISIS
(Stato Islamico in Iraq e nel Levante) e
nell’armata Naqshbandi, le due principali formazioni di guerriglia che vogliono abbattere il regime di Assad.
Come durante la guerra europea del Seicento, quando nobili e
condottieri cattolici non esitarono in odio agli spagnoli - a schierarsi
con i protestanti, oggi nel vicino
Oriente il fronte sunnita è diviso tra
estremisti disposti a tutto e pragmatici che cercano di trovare una via
d’uscita da una crisi devastante. I
primi si riconoscono nell’Emirato
del Qatar e nelle organizzazioni dei
Fratelli Musulmani, che hanno tentato senza successo di assumere il controllo delle Primavere Arabe. Sull’altro fronte sono schierati l’Egitto con i
suoi generali, l’Arabia Saudita, gli Stati del Golfo e i palestinesi di Abu Mazen. Il blocco sciita sotto le ali della
teocrazia iraniana fronteggia i sunniti
con i palestinesi di Hamas, gli Hezbollah libanesi e la grande massa sciita
irachena.
Tre protagonisti come lo erano le
confessioni cristiane della
Guerra dei Trent’anni, tre modelli religiosi che vogliono piegare e dominare la politica.
Uno scontro violento che dura
da quasi un decennio, uno scontro
che ha fatto passare in secondo
piano il nemico storico dell’Islam
contemporaneo, l’Entità Sionista
Israeliana. Uno scontro dagli esiti ancora non prevedibili, ma che potrebbe
segnare, come accaduto a Westfalia, la
nascita di Stati Nazione arabo-musulmani nei quali si spera
che sarà la politica, e
non più la religione,
a dettare legge.
1648
Osnabrück, sede
delle delegazioni
protestanti,
e Münster, sede
delle delegazioni
cattoliche, furono
protagoniste della
pace che mise fine
alla Guerra trentennale
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raSSegna Stampa
internazionale
europa
media Watch
Manuel Valls y Anne Hidalgo,
dos españoles en la cúspide del poder en Francia
Due spagnoli
ai vertici del potere francese
dalla redazione dell’Huffington Post, edizione spagnola
L’
Dall’articolo
apparso
sull’Huffington Post
il primo aprile 2014
elezione di Anne Hidalgo a sindaco di Parigi e la
nomina, ventiquattr’ore dopo, di Manuel Valls a
primo ministro nel rimpasto voluto dal presidente Hollande per arginare l’avanzata della destra alle municipali del 23 e 30 marzo hanno
avuto grande risonanza sulla stampa iberica. Con un certo senso di compiacimento e un incipit che ricorda vagamente i romanzi di formazione dell’Ottocento, l’edizione spagnola
dell’Huffington Post così celebra il successo dei due politici francesi nati dall’altra parte dei Pirenei: “Sono figli di immigrati spagnoli giunti in un Paese che non era il loro, in cerca di un futuro
migliore. Ora dirigono la Francia e la sua città più importante,
Parigi. Si tratta di Manuel Valls, nato a Barcellona e da ieri nuovo
primo ministro, e di Anne Hidalgo, venuta al mondo a San Fernando (Cadice) e adesso sindaco della capitale francese”.
“Primo sindaco donna”, precisa poco dopo il quotidiano, che
prosegue narrando l’epopea di nonno Hidalgo, socialista, il
quale era già emigrato in Francia ai tempi della guerra civile spagnola. Il suo ritorno in Andalusia non
mette fine, però, alla diaspora della famiglia, che questa volta per problemi economici - si stabilisce a
Lione nel 1961, quando Anne (in realtà Ana) aveva
due anni: entrerà in politica nel 1997, nei socialisti,
per ricoprire la carica di vicesindaco di Parigi dal
2001 a oggi.
Altrettanto brillante la carriera del catalano Manuel Valls, che nel 2001 diventa sindaco di Évry,
nei sobborghi di Parigi. Rieletto nel 2008, deve lasciare l’incarico nel 2012 quando, a cinquant’anni,
entra a far parte come ministro dell’Interno nella squadra di Jean-Marc Ayrault, che adesso sostituisce. “De alma culé”, ovvero tifoso del Barcellona, nonché di animo (e partito) socialista, il neopremier si considera
tuttavia un social-liberale, “mantenendo sull’immigrazione una della posizioni più dure nell’ambito
del progressismo francese, il che gli ha fatto guadagnare l’appellativo di Sarkozy di sinistra”.
Nella foto:
il nuovo sindaco
di Parigi
anne
hidalgo
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raSSegna Stampa
internazionale
aFrica e
medio oriente
media Watch
Can Africa leapfrog the carbon energy age?
Africa: tramonta l’era dei
combustibili fossili
di Julian Popov, giornalista, consulente ed
ex ministro dell’Ambiente del governo bulgaro
L’
Dall’articolo
apparso
su Al Jazeera
il primo
aprile 2014
Africa è l’ultimo continente a cui si guarda
quando si impongono politiche ambientali
per contrastare l’effetto serra. Ma l’impennata economica del continente africano richiede sempre più energia e - tradotto in termini
di risorse locali - questo implica uno sfruttamento crescente di carbone, gas e petrolio. “La comunità internazionale
e i governi africani dovrebbero consentire a questa terra di
abbandonare la dipendenza energetica dalle energie convenzionali e dai grandi impianti centralizzati - argomenta
Julian Popov - aiutandola a sfruttare le sue vaste potenzialità idroelettriche, eoliche e solari”.
Su una popolazione di oltre un miliardo di persone, quasi 600 milioni non hanno accesso alla rete elettrica, fatto
comprensibile se si tiene conto della scarsa densità di popolazione e delle remote località abitate, condizioni che
rendono impraticabile qualsiasi investimento interconnettivo. Negli ultimi anni, scrive Popov, già sette milioni di africani hanno rimpiazzato le vecchie lampade al cherosene
con luci alimentate a energia solare, che consentono di risparmiare un dollaro a settimana (non poco per chi vive
con meno di 1,25 dollari al giorno, ovvero il 48% delle
popolazioni sub-sahariane). Oltre al vantaggio economico, la fornitura di energia solare può essere espansa o lottizzata in base alle necessità, senza contare che
le tecnologie moderne si trovano oggi sul mercato
a prezzi accessibili.
L’Africa, inoltre, non ha mai costruito una
rete telefonica continentale “e mai ne avrà bisogno” dice Popov, se si considera che l’uso del
cellulare batte la linea fissa in 500 milioni di utenti
contro 12. Lo stesso, nella prospettiva dell’autore, potrebbe verificarsi a livello energetico.
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raSSegna Stampa
internazionale
aSia
media Watch
A Diversified Muslim Identity
La diversità
dell’identità musulmana
di Hilal Ahmed, professore del
Centre for the Study of Developing Society (CSDS)
A
Dall’articolo
apparso
su The Hindu
il 31 marzo 2014
lla vigilia del voto parlamentare in programma in India a partire dal 7 maggio - le elezioni più imponenti a livello mondiale con 810
milioni di cittadini chiamati alle urne - alcuni analisti si sono interrogati sull’orientamento della comunità islamica. Dalle colonne del quotidiano The Hindu, il professor Hilal Ahmed mette in discussione gli stereotipi che circolano su questo gruppo sociale,
considerato generalmente chiuso e coeso, motivo per cui
nella scelta elettorale agirebbe secondo principi religiosi e
di casta.
Ahmed sottolinea invece che gli indiani musulmani seguono diverse correnti e interpretazioni religiose, il che
“rende l’Islam indiano un fenomeno estremamente diversificato. Le preferenze di voto dei musulmani - spiega - non
sono poi tanto diverse da quelle degli Hindu. Dunque, i
partiti politici emergono come il fattore primario che determina il voto”.
A livello nazionale, gli ultimi sondaggi indicano una generale preferenza della comunità musulmana per il Congresso Nazionale Indiano. Mentre a livello locale le preferenze potrebbero variare sensibilmente, dimostrando che
non esiste una strategia elettorale omogenea. Anche il fattore “casta” è un elemento da tenere in considerazione,
ma sempre nell’ottica delle specificità regionali
dei singoli Stati. “Per comprendere questo fenomeno - conclude Ahmed - occorre perciò
abbandonare l’approccio ‘dall’alto verso il
basso’. Bisogna invece prestare maggior attenzione alla loro partecipazione alla vita politica locale per poter conoscere il peso reale
dei voti dei musulmani alle elezioni del
2014”.
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57
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internazionale
americhe
media Watch
La inseguridad genera el desplazamiento forzado
en cinco departamentos
Migrazioni forzate in
Centro America
di Rosa Morazán, giornalista di Departamento 19
I
Dall’articolo
apparso su
Departamento 19
il 31 marzo 2014
l narcotraffico, la criminalità organizzata e le maras
(gang) sono all’origine della scelta di molti cittadini
dei Paesi centroamericani di emigrare in Nord
America. La giornalista Rosa Morazán del quotidiano on line honduregno Departamento 19, afferma che “negli ultimi tre anni c’è stato un aumento di richiedenti asilo negli Stati Uniti e in Canada
da parte di rifugiati che arrivano soprattutto da El
Salvador, Guatemala e Honduras”.
Gli ultimi dati indicano che “8.153 rifugiati
sono salvadoregni di origine, 5.369 provengono dal Guatemala e 2.607 da Honduras”.
Ad oggi gli USA hanno accolto il 65% delle
richieste, mentre il Canada il 17%. “L’UNHCR
(Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati)
e altre istituzioni - spiega l’autrice dell’articolo - studiano le cause e gli effetti di queste migrazioni forzate, che però, nonostante questi
numeri, non sono ancora diventate una priorità da affrontare per i governi del Centro America”.
Paola Bolognesi, ricercatrice dell’UNHCR in Honduras intervistata sul tema, afferma che “ci sono casi di
agricoltori costretti ad abbandonare il Paese a causa dei crimini e delle pressioni esercitate dai narcos, i quali spesso costringono con la forza i contadini a consegnare le loro terre
per utilizzarle talvolta come piste di atterraggio clandestine”.
Tra i Paesi interessati da questo fenomeno, l’Honduras è
l’unico ad aver creato una commissione ad hoc, la Comisión Interinstitucional para la Protección de las Personas
Desplazadas por la Violencia (CICEST).
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raSSegna Stampa
internazionale
oceania
media Watch
Finding just one bit is vital clue
Volo 370 Malaysia Airlines:
indizi cercasi
di Geoffrey Thomas,
Aviation Editor per The West Australian
“
Dall’articolo
apparso su
The West Australian
il 2 aprile 2014
I
n un mondo ipertecnologico, in cui ogni nostra
mossa sembra poter essere rintracciata, è impossibile credere al fatto che un aereo possa semplicemente sparire”. A parlare è Tony Tyler, direttore generale della International Air Transport Association (IATA), organizzazione internazionale che conta oggi l’adesione di 240 compagnie aeree di ogni parte del mondo. La
sua dichiarazione è ripresa sul West Australian del 2 aprile
in un articolo firmato dall’esperto di aviazione Geoffrey
Thomas. Si parla, ovviamente, del volo fantasma 370 della
Malaysia Airlines, partito da Kuala Lumpur l’8 marzo con
239 persone a bordo e sparito dai radar poco prima di entrare nello spazio aereo del Vietnam.
In queste settimane
sono state effettuate indagini su tutte le persone a
bordo, compresi i
12 membri dell’equipaggio, il personale di terra e gli ingegneri di volo. Si è parlato di dirottamento, di sabotaggio dell’aereo, di possibili colluttazioni
durante il volo, è stato anche ispezionato il cibo servito a
bordo. L’Australian Maritime Safety Authority - spiega
Thomas - ha spostato le ricerche 1.500 chilometri a nordovest di Perth. Nell’area ci sono nove navi, dieci aerei e un
sottomarino britannico.
“Ma secondo Charitha Pattiaratchi, uno dei più autorevoli oceanografi a livello mondiale - spiega Thomas - basterebbe anche solo un pezzo di detrito dell’aereo per permettere alle squadre di ricercatori di arrivare al punto di
impatto. Il problema però è che il professore dice anche
che conosciamo più della superficie della Luna che dei
fondali di questo tratto di oceano”.
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Places
Immagini
dai luoghi meno
conosciuti al mondo
62
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ablain-Saint-nazaire, Francia Veduta aerea di
Notre Dame de Lorette, Cimitero Militare francese dei caduti
della Prima Guerra Mondiale.
charlestown, Stati uniti La turbina eolica del Massachusetts Water Resources Authority genera fino a 1.951 megawatt di energia da combustibili fossili vegetali.
brasilia, brasile Il Planalto Palace è la sede ufficiale
della Presidenza della Repubblica, costruito nel 1960 da Oscar
Niemeyer.
hanoi, Vietnam Operaie lavorano fili elettrici nel villaggio di Quan Do. Tutta la zona è nota per il riciclo di numerosi
materiali scartati dal resto del mondo.
odisha, india Devoti Hindu si ammassano l’uno sull’altro per celebrare il “Danda” festival nel villaggio di Kulagarh,
distretto di Ganjam.
caracas, Venezuela Una famiglia osserva il panorama
dal 30esimo piano della “Torre di David”, costruzione abbandonata dopo la morte del suo promotore, David Brillembourg.
economia
ruSSia
Il peso dell’economia
di Mosca
euraSia
Tutte le economie ai
confini della Russia
iran
L’emergenza
di un Paese ancora
troppo isolato
Il peso di
Mosca
64
LOOKOUT 4 - aprile 2014
economia
Quanto, come e perché
l’economia della Federazione Russa
cresce e domina i mercati eurasiatici,
e come mai Mosca non tende
alla diversificazione del mercato
ruSSia | di Ottorino Restelli
N
el 2012, mentre l’Europa pativa i rovesci provocati dalle politiche
economiche prodotte
dalle tesi dell’austerità
espansiva e il PIL segnava in media
-0,9% nell’area euro (ben 17 Paesi) e
-0,6% nell’Unione Europea (28 Paesi), la Russia vedeva crescere il proprio
PIL del 3,4%, mentre l’inflazione si attestava al 5,1%.
Nel 2013 il PIL russo cresceva invece dell’1,5%, in conseguenza del permanere della scarsa domanda dall’UE
- rilevante partner commerciale della
Federazione Russa - e della caduta della domanda e del prezzo del petrolio
(il prezzo del greggio degli Urali ha
segnato -3% in un anno). La domanda
interna, investimenti e consumi, rimaneva moderata e solo nel 2012 tornava
ai livelli precedenti la crisi dei mutui
sub-prime (2009).
La causa della modesta crescita del
PIL russo, dopo anni di vero e proprio
boom, è da imputare alla caduta degli
investimenti, che nel primo trimestre
2013 ammontavano allo 0,1% a fronte
di un +15,5% dello stesso trimestre
2012 (con un contributo alla crescita
nullo, rispetto al +2,1% del 2012), in
conseguenza del completamento dei
programmi per la costruzione delle
grandi infrastrutture e degli impianti
per le Olimpiadi invernali di Sochi.
Va comunque registrato che, nonostante la bassa domanda interna, le imprese producono circa l’80% della propria capacità, mentre il tasso di disoccupazione è al 5,4%. In queste condizioni, afferma la Banca Mondiale, interventi di politica economica volti a
stimolare la crescita potrebbero scontrarsi con strozzature dal lato dell’offerta e quindi accrescere le tensioni inflazionistiche e spingere l’aumento dei
prezzi oltre il 5% atteso dalla Banca
Centrale Russa per il 2014 (il tasso d’inflazione è stato del 6,8% nel 2013). Le
tensioni inflazionistiche potrebbero,
LOOKOUT 4 - aprile 2014
65
economia
FOCUS
Italia e Russia,
partner ideali
L’Italia, come detto più volte,
presenta un livello di outsourcing
e di offshoring nell’industria
manifatturiera simile a quello
della Germania. Tuttavia le catene
della formazione del valore
mostrano che la Germania
commercia beni con oltre il 30%
del valore aggiunto prodotto
all’estero, mentre per l’Italia la
quota scende al 20%. Ciò ha fatto
sì che nel periodo 1999-2012 il
valore aggiunto della produzione
manifatturiera rispetto al totale
dell’economia sia sceso del 6,3%
per l’Italia, ma sia cresciuto dello
0,7% per la Germania. Rispetto
all’utilizzo tedesco dei Paesi
con lavoro a basso costo dell’area
mitteleuropea per la sua catena
del valore, l’Italia ha risposto
con delocalizzazioni (Romania,
Albania, etc.) che non hanno
saputo reggere il confronto.
Dall’analisi delle sue caratteristiche
produttive, la Russia si candida
dunque a partner complementare
ideale per le piccole e medie
imprese italiane (PMI). La grande
capacità d’innovazione delle
imprese di casa nostra troverebbe
il giusto complemento (energia,
infrastrutture, manodopera, etc.)
in Russia e le PMI potrebbero
rappresentare il grimaldello con
cui forzare le barriere che
impediscono lo sviluppo moderno
e diversificato dell’economia
russa. La Russia potrebbe
rappresentare per le PMI anche
un formidabile hub da cui accedere
non solo al mercato della
Federazione, ma a tutti i mercati
asiatici e dell’est Europa,
in condizione di vantaggio
comparato, questa volta rispetto
alle imprese tedesche e polacche.
66
LOOKOUT 4 - aprile 2014
inoltre, essere ulteriormente alimen- delle imprese straniere in settori mertate anche dalla svalutazione del rublo ceologici rilevanti (auto, alimentare,
in conseguenza della crisi ucraina (-10% assicurazioni), l’economia russa contirispetto a dollaro ed euro nei primi nua a essere dominata dalle grandi
imprese e da veri e propri monopoli tre mesi e mezzo del 2014).
La Russia presenta una forte fuoriu- grandi e vecchie imprese che produscita di capitali che, seppure a livelli cono in settori maturi e impiegano
inferiori rispetto agli 81 miliardi di molti lavoratori - tanto che il 25% delle
dollari del 2011, si è attestata a 63 mi- imprese produce il 94,7% del totale. Il
liardi di dollari del 2013. Il deficit fe- tasso d’ingresso di nuove imprese, che
derale è stato -0,5% del PIL nel 2013, testimonia il grado d’innovazione, si è
ma le previsioni indicano un pareggio contratto nell’ultimo decennio e si coldi bilancio già nel 2014. La bilancia loca al 50% di quello osservato nel biencorrente pur in surplus, registra un nio 1998-1999. Le barriere all’entrata
trend decrescente: 97 miliardi nel
2011 (5,1% del PIL), 75 miliardi di
dollari nel 2012 (3,7% del PIL) e, si
stima, 33 miliardi di dollari nel 2013.
La Russia, come noto, è un’economia che dipende in modo determiRegioni diversificate tra loro
nante dalle risorse naturali, in partico(Tula, Kaluga, Leningrad, Vladimir
lare idrocarburi. Nonostante i massice
Tver) convivono con regioni
ci investimenti nello sviluppo delle inpiù specializzate come Tyva,
dustrie high-tech, oggi solo il 20% dei
Ingushetia, Daghestan e il distretto
manufatti esportati ha un alto conteautonomo di Yamalo-Nenets.
nuto tecnologico. L’econoRecenti indagini mostrano che
mia della Federazione
a livello generale (83 regioni),
Russa nel terzo manuna maggiore
Le piccole
diversificazione nella
dato del presidente
e medie imprese
produzione tende ad
Vladimir Putin è
contribuiscono per il
accrescere la produzione
ancor meno divere l’occupazione.
sificata di quanto
L’innovazione
non lo fosse l’ecotecnologica è
nomia dell’Unione
concentrata nella Silicon
Sovietica. La dipendel totale del PIL
Taiga (la regione siberiana
denza dal petrolio e
di Novosibirsk con il centro
nazionale
dal gas è progressivaAkademgorok e della State
University) e nei 64 parchi
mente cresciuta fino a ragtecnologici (in 35 regioni),
giungere, nel 2012, il 70% del
che il governo ha sovvenzionato
valore delle esportazioni (vedi figure 1
a partire dal 2007. In strutture
e 2). Il petrolio e il gas contribuiscono
come lo Skolkovo Hub, sono
al 50% del bilancio federale, tanto che
apparse numerose imprese ad
il deficit del bilancio federale al netto
alta tecnologia: IT, bioingegneria,
del contributo degli idrocarburi è
tecnologie laser, strumenti di
dell’11%, mentre il prezzo minimo a
precisione, tecnologie medicali,
nuovi materiali, software,
cui dovrebbe essere venduto un barile
tecnologie nucleari e spaziali,
di petrolio per garantire il pareggio
etc. Tuttavia, la Russia continua
del bilancio statale è pari a 115 dollari
a essere un Paese in cui
(Banca Europea Ricostruzione e Svil’innovazione tende a essere
luppo, 2012).
scarsa (71 posto su 142 nel mondo,
Nonostante l’ingresso nell’Organizsecondo il World Economic Forum),
zazione Mondiale del Commercio
a fronte di una spesa in Ricerca
(WTO) nell’agosto del 2012 e l’arrivo
e Sviluppo dell’1% del PIL.
I grandi distretti
tecnologici russi
17%
economia
Percentuale di tutte le esportazioni russe
Altre esportazioni
80%
60%
Gas
50%
40%
30%
Petrolio
20%
10%
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2004
2003
2002
2001
2000
1999
0
Fonte: United Mation, Comtrade
Struttura delle esportazioni
dollari americani per barile
100%
120
90%
Minerali
Chimici
100
80%
70%
80
60%
50%
60
Metalli
e pietre preziose
Legno, cellulosa
e carta
Tessili e cuoio
40%
30%
20%
40
Macchinari
e attrezzature
20
Prezzo medio
del petrolio
0
Cibo
10%
0
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
(amministrative, economiche
etc.) rendono, infatti, molto
difficile la creazione di piccole e medie imprese, limitando
così al 17% il loro contributo
al PIL nazionale.
Un elevato livello di dipendenza dall’esportazione di risorse naturali e una scarsa diversificazione produttiva accrescono la volatilità della
produzione ben oltre la naturale ciclicità economica e ciò
scoraggia gli investimenti privati. Inoltre, la crescita del valore del rublo e della domanda nei settori non di mercato
(servizi e costruzioni), hanno
determinato negli scorsi anni
rilevanti distorsioni nel mercato del lavoro e perdita di
competitività nei settori di
mercato, che hanno ulteriormente depresso la diversificazione produttiva (il fenomeno
è conosciuto come Dutch Disease o Male Olandese). Tutto
ciò fa sì che nel 2010 la Russia
abbia avuto un vantaggio comparato in soli 103 prodotti, sui
1.242 individuati dalla Standard International Trade Classification, in flessione rispetto ai
143 del 1996 (nello stesso anno la Cina aveva un vantaggio
competitivo in 513 prodotti,
rispetto ai 479 del 1996) e facendo sì che solo il 3% delle
imprese russe esportasse, contro il 15% delle imprese americane e il 17% di quelle francesi (World Bank, 2012).
Il “Male
Olandese”
70%
2006
Oggi l’economia
russa è meno
diversificata che
in epoca sovietica
90%
2005
urSS
100%
Altro
Fonte: Rosstat and IMF, International Financial Statistics
Prodotti esportati dalla Russia
CEREALI
PETROLIO
Esportazioni mensili
Principali destinazioni di esportazione
di greggio russo nel 2012
Milioni di tonnellate
Barili al giorno
4.0
Germania
680,000
3.5
3.0
Paesi Bassi
550,000
2.5
2.0
Cina
480,000
Polonia
470,000
1.5
1.0
0.5
Bielorussia
0.0
2011
2012
420,000
Dutch Disease
o Male Olandese,
è un nome coniato
dall’Economist nel
1977 per rappresentare
il processo di
de-industrializzazione
che ha colpito
l’Olanda dopo
la scoperta e messa
a coltivazione dei
giacimenti di gas
di Slochteren (Mare
del Nord). Per “male
olandese” s’intende
l’impatto negativo
che l’ingente afflusso
di moneta estera,
conseguente alla
scoperta d’ingenti
giacimenti di risorse
naturali, provoca
sulla moneta nazionale
(rivalutazione). La
rivalutazione produce
un aumento dei prezzi
e dei salari e, quindi,
una perdita di
competitività dei beni
prodotti e una caduta
delle esportazioni.
Negli anni Settanta,
la scoperta del petrolio
nel Mare del Nord
al largo delle coste
scozzesi fece sì che la
sterlina si rivalutasse,
i salari crescessero,
le esportazioni si
riducessero e il
Regno Unito precipitasse
in una recessione
di lunga durata.
2013
Fonte: Thomson Reuters Datastream; Agrokhleb;
U.S. Energy Information Administration
LOOKOUT 4 - aprile 2014
67
economia
Non gasiamoci
troppo
euraSia |
zerbaijan, Bielorussia,
Cecenia, Georgia, Turkmenistan, Kazakhstan,
Mongolia, Uzbekistan.
Sono solo alcuni dei pezzi che vanno a comporre l’agitato puzzle dell’immenso spazio post-sovietico ai
A
68
LOOKOUT 4 - aprile 2014
bordi della grande madre Russia. Un
mix di etnie, culture e religioni, in molti
casi ancora in cerca di stabile collocazione a poco più di vent’anni dalla disgregazione dell’URSS. Ai margini di questo
scenario continuano ad ardere sentimenti separatisti, specie nel Caucaso,
dove si gioca una delle più importanti
partite energetiche del pianeta.
economia
azerbaiJan
L’
Azerbaijan oggi è forse lo Stato geo-strategicamente più rilevante del Caucaso, anche grazie ai cambiamenti politici ed economici in atto in Europa e
Asia. La presenza di grandi
giacimenti petroliferi ha garantito una crescita costante che ha sostenuto il governo autoritario e quasi “dinastico” della famiglia Aliyev,
con Heydar prima e il figlio
Ilham poi, succeduto al padre nel 2003 e oggi al suo
terzo mandato.
Corruzione, brogli elettorali e repressione non hanno impedito ai governi occidentali di mantenere buone
relazioni diplomatiche con
Baku: in previsione di un
declino della produzione e
dell’esportazione di petrolio, il Paese ha recentemente concentrato la propria
politica economica sullo
sfruttamento degli enormi
giacimenti di gas del Mar
Caspio, dei quali il più noto
per dimensioni e potenziale
(le ultime stime parlano di
1,7 trilioni di metri cubi) è
quello di Shah Deniz. Di
quel consorzio fanno parte
società britanniche, iraniane norvegesi, francesi, russe
e turche, oltre alla compagnia di Stato SOCAR.
Inoltre, il consorzio di
Shah Deniz è da poco entrato a far parte del progetto
di rete di gasdotti, denominato “Corridoio Meridionale”, fortemente voluto dall’Unione Europea per porre
un freno alla dipendenza
energetica dalla Russia. I giacimenti e il possesso di una
quota della rete viaria del
gas, che un giorno potrebbe
connettere l’Europa all’Asia
arrivando fino al Turkmenistan, consentiranno all’Azerbaijan di godere ancora di
un tasso di crescita sostenuto
per molto tempo, ma anche
di incrementare la propria
influenza negli equilibri politici regionali.
Azerbaijan pipelines
Mar Nero
Batumi
GEORGIA
TURKEY
Erzurum
Gasdotti
Oleodotti
Tbilisi
ARMENIA
Yerevan
turKmeniStan
C
on il 4,3% delle risorse
mondiali di gas situate
sul suo territorio, tra cui
il secondo giacimento
Nagorno
più vasto del pianeta, il
Karabakh
Turkmenistan è lo Stato più corteggiaGoverno
autonomo
to dell’Asia nell’era della corsa all’oro
autoproclamatosi blu. Russia e Cina sono tra i maggiori
rivendicato
partner commerciali, ma anche Iran e
dall’Azerbaigian
Stati Uniti sono presenti con varie attività. Inoltre, in fila per la conclusione
di accordi con Ašgabat ci sono: Unione Europea, Ucraina, Giappone, Pakistan e India. Ucraina e UE, in particolare, stanno cercando di affrancarsi
dal gas russo della Gazprom e dal regime di monopolio dei prezzi che la
compagnia moscovita è in grado di
imporre al continente grazie al controllo della rete di gasdotti che dall’Asia arriva all’Europa.
Il gas turkmeno, molto meno costoTurkmenistan
Gurbanguly
so di quello russo, attualmente transiBerdimuhammedow ta solo attraverso la rete di gasdotti
governa
controllata da Mosca. Per questo motiuna Repubblica
vo, l’UE sta spingendo per una ripresa
Presidenziale
del gasdotto Trans-Caspio, un progetmonopartitica
to del 1999 che dal Turkmenistan (e
forse Kazakhstan) doveva portare il
gas in Europa centrale, bypassando
Russia e Iran. L’opposizione di questi
ultimi e l’influenza di Mosca su Ašgabat e Astana (capitale kazaka) ha imMar
Caspio
RUSSIA
pedito fino ad ora un impegno reale
sul progetto da parte delle autorità
turkmene, ma i recenti sviluppi dei gasdotti Trans-Anatolico e Trans-AdriatiBaku
co, inducono molti a ritenere che in
futuro le resistenze del Turkmenistan
possano essere superate e che una raAZERBAIJAN
mificazione del cosiddetto “Corridoio
Meridionale” possa collegare anche
Nagornoquesto Paese.
Karabakh
Tabriz
IRAN
100 km
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/TURKMENISTAN
Fonte: World Energy Atlas
LOOKOUT 4 - aprile 2014
69
economia
Il più fedele
degli alleati
Paesi Baltici
I
bieloruSSia
I
n piena crisi ucraina, non
sorprendono i movimenti
di arsenale militare russo a
mo’ di avvertimento in territorio bielorusso, ultimo
vero e proprio satellite dell’ex impero sovietico nell’Europa dell’Est
(a un passo da Kiev). Questo territorio, il cui processo di russificazione risale al XVIII secolo, è assente
da ogni traiettoria comunitaria
dell’Unione Europea, è immune
dalle spinte europeiste che invece
pervadono alcuni suoi vicini ed è
sempre rimasto strettamente ancorato alla grande Madre Russia.
Convinzione ideologica o mero
calcolo economico? Piuttosto, una
necessità strutturale.
Di certo, il suo uomo forte, Aleksandr Lukašenko, presidente bielorusso dal 1994, ci ha messo del suo:
schiacciando sul nascere ogni dissenso con un governo autoritario e
centralizzato, uniformando l’economia nell’immediato post-Unione Sovietica, osteggiando qualsiasi
privatizzazione d’imprese statali e
tenendo lontani i grandi investitori
stranieri. Per via dell’eredità industriale sovietica, la Bielorussia è rimasta fortemente dipendente dalle altre economie della Comunità
degli Stati indipendenti (CSI),
Russia in primis, che resta il suo
maggior partner commerciale.
Con un apparato industriale ormai datato, incapace di provvedere
alle necessità energetiche interne
con le sue modeste riserve di greggio, la capitale Minks resta dipendente dai sussidi energetici di
70
LOOKOUT 4 - aprile 2014
Gazprom (il colosso russo degli idrocarburi) e dall’accesso preferenziale a quel mercato. Durante la crisi
finanziaria del 2011, che ha portato
a una svalutazione senza precedenti del rublo bielorusso, Minsk è stata
costretta a vendere le sue quote di
proprietà della Beltransgaz a Gazprom, in cambio di prestiti e sussidi
energetici per risollevarsi dalla crisi.
A cementare i già stretti rapporti, nel 1999 Mosca e Minsk hanno
dato vita all’Unione Russia-Bielorussia, un’entità sovranazionale e
intergovernativa di integrazione
politica ed economica che, con il
tempo e diversi trattati, si è estesa
anche alla cooperazione militare: a
gennaio 2014, tanto per dire, il
budget allocato dall’Unione per
esercitazioni militari congiunte, industria bellica e progetti di sicurezza, è stato pari a 91,5 milioni di dollari.
Pur non immune da saltuarie crisi diplomatiche nel 2010 e 2013 Gazprom
ha sospeso temporaneamente i sussidi a Minsk l’intesa è andata ulteriormente rinsaldandosi, grazie alla creazione di un’unione
doganale tra Russia,
Bielorussia e Kazakhstan (2010), che Putin vorrebbe adesso estendere a “Unione Eurasiatica”
con l’inclusione di Armenia, Kyrgyzstan e Tajikistan.
Crisi ucraina permettendo.
(M.P.)
Il dolce paesaggio
pianeggiante delle
repubbliche che
affacciano sul Mar baltico
- Lituania, Lettonia e
Estonia - è abitato in totale
da meno di 7 milioni
di abitanti, di cui la metà
risiede in Lituania. Ricche
realtà durante l’URSS, la
flessione economica ha
colpito le cosiddette
“Tigri del Baltico” nella
seconda metà degli anni
zero, per poi risollevarsi
grazie al recente boom
edilizio e bancario,
seguito a un periodo di
severa austerity. Le stime
per le tre Tigri - che sono
nell’UE dal 2004 - indicano
un Pil atteso intorno al 3%.
L’Estonia è oggi il Paese
più performante dei tre,
dopo l’ingresso nell’area
euro del 2011. Dal 1 gennaio
2014, anche la Lettonia
è entrata nel club della
moneta unica, mentre la
Lituania dovrebbe fare
il suo ingresso tra il 2015
e il 2017.
Alexander
Lukashenko
È in carica
come
presidente
dal 20 luglio
1994
I due presidenti
Aleksandr Lukashenko
e Vladimir Putin fanno
“gioco di squadra”
economia
KazaKhStan
I
“stan”
Il suffisso
in lingua
persiana
significa
“luogo di”
l Kazakhstan gode di una crescita sostenuta che ha
registrato un +6% nel 2013, ma la sua economia è
fortemente dipendente dall’industria estrattiva e
dal petrolio, del quale è uno dei maggiori esportatori in Asia e nel resto del mondo. Nonostante le
autorità di Astana abbiano messo a punto una politica di diversificazione delle risorse e una modernizzazione delle infrastrutture, di cui il Paese ha urgentemente bisogno, la
crescita continua a essere sostenuta quasi esclusivamente
dallo sfruttamento delle risorse energetiche.
Del resto, il Kazakhstan dispone del più grande giacimento di petrolio scoperto negli ultimi trent’anni, quello
di Kashagan, nel Mar Caspio settentrionale, del cui consorzio fa parte anche l’ENI (con una quota del 16,81%). Tuttavia, le sue potenzialità non sono ancora state sviluppate a
causa delle difficili condizioni ambientali e il progetto, che
prevedeva l’inizio della produzione lo scorso settembre, ha
subìto una serie di interruzioni per problemi tecnici. I continui ritardi e incidenti hanno così fatto lievitare i costi del
progetto con ingenti perdite sia per le compagnie petrolifere coinvolte sia per il Kazakhstan stesso, sul quale adesso
pesano i mancati introiti. Una ricchezza a portata di mano,
dunque, ma ancora irraggiungibile.
uzbeKiStan
S
ono gas, cotone e oro il patrimonio personale del settantaseienne presidente Islom
Karimov, a capo dell’Uzbekistan dal 1990, prima ancora
che diventasse una repubblica indipendente nel 1991. Il sistema produttivo del Paese risente infatti dell’eredità sovietica ed è ancora fortemente
statalizzato. E, come spesso avviene, al
controllo in campo economico corrisponde una più ampia repressione in
ambito politico, motivo per cui l’Uzbekistan condivide regolarmente con
la Corea del Nord gli ultimi posti delle
classifiche mondiali per quanto riguarda democrazia e libertà di stampa
(mentre è al top per corruzione). Ma
Greggio russo in Cina
c’è l’altra faccia della medaglia: un
PIL in crescita a un ritmo del 7% l’anDopo aver introdotto il greggio siberiano nel mercato asiatico alcuni anni fa attraverso
la mega pipeline diretta verso est, la Russia si sta impossessando di una grossa fetta
no, cui contribuiscono principalmendel mercato energetico e sta vendendo direttamente alla Cina
te le esportazioni di
gas naturale, di cui
bpd = barrel per day
Giacimenti petroliferi siberiani
l’Uzbekistan è il se(barili di greggio al giorno)
RUSSIA
condo produttore dell’area centro-asiatica,
Gasdotto ESPO Fase1
Gasdotto Russia-Kazakhstan
dopo la Russia, con
1 milione bpd
140.000 bpd
circa 60 miliardi di
Giacimento
Gasdotto ESPO Fase 2
metri cubi l’anno. Di
Omsk
petrolifero
600.000 bpd
Taishet
questi,
15 miliardi arSkovorodino
di Aktobe
rivano
sul mercato
Pavlodar
Komsomolsk
Gasdotto Russia-Cina
degli
“stan”
limitrofi e
Astana
Giacimento petrolifero
300.000 bpd
soprattutto
della Cidi Kumkol
(600.000 bpd nel 2018)
na,
segno
che
dalla
Atasu
Atyrau
Daqing
Alashankou
bottom ten alla top twenKhabarovsk
MONGOLIA
Giacimento K A Z A K H S T A N
ty mondiale il passo
petrolifero
Shymkent
può essere molto,
Kozmino
di Kashagan
molto breve. (D.S.)
Pechino
Giacimenti petroliferi
Tianjin
Mar Caspio
500 miles
500 km
Fonte:
World Energy Atlas;
Reuters
Gasdotto Kazakhstan-Cina
400.000 bpd
Seoul GIAPPONE
COREA DEL SUD
Tokyo
CINA
Gasdotto petrolifero
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/UZBEKISTAN
LOOKOUT 4 - aprile 2014
71
economia
Un’economia
che fila
Tra i Paesi a più alto tasso
di crescita al mondo, potrebbe
raddoppiare il PIL nazionale
nel medio-lungo periodo.
Ma dipende ancora moltissimo
da Mosca
mongolia
Cashmere
Oltre alla
Mongolia,
i produttori
più importanti
sono Iran, Tibet
e Afghanistan
72
I
n seguito alla caduta del Muro di Berlino, la Mongolia
è passata da un’economia pianificata sotto il regime
comunista a un’economia improntata al libero mercato. Tale cambiamento non è avvenuto senza criticità e, negli anni Novanta, la povertà è aumentata esponenzialmente a causa della cessazione degli aiuti statali e
dell’accesso gratuito a diversi servizi, tra cui l’istruzione.
Oggi l’economia mongola si regge su due pilastri: le attività agricolo-pastorali, che rappresentano il 15% del PIL e
di cui si curano per lo più i nomadi (che costituiscono il
40% della popolazione); e l’industria estrattiva, che si è sviluppata soprattutto negli ultimi anni. La Mongolia, infatti,
oltre al petrolio (ancora scarsamente sfruttato) possiede
non trascurabili risorse minerali: carbone, rame, oro, argento, ferro e uranio, cui la Russia è particolarmente interessata. Se questo settore ha garantito una crescita economica pari al 17% negli ultimi due anni, anche l’industria
tessile ha contribuito alla crescita dell’economia: la Mongolia è diventata così il terzo produttore di cashmere al mondo, con una quota sul totale mondiale del 30% (non è un
caso che l’Italia stia incrementando le relazioni commerciali tra i due Paesi proprio in questo settore).
LOOKOUT 4 - aprile 2014
Incuneata tra Cina e Russia, è proprio
grazie a questi due partner commerciali giganti che la Mongolia è oggi tra
i Paesi a più alto tasso di crescita al
mondo e con la prospettiva di un raddoppio del PIL nel lungo periodo (oggi pari a 10,26 miliardi di euro). Di
converso, il punto di debolezza del
Paese è proprio l’eccessiva dipendenza energetica dalla Russia, il che la
rende vulnerabile alle variazioni del
prezzo degli idrocarburi. Provenendo
il 95% dei ricavati dal petrolio di Mosca, i rapporti bilaterali dei due Paesi e, inevitabilmente, la dipendenza
mongola - sconfinano anche negli altri settori. In primis quello estrattivo,
dove negli ultimi anni Ulan Bator ha
siglato con Mosca accordi per oltre 7
miliardi di dollari. Mosca si è offerta
anche di espandere la rete ferroviaria
(la famosa Transiberiana) in cambio
delle licenze per lo sfruttamento delle
miniere di rame e carbone.
Ciò nonostante, la Mongolia ha tentato di diversificare la propria economia e non si è fermata ai confini, consolidando i rapporti commerciali anche con Giappone, Canada, Australia
e Stati Uniti. Allo scopo di aumentare
gli investimenti esteri, ad esempio, il
Parlamento mongolo ha oggi una legge che regola i diritti degli investitori
stranieri e li vincola a investire in qualsiasi settore dove non sia vietato
dalla legislazione, a registrare imprese e a rimpatriare gli utili degli investimenti, equiparando tutto ciò alla tutela giuridica dei cittadini mongoli. Inoltre, secondo
tale legislazione, gli investimenti
non possono essere oggetto di
espropriazione o nazionalizzazione.
economia
cecenia
Il nuovo corso
georgiano
georgia
D
Guerra
alla dichiarazione di indipendenza dalla Russia
nel 1991, la Repubblica
di Cecenia continua a
essere ostaggio delle
spinte separatiste dei gruppi islamisti
del Caucaso settentrionale e dei traffici
illeciti dei signori della guerra locali.
Dal 2007 al potere c’è il primo ministro Ramzan Kadyrov: un passato da
leader paramilitare, un presente da dittatore e una passione per il calcio (è
presidente della squadra Terek Groznyj). Il tesoro che possiede si chiama
petrolio. I giacimenti sono concentrati
principalmente nel distretto della capitale Grozny e producono giornalmente
circa 4mila tonnellate di greggio. Ciò
che però interessa di più a Mosca, che
di fatto controlla militarmente buona
parte del territorio ceceno, è tutelare
due dei suoi oleodotti più strategici,
quelli che collegano le riserve del Mar
Caspio al terminal di Novorossisk sul
Mar Nero. Senza dimenticare le importanti linee stradali e ferroviarie che attraversano la Cecenia e che permettono al commercio russo di raggiungere
i mercati dell’Europa dell’Est. C’è poi
il sogno del premier Kadyrov, che vuole fare di Grozny una moderna metropoli. Il boom edilizio degli ultimi anni
ha prodotto un grande impianto sciistico e una schiera di alberghi a cinque
stelle. Difficile però che nel breve periodo il turismo possa diventare una nuova risorsa per l’economia del Paese.
Nell’agosto del
el 2006 viene inaugurato l’oleodotto Baku-Tbi2008 le truppe
lisi-Ceyhan: otto pipeline che si diramano per
russe hanno
quasi 1.800 chilometri trasportando fino a un
invaso la città
milione di barili di petrolio al giorno dal terdi Gori, a 90 km
minal azero di Sangachal, sul Mar Caspio, alle
dalla capitale
Tblisi
coste mediterranee della Turchia. È lungo queste tubature che
si è giocata una delle sfide energetiche più importanti
degli ultimi anni. Da una parte il blocco occidentale, titolare dell’oleodotto con in testa la britannica
Sono ben
British Petroleum. Dall’altra Mosca, che per scongiurare il sorpasso sul suo oleodotto, il BakuNovorossijsk, nell’agosto del 2008 ha approfittato dell’ennesimo scontro tra il governo georgiano, allora guidato dal presidente filoccidentale Mikheil Saakashvili, e la regione secessionista dell’Ossezia del Sud. In cinque giorni,
le imprese attive
le truppe russe hanno così occupato la città di
nel Paese
Gori, a soli 90 chilometri dalla capitale Tblisi, tracciando una linea rossa oltre la quale gli interessi strategici occidentali non si sarebbero più potuti spingere.
A sei anni di distanza, la Georgia prova a mettersi alle
spalle quel disastroso conflitto, che ha lasciato in eredità
un elevato tasso di disoccupazione, un disagio sociale diffu1991-1996
so e un sistema politico in larga parte corrotto, senza peral1999-2009
tro riuscire a contenere le spinte secessioniste non solo delLe due guerre
l’Ossezia del Sud ma anche dell’Abkhazia.
di Cecenia
Eppure negli ultimi anni la ripresa economica c’è stata. Le
aziende attive nel Paese sono circa 60mila (per lo più piccole
e medie imprese), anche se per molte di esse rimangono difficoltà ad accedere al credito, a reperire professionalità specializzate e a superare i vincoli del regime fiscale in vigore.
Chi era
Le elezioni dell’ottobre 2013 sono state vinte dalla coalizioDoku Umarov
ne Georgian Dreams, di cui fanno parte il presidente Giorgi
Il 18 marzo Kavkaz Center, il sito di
Margvelashvili e il premier Irakli Garibashvili, anche se in realriferimento dei militanti islamisti della Russia,
tà la regia del nuovo corso georgiano è diretta dal potente miha lanciato la notizia della morte di Doku Umarov,
liardario Bidzina Ivanishvili. L’obiettivo è stringere i tempi per
leader del gruppo terroristico Emirato del Caucaso,
firmare al più presto l’accordo di associazione con l’Unione
ricercato anche da Stati Uniti e ONU.
Europea, che porterebbe nel lungo periodo a un aumento di
A ucciderlo sono stati i servizi segreti russi:
PIL (+4,3%), esportazioni (+12,4%) e importazioni (+7,5%) e
l’FSB ha infatti resi noti i risultati di 33 operazioni
a una diminuzione dei prezzi al consumo (0,6%). Badando ovdi controterrorismo, che hanno portato
viamente a migliorare i rapporti con Mosca: un vicino troppo
all’eliminazione di 13 signori della guerra e 65
terroristi, tra cui appunto il “Bin Laden di Russia”
ingombrante di cui Tblisi non può non tenere conto. (R.B.)
N
60
mila
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73
economia
Con gli occhi
dell’Oriente
74
LOOKOUT 4 - aprile 2014
economia
Senza un accordo con uSa e unione europea,
il destino del Paese è segnato: le crescenti difficoltà
economiche non consentono più neanche l’accesso
alle cure sanitarie
iran | di Ottorino Restelli
L’
elezione di Hassan Rouhani a settimo presidente dell’Iran nel giugno
2013 ha coinciso con
un’evoluzione della strategia della Repubblica Islamica. Da una
parte, sono proseguite le esecuzioni degli oppositori (come nel caso del poeta
pacifista Hashem Sabaani, arabo-iraniano di Ahwaz e veterano della guerra
contro l’Iraq), la condanna degli intellettuali e riformisti (come l’attrice e
blogger Pegah Ahangarani, condannata a 18 mesi di reclusione), gli arresti
domiciliari (come per Hussein Moussavi e Mehdi Kharroubi) e la chiusura
di giornali (come il Bahar daily).
Dall’altra, si è avviato un rilancio dei
negoziati sul nucleare (Joint Plan Act,
novembre 2013), culminati nell’accordo quadro annunciato a Vienna lo
scorso febbraio tra il gruppo P5+1 - dove siedono Cina, Gran Bretagna, Francia, Russia, Stati Uniti e Germania - e il
ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, che prevede controlli in cambio di
allentamento e revoca delle sanzioni.
I commentatori attribuiscono questo
cambio di strategia all’azione delle sanzioni economiche che stanno stritolando l’economia di Teheran. Ma quali sono state le conseguenze economiche
rial
La moneta iraniana
ha perso il 50%
del proprio valore
solo nel 2013
dell’embargo sull’economia iraniana?
Nel 2013 l’allora ministro dell’Economia, Shamseddin Hussein, affermava che le entrate petrolifere della Repubblica Islamica erano diminuite del
50%, portando a 77 miliardi di dollari
tale quota per il 2012. In una energy-economy dove il petrolio costituisce l’80%
delle esportazioni e il 60% delle entrate statali, la caduta delle esportazioni scese a 1 milione di barili al giorno, soprattutto verso Cina e India - ha avuto
effetti devastanti sull’occupazione e
sui prezzi. Così, il rial nel 2013 ha perso il 50% del proprio valore (37% il
tasso d’inflazione ufficiale), mentre la
disoccupazione generale ha superato
il 12% e quella giovanile il 26%.
A ciò si aggiunga che, durante le due
presidenze Ahmadinejiad, il valore
delle aree urbane era cresciuto di oltre
l’80%, mentre quello delle abitazioni
nelle aree medesime si era più che raddoppiato (+220%) e ancor di più era
cresciuto il costo degli affitti (+250%),
provocando nel settore delle costruzioni una vera e propria bolla dei prezzi,
che si è poi tradotta in una scarsità di
abitazioni accessibili. Nel 2007, il presidente stesso aveva lanciato il “Mehr
Housing Plan”: un piano di edilizia popolare rivolto ai ceti meno abbienti,
tradizionale serbatoio di consensi per
la teocrazia sciita, che puntava alla costruzione di 1,5 milioni di abitazioni in
17 città iraniane e che aveva lo scopo di
calmierare i prezzi e risolvere le tensioni abitative (per inciso, il governo voluto dal presidente Rouhani ha poi bloccato il conferimento di appartamenti a
pasdaran e amministratori vicini ad Ahmadinejiad). In realtà, secondo il nuovo ministro dell’economia Ali Tayebnia, il “Mehr Housing Plan” è responsabile di aver alimentato le tensioni inflazionistiche e i gravi problemi di bilancio per la Repubblica.
Secondo il rapporto Iran Sanctions
pubblicato a gennaio 2014 dal Congressional Research Service degli Stati Uniti,
le sanzioni hanno ridotto del 60% le
vendite di petrolio, facendo scendere
a 35 miliardi di dollari i ricavi da
esportazioni di greggio nell’ultimo anno, rispetto ai 100 miliardi del 2011. Il
PIL si è così ridotto del 5% nel 2013.
La produzione auto, tanto per fare
un esempio, si è ridotta del 40% rispetto al 2011: le imprese manifatturiere,
quando non chiudono, hanno una larga sottoutilizzazione degli impianti e
sono costrette a impiegare prodotti cinesi, spesso di mediocre qualità (come
freni per le auto in amianto e vernici
Il dizionario
Nonostante le buone
prospettive circa il dialogo
avviato dalla Repubblica
Islamica con gli USA e
l’Occidente, Teheran non
resiste alla tentazione di
provocare il “Grande
Satana”. Il presidente
Rouhani ha infatti scelto
come rappresentante
iraniano al Palazzo di
Vetro dell’ONU Hamid
Aboutalebi, accusato di
aver partecipato
all’assalto del 4 novembre
1979 all’ambasciata Usa a
Teheran, durante il quale
furono tenuti prigionieri
52 diplomatici e
funzionari americani
per ben 444 giorni.
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economia
tossiche), in base all’accordo del
2011 tale per cui il 40% del petrolio esportato in Cina viene pagato in yuan e speso in gran parte per l’acquisto di questi prodotti provenienti da Pechino.
Inoltre, la crescente difficolta di assicurare i pagamenti
cash degli stipendi ai dipendenti dello Stato e l’esplosione
dell’inflazione (stimata tra il
50% e il 70%) hanno indotto il
nuovo governo a rivedere il sistema di sussidi definito da Ahmadinejiad e a distribuire direttamente beni alimentari ai cittadini. Il programma di aiuti alimentari ha dapprima riguardato i cittadini con un reddito inferiore a 5 milioni di rial al mese
(pari a 170 dollari), che ha interessato 4 milioni di persone
su una popolazione di 77.
Quindi, è stato esteso a oltre 17
milioni di iraniani. Per ricostituire le riserve della Banca
Centrale dissanguate dall’embargo, l’Iran ha iniziato a rastrellare oro sui mercati e a esigere in oro anche il pagamento
delle esportazioni, come nel caso del gas alla Turchia.
Infine, per quanto riguarda il
sistema sanitario nazionale, il rapporto pubblicato dal Global Research del Centre for Research Globalization (ottobre 2013) testimonia
il verificarsi di un vero e proprio
disastro sanitario. Non solo l’accesso ai più diffusi sistemi diagnostici - come radiografie, TAC,
RM - risulta spesso compromesso, ma anche l’uso di esami di laboratorio e di anestetici si rivela
quasi impossibile: basti pensare
che l’assenza di kit di laboratorio
costringe a inviare i campioni di
sangue o urine in Turchia. La situazione è ancora peggiore per
quanto riguarda i farmaci per la
cura di patologie più complesse,
come le malattie cardiovascolari
e il cancro (ogni anno 85mila
nuovi casi di cui 30mila mortali,
in crescita per l’impossibilità di
accedere a medicine e trattamenti adeguati e con un’età d’incidenza inferiore ai 30 anni).
Il 20 marzo scorso, gli iraniani
hanno festeggiato Nowruz (capodanno) in un clima di ristrettezze
e disagio, quando non di vera e
propria emergenza economica,
con bazar semivuoti e vacanze rigorosamente in casa, nella speranza però che il nuovo corso delle relazioni internazionali, testimoniate dalla recenti visite a Teheran di
parlamentari e ministri dell’Unione Europea, ripristini al più presto
le condizioni di normalità e riavvii
la crescita economica del Paese,
stimata nelle attuali condizioni dalla Banca Mondiale in un insufficiente +1% nel 2014, +1,8% nel
2015 e +2% nel 2016.
L’opinione degli americani
Le relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e l’Iran sono
migliorate. Qual’è il suo giudizio?
Gli USA fanno bene a promuovere
le relazioni diplomatiche con l’Iran
Gli USA dovrebbero essere
più duri e aumentare le sanzioni
36%
Non sa
28
37
A proposito del programma nucleare iraniano,
pensa che lo scopo sia...
6
Pacifico (energetico)
Militare (bombe nucleari)
63
Non sa
31
Per impedire all’Iran di sviluppare la bomba atomica,
gli USA dovrebbero....
32
Usare i canali diplomatici
6
Usare la forza militare
39
Entrambe
4
Né l’una né l’altra
18
Non sa
Gli USA e altre potenze mondiali hanno raggiunto un accordo di
massima con l’Iran per congelare il programma nazionale sul
nucleare in cambio dell’alleggerimento delle sanzioni. È favorevole?
Favorevole
44
Contrario
22
Non sa
34
Se l’accordo fallisce, gli USA dovrebbero...
Continuare la via diplomatica
31
Incrementare le sanzioni
49
Usare la forza militare
20
Non sa
25
Sondaggio realizzato tra il 24 e il 26 novembre 2013
su un campione di 591 soggetti.
Intervallo di credibilità 4,9 punti percentuale.
Fonte: Reuters/Ipsos
50%
Traffico d’armi nel Mar Rosso
inizio marzo al largo delle coste sudanesi la marina israeliana ha
sequestrato la nave “Klos-C” battente bandiera panamense, che
nascondeva nelle stive 40 missili M-302, 181 colpi di mortaio e
400 mila proiettili per armi automatiche. Il primo ministro israeliano,
Benjamin Netanyahu, ha subito puntato il dito contro Teheran, definendo
la spedizione nel Mar Rosso un’operazione clandestina organizzata
dal governo iraniano per armare Gaza e colpire così Tel Aviv.
Arrivato da Damasco al porto meridionale iraniano di Bandar Abbas,
il carico ha sostato inizialmente nel porto iracheno di Umm Qasr, dove
sarebbe stato mimetizzato tra sacchi di cemento. Da qui ha ripreso
il mare circumnavigando la penisola arabica, fino al fermo avvenuto
al confine marittimo tra Eritrea e Sudan.
A
76
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all neWS
economia
emirati arabi
Gli Stati della Federazione
sono davvero uniti
iraq
Petrolio: USA e Russia
mettono da parte la Guerra
Fredda
Per sostenere la ripresa
economica di Dubai, Abu
Dhabi ha deciso di
estendere il suo prestito
di 20 miliardi di dollari, in
scadenza a fine 2014, per
altri cinque anni al tasso
di interesse dell’1%
N
uove joint venture in vista tra la compagnia americana ExxonMobil e la società
russa Rosneft. I due colossi stanno esercitando pressioni su Baghdad per entrare direttamente in affari con il governo cudo di Erbil e
sfruttare i ricchi giacimenti di gas e petrolio del
Kurdistan iracheno. Altra partnership è in corso
anche nell’impianto di Arkutun-Dagi, nell’isola di
Sakhalin, al largo delle coste russe del Pacifico.
auStralia
cuba
L’Avana apre
ai mercati esteri
La crisi delle raffinerie
australiane
I
l 29 marzo il parlamento cubano ha approvato
una nuova legge che regolerà la partecipazione dei capitali esteri in tutti i settori dell’economia nazionale, escluse la sanità e l’istruzione.
Per le aziende straniere è prevista l’esenzione delle imposte e l’adozione di misure protettive ad
hoc. Il primo Stato a beneficiarne sarà il Brasile,
che ha già avviato una serie di partnership con Cuba. Il fatturato bilaterale nel 2013 ha raggiunto
quota 624 milioni di dollari.
N
el 2015 British Petroleum chiuderà i battenti nella raffineria di Bulwe, situata nell’isola di Brisbane, in Australia. Lo stabilimento, attivo dal 1960 e in grado di produrre più
di 100mila barili di carburante al giorno, paga la
concorrenza dei grandi impianti asiatici. Oltre BP,
anche Royal Dutch Shell e Caltex Australia sono
pronte a lasciare le raffinerie australiane, che per
il futuro potrebbero essere convertite in terminal
petroliferi.
portogallo
cina
Pechino aumenta
la spesa pubblica
La ripresa
portoghese
E
D
ntro il 2014 Pechino investirà 150 miliardi di
yuan (24 mld di dollari) in obbligazioni, per
ammodernare la rete ferroviaria nelle regioni centrali e occidentali e istituirà un fondo di cireuro all’ora:
ca 300 miliardi per la realizzazione di altri 6.600
il salario minimo
chilometri di binari nelle aree meno sviluppate.
approvato
Un altro miliardo di yuan sarà utilizzato per la codal governo
struzione di nuovi alloggi.
tedesco
8,5
opo anni di austerity, il Portogallo torna a
respirare. Nell’ultimo trimestre del 2013,
grazie alle esportazioni l’economia è cresciuta dell’1,6% rispetto allo stesso periodo del
2012, dato più alto della zona euro. La prova
della verità sarà però a giugno, quando terminerà il piano di aiuti varato dalla Troika nel
2011.
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do you Spread?
Voci dal mercato globale
Economia italiana,
che macello!
di B. Woods
L
a Federal Reserve degli
Stati Uniti (FED) ha bocciato, sulla base del programma di verifica della
solidità del sistema finanziario nazionale (stress test), il piano
di dividendi e di riacquisto di azioni
proprie proposto da cinque delle
maggiori banche americane, tra cui
Citigroup, e quello di alcune filiali americane di grandi banche europee, tra
cui HSCB, RBS, Santander, mentre ha
approvato quello di Goldman & Sachs
e Bank of America solo dopo un notevole ridimensionamento. Barclays e Deutsche Bank non sono nell’elenco solo
perché quest’anno non sono state prese in esame, ma sulla loro sottocapitalizzazione la FED si è già pronunciata
nei mesi scorsi.
A tutt’oggi le banche americane e le
loro omologhe estere (parliamo delle
banche “Too Big To Fail”) hanno sborsato 100 miliardi di dollari al governo
degli Stati Uniti, secondo gli accordi,
per evitare di esser incriminate per vari reati (frode, insider trading, etc.)
commessi ai danni dei risparmiatori
durante la crisi dei mutui sub-prime
(2008-2009). Nonostante ciò, nel 2013
le sei maggiori banche americane
hanno fatto registrare profitti pari a
76 miliardi di dollari, seconde solo al
top registrato prima della crisi finanziaria del 2006 (82 miliardi). Ma allora
si era nel mezzo della bolla sugli immobili e all’interno di una prolungata
espansione economica, e non invece
78
LOOKOUT 4 - aprile 2014
durante la cosiddetta “Depressione
Minore” quale viviamo adesso.
Per il 2014, le previsioni dicono che
i profitti dovrebbero crescere ancora,
ma se l’applicazione anche parziale
della “Volcker rule” (la legge che limita il trading proprietario) fa dipendere le banche dagli ordini dei clienti e
se i mutui immobiliari sono ai minimi
e il resto del mercato del reddito fisso
segna un meno 25% nei ricavi nel primo trimestre del 2014, da dove verranno i profitti?
Il rapporto per il terzo trimestre del
2013 dell’OCC (Office of the Comptroller of the Currency) degli Stati
Uniti, l’ultimo disponibile, riporta che
il valore nozionale dei contratti derivati detenuti da banche e assicurazioni è
cresciuto del 3%, raggiungendo i
240mila miliardi di dollari (di cui
223mila concentrati nelle mani di JP
Morgan, Citigroup, G&S e Bank of America), a fronte di un valore nozionale
globale di 693mila miliardi di dollari
(PIL mondiale di circa 70mila miliardi
di dollari a valori correnti). Quindi,
come prima e più di prima, siamo seduti su una bomba a orologeria.
Come se non bastasse, l’effetto collaterale combinato della Grande Recessione, della Depressione Minore e
delle politiche monetarie espansive,
che hanno fatto esplodere gli indici
azionari e i mercati delle obbligazioni,
è stato quello di accrescere le disuguaglianze sociali facendo sì che - come
sottolinea anche Paul Krugman, premio Nobel per l’economia e columnist del New York Times - la ricchezza
PER SAPERNE DI PIÙ
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dello 0,1% dei più ricchi degli USA sia toccato il 12,9%, quella giovanile ha
cresciuta dal 7% del 1977 fin oltre il superato il 42%, e le previsioni di cre21% del 2013, mentre la quota di ric- scita indicano uno striminzito +0,6%
chezza detenuta dal ceto medio sia del PIL per il 2014. Quindi, nonostanscesa dal 47% del 1959 al 35% del te l’avanzo primario e l’attivo delle
2012, in ulteriore riduzione.
partite correnti di 18 miliardi (0,5%
Nell’eurozona continua la pratica del PIL), l’economia non dà segni di
suicida dell’austerità, che ormai ha ripresa e si avvia a scontrarsi contro
scambiato definitivamente l’aggettivo gli ulteriori vincoli imposti dal ri“espansiva” con quello più corretto di spetto del Fiscal Compact, ovvero ri“deflattiva”. Se mai ce ne fosse stato bi- duzione del debito a un ammontare
sogno, si è trovata conferma che le po- pari al 60% del PIL in 20 anni e oblitiche pro-cicliche risultano devastan- bligo del pareggio del bilancio pubti per le economie. Mentre lo
blico dal 2016.
spread sui titoli di Stato
Quest’ultimo errore si
decennali italiani e il
deve alla scorsa legislatuSe non
Bund tedesco è sceso
ra che, tra aprile e lucresceremo al
a 174 punti, i BTp
glio 2012, ha approvadecennali sono stati
to a larga maggiorancollocati all’asta di
za bipartisan queste
marzo al 3,29% (miimposizioni, trasforoccorrerà trovare tra mandole
nimo dal 2005),
in principi
i 40 e i 50 miliardi costituzionali (vedi
mentre i BTp quinquennali all’1,88%. La
articoli 81, 97, 117 e
ogni anno
spiegazione è abbastanza
119 della Costituzione).
semplice: data l’abbondanIl Governatore della Banza di liquidità presente nei merca d’Italia, Ignazio Visco, ha afcati finanziari e il crollo generalizzato fermato che o si cresce alla media del
delle economie e valute dei cosiddetti 3% annuo oppure occorre trovare dai
Paesi emergenti (non se n’è salvato 40 ai 50 miliardi ogni anno. Consideuno), gli investitori hanno riscoper- rando che la spesa pubblica dell’Italia,
to il Vecchio Continente, dopo aver al netto del rifinanziamento del debisottoscritto qualunque cosa nel mer- to e dei relativi interessi, ammonterà a
cato USA. E chi meglio della vecchia 404 miliardi nel 2016 (a fronte di un
e generosa Italia, che paga sempre debito pari a 2.089 miliardi a marzo
diligentemente?
2014) e che le tasse continueranno ad
Nel frattempo, l’economia reale del- aumentare, in queste condizioni si
l’Italia sta collassando. Come noto, il può ancora parlare di un futuro che
rapporto debito pubblico/PIL ha rag- non ci sta rapidamente precipitando
giunto il 133%, la disoccupazione ha in un Nuovo Medioevo?
3%
LOOKOUT 4 - aprile 2014
79
Sicurezza
Siria
Una testimonianza
da Aleppo
libano
Tripoli, chi comanda
in città
repubblica
centraFricana
Guerra e religione
80
LOOKOUT 4 - aprile 2014
Sicurezza
Mentre il presidente Bashar
Al Assad da Damasco sostiene
di essere vicino alla vittoria e di non
voler fare “la fine di Yanukovich”,
in tutto il territorio siriano
la popolazione è stremata
dalla guerra e dalla fame.
Ecco una testimonianza diretta
Vi
racconto
la mia
Siria
Siria | di Mariana Diaz
L
a guerra in Siria non dà
segnali di miglioramento.
Mentre l’attenzione della
stampa occidentale si
concentra sulla questione
delle armi chimiche, chi vive (o sopravvive) ancora nel Paese subisce le
conseguenze dell’embargo internazionale ed è alle prese con la violenza
quotidiana, dove cristiani e musulmani corrono la stessa sorte. Naman Tarcha, giornalista siriano, svela uno dei
tanti volti della guerra e ci proietta
nella realtà di un Paese a metà.
Com’era la Siria prima della guerra?
Era un paese equilibrato in cui convivevano diverse etnie e religioni. Eravamo rappresentati da un governo
guidato insieme ad altre minoranze
senza oltraggiare nessuno. Economicamente, non era un Paese molto ricco ma disponeva di risorse proprie e
non aveva debiti. Al contrario di ciò
che crede l’Occidente, la libertà sociale era garantita e l’istruzione era gratuita per tutti. A livello politico, non
eravamo una democrazia in stile occidentale, certo, ma oggi abbiamo perso
tutto.
Qual è la situazione dei cristiani
che vivono ancora in Siria?
Soffrono, ma non sono gli unici. I
cristiani siriani appartengono al ceto
medio alto e molti sono fuggiti. Mia
madre, purtroppo, vive ancora ad
Aleppo, e nonostante veda che al posto della croce adesso nelle chiese
sventola la bandiera di Al Qaeda, continua ad andare a messa. In questo
momento, la Chiesa e le parrocchie
sono un punto di riferimento che, insieme alla Caritas, aiutano tutti. Anche i musulmani.
LOOKOUT 4 - aprile 2014
81
Sicurezza
I bambini siriani e la guerra civile
Il numero di bambini colpiti dalla guerra
civile in Siria è più che raddoppiato nel
corso dell'ultimo anno, secondo il
rapporto dell’UNICEF.
500.000
Marzo
2012
2,3
milioni
Marzo
2013
5,5
milioni
Marzo
2014
Rifugiati
Bisognosi di assistenza umanitaria
4.300.000
Siria
491.717
in Libano
325.239 301.729 75.007 59.681
Turchia Giordania Iraq Egitto
Numero di bambini a cui è negata l’istruzione
Totale 2,7 milioni
2.300.000
Siria
Rifugiati
186.276 92.598 77.770
Libano Giordania Turchia
25.519 3.911
Iraq Egitto
Fonte: Unicef
Quale ruolo ha assunto
lo Stato nei confronti
dei cittadini?
Malgrado la guerra, il governo continua a dar lavoro e a
pagare gli impiegati, ha cercato di intensificare gli aiuti e il
nostro è tuttora uno Stato che
funziona. Quello che l’Occidente non capisce è che la Siria è un Paese con delle istituzioni e un Parlamento che
svolge ancora le sue funzioni.
Come giudichi l’operato della
comunità internazionale?
È terribile vedere come
l’Occidente ci dichiara guerra.
L’Unione Europea ha mantenuto una politica ambigua e
ipocrita: mentre piange i rifugiati, al tempo stesso vieta il rilascio di visti d’ingresso e porta avanti un embargo che colpisce soltanto i cittadini. Infatti,
mancano gli alimenti, il gas e le
medicine, e gli ospedali non
riescono a erogare i servizi come vorrebbero. La corrente
82
LOOKOUT 4 - aprile 2014
funziona solo per qualche ora
al giorno, l’inflazione è alle
stelle e oltre il 60% delle persone è senza lavoro. Così, in
Siria oggi ognuno cerca di sopravvivere come può.
Si ritiene che gli Stati Uniti,
indirettamente, stiano
armando i ribelli. È vero?
Nessuno dubita di questo in
Siria. Gli Stati Uniti non hanno mai smesso di armare i ribelli e il traffico di armamenti
è una realtà. Le armi vendute
ai Paesi del Golfo finiscono
nelle mani della stessa Al Qaeda e gli aiuti europei e statunitensi arrivano, volenti o nolenti, ai ribelli.
Da giornalista, i media
occidentali come stanno
raccontando quel che
accade?
I giornalisti non sanno più
che dire. Fino a ieri erano dalla parte dei ribelli e parlavano
di una “primavera siriana” e di
un popolo che si ribellava per
la democrazia. Ora non sanno
più spiegare come mai, dopo
tre anni di conflitto, la gente
viene sgozzata dai ribelli e la
Sharia si è imposta in molte
regioni.
A maggio sono previste
le elezioni. Come viene
vissuto questo processo
elettorale?
Anche se all’Occidente non
piace, il nostro è un Paese che
ha un sistema politico e una
Costituzione, al contrario di
molti Paesi arabi che non prevedono nemmeno il voto. Le
elezioni sono state annunciate
ma la campagna elettorale
non mi pare sia stata ancora
avviata. In questi giorni il Parlamento ha approvato la legge
elettorale siriana e probabilmente Assad otterrà la maggioranza dei consensi. Questo spaventa l’opposizione che non
ha né le basi né la credibilità
per vincere le elezioni.
Lakhdar Brahimi,
negoziatore ONU
per la Siria
“Se e quando
il presidente
Bashar Assad
si candiderà,
allora sarà molto
difficile portare
avanti il processo
di pace in Siria”
Sicurezza
Libano, le mani su Tripoli
A
fine marzo il
centro Aishah
Media Center ha
pubblicato l’annuncio attraverso cui lo sceicco Abi Saad AlAmili, teologo molto autorevole in Libano, si è rivolto a tutti i
sunniti libanesi invocando la
lotta per la jihad. Si tratta di una
mossa che rischia di avere delle
conseguenze preoccupanti per
la stabilità del Paese dei Cedri.
Un clima di tensione di cui
potrebbe approfittare il regime
siriano. Da settimane, infatti,
le truppe di Bashar Assad stanno portando avanti una manovra ben precisa, mirata a spingere oltre le frontiere libanesi
i combattenti jihadisti asserragliati nelle roccaforti ribelli
nel triangolo di Al-Zabadani,
al confine tra i due Paesi.
L’obiettivo di Damasco è
provocare uno scontro tra
queste milizie e i gruppi sunniti libanesi, che dal Libano
sostengono le offensive dei ribelli siriani. Già centinaia di
jihadisti sono penetrati in Libano, principalmente nella
Valle della Beqaa.
Una delle aree più a rischio
è Tripoli: una città sempre più
fuori dal controllo del governo libanese, i cui quartieri sono in mano a leader salafiti
che dispongono di milizie formate in media da 30-50 combattenti. Insomma, una polveriera che rischia di esplodere
al primo contatto con l’ondata di miliziani jihadisti in arrivo dalla Siria.
Amer Arij
(60 combattenti)
MALLOULEH
BAAL
EL DARWISH
Saad Al-Masri,
vicino all’ex primo
ministro Mikati
(100 combattenti)
Alleato a Jolan
Tabouch e Mohammed
Al-Jandah
(25 combattenti)
Fonte: OGMO Osservatorio Geopolitico
Medio Orientale
MANKUBIN
Chadi Jabara, leader salafita,
in passato arrestato
e successivamente scagionato
(40 combattenti)
RIVA
STARCO
Ziad Saleh, detto “Ziad Al-Alouki”,
vicino al Ministro della Giustizia Rifi
(150 combattenti)
ESCLUSIVO
Chi sono
i gruppi armati
salafiti che
controllano
i quartieri
della città
Husam al-Sabagh,
emiro dei salafiti
(300 combattenti)
Jihad Al-Dandachi
“Abou Taymour”
AL OUMARI
AL SAYDEH
BAQQAR
BERRANIYEH
QUBBEH
Samir Al-Masri
Rione Al-Chaarani 1: Ahamad Al-Masri “Habibo”
Rione Al-Chaarani 2: Abou Abed Al-Kader,
Abou Hzeiki, Abou Ali “Al-Ciciani”
(200 combattenti)
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83
Sicurezza
In fuga
dall’Africa
Dove sino a pochi anni fa i cristiani vivevano
nel rispetto delle comunità locali, oggi
divampano violenze e scontri. Non si tratta
però solo di guerre per la fede
repubblica
centraFricana | di Rocco Bellantone
M
entre i Paesi del Maghreb guardano al futuro dopo la fallimentare stagione delle
primavere arabe, più a sud oltre il deserto
del Sahara si allunga la lista dei cosiddetti
“Failing State”, ovvero Stati sull’orlo di
crisi politiche, economiche e sociali senza ritorno. Il mainstream occidentale spesso si limita a individuarne le cause
in elementi di carattere etnico-religioso, quando invece sono anche altri i fattori in gioco: le infiltrazioni terroristiche di matrice islamista, i traffiNegli
ci dei potenti signori della guerra, oltre agli
scontri almeno
interessi economici ed energetici delle potenze occidentali che dalla Nigeria al Mali,
passando per il Sud Sudan e la Repubblica
Centrafricana, hanno fatto valere il loro pemorti e oltre
so nella destituzione di governi e nel passag2 milioni di
gio del potere a nuove leadership.
È pertanto difficile stabilire quanto il fattore
sfollati
religioso conti effettivamente in queste instabilità
latenti, e il caso della Repubblica Centrafricana ne è
forse la dimostrazione più emblematica. In questo Paese,
grande il doppio dell’Italia e abitato da poco più di 5 milioni
di persone, la situazione è esplosa nel marzo del 2013, quando
i miliziani di Seleka, alleanza di gruppi ribelli musulmani,
hanno destituito François Bozizé e consegnato il governo a
Michel Djotodia. È qui che ha avuto inizio il caos con razzie,
2.000
84
LOOKOUT 4 - aprile 2014
stupri e omicidi di massa perpetrati dai
guerriglieri Seleka nei villaggi a maggioranza cristiana e, successivamente,
con la risposta sempre più violenta da
parte degli anti-balaka (“balaka” significa machete nelle lingue locali Mandja
e Sango). Il bilancio ad oggi è terribile:
circa un milione di sfollati (rifugiatisi
principalmente nei vicini Ciad, Camerun, Congo e Repubblica Democratica
del Congo) e almeno 2mila morti, nonostante il dispiegamento di migliaia
di soldati da parte dell’Unione Africana e del governo francese e l’arrivo dei
caschi blu ONU.
C’è chi in questi mesi ha provato a collegare questa mattanza al genocidio che,
tra l’aprile e il luglio del 1994, portò al
massacro di circa un milione di persone
di etnia Tutsi in Rwanda da parte delle
frange estremiste della minoranza Hutu.
Il parallelo però è azzardato, come spiega padre Aurelio Boscaini, dagli anni Settanta in missione in Rwanda, Burundi e
Togo, nonché firma storica di Nigrizia,
la rivista dei missionari comboniani.
Sicurezza
i maggiori
ricercati al mondo
Dove i cristiani
sono più a rischio
Rep. Centrafricana
Nigeria
Tanzania
Algeria
Mali
Niger
Ciad
Camerun
Egitto
Joseph Kony
5,000,000 $
nazionalità
Ugandese (Odek, 1961)
gruppo di
appartenenza
Lord’s Resistance Army
“In Repubblica Centrafricana - spiega non siamo di fronte a un mero tribalismo né a una guerra di fede, ma a una
guerra civile come quelle in corso in Somalia e Sud Sudan”. Dopo la destituzione di Djotodia, da fine gennaio il nuovo
presidente è Catherine Samba-Panza,
cattolica, ex sindaco di Bangui, sostenuta
dal governo francese. Ma dal suo insediamento le cose non sono migliorate.
“Qualcuno - precisa padre Boscaini - ha
voluto far passare gli anti-balaka come
milizie cristiane. Essi sono in maggior
parte animisti e per certi aspetti incarnano un’espressione ancestrale della cultura africana. Mi ricordano i ribelli africani
Simba (“leoni”), dell’attuale Repubblica
Democratica del Congo, che usavano erbe e prodotti particolari per tingere i loro corpi, il che secondo loro gli permetteva di non essere uccisi dalle pallottole.
I Seleka, invece, sono dei criminali, sbandati del Darfur, del Sudan e del Ciad,
musulmani di origine straniera che
vogliono imporre uno Stato islamico
in un Paese a maggioranza cristiana”.
Resta da decifrare, infine, quanto Al
Qaeda sia riuscita sinora a penetrare
questo come altri conflitti dell’Africa
Centrale. “In Centrafrica - conclude
padre Boscaini - l’arrivo di Al Qaeda è
stato una novità. Lungo il versante occidentale del Continente, in Paesi come Senegal, Ghana, Costa d’Avorio e
Camerun, il rispetto per la confessione cattolica si è ormai consolidato. Da
qualche anno, però, sempre più giovani di questi Paesi vanno a frequentare
le università islamiche come quella
del Cairo, dove vengono istruiti a pensare che l’istituzione di governi islamisti potrà essere l’unica soluzione ai
tanti problemi dell’Africa”. Sinora ha
però prevalso l’estremizzazione di
questi insegnamenti. Accade da tempo in Nigeria, con la campagna del
terrore di Boko Haram (“La cultura
occidentale è peccato”, ndr). E sta accadendo adesso in Repubblica Centrafricana, dove il caos ha ormai spazzato
via qualsiasi forma di rivendicazione
confessionale.
capo di
imputazione
Crimini contro l’umanità:
omicidi, stupri, sfruttamento
della prostituzione minorile
e arruolamento di bambini
soldato
note
Leader dell’Esercito di Resistenza
del Signore, gruppo ribelle che
dal 1987 combatte tra il nord
dell’Uganda, il Sud Sudan,
la Repubblica Democratica
del Congo e la Repubblica
Centrafricana, punta alla
formazione di un governo
autonomo basato sui Dieci
comandamenti della Bibbia.
Dal 2011 gli dà la caccia
anche il governo americano,
che recentemente ha inviato
a sostegno delle truppe
dell’Unione Africana aerei CV-22
Ospreys e militari delle forze
speciali. Attualmente sarebbero
circa 250 gli uomini agli ordini
di Kony.
LOOKOUT 4 - aprile 2014
85
outlooK
a cura di lorien conSulting
Verso le elezioni europee
C
ome abbiamo già avuto
modo di sottolineare,
assistiamo a una crisi
profonda delle principali istituzioni democratiche: alla crisi inesorabile dei partiti e del sistema di rappresentanza ha
fatto seguito una critica sempre più
serrata ai sistemi della rappresentanza
democratica. In questo quadro non fa
certo eccezione l’Unione Europea, pur
mantenendo tuttora livelli di fiducia
più alti rispetto alle principali istituzioni
nazionali (ad eccezione del Presidente
della Repubblica). Emerge soprattutto
un clima di profonda delusione nei
confronti dell’Unione Europea, che
rappresenta per molti un sogno inGli italiani considerano l’Unione:
franto, anche se allo stato attuale resta un mercato comune e una moneta
unica (30%), un peso econoun’opportunità per il nostro
mico per l’Italia (29%),
Paese e uscirne avrebbe conseguenze negative, seconuna fonte di finanziado la maggioranza degli
menti (27%), un moIn Italia
italiani. Essa, infatti,
do per competere
nelle economie glorappresenta un’opporbali (25%), uno spretunità secondo il 49%
euroscettici
co di risorse (19%).
e un sogno mai realizLa crisi di consenzato secondo il 47%
so
è alimentata so(erano possibili più rieuropeisti
prattutto dall’impressposte). Delusione e spesione di un’Europa lonranza, dunque, contando
tanissima dai cittadini e
anche che il 67% degli internondimeno un certo sentimenvistati ritiene comunque utile
to di euroscetticismo e di convinzione
per l’Italia far parte dell’UE.
41%
67%
La crisi delle istituzioni
L’UE secondo gli italiani
2013
Presidenza della Repubblica
Unione Europea
Comune
Regione
Parlamento
Sindacati
Partiti
86
67%
55%
45%
34%
25%
17%
16%
LOOKOUT 4 - aprile 2014
....................................................................................................................................................
«QUANTO HA FIDUCIA
NELLE PRINCIPALI ISTITUZIONI?»
«COSA RAPPRESENTA
L’UNIONE EUROPEA?»
Un’opportunità per l’Italia
2014
Presidenza della Repubblica
Unione Europea
Un sogno mai realizzato
Un mercato comune e una moneta unica
65%
48%
Un peso economico per l’Italia
Una fonte di finanziamento per progetti validi
Un modo per competere meglio nelle economie globali
Comune
Regione
Parlamento
44%
35%
20%
Uno spreco di risorse
Il primo passo verso il progetto di uno stato federale europeo
Una limitazione della sovranità nazionale
L’origine di numerosi obblighi e vincoli per i Paesi membri
Un organismo poco democratico
Sindacati
Partiti
23%
15%
L’unione delle banche
Non sa
49%
47%
30%
29%
27%
25%
19%
18%
18%
18%
16%
14%
3%
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LORIENCONSULTING.IT
Trend storico del calo dell’affluenza (Politiche VS Europee)
Affluenza elezioni politiche
Affluenza elezioni europea
92,2
93,8
93,8
92,9
92,8
93,2
93,4
90,6
88,8
88,0
87,3
86,1
83,0
86,1
83,6
82,9
81,7
81,4
80,5
75,2
74,7
73,1
70,8
65,1
60,0
1958
1963
1968
1972
1976
1979
che l’UE, così com’è, rappresenti un
peso: oggi ben il 41% degli italiani si
autodefinirebbe euroscettico. Il tema
dell’euroscetticismo sta tenendo banco
e preoccupando molto il dibattito internazionale: avanza l’ipotesi di una grande coalizione in salsa europea ed europeista per cercare di arginare il potere
crescente di numerose formazioni critiche verso l’UE, che potrebbero eleggere numerosi candidati al Parlamento.
Il 50% sarebbe favorevole a una grande coalizione europeista per arginare
le forze anti europee o euroscettiche.
Cosa si aspettano gli italiani dalle prossime elezioni per l’Europarlamento? Sul
piano elettorale solo il 29% (contro il
58%) crede nel successo annunciato da
molti dell’ultra-destra sull’onda dei risultati delle amministrative francesi. Dal lato più strettamente nazionale, il 53% degli italiani ritiene che le prossime elezioni rappresenteranno un test e una sorta
di referendum sul governo (come spesso è accaduto in passato).
Ma il vero elemento critico sarà rappresentato da calo atteso della partecipazione elettorale; non tanto come disinteresse verso la politica in sé, quanto
proprio come rifiuto dei meccanismi e
reazione alla frustrazione di percepire
1983
1984
1987
1989
1992
1994
1996
1999
continuamente l’intero mondo politico
troppo lontano dai propri problemi.
Il trend storico dell’affluenza alle elezioni è impressionante: all’astensione,
che potremmo definire fisiologica (circa
il 20%), nelle ultime elezioni si è ormai
aggiunta una fascia ulteriore che porta
gli astensionisti delle elezioni politiche
a superare il 25% e quelli delle amministrative ben oltre il 35%. Anche per le
2001
2004
2006
2008
2010
2013
2014
europee si assiste allo stesso trend e oggi Lorien prevede che l’astensione potrebbe anche superare il 40% (nonostante l’election-day unico con l’appuntamento per le amministrative).
L’identità dei nuovi probabili astensionisti potrebbe diventare determinante per l’esito elettorale: prevarranno le
forze politiche in grado di mobilitare
maggiormente il proprio elettorato.
Non vinceranno le destre, ma sarà necessaria una “grande coalizione”
«L’IPOTESI
DI UN SUCCESSO
PER L’ULTRA-DESTRA»
29%
58%
CREDONO
che l’estrema
destra avrà
un successo
straordinario
alle Europee
NON
CREDONO
che avranno
un successo
sorprendente
«L’IPOTESI DI
“GRANDE COALIZIONE”
EUROPEISTA»
50%
36%
FAVOREVOLI
alla GRANDE
COALIZIONE
in funzione
antieuroscettici
CONTRARI
alla GRANDE
COALIZIONE
LOOKOUT 4 - aprile 2014
87
Istituto: Lorien Consulting - Public Affairs - Criteri seguiti per la formazione del campione: campione rappresentativo per sesso, età e area geografica della popolazione italiana maggiorenne - Metodo di raccolta delle
informazioni: questionario telefonico (CATI, Computer Assisted Telephone Interview) - Numero delle persone interpellate ed universo di riferimento: 1.000 cittadini italiani maggiorenni; campione rappresentativo per
sesso, età e area geografica - Data in cui è stato realizzato il sondaggio: 28 Marzo 2014 - Metodo di elaborazione: SPSS - Direttore di ricerca: Antonio Valente
1953
.....................................................................................................................
1948
Sicurezza
l’opinione
Che
direzione
ha preso
il conflitto
in Siria?
roger bou chahine
Direttore OGMO - Osservatorio Geopolitico
Medio Orientale
C
hi crede che ormai il regime di Bashar Assad sia
destinato ad arrendersi si sbaglia. E lo stesso vale per chi sostiene che la Siria sarà in grado di
trovare una soluzione democratica a questo
conflitto, nominando un nuovo governo attraverso regolari elezioni. Il fronte dei sostenitori di Damasco
non è mai stato così compatto. Mentre fino a poco tempo fa
Assad poteva contare solo sull’alleanza della Russia (e dell’Iran), adesso non è più così. In Medio Oriente si sta infatti
assistendo a una vera e propria corsa verso Mosca, con la maggior parte dei Paesi del Golfo orientati in questa direzione.
Il governo russo sta sfruttando al massimo l’assenza totale
dell’Amministrazione Obama in questo scacchiere. Questo
nuovo scenario è dimostrato dalla recente rottura dei rapporti tra gli USA e l’Arabia Saudita, con Riad che ha preferito fare affari con Teheran, ovviamente con il benestare
dei russi. Con gli USA praticamente fuori dai giochi in Medio Oriente, la situazione si complica drammaticamente
per l’opposizione siriana. E a subirne le conseguenze presto potrebbero essere anche gli altri Paesi filo-occidentali
dell’area.
88
LOOKOUT 4 - aprile 2014
daniele donati
Chief Emergency Operations for Asia,
Middle East, North Africa, Europe and
Special Operations - FAO
D
all’inizio del conflitto in Siria, ogni giorno
120 persone perdono la vita e migliaia devono abbandonare le loro case. In totale, oltre
due milioni e mezzo di individui ha cercato
rifugio nei Paesi vicini. La produzione alimentare è in continuo declino. Le stime della FAO la collocano al 40% sotto la media. Dalle recenti negoziazioni della Conferenza di pace Ginevra 2 si attendeva un piano di
tregua e l’istituzione di corridoi umanitari. Invece, in tutto
il nord est del Paese e nelle aree rurali attorno a Damasco,
nella città vecchia di Homs e ad Aleppo, il collegamento
con le popolazioni rimane molto irregolare e incerto. La situazione è ancora peggiore a Daara, Raqqa, Deir Ez Zor e
Hassaqeh.
L’accesso ai mercati è continuamente interrotto dalle
azioni di guerriglia, l’inibizione dei commerci riduce l’offerta di cibo e fa impennare i prezzi proprio mentre cresce la
disoccupazione e diminuiscono i salari. I risparmi di milioni di persone si sono volatilizzati. A febbraio, solo 3,7 milioni di siriani hanno ricevuto aiuti alimentari dal Programma
Alimentare Mondiale. L’obiettivo di arrivare a quota 4,5
milioni non è stato raggiunto, ma sono comunque state distribuite le sementi per la stagione a 12mila famiglie: un aiuto importante per coprire i bisogni alimentari di un anno.
Tutto questo è però ancora insufficiente per scongiurare il
rischio di nuovi esodi di popolazione.
all neWS
Sicurezza
Filippine
iraq
Gli estremisti fuori
dagli accordi di pace
Un esercito di telecamere
per fermare le violenze
I
l governo iracheno punta sulla videosorveglianza per contrastare l’ondata di violenze degli ultimi mesi. La prima città a sperimentare il
sistema è stata la capitale Baghdad, che nel 2012 ha
acquistato 13mila telecamere di fabbricazione cinese. Investimenti sono stati effettuati di recente
anche dal governatorato di Bassora e da diverse
compagnie energetiche estere (tra cui la russa Lukoil)
per la protezione dei giacimenti petroliferi.
Svolta nei negoziati tra il
governo di Manila e il Fronte
di Liberazione Islamico Moro
dopo l’approvazione di una
legge che prevede la creazione
della regione autonoma di
Bangsamoro. Restano però
fuori dall’accordo i gruppi
estremisti Combattenti
Islamici per la Libertà e
Abu Sayyaf.
maleSia
qatar
Volo 370: fallita l’operazione
disinformazione della Cina
Doha in cerca di nuovi alleati
P
er fronteggiare le ostilità delle monarchie
del Golfo, il Qatar pensa a un riavvicinamento all’Iran. Fondamentale in questa strategia la collaborazione tra il capo
dei servizi segreti del Qatar Ghanim Al
Qubaisi e il ministro dell’Intelligence iraniano Mahmud Alavi. A Beirut in parallelo intensificati i contatti con il segretario
generale di Hezbollah Hassan Nasrallah.
I
servizi segreti di Pechino
avrebbero tentato di depistare i media internazionali
addossando agli Uiguri (cinesi musulmani) la responsabilità della scomparsa del volo 370 della Malaysian Airlines. Per farlo la Wu Chuan Teke, il reparto disinformazione dell’intelligence cinese, ha
inviato una serie di mail ai giornalisti di mezzo
mondo, fornendo “prove” sul coinvolgimento dei
separatisti islamici rivelatesi poi false.
coSta rica
Sgominata la PayPal
del crimine
Siria
Il ceceno Al Dulaimi
non perde il vizio
N
uovo caso diplomatico tra
Washington e Mosca per
a liberazione del gruppo di suore siriane, avl’estradizione negli Stati Uniti
venuto il 9 marzo dopo tre mesi di prigionia
di Maxim Chukharev, considerato la mente infornella città di Yabrud, è frutto di uno scambio
matica di Liberty Riserve, la piattaforma digitale
concordato con l’esercito siriano per il rilascio del
che in pochi anni ha guadagnato circa 6 miliarmiliziano ceceno Saja Hamid al-Dulaimi. Questi
di di dollari tra frodi on line e clonazioni di caruna volta liberato si è prontamente unito alla
l’incremento delle
te di credito. Il giovane è stato consegnato agli
Brigata libica Al Saikha. Lo scambio è stato ne- importazioni di armi
USA dal governo del Costa Rica, dove aveva sein Asia nell’ultimo
goziato da Abbas Ibrahim, capo della sicurezza lide la società.
quinquennio
banese.
L
34%
LOOKOUT 4 - aprile 2014
89
l’araba Fenice
donne, Società e i tanti Volti dell’iSlam
Futuwwa
al femminile
I campi di addestramento militari di Hamas
aprono alle donne
addestramento militari per giovani reclute, che vengono indottrinate secondo i valori dell’Islam radicale a coml termine futuwwa nella dottri- battere il nemico crociato/sionista,
na sufi indica una commistio- come vuole la dottrina jihadista. Le
ne di virtù che unisce la lealtà, futuwwa di oggi in Palestina poco hanl’altruismo, l’umiltà e la gene- no a che vedere con quell’ideale carosità. In sostanza, è ciò che valleresco di umiltà e altruismo. Ma è
con retaggio medievale potremmo de- comprensibile che, nell’ottica di chi
finire “cavalleria” e ha un richiamo difende il diritto a lottare contro
implicito alla gioventù (dal radicale F“l’occupante israeliano”, tali campi
T-Y, fatiyan “ragazzi”, fatayat
di addestramento trasponga“ragazze”). Tale nobiltà
no tutti i principi di leald’animo, che secondo
tà e dedizione che traSono
la stessa ideologia sufi
dizionalmente vengoalmeno
indica anche l’essere
no associati al termiuniti nell’amore verne nell’impegno di
so Allah, protende
formare le giovani
all’affermazione del
reclute alla lotta arle reclute
vero e del giusto.
mata, al fine di libepronte
Storicamente querare la Palestina e la
al martirio
sto concetto è stato
comunità islamica daespanso tanto da trovare
gli usurpatori.
applicazione diretta anche
Un video, pubblicato
negli ambienti militari: si ritiene
dall’Istituto di Ricerca mediatica
che la formazione dei giannizzeri (dal sul Medio Oriente (MEMRI) e andato
turco Yeniçeri) dell’Impero ottomano in onda su Al-Aqsa TV di Gaza lo scorsia stata improntata proprio a tali valo- so gennaio, mostra le performance
ri di cavalleria islamica, nell’ottica di militari di giovani reclute durante la
una comunione di intenti che la for- cerimonia conclusiva della fase di admazione militare condivideva, in op- destramento presso il campo scuola
posizione agli eserciti crociati.
di Hamas: la futuwwa “Talai’ Al-TaIn tempi moderni, l’estensione hrir”. Esaltazione delle capacità militalinguistica ha portato ad assegnare ri e glorificazione degli atti suicidi doquesto termine anche ai campi di minano il discorso d’indottrinamento
di Marta Pranzetti
I
13mila
90
LOOKOUT 4 - aprile 2014
Mamme e kamikaze
ideologico pronunciato dalle autorità di Hamas (Movimento della Resistenza Islamica, che da marzo è stato dichiarato organizzazione terroristica anche in Egitto) che
hanno presenziato alla cerimonia. Discorso che, come presumibile, è stato talmente amplificato al punto che Israele
ha lanciato l’ennesimo allarme terrorismo.
Ma la nostra attenzione non si concentra tanto sui proclami che incitano alla liberazione di Gerusalemme, o sulla
tetra prospettiva che dei 13mila giovani cadetti usciti dall’addestramento nella futuwwa di Hamas molti di essi diverranno potenziali “martiri” (terroristi). La nostra attenzione
riguarda un annuncio fatto nella stessa occasione niente
meno che dal leader di Hamas ed ex primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese, Ismail Haniyeh, tuttora facente funzioni di primo ministro nella Striscia di Gaza, di
fatto sotto il controllo di Hamas. Nell’esaltare l’educazione
alla jihad che deve essere impartita a tutte le future generazioni, egli invoca - rivolgendosi al ministro dell’Istruzione e dell’Interno, alle agenzie di sicurezza nazionale e alle
Brigate di Al Qassam (braccio armato di Hamas) - l’apertura delle futuwwa anche alle donne.
Ora, tenuto conto che queste costituiscono il 3% delle
forze di polizia palestinesi, nonché solo il 17,3% della forza
lavoro palestinese (rispetto al 69,3% maschile), la notizia
risulta alquanto singolare. Vero è che le donne sono sempre state un elemento attivo nella jihad islamica, seppur
non impegnate direttamente in battaglia (tranne nel caso
del terrorismo ceceno e in parte di quello palestinese, nel
quale proprio una fatwa di Sheikh Ahmed Yassin, fondatore e capo spirituale di Hamas, ammetteva le donne a compiere attacchi suicidi, in aperta controtendenza rispetto alle usanze del Movimento). Ma aprire l’addestramento militare jihadista alle donne suona come un effimero e poco
ragguardevole traguardo. E, seppur corretto nell’ottica della parità di genere, la mossa certo non rende entusiasti.
Così, mentre nella Scuola di Polizia di Gerico leggiamo
in questi giorni che le nuove reclute donna si preparano alle arti marziali e all’autodifesa - all’interno di un progetto
che prevede l’istituzione di una squadra antisommossa al
femminile che sarà presto operativa tra le strade della Cisgiordania - a Gaza si saluta con entusiasmo la proposta del
primo ministro, almeno stando agli applausi e ai fischi di
approvazione lanciati dalla fomentata platea, che risuonano come sottofondo nel video del MEMRI.
E
ra mamma di due bambini
piccoli, ma imbracciava kalashnikov invece che abbracciare i suoi figli: è passata alla
storia per essersi fatta esplodere
in un checkpoint di Erez, in un attentato rivendicato da Hamas e
dalle Brigate dei Martiri di Al Aqsa. Giovane ventiduenne originaria di Gaza, Reem al-Riyashi è la
prima donna palestinese a essere
stata addestrata al martirio e che
ha dato la vita per la sua causa
quella mattina del 2004, accompagnata al suo funesto altare dal marito (perché le donne devono essere autorizzate alla jihad da un familiare maschio). È lei “l’eroina” esaltata da Haniyeh nel suo discorso alla
futuwwa “Talai’ Al-Tahrir” all’interno
del video del MEMRI. Un modello
per le nuove generazioni
palestinesi che lo stesso
leader definisce riferendosi all’Intifada palestinese “generazioni
della pietra, dei tunnel e delle operazioni suicidio”.
(M.P.)
Chi è
Reem
al-Riyashi
La mamma
kamikaze
palestinese
LOOKOUT 4 - aprile 2014
91
Rages
Le principali
manifestazioni di rabbia
e dissenso in giro
per il mondo
92
LOOKOUT 4 - aprile 2014
caracas, Venezuela Un manifestante cerca di respingere i lacrimogeni come fosse un battitore di baseball. Le proteste nella capitale vanno avanti ormai da tre mesi.
bruxelles, belgio Un pompiere con la maschera di
Guy Fawkes e colleghi, di fronte ai fuochi di protesta accesi per
chiedere al governo migliori condizioni di lavoro (4 aprile).
taipei, taiwan Dimostrando in sostegno al controverso
accordo commerciale con la Cina continentale, i cittadini di Taipei sperano di aumentare le opportunità di lavoro (5 aprile).
Sanaa, yemen Ufficiali dell’esercito e della polizia marciano insieme agli anti-governativi durante una manifestazione
per chiedere le dimissioni del governo yemenita (2 aprile).
maoming, cina Attivisti mettono a ferro e fuoco le strade della provincia del Guangdong, per contestare il progetto
di un nuovo impianto chimico nella loro terra (1 aprile).
melilla, Spagna Un immigrato africano viene tirato giù
dalla Guardia Civil mentre tenta di scavalcare il muro di recinzione al confine tra il Marocco e l’enclave spagnola (3 aprile).
oSSerVatorio
Sociale
monitoraggio dei principali
eVenti e Fenomeni ribelliStici
ed eVerSiVi nel noStro paeSe
8 marzo genova
Sfondata la vetrata di una
sede della Lega Nord. Azione
compiuta in solidarietà
con i reclusi nei Centri di
Identificazione ed Espulsione.
Gli indipendentisti
della domenica
L’
eversione italiana continua a mobilitarsi sul
fronte No-TAV: oltre ai
consueti attacchi alle sedi del Partito Democratico, considerato un sostenitore del progetto, sono entrati in azione anche gli
hacker del gruppo Anonymous, che
hanno colpito il sito web del Tribunale di Torino. Sulla homepage degli uffici giudiziari sono comparsi slogan
anti-TAV e insulti contro i Pubblici Ministeri Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, titolari delle inchieste sulle
violenze e gli attentati in Val di Susa.
Sul versante più bellicoso della lotta
all’Alta Velocità, si è verificato, in provincia di Rovigo, un attentato incendiario presso il deposito di un’azienda
di perforazioni impegnata in Val di
Susa. A segno anche un attentato dinamitardo compiuto contro la sede
dell’organizzazione neofascista Casapound di Trento, città che insieme a
Torino è una delle capitali dell’anarco-insurrezionalismo italiano. Qui, a
fine gennaio, era esploso un potente
dispositivo improvvisato davanti agli
uffici del Tribunale di Sorveglianza.
L’azione fu rivendicata dagli anarchici
di Trento e di Rovereto in solidarietà
con i compagni No-TAV in carcere, il
che fa ritenere che anche il recente attacco a Casapound sia legato ai movimenti contro l’Alta Velocità.
Sottoposto a una diversa pressione
eversiva, di matrice indipendentista,
c’è poi il Veneto. Qui, all’inizio di
aprile - tra le province di Rovigo, Padova, Verona, Treviso e Vicenza - i carabinieri del ROS di Brescia hanno arrestato 24 militanti afferenti a diverse
organizzazioni secessioniste. Nel corso
delle perquisizioni, sono state sequestrate armi e un carrarmato di fabbricazione rudimentale che, nei piani degli indipendentisti, doveva essere utilizzato per compiere un’azione in
piazza San Marco a Venezia. Indagate
in tutto 51 persone, con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo e
detenzione di armi da guerra.
Il rudimentale carro
armato soprannominato
“Tanko”
94
LOOKOUT 4 - aprile 2014
timeline
degli eVenti
14 marzo
occhiobello (ro)
Incendiato il deposito della
ditta “Pato”, impegnata nei
lavori dell’Alta Velocità
in Val di Susa. Distrutti due
escavatori e tre trattori agricoli.
17 marzo torino
Attacco hacker al sito web
del tribunale in solidarietà
con i prigionieri No-TAV.
17 marzo roma
Sigillati gli ingressi di una
macelleria. Azione rivendicata
dall’Animal Liberation Front.
22 marzo Forlì
Imbrattata una sede del PD
con slogan anti-TAV.
26 marzo trento
Colpita con un potente
ordigno esplosivo una sede
di Casapound.
2 aprile torino
Atto vandalico contro una
sede del PD: scritte No-TAV
e vetrine spaccate.
2 aprile casale
di Scodosia (pd)
Sequestrato un carro armato
rudimentale in un blitz dei
carabinieri del ROS. Nel corso
dell’operazione sono stati
arrestati 24 soggetti per
associazione con finalità
di terrorismo e detenzione
di armi da guerra.
mar-apr
2014
Aggiornato al 9 aprile 2014
TRENTO
OCCHIOBELLO (RO)
CASALE DI
CASALE
SCODOSIA
SCODOS
SCO
DOSIA (PD)
(PD
TORINO
GENOVA
FORLÌ
ROMA
attentati
lettere o pacchi bomba
incidenti di piazza
rapine o aggreSSioni
riSchi o minacce
arreSti
politicamente Scorretto
Storie da un mondo al roVeScio
Ciak,
si taglia
di Tersite
P
ur bandendo il complottismo, ci sono film americani che hanno diffuso
false visioni della realtà.
Il Truman show (1998)
mostra, come futuro della televisione, un serial in cui tutto è artefatto
tranne il protagonista che, seguito dalla nascita da telecamere nascoste, crede giustamente di essere nella realtà.
Non era difficile già allora intuire per
la televisione una strada opposta. Cioè
utilizzare la realtà e gli stessi spettatori
per lo spettacolo stesso. La televisione
non ne crea una finta, ma ingloba la vita reale e la conforma ai propri canoni,
facendoli divenire costume. Reality TV.
In Sesso & Potere (1997) vi è lo stesso
ingannevole rovesciamento. Per dirottare l’attenzione da uno scandalo sessuale della Presidenza, gli
assistant della Casa
Bianca realizzano
una guerra cinematografica da
far passare per
vera sui media.
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LOOKOUT 4 - aprile 2014
PER SAPERNE DI PIÙ
DIETRO LO SPECCHIO - WWW.LOOKOUTNEWS.IT
Anche qui era già facile intendere il senso opposto delle
cose. Il mussoliniano “La cinematografia è l’arma più forte”
era già nel solco di quell’inganno. L’attenzione sulla politicizzazione dello spettacolo distoglieva dalla spettacolarizzazione della politica.
Cinema & Politica sono entrambi fondati sulla finzione.
Il Cinema è promessa di una storia agli spettatori, la Politica è promessa di una Storia a un popolo. Non è la banalità
dei pallidi faraoni Tolomei che si pittavano la faccia di scuro, non è solo il lavoro degli image consultant per la presa
sulle masse. La fiction non è oggi un corroborante della
politica ma la sua impalcatura. Fin nell’intima tecnica di
creazione di personaggi, spalle, modulazione di tempi, pathos, intreccio.
Al contrario del film non si tiene il Potere con la fiction
della guerra, ma si fa la guerra con la fiction del Potere. Il
passaggio decisivo è a metà degli anni Settanta, nella risposta finanziaria al calo dei profitti. La ricchezza viene artefatta dalle magie finanziarie, ogni bolla a rilancio dei buchi
precedenti. Con abbondante fiction, sia nel dramma di ogni
crollo della borsa sia nella promessa che mai più avverrà.
Ma il punto è un altro. Se è l’economia a creare valore
c’è ancora bisogno di uno Stato, cioè della Politica. Se invece a creare (pseudo) valore è la finanza, lo Stato deve annullarsi assieme alle regole sul movimento dei capitali. Se
alle merci servono autostrade, i capitali però non sopportano i caselli. Così, al movimento globale di capitali corrispondono strutture non più politiche ma finanziarie. Non
legate a nazioni, uomini, idealità sociali ma defilate e de-responsabilizzate. Né programma, né responsabilità, né altro obiettivo che la crescita dei capitali. In due parole,
la fine della Politica. Costretta così a fingere se stessa
ogni giorno.
Tagliare i vincoli alla speculazione finanziaria,
tagliare quelli allo sfruttamento del lavoro, tagliare la spesa sociale. Questi i limitati compiti
della Politica. Occorre un bel po’ di fiction per
nasconderli, e ancora di più per occultarne la residualità da manovalanza.
Così, più le azioni vanno in senso contrario alla
dichiarata salvezza e più va drammatizzato il ruolo
primario della Politica quale unico scudo, inventandosi il quotidiano coup de theatre con il supporto
della TV che, specchio della realtà, rende vera la
pantomima. Tutto al contrario di quello che si
vuol far credere: la televisione non vive una
sua realtà, ma crea la realtà. Come la Fiction non è uno strumento della Politica, perché la Politica è Fiction.
un libro al meSe
elezioni imminenti
LITUANIA
La casa
di Via Garibaldi
di Isser Harel
Castelvecchi
2012
pp. 274
16,50 euro
Q
“
uesta operazione è diversa da qualsiasi
altra nostra azione. Questa volta non è
semplicemente una missione eseguita
per incarico di qualcuno. Questa volta l’ordine
viene anche, e soprattutto, dalla coscienza
ebraica”. Isser Harel si affidò ai migliori uomini
per portare a compimento l’operazione di intelligence più importante compiuta nella storia
dei servizi segreti israeliani: la cattura di Adolf
Eichemann, l’ex colonnello delle SS responsabile dello sterminio di milioni di ebrei.
In prima linea nella lotta contro i nazisti,
dopo la costituzione dello Stato di Israele
Harel fu uno degli uomini di punta del sistema di sicurezza e di controspionaggio israeliano. La casa di via Garibaldi è il diario della
missione che egli stesso coordinò e che portò nel 1960 al rapimento e al trasferimento
segreto di Eichmann in Israele, dove in seguito sarebbe stato sottoposto a processo
per i crimini commessi durante la guerra.
Riuscire nell’impresa non fu affatto semplice. Dopo aver identificato Eichmann, per
mesi gli agenti israeliani dovettero lavorare
nell’ombra per eludere i controlli del governo argentino, il cui sistema giuridico non
prevedeva l’estradizione.
Imbarcato su un volo diplomatico travestito
da meccanico, Eichmann fu strappato per sempre dalla sua seconda vita, che aveva trascorso
con la sua famiglia in una modesta abitazione
alla periferia di Buenos Aires: il metodico e insospettabile Ricardo Klement, la falsa identità
dietro cui per anni era riuscito a nascondere
gli orrori compiuti durante il nazismo, sarebbe
stato impiccato il 31 maggio del 1962.
REPUBBLICA
DOMINICANA
UNIONE EUROPEA
PANAMA
MALAWI
SUDAFRICA
04
Panama
mag Presidenziali
Assemblea Nazionale
07
Sudafrica
mag Assemblea Nazionale
11
Lituania
mag Presidenziali
16
Rep. Dominicana
mag Camera dei deputati
Senato
20
Malawi
mag Presidenziali
Assemblea Nazionale
22
Unione Europea
mag Parlamento Europeo
riSultati dalle urne
Serbia
Assemblea Nazionale - 16 marzo 2014
48,6%
6.765.998
3.289.282
astenuti
votanti
Affluenza
alle urne
51,4%
3.476.716
voti validi
Aleksandar Vucic
A Future We Believe In 48,35%
Ivica Dacic Coaltion 13,49%
With the Democratic Party
for a Democratic Serbia 6,03%
Slovacchia
Presidenziali - 29 marzo 2014
4.406.261
votanti
Andrej KISKA 59,38%
Robert FICO 40,61%
50,1%
2.205.355
astenuti
Affluenza
alle urne
49,9%
2.200.906
voti validi
@roccobellantone
LOOKOUT 4 - aprile 2014
97
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anno I - numero 4 - aprile 2014
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