LookOut Magazine n. 5 - maggio 2014

IL MONDO CHE NESSUNO RACCONTA
VENEZU
ELA
INTER
VISTA
ESCLUS
IVA
LIbIA
al Ministr
o
degli Este
ri
Chi gestisce i traffici umani
CILE
La testimonianza degli orrori
di Colonia Dignidad
ARAbIA SAUdITA
Anche Riad avrà la bomba?
Mentre l’accordo
sul nucleare prosegue,
tra i due Paesi non c’è
Copia abbinata a Panorama non acquistabile singolarmente | anno I - n. 5 maggio 2014 | www.lookoutnews.it
IRAN-ISRAELE
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| anno I - numero 5 - maggio 2014
ECoNomIA
18 mINT E adesso chi
sarebbero questi?
22 mESSICo Duello in
America Latina
24 INdoNESIA Luci e
ombre su Kuala Lumpur
36
26 NIgERIA Un Paese
da primo piano
28 TURChIA Ci vuole
personalità
ISRAELE
LA dIfESA
dELLo STATo
LE RUbRIChE
32
do yoU
SpREAd?
Qual è il reale valore
dello spread italiano
82
LA CASA
dEgLI oRRoRI
34
A dIRE IL VERo...
Turchia-Israele: musi duri,
ma qualcosa si muove
52
L’ARAbA fENICE
Photoshop e parlamentari
54
Spy gAmES
L’uomo degli eucalipti
gEopoLITICA
14
RIMA
ANTEPVI
STA
INTER
A
ESCLUSIV
al Ministro
ri del
degli Este
ELA
U
EZ
VEN
78
dURA LEx
Il Frontex e la retorica
dell’emergenza umanitaria
94
oSSERVAToRIo
SoCIALE
Una pericolosa vitalità
96
poLITICAmENTE
SCoRRETTo
Once was diplomacy
97
UN LIbRo
AL mESE
Killing Machine
36 ISRAELE La difesa
dello Stato
42 ARAbIA SAUdITA
La spada di Damocle
e di Abdullah
43 IRAN Come ti spio
un regime
44 ISRAELE La messa
in sicurezza
46 gIoRdANIA L’ago della
bilancia mediorientale
48 mEdITERRANEo
L’arte della guerra
50 SIRIA La democrazia
impossibile
SoCIETà
68 LIbIA Biglietto
di sola andata
72 ITALIA
Problema “Nostrum”
74 hoNdURAS
Bienvenidos negli States
SICUREzzA
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l’aggiornamento quotidiano dal mondo
82 CILE La casa degli orrori
88 bRASILE Adesso
i gringos siamo noi
90 UCRAINA I silenzi
colpevoli
LOOKOUT 5 - maggio 2014
3
LA VIgNETTA
di
“ SI RI A: al l a vi gili a d e ll e ele zion i,
1 50 mil a morti e 3 mil ion i d i s f oll ati”
Il Medio Oriente
torna in primo piano
di mario mori
N
L’editoriale
ella rubrica “Accadde
Oggi” ricordiamo un
momento fondamentale nel processo di pace
tra israeliani e palestinesi: gli accordi di Oslo del 1993, quando
sotto la supervisione di Bill Clinton il
presidente israeliano Shimon Peres e il
capo dell’OLP Yasser Arafat siglarono
un trattato che, anche se non poteva
definirsi di “pace”, rappresentava comunque un passo avanti verso una stabilizzazione delle tensioni regionali.
Oggi quegli accordi sembrano volatilizzarsi di fronte al patto siglato tra i palestinesi di Hamas, che governano la
Striscia di Gaza, e l’Autorità Nazionale
Palestinese che controlla invece la Cisgiordania. Di colpo, la temperatura
politica in tutta la regione è salita a livelli allarmanti. Ce ne parla in un’intervista esclusiva l’ambasciatore di Israele,
Naor Gilon, il quale fornisce un’analisi
che, anche se proveniente da una parte
in causa, illumina il problema.
Il Medio Oriente torna quindi al centro dell’attenzione e per questo abbiamo approfondito l’analisi di scenario
estendendola ai rapporti tra Israele e
Turchia, alla situazione in Giordania e
agli altri punti nodali della regione. Vista l’importanza dell’argomento, nel
prossimo numero proseguiremo l’approfondimento analizzando anche la figura di Marwan Barghouthi, membro
del Consiglio Legislativo Palestinese, in
prigione in Israele dal 2005, gravato da
cinque condanne all’ergastolo per terrorismo. Barghouthi potrebbe essere
l’unico interlocutore veramente serio
in grado di riaprire il dialogo sulla pacificazione. Tenteremo di comprendere perché Israele, che sicuramente lo
ha capito meglio di noi, preferisca tenerlo in prigione.
Questo numero analizza anche altri
focolai di interesse dello scenario internazionale e si completa con una riflessione approfondita e di estremo interesse sul fenomeno dell’immigrazione
clandestina verso l’Italia, sulle rotte e
sugli itinerari seguiti dai trafficanti di
esseri umani e sulla capacità del nostro
Paese e dell’Europa di governare la crisi migratoria senza continuare a subirla
passivamente.
INbox
IL dIRETToRE EdIToRIALE
RISpoNdE
Cosa accadrebbe con
l’abbandono dell’euro?
Dubbi sulle elezioni presidenziali in Siria:
sarà l’ennesima farsa?
La vostra analisi assomiglia molto a
una velina predisposta dal Minculpop o
dal Dipartimento Disinformatsja. Eppure
in Italia da anni la moneta unica è analizzata in tutti i suoi effetti perversi e distorsivi: è vero, l’inferno esiste e se non cambiamo continueremo a viverci dentro.
Le perplessità di certo non mancano, considerato lo stato in cui versa la Siria.
L’importante è che siano i siriani a poter decidere del destino del loro Paese.
ELIO FRANCESCONI
Caro Francesconi, intanto vorremmo
tranquillizzarla: non abbiamo alcun
Minculpop di riferimento e tutto quello che scriviamo è frutto dei nostri studi e
delle nostre discussioni redazionali che, le
assicuro, sono molto libere. Venendo alla
sua osservazione sull’euro, checché se ne
pensi, la fuoriuscita di qualsiasi Paese aderente all’eurozona dalla moneta, produrrebbe costi socialmente inaccettabili. Questo è
un dato matematicamente irrefutabile, così
come è matematicamente certo che chi dispone di 100mila euro e tenta di acquistare in
contanti una casa da 1 milione di euro o è
un truffatore o è matto. Detto questo, il discorso sull’euro è complesso e forse i nostri
governanti avrebbero dovuto approfondire
meglio le implicazioni della moneta unica
prima di aderire al cambio di moneta. L’euro in quanto tale non è colpevole della crisi.
È la mancanza di una politica economica
comune in grado di governare una moneta
comune il nostro problema. L’euro va governato. Abbandonarlo sarebbe facile, ma le
conseguenze sarebbero disastrose.
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PIERPAOLO POLDRUGO
È certo che le elezioni presidenziali in una situazione di guerra civile sembrano irrealizzabili. Il precedente iracheno, tuttavia, ci autorizza a ben sperare. Nelle prime elezioni
del dopo Saddam, nonostante la minaccia di attentati jihadisti, l’80% degli iracheni
si è recato alle urne e finalmente la maggioranza sciita ha avuto un’adeguata rappresentanza
politica. Forse se Assad gioca bene le sue carte, ammettendo la presenza di osservatori neutrali,
le elezioni potrebbero costituire per lui un fattore positivo consentendogli di riaprire il dialogo
con quei governi occidentali che forse un po’ troppo frettolosamente hanno sposato la causa
dei ribelli, chiudendo gli occhi sullo strapotere al loro interno degli estremisti islamici.
Chi c’è dietro l’operazione anti-terrorismo
del governo di Kiev
Si tratta di un’operazione guidata da terroristi nazisti contro il diritto di autonomia
di inermi cittadini filo-russi. Evidentemente sfugge che l’attuale governo ucraino è illegittimo, non eletto da nessuno e nominato, come è accaduto in altre nazioni, dagli USA.
GIAN FRANCO
In effetti, la situazione in Ucraina non ha colori così marcati come il mainstream della
stampa occidentale ce li sta presentando. L’Ucraina è diventata una polveriera per le
troppe influenze e ingerenze esterne. Da un lato gli americani, come nel 2008 in Georgia,
non hanno esitato a fomentare i disordini garantendo protezione e sostegno ai ribelli antigovernativi. Dall’altro Mosca si è comportata nello stesso modo con i “resistenti” filorussi. Forse
sarebbe il caso che ambedue i “Grandi Fratelli” esterni facessero rapidamente un passo indietro
lasciando agli ucraini dell’est e dell’ovest il compito di trovare una soluzione politica alla crisi.
Crisi del Venezuela: riuscirà Maduro a far
sopravvivere la rivoluzione bolivariana?
Vorrei ricordare che quell’Henrique Capriles che voi presentate come la faccia pulita dell’opposizione democratica in realtà ha partecipato al golpe del 2002
assediando l’ambasciata cubana di Caracas.
MATTEO TARDINI
Noi non abbiamo mai preso posizione a favore o contro il legittimo governo di Caracas. Abbiamo tentato di documentare la profondità delle spaccature che attraversano la società venezuelana tentando di dare un quadro attendibile e aggiornato della situazione nel Paese,
come potrà leggere anche in questo numero (pag. 14). Anche un governo democraticamente eletto
si può criticare se nel tentare di contrastare le tensioni interne compie arbitri o violenze.
LOOKOUT 5 - maggio 2014
7
gRoENLANdIA
EL SALVAdoR
TUNISIA
Disoccupazione al 9,4%,
aumento di suicidi
e alcolismo, rischio
di scioglimento dei
ghiacci. Basteranno
il petrolio e le terre rare
per salvare l’isola
più grande del pianeta?
Traffico di armi e droga
in aumento tra le maras,
le gang criminali
salvadoregne, e il cartello
messicano dei Los
Zetas. Ormai El Salvador
è la nuova frontiera
del narcotraffico.
In controtendenza rispetto
agli stati arabi, Tunisi
offre una seconda
chance ai terroristi
pentiti. Fatta la nuova
legge elettorale, adesso
si attendono le elezioni
entro la fine dell’anno.
moLdAVIA
A giugno la Moldavia
firmerà l’accordo
di associazione con
l’Unione Europea. Ma
sulla regione autonoma
della Transnistria
aleggia l’ombra della
crisi ucraina.
CIpRo
SomALIA
yEmEN
hoNg KoNg
Quest’anno Cipro sarà
l’unico Paese a crescita
negativa dell’Unione
Europea (-4,8%)
e il secondo
per disoccupazione
giovanile (43,2%) dietro
alla sola Spagna.
Nella roccaforte degli Al
Shabaab crescere un figlio
è a dir poco un’impresa.
Un rapporto di Save the
Children classifica
all’ultimo posto la Somalia
per ciò che concerne la
sicurezza di madri e figli.
A inizio maggio decine
di morti negli scontri tra
esercito e miliziani di
AQAP. A rischio i flussi
petroliferi verso il Mar
Rosso. Intanto gli USA
chiudono le ambasciate
per motivi di sicurezza.
Forte del suo statuto
speciale, Hong Kong si
permette qualche sgarbo
nei confronti della Cina.
L’ultimo è l’allestimento
di un museo per il 25°
anniversario della rivolta
di piazza Tiananmen.
Accadde
oggi
Cosa sono
Gli accordi di Oslo
Nel 1993, gli Accordi di Oslo, mediati dagli Stati
Uniti di Bill Clinton, stabilirono le regole per
l’autogoverno dei palestinesi nella West Bank
(Cisgiordania) e nella striscia di Gaza.
Protagonisti della stagione politica più
speranzosa per la pace tra Israele e Palestina,
furono il presidente israeliano Shimon Peres
(a sinistra) e la guida palestinese Yasser Arafat
(a destra), insieme al premier israeliano Yitzhak
Rabin. I tre furono insigniti del premio Nobel
per la pace nel 1994.
10
LOOKOUT 5 - maggio 2014
1964
2014
pALESTINA | di Luciano Tirinnanzi
della Palestina - se necessario attraverso la lotta armata - creando non pochi
equivoci circa il fine ultimo della lotta
pluriennale che oppone arabi e israeliani in Medio Oriente.
Fatah, traducibile come “gioventù”
ma anche acronimo di “Movimento di
Liberazione Palestinese” (FTH), fu
fondata nel 1959 dal carismatico Yasser Arafat, leader della Palestina combattente che organizzò la guerriglia
per la “resistenza” contro Israele, fino
a controllare il potere esecutivo e legislativo nei Territori palestinesi. Solo a seguito dell’isolamento internazionale e della morte dello stesso Arafat (novembre 2004), Al
Fatah perse progressivamente l’anima laico-socia“Egregio Lord Rothschild,
lista e il consenso, in favoè mio piacere fornirle, in nome del governo di Sua Maestà, la seguente di- re della più aggressiva Hachiarazione di simpatia per le aspirazioni dell’ebraismo sionista che è stata mas, “Movimento della resistenza islamica” fondato
presentata, e approvata, dal governo. ‘Il governo di Sua Maestà vede con nel 1987 da Ahmed Yasin,
favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo teorizzatore dell’istituzioebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo ne di un vero e proprio
Stato islamico.
chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle
La bilancia del potere
comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli tra Fatah e Hamas è dal
ebrei nelle altre nazioni’. Le sarò grato se vorrà portare questa dichiarazione 1993 l’Autorità Nazionale
Palestinese (ANP), istitua conoscenza della federazione sionista.
zione politica e organo di
Sinceramente, Arthur James Balfour” governo creato a seguito
degli Accordi di pace di
Oslo tra OLP e Israele.
n questo documento ufficiale nizzazione per la Liberazione della Pa- Dal 2012, l’ANP gode anche dello
del Foreign Office del 1917, si lestina, controverso organo politico e status di “osservatore non membro”
discute della spartizione del- militare del popolo palestinese che - a presso le Nazioni Unite, condizione
l’Impero Ottomano e del fu- seguito della discutibile ripartizione di che ha conferito all’ANP legittimità
turo Mandato britannico che quel lembo di terra - si è dato una for- internazionale.
governerà la Palestina sino alla fine ma parastatale attraverso questo moviSe dopo la vittoria alle elezioni del
del 1948, prima che un vuoto incol- mento, l’OLP, poi ripartito in correnti 2006 Hamas aveva rotto i rapporti con
mabile circondi la questione territo- che oggi si riconoscono sommaria- Fatah e progressivamente ottenuto il
riale che ancora oggi affligge questa mente in Al Fatah e Hamas, l’una ani- pieno controllo della Striscia di Gaza
parte di Medio Oriente. Questo per- ma moderata del partito di lotta e l’al- (a seguito di una lotta all’ultimo sanché mentre Israele è divenuto Stato il tra ala intransigente responsabile di gue proprio contro Fatah, che oggi ge14 maggio 1948, la Palestina non è azioni violente contro Israele, conside- stisce la sola West Bank, altrimenti nomai stata tale e, dunque, non ha mai rato senza mezzi termini il “nemico da ta come Cisgiordania), la riconciliaavuto né un capo di governo né un distruggere”.
zione tra le due anime dell’OLP è inparlamento né pieno riconoscimento
Se scopo dichiarato dell’OLP è la vece storia di questi ultimi giorni,
internazionale.
creazione di uno Stato palestinese, non- piombata improvvisamente sulla road
Ciò nonostante, cinquant’anni fa, dimeno i suoi membri parlano anche map di un ennesimo tentativo di acnel maggio del 1964, nasceva l’Orga- di una vera e propria “liberazione” cordo israelo-palestinese.
Maggio ’64:
la Palestina si
organizza per
diventare Stato
I
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11
Faces
I volti più significativi
del mese
12
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Jimmie Akesson Il capofila di Svezia Democratica ha
girato più di 80 città per promuovere il suo messaggio contro
l’Europa, ma ha ricevuto anche qualche torta in faccia.
geert Wilders L’olandese del PVV che definisce Bruxelles
“un mostro” vola nei sondaggi. Ma è così islamofobo che la frase
contro i marocchini “da cacciare via” potrebbe costargli cara.
marine Le pen La leader euroscettica dell’estrema destra francese ha il vento in poppa e il suo Front National punta
a un risultato storico. Ma non sarà anche “merito” di Hollande?
bernd Lucke Anche in Germania c’è chi dice “no” all’euro
e alla Merkel. Ad esempio, l’ambizioso leader di Alternativa per
la Germania (AfD), noto anche come “partito dei professori”.
heinz-Christian Strache L’Austria dell’ultradestra,
orfana del carismatico Jorg Haider, ha trovato in Strache un
erede per tentare l’impresa in Europa e portare l’FPÖ al 25%.
Nigel farage L’icona del populismo inglese è un precursore
dell’euroscetticismo. Con lui, lo United Kingdom Independence
Party (Ukip) potrebbe piazzarsi al secondo posto alle Europee.
A
ANTEPVRIIM
A
T
S
INTER
IVA
S
U
ESCL
al Ministro
ri del
degli Este
A
VENEZUEL
Q
di Mariana Diaz
uarantatre morti, seicento feriti e duemilacinquecento detenuti*. Questo è il saldo dopo mesi di proteste in Venezuela. La situazione nel
Paese è ormai insostenibile, nonostante lo scorso 11 aprile il governo e i
rappresentanti dell’opposizione si siano riuniti per la prima volta nella cosiddetta Mesa di Diálogo, una tavola
rotonda promossa dal presidente Nicolas Maduro e supportata dall’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane) per trovare una soluzione comune alla crisi sociale ed economica.
Entrambi gli schieramenti non sembravano poi molto convinti, ma dopo
diversi incontri l’atteggiamento è cambiato e importanti passi avanti sono stati compiuti. Così almeno spiega il ministro degli Esteri venezuelano, Elias Jaua, che abbiamo incontrato durante il
suo soggiorno a Roma (in occasione
della santificazione dei due Papi) per
farci spiegare la delicata situazione da
un punto di vista autorevole.
*Secondo la BBC.
Per il governo
venezuelano
invece, si tratta
di 2.626 fermi
e 180 detenuti.
14
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/VENEZUELA
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Non
siamo
una
dittatura
e siamo
orgogliosi
di essere
chavisti
In esclusiva, il ministro degli Esteri venezuelano,
Elias Jaua, racconta a Lookout News
la visione del governo Maduro sui temi cruciali
per uscire dalla crisi
LOOKOUT 5 - maggio 2014
15
Quali risultati ha avuto finora
la Mesa de Diálogo?
Durante i primi incontri con
l’opposizione, abbiamo elaborato un’agenda di priorità. Al primo punto c’è il riconoscimento
da parte di tutti i settori politici
della Costituzione della Repubblica Bolivariana come base della nostra società. In secondo luogo,
pretendiamo che l’opposizione rifiuti pubblicamente la violenza come mezzo di pressione politica.
Infine, abbiamo discusso delle politiche pubbliche da adottare in
materia di sicurezza e sviluppo
economico. L’opposizione ha sollecitato invece il riesame dei casi
di cittadini processati o sentenziati
a causa della loro partecipazione
nei tentativi di colpo di Stato che
hanno avuto luogo in Venezuela
negli ultimi quindici anni.
Esiste quindi la possibilità di
liberare i detenuti politici?
Intanto, in Venezuela non c’è
questa classe di detenuti. Nessuno di loro è stato incarcerato per
“reati di opinione”. I detenuti
sono quelli che hanno commesso crimini, violato diritti umani e
alcuni persino commesso omicidi. Dunque, sono stati giudicati a
causa di delitti stabiliti dal nostro Codice penale.
Qual è stato il delitto di Leopoldo López**?
Promuovere le azioni violente.
Le ricordo che López era già stato condannato per la sua partecipazione nel 2002 al colpo di
Stato contro l’allora presidente
Hugo Chávez. In quell’occasione, López stesso aveva approvato
la detenzione di ministri e altri
politici chavisti. Nel 2007, invece, il governo di Chavez varò
un’amnistia grazie alla quale López e altri cospiratori furono
perdonati. Ora è in carcere per
quegli stessi delitti.
16
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In questo dialogo, una delle parti
dovrà scendere a compromessi.
Quali sono i punti che siete disposti a rivedere?
Siamo disposti ad avanzare delle
misure per risolvere i problemi che
interessano i venezuelani, ma prima
l’opposizione deve dimostrare di voler tornare a lavorare entro i margini
della Costituzione. Dobbiamo metterci d’accordo per far fronte alla
delinquenza, il vero problema che
interessa ai cittadini, mentre la liberazione o meno di una persona che
ha violato i diritti umani non è nell’interesse dei venezuelani. Le società devono saper perdonare, come
abbiamo fatto noi con l’amnistia. Ma
la giustizia non è negoziabile.
Di cosa invece il governo potrebbe
chiedere “perdono”?
Più che di perdono parlerei di riconoscimento. Umilmente, posso dire che non c’è nulla da perdonarci.
Mentre l’opposizione non può non riconoscere la volontà espressa dal popolo venezuelano. Se non la riconoscerà, noi potremo anche perdonarli
Chi è
Elias Jaua
Titolare degli Esteri e vicepresidente
politico della Repubblica Bolivariana
di Venezuela. Nel 1996 conobbe Hugo
Chávez e insieme ad altri dirigenti
fondarono il Movimento Quinta
Repubblica. È stato uno dei membri
dell’Assemblea Costituente per la stesura
della Costituzione del 1999. Durante il
periodo di Chávez assunse il controllo
di diversi ministeri, tra cui Economia
e Agricoltura.
ANTEPR
IMA
INTER
VISTA
ESCLUS
IVA
in futuro, ma sarebbe un circolo vizioso: dopo ogni perdono, ci sarà una nuova cospirazione. Si pensi agli anni Sessanta, quando molti oppositori sparivano. La vera repressione è avvenuta allora, ben prima del nostro arrivo al governo. Oggi nessun oppositore è
stato fatto sparire.
Come valuta il primo anno di
governo di Nicolas Maduro?
È stato un anno complesso
ma pieno di vittorie. Abbiamo
perso il nostro leader Hugo
Chávez, subìto un sabotaggio
economico ma, dopo due mesi di tentativi di rovesciamento
del governo, abbiamo comunque fatto dei passi avanti nello
sviluppo delle politiche sociali. La povertà estrema è diminuita dal 7 al 5% e la FAO ha
riconosciuto che il nostro Paese ha eliminato la fame. Nonostante la strategia per creare
scarsità di beni primari, il governo è riuscito a incrementare la capacità di distribuzione
degli alimenti. Inoltre, abbiamo
portato avanti il programma
per le abitazioni e ne abbiamo
costruite 600mila di nuove. Il
Venezuela, dunque, continua
ad andare avanti nella lotta
per la protezione sociale.
Cosa ha causato la scarsità
alimentare e l’inflazione?
Dal 2012 è in corso un attacco alla nostra moneta. È stato
fissato un valore infimo del
bolivar rispetto al dollaro, da
piattaforme digitali con base
negli Stati Uniti. Inoltre, è stato avviato un traffico illecito di
prodotti alimentari dal Venezuela verso la Colombia e il
30% dell’industria venezuelana ha subìto danni. Lo scopo
era creare le condizioni sociali
adatte per rovesciare questo
governo. Ma abbiamo lottato
e il nostro popolo non ha patito le conseguenze della scarsità di beni di prima necessità.
Non è una strategia rischiosa attribuire i mali del Venezuela agli Stati Uniti?
Il Venezuela non attribuisce
i suoi “mali” agli Stati Uniti,
parliamo piuttosto delle sfide
che abbiamo di fronte. Ma gli
Stati Uniti sono comunque responsabili di molte cose, ad
esempio del colpo di Stato del
2002 e del finanziamento di
gruppi violenti. Abbiamo le
prove che Washington ha cercato di rovesciare il governo
democratico venezuelano.
Invece, che rapporto avete
con il resto dei Paesi dell’America Latina?
Abbiamo buone relazioni
con tutti. Ad esempio, con la
Colombia abbiamo un rapporto di grande rispetto e anche
noi stiamo partecipando al
processo di pace con le FARC
(Forze Armate Rivoluzionarie
della Colombia) che viene
portato avanti insieme a Cuba.
E con Cina e Russia?
Loro fanno parte di quella
visione geopolitica del
mondo che appartiene
anche a noi. Un mondo
indipendente e multicentrico. Abbiamo incrementato le vendite di petrolio verso la Cina e ora
vendiamo 600mila barili
al giorno. Anche la cooperazione agricola e
commerciale è buona.
Con la Russia abbiamo
una grande cooperazione soprattutto in materia industriale, finanziaria, e nei settori della difesa e della sicurezza.
Abbiamo ottimi rapporti con
tutti, l’unica cosa che chiediamo è il rispetto.
al Ministr
o
degli Este
ri del
VENEZU
ELA
Qualcuno vi ha mancato di
rispetto?
Ci hanno provato molte volte attraverso l’ingerenza nei
nostri affari interni, finanziando e addestrando i gruppi di
opposizione. Vogliono farci
passare per un Paese in conflitto, ma non lo siamo. L’80%
dei venezuelani partecipa alle
elezioni, nessun Paese può
vantare livelli simili di partecipazione. Però ci mancano di
rispetto quando dicono che viviamo in una dittatura senza libertà di espressione e quando
dicono che c’è la fame e che ci
distruggiamo tra di noi. Da
più di centocinquant’anni
non abbiamo una guerra civile
e non sarà questa l’occasione.
Alla luce di tutto questo, ha
senso parlare ancora di
chavismo e di rivoluzione
bolivariana?
Adesso più che mai. La rivoluzione è un progetto storico
di Chávez, che ci ha lasciato
obiettivi concreti per i prossimi trent’anni. Siamo molti orgogliosi di essere chavisti.
**Leader del partito
di opposizione
Voluntad Popular,
in carcere dal
18 febbraio 2014
(nella foto in basso)
LOOKOUT 5 - maggio 2014
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ECoNomIA
ECoNomIA
mESSICo
Intervista
all’ambasciatore
in Italia
INdoNESIA
La sfida
del presidente SBY
NIgERIA
Un Paese paradossale
TURChIA
Il premier
tenta il colpaccio
18
LOOKOUT 5 - maggio 2014
E adesso chi
sarebbero questi
M.I.N.T.?
Se l’inizio del nuovo millennio è stato caratterizzato
dall’ascesa dei BRICS, la prossima decade potrebbe
sancire l’irruzione sulla scena economica mondiale
dei MINT. Ma attenzione alle semplificazioni
ECoNomIA
mESSICo | di B. Woods
A
cronimo di Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia, la paternità del termine MINT è tuttora
controversa: per alcuni
questa nuova parola è dovuta a Fidelity,
una delle maggiori conglomerate di
asset management con sede a Boston
(2011). Per altri, come il Financial Times, si deve invece alla Panasonic, che
in un rapporto del 2010 individuava in
quel gruppo di Paesi i mercati emergenti dove collocare i propri prodotti.
Spetta comunque a Jim O’Neill - che
già aveva coniato il fortunato termine
“BRICS” - il merito di aver riportato
nel novembre 2013 l’attenzione dei
media su questo gruppo di Paesi, in
rapida crescita economica. Banche e
fondi d’investimento sono soliti raggruppare secondo acronimi un certo
numero di Paesi che presentano alcune caratteristiche ritenute anticipatrici di una positiva performance economica futura: quelli che loro considerano e promuovono come meritevoli di
ricevere investimenti, si ritroveranno
tutti in un insieme o sottoinsieme. Anche perché non va mai dimenticato
che le stesse banche e fondi sono i medesimi intermediari che gestiscono il
risparmio, sia quello legato ai piani
pensionistici sia quello precauzionale
e speculativo, che quindi viene convogliato verso questi Paesi sotto forma di
sottoscrizioni di bond e asset dei loro
mercati finanziari o direttamente in
investimenti reali.
Come qualunque corso di marketing insegna, il primo passo per vendere un prodotto è assegnargli un nome
accattivante, facile da ricordare ed
evocativo delle qualità che rappresenta. Ma quali sono i criteri con cui vengono aggregati Paesi sostanzialmente
diversi, ritenuti potenzialmente interessanti per la possibile crescita economica? I parametri sono diversi e rispondono alla necessità di individuare
una caratteristica comune rilevante.
LOOKOUT 5 - maggio 2014
19
ECoNomIA
FOCUS
BRICS
BREAK?
L’introduzione del termine BRIC acronimo di Brasile, Russia, India
e Cina, poi divenuto BRICS con
l’aggiunta del Sud Africa a partire
dal 2010 - si deve all’economista
inglese Jim O’Neill, al tempo
senior economist della Goldman
& Sachs. O’Neill intendeva porre
all’attenzione degli investitori
internazionali, la dirompente
e incalzante crescita economica
che si andava realizzando in Paesi
che la fine della Guerra Fredda
e la “fine della storia” teorizzata
da Francis Fukuyama (La fine
della storia e l’ultimo uomo, BUR
1992) avevano reso socialmente
e politicamente accessibili.
Sebbene segnati da un vasto
ventaglio di criticità, quando
non di vera e propria crisi dagli imponenti scioperi
per le condizioni di lavoro nelle
fabbriche cinesi di Yue Yuen,
Shenzen e Focxoon, alla
svalutazione della Rupia e
del Rublo, dalle proteste per
gli sprechi e la corruzione per
il doppio appuntamento sportivo
dei Mondiali di Calcio e delle
Olimpiadi in Brasile, alla bolla del
credito e del settore immobiliare
in Sud Africa - i BRICS sono oggi
membri del G-20 e si sono
conquistata una certa rilevanza
come potenze “glocal” ossia
al contempo globali e locali.
20
LOOKOUT 5 - maggio 2014
I BRICS assommavano oltre il 40% per il 39,4% e l’agricoltura per il 3%).
della popolazione mondiale e un Tuttavia, il rallentamento delle esporquarto delle terre emerse globali. I tazioni ha determinato una crescita
del 3,3% nel 2013, ma questo è avveMAVINS (vedi box per questo e gli altri
acronimi) erano ritenuti capaci di rag- nuto grazie alle politiche monetarie
giungere il 60% del PIL degli USA en- espansive della Banca Centrale, volte a
tro il 2020 e oltre il 200% nel 2050. I CI- tenere basso il valore della moneta
VETS avevano un’elevata quota di po- won e a stimolare l’inflazione, pratiche
polazione giovane e in crescita. I che sono state prima denunciate e
CARBS producevano una quota com- quindi censurate dal Fondo Monetapresa tra il 25% e il 50% di tutti i beni rio Internazionale (FMI).
L’ingresso della Nigeria nel gruppo
mondiali. I CASSH avevano una notevole stabilità dei conti pubblici e finan- MINT è stato determinato da una creziaria. I MIST, estratti dal fondo Gold- scita media del PIL del 7,1% nel perioman Sachs N-11 Equity Fund (GSYAX), do 2010-2013 e da una buona perforerano membri del G-20, avevano una mance dei settori produttivi non legati
posizione geografica strategica, una alla produzione del petrolio. Nonoquota elevata e crescente di giovani e, stante le previsioni del FMI accreditiinfine, una classe media emergente no la Nigeria a un +7% del PIL (con
un’inflazione stabile tra il 7% e l’8% e
con solidi livelli di consumo.
Cos’hanno invece in comune i un attivo della bilancia corrente del
3,7% del PIL nel 2014, nonché con
MINT? Per essi vale quanto appena
un debito estero di soli 6,5
detto per i MIST, ed è stata
miliardi di dollari, che vale
soltanto sostituita la Corea
il 2,5% del PIL e un dedel Sud con la Nigeria,
bito pubblico al 18%),
che ha 170 milioni di
La crescita
il Paese continua ad
abitanti (30% del toeconomica è molto
essere una “energy
tale dei Paesi MINT)
economy” dove il pee un’età compresa
trolio determina il
tra i 15 e i 35 anni. La
e quindi soggetta a
70% del PIL. La Nigeragione della sostituelevata volatilità
ria presenta, inoltre:
zione della Corea del
un tasso di disoccupaSud è legata alle diffizione del 24% e una disoccoltà di Seoul: quarta ecocupazione giovanile del 54%
nomia dell’Asia - un PIL di
(come Spagna e Grecia); un indice
1.130 miliardi di dollari, 50 milioni
di abitanti e un reddito pro-capite di di disuguaglianza del coefficiente di
22.670 dollari nel 2012 - la Corea ha Gini pari a 49; una popolazione al di
sperimentato molto, essendo essen- sotto della soglia di povertà del 46%
zialmente esportatore di beni finiti. La (secondo la proporione del Poverty Hesua crescita economica è stata impo- adcount Ratio); infine, un’aspettativa di
nente, con un tasso medio annuo di ol- vita di 52 anni.
Questi numeri danno un’idea di
tre il 7%, fino allo scoppio della Grande Recessione, che è conseguenza del- quanto poco inclusiva sia stata la crela crisi dei mutui sub-prime americani. scita del Paese e possono, almeno in
La crescita economica ha dunque tra- parte, dar conto dei gravi fenomeni di
sformato un Paese paragonabile a mol- terrorismo che si verificano nel delta
ti stati africani e asiatici di oggi, in del Niger (come i paramilitari del
un’economia tra le più diversificate e MEND, Movimento per l’emancipatecnologicamente avanzate del mondo zione del Delta del Niger) e nel Nord(la composizione del PIL, pari al 2% Est (come i terroristi di Boko Haram).
del PIL mondiale, rivela che i servizi Non va poi dimenticato che la Nigepesano per oltre il 57,6%, l’industria ria, pur avendo evitato il collasso
RECENTE
m.I.N.T.
economico dovuto alla grave crisi bancaria del 2009,
continua a presentare elevate
criticità e debolezze nel sistema
finanziario - corruzione, asseti
proprietari non chiari, governance
debole, eccetera - che necessitano di
riforme profonde e durature, come richiede il FMI.
Anche Messico, Indonesia e Turchia
presentano luci e ombre: petrolio e
manodopera per le imprese americane, ma anche corruzione e
criminalità (è il caso del Messico); una popolazione di
250 milioni con un’età
media di 25 anni, ma
grandi problemi legati
all’urbanizzazione
(Indonesia); 74 milioni di abitanti con
un’età media di 25
anni e posizione di
cerniera tra Europa e
Asia, ma un’elevata
inflazione, una disoccupazione al 9,7% e un
deficit della bilancia
corrente del 7,5% del
PIL (Turchia). Inoltre,
occorre ricordare che
stiamo parlando di
Paesi la cui imponente
crescita economica è
un fenomeno molto
recente, quindi soggetto a elevata volatilità, in dipendenza delle condizioni mondiali dei mercati.
Non va inoltre dimenticato che,
mentre un anno fa si esultava per i dati che mostravano il dimezzamento
della popolazione mondiale che vive
al di sotto della soglia di povertà (dal
38% al 19% del totale, pari a oltre un
miliardo di individui), oggi molti analisti ritengono che un miliardo di individui, appena giunti a far parte della
classe media (bassa) possano essere ricacciati indietro verso la sopravvivenza
o peggio l’indigenza, per il perdurare
della crisi economica e la crescita della
disuguaglianza. Infatti, la stabilità economica di oltre 2,8 miliardi di persone
(pari al 40% della popolazione mondiale) che vive con un reddito compreso tra 2 e 10 dollari al giorno e
quella di un miliardo di individui
con un reddito compreso tra 2 e
3 dollari al giorno, appare oltremodo fragile e precaria.
Concludendo, come suggerisce lo stesso Bill O’Neill,
andrebbe tenuto in conto
che BRICS e MINT sono
“concetti economici e
non argomenti d’investimento [...] e non sono
indipendenti dal ciclo
economico ma vanno
considerati nel breve periodo”. Infine, non è da
trascurare il fatto che,
in un investimento, il fattore tempo è essenziale (ad esempio, il Fondo Goldman BRICS ha
perso valore negli ultimi tre anni,
ma ha segnato un +3,26% annuo da
quando fu lanciato). Quindi, come
ricorda ancora O’Neill, “se uno ha
investito nei BRICS per la prima volta nel 2008 non ha motivo di esserne
felice, ma se ha investito alla loro collocazione, allora deve esserne molto
contento”.
Gli acronimi
più o meno noti
MINT non è che l’ultimo di
una serie di acronimi usati
per indicare gruppi di Paesi,
e dal 2001 ha avuto altalenante
fortuna sui media. Tra i vari
gruppi di Paesi “vittime” delle
abbreviazioni, si ricordano:
i MAVINS (Messico, Australia,
Vietnam, Indonesia, Nigeria e
Sud Africa), introdotto dal sito
web Business Insider nel 2010;
i CIVETS (Columbia, Indonesia,
Vietnam, Turchia e Sud Africa)
coniato da HSBC Global Asset
Management nel 2011; i CARBS
(Canada, Australia, Russia,
Brasile e Sud Africa) usato
dalla Citigroup nel 2011; i CASSH
(Canada, Australia, Singapore,
Svizzera e Hong Kong) dovuto
al fondo BlackRock nel 2011;
per finire i MIKT o MIST
(Messico, Indonesia, Sud Korea
e Turchia), ancora opera di
O’Neill e della Goldman & Sachs
nel 2012. Com’è evidente,
la paternità delle denominazioni
appartiene alle grandi banche
e ai grandi fondi d’investimento.
L’ascesa dei MINT (trilioni di dollari)
Prodotto Interno
Lordo 2050 (stime)
Prodotto Interno
Lordo 2012
16,24
USA
8,23
Cina
5,96
Giappone
3,43
Germania
2,61
Francia
2,47
Regno Unito
2,25
Brasile
2,01
Russia
2,01
Italia
1,84
India
1,82
Canada
1,53
Australia
1,32
Spagna
1,18
Messico
1,13 Corea del Sud
0,88
Indonesia
0,79
Turchia
0,26
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
Nigeria 39
Cina
USA
India
Eurozona
Brasile
Russia
Giappone
Messico
Indonesia
Regno Unito
Francia
Germania
Nigeria
Turchia
Egitto
Canada
Italia
52,62
34,58
24,98
22,51
9,71
8,01
7,37
6,95
6,04
5,69
5,36
5,22
4,91
4,45
3,61
3,47
3,42
Fonte: World Bank, Goldman Sachs
LOOKOUT 5 - maggio 2014
21
ECoNomIA
Duello in
America Latina
Aumentano le quotazioni
del Messico per la
conquista della leadership
economica in Centro
e Sud America.
L’intervista all’ambasciatore
in Italia miguel
Ruíz-Cabañas
mESSICo | di Rocco Bellantone
N
ella sfida tra i capifila
dei BRICS e dei MINT
recentemente il Messico è apparso più in forma rispetto al Brasile.
Parlare di sorpasso nella corsa alla leadership latinoamericana è azzardato.
Nonostante qualche frenata entro la
fine del 2014, l’economia messicana
dovrebbe mantenere il segno positivo
tra il 3 e il 3,5%, mentre stando alle
previsioni di FMI ed Edymar projections
nel 2050 sarà l’ottavo Paese più produttivo del pianeta. La stabilità del
presente messicano si riflette nel pragmatismo del presidente Enrique Peña
Nieto, il quale ha puntato su un’azione di contrasto al narcotraffico più
mirata rispetto al suo predecessore Felipe Calderón. Il presidente inoltre ha
varato una serie di riforme strutturali
nei settori dell’energia, del fisco e delle telecomunicazioni. A raccontare il
nuovo corso messicano è Miguel RuízCabañas, ambasciatore del Messico in
Italia dal settembre 2011.
Quali risultati potranno essere ottenuti con il cambio di passo voluto
dal presidente Peña Nieto?
22
LOOKOUT 5 - maggio 2014
Chi è
Miguel Ruiz-Cabañas Izquierdo
Nato a Città del Messico il 12 gennaio
1957, è stato ambasciatore in Giappone
dal 2004 al 2011, rappresentante permanente
del Messico presso l’Organizzazione degli
Stati Americani, responsabile dell’Ufficio
Affari migratori e di frontiera dell’Ambasciata
del Messico negli Stati Uniti, responsabile
della Cooperazione contro il narcotraffico
e degli Affari sociali e umanitari
nella Missione permanente del Messico
alle Nazioni Unite.
Città del Messico
Celebrazione del centenario
della Rivoluzione Messicana
(1910)
m.I.N.T.
Gli esperti economici internazionali prevedono una
grande fase di crescita per il
Messico per effetto delle 14 riforme costituzionali che verranno approvate entro il primo semestre di quest’anno. Il
nostro Paese rappresenta una
piattaforma ideale per la produzione e l’esportazione di
prodotti di tutto il mondo verso i mercati del Nord, del
Centro e del Sud America. Abbiamo accordi di libero scambio con 45 Paesi che rappresentano più del 60% del PIL
globale. Siamo in ottimi rapporti con Stati Uniti e Canada
ma anche con la Cina, che è il
nostro secondo partner commerciale, e con i Paesi del
Golfo e dell’est asiatico.
Messico, in modo da essere
più efficaci e arginare un altro
fenomeno grave come quello
della corruzione all’interno
delle istituzioni. Inoltre, la gestione dei vigilantes (gruppi
di autodifesa, ndr) nello stato
di Michoacán è stata molto
positiva, considerato che hanno contribuito a fermare
l’avanzata del cartello dei
Templari.
Dopo il primo accordo tra il
presidente Peña Nieto ed
Enrico Letta, toccherà al premier italiano Matteo Renzi
porterà avanti il processo di
cooperazione tra Messico e
Italia. È fiducioso?
Abbiamo la piena certezza
del fatto che i rapporti continueranno a essere positivi anche con Renzi. La sfida è trasformare la simpatia e la stima
reciproca tra i due Paesi in
un’alleanza strategica. Sul piano economico, i due Stati sono
perfettamente complementari: noi possiamo fare da ponte
per l’Italia in America Latina
e l’Italia per noi in Europa.
Qual è il rapporto tra Messico e Brasile in America
Latina?
Il Brasile è il primo socio
commerciale del Messico in
America Latina. Noi, insieme
a Cile, Perù e Colombia, abbiamo formato l’Alleanza del Pacifico, un’unione tra Paesi che
credono nell’importanza del
libero scambio e di cui presto
potrebbero entrare a far parte
anche Panama e Costa Rica. Il
Brasile fa parte del MERCOSUR (Mercato Comune del
Sud America) e ha un maggiore controllo sul proprio mercato. Possiamo comunque incrementare il commercio e gli
investimenti.
Come valuta il piano d’azione
del governo per contrastare
i cartelli della droga?
Il governo Peña Nieto ha
deciso di colpire le organizzazioni criminali con colpi chirurgici e l’arresto del Chapo
(Joaquín Guzmán, leader del
cartello della droga dei Sinaloa, ndr) ne è una dimostrazione. Il problema è riuscire a
coordinare i vari corpi di polizia federale dei 32 Stati del
Dopo un monopolio di Stato
che durava dal 1938, il governo permetterà ai privati e
alle compagnie straniere di
investire nel petrolio e nel
gas messicano. Perché questa riforma?
L’obiettivo è sviluppare anche il settore dello shale gas.
Gli Stati Uniti sono certamente i pionieri, ma il Messico
dispone di una grandissiEconomia messicana
ma riserva e con questa riPIL trimestrale*
Indice di fiducia dei consumatori
forma potremo attrarre
Percentuale anno per anno
Percentuale mensile
investitori esteri e disporre di nuove tecnologie. 7
Ma sono in crescita anche
altri settori. Siamo gli otta- 6
vi produttori di auto al 5
Feb
86%
mondo e il quarto esportatore dopo Germania, 4
Giappone e Corea del Sud.
Con un’operazione da più 3
di un miliardo di dollari,
2
Fiat Chrysler ha dimostraIV**
to quali opportunità può 1
0.7%
offrire il nostro Paese.
0
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/MESSICO
100
95
90
85
80
75
70
65
I
II
2010
III
IV
I
II
2011
III
IV
I
II
2012
Fonte: Mexico’s national statistics agency INEGI
III
IV
I
II
2013
* Al prezzo di mercato
III
IV
I
2014
** Preliminare
LOOKOUT 5 - maggio 2014
23
ECoNomIA
Dopo un boom economico durato
un decennio, l’economia indonesiana
rallenta e cominciano a emergere
elementi di criticità rilevanti.
Se il futuro Presidente fallirà
il programma di riforme strutturali,
questo influirà pesantemente
sull’andamento dei prossimi anni
INdoNESIA | di Cristiana Era
L’
Luci
e ombre
su
KUALA
LUMPUR
24
LOOKOUT 5 - maggio 2014
Indonesia è la maggiore
economia del sudest
asiatico. La crescita sostenuta degli ultimi anni
- con una media superiore al 6% tra il 2008 e il 2012 e un non
grave impatto della crisi del 2009 sull’economia rispetto al generale contesto internazionale - non è sfuggita all’attenzione di economisti e analisti, che
ne hanno evidenziato le potenzialità di
sviluppo e l’hanno prontamente inserita nel gruppo delle economie emergenti a forte crescita. Una discutibile
pratica che periodicamente si ripete e
che ci ha già presentato le Tigri asiatiche negli anni Novanta, poi i BRICS, seguiti dai CIVETS e adesso i MINT come
ultima etichetta per il nuovo blocco di
Paesi emergenti.
Tra gli appartenenti a quest’ultima
categoria, l’Indonesia presenta un quadro politico stabile, con un sistema democratico generalmente ritenuto consolidato dopo la caduta della dittatura
di Suharto sedici anni fa. In dieci anni,
il presidente Susilo Bambang Yudhoyono, più noto come SBY, ha messo in
atto politiche di consolidamento della
democrazia, di leadership regionale e
di crescita economica, ma le elezioni
parlamentari dello scorso 9 aprile
hanno mostrato tutta la stanchezza
dei cittadini nei confronti della vecchia classe politica e il desiderio di un
rinnovamento che ad oggi è impersonato da una nuova figura politica, Joko
Widodo, membro del Partito Democratico di lotta (PDI-P) e attuale popolarissimo
m.I.N.T.
governatore di Giacarta.
in numerosi altri PaeE proprio su Widodo sosi, la contrapposiziono più alte le aspettative
ne fra comunità sunChi è
nazionali e internazionanite e sciite.
li di vittoria alle prossime
È
probabile
dunque
Susilo Bambang
ridurre
presidenziali di luglio.
che la nuova amminiYudhoyono
la dipendenza
Per poter mantenere
strazione, che non
Conosciuto anche con l’acronimo
una crescita sostenibile dalle esportazioni s’insedierà prima di
SBY, è l’attuale Presidente
anche in futuro, il nuoottobre 2014, si condelle materie
dell’Indonesia, il primo eletto
vo presidente dovrà fare
centri principalmente
democraticamente dopo decenni
prime
i conti con alcune criticisulle questioni interdi dittatura militare. 64 anni,
tà, sia a livello economine, accantonando i
membro del Partito Democratico
co che politico e sociale. Il Paese ha ur- grandi temi di politica estera e delu(PD, Partai Demokrat), è in carica
dall’ottobre del 2004,
gente necessità di migliorare le infra- dendo le aspettative di quanti invece
avendo ottenuto il secondo mandato
strutture e investire nel settore indu- vedono l’Indonesia quale prossimo atnel
luglio 2009, con il 60,8%
striale, nella formazione e nell’istruzione, tore globale che influirà sulle politidei voti al primo turno.
per poter ridurre la dipendenza dalle che regionali come leader dei Paesi
esportazioni di materie prime e dalla dell’ASEAN, l’Associazione delle Navolatilità del loro prezzo sui mercati in- zioni del Sudest asiatico su cui vengoternazionali. Il progressivo indeboli- no riposte molte speranze.
mento della rupia (che nel solo 2012
ha perso il 6% del valore e nel 2013
non ha migliorato il trend al ribasso) L’Indonesia dei minerali
ha aumentato i costi delle importazioni Esportazioni
e generato pressioni inflazionistiche,
CARBONE
RAME
BAUXITE E NICKEL
Milioni di tonnellate
Migliaia di tonnellate
Milioni di tonnellate
oltre ad aver provocato una fuoriuscita
40
200
20
di capitali. Ma i problemi maggiori soBauxite
no derivati dal settore del petrolio e del
Nickel
gas. Pur essendo stato un Paese espor30
150
15
tatore di greggio e di gas naturale, la
carenza degli impianti di raffinazione
20
100
10
ha costretto l’Indonesia a importare
petrolio raffinato, e con la drastica riduzione nel 2013 della produzione sia
10
50
5
di greggio che di gas naturale si ritrova
adesso in deficit energetico.
0
0
0
G F M A MG L A S O N D G F M A MG L A S O
G F M A MG L A S O N D G F M A MG L A S O
G F M A MG L A S O N D G F M A MG L A S O
A livello sociale, poi, occorrerà com2012
2013
2012
2013
2012
2013
battere contro la corruzione e la povertà, entrambe ancora a livelli troppo Giacimenti
Carbone
Bacini di Carbone
Vene d’oro (Epithermal)
Oro
Nickel
Quarzo
Rame
Giacimenti VMS*
alti, nonostante i passi in avanti degli
ultimi anni. La nuova amministrazione
THAILANDIA
FILIPPINE
200 miglia
BRUNEI
dovrà inoltre preoccuparsi dei ripetuti
200 km
MALESIA
Oceano
abusi da parte delle forze armate e delSUMATRA
Pacifico
SINGAPORE
l’impunità dei loro vertici che, pur responsabili di violazioni dei diritti umaKALIMANTAN
Padang
ni, rivestono ancora ruoli di primo piaSULAWESI
IRIAN
no nella politica nazionale. Infine, il
JAYA
governo dovrà tenere d’occhio la crescita dell’intolleranza religiosa, che
I N D O N E S I A
Oceano
Jakarta JAVA
Indiano
per il momento non si è rivelata un fattore destabilizzante ma lo potrebbe diKupang
*VMS - Volcanogenic massive sulfide (soprattutto rame, zinco e piombo)
ventare presto, in particolare se si accentuerà, come già vediamo accadere Fonti: Bank of Indonesia; Southern Arc; NuEnergy; Le Monde Diplomatique
È UNA
pRIoRITà
LOOKOUT 5 - maggio 2014
25
ECoNomIA
Un Paese
da primo piano
La Nigeria
aggiorna
il suo PIL
e diventa
la prima
economia
del continente
africano:
ma non è
tutto oro quel
che luccica
NIgERIA | di Dario Scittarelli
La Nigeria ne ha 177 milioni, il Sudafrica 48: alla partita del PIL pro capite,
dunque, Città del Capo batte Abuja
7.300 a 2.800. Dollari, questi, che sepi chiama rebasing e indica la revisione del vapure non standardizzati in base al loro
lore del PIL di una nazione ai prezzi di un
effettivo potere d’acquisto, ridimennuovo anno di riferimento, definito, per l’apsionano molto il primato nigeriano.
punto, base year. La Nigeria ha portato a terMa aggiornare il PIL - specie se,
mine questo non semplicissimo esercizio stacome in questo caso, si colma dall’oggi
tistico il mese scorso, aggiornando il suo prodotto inal domani un gap ventennale - signifiterno lordo dai prezzi del 1990 a quelli del 2010. Il 6
ca anche far entrare nel calcolo attiviaprile il National Bureau of Statistics nigeriano ha
tà che prima non esistevano e per le
quindi finalmente rivelato il numero magico che espriquali, quindi, i prezzi non c’erano.
me il valore complessivo dei suoi beni e servizi nel
Prima fra tutte, il settore della telefo2013. Ebbene, si tratta di ben 510 miliardi di dollari:
nia mobile che, con oltre dieci operaprima della rettifica - ovvero ai prezzi del 1990 - il PIL
tori e la cifra record di 129 milioni di
della Nigeria era di circa 270 miliardi di dollari. L’aglinee attive, ha in Nigeria il suo più
giornamento al 2010, in buona sostanza, ne ha quasi
grande mercato d’Africa. Oppure anraddoppiato il valore, trasformando la patria dei terrocora Nollywood, la fiorente industria
risti di Boko Haram nella prima economia del contidel cinema nigeriano, seconda solo a
nente africano.
Bollywood per numero di
E così, in termini assoluti di PIL, Nigefilm prodotti. Due aree
ria batte Sudafrica 510 a 350. Unico Paeche contribuiscono a inse africano a far parte del circolo elitario
crementare
notevoldei G20, il Sudafrica passa sorprendenmente il peso dei servizi
temente dal vertice della classifica alla
nella composizione del
seconda posizione: un emergente dei
i nigeriani che
prodotto interno lordo
BRICS scalzato da un ancor più giovane
MINT. Ma le cose cambiano se si affianca vivono con meno di nigeriano.
quindi, moal prodotto interno lordo delle due naun dollaro al giorno straIl rebasing,
oggi una Nigeria
zioni il rispettivo numero di abitanti.
S
110
milioni
Nella foto: un set
cinematografico
di Nollywood
26
LOOKOUT 5 - maggio 2014
m.I.N.T.
che fonda quasi metà della sua economia sul terziario. La vecchia fotografia
del Paese presentava invece - per lo stesso anno, e cioè il 2013 - una nazione in
cui i servizi costituivano solo il 30% del
PIL. Ma c’è dell’altro: all’espansione
del terziario si è contrapposta una riduzione del settore industriale, che è passato dal 35% (base year 1990) al 25% (base
year 2010). In questo 25% sono inclusi
anche petrolio e gas, che oggi ammontano al 14% del PIL: nei precedenti calcoli le due voci superavano il 30%.
L’economia nigeriana, dunque, nella
sua versione riveduta e corretta, appare
molto più diversificata rispetto al ritratto 2013 basato sui valori di vent’anni fa:
ciò la rende più immune a eventuali
shock esterni, quale potrebbe essere,
ad esempio, un crollo dei prezzi del petrolio se il Paese fosse, come appariva
prima, una oil-based economy.
A conti fatti, però, con i continui attentati di Boko Haram, la corruzione
ormai endemica e un indice di sviluppo umano tra i più bassi del
pianeta, tutto questo fragore
attorno al nuovo PIL della Nigeria appare un po’ velleitario.
Come ha commentato Bismarck Rewane, noto analista
finanziario nigeriano: “La popolazione del Paese non starà
meglio domani grazie a questo
annuncio. Non ci saranno più
soldi sui loro conti correnti né
più cibo nelle loro pance. È
una notizia che non cambia
niente”. E con oltre 110 milioni di persone che vivono al di
sotto della soglia di povertà
- ovvero con meno di 1 dollaro
e 25 centesimi al giorno - non
si può che dargli ragione.
Una crescita imponente
Attentati
di Boko Haram
Mappa degli attentati 2010-2014
10
Non è ancora chiaro se la crescita della popolazione nigeriana aumenterà
le prosperità del Paese o ne determinerà una maggiore povertà.
Chibok 14-4-2014
Uomini armati
rapiscono nella
notte oltre 200
studentesse di un
istituto superiore
50
100
200
Ciascun punto giallo indica un
attacco del gruppo islamista: più
grande è l’area, maggiore il numero
di vittime. Colori più scuri evidenziano
attacchi multipli nella stessa zona.
POPOLAZIONE DELLA NIGERIA
200 milioni di persone
Aree in cui vige lo stato
di emergenza
100
50
Percentuale
under 15 (2012)
Tasso medio
di fertilità (2012)
44% 5,6
0
1960
’70
’80
’90
’00
’10
PAESI PIÙ POPOLATI AL MONDO
Popolazione in milioni (stime)
1.350
250 200 180
1.240
315
155
175
2012
2050
1.685
India
1.270
Cina
400
390
U.S.A. Nigeria
Indonesia
Fonte: The World Bank; Population Reference Bureau
I militanti del movimento islamista
Boko Haram (in italiano “la cultura
occidentale è peccato”) lottano
per instaurare uno Stato islamico
nel nord della Nigeria. Si stima che
il bilancio degli attentati da parte
del gruppo terroristico raggiunga
oggi le 6.000 vittime. Gli attacchi
sono incrementati da quando
il presidente Goodluck Jonathan
ha dichiarato lo stato di emergenza
nelle aree settentrionali del Paese,
nel maggio 2013.
290
Pakistan Brasile Bangladesh
275
220
190
Fonte: ACLED (Armed Conflict Location and Event
Data), Raleigh, Clionadh, Andrew Linke, Havard Hegre
and Joakim Karlsen; Reuters
LOOKOUT 5 - maggio 2014
27
ECoNomIA
Le candidature
alle elezioni,
le riforme
del mercato
del lavoro
e del sistema
fiscale, la nuova
costituzione.
Per realizzare
queste sfide
ci vuole
personalità
TURChIA |
dal nostro corrispondente a Istanbul
Giuseppe Mancini
N
onostante tutto, la Turchia continua a crescere: +4,4% nell’ultimo
quarto del 2013, +4%
su base annua; inoltre,
la disoccupazione a gennaio è scesa al
9,1% e il deficit delle partite correnti esploso in passato - è stato sensibilmente ridotto. L’andamento soddisfacente dell’economia ha aiutato non
poco il Partito della giustizia e dello
sviluppo (Akp) e il suo leader Recep
Tayyp Erdogan a vincere nettamente
le elezioni amministrative del 30 marzo, con il 45% circa dei consensi. Ma
lo “scandalo corruzione” del 17 dicembre, che ha travolto ben quattro
ministri e coinvolto il gruppo di potere vicino al premier, ha avuto un impatto significativo: svalutazione della
28
LOOKOUT 5 - maggio 2014
lira turca e conseguente inagosto e per le successive
flazione volata oltre l’8%, AbdULLAh politiche (previste per il
gÜL
hanno significato nelle urne
2015). Una strategia sudue milioni di voti in meno
bordinata a un livello di
è da
per l’Akp, cioè un calo di
voti - il 50% - simile a
quasi il 6% rispetto alle poli- escludersi che quella del 2011: “Erdoil presidente gan nuovo presidente,
tiche del giugno 2011.
Ne è convinto anche Seyelezioni politiche anticipapossa
fettin Gürsel, direttore del
te, e ampia maggioranza
proporsi
Centro per le ricerche ecodi seggi per approvare la
come rivale riforma in senso presidennomiche e sociali dell’Università Bahçe ehir (Betam)
di Erdogan ziale, ancora osteggiata in
ed editorialista di Today’s
questa legislazione dalle
Zaman: “Gli elettori guardaopposizioni”.
no alla loro condizione personale più
Erdogan resta comunque il grandische alle statistiche, e nell’ultimo de- simo favorito: “È da escludere che l’atcennio ad esempio c’è stato un gran- tuale presidente Abdullah Gül possa
de miglioramento nelle condizioni proporsi come rivale e candidati delle
delle fasce più deboli della popolazio- opposizioni di uguale carisma non ce
ne, sia in termini di reddito pro capite ne sono, quindi in un eventuale secondo
- che dal 2002 è triplicato - sia di servi- turno potrà beneficiare della desistenza
zi pubblici”. Il risultato finale delle di almeno parte dell’elettorato curdo e
amministrative, secondo il professor nazionalista”. Servirà un passaggio ulteGürsel, ha fatto però saltare la strate- riore per realizzare il piano: la riforma
gia dell’Akp per le presidenziali del 10 della legge elettorale, uninominale
m.I.N.T.
ATATURK
GÜL
ERDOGAN
Gli uomini-simbolo
della Turchia
contemporanea
all’inglese o collegi ristretti a cinque
deputati, così da dare all’Akp (basterebbero rispettivamente il 42% o il
45%) la maggioranza qualificata in seggi richiesta per approvare autonomamente una nuova costituzione.
Gli scenari rimangono invece aperti
su chi sostituirà Erdogan come primo
ministro e come presidente del partito: verranno comunque scelte personalità in grado di lavorare con lui in
armonia, così da preservare la stabilità. Superata questa fase delicata, con
quattro anni senza elezioni dopo quelle del 2015, l’esecutivo si dedicherà
con ogni probabilità a realizzare nuove riforme strutturali, quelle “necessarie a far ripartire definitivamente
l’economia ma impopolari, già pronte
ma bloccate dal premier”. Quali? Essenzialmente quelle del mercato del
lavoro e del sistema fiscale, il primo
“troppo rigido” e il secondo “sbilanciato verso le imposte indirette e incapace di combattere la diffusa evasione”.
Per fare il definitivo salto di qualità e
trasformarsi in economia pienamente
sviluppata, la Turchia ha però bisogno
anche di altro: “Investire con più convinzione nella ricerca e nell’innovazione, visto che al momento solo il 4% delle
esportazioni sono ad alto contenuto tecnologico; riformare in modo radicale il
sistema scolastico, che oggi forma le élite
in modo eccellente ma è nel complesso
molto indietro rispetto alla media Osce;
colmare il gap di sviluppo tra regioni occidentali e orientali, grazie alla definitiva
pacificazione del sud-est a maggioranza
curda; ridurre la dipendenza energetica
grazie al nucleare e alle altre fonti rinnovabili; insistere nei negoziati di adesione
all’Unione Europea e tornare ad assumere un ruolo pienamente stabilizzatore
nelle sue periferie”.
Infatti, secondo i dati elaborati da
Seyfettin Gürsel, “la crescita dell’economia turca è di bassa qualità”. Quella del
2013, ad esempio, è stata determinata
quasi esclusivamente dalla domanda
interna e dalla spesa pubblica, mentre
solo in misura minima dagli investimenti privati e dalle esportazioni. Più
in generale, “il mantenimento di alti livelli di occupazione comporta una
produttività mediamente bassa” e la
stessa “competizione sui mercati esteri
è basata soprattutto sul prezzo, con
conseguenze deleterie sull’inflazione”.
Il 2015 sarà dunque un anno-chiave.
Non solo per le riforme strutturali e per
la nuova costituzione. Ankara, infatti,
spera di ottenere un nuovo mandato per
il biennio 2015-2016 al Consiglio di sicurezza dell’ONU e, in ogni caso, sarà presidente di turno del G20. Inoltre, è impegnata in un gruppo informale - il MIKTA, fondato nel 2013 - insieme a Messico,
Indonesia, Corea del sud e Australia. Tre
MINT su quattro, insomma. Democrazie
ed economie aperte che puntano per la
propria crescita sulla liberalizzazione degli scambi e sull’attrazione d’investimenti
esteri, partner congeniali per la “nuova”
ed emergente Turchia.
LOOKOUT 5 - maggio 2014
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ECoNomIA
L’opINIoNE
L’era
dei MINT:
e l’Italia
che fa?
Alan friedman
Esperto di economia, autore del libro
Ammazziamo il gattopardo (Rizzoli)
D
opo l’ascesa dei BRICS da qui ai prossimi
cinquant’anni emergeranno nuovi mercati.
Alcuni come quelli africani sono già in rapida crescita. Sono tutti mercati con cui l’Italia
può e deve relazionarsi per garantire un alto
livello di competitività alla propria economia. La domanda
interna e le opportunità offerte dai Paesi dell’Asia, del Medio Oriente, del Sud America e del Nord Africa stanno infatti aumentando sensibilmente e noi per queste aree del
mondo siamo garanzia di qualità. L’Italia d’altronde continua a essere un Paese importante. È la terza economia in
Europa, seconda nel settore manifatturiero, ha un Made in
Italy che fattura 400-500 miliardi di euro l’anno. Il problema è che rimane un Paese spaccato a metà tra conservatori
e progressisti.
Per cambiare servono le riforme, ci vuole un rinnovamento della classe dirigente, delle banche e delle imprese,
occorre snellire il sistema burocratico e migliorare quello
giudiziario, serve un elettroshock che vada oltre il job act
proposto dal premier Renzi. Un’Italia ben governata, in
maniera razionale e trasparente, può riemergere sicuramente e non essere più il fanalino di coda come è accaduto
negli ultimi anni.
30
LOOKOUT 5 - maggio 2014
Elio pariota
Direttore Generale della
Università telematica Pegaso
Q
uando parliamo di macro-aree, dietro ogni
sigla vi è sempre un fermento di economie, di idee e innovazioni che riconfigurano il posizionamento degli Stati su scala
globale. I MINT sono soltanto una parte
del grande processo di cambiamento che sta scuotendo
molti mercati emergenti. Essi rappresentano delle aree
connotate da un costo del lavoro estremamente contenuto
rispetto agli standard europei e statunitensi, con un importante incremento del PIL pro-capite e una sorprendente
pianificazione economica. C’è poco da meravigliarsi, dunque, che - mano a mano che il processo di globalizzazione
si compie - si assista a un avvicendamento e a una sostituzione delle sigle che impongono nuovi attori sul proscenio
internazionale, anche se è ancora presto per dire che i
BRICS hanno terminato il loro percorso di crescita.
In questo generale riposizionamento, l’Italia dal punto
di vista strettamente economico resta una potenza globale:
è la seconda potenza manifatturiera d’Europa, la terza economia dell’Eurozona, il settimo esportatore al mondo. Viceversa, sul piano politico non riesce a condizionare in alcun modo l’agenda internazionale: da un lato appare fragile all’interno della stessa Unione Europea, stretta dall’asse
franco-tedesco; dall’altro è indirettamente risucchiata dalla
perdita di quel potere economico - e in parte geopolitico che la stessa Europa sconta nei consessi di livello globale.
ALL NEWS
ECoNomIA
REgNo UNITo
CINA
Pechino si prende
il rame peruviano
Storico anniversario
anglo-francese
Ventesimo compleanno
per il tunnel della Manica.
Nel maggio del 1994 il
collegamento sottomarino
tra Inghilterra e Francia
venne inaugurato
dalla regina Elisabetta II
e dal presidente francese
Francois Mitterrand.
C
on un investimento di 6 miliardi di dollari
la Cina è diventato il primo Paese a sfruttare il rame peruviano. A partire dal 2015 le
trivelle della compagnia di Stato China Minmetals
entreranno in funzione nel giacimento “Las Bambas”, il più grande situato nel Paese sudamericano.
L’obiettivo con questa operazione è coprire il 13%
dell’intero fabbisogno nazionale cinese.
pAESI bASSI
Multa salatissima
per aver eluso
l’embargo
fRANCIA
Il primo aereo
a energia elettrica
L
a compagnia aerea Carlson Wagonlit Travel
(CWT), con sede in Olanda ma con soci di
maggioranza americani, dovrà pagare quasi
6 milioni di dollari per aver eluso l’embargo in vigore su Cuba e aver venduto 44.400 biglietti da e
verso L’Avana.
È
planato sopra Bordeaux, nel sud ovest della
Francia, il primo aereo al mondo interamente alimentato da energia elettrica. Il
velivolo si chiama E-Fan, è stato progettato da Airbu,
è lungo poco più di 6 metri e può raggiungere una
velocità massima di 220 km/h. Presto potrebbe offrire viaggi in aereo più silenziosi, poco costosi e
soprattutto meno inquinanti.
SINgApoRE
STATI UNITI
Patto con gli
USA contro gli
evasori fiscali
Coca Cola elimina
l’ingrediente incriminato
E
ntro la fine del 2014 Coca Cola eliminerà
dai suoi ingredienti gli oli vegetali bromua Repubblica di Singapore condividerà
rati (i cosiddetti BVO), utilizzati per le becon gli Stati Uniti le informazioni sui convande a base di frutta e sportive come Fanta e
ti depositati dai cittadini americani presso
Powerade. La decisione è stata annunciata a sele sue banche. L’accordo rientra nel nuovo pial’età minima per
guito di una petizione on line che già lo scorso
no per la lotta all’evasione fiscale dell’agenzia
aprire un conto
anno aveva costretto anche la Pepsi a rimuoveamericana FATCA (Foreign Account Tax Comin banca in
re lo stesso elemento.
pliance Act), che entrerà in vigore a partire dal
India
primo luglio.
10
anni
L
LOOKOUT 5 - maggio 2014
31
do yoU SpREAd?
VoCI dAL mERCATo gLobALE
Qual è il reale valore
dello spread italiano
di B. Woods
M
entre il Governo del
premier Matteo Renzi approva il Decreto
sul Credito per i lavoratori dipendenti
con redditi compresi tra gli 8.000 e i
26.000 euro per un ammontare complessivo compreso tra 160 e 640 euro
per il 2014, il differenziale di rendimento tra i BTP decennali italiani e il
Bund decennale tedesco (spread) segna valori prossimi a 160 (3,12% contro 1,51%), con un trend inequivocabilmente decrescente. Lo spread, ovvero il differenziale di rendimento tra i
Titoli di Stato, comunica quella che i
mercati finanziari ritengono sia la rischiosità relativa di un investimento in
titoli del debito sovrano italiano rispetto a un equivalente investimento in debito sovrano tedesco, il Paese ritenuto
più affidabile nell’intera eurozona.
La valutazione dello spread è sostanzialmente simile a quella che si ricava
dall’analisi del costo di un Credit Default Swaps o CDS, ovvero quella sorta
di polizza assicurativa che gli investitori possono stipulare sui mercati finanziari non regolamentati (Over The
Counter, OTC), in genere con una
banca di quelle troppo grandi per fallire, per coprirsi contro il rischio di
fallimento di uno Stato. Un CDS sul
debito sovrano italiano a cinque anni
viene sottoscritto a un prezzo attorno
a 116 punti base, mentre il corrispondente contratto sul debito sovrano tedesco è attorno a 22. Quello per gli
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LOOKOUT 5 - maggio 2014
USA è a 17, quello francese a 48, quello giapponese a 46, quello spagnolo a
94, a ben 138 quello cinese, e infine a
oltre 452 quello greco (quello dell’Argentina è invece a 1.724).
A ciò si aggiunge l’indicazione immediata sulla rischiosità relativa: investire nel debito sovrano italiano è considerato dai mercati appena più rischioso che investire in Spagna, ma
meno che in Cina, ed è possibile valutare anche a quanto ammonta la probabilità annuale di default (PrDef) del
Paese. Assumendo una perdita
del 60% (40%) di quanto investito in caso di default,
A quando i
se il valore dei titoli acquistati è di 10.000 euro e il CDS costa 116
punti base, allora con
una semplice formula: 10.000 x 0,6 x
PrDef=117 (valore facoltre i dieci
ciale titoli x perdita x
anni?
PrDef = Costo CDS), si ricava che la probabilità annuale
di default è uguale a 1,9, ovvero
una PrDef=2,9 con una perdita del 40%
del valore facciale dell’investimento.
Pur essendo indicatori che appartengono a due mondi non comunicanti, lo spread è il frutto delle contrattazioni sui mercati finanziari regolamentati, mentre il costo del CDS è frutto di
negoziazioni sui mercati OTC, per definizione poco trasparenti quando non
opachi. Allo stato attuale, questi due
prezzi comunicano in modo coerente
che gli investimenti nel debito sovrano
dei Paesi dell’eurozona sono ritenuti
TIToLI
dI
STATo
PER SAPERNE DI PIÙ
DO YOU SPREAD? - WWW.LOOKOUTNEWS.IT
molto poco rischiosi - almeno da qui a
cinque anni - e che anche gravi crisi di
brevissimo periodo sono al momento
non probabili, vista l’assenza d’inversione nella curva del costo dei CDS.
Per l’Italia, questo favorevole scenario si traduce nella possibilità di ridurre ulteriormente il costo delle emissioni dei Titoli di Stato, pur in presenza di
un rendimento reale positivo rispetto
al tasso d’inflazione atteso. L’Italia si
candida quindi, almeno nel breve periodo, a rappresentare un competitor
efficace verso quei Paesi, come la Germania in area euro o la Svizzera, che
presentano ormai rendimenti reali negativi. L’Italia può allora raccogliere
quell’ingente massa di liquidità creata
dalle politiche monetarie espansive di
USA e Giappone, nonché dagli smobilizzi nei BRICS, non ancora sostituiti
dai cosiddetti MINT nei portafogli dei
grandi investitori, e finanziare a basso
costo un allungamento della durata del
proprio debito pubblico, attualmente
poco superiore ai sei anni.
A questo proposito, poiché i tassi
d’interesse reali mondiali si muovono
da tempo su terreni negativi e nulla
sembra far presagire un’inversione di
tendenza (almeno secondo le stime di
aprile 2014 del World Economic Outlook,
Fondo Monetario Internazionale) e
poichè alla caduta della profittabilità
degli investimenti reali - in particolare
nell’eurozona, Giappone e Regno
Unito - si va sovrapponendo l’eventualità di una sempre più probabile deflazione, sarebbe opportuno che la strategia dell’allieva di Bruno De Finetti,
la dottoressa Maria Cannata, responsabile del Tesoro e custode del debito
pubblico italiano, virasse con più decisione verso scadenze più lunghe (a
quando titoli oltre i dieci anni?) e rendimenti più bassi.
Probabilità di rischio default (CDS)
21
18
15
(%)
12
9
6
3
Fonte: Deutsche Bank
Argentina
Francia
Germania
Italia
LOOKOUT 5 - maggio 2014
Apr 14
Mar 14
Feb 14
Gen 14
Dic 13
Nov 13
Ott 13
Set 13
Ago 13
Lug 13
Giu 13
Mag 13
0
Spagna
33
A dIRE IL VERo...
IL moNdo ChE NESSUNo RACCoNTA
di Alfredo Mantici
“
I
l Medio Oriente è una regione
dove la percezione produce
fatti concreti”. Nella nostra
conversazione con Maurizio
Molinari, il corrispondente della Stampa da Gerusalemme dice una
grande verità, anche se illumina un versante negativo dei rapporti tra Israele e
i suoi vicini-nemici. Il tema è che la
percezione di pericolo può produrre
reazioni militari. Ma l’analisi può essere sviluppata anche in senso positivo.
È il caso delle relazioni tra Turchia e Israele, che sono arrivate vicino al punto di rottura quando nel maggio del 2010 le
forze speciali israeliane hanno attaccato una flotilla di sei navi che tentavano di forzare il blocco di Gaza. Una delle sei navi, la Mavi Marmara, batteva bandiera turca e nell’assalto dei
commandos israeliani persero la vita otto cittadini turchi e
un cittadino americano.
Dopo l’incidente, Israele rifiutò di porgere scuse ufficiali al governo di Ankara e questo reagì richiamando l’ambasciatore e
congelando le relazioni con Tel Aviv. In un solo giorno, Israele ha
perso il sostegno di uno Stato laico ma a maggioranza musulmana, che non soltanto nel 1949 aveva allacciato rapporti diplomatici e commerciali con il nuovo Stato ebraico, ma che nei decenni
successivi aveva intessuto una rete di relazioni di tutto rispetto anche nel campo della cooperazione militare e dell’intelligence.
Turchia-Israele:
musi duri, ma qualcosa si muove
Un indicatore tra i tanti della “percezione che produce
fatti concreti” è dato dal crollo del flusso di turisti da Israele verso la Turchia negli ultimi quattro anni. Un crollo che
si è ribaltato di colpo durante le ultime festività pasquali,
quando in una sola settimana 6.300 turisti israeliani hanno
trascorso le ferie in Turchia. Non solo, ma secondo la Turkish Airlines - che nonostante la crisi ha mantenuto i suoi otto voli al giorno da e verso Israele - stando al trend delle
prenotazioni, nella prossima estate la Turchia vedrà l’afflusso di circa 250mila turisti israeliani, diventando la seconda meta preferita dopo l’Italia.
Questo dato, insieme all’annuncio di una prossima riapertura delle ambasciate, sta ad indicare che al di là delle
dichiarazioni di facciata i rapporti tra Israele e Turchia
potrebbero tornare alla normalità con grandi effetti positivi per gli equilibri dell’intero scacchiere mediorientale, ma anche - come vedremo - con potenziali effetti
positivi per quanto riguarda i rapporti tra Turchia ed
Europa, resi ancora difficili dalla mancata soluzione
del problema cipriota.
Il premier turco Erdogan, pressato dalle esigenze
elettorali e forse sotto l’influsso di personalissimi sentimenti antisemiti, negli ultimi mesi ha mantenuto
34
LOOKOUT 5 - maggio 2014
PER SAPERNE DI PIÙ
A DIRE IL VERO - WWW.LOOKOUTNEWS.IT
Dopo cinque anni di gelo le relazioni tra Ankara e Gerusalemme
stanno tornando alla normalità. Anche se gli attori principali delle
due parti ostentano una intransigenza di facciata
alto il livello della tensione dialettica
Israele-Cipro per la raccolta e fornitucontinuando a chiedere le scuse forra di gas al governo turco potrebbe
mali del governo di Israele per l’incirendere Ankara molto più indipendente della Mavi Marmara, il risarcidente sul piano dell’approvvigionamento alle famiglie delle vittime e l’almento energetico di quanto non lo sia
lentamento del blocco israeliano nei
oggi, rafforzandone l’influenza politiconfronti di Gaza. Finora ha ottenuto
ca all’interno di tutti i giochi mediopiena soddisfazione per le prime due
rientali. Un accordo sul gas potrebbe
condizioni: oltre alle scuse del suo goanche aprire la strada alla soluzione
verno, il premier israeliano Netanyadel problema delle relazioni tra
hu ha offerto un risarcimento di 23
Turchia e Unione Europea, favomilioni di dollari per i familiari dei carendo l’avvicinamento di Anduti. Sul blocco di Gaza ha dovuto
kara a Bruxelles. Insomma,
mantenere una linea di fermezza ancome dice Eli Carmon e per
che perché Hamas negli ultimi mesi
capire quello che succederà,
non ha smesso di lanciare missili sul
bisogna “studiare il linguaggio
sud del Paese per continuare a far sencorporeo” di Erdogan, che è
tire la sua presenza “militare” sul terrimolto più moderato e conciliantorio ebraico.
te delle sue parole. I turisti
È presumibile che Erdogan mantenisraeliani che la prossiga un atteggiamento intransigente alma estate affollemeno fino alle elezioni presidenziali
ranno le spiagge
del 14 agosto prossimo, per continuare
turche forse ce
ad assicurarsi il consenso degli elettori
ne daranno la
musulmani. Ma stando alle valuconferma.
tazioni di analisti israeliani
come Eli Carmon e di poUn
litologi turchi come
accordo sul
Ceylan Ozbudak, dietro le quinte le cose
stanno andando molto meglio di quanto
potrebbe portare
non appaia sul palcoscenico. Anche il mialla soluzione
nistro degli Esteri della
del problema
parte turco-cipriota di
Cipro è convinto che le relazioni tra Ankara e Gerusalemme siano destinate a migliorare.
Un ruolo importante lo potrebbero
giocare i giacimenti di gas sottomarino scoperti al largo delle coste cipriote e di quelle israeliane. Un accordo
Mavi Marmara
Il “Casus belli” che
provocò l’interruzione
dei rapporti diplomatici
tra i due Paesi
(31 maggio 2010).
gAS
LOOKOUT 5 - maggio 2014
35
gEopoLITICA
LA CopERTINA
La difesa
dello
STATO
ISRAELE | a cura di Alfredo Mantici e Luciano Tirinnanzi
36
LOOKOUT 5 - maggio 2014
In un incontro esclusivo con
Lookout News, l’ambasciatore
dello Stato d’Israele in Italia
Naor gilon
analizza senza reticenze tutti
i più delicati dossier
del Medio Oriente. Dalla Siria
all’Iran, dalla Palestina
alle “Primavere Arabe”.
In Medio Oriente, dopo le Primavere
Arabe e la crisi siriana e nonostante i movimenti popolari, Israele resta l’unica democrazia in tutto
lo scacchiere. Islam e democrazia
sono dunque inconciliabili?
La questione non è necessariamente relativa all’Islam, ma certo la situazione che viviamo in Medio Oriente
dimostra che questa regione non è
ancora pronta alla democrazia. Del
resto, in Europa ci sono voluti secoli
prima di ottenerla. Per una democrazia stabile servono elementi certi, come una forte economia e una popolazione non ridotta alla fame. E ancora,
istruzione, stampa libera, diritti forti
per le donne. Serve una classe borghese robusta e acculturata. Tutto ciò
ancora manca. Quindi, non si tratta
di Islam o non Islam, anche perché ci
sono esempi di Paesi islamici democratici. Piuttosto la questione è legata
a quanto accade in Medio Oriente e
dal fatto che, per moltissimi anni, numerosi Paesi hanno vissuto sotto dittature che non hanno permesso loro
un adeguato sviluppo né la presenza
di partiti, sistemi legali forti o una
stampa libera. Penso che, col tempo,
se si permetterà a questi elementi di
svilupparsi, vedremo fiorire la democrazia anche in Medio Oriente.
LOOKOUT 5 - maggio 2014
37
gEopoLITICA
a seguire
ARAbIA
SAUdITA
Riad, potenza
nucleare?
IRAN
Un satellite spia
per gli Ayatollah
gIoRdANIA
La difficile missione
diplomatica
mEdIo
oRIENTE
L’arte saccheggiata
e distrutta
Le Primavere e la guerra civile in Ritiene che, quando le armi taceranno
Siria sembrano aver depotenziato i e le tensioni interne saranno ricompopeggiori nemici di Israele. Hamas ste, Israele avrà maggiori chance di
ed Hezbollah in particolare. È così? dialogo con i suoi vicini-nemici?
Alcuni nemici di Israele sono diretPer rispondere, dobbiamo tornare al
tamente coinvolti in Siria, ma non si discorso che facevamo prima: dipende
può dire che siano diventati più debo- da come il Medio Oriente uscirà dalla
li. Per esempio, di Hezbollah potrei crisi. Se avrà ottenuto più libertà, ci sadire il contrario e cioè che è diventato rà una grande possibilità per la pace in
più forte. Certamente, concordo che Medio Oriente. Se il popolo della renel breve termine Hezbollah
gione avrà migliori condizioni
avrebbe maggiori problemi
economiche e più emancipaa intraprendere nuovi atzione, ci sarà meno desiti ostili o a creare proderio di combattere e
Il nostro
blemi a Israele. Ma almeno
spazio
per
problema
lo stesso tempo stanl’estremismo. Questa
no crescendo, hanè la speranza che dobno fatto esperienza
biamo coltivare. Rie stanno ricevendo
cordiamoci di Anwar
nuovi armamenti, soSadat* in Egitto, che
oggi
lidificandosi
come
non era certo un demoè l’Iran
esercito ben più di pricratico ma era un grande
ma. Le faccio un esempio.
leader che inseguiva e creCon l’aiuto dell’Iran, Hamas
deva nella pace ed è stato uccie Hezbollah stanno migliorando la ca- so proprio per questa ragione. Questo
pacità balistica dei loro missili e otte- dimostra che, alla fine, serve una certa
nendo risultati tali che oggi sono in stabilità per raggiungere la pace.
grado di arrivare più lontano e di colpire con più accuratezza di prima. In La stampa israeliana ha parlato di
Libano, Hezbollah ha qualcosa come un progressivo riavvicinamento tra
centomila razzi di diverso tipo, e que- Israele e la Turchia dopo le tensiosto è molto allarmante, soprattutto ni conseguenti all’incidente della
perché l’esperienza ci dice che loro Mavi Marmara del 2010. Ritiene che
mirano direttamente alla popolazione il dialogo tra Gerusalemme e Ankacivile. Dunque, non sono sicuro che il ra stia registrando progressi signipericolo sia diminuito.
ficativi? In quale ambito?
NUmERo
UNo
Mahmoud Ahmadinejad
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/IRAN
*Presidente della
Repubblica d’Egitto
dal 1970 al 1981
**Presidente dell’Iran
dal 1989 al 1997
38
LOOKOUT 5 - maggio 2014
Hassan Rouhani
gEopoLITICA
Voglio credere che sia così, e che la
Turchia stia andando nella direzione
giusta, ma dipende. Le cosiddette primavere arabe hanno portato Israele e
Turchia ad avvicinarsi, ma questo è avvenuto perché abbiamo gli stessi interessi e siamo entrambi coinvolti. Certamente, spero che potremo metterci alle spalle l’affaire Mavi Marmara, così
come spero che la direzione intrapresa
dalla Turchia verso un Paese pluralistico e secolare continui. Del resto, due
Paesi forti che non hanno origini arabe, potrebbero cooperare benissimo.
Quale scenario a breve termine teme
di più il vostro governo?
L’Iran è il problema numero uno.
Anche perché per lungo tempo è stato
una minaccia diretta alla nostra esistenza. Certo, siamo preoccupati per
tutto ciò che sta accadendo nel resto
del Medio Oriente ma, in questo caso,
sappiamo che quello che possiamo fare è limitato e semplicemente cerchiamo di non essere coinvolti. Poi c’è la
Palestina, anche se oggi non è più il
principale problema per l’intero Medio Oriente, mentre lo sono piuttosto
le differenze tra sunniti e sciiti e le relative mancanze di democrazia e di sviluppo economico.
Le tensioni dialettiche e le minacce
reciproche tra Israele e Iran sono diminuite dopo l’insediamento del nuovo governo di Teheran. Il pericolo nucleare iraniano va scomparendo?
Chiaramente, c’è un nuovo volto in
Iran. Ahmadinejad era un “cattivo ragazzo”, mentre oggi abbiamo persone
che in qualche maniera dialogano. Ma
fondamentalmente, da quanto abbiamo
avuto modo di capire, l’approccio dell’Iran non è affatto cambiato. Il problema di Israele è con il regime iraniano,
che non è certo cambiato. La sua struttura, così come i Guardiani della Rivoluzione, sono gli stessi di prima. La nostra
paura è la combinazione di questo regime con le capacità nucleari dell’Iran. Ad
esempio, Rafsanjani** non era certo una
persona estremista, eppure in passato
disse che, data la dimensione limitata
del nostro Paese, una sola bomba poteva
distruggere Israele. Tutto è ancora così.
Eppure il presidente Rouhani ha
assicurato di volere il dialogo…
Le persone sono distratte dal fatto
che nel nuovo regime c’è una persona
piacevole e non così pessima come
Ahmadinejad, che era facile da disprezzare. Ma l’obiettivo non è cambiato
e il regime insiste nel voler dotarsi della
capacità nucleare. L’Iran oggi è sul punto di realizzare ben cinque o sei bombe
nucleari. L’accordo con le sei superpotenze non va nella direzione di un’inversione di rotta. Ha semplicemente congelato alcune capacità, ma gli iraniani
possono continuare in altra maniera.
Questa è la nostra preoccupazione.
Chi è
Naor Gilon
Classe 1964, Gilon è nel Ministero
degli Esteri dal 1989. Già Ministro
Consigliere presso l’Ambasciata
d’Israele a Washington DC
(2002-2005), è stato capo di
Gabinetto del Ministro degli Esteri
nel 2009 e Vice Direttore Generale
per gli Affari dell’Europa occidentale
sino al 2011. Dal 1° febbraio 2012 è
Ambasciatore presso la Repubblica
Italiana e di San Marino.
Programma iraniano di arricchimento dell’uranio
Processo di centrifuga
Impianti di trattamento/arricchimento dell’uranio
L’arricchimento avviene tramite
la separazione dell’Uranio-238
dall’Uranio-235
TURKMENISTAN
4
1
Qom (Fordow)
Ramandeh
Natanz
Lashkar-Abad
Isfahan
IRAQ
Darkhouin
5
5
Tehran
Rivestimento
AFGHANISTAN
Cilindro
2
3
2
IRAN
Motore
100 miglia
100 km
ARABIA
SAUDITA
1 Gas di esafluoruro di uranio
immesso nel cilindro rotante
e centrifugato ad alta velocità
Numero di centrifuge in IRAN
Già attive
Aprile 2007
Nov. 2008
Ago. 2009
Ago. 2013
Installate ma non attive
1,300
Numero totale
delle centrifughe
installate a partire
da agosto 2013
3,800
4,592 3,716
10,000 8,000*
* Comprende mille nuove centrifughe IR-2m,
più avanzate rispetto alle attuali centrifughe
18,000
2 Le molecole più pesanti di
Uranio-238 si raccolgono
all’esterno del cilindro
3 Le molecole più leggere
di Uranio-235 si raccolgono
al centro del cilindro
4 Il gas arricchito di U-235
è pronto per la fase
successiva
5 Il gas impoverito di U-235
torna alla fase precedente
Fonte: Reuters; International Atomic Energy Agenc
LOOKOUT 5 - maggio 2014
39
gEopoLITICA
Noi non abbiamo un problema con l’Iran, ma con il nucleare dell’Iran. Non vogliamo
che diventi una potenza nucleare e speriamo che l’accordo finale renda certa l’impossibilità per l’Iran di produrre simili armi e che non possa ricominciare con l’arricchimento
dell’uranio. Comunque, questo non è l’unico problema
con l’Iran, ne abbiamo altri.
Quali?
L’Iran è il più grande sostenitore del terrorismo in Medio Oriente e questo non è
cambiato neanche sotto la presidenza Rouhani. Si veda la Siria, dove l’Iran protegge il regime e supporta Hezbollah, che
è coinvolta nel conflitto grazie
a loro. Inoltre, supportano
Hamas e le minoranze sciite
nel Golfo, così come armano i
ribelli in Yemen. Giusto un
mese fa abbiamo fermato una
nave piena di armi che andava
a Gaza. E poi penso ai diritti
Missile
Lunghezza Carico utile
civili e umani, se non sbaglio
l’Iran è il Paese che compie
più esecuzioni di morte al
mondo dopo la Cina.
È ottimista circa gli accordi
tra USA e Iran?
Siamo speranzosi che gli
americani e le altre potenze
trovino una soluzione. Ma non
siamo gli unici ad essere nervosi sul tema. Penso all’Arabia
Saudita. I sauditi sono abbastanza grandi e forti per dire
quel che pensano. Comunque, l’obiettivo dev’essere
chiaro, non permettere che
l’Iran raggiunga la capacità
nucleare. Spero che quel che
sta succedendo in Ucraina
non produca effetti collaterali,
visto che USA e Russia stavano collaborando in questo e
altri settori.
n.d.
Sopra i
170kg*
Siria/Iran
Fajr-5
648,5 cm
175kg
Iran
WS-1E
294 cm
18-22kg
Cina
Grad
283 cm
18kg
Iran/
Russia
Qassam-4
244 cm
circa
10kg
Gaza/
West Bank
Circa il processo di
pace israelo-palestinese, qual è la vostra
opinione sull’accordo Hamas-Fatah?
Abu Mazen ha formato un’alleanza con
un’organizzazione che
chiede ai musulmani di
combattere e uccidere
gli ebrei. Hamas ha lanciato oltre diecimila tra
missili e razzi contro il
Israele e non ha fermato le azioni terroristiche neanche una sola volta. L’accordo tra Abu Mazen e Hamas è stato firmato
Possono il Qatar o l’Arabia
Saudita essere la soluzione dei problemi del Medio
Oriente?
Origine
M302
Il Qatar ha molte risorse e soldi ma la sua capacità di influenzare è limitata. L’Arabia Saudita
è differente, si tratta di un grande Paese e certamente può essere parte della soluzione. Ma il
punto è che entrambi sono
coinvolti in Siria come in Iran.
Alla fine, in Medio Oriente tutto è interconnesso.
Gittata massima:
100 km
Netanya
100-200 km*
Distanza
da Gaza
75 km
Tel Aviv
75 km
34-45 km
18-20 km
Ashdod
50 km
15-17 km
Kiryat Malachi
Gerusalemme
Ashkelon
Qassam-3
200 cm
10-20kg
Gaza/
West Bank
Qassam-2
180 cm
5-9 kg
Gaza/
West Bank
Qassam-1
80cm
0.5 kg
Gaza/
West Bank
I missili di Gaza
Fonte: Global Security; IDF
40
10-12 km
ISRAELE
Sderot
STRISCIA
DI GAZA
8-9.5 km
10 km
WEST
BANK
(Cisgiordania)
20 km
Ofakim
3-4.5 km
Beersheba
Eshkol
EGITTO
*Dipende dal tipo di missile. L’illustrazione mostra un M302 come da foto delle Forze di Difesa Israeliane
LOOKOUT 5 - maggio 2014
Setad
È il colosso
finanziario
iraniano
controllato
direttamente
dalla Guida
Suprema,
l’Ayatollah Ali
Khamenei (foto).
Il suo valore
secondo Reuters
è di 95 miliardi
di dollari, pari
al PIL di una
nazione grande
come il Marocco.
Anche attraverso
Setad, Khamenei
controlla il Paese.
gEopoLITICA
A history
of violence
I colloqui di pace tra Israele e Palestina
potrebbero metter fine a decenni
di sangue. La TIMELINE degli episodi
più violenti degli ultimi anni,
dimostra però quanto la strada verso
la pacificazione sia irta di ostacoli.
14-23 Agosto 2005
Israele si ritira dalla Striscia di Gaza
e da quattro insediamenti nel nord
della Cisgiordania sgombrando
tutte le colonie.
25 giugno 2006
27 dicembre 2008
Aerei da guerra israeliani bombardano
la Striscia di Gaza uccidendo 315
persone in uno dei più sanguinosi
episodi degli ultimi sessant’anni.
27 dicembre 2008 18 gennaio 2009
Conosciuta anche come operazione
“Piombo fuso”, la guerra di Gaza
uccide 1.371 palestinesi con attacchi
aerei e invasione di terra da parte di
Israele.
I militanti di Hamas lanciano un raid
contro Israele da Gaza uccidendo due
soldati e catturandone uno, Gilad Shalit.
9-12 marzo 2012
28 giugno 26 Novembre 2006
14-21 Novembre 2012
L’operazione “Pioggia d’estate”
fallisce dopo cinque mesi di
bombardamenti e incursioni per
liberare Shalit. Viene concordato
un cessate il fuoco.
29 febbraio 3 marzo 2008
L’esercito israeliano lancia una vasta
operazione contro i militanti di Hamas
nella Striscia inviando un folto
contingente. L’operazione prende il
nome di “Inverno caldo”.
Fonte: United Nations Office for Coordination of
Humanitarian Affairs in the occupied Palestinian territory;
Reuters (aggiornata al settembre 2013)
Quattro giorni di violenze tra Israele e
i militanti di Gaza provocano 24 morti.
L’operazione “Pilastri della Difesa”
è un’offensiva aerea e d’artiglieria.
Secondo il governo israeliano,
l’operazione inizia in risposta ai lanci
di razzi palestinesi.
Vittime della guerra (da gennaio 2005)
3.724
3.066
Palestinesi
Adulti
143
Israeliani
nonostante Israele stia compiendo
sforzi per far progredire i negoziati
con i palestinesi. È la conseguenza diretta del rifiuto dei palestinesi di far
progredire i negoziati. Solo il mese
scorso Abu Mazen aveva respinto i
principi-quadro proposti dagli Stati
Uniti, ha poi rifiutato di discutere il
riconoscimento di Israele come StatoNazione del popolo ebraico e adesso si
è alleato con Hamas. Ma la Carta di
Hamas (Il "Patto del Movimento di Resistenza Islamico” del 1988, ndr) rifiuta
tutti i colloqui di pace con lo Stato di
Israele, e sottolinea l'impegno dell'organizzazione terroristica nel distruggere Israele attraverso una guerra santa
(jihad, ndr). Quella Carta è un documento apertamente antisemita e antioccidentale, che esprime la prospettiva
islamica radicale di Hamas. Ma soprattutto il punto è che resta ancora valida.
La posizione estremista della Carta
esprime la totale opposizione a qualsiasi accordo o intesa che riconosca il
diritto di Israele a esistere.
E cosa può dirci dei rapporti tra
Israele e Italia e del ruolo di Roma
nel Mediterraneo?
Le relazioni con l’Italia sono eccellenti in tutti i settori. Solo in campo
economico, lo scorso anno abbiamo
avuto oltre quattro miliardi di dollari
in scambi commerciali e abbiamo siglato importanti accordi militari, per
oltre due miliardi. Voi siete il nostro secondo o terzo partner in ricerca e sviluppo e le nostre collaborazioni non si
limitano a questo. Si veda il turismo.
Solo nel 2013 ben il 5% di cittadini
israeliani ha visitato l’Italia, è un numero altissimo. Insomma, la cooperazione è davvero ottima. Circa il ruolo
dell’Italia nel Mediterraneo, il vostro
Paese è molto rispettato da tutti e può
avere un ruolo importante, anche se
oggi è più difficile per la crisi europea.
Il problema del vostro Paese è aumentare la competitività e l’innovazione
per e con i giovani.
755
Bambini
LOOKOUT 5 - maggio 2014
41
gEopoLITICA
La spada di Damocle
e di ABDULLAH
ARAbIA SAUdITA |
di Ottorino Restelli
T
ra la fine degli anni Ottanta e gli inizi dei Novanta, la CIA e Israele rimasero sbigottiti nello scoprire
che l’Arabia Saudita stava
contrattando con i cinesi l’acquisto di
missili a capacità balistica nucleare che
potevano raggiungere i 3.500 chilometri di gittata. Grazie alle attività d’intelligence, si scoprì poi che la petro-monarchia ne aveva acquistati 120, più una
dozzina di lanciamissili Le cifre furono
poi ridotte a 50 missili e 9 lanciamissili.
Il nome tecnico di questi vettori era DF3, che sta per DongFeng-3 (“Vento
dell’Est” in cinese), noti come CSS-2 secondo la catalogazione NATO.
Quell’ingente acquisto, avvenuto
all’oscuro degli Stati Uniti, era uno
smacco non da poco per Washington,
che dovette fare buon viso a cattivo gioco ed entrare nella corsa agli armamenti saudita, aiutando Riad a costruire basi militari segrete nel mezzo del
deserto, dove sarebbero poi stati stivati
i preziosi missili balistici e le altre attrezzature da guerra acquistate dalla famiglia Saud. In ogni caso, fu forse la
prima volta che l’Arabia Saudita gestiva
completamente da sola contratti militari di tale portata. Per l’intelligence
USA doveva essere il segnale che prima
o poi anche i sauditi avrebbero potuto
costituire una minaccia alla sicurezza,
ma forse non fu recepito a fondo.
A distanza di oltre vent’anni, quei
missili fanno ancora discutere: durante la parata militare del 29 aprile scorso, denominata “Spada di Abdullah”,
per la prima volta le Forze Armate saudite hanno mostrato in pubblico i missili balistici DF-3, acquistati dalla Cina
ben 27 anni fa.
42
LOOKOUT 5 - maggio 2014
Secondo fonti israeliane, l’Arabia Saudita - oltre ad essere la prima nazione
del Medio Oriente ad esporre pubblicamente i suoi missili con capacità nucleare - con questo gesto ha inteso lanciare
una serie di messaggi provocatori diretti
sia agli Stati Uniti che all’Iran, nell’avvicinarsi dell’accordo sul nucleare.
Riad avrebbe cioè voluto significare
che condivide con Israele la preoccupazione per un’intesa che sancirà l’elevazione della Repubblica Islamica
allo status di potenza pre-nucleare e che è pronta a rispondere “a tono”. Non solo, la presenza alla parata del Generale
Raheel Sharif, Capo di Stato
Maggiore pakistano, certifica
il livello raggiunto dai sauditi
in materia di nucleare grazie all’esperienza e alla
tecnologia fornita da
Islamabad (il Pakistan
possiede la bomba
dalla fine degli anni
Novanta grazie proprio ai petroldollari
del Regno saudita,
in joint venture con
Libia e Iran).
Inoltre, secondo fonti
attendibili, poco tempo fa
funzionari sauditi sono stati intercettati in Cina durante i negoziati finali per l’acquisto dei nuovi missili
DongFeng-21 (DF-21), il cui raggio
d’azione è inferiore ai DF-3, ma la cui
traiettoria è molto più precisa e letale
(le stesse fonti non riferiscono se e
quando i nuovi missili cinesi sono poi
arrivati in Arabia Saudita).
In conclusione, il pericolo di un’ulteriore escalation nucleare non è lontana. Sicuri che i sauditi si basino ancora sull’ombrello nucleare americano e non si siano dotati di un’arma di distruzione di massa?
Spada
di Abdullah
Il nome in codice
dell’esercitazione
militare dell’esercito
saudita dello scorso
aprile (foto)
SICUREzzA
IRAN | di Marco Giaconi
I
l 9 Aprile 2014 alle 20:15 ora di
Greenwich, Israele ha lanciato
dalla base militare di Palmachim il satellite-spia Ofek-10. È
stato lanciato dal razzo a tre
stadi Shavit, una rielaborazione israeliana di un vecchio modulo francese.
Ofek o Ofeq, che significa “orizzonte”, è
un satellite che utilizza tecnologia
SAR (Syntetic Aperture Radar) e opererà notte e giorno, indipendentemente dalle condizioni atmosferiche.
Lo scopo? Lo chiariremo più avanti.
Oggi lo Stato Ebraico ha tre satelliti
attivi per l’imaging in orbite eliosincrone (orbite che, combinando altezza e
inclinazione, permettono un’illuminazione solare costante) a bassa altezza: Ofeq-7, Ofeq-9 e Tecsar I. Tutti satelliti radar per l’elaborazione-spedizione a
terra in tempo reale di immagini ad alta risoluzione. Inoltre, c’è la rete di SIGINT (SIGnal INTelligence) gestita tramite il satellite Amos 4, lanciato nel settembre 2013, che fornisce dati che vengono poi integrati nel più ampio sistema ECHELON, il noto strumento di
raccolta dati britannico-americano di
cui Israele è un “membro di fatto”.
Le immagini (e non i segnali elettronici) sono quindi elaborate dalla “Unità 9900” dell’intelligence militare
israeliana, che si occupa specificamente dell’analisi IMINT (Imagery-INTelligence), al fine di verificare i minimi
spostamenti, le modifiche e le deformazioni di ogni genere che risultino
dalle immagini satellitari.
È del tutto intuitivo che queste reti
satellitari siano dirette, soprattutto, all’osservazione fine dei siti nucleari iraniani.
Ma c’è un ulteriore scopo: Tel Aviv percepisce sempre di più l’importanza strategica della protezione marittima della EEZ
(Exclusive Economic Zone), ossia le acque
antistanti la Striscia di Gaza di sua spettanza, nella quale si stima che si trovino
oltre 990 trilioni di litri di gas naturale
che - insieme ai giacimenti marini di Cipro e Grecia - potrebbero soddisfare
Come ti spio
un regime
Per monitorare le attività nucleari della Repubblica
Islamica, Tel Aviv ha mandato in orbita il satellite spia
ofek-10. L’Iran però non resta a guardare
l’intero consumo di gas dell’Europa per
i prossimi vent’anni. Ne consegue che
Israele sarà un efficace player mediterraneo per la tutela dei suoi mari e per la
gestione delle strutture di difesa nucleare contro eventuali attacchi dall’Iran o
da altri Paesi dell’area.
L’esigenza per Israele ad agire da soli
nasce dalla guerra del Kippur del 1973
quando la dirigenza politico-strategica militare del Paese, dovendo richiedere IMINT
satellitare agli USA, si sentì rispondere:
“avrete le foto quando la guerra sarà finita”. Stansfield Turner, infatti, capo della CIA dal 1977, inviava a Israele solo le
descrizioni delle foto satellitari USA, ma
non le foto stesse. Quindi, dal 1983 in
poi le strutture scientifico-militari dello
Stato ebraico crearono con alterne fortune le condizioni per una totale autonomia IMINT, in evidente connessione con la minaccia convenzionale panaraba e il
sorgere della minaccia
nucleare sciita-iraniana
nonché di quella chimico-batteriologica.
Del resto, è oggi
evidente che gli Stati
Uniti in Medio
Oriente abbiano interessi non del tutto
coincidenti con quelli
di Gerusalemme e, infatti, stiamo assistendo
nell’area a un decoupling,
un disaccoppiamento della
strategia di Washington da
quella israeliana, con gli USA
che vogliono ridurre al minimo la
presenza nel Mediterraneo per spostarsi verso il Pacifico e i bordi della Cina, al
fine di regionalizzare Pechino e circondare, di fatto, la Federazione Russa.
In tutto ciò, l’Iran non sta certo a
guardare: la Repubblica islamica ha
lanciato a sua volta satelliti IMINT capaci di “accecare” le piattaforme spaziali della CIA, e dispone di satellitispia che volteggiano sopra Israele da
almeno il 2009. La capacità di Teheran di “mascherare” i siti nucleari è
dunque ben nota ai tecnici dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA). Pertanto, i giochi restano
aperti e l’equilibrio strategico non è
ancora deciso.
Teheran ha
lanciato
a sua volta
SATELLITI
ImINT
capaci di accecare
le piattaforme
spaziali della CIA
LOOKOUT 5 - maggio 2014
43
gEopoLITICA
ISRAELE |
una conversazione con Maurizio Molinari*
“
I
l Medio Oriente è una regione dove
la percezione produce frutti concreti, si trasforma in realtà. Se Teheran sarà in grado di mantenere
l’arricchimento dell’uranio al termine di un braccio di ferro con la comunità internazionale in corso da oltre dieci anni, sarà percepita come una potenza nucleare, a prescindere se ha o meno l’atomica. Israele, come anche l’Arabia Saudita, le
monarchie del Golfo e l’Egitto, temono tale
scenario perché implica la trasformazione
dell’Iran nel Paese più temuto, e dunque
influente, dell’intero Medio Oriente. Con
conseguenze a pioggia a favore dei suoi alleati: Hezbollah, Hamas, i Fratelli Musulmani e le minoranze sciite, dallo Yemen
all’Arabia Saudita. È questo smottamento
strategico l’incubo peggiore di israeliani e
sunniti, sul quale s’inseriscono le informazioni, contenute negli ultimi rapporti dell’Agenzia atomica dell’ONU, che riguardano i possibili aspetti nucleari del programma iraniano. In particolare, il reattore ad
acqua pesante di Arak e i test sui detonatori
svolti a Parchin vengono indicati, da tali
documenti, come gli interrogativi a cui Teheran deve dare più urgentemente risposta”.
Maurizio Molinari, da Gerusalemme,
La messa in
sicurezza
descrive così i timori di Israele, il cui
governo ritiene di non poter avere reali garanzie dai negoziati sul nucleare in
corso a Vienna tra Teheran e il Gruppo 5+1.
Riconoscimento della Palestina
“Israele non è parte di29 novembre 2012: l’Assemblea generale dell’ONU
retta nei negoziati del
approva il riconoscimento dello Stato sovrano
Gruppo 5+1 con l’Iran
sul programma nucleare
Come hanno votato i 193 Stati membri
ma gli Stati Uniti hanno
scelto di coinvolgerla e
138 SI
informarla sugli svilup9 NO
pi - ricorda il corriCanada
spondente per La
Rep. Ceca
Israele
Stampa - La tesi del goIsole Marshall
verno di Gerusalemme è
Micronesia
che per avere successo taNauru
Palau
li negoziati devono porPanama
tare alla fine dell’arricStati Uniti
chimento dell’uranio da
parte dell’Iran. Il motivo
41 ASTENUTI
è che l’Iran, per Israele, è
5 ASSENTI
oramai in possesso del
know-how per realizzare
Fonte: United Nations
44
LOOKOUT 5 - maggio 2014
un ordigno e l’unica maniera per impedirglielo è smantellare le 19mila centrifughe
che possiede. Per l’Iran l’arricchimento dell’uranio invece è un diritto acquisito che
punta a vedere sancito dalla comunità internazionale, proprio grazie ai negoziati.
Non credo che Israele o Iran modificheranno le rispettive posizioni, in lampante
contrasto”.
Ciò nonostante, la vita va avanti e sul
Paese non grava lo spettro della crisi
europea. “Israele attraversa una forte fase
di espansione economica, dovuta al boom
dell’hi-tech, a un mercato immobiliare in
costante crescita e agli investimenti in arrivo sul fronte dell’energia, dal Texas all’Australia fino alla Russia”. Insomma, i
consumi crescono e il benessere è visibile. “Ma ciò non toglie che resta una nazione la cui spina dorsale sono le forze armate. Dunque, la percezione di ogni possibile minaccia è immediata. Si diffonde in
un attimo, ovunque. Sono i due volti della
società israeliana”.
gEopoLITICA
E non si tratta solo di minaccia nucleare: “Iran a parte, la
maggiore minaccia per Israele viene
dalle aree lungo i propri confini dove vi sono gli ‘Stati falliti’ come la
Siria, i gruppi militari apertamente
ostili, Hezbollah nel Libano del Sud
e Hamas a Gaza. Oppure, situazioni di forte instabilità, come nel Sinai
egiziano. In concreto, ciò significa
che su cinque confini terrestri, Israele
ne ha ben quattro ad alto rischio, ovvero da dove possono arrivare attacchi militari diretti. Per proteggersi da
tale minaccia, Israele si è dato una
strategia”. Quale? “È quella che alcuni esperti militari hanno denominato ‘strategia del castello’. Essa ha
tre componenti: barriere fisiche difensive rafforzate, minuziosa raccolta
d’intelligence su cosa avviene nel territorio a ridosso del confine, blitz oltrefrontiera per colpire e neutralizzare
la minaccia prima che si concretizzi.
Tale strategia ‘del castello’ spiega
l’intensificazione degli attacchi
israeliani in territorio siriano”.
Ma quanto consenso politico
ha il governo di Benjamin Netanyahu per portare avanti tale strategia? “Nell’opposizione al nucleare iraniano, il premier può contare su un governo
compatto, una maggioranza in Parlamento più larga rispetto a quella che sostiene
l’esecutivo e un vasto sostegno popolare. La
grande maggioranza degli israeliani ritiene che se Teheran arriverà all’atomica tenterà di usarla contro Israele, lanciandola
con un missile a lungo raggio o affidandola ad un gruppo terroristico. Questo è il
motivo per cui Netanyahu è esplicito nella
minaccia del ricorso alla forza per bloccare
il programma nucleare di Teheran. Quando si parla di ‘forza’ bisogna immaginare
più opzioni e scenari: ad esempio, da tempo
le unità cibernetiche dell’esercito israeliano
bersagliano gli impianti iraniani e, dunque, non si può escludere che l’eventuale
decisione di colpire possa concretizzarsi con
mezzi finora mai adoperati. Fermo restando l’ipotesi di un blitz tradizionale che potrebbe avere il consenso, e dunque il sostegno logistico, di molti Paesi sunniti”.
Lo scudo “Iron Dome”
Il sistema missilistico di difesa dello Stato ebraico sta giocando un ruolo sempre
più importante nell’escalation del conflitto con i militanti della Striscia di Gaza
Come funziona
1
2
Radar per il
rilevamento e
monitoraggio
Rileva missili o
colpi di artiglieria
controllandone
la traiettoria
3
Missile
intercettore
Tamir
Unità
di gestione
e controllo
Analizza la
traiettoria
e determina
il punto
d’impatto
previsto
Intercettori
Il radar guida
il missile fino
al bersaglio
70 km
Razzi Pezzi
a corto d’artiglieria
raggio da 155mm
Lanciamissili
Sviluppo del sistema
2011
Iron Dome
Sistema di difesa contro
razzi a corto raggio e
colpi d’artiglieria
2013
David’s Sling - Sistema
d’intercettazione di razzi a medio e
lungo raggio e missili da crociera
(raggio tra i 40 e i 300 Km)
2014-2015
Arrow III - L’evoluzione
della famiglia di missili Arrow
neutralizzarebbe obiettivi fino
a oltre 100 km
Fonte: Rafael, Israeli Defence Forces, media reports
Quali sono le posizioni assunte dai
vari partiti in merito a questo scenario? “I partiti della coalizione, dal Likud
a Bait HaYehudì, hanno posizioni più dure del governo. Anche Yesh Atid, del leader
laico Yair Lapid, è su posizioni dure al riguardo. Mentre, tra le forze di opposizione,
sono i partiti arabi gli unici ad opporsi allo scenario di un ricorso alla forza. Il leader più in difficoltà è Isaac Herzog, capo dei
laburisti, perché consapevole che la cartaIran gioca comunque a favore di Netanyahu.
A dimostrarlo è anche la convergenza di approccio sull’Iran tra Netanyahu e il leader
politico più in grado di rivaleggiare con lui,
il novantenne presidente Shimon Peres”.
Resta aperta la questione Palestina.
“I negoziati sono in una fase di impasse
che si spiega non solo con i disaccordi contingenti sul prolungamento delle trattative
oltre la scadenza del 29 aprile, stabilita
dai mediatori Usa, ma con l’affermarsi, in
entrambi i campi, di un forte scetticismo
sulla possibilità di arrivare a un accordo
finale basato sulla formula dei ‘Due Stati’.
Tanto fra gli israeliani come tra i palestinesi sta maturando la convinzione di dover esplorare vie alternative. Questa è la
maggiore novità all’orizzonte”.
* Corrispondente per La Stampa da Gerusalemme
LOOKOUT 5 - maggio 2014
45
gEopoLITICA
L’ago
della bilancia
mediorientale
gIoRdANIA | di M. Pranzetti
A
Amman gioca su più
tavoli: sostiene l’asse
moderato di Arabia
ed Egitto, media tra
Hamas e Fatah, ospita i
rifugiati siriani e dialoga
con Iran e Stati Uniti
ISRAELE
fine aprile, la Giordania
ha varato un emendamento della legge antiterrorismo che impone
sanzioni più severe e
un’estensione della definizione stessa
di terrorismo, in risposta al crescente
estremismo nella vicina Siria che minaccia direttamente la sicurezza del
Regno. La mossa avrà evidenti riper- che il Regno di Giordania fungesse da
cussioni sulla politica interna - con i mediatore nella recente disputa emerFratelli Musulmani che già criticano gli sa all’interno del Consiglio di Coopeemendamenti, considerandoli uno razione del Golfo (GCC) tra Arabia
strumento in più per fiaccare l’opposi- Saudita e Qatar, come pure si era penzione - ma ne avrà altrettante circa sato a fine marzo dopo l’incontro laml’equilibrio regionale. A inizio febbraio, po tra l’Emiro del Qatar e Re Abdullah
infatti, era stata l’Arabia Saudita a rinvi- II di Giordania. Piuttosto, quell’incongorire le leggi anti-terrorismo, metten- tro era legato alla questione palestinedo direttamente fuori legge la Fratel- se, con cui la Giordania ha sempre dolanza. Inquadrata in quest’ottica, la vuto fare i conti visto l’ingente numero
di profughi e sfollati
mossa giordana assume
LIBANO
che sono giunti dai Tergrande valenza, consiSIRIA
ritori e considerato
derato il legame tra il
che, fino alla fine degli
Regno hascemita e i
Amman
anni Novanta, Amman
Paesi del Golfo (e in
ARABIA
ha ospitato la dirigenza
particolare la storica alSAUDITA
di Hamas (finanziarialeanza con Casa Saud),
mente e politicamente
ma anche considerato il
150 miglia
sostenuta dal Qatar, il
fatto che Amman sostie150 km
che spiega l’interessane l’asse moderato tra
mento dell’Emiro).
Arabia Saudita ed Egitto
È, infatti, emerso sucche si contrappone all’as- gIoRdANIA
cessivamente che prose tra Qatar e Turchia, i
La sua posizione
quali invece sostengono geografica esprime prio la Giordania si era
proposta come medial’Islam radicale.
bene il concetto
tore nei colloqui tra
Visto il coinvolgimenstesso di centralità Hamas e Fatah - le due
to, era poco probabile
46
LOOKOUT 5 - maggio 2014
RE ABDULLAH II
È in carica dal febbraio
1999, quando è subentrato
al padre Hussein. La sua
dinastia degli Hascemiti,
vanta discendenza diretta
da Maometto, in quanto
membro del clan dei Banu
Hashim all’interno della più
ampia tribù dei Quraysh.
anime, una intransigente e l’altra moderata, del popolo palestinese - che di
recente e dopo anni di contrasti hanno dato i propri frutti, portando all’accordo di riconciliazione nazionale
che Israele temeva e che infatti ha pesantemente condannato.
Ora, tenuto conto del fatto che la
Giordania è uno dei pochissimi Paesi
arabi che s’impegna nella politica di
normalizzazione delle relazioni con
Israele (dopo la firma di un accordo
di Pace nel 1994), chissà che Amman
adesso non possa fungere da mediatore anche nei colloqui stessi tra Palestina e Israele, come d’altronde aveva
auspicato lo scorso marzo anche John
Kerry, Segretario di Stato americano,
nell’incontro con Re Abdullah II.
Certo, la monarchia hascemita ha
sempre curato i propri interessi e le
sue buone relazioni amicali con diversi Stati, vantando una neutralità estremamente difficoltosa, considerata la
Sempre più profughi
sua scomoda posizione stretta tra
l’odierna crisi siriana e l’intramontabile questione israelo-palestinese, tra i
sunniti di Arabia e gli sciiti iracheni.
Forse è per questo che non ha mai visibilmente aspirato a un ruolo di primo
piano nello scacchiere mediorientale,
conducendo piuttosto le proprie politiche relazionali lontano dai riflettori.
Tuttavia, è interessante osservare
che Amman - a parte forse l’unica occasione in cui si schierò dalla “parte
sbagliata della storia” (durante la prima Guerra del Golfo, quando sostenne l’invasione irachena del Kuwait) più di recente ha sempre cercato di
ponderare i propri interessi, le amicizie personali e il volere della comunità
internazionale, agendo come fosse investita del ruolo di ago della bilancia
regionale.
In tal senso, è da intendersi anche la
mossa dello scorso gennaio di Re Abdullah II, che ha ricevuto ad Amman
il ministro degli Esteri iraniano,
Javad Zarif, dopo il primo round
di negoziati con Teheran (P5+1)
a novembre 2013. In seguito, diversi Paesi arabi oltre alla Giordania, di concerto con la comunità
internazionale hanno normalizzato le relazioni diplomatiche
con l’Iran, congelate da anni.
Adesso resta l’incognita siriana: sebbene oggi sia il Paese
che in Medio Oriente sostiene
in maniera più esplicita la politica estera americana, la Giordania ha evitato accuratamente
di prendere posizione contro il
regime di Damasco, con il quale mantiene rapporti sia diplomatici che economici, insistendo per la ricerca di una soluzione politica al conflitto. In questa decisione, forse, si cela il futuro politico e diplomatico di
Amman.
Al Azraq è il nuovo campo profughi
sorto in Giordania per far fronte alla crisi
umanitaria siriana. Inaugurato a inizio
maggio dal ministro degli Esteri
giordano Nasser Judeh, il campo è stato
costruito grazie a un finanziamento di 45
milioni di dollari, e a breve potrà ospitare
fino a 130.000 persone. Eretto a cento
chilometri a est di Amman, è dotato di
alloggi prefabbricati, roulotte, due scuole
che possono contenere un massimo
di 10.000 studenti, e un ospedale
con 130 posti letto. Parte dell’energia
sarà prodotta con pannelli solari.
Nella pianificazione della struttura
- ha spiegato il direttore del campo,
Atef al Omoush - si è cercato di trarre
insegnamento dai problemi sorti nel più
grande dei cinque campi già esistenti,
quello di Al Zaatari (foto), dove violente
proteste dovute alle terribili condizioni
di vita hanno portato a scontri e incendi.
Secondo le stime ufficiali, sono 600.000 i
profughi siriani attualmente in Giordania,
ma per il governo il numero reale è molto
superiore, dal momento che numerosi
profughi non sono mai stati registrati
dall’Alto commissariato dell’Onu per
i rifugiati (UNHCR).
Fonte: ANSA Med
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gEopoLITICA
L’arte della
guerra
I colpi di stato e le guerre civili che negli ultimi
anni hanno interessato le coste meridionali
del Mediterraneo hanno danneggiato gravemente
i patrimoni archeologici dell’intera area.
L’intervista al critico d’arte philippe daverio
AFGHANISTAN
Nel 2001 distrutti
dai talebani i Buddha
di Bamiyan
III secolo d.C.
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LOOKOUT 5 - maggio 2014
gEopoLITICA
mEdITERRANEo |
di Rocco Bellantone
T
ra le rovine dei
governi caduti in
Nord Africa e Medio Oriente non giace
solo il tradimento delle
velleità di democrazia alla base delle
prime rivolte del 2011. Oltre ai rais e ai
dittatori, spodestati dopo decenni di potere, le vittime eccellenti di queste guerre sono le centinaia di beni archeologici
e artistici devastati da bombardamenti e
saccheggi o, nel migliore dei casi, alla
mercé di trafficanti d’arte. A lanciare l’ultimo appello è stata pochi mesi fa l’UNESCO, che per tamponare quest’emorragia sempre più profonda (soprattutto in
Egitto, Siria e Libia), ha proposto interventi di vigilanza coordinati tra le organizzazioni internazionali specializzate
nella conservazione dei siti e dei reperti
storici. “Il problema però - spiega il critico d’arte Philippe Daverio - è che questi
gridi d’allarme serviranno a ben poco fino a quando i conflitti in corso non permetteranno di accedere a queste aree”.
Qual è l’entità dei danni nel Mediterraneo?
È una crisi trasversale che interessa
un’area estesissima, che va dall’Algeria all’Iraq alla Siria, passando anche per l’Africa subsahariana. Qui il disordine politico
e sociale ha ormai preso il sopravvento, i
patrimoni artistici sono rimasti incustoditi subendo inevitabilmente danni e perdite gravissime. I reperti archeologici in
ALGERIA
TUNISIA
Siria sono stati massacrati, soprattutto gli scavi di Ebla. Aleppo,
un tempo la città più bella
del Mediterraneo dove era
rappresentata tutta l’era della prima cristianità, di fatto
oggi non esiste più. Per non
parlare dei bellissimi edifici storici di Baghdad, o di quella meraviglia di
Timbuctù in Mali, dove gli estremisti islamici hanno fatto saltare in aria tombe
antichissime. Anche se il caso più emblematico rimane certamente la distruzione dei Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, distrutti dai talebani nel 2001. Guai
però a credere che si tratti solo di un fenomeno che riguarda i Paesi arabi.
Vale anche per l’Occidente?
In passato gli europei non sono stati
di certo meno “criminali”. In epoca
calvinista e luterana, gran parte dell’iconografia religiosa è stata data alle
fiamme. Nella rivoluzione francese la
stessa sorte è toccata dai decori delle
chiese gotiche, mentre gli unici ritratti
di pregio di Napoleone Bonaparte sono stati confinati al Museo del Risorgimento di Milano. Nelle fasi conclusive
della seconda guerra mondiale gli
americani potevano evitare di bombardare Montecassino o radere al suo la
cattedrale di Brandeburgo, ma non lo
hanno fatto. L’umanità è fatta così. Le
società si riconoscono sempre in grandi immagini, e se ci sono conflitti sono
queste a essere distrutte per prime.
Dietro saccheggi e razzie opera una
rete internazionale del mercato nero?
Contesa
sulla Maschera
della Gorgone
Quello a cui abbiamo assistito di recente ha poco a che fare con i trafficanti d’arte. Una cosa è derubare un sito
archeologico, un’altra è devastarlo. Chi
è entrato in azione a Baghdad, in Afghanistan o in Siria non ha avuto nessuna sensibilità per ciò si è trovato di fronte. C’è poi da tenere conto delle eccentricità dei dittatori. In Tunisia, Ben Ali
considerava ogni cosa di sua proprietà,
basti pensare al furto della Maschera
della Gorgone che appartiene all’Algeria. I Paesi del Golfo più ricchi, come il
Qatar ad esempio, stanno investendo
per la conservazione di alcuni patrimoni come è accaduto per le piramidi in
Sudan. Ma da altre parti, come a Gerico
in Cisgiordania, la situazione è preoccupante. Per non parlare del Tibet, altra
questione tabù per via degli interessi
della Cina.
L’Italia può avere un ruolo nella tutela di questi beni?
L’Italia ha sempre avuto più che altro un ruolo diplomatico. Ha mai sentito parlare di una proposta di intervento da parte del nostro ministero
degli Esteri o dell’organizzazione di
missioni congiunte con i ministeri della Difesa e della Cultura in queste aree
di crisi? Eppure abbiamo le conoscenze e le competenze per essere in prima
linea. D’altronde, in queste aree di conflitto a contare sono altri aspetti, quello
umanitario in primis ma anche quello
commerciale ed energetico. E mettere
il bene dell’archeologia sullo stesso piano di questi interessi allo stato attuale è
praticamente impossibile.
SIRIA
AFGHANISTAN
Rubata nel 1996
MALI
Distrutti
i mausolei
di Timbuctù
XIV secolo d.C.
A rischio
gli scavi
archeologici
di Ebla
3.000 a.C.
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gEopoLITICA
SIRIA
| di Vincenzo Perugia
U
ltimamente, l’istituto
democratico delle elezioni appare in seria
difficoltà un po’ in tutto il mondo, a causa
delle critiche severe che sempre più
spesso si accompagnano a molte occasioni di voto alle urne. Così, ad esempio, è accaduto nei confronti del referendum popolare di marzo con il quale la Federazione Russa ha annesso il
territorio della Crimea, fatto che ha
generato disconoscimenti da parte
dell’intero Occidente e le crescenti
tensioni che stanno provocando un
terremoto in Ucraina. E, andando a ritroso, giudizi severi hanno riguardato
il rovesciamento del presidente Mohammed Morsi eletto in Egitto nel
2012, mentre è del tutto superfluo
parlare del plebiscito in Corea del
Nord di appena due mesi fa.
Ma, forse, tutto questo è niente in
confronto alle elezioni presidenziali
che si terranno in Siria il 3 giugno
prossimo (28 maggio per i cittadini residenti all’estero). Appuntamento al
quale Bashar Al Assad, presidente in
carica, non mancherà di ricandidarsi
alla guida di un “failed state”, una nazione non più tale da quando la guerra ha distrutto ogni residuo di territorialità e civiltà. Così, gli Stati Uniti
hanno gioco facile nel parlare di “parodia della democrazia”. Eppure, nonostante le armi, si va avanti e non sono pochi i candidati presidenziali che
hanno annunciato l’intenzione di
scendere in campo.
Ad ogni modo, nel caos siriano un
risultato forse storico, di certo positivo,
è stato raggiunto: si tratta della candidatura di Sawsan Haddad, ingegnere
della città costiera di Latakia e prima
figura femminile a correre per le presidenziali in Siria. Haddad ha depositato la propria candidatura alla Corte
Costituzionale Suprema a fine aprile e
parteciperà come indipendente. Oltre
a lei, si sono presentati Samir Maala,
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La democrazia
impossibile
L’annuncio ufficiale del presidente del Parlamento
siriano, Mohammad al Laham, circa le elezioni
presidenziali in Siria, sarebbe da prendere sul serio,
se questo non fosse uno “Stato fallito”
un professore di diritto di
Quneitra; Mohammed Firas Rajjuh, residente a Damasco; Abdel-Salam Salameh, rappresentante della
provincia di Homs; l’imprenditore ed ex ministro
Hassan Abdullah al-Nuri e,
infine, Maher al-Hajjar, il
“comunista” di Aleppo.
Ciò detto, va tenuto conto
del fatto che a marzo il parlamento siriano ha approvato una legge che impone a
tutti i candidati di raccogliere almeno 35 firme su 250
del totale dei membri del
parlamento, senza le quali
non è possibile partecipare
ufficialmente alla corsa presidenziale.
Inoltre, secondo la legge elettorale
vigente, tutti i candidati devono aver
vissuto in Siria per dieci anni consecutivi precedenti alla nomina, condizione che di fatto impedisce la partecipazione alle elezioni ai membri dell’opposizione, molti dei quali hanno vissuto in esilio per anni.
“Se le nazioni occidentali chiedono
democrazia e libertà, allora dovrebbero ascoltare le opinioni dei siriani che
scelgono attraverso le urne” ha tuonato la televisione di Stato siriana citando il governo di Damasco, aggiungendo che “è necessario rispettare la volontà di una nazione e la sua sovranità”. Giusto. Ma di quale sovranità stiamo parlando esattamente?
COME SI VOTA
IN SIRIA
La Siria ha un sistema
monocamerale. Nel Consiglio
del Popolo (Majlis al-Shaab )
siedono 250 membri.
Secondo la nuova Costituzione,
i candidati per esser tali
devono avere il supporto
con tanto di firma da parte
di almeno 35 membri del
Consiglio. Secondo il sistema
elettorale vigente, il Presidente
è eletto dal voto popolare per
un periodo di 7 anni mentre
il primo ministro è nominato
dal Presidente. I membri
del Consiglio del Popolo sono
eletti per 4 anni con sistema
proporzionale a liste bloccate.
ALL NEWS
gEopoLITICA
ALgERIA
SIRIA
Superata deadline per
la distruzione armi chimiche
Via al Bouteflika IV
Con la mano destra sul
Corano e seduto sulla sedia
a rotelle, Abdelaziz Bouteflika
ha giurato di fronte al popolo
algerino, inaugurando
ufficialmente il suo quarto
mandato presidenziale.
S
econdo Sigrid Kaag, capo della missione
ONU per la verifica della distruzione delle
armi chimiche siriane, Damasco ha distrutto
oltre il 92% del proprio arsenale, ma ha oltrepassato la scadenza che si era autoimposto per espellere tutte le armi chimiche entro il 27 aprile.
EgITTo
LIbIA
La Fratellanza “è finita”
Maetiq è nuovo
premier
I
l candidato presidente Abdel Fattah Al
Sisi, reggente de facto del governo in
Egitto, ha proclamato lapidario che il
movimento dei Fratelli Musulmani “è finito” e
che il movimento di opposizione del deposto
presidente Mohammed Morsi “cesserà di esistere” se
lui sarà eletto. “Non sono stato io a porre fine alla Fratellanza, ma voi popolo egiziano” ha sentenziato.
D
opo la sfiducia a Zeidan, le dimissioni di Al
Thinni e le scorribande di squadracce dentro la sede del Congresso Generale Nazionale, finalmente il governo della Libia ha nominato
il nuovo primo ministro: Ahmed Maetiq Al-Hassi,
42 anni, islamista e imprenditore. Quanto durerà
stavolta?
VIETNAm
Pechino spadroneggia
nelle acque di Hanoi
mALESIA
Tutti a casa, resta
il mistero sul volo MH370
L
I
a Malaysia Airlines ha comunicato alle famiglie dei passeggeri del volo MH370 scomparso, di lasciare gli hotel dove erano state
sistemate e attendere eventuali notizie e aggiormiliardi di dollari
namenti da casa propria. Il caso resta aperto.
il budget ucraino
per la difesa
4,88
l governo vietnamita ha aspramente criticato la Cina per
aver “illegalmente installato
una piattaforma per la perforazione
in acque profonde” nel Mar Cinese
Meridionale, asserendo che la zona è di
competenza esclusiva di Hanoi.
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L’ARAbA fENICE
doNNE, SoCIETà E I TANTI VoLTI dELL’ISLAm
Photoshop
e parlamentari
Speranze e pettegolezzi accompagnano l’emergere
delle donne nella campagna elettorale irachena
ta sulla scena politica nazionale. La
presenza femminile in queste ultime
elezioni contava 2.607 candidate su un
e elezioni parlamentari totale di 9.032 e questo, a prescindere
irachene dello scorso 30 dal nuovo governo iracheno, avrà sicuaprile hanno registrato un ra influenza sull’operato dell’apparato
netto incremento della legislativo. Anche solo per il fatto che
partecipazione femminile. diverse liste religiose hanno incluso
Benché non siano stati introdotti cam- numerose donne moderate, tolleranti
biamenti a livello legislativo rispetto al e politicamente più consapevoli.
precedente scrutinio, sembra che l’apNon si dimentichi che l’Iraq, coproccio alla gestione pubblica
me diversi altri Paesi araboe la mentalità collettiva
musulmani, ha attraversaPersino
stiano dando frutti di
to una fase di significatiil dittatore
maggiore apertura deva apertura nei conmocratica, pur tratfronti delle donne: il
tandosi dell’inferno
partito Ba’ath, salito
iracheno.
al potere nel 1968
In base alla legge
con il colpo di Stato
varò riforme
elettorale, rimane in
a cui partecipò lo
per l’uguaglianza stesso Saddam Husvigore la quota partecipativa femminile del
sein, aveva un programuomo-donna
25% secondo cui ogni tre
ma progressista, socialista
candidati uomo il partito dee panarabo che puntava alla
ve includere una donna. Ma quelmodernizzazione e alla secolarizlo che diversi osservatori riconoscono zazione del Paese e quello che si rivelò
all’attuale scrutinio è che, diversamen- poi essere un feroce dittatore apportò
te dalle elezioni del 2005 e del 2010 - comunque riforme fondamentali
per le quali i vari blocchi politici han- quanto a uguaglianza uomo-donna.
no dovuto andare a pescare a caso Ad esempio, con l’introduzione di un
donne semisconosciute e non istruite codice civile modellato su quelli dei
pur di coprire la quota imposta dalla Paesi occidentali e la creazione di un
legge - oggi la libera e sentita parteci- apparato giudiziario laico, che sostituì
pazione di giornaliste, accademiche e le corti islamiche. Tutto ciò, prima
attiviste della società civile si è afferma- che l’ex regime di Saddam aggredisse
di Marta Pranzetti
L
SAddAm
hUSSEIN
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LOOKOUT 5 - maggio 2014
Candidate
che passione!
il pluralismo politico e, in particolare, leadership e basi popolari dei partiti religiosi e di sinistra, arginando pesantemente l’attività femminile civile e politica, messa poi anche
a dura prova dal mutato contesto economico (seguito alle
sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel
1990 dopo l’invasione irachena del Kuwait) che costrinse
molte donne ai lavori domestici. La successiva re-islamizzazione montante, dopo il crollo del regime, ha fatto il resto.
Da questo quadro, che ha fortemente indebolito la presenza femminile sulla scena pubblica, discende la sorpresa
di osservatori e analisti che hanno commentato in questi
giorni le parlamentari irachene notando l’inattesa crescente presenza femminile. Ma il timore è che prevalga
comunque il settarismo religioso e che la percezione
popolare del ruolo della donna non sia ancora sufficientemente mutata.
Dall’inizio della campagna elettorale, infatti, le città
irachene sono state invase da manifesti e la stampa nazionale e regionale ha messo in evidenza diversi casi che
hanno suscitato chiacchiere e controversie. Una miriade
di nuovi poster elettorali, in particolare, ritraeva attraenti
deputate parlamentari che, per il look o gli slogan, avevano acceso dibattiti infuocati sui social media. Ma l’oggetto
del dibattito, spesso e volentieri, si è limitato agli interventi
chirurgici delle candidate o al fatto che avessero usato o
meno photoshop per ritocchi vari, con il risultato che il programma elettorale di molte è passato del tutto inosservato.
In altri casi, poi, è stato riscontrato che alcune candidate
si sono presentate velate sui manifesti diffusi nelle aree musulmane del Paese, e non velate su quelli affissi nei quartieri
cristiani. O, ancora, che permane l’abitudine per le candidate più conservatrici di non diffondere sui manifesti elettorali
la loro immagine bensì quella di mariti, fratelli o parenti maschi più prossimi, segno di una crisi - come sottolinea Omar
al-Jaffal, autore e giornalista iracheno - che “attanaglia la coscienza nazionale e che deriva da fatwa religiose avvelenate,
norme sociali obsolete e irrisolte tensioni interreligiose”.
L’unica speranza del Paese, comunque, sta forse nella generazione giovanile che è emersa di recente insieme alle tante donne di queste parlamentari. Una generazione di giovani
socialmente attivi e consapevoli - innocenti da tutte le colpe
del passato che, vuoi per la spontaneità e dirompenza, vuoi
per la voglia di pace, stabilità e democrazia - ha dato del filo
da torcere ai conservatori nell’ultimo confronto elettorale.
L
a nuova “mania del bacio”
imperversa e fa discutere
l’Iraq (foto). Per tutto aprile,
siti web e social network iracheni
hanno diffuso immagini e videoclip di aitanti ometti immortalati
mentre baciano le gigantografie
delle nuove candidate parlamentari,
dimostrando così il loro apprezzamento per la loro bella presenza
(più che per i loro slogan).
Davanti al fenomeno tutto nuovo
che ha fatto impazzire il web nel
pre-elezioni, il Ministero degli Affari Femminili è intervenuto affinché le autorità competenti ponessero fine a quella che dalle stesse
candidate è stata giudicata come
una mancanza di rispetto della
persona e della carica politica, oltre che un atteggiamento indecente che si ripercuote negativamente sulla reputazione dell’Iraq.
Per alcuni, è sintomo di un Paese
non ancora pronto alla democrazia. Altri invece hanno limitato il
problema al look “libertino” delle candidate. (M.P.)
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Spy gAmES
SToRIE dI SpIoNAggIo E CoNTRoSpIoNAggIo
L’uomo degli
eucalipti
Eli Cohen, l’ebreo di origine siriana che stava
per diventare viceministro della difesa di Baghdad
N
ELICOHEN.ORG
Per anni gli israeliani hanno
tentato invano di rintracciare
la tomba di Eli Cohen
per trasportare
il suo cadavere in Israele.
Sul sito web pubblicato dalla
famiglia, fino a qualche
tempo fa era presente una
petizione al presidente
siriano “Dott. Bashar Al
Assad”, per la restituzione
delle sue spoglie.
La petizione recava la firma
di più di 8.000 persone.
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LOOKOUT 5 - maggio 2014
onostante
i
racconti dei
romanzieri e
le finzioni cinematografiche, la professione dell’agente
segreto in Occidente non è particolarmente pericolosa e lo è
certamente meno di quella del
poliziotto. Generalmente il funzionario operativo dell’intelligence recluta e gestisce fonti che
danno informazioni e individui
che accettano di infiltrarsi nel
campo avversario per finalità di
spionaggio. Solo questi ultimi,
quando vengono scoperti, rischiano la vita. Normalmente
l’agente segreto occidentale
quando opera all’estero è protetto
dall’immunità diplomatica e quindi se
viene scoperto rischia al massimo
l’espulsione. La musica cambia quando
un funzionario di intelligence viene destinato non alla gestione di fonti ma infiltrato direttamente in organizzazioni
o istituzioni del “nemico”. In questi casi, se viene scoperto, l’agente anche se è
un pubblico funzionario dello Stato
può essere condannato a morte o a lunghe pene detentive.
Il ser vizio segreto israeliano è
quello maggiormente specializzato
nell’infiltrazione diretta di suoi uomini nelle società, nelle organizzazioni e
nelle strutture governative del “nemico”, siano essi un’organizzazione palestinese, un governo arabo o una controparte iraniana. Il Mossad, infatti, a
differenza dei servizi occidentali, dispone di un ampio bacino multietnico
di reclutamento grazie alla presenza
in Israele di comunità di immigrati
provenienti da tutto il mondo, all’interno delle quali può selezionare
agenti operativi che per cultura, lingua e costumi, possono operare sotto
copertura nei Paesi o nelle organizzazioni bersaglio.
È il caso di Eli Cohen, uno dei più
grandi agenti segreti del Mossad. Nato
nel 1924 ad Alessandria d’Egitto da
una famiglia di ebrei siriani emigrati
da Aleppo in Egitto nel 1914, cresce
con una conoscenza perfetta della lingua araba e dei suoi dialetti siriano ed
egiziano e dei costumi dei grandi nemici di Israele. Negli anni Cinquanta,
mentre frequenta la scuola di elettronica, Eli inizia ad aiutare clandestinamente delle organizzazioni sioniste impegnate per ordine di Israele a creare
problemi in Egitto. Dopo essere stato
scoperto, mentre due membri del suo
gruppo venivano messi a morte, il giovane Cohen viene espulso dall’Egitto e
si trasferisce in Israele nel 1957.
Viene immediatamente assunto come traduttore dall’esercito di Israele e
in breve tempo attira l’attenzione del
Mossad. Di carnagione olivastra, con
due baffoni nerissimi come gli occhi,
viene messo sotto addestramento intensivo per costruire una minuziosa
storia di copertura (una “leggenda”)
che sarà in grado di trasformarlo in
Kamal Amin Ta’abet, membro di un
clan di emigrati siriani in Argentina.
Sotto la nuova copertura di ricco
uomo d’affari di origini siriane, nel
1961 Cohen venne trasferito a Buenos Aires dove spende un anno intero
per coltivare amicizie influenti all’interno della comunità siriana emigrata.
Grazie a questi contatti, fornito di ottime credenziali, nel
1962 “torna” a Damasco dove diviene un membro influente e accreditato della comunità degli affari e costruisce una
eccellente rete di relazioni con esponenti del partito Ba’ath
del quale diviene membro con la promessa di diventare un
esempio vivente della lotta della nazione araba.
L’influenza di Cohen cresce quando nel febbraio del
1961 il partito Ba’ath va al potere dopo un colpo di Stato.
Grazie alla sua affiliazione, nel 1963 Cohen viene invitato a
partecipare ai lavori del sesto congresso del partito anche
perché membro del “Commando Rivoluzionario Nazionale Siriano”. La sua capacità informativa diventa strabiliante ma, come
tutte le spie di successo, Cohen
comincia a sentirsi invincibile e
imprendibile e a mancare di prudenza nelle comunicazioni. Uno
dei suoi capi a Tel Aviv, Aaron Yariv, disse in seguito: “Era un
agente troppo in gamba… e come tale troppo esposto”. Secondo un altro dei suoi colleghi, altro veterano storico del Mossad,
Rafi Eitan, invece era un vero e
proprio “incosciente… gli facevamo una richiesta al mattino e nel
pomeriggio avevamo già la risposta via radio”.
Tra il 1962 e il 1965 Cohen riesce nell’azione più sofisticata per
un agente infiltrato. Non solo
carpire notizie segrete ma soprattutto influenzare il processo decisionale dell’avversario. Durante
alcune visite sulle alture del Golan, alla frontiera con Israele,
suggerisce ai responsabili del ministero della Difesa siriana
di piantare su tutto l’altopiano in postazioni strategiche dei
boschetti di eucalipti, che sul fertile terreno vulcanico sarebbero cresciuti in pochissimi anni e avrebbero permesso
alle brigate corazzate siriane di potersi mimetizzare in caso
di attacco di Israele.
Alla fine del 1964 Cohen inizia a diventare imprudente.
Trasmette via radio decine di messaggi alla settimana, talvolta sin troppo lunghi. Anche se nessuno sospettava di lui,
i controlli di routine compiuti dal servizio di sicurezza siriano con le nuove apparecchiature fornite dai sovietici consentono la localizzazione della sua radio e portano al suo
arresto quasi casuale all’alba del 18 gennaio del 1965.
Il 18 maggio 1965 Eli Cohen, dopo un processo spettacolare,
viene impiccato al centro di Damasco
davanti a una folla di 10mila persone.
L’uomo degli eucalipti tuttavia si
prenderà la sua vendetta postuma,
quando, due anni dopo l’impiccagione, durante la Guerra dei Sei Giorni
Israele infliggerà una sconfitta storica
alla Siria e ai suoi alleati egiziani e
giordani. La mattina dell’8 giugno del
1967, prima di lanciare un’offensiva
contro le linee difensive siriane sull’altipiano del Golan, per quattro ore
l’aviazione israeliana bombarderà tutti i boschetti di eucalipti dell’area distruggendo l’80% delle forze corazzate siriane e spianando la strada alla
sconfitta di Damasco. Il corpo di Eli
Cohen non è mai stato trovato.
Alfredo Mantici
Capo del dipartimento analisi del
Sisde fino al 2008, oggi è il direttore
editoriale di LookOut News
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RASSEgNA STAmpA
INTERNAzIoNALE
EURopA
mEdIA WATCh
Swedes to give six-hour workday a go
Gli svedesi provano
la giornata lavorativa di sei ore
di Oliver Gee, giornalista di The Local
L’
Dall’articolo
apparso
suThe Local
l’8 aprile 2014
esperimento avverrà a Goteborg, il secondo
maggiore centro urbano della Svezia dopo la
capitale Stoccolma. A far da cavie saranno i
dipendenti del comune. Sarà un test in piena
regola, con un gruppo sperimentale e un
gruppo di controllo, ciascuno costituito da una diverso dipartimento della pubblica amministrazione. Il primo avrà
una giornata lavorativa ridotta a sei ore, il secondo proseguirà con le tradizionali otto ore giornaliere. Il trattamento
economico non subirà variazioni: entrambi i gruppi riceveranno lo stesso stipendio che percepivano prima dell’esperimento, solo che uno dei due lavorerà di meno.
“Confronteremo i due gruppi alla fine del test e vedremo
come differiscono: ci auguriamo che i dipendenti che lavorano sei ore chiedano meno giorni di malattia e vivano in
condizioni di maggior benessere psicofisico”, ha dichiarato
il vice sindaco di goteborg mats pilhem (nella foto)
in un’intervista al quotidiano svedese The Local. In ultima analisi, l’operazione aumenterebbe la produttività
e lascerebbe più soldi nelle casse dello Stato svedese. “Crediamo sia giunta l’ora di provarci sul serio”,
ha proseguito Pilhem, riferendosi a un analogo
esperimento condotto in passato nella remota
cittadina settentrionale di Kiruna, ma mai trasformatosi in realtà.
Il nuovo modello che la sinistra sta cercando
di introdurre a Goteborg si basa su alcuni dati
empirici secondo cui giornate lavorative di otto o più ore diminuirebbero l’efficienza delle
attività svolte. Con le elezioni alle porte, i
moderati all’opposizione hanno naturalmente definito la proposta “disonesta e populista”, ma, sicuro di sé, Pilhem ha ribadito
che si tratta di un progetto su cui la sinistra lavora ormai da tempo. “Tutto questo non ha
nulla a che fare con le elezioni”, ha concluso il
vice sindaco di Goteborg.
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RASSEgNA STAmpA
INTERNAzIoNALE
AfRICA E
mEdIo oRIENTE
mEdIA WATCh
Page is turned in the Gulf
I Paesi del Golfo
voltano pagina
di Hussein Haridy, ex assistente
del Ministro degli Esteri egiziano
“
Dall’articolo
apparso su
Al-Ahram Weekly
nell’edizione
del 1 maggio 2014
I
Paesi del Golfo voltano pagina e l’Egitto tira un sospiro di sollievo”. Questo inciso per dar conto dell’opinione del politico egiziano Hussein Haridy su
quanto sta accadendo all’interno del Consiglio di
Cooperazione del Golfo (GCC). Dopo la crisi degli
ultimi mesi, che ha visto richiamati da Doha gli ambasciatori di Arabia Saudita, Bahrain e Emirati Arabi con tutte le
conseguenze regionali del caso, l’ultimo summit consultivo
tra i ministri degli Esteri del GCC (Riad, 17 aprile) sembra
aver appianato almeno in parte le divergenze. Il “Documento di Riad” - com’è stato definito l’accordo secondo cui
le politiche di ogni Stato membro non devono interferire
con la sicurezza generale e la stabilità della regione - è stato
ottenuto grazie alla mediazione del Kuwait (che quest’anno detiene la presidenza del Consiglio) ma anche e soprattutto, sostiene Haridy, in seguito all’incontro di fine marzo
tra il Presidente americano e il Re saudita, “che indirettamente ha spinto il Qatar verso un nuovo approccio conciliatorio nei confronti dei Paesi del Golfo”.
E non solo del Golfo, aggiunge Haridy, notando un
mutato atteggiamento anche nei confronti del governo egiziano che il Qatar, dalla deposizione dell’islamista Morsi, non ha mai appoggiato a differenza degli altri Stati del GCC, facendosi anzi sostenitore del radicalismo della Fratellanza (accogliendo i
fuggitivi egiziani e soprattutto trasformando Al Jazeera in “portavoce” dell’Organizzazione). Commenta Haridy: “La recente campagna mediatica egiziana contro il
Qatar non aiuta il processo riconciliatorio, ma al Cairo
hanno ben chiaro che la stabilità del Paese passa anche da
una più ampia stabilità regionale e che eventuali inimicizie
nel Golfo potrebbero non giovare alla politica egiziana sul
medio e lungo periodo”.
Nella foto:
il politico egiziano
hussein
haridy
LOOKOUT 5 - maggio 2014
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RASSEgNA STAmpA
INTERNAzIoNALE
ASIA
mEdIA WATCh
Military waits as political ways out near dead end
I militari nella crisi politica
senza vie d’uscita
di Wassana Nanuam, giornalista del Bangkok Post
“
Dall’articolo
apparso su
The Bangkok Post
l’8 maggio 2014
L
a prospettiva di un colpo di Stato appare sempre più attraente poiché le soluzioni politiche
avanzate dai vari gruppi appaiono futili”. Con
questa apertura, l’articolo di Wassana Nanuam
dà l’idea della gravità della crisi in cui la Thailandia sta sprofondando sempre di più e con il primo ministro yingluck Shinawatra (nella foto) costretta
alle dimissioni da una sentenza della Corte Costituzionale
emessa il 7 maggio.
In un Paese spaccato a metà e con le elezioni del 20 luglio - che con tutta probabilità faranno la fine di quelle del
2 febbraio, annullate a seguito del boicottaggio delle forze
di opposizione - viene da molti ventilata l’ipotesi di un intervento militare.
In tale vuoto politico, un colpo di Stato potrebbe concretamente verificarsi. “I thailandesi sono abituati - argomenta
Nanuam - dopotutto se ne sono avuti 18 dall’instaurazione
della monarchia costituzionale. Ma questa crisi è diversa”.
I militari questa volta si sono voluti tenere in disparte,
memori dei risultati dell’ultimo golpe che ha deposto
Thaksin Shinawatra (fratello di Yingluck e al tempo primo
ministro), inizialmente appoggiato dalla popolazione ma
con esiti successivi negativi. Nanuam attribuisce l’inattività
dei generali in parte al vicino pensionamento di molti di
essi, che non vorrebbero a quel punto essere coinvolti in
un conflitto interno, e in parte al fatto che le “camicie rosse”, sostenitori del partito di maggioranza Pheu Thai, potrebbero dare il via a una rivolta popolare dagli esiti incerti
e dal sicuro spargimento di sangue.
L’articolo conclude riportando le dichiarazioni del più
diretto interessato, il capo delle Forze Armate, Generale
Prayuth Chan-ocha: “I militari non chiudono né aprono la
porta a un colpo di Stato, ma una decisione nell’uno o
nell’altro senso dipenderà dalla situazione”.
LOOKOUT 5 - maggio 2014
61
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mEdIA WATCh
Calle 13 pide cuidar la selva de la región
L’appello rap di Calle 13:
“proteggiamo la nostra foresta”
dalla Redazione di El Commercio
D
Dall’articolo
apparso su
El Commercio
il 5 maggio 2014
opo l’attrice Sharon Stone, anche la nota
band portoricana Calle 13 ha deciso di sostenere la campagna dell’Ecuador contro la
multinazionale statunitense del petrolio Chevron. “René Pérez, frontman del gruppo, ha
fatto un appello all’unità dei popoli contro le compagnie
energetiche internazionali come Chevron che invadono i
nostri territori e contaminano la nostra natura” scrive il
quotidiano ecuadoregno El Commercio.
Il presidente Rafael Correa è impegnato in una complicata lotta contro l’azienda petrolifera americana, colpevole
secondo il governo di Quito del danno ambientale provocato nella provincia di Sucumbios, nel nordest del Paese,
bacino dell’Amazzonia.
“Calle 13 - continua El Comercio - è arrivata nella regione
dell’Amazzonia per unirsi alla campagna internazionale La
mano sucia de Chevron. L’azienda è stata condannata dalla
giustizia ecuadoregna
a versare 9,5 miliardi di dollari per i
danni causati all’ambiente
dai
suoi impianti per
l’estrazione di petrolio tra il 1964 e il 1992”.
Danni che si sarebbero riversati anche sulla popolazione locale provocando malformazioni,
malattie della pelle e casi di cancro.
“La multinazionale americana ha però sinora sempre respinto le accuse - conclude El Comercio - definendo momento di puro spettacolo l’arrivo del gruppo latinoamericano
in Ecuador”.
Nella foto:
il cantante della
band hip hop
Rene perez
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RASSEgNA STAmpA
INTERNAzIoNALE
oCEANIA
mEdIA WATCh
Brunei’s Sharia mixed news for countries with muslim communities
La radicalizzazione
islamica del Brunei
di Siddartha Sarma,
giornalista per Malaysia Today
“
Dall’articolo
apparso su
Malaysia Today
2 maggio 2014
D
opo anni di strisciante fondamentalismo Hassanal Bolkiah ha deciso di uscire allo scoperto annunciando la piena applicazione della
Sharia nel sistema legislativo del Brunei. Una
decisione che può avere un impatto immediato soprattutto nel mondo dell’Islam più moderato”.
Dalle colonne di Malaysia Today, Siddartha Sarma commenta così la scelta del sultano del Brunei di estendere la
legge islamica al codice penale e civile nell’arco dei prossimi
tre anni. La prima fase consisterà nell’aggiornamento delle
multe e delle condanne a pene detentive, la seconda prevederà l’amputazione di arti in caso di furto e la fustigazione
per chi consuma alcolici, mentre la terza la lapidazione qualora i reati commessi siano l’adulterio o atti omosessuali.
“Il passaggio definitivo al nuovo sistema non sarà dunque
immediato, quindi ci saranno delle differenze rispetto a
Paesi radicali come l’Arabia Saudita e l’Iran - spiega l’autrice dell’articolo - Ciò che è certo è che in questo processo il Brunei è stato molto influenzato da ciò che è
accaduto in Malesia negli ultimi vent’anni”. “La cattiva notizia - conclude - è che si conferma la tendenza all’estremizzazione di questo modello
e il conseguente respingimento di sistemi
giuridici secolari più moderni, che invece garantirebbero processi equi,
la parità di trattamento tra uomini e donne e punizioni
esclusivamente detentive”.
Nella foto:
il sultano
del Brunei
hassanal
bolkiah
LOOKOUT 5 - maggio 2014
65
Places
Immagini
dai luoghi meno
conosciuti al mondo
66
LOOKOUT 5 - maggio 2014
djoubissi, Rep. Centrafricana Cercatori d’oro al
lavoro presso la miniera a cielo aperto di Djoubissi, situata a
circa 50 km a nord di Bambari, vicino al fiume Ouaka.
Cappy, francia Un sub dell’unità bombe di Amiens recupera un proiettile inesploso della I Guerra Mondiale. Ogni
anno, l’unità rimuove diverse tonnellate di “engins de mort”.
guangzhou, Cina Una singolare abitazione “green”, eccessiva secondo gli standard cinesi. Le autorità vorrebbero demolire la costruzione illegale, ma il proprietario non si trova.
panjshir, Afghanistan Un asino trasporta le urne con
le schede di voto, raccolte nei villaggi afghani della provincia di
Panjshir (a nord di Kabul) irraggiungibili dai mezzi di trasporto.
Rio de Janeiro, brasile Il cavalcavia Perimetral dopo la
sua demolizione, parte del progetto Rio Porto Maravilha per la riqualificazione della città in vista dei Giochi Olimpici del 2016.
bangkok, Thailandia Un monaco buddista cammina di
fronte alla statua del Buddha danneggiata dal terremoto presso il
Tempio di Udomwaree a Chiang Rai, nel Nord del Paese (6 maggio).
SoCIETà
LIbIA
I luoghi di partenza
dell’immigrazione
africana in Europa
ITALIA
Operazione
“Mare Nostrum”:
il reportage
hoNdURAS
Gli “Sherpa”
che accompagnano
i clandestini
negli Stati Uniti
Biglietto
di sola
anda
68
LOOKOUT 5 - maggio 2014
SoCIETà
Con l’approssimarsi della stagione
estiva, torna purtroppo
di moda raccontare il dramma
dell’immigrazione verso l’Europa.
Proviamo almeno a tracciare
le rotte e identificare chi gestisce
questo esodo inarrestabile
ta
LIbIA | di Cristiano Tinazzi
D
ue sono le principali
rotte che portano i migranti dall’Africa subsahariana verso Libia e
Tunisia. La prima è
quella Agadez-Dirkou-Sebha. Una rotta
migratoria che attraverso il Niger congiunge Africa Occidentale e Centrale e
si snoda lungo l’antica via carovaniera
per entrare nel Paese nordafricano dal
posto di frontiera di Toumu. Dirkou, a
circa 550 chilometri a sud del confine
con la Libia e a 650 da Agadez, è il punto di raccolta dei migranti che si apprestano a dirigersi a nord e, viceversa, per
tutti coloro che sono stati respinti alla
frontiera. Con una esigua popolazione
che si attesta sulle 14mila unità, la cittadina ha avuto enormi flussi di passaggio negli anni passati, con picchi di
transiti che nel 2011 hanno oltrepassato 60mila unità (la quasi totalità in fuga
dalla Libia in guerra). A partire dal
2012, i flussi hanno ripreso la normale
direzione sud-nord. Nella cittadina è
presente dal 2009 l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM),
che gestisce un centro di transito con
una capienza massima di 250 persone.
Le dispute tribali
La rete di trafficanti che gestisce sin
dagli anni Novanta il passaggio di migranti verso Libia e Algeria è gestita da
una decina di “agenzie di viaggi” semiclandestine, con ramificazioni e uffici
ad Agadez. Dirkou ha una popolazione mista, composta da Toubu, Tuareg
e Kanuru, ma sono le prime due etnie
a gestire il traffico dei migranti. Come
popolazioni seminomadi e transfrontaliere risiedono, infatti, in una vasta
area che si estende su diversi Stati. La
maggioranza dei Toubou vive tra le
montagne del Tibesti sul confine libico-ciadiano. I trafficanti, chiamati
“Tchagga”, organizzano il viaggio con
l’assenso della polizia nigerina e in
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SoCIETà
Le rotte delle migrazioni afro-mediterranee
Malaga
Ceuta
Rotte principali
Casablanca
Tunisi
TUNISIA Lampedusa
Melilla
Magniyya
Rabat
Wagda
Sfax
MAURITANIA
Il Cairo
Ghamades
LIBIA
EGITTO
NIGER
BURKINA
FASO
Ouagadougou
Conakry
Freetown
Accra
Monrovia
GHANA
Dirkou
Agadez
Niamey
Porto
Novo
Atbara
Asmara
Khartum
N’Djamena
Kano
SUDAN
ETIOPIA
NIGERIA
Addis Abeba
Lagos
CAMERUN
Yaounde
cambio di soldi, per chiudere un oc- controllare un’area vasta quanto Texas
chio su documenti e certificazioni fal- e Oklahoma e soggetta a scontri armase. Da Dirkou, lungo la strada si rag- ti tra l’etnia Toubu e la tribù araba degiunge Madama, un ex avamposto mi- gli Awlad Suleiman. Scontro dovuto
litare francese e da lì si arriva al posto non solo a rivendicazioni etnico-politidi frontiera libico di Toumu. Da Tou- che, ma anche e soprattutto alla gestione del controllo della frontiera
mu il secondo punto di raccolta
sud. La città di Sebha è svidei migranti è l’oasi di Seluppata su tre oasi (Jebha, nel Fezzan, punto
La Libia
did, Quatar e Hejer) e
dal quale poi si arriva
ha soltanto
rappresenta la città
dopo un lungo viagmadre degli Awlad
gio sulla costa libica.
Suleiman e della sua
famiglia più imporIl fezzan
uomini per un’area tante, quella del clan
Da sempre crocevia di traffici umani,
vasta quanto Texas Saif al Nasr, alleata
armi e droga, il Fezzan
con gli Abu Saif. Uno
e Oklahoma
è la regione semidesertidei quartieri della città,
ca nel sud della Libia. DalTajuri, è principalmente
l’inizio del conflitto del 2011,
abitato da Toubu e Tuareg.
che ha portato alla caduta del regime
di Gheddafi e alle prime libere elezioni dal Corno d’Africa all’Italia
nella storia del Paese, il Fezzan contiLa seconda rotta è quella dei flussi
nua a vivere un’emergenza (collegata e migratori originari del
consequenziale agli innumerevoli pro- Corno d’Africa che
blemi di stabilità statuale) relativa ai parte dallo snodo di
flussi migratori verso l’Italia e l’Europa. Khartoum, in Sudan, e
Qui circa 6mila uomini del Comando segue la strada per
militare della Libia del sud devono l’oasi libica di Kufra,
6.000
LOOKOUT 5 - maggio 2014
ERITREA
CIAD
BENIN
LIBERIA
Port Sudan
Selima
MALI
Nouakchott
Bamako
Kufra
Toumu
GUINEA
70
Alessandria
Sebha
Tamanrasset
SIERRA
LEONE
Bengasi
Adjabiya
ALGERIA
El Ajum
Dakar
Tripoli
MAROCCO
Wargla
SENEGAL
Malta
Fonte: Frontex, Reuters, Limes
Fonte: Reuters; i-Map; International Organization for Migration
Agadir
Almaria
Le vittime del 2013
Numero di migranti morti in mare
o mentre attraversavano il deserto
Caraibi
Nord Africa
Pacifico
del Sud
Stati Uniti/
Confine
messicano
99
129
214
444
Mediterraneo
707
Golfo del
Bengala
785
Africa/
Medio Oriente
2.000-5.000
(stime)
SoCIETà
Il dizionario
La rivolta contro il regime libico
del 2011, porta a una guerra civile
che oppone le forze fedeli a
Gheddafi agli insorti del Consiglio
Nazionale Libico. A seguito della
risoluzione 1973, la NATO interviene
militarmente. Rovesciato il regime,
il potere va alla nuova Assemblea
Congressuale. Tuttavia la crisi politica
non accenna a risolversi. Dopo il
difficile premierato di Ali Zeidan, e di
Al Thinni, oggi il Paese è in mano al
giovane imprenditore Ahmed Maetiq.
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/LIBIA
fino ad arrivare ad Ajdabiya-Bengasi. La
rotta è praticata in particolare da profughi sudanesi, somali, etiopi ed eritrei.
L’entrata in Libia spesso avviene dal deserto egiziano. Anche a Kufra si scontrano i Toubu con la tribù araba dominante,
gli Sway, per il controllo del potere. Il leader Toubu, Issa Abdul Majid Mansour,
nel 2011 è stato designato dal Consiglio
Nazionale di Transizione - ovvero l’organo che controlla la fase transitoria delle
nuove istituzioni libiche - come supervisore per la frontiera meridionale. Nel febbraio 2012, però, la cooperazione tra
Sway e Toubu, rafforzatasi con la comune
avversione al Colonnello Gheddafi, cessa
e i susseguenti combattimenti tra i due
gruppi causano centinaia di morti da
ambo le parti. In ogni caso, questo non
ha impedito il traffico di esseri umani,
né di armi (o altro) e il punto d’arrivo
finale sulla costa è ancora Tripoli, da
dove poi altri trafficanti organizzano i
ben noti viaggi in mare verso l’Italia.
Terrorismo e traffici
illegali in Nord Africa
Il vuoto di potere che è andato creandosi in Nord Africa nel post-rivoluzioni - complice l’assenza di una risposta forte da parte dei governi centrali, se non il crollo
stesso dell’apparato statuale - ha permesso il consolidarsi di un sostrato jihadista
sahelo-sahariano che sfrutta la porosità delle frontiere per i suoi traffici e per la sua
stessa sopravvivenza e organizzazione logistica. L’incapacità dei governi centrali
di controllare porzioni sconfinate di aree desertiche ha concesso ai gruppi militanti
emergenti di trovare terreno fertile per radicarsi e portare avanti azioni congiunte
su base regionale, pur mantenendo basi distinte e direttive separate per ogni Paese. Restando fermi i legami con Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), che detiene
tuttora la leadership qaedista in questa parte di Africa, i vari gruppi si sono organizzati più o meno su base nazionale, ognuno “specializzandosi” in un determinato
tipo di traffico illecito o azione armata.
ALGERIA
La Brigata “Firmatari col sangue”, di Mokhtar Belmokhtar, responsabile della
strage di Tiguentourine-In Amenas, nasce alla fine del 2012 dalla scissione diretta
di AQIM guidato da Abdelmalek Droukdel. Secondo fonti di intelligence, dal gennaio
2014, avrebbe unito le forze con le organizzazioni di Ansar al-Sharia in Libia e Tunisia. Più di recente, inoltre, ha preso posizione nel nord del Mali e si starebbe specializzando nel sequestro di personale occidentale. Il gruppo di Belmokhtar, tra l’altro avrebbe legami con i “Figli del Sahara per la giustizia islamica” il cui ex
leader, Liamine Boucheneb, contrabbandiere e saharawi arruolato nella milizia armata del Polisario, è stato ucciso durante l’attacco a In Amenas. Il jihadismo algerino, benché tenuto a bada dalle forze di sicurezza centrali, si alimenta dei commerci illeciti con la Libia, in particolare armi e droga.
LIBIA
Il gruppo islamista militante di Ansar al-Sharia (di cui esistono rami separati almeno a Bengasi e Derna) compare ufficialmente sulla lista delle organizzazioni terroristiche del Dipartimento di Stato americano. Ma l’azione armata e i traffici di contrabbando (in particolare, armi e esseri umani) sono gestiti altrettanto fruttuosamente
dalle migliaia di milizie armate presenti sul territorio. Alcune di queste, come la “Brigata dei Martiri di Abu Salim” diretta da Salem Derbi, un veterano dell’Afghanistan,
sposano il connubio militanza-islamismo. Si è diffusa di recente l’esistenza (non
confermata) di un gruppo radicale libico-tunisino, Shabab Al-Tawhid, specializzato nel rapimento di ostaggi in Libia e con apparenti legami con il gruppo jihadista
dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, attivo in Siria (ISIL).
TUNISIA
Il governo tunisino ha ufficialmente dichiarato Ansar al-Sharia organizzazione terroristica nell’agosto 2013. Dopo una prima fase di azioni armate e attentati che hanno colpito turisti e obiettivi politici, destabilizzando il Paese, l’attività dei terroristi tunisini è stata circoscritta all’area del Monte Chaambi (sopra Kasserine, al confine
con l’Algeria) che rimane altamente pericolosa nonostante la crescente risposta militare. L’area è fortemente soggetta al contrabbando di droga e armi.
EGITTO
Il jihadismo egiziano è diretta espressione dei Fratelli Musulmani, il cui movimento
è stato dichiarato organizzazione terroristica dal governo del Cairo nel dicembre
2013. Dopo la destituzione del presidente islamista, Mohammed Morsi, la situazione
è particolarmente degenerata nel Sinai, dove il gruppo di Ansar Beyt al-Maqdis,
affiliato di AQIM, ha raccolto decine di migliaia di beduini fondamentalisti prendendo di mira militari e turisti. Ulteriori gruppi jihadisti (“Ansar al-Shari’a nella Terra di Kinana” e Ajnad Misr), emersi più di recente, hanno esteso la loro attività
anche ai centri abitati, colpendo sia università sia sedi e personale della polizia.
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SoCIETà
Problema
“Nostrum”
La missione del governo
“operazione
mare Nostrum”
è poco più che un
deterrente al fenomeno
migratorio. Per capirne
i meccanismi, siamo saliti
a bordo della San Giusto
ITALIA |
Reportage di Francesco Militello Mirto
D
opo le due tragedie di
Lampedusa e visto l’eccezionale afflusso di
migranti provenienti
dalle coste africane, al
fine di fronteggiare lo stato di emergenza nello Stretto di Sicilia, il governo italiano ha disposto il rafforzamento delle attività correlate con il controllo del flusso migratorio attivando
l’Operazione Mare Nostrum.
Questa missione ha potenziato un
dispositivo già esistente impegnato
nell’Operazione Constant Vigilance
(OCV), iniziata nel 2004. La missione
italiana è stata avviata per tentare di
arginare una situazione di crisi umanitaria. Quindi è un’operazione militare, gestita e condotta dai militari, ma
dal carattere prettamente umanitario.
La Mare Nostrum ha anche una funzione di deterrenza e di contrasto del
traffico illegale di migranti. Contemporaneamente all’azione di soccorso
in mare, c’è dunque un’azione di lotta
72
LOOKOUT 5 - maggio 2014
ai trafficanti di esseri umani. Ma è sufficiente questo sforzo? Durante questi
mesi la Marina Militare, nell’ambito
delle sue funzioni di polizia marittima, è riuscita a catturare due navi madre, che venivano impiegate dai trafficanti per abbandonare in mezzo al
mare, su barconi fatiscenti, parecchie
centinaia di migranti. Gli equipaggi di
queste imbarcazioni sono stati arrestati e tra i migranti salvati sono stati
identificati alcuni scafisti che tentavano di mischiarsi alle persone salvate
grazie alle indagini a bordo, condotte
con il concorso dei mediatori culturali, della Polizia scientifica e della task
force della Polizia di Stato.
“La funzione di deterrenza dell’operazione è stata sino ad ora efficace - dice il Contrammiraglio Giuseppe Rando, Comandante del dispositivo aeronavale* - ma si tratta di un fenomeno
molto ampio sia per le dimensioni sia
per la spinta verso il continente europeo. La Marina svolge molto bene la
*fino al 24 marzo 2014
SoCIETà
I mezzi messi in campo dalla Marina
• 1 Nave Anfibia tipo LPD;
• 1-2 fregate Classe Maestrale,
equipaggiate con elicotteri AB-212;
• 1-2 pattugliatori, Classe
Costellazioni/Comandanti;
• 2 elicotteri pesanti tipo EH-101 (MPH);
• 1 velivolo P180, con capacità
dispositivi ottici a infrarosso (FLIR);
• Rete radar costiera della M.M. con
capacità di ricezione dei Sistemi
Automatici di Identificazioni della
Navi Mercantili (AIS).
• 1 Nave mototrasporto costiero per
supporto logistico.
finirà, perché non è una decisione al
nostro livello, ma spetta al governo.
Quindi noi continuiamo a operare,
finché ci verrà chiesto di farlo. Noi facciamo la nostra parte per mare. Ma la
soluzione del problema dell’immigrazione illegale ovviamente non siamo
noi - sottolinea il Contrammiraglio Anche se contribuire ad aumentare la
sicurezza e salvare migliaia di vite è per
noi una grande soddisfazione, ovviamente il traffico illegale dei migranti ha
bisogno di una regia a livello internazionale. Il problema dell’immigrazione e
della sicurezza dei migranti non si risolve certo con la Marina Militare”.
Da quando è cominciata la missione
italiana, sono state salvate più di 10mila persone, cifra destinata ad aumentare, se non vengono studiate altre
strategie. Senza il contributo delle altre marine europee come Francia,
Germania, Spagna e Inghilterra, per
citarne alcune, sarà impossibile un
controllo dei flussi migratori e un contrasto dei traffici illegali perpetrati via
mare.
Cos’è
Operazione
Mare Nostrum
sua missione, ma il compito della gestione dell’immigrazione è assai più
complesso”.
Ogni giorno, da quando è iniziata
l’Operazione Mare Nostrum, i mezzi e
il personale delle Marina Militare (così come quello delle altre organizzazioni come la Guardia Costiera) sono
costantemente impegnati nel pattugliamento dello stretto di Sicilia e nelle
operazioni di soccorso di quelle centinaia di anime che affrontano il mare a
bordo di precarie imbarcazioni.
Il lavoro della Marina Militare non
finisce con il soccorso, la distribuzione
di acqua, cibo e giocattoli ai bambini.
E neanche quando vengono sbarcati i
migranti nei porti siciliani. Ma continua non appena si riprende il mare.
“Non sappiamo quando la missione
Oltre 20mila migranti soccorsi
dal 18 ottobre 2013 a oggi e un costo
mensile calcolato tra i 6 e i 9 milioni
di euro con personale e mezzi di:
Marina Militare, Aeronautica Militare,
Carabinieri, Guardia di Finanza,
Guardia Costiera, Ministero
dell’Interno (Polizia) e altri Corpi
dello Stato che partecipano,
a vario titolo, al controllo dei flussi
migratori nel Mar Mediterraneo
meridionale.
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73
SoCIETà
Bienvenidos
negli States
Nel mondo attualmente ci sono 214
milioni di migranti, ovvero il 3%
dell’intera popolazione. Dietro ogni
migrazione illegale vi è una guida
incaricata di organizzare la traversata.
In America Centrale, dove il viaggio
si fa in macchina, in treno e a piedi,
avere una guida esperta fa
la differenza tra la vita o la morte
74
LOOKOUT 5 - maggio 2014
Mexico
USA
SoCIETà
hoNdURAS | di Mariana Diaz
L
per la riuscita della traversata, ma lo so- violentate lungo la strada. Negli ultimi
no anche le relazioni che il coyote riesce quindici anni, si stima che siano state
a istaurare con gli agenti di polizia e di trovate morte 5.513 persone lungo i
frontiera. In molti casi, per oltrepassare 3.145 km di frontiera fra il Messico e gli
un controllo basta qualche centinaio di Stati Uniti. Secondo le cifre emanate
dollari. Nel complesso, un viaggio negli dall’Organizzazione Internazionale
Stati Uniti costa intorno ai settemila dol- per le Migrazioni, dopo il Golfo del
Bengala e il Mediterraneo, la fronlari se la partenza è l’Honduras, ma
tiera nord del Messico è la
può scendere a duemila se il
più pericolosa al mondo.
viaggio comincia in MessiLa maggior parte dei
co. Alcuni coyotes incluMolte
migranti proviene da
dono nel prezzo sia il
donne usano
Honduras, Guatemacosto del carburante
sia vitto e alloggio, per CoNTRACCETTIVI la e Messico, e negli
ultimi anni i messicauna traversata che
nell’eventualità di
ni non rappresentapuò durare dai 6 ai 12
essere violentate
no più il principale
giorni. Prima di perdelungo la
gruppo
migratorio
re il denaro, il “pollo”
(anzi,
il
Paese
degli Azpuò tentare il viaggio fistrada
techi è persino diventato
no a tre volte.
una meta per molti centroaLa traversata non è esente
mericani). Secondo fonti locali, oggi
da rischi e per un migrante senza
documenti tutto è una minaccia: dal negli Stati Uniti ci sarebbero circa 1,2
deserto ai fiumi, dai sequestri di per- milioni di honduregni, i quali inviano
sona agli attacchi dei cartelli della dro- in Honduras qualcosa come 3 milioni
ga rivali. Le più vulnerabili sono le don- di dollari l’anno in rimesse o denaro.
ne, che rischiano di finire nelle reti del Tali cifre dimostrano che molte volte il
traffico di esseri umani o nella prostitu- viaggio si conclude con un successo.
zione. Molte donne prima della partenza Così, il coyote dopo aver salutato i suoi
si sommettono persino a trattamenti an- clienti ritorna nel proprio Paese, pronticoncezionali, nell’eventualità di essere to per un nuovo viaggio.
i chiamano “coyotes” perché lavorano nel deserto.
Ma sono conosciuti anche
come “polleros”, perché i
loro clienti sono i “polli”,
ovvero i migranti. I coyotes sono vere
e proprie guide per i viaggiatori che
operano con chi vuole attraversare il
confine fra il Messico e gli Stati Uniti.
Paradossalmente, la loro presenza è
aumentata man mano che si estendevano regole e controlli per impedire
l’immigrazione illegale sul suolo statunitense. Telecamere, posti di blocco,
polizia, agenti di frontiera: il coyote sa
bene quand’è il momento di attraversare e, più controllate saranno le frontiere, più costoso sarà il biglietto verso
il sogno americano.
Esistono diverse tipologie di coyotes,
ma la caratteristica principale che deve
avere un coyote è la credibilità. Il suo
lavoro, infatti, non comincia con il
viaggio, bensì con una forte opera di
motivazione verso i suoi possibili clienti. Il coyote è una persona di fiducia e
nota nella comunità per aver già realizzato molti viaggi di successo. In alcuni
casi lavora da solo, e
lui stesso accompa1.600*
gna i “polli” durante
rapimenti
al mese
tutto il tragitto, altre
volte è affiliato a un
94,2%
circuito locale dedito
rapimenti da bande
al trasporto di miorganizzate
granti illegale. Negli
ultimi anni, però, si è
affermata anche una
2.500 dollari
taglia media per vittima
tendenza che li vede
appartenere a reti criminali internazionali.
45 milioni
Non è un caso: per i
di dollari
cartelli della droga
quanto arrivano
queste traversate soa guadagnare i rapitori
no sempre più spesso
in un anno
una delle fonti d’ingresso degli stupefa*Dati basati sui risultati della relazione
speciale della Commissione
centi negli USA.
Nazionale dei Diritti Umani (CNDH)
La conoscenza del
Fonte: Amnesty International, CNDH
luogo è fondamentale
Rotte dell’immigrazione messicana
Tijuana
Nogales
U.S.A.
Ciudad
Juarez
Nuevo
Laredo
Torreon
Oceano
Pacifico
Saltillo
Golfo del
Messico
Reynosa
TAMAULIPAS
Tampico
Mazatlan
Guadalajara
VERACRUZ
TABASCO
Veracruz
Mexico City
Percorsi
principali
(non confermati)
Maggior numero
di migranti
sequestrati
Tenosique
MESSICO
Tapachula
500 km
GUAT.
HON.
EL
SALVADOR
LOOKOUT 5 - maggio 2014
75
SoCIETà
L’opINIoNE
Cosa
fare per
contenere
i flussi
migratori?
Khalid Chaouki
Deputato del Partito Democratico,
Membro Commissione Affari Esteri
e Comunitari
I
l governo Renzi sta puntando molto sulla presidenza
del semestre europeo per riaffermare con forza la necessità di coinvolgere tutta l’Europa nella gestione dei
flussi migratori dal Nord Africa e dal Medio Oriente.
L’operazione “Mare Nostrum” sta contribuendo a salvare molte vite, ma la cosa fondamentale da fare è andare alla
fonte del problema. Per dotarsi di una vera strategia nazionale, l’Italia deve rendersi più protagonista attraverso tre azioni.
Intervenire in Libia, che come noto è il Paese di maggiore
transito dei migranti, chiedendo alle autorità libiche l’agibilità dell’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite
per i Rifugiati), la realizzazione di campi di accoglienza e la
valutazione delle richieste di asilo presentate dai migranti.
Pretendere l’applicazione di una specifica del protocollo di
Dublino in base alla quale in caso di flussi migratori eccezionali le coste italiane, come quelle maltesi o greche, vengano
considerate frontiere europee e non solo nazionali. Istituire
un tavolo nazionale a cui partecipino le regioni e i comuni affinché sia l’intero Paese ad accogliere queste persone.
Serve poi il coinvolgimento anche di quelle regioni come
Piemonte e Lombardia che in questi anni hanno confuso la
propaganda contro l’immigrazione con quello che è il diritto
internazionale all’accoglienza per chi scappa da guerre e violenze e che oggi rappresenta oltre il 90% di chi sbarca sulle
nostre coste.
76
LOOKOUT 5 - maggio 2014
fabrizio Cicchitto
Senatore del Nuovo Centrodestra,
Presidente Commissione Affari Esteri
e Comunitari
P
aradossalmente il picco dei flussi migratori dal
Nord Africa e dal Medio Oriente si è avuto nel
2011 con il governo Berlusconi nonostante il
buon lavoro svolto dal ministro degli Interni
Maroni con i Paesi dirimpettai. All’epoca ci furono 61mila ingressi mentre oggi siamo a quota 41mila. Allora l’errore fu di appoggiare un dissennato intervento
operato su spinta americana e francese per abbattere
Gheddafi senza avere un’alternativa. Il risultato è che oggi
abbiamo di fronte una Libia che non ha un governo stabile
e che di fatto non è uno Stato. Una situazione ben diversa
rispetto alla Spagna, che invece ha davanti a sé il Marocco
che è uno dei Paesi sulla sponda africana del Mediterraneo
in migliori condizioni dal punto di vista democratico ed
economico, capace di esercitare un filtro molto forte sui
flussi migratori.
Al momento, l’operazione Mare Nostrum sta evitando
un numero spropositato di vittime, ma ciò non toglie che
l’Italia è chiaramente arrivata al limite delle proprie possibilità. Qualora gli sbarchi dovessero continuare, è chiaro
che non siamo nelle condizioni di reggere da soli questa
emergenza. C’è un limite determinato dalla situazione economica e sociale e dalla tenuta del tessuto collettivo del nostro Paese. Per questo motivo il problema va posto a tutta
l’Europa. Noi rappresentiamo l’avamposto del Continente
nel Mediterraneo e sinora abbiamo dato una prova di massima affidabilità sul piano umanitario e dell’accoglienza,
ma adesso è necessario un impegno europeo perché quel
limite è stato superato.
ALL NEWS
SoCIETà
ARAbIA SAUdITA
A Gedda il grattacielo più alto
del mondo
EmIRATI ARAbI
Presentato il “Louvre
del deserto”
A
prirà le porte al pubblico il 2 dicembre del
2015 il “Louvre del deserto” di Abu Dhabi.
Il museo è stato costruito in un edificio futuristico progettato dall’architetto francese Jean
Nouvel. Tra le opere che verranno esposte: una
Torah yemenita del 19° secolo, una Bibbia gotica
del 13° secolo e una serie di capolavori rinascimentali e moderni di artisti come Yves Klein, René
Magritte e Pablo Picasso. Anteprima in mostra al
Louvre di Parigi (quello vero) fino al 28 luglio.
È iniziata ad aprile a Gedda
la costruzione della Kingdom
Tower. Una volta terminato
l’edificio sarà alto circa un
chilometro, dunque 170 metri
in più rispetto al Burj Khalifa
di Dubai che al momento
detiene questo primato.
bRASILE
fALKLANd/
mALVINAS
Prezzi delle case alle stelle
Polemiche per
le guide turistiche della YPF
S
econdo l’indice FipeZap, da quando il
Brasile si è assicurato i Mondiali di
Calcio di questa estate e le Olimpiadi
del 2016, il costo degli immobili è aumentato del
250% a Rio de Janeiro e del 200% a San Paolo. Nonostante la crescita economica a rilento e le continue
proteste, c’è chi è disposto a spendere 15mila dollari
al mese per prendere in affitto un appartamento a
pochi passi dalla famosa spiaggia di Ipanema.
N
uovi guai in vista tra il governo argentino
e il colosso energetico spagnolo Repsol. A
far discutere sono adesso le guide turistiche pubblicate sul sito della YPF (Yacimentos Petroliferos Fiscales), recentemente nazionalizzata
dal governo di Buenos Aires. Sul sito della compagnia le isole Malvinas, al centro della decennale disputa con il Regno Unito, sono nominate in inglese (Falkland), così come il capoluogo Stanley (e
non Puerto Argentino) e le West Falkland (piuttosto che Isla Gran Malvina).
LIbANo
All’asta l’hotel storico
della capitale
gIAppoNE
In calo la
popolazione infantile
P
resto potrebbe conoscere una
nuova vita il vecchio hotel Holiday Inn di Beirut. Simbolo dell’età d’oro
ontinua a diminuire la popolazione infandel Libano, ma anche della sanguinaria guerra
tile del Giappone. Ad oggi i bambini al di
civile del 1975-1990, l’edificio che domina il
sotto dei 15 anni rappresentano solo il
lungomare della capitale nei prossimi mesi fii cimeli di Napoleone
12,8% della popolazione totale, la percentuale
nirà forse all’asta. Nonostante riversi in condirubati dalla residenzapiù bassa tra le 30 nazioni al mondo con una
zioni fatiscenti e sia sorvegliato all’ingresso
museo a Mount
popolazione di almeno 40 milioni di abitanti.
dai blindati dell’esercito, rappresenta un moMartha in
Tra le cause principali una generale mancanza
numento importante del patrimonio moderno
Australia
di interesse per il sesso da parte dei giovani.
della città.
C
10
LOOKOUT 5 - maggio 2014
77
dURA LEx
SoTTo LA LENTE dEL dIRITTo
di Giusi Landi e Giuseppe Saccone
A
nziché i mari, dominano i media le ondate
d’imbarcazioni clandestine che dal lembo settentrionale
d’Africa
hanno ripreso a solcare il Mediterraneo. Le tragiche cifre delle morti in
mare e le infauste previsioni sui prossimi transiti non allargano certo i cuori. Circa 20mila gli stranieri arrivati via
mare in Italia dall’inizio del 2014 e oltre 23mila le morti a partire dal 2000.
Il vorticoso flusso migratorio - pari
al 3% della popolazione planetaria rappresenta in realtà la cifra della nostra contemporaneità. L’immigrazione
ottici e aerei equipaggiati per la sorveglianza notturna. E
grazie al neo istituito Eurosur, attraverso un sofisticato sistema di monitoraggio, consente alle autorità nazionali preposte alla sorveglianza delle frontiere di condividere informazioni operative.
Così muri, recinzioni, radar mobili, video termici, sonde
per il rilevamento di gas carbonico, detector del battito del
cuore e, adesso, anche droni controllano le frontiere a sud
del Mediterraneo. Pare, però, che la gestione concertata dei
massicci flussi stagionali non abbia inciso nella misura sperata, malgrado i costi sostenuti in burocrazia, assistenza, sistemi di sorveglianza e di identificazione, controlli alle frontiere, gestione dei centri di accoglienza, espulsioni e rimpatri.
Il punto è che il numero dei boat people tempestivamente monitorati rimane piuttosto scarso, per la semplice ragione che i soccorsi scattano quasi sempre dopo una richiesta
di aiuto lanciata dagli stessi naufraghi. Questo perché gli
Stati membri sono, il più delle volte, riluttanti a partecipare
alle operazioni di ricerca e salvataggio, temendo di essere
Il Frontex e la retorica
dell’emergenza umanitaria
è definita dagli studiosi il “sesto continente”. Una specie di pianeta in costante e perpetuo moto. “Incrociato eterogeneo e incontrollabile perché nessuna forza al mondo sembra capace di fermare questa macchina della vita” scriveva qualche
anno fa Giorgio Bocca. E l’UE come fa
fronte a questa marea montante?
L’Europa ha esternalizzato i propri
confini, subappaltando il controllo
dei flussi migratori all’Agenzia europea per le frontiere esterne. Il Frontex
persegue l’obiettivo di prevenire le
migrazioni, gestendole dal Paese
d’origine fino al Paese d’accoglienza,
passando per la frontiera e il Paese di
transito. All’occorrenza, dispiega, in
meno di dieci giorni, squadre comuni
d’intervento. Schiera fregate, pattugliatori, elicotteri dotati di strumenti
78
LOOKOUT 5 - maggio 2014
costretti a trasferire le persone soccorse nei loro territori. Il
regolamento, infatti, qualora lo sbarco in un Paese terzo
non sia possibile, prevede che esso debba aver luogo nello
Stato membro che gestisce l’operazione.
Ma l’emigrazione ha semi profondi e, quando pare sfrondata, rifiorisce. Così, mentre i Paesi coinvolti si palleggiano
accuse l’un l’altro, i mass media e l’opinione pubblica chiamano in causa le guardie europee di frontiera. Il Frontex è
come un’agenzia di supporto, preordinata a funzioni di
cooperazione intergovernativa. Organismo che interviene
solo su richiesta di uno Stato membro, o magari di propria
iniziativa, ma sempre di comune accordo con gli Stati
membri in cui prende avvio l’operazione e quelli ospitanti.
La disciplina in vigore, in ogni caso, fa salva la competenza degli Stati membri in materia di controllo e sorveglianza
delle frontiere esterne. Insomma, il Frontex zoppica, perché ognuno regna pro domo sua. Non occorre grande acume diagnostico per intuire che il più della colpa risieda
nella disomogeneità dei quadri normativi degli Stati e nella
mancanza di una politica migratoria comune.
L’Europolizia di frontiera propaganda i successi non solo in termini
d’intercettazione ma di salvataggio di
vite in mare (solo nel 2013 ne ha ripescate 16mila). Eppure, pattugliare le
frontiere con spirito umanitario suona
come un autentico paradosso. Diciamola tutta: concepire la politica migratoria in chiave virtuosa è affare arduo. Gli osservatori attenti denunciano, infatti, uno scarto profondo tra i
principi entrati a far parte del nucleo
genetico delle Carte europee e gli
obiettivi politici di sicurezza comune.
Tant’è che la politica di esternalizzazione dei confini europei viola sia il diritto di asilo che il principio di “nonrefoulement” (non-repressione) sancito dalla Convenzione di Ginevra.
Sì, perché il Frontex confina i migranti senza preoccuparsi di sapere se
i Paesi ospitanti hanno volontà e strumenti per tutelarne i diritti fondamentali e, dunque, se i clandestini potranno considerarsi al riparo da trattamenti non consoni o, peggio, inumani. Nel
frattempo, però, le istituzioni europee
ripetutamente sollecitano gli Stati
membri ad accogliere il maggior numero di rifugiati attraverso operazioni
di reinstallazione di campi profughi
nei Paesi vicini oppure mediante la
concessione di sistemi d’ingresso protetti.
In mancanza di una completa armonizzazione tra le normative dei Paesi
di approdo e quelli di transito e di una
solida politica estera europea, non pare tattica credibile quella di appellarsi
all’esprit humanitaire degli Stati membri. Non fosse altro perché tornerebbe difficile credere che gli Stati membri, impegnati da più di dieci anni a
programmare le politiche d’asilo come strategie di esclusione dei rifugiati,
cingano le braccia al collo di soggetti
che poi si affrettano, senza tanti riguardi, ad accompagnare all’uscio. Si
vede che l’UE ha preso Marx alla lettera: La strada per l’inferno è lastricata di
buone intenzioni.
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79
oUTLooK
A CURA dI LoRIEN CoNSULTINg
La ripresa della fiducia
nel futuro dell’Italia
C
ontinua a crescere la fiducia nel futuro, segno
importante di un rinnovato ottimismo per
la ripresa economica
del Paese. Questo nuovo clima e trend
crescente coinvolge senza dubbio il
giudizio sull’operato del governo che
si porta al 60%, il massimo livello mai
raggiunto dal premier Renzi. Tuttavia
la curva di crescita sembra essere destinata a rallentare nel breve periodo.
Sui provvedimenti, il 52% ritiene che
il governo Renzi manterrà le promesse fatte agli italiani (con un calo di 5
punti solo nell’ultima settimana) ma
solo il 36% sostiene che riuscirà a farlo nei tempi promessi (-7%).
Sui provvedimenti annunciati dal
governo le priorità assolute, secondo
gli italiani, sono rappresentate in primo luogo, dall’annuncio degli ormai
famosi 80 euro al mese per gli stipendi della PA e la nuova legge elettorale.
sotto i 1.500 euro e, in secondo luogo,
C’è da considerare inoltre che oggi
dagli investimenti (3,5 miliardi) per la partita elettorale delle Europee si va
l’edilizia scolastica e per la tutela del dunque a definire soprattutto come
territorio (1,5 miliardi);
legittimazione del Governo Renzi:
Ma quali sono i provvedisecondo il 64% degli italiani,
menti ritenuti più crediinfatti, le europee rappreSecondo il
bili? Innnanzitutto la
senteranno principalpromessa di 80 euro
mente un test sull’esein busta paga e la
cutivo e ben il 39%
vendita online di
degli italiani si atten100 auto blu. Inolde esplicitamente una
degli italiani,
tre la maggioranza
vittoria del PD.
le Europee sono
degli italiani ritiene
Allo stato attuale ci
un test sul
che il governo riusciattendiamo una parterà ad approvare: gli
cipazione nettamente al
governo
investimenti per le scuoribasso, le stime attuali di
le e la tutela del territorio,
Lorien si aggirano attorno al
la riduzione del costo dell’ener58-60% di affluenza. Molti sono i
gia per le imprese, le semplificazio- fattori che potranno influire sulla parni in materia fiscale, l’abolizione tecipazione: il polarizzarsi dello scondelle provincie, lo sblocco dei debiti tro (pro o contro Renzi, pro o contro
64%
Ripresa della FIDUCIA nel futuro
52
47 46 46
18 feb
18 mar
15 apr
50 51 49
53
51
56 58
54 55
49
50
48
46
40
Indice di fiducia nel futuro
13 mag
2013
10 giu
8 lug
5 ago
2 set
30 set
28 ott
25 nov
1 ANNO
80
................................................
56
GOVERNO
RENZI
..................................................
GOVERNO
LETTA
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23 dic
20 gen
17 feb
17 mar
14 apr
12 mag
2014
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LORIENCONSULTING.IT
Promesse che il Governo riuscirà a mantenere
«QUALI DI QUESTI PROVVEDIMENTI
RITIENE PRIORITARI PER IL PAESE?»
80 euro in più al mese per chi ne guadagna meno di 1.500
44%
Investimenti: 3,5 miliardi per rendere le scuole più sicure
e 1,5 miliardi per la tutela del territorio
43%
27%
Tetto agli stipendi dei manager pubblici
Nuova legge elettorale - ITALICUM
Sblocco del pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione
Riduzione dell’Irap per le aziende del 10%
Sblocco di 3 miliardi dai fondi europei
Semplificazioni fiscali
(dichiarazione precompilata e fatturazione elettronica)
Jobs Act (semplificazione dell’apprendistato)
Rimodulazione della tassazione sulle rendite finanziarie
l’UE), il “traino” da parte delle elezioni amministrative in oltre 4mila comuni (effetto che si stima tuttavia come
estremamente debole), eventuali fatti
che potrebbero accelerare o infiammare la campagna elettorale a pochi
giorni dal voto.
L’esito delle Europee è ancora molto incerto. Data la bassissima propensione al voto, i risultati migliori saranno raggiunti dalle forze politiche che
sapranno mobilitare meglio i propri
elettori, un’operazione molto difficile
quando in gioco non c’è il governo
del Paese.
13%
Sblocco di 3 miliardi dai fondi europei
51%
52%
Abolizione delle province
49%
Jobs Act (semplificazione dell’apprendistato)
43%
Riforma costituzionale del Senato e del Titolo V
(poteri legislativi delle regioni)
45%
-10% del costo dell’energia per le imprese
47%
Rimodulazione della tassazione sulle rendite finanziarie
7%
51%
45%
5%
3%
50%
48%
Semplificazioni fiscali
(dichiarazione precompilata e fatturazione elettronica)
Asta online per 100 auto blu
60%
Eliminazione del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro)
34%
Le riforme del Governo Renzi
«CON CHE
PROBABILITÀ RIUSCIRÀ
AD APPROVARE TUTTi
I PROVVEDIMENTI
CHE HA PROMESSO?»
52%
degli italiani
pensa che
il governo
riuscirà a
mantenere le
PROMESSE
.......................................................................................
NON SA/NESSUNO
14%
Riduzione dell’Irap per le aziende del 10%
Inizio iter parlamentare per l’Autorità sulla Corruzione
Eliminazione del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro)
58%
54%
6%
Asta online per 100 auto blu
62%
51%
Sblocco del pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione
7%
Inizio iter parlamentare per l’Autorità sulla Corruzione
Tetto agli stipendi dei manager pubblici
14%
8%
7%
-10% del costo dell’energia per le imprese
Investimenti: 3,5 miliardi per rendere le scuole più sicure
e 1,5 miliardi per la tutela del territorio
17%
9%
Riforma costituzionale del Senato e del Titolo V
(poteri legislativi delle regioni)
80 euro in più al mese per chi ne guadagna meno di 1.500
Nuova legge elettorale - ITALICUM
13%
11%
Abolizione delle province
«QUALI DI QUESTI PROVVEDIMENTI
RIUSCIRÀ A REALIZZARE?»
«CON CHE
PROBABILITÀ RIUSCIRÀ
AD APPROVARE
LE RIFORME
NEI TEMPI PROMESSI?»
36%
degli italiani
pensa che
il governo
riuscirà a
farlo nei tempi
ANNUNCIATI
LOOKOUT 5 - maggio 2014
81
Istituto: Lorien Consulting - Public Affairs - Criteri seguiti per la formazione del campione: campione rappresentativo per sesso, età e area geografica della popolazione italiana maggiorenne - Metodo di raccolta delle
informazioni: questionario telefonico (CATI, Computer Assisted Telephone Interview) - Numero delle persone interpellate ed universo di riferimento: 1.000 cittadini italiani maggiorenni; campione rappresentativo per
sesso, età e area geografica - Data in cui è stato realizzato il sondaggio: 2-4 maggio 2014 - Metodo di elaborazione: SPSS - Direttore di ricerca: Antonio Valente
Gli interventi prioritari
SICUREzzA
CILE
L’eredità del nazismo
in Sudamerica
bRASILE
Come aiutare l’export
italiano
UCRAINA
Odessa: le verità
scomode della strage
82
LOOKOUT 5 - maggio 2014
SICUREzzA
CILE | di Mariana Diaz
A
LA VERA SToRIA
dI CoLoNIA dIgNIdAd
Il raccrapicciante caso degli abusi
su minori perpetrati da ex nazisti
nella comunità di Parral, in Cile
con la complicità della dittatura di Pinochet.
La testimonianza di Winfried hempel,
protagonista e vittima
nche se in passato qualcuno ha pagato a caro
prezzo il soggiorno, oggi
una stanza a Villa Baviera, complesso turistico
di Parral, nella regione cilena del
Maule, costa soltanto 70 euro a notte.
Gestito da immigrati tedeschi, il personale assicura relax e divertimento. A
poco più di 300 km a sud di Santiago,
capitale del Cile, Villa Baviera offre
escursioni e cucina tradizionale tedesca, ma nessuna brochure ricorda che
fino a una decina di anni fa questo posto si chiamava Colonia Dignidad.
Villa Baviera appartiene a un conglomerato di aziende guidate dai discendenti di quei tedeschi che emigrarono in Cile negli anni Sessanta. Molti
di loro fuggivano dalle catastrofi della
Seconda Guerra Mondiale, altri invece facevano parte di un gruppo il cui
leader era l’ex membro della Gioventù Hitleriana e infermiere dell’esercito tedesco, Paul Schäfer. Ex soldati, vedove, dirigenti del Terzo Reich e bambini: tutti costoro cercavano rifugio in
Sudamerica ed erano talmente affascinati dalla personalità di Schäfer, al
punto da mettere nelle sue mani la vita dei propri figli.
I nodi che legano Schäfer a questa
storia cilena cominciano con la fondazione di Colonia Dignidad nel 1961.
Sotto la copertura di una fondazione
benefica, fu invece il triste scenario di
torture, maltrattamenti, abusi sessuali
e collaborazionismo con la dittatura di
Augusto Pinochet.
Schäfer fondò la Colonia insieme a
un gruppo di 200 tedeschi a lui fedeli,
che facevano parte della Sociedad Benefactora, una sorta di setta di fanatici religiosi, formatasi dopo la fuga dalla Germania (fuga dovuta a numerose denunce per abuso sessuale contro i minori).
Colonia Dignidad ha funzionato per
quasi cinquant’anni e durante l’apogeo
LOOKOUT 5 - maggio 2014
83
SICUREzzA
arrivò a contenere circa duemila bambini, la maggior parte nati dentro le
mura circondate da filo spinato che
segnavano il limite oltre il quale nessuno poteva andare. Alcuni erano tedeschi, altri cileni che arrivavano nelle
mani di Schäfer tramite adozioni illegali o l’affidamento delle madri. In
quegli anni, infatti, la Sociedad Benefactora era nota come l’unica istituzione in grado di proteggere i minori e
dare loro istruzione, vitto e alloggio.
Ma la realtà era diversa. La Colonia
era un vero e proprio Stato nello Stato, al cui interno si parlava solo tedesco e l’unica legge che valeva era la parola di Schäfer. I bambini crescevano
lontani dai genitori, molti neanche sapevano di avere una famiglia e nessuno poteva uscire dalla Colonia. Una
volta dentro, ogni spazio della loro vita era controllato da Schäfer. La scuola era praticamente inesistente e l’unico sistema educativo consisteva in premi sessuali o punizioni fisiche. Da un
giorno all’altro, si poteva passare
dall’essere il preferito di Schäfer al ricevere calci e pugni dagli stessi compagni incaricati di effettuare le punizioni. Lui era “lo zio Paul” e le sue prediche con la Bibbia in mano scandivano le giornate dei coloni. La Sociedad
si autofinanziava con il lavoro degli
stessi bambini.
Uno di loro è Winfried Hempel, nato e cresciuto dentro Colonia Dignidad: “Sono rimasto lì dentro fino ai
vent’anni”. Winfried adesso ne ha 36,
fa l’avvocato e ha dedicato la sua carriera ad aiutare chi, come lui, ancora
tenta di difendersi dagli artigli della
Colonia. “Solo dopo esserne uscito,
ho compreso la realtà. Non riesco a
spiegare cosa significhi crescere in
una situazione del genere. Ho cominciato a lavorare a sette anni, da lunedì
a domenica, dalle sei del mattino fino
a sera. Ma per me era normale, quando si cresce senza punti di riferimento
non si distingue il bene dal male”.
Maschi e femmine separati, i bambini crescevano sotto una serrata sorveglianza: “Non eravamo mai soli e io
84
LOOKOUT 5 - maggio 2014
SICUREzzA
COLONIA DIGNIDAD
1961
Fondazione della “Sociedad
Benefactora y Educacional
Dignidad”. Nasce per accogliere
i minori rimasti orfani dopo
il terremoto che colpì il sud
del Cile nel 1960.
1966
Il giovane Wolfgang Müller fugge
da Colonia Dignidad e denuncia
per la prima volta gli abusi e le
torture subite.
1968-1997
Si susseguono una serie di
rapporti di diverse istituzioni che
denunciano gli abusi commessi
da Schäfer. Anche la Camera dei
Deputati elabora cinque rapporti,
ma non saranno mai presi in seria
considerazione.
1991
Il presidente Patricio Aylwin
cancella la personalità giuridica
della Colonia, con l’obiettivo di
espropriarne i beni e tagliare i
finanziamenti statali.
1997
Paul Schäfer scompare. Durante
le ricerche, la polizia scopre i
tunnel sotterranei e l’arsenale
bellico nascosto nella Colonia.
2005
Schäfer viene trovato in Argentina,
vicino a Buenos Aires e condannato
a 33 anni.
2010
Paul Schäfer muore nell’ospedale
del carcere di Santiago il 24 aprile.
In alto, i bambini inconsapevoli
della Colonia inscenano una protesta
in difesa del loro carnefice, appena
tratto in arresto.
In basso, alcuni degli adepti della setta
di Schäfer
ero lo schiavo perfetto, perché in me
non c’era il gene della libertà” spiega
Winfried.
Colonia Dignidad arrivò ad avere a
disposizione ben 16mila ettari, spazio
in cui si costruirono fabbriche, tunnel, strade e persino una pista di atterraggio. La Colonia cominciò a produrre alimenti tipici della Germania destinati ai supermercati della zona, e a
coltivare frutta e verdura. Il lavoro di
migliaia di bimbi produceva un giro
d’affari di oltre 20 milioni di dollari.
Schäfer, inoltre, era esentato dal
pagamento delle imposte ed era libero di importare macchinari e attrezzature senza dazi doganali.
Com’è possibile che una comunità di questo tipo funzionasse indisturbata? La risposta si trova
nella rete di contatti fra l’élite nazista e alcuni membri delle autorità cilene. Secondo la testimonianza
di Hempel, Schäfer arrivò in Cile grazie all’invito dell’allora ambasciatore
cileno in Germania, Arturo Maschke,
e alla complicità del presidente della
Repubblica, Jorge Alessandri: “Maschke era un fervente ammiratore dell’ideologia nazista, e come Schäfer era
omosessuale. Fra di loro era scattato
un feeling speciale, inoltre era stato
presidente della Banca Centrale cilena e ministro dell’Economia,
quindi aveva conoscenze importanti. Una volta in Cile, Schäfer entrò
in contatto col presidente Alessandri, il quale lo aiutò a fondare Colonia Dignidad”.
Se fino alla dittatura non ci furono
troppe complicazioni per Schäfer, la
collaborazione con Pinochet fu il colpo da maestro: “La Colonia è sempre
sembrata un reggimento. C’erano militari, elicotteri e macchine blindate,
ma per noi faceva parte del paesaggio”
ricorda Winfried. Scambio di favori,
soldi o sesso facevano parte delle trattative attraverso cui Schäfer si garantiva
la più totale impunità. Inoltre, disponeva di una potente rete in Germania.
Secondo il giornalista cileno Carlos
Basso Prieto, fino agli anni Ottanta la
Chi è
Paul Schäfer
Nasce nel 1921 a Siegburg, in
Germania, e sin da bambino ha
un occhio di vetro, essendosi ferito
con una forchetta mentre giocava.
Ancora giovanissimo, entra a far parte
della Gioventù Hitleriana e durante
la Seconda Guerra Mondiale lavora
come assistente medico nell’esercito
tedesco della Wehrmacht. Per diverso
tempo, approfittando del suo carisma,
finge di essere un pastore luterano
e riceve in gestione un orfanotrofio.
Nel 1959 crea la “Missione Sociale
Privata” per gli orfani, una sorta di
setta religiosa che alcuni sociologi
cileni definiranno di matrice
“semi-religiosa e paramilitare”.
Lo stesso anno viene accusato di abusi
sessuali e fugge in Germania Ovest.
Nel 1961 si rifugia in Cile, sostenuto
da una rete nazista clandestina
sudamericana e da alcuni politici cileni.
Qui fonderà la Colonia Dignidad.
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SICUREzzA
Il dizionario
Grazie all’associazione
Londres 38, che ha ottenuto
l’archivio documentale con
le schede dei detenuti della
Colonia (rese pubbliche dal
giudice cileno Jorge Zepeda),
è emersa la complicità fra i
dirigenti di Colonia Dignidad
e la DINA (Direzione
d’Intelligence Nazionale),
ovvero la polizia segreta
Colonia contava sul sostegno
della diplomazia tedesca. “Alcuni ragazzi scappavano - racconta Winfried - ma quando
arrivavano all’ambasciata tedesca a Santiago, trovavano i
capi della Colonia che li riportavano indietro”.
Dal 1973 al 1990, sotto la
dittatura del generale Pinochet, la Colonia funzionò anche come sede operativa e
d’intelligence, e come centro
di detenzione e tortura. Grazie all’aiuto di Pinochet e del
generale Manuel Contreras,
Paul Schäfer aveva qui un sofisticato arsenale. Nascosti a
quattro metri di profondità,
negli anni sono stati trovati armamenti di cui neanche la polizia cilena era mai stata in
possesso, come sensori di movimento e microfoni spie.
“Delle zone erano vietate, nessuno conosceva la Colonia per
intero e se andavi oltre i limiti
stabiliti, si azionavano gli allar-
86
LOOKOUT 5 - maggio 2014
mi e dai muri uscivano sbarre
di metallo” hanno raccontato
i testimoni.
Solo nel 1991, grazie al senatore e futuro presidente del
Cile post dittatura, Patricio
Aylwin, si poté avviare una potente offensiva legale contro
Schäfer: “Non ce l’ho fatta da
senatore, ma da presidente
non fallirò”, disse Aylwin in
proposito. Alla Colonia venne
così tolta la personalità giuridica per impedire che lo Stato
continuasse a finanziarla, e cominciò un lungo periodo di
perquisizioni, sequestri e processi che culminarono con la
fuga di Schäfer nel 1997.
I coloni furono liberati a poco a poco e anche Winfried
uscì da Colonia Dignidad.
“L’isolamento in cui vivevamo
era talmente grande che
quando sono uscito non sapevo nemmeno come attraversare la strada e non capivo
il significato del semaforo”.
della dittatura di Pinochet.
Nei faldoni ritrovati, infatti,
non comparivano solo
informazioni sui detenuti,
ma un ricco registro
- elaborato fra il 1974
e il 1992 sulla base di fonti
giornalistiche e
d’intelligence - con i nomi
e i profili degli oppositori
alla dittatura,
di sospetti fiancheggiatori
e di possibili “amici”
o “conniventi”.
L’archivio di Colonia
Dignidad, però, non
è risultato utile al
ritrovamento dei corpi
dei desaparecidos di
quegli anni, anche se vi
sono indizi dell’esistenza
di superstiti.
Come la maggior parte dei coloni, Winfried è cresciuto senza la famiglia: “I miei genitori
biologici adesso li conosco,
abbiamo ripreso i contatti. Ma
è tutto qui”.
In quegli stessi anni, la Corte Suprema del Cile giudicò
colpevoli di abusi, traffico di
armi ed evasione fiscale diversi dirigenti della Colonia, fra
cui Hartmut Hopp (medico
fuggito in Germania) e Gerd
Seewald (arrestato nel 2013).
A fianco,
Winfried Hempel
In basso,
come si presenta oggi
l’ex Colonia Dignidad,
ribattezzata Villa Baviera
SICUREzzA
La dittatura in Cile
Schäfer invece venne dato
per morto con un certificato
firmato da Hopp, ma continuò a vivere nascosto in una
piccola località nei pressi di
Buenos Aires fino al 2005,
quando fu arrestato e condannato per vari reati: omicidio, violazione della legge sugli armamenti, tortura e abuso sessuale contro minori.
Morì nel 2010, all’età di 88
anni. “La giustizia tedesca è
stata assente - dice amareggiato Winfried - e ha trattato
la questione come se fosse un
problema soltanto cileno”.
Lo scorso aprile, su pressione dall’associazione per i diritti umani Londres 38 - che
aveva promosso la campagna
“Niente più archivi segreti” il giudice Jorge Zepeda, incaricato delle indagini sui crimini commessi a Colonia Dignidad, ha desecretato parte
delle 39mila schede relative
ai desaparecidos sequestrate
durante le perquisizioni del
2005, consegnandole all’Istituto per i Diritti Umani
(INDH) e al Consiglio per la
Difesa dello Stato. Finora sono state rese pubbliche 47
schede contenenti informazioni d’intelligence sulle persone che sono state detenute
all’interno della Colonia e su
altri dissidenti incarcerati in
diversi centri di detenzione
sparsi per il Cile.
Colonia Dignidad adesso si
chiama Villa Baviera e riceve
centinaia di turisti ogni anno, ma non riesce a scrollarsi
di dosso l’ombra di Paul
Schäfer. “Molti dei coloni vittime di abusi sono andati a vivere in Germania. In Cile siamo rimaste circa 30 persone
e cerchiamo di ricostruire la
nostra vita” conclude Winfried Hempel.
1970 Il socialista Salvador Allende
è eletto Presidente.
1973 Il Generale Augusto
Pinochet spodesta Allende con
un colpo di stato sostenuto dalla
CIA e instaura una dittatura.
1974 Il governo attua misure
severe contro gli avversari politici
(indagini posteriori indicheranno
che tra le 1.200 e le 3.200 persone
furono uccise, circa 80.000
internate).
1980 Grazie a un plebiscito,
il regime di Pinochet approva una
nuova Costituzione in suo favore.
1988 Pinochet perde il
referendum per la sua permanenza
al potere. Il Cile va a nuove
elezioni democratiche.
1989-1990 Patricio Aylwin vince
le presidenziali. Pinochet si dimette,
ma resta a capo dell’esercito.
1994-1995 Eduardo Frei succede
ad Aylwin come presidente e
ridimensiona l’influenza dei militari
sul governo.
1998 Pinochet si ritira dall’esercito
e viene nominato senatore a vita,
ma è arrestato nel Regno Unito su
richiesta della Spagna con l’accusa
di omicidio.
2000 Il generale torna in Cile,
dove i giudici gli tolgono l’immunità,
ma i tentativi di portarlo a processo
per presunti reati contro i diritti
umani falliscono per problemi di
salute.
2006 Pinochet muore con circa
300 denunce penali in corso contro
di lui.
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SICUREzzA
Adesso i gringos
siamo noi
Sempre più aziende italiane attraversano
l’Atlantico per fare impresa. Puntare sui
mercati in crescita dell’America Latina
conviene, ma solo se si conoscono bene
i contesti in cui si va a investire.
L’intervista al general manager di IBS Italia
Alessio gambino
bRASILE | di Manuel Godano
I
n un’economia sempre più globalizzata pensare di
fare affari all’estero per gli imprenditori italiani non
è solo un’aspirazione legittima ma un traguardo concreto da poter raggiungere. A prescindere dall’area
geografica su cui si intende puntare, l’importante è
pianificare nei minimi dettagli i propri investimenti e lavorare per tempo sulla prevenzione dei possibili rischi, come
spiega Alessio Gambino, general manager di IBS Italia.
Tra le nuove frontiere dei mercati internazionali sta
emergendo sempre di più l’America Latina. Quali sono
le opportunità offerte da questa regione?
Quello dell’America Latina è un mercato vastissimo con
quasi 600 milioni di consumatori, per molti versi vicino al
nostro per cultura, lingue e tradizioni, come dimostra d’altronde l’altissima presenza di abitanti di origine italiana.
L’intera area attraversa una fase di sviluppo da oltre un decennio: nel 2013 il tasso di crescita del PIL si è attestato attorno al 3,9%, mentre nel 2014 si stima un aumento del
4%. Tra molti Paesi dell’area, e tra questi e l’Unione Europea, sono in vigore accordi e partenariati volti a ridurre le
barriere tariffarie e non. Basti pensare per esempio al
MERCOSUR, ossia il più grande mercato comune dell’America Latina di cui fanno parte il Brasile, l’Argentina,
l’Uruguay e il Venezuela. Oppure all’Accordo di Associazione tra l’Unione Europea e i Paesi dell’America Centrale
(Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua
e Panama).
Perché IBS ha deciso di puntare su quest’area?
Nel gennaio del 2013 abbiamo creduto che i processi
d’internazionalizzazione dei nostri clienti dovessero essere
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IBS ITALIA
È una società
di consulenza
specializzata
nell’offerta
di servizi
all’internazionalizzazione
d’impresa:
studi di mercato,
tax planning,
ricerca partner,
assistenza
operativa in loco,
organizzazione
eventi, redazione
pratiche per
finanziamenti
agevolati.
seguiti da vicino, motivo per cui abbiamo deciso di aprire un ufficio a Rio de
Janeiro e uno di rappresentanza a San
Paolo. Per il futuro ci interessa moltissimo la Colombia, un Paese che ha saputo rinnovarsi con successo negli ultimi anni. Ma non tralasciamo Cile e Perù, con un occhio sempre rivolto a ciò
che accade in Venezuela e Argentina.
Quali sono gli ostacoli che possono creare difficoltà agli investitori
italiani?
Le difficoltà per gli imprenditori italiani sono diverse e non tutti riescono a “tropicalizzarsi” in tempi brevi e con successo.
La corruzione, la criminalità, l’istruzione e il caro vita di molte città (come
San Paolo ad esempio) complicano non
poco la vita a coloro che decidono di vivere oltre che lavorare in quest’area. Il
nostro obiettivo è accompagnarli nelle
fasi di approccio ai mercati sudamericani e in particolare a quello brasiliano,
aiutandoli operativamente dal punto
di vista amministrativo, finanziario,
SICUREzzA
Dobbiamo
colmare il
contrattuale, commerciale, contabile e
fiscale.
RITARdo
CULTURALE
EXPORTIAMO.IT
È una piattaforma
web che consente
di fare impresa nel
mondo. Un canale
attraverso cui
si favorisce
la diffusione
di informazioni,
news, eventi, fiere,
reportage e
approfondimenti su
uno dei temi caldi
dell’attualità come
internazionalizzare
le imprese.
Attraverso il portale
è possibile
interagire con
un team di esperti
a cui chiedere
informazioni e
consigli utili per fare
affari nel mondo.
In generale, il mondo negli ultimi anni è
nel più breve
diventato “Asiacentrico”. Purtroppo, però,
tempo
molti Paesi dell’ASEAN
Quali sono gli “erropossibile
(Associazione delle Nari” in cui s’inciampa più
zioni del Sud Est Asiatico,
di frequente?
Molto spesso si sbagliano le strandr), tra cui Thailandia, Indonesia,
tegie d’ingresso, a volte si cercano ri- Malesia, Filippine e Singapore, sono
sultati in tempi rapidi o non si hanno proprio quelli in cui le nostre imprese
le spalle sufficientemente larghe per sono peggio posizionate. Un ritardo
supportare il carico finanziario e orga- culturale, oltre che di posizionamento
nizzativo che un processo di interna- logistico, che dovrà necessariamente
zionalizzazione comporta. A volte è essere colmato in tempi brevi. I settori
un mix di tutto ciò a determinare il su cui puntare sono quelli delle infrafallimento di un’operazione. Ma strutture, dei servizi avanzati ad alto
l’aspetto che non bisogna tralasciare è valore, delle produzioni di massa e
soprattutto quello culturale: siamo noi dell’export del Made in Italy. Non dii “gringos” che devono adattarsi al mentichiamo però anche i Paesi del
contesto locale, non possiamo pensa- Golfo e il Qatar, in cui noi siamo prere di imporre cambiamenti e modi di senti. Come anche Singapore, dove
lavorare da neo-colonialisti.
abbiamo avviato un progetto di rete
d’impresa per aprire dei nuovi uffici.
Quali sono le altre frontiere dei E poi c’è l’Africa: Angola e Ghana in
mercati internazionali più interes- questo momento sono sicuramente i
Paesi più interessanti.
santi in questo momento?
I mAggIoRI
RICERCATI AL moNdo
Isnilon Totoni
hapilon
5,000,000 $
NAzIoNALITà
Filippina (Latawan, 1966)
gRUppo dI
AppARTENENzA
Abu Sayyaf
CApo dI
ImpUTAzIoNE
Atti terroristici contro cittadini
americani e stranieri in territorio
filippino.
NoTE
Conosciuto come “Il Vicario”,
è stato vice comandante
dell’organizzazione
fondamentalista islamica Abu
Sayyaf. Inserito nel febbraio
del 2006 nella lista dei terroristi
più ricercati dall’FBI, è
accusato di aver partecipato
nel 2000 al rapimento di venti
stranieri nelle Filippine e di
aver decapitato un cittadino
americano. Sfuggito a un raid
dell’esercito filippino nel 2013,
recentemente sarebbe stato
colpito da un ictus, il che avrebbe
limitato la sua attività all’interno
del gruppo terroristico.
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Il
punto
di
vista
I silenzi colpevoli
UCRAINA | di L. Tirinnanzi
N
on si specula sui morti
di una guerra civile,
perché in ogni conflitto
gli orrori e le barbarie
avvengono sempre da
entrambe le parti. Ma, disquisendo
sulla crisi in Ucraina, non si può non
osservare come la diplomazia occidentale si mostri strabica e taccia, sotto una pressione mediatica unidirezionale e superficiale (“russi cattivi,
ucraini buoni”), su alcuni fatti gravissimi che, inseriti in altri contesti,
avrebbero suscitato indignazione generale e biasimo planetario.
Stiamo parlando del cosiddetto “rogo” alla Casa dei Sindacati di Odessa
del 2 maggio 2014, dove quasi una
cinquantina di sostenitori filorussi
barricati nell’edificio hanno perso la
vita. La stampa occidentale ha derubricato la questione alla voce “incidente” e poche timide voci fuori dal
coro non sono servite ad aprire gli occhi su una realtà che appare ben diversa. Quella cioè che racconta come
invece estremisti e neonazisti abbiano
PER SAPERNE DI PIÙ
WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/UCRAINA
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fatto irruzione nell’edificio e dato sfogo a tutta la ferocia e barbarie di cui è
capace l’uomo. Delitti così efferati e
odiosi che non si possono tacere: donne stuprate e arse vive, una giovane incinta strangolata con il filo del telefono, uomini giustiziati con un colpo alla testa ai quali poi è stato bruciato il
volto perché non venissero riconosciuti, incendi posticci per dissimulare
il massacro.
Che senso ha tacere queste notizie?
Perché ci indigniamo per i crimini di
guerra siriani, maliani, nigeriani, centrafricani, sud sudanesi, somali, yemeniti, iracheni e non vogliamo parlare
anche di quanto sta accadendo in Europa, in quell’Ucraina che molti di noi
ben conoscono e che poteva essere parte dell’Europa Unita? Che forse raccontare un episodio simile cambierebbe la nostra opinione
sulla popolazione ucraina?
Ammettere la violazione
dei diritti umani in una situazione di guerra ferirebbe la nostra coscienza collettiva? O qualcuno teme che ci farebbe diventare automaticamente troppo amici della Russia?
Il Libro Bianco
Dopo la Siria il nuovo scenario della
guerra mediatica tra Mosca e
Washington è l’Ucraina. Il 5 maggio il
ministro degli Esteri russo Sergej
Lavrov ha presentato il “Libro
Bianco” sulla crisi ucraina.
All’interno del rapporto, realizzato da
un’équipe di osservatori e giornalisti
ucraini e russi e da alcune
organizzazioni no profit, sono
contenute prove e testimonianze
delle violazioni dei diritti umani,
degli abusi e delle torture commesse
dai rivoltosi di piazza Maidan dal
novembre 2013 al marzo 2014.
Tra i reati elencati,
comportamenti xenofobi
e nazisti, uso di armi
e di tecniche paramilitari e di
guerriglia, istigazione all’odio
razziale e all’intolleranza
religiosa, restrizioni alle
libertà individuali e censure
mediatiche. Nel mirino
ovviamente anche gli USA,
colpevoli di aver interferito
nelle vicende del Paese contribuendo
allo scoppio del conflitto.
ALL NEWS
SICUREzzA
VENEzUELA
Ucciso l’ex capo dell’intelligence
di Caracas
Il 27 aprile è stato
trovato morto vicino
a Caracas Eliécer
Otaiza, ex direttore
dell’intelligence
venezuelana. Uomo
chiave del chavismo,
ha coniato il termine
“Repubblica
Bolivariana
del Venezuela”.
LIbANo
Riad finanzia
il riarmo libanese
L’
Arabia Saudita finanzia il riarmo del Libano
aprendo una linea di credito da 3 miliardi
di dollari. A beneficiarne saranno soprattutto alcune società francesi. Nella lista degli acquisti stilata dal governo di Beirut vi sono infatti
elicotteri Gazelle, Dauphin e Panthere, fregate
Adroit, veicoli blindati e corazzati leggeri e un sofisticato sistema per le intercettazioni.
STATI UNITI
gUINEA bISSAU
Gli USA vendono droni
in Medio Oriente
Smantellato traffico di cocaina
tra Africa e Sud America
P
rove di disgelo tra Riad e Washington
dopo il licenziamento dal ruolo di
capo dell’intelligence saudita di
Bandar bin Sultan, poco gradito al presidente americano Barack Obama. La società californiana Aerovironment, socia del gigante Lockheed Martin e produttrice del drone Switchblade, è in trattativa per
avviare una joint venture con la compagnia Maidan,
guidata da Khaled Al Ruwais, uomo d’affari vicino
al ministero della Difesa saudita.
L
a DEA, l’agenzia federale antidroga statunitense, ha smantellato un maxi traffico di cocaina tra la Guinea Bissau e
la Colombia. Nel giro d’affari, coinvolti il
capo di stato maggiore dell’esercito Antonio Indjai e l’ex capo della marina Bubo Na
Tchuto, in prima linea nel golpe militare dell’aprile 2012, oltre ad alcuni membri delle FARC
(Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia).
NoRVEgIA
CoREA dEL NoRd
Videogame per
i militari norvegesi
Licenziato il numero due
di Pyongyang
L’
esercito norvegese ha inil leader nordcoreano Kim Jong-Un si sbarazza
ziato a testare sui propri soldi un altro alto funzionario del regime. Si tratta
dati l’Oculus Rift, visore a realtà
di Choe Ryong-hae, vice presidente della comvirtuale utilizzato per i videogame. L’utilizzo del
missione di difesa nazionale, considerato il numero
dispositivo consente ai militari di vedere all’esterdue del governo nordcoreano. Nonostante il deno dei carri armati senza doversi esporre al nemiclassamento a semplice segretario del Partito dei
co, con l’ausilio di quattro telecamere e un pc.
Lavoratori, Ryong-hae può tirare un sospiro di
i milioni di abitanti
sollievo: molto peggio era andata al potente
del Sud Sudan
Jang Song-thaek, zio del giovane leader, giustiziafuggiti dalla
to nel dicembre 2013 con l’accusa di complotto
guerra
contro lo Stato.
I
1,3
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91
Rages
Le principali
manifestazioni di rabbia
e dissenso in giro
per il mondo
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baghdad, Iraq Un uomo ferito dopo l’esplosione di tre
autobombe, durante un raduno politico sciita del gruppo militante Asaib Ahl Haq (Lega dei Giusti) a fine aprile.
Colombo, Sri Lanka Membri del partito di opposizione Fronte di Liberazione del Popolo indossano abiti tradizionali contadini, durante la protesta del Primo Maggio.
odessa, Ucraina L’incendio alla Casa dei Sindacati, dove sono morti almeno 40 filorussi. Una mattanza per mano dei
nazisti e delle frange più radicali ucraine.
homs, Siria Dopo l’evacuazione concordata dei ribelli
dalla città, restano i segni evidenti della furia e della rabbia con
cui si è combattuto (8 maggio).
bogotà, Colombia Scontri durante una protesta a sostegno di un vasto sciopero nazionale del settore agricolo
(28 aprile).
Atene, grecia Poliziotti allo stadio Olimpico di Atene
schierati di fronte ai tifosi del PAOK di Salonicco, prima della
finale di Coppa di Grecia contro il Panathinaikos.
oSSERVAToRIo
SoCIALE
moNIToRAggIo dEI pRINCIpALI
EVENTI E fENomENI RIbELLISTICI
Ed EVERSIVI NEL NoSTRo pAESE
Una pericolosa vitalità
A
ggressioni, scontri, minacce di morte, attentati dinamitardi. L’antagonismo italiano conferma mese dopo mese la
sua pericolosa vitalità, senza mai abbandonare il filone della lotta all’Alta
Velocità. Agli ormai consueti attacchi
alle sedi del PD, considerato sostenitore del progetto TAV, questa volta si sono affiancati gli assalti al cantiere di
Chiomonte e le intimidazioni al sindaco e all’assessore ai Trasporti di Susa,
ai quali sono state spedite buste con
proiettili accompagnate da espliciti
messaggi minatori.
Altre iniziative eversive hanno avuto
origine dalla manifestazione avvenuta
a Roma il 12 aprile contro le politiche
economiche e sociali del governo. Nel
corso della protesta nuclei di antagonisti si sono staccati dal corteo per tentare un assalto al Ministero del Lavoro, scontrandosi con la polizia. Da sottolineare la grande organizzazione dei
gruppi, che prima dell’assalto indossavano giacche a vento blu per meglio
riconoscersi in mezzo alla confusione
e - una volta colpito il loro obiettivo sono rientrati nel corteo abbandonando in strada le “divise”.
Anche la “lotta contro la repressione” ha fatto i suoi proseliti, a Torino e
a Genova. Nel capoluogo piemontese
un gruppo di incappucciati ha pestato
a sangue l’autista del sostituito procuratore Antonio Rinaudo, protagonista
della lotta all’eversione. Mentre si allontanavano, gli aggressori hanno urlato all’autista ferito: “Questa è la fine
che fanno i servi dei servi”. L’aggressione non è stata rivendicata pubblicamente, ma gli inquirenti sono certi
che sia riconducibile alle frange più
violente del movimento anti-TAV. A
Genova, invece, è stato dato alle fiamme lo scooter di un agente della DIGOS, Giovanni Pantanella. Nel messaggio di rivendicazione apparso in seguito sul web si legge: “Solidarietà a
tutti coloro indagati, denunciati, identificati, arrestati da questo infame
durante la sua miserabile
esistenza”. Pochi giorni
dopo, ancora nel capoluogo ligure, un ordigno
esplosivo attivato a distanza è stato fatto deflagrare
nei pressi di un commissariato di polizia.
Roma, scontri durante
la manifestazione
del 12 aprile 2014
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TImELINE
dEgLI EVENTI
11 aprile Torino
Aggredito Giuseppe Caggiano,
carabiniere e autista del
sostituto procuratore Antonio
Rinaudo.
12 aprile Roma
Tentato assalto al Ministero
del Lavoro durante
una manifestazione indetta
dai Movimenti Sociali contro
la Precarietà e l’Austerity.
16 aprile Roma
Bombe carta al carcere di
Regina Coeli contro gli arresti
seguiti agli scontri del 12 aprile
nella capitale.
17 aprile
bussoleno (To)
Buste con pallottole dirette
al sindaco e all’assessore
ai Trasporti di Susa, entrambi
favorevoli al progetto TAV.
25 aprile genova
Incendiato lo scooter di
un agente della DIGOS.
Azione rivendicata sui siti
dell’antagonismo radicale.
28 aprile genova
Esploso un potente ordigno
nascosto in un cassonetto
nei pressi del commissariato
di polizia di Principe.
3 maggio
Chiomonte (To)
Lanciati razzi e petardi contro
il cantiere TAV utilizzando
mortai artigianali.
3 maggio Cuneo
Assaltata sede PD: vetrine
rotte e scritte anarchiche.
4 maggio Torino
Imbrattata sede PD
con slogan anti-TAV.
ApR-mAg
2014
Aggiornato al 9 maggio 2014
BUSSOLENO
TORINO
CHIOMONTE
CHIOMO
OMONTE
CUNEO
GENOVA
ROMA
ATTENTATI
LETTERE o pACChI bombA
INCIdENTI dI pIAzzA
RApINE o AggRESSIoNI
RISChI o mINACCE
ARRESTI
poLITICAmENTE SCoRRETTo
SToRIE dI UN moNdo AL RoVESCIo
Once was
diplomacy
di Tersite
D
ice Ray McGovern - ex
funzionario CIA con Intelligence Commendation Medal, alto riconoscimento per gli impiegati dell’Agenzia - che l’ambasciatore
americano a Kiev, Geoffrey Pyatt, è “uno
di quegli alti funzionari del Dipartimento di
Stato che vede se stesso come una sorta di operatore CIA, perché ora la CIA non combina più
molto, così lo deve fare il Dipartimento”.
Anche un altro ex agente, Ralph
McGehee - in rotta con la
CIA sin dai tempi delle
attività di terrorismo e
tortura anti-vietcong
del Phoenix Program
(programma di eliminazione mirata
dei quadri vietcong nelle campagne vietnamite) - sostiene che
l’Agenzia non fa
più “intelligence”.
Ma, secondo McGhee,
il motivo sta nel fatto
che la CIA agisce da braccio armato nelle operazioni
clandestine dei Consiglieri di politica estera della presidenza. Le due affermazioni potrebbero sembrare in
contrasto, eppure così non è.
La CIA, in effetti, ha ridotto drasticamente l’attività d’intelligence, finalizzata soprattutto alle uccisioni extragiudiziali con i droni. Dopo il periodo
buio per le indagini congressuali sulle
attività omicide e clandestine, l’Agenzia tornò di nuovo verso il suo campo
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PER SAPERNE DI PIÙ
DIETRO LO SPECCHIO - WWW.LOOKOUTNEWS.IT
preferito (e fondativo, con l’OSS) delle attività paramilitari
nel 1980, con l’Intelligence Reform Act patrocinato dal presidente Reagan, da cui poi derivarono: Afghanistan, Angola, Nicaragua. Dall’attacco alle Torri Gemelle, la CIA ha avuto mano
libera nell’antiterrorismo e ha abdicato invece all’intelligence
globale, in parte “appaltata” all’alta tecnologia dell’NSA.
In funzione degli obiettivi di politica estera, è il Dipartimento di Stato a coordinare le varie Agenzie, dotato peraltro di un efficientissimo ufficio, il Bureau of Intelligence and
Research. È quindi vero che oggi è il Dipartimento di Stato
a guidare il lavoro di spionaggio, così com’è vero che la politica estera USA non è fatta tanto dal Segretario di Stato che è piuttosto un frontman politico - ma dal team dei potentissimi consiglieri del presidente alla Casa Bianca.
Verificata l’insostenibilità finanziaria, la scarsa resa e la limitatezza di campo d’azione degli interventi militari su vasta
scala, l’attuale Amministrazione democratica ha inteso applicare la dottrina USA dell’intervento indiretto, quel “leading from behind” sfuggito a un Consigliere del governo nel
commentare il ruolo USA nella destabilizzazione della Libia.
Una dottrina estesa sia ai Paesi non allineati/ostili sia ad aree
d’influenza dei competitor globali: Europa, Russia, Cina.
La destabilizzazione rientra nelle attività di PSYOP - ovvero le “operazioni di guerra psicologica” che vanno dalla
propaganda alle insurrezioni, alle azioni false flag - dove diviene evidente la preminenza del Dipartimento di Stato
(cioè i consiglieri presidenziali) nella catena di comando
circa l’indirizzo e il coordinamento sia militari sia delle
agenzie governative, CIA compresa. E, in effetti, gli scoperchiamenti di attività clandestine illecite, dal Watergate a
Iran-Contras, rimandano sempre alla Casa Bianca.
In conclusione, hanno ragione sia McGovern sia McGehee. E si capisce quindi il perché della descrizione dell’ambasciatore Geoffrey Pyatt come una sorta di “operatore
CIA”. Non per suo vezzo, ma per sua funzione. Tocca, infatti, all’ambasciatore in qualità di braccio esecutivo locale, la
responsabilità operativa dall’intelligence alle attività paramilitari. Cioè il coordinamento di tutte le attività PSYOP,
nel quadro degli obiettivi di politica estera.
Questo comporta un radicale spostamento di funzioni nei
Paesi che per gli USA rappresentano la “frontiera”: se classicamente l’ambasciatore svolgeva un ruolo diplomatico e copriva
le attività spionistiche che facevano capo alla CIA, ora è l’ambasciatore stesso a essere il “capo delle spie”, in una catena di comando che rimanda direttamente allo staff della Casa Bianca.
Dunque, in questi Paesi non sono necessari ambasciatori
di provate capacità diplomatiche, ma funzionari di provate
capacità esecutive nel variegato, e assai poco diplomatico,
ambito di attività PSYOP.
UN LIbRo AL mESE
ELEzIoNI ImmINENTI
DANIMARCA
Killing Machine
di Mark Mazzetti
Feltrinelli
2014
pp. 352
19,00 euro
D
a quando, il giorno dopo l’attacco
all’America dell’11 settembre 2001,
George W. Bush richiamò in servizio la CIA dandole carta bianca nella lotta
ad Al Qaeda e al terrorismo internazionale,
le cose per la sicurezza e per la politica estera americana non sono state più le stesse. E
chi credeva che con il passaggio del testimone a Barack Obama ci sarebbero stati
meno morti e più obiettivi colpiti si è sbagliato. A raccontare questa e altre pagine
grigie della storia recente degli Stati Uniti è
il reporter del New York Times Mark Mazzetti, premio Pulitzer per i suoi reportage dal
Pakistan e dall’Afghanistan, autore del libro Killing Machine. Come gli Usa combattono
le loro guerre segrete.
L’America che descrive, servendosi soprattutto di fonti riservate prima che scoppiasse il Datagate, è uno Stato che “in nome
della giustizia e della pace tra i popoli continua a seminare guerre e rivolte”. Lo fa con i
droni, telecomandati dal quartier generale
di Langley per compiere omicidi tra talebani e civili in Pakistan, Afghanistan e Yemen;
e lo fa con i contractor e gli agenti infiltrati,
inviati a fomentare sommosse e rovesciare
governi dove ce n’è bisogno (la Libia di
Gheddafi e l’Ucraina di Yanukovich ne sanno qualcosa). Sullo sfondo campeggia onnipresente l’ombra della CIA, “promossa” ormai a pieni voti da servizio di intelligence a
braccio operativo con licenza di uccidere.
UCRAINA
BELGIO
COLOMBIA
EGITTO
MAURITANIA
25
Colombia
25
Ucraina
25
Belgio
26
Egitto
25
Danimarca
21
Mauritania
mAg Presidenziali
mAg Parlamento
mAg Referendum
mAg Presidenziali
mAg Presidenziali
gIU
Presidenziali
RISULTATI dALLE URNE
47,6%
Macedonia
846.823
astenuti
Presidenziali - 27 aprile 2014
Affluenza
alle urne
52,4%
932.749
1.779.572
votanti
Gjorgje IVANOV 55,27%
Robert FICO 41,14%
voti validi
Guinea Bissau
Presidenziali
13 aprile 2014
800.000
votanti
@Roccobellantone
José Mario VAZ 40,98%
Nuno Gomes NABIAM 25,14%
23%
184.346
astenuti
Affluenza
alle urne
77%
615.654
voti validi
LOOKOUT 5 - maggio 2014
97
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anno I - numero 5 - maggio 2014
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