Briciole di Missione - Parrocchia e Oratorio Macherio

Informatore Missionario - Macherio
n. 51 - 14 Settembre 2014
PERIFERIE, CUORE DELLA MISSIONE
La parola “periferie” ricorre frequentemente
nel magistero di papa Francesco, che si
è presentato come ”venuto dalla fine del
mondo” e che ci spinge continuamente a
“uscire”, a creare nelle comunità le condizioni
per favorire l’”inclusione”.
Lui stesso non poteva che richiamare tutta la
Chiesa a raggiungere le “periferie esistenziali”:
dimenticati, esclusi, stranieri, umanità
insomma ai “margini” della nostra vita (ma
possiamo
considerarci “noi” centro?).
Nel tema della prossima giornata missionaria
mondiale è contenuta una duplice
“provocazione” per le nostre Chiese locali:
accogliere l’invito a uscire dal nostro modo di
pensare e vivere, per essere Chiesa attratta dai
“lontani della terra”, per riscoprire il “cuore”
della missionarietà, che è la gioia sperimentata
dal missionario mentre evangelizza, sapendo
che annunciando Gesù, tutti sono arricchiti e
resi testimoni della gioia del Vangelo (= lieta notizia).
Soffermiamoci sul termine “periferia” per assimilare quale stile viene richiamato con questo
tema: la periferia è il cuore della missione della Chiesa, è il cuore di ciò che vibra, ciò che
raccoglie i desideri e le scelte dell’uomo, infatti chi pone il suo cuore nelle periferie è uno che
esce continuamente dalle sue sicurezze e s’incammina verso l’altro che vive lontano da sé…
Dio ci spinge a uscire da noi stessi per incontrare, nel volto dei fratelli, il suo stesso volto:
“Ciò che avete fatto a uno di questi piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Dio s’identifica
coi miei fratelli… il cuore paterno di Dio vuole abitare tra gli ultimi…
Andare / Uscire verso gli ultimi (poveri e peccatori) per i cristiani non vuol dire solo andare
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verso i fratelli e le sorelle, ma scoprire che Dio è già qui, Lui accanto all’umanità. Se le
“periferie” sono il “luogo” dove si converte la Chiesa, andare verso le periferie (e abitarvi
da poveri in mezzo ai poveri) significa far risuonare l’annuncio del Regno che libera
dall’attaccamento disordinato nei confronti delle ricchezze…
Nella settimana di formazione di Assisi, a fine agosto 2013, meditando il passo di Atti 3,4, è
stato fatto notare che la guarigione dello storpio presso la porta del Tempio, è una immagine
chiara del dinamismo che qui vogliamo illustrare: Gesù ordina all’uomo storpio: “Alzati,
mettiti nel mezzo” (la periferia diventa il centro della scena, mentre Gesù si colloca in secondo
piano); Gesù vuole che tutti guardino con benevolenza e con misericordia quell’uomo,
perché in modo fraterno si comprenda che la malattia lo ha “spinto fuori”, lo ha costretto a
vivere ai margini… Potrebbe sembrare in controtendenza questo tema rispetto al titolo del
prossimo Convegno Missionario Nazionale di Sacrofano: “Alzati e va’ a Ninive, la grande
città”.
In realtà il suggerimento è quello di vedere nella “grande città” e nella vita della “gente
di Ninive” le periferie, o comunque un luogo di molteplici povertà materiali e spirituali,
dove moltissimi uomini e donne “non sanno distinguere la destra dalla sinistra”. Al numero
127 dell’Evangelii Gaudium, papa Francesco scrive, parlando della predicazione (e Giona
si è dimostrato profeta efficace verso quelli di Ninive): “C’è una forma di predicazione che
compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone
con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai vicini quanto agli sconosciuti. E’ la predicazione
informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un
missionario quando visita una casa…”
L’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” (traducibile sia in “la gioia del vangelo” ma
anche “la gioia di evangelizzare”) ci guiderà sicuramente neIl’itinerario di questi anni, ed
i sussidi che vengono proposti da Missio, contribuiranno a sviluppare ciò che la preghiera
preparata per la Giornata Missionaria Mondiale, contiene come enunciato: Il Signore ci aiuti
a uscire dalle nostre certezze per incontrare chi sembra “lontano”; lo Spirito ci richiami
a essere Luce del mondo alla periferia di ogni uomo, dove le tenebre impediscono
ai nostri fratelli di essere pienamente uomini; il Padre ci renda misericordiosi e,
commuovendoci per i fratelli più poveri, ci renda Dono per tutti.
DURANTE L’OTTOBRE MISSIONARIO
Il gruppo missionario vi offre
un mini sussidio di meditazione e preghiera
durante le cinque settimane del mese troverete
il “FOGLIETTO MISSIONARIO”
in fondo alla chiesa
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Briciole di Parola:
Allora Gesù disse ai suoi discepoli:
“Se qualcuno vuole venire dietro a me,
rinneghi se stesso,
prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vuole salvare la propria vita,
la perderà;
ma chi perderà la propria vita
per causa mia, la troverà”
Mt 16, 24-2
LA DIREZIONE DELLA VITA
Le parole di Gesù nel Vangelo accolto dai
cristiani (da tutte le comunità nei più diversi luoghi della terra, dalle nostre parrocchie
fino ai cristiani perseguitati, come quelli in
Iraq) ci incoraggiano a mettere da parte il
nostro egoismo e camminare dietro a Lui,
per vivere il nostro esodo. Pietro ha riconosciuto Gesù quale Messia ma non capisce, non accetta lo stile del Maestro. Che
fatica anche per noi accettare un Dio che
ci insegna a vivere con amore, offrendo noi
stessi. Che sensazione di debolezza credere
in Dio che piuttosto d’intervenire alla violenza degli uomini, muore lui stesso a causa
della violenza, cioè paga di persona! Gesù
pronuncia queste parole: “rinnega te stesso”,
“prendi la tua croce”, seguimi”! Questo è vivere “dietro Lui”, mettendo la sua Parola al
posto delle nostre parole! Vale la pena chiedersi se stiamo mettendo noi stessi al centro o stiamo imparando a favorire gli altri
affinché siano felici, entrino nel Regno...
Chi infatti vuole “salvarsi” con qualunque
stratagemma, cioè provare ad allontanare la
paura di morire rincorrendo l’approvazione
del mondo (cioè coloro che non conoscono il Vangelo), si perderà, sciuperà il tesoro della propria esistenza. In fondo, la lezione di Cristo svela il senso più autentico
del nostro essere umani: “Solo coloro che
hanno il coraggio di lasciar andare possono sperare di tornare a possedere” (Meister
Eckhart, mistico).
TESTIMONIANZA
Proponiamo un passaggio tratto da un’omelia
di Oscar Romero, vescovo martire di San
Salvador. Il suo esempio come vera offerta della
vita a Cristo.
Questa è la vera realtà assoluta del cristiano:
Dio e il suo Cristo. Cristo è la ricchezza
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assoluta dell’uomo. Per guadagnare Cristo si
deve perdere tutto. Lo stesso ci è stato detto
una di queste domeniche: “Colui che non
rinuncia persino alla sua famiglia, a se stesso,
per seguirmi, non è degno di me”.
Tutti coloro che danno un senso di idolatria
al denaro, lo stanno assolutizzando. Stanno
facendosi un dio, un vitello d’oro, e davanti
a lui si prostrano e fanno sacrifici. Non
importa se mandano ad uccidere persone
per mantenere questa situazione. L’unico
valore per il cristiano è Dio, è Cristo. L’unica
ricchezza per la quale vale la pena perdere
tutto è colui che pagò con la sua vita il prezzo
della mia redenzione. Che serve all’uomo
guadagnare tutto il mondo se alla fine perde
la sua vita? A che serve che abbia goduto
tutti i beni della terra, estorcendoli, come
ha detto il profeta Amos, se ora si lamenta
come il ricco epulone finito nell’inferno a
causa delle sue ricchezze mal amministrate?
Per questo, fratelli, la Chiesa è presente per
la salvezza di tutti, come ha detto san Paolo:
questa è la volontà di Dio, la salvezza di tutti
gli uomini.
tratto da Oscar Romero, Omelia del 18
settembre 1977, in A. Agnelli, Il Cristo di
Romero, EMI, Bologna 2010, p. 26
SPUNTI PER LA CONDIVISIONE
Proviamo – partendo dalla pagina
evangelica – a valutare quanto ci fa
problema “seguire Cristo” e impariamo
a chiedere aiuto a qualcuno nella nostra
famiglia e/o parrocchia.
Seguire Gesù significa avere uno sguardo
nuovo sulla vita: cosa significa per noi
celebrare l’Eucaristia e accogliere il
Vangelo, da quando ci hanno raggiunto
le notizie delle persecuzioni in atto?
«ESSERE PRETE NELLA CHIESA IN DIALOGO»:
una lettera inedita di Paolo Dall’Oglio
Domenica 31 agosto sono ricorsi 30
anni dalla consacrazione al sacerdozio
di Paolo Dall’Oglio, gesuita italiano,
collaboratore fisso di Popoli, rapito
in Siria il 29 luglio 2013. Per fare
memoria di questa ricorrenza, la
famiglia ha deciso di rendere pubblica attraverso il sito di Popoli - ampi stralci
di una lettera inedita che padre Paolo
scrisse in occasione della sua ordinazione
diaconale, avvenuta un anno prima.
Si tratta di un testo molto denso, in cui
già sono contenuti i fondamenti sui quali padre Paolo (allora ventinovenne) ha costruito la sua vita e
la sua missione in Siria, in particolare il percorso di consacrazione al dialogo.
Il 30 ottobre sarò ordinato diacono nella Chiesa del Gesù (a Roma, ndr), alle ore 16 in
punto, secondo il rito della Chiesa siriaca e spero poi di essere ordinato prete a Damasco l’estate
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prossima. Il diaconato è «l’ordine del servizio
ecclesiale»: si tratta del sacramento dell’ordine
in questa sua prima dimensione, «il servizio».
Noi sappiamo che ogni uomo ha una
vocazione, ma ci pare che una persona che
si occupa di stare in rapporto con Dio per
aiutare i fratelli a trovarlo e che continua a
spezzare per loro il Pane di Vita sulla scia di
Gesù e degli Apostoli, debba essere chiamato
in un modo molto chiaro.
Una certa volta, in un posto e ad un’ora
precisi, ho avuto la chiara coscienza che il
Signore mi voleva con lui a tempo pieno e con
tutto me stesso, per essere una persona a sua
disposizione da mandare secondo i bisogni del
Regno; il tutto accompagnato da molta gioia...
Conoscevo già abbastanza i Gesuiti per intuire
che in Compagnia avrei potuto realizzare
quella vocazione... Ma sono meravigliato
continuamente a causa di questa chiamata: la
mia esperienza è che Dio non butta via nulla
della persona, tutto deve essere e dovrà essere
purificato e assunto per fare l’argilla con cui ci
vuole plasmare. […]
In questi anni, con i miei «Superiori» abbiamo
portato avanti un discernimento riguardo
alla mia missione nell’ambito del lavoro
apostolico della Compagnia di Gesù.
Questa missione è, in tre parole, quella di
essere prete nella Chiesa in dialogo.
In dialogo: cioè in apertura a Dio e al
mondo, e qui penso che l’essere nato romano
sia una grazia speciale: infatti mi pare che a
Roma abbiamo una netta percezione, insieme
coi limiti, anche della missione universale della
Chiesa; e se non si cade nel «romacentrismo»,
si capisce che un servizio universale è possibile
solo come apertura alla pluralità ed accoglienza
della diversità.
Più in particolare il mio impegno è nella
Chiesa siriana antiochiana (che è parte del
puzzle della Chiesa in Siria). È un atto di
rispetto, di affetto e di riconoscenza per una
Chiesa rimasta fedele, nonostante un mare di
difficoltà, al Vangelo ricevuto dagli Apostoli, e
che ha dato alla Chiesa universale uno stuolo di
santi, martiri, dottori… È una Chiesa fiera del
suo patrimonio culturale e che, se ama pregare
in Siriaco, lingua parlata anche da Gesù e dagli
Ebrei del suo tempo in Palestina, non rifiuta
di esprimersi in Arabo, di pregare in Arabo, la
lingua dei figli d’Ismaele, dei Musulmani, con
i quali il signore l’ha messa a contatto da tanti
secoli perché, nella fedeltà e nella sofferenza,
si prepari il giorno del riconoscersi di tutti i
figli di Abramo nell’unica Via, la Misericordia
del Padre.
La Chiesa siriana è attualmente divisa tra
cattolici e ortodossi, ma si è fatta parecchia
strada verso l’unità, e ancora se ne farà se nella
Chiesa cattolica si affermerà sempre più uno
stile di profondo rispetto capace di amare e
valorizzare le diverse tradizioni e se in tutti
prevarrà il desiderio di dare al mondo un’unica
umile testimonianza.
Cercherò di contribuire al dialogo islamicocristiano con la chiara coscienza che non si
può efficacemente fare questo lavoro se resta
monopolio clericale e non diventa una via di
molti per vivere il battesimo. Questo impegno
è sia dei Vescovi che, con l’aiuto del loro clero,
garantiscono la continuità con Gesù, sia della
chiesa tutta costituita dai Cristiani nel mondo
i quali sono la continuità con Gesù.
Ma se il dialogo non lo viviamo dentro,
come lo predichiamo fuori? E se Chiese
potenti e maggioritarie restano il modello di
sviluppo, come pretenderemo che i cristiani
che si trovano privi di potere o minoritari
non sentano la tentazione di fare ghetto o di
emigrare, come avviene in Medio Oriente? In
quest’ottica l’Islam costituisce una prova, una
sfida, un appello indiretto alla crescita e alla
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conversione, per conoscere e imitare Gesù,
sia per i cristiani medio-orientali che per la
Chiesa tutta.
La Chiesa di oggi è chiamata, mi pare,
a vivere anche qui a Roma, proprio qui a
Roma, un processo di apertura alle grandi
realtà non cristiane che ci circondano e che
veicolano dei valori autentici o almeno delle
esigenze autentiche: se lo spirito lavora in noi,
ed il nostro processo di cristificazione, come
singolo e come Chiesa, è avanzato, allora, senza
paura, possiamo penetrare tutte le realtà, ed a
contatto con esse ci sarà insegnato cosa dire;
cioè la fede si veste di, si incarna in, si esprime
con la realtà incontrata, ed io stesso, insieme al
fratello incontrato, faccio un’esperienza nuova
della multiforme Sapienza di Dio. Questo
processo è quello dell’incarnazione e si applica
alla vita concreta di ciascuno: famiglia, lavoro,
cultura, ideologie...
Beninteso, non sono io che mi incarno, ma
è la verità che, attraverso il dialogo, avviene
tra noi. È spesso più un problema di metodo
che di etichetta. Con un mio carissimo amico
musulmano dicevamo: «Ci sono solo due
partiti: quello dell’estremismo fanatico (cioè
in cui io sono il metro per giudicare gli altri)
e quello di Dio (cioè il contrario del primo, e
quindi il cercare e trovare la bellezza del suo
volto in tutte le cose)»; mi pare che c’è qui
un buon criterio di giudizio e autocritica per
muoverci nel mondo e nella Chiesa oggi.
Il dialogo è anche il mio impegno
«politico» perché porta alla pace e alla
giustizia, ma allora è evidente che non deve
essere un dialogo di chiacchiere ma di segni
e di fatti concreti. La mia esperienza medio
orientale, ma bastano le nostre esperienze
italiane, mi insegna che tutti i livelli
dell’esistenza sono coinvolti nel conflitto dalla
religione fino all’economia ed il dialogo si deve
fare a tutti i livelli nella loro interdipendenza, e
c’è veramente lavoro per tutti!
Concludendo, è questo servizio (diaconia)
del dialogo per la pace con Dio e tra noi che
vorrei fosse il senso di questa mia ordinazione
diaconale; servizio sempre necessario, e
parte già di quell’azione sacerdotale che è la
celebrazione del mistero di Gesù nostra pace.
Col Salmo 122 vi chiedo: «Domandate pace
per Gerusalemme… per amore dei miei fratelli
ed amici, io dico: pace a te».
Con affetto, vi voglio un gran bene.
Paolo Dall’Oglio
«IL PADRE NOSTRO IN ARAMAICO
PER I CRISTIANI PERSEGUITATI»
L’idea lanciata dal cardinale arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, in visita in
Iraq: preghiamo per il ritorno dei cristiani alle loro case utilizzando le loro parole
In pochi giorni abbiamo imparato a conoscere la la lettera nun dell’alfabeto arabo che impressa sui muri delle case dei cristiani di Mousl per indicare i «nazareni» - è diventato il
simbolo della persecuzione contro i cristiani in Iraq. In molti hanno scelto in questi giorni
questo simbolo per esprimere pubblicamente la propria vicinanza ai cristiani di Mosul: è
diventata una specie di logo.
Dall’Iraq in queste ultime ore è giunta però anche la proposta di un altro gesto che prova
a spingersi anccora un passo più avanti in questa vicinanza. A lanciarla è stato il cardinale
arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, che si è recato in visita proprio ai cristiani iracheni
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esuli nelle città del Kurdistan. Dopo aver ascoltato le loro sofferenze ha fatto un promessa:
«D’ora in poi reciterò ogni giorno il Padre nostro in aramaico-assiro, la vostra lingua,
fino a quando non sarete ritornati a Mosul», ha detto.
Ieri anche l’Oeuvre d’Orient - una storica ong francese che sostiene le comunità cristiane
d’Oriente - ha fatto proprio questo gesto. E ha proposto sul proprio profilo Facebook una
traslitterazione del Padre nostro del messale della liturgia caldea. Questo per permettere a
tutti quelli che lo desiderano di pregare con le stesse parole dei cristiani di Mosul, anche
senza essere in grado di leggere i testi assiri.
Rilanciamo anche noi questa stessa traslitterazione invitando chi lo desidera a unirsi a
questo gesto molto bello, che non si limita a sbandierare un logo ma prova a condividere
davvero anche una storia:
A’oun D’ouashmaya nethqaddash shmakh
téthé malkouthakh
nehoué seouyanakh a’iykanna d’ouashmaya ap b’ar’a.
Haoulan lahma d’sounqanan yaoumana
ouashwoklan houba’in ouahtaha’in
a’iykanna d’ap hnan shouaqa’in lhayaoua’in.
Ou la ta’lan lnessyona
ella passan men bisha
mettol dilakhi malkoutha
haïla outheshbota
l’alam almin
amen.
LO SCONCERTO DELL’UOMO EUROPEO
In un articolo per “Il Sole 24 Ore”, pubblicato domenica 24 agosto, il cardinale Scola
sottolinea che le drammatiche situazioni in Iraq, in Siria, ma anche in Ucraina,
in Afghanistan e in Libia, costituiscono per l’uomo europeo una radicale messa in
questione. Le notizie e soprattutto le immagini - come il raccapricciante video della
decapitazione di James Foley - hanno travolto la diga di paura mista ad indifferenza
dietro cui la stanca Europa si stava difendendo, lasciando emergere un drammatico
sconcerto. Scoperta dolorosa e destabilizzante, ma anche possibile punto di partenza
per un sano ritorno alla realtà senza però false divisioni tra realtà e pensiero
Ciò che sta succedendo sia pur con connotazioni assai diverse in Iraq, in Siria, ma
anche in Ucraina, in Afghanistan ed in Libia, costituisce per l’uomo europeo una ra-
dicale messa in questione. Le notizie e soprattutto le immagini - pensiamo all’osceno,
raccapricciante video della decapitazione di
James Foley - arrivate da quelle terre han-
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no travolto la diga di paura mista ad indifferenza dietro cui la nostra stanca Europa
si stava difendendo, lasciando emergere un
drammatico sconcerto. Scoperta dolorosa e
destabilizzante, non c’è dubbio, ma anche
possibile punto di partenza per un sano ritorno alla realtà, come ritiene Galli della
Loggia, senza però false divisioni tra realtà
e pensiero. La riflessione europea, infatti,
lo ha definitivamente chiarito: non esiste
pensiero che non sia pensiero della realtà e
non esiste realtà che non sia pensata. Detto
questo non siamo certo al riparo dal rischio
dell’astrazione, della separazione, che finisce
per sostituire la realtà con una nostra immagine di essa, cadendo nell’ideologia. Ma la
realtà è testarda: alla fine si impone sempre,
e se ignorata lo fa spesso in modo violento.
Come, allora, rendere fecondo questo sconcerto? Anzitutto non continuando a rimuovere questioni decisive con cui, invece, occorre fare i conti. L’uomo europeo non può
accomodarsi nella sua finitudine gaia, ignorando il fatto che il pianeta è ormai iperconnesso e illudendosi che l’Europa abbia
acquisito lo status di zona franca, non toccata dalle circostanze storiche, anche nella
loro dimensione maligna ed umbratile. È
una strada rischiosa, ma il rischio fa parte
della libertà, e mette in conto la possibilità
di dover pagare di persona.
Una prima decisiva questione. Se da una
parte fatichiamo a tenere insieme le diversità, dall’altra per vivere e per convivere
abbiamo bisogno di un criterio unificante.
Lo individua assai bene San Giovanni Paolo II nel suo magistrale e sempre attuale discorso del 2 giugno 1980 all’Unesco
sulla cultura: «Genus humanum arte et ratione vivit» (cfr. San Tommaso «In Aristotelis “Post. Analyt.”», 1). Il Papa afferma
che nell’interpretazione di san Tommaso la
cultura è una caratteristica della vita umana come tale: «La cultura è un modo specifico dell’“esistere” e dell’“essere” dell’uomo» e
determina «il carattere inter-umano e sociale
dell’esistenza umana. Nell’unità della cultura, come modo proprio dell’esistenza umana,
si radica nello stesso tempo la pluralità delle culture (…) In questa pluralità, l’uomo si
sviluppa senza perdere tuttavia il contatto essenziale con l’unità della cultura».
Se ben interpretato questo criterio non ha
nulla del politicamente corretto, non intende salvare capre e cavoli, non vuole e non
può strutturalmente nascondere la radicale diversità, come quella a cui ci costringe
il confronto con realtà come l’Isis e tutti i
fondamentalismi integralisti e, su un piano
completamente diverso, con realtà tragiche
come l’esplosione dell’ebola.
Qui si apre la seconda questione altrettanto
indifferibile e oggetto di una rimozione ancor più pericolosa. Per dirla in poche parole:
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quando le domande legate al rapporto cultura-culture si fanno radicali, il principio di
realtà fa inesorabilmente affiorare la dimensione, per sua natura, “religiosa” dell’umana esistenza. È impossibile sganciare la vita
personale e sociale dagli interrogativi ultimi.
Per altro essi si attestano quotidianamente
nel bisogno-desiderio di ogni uomo di essere definitivamente amato per poter definitivamente amare, così come nell’inevitabile interrogativo sul senso del lavoro o in
quello dell’importanza del riposo, ambito di
educazione permanente alla prospettiva della
morte e del suo superamento, per quanto
possibile sereno. Fattori questi senza i quali
i temi dei diritti e dei doveri, delle leggi, in
una parola di una giustizia sociale fondata
su libertà realizzate, diventano assai fumosi.
Ogni uomo è religioso perché ogni uomo
non può evadere, anche se formalmente li
rifiuta, questi interrogativi.
È vero che l’uomo europeo si è ormai lasciato alle spalle la teoria secolarista dell’avvento di un “mondo puramente mondano”
e accoglie o perlomeno sopporta ogni forma
di sacro, anche selvaggio. Tuttavia va sempre più diffondendosi la convinzione che le
religioni sono nello stesso tempo tutte diverse e tutte uguali. Nata da un equivoco
concetto di libertà religiosa, questa posizione tratta la religione come un genere di cui
le singole religioni sarebbero una specie. E
quando questa specie non resta subordinata
al genere, e cioè sostanzialmente non si lascia relegare in una sorta di riserva indiana,
allora essa diventerebbe violenta e pericolosa. Non a caso è sempre più diffusa la tesi
che le tre grandi religioni monoteistiche, in
tanto in quanto non rinunciano a porre in
termini assoluti il rapporto tra verità e libertà, sarebbero per loro natura generatrici
di violenza.
È questo un sintomo eclatante dello smarrimento del principio di realtà, proprio perché
non vede più che il rapporto diversità-unità,
culture-cultura è insuperabile. Le religioni
non sono specie, in fondo intercambiabili, di un unico genere, ma la modalità con
cui nella storia dell’umanità si concretizza il
rapporto con Dio. La loro “pretesa” di universalità passa attraverso la singolarità storica di tutte le loro espressioni. Se non si
capisce questo, il dialogo tra le religioni e
le diverse mondovisioni diventa impossibile. Soprattutto non si troverà mai l’antidoto
contro il veleno di interpretazioni e pratiche
violente ed integraliste delle stesse. Questo
vale anche per l’Islam. Ma per questa stessa ragione, lungo la storia non si è riusciti
ad impedire integralismi, fondamentalisti e
violenti, neppure in seno al cristianesimo.
È necessario riconoscere in concreto il proprio di ogni religione, non a partire da un
concetto astratto e universalistico (il genere “religione”), ma accogliendo il realizzarsi, cioè il porsi e lo svilupparsi, di ogni religione nella storia.
Allora, per stare all’Europa, il cristianesimo
non può essere considerato una specie del
genere religione. Esso realizza, nel qui ed
ora della storia, l’inaudita autocomunicazione di Dio che viene incontro alla finitudine e alla povertà dell’uomo. Gesù Cristo
nel dono d’amore che fa di Sé sulla croce
assicura a tutti la prospettiva della Risurrezione. L’insuperabile rapporto verità-libertà
secondo la fede cristiana è visibile contemplando il Crocifisso Glorioso, segnato dalle
piaghe della Sua passione. Del resto questa
è l’esperienza di ogni umano amore. Amando fino in fondo fedelmente, oblativamente,
la singola persona che a sua volta mi dona
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amore, imparo ad amare tutti: nel singolare l’universale.
Ritrovare l’energia per coniugare il molteplice e l’uno riscoprendo il rapporto culture/
cultura e universale/singolare sarà di grande
aiuto per affrontare la questione della pace
giusta, come ha scritto Pierangelo Sequeri.
Insieme a quella, ad essa strettamente lega-
ta, del decisivo intervento umanitario nelle
situazioni di grave conflitto. Compiti cui la
famiglia umana è naturalmente orientata per
il vincolo di solidarietà e di “compassione”
che inesorabilmente la lega.
di Angelo Card. Scola
Arcivescovo di Milano
BRICIOLE DI... PAPA FRANCESCO
Ogni volta che rinnoviamo la nostra professione di fede recitando il “Credo”, noi
affermiamo che la Chiesa è «una» e «santa». Èuna, perché ha la sua origine in Dio
Trinità, mistero di unità e di comunione piena. La Chiesa poi è santa, in quanto
è fondata su Gesù Cristo, animata dal suo Santo Spirito, ricolmata del suo amore
e della sua salvezza. Allo stesso tempo, però, è santa e composta di peccatori, tutti
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noi, peccatori, che facciamo esperienza ogni giorno delle nostre fragilità e delle nostre miserie. Allora, questa fede che professiamo ci spinge alla conversione, ad avere
il coraggio di vivere quotidianamente l’unità e la santità, e se noi non siamo uniti,
se non siamo santi, è perché non siamo fedeli a Gesù. Ma Lui, Gesù, non ci lascia
soli, non abbandona la sua Chiesa! Lui cammina con noi, Lui ci capisce. Capisce le
nostre debolezze, i nostri peccati, ci perdona, sempre che noi ci lasciamo perdonare.
Lui è sempre con noi, aiutandoci a diventare meno peccatori, più santi, più uniti.
«Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in
noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). La Chiesa ha cercato fin dall’inizio di realizzare questo proposito che sta tanto a cuore a Gesù. Gli
Atti degli Apostoli ci ricordano che i primi cristiani si distinguevano per il fatto
di avere «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32); l’apostolo Paolo, poi, esortava
le sue comunità a non dimenticare che sono «un solo corpo» (1 Cor 12,13). L’esperienza, però, ci dice chesono tanti i peccati contro l’unità. E non pensiamo solo
agli scismi, pensiamo a mancanze molto comuni nelle nostre comunità, a peccati “parrocchiali”, a quei peccati nelle parrocchie. A volte, infatti, le nostre parrocchie, chiamate ad essere luoghi di condivisione e di comunione, sono tristemente
segnate da invidie, gelosie, antipatie… E le chiacchiere sono alla portata di tutti.
Quanto si chiacchiera nelle parrocchie! Questo non è buono. Ad esempio quando
uno viene eletto presidente di quella associazione, si chiacchiera contro di lui. E
se quell’altra viene eletta presidente della catechesi, le altre chiacchierano contro di
lei. Ma, questa non è la Chiesa. Questo non si deve fare, non dobbiamo farlo! Bisogna chiedere al Signore la grazia di non farlo. Questo succede quando puntiamo
ai primi posti; quando mettiamo al centro noi stessi, con le nostre ambizioni personali e i nostri modi di vedere le cose, e giudichiamo gli altri; quando guardiamo
ai difetti dei fratelli, invece che alle loro doti; quando diamo più peso a quello che
ci divide, invece che a quello che ci accomuna…
Cari amici, facciamo risuonare nel nostro cuore queste parole di Gesù: «Beati gli
operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Chiediamo sinceramente perdono per tutte le volte in cui siamo stati occasione di divisione o di
incomprensione all’interno delle nostre comunità, ben sapendo che non si giunge
alla comunione se non attraverso una continua conversione. Che cos’è la conversione? È chiedere al Signore la grazia di non sparlare, di non criticare, di non chiacchierare, di volere bene a tutti. È una grazia che il Signore ci dà. Questo è convertire il cuore. E chiediamo che il tessuto quotidiano delle nostre relazioni possa
diventare un riflesso sempre più bello e gioioso del rapporto tra Gesù e il Padre.
Papa Francesco
Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Marthae
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LE NOSTRE SORELLE BERNARDETTA,
OLGA E LUCIA UCCISE A KAMENGE
LE
NOSTRE SORELLE
UCCISE NELLA LORO
BERNARDETTA, OLGA E LUCIA
CASA A KAMENGE, IN BURUNDI
“Io gioisco pienamente nel Signore”, dice il ritornello del salmo della liturgia di oggi,
natività di Maria. Sarebbe stato il compleanno di Lucia Pulici, il suo 75°, dopo che,
il 2 luglio scorso, aveva festeggiato i 50 anni della sua professione religiosa e missionaria.
Pensiamo che queste parole ci vengono dette oggi da lei, da Olga Raschietti, da Bernardetta Boggian, uccise tra il pomeriggio e la notte di ieri domenica 7 settembre
2014, nella loro casa a Kamenge, dove da alcuni anni erano presenti, dando con gioia la loro presenza e le loro ultime forze alla popolazione di questa periferia di Bujumbura, in Burundi. Ci invitano a non lasciare che il dolore abbia l’ultima parola.
Una scelta d’amore
Il 20 luglio 2013, a Kamenge, Olga, raccontando la sua missione, diceva:
« Sono ormai sulla soglia degli ottant’anni. Nel mio ultimo rientro in Italia, le superiore erano incerte se lasciarmi ripartire. Un giorno, durante l’adorazione, pregai: “Gesù, che la tua
volontà sia fatta; però tu sai che desidero ancora partire”. Mi vennero limpidissime in mente queste parole: “Olga, credi di essere tu a salvare l’Africa? L’Africa è mia. Nonostante tutto,
sono però contento che parti: va’ e dona la vita!”. Da allora, non ho più dubitato. »
Lucia Pulici, il 1° ottobre scorso, alla vigilia della sua partenza, raccontava:
“Sto tornando in Burundi, alla mia età e con un fisico debole e, limitato, che non mi perBriciole di Missione - 12 -
mette più di correre giorno e notte come prima. Interiormente però credo di poter dire che lo
slancio e il desiderio di essere fedele all’amore di Gesù per me concretizzandolo nella missione
è sempre vivo. La missione mi aiuta dirgli nella debolezza: “Gesù, guarda, è il gesto d’amore
per te”…. Unita a Lui, al suo donarsi, anche se mi sento debole fisicamente, sento che posso
essere ancora a servizio di Lui per la salvezza del mondo.”
A fine agosto 2013, Bernardetta, rientrando in Burundi, diceva:
“L’annuncio di Gesù e dell’amore misericordioso del Padre diventa comprensibile se accompagnato dalla testimonianza di vita. Occorre nutrire in noi uno sguardo di simpatia, rispetto,
apprezzamento dei valori delle culture, delle tradizioni dei popoli che incontriamo. Questo atteggiamento, oltre che dare serenità al missionario, aiuta a trovare più facilmente il linguaggio
e i gesti opportuni per comunicare il Vangelo…. Nonostante la situazione complessa e conflittuale dei Paesi dei Grandi Laghi, mi sembra di percepire la presenza di un Regno d’amore
che si va costruendo, che cresce come un granello di senape, di un Gesù presente donato per
tutti. A questo punto del mio cammino continuo il mio servizio ai fratelli africani, cercando
di vivere con amore, semplicità e gioia.“
Scritto da Teresina Caffi il 8 Settembre 2014
COMUNICARE IL VANGELO:
IL RESPIRO DI CARLO MARIA MARTINI
A due anni dalla morte di Carlo Maria Martini (31 agosto 2012), ne celebriamo il
ricordo con un contributo che mette in luce la sua abilità di comunicare il Vangelo, una
capacità conquistata attraverso anni di studi che hanno educato il cardinale a saper
leggere nella realtà complessa, interrogandola e interrogandosi, imparando a dare
ragione della propria fede e comunicandone la straordinaria bellezza, con uno stile
affascinante e chiaro, attuale e concreto.
La gioia del Vangelo
……Martini, fin dai primissimi interventi
a Milano, ha interpretato i testi evangelici
come “manuali” di educazione alla fede
cristiana.
Essi sono nell’ordine progressivo il Vangelo
di Marco (manuale del catecumeno), di
Matteo (manuale del catechista), di Luca
(manuale del testimone) e di Giovanni
(manuale del cristiano maturo). Il Vangelo
piu antico, Marco, e quello del catecumeno,
colui che contempla dal di fuori il mistero
di Cristo e vuole entrarvi dentro, giungere al
momento in cui quanto vede dall’esterno gli
venga svelato. Il pagano deve abbandonare
la propria religiosita superstiziosa e
possessiva per giungere all’esperienza di
Dio che Gesu rivela. Il passo successivo e
segnato da Matteo, il Vangelo del catechista.
Il battezzato non ha detto solo un si a Dio
e a Gesu ma si e inserito all’interno di una
comunita concreta. Matteo, attraverso i suoi
cinque discorsi, offre una catechesi ragionata
del regno di Dio e conduce a comprendere
come accoglierlo, come vivere l’etica
Briciole di Missione - 13 -
cristiana, la tensione missionaria, la carita e
il perdono. Luca e il passo successivo, quello
della testimonianza verso coloro che non
credono. Il Vangelo e poi il libro degli Atti
contengono indicazioni per la formazione
graduale e progressiva dell’evangelizzatore.
Infine Giovanni rappresenta la maturita
cristiana. E la situazione di colui che, dopo
aver percorso le tappe precedenti, si chiede
quale sia il centro delle esperienze fatte.
Il Vangelo contemplativo trova la sua sintesi
nella fede e nella carita. Questa “ipotesi di
lavoro” ha guidato la predicazione e l’azione
pastorale di Martini; egli proponeva
cinque parole fondamentali come guida
irrinunciabile per la vita della comunità
cristiana: il silenzio, la Parola di Dio,
l’Eucaristia, la missione e la carità.
Dopo quindici anni di servizio episcopale,
al termine del Sinodo diocesano 47°, il
cardinale sintetizzava il compito della
Chiesa per mezzo del verbo “evangelizzare”.
In queste vibranti parole si percepisce,
sinteticamente, il credente, l’esegeta, il
vescovo, il comunicatore: Che cosa e dunque
l’evangelizzazione? Essa designa un duplice
aspetto: negativo e positivo. In negativo,
evangelizzare e salvare dal male : tirare fuori
dal non senso, dalla frustrazione e dalla
noia, dalla disperazione, dal disgusto della
vita, dalla incapacita di amare, dalla paura
del dolore e della morte. E dare risposta
alle invocazioni piu profonde di ogni
coscienza umana. In positivo, evangelizzare
e comunicare il Vangelo , la buona notizia
su Gesu: la buona notizia che Dio ci ama
davvero, tutti e ciascuno, e che Gesu e morto
e risorto per la nostra salvezza, per liberarci
dal peccato e dal male; la buona notizia del
Regno che viene in Gesu e che si realizza
gradualmente
nella nostra adesione a Lui, nel diventare
con Lui un solo Corpo, nell’entrare nella
vita della Trinita. Evangelizzare non è
soltanto comunicare verbalmente la buona
notizia, ma comunicare vita, collaborare con
lo Spirito del risorto che attrae ogni uomo
per farlo una cosa sola in Gesu col Padre.
[…] L’evangelizzare suppone dunque che si
sia assimilata nel cuore la realta del Vangelo,
la sua ricchezza, la sua gioia, la pienezza di
orizzonti che esso apre, il senso della vita che
esso fa scoprire al di la di tutte le delusioni
e le sofferenze, al di la della morte (Martini
1995, 33-34).
Matteo Crimella
Pontificia Università Urbaniana (Roma)
Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale
(Milano)
Briciole di Missione - 14 -
Briciole di Missione - 15 -
Io ti auguro
di non stare mai in testa e neppure in coda
ma che tu possa stare sempre in mezzo
al popolo, come Gesù.
«Gesù, allora si sedette in mezzo ai dottori,
aprì la bocca e disse....».
Si sedette in mezzo;
Gesù che si siede in mezzo.
Anche per te: siediti in mezzo alla gente,
senti il sapore e il profumo del popolo,
inebriati di questo grande ideale
di annunciare Gesù Cristo.
È splendido: dà significato alla tua vita.
(Cfr TONINO BELLO).
Per suor Melania
AUGURI DI CUORE dal TUO Gruppo Missionario
Gruppi missionari
del Decanato di Lissone
S. Messa
di inizio anno
lunedì 15 settembre 2014
Ore 21,00
c/o ORATORIO di SOVICO
Briciole di Missione - 16 -
Briciole di Missione - 17 -
I gruppi missionari della
zona V di Monza
venerdì 10 OTTOBRE 2014
dalle 21,00 alle 24,00
c/o parrocchia S.Rocco di
Monza
Adorazione e testimonianze
PREGHIERA
MISSIONARIA
Prossimo banchetto - EQUO COMMERCIO
12 Ottobre 2014
piazzale della Chiesa dalle ore 7.30 alle 12.30
L’epidemia mortale in Africa
EBOLA, SISTEMA SANITARIO AL COLLASSO
Siamo ormai a 1552 morti accertati. Il virus potrebbe colpire oltre 20 mila persone e per
fermarlo servono 490 milioni di dollari nei prossimi sei mesi. Situazione aggravata dalla
precarietà in cui operano gli addetti sanitari senza risorse e mezzi adeguati.
L’Onu organizza gli aiuti ad Accra. Procedono i test sul vaccino.
di Angelo Ferrari - (Nigrizia)
Si allarga l’epidemia di Ebola in Africa occidentale, che in base a un bilancio aggiornato ha già causato 1552 morti. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha
parlato del virus come dell’emergenza sanitaria “più complessa degli ultimi anni” e
ha lanciato l’allarme: l’epidemia potrebbe colpire oltre 20mila persone.
I casi di contagio in Guinea (nelle foto di E. Dagnino da Macenta e da Guekedou),
Liberia, Sierra Leone e Nigeria sono 3069 e le autorità di Abuja hanno confermato
la prima morte per Ebola al di fuori di Lagos, dove fino ad ora si sono concentraBriciole di Missione - 18 -
ti i casi. Ad aggravare la situazione, in particolare in Liberia, il paese più colpito, è
lo sciopero degli infermieri del più grande ospedale di Monrovia e di tutto il paese.
Gli addetti sanitari chiedono migliori attrezzature contro il contagio e stipendi più
alti. “Abbiamo bisogno di equipaggiamenti adeguati e di essere pagati meglio perché
rischiamo la vita”, ha detto il portavoce degli scioperanti John Fitzgeral Kennedy di
Monrovia. Gli infermieri non torneranno al lavoro se prima non avranno ricevuto
“tute per la protezione individuale” concepite per bloccare la trasmissione del contagio. “Non le abbiamo avute e questo spiega perché tanti medici sono stati contagiati”, ha aggiunto il portavoce. Nella sola Liberia ci sono stati 1378 casi diagnosticati
della malattia, con 694 morti. Per fronte alla situazione l’Oms ha deciso di inviare
in Liberia una squadra di 14 medici e operatori sanitari ugandesi, con ampia esperienza nel gestire le epidemie di Ebola. “Per affrontare quest’epidemia – ha spiegato
il medico ugandese Atai Omoruto – abbiamo bisogno di avere una buona gestione dei pazienti, un’efficace aerea di isolamento e tracciare i contatti nelle comunità”. L’Oms, dal canto suo, ha messo a punto un piano per combattere la diffusione
del virus nei quattro paesi africani, con particolare attenzione alle zone più affollate,
come le capitali, e ai porti maggiori. Il costo stimato per contenere l’epidemia nei
prossimi sei mesi, secondo l’organizzazione sanitaria, è di 490 milioni di dollari, che
non include le spese per assicurare i servizi essenziali nei paesi colpiti.
Un progetto più ampio, guidato dall’Onu partirà entro la fine di settembre e si
concentrerà su sicurezza alimentare, approvvigionamento di acqua, igiene, istruzione
e sanità. Per questo l’Onu ha scelto il Ghana come centro logistico per portare
avanti la battaglia contro l’epidemia in Africa occidentale. L’annuncio è stato dato
dal presidente ghanese Dramani Mahama dopo un conversazione telefonica con
il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Accra sarà, quindi, l’hub di tutte le
forniture e gli aiuti alla regione sub sahariana. L’epidemia si sta diffondendo in un
“numero notevole di località”, ha spiegato l’Oms, che ha ribadito la necessità di una
risposta “potente e coordinata”. Senza, però, spiegare i ritardi e la sottovalutazione
della gravità dell’epidemia, fattori che hanno portato alla situazione attuale.
Intanto, sono stati accelerati i test su un vaccino contro Ebola e già questo mese il
siero potrebbe essere sperimentato su volontari. I risultati avuti nella sperimentazione
sui primati sono incoraggianti. La notizia è stata data dal gigante farmaceutico
GlaxoSmithKline (Gsk) che sta sviluppando il vaccino insieme all’Istituto nazionale
della salute statunitense.
“Preghiamo TUTTI per le vittime del virus ‘ebola’
e per quanti stanno lottando per fermarlo”
E’ l’invocazione di Papa Francesco
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Preghiera
Padre nostro
che stai in mezzo a milioni di uomini affamati,
che stai nella vita di tutti gli uomini
assetati di giustizia,
Sia santificato il tuo nome
nei poveri e negli umili.
Venga il tuo regno,
che è libertà, verità e fraternità nell’amore.
Si compia la tua volontà,
che è liberazione e Vangelo
da proclamare agli afflitti.
Dona a tutti il pane di ogni giorno:
il pane della casa, della salute,
dell’istruzione, della terra.
Perdonaci, o Signore,
di dimenticare i nostri fratelli
E liberaci da ogni male
e dalla costante tentazione
di servire al denaro invece che a Te.
Perché tuo è il regno,
tua la potenza e la gloria nei secoli. Amen.
Briciole di Missione - 20 -