dispensa 6

Geometria sul disco unitario
Siano ∆ = {z ∈ C : |z| < 1} e Aut(∆) il gruppo dei suoi automorfismi analitici;
con S 1 indicheremo il bordo di ∆ ossia {z ∈ C : |z| = 1}.
Lemma 1 (Lemma di Schwarz]
Sia φ : ∆ → ∆ una aplicazione olomorfa tale che φ(0) = 0. Una delle due
seguenti alternative `e valida:
- esiste ω ∈ S 1 per cui φ(z) = ω · z per ogni z ∈ ∆
- per z 6= 0 si ha |φ(z)| < |z| e |φ0 (0)| < 1
Questo lemma (che dovrebbe essere ben noto) `e un caso particolare di quello
che verr`
a ora discusso.
Sia D un divisore positivo a supporto finito su ∆, ossia D `e una combinazione
formale finita n1 a1 + ... + np ap ove n1 , ..., np sono interi naturali e a1 , ..., ap sono
punti di ∆. Consideriamo la funzione meromorfa su P1 definita da:
n1
np
z − ap
z − a1
· ... ·
φD (z) =
1−a
¯1 z
1−a
¯p z
Lemma 2
¯ ed applica ∆ ed S 1 in
1. La funzione φD `e olomorfa su un aperto contenente ∆
se stessi.
2. la restrizione di φD a ∆ `e una applicazione propria di ∆ in se ed `e un
rivestimento ramificato di grado n = n1 + ... + np .
3. Se ψ `e una applicazione olomorfa di ∆ in se che si annulla nei punti a1 , ..., ap
con almeno le molteplicit`
a n1 , .., np allora una delle seguenti due alternative `e
valida:
- esiste ω ∈ S 1 tale che ψ(z) = ω · φD per ogni z ∈ ∆
- per ogni z ∈ ∆ in cui φD non si annulla, si ha |ψ(z)| < |φD (z)|; inoltre
(q)
|ψ (q) (z)| < |φD (z)| se φD si annulla in z con molteplicit`
aq
Dim. 1. φD ha poli solo nei punti a
¯−1
che hanno modulo maggiore di 1. Per
i
i = 1, ..., p e |z| = 1 si ha:
z − i z − ai =
= 1 z − ai 1 − a
¯i z
z z¯ − a
¯i z
|z| z¯ − a
¯i z−ai
1
Ci`
o mostra che S 1 `e stabile per l’automorfismo σi (z) = 1−¯
ai z di P ; quindi
tale automorfismo applica l’interno di ∆ in se oppure nel suo esterno: vale la
prima alternativa perch´e il punto a, interno a ∆, viene mandato in 0. Quindi
per z ∈ ∆ si ha |σ(z)| < 1 e quindi anche il prodotto di tutti i σi (z) appartiene
a ∆.
¯ in
2. La restrizione di φD alla chiusura di ∆ `e una applicazione propria di ∆
−1
1
¯
se; ne segue che la restrizione di φD a ∆ − φD (S ) = ∆ `e propria. Essa ha
grado n perch´e assume n volte il valore zero (contando gli zeri con la dovuta
molteplicit`
a).
3. Nelle ipotesi fatte la funzione h = ψ/φD `e estendibile olomorficamente anche
nei punti in cui si annulla la φD ; in tali punti il valore assunto da tale estenzione
`e precisamente il rapporto tra i valori delle derivate dei due fattori, di ordine la
molteplicit`
a di zero in tale punto della funzione φD (principio di de l’Hˆopital).
1
Sia r un numero reale inferiore ad 1 ma superiore a tutti i valori assoluti dei
punti a1 , ..., ap ; per |z| < r per il principio del massimo si ha che |h(z)| `e inferiore
all’estremo superiore degli |h(w)| per |w| = r che `e al pi`
u l’estremo inferiore di
1/φD (w) per |w| = r e tale quantit`a tende ad 1 per r → 1 perch´e essendo φD
propria si ha che |φD (w)| → 1 per |w| → 1.
Quindi in ogni punto z di ∆ si ha |h(z)| ≤ 1 e se esiste z ∈ ∆ con |h(z)| = 1
allora h `e una costante di modulo 1 e ci`o conclude la dimostrazione.
Corollario 3 Ogni applicazione olomorfa propria ψ di ∆ in se `e una funzione
razionale: infatti se D `e il suo divisore di zeri, essa `e il multiplo di φD per un
fattore scalare di modulo 1. In particolare gli automorfismi olomorfi di ∆ in se
z−a
sono precisamente le applicazioni z 7→ eiθ 1−¯
az per θ ∈ [0, 2π[ ed a ∈ ∆
Dim. Il rapporto ψ/φD `e una applicazione propria perch`e sia ψ(z) che φD (z)
hanno moduli che tendono ad 1 per |z| che tende ad 1; inoltre `e priva di zeri ed
ha quindi grado zero, ossia `e costante.
Cerchiamo una metrica d su ∆ per la quale gli elementi di Aut(∆) siano isometrie. Supponiamo che d sia una tale metrica. Dati w, z ∈ ∆ la loro distanza deve
essere la stessa dei loro trasformati per qualsiasi elemento di Aut(∆); applicando
w−z
φz si ha che z va a zero e w diviene a = 1−¯
z w ; moltiplicando eventualmente poi
per uno scalare di modulo 1 (che `e ancora un automorfismo del disco) si pu`o
supporre che a sia reale. Basta quindi conoscere la d su I ∩ ∆ =] − 1, 1[ per
conoscerla su ∆. Gli elementi di Aut(∆) per i quali I `e stabile, sono di due tipi:
quelli che conservano l’orientazione di I e quelli che la invertono. I primi sono
t−a
quelli del tipo φa : z 7→ 1−at
per a ∈ I e costituiscono un gruppo che indichiamo
+
con Aut(I) : `e chiaro che l’applicazione a 7→ φa `e una applicazione biunivoca
tra I e tale gruppo. Indichiamo con l’operazione del gruppo letta su I tramite
tale corrispondenza biunivoca; ossia quella definita da φa ◦ φb = φab . con un
facile calcolo si trova:
a+b
ab=
1 + ab
Dal teorema di unicit`
a per i gruppi ordinati archimedei completi si ha che (I, )
deve essere isomorfo al gruppo additivo (R, +); ossia deve esistere una funzione
σ : R →] − 1, 1[ tale che per x, y ∈ R si abbia:
σ(x + y) =
σ(x) + σ(y)
1 + σ(x)σ(y)
ed essa `e determinata univocamente a meno di omotetie sul dominio R. Una
tale funzione `e la tangente iperbolica ossia:
tanh(x) =
ex − e−x
ex + e−x
quoziente delle
sinh(x) =
ex − e−x
2
e cosh(x) =
ex + e−x
2
che hanno formule di addizione:
sinh(x + y) = sinh(x) cosh(y) + sinh(y) cosh(x)
2
cosh(x + y) = sinh(x) sinh(y) + cosh(x) cosh(y)
dalle quali si ottiene:
tanh(x + y) =
tanh(x) + tanh(y)
1 + tanh(x) tanh(y)
Come metrica su ] − 1, 1[ sembra naturale prendere quella trasportata tramite
il diffeomorfismo tanh della metrica euclidea di R. Per calcolare d(0, x) per
x ∈] − 1, 1[ occorre trovare a ∈ R tale che tanh(a) = x e prenderne il valore
assoluto. Quindi:
ea − e−a
x= a
e + e−a
che posto t = ea per x > 0 diviene:
x=
t−
t+
1
t
1
t
=
t2 − 1
1+x
1+x
da cui t2 =
e quindi e2a =
t2 + 1
1−x
1−x
che per ogni x ∈] − 1, 1[ da:
1
|a| = log
2
1 + |x|
1 − |x|
Per dare un significato geometrico a questo valore ricordiamo che per punti
z1 , z2 , z3 , z4 distinti in C (o meglio in P1 ) il birapporto `e definito (come valore
in P1 ) da:
z1 − z3 z2 − z3
(z1 , z2 , z3 , z4 ) =
:
z1 − z4 z2 − z4
Il valore di tale birapporto, che indicheremo con λ rimane invariato se i quattro
punti sono trasformati con un automorfismo di P1 , ma varia combiando l’ordine
in cui i quattro punti sono presi: le permutazioni su quattro elementi sono
generate dalle trasposizioni a = (12) , b = (23) e c = (34). Si vede facilmente
che a e c inducono entrambe la trasformazione A : λ 7→ 1/λ mentre c la B : λ 7→
1 − λ. ovviamente A2 = B 2 = (AB)3 `e l’identit`a, perch´e tali relazioni valgono
gi`
a tra a e b. Il gruppo finito di trasformazioni su λ (che, ripetiamo, possiamo
considerare in P1 , in modo che le trasformazioni sono automorfismi della retta
proiettiva) che si ottiene `e costituito dalle:
1=λ, A=
1
1
λ−1
λ
, B = 1−λ , AB =
, BA =
, ABA = BAB =
λ
1−λ
λ
λ−1
Osserviamo che si ha
1−x
1+x
Siano w, z ∈ ∆ distinti; esiste un automorfiamo del disco che porta w in 0 e z
in un punto di [0, 1[. I punti che verranno trasformati in −1 ed in 1 sono i punti
∞− e ∞+ ottenuti intersecando S 1 = ∂∆ con il cerchio passante per w e z e
che `e ortogonale ad S 1 : precisamente ∞− l’intersezione dalla parte di w e ∞+
l’altro. Se vogliamo che la distanza d su ∆ invariante per biolomorfismi coincida
su ] − 1, 1[ con quella trovata sopra, essa dovr`a essere data dalla formula
1
1+t
1
d(w, z) = log
= log(∞− , ∞+ , w, z)
2
1−t
2
(−1, 1, 0, x) =
3
ove t = |w − z|/|1 − z¯w|.
Nel prossimo paragrafo mostreremo che tale d : ∆ × ∆ → R verifica la diseguaglianza triangolare e che quindi definisce effettivamente una distanza (le
altre propriet`
a di una distanza essendo banalmente verificate).
Metriche su superfici di Riemann
Una metrica riemanniana su una superficie di Riemann `e detta compatibile (con
la struttura complessa) se su ogni spazio tangente la moltiplicazione per l’unit`a
immaginaria i `e una isometria. Ci`o equivale a dire che la nozione di angolo per
tale metrica `e la stessa di quella definita dalla struttura complessa.
I biolomorfismi tra superfici di Riemann dotate di metriche compatibili sono
quindi le applicazioni conformi in quanto variet`a riemanniane. In particolare,
una metrica su una superficie di Riemann `e compatibile se e solo se la sua lettura
tramite carte locali (biolomorfismi con aperti di C) appare come multipla della
metrica euclidea per un fattore differenziabile reale positivo. Nello specificare
una tale metrica tramite carte locali, pu`o sorgere una ambiguit`a sul fattore di
proporzionalit`
a ρ: se esso si riferisca ai prodotti scalari o alle norme, il primo
essendo il quadrato del secondo. Quale sia il caso viene indicato con lo scrivere
ρ · ds2 o ρ · ds ove il primo si riferisce ai prodotti scalari, il secondo alle norme:
nell’uso ormai consolidato si intende il secondo. Ad esempio la metrica che
normalmente viene considerata sul disco ∆ viene introdotta dicendo che essa `e
quella euclidea moltiplicata per il fattore ρ = 1/(1 − z z¯): si intende che esso sia
il fattore di proporzionalit`
a tra le norme (le lunghezze).
Il disco ∆ dotato della metrica cos`ı definita, `e un modello della geometria iperbolica (piana). Mostreremo poi che la distanza geodetica per tale struttura,
coincide con quella definita avanti tramite il birapporto il che dimostrer`a che
questa seconda `e effettivamente una distanza (la diseguaglianza triangolare `e
soddisfatta). Descriviamo brevemente come ci`o possa essere verificato.
Anzitutto con un facile calcolo diretto, si trova che ogni biolomorfismo di ∆ in se
z−a
(ossia ogni applicazione del tipo z 7→ eiθ 1−¯
az con θ ∈ R e a ∈ ∆) lascia invariata
tale metrica, ossia i biolomorfismi sono tutti isometrie; quindi biolomorfismi e
isometrie (dirette, ossia quelle che conservano l’orientazione) coincidono, perch´e
le prime sono transitive sui punti e sui versi di ogni spazio tangente. Siccome
z 7→ z¯ `e una isometria inversa (ossia che inverte l’orientazione), le isomerie inz¯−a
verse sono tutte e sole le applicazioni z 7→ eiθ 1−¯
az¯ ; i punti fissi di queste sono
(tutte e solamente) le intersezioni di ∆ con cerchi di C che siano ortogonali
a S 1 = ∂∆ (includendo tra i cerchi anche le rette, considerate come cerchi di
raggio infinito: tutto ci`
o `e facilmente verificabile considerando come equazioni
di questi le forme hermitiane indefinite non degeneri sul C2 che sovrasta il P1 ).
Ne segue che tali archi di cerchi sono precisamente tutte e sole le geodetiche di
∆ in quanto variet`
a riemanniana: infatti dati due punti di ∆ esiste una ed una
sola isometria inversa σ che li tiene fissi; se essi sono abbastanza vicini, vi `e una
sola geodetica tra essi e quindi essa deve essere fatta di punti fissi per σ perch`e
la trasformata di una geodetica per σ `e ancora una geodetica.
A questo punto `e facile verificare la validit`a degli assioni della geometria iperbolica piana (ad esempio nella assiomatica data da Hilbert).
Calcoliamo ora la distanza geodetica tra i punti 0 ed a ∈]0, 1[. La geodetica tra
essi `e parametrizzabile nella forma x(t) = t per t ∈ [0, a]; quindi la distanza `e il
4
valore dell’integrale di |x(t)|dt
˙
ossia
Z a
dt
1
1−t
= log
2
2
1+t
0 1−t
Che l’eguaglianza tra la distanza geodetica e la funzione d (quella che volevamo
dimostrare essere una distanza) valga per ogni coppia di punti di ∆ `e vero perch´e
entrambi sono invarianti per isometrie.
Alcuni usi della geometria iperbolica
Alcune diseguaglianze sono dimostrabili in modo geometrico; ad esempio
Lemma 4 Per ogni a, z ∈ ∆ si ha:
z − a |z| − |a| ≤
φa (z) = 1−a
¯z 1 − |a||z| Dim. Moltiplicando per un opportuno eiθ , dovendo la diseguaglianza essere vera
per ogni z, si pu`
o supporre che sia a ∈] − 1, 0[. Baster`a allora mostrare che nel
triangolo di vertici 0, φ(z), φ(|z|) l’angolo in φ(z) `e maggiore di quello in φ(|z|).
Ci`
o si dimostra osservando che il triangolo di vertici φ(0), φ(z), φ(|z|) `e isoscele
nel vertice φ(0) e che φ(0) `e tra 0 e φ(z).
Per a ∈ ∆ sia ga l’isometria diretta (iperbolica) definita da:
ga (z) =
z−a
a
¯z − 1
Essa `e una involuzione che scambia 0 con a; essa ha un solo punto fisso: precisamente il punto medio m tra 0 ed a. La retta r per 0 ed a `e stabile per tale
ga ; siccome (come abbiamo visto) le rette iperboliche sono isometriche ad R,
la ga `e sulla retta r il ribaltamento attorno al punto m. In effetti la ga su ∆
`e la rotazione (iperbolica) attorno al punto m di angolo π ossia la simmetria
centrale rispetto ad m.
Per a ∈ ∆ la trasformazione
φa (z) =
z−a
1−a
¯z
`e una traslazione (iperbolica) lungo la retta passante per 0 ed a. Essa pu`o essere
pensata come la composizione gm2 ◦ gm1 ove essendo m medio tra 0 ed a, i punti
m1 ed m2 sono medi risp. tra m ed a e tra m e 0. Alternativamente come
composizione S1 ◦ S2 ove per i = 1, 2 la Si `e la riflessione (iperbolica) sulla retta
ortogonale ad r nel punto mi . Calcolano la composizione di φa con se stessa si
trova
2a
φa (φa (z)) = φ 1+a¯
a
2a
Ci`
o mostra che il punto 1+¯
e il doppio di a, nel senso che a `e medio tra 0 ed
aa `
esso.
Si faccia attenzione che nel caso iperbolico, diversamente da quello euclideo, le
isometrie che sono una traslazione non nulla lungo una retta non hanno altre
rette invarianti.
5
Il lemma di Schwarz pu`
o essere riformulato nel linguaggio delle geometria iperbolica nel seguente:
Teorema 5 (Pick) Sia f : ∆ → ∆ olomorfa. Se essa non `e una isometria
(ossia un biolomorfismo) allora per ogni w, z ∈ ∆ distinti si ha d(f (w), f (z)) <
d(w, z) e ||df (w)|| < 1
Dim. Modulo isometrie in partenza ed in arrivo possiamo suppore w = f (w) =
0. L’enunciato allora coincide con quello del lemma di Schwarz.
Il teorema di uniformizzazione per aperti di P1
Sia Ω un aperto di P1 . Se P1 − Ω `e vuoto oppure consiste di un solo punto,
allora Ω `e semplicemente connesso (`e tutto P1 oppure biolomorfo a C; se ha due
punti allora Ω `e biolomorfo a C∗ e sappiamo (costruzione dell’esponenziale) che
il suo rivestimento universale `e biolomorfo a C.
Teorema 6 Ogni aperto Ω di P1 il cui complementare abbia cardinalit`
a almeno
tre, ha per rivestimento universale ∆
Dim. P1 − Ω ha almeno tre punti, che potremo supporre essere 0, 1 e ∞.
Sappiamo che il rivestimento universale di P1 − {0, 1, ∞} `e biolomorfo a ∆;
ogni componente connessa del’immagine inversa di Ω per tale rivestimento `e un
aperto limitato di C (un sottoinsieme di ∆) che `e un rivestimento di Ω. Sar`a
quindi sufficiente dimostrare il teorema nell’ipotesi che Ω sia limitato, anzi un
sottoinsieme aperto proprio di ∆.
Sia ora j : ∆ → ∆ l’applicazione definita da j(z) = z 2 . Essa `e un rivestimento
ramificato di grado due con punto e valore critico in 0. Per a ∈ ∆, la composizione ga2 ◦ j ◦ ga `e un rivestimento ramificato f di grado due avente un punto
critico nel punto a e come valore critico il punto a2 : si noti inoltre che tale f
applica 0 in 0.
Supponiamo che Ω ⊂ ∆ sia un aperto connesso in ∆ che contiene 0 e sia a ∈ ∆
tale che a2 sia un punto di minimo per la funzione norma su ∆ − Ω; consideriamo la componente connessa Ω1 di f −1 (Ω) che contiene 0. La restrizione di
f ad Ω1 `e un rivestimento f1 : Ω1 → Ω che pu`o avere grado uno (ossia essere
un biolomorfismo) o grado due. In ogni caso Ω1 `e strettamente contenuto in ∆,
perch´e f `e surgettiva da ∆ in se e Ω1 non contiene f −1 (a2 ). Possiamo quindi
ripetere la costruzione fatta: scegliere a1 in ∆ in modo analogo a quello fatto
per a (che sia un punto di minimo per la funzione norma su ∆ − Ω1 ) e considerare la componente connessa contenente 0 della immagine inversa di Ω1 per
la funzione ga21 ◦ j ◦ ga1 . Avremo |a| < |a1 |. Infatti la f (a21 ) non pu`o essere
in Ω, altrimenti tutto un disco di centro a21 andrebbe entro Ω ed essendo a21
aderente ad Ω1 , tale disco sarebbe contenuto in Ω1 ; quindi |a2 | ≤ f (a21 ). Inoltre
la f : ∆ → ∆ non `e un biolomorfismo e quindi per il lemma di Schwarz si ha
|f (a21 )| < |a21 |. Continuando cos`ı si costruisce una successione di rivestimenti
fn : Ωn → Ω in cui ogni Ωn `e un aperto strettamente contenuto in ∆, contenente
0 e con fn (0) = 0. Mostreremo adesso che la successione (Ωn ) ”invade” ∆ (ossia
per ogni compatto K ⊂ ∆ si ha K ⊂ Ωn per n a partire da un qualche indice in
poi) e che una sottosuccessione delle fn converge uniformemente sui compatti
ad una f∞ : ∆ → Ω che `e un rivestimento, quindi il rivestimento universale.
6
Il massimo disco di centro 0 contenuto nell’aperto Ωn `e quello di raggio |a2n |;
per mostrare che tali aperti invadono ∆ occorrre quindi mostrare che i moduli
degli a2n tendono ad 1.
Sappiamo che la successione |an | `e crescente, quindi che avr`a un limite L ≤ 1.
Con un facile calcolo si trova la seguente espressione analitica della fn :
z − hn
fn (z) = z ¯
hn z − 1
ove
hn =
2an
1+a
¯n an
utilizzando la quale, pi`
u il lemma 4 e ricordando che |a2n | ≤ |fn (a2n+1 )| si trova:
|a2n | ≤ |a2n+1 |
|hn | + |a2n+1 |
|hn ||a2n+1 |
e passando al limite:
0 6= L2 ≤ L2
S + L2
SL2 + 1
ove
S=
2L
∈]0, 1]
L2 + 1
che essendo sia S che L2 in ]0, 1] implica L2 = 1.
Le fn sono tutte a valori in ∆ quindi equilimitate: per il teorema di Montel
una sottosuccessione delle (fn ) sar`a convergente uniformemente sui compatti
ad una f∞ : ∆ → ∆; resta da mostrare che l’immagine di f∞ `e contenuta in
Ω, che `e localmente invertibile e che per essa vale il sollevamento dei cammini.
Sia D un disco di centro l’origine e raggio inferiore ad 1; esiste allora n0 ∈ N
tale che per ogni n ≥ n0 si ha D ⊂ Ωn ; essendo D semplicemente connesso
e fn un rivestimento, esiste una gn : D → Ωn ⊂ ∆ tale che fn (gn (z)) = z
per ogni z ∈ D. Sono quindi soddisfatte le ipotesi della proposizione 10 (della
dispensa 4) (in verit`
a dovremmo cambiare notazioni per le fn perch´e non sono
loro che costituiscono una successione convergente sui compatti, ma gli elementi
di una sottosuccessione); ne segue che tali gn convergono su D ad una inversa
del limite f delle fn ed in particolare f non `e costante. Per il teorema di Hurwitz
l’immagine di f `e cos`ı contenuta in Ω.
Sia ora σ : [0, 1] → Ω un arco continuo con σ(0) = 0 e mostriamo che esso pu`o
essere sollevato ad un cammino σ
˜ : [0, 1] → ∆ tale che σ
˜ (0) = 0. Esistono una
suddivisione 0 = t0 < t1 < ... < tN = 1 di [0, 1] e D = D1 , D2 , ..., DN dischi
aperti in Ω tali che per i = 1, ..., N sia σ([ti−1 , ti ]) ⊂ Di . Come visto sopra
f `e invertibile su D con una h che vale 0 in 0, quindi σ `e sollevabile ad una
σ
˜1 su [0, t1 ]. Mostreremo induttivamente che per i = 1, ..., N esistono inverse
hi della f su Di tali che hi coincide con hi+1 su Di ∩ Di+1 : usando queste si
potr`
a proseguire il sollevamento di σ. Le inverse gn delle fn su D = D1 (che
si annullano in 0) convergono uniformemente sui compatti di D1 alla inversa
h = h1 della f che si annulla in 0. Siccome D2 `e semplicemente connesso, tali
gn possono essere prolungate su D2 rimanendo inverse di f . Esse sono limitate
e convergono uniformemente sui compatti dell’aperto non vuoto D1 ∩ D2 : per il
teorema di Vitali, esse convergono uniformemente sui compatti di D2 ed il loro
limite sar`
a una inversa di f su D2 che coincide con h1 su D1 ∩ D2 . Nello stesso
modo si costruisce la inversa h3 di f su D3 e poi le successive sino alla hN .
Se ora sono dati x ∈ ∆ e σ : [0, 1] → Ω continua con σ(0) = f (x), l’esistenza
del sollevamento σ
˜ di σ che inizia in x si dimostra cos`ı : siano τ un cammino
7
in ∆ che va da 0 ad x e τ 0 il suo trasformato tramite f . Allora il cammino
ottenuto seguendo prima τ 0 e poi σ inizia in 0 ∈ Ω. Quindi, per quanto mostrato
avanti, esso si solleva ad un cammino che inizia in 0: la prima parte di tale
sollevamento sar`
a necessariamente τ ; la parte residua sar`a il sollevamento di σ
che era richiesto.
Gruppi di trasformazione discontinui
Nel seguito G `e un gruppo topologico (ossia un gruppo sul quale `e stata fissata una topologia per la quale le operazioni ”moltiplicazione” di G × G in G
e ”passaggio all’inverso” di G in se sono continue) e G × X → X una azione
effettiva di esso su uno spazio topologico X che sia continua per le topologie
di G ed X. Ogni sottogruppo H ⊂ G induce una relazione di equivalenza su
X, precisamente x ∼ y se e solo se y = h(x) per qualche h ∈ H; indicheremo con X/H lo spazio topologico quoziente per tale relazione e con p = pH
la proiezione di X in tale quoziente. Ricordiamo che se ∼ `e una relazione di
equivalenza su uno spazio topologico X, i sottoinsiemi di X/ ∼ si identificano
con i sottoinsiemi saturi di X ossia agli A ⊂ X tali che se x ∈ A ed x ∼ y
allora y ∈ A; in tale corrispondenza gli aperti o i chiusi di X/ ∼ si identificano
ai sottoinsiemi saturi di X che siano rispettivamente aperti o chiusi. Nel caso
del quoziente per l’azione di un gruppo di omeomorfismi H, un insieme A `e
saturo se e solo se per ogni punto x che contiene esso contiene anche tutta la
sua orbita H(x) = {h(x) : h ∈ H}; l’immagine di un sottoinsieme U ⊂ X
in X/H viene cos`ı ad essere identificata con l’insieme saturo dato dall’unione
di tutti i trasformati di U per gli elementi di H. Se U `e aperto anche il suo
saturato lo `e e ci`
o significa che la mappa quoziente p : X → X/H `e aperta.
Si noti che la topologia di X/G non dipende dalla topologia esistente su G;
in effetti questa potrebbe essere sempre sostituita con la topologia discreta e
niente cambierebbe. Possiamo per`o anche cambiare eventualmente la topologia
di G in direzione opposta: cercare di mettere su esso la topologia meno fine tra
quelle che rendono l’azione continua. Ci`o pu`o essere fatto osservando che una
azione effettiva di un gruppo G su uno spazio topologico X non `e altro che una
identificazione di G con un sottogruppo del gruppo degli omeomorfismi di X in
se; si pu`
o quidi cercare di topologizzare quest’ultimo in modo che la sua azione
su X divenga continua.
Tale via `e per`
o troppo generale per noi. Nei casi di interesse geometrico spesso
X non `e solo uno spazio topologico, ma ha qualche altra struttura che vogliamo
essere conservata da G , ad esempio di tipo metrico oppure una struttura di variet`
a complessa, e ci`
o porta a poter considerare su esso una topologia ”naturale”
rispetto alle strutture fissate su X. Ad esempio se X `e una variet`a riemanniana,
il gruppo degli automorfismi, ossia il gruppo delle isometrie, ha una struttura
naturale di gruppo di Lie; in questo caso rientrano di fatto tutti quelli che noi
considereremo. Vedremo che allora le propriet`a topologiche di un quoziente
X/H sono legate strettamente a come topologicamente `e messo il sottogruppo
H in G.
Ad esempio nel caso di uno spazio vettoriale reale V di dimensione finita che
opera su se stesso per traslazioni, si ha G = V ed X = V . Se H `e un sottogruppo
chiuso di V , si pu`
o dimostrare che V /H `e omeomorfo ad un prodotto finito di
copie di S 1 e di R; quindi abbastanza buono. Se H non `e chiuso `e facile vedere
che gli aperti di X/H identificati agli aperti di V saturi per H, coincidono con
gli aperti che sono saturi per la chiusura di H in V ; cio`e in qualche modo la
8
topologia del quoziente non distingue tra un sottogruppo di V e la sua chiusura.
Per il momento ci occuperemo solo del modo in cui un sottogruppo H opera
su X ed `e perci`
o che supporremo G dotato della topologia discreta, cos`ı come
evidentemente sar`
a di ogni suo sottogruppo. Pi`
u avanti esamineremo dei casi in
cui G ha una topologia non banale. Supporremo quindi che G × X → X sia una
azione effettiva di un gruppo G su uno spazio topologico X e considereremo ogni
sottogruppo H di G dotato della topologia discreta. Supporremo inoltre che lo
spazio X sia abbastanza buono e precisamente che sia localmente omeomorfo ad
un cono su uno spazio compatto e che sia a base numerabile (si pu`o dimostrare
che ogni sottoinsieme X di uno spazio euclideo che sia definibile localmente da
eguaglianze analitiche pi`
u un numero finito di diseguaglianze analitiche, soddisfa
tale ipotesi).
Diremo che un tale H `e discontinuo in X se ogni x ∈ X ha un gruppo di isotropia
Hx = {h ∈ H : h(x) = x} finito ed una orbita H(x) = {h(x) : h ∈ H} che
`e un sottoinsieme discreto di X (cio`e chiuso e fatto solo di punti isolati). Si
dimostra facilmente la seguente:
Proposizione 7 Per un sottogruppo H di G sono fatti equivalenti:
(a) H `e discontinuo
(b) per ogni x ∈ X il gruppo di isotropia Hx `e finito e l’applicazione h 7→ h(x)
di H in X `e propria
(c) non esistono x ∈ X ed una successione (hn ) di elementi distinti di H per i
quali la successione (hn (x)) `e convergente in X
(d) per ogni x, y ∈ X esiste un intorno U di y tale h(x) ∈ U solo per un numero
finito di h ∈ H
Se H `e discontinuo, la topologia di X/H verifica una propriet`a debole di separazione: comunque scelti due punti a, b in X/H esiste un intorno di b che non
contiene a. Diremo che H `e propriamente discontinuo se oltre ad essere discontinuo, lo spazio quoziente X/H `e di Hausdorff. La proposizione seguente
descrive alcuni modi equivalenti in cui ci`o pu`o essere espresso:
Proposizione 8 Per un sottogruppo H di G sono fatti equivalenti:
(a) per ogni compatto K in X si ha h(K) ∩ K = ∅ per quasi tutti gli h ∈ H
(significa ”tutti salvo al pi`
u un numero finito”)
(b) per ogni coppia di compatti K1 , K2 in X si ha h(K1 ) ∩ K2 = ∅ per quasi
tutti gli h ∈ H
(c) ogni x ∈ X ha un intorno U tale che l’applicazione (h, x) 7→ h(x) di H × U
in X `e propria
(d) non esistono una successione (xn ) in X ed una (hn ) di elementi distinti in
H tali che (xn ) e (hn (xn )) siano entrambi convergenti
(e) H `e propriamente discontinuo
(f ) per ogni coppia x, y ∈ X esistono intorni U di x e V di y per i quali
V ∩ h(U ) = ∅ per quasi tutti gli h ∈ H
Dim. (a)⇒ (b). Si ponga K = K1 ∪ K2 e si utilizzi (a).
(b)⇒(c). Si noti che essendo H dotato della topologia discreta, la propriet`a (b)
equivale all’essere propria l’applicazione h, x) 7→ h(x) di H × K1 in X. Quindi
scegliendo per U un intorno compatto di x si deduce la (c)
(c)⇒ (d). Sia (xn ) una successione che converge ad un punto x in X e siano gli
(hn ) in H tali che la successione hn (xn ) converga. Scelto un intorno U come
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in (c), possiamo supporre che ogni xn stia in U . Sia K l’insieme costituito
dagli hn (xn ) assieme al loro limite in X; esso `e un compatto, quindi anche la
sua immagine inversa in H × U lo `e come anche la proiezione di questo su H.
Avendo H la topologia discreta i suoi compatti sono sottoinsiemi finiti; quindi
gli hn (xn ) non possono essere tutti distinti tra loro.
(d)⇒(e). Per x fissato in X, se (hn ) `e una successione in H tale che (hn (xn ))
converge, applicando (d) alla successione costante xn = x si ha che solo un numero finito di h ∈ H possono comparire tra gli hn ; ci`o mostra che l’applicazione
h 7→ h(x) di H in X `e propria per ogni x ∈ X e quindi che H `e discontinuo.
Mostriamo che `e di Hausdorff. Per ogni x, y ∈ X non H−equivalenti bisogna
trovare un intorno chiuso della classe di x in X/H che non contiene la classe di y;
ci`
o equivale a trovare un chiuso saturo in X che contiene x all’interno e che non
contiene y. Essendo H discontinuo, esiste un aperto saturo in X che contiene
x ma non contiene y e scelto un intorno compatto V di x che sia contenuto in
un tale U consideriamone il saturato V˜ in X : esso contiene x al suo interno e
baster`
a quindi che `e chiuso . Ora V˜ `e unione della famiglia di chiusi (h(V ))h∈H
ed `e certamente chiuso se questa `e localmente finita. Ed infatti supponiamo per
assurdo che si accumuli in X. Esistono quindi una successione (xn ) in V ed una
(hn ) di elementi distinti di H tali che la successione (hn (xn )) sia convergente;
siccome V `e compatto, la successione (xn ) ha sottosuccessioni convergenti e ci`o
contraddice (d).
(e)⇒(f). Supponiamo che non valga (f ); esistono quindi una successione (xn )
convergente ad x in X ed una (hn ) di elementi distinti in H tali che (hn (xn ))
converge ad y. Nel quoziente essendo xn ∼ yn si ha allora una successione che
converge sia alla classe di x che a quella di y; essendo il quoziente di Hausdorff,
si ha quindi che x ed y sono equivalenti, ossia esiste h ∈ H tale che y = h(x);
sostituendo h−1 hn ad hn ci riconduciamo cos`ı al caso in cui x = y. Fissiamo
un intorno compatto U di x che non contenga altri punti equivalenti ad x ed
un sistema fondamentale di intorni connessi (Un ) di x; possiamo supporre che
sia xn ∈ Un per ogni intero n. L’insieme hn (Un ) `e un connesso di X ed interseca sia la parte interna di U (in hn (xn )) sia quella esterna (in hn (0)), quindi
incontra anche la sua frontiera ∂U , ossia esiste x0n ∈ Un con hn (x0n ) ∈ ∂U .
Questo `e compatto e quindi, passando eventualmente ad una sottosuccessione,
possiamo supporre che hn (x0n ) converga ad un punto x0 di ∂U . Allora la successione (x0n , hn (x0n )) converge ad (x, x0 ). Tale successione `e dentro la ”relazione
di equivalenza” ossia dentro {(a, b) ∈ X × X : a ∼ b} e questo `e chiuso essendo precisamante la condizione che il quoziente X/ ∼ sia di Hausdorff. Quindi
x ∼ x0 contro l’ipotesi che U non contiene punti equivalenti ad x oltre lui stesso.
(f)⇒ (a). Supponiamo che non valga (a); quindi esistono un compatto K in X,
due successioni (xn ), (yn ) in K ed una hn ) di elementi distinti di H tali che
hn (xn ) = yn . Per la compattezza di K possiamo supporre che esse convergano
rispettivamente a punti x ed y in K; non potrebbero allora esistere intorni U, V
di questi come asserito in (f).
Lemma 9 Se l’azione di H su X `e propriamente discontinua, allora ogni x ∈ X
ha un intorno V ogni cui punto ha per gruppo di isotropia un sottogruppo di Hx
Dim. Per h ∈ H indichiamo con Fh l’insieme dei punti fissi di h: esso `e un
sottoinsieme chiuso di X. Sia U un intorno compatto di x; per ipotesi esistono
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solo un numero finito di elementi h ∈ H per i quali h(U ) ∩ U 6= ∅; in particolare
togliendo ad U gli Fh per h ∈
/ Hx si ottiene un intorno aperto V di x. Se y ∈ V
e h ∈ Hy allora h(U ) ∩ U `e non vuoto, quindi h deve appartenere a Hx .
Corollario 10 Se l’azione di H su X `e propriamente discontinua, ogni x ∈ X
ha un intorno V tale che V ∩ h(V ) = V per ogni h ∈ Hx e vuoto per gli altri
elementi di H. In altre parole l’immagine V˜ di V in X/H `e omeomorfa al
quoziente di V per l’azione del gruppo finito Hx
Dim. Sia x ∈ X e sia U un suo intorno aperto relativamente compatto. Essendo
l’azione discontinua, togliendo ad U i suoi trasformati per elementi di H − Hx si
ha un intorno aperto V di x in X. Allora per h1 , h2 ∈ H gli aperti h1 (V ) e h2 (V )
o coincidono o sono disgiunti. Possiamo anche supporre che V sia invariante
per Hx , intersecandolo eventualmente e con i suoi trasformati per elelenti di
Hx . Ne segue che φ(V ) `e un aperto V˜ in X/H la cui immagine inversa `e unione
disgiunta di aperti del tipo h(V ) e che la topologia di V˜ `e quella di V /Hx ,
associata all’azione propriamente discontinua di Hx su V . In altre parole per
descrivere le propriet`
a locali di X/H basta descrivere quelle ottenute dividendo
un opportuno intorno V di x per il gruppo di isotropia di x.
Proposizione 11 Se lo spazio topologico X possiede una metrica che `e invariante per l’azione di G e per la quale `e completo, allora ogni sottogruppo H di G
che sia discontinuo `e anche propriamente discontinuo
Dim. Sia (xn ) una successione convergente ad un x in X ed (hn ) una successione di elementi distinti di H tali che Hn (xn ) sia convergente. Allora la successione hn (x) `e di Cauchy: infatti si ha d(hn (x), hm (x)) ≤ d(hn (x), hn (xn )) +
d(hn (xn ), hm (xm ))+d(hm (xm ), hm (x)) = d(x, xn )+d(hn (xn ), hm (xm ))+d(xm , x).
Ci`
o contraddice che h 7→ h(x) sia una applicazione propria di H in X, ossia che
H sia discontinuo.
Nel seguito esamineremo situazioni specifiche che verificano propriet`a molto
particolari che semplificano lo studio delle azioni considerate; in particolare X
sar`
a uno spazio metrico completo sul quale il gruppo delle sue isometrie G agisce
in modo transitivo. Se fissiamo un qualunque punto x in X si ottiene allora una
applicazione G → X data da g 7→ g(x); la fibra di tale applicazione su x `e il
sottogruppo di isotropia Gx : questo `e compatto e l’applicazione G/H → X `e un
omeomorfismo tra lo spazio quoziente delle classi laterali sinistre di H in G con
X. Un sottogruppo H di G risulta allora discontinuo (o equivalentemente, per
quanto visto sopra, propriamente discontinuo) se e solo se `e discreto nel senso
che `e un sottoinsieme discreto di G.
Sia G un gruppo topologico localmente compatto ed a base numerabile. Mostreremo che le sue azioni continue effettive e transitive su spazi localmente compatti, sono tutte ottenibili, a meno di isomorfismi, a partire da un suo sottogruppo chiuso H con la costruzione seguente. Consideriamo lo spazio G/H
delle classi laterali sinistre di H in G dotato della topologia quoziente per la
proiezione p : G → G/H definita da p(g) = gH e definiamo una azione di G su
esso ponendo g(g 0 H) = (gg 0 )H.
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Proposizione 12 p `e aperta, X/H `e di Hausdorff, localmente compatto ed a
base numerabile e l’azione di G su esso `e continua effettiva e transitiva
Dim. Si tratta di una facile verifica che utilizza solo le definizioni di base. Il
punto un p`
o pi`
u delicato `e che il quoziente sia di Hausdorff.
G sia un gruppo topologico localmente compatto ed a base numerabile che agisce
in modo effettivo e continuo su uno spazio topologico localmente compatto X.
Supporremo inoltre che l’azione sia transitiva su X, ossia che per ogni x, y ∈ X
sia y = g(x) per qualche g in G. Vediamo un modo di costruire tali azioni.
Per H un sottogruppo chiuso di G consideriamo lo spazio X/H delle classi
laterali sinistre di H in G dotato della topologia quoziente per la proiezione
p : G → G/H definita da p(g) = gH. Definiamo una azione di G su G/H ponendo g(g 0 H) = (gg 0 )H. La dimostrazione `e facile conseguenza delle definizioni
e viene lasciata per esercizio.
Dimostreremo ora che la costruzione precedente esaurisce, a meno di isomorfismi, tutte gli esempi possibili di azioni ipotizzate sopra.
Fissato un punto x0 in X consideriamo l’applicazione G → X definita da
g 7→ g(x). Per ipotesi questa `e surgettiva e le fibre di essa sono le classi laterali
sinistre del gruppo di isotropia Gx0 in G. Ne deriva una applicazione biunivoca
e continua σ
¯ : G/Gx0 → X.
Proposizione 13 σ
¯ `e un omeomorfismo.
dim. Si deve mostrare che σ
¯ `e aperta; essendo G/Gx0 dotato della topologia
quoziente, `e sufficiente mostrare che σ `e aperta. Utilizzando traslazioni su G
ed X, che sono omeomorfismi, si `e ricondotti a mostrare che se U `e un intorno
di 1 in G allora U (x0 ) = {u(x0 ) : u ∈ U } `e un intorno di x0 . Dal fatto che
l’applicazione (g, h) → g −1 h di G × G in G `e continua in 1, si deduce l’esistenza
di un intorno V di 1 tale che V −1 V ⊂ U . Se V ha un punto interno, diciamo
v(x0 ) con v ∈ V , allora x0 `e interno a (v −1 V )(x0 ) quindi anche ad U (x0 ) perch`e
v −1 V ⊂ U . Basta quindi mostrare che V (x0 ) ha almeno un punto interno. Ora
la famiglia dei translati di V ossia i gV per g ∈ G hanno parti interne che
ricoprono G; essendo G a base numerabile, una famiglia numerabile di questi
ricopre G. I trasformati per σ di questi sono cos`ı un ricoprimento numerabile
di X fatto di compatti e quindi di chiusi in X: il teorema di Baire assicura che
qualcuno di essi ha parte interna non vuota. Ma ci`o allora accade per ognuno
di essi perch´e sono ottenuti l’uno dall’altro per translazione; quindi anche V ha
qualche punto interno.
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