Uno stagno per pochi

storia di copertina
CORPORATE FINANCE
Uno stagno per pochi
Sono tanti gli specchi in cui si riflette la crisi del business italiano
– privatizzazioni, quotazioni, finance puro e private equity
nostrano. Una possibile ripresa potrebbe venire dall’estero ma
difficilmente costituirà un nuovo El Dorado per gli studi tricolore
© alphaspirit - Fotolia.com
di Maria Buonsanto
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storia di copertina
I
tempi d’oro per i dipartimenti di corporate finance che operano nel
Belpaese sono finiti.
Dopo la stagione della
caccia alla balena – gli anni
delle prime grandi privatizzazioni e quotazioni – quando
un solo deal era sufficiente ad
assicurare ricavi stellari nelle
casse degli studi, e dopo quella della pesca dei tonni, in cui
un piccolo plotone di operazioni più piccole ha mantenuto il saldo in attivo, gli studi
sembrano non sapere più che
pesci prendere in un business
che, più che un mare, sembra
essere diventato uno stagno.
Anche la tanto declamata seconda ondata di privatizzazioni difficilmente fornirà una
soluzione all’esiguità dei mandati. Se negli anni Novanta la
prima stagione di dismissioni
dei gioielli di Stato ha costituito
il tesoretto di molti studi, oggi
c’è poco da attendersi dal piano del governo. «Le basi d’asta fissate sono
talmente basse da risultare
ben difficile vedere le privatizzazioni come reali opportunità di business», sottolinea
Andrea De Vido, presidente
di Finint Investimenti.
Le dismissioni sono solo
uno degli specchi in cui si riflettono le difficoltà incontrate dal corporate finance
nel nostro Paese. Anche la
consulenza sulle quotazioni,
seppure non fungibile, sta diventando un servizio standardizzato. Basti pensare all’ipo
di Fincantieri che si prean-
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nuncia come la più importante
del 2014 e il cui valore è stato
stimato in 1,2 miliardi: frutterà ai consulenti legali solo
160mila euro. Nel 2012 la quotazione di Cucinelli si stima
ne abbia fatti guadagnare tra
i 200 e i 250mila. Già la metà
rispetto a quanto portavano in
cassa agli studi le stesse operazioni fino al 2005.
D’altronde, oggi Piazza Affari
è solo un puntino nel mercato
globale. Pochi sul listino sono i
fondi azionari globali, che preferiscono investire su Wall Street,
che ha raggiunto i suoi massimi
di sempre, e sulle borse dei paesi
emergenti. La partita, insomma,
si sta giocando all’estero.
«L’Italia è solo un di cui»,
sintetizza efficacemente Gennaro Imbimbo, responsabile
legale societario del Fondo
italiano d’investimento. Così
come “un di cui” sembrano
destinati a diventare, nel panorama legale nostrano, quelli
studi che non possono contare
su rapporti su scala mondiale.
Mentre il capo del’ufficio legale italiano di una nota banca inglese, non nasconde che
«non si sta lavorando moltissimo sul finance perché non
c’è grossa fame di business tricolore», secondo Savino Casamassima, general counsel
Italia di Santander, «gli unici
segnali di ripresa di un finance positivo italiano si possono
intravedere nel private equity». Ma fino ad oggi l’Italia è
rimasto il fanalino di coda del
private equity europeo: pesa
il 3,6% sugli investimenti e lo
0,9% sulla raccolta, dicono gli
ultimi dati relativi al 2012.
Ora, quindi, la partita si giocherà sulla capacità di attrarre
i nuovi investimenti messi a
budget dai grandi fondi esteri per l’Europa, che inizia a
mostrare segni di ripresa nel
settore: Kkr le ha destinato 6
miliardi e Bain Capital 2,5.
Se il corporate finance italiano sarà legato a doppio filo
agli investitori esteri, per avere
un’idea sugli advisor che saranno in grado di intercettare
i mandati legati al business tricolore, è utile passare in rassegna i consulenti che hanno
seguito i flussi di capitale transitati nel Belpaese negli ultimi
tempi. Un’analisi da cui emerge che a giocarsi la partita sarà
uno sparuto gruppo di attori.
Studi internazionali in primis.
Agli investitori Usa studi
stelle e strisce
I più intransigenti nella scelta
dei consulenti legali a cui affidarsi sono gli investitori americani, che quasi mai danno
mandato ad advisor non battenti bandiera statunitense. A
iniziare proprio da Kkr e Bain
Capital. Il primo, dall’inizio
del 2014, è stato protagonista
di due operazioni. In febbraio,
con la consulenza di Paul Hastings, ha dato disponibilità ad
agire come partner al fianco
di Intesa Sanpaolo e Unicredit, affiancate da d’Urso Gatti
e Bianchi per i profili legali e
da Di Tanno e associati per la
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parte fiscale, nella creazione
di una sorta di bad bank, un
veicolo di cartolarizzazione
destinato alla gestione di un
portafoglio di crediti difficilmente esigibili legati ad aziende del segmento corporate
con potenzialità di sviluppo.
In gennaio, invece, sempre
affiancato da Paul Hastings,
Kkr ha investito 100 milioni
nel gruppo Argenta, azienda
italiana attiva nel settore dei
distributori automatici.
Sembrerebbe, invece, più interessato a vendere che non a
investire in Italia Bain Capital,
che con la consulenza dei soci
di Gattai Minoli Bruno Gattai
e Cataldo Giuseppe Piccar-
reta, è stato protagonista della
maxioperazione di cessione delle quote detenute in Cerved. Se
Bain Capital dovesse decidere di
destinare parte dei 2,5 miliardi
messi a budget per l’Europa
sul suolo italico, Gattai Minoli
avrebbe probabilmente un ruolo chiave, essendo il fondo un
cliente consolidato di Gattai e
Principali operazioni d’investimento inbound in Italia: Usa, Emirati e Asia
INVESTITORI AMERICANI
Cliente
Consulente
Bain capital
Gattai Minoli
Carbonetti
Blackstone
Legance
Shearman & Sterling
Carlyle
Latham & Watkins
First Reserve
Cleary Gottlieb Steen & Hamilton
Kkr
Paul Hastings
Star Holding
Latham & Watkins
INVESTITORI EMIRATINI E ASIATICI
Cliente
Consulente
Crescent Hydepark
Legance
Etihad
Dla Piper
Mayhoola
Chiomenti
Cleary Gottlieb Steen & Hamilton
Qatar holding
Shearman & Sterling
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Piccarreta, che nel 2010, ai tempi partner di Dewey & LeBoeuf,
lo avevano affiancato anche nella cessione di Teamsystem.
Sempre rimanendo in territorio Usa, lo scorso febbraio il fondo di private equity
Blackstone, assistito da Shearman & Sterling, da Carbonetti e da Simpson Thacher di
New York, ha lanciato un’opa
sul fondo immobiliare Atlantic1, gestito da Idea Fimit.
Lo stesso Simpson Thacher,
insieme a Legance, aveva seguito Blackstone anche nel
settembre 2013 per l’acquisto
di Franciacorta Retail. Ancora
un advisor americano, questa
volta Latham & Watkins, è
stato scelto da Star Holding,
società interamente detenuta
dal fondo Morgan Stanley infrastructure partners, per rilevare il 33,49% di Agorà Investimenti. E Latham & Watkins
è stato protagonista anche al
fianco del fondo Carlyle, sia
in relazione all’acquisizione di
Marelli Motori che in relazio-
Principali operazioni d’investimento inbound in Italia: Europa e Italia
INVESTITORI EUROPEI
Cliente
Consulente
Bc partners
Giliberti Pappalettera Triscornia
Cvc
Chiomenti
Deutsche private equity
Latham & Watkins
Emerisque brands
Norton Rose
Ergon capital partners
Freshfields Bruckhaus Deringer
Fortelus capital
Paul Hastings
Halder
Bonelli Erede Pappalardo
Bonelli Erede Pappalardo
Permira
Freshfields Bruckhaus Deringer
INVESTITORI ITALIANI
Cliente
Consulente
Chiomenti
Cassa depositi e prestiti
Gianni Origoni Grippo Cappelli
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Fondo strategico italiano
Clifford Chance
Investindustrial
Chiomenti
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ne alla quotazione di Moncler,
di cui il fondo detiene una
partecipazione.
Altri investimenti imminenti potrebbero riguardare,
poi, il settore Energy, in cui il
private equity americano First
Reserve è in lizza per aggiudicarsi una quota di maggioranza della newco in cui Edison ha
fatto confluire i propri asset
delle rinnovabili in Italia. Se
ancora non è noto l’advisor legale di questa operazione, tra i
papabili potrebbe esserci Cleary Gottlieb, a cui First Reserve
si è recentemente affidato per
cedere al Fondo Strategico italiano (Fsi), assistito da Gianni
Origoni Grippo Cappelli &
partners, la quota del 45% detenuta in Ansaldo Energia.
I grandi capitali emiratini
Investitori dotati di una potenza di fuoco estremamente
appetibile per il Belpaese sono,
poi, i fondi della Penisola araba.
Tradizionalmente di loro interesse è il settore lusso. ll fondo
qatarino Mayhoola, assistito da
Chiomenti, lo scorso febbraio
ha acquisito il 65% del gruppo
Forall Confezioni (affiancato
dallo studio Dfa), proprietario
del marchio di abbigliamento
Pal Zileri. La seconda operazione a stretto giro per Mayhoola,
che, sempre affidandosi a Chiomenti, nel 2012 aveva rilevato
Valentino dal fondo Permira
(assistito da Bonelli Erede Pappalardo e Freshfields). Ma i fondi emiratini non guardano solo
alla moda. Negli ultimi mesi,
infatti, sono stati protagonisti di
una serie di accordi con il Fondo
strategico italiano. In febbraio è
stato annunciato l’investimento congiunto di Fsi, affiancato
da Clifford Chance, e del fondo sovrano Kuwait investment
authority per la creazione di
una newco da 2,5 miliardi con
capitale all’80% di Fsi e al 20%
del fondo kuwaitiano da destinare a favore delle aziende
italiane. Sempre Fsi, nel marzo
2013, nuovamente affiancato da
Clifford Chance, ha creato con
il fondo sovrano Qatar holding,
assistito da Cleary Gottlieb, una
joint venture paritetica per investimenti in settori del made in
Italy. In maggio lo stesso Qatar
holding, affidandosi in quell’occasione a Shearman & Sterling,
ha stipulato un accordo d’investimento per lo sviluppo di
Porta Nuova a Milano. Mentre
l’emiritana Etihad, affiancata da
Dla Piper, si appresta ad acquisire una quota in Alitalia. Una dotazione finanziaria pari a quella
dei fondi arabi è appannaggio
di Crescent Hydepark, società
di investimento panasiatica con
sedi a Singapore e Shanghai,
che assistita da Legance ha acquisito il gruppo di moda Sixty.
Fondi europei ecumenici
Ad essere attivi in Italia anche alcuni fondi europei. In
gennaio, Latham & Watkins
ha assistito Dpe (Deutsche
private equity) nell’acquisizione di una partecipazione di
maggioranza del gruppo Zell-
Bios da Ergon Capital Partners
(seguito da Freshfields). Negli
stessi giorni Paul Hastings affiancava il fondo inglese Fortelus Capital nella cessione del
brand di calzature e accessori
di lusso Bruno Magli alla società indipendente svizzera di
gestione di capitali Da Vinci
Invest. Particolarmente attivo
sul suolo italico anche l’inglese HarbourVest Partners, un
fondo di fondi che dal 1990
ha destinato al Belpaese 613
milioni per quasi 200 aziende: investiti direttamente, attraverso fondi dedicati come
l’Investindustrial di Andrea
Bonomi, che è nel portafoglio clienti di Chiomenti (tra
le operazioni recenti, la cessione di Ducati ad Audi) e la
Bs di Luciano Balbo; investiti indirettamente, attraverso
fondi paneuropei come Bc
partners, Cvc e Permira. Tre
fondi assistiti a più riprese da
Chiomenti (esempio recente
è l’acquisizione di Cerved),
da Giliberti Pappalettera Triscornia, che ha affiancato Bc
partners nell’ingresso in Coin
e da Bonelli Erede Pappalardo,
consulente privilegiato di Permira, assistito nella vendita
di Mcs Italia al fondo d’investimento Emerisque brands,
affiancato da Norton Rose.
Lo stesso fondo che, sempre
avvalendosi della consulenza
di Norton Rose, lo scorso novembre ha rilevato i marchi
minori di Moncler (Marina
Yachting, Henry Cotton’s, Coast Weber Ahaus e la licenza
Cerruti 1881). Particolarmen-
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te interessati alle pmi sono,
invece, i tedeschi. Come ha
riportato recentemente il Financial Times infatti, nel corso del 2013, 23 pmi italiane
sono state vendute proprio ai
tedeschi a prezzi relativamente bassi. Una di queste operazioni ha portato la firma di
Bonelli Erede Pappalardo, che
ha assistito Halder, holding
tedesca attiva in investimenti
nelle pmi, nell’acquisizione di
Bottega Manifatturiera Borse,
azienda produttrice di articoli
di pelletteria di lusso con sede
a Firenze.
Investitori italiani: tanto
prestigio, poca cassa
I fondi di private equity italiani, invece, sembrano quasi
scomparsi. Nonostante abbiano a disposizione oltre 6
miliardi da investire, secondo i dati resi noti dall’Associazione italiana del private
equity e del venture capital,
anziché iniettare denaro in
imprese che ne avrebbero bisogno, preferiscono restituire
ai propri investitori il denaro
raccolto. Tra gli investitori
italiani, il protagonista indiscusso dell’anno scorso è
stato Cassa Depositi e Prestiti
(Cdp), intervenuto sia direttamente, sia tramite il fondo da essa controllato (con il
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16,52%) F2i, nell’acquisto di
quote in Snam, Terna, Sace,
Simest, Fintecna, Sea e Ansaldo Energia. Tra i consulenti
principali di Cdp figurano i
due italianissimi Gianni Origoni e Chiomenti. Il primo
nel 2012 ha affiancato Cdp
nell’acquisto delle partecipazioni in Sace e Simest, vincendo una gara al prezzo di saldo
di 129mila euro. Mentre nel
2013, questa volta per 95mila
euro, si è aggiudicato l’incarico di seguire il progetto Cdp
Reti e l’acquisizione del controllo su Ansaldo da First Reserve e Finmeccanica. Operazione, quest’ultima, di cui non
è nota la parcellazione. Chiomenti, invece, nel 2012 ha affiancato la Cassa nell’acquisizione di Fintecna; mentre
nel 2013 l’ha assistita sul progetto Fondo Kyoto. Il primo
mandato è valso a Chiomenti
una parcella da 40mila euro,
mentre il secondo ha fruttato
84mila euro. Insomma, per gli
advisor di Cdp, da un punto
di vista economico, c’è stato
poco di cui gioire.
Mentre negli anni Novanta
la vicinanza alla “cosa pubblica” ha costituito la fortuna
di tanti studi, oggi – stando
agli ultimi trend del mercato – non costituisce certo la
gallina dalle uova d’oro per gli
advisor legali. Certo il passato
non determinerà il futuro, ma
può fornire delle indicazioni di
massima. E tutti i segnali dicono che, nell’assegnazione dei
mandati, più che la vicinanza
ai vertici del potere istituzionale, che ha costituito il driver
tradizionale del mercato legale
italiano, conteranno i rapporti
degli studi su scala globale.
Dalla rassegna sulle principali operazioni e operatori che
investono nel Belpaese emerge, infatti, un minimo comune
denominatore: gli studi internazionali stanno acquisendo
il controllo sugli investimenti
stranieri in Italia, vale a dire
quelli che portano maggiore
marginalità agli studi. Il mercato sembrerebbe destinato a
concentrarsi sempre più nelle
mani di uno sparuto gruppo di
operatori: quelli che hanno investito sulla creazione di una
rete più globale. Mentre sono
pochissimi i dipartimenti di
finance e di corporate delle
insegne tricolore che riescono
a essere altrettanto competitivi: a emergere nelle operazioni, infatti, sono principalmente i tre big Bonelli, Gianni
e Chiomenti. Allora se, come
auspicabile, dopo anni di crisi
i mercati fossero finalmente
pronti per reinvestire in Italia, c’è da chiedersi quanto ciò
possa costituire il nuovo El
Dorado per gli studi italiani.
Stando alle operazioni registrate finora, ben poco. TL