Leggi la rassegna stampa sul Jobs Act

LA STAMPA
SABATO 27 DICEMBRE 2014
Primo Piano .3
.
GOVERNO:L’OFFENSIVADI FINE ANNO
Arrivano le tutele crescenti
Ma licenziare sarà più facile
Come era
Grandi imprese
Grandi imprese
Prima, con la riforma Fornero, ogni lavoratore dipendente
di un’azienda con più di 15 persone (fresco o di grande anzianità) poteva essere licenziato per ragioni «economiche»
in cambio di un indennità monetaria. Ma: 1) si doveva passare per un giudice; 2) serviva molto più tempo; 3) l’azienda avrebbe speso di più (da un minimo di 12 a un massimo
di 24 mensilità, più eventuali incentivi); 4) il giudice avrebbe potuto decidere di restituire il posto di lavoro al lavoratore licenziato, cioè la tutela dell’articolo 18. Le statistiche
dimostrano che col vecchio sistema comunque il 75% dei
lavoratori licenziati se ne andava in cambio di soldi.
Dopo la riforma, per chi ha già un contratto di lavoro
attivo continuano a valere le regole della legge Fornero.
Chi verrà assunto con un contratto «a tutele crescenti»,
è invece facilmente licenziabile: basterà pagare un’indennità che varia da un minimo di 4 mensilità di stipendio, e sale di 2 mensilità per anno di servizio fino a un
tetto di 24 mensilità. Non si passa mai per il giudice, a
meno che il lavoratore voglia cercare di dimostrare che
si tratta di un licenziamento discriminatorio e nullo. La
stessa disciplina riguarda anche i licenziamenti collettivi, quelli effettuati in caso di crisi aziendale.
Piccole imprese
Piccole imprese
Per i dipendenti di aziende con meno di 15 dipendenti (se
agricole, meno di 5) valevano le regole stabilite da una legge del 1990. Un datore di lavoro poteva così in ogni momento licenziare il suo dipendente. Se il lavoratore non è d’accordo, può chiedere l’intervento di un giudice per verificare se il licenziamento è illegittimo: il giudice condannerà
l’azienda a versare una somma tra un minimo di 2,5 e un
massimo di 6 mensilità. Normalmente le aziende pagano
sempre l’indennità per evitare il passaggio dal giudice. Se
il licenziamento è discriminatorio c’è la riassunzione.
Per tutti i nuovi assunti in una impresa di piccole
dimensioni valgono le procedure stabilite per i licenziamenti economici nelle grandi aziende: soltanto che le indennità economiche sono dimezzate. In
pratica, si parte da due mesi di stipendio il primo
anno, si sale di una mensilità l’anno fino a un massimo indennizzo pari a sei mesi di stipendio del lavoratore.
Licenziamenti disciplinari
Licenziamenti disciplinari
Con la legge Fornero in alcuni casi erano i contratti collettivi, in altri un giudice, a stabilire che cosa accadeva a
un lavoratore licenziato per ragioni disciplinari, se la
sanzione del licenziamento era proporzionata alla colpa
commessa o meno. In generale, il lavoratore poteva recuperare il posto se il fatto contestato non esiste oppure
rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa. In altri casi il lavoratore perdeva il posto, ricevendo però un’indennizzo dal datore di lavoro, variabile a
seconda dei casi da un minimo di 6 a un massimo di 24
mensilità di stipendio.
Adesso per tutti i lavoratori assunti dopo la riforma la
reintegra nel posto di lavoro diventa molto più problematica. Resterà infatti in vigore soltanto per i soli casi di
insussistenza materiale del fatto contestato, a prescindere da quello che stabiliscono i contratti. Parliamo di un
numero estremamente ridotto di casi, dal punto di vista
numerico. In tutte le altre situazioni il lavoratore sarà
licenziato, e riceverà in cambio una indennità economica. Tuttavia, in caso di licenziamento disciplinare in ogni
caso sarà inevitabile un passaggio davanti alla magistratura, che dovrà stabilire chi ha ragione.
Licenziamenti discriminatori
Licenziamenti discriminatori
Se il licenziamento è riconosciuto come discriminatorio (legato a orientamenti sessuali, religione, opinioni politiche, attività sindacale, motivi razziali o
linguistici, handicap, gravidanza, malattia, come
stabiliscono leggi e Costituzione) il lavoratore oggi
viene reintegrato dal giudice nel suo posto di lavoro.
In più all’azienda si impone il pagamento dello stipendio maturato nel periodo di assenza obbligata
per il lavoratore.
In questo caso non cambia nulla. La riforma Renzi però
stabilisce che dagli stipendi arretrati il datore di lavoro
possa detrarre quanto incassato dal lavoratore licenziato grazie ad altri lavori. Si stabilisce che il risarcimento
minimo è di cinque mensilità dello stipendio più contributi arretrati. Il lavoratore, se vuole, oltre al risarcimento potrà decidere di andarsene comunque dall’azienda,
in cambio di un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto esente da contributi.
Come sarà
Al posto del reintegro arriva un indennizzo che va da due a 24 mensilità
La riassunzione sarà possibile soltanto in pochi casi. Ecco cosa cambia
ROBERTO GIOVANNINI
ROMA
ALESSANDRO BIANCHI /REUTERS
Furlan (Cisl)
Baban (Piccola industria Confindustria)
“Funzionerà a patto
che assorba tutti
i contratti precari”
“Giudizio positivo
Ma per le piccole
imprese cambia poco”
ciati in partecipazione: forme
che spesso fingono lavori autonomi, ma sono lavori subordinati mal tutelati e mal pagati».
E voi chiedete?
«Che il nuovo contratto assorba
quelli precari, e possa così creare più stabilità nei rapporti di
lavoro».
Che ne pensate della novità dell’ultim’ora sui licenziamenti collettivi?
«All’ultimo minuto c’era il pericolo che le aziende potessero
evitare il reintegro deciso dal
giudice per i licenziamenti ingiusti disciplinari. Pericolo
scongiurato, come pure la motivazione dello scarso rendimento nei licenziamenti economici.
Noi della Cisl eravamo contrarissimi. Rimane aperta la que-
stione dei licenziamenti collettivi: questo è un tema che può
essere migliorato in sede di
Commissioni parlamentari. Va
invece assolutamente modificato il regime che riguarda il subentro delle imprese negli appalti. Oggi l’impresa che vince
l’appalto prende in carico anche i lavoratori, ma deve prenderli come lavoratori assunti
con le vecchie regole, non come
se partissero da zero».
Qualche commentatore dice che
bisogna superare il dualismo tra
vecchi assunti e nuovi assunti, che
non hanno più l’art. 18.
«Noi siamo assolutamente contrari, non è una cosa in discussione. Anzi, credo che sia importante che le nuove regole si
applichino esclusivamente alle
Numero uno
doppio regime un po’ di confusione la creerà».
Annamaria Furlan
è al timone della Cisl
bale. Ma fin da ora diciamo che
vanno messe in campo tutte le
carte perché il lavoro si crea
con imprese competitive sul
mercato».
Cosa cambia per le Piccole?
«È bene ricordare oltre il
70% del lavoro è fatto da piccole medie aziende con presenze
sindacali più deboli che nelle
grandi. Credo che a queste gioveranno più la parte di decontribuzione della finanziaria e
lo sgravio Irap che ne favorirà
lo sviluppo».
Passi in avanti e indietro…
nuove assunzioni. Per i lavoratori che già oggi hanno i loro
contratti di lavoro devono rimanere in vigore le regole precedenti. Sarebbe certamente ottimale se riuscissimo a uniformare i trattamenti per l’intero
mondo del lavoro: ma guardando verso l’alto, non guardando
verso il basso. È ovvio che se le
nuove regole si applicano attraverso un contratto a tempo indeterminato di cui gode chi oggi
è del tutto precario, bisognerebbe chiedere ai precari stessi
se la novità per loro è da consi[R. GI.]
derarsi positiva».
ELEONORA VALLIN
PADOVA
Giudizio nel complesso positivo per Confindustria che premia velocità e direzione. «Il governo ha chiara l’idea che le
imprese vanno sostenute, vedremo se queste azioni stimoleranno fiducia per il mercato»
spiega Alberto Baban, presidente della Piccola industria.
«Il passo in avanti è stato fatto
sui licenziamenti individuali economici, ma non siamo del tutto
contenti sui disciplinari. Si apre
però uno spiraglio interessante
su Aspi, ammortizzatori sociali e
licenziamenti collettivi».
Confindustria cosa chiede?
«Confindustria ha sempre
chiesto più flessibilità. Oggi
apprezziamo la volontà di mettere in atto tutto e subito».
Cosa non funziona?
I decreti attuativi sul Jobs Act?
«Era meglio fare una riforma
per tutti e non solo per sui contratti a tutele crescenti, questo
«È una lettura complessa: alla
ripresa l’approfondiremo nel
dettaglio per metabolizzarla e
spalmarla nella situazione glo-
Il prossimo step?
«Stimolare gli investimenti,
chiedersi che fine farà il piano
Junker e capire se i soldi della
Bce arriveranno alle imprese».
Renzi ha dichiarato che ora non
«ci sono più alibi per non assumere»
«Credo sia una provocazione,
ma io ho troppo rispetto per le
200mila aziende che hanno
chiuso senza alibi perché sono
inciampate in un sistema troppo complicato tra burocrazia,
credit crunch, uno stato che
non pagava e un mercato complicato. A centinaia non se lo
meritavano».
LA STAMPA
DOMENICA 28 DICEMBRE 2014
Primo Piano .3
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LARIFORMADELLAVORO
Non improvvisiamo:
questo tema non si
impone con la furbizia
di un codicillo
in una delega
sul lavoro privato
Con il contratto
a tutele crescenti
sarà più facile avere un
lavoro con garanzie
degne, la Cgil fa una
guerra d’opposizione
Prossimi impegni
Il ministro Madia
si è detta certa che entro
la primavera sarà approvata
anche la sua riforma
della Pubblica
amministrazione
I contratti precari
delle province sono
prorogati di un anno
e comunque nessuno
degli assunti
perderà il posto
Marianna Madia
Ministro della Pubblica
amministrazione
STEFANO RELLANDINI /REUTERS
Intervista
FRANCESCA SCHIANCHI
ROMA
l Jobs act non si applica ai dipendenti pubblici. E’ sempre stato
pensato solo per il lavoro privato». Il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, interrompe i
pochi giorni di ferie per chiarire che no, la legge delega sul
lavoro non si applicherà agli
statali, «il governo non ha mai
avuto dubbi su questo». E per
raccontare cosa la aspetta al
rientro.
«I
Ministro, eppure il senatore di
maggioranza Ichino spiega che,
così come sono, i decreti del Jobs
act si applicano anche ai lavoratori pubblici.
«Secondo noi, e secondo i tecnici del governo, la norma,
tutta impostata sul lavoro
privato, è scritta invece in
modo per cui è pacifico che le
nuove regole non si applichino ai dipendenti pubblici.
Quello che mi lascia perplessa è che Ichino possa pensare
Madia: le regole valgono solo
per i dipendenti privati
Il ministro: nessuna norma sparita. Sì a modifiche su indicazione parlamentare
che un tema come questo lo affrontiamo con un comma che
entra o esce in una notte».
Ichino ha parlato di un comma che
escludeva espressamente gli statali, sparito all’ultimo minuto.
«Che il comma c’era lo dice lui.
Noi non siamo un governo che
improvvisa: se vogliamo affrontare questo tema, lo facciamo in una discussione approfondita in Parlamento nella riforma della Pa, non cerchiamo
di imporlo con la furbizia di un
comma notturno in una delega
sul lavoro privato».
Scusi, ma questo comma c’era? E’
stato forse al centro di discussioni
nella maggioranza, visto che c’è
chi vorrebbe estendere la riforma
agli statali e chi no?
«Nel governo, e quindi nella
maggioranza, abbiamo sempre
condiviso l’idea che il Jobs act
riguarda solo i lavoratori priva-
ti. Poi c’è chi, come Scelta civica o Sacconi, vorrebbe più flessibilità anche nel pubblico. Ma
eviterei di strumentalizzare la
legge delega sul lavoro privato
per portare avanti questa posizione».
Non sarebbe meglio comunque
chiarire nero su bianco nella norma che gli statali sono esclusi?
«Ripeto, secondo i nostri tecnici non c’è alcuna ambiguità.
Dopodiché, se tecnicamente
dovessimo appurare che è meglio specificare, potremmo anche farlo. Ma non ne farei un dibattito da codicillo: il punto è
che la volontà politica del governo è quella di non includere
nelle nuove regole i lavoratori
pubblici».
I decreti passeranno dalle Commissioniparlamentariperunparere non vincolante: saranno possibili modifiche?
«Perché no? I temi più vengono
approfonditi, meglio è. Quello
che però questo governo ha
chiaro è che nessuno può mettere veti».
Modifiche sono possibili anche sui
licenziamenti collettivi, criticati da
sindacati e minoranza Pd?
«La sintesi a cui sono arrivati
Renzi e il ministro Poletti mi
sembra fatta con equilibrio, per
non creare disparità. Vedremo
i pareri, se saranno convincenti
non sono escluse modifiche».
Chi promette battaglia è la Cgil…
«La Cgil ha fatto del Jobs act
una bandiera di opposizione, è
legittimo. Ma con il contratto a
tutele crescenti e le misure della legge di stabilità sarà più facile avere un lavoro con garanzie degne: chi oggi si sta opponendo, sono le stesse persone
che in questi vent’anni, ponendo continui veti, hanno per-
messo che generazioni di giovani perdessero il lavoro senza
un giorno di preavviso né un
euro di indennità».
A lei si rivolgono preoccupati anche i precari delle province…
«I contratti precari delle province sono prorogati di un anno».
E dopo?
«Vedremo, anche rispetto alle funzioni che svolgono: per
esempio, chi lavora nei centri
per l’impiego, proprio ora
che stiamo rilanciando le politiche attive per il lavoro,
penso sarà ragionevole confermarlo anche oltre. Quello
che posso già garantire è che
nessuno degli assunti delle
province perderà il posto: saranno ricollocati in comuni,
regioni e Stato. Abbiamo
bloccato le assunzioni in tutti
i livelli di governo proprio
per offrire loro una corsia
preferenziale».
Con il rientro arriverà in porto anche la sua riforma della Pa?
«E’ in Commissione affari costituzionali del Senato, conto
che venga approvata entro la
primavera. Nel frattempo abbiamo chiuso la parte normativa dell’anagrafe unica e dell’identità digitale, le infrastrutture che sono il cuore di una vera rivoluzione della Pa».
Che bilancio fa di questi primi dieci
mesi di governo?
«Positivo perché siamo riusciti a
mettere in cantiere molte riforme che entro la primavera saranno tutte approvate, interrompendo una catena di rinvii che dura
da anni. E positivo anche perché
abbiamo rotto un tabù con l’Europa, dimostrando che essere europeisti non significa sposare il
rigore in modo acritico».
Commissioni
Nuovo Centro Destra
Le modifiche proposte
Sacconi: il governo ci aveva
garantito che si applicava
a tutti i tipi di lavoratori
ROMA
Un ex collega nel governo Berlusconi raccontava l’arte politica del possibile con un detto
popolare delle sue parti: «Piuttosto che niente, meglio piuttosto». In questi giorni Maurizio Sacconi ripensa spesso a
quella battuta. Il senatore dell’Ncd non è soddisfatto. Anzi
non lo è quasi per niente. Ma
ha chiaro che quello fatto con il
Jobs Act è un grande passo
avanti, molto di più di quanto
fosse possibile ottenere quando il ministro del Lavoro era
lui. «Poiché i nemici di Renzi
sono i miei, ci sono ottime ragioni per sostenerlo», diceva
qualche giorno fa ad un caro
amico. Margini per ottenere
modifiche non ce ne sono molte. Renzi è riuscito abilmente a
non accorciare troppo la coperta, né di qua, né di là. Ma
che succederà nel concreto? E
se la modifica dell’articolo 18
Senato
Guida la
Commissione
Lavoro
del
Senato
dovesse risultare insufficiente
come quella della riforma Fornero? La sola domanda lo scalda: «La montagna ha partorito
il topolino, il rischio dell’imponderabile di fronte al giudi-
Giudici
Discrezionalità
Estensione
Sacconi vuole
limitare al
minimo la
discrezionalità del giudice.
Due le
soluzioni:
l’«opting out»
o una
formulazione
più restrittiva
del possibile
reintegro
Secondo l’ex
ministro fra le
righe delle
nuove regole
si apre lo
spazio a nuovi
interventi
discrezionali,
ad esempio
quando si
parla del
licenziamento
disciplinare
L’Ncd è
contrario alla
applicazione
delle nuove
regole ai soli
dipendenti
privati. «Nella
proposta del
governo era
previsto che
fosse
allargato a
tutti»
ce resta alto, ad esempio nella
parte che riguarda il licenziamento disciplinare». Sacconi è
convinto che la soluzione trovata non sia in linea con le raccomandazioni europee, e che
l’unico modo per superare in
maniera chiara la reintegrazione resta il cosiddetto «opting out», il meccanismo che in
ogni caso permetterebbe il pagamento di un indennizzo.
«Una ipotesi avanzata dal governo per primo», spiega. «A
questo punto le strade sono
due: o si riparte dall’opting out
oppure meglio prevedere la
reintegrazione nel solo caso in
cui un reato venga considerato
insussistente. La formulazione
“qualunque fatto” è troppo generica». Sacconi spiega che la
reintegrazione così come prevista in Italia esiste solo in
Spagna, Francia e Germania.
Ma anche quando si finisce di
fronte al giudice, quest’ultimo
dispone quasi sempre il risarcimento. Infine la questione
dell’applicazione della riforma
a pubblici e privati che rischia
di creare tutelati di serie A e B:
«Quando presentammo la nostra proposta fu il governo a
dirci che la riforma si sarebbe
applicata anche a loro. Cosa è
cambiato rispetto ad allora?»
Twitter @alexbarbera
LA STAMPA
LUNEDÌ 29 DICEMBRE 2014
Primo Piano .7
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ILMERCATODELLAVORO
Retroscena
CARLO BERTINI
ROMA
entre infuriano le polemiche sul perimetro del Jobs Act limitato ai privati, Matteo Renzi
apre sulla possibilità di estendere la riforma del lavoro anche agli statali. Il premier non
entra nel merito, dice che deciderà il Parlamento nell’ambito della delega sulla pubblica amministrazione, ma fa capire che nuove regole del lavoro potranno riguardare anche
i lavoratori pubblici. Lo dice in
un’intervista a QN, in cui affronta vari temi alla vigilia
della conferenza stampa di fine anno che terrà oggi a Palazzo Chigi. «Sarà il Parlamento a pronunciarsi» sulla
licenziabilità o no degli statali.
«Esiste giurisprudenza nell’uno e nell’altro senso. Ma
non sarà il governo a decidere. A febbraio, quando il provvedimento sul pubblico impiego firmato da Marianna Madia verrà discusso in Parlamento, saranno le Camere a
scegliere. Non mancherà il dibattito, certo».
Ma il dibattito già impazza.
Chi segue da vicino la delega
sul pubblico impiego all’esame della commissione Affari
Costituzionali in Senato spiega che sarà in quella sede che
si dovrà intervenire con una
nuova disciplina per gli statali. Il segnale è che per il governo nulla osta, dunque nessuna
pregiudiziale in tal senso. «La
posizione del governo è di
apertura», conferma Filippo
Taddei, consigliere economico del premier. «Tenendo presenti la specificità e il livello di
complessità aggiuntiva della
pubblica amministrazione, la
materia va presa in considerazione e non rinunciamo a
farlo».
Il premier chiarirà meglio
oggi a Palazzo Chigi: quando
farà il punto su quanto fatto
nel 2014 - lavoro, riforme, semestre europeo, crisi industriali affrontate. E sull’agenda 2015, puntando sulla responsabilità rispetto agli impegni presi, con un occhio
particolare alla crescita e alla
flessibilità richiesta all’Europa. Un anno che si aprirà con
la partita più dura, quella del
Quirinale, che andrà in scena
in concomitanza con l’ingorgo
parlamentare per le riforme
M
Lecrisi
deigiornali
delPd
Europa
«Il Pd ha
deciso di
proseguire le
pubblicazioni
di Europa con
un’altra redazione». È la
denuncia del
comitato di
redazione del
quotidiano
postata ieri
sul sito nel
saluto ai
lettori
Redazione
Da gennaio
Europa verrà
prodotta
nella sede Pd
al Nazareno, a
opera di
giornalisti
dell’ufficio
stampa del Pd
integrati da
una minoranza dei redattori che hanno fatto il
giornale in
questi anni
Renzi riapre il fronte
“Riforma per gli statali?
Decida il Parlamento”
E sulla partita del Quirinale proverà a incontrare anche Grillo
FABIO CIMAGLIA/LAPRESSE
cruciali, quella elettorale e
quella costituzionale. Che Renzi conta di portare a casa entro
la fine del prossimo mese, ben
sapendo che non sarà facile
sbloccare le resistenze di chi
teme le urne anticipate. Specie
dopo aver chiarito di voler concedere il voto sulla clausola di
salvaguardia che lega l’entrata
Insieme
Matteo Renzi
con Marianna
Madia
in vigore dell’Italicum a settembre 2016 solo dopo che saranno votati tutti gli articoli
della legge e non prima. E se
molti temono che una volta for-
Il dibattito nei ministeri
Licenziamenti economici e rebus Rai
I nodi che mettono in crisi il governo
3,5
FRANCESCA SCHIANCHI
ROMA
Ad aprire all’eventualità ci ha
pensato il premier Matteo Renzi in persona. Rinviando ogni
decisione a febbraio in Parlamento, alla discussione della riforma della Pubblica amministrazione. Lì dove gli emendamenti già sono stati depositati e
ce ne sono alcuni che prevedono possibilità di licenziamento
degli statali. Un’ipotesi che non
è contemplata dal Jobs act (la
norma si applica solo ai privati,
hanno spiegato i ministri Madia
e Poletti), ma su cui c’è una riflessione nel governo.
Che Renzi non sia contrario
per principio, lo dimostra la sua
intervista «aperturista» di ieri
al QN. Ma anche il ministro
competente, la responsabile
della Pa Marianna Madia, non è
mai stata pregiudizialmente
contraria a intervenire con
nuove regole nel settore: quando era ancora solo una giovane
deputata del Pd, presentò come
prima firmataria una proposta
di «contratto unico di inserimento formativo», Cuif, una
sorta di contratto a tutele crescenti espressamente rivolto
anche ai lavoratori pubblici.
Anche perché, ragionano al
governo, essendo tanti i precari
della Pa, introdurre un contratto più flessibile potrebbe essere
un modo per offrire loro qual-
milioni
Sono i dipendenti
delle pubbliche amministrazioni a
tempo
indeterminato in Italia
che tutela in più. Il punto su cui
però si stanno interrogando è
come si potrebbero applicare le
stesse regole del Jobs act, data
la specificità del rapporto di lavoro pubblico. Nel caso di un
ministero o di un comune, per
esempio, quando scattano le ragioni «economico-organizzative»? Considerato, tra l’altro,
che l’art. 33 del Testo unico per
il pubblico impiego prevede già
la possibilità della «messa in disponibilità» di un dipendente
laddove ci sia bisogno di diminuire il personale, all’80% di stipendio per due anni, in attesa di
una ricollocazione altrove o, alla peggio, dell’uscita dall’amministrazione. Ipotesi che però,
malizzate le dimissioni di Napolitano la scena politica sarà
di fatto paralizzata, il premier
invece è fiducioso di sbloccare
almeno al Senato la nuova legge elettorale prima di dare la
parola ai grandi elettori. Per
una partita che Renzi conta di
giocare allargando il più possibile la platea degli interlocutori. Tanto che batterà tutte le
strade per un’intesa il più ampia possibile, provando ad incontrare quando sarà il momento pure i leader della Lega
e dei Cinque Stelle, cioè Salvini
e Grillo, sempre che le condizioni lo consentiranno.
«Noi cerchiamo il dialogo
con tutti coloro che sono disponibili a farlo», spiega Lorenzo
Guerini, braccio destro di Renzi
per le questioni istituzionali.
«Quindi pure con Salvini e Grillo, cercando il più ampio consenso possibile, certo se c’è
condivisione di un metodo che
prevede il riconoscimento reciproco e un’assunzione di responsabilità comune. Vediamo
le dichiarazioni dei prossimi
giorni dei Cinque Stelle, poi andremo a vedere le carte, per ora
siamo in una fase di studio».
Con una postilla significativa
che mostra come questo snodo
sarà il banco di prova per la durata della legislatura. Perché
pur dicendosi fiducioso che la
prova sarà superata con onore,
Guerini ammette che «un Parlamento che rimettesse in scena il dramma dello scorso aprile 2013 sarebbe delegittimato
agli occhi di italiani».
spiega il senatore Ichino, non si
verifica mai.
La domanda che si stanno facendo al ministero è insomma
quale sia il perimetro, nel settore pubblico, entro cui si possano eventualmente applicare
nuove regole. Un perimetro così difficile da delimitare che ancora ci si interroga se la Rai o
altre aziende partecipate saranno già regolate dal Jobs act.
E proprio considerare l’efficacia delle nuove norme nel privato sarà utile per valutare se
estenderle al pubblico. Come
prevede Renzi, sul tema «non
mancherà il dibattito»: solo nel
Pd, mentre la giovane deputata
lettiana Anna Ascani non esita
a proporre il nuovo contratto
anche per i pubblici, Cesare Damiano si dice contrario «a
estendere norme che liberalizzino un’eccessiva possibilità di
licenziamento». E Fassina attacca Renzi: «Squallido teatrino di Palazzo su pelle lavoratori
pubblici. Grave che premier si
lavi le mani».