Aggiornamenti su Antimafia e white list (articoli di L.Savelli)

20/10/2014
Tempi più stretti per i nullaosta anticriminalità, ma resta il nodo della banca dati - Edilizia e Territorio
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15 ottobre 2014
Tempi più stretti per i nullaosta anticriminalità,
ma resta il nodo della banca dati
di Laura Savelli
Il quadro della disciplina antimafia è stato completato. A pochi giorni dalla scadenza della delega contenuta nella
legge n. 136/2010, esercitabile sino al prossimo 13 ottobre, il Consiglio dei Ministri ha definitivamente approvato,
in occasione della sua ultima seduta del 6 ottobre, il secondo decreto correttivo del Codice antimafia, dopo aver
ricevuto il parere delle competenti commissioni parlamentari. Manca solamente un ultimo passaggio: la
pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale, dopodiché il nuovo pacchetto di modifiche diverrà operativo
una volta decorsi i successivi trenta giorni.
Diverse le novità introdotte, alcune delle quali, peraltro, risolutive di specifici problemi riscontrati sino ad oggi
nelle procedure di rilascio della documentazione antimafia. Anche se, al tempo stesso, non può non rilevarsi
che, nonostante l'ulteriore intervento correttivo, l'intera disciplina continua a presentare quell'anomalia da cui è
affetta sin dall'origine: la mancanza di una banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, attorno
alla quale ruotano tutti i meccanismi procedurali contemplati dal Libro II del Dlgs n. 159/2011.
Ad oggi, infatti, come si legge nell'analisi di impatto della regolamentazione allegata al provvedimento appena
varato, lo schema di regolamento sul funzionamento del database ha ricevuto il parere favorevole del Garante
per la protezione dei dati personali ed è all'esame del Consiglio di Stato, per l'ottenimento dell'ulteriore parere di
competenza di Palazzo Spada.
Considerato dunque lo stato dell'arte, è innegabile che, sino a quando la banca dati non sarà messa a punto, il
quadro normativo della disciplina antimafia non potrà dirsi effettivamente completato, né tantomeno
correttamente applicabile, come dimostrano anche tutte le singole innovazioni introdotte con il recente intervento
di riforma.
Il rilascio della comunicazione antimafia
A riprova di tale imperfezione, basti considerare che la prima modifica introdotta dal secondo decreto correttivo
rimodula e chiarisce i passaggi procedurali del rilascio della comunicazione antimafia, ancora una volta in
funzione del tassello mancante della banca dati.
In base alla nuova formulazione dell'articolo 87, comma 1, del Dlgs. n. 159/2011, infatti, «la comunicazione
antimafia è acquisita mediante consultazione della banca dati nazionale unica da parte dei soggetti di cui
all'articolo 97, comma 1, debitamente autorizzati, salvo i casi di cui all'articolo 88, commi 2, 3 e 3-bis»; a
differenza, dunque, dell'edizione originaria del testo, la quale stabiliva, in maniera non altrettanto chiara, che la
comunicazione antimafia era rilasciata dal prefetto ed era conseguita mediante consultazione della banca dati
da parte delle stazioni appaltanti.
In altri termini, il nuovo provvedimento legislativo precisa che, prima della stipula dei contratti di appalto di
importo compreso tra 150 mila euro e la soglia comunitaria, la comunicazione antimafia dovrà essere acquisita
in prima battuta dalle stazioni appaltanti mediante l'ausilio dell'archivio informatico e, soltanto laddove
l'interrogazione dovesse rilevare la sussistenza di misure di prevenzione a carico del soggetto sottoposto a
verifica, la documentazione sarà allora rilasciata, in seconda battuta, dal prefetto.
In tale ultimo caso, infatti, come già previsto dall'articolo 88, il prefetto dovrà effettuare le necessarie verifiche e
accertare la corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della banca dati alla situazione
aggiornata del soggetto sottoposto ad accertamento (cfr. articolo 88, comma 2, Dlgs. n. 159/2011). A questo
punto, soltanto laddove tali ulteriori controlli dovessero concludersi con esito positivo, vale a dire con la conferma
della sussistenza di un provvedimento di carattere preventivo a carico del soggetto posto sotto controllo, il
prefetto rilascerà la comunicazione antimafia interdittiva; in caso contrario, il prefetto rilascerà invece la
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comunicazione antimafia liberatoria (cfr. articolo 88, comma 3, Dlgs. n. 159/2011). E, allo stesso modo si
procederà anche nel caso che la consultazione della banca dati sia eseguita per un soggetto non censito (cfr.
articolo 88, comma 3-bis, Dlgs. n. 159/2011).
A cambiare poi, con il secondo decreto correttivo, è anche il termine concesso alle prefetture per il rilascio della
comunicazione antimafia, che viene fissato in trenta giorni decorrenti dalla data di consultazione della banca dati,
anziché nei previgenti quarantacinque giorni decorrenti dalla data di ricevimento della richiesta inoltrata dalla
stazione appaltante alla prefettura. E, al tempo stesso, scompare la possibilità della proroga del termine di
ulteriori trenta giorni, originariamente circoscritta dall'articolo 88, comma 4, del Codice antimafia alle sole ipotesi
di verifiche di particolare complessità.
Ma, sul fronte delle comunicazioni antimafia, l'assoluta novità contenuta nella manovra di riforma è rappresentata
dall'introduzione della regola della stipula contrattuale sotto condizione risolutiva in caso di mancato rilascio
della documentazione da parte della prefettura nei termini di legge, analogamente a quanto dispone l'articolo 92,
comma 3, del Dlgs. n. 159/2011 per l'ipotesi speculare del mancato rilascio dell'informazione antimafia.
Con l'inserimento del comma 4-bis all'interno dell'articolo 88, viene infatti stabilito che «decorso il termine di cui
al comma 4, i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, procedono anche in assenza della comunicazione
antimafia, previa acquisizione dell'autocertificazione di cui all'articolo 89. In tal caso, i contributi, i finanziamenti, le
agevolazioni e le altre erogazioni di cui all'articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti di cui
all'articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il
pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del
rimanente, nei limiti delle utilità già conseguite».
E così, di seguito, anche i nuovi commi 4-ter e 4-quater dell'articolo 88 del Codice antimafia dispongono
rispettivamente, in via parallela a quanto già stabilito ai commi 4 e 5 dell'articolo 92 per le informazioni prefettizie,
che «la revoca e il recesso di cui al comma 4-bis si applicano anche quando la sussistenza delle cause di
decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 è accertata successivamente alla stipula del
contratto, alla concessione di lavori o all'autorizzazione al subcontratto», e che «il versamento delle erogazioni di
cui alla lettera g) dell'articolo 67 può essere in ogni caso sospeso fino alla ricezione da parte dei soggetti
richiedenti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, della comunicazione antimafia liberatoria».
In estrema sintesi, dunque, una volta che siano decorsi infruttuosamente trenta giorni, il contratto potrà essere
siglato sotto condizione risolutiva, previa acquisizione dell'autocertificazione da parte dell'impresa, ed essere poi
risolto, qualora dovesse arrivare in un secondo momento, da parte della prefettura, una comunicazione antimafia
che rilevi la sussistenza di una misura di prevenzione a carico del contraente: una soluzione legislativa che pone
fine a situazioni di stallo spesso venutesi a creare nella prassi operativa, a causa del mancato rilascio delle
comunicazioni antimafia in tempi ragionevoli e della consecutiva sospensione sine die delle stipule contrattuali.
L'introduzione della regola del silenzio-assenso anche nell'ambito della disciplina della comunicazione
antimafia ha pertanto condotto, di conseguenza, alla modifica della norma sull'autocertificazione contenuta
nell'articolo 89, comma 1, del Dlgs. n. 159/2011 che, d'ora in avanti, conterrà un espresso richiamo alla
possibilità che il soggetto sottoposto a verifica dichiari l'insussistenza di misure di prevenzione a proprio carico
nel caso di mancato rilascio nei termini della comunicazione antimafia, oltre che nell'ipotesi tradizionale dei
contratti e dei subcontratti relativi a lavori, servizi o forniture dichiarati urgenti e dei provvedimenti di rinnovo
conseguenti a provvedimenti già disposti.
Ma, novità si registrano anche sotto il profilo degli adempimenti che debbono essere assolti in via ulteriore dalle
prefetture. Stando a quanto disposto dal nuovo comma 4-quinquies dell'articolo 88 del Dlgs. n. 159/2011, il
provvedimento di natura interdittiva dovrà essere comunicato dal prefetto, entro cinque giorni dalla sua adozione,
all'impresa, società o associazione interessata, secondo le modalità previste dall'articolo 79, comma 5-bis, del
Codice dei contratti, vale a dire con le stesse modalità utilizzate dalla stazione appaltante per le comunicazioni
effettuate ai concorrenti relativamente ai provvedimenti di aggiudicazione definitiva e di esclusione dalla
procedura di gara, o all'avvenuta stipula del contratto. Pertanto, anche le comunicazioni antimafia di tipo
interdittivo dovranno essere trasmesse dalla prefettura per iscritto, con lettera raccomandata (e relativo avviso di
ricevimento), oppure mediante notificazione, posta elettronica certificata o fax, al domicilio eletto o all'indirizzo di
posta elettronica o al numero di fax indicato dal destinatario in sede di candidatura o di offerta.
Completa infine il quadro delle modifiche apportate alla disciplina di tale tipologia di verifica un'ultima
disposizione, rappresentata dal nuovo articolo 89-bis del d.lgs. n. 159/2011, che interviene a regolamentare
l'ipotesi di accertamento di tentativi di infiltrazione mafiosa in esito alla richiesta di una mera comunicazione
antimafia. Stabilisce infatti il primo comma di tale disposizione che, «quando in esito alle verifiche di cui
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all'articolo 88, comma 2, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta
comunque un'informazione antimafia interdittiva e ne dà comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all'articolo
83, commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafia».
Va da sé dunque che, in tale ipotesi, l'accertamento di elementi, dai quali si desuma che il soggetto sottoposto a
verifica sia in odore di mafia, non potrà che condurre al rilascio di un'informazione prefettizia, sebbene la
prefettura sia stata chiamata a rilevare la sola sussistenza di misure di prevenzione. E, difatti, il comma 2 del
nuovo testo normativo chiude, affermando che «l'informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene
luogo della comunicazione antimafia richiesta».
Il rilascio dell'informazione antimafia
Modifiche in vista anche per il rilascio dell'informazione antimafia, vale a dire della documentazione prefettizia
richiesta dalle stazioni appaltanti per la stipula dei contratti di appalto di importo superiore alla soglia
comunitaria e per l'autorizzazione dei subappalti di importo superiore a 150 mila euro, finalizzata
all'accertamento non solo della sussistenza di misure di prevenzione a carico dei soggetti sottoposti a verifica,
ma anche di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa.
Anche in tal caso, vengono infatti riformulate le modalità di rilascio dell'informazione antimafia, attraverso la
riscrittura dell'articolo 90, comma 1, del Dlgs. n. 159/2011, nei termini che seguono: «L'informazione antimafia è
conseguita mediante consultazione della banca dati nazionale unica da parte dei soggetti di cui all'articolo 97,
comma 1, debitamente autorizzati, salvo i casi di cui all'articolo 92, commi 2 e 3».
Dunque, in perfetto allineamento con quanto disposto per la comunicazione antimafia, anche l'informativa
prefettizia dovrà essere dapprima acquisita dalle stazioni appaltanti attraverso l'interrogazione della banca dati e,
soltanto laddove il consulto dovesse rilevare la sussistenza di misure di prevenzione o di tentativi di infiltrazione
mafiosa a carico del soggetto sottoposto a verifica, il rilascio della documentazione sarà posto a carico della
prefettura, che provvederà ad effettuare le necessarie verifiche prima di rilasciare il provvedimento di natura
interdittiva o liberatoria (cfr. articolo 92, comma 2, Dlgs. n. 159/2011).
Sotto tale ultimo profilo, il secondo decreto correttivo interviene anche sui termini di rilascio dell'informazione
antimafia, dettati sempre dall'articolo 92, comma 2, del Dlgs. n. 159/2011, dal momento che, da un lato, riduce
da quarantacinque a trenta giorni il tempo concesso alle prefetture per completare gli accertamenti del caso;
mentre, dall'altro lato, eleva da trenta a quarantacinque giorni la possibilità di proroga nel rilascio della
certificazione, in caso di verifiche di particolare complessità. In sostanza, il legislatore ha effettuato una mera
inversione dei termini che, soprattutto nelle ipotesi di maggiore difficoltà nell'espletamento dei controlli, si
concluderà sempre con una sommatoria di ben settantacinque giorni per il completamento degli accertamenti
richiesti.
Ma, un'ulteriore riduzione della tempistica si registra anche nell'ipotesi in cui le stazioni appaltanti decidano di
procedere con la stipula del contratto sotto condizione risolutiva, in caso di mancato rilascio dell'informazione
antimafia nei termini di legge concessi alla prefettura. In tali ipotesi, infatti, il contratto potrà essere siglato una
volta che siano trascorsi trenta giorni, anziché quarantacinque, dalla data di consultazione della banca dati,
invece che dalla data di ricevimento della richiesta da parte dell'amministrazione, come disponeva la versione
originaria dell'articolo 92, comma 3, del Codice antimafia. Allo stesso modo, nei casi di urgenza, il contratto potrà
essere stipulato immediatamente, anziché dopo quindici giorni decorrenti dalla ricezione della richiesta da parte
della stazione appaltante, come stabilito nella precedente edizione normativa.
Confermata infine, anche per le informazioni antimafia, la nuova regola, introdotta mediante l'inserimento del
nuovo comma 2-bis dell'articolo 92 del Dlgs. n. 159/2011, che pone a carico della prefettura l'obbligo di
comunicazione del provvedimento a carattere interdittivo al soggetto interessato. Pertanto, anche in tal caso,
l'informativa antimafia dovrà essere comunicata, entro cinque giorni dalla sua adozione, all'impresa, società o
associazione interessata, secondo le modalità previste dall'articolo 79, comma 5-bis, del Codice dei contratti,
ossia per iscritto, con lettera raccomandata (e relativo avviso di ricevimento), oppure mediante notificazione,
posta elettronica certificata o fax, al domicilio eletto o all'indirizzo di posta elettronica o al numero di fax indicato
dal destinatario in sede di candidatura o di offerta.
Ma, con tale ultima previsione, è stato effettuato anche un raccordo normativo con l'altra novità legislativa in
materia di informazioni antimafia, introdotta dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, con riferimento alla
possibilità riconosciuta al prefetto di porre le imprese colpite da provvedimenti interdittivi durante la fase
contrattuale sotto l'applicazione di misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio, al fine di evitare
proprio la risoluzione del rapporto. Il secondo periodo del nuovo articolo 92, comma 2-bis, del d.lgs. n. 159/2011
stabilisce infatti che: "Il prefetto, adottata l'informazione antimafia interdittiva, verifica altresì la sussistenza dei
presupposti per l'applicazione delle misure di cui all'articolo 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n.
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90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e, in caso positivo, ne informa
tempestivamente il Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione". E, così disponendo, il legislatore ha
sostanzialmente recepito le osservazioni formulate lo scorso 30 settembre dal Presidente Cantone alla
Commissione Giustizia della Camera dei Deputati sulla opportunità di operare il necessario coordinamento tra il
Codice antimafia e il decreto-legge n. 90/2014.
L'acquisizione dell'informazione antimafia a carico dei familiari conviventi
Con il secondo decreto correttivo, arriva poi la soluzione al problema dell'estensione degli accertamenti ai
familiari conviventi dei soggetti sottoposti a verifica antimafia, in caso di richiesta di informazione antimafia: un
problema che, sino ad oggi, aveva dato luogo a notevoli difficoltà operative per le stazioni appaltanti, causate in
particolar modo dal frequente rifiuto, da parte degli aggiudicatari, di fornire le generalità dei propri conviventi. E
ciò, soprattutto per esigenze di privacy, particolarmente avvertite dai residenti all'estero che, pur rivestendo ruoli
di direttore tecnico, di socio o di amministratore delegato, hanno legittimamente manifestato il proprio dissenso
a fornire i dati dei propri familiari, per consentire alle prefetture di effettuare i controlli antimafia.
Sennonché, la soluzione arriva direttamente per via legislativa, attraverso la specificazione apportata all'interno
dell'articolo 85, comma 3, del d.lgs. n. 159/2011 che, d'ora in avanti, circoscriverà tali accertamenti ai soli familiari
conviventi di maggiore età, che risiedono nel territorio dello Stato, e non genericamente alla categoria dei
familiari conviventi, come stabilisce oggi l'attuale edizione del Codice antimafia.
La competenza al rilascio della documentazione antimafia
Cambio di regole anche per l'individuazione della competenza prefettizia al rilascio della documentazione
antimafia. Da quando entrerà in vigore il secondo decreto correttivo, sia la comunicazione, sia l'informazione
dovranno essere infatti rilasciate dalla prefettura della provincia in cui le persone fisiche, le imprese, le
associazioni o i consorzi risiedono o hanno la sede legale, ovvero dal prefetto della provincia in cui è stabilita
una sede secondaria con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato per le società di cui all'articolo 2508 del
codice civile; mentre, per le società costituite all'estero, prive di una sede secondaria con rappresentanza stabile
nel territorio dello Stato, la competenza al rilascio della documentazione antimafia sarà affidata al prefetto della
provincia in cui le stazioni appaltanti richiedenti hanno sede. Tale criterio si sostituisce dunque a quello attuale
basato, invece, sulla competenza della prefettura della provincia in cui ha sede l'amministrazione procedente.
L'utilizzo della documentazione antimafia nell'ambito di procedimenti diversi
Marginale, per non dire superflua, appare invece la modifica relativa all'utilizzabilità della documentazione
antimafia nell'ambito di procedimenti diversi. Mediante l'inserimento del comma 2-bis all'interno dell'articolo 86
del d.lgs. n. 159/2011, viene infatti stabilito che «fino all'attivazione della banca dati nazionale unica, la
documentazione antimafia, nei termini di validità di cui ai commi 1 e 2, è utilizzabile e produce i suoi effetti anche
in altri procedimenti, diversi da quello per il quale è stata acquisita, riguardanti i medesimi soggetti»: una prassi
che, aldilà del novello dato normativo, risulta essere già in uso presso le stazioni appaltanti che, trovandosi
dinanzi ad un medesimo aggiudicatario di gare differenti, evitano di aggravare i procedimenti richiedendo alle
prefetture una comunicazione o un'informazione antimafia già in loro possesso, qualora posseggano una
documentazione ancora valida.
La banca dati nazionale unica della documentazione antimafia.
Aldilà della rilevazione iniziale sull'inesistenza attuale della banca dati a completamento del sistema delineato
dal Dlgs. n. 159/2011, nell'ambito del secondo decreto correttivo, compare in realtà una disposizione a dir poco
singolare, contenuta nel nuovo articolo 99-bis del Codice antimafia.
Con l'inserimento di tale norma, viene infatti stabilito che, «qualora la banca dati nazionale unica non sia in
grado di funzionare regolarmente a causa di eventi eccezionali, la comunicazione antimafia è sostituita
dall'autocertificazione di cui all'articolo 89 e l'informazione antimafia è rilasciata secondo le modalità previste
dall'articolo 92, commi 2 e 3». In tali casi - prosegue la disposizione - il Ministero dell'interno pubblica
immediatamente l'avviso del mancato funzionamento della banca dati sul proprio sito istituzionale, nonché sui
siti delle prefetture e, con le stesse modalità, provvede a dare notizia del ripristino del suo funzionamento.
Senza dubbio, si tratta di una norma sibillina, che potrebbe lasciar presagire un imminente annuncio di mancato
funzionamento della banca dati, non appena il secondo decreto correttivo farà la sua comparsa in Gazzetta
Ufficiale ed entrerà in vigore una volta che siano decorsi trenta giorni dalla sua pubblicazione. A meno che,
ovviamente, entro tale termine non sia portato a compimento l'iter di approvazione del regolamento sul
funzionamento della banca dati e diverrà dunque operativo l'archivio informatico.
Ma, qualora non dovesse verificarsi tale ultima ipotesi, e dovesse invece essere dato l'annuncio ufficiale del
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mancato funzionamento della banca dati, si otterrebbe il seguente risultato: la comunicazione antimafia
diventerà sempre autocertificabile, mentre l'informazione antimafia continuerà ad essere acquisita secondo le
modalità tradizionali. Con un ulteriore aggravio però per i contratti di appalto di importo fino alle soglie
comunitarie, dal momento che il nuovo articolo 99-bis del Dlgs. n. 159/2011 precisa in via ulteriore che, nel caso
in cui la comunicazione antimafia sia sostituita dall'autocertificazione, «i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni
e le altre erogazioni di cui all'articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e previa presentazione di una
garanzia fideiussoria di un importo pari al valore del contributo, finanziamento, agevolazione o erogazione».
Il regime transitorio
In chiusura del provvedimento, è stata poi inserita anche una norma a definizione del periodo transitorio.
Secondo tale disposizione finale, alle richieste di rilascio della documentazione antimafia presentate
anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto correttivo, continueranno ad applicarsi le previgenti
disposizioni del Dlgs. n. 159/2011.
Tuttavia, alcune delle modifiche apportate dall'intervento di riforma troveranno applicazione immediata, a
prescindere dall'avvenuta richiesta di rilascio della documentazione antimafia.
Nello specifico, si tratta dell'articolo 85, comma 3, relativo alla restrizione della categoria dei familiari conviventi;
dell'articolo 86, comma 2-bis, sull'utilizzabilità della documentazione antimafia nell'ambito di procedimenti diversi
da quelli per i quali è stata acquisita; dell'articolo 88, commi 4, 4-bis, 4-ter, 4-quater e 4-quinquies, con
riferimento al termine di rilascio della comunicazione antimafia da parte della prefettura, all'introduzione della
regola del silenzio-assenso per mancato rilascio di tale documentazione dei termini di legge e all'obbligo di
comunicazione del provvedimento interdittivo al soggetto interessato da parte della stessa prefettura; dell'articolo
89, comma 1, riferito alla possibilità che il soggetto sottoposto a verifica autocertifichi l'insussistenza di misure di
prevenzione ai fini della stipula contrattuale, per mancato rilascio della comunicazione antimafia nei termini
concessi alla prefettura; dell'articolo 89-bis, sull'accertamento di tentativi di infiltrazione mafiosa in esito alla
richiesta di comunicazione antimafia; ed, infine, dell'articolo 92, commi 2, 2-bis, 3 e 5, contenente i nuovi termini
di rilascio dell'informazione antimafia e di stipula contrattuale, oltre che la regola dell'obbligo di comunicazione
della stessa informativa interdittiva al soggetto interessato da parte della prefettura.
I problemi irrisolti
Nonostante il secondo decreto correttivo, resta ancora una volta senza soluzione il problema della esenzione
dalle verifiche disposta dal Codice antimafia per i contratti ed i subcontratti di importo inferiore a 150 mila euro, in
aperto contrasto innanzi tutto con la disciplina del subappalto contenuta nel Codice dei contratti (Dlgs. n.
163/2006), che non prevede a tal riguardo alcuna soglia di esenzione dagli accertamenti antimafia, ma anche
con la disciplina dei requisiti di ordine generale (cfr. articolo 38, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 163/2006), che
ciascun operatore economico deve possedere in maniera indistinta sia ai fini dell'ammissione alla gara, sia ai
fini dell'ottenimento dell'autorizzazione al subappalto.
Pertanto, con tale occasione legislativa, svanisce una nuova possibilità di correggere un difetto di coordinamento
normativo, che rischia non solo di continuare a creare diversi problemi operativi alle stazioni appaltanti, all'atto
delle verifiche sui contratti e i subcontratti ricadenti al di sotto della soglia di 150 mila euro, ma anche di
vanificare gli accertamenti antimafia sui soggetti destinatari di tali affidamenti.
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Rafforzate le white list, ma l'iscrizione all'albo resta facoltativa - Edilizia e Territorio
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Rafforzate le white list, ma l'iscrizione all'albo
resta facoltativa
di Laura Savelli
Nel decreto-legge 24 gennaio 2014, n. 90, c'è posto anche per le white list. L'articolo 29, comma 1, della recente
manovra legislativa è intervenuto infatti a modificare la disciplina relativa agli elenchi prefettizi dei fornitori,
prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa, contenuta nell'articolo 1,
commi da 52 a 57, della legge anticorruzione, e completata dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
18 aprile 2013, che ne ha dettato le modalità operative.
La norma originaria
In realtà, la modifica ha interessato il solo comma 52 dell'articolo 1 della legge n. 190/2012 che, nella sua
versione originaria, si limita, da un lato, a disporre l'istituzione, presso ogni prefettura, delle c.d. white list, vale a
dire delle liste, ad iscrizione facoltativa, di soggetti imprenditoriali operanti in determinati settori di attività,
considerati particolarmente esposti al rischio di infiltrazione mafiosa; e, dall'altro lato, precisa che l'impresa
iscritta acquisisce automaticamente, con l'ingresso in una white list, i requisiti per l'informazione antimafia,
avendo di fatto già superato, per ottenere l'iscrizione, la fase di accertamento di eventuali tentativi di infiltrazione
mafiosa a proprio carico. In altri termini, la presenza di un'impresa negli elenchi prefettizi esonera la stazione
appaltante dal dover effettuare le verifiche antimafia, considerato peraltro che - secondo tale disposizione - la
prefettura è tenuta ad effettuare controlli periodici sulla perdurante insussistenza di tali rischi e, in caso di esito
negativo, a disporre la cancellazione dell'impresa dall'elenco.
L'equiparazione della white list alla documentazione antimafia
La nuova versione del comma 52 è strutturata invece in maniera totalmente diversa, dal momento che esordisce
in prima battuta, ponendo a carico delle stazioni appaltanti un vero e proprio obbligo di acquisire sia la
comunicazione, sia l'informazione antimafia attraverso la consultazione, anche in via telematica, delle white list.
Da tale punto di vista, dunque, la riedizione della norma risolve un problema interpretativo che si era posto sin
dall'istituzione degli elenchi prefettizi, con riferimento all'equiparazione dell'iscrizione nella white list alla sola
informazione antimafia.
Come già anticipato in precedenza, l'articolo 1, comma 52, della legge n. 190/2012 disponeva, in origine, che
l'iscrizione negli elenchi «soddisfa i requisiti per l'informazione antimafia per l'esercizio delle relative attività». E
difatti, anche l'articolo 7, comma 1, del Dpcm ha precisato che «l'informazione antimafia non è richiesta nei
confronti delle imprese iscritte nell'elenco per l'esercizio delle attività per cui è stata disposta l'iscrizione
medesima».
Sennonché, dal combinato disposto delle due norme, risultava anomala la mancata equiparazione
dell'iscrizione nelle white list anche alla comunicazione antimafia, che costituisce una forma di controllo inferiore
rispetto a quella che viene invece effettuata nel caso dell'informazione. Come noto, infatti, la differenza tra le due
tipologie di documenti è rappresentata proprio dal diverso accertamento condotto sui requisiti di non mafiosità
del soggetto sottoposto a verifica, in funzione della soglia di importo contrattuale: da un lato, la comunicazione
antimafia è diretta ad accertare l'insussistenza delle cause di decadenza, sospensione o divieto di contrarre con
la Pa, derivanti dall'applicazione di una misura di prevenzione, ed è richiesta per i contratti di appalto di importo
compreso tra 150 mila euro e la soglia comunitaria; dall'altro lato, l'informazione estende l'accertamento anche
alla eventuale sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, ed è invece acquisita non solo per i contratti di
appalto di importo superiore alla soglia comunitaria, ma anche per i subcontratti di importo superiore a 150 mila
euro.
Sotto tale profilo, dunque, sembrava trattarsi di un dato normativo all'apparenza inspiegabile, essendo implicito
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Rafforzate le white list, ma l'iscrizione all'albo resta facoltativa - Edilizia e Territorio
che un'impresa iscritta in una white list abbia superato i controlli anche con riferimento a quelle situazioni
rilevanti ai fini del rilascio della comunicazione antimafia, peraltro assorbiti dalla stessa informazione. Anche se,
con ogni probabilità, la ragione di tale scelta legislativa era riconducibile alla circostanza che gli elenchi prefettizi
sono stati istituiti per le sole attività tipicamente classificabili come subaffidamenti, e cioè per le attività soggette
al rilascio dell'informazione, e non della comunicazione antimafia.
Ad ogni modo, il decreto-legge n. 90/2014 ha oggi sgomberato il campo da ogni dubbio, facendo coincidere la
consultazione della white list con l'acquisizione sia della comunicazione, sia dell'informazione antimafia.
Pertanto, al tempo stesso, deve considerarsi superato il dato normativo contenuto nel Dpcm, laddove dispone
che solo l'informazione antimafia non è richiesta nei confronti delle imprese iscritte nell'elenco.
Peraltro, la legge di conversione del decreto n. 90/2014 ha specificato in via ulteriore che, per le attività
imprenditoriali indicate dall'articolo 1, comma 53, della legge n. 190/2012, vale a dire per quelle attività
inquadrabili come subaffidamenti, la comunicazione e l'informazione antimafia debbono essere acquisite
indipendentemente dalle soglie stabilite dal Dlgs. n. 159/2011. In altri termini, la consultazione della white list
deve avvenire anche per gli affidamenti di importo contrattuale inferiore a 150 mila euro, anche se tale
specificazione desta alcuni dubbi sull'estensione dei controlli antimafia al solo caso di utilizzo degli elenchi
prefettizi che sono strumenti di prevenzione facoltativi, e non anche alle modalità di verifica ordinarie.
La modifica dell'articolo 1, comma 52, della legge n. 190/2012 si è limitata infatti ad imporre un obbligo di
consultazione delle white list a carico delle Pa, senza tuttavia specificare se sia divenuta altrettanto obbligatoria
anche l'iscrizione da parte delle imprese. In mancanza di un dato normativo chiaro, l'impresa è libera, allo stato
attuale, di aderire a tale iniziativa di controllo preventivo, come confermato peraltro dall'articolo 2, comma 2, dello
stesso Dpcm, il quale dispone che «l'iscrizione negli elenchi è volontaria». Di conseguenza, l'obbligo fissato
dalla norma rischia di essere vanificato dalla consultazione di white list che, proprio per il loro carattere
facoltativo, potrebbero rivelarsi elencazioni scarne, in cui sarà difficile riscontrare la presenza di gran parte dei
soggetti sottoposti a verifica da parte delle stazioni appaltanti: un dato singolare, che dimostra come tale
disposizione possa acquisire una concreta efficacia soltanto rendendo in futuro obbligatoria l'iscrizione negli
elenchi.
L'iscrizione nelle white list
In seconda battuta, la norma modificata ricalca poi la versione antecedente. Difatti, anche la nuova edizione
dell'articolo 1, comma 52, della legge anticorruzione dispone che l'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed
esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa è istituito presso ogni prefettura e che
l'iscrizione è disposta dall'ufficio prefettizio provinciale in cui il soggetto richiedente ha la propria sede. Al tempo
stesso, la disposizione conferma che la prefettura debba effettuare verifiche periodiche circa la perdurante
insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa e, in caso di esito negativo, debba disporre la cancellazione
dell'impresa dall'elenco.
L'unica novità rispetto alla versione precedente è rappresentata dalla comparsa di un inciso che rimanda
all'applicazione dell'articolo 92, commi 2 e 3, del Dlgs n. 159/2011 (Codice antimafia), con riferimento alla
richiesta di iscrizione nella white list.
La norma cui si fa rinvio attiene nello specifico alla disciplina del termine per il rilascio delle informazioni
antimafia, stabilendo al comma 2 che, quando dalla consultazione della banca dati emerge la sussistenza di
cause di decadenza, di sospensione o di divieto a contrarre con la P.A., o di un tentativo si infiltrazione mafiosa, il
prefetto rilascia l'informazione antimafia interdittiva entro quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta
(che diverranno trenta, a seguito dell'entrata in vigore del secondo decreto correttivo del Codice antimafia);
mentre, qualora le verifiche disposte siano di particolare complessità, il prefetto ne dà comunicazione senza
ritardo all'amministrazione e fornisce le informazioni acquisite entro i successivi trenta giorni (aumentati a
quarantacinque, dopo l'entrata in vigore del secondo decreto correttivo del Codice antimafia). Al comma 3,
l'articolo 92 del d.lgs. n. 159/2011 stabilisce invece che, una volta decorsi tali termini ovvero, nei casi di urgenza,
trascorsi quindici giorni dalla ricezione della richiesta, le Pa procedono anche in assenza dell'informazione
antimafia, e sono quindi autorizzate a stipulare il contratto sotto condizione risolutiva, e a recedere di
conseguenza dal rapporto, qualora l'impresa contraente dovesse essere colpita da un provvedimento di natura
interdittiva.
A tal riguardo, si pone però un ulteriore problema di natura interpretativa, nel senso cioè che non si comprende
appieno l'applicabilità di tali disposizioni al caso specifico della richiesta di iscrizione nella white list.
Una prima soluzione possibile sembra essere infatti quella di un rinvio alla disciplina dei termini contenuti nei
commi 2 e 3 dell'articolo 92 del Codice antimafia, anche se, con riferimento alla tempistica delle iscrizioni negli
elenchi, l'articolo 3, comma 3, del Dpcm già prevede che la prefettura concluda il relativo procedimento nel
termine di novanta giorni a decorrere dalla data di ricevimento dell'istanza di iscrizione.
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In ogni caso, pur volendo applicare al caso di specie i termini previsti dall'articolo 92 del Dlgs. n. 159/2011, non
solo si verrebbe a creare un ulteriore contrasto normativo con quanto già stabilito dal Dpcm, ma si giungerebbe
anche (e soprattutto) al risultato paradossale di ammettere un'iscrizione sotto condizione risolutiva, come nel
caso delle stipule contrattuali, per mancata conclusione delle verifiche antimafia entro i tempi stabiliti dalla
legge. Con il rischio, dunque, per le stazioni appaltanti di dover consultare un elenco di imprese non soggette a
tentativo di infiltrazione mafiosa, che tuttavia, nella sostanza, non possono essere ancora considerate come tali
a causa di controlli non portati a compimento.
Una seconda soluzione potrebbe essere invece quella di un rinvio alla procedura di rilascio delle informazioni
antimafia, descritta dai commi 2 e 3 dell'articolo 92. Ma, anche in tal caso, non si otterrebbe altro che un
duplicato della disciplina relativa al procedimento di iscrizione di cui all'articolo 3 del Dpcm, redatto proprio sulla
falsariga della procedura di rilascio delle informative prefettizie.
Le attività a rischio di infiltrazione mafiosa
Anche nella nuova versione dell'articolo 1, comma 52, della legge n. 190/2012, il sistema delle white list continua
ad essere concepito in funzione di determinate attività imprenditoriali, ritenute a maggiore rischio di infiltrazione
mafiosa. E difatti, la norma circoscrive l'obbligo di consultazione degli elenchi prefettizi rispetto ai fornitori,
prestatori di servizi ed esecutori di lavori impegnati nelle «attività imprenditoriali di cui al comma 53» che, non
avendo subito alcuna modifica da parte del decreto-legge n. 90/2014, restano rappresentate da: trasporto di
materiali a discarica per conto di terzi; trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;
estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti; confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e
di bitume; noli a freddo e macchinari; fornitura di ferro e lavorato; noli a caldo; autotrasporti per conto di terzi e,
infine, guardiania di canteri.
Al tempo stesso, la novella legislativa ha introdotto un dato normativo di particolare importanza dal punto di vista
operativo, dal momento che risolve un problema di ordine pratico rispetto alla efficacia della iscrizione in una
white list. Con il decreto-legge n. 90/2014, viene infatti inserito un nuovo comma 52-bis all'interno dell'articolo 1
della legge anticorruzione, in base al quale è stabilito che «l'iscrizione nell'elenco di cui al comma 52 tiene luogo
della comunicazione e dell'informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o
autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta».
In altri termini, ciò significa che l'iscrizione ottenuta da un'impresa abitualmente impegnata in attività inquadrabili
come subaffidamenti, come quelle del comma 53, vale come "nullaosta" anche ai fini dell'esercizio di qualunque
altra attività, per il fatto evidente di essere un soggetto che comunque ha già superato tutte le verifiche antimafia
in occasione dell'adesione alla white list. E quindi, così disponendo, il decreto-legge n. 90/2014 ha
sostanzialmente evitato alle stazioni appaltanti di dover ripetere inutili controlli a carico di quelle stesse imprese
che, essendo già state inserite in un elenco prefettizio, sono risultate estranee a qualunque tentativo di
infiltrazione mafiosa.
Resta tuttavia da comprendere se, a seguito dell'entrata in vigore della legge di conversione, anche per tali
ulteriori attività valga l'estensione dei controlli al di sotto della soglia di 150 mila euro. Ma, considerata
l'equiparazione alle attività inquadrabili come subaffidamenti, non vi è motivo di ritenere che le verifiche tramite
white list debbano essere effettuate solo al di sopra dell'importo fissato dal Codice antimafia.
La norma transitoria
Le maggiori perplessità destate dall'articolo 29 del decreto-legge n. 90/2014 ruotano probabilmente intorno alla
norma transitoria contenuta nel comma 2, il quale dispone che: «In prima applicazione, e comunque per un
periodo non superiore a dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i soggetti di cui
all'articolo 83, commi 1 e 2, del citato decreto legislativo n. 159 del 2011, per le attività indicate all'articolo 1,
comma 53, della predetta legge n. 190 del 2012, procedono all'affidamento di contratti o all'autorizzazione di
subcontratti previo accertamento della avvenuta presentazione della domanda di iscrizione nell'elenco di cui al
comma 1».
Ad una prima lettura della disposizione, sembrerebbe dunque che, nell'attesa di una maggiore definizione delle
white list nel corso del prossimo anno, nonostante la mancanza di un obbligo di iscrizione, le stazioni appaltanti
potranno comunque definire i propri rapporti contrattuali, e quindi bypassare paradossalmente le verifiche
antimafia, servendosi della sola richiesta, formulata dall'impresa, di iscrizione negli elenchi prefettizi. Anche se la
legge di conversione ha specificato che «in prima applicazione, la stazione appaltante che abbia aggiudicato e
stipulato il contratto o autorizzato il subappalto esclusivamente sulla base della domanda di iscrizione è
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obbligata a informare la competente prefettura-ufficio territoriale del Governo di essere in attesa del
provvedimento definitivo».
Qualora poi dovesse essere accertata la sussistenza di un tentativo di infiltrazione mafiosa, che condurrà
ovviamente al diniego di iscrizione dell'impresa da parte della prefettura, troveranno applicazione - in base alla
norma transitoria - i commi 2 e 3 dell'articolo 94 Dlgs. n. 159/2011. E quindi, le amministrazioni dovranno
recedere dai contratti, facendo salvo il pagamento delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute
per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite; oppure, ancora, potranno evitare il recesso nel
caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione.
In sostanza, le stazioni appaltanti rischiano, ancora una volta, di ammettere alla stipula un soggetto che potrebbe
rivelarsi in odore di mafia, con buona pace dei controlli preventivi.
15 ottobre 2014
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