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design open source
Index
p.5
› Dispute vere e presunte › tonino paris
§ [1] Thinking
› rossana carullo › Beni comuni e design: grammatiche delle moltitudini [Commons and
massimo banzi › Arduino: cuore tecnologico verso un
design open source [Arduino: technological core toward an open source design]_____p.22 › cristóbal ortiz-ehmann
› Crowdsourcing: un pandemonio per il design discourse [Crowdsourcing: a pandemonium for
the design discourse]_____p.30 › carla langella › Open source e proprietà intellettuale. Aprire o difendere? [Open source and intellectual property. To share or to protect?]_____p.38 › lorenzo imbesi › Open
Design dal Soft all’Hard [Open Design from Soft to Hard]
p.12
design: grammars of the multitudes]_____p.17 ›
§ [2] Making
massimo bianchini, stefano maffei › City Making. Nuovi metabolismi urbani tra micro e
autoproduzione [City Making. New urban metabolisms between micro-production and self-production]_____p.65
› massimo menichinelli › L'evoluzione dell'Open Design: concetti e tappe [The evolution of Open
Design: concepts and phases]_____p.75 › claire warnier › L’artigiano elettronico [The electronic
artisan]_____p.80 › enrico bassi › Benvenuti al Fablab [Welcome to the “fab lab”]_____p.86 › paolo ciuccarelli
› Il design dell'informazione tra dati aperti e attivismo visuale [Information design between
open data and visual activism]_____p.90 › veronica dal buono › Crafter, maker e re-maker [Crafter, maker
and re-maker. The future is sharing a tool box]_____p.97 › innocenzo rifino › Digital Habits: un esempio italiano di Design Open Source [Digital Habits: an Italian example of Open Source Design]
p.58 ›
§ [3] Overstep
silvio lorusso › Critical Publishing [Critical Publishing]_____p.127 › francesco pia, ermanno tasca, michele
zannoni › Dire App non basta. Dialogo a tre su scenari, interfacce e prodotti [Saying App
is not enough]_____p.132 › letizia bollini › Le merci comunicative digitali: quale ruolo per il design/er? [Digital communication goods: what role for design and designers?]_____p.139 › salvatore iaconesi › La
p.120 ›
Cura [The Cure]
English text › p.162
p.172
› Credits
Finito di stampare nel mese di Aprile 2014
presso gli impianti tipografici Ceccarelli - Grotte di Castro (VT)
su carta Fedrigoni Symbol Tatami Ivory.
ISSN 15948528
ISBN 978889819418
› thinking image, p.44-55, making image, p.102-117, overstep image, p.146-159.
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Design Open Source
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p.127
francesco pia, ermanno tasca, michele zannoni
[*]
Dire App non basta.
Dialogo a tre su scenari, interfacce e prodotti
zioni quali l’affordance e l’usabilità. Nell’epoca dell’utente emancipato che non necessita di mediatori, i progetti illustrati ridefiniscono l’idea stessa di comprensibilità dell’artefatto tecnologico, promuovendo una consapevolezza più profonda degli aspetti tecnici e delle loro implicazioni economiche e sociali.
Resta tuttavia aperto l’interrogativo sulle modalità attraverso cui la consapevolezza acquisita
si possa a sua volta ripercuotere sulla progettazione degli ecosistemi istituiti dalle grandi
società. Non è improbabile che l’utente, dotato dei necessari strumenti per divulgare un’opinione cosciente, giochi un ruolo chiave nello sviluppo tecnologico, determinando, o perlomeno
influenzando, gli orientamenti dei colossi dell’informatica. Al giorno d’oggi tale influenza, non
più esercitata soltanto attraverso il boicottaggio di un dato prodotto o brand, scaturisce sempre
più dalla messa in opera di vere e proprie azioni collettive. La storia recente ne annovera diversi
esempi, tra cui l’enorme successo riscosso dalle campagne in difesa della libertà di espressione
sulla Rete contro le proposte di legge a vantaggio del diritto d’autore. Ancora una volta la distinzione tra designer e utente risulta più che mai sfumata in quanto non vi è designer che non
sia al tempo stesso utente di un sistema progettato da qualcun altro.
Una conversazione tra figure specializzate nel settore
dei media digitali. Due designer che da diversi anni
si dedicano all'interaction design si confrontano
con un ricercatore, docente e anch’egli designer, in
un dialogo sul ruolo del progettista nel contesto delle
APP per dispositivi mobili. Risulta evidente fin dall’avvio la consapevolezza, nell'uso e nel progetto per
gli smart device, di un mutato contesto ove le APP
adducono nuove potenzialità all'interaction design.
Il passaggio da App feature ad App contenuto è stato
il primo vero indicatore del contributo dei designer
nell'iter di progetto delle applicazioni. Il cambio d'orizzonte dal contesto stratificato del webdesign nel progetto delle interfacce interattive ha riattribuito interesse e dinamismo ad un ambito progettuale che seguiva da troppo tempo un binario sterile e limitato.
Questo nuovo ambito di progetto è maturo. Ora è
affidata ai designer la responsabilità affinché gli artefatti digitali siano strumenti e contenuti di qualità.
#smartphone #appfeature #appcontenuto #interactiondesign #interfacce
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[1] Shatzkin,
M. (2013).
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Atomization: Publishing as a Function rather than an Industry. Da: http://www.idealog.com/blog/atomization-publishing-as-a-function-rather-than-an-industry.
[2] Saraiya, S. (2012). How will We Read: Clay Shirky. Da: http://blog.findings.com/post/20527246081/how-we-will-read-clayshirky.
[3] http://www.kickstarter.com/projects/1371597318/the-peoples-e-book.
[4] http://www.touchpress.com/about/.
[5] Perez, S. (2013), “Nearly 60K Low-Quality Apps Booted From Google Play Store In February, Points To Increased Spam-Fighting”. Da [Retrieved from] http://techcrunch.com/2013/04/08/nearly-60k-low-quality-appsbooted-from-google-play-storein-february-points-to-increased-spam-fighting.
[6] Per un’analisi approfondita di tale problematica, con un particolare accento sull'istruzione, cfr. Casati, R. (2013). Contro
il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere. Roma: Laterza.
[7] Dunne, A. (2008). Hertzian Tales. Electronic Products, Aesthetic Experience, and Critical Design. New York: MIT Press (p. XVII).
[8] https://www.vitsoe.com/eu/about/good-design.
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‹ Visual designer, StudioVisuale. › [email protected]
[*]
‹ Senior designer, Technogym. › [email protected]
‹ Ricercatore, Università degli Studi della Repubblica di San Marino. › [email protected]
› References: Anceschi, G., Botta, M., Garito, M.A. (2006). L'ambiente dell'apprendimento. Web design e processi cognitivi.
Milano: McGraw-Hill. ¶ Bassi, A. (2010). Il design dell'artefatto tecnologico. Enciclopedia Italiana XXI Secolo. Gli spazi e le
arti. Roma: Treccani. ¶ Casati, R. (2013). Contro il colonialismo digitale, Istruzioni per continuare a leggere. Roma: Editori
Laterza. ¶ Cooper, A. (1999). Il disagio tecnologico. Milano: Apogeo Editore. ¶ Raskin, J. (2003). Interfacce a misura d'uomo.
Milano: Apogeo Editore. ¶ Manovich, L. (2005). Il linguaggio dei nuovi media, Milano: Edizioni Olivares. ¶ Norman, D. A.
(2005). Il computer invisibile. Milano: Apogeo Editore. ¶ Sterling, B. (2006). La forma del futuro. Milano: Apogeo Editore. ¶
Saffer, D. (2007). Design dell'interazione. Milano: Mondadori Pearson.
§
[3]
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Potrei partire raccontando una storia vera. › Francesco Pia › Era il 1997, il telefono fisso (di
casa o del lavoro) squillava. Non c’era alcun display, non c’era alcun numero visibile. Di corsa
afferravamo la cornetta al volo (rigorosamente entro il quarto squillo). C’era confidenza e pure
una certa emozione nello scoprire chi chiamava.
È il 2013, uno smartphone squilla dalla nostra tasca e nel display ad altissima risoluzione vi è
scritto: numero sconosciuto.
Proviamo una certa diffidenza e non sappiamo più se rispondere. Tutto è cambiato.
Ci troviamo esattamente nell’opposta condizione. Ancor prima di soffermarsi a riflettere sulle
App, tra le cause principali di questo cambiamento sono da individuarsi il mutamento dello
scenario di utilizzo dei media e la diffusione dei personal media come gli smartphone.
Con gli smartphone siamo tutti sempre responsabili del nostro lavoro che ci segue ovunque.
Dentro di essi c’è tutta la nostra vita. Le nostre foto, il web, la nostra musica, persino dei particolari sensori. Non solo, nei piccoli e sottili telefoni e tablet che ci circondano ci sono tutte
quelle cose che una volta occupavano tanto spazio in casa. Oggi si chiamano tutte App, ma in
realtà possono essere variegate: libri, riviste, manuali, corsi d’inglese, calcolatrici scientifiche,
utility di conversione, film, piccole stazioni meteorologiche, orologi e anche effetti per la chitarra. Qualsiasi cosa.
Ma cosa sono queste App e come sono nate? › Michele Zannoni › Nel contesto contemporaneo
del design il termine App è diventato un sinonimo largamente condiviso con cui identificare
uno strumento o un contenuto aggiuntivo per un dispositivo mobile. Le prime App, non ufficiali, disponibili sulla prima versione di iPhone, sbloccato da un team di hacker nel 2007, introdussero funzionalità non previste da Apple che anticipavano forzatamente quello che sarebbe stato il contesto più florido di applicazione dell’interaction design nell’attuale panorama
del progetto di artefatti e di strumenti multimediali.
L’apertura e la distribuzione dell’SDK (Software Development Kit) da parte di Apple nel 2008,
ha dato il via ad un processo di sviluppo esponenziale di applicazioni per i suoi dispositivi basati sul sistema operativo iOS. La timida decisione ha portato la casa produttrice di Cupertino
a controllare il mercato degli smartphone grazie al patrimonio esclusivo di App sviluppate da
Primo modello di iPhone,
Apple, 2007.
iPhone 5s, Apple, 2013.
iPhone 5c, Apple, 2013.
programmatori di terze parti. Questo insieme di strumenti e contenuti è il vero patrimonio che
ha permesso ad Apple di continuare a controllare il mercato degli smartphone con un netto
vantaggio qualitativo sui propri concorrenti.
I primi progetti che hanno portato allo sviluppo di App di terze parti sui dispositivi iPhone
hanno colmato in un primo momento la mancanza di funzionalità del sistema, tuttavia, successivamente, con un approfondimento generale delle possibilità progettuali, si sono potuti realizzare veri e propri sistemi complessi che hanno dimostrato le possibilità progettuali delle piattaforme mobili.
Il passaggio da App feature ad App contenuto è stato il primo indicatore del contributo dei designer
nell’iter di progetto delle applicazioni. Il cambio d’orizzonte dal contesto stratificato del webdesign nel campo del progetto delle interfacce interattive ha ridato interesse ad un ambito progettuale che seguiva da troppo tempo un binario sterile e limitato.
Ma App è l’abbreviazione di “Apple” o di “Appena nate”? › Ermanno Tasca › App-lication! Un
merito sostanziale nel cambiamento del mondo del progetto, Apple lo ha avuto nel mostrare
quanto fosse importante e necessaria la corretta fruizione di contenuti all’interno di un buon
prodotto. È molto più facile trovare una sedia disegnata bene che un’interfaccia usabile e ben
progettata. Questo probabilmente perché per anni l’attenzione è stata rivolta ai prodotti, le
scuole di design hanno istruito gli studenti a disegnare artefatti.
Oggi, se un prodotto non è integrato con una buona interfaccia e un contenuto interessante,
sarà quasi sicuramente un flop.
Le App permettono di veicolare i contenuti in modo semplice e intuitivo. Un esempio semplice
di quello che potranno essere i prodotti dei prossimi anni, lo abbiamo con Leap motion
controller, un dispositivo che permette di controllare il proprio computer utilizzando i movimenti delle mani. Infatti il dispositivo, grande all’incirca come un accendino, è in grado di mappare tridimensionalmente le mani nello spazio, permettendo all’utente di interagire con il proprio computer attraverso delle “gesture” prestabilite. Il progetto di Leap motion, è nato
dall’esigenza di migliorare l’interazione delle persone nella modellazione tridimensionale al
computer. Il prodotto, ben progettato, risente dell’influenza di Cupertino nei materiali e nelle
Leap Motion Controller, 2013.
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forme. Le dimensioni sono veramente irrisorie e il suo funzionamento ha dell’incredible. Se
Leap motion si fosse fermata qui non ci sarebbe stato molto di nuovo. Ma per aver un buon prodotto serve anche un contenuto che lo promuova e ne sfrutti le potenzialità. Per questo esiste
uno store di App, chiamato Airspace Store, dove acquistare e scaricare le applicazioni dedicate.
È possibile iscriversi come sviluppatore e contribuire con le proprie idee allo sviluppo di applicazioni. Le App, nella rivoluzione in cui stiamo assistendo, sono lo strumento principe per
permettere a tutti questi dispositivi di dialogare con l’essere umano abbattendo le barriere che
fino ad oggi erano presenti.
Dunque non si parla solo di App per Apple o Android, ma di App e interfacce che dialogano
con mondi e prodotti diversi. › Francesco Pia › Qualche anno fa molti teorizzavano la miniaturizzazione dell’oggetto hardware e la diffusione di schermi e proiettori ovunque. Molti parlavano di un ID che avrebbe aperto il mondo attorno a noi.
È successo qualcosa di diverso e oggi l’azienda di turno che ha la più grande base di utenti, il
market più redditizio o l’App più diffusa, detta le regole. Tanto nell’hardware quanto nel software e nelle relative tendenze o evoluzioni delle interfacce.
Chi progetta deve considerare diverse cose. Aspetti ergonomici come la modalità di fruizione
(se parliamo di iPad per esempio dobbiamo considerare almeno tre fruizioni: in piedi, seduti,
sdraiati). Aspetti tecnici come la dimensione degli schermi, il sistema operativo, le performance
dell’hardware. Aspetti legati all’interfaccia come la scelta dei caratteri da testo, la dimensione
dei vari elementi, i contrasti, la leggibilità, le animazioni o le transizioni. Aspetti legati alla natura dei contenuti come ad esempio capire per quale contesto si progetta.
E di App ce n’è davvero per tutti i contesti: app utility, app editoriali, app per l’intrattenimento,
app per il gioco, app che dialogano con altri oggetti e via dicendo.
Poi, a completare il quadro, c’è anche tutto ciò che sta fuori dall’App ovvero la strategia di comunicazione per divulgarla, la componente social e via dicendo.
seguito per rendere successivamente fruibili servizi basati su dati aperti. Con l’avvento di altri
sistemi operativi diversi da quelli di Apple, il rapporto tra aperto e chiuso è cambiato. Google
Android, dichiarando il sistema operativo come open source, avrebbe dovuto rivoluzionare e
aprire definitivamente alle comunità di sviluppatori e di designer il mondo delle App.
Questo non si è verificato e non c’è stato un cambio e un’evoluzione palesemente migliorativa
del progetto delle App, ma solo una liberalizzazione indiscriminata di un processo progettuale
che spesso i designer non conoscono appieno e non controllano.
L’enorme quantità di applicazioni inutili disponibili nell’App market di Android confermano
questa evidenza. La mancanza del progetto è imperante quando l’open source viene interpretato
come semplice condivisione passiva di strumenti gratuiti. Quando però questo strumento diventa sviluppo condiviso in una forma di crowdsourcing su larga scala mette in luce tutte le
sue possibilità al servizio del progetto.
Indipendente dal contesto fin’ora descritto è necessario riportare il dibattito nell’ambito del progetto dell’interaction e del visual design.
Noi siamo pronti, ma gli altri lo sono? › Ermanno Tasca › Sempre di più il focus del mondo
del progetto si sta spostando verso i contenuti e la loro fruizione. Se il Novecento è stato il secolo
in cui il mondo della cultura del progetto si è interrogato sul ruolo degli artefatti nella società
e della loro realizzazione, il XXI secolo probabilmente indagherà in modo sempre più approfondito l’interazione e la comunicazione tra gli artefatti e l’uomo.
Oggi la nuova frontiera del progetto sembra essere il design di questi sistemi e in particolare
delle interfacce.
Michele Zannoni › È un mondo tutto nuovo ma se si rispettano questi nuovi limiti si possono
sempre seguire le logiche ed i processi del design.
Francesco Pia › Come dire, cambiano i media ma restano i designer!
Open source e App? › Michele Zannoni › Il mondo open source si è affacciato più volte al mondo
delle App. In primis per scardinare un sistema chiuso e opposto alla tematica open e in
Flickr.
Ermanno Tasca › Già! Rimbocchiamoci le maniche c’è ancora molto da fare…
Viber.
Shazam.
Skype.
Pinterest.
Hangsout.
p.172
Colophon
diid › disegno industriale | industrial design - Book Series approfondisce l’evoluzione e gli esiti della ricerca e sperimentazione progettuale e teorica nel campo del design. Ogni numero accoglie
lo sviluppo di un tema rappresentativo del dibattito che attraversa
la fenomenologia del sistema prodotto nella sua estensione tecnica e culturale. A comporre questo racconto a più voci e con diversi punti di vista sono chiamati ricercatori, studiosi e professionisti
della scena nazionale e internazionale, affiancati dal diid Centro
Studi con il compito di indagare le scienze del design e la rete dei
suoi protagonisti. La selezione degli articoli pubblicati prevede la
procedura di revisione e valutazione da parte del comitato di Referee (blind peer review).
La collana sviluppa annualmente tre argomenti: la dimensione critica e la problematica in seno alla disciplina; i temi emergenti, ovvero le esperienze in corso in quanto raffigurazione dell’attualità;
le geografie del design per comprendere i caratteri territoriali
con l’insieme delle implicazioni presenti.
diid › disegno industriale | industrial design - Book Series has
been conducting in-depth examinations of the evolution and results of practical and theoretical research and experimentation in
the field of design since 2002. Every issue takes a close look at a
core matter in the current debate about all technical and cultural
aspects of the production world. Researchers, scholars and professional figures from Italy and across the globe contribute to the
publication, presenting a range of stances and points of view, the
Research Center. The articles are selected by a committee of referees in a blind peer review process.
The Series annually develops three subjects: the critical dimension
and the problems within the discipline; the emerging themes or the
ongoing experiences, the design geographies in order to understand the territorial characters.
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