MD 1-CORSO AISLEC PARMA 29 09 2012

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TRATTO E MODIFICATO DA: Voegeli D. Care or harm: exploring essential components in
skin care regimens. Br J Nurs. 2010 Jul 8-21;19(13):810-9.
I componenti essenziali nei regimi di cura della cute
Traduzione a cura di Claudia Caula
La preservazione dell’integrità cutanea costituisce uno dei capisaldi dell’assistenza infermieristica, e continua ad
essere una sfida sperimentata in ogni campo della pratica clinica. Questo aspetto fondamentale dell’assistenza
è tuttavia reso più complesso dalla casistica estremamente varia di pazienti a rischio di perdere l’integrità
cutanea e che, per questo motivo, avrebbero bisogno di un efficace regime di cura della pelle: per fare qualche
esempio, sono parte in causa coloro affetti da patologie infiammatorie croniche della pelle (eczema, psoriasi
ecc), i soggetti affetti da incontinenza, coloro che sono a rischio di ulcere da pressione ecc. Pertanto la cura
della cute spesso significa cose diverse per diversi pazienti e per diversi professionisti della salute, anche se,
qualunque sia il contesto assistenziale, i principali obiettivi degli interventi previsti possono essere sintetizzati
nella prevenzione delle lesioni cutanee, e nel ripristino dell’integrità della cute nel caso in cui si sia verificata una
lesione. Non sorprende che l’incidenza di lesioni cutanee abbia presto assunto il ruolo di indicatore della qualità
dell'assistenza fornita, come è successo per le ulcere da pressione (Department of Health, 2003), tenendo
conto del fatto che questo aspetto assorbe una gran parte del tempo infermieristico. Nonostante il crescente
riconoscimento dell’importanza della cura della cute, questa attività continua ad essere basata per lo più
sull’abitudine (“si è sempre fatto così”) piuttosto che fondarsi su solide evidenze, ed è resa ulteriormente
complicata dal numero di prodotti per la cura della cute incessantemente immessi sul mercato, ciascuno dei
quali pubblicizzato come ‘efficace’.
La funzione-barriera della cute
Per stabilire i principi che sono alla base degli interventi di cura della cute, è necessario comprendere i processi
con i quali la pelle mantiene la sua funzione di barriera. La cute fornisce la prima linea di difesa contro
l’ambiente esterno grazie al mantenimento di una barriera fisica. Tale barriera impedisce l’ingresso di organismi
patogeni, riduce al minimo l’assorbimento di sostanze nocive, e previene la perdita di una quota eccessiva di
acqua (Ersser et al, 2005). La barriera è la funzione principale dello strato superiore della cute, l’epidermide, e,
in particolare, dello strato più esterno, conosciuto come strato corneo. Le cellule che compongono l’epidermide
sono denominate cheratinociti, e si formano nello strato inferiore dell’epidermide (strato basale). Una volta
formati, i cheratinociti migrano gradualmente verso gli strati superiori dell’epidermide, e durante questa
migrazione cambiano aspetto: al momento in cui raggiungono lo strato corneo, si sono infatti trasformati in
cellule appiattite, cheratinizzate, prive di nucleo, e a quel punto assumono il nome di corneociti (Stewart e
Downing, 2000).
Il processo di migrazione dei cheratinociti, e di conseguente trasformazione in corneociti, è noto come
‘differenziazione epidermica’, e assicura la costante disponibilità di nuovi corneociti che vanno a sostituire quelli
eliminati dalla superficie della pelle. Nella cute sana, il tempo che occorre alle cellule epidermiche per migrare
dallo strato basale allo strato corneo è di circa 14 giorni, e sono necessari altri 14 giorni prima che vengano
eliminati dalla superficie della cute nel processo noto come desquamazione (Clark, 2004). In condizioni di
normalità, esiste un equilibrio finemente controllato tra la produzione e l’eliminazione delle cellule
nell’epidermide (Harding, 2004). Quando però questo equilibrio viene compromesso, allora la barriera cutanea
ne risente, come si osserva nel caso di malattie quali eczema e psoriasi.
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Dato che è lo strato corneo che garantisce la funzione di barriera della pelle, è fondamentale comprenderne la
struttura. Poiché le cellule (corneociti) che compongono lo strato corneo sono cellule devitalizzate, ciò fa sì che
lo strato corneo goda generalmente di una scarsa considerazione in termini di funzionalità della cute, anche se
la maggior parte degli interventi infermieristici adottati nella cura della pelle hanno un qualche effetto sullo strato
corneo. Uno dei modelli utilizzati per rappresentare la funzione di barriera dello strato corneo riprende il
paradigma dei “mattoni e calcina”, nel quale i corneociti fungono da ‘mattoni’, tenuti insieme dalla ‘calce’, una
sostanza ricca di lipidi. La matrice dello strato corneo è una sostanza ricca di ceramidi, acidi grassi liberi e
colesterolo (Harding, 2004), i quali, essendo idrorepellenti, forniscono una barriera efficace. L’integrità dello
strato corneo è promossa anche da una sostanza presente nei corneociti, nota come ‘fattore idratante naturale’
(NMF), una miscela complessa di aminoacidi liberi, derivati degli aminoacidi e sali, che richiama e trattiene
l’acqua. Questo aumento di acqua intracellulare aiuta i corneociti a mantenere il loro turgore e la loro forma,
preservando in tal modo la continuità della barriera (Rawlings e Harding, 2004).
Cura della cute
La cura della cute è sempre stato un tema importante nel campo della cosmesi, e gode di notevoli investimenti
nella ricerca di nuovi prodotti per continuare ad essere commercialmente competitivi. Purtroppo lo stesso non
può dirsi per la cura della cute fornita in ambito sanitario, in cui l’assistenza prestata spesso è dettata dalle
abitudini e dalla ritualità, piuttosto che fondarsi sulle migliori evidenze disponibili (Jeter e Lutz, 1996). Tutto ciò
risulta aggravato dal fatto che spesso questo importante aspetto dell’assistenza viene delegato a personale con
una insufficiente formazione sul tema (Voegeli, 2007). La situazione può essere particolarmente problematica
nei contesti assistenziali residenziali, dove la cura della cute spesso è affidata a personale con una formazione
minima, e in cui si verifica un elevato turnover del personale. Tutto ciò determina una situazione particolarmente
critica e aumenta la necessità di chiare indicazioni sulle migliori pratiche per promuovere l’integrità della pelle.
Purtroppo, laddove le evidenze sono disponibili, tendono ad essere abbastanza deboli, rendendo difficile
formulare raccomandazioni definitive per la pratica (Hodgkinson et al, 2007). Ciò nonostante, è possibile
individuare i componenti da tenere in considerazione al momento di costruire un protocollo per la cura della
pelle. La cura della cute dovrebbe comprendere quattro aree principali, ossia pulizia, idratazione, protezione e
reintegrazione.
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La detersione (pulizia) della cute
In generale, la raccomandazione più comune per la pulizia della pelle nella letteratura infermieristica continua ad
essere il lavaggio con acqua e sapone con una spugna o una salvietta morbida usa e getta, e l’asciugatura con
un asciugamano mediante sfregamento o picchettamento (Ersser et al, 2005). Se questo approccio può essere
ritenuto adatto a soddisfare il bisogno di igiene nella maggior parte delle persone in condizioni di normalità, è
però vero che espone la cute a un certo numero di fattori potenzialmente dannosi che meritano di essere tenuti
in considerazione quando gli interessati sono individui con lesioni cutanee, o che richiedono una frequente
pulizia della pelle. Pertanto bisognerebbe fare una netta distinzione tra la pulizia della pelle, eseguita di routine
per motivi igienici, e la pulizia eseguita come parte di un protocollo di cura della cute in situazioni come
l’assistenza a pazienti affetti da incontinenza urinaria o fecale (Bliss et al, 2007; Gray et al, 2007).
Il lavaggio rimuove residui, particelle di sporco ecc dalla superficie della pelle, e a questo scopo spesso si
utilizzano acqua e sapone per il fatto che vengono ritenuti convenienti e con un buon rapporto costo-efficacia. I
saponi sono sali di sodio o potassio, solubili in acqua, di acidi grassi che sono stati trattati con un alcale forte, e
agiscono come tensioattivi (agenti che abbassano la tensione superficiale di un liquido) (Abbas et al, 2004). Al
sapone è possibile aggiungere ulteriori tensioattivi, come il laurilsolfato di sodio (o sodio laurilsolfato, sodio lauril
solfato, SLS), allo scopo di farne un miglior agente detergente. Tuttavia i tensioattivi sintetici, come il SLS, sono
noti per essere potenti irritanti per la pelle (Held et al, 2001). Anche la combinazione tra sapone e acqua ‘dura’,
che produce un precipitato che rimane sulla pelle può indurre irritazione, se non viene risciacquato in modo
adeguato (Timby, 1996). I saponi possono influire negativamente sulla pelle provocando un’eccessiva rimozione
degli oli naturali, e accelerando l’essiccazione della cute; questi effetti sono ulteriormente inaspriti se l’acqua
utilizzata è ad una temperatura troppo calda (Baillie e Arrowsmith, 2001). Data la natura altamente alcalina del
sapone, l’uso ripetuto può far innalzare il livello del pH della superficie della pelle rendendolo più alcalino,
vanificando così l'effetto protettivo del manto acido, e sconvolgendo l’equilibrio della flora residente sulla pelle
(Korting e Braun-Falco, 1996). Nel complesso ciò può aumentare il rischio di colonizzazione da parte di
microrganismi potenzialmente patogeni, come i dermatofiti.
E’ importante che la pelle sia accuratamente asciugata dopo il lavaggio per evitare la macerazione, il
raffreddamento eccessivo, e per mantenere il comfort del paziente. Tuttavia la manovra di asciugatura, eseguita
di solito con un asciugamano, potrebbe aggravare gli eventuali danni verificatisi durante il lavaggio, a causa del
danno meccanico indotto allo strato corneo (Huh et al, 2002). L’insieme di questi fattori potrebbe alterare la
funzione di barriera della pelle, aumentando la propensione alle lesioni cutanee (Nickoloff e Naidu, 1994). Il
personale infermieristico tradizionalmente tende ad asciugare la cute fragile tamponandola anziché sfregandola
(Le Lievre, 2001; Marks, 2001). E’ difficile determinare se un metodo è preferibile a un altro a causa delle scarse
informazioni in materia. Tuttavia, uno studio recente suggerisce che l’asciugatura tramite picchettamento con un
asciugamano può lasciare la pelle significativamente più umida, aumentando quindi potenzialmente il rischio di
iperidratazione dello strato corneo e di macerazione (Voegeli, 2008).
Detergenti cutanei
I detergenti cutanei rappresentano una soluzione alternativa per l’igiene della pelle (Ersser et al, 2005;
Hodgkinson et al, 2007). Questi prodotti possono ridurre alcuni degli effetti negativi del sapone in virtù della loro
composizione chimica, e alcuni sono utili per mantenere un livello di pH della cute che non ne intralci la
funzione-barriera. Non sorprende che, grazie alla loro nomea di far risparmiare tempo al personale
infermieristico e di ridurre l’incidenza delle lesioni cutanee, il loro uso sia diventato sempre più popolare, con un
costo stimato per il SSN di oltre £ 300 000 nel 1999 (Continence Foundation, 2006). Una serie di studi ha
cercato di confrontare l’uso dei detergenti cutanei con quello di acqua e sapone (Reid e Morison, 1994; Dealey,
1995; Whittingham, 1998; Cooper e Gray, 2001). Purtroppo però in questi studi si riscontrano diverse limitazioni,
come la mancanza di randomizzazione, i campioni di piccole dimensioni, controlli inadeguati, e misure
dell’outcome definite in modo non idoneo o inappropriato. Pertanto, anche se ad una prima analisi potrebbe
sembrare che le evidenze a supporto dell’utilizzo dei detergenti cutanei siano solide, la realtà è che ci sono
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poche informazioni scientificamente valide per guidare gli operatori nella scelta del prodotto giusto o del corretto
regime di cura della cute, o per determinare se un prodotto è più adatto di un altro in determinate condizioni (ad
esempio, incontinenza fecale) (Hodgkinson et al, 2007). Il risultato finale è che i protocolli per la cura della pelle
tendono ad essere basati sull’esperienza clinica aneddotica e non su prove ricavate empiricamente.
Emollienti
Il termine emolliente deriva dal Latino emolliens ossia ‘che rende molle’, e indica una sostanza che agisce
ammorbidendo la superficie della pelle. I termini emolliente e idratante sono usati in modo interscambiabile, in
quanto essi svolgono funzioni analoghe, aumentando l’idratazione dello strato corneo. Il meccanismo d’azione di
base degli emollienti, come ad esempio la vaselina, è quello di formare un film, inerte, sopra la superficie della
pelle, che intrappola in modo passivo l’umidità (Holden et al, 2002). Questa immagine, molto semplice, utilizzata
per spiegare come funzionano gli emollienti, ha creato una serie di problemi: molti professionisti e anche gli
stessi pazienti non percepiscono gli emollienti come ‘trattamenti attivi’, con la conseguenza che questi prodotti
sono sotto-utilizzati e c’è una scarsa adesione al protocollo di cura (Lodén, 2005). Attualmente gli emollienti
sono disponibili sottoforma di lozioni, creme e unguenti. Anche se lo sviluppo e la formulazione degli emollienti è
progredito, il principio di base rimane lo stesso: sono tutte varianti di un’emulsione di olio (lipidi) e di acqua.
Tecnicamente queste emulsioni possono assumere la forma di olio in acqua, più comuni, oppure acqua in olio
(Lodén, 2005). Non solo quindi gli emollienti possono contribuire a mantenere l’idratazione della pelle, ma sono
anche in grado di contribuire a reintegrare i lipidi della barriera cutanea. Via via che le formulazioni sono
diventate sempre più sofisticate, sono stati aggiunti agenti emulsionanti per aumentare la stabilità e migliorare il
prodotto, consentendo l’uso di meno olio, riducendo la complessiva ‘untuosità’ dell’emolliente e rendendolo più
accettabile per il paziente. Per aumentare gli effetti idratanti degli emollienti, sono stati aggiunti agenti umettanti
(es. glicole propilenico, urea e glicerolo). Questi prodotti chimici richiamano e assorbono acqua dall’ambiente
circostante, aiutando di conseguenza a richiamare acqua nello strato corneo. In alternativa o in associazione
agli umettanti, per rallentare l’evaporazione dell’acqua dalla pelle, è possibile aggiungere agenti occlusivi (ad
esempio, cera d’api, vaselina e lanolina). Questi ingredienti però conferiscono una consistenza untuosa al
prodotto, e sono più efficaci se applicati sulla pelle umida. La miscela ricca di lipidi e di acqua rappresenta un
terreno ideale per i batteri, quindi in molti casi è necessario incorporare anche agenti in grado di inibire la
crescita batterica (ad esempio cloruro di benzalconio e idrossibenzoati). Saltuariamente, si può verificare una
reazione di sensibilizzazione agli agenti emulsionanti, ai conservanti e altri additivi, peggiorando l’irritazione
cutanea fino a provocare una dermatite da contatto (Fan et al, 1991). E’ anche possibile che, soprattutto quando
vengono applicate su pelli molto secche o screpolate, creme e lozioni causino una sensazione di puntura o
bruciore a causa dei conservanti, e in particolare se è presente un umettante, come l’urea (Peters, 2005).
Poiché la comprensione della fisiologia cutanea nel tempo è aumentata, è aumentato anche il numero di
preparati emollienti disponibili. Molti ora contengono un elenco di ingredienti così sofisticati da rendere lo spazio
tra farmaco e prodotto cosmetico sempre più esiguo, con la conseguenza che esiste una certa confusione
quando si cerca di selezionare il prodotto più adatto (Brown e Butcher, 2005). Sebbene i prodotti più grassi
(unguenti) risultano essere quelli clinicamente più efficaci, molti pazienti non amano questi prodotti e trovano
inaccettabile la sensazione che essi lasciano sulla pelle, così come l’imbrattamento degli abiti o della biancheria
del letto che essi provocano. In generale, si preferiscono lozioni e creme perché sono prodotti assorbiti
rapidamente, soprattutto se è necessario applicare il prodotto su parti visibili del corpo (Holden et al, 2002).
Sorprendentemente, nonostante il fatto che la terapia emolliente sia riconosciuta come uno dei pilastri della
terapia in dermatologia, ci si trova di fronte ad una mancanza di evidenze di buona qualità sulla loro efficacia o
sulla comparazione delle varie composizioni disponibili (Rees, 2002). In ultima analisi, è quasi impossibile
difendere l’uso clinico di un particolare emolliente rispetto ad un altro. Nella maggior parte dei casi, la decisione
di quale prodotto utilizzare è fortemente influenzata dalle preferenze del paziente o dal costo (Ellis et al, 2003),
che conduce all’accettazione del fatto che l’emolliente più efficace è quello che il paziente trova di suo
gradimento e che quindi usa regolarmente (Burr, 1999).
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I prodotti barriera
Da tempo, le creme-barriera, gli unguenti e i film-barriera vengono utilizzati per proteggere la pelle dai danni
provocati da un’esposizione eccessiva o prolungata ad umidità/acqua e sostanze irritanti (ad esempio da
incontinenza urinaria e fecale). Essi hanno un ruolo importante anche nella preservazione dell’integrità cutanea
nell’area circostante una stomia o un’ulcera iperessudante (Hampton, 2004). A volte i prodotti-barriera sono
confusi con gli emollienti, e anche se alcune creme e unguenti hanno un lieve effetto idratante, questa non è la
loro azione principale e non dovrebbero essere usati al posto di un emolliente nel caso in cui il suo uso sia
indicato. Allo stesso modo, un emolliente non deve essere usato al posto di un prodotto-barriera dato che hanno
meccanismi d’azione completamente diversi. La base delle preparazioni-barriera è costituita da un’emulsione
lipidi / acqua, cui si aggiungono ossidi metallici (ad esempio zinco), che formano uno strato sottile sulla
superficie della pelle allo scopo di tener lontano sostanze potenzialmente irritanti. I preparati più sofisticati
spesso contengono ingredienti a base di silicone, come il dimeticone, così come agenti antisettici come
cetrimide o benzalconio (Joint Formulary Committee, 2010). Come per gli emollienti, esiste la possibilità che
alcuni di questi ingredienti causino irritazione nei soggetti sensibili, anche con preparazioni innocue come lo
zinco, olio di ricino, olio di arachidi. Questo dovrebbe essere sempre tenuto presente, in particolare se
l’irritazione della pelle sembra peggiorare quando si usa una preparazione. I progressi nella scienza dei polimeri
hanno portato allo sviluppo di una nuova generazione di prodotti, che consentono di applicare sulla pelle un
sottile strato semi-permeabile di protezione. In alcune circostanze, questi polimeri pare siano più vantaggiosi
rispetto ai prodotti più tradizionali, facendo risparmiare tempo al personale infermieristico e offrendo una
maggiore protezione, in particolare nel caso di proteggere la cute perilesionale (Schuren et al, 2005).
Sicuramente questi prodotti hanno acquisito una crescente popolarità, pur rimanendo abbastanza costosi.
E’ stata espressa la preoccupazione che l’uso dei prodotti barriera, e in particolare quelli a base grassa,
potrebbe ostruire i pori dei pannoloni, compromettendo la funzionalità del presidio – un problema che si può
verificare anche in seguito ad un uso eccessivo di talco in polvere. Anche in questo caso, questo è un settore
che non è stato adeguatamente studiato; tuttavia, Bolton et al (2004) suggeriscono che, se applicati con
oculatezza – secondo le istruzioni del produttore – i prodotti-barriera sono sicuri da utilizzare in combinazione
con i pannoloni e non influenzano in modo significativo le prestazioni del presidio assorbente. Tuttavia, questo
studio ha preso in considerazione una sola marca di pannoloni, pertanto questi risultati devono essere
interpretati con cautela, e resta da dimostrare se questo risultato sia generalizzabile a tutte le marche di
pannoloni.
Come per gli emollienti, la gamma di prodotti commercializzati come prodotti-barriera è aumentata, andando
incontro ad una continua evoluzione, fino alla nascita di prodotti concepiti per detergere, idratare e applicare un
prodotto-barriera tutto con un’unica azione. Tuttavia, esiste una generale mancanza di studi oggettivi
sull’efficacia dei prodotti esistenti, o che forniscono risposte alla domanda di quale prodotto da utilizzare in
diverse circostanze, in termini di risultati clinici e di costo-efficacia (Hughes, 2002).
Implicazioni per la pratica
Non è insolito osservare come gli interventi attuati nei regimi di cura della cute siano diversi anche tra le unità
operative all’interno di uno stesso ospedale. Occorre distinguere con chiarezza, una volta per tutte, ciò che
costituisce in intervento terapeutico infermieristico di cura della cute da ciò che invece è un intervento attuato
per ragioni sociali e di igiene generale. Utilizzando questo approccio, è possibile individuare alcune indicazioni
da utilizzare per riflettere sulle pratiche vigenti. I benefici potenziali per i pazienti sono stati evidenziati in una
serie di studi condotti sia in Inghilterra sia nel Nord America. Bale et al. (2004) hanno riportato che l’introduzione
di un protocollo in una RSA per i pazienti anziani affetti da incontinenza ha portato ad un complessivo
miglioramento delle condizioni della cute e dello stato di integrità, mentre Cole e Nesbitt (2004) e Lyder et al.
(2002) hanno dimostrato una significativa riduzione dei tassi di incidenza delle ulcere da pressione, sia in ambito
ospedaliero sia in ambito residenziale, a seguito dell’implementazione dei protocolli di cura della pelle. Nello
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studio di Cole e Nesbitt il tasso di incidenza delle ulcere da pressione è sceso dal 17,9% al 2% nell’arco di 3
anni, e Lyder et al. hanno riportato una riduzione ben del 87% nel tasso di incidenza in una RSA. Questi studi
dimostrano come apportare minimi cambiamenti possa far ottenere risultati notevoli in termini di miglioramento
del mantenimento dell’integrità della cute.
Conclusioni
Come questo articolo ha evidenziato, la cura della pelle rimane un aspetto fondamentale ma ancora largamente
sottovalutato di un’assistenza di qualità. L’apparente ‘invisibilità’ di questo aspetto assistenziale fa sì che spesso
goda di scarsa considerazione, ma l’importanza di interventi efficaci di cura della pelle nel ridurre la sofferenza
causata da lesioni cutanee in tutte le età non può essere ignorato. In definitiva, gli investimenti in questo settore
potrebbero migliorare l’esperienza del paziente, e stanno emergendo evidenze a dimostrazione del fatto che,
nell’ambito della prevenzione delle ulcere da pressione, un efficace regime di cura della pelle non solo migliora
gli esiti clinici, ma è anche in grado di ridurre i costi, una questione che oggi riscuote il crescente interesse dei
sistemi sanitari.
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Materiale riservato ai partecipanti del corso AISLeC PARMA 29-09-2012
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