1 ottobre Santa Teresa di Gesù Bambino (di Lisieux) Vergine e

1 ottobre
Santa Teresa di Gesù Bambino (di Lisieux) Vergine e dottore della Chiesa
Si arrampica a Milano sul Duomo fino alla Madonnina, a Pisa sulla Torre, e a Roma si spinge anche nei posti
proibiti del Colosseo. La quattordicenne Teresa Martin è la figura più attraente del pellegrinaggio francese,
giunto in Roma a fine 1887 per il giubileo sacerdotale di Leone XIII. Ma, nell’udienza pontificia a tutto il
gruppo, sbigottisce i prelati chiedendo direttamente al Papa di poter entrare in monastero subito, prima dei
18 anni. Cauta è la risposta di Leone XIII; ma dopo quattro mesi Teresa entra nel Carmelo di Lisieux, dove
l’hanno preceduta due sue sorelle (e lei non sarà l’ultima). I Martin di Alençon: piccola e prospera borghesia
del lavoro specializzato. Il padre ha imparato l’orologeria in Svizzera. La madre dirige merlettaie che a
domicilio fanno i celebri pizzi di Alençon. Conti in ordine, leggendaria puntualità nei pagamenti come alla
Messa, stimatissimi. E compatiti per tanti lutti in famiglia: quattro morti tra i nove figli. Poi muore anche la
madre, quando Teresa ha soltanto quattro anni. In monastero ha preso il nome di suor Teresa di Gesù
Bambino e del Volto Santo, ma non trova l’isola di santità che s’aspettava. Tutto puntuale, tutto in ordine. Ma
è scadente la sostanza. La superiora non la capisce, qualcuna la maltratta. Lo spirito che lei cercava, proprio
non c’è, ma, invece di piangerne l’assenza, Teresa lo fa nascere dentro di sé. E in sé compie la riforma del
monastero. Trasforma in stimoli di santificazione maltrattamenti, mediocrità, storture, restituendo gioia in
cambio delle offese. E’ una mistica che rifiuta il pio isolamento. La fanno soffrire? E lei è quella che "può farvi
morir dal ridere durante la ricreazione", come deve ammettere proprio la superiora grintosa. Dopodiché, nel
1897 lei è già morta, dopo meno di un decennio di vita religiosa oscurissima. Ma è da morta che diviene
protagonista, apostola, missionaria. Sua sorella Paolina (suor Agnese nel Carmelo) le ha chiesto di
raccontare le sue esperienze spirituali, che escono in volume col titolo Storia di un’anima nel 1898. Così la
voce di questa carmelitana morta percorre la Francia e il mondo, colpisce gli intellettuali, suscita anche
emozioni e tenerezze popolari che Pio XI corregge raccomandando al vescovo di Bayeux: "Dite e fate dire
che si è resa un po’ troppo insipida la spiritualità di Teresa. Com’è maschia e virile, invece! Santa Teresa di
Gesù Bambino, di cui tutta la dottrina predica la rinuncia, è un grand’uomo". Ed è lui che la canonizza nel
1925. Non solo. Nel 1929, mentre in Urss trionfa Stalin, Pio XI già crea il Collegio Russicum, allo scopo di
formare sacerdoti per l’apostolato in Russia, quando le cose cambieranno. Già allora. E come patrona di
questa
sfida
designa
appunto
lei,
suor
Teresa
di
Gesù
Bambino.
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2 ottobre
Santi Angeli Custodi
Il nuovo Calendario universale della Chiesa ha conservato, a questa data, non la festa, ma la memoria degli
Angioli Custodi. Un tempo questa festa veniva celebrata il 29 settembre, insieme con quella di San Michele,
custode e protettore per eccellenza. Tre giorni fa, a quella data, abbiamo ricordato i tre Arcangeli principali, e
diciamo così prototipi, ognuno con il loro nome: Michele, Gabriele e Raffaele. L'uso di una festa particolare
dedicata agli Angioli Custodi si diffuse nella Spagna nel '400, e nel secolo successivo in Portogallo, più tardi
ancora in Austria. Nel 1670, il Papa Clemente X ne fissò la data al 2 ottobre. La devozione per gli Angioli è
più antica di quella per i Santi: prese particolare importanza nel Medioevo quando i monaci solitari
ricercarono la compagnia di queste invisibili creature e le sentirono presenti nella loro vita di silenzioso
raccoglimento. Dopo il concilio di Trento, la devozione per gli Angioli fu meglio definita e conobbe nuova
diffusione. Nella vita attuale, però, gli uomini trascurano sempre di più la propria angelica compagnia, e non
avvertono ormai la presenza di un puro spirito, testimone costante dei pensieri e delle azioni umane. Di
solito si parla dell'Angiolo Custode soltanto ai bambini, e per questo anche l'iconografia si è fissata sulla
figura dell'Arcangiolo Raffaele, che guida e conduce il giovane Tobiolo. Gli adulti, invece, dimenticano
facilmente il loro adulto testimone e consigliere, il loro invisibile compagno di viaggio, il muto testimone della
loro vita. E anche questo aumenta il senso della desolazione e addirittura dell'angoscia che caratterizza il
nostro tempo, nel quale si sono lasciate cadere, come infantili fantasie, tante consolanti e sostenitrici verità
di fede. E' infatti verità di fede che ogni cristiano, dal Battesimo, riceve il proprio Angiolo Custode, che lo
accompagna, lo ispira e lo guida, per tutta la vita, fino alla morte, esemplare perfetto della condotta che si
dovrebbe tenere nei riguardi di Dio e degli uomini. L'Angiolo Custode è dunque il luminoso specchio sul
quale ogni cristiano dovrebbe riflettere la propria condotta giornaliera. Per questo la Chiesa ha dettato una
delle più belle preghiere che dice: "Angiolo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e
governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste. Così sia".
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4 ottobre
San Francesco d'Assisi Patrono d'Italia
Origini e gioventù
Francesco, l'apostolo della povertà, in effetti era figlio di ricchi, nacque ad Assisi nei primi del 1182 da Pietro
di Bernardone, agiato mercante di panni e dalla nobile Giovanna detta “la Pica”, di origine provenzale.
Secondo le Fonti Francescane la nascita potrebbe però datarsi all'estate o all'autunno 1181.
In omaggio alla nascita di Gesù, la religiosissima madonna Pica, volle partorire il bambino in una stalla
improvvisata al pianterreno della casa paterna, in seguito detta “la stalletta” o “Oratorio di s. Francesco
piccolino”, ubicata presso la piazza principale della città umbra. La madre in assenza del marito Pietro,
impegnato in un viaggio di affari in Provenza, lo battezzò con il nome di Giovanni, in onore del Battista; ma
ritornato il padre, questi volle aggiungergli il nome di Francesco che prevarrà poi sul primo. Questo nome era
l'equivalente medioevale di 'francese' e fu posto in omaggio alla Francia, meta dei suoi frequenti viaggi e
occasioni di mercato; disse s. Bonaventura suo biografo: “per destinarlo a continuare il suo commercio di
panni franceschi”; ma forse anche in omaggio alla moglie francese, ciò spiega la familiarità con questa
lingua da parte di Francesco, che l'aveva imparata dalla madre. Crebbe tra gli agi della sua famiglia, che
come tutti i ricchi assisiani godeva dei tanti privilegi imperiali, concessi loro dal governatore della città, il duca
di Spoleto Corrado di Lützen. Come istruzione aveva appreso le nozioni essenziali presso la scuola
parrocchiale di San Giorgio e le sue cognizioni letterarie erano limitate; ad ogni modo conosceva il
provenzale ed era abile nel mercanteggiare le stoffe dietro gli insegnamenti del padre, che vedeva in lui un
valido collaboratore e l'erede dell'attività di famiglia. Non alto di statura, magrolino, i capelli e la barbetta
scura, Francesco era estroso ed elegante, primeggiava fra i giovani, amava le allegre brigate, spendendo
con una certa prodigalità il denaro paterno, tanto da essere acclamato “rex iuvenum” (re dei conviti) che lo
poneva
alla
direzione
delle
feste.
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6 ottobre
San Bruno (Brunone) Sacerdote e monaco
Nato in Germania, e vissuto poi tra il suo Paese, la Francia e l’Italia, il nobile renano Bruno o Brunone è vero
figlio dell’Europa dell’XI secolo, divisa e confusa, ma pure a suo modo aperta e propizia alla mobilità.
Studente e poi insegnante a Reims, si trova presto faccia a faccia con la simonia, cioè col mercato delle
cariche ecclesiastiche che infetta la Chiesa. Professore di teologia e filosofia, esperto di cose curiali,
potrebbe diventare vescovo per la via onesta dei meriti, ora che papa Gregorio VII lotta per ripulire gli
episcopi. Ma lo disgusta l’ambiente. La fede che pratica e che insegna è tutt’altra cosa, come nel 1083 gli
conferma Roberto di Molesme, il severo monaco che darà vita ai Cistercensi. Bruno trova sei compagni che
la pensano come lui, e il vescovo Ugo di Grenoble li aiuta a stabilirsi in una località selvaggia detta
“chartusia” (chartreuse in francese). Lì si costruiscono un ambiente per la preghiera comune, e sette
baracche dove ciascuno vive pregando e lavorando: una vita da eremiti, con momenti comunitari. Ma non
pensano minimamente a fondare qualcosa: vogliono soltanto vivere radicalmente il Vangelo e stare lontani
dai mercanti del sacro. Quando Bruno insegnava a Reims, uno dei suoi allievi era il benedettino Oddone di
Châtillon. Nel 1090 se lo ritrova papa col nome di Urbano II e deve raggiungerlo a Roma come suo
consigliere. Ottiene da lui riconoscimento e autonomia per il monastero fondato presso Grenoble, poi noto
come Grande Chartreuse. Però a Roma non resiste: pochi mesi, ed eccolo in Calabria nella Foresta della
Torre (ora in provincia di Vibo Valentia); e riecco l’oratorio, le celle come alla Chartreuse, una nuova
comunità guidata col solito rigore. Più tardi, a poca distanza, costruirà un altro monastero per chi, inadatto
alle asprezze eremitiche, preferisce vivere in comunità. E’ il luogo accanto al quale sorgeranno poi le prime
case dell’attuale Serra San Bruno. I suoi pochi confratelli (non ama avere intorno gente numerosa e
qualunque) devono essere pronti alla durezza di una vita che egli insegna col consiglio e con istruzioni
scritte, che dopo la sua morte troveranno codificazione nella Regola, approvata nel 1176 dalla Santa
Sede. E’ una guida all’autenticità, col modello della Chiesa primitiva nella povertà e nella gioia, quando si
cantano le lodi a Dio e quando lo si serve col lavoro, cercando anche qui la perfezione, e facendo da maestri
ai fratelli, alle famiglie, anche con i mestieri splendidamente insegnati. Sempre pochi e sempre vivi i
certosini: a Serra, vicino a Bruno, e altrove, passando attraverso guerre, terremoti, rivoluzioni. Sempre fedeli
allo spirito primitivo. Una comunità "mai riformata, perché mai deformata". Come la voleva Bruno, il cui culto
è stato approvato da Leone X (1513-1521) e confermato da Gregorio XV (1621-1623).
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7 ottobre
Beata Vergine Maria del Rosario
Il Rosario è nato dall'amore dei cristiani per Maria in epoca medioevale, forse al tempo delle crociate in
Terrasanta. L'oggetto che serve alla recita di questa preghiera, cioè la corona, è di origine molto antica. Gli
anacoreti orientali usavano pietruzze per contare il numero delle preghiere vocali. Nei conventi medioevali i
fratelli laici, dispensati dalla recita del salterio per la scarsa familiarità col latino, integravano le loro pratiche
di pietà con la recita dei "Paternostri", per il cui conteggio S. Beda il Venerabile aveva suggerito l'adozione di
una collana di grani infilati a uno spago. Poi, narra una leggenda, la Madonna stessa, apparendo a S.
Domenico, gli indicò nella recita del Rosario un'arma efficace per debellare l'eresia albigese. Nacque così la
devozione alla corona del rosario, che ha il significato di una ghirlanda di rose offerta alla Madonna.
Promotori di questa devozione sono stati infatti i domenicani, ai quali va anche la paternità delle confraternita
del Rosario. Fu un papa domenicano, S. Pio V, il primo a incoraggiare e a raccomandare ufficialmente la
recita del Rosario, che in breve tempo divenne la preghiera popolare per eccellenza, una specie di "breviario
del popolo", da recitarsi la sera, in famiglia, poiché si presta benissimo a dare un orientamento spirituale alla
liturgia familiare. Quelle "Ave Maria" recitate in famiglia sono animate da un autentico spirito di preghiera: "E
mentre si propaga la dolce e monotona cadenza delle "Ave Maria", il padre o la madre di famiglia pensano
alle preoccupazioni familiari, al bambino che attendono o ai problemi che già pongono i figli più grandi.
Questo insieme di aspetti della vita familiare subisce allora l'illuminazione del mistero salvifico del Cristo, e
viene spontaneo affidarlo con semplicità alla madre del miracolo di Cana e di tutta quanta la redenzione"
(Schillebeeckx). La celebrazione della festività odierna, istituita da S. Pio V per commemorare la vittoria
riportata nel 1571 a Lepanto contro la flotta turca (inizialmente si diceva "S. Maria della Vittoria"), il giorno 7
ottobre, che in quell'anno cadeva di domenica, venne estesa nel 1716 alla Chiesa universale, e fissata
definitivamente al 7 ottobre da S. Pio X nel 1913. La "festa del santissimo Rosario", com'era chiamata prima
della riforma del calendario del 1960, compendia in certo senso tutte le feste della Madonna e insieme i
misteri di Gesù, ai quali Maria fu associata, con la meditazione di quindici momenti della vita di Maria e di
Gesù.
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9 ottobre
San Giovanni Leonardi Sacerdote
Nella Bolla della sua canonizzazione, san Giovanni Leonardi è definito uno dei maggiori apostoli del secolo
della Riforma cattolica. Un impegno, il suo, che gli costò opposizioni, calunnie e persino la messa al bando
dal suo paese natale, ma che non diminuì in alcun modo la sua azione profetica. Nato a Diecimo presso
Lucca nel 1541, da una famiglia di modesti proprietari terrieri, fu mandato a Lucca per imparare l’arte dello
speziale, come si chiamava allora il farmacista. Lì frequentò il gruppo dei cosiddetti “Colombini”, impegnati a
vivere da autentici cristiani assistendo i poveri e i pellegrini. Avvertita la vocazione al sacerdozio, a 26 anni,
su consiglio del suo direttore spirituale, abbandonò la professione di farmacista per iniziare gli studi
ecclesiastici e nel 1571 celebrò la sua prima Messa. Da allora si dedicò alla predicazione, alla confessione e
soprattutto all’insegnamento della dottrina cristiana secondo le norme emanate dal Concilio di Trento. Con
l’aiuto di alcuni “Colombini” cominciò a riunire nella chiesa di S. Giovanni i ragazzi del rione per un tipo di
catechesi che, per quei tempi, costituiva una novità e per questo spinse il vescovo a conferirgli l’incarico di
insegnare la dottrina in tutte le chiese di Lucca: alle “lezioni” del santo accorrevano anche gli adulti,
conquistati dal suo metodo. Dalla città questo apostolato si estese anche alle parrocchie vicine,
promuovendo una confortante ripresa della vita cristiana in un ambiente caratterizzato, oltre che dalla
decadenza dei costumi, dalla presenza di alcuni predicatori eretici. Per dare continuità alla sua iniziativa, il
Leonardi fondò una Compagnia della Dottrina Cristiana gestita da laici, con regolari statuti approvati dal
vescovo, la quale si diffuse in altre città italiane come Pescia, Pistoia, Siena, Napoli e Roma. A Lucca,
inoltre, egli si impegnò nella promozione della pratica delle Quarantore e della Comunione frequente. Un
ulteriore passo si ebbe nel 1574, quando prese avvio la Confraternita dei preti Riformati, i cui membri
avrebbero poi preso il nome di Chierici Regolari della Madre di Dio. A questo punto lo zelo del santo si
scontrò con l’opposizione di gruppi comprendenti non solo eretici, ma anche sacerdoti e laici, che mal
sopportavano la sua azione riformatrice e che costrinsero i membri della congregazione ad abbandonare la
chiesa di S. Maria della Rosa per trasferirsi in quella di S. Maria Corteorlandini. Nel 1581 l’autorità diocesana
riconobbe il nuovo Ordine, che due anni dopo tenne il suo primo Capitolo generale in cui il Leonardi fu eletto
superiore generale. Egli partì per Roma per ottenere l’approvazione dello statuto che era stato approvato dal
vescovo nel 1584, e durante la sua assenza si scatenò una furiosa campagna denigratoria contro di lui da
parte dei magnati della città che, sobillati da alcuni sacerdoti ed eretici, emisero un decreto con cui lo
bandivano in perpetuo come nemico della patria, con l’accusa di perturbare l’ordine pubblico e di non
rispettare le autorità costituite. Un’inchiesta sollecitata dal santo per accertare le presunte colpe non ebbe
esito, ma si continuò ugualmente a perseguitarlo. Persino alcuni membri della sua comunità entrarono in
conflitto tra loro, ma egli comunque dimostrò sempre magnanimità e carità verso i suoi persecutori. A Roma,
dove rimase in esilio per alcuni anni, si fece apprezzare dalla Curia per le sue qualità di sacerdote e per la
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coerenza della sua condotta. Entrò in amicizia con san Filippo Neri che lo presentò a papa Clemente VIII e
questi nel 1582 lo incaricò di dirimere una delicata situazione creatasi nel santuario della Madonna dell’Arco,
in
diocesi di Nola, circa l’amministrazione delle offerte dei pellegrini. Condotta felicemente a termine questa
missione, il Pontefice lo inviò come Visitatore apostolico alla congregazione di Montevergine, un insigne
ramo dell’Ordine benedettino nell’avellinese, per promuoverne la riforma: egli durante cinque anni visitò tutti i
monasteri personalmente, rendendosi conto dei disordini e degli abusi che avevano determinato lo
scadimento di quella famiglia religiosa; soppresse i monasteri con meno di dodici membri e negli altri varò
norme uniformi circa il vitto, il vestito e le suppellettili in ossequio al voto di povertà. Inoltre, eliminò le
ingerenze laicali nella vita delle comunità monastiche, provvide alla nomina delle cariche e creò un noviziato
pilota che servisse di esempio agli altri monasteri. Il Papa gli ordinò di recarsi a Lucca per visitare i suoi
discepoli, che egli esortò alla carità e all’osservanza delle Costituzioni. Analoghi compiti di riforma gli furono
poi affidati tra i benedettini di Vallombrosa, dove il santo rimosse le cariche, corresse gli abusi, ai novizi
ordinò la confessione e la comunione settimanali, e a tutti la meditazione e gli esercizi spirituali. Intanto a
Roma gli veniva affidata la chiesa di S. Maria in Portico, dove introdusse subito il regolare insegnamento
della dottrina cristiana; inoltre fu chiamato come direttore spirituale nel monastero delle Cappuccine di S.
Urbano e in quello delle Oblate di Santa Francesca Romana. Fu anche mandato in visita alla comunità del
Chierici regolari delle Scuole Pie (gli Scolopi), diventando amico del loro fondatore, san Giuseppe
Calasanzio. Tra il 1607 e il 1608, con il prelato spagnolo G. Battista Vives e il gesuita Martin de Funes,
progettò una congregazione di preti che avessero come scopo precipuo la propaganda cristiana tra gli
infedeli: nacque così nel 1603 quello che poi sarebbe diventato il Collegio Urbano di Propaganda Fide, del
quale il santo è considerato il cofondatore. In quello stesso anno il card. Baronio, collaboratore di san Filippo
Neri, che era stato nominato Protettore della Congregazione, lo volle superiore generale della stessa,
nonostante l’opposizione dei notabili lucchesi che non avevano cessato di essergli ostili perché ritenevano
che il Leonardi sarebbe stato un inviato dell’Inquisizione che essi non volevano a Lucca. Il santo visse i suoi
ultimi anni a Roma, dove morì l’8 ottobre 1609. Dapprima sepolto in S. Maria in Portico, fu poi traslato nella
chiesa di S. Maria in Campitelli, divenuta la sede generalizia dell’Ordine. Beatificato da Pio IX nel 1861, fu
canonizzato da Pio XI il 17 aprile 1938. Di particolare interesse tra gli scritti del santo è il celebre Memoriale
a Paolo V per la riforma generale di tutta la Chiesa: in esso l’autore rivolge al Pontefice un caldo invito a
promuovere una serie di interventi quali, ad esempio, la celebrazione di sinodi nazionali, che consentano
un’attenta diagnosi dei mali che travagliano la Chiesa; il potenziamento della catechesi dei fanciulli perché
«fin dai primi anni siano educati nella purezza della fede cristiana e nei santi costumi»; il rinnovamento del
clero che, a suo avviso, «è la necessaria premessa per la riforma anche dei laici». Un documento, come si
vede,
di
evidente
portata
profetica.
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11 ottobre
San Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli) Papa
Nell’aria c’era già l’odore dell’estate, ma il giorno era triste. Quel 3 giugno 1963 una luce si spegneva nel
mondo: il “Papa buono” era morto. Calde lacrime solcavano il viso delle tante persone che appresero in quei
momenti la notizia della sua scomparsa. Nel suo breve ma intenso pontificato, durato poco meno di cinque
anni, Papa Giovanni era riuscito a farsi amare dal mondo intero, che adesso ne piangeva la perdita. Ma già
subito dopo la sua morte incominciava il fervore della devozione popolare, che doveva avvolgere la sua
figura di una precoce quanto indiscussa aureola di santità, e prendeva avvio il processo di beatificazione: un
lavoro ciclopico, durato ben 34 anni, con l’avvicendarsi di diversi Postulatori e montagne di documenti da
vagliare prima di pronunciarsi sulla sua eroicità. (…)Il 12 ottobre 1958 Angelo Roncalli era partito alla volta di
Roma per partecipare insieme agli altri cardinali al conclave, ma non immaginava assolutamente di essere
eletto Papa. Il suo desiderio era sempre stato quello di essere un pastore di anime, modesto e semplice
come un parroco di campagna. Era nato a Sotto il Monte, piccolo borgo del bergamasco, il 25 novembre
1881, figlio di poveri mezzadri che lo battezzarono il giorno stesso della sua nascita nella locale Chiesa di S.
Maria; la stessa dove, divenuto prete, avrebbe celebrato la sua prima Messa, il 15 agosto 1905, festa
dell’Assunzione. Angelino era molto intelligente e terminò le scuole in un lampo, tanto che in seminario era il
più giovane della sua classe. A 19 anni aveva completato i corsi, ma per la legge ecclesiastica non poteva
essere ordinato sacerdote prima dei 24 anni, così fu mandato a Roma per laurearsi alla
Gregoriana. Divenuto prete, rimase per quindici anni a Bergamo, come segretario del vescovo e insegnante
al seminario. Allo scoppio della prima guerra mondiale fu chiamato alle armi come cappellano militare. Nel
1921 Roncalli è a Roma e, successivamente, viene inviato in Bulgaria e in Turchia come visitatore
apostolico: iniziava così la sua carriera diplomatica. Nominato Nunzio a Parigi nel 1944, diventa Patriarca di
Venezia nel 1953. Un’esistenza piuttosto appartata, senza fatti eclatanti, fino all’elezione al soglio di Pietro.
Aveva allora 77 anni ed aveva già fatto testamento. Intendeva essere sepolto a Venezia e si era fatto
costruire la tomba, nella cripta di S. Marco. Era naturale che ritenesse ormai imminente il suo commiato dal
mondo. L’anno prima, 1957, aveva scritto infatti nel suo diario: “O Signore, siamo a sera. Anni settantasei in
corso. Grande dono del Padre celeste la vita. Tre quarti dei miei contemporanei sono passati all’altra riva.
Dunque anch’io mi debbo tener preparato al grande momento…”. Ma le vie del Signore sono sovente
imprevedibili. Il 28 ottobre 1958 l’allora cardinale e patriarca di Venezia salì al soglio pontificio, come
successore di Pio XII, e molti ne restarono sorpresi. Un vecchio avrebbe dovuto reggere la Chiesa? I giornali
presto ci ricamarono su perché veniva da una famiglia di contadini. “Il papa contadino”, cominciarono a
chiamarlo. Ma Roncalli aveva ben chiara la propria missione da compiere. “Vocabor Johannes…”. Mi
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chiamerò Giovanni, esordì appena eletto. Era il primo punto fermo del suo pontificato. Un nome che era già
tutto un programma. E non si smentì. Nel 1959, un anno soltanto dopo la sua elezione, “tremando un poco di
commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito”, come disse ai cardinali riuniti, annunciò il
Concilio Vaticano II. Un evento epocale, destinato a cambiare il volto della Chiesa, a segnare un netto
spartiacque nella storia della cristianità. (…) Fu il leit-motiv della sua vita e del suo pontificato. Dopo la S.
Messa, nulla era per lui più importante del Rosario. Ogni giorno lo recitava per intero, meditando su ogni
mistero. “Sono entusiasta – egli diceva - di questa devozione, soprattutto quando è capita ed appresa bene.
Il vero Rosario è il cosiddetto Rosario meditato. Questo supplisce a molte altre forme di vita spirituale. È
meditazione, supplicazione, canto ed insieme incantesimo delle anime. Quanta dolcezza e quanta forza in
questa preghiera!”. Mons. Loris Capovilla, suo segretario e fedele custode di memorie, ha detto che Papa
Giovanni “durante tutta la sua esistenza si comportò con Maria di Nazareth come un figlio con la madre, uno
di quei figli che un tempo davano del lei o del voi alla propria genitrice, manifestando amore dilatato dalla
venerazione e rispetto alimentato dall’entusiasmo”. Una venerazione tenera e forte, delicata e incrollabile, in
cui possiamo vedere racchiuso il segreto della sua santità. Durante il suo pontificato fu pubblicato su
“L’Osservatore Romano” un suo “Piccolo saggio di devoti pensieri distribuiti per ogni decina del Rosario, con
riferimento alla triplice accentuazione: mistero, riflessione ed intenzione”: in una scrittura limpida e chiara c’è
il succo delle riflessioni che egli veniva maturando nella personale preghiera del S. Rosario. “Nell’atto che
ripetiamo le Avemarie, quanto è bello contemplare il campo che germina, la messe che s’innalza…”, diceva
con efficace metafora presa da quel mondo contadino a lui così familiare. “Ciascuno avverte nei singoli
misteri l’opportuno e buon insegnamento per sé, in ordine alla propria santificazione e alle condizioni in cui
vive”. Papa Giovanni auspicava che il Rosario venisse recitato ogni sera in casa, nelle famiglie riunite, in
ogni luogo della terra. Ma quanti oggi si radunano per fare questo? Il vento gelido della secolarizzazione ha
finito per spazzare via questa antica consuetudine. Le case assomigliano oggi a isole di solitudine e
incomunicabilità e se ci si riunisce è per celebrare i rituali del “caminetto” televisivo che mescola con la
stessa indifferenza massacri etnici e telequiz, futilità e orrori. (…)Il suo paese natale da oltre un trentennio è
meta incessante di pellegrinaggi. Lo si era immaginato come un papa di transizione, che sarebbe passato in
fretta, presto dimenticato, ma non è stato così. Per un disegno provvidenziale di Dio la giovinezza della
Chiesa si è realizzata attraverso l’opera di un vecchio. Fu veramente un dono inatteso del Cielo. Attento ai
segni dei tempi, Papa Giovanni promosse l’ecumenismo e la pace. Uomo del dialogo e della viva carità, fece
sentire a tutti gli uomini, anche ai non cattolici e ai lontani, l’amicizia di Dio. La sua spiritualità, delicata e
robusta al tempo stesso, aveva, come abbiamo visto, le sue radici in Maria. A Lei sempre si rivolgeva, in Lei
confidava. Non si staccava mai da Lei, né mai si macerava nel dubbio: la sua fede era limpida e sorgiva,
riposava in Maria, attraverso il Rosario. Anche il miracolo, la guarigione “clinicamente inspiegabile” di una
suora malata di cancro, grazie a cui è ora elevato alla gloria degli altari, si è realizzato nel segno di Maria.
Suor Caterina Capitani, delle Figlie della Carità, era affetta da un tumore allo stomaco che l’aveva ridotta in
fin di vita. Papa Giovanni era morto da soli tre anni e la suorina con le consorelle l’aveva pregato a lungo,
con grande insistenza e fiducia. Quel giorno, era il 25 maggio 1966, il “Papa buono” le apparve e le disse di
non temere, perché sarebbe stata guarita, aggiungendo: “Me l’avete strappato dal cuore questo
miracolo”. Prima di scomparire però le fece una grande raccomandazione: di pregare sempre il rosario. Era il
suo chiodo fisso durante la vita, era il segreto della sua santità nell’alba eterna che non conosce tramonto. Il
Martirologium Romanum pone la data di culto al 3 giugno, mentre le diocesi di Bergamo e di Milano
celebrano la sua memoria l'11 ottobre, anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II avvenuta nel 1962.
La festa liturgica è iscritta nel Calendario Romano generale all'11 ottobre, con il grado di memoria
facoltativa.
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14 ottobre
San Callisto
Papa
A Roma sono famose le Catacombe di San Callisto, lungo la via Appia. Tra i molti cimiteri sotterranei
dell'Urbe, quelle di San Callisto sono le Catacombe più note e più frequentate, celebri soprattutto per la
cosiddetta " Cripta dei Papi ". Ma tra i moltissimi Martiri e i Pontefici deposti ivi questo sepolcreto, inutilmente
si cercherebbe il corpo del Santo dal quale le Catacombe lungo la via Appia hanno preso il nome, e che è
segnato oggi sul Calendario universale della Chiesa, onorato come " Martire ". La sorte di questo Santo,
Pontefice agli inizi del III secolo, è stata veramente strana. Egli ebbe, ai suoi tempi, molti avversari tra i
cristiani dissidenti di Roma, e proprio da uno scritto del capo di questi cristiani separati, cioè di un Antipapa,
abbiamo quasi tutte le notizie sul conto di San Callisto. Sono, naturalmente, notizie che tendono a farlo
apparire riprovevole e quasi odioso. San Callisto viene detto, per esempio, " uomo industrioso per il male e
pieno di risorse per l'errore ". Vi si legge che, prima di diventare Papa, era stato schiavo, frodatore di un
padrone troppo ingenuo, finanziere improvvisato e bancarottiere più o meno fraudolento. Fuggito in
Portogallo, venne arrestato e ricondotto a Roma, dove subì una condanna ai lavori forzati, nelle miniere della
Sardegna. Tornato a Roma in occasione di un'amnistia, venne inviato ad Anzio perché - sempre secondo il
racconto tendenzioso del suo avversario - il Papa non volle averlo d'intorno. Ma la lunga permanenza ad
Anzio dovette riscattare l'antico schiavo dai suoi difetti, se mai ne ebbe, perché un altro Papa, Zeffirino, lo
richiamò a Roma, affidando alla sua intraprendenza la cura dei cimiteri della Chiesa. Fu allora che Callisto
iniziò lo scavo dei grande sepolcreto lungo la via Appia che doveva portare il suo nome. Alla morte di
Zeffirino, Callisto passò dalla cura dei morti a quella dei vivi, essendo eletto Papa egli stesso. E fu proprio
allora, come Papa, che il reduce dalle miniere della Sardegna e dall'" esilio " di Anzio, si attirò le
recriminazioni di certi cristiani troppo ligi alla tradizione, troppo rigidi nella morale, troppo retrivi alle novità.
Fu accusato di eresia, nella formulazione del mistero della Trinità, che invece Callisto sosteneva secondo la
tradizione ortodossa, confermata poi dai concili. Venne incolpato, inoltre, di scarso zelo mentre, in tempi di
rilassatezza, istituì il digiuno delle Quattro Tempora. Gli fu rimproverato soprattutto il " lassismo ", cioè la
scarsa severità disciplinare. Accoglieva infatti nella Chiesa i peccatori pentiti e . cristiani che debolmente
avevano difeso la loro fede in tempo di pericolo. Ma qualsiasi ombra gravasse sulla vita di San Callisto,
venne riscattata alla sua morte, che fu morte di Martire, nel 222. Gettato in un pozzo di Trastevere, forse in
una sommossa popolare, il suo corpo venne deposto di là dal fiume, lungo la via Aurelia, lontano dalle
Catacombe da lui aperte lungo la via Appia, che di San Callisto conservano il nome ma non le reliquie.
10
15 ottobre
Santa Teresa di Gesù (d'Avila) Vergine e Dottore della Chiesa
Al secolo Teresa de Cepeda y Ahumada, riformatrice del Carmelo, Madre delle Carmelitane Scalze e dei
Carmelitani Scalzi; "mater spiritualium" (titolo sotto la sua statua nella basilica vaticana); patrona degli
scrittori cattolici (1965) e Dottore della Chiesa (1970): prima donna, insieme a S. Caterina da Siena, ad
ottenere tale titolo; nata ad Avila (Vecchia Castiglia, Spagna) il 28 marzo 1515; morta ad Alba de Tormes
(Salamanca) il 4 ottobre 1582 (il giorno dopo, per la riforma gregoriana del calendario fu il 15 ottobre);
beatificazione nel 1614, canonizzazione nel 1622; festa il 15 ottobre. La sua vita va interpretata secondo il
disegno che il Signore aveva su di lei, con i grandi desideri che Egli le mise nel cuore, con le misteriose
malattie di cui fu vittima da giovane (e la malferma salute che l'accompagnò per tutta la vita), con le
"resistenze" alla grazia di cui lei si accusa più del dovuto. Entrò nel Carmelo dell'Incarnazione d'Avila il 2
novembre 1535, fuggendo di casa. Un pò per le condizioni oggettive del luogo, un pò per le difficoltà di
ordine spirituale, faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua "conversione", a 39 anni. Ma l'incontro
con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione. Nel 1560 ebbe la prima idea di un
nuovo Carmelo ove potesse vivere meglio la sua regola, realizzata due anni dopo col monastero di S.
Giuseppe, senza rendite e "secondo la regola primitiva": espressione che va ben compresa, perchè allora e
subito dopo fu più nostalgica ed "eroica" che reale. Cinque anni più tardi Teresa ottenne dal Generale
dell'Ordine, Giovanni Battista Rossi - in visita in Spagna - l'ordine di moltiplicare i suoi monasteri ed il
permesso per due conventi di "Carmelitani contemplativi" (poi detti Scalzi), che fossero parenti spirituali delle
monache ed in tal modo potessero aiutarle. Alla morte della Santa i monasteri femminili della riforma erano
17. Ma anche quelli maschili superarono ben presto il numero iniziale; alcuni con il permesso del Generale
Rossi, altri - specialmente in Andalusia - contro la sua volontà, ma con quella dei visitatori apostolici, il
domenicano Vargas e il giovane Carmelitano Scalzo Girolamo Graziano (questi fu inoltre la fiamma spirituale
di Teresa, al quale si legò con voto di far qualsiasi cosa le avesse chiesto, non in contrasto con la legge di
Dio). Ne seguirono incresciosi incidenti aggravatisi per interferenze di autorità secolari ed altri estranei, sino
all'erezione degli Scalzi in Provincia separata nel 1581. Teresa potè scrivere: "Ora Scalzi e Calzati siamo
tutti in pace e niente ci impedisce di servire il Signore". Teresa è tra le massime figure della mistica cattolica
di tutti i tempi. Le sue opere - specialmente le 4 più note (Vita, Cammino di perfezione, Mansioni e
Fondazioni) - insieme a notizie di ordine storico, contengono una dottrina che abbraccia tutta la vita
dell'anima, dai primi passi sino all'intimità con Dio al centro del Castello Interiore. L' Epistolario, poi, ce la
mostra alle prese con i problemi più svariati di ogni giorno e di ogni circostanza. La sua dottrina sull'unione
dell'anima con Dio (dottrina da lei intimamente vissuta) è sulla linea di quella del Carmelo che l'ha preceduta
e che lei stessa ha contribuito in modo notevole ad arricchire, e che ha trasmesso non solo ai confratelli, figli
e figlie spirituali, ma a tutta la Chiesa, per il cui servizio non badò a fatiche. Morendo la sua gioia fu poter
affermare: "muoio figlia della Chiesa".
11
16 ottobre
Santa Margherita Maria Alacoque Vergine
La memoria di Santa Margherita Maria Alacoque, francese, è legata alla diffusione della devozione del Sacro
Cuore, una devozione tipica dei tempi moderni, e promossa infatti soltanto tre secoli fa, quando soffiò sulla
Francia il vento gelido del Giansenismo, foriero della tormenta dell'Illuminismo. All'origine della devozione al
Cuore di Gesù si trovano due grandi Santi: Giovanni Eudes e Margherita Maria Alacoque. Del primo
abbiamo già parlato il 19 agosto. dicendo come questo moschettiere dell'amore di Gesù e Maria fosse il
primo e più fervido propagatore del nuovo culto. Santa Margherita Maria Alacoque, da parte sua, fu colei che
rivelò in tutta la loro mirabile profondità i doni d'amore dei cuore di Gesù, traendone grazie strepitose per la
propria santità, e la promessa che i soprannaturali carismi sarebbero stati estesi a tutti i devoti del Sacro
Cuore. Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile, soprattutto perché non le fu
facile sottrarsi all'affetto dei genitori, e alle loro ambizioni mondane per la figlia, ed entrare, a ventiquattro
anni, neII'Ordine della Visitazione, fondato da San Francesco di Sales. Margherita, diventata suor Maria,
restò vent'anni tra le Visitandine, e fin dall'inizio si offrì " vittima al Cuore di Gesù ". In cambio ricevette grazie
straordinarie, come fuor dell'ordinario furono le sue continue penitenze e mortificazioni sopportate con
dolorosa gioia. Fu incompresa dalle consorelle, malgiudicata dai Superiori. Anche i direttori spirituali
dapprima diffidarono di lei, giudicandola una fanatica visionaria. " Ha bisogno di minestra ", dicevano, non
per scherno, ma per troppo umana prudenza. Ci voleva un Santo, per avvertire il rombo della santità. E fu il
Beato Claudio La Colombière, che divenne preziosa e autorevole guida della mistica suora della Visitazione,
ordinandole di narrare, nella Autobiografia, le sue esperienze ascetiche, rendendo pubbliche le rivelazioni da
lei avute. "Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini", le venne detto un giorno, nel rapimento di una
visione: una frase restata quale luminoso motto della devozione al Sacro Cuore. E poi, le promesse: "Il mio
cuore si dilaterà per spandere con abbondanza i frutti del suo amore su quelli che mi onorano". E ancora: "I
preziosi tesori che a te discopro, contengono le grazie santificanti per trarre gli uomini dall'abisso di
perdizione". Per ispirazione della Santa, nacque così la festa del Sacro Cuore, ed ebbe origine la pratica pia
dei primi Nove Venerdì del mese. Vinta la diffidenza, abbattuta l'ostilità, scossa la indifferenza, si diffuse nel
mondo la devozione a quel Cuore che a Santa Margherita Alacoque era apparso "su di un trono di fiamme,
raggiante come sole, con la piaga adorabile, circondato di spine e sormontato da una croce". E’ l'immagine
che appare ancora in tante case, e che ancora protegge, in tutto il mondo, le famiglie cristiane.
12
18 ottobre
San Luca Evangelista
I medici-chirurghi sono cristianamente sotto la protezione dei Santi Cosma e Damiano, i martiri guaritori
anargiri vissuti nel III secolo e attivi gratuitamente in Siria. Anche altri santi “minori “ sono invocati,
specialmente per alcune branche specialistiche come l’oculistica e l’odontoiatria. Ma il principe patrono della
categoria è, senza ombra di dubbio, San Luca evangelista, che una lunga tradizione vuole originario di
Antiochia, tanto da essere denominato “il medico antiocheno”. Come è noto, tale importante città, che
corrisponde all’attuale Antakia nella Turchia sudorientale, fu fondata quale capitale del regno di Siria nel 301
a.C.; vi fiorì una numerosa colonia giudaica e fu poi sede di una delle più antiche comunità cristiane. Luca, il
cui nome è probabilmente abbreviazione di Lucano, vi nacque come pagano, ma diventò proselita o quanto
meno simpatizzante della religione ebraica. Egli non era discepolo di Gesù di Nazaret; si convertì dopo, pur
non figurando nemmeno come uno dei primitivi settantadue discepoli. Diventò membro della comunità
cristiana antiochena, probabilmente verso l’anno 40. Fu poi compagno di San Paolo (Tarso, inizio I° secolo/
forse 8 d.C.-Roma, 67 ca.) in alcuni suoi viaggi. Lo si trova con l’apostolo delle genti a Filippi, Gerusalemme
e Roma. Sostanzialmente suo discepolo, condivise la visione universale paolina della nuova religione e,
allorché decise di scrivere le proprie opere, lo fece soprattutto per le comunità evangelizzate da Paolo, ossia
in genere per convertiti dal paganesimo. Si incontrò tuttavia anche con San Giacomo il Minore, capo della
Chiesa di Gerusalemme, con San Pietro, più a lungo con San Barnaba e forse con San Marco. La qualifica
di medico attribuita a Luca viene confermata, secondo gli studiosi, dall’esame interno delle sue opere. La
sua cultura e la preparazione specifica erano sicuramente note tra le comunità di cui faceva parte; potrebbe
addirittura avere curato la Madre del Signore. Certamente la sua cultura generale e la sua esperienza degli
uomini erano piuttosto notevoli. Prove ne siano lo stile e l’uso della lingua greca nonché la struttura stessa
dei suoi scritti: il terzo Vangelo e gli Atti degli Apostoli. La data di composizione degli Atti viene fatta risalire
agli anni 63-64, quella del Vangelo ad un anno o due prima. Luca coltivava anche l’arte e la letteratura.
Un’antica tradizione lo vuole addirittura autore di alcune “Madonne” che si venerano ancora ai nostri giorni,
come in Santa Maria Maggiore a Roma. Egli è il solo evangelista a dilungarsi sull’infanzia di Gesù ed a
narrare episodi della vita della Madonna che gli altri tre non hanno riferito. Le fonti della sua narrazione
furono i racconti dei discepoli e delle donne che vissero al seguito di Gesù; quasi sicuramente i Vangeli di
Matteo e di Marco, che lui conosceva. Con la precisione cronologica e spesso geografica con la quale riferì
delle vicende del Vangelo, così egli, insieme a tanta passione, raccontò negli Atti i primi passi della comunità
cristiana dopo la Pentecoste. Per alcuni studiosi Luca avrebbe scritto parecchio nella regione della Beozia,
regione dell’antica Grecia confinante a sud con il golfo di Corinto e l’Attica. Tale regione fu sede di regni
importanti come quello di Tebe. Per i Greci addirittura l’evangelista sarebbe morto in quei luoghi all’età di
ottantaquattro anni, senza essersi mai sposato e senza avere avuto figli. Per altri invece egli sarebbe morto
in Bitinia, regione nord-occidentale dell’odierna Turchia. Per la verità nulla di certo si sa della vita di Luca
dopo la morte di San Paolo. Addirittura non si conosce sicuramente se egli abbia terminato la propria
esistenza terrena con una morte naturale oppure come martire appeso ad un olivo. Ovviamente ignoto è il
luogo della prima sepoltura. Vi sono tre città soprattutto che si appellano ad una tradizione di traslazione del
corpo dell’evangelista: Costantinopoli, Padova e Venezia. Sono città quindi intorno alle quali e dalle quali si
diffuse il suo culto. Recentissimi studi avrebbero dimostrato che sue sono le spoglie mortali, eccezione fatta
per il capo, conservate a Padova nella basilica benedettina di Santa Giustina. In tale città veneta sarebbero
giunte per sottrarle alla distruzione degli iconoclasti e là già nel XIV secolo fu per loro costruita una cappella
ed un’Arca, detta appunto di San Luca. II simbolo di San Luca evangelista è il vitello, animale sacrificale. II
18 ottobre viene celebrata nella Chiesa universale la sua solennità, la solennità di Colui che Dante ha
definito lo “scriba della mansuetudine di Cristo” per il predominio, nel suo Vangelo, di immagini di mitezza, di
gioia e di amore.
13
19 ottobre
Santa Laura di Cordova Martire
Santa Laura sarebbe stata una monaca del monastero di S. Maria di Cuteclara, nei pressi di Cordova in
Spagna, di cui nell’856 divenne badessa succedendo a s. Aurea.. Nel “Martyrologium hispanicum” si narra,
con poca certezza, che durante l’occupazione musulmana rifiutò di abiurare la propria fede cristiana;
condotta davanti ad un giudice islamico, fu processata e condannata a morire in un bagno di pece bollente,
dove diede la sua anima a Dio dopo tre ore di atroci dolori, era l’anno 864. A dispetto delle scarne notizie
che si sanno, il culto per la martire Laura ebbe grande espansione e il suo nome è molto diffuso in tutta
Europa. Molti studiosi fanno derivare Laura dal latino ‘laurus’, alloro, pianta sacra ad Apollo e simbolo di
sapienza e gloria. Ai tempi dei romani comunque era più facile trovare Laurentia che Laura; il significato lo si
fa risalire al serto di alloro con cui venivano incoronati i vincitori di varie gare; nei secoli successivi, con il
serto sulla testa, si sono raffigurati i poeti ed i sapienti, del resto ancora oggi chi completa il ciclo degli studi è
detto laureato.
14
20 ottobre
Sant' Irene del Portogallo Martire
Sono più d'una, nei calendari, le Sante con il nome di Irene. Nome bello nel suono e nel significato, perché
deriva dalla parola greca che significa " pace ". La Santa Irene di oggi è una delle più note, grazie soprattutto
a una pittoresca leggenda che ha incontrato grande popolarità in molti paesi, benché abbia ben poco di
verosimile. Narra dunque come Irene, nata nel Portogallo sulla metà del VI secolo, fosse religiosa in un
monastero di vergini consacrate a Dio. Benché modesta e pudica, ella spiccava tra le consorelle per la sua
eccezionale bellezza di lineamenti. Si innamorò di lei un giovane signore, che più volte la chiese in sposa.
Irene gli fece capire come ciò fosse impossibile, e non per sprezzo o antipatia, ma per restare fedele a un
impegno più alto. Al rifiuto, il giovane, sinceramente innamorato, si afflisse tanto da ridursi gravemente
ammalato. Spronata dalla carità, Irene si recò a visitarlo, e lo consolò con parole così ispirate da far presto
guarire l'innamorato giovane. Ma la storia non finì lì. Un religioso indegno, turbato dalla bellezza di Irene,
tentò di corrompere la giovane, sua penitente. Non riuscendovi, egli si vendicò atrocemente. Offrì alla
fanciulla una misteriosa bevanda, e poco dopo Irene mostrò i segni di una prossima maternità. Lo scandalo
dilagò. Lo seppe anche il primo pretendente, il quale, giustamente si ritenne odiosamente beffato. Mandò
perciò un sicario per punire la donna, da lui ritenuta menzognera e impudica. Il sicario recise con la spada la
testa di Irene, poi ne gettò il corpo nelle acque di un fiume. La corrente portò il corpo di Irene fino al Tago,
poi lo fece arenare presso la città di Scallabis; dove viveva un Abate, zio della fanciulla. Avvertito in visione
dell'accaduto, l'Abate si recò in processione a raccogliere le spoglie dell'uccisa. Non fu difficile comprovare
l'innocenza della fanciulla, Martire senza colpa. La sua vicenda commosse l'intera città, tanto che da allora
venne chiamata, non più Scallabis, ma Santarèm, cioè " Sant'Irene ". Abbiamo già detto che questa
popolarissima leggenda non ha nessun fondamento reale. La Santa di oggi, la Santa Irene di Santarèm,
altro non è che l'immaginario " doppione " di un'altra Martire dallo stesso nome. Sant'Irene, Martire di
Tessalonica nei primi secoli, era particolarmente venerata a Scallabis, dove si trovavano alcune sue reliquie.
La devozione per l'antica Martire orientale dette corpo alla leggenda della Santa dallo stesso nome, ma con
le fattezze di una fanciulla portoghese. Si volle insomma rendere più edificante e commovente un esempio di
virtù e di eroismo, non però allo scopo di ingannare i fedeli, ma al contrario per accrescere il loro zelo e
ravvivare il loro affetto per la Santa.
15
21 ottobre
Beato Giuseppe Puglisi Sacerdote e martire
Dallo 25 maggio 2013 l’antimafia va in paradiso; anche se il primo a riderne sarebbe proprio lui, don Pino
Puglisi, il prete antimafia per eccellenza, che tuttavia non è stato mai una prete ”anti”, piuttosto sempre un
prete “per”. Le sue umili origini (papà calzolaio, mamma sarta) affondano a Brancaccio, il quartiere
palermitano dove nasce il 15 settembre 1937 e sempre ad alta concentrazione di miseria (non sempre solo
materiale), di delinquenza, di corruzione. E di mafia. Con la quale il prete di Brancaccio deve ben presto
confrontarsi, perché del suo quartiere finisce nel 1990 per essere nominato parroco. Nei 28 anni precedenti
ha ricoperto i più svariati incarichi, dall’insegnamento alla pastorale vocazionale, dalla direzione spirituale di
giovani e religiose alla rettoria del seminario minore fino all’accompagnamento delle giovani coppie,
rivelandosi sempre fine educatore, consigliere illuminato ed incisivo formatore di coscienze, comunque un
prete “rompiscatole”, come ama definirsi, che non lascia tranquilli i suoi interlocutori, sempre stimolandoli ad
una maggior autenticità cristiana. Significativi, dal punto di vista pastorale, i suoi otto anni passati nella
comunità di Godrano, contrassegnata da una atavica e sanguinosa faida, che riesce a debellare a colpi di
Vangelo e carità, insegnando e inculcando la forza trasformante della riconciliazione cristiana e del perdono
vicendevole. Ritorna a Brancaccio da parroco, umanamente ormai maturo perché oltre la soglia dei 50 anni,
ma, soprattutto, pastoralmente ben collaudato, con uno stile pedagogico e formativo ben definito e una
passione per i giovani che con il tempo è andata aumentando anziché affievolirsi. Sono loro, infatti, a dover
essere sottratti, uno ad uno, all’influenza mafiosa, per creare una nuova cultura della legalità e un’autentica
promozione umana, che passi attraverso il risanamento del quartiere, la creazione di nuove opportunità
lavorative, il recupero di condizioni di vita dignitose, ulteriori possibilità di scolarizzazione. Per fare questo
don Puglisi non si risparmia e non esclude alcun mezzo, dalla predica in chiesa con toni accesi ed
inequivocabili alla promozione in piazza di manifestazioni e marce antimafia che raccolgono sempre più
adesioni e che per la malavita locale sono un autentico pugno nello stomaco. In soli tre anni di intensa
attività la mafia si vede progressivamente privata di manovalanza e, soprattutto, di consenso popolare da
quel prete che ben presto diventa una sgradita “interferenza” e che raccoglie i giovani in un centro, intitolato
al Padre Nostro, dove fa ripetizione ai bambini poveri, destinati a un futuro di disagio o di asservimento alla
potenza dei boss. A tutti ripete che “da soli, non saremo noi a trasformare il quartiere. Noi vogliamo
rimboccarci le maniche e costruire qualcosa, e se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto…”.
Cominciano ad arrivare i primi avvertimenti, le prime molotov e le prime porte incendiate, ma don Pino non è
tipo da lasciarsi intimorire: “Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti”, denuncia in
chiesa. È in questo contesto che viene decretata la sua condanna a morte da parte dei boss Graviano. I
16
sicari lo avvicinano davanti alla porta di casa il 15 settembre 1993, sera del suo 56° compleanno e lo
eliminano con un colpo di pistola alla nuca, tentando di far apparire l’omicidio come conseguenza di una
rapina finita male. È Salvatore Grigoli, quello che ha premuto il grilletto, a ricordare il suo ultimo sorriso e le
parole “Me l’aspettavo”, che dicono come quella morte non sia un incidente di percorso ma un rischio di cui
don Pino era ben cosciente. Quell’assassinio “ci sembrò subito come una maledizione, perché da allora
cominciò ad andarci tutto storto”, riferisce sempre Grigoli, che intanto ha iniziato un percorso di conversione,
imitato alcuni anni dopo dall’altro sicario, Gaspare Spatuzza. Entrambi attribuiscono il ravvedimento alla loro
vittima, da cui sono certi di essere stati perdonati. Dopo trent’anni la Chiesa riconosce la morte di don Puglisi
come martirio “in odio alla fede”, privando di fatto la mafia di quell’aura di religiosità, o meglio di
devozionismo che alcuni boss hanno ostentato. Chissà se a lui non sta un po’ stretta, ora, la nuova qualifica
di “beato”, che può rischiare, come qualcuno teme, di trasformarlo in un “santino” più che in un santo,
edulcorando cioè la forza della sua testimonianza. Ma, a ben guardare, non dipende da lui: dipende da noi.
22 ottobre
San Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla) Papa
Karol Józef Wojtyła, eletto Papa il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Cracovia, il 18
maggio 1920. Era il secondo dei due figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo
fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941. A nove
anni ricevette la Prima Comunione e a diciotto anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella
scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.
Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in
una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la
deportazione in Germania. A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di
formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale
Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino.
Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà
di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale a Cracovia il 1 novembre 1946.
Successivamente, fu inviato dal Cardinale Sapieha a Roma, dove conseguì il dottorato in teologia (1948),
con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce. In quel periodo, durante le sue
vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda. Nel 1948
ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di
San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e
teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino una tesi sulla possibilità di fondare un’etica
cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler. Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica
nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino. Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo
17
nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre
1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak. Il 13 gennaio
1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Paolo VI che lo creò Cardinale il 26 giugno 1967. Partecipò al
Concilio Vaticano II (1962-65) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et
spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo
Pontificato. Viene eletto Papa il 16 ottobre 1978 e il 22 ottobre segue l'inizio solenne del Suo ministero di
Pastore Universaledella Chiesa. Dall’inizio del suo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II ha compiuto 146
visite pastorali in Italia e, come Vescovo di Roma, ha visitato 317 delle attuali 332 parrocchie romane. I
viaggi apostolici nel mondo - espressione della costante sollecitudine pastorale del Successore di Pietro per
tutte le Chiese - sono stati 104. Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Encicliche, 15 Esorta-zioni
apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche. A Papa Giovanni Paolo II si ascrivono
anche 5 libri: "Varcare la soglia della speranza" (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo
anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); "Trittico romano", meditazioni in forma di poesia (marzo
2003); "Alzatevi, andiamo!" (maggio 2004) e "Memoria e Identità" (febbraio 2005). Papa Giovanni Paolo II ha
celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un
totale di 482 santi. Ha tenuto 9 concistori, in cui ha creato 231 (+ 1 in pectore) Cardinali. Ha presieduto
anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio. Dal 1978 ha convocato 15 assemblee del Sinodo dei
Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria
(1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999). Nessun Papa ha incontrato
tante persone come Giovanni Paolo II: alle Udienze Generali del mercoledì (oltre 1160) hanno partecipato
più di 17 milioni e 600mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose (più
di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000), nonché i milioni di fedeli
incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo; numerose anche le personalità governative
ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato,
come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri. Muore a Roma, nel suo alloggio nella Città del
Vaticano, alle ore 21.37 di sabato 2 aprile 2005. I solenni funerali in Piazza San Pietro e la sepoltura nelle
Grotte Vaticane seguono l'8 aprile. La festa liturgica è iscritta nel Calendario Romano generale al 22 ottobre,
con il grado di memoria facoltativa.
Fonte: www.karol-wojtyla.org
18
23 ottobre
San Giovanni da Capestrano Sacerdote
Dalla data tradizionale del 28 marzo, il nuovo Calendario della Chiesa ha riportato al 23 ottobre, data
effettiva della sua morte, la memoria facoltativa di San Giovanni da Capestrano, uno dei due Santi che, nelle
opere d'arte del '400, vengono rappresentati con lo stemma di Cristo Re. Il primo è San Bernardino da
Siena, che mostra lo stemma raggiante sulla tipica tavoletta di legno, da lui alzata su tutte le piazze come
simbolo di libertà e pegno di pace. Il secondo è San Giovanni da Capestrano, che sventola invece quel
luminoso stemma sopra una bandiera spiegata, garrente nell'aria di una ideale battaglia. Era nato a
Capestrano, vicino all'Aquila, nel 1386, da un barone tedesco, ma da madre abruzzese, e il biondo incrocio
tra il cavaliere tedesco e la fanciulla abruzzese veniva chiamato "Giantudesco". "I miei capelli, i quali
sembravano fili d'oro - ricorderà da vecchio -io li portavo lunghi, secondo la moda dei mio paese, sicché mi
facevano una bella danza". Studente a Perugia, si laureò e divenne ottimo giurista, tanto che Ladislao di
Durazzo lo fece governatore di quella città. Ma da Perugia si vedeva, sul fianco del Subasio, la rosea nuvola
di Assisi, e Giantudesco, caduto prigioniero, meditò in carcere sulla vanità del mondo, come aveva già fatto il
giovane San Francesco. Non volle perciò tornare alla vita mondana e uscito di carcere si fece legare dalla
corda francescana, entrando nell'Ordine, dove San Bernardino propugnava, nel nome di Gesù, la riforma
della cosiddetta " osservanza ". Giantudesco entrò in intimità col Santo riformatore. Lo difese apertamente e
valorosamente quando, a causa della devozione del Nome di Gesù, il Santo senese venne accusato
d'eresia. Anch'egli così prese come emblema il monogramma bernardiniano di Cristo Re e lo portò nelle sue
dure battaglie contro gli eretici e contro gl'infedeli. Il Papa lo nominò Inquisitore dei Fraticelli; lo inviò suo
legato in Austria, in Baviera, in Polonia, dove si allargava sempre di più la piaga degli Ussiti. In Terra Santa
promosse l'unione degli Armeni con Roma. Ovunque c'era da incitare, da guidare e da combattere,
Giantudesco alzava la sua bandiera fregiata dal raggiante stemma di Gesù o addirittura una pesante croce
di legno, che ancora si conserva all'Aquila, e si gettava nella mischia, con teutonica fermezza e con italico
ardore. Aveva settant'anni, nel 1456, quando si trovò alla battaglia di Belgrado investita dai Turchi. Entrò
nelle schiere dei combattenti, dove era più incerta la sorte delle armi, incitando i cristiani ad avere fede nel
nome di Gesù. " Sia avanzando che retrocedendo - gridava, ~ sia colpendo che colpiti, invocate il Nome di
Gesù. In Lui solo è salute! ". Per undici giorni e undici notti non abbandonò mai il campo. Ma questa doveva
essere la sua ultima fatica di combattente. Tre mesi dopo, il 23 ottobre, Giantudesco moriva a Villaco, nella
Schiavonia, consegnando ai suoi fedeli la Croce, emblema di Cristo Re, che egli aveva servito, fino allo
stremo delle sue forze.
19
25 ottobre
Beato Carlo Gnocchi Sacerdote
Un’altra grande figura della santità e operosità milanese; fu chiamato l’apostolo dei mutilatini. Nacque a S.
Colombano al Lambro (MI) il 25 ottobre 1902 dal padre Enrico marmista e da Clementina Pasta sarta.
A 2 anni divenne orfano di padre e la famiglia si trasferì prima a Milano e poi a Besana di Brianza; studiò nel
seminario milanese e venne ordinato sacerdote il 6 giugno 1925; le sue prime esperienze d’apostolato le
fece nelle parrocchie di Cernusco sul Naviglio e in quella di S. Pietro in Sala a Milano. Nel contempo divenne
cappellano all’Istituto Gonzaga, dove ebbe l’opportunità di conoscere meglio l’uomo inquadrato nella società,
i giovani, ma anche le loro famiglie e l’ambiente, affinando così la sua passione e la sua sensibilità come
educatore. Ebbe anche dal cardinale arcivescovo beato Schuster, l’incarico di assistente spirituale del GUF
(Gruppo Universitari Fascisti) di Milano. Il 22 settembre 1936, fu nominato direttore spirituale dell’Istituto
Gonzaga di cui era stato cappellano, diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane e inoltre insegnante di
religione all’Istituto Commerciale Schiapparelli di Milano. Il 10 giugno 1940, l’Italia entrò in guerra e don
Carlo Gnocchi si arruolò volontariamente come cappellano militare del Battaglione degli Alpini ‘Val
Tagliamento’, che partecipò alla campagna di Grecia. Di ritorno dalla Grecia, volle pure partecipare da
‘sacerdote’ alla campagna di Russia, come cappellano degli Alpini della Divisione Tridentina; la disastrosa
ritirata del gennaio 1943, che vide la morte di numerosi soldati, lo colpì profondamente, provocandogli una
forte crisi spirituale sulla bontà di Dio, crisi che superò con la sua immensa fede e facendogli intuire il
significato e il valore della sofferenza degli innocenti. Maturò il lui il desiderio di provvedere all’assistenza
degli orfani dei suoi alpini, dei mutilatini di guerra, vittime dei bombardamenti e degli ordigni bellici scoppiati
fra le loro mani e degli handicappati di ogni genere. Decorato con medaglia d’argento al valor militare, negli
anni 1944-45 partecipò alla Resistenza subendo anche il carcere per alcuni giorni e liberato per l’intervento
del cardinale Schuster. Nel 1945 lasciò l’incarico di direttore spirituale all’Istituto Gonzaga, prendendo quello
di assistente ecclesiastico degli studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, restandoci tre anni,
intanto nel 1947 aveva fondato l’Istituzione ‘Pro infantia mutilata’ riconosciuta con D.P.R. del 26 marzo 1949.
Nel 1953 l’istituzione cambiò denominazione in ‘Fondazione Pro Juventute’ riconosciuta come Ente Morale.
Don Carlo Gnocchi fu il “don Bosco” di Milano, la sua vita ebbe due fasi, divise dalla Seconda Guerra
Mondiale, la prima lo vide come educatore, intento alla riflessione e alla ricerca spirituale e culturale, la
seconda come uomo d’azione, rapido, instancabile, ansioso di creare e realizzare le sue idee e opere, prima
che il tempo si concludesse per lui. Si fece propagandista itinerante in Italia e all’Estero per le sue istituzioni,
che ormai si erano ramificate, aumentando con ritmo veloce, in Lombardia e in altre regioni italiane. Come
atto supremo dell’amore che portava verso i suoi mutilatini e disabili, volle che alla sua morte, avvenuta il 28
febbraio 1956, le sue cornee venissero espiantate per donarle a due ragazzi ciechi, operazione felicemente
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riuscita ad opera del professor Cesare Galeazzi; si era agli albori della cultura dei trapianti d’organi. Fu
scrittore fecondo di spiritualità, educazione, pedagogia. La sua salma, il 3 aprile 1960 fu traslata dal Cimitero
Monumentale alla Cappella del Centro Pilota di Milano. Sono in corso i processi canonici per la sua
beatificazione, iniziati il 3 dicembre 1986, con la formale richiesta alla S. Sede da parte dell’arcivescovo di
Milano, card. Martini. Il 20 dicembre 2002 il Papa lo ha dichiarato venerabile. Il 25 ottobre 2009 è stato
beatificato
e
la
sua
festa
liturgica
è
stata
fissata
al
25
ottobre.
28 ottobre
San Simone Apostolo
Nonostante sia il più sconosciuto degli Apostoli, nella cui lista è solo nominato all’undicesimo posto,
numerosissime opere d’arte lo raffigurano, sparse in tutta Italia ed in Europa, a testimonianza di un culto
molto diffuso nella cristianità. Stranamente a differenza degli altri apostoli, le notizie pervenutaci sulle sue
origini, sulla sua presenza in seno al collegio apostolico, sulla sua attività evangelizzatrice, sulla sua morte,
sono tutte incerte e sempre state controverse negli studi dei vari esperti lungo tutti i secoli. Quindi siamo
obbligati a considerare le varie ipotesi, mancando la certezza per una sola. Prima di tutto Gesù scelse i suoi
apostoli guardando solo al cuore degli uomini e li volle appartenenti alle varie correnti del giudaismo di
allora, dai farisei ai discepoli di s. Giovanni Battista, dagli zeloti a personaggi diciamo appartenenti alla gente
comune, come pure un pubblicano. Simone, per distinguerlo da Simon Pietro, gli evangelisti Matteo e Marco
gli danno il soprannome di “Zelota” o “Cananeo”, forse l’appellativo può indicare la sua appartenenza al
partito degli Zeloti, i ‘conservatori’ delle tradizioni ebraiche e fautori della libertà dallo straniero anche con le
armi, oppure dalla città d’origine cioè Cana di Galilea. Molti identificano Simone con l’omonimo cugino di
Gesù, più noto come Simone fratello dell’apostolo Giacomo il Minore, al quale secondo la tradizione riportata
da Egesippo del II secolo, sarebbe succeduto come vescovo di Gerusalemme dal 62 al 107, anno in cui subì
il martirio sotto Traiano (53-117) a Pella, dove si era rifugiato con la sua comunità, per sfuggire alla seconda
guerra giudaica. I Bizantini lo identificano con Natanaele di Cana e con il direttore di mensa alle nozze di
Cana; i Latini e gli Armeni lo fanno operare e morire in Armenia. S. Fortunato vescovo di Poitiers, dice che
Simone insieme a s. Giuda Taddeo apostolo, furono sepolti in Persia, dove secondo le storie apocrife degli
Apostoli, sarebbero stati martirizzati a Suanir. Un monaco del IX secolo affermava che una tomba di s.
Simone esisteva a Nicopsis (Caucaso) dove era anche una chiesa a lui dedicata, fondata dai Greci nel
secolo VII. Altri ancora affermano che Simone visitò l’Egitto e insieme a s. Giuda Taddeo, la Mesopotamia,
dove entrambi subirono il martirio, segati in due parti, da qui il loro patrocinio su quanti lavorano al taglio
della legna, del marmo e della pietra in genere. Ma al di là di tutte le incertezze, Simone lo ‘Zelota’ o il
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‘Cananeo’, è senz’altro un Apostolo di Cristo e come tutti i discepoli del Signore, prese il suo bastone e
percorse a piedi regioni vicine e lontane, per portare la luce della Verità e propagare la nuova religione fra i
pagani. Lo si può paragonare ai tanti discepoli di Cristo, che in ogni tempo hanno lavorato e lavorano nel
silenzio e nascondimento per il trionfo del Regno di Dio, senza riconoscimenti eclatanti e ufficiali, in piena
umiltà, perseveranza e sacrificio anche cruento della vita. Simone comunque è sempre rappresentato con gli
altri Apostoli, nell’iconografia di Cristo e della Vergine, quindi nelle raffigurazioni del Cenacolo e negli altri
momenti comuni degli Apostoli, la Pentecoste e la ‘Dormitio Verginis’. Nella ‘Leggenda Aurea’ e nel
Martirologio Romano egli è accomunato all’altro apostolo s. Giuda Taddeo, con il quale si ritiene predicò il
Vangelo in Egitto e Mesopotamia e subendo insieme il martirio secondo alcuni scrittori. La loro festa ricorre il
28 ottobre, a Venezia è a loro dedicata la chiesa di “S. Simone Piccolo”.
31 ottobre
Beata Maria Purissima della Croce (Maria Isabel Salvat Romero) Vergine
Il suo postulatore, padre Alfonso Ramírez Peralbo OFMCap, la definisce “l'umiltà personificata”. Si tratta di
madre María Purísima de la cruz, morta il 31 ottobre 1998, beatificata questo sabato a Siviglia da monsignor
Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Benedetto
XVI. “Nella casa di Dio non ci sono incarichi di poco conto, sono tutti importanti”, era la frase che ripeteva la
futura beata, per 22 anni Superiora Generale delle Suore della Compagnia della Croce di Siviglia, fondate
nel 1875 da Sant'Ángela de la Cruz. Il suo nome di battesimo era María Isabel Salvat Romero. Nacque nel
1926 a Madrid, in una famiglia agiata e profondamente religiosa. Nel 1936, quando scoppiò la Guerra Civile
Spagnola, si trasferì in Portogallo, tornando in patria due anni dopo. Dopo aver scoperto la sua vocazione
alla vita religiosa, nel 1944 entrò nell'Istituto delle Suore della Compagnia della Croce di Siviglia. In una
documentazione inviata a ZENIT, padre Ramírez afferma che durante il periodo di formazione la futura
beata manifestò “l'amore per la povertà, un comportamento umile e uno spirito di obbedienza disinteressato
e convinto”. Passò poi a dirigere il collegio di Lopera, vicino Jaén. Nel 1966 venne chiamata alla Casa madre
di Siviglia, dove servì come ausiliare del noviziato e poi come maestra delle novizie. Due anni dopo la
Congregazione fece l'esperienza di vivere in Province, ed ella fu nominata Provinciale di una di esse. Questa
esperienza non venne accettata, e quindi non prosperò; fu poi Consigliera Generale, e in seguito Superiora
della comunità di Villanueva del Río y Minas (Siviglia); nel 1977 venne eletta Madre Generale dell'Istituto.
Durante il suo generalato venne beatificata la fondatrice, Ángela de la Cruz (novembre 1982), canonizzata
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nel 2003. Madre María Purísima de la Cruz ricevette in casa propria Giovanni Paolo II, che andò a fare una
visita dopo aver presieduto la cerimonia di beatificazione. Pur avendo ricoperto sempre incarichi importanti
nella sua comunità, la futura beata non se ne vantò mai: “Il suo ideale era sempre passare senza rumore,
cercava di attirare l'attenzione il meno possibile; non ha mai voluto apparire, cercava sempre i posti più
bassi”, ha detto padre Ramírez. “Era la prima a buttarsi per terra per pulire”, ricorda il suo postulatore. “Era
sempre disposta a compiere i lavori più umili, rimboccandosi le maniche per lavare i mendicanti malati,
avvolgendo nel lenzuolo funebre gli anziani più poveri, scendendo nelle profondità più recondite di quanti
soffrono, amica del fango in cui vivevano i poveri, della gente solitaria, pulendo i bagni della casa senza che
le consorelle se ne accorgessero”. Si preoccupava per la formazione permanente delle consorelle,
soprattutto di quelle che avevano problemi nella loro vocazione. “La sua testimonianza di vita rappresentò un
punto di riferimento sicuro per molte di loro”, ha affermato padre Ramírez, che ha sottolineato anche il suo
atteggiamento materno nei confronti delle compagne di comunità. “Sapeva correggere con affetto e
comprensione, mettendosi sempre all'altezza dell'altra persona”. La crescita vocazionale della comunità
sotto l'autorità della futura beata fu tale da rendere necessaria l'apertura di nuove case in alcune località
spagnole come Puertollano, Huelva, Cadice, Lugo, Linares e Alcázar de S. Juan, ma anche a Reggio
Calabria. Per il suo postulatore, una delle qualità principali della religiosa è stata “la sua personalità serena e
gioviale”, che “contribuiva a creare un clima di fiducia e di comunione”. Doni che erano accompagnati da
un'intensa vita spirituale, “vissuta con chiara consapevolezza della presenza di Dio e nella costante ricerca
della sua volontà, e alimentata alle fonti della preghiera e della contemplazione”. “Non permettiamoci il
riposo, continuiamo a stare sulla breccia”, diceva. “L'amore per Gesù Cristo è il nostro ideale, e rivolgendoci
costantemente a Lui la sua grazia non ci mancherà mai”. Nel 1994 le venne diagnosticato un tumore
maligno e dovette essere operata. “Affrontò la malattia con grande docilità alla volontà di Dio e con forza
d'animo, e per quattro anni portò generosamente avanti la sua attività”. Morì il 31 ottobre 1998. “Quanto più
passa il tempo, più ci convinciamo che solo Dio resta, e che ringraziarlo deve essere la nostra unica
missione”,
diceva
la
futura
beata.
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