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antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Y26EM FI
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Percorsi
Lavoro degli stranieri
Colf e badanti: aspetti economici e previdenziali
D. Morena Massaini ........................................................................................
1685
Approfondimenti
Bonus lavoratori: nuove modalita` per il recupero del credito
Maria Rosa Gheido e Alfredo Casotti ..................................................................
1691
Tempo determinato e apprendistato: indirizzi applicativi
Giuseppe Buscema ...........................................................................................
1697
Somministrazione a termine tra novita` e dubbi interpretativi
Mauro Sferrazza e Francesco Gramuglia ..............................................................
1701
Quadri e impiegati con funzioni direttive e orario di lavoro
Stefano Malandrini ..........................................................................................
1709
Sgravi contributivi e incentivi per lavoro autonomo e imprese
Alberto Giordano .............................................................................................
1715
Inserto
La giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di lavoro
a cura di Anna Fenoglio e Francesca Savino
Interpelli
Aziende straniere - Autorizzazione preventiva per l’assunzione di italiani all’estero
Min. lav., 26 giugno 2014, n. 13
con nota di M.R. Gheido e A. Casotti .................................................................
1719
Edilizia - Indennita` di disoccupazione nelle aree in stato di grave crisi
Min. lav., 26 giugno 2014, n. 14
con nota di M.R. Gheido ...................................................................................
1721
Aziende sanitarie - Enpam e certificazione della regolarita` contributiva
Min. lav., 26 giugno 2014, n. 15
con nota di G. Rocco ........................................................................................
1723
Presunzione di collaborazione - Fisioterapisti titolari di partita Iva
Min. lav., 26 giugno 2014, n. 16
con nota di A. Casotti ......................................................................................
1726
Nei numeri di agosto
Jobs Act
di Emiliana Dal Bon
n. 31
2 agosto 2014
n. 32/33
9 agosto 2014
Tempo determinato
Acausalita` e limiti
Somministrazione
Aspetti operativi
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Sommario
Rassegna interpelli
1683
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Giurisprudenza
Rassegna della Cassazione
Violenza sessuale e licenziamento per giusta causa
Cass. sez. lav. n. 16098 del 26 giugno 2013 ...........................................................
1728
Tempestivita` del licenziamento
Cass. sez. lav. n. 16227 del 27 giugno 2013 ...........................................................
1728
Tentativo di conciliazione e interruzione della prescrizione
Cass. sez. lav. n. 16452 del 18 luglio 2013 .............................................................
Sommario
SETTIMANALE DI AMMINISTRAZIONE,
GESTIONE DEL PERSONALE,
RELAZIONI INDUSTRIALI
E CONSULENZA DEL LAVORO
1684
EDITRICE
Wolters Kluwer Italia S.r.l.
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l’estensione on line della Rivista, consultabile
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DIRETTORE RESPONSABILE
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COMITATO SCIENTIFICO
Alfredo Casotti, Maria Rosa Gheido,
Eufranio Massi, Pierluigi Rausei,
Francesco Rotondi, Angelo Sica,
Gianluca Spolverato
REDAZIONE
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DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
1729
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Lavoratori stranieri
Colf e badanti:
aspetti economici
e previdenziali
«L’Italia e` tra i tre piu` grandi mercati di lavoro domestico in Europa, ed e` costituito da lavoratori immigrati
in prevalenza, (il 77,3% del
totale) rispetto a quelli italiani
(22,7%);
donne,
l’82,4% del totale, rispetto
agli uomini (17,6%); per il
92,8% dei lavoratori il lavoro domestico e` l’attivita`
principale. Un mercato che
crescera` ancora di piu` nei
prossimi anni: se nel 2001
erano 1.083.000 i lavoratori
domestici, gia` nel 2013 l’offerta ne conta 1.655.000, pari a +53%, con una domanda
familiare che, pero`, ne richiede 2.600.000. E, per il
2030, l’offerta raggiungerebbe quota 2.151,000, con
un +98% totale (Dati Censis)» (1).
L’elencazione di questi dati
fa da sfondo al convegno
«Il lavoro domestico una
realta` sociale ed economica
Fenomeno di welfare familiare autogestito: problemi,
soluzioni e sviluppo», organizzato da Assindatcolf con
il patrocinio della Camera
dei Deputati (tenutosi lo
scorso novembre 2013 e gia`
richiamato nel precedente
contributo di questo percorso) e costituisce un buon
punto di partenza per affrontare anche l’aspetto economico del fenomeno. Come anticipato, infatti, la gestione del
personale domestico si presenta come particolarmente
onerosa per le famiglie. Oneroso per quanto attiene la
comprensione e la corretta
applicazione del contratto,
oneroso anche per il costo
che per una famiglia - datore
di lavoro - rappresenta il collaboratore alle dipendenze.
Collaboratore del quale,
spesso, non si puo` fare a meno neppure di notte e/o durante il periodo di vacanze
laddove l’impegno assunto
nei confronti di persone anziane, disabili o comunque
particolarmente
bisognose
non viene mai meno. Impegno economico costante al
quale si aggiungono anche i
costi per la sostituzione del
personale assente e i costi
per affidarsi a terzi nella gestione amministrativa del
rapporto.
Il fenomeno diventa vieppiu`
rilevante e coinvolgente se i
dati preconizzati dal Censis
si riveleranno esatti laddove
si consideri, ancora una volta, che i datori di lavoro in
questione sono le famiglie.
L’autogestione per la famiglia diventa sempre piu` gravosa. E proprio in occasione
del Convegno il vice Presidente di Assindatcolf segnala
«... una domanda concreta di
aiuto che le famiglie datrici
di lavoro incessantemente ci
segnalano: la gravosita` dell’assistenza ai familiari non
autosufficienti. Sia per il
tempo che per la spesa che
i singoli nuclei debbono sostenere».
E a questo riguardo assumono una sfumatura importante
le parole del prof. Luigi Gol-
zio (Unimore) che ricorda
proprio come «la regolamentazione del lavoro domestico
equipara la famiglia all’impresa, entrambi datori di lavoro, che stipulano il contratto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato con il
lavoratore e sostengono il costo del lavoro con le stesse
componenti (paga base +
contributi). La discriminazione consiste nel non permettere al datore la detrazione del
costo del lavoro domestico
dal proprio reddito, ad eccezione del caso, limitato, dell’assistenza per anziani non
autosufficienti e della deduzione parziale dei contributi
previdenziali. Ma e` insita anche nel mancato riconoscimento da parte dello Stato
della convenienza dell’assistenza sociale e sanitaria gestita dalla famiglia rispetto a
quella gestita dalle strutture
pubbliche».
Da qui e` partita la proposta di
Assindatcolf di intervenire
sull’attuale sistema di deduzioni parziali dei contributi
Inps e di detrazione del costo
per gli anziani non autosufficienti: nuove regole utilizzabili anche come leva (efficace) contro il lavoro sommerso (fenomeno non trascurabile, dalle dimensioni importanti, ma di cui non si trattera`
in questo contributo).
Nota:
Percorsi
D. Morena Massaini - Consulente del lavoro
(1) Comunicato stampa Assindatcolf del 28 novembre 2013.
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
1685
Percorsi
antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
1686
La proposta risiede nel rendere interamente deducibile
il costo dei contributi previdenziali versati per le badanti. «Se si riconosce valenza
sociale a tale fenomeno, non
si puo` negare il dovere dello
Stato di sostenere i soggetti
che si fanno carico dei costi
economici e sociali di tale
forma di sostentamento, cioe`
le famiglie. Assindatcolf propone, pertanto, di rendere totalmente deducibili dal reddito del datore di lavoro i contributi previdenziali versati,
senza previsione di alcun
massimale, nonche´ dell’intero costo del lavoro quanto
meno per i rapporti che coinvolgono gli addetti all’assistenza (livelli di inquadramento contrattuale BS, CS,
DS), tanto piu` osservando
che tali forme di reddito, essendo il datore di lavoro nel
99% dei casi persona fisica,
deriva in maggior parte da lavoro o da pensione e quindi
gia` tassato», cosı` Alessandro
Lupi, Responsabile Ufficio
Studi Assindatcolf.
La questione posta sul tavolo
da Assindatcolf non e` di poco conto e non va trascurata
se si pensa ancora una volta
ai numeri richiamati in apertura.
Da qui l’opportunita` di una
summa delle principali norme che hanno un importante
impatto economico sulla gestione del personale domestico per cercare di tracciare un
quadro piu` completo dei costi che gravano sulle famiglie.
Malattia
Per quanto concerne le norme che regolano l’assenza
per malattia, l’art. 26 del
Ccnl prevede precise norme
per il comporto (periodo durante il quale il lavoratore gode della tutela del posto di lavoro):
1) per anzianita` fino a 6 me-
si, superato il periodo di prova: 10 giorni di calendario;
2) per anzianita` da piu` di 6
mesi a 2 anni: 45 giorni di
calendario;
3) per anzianita` oltre i 2 anni:
180 giorni di calendario.
I periodi relativi alla conservazione del posto di lavoro
si calcolano nell’anno solare,
intendendosi per tale il periodo di 365 giorni decorrenti
dall’evento.
Cio` premesso, importanti sono le regole che presiedono il
trattamento economico spettante al lavoratore in malattia: decorre, infatti, la retribuzione globale di fatto per un
massimo di 8, 10, 15 giorni
complessivi nell’anno per le
anzianita` di cui ai punti 1,
2, 3 che precedono, nella seguente misura:
fino al 3º giorno consecutivo, il 50% della retribuzione
globale di fatto;
dal 4º giorno in poi, il
100% della retribuzione globale di fatto.
Da sottolineare che l’onere
economico della malattia e` a
carico del datore di lavoro;
l’Inps non eroga alcuna indennita`.
Inoltre, l’aggiunta della quota convenzionale sostitutiva
di vitto e alloggio, per il personale che ne usufruisca normalmente, e` dovuta solo nel
caso in cui il lavoratore ammalato non sia degente in
ospedale o presso il domicilio del datore di lavoro.
Da considerare, infine, che la
tredicesima mensilita` matura
anche durante le assenze per
malattia nei limiti del periodo
di conservazione del posto e
per la parte non liquidata dagli enti preposti.
Maternita`
In caso di assenza dal lavoro
per maternita`, il Ccnl (art.
24) rimanda alla applicazione
delle norme di legge; altrettanto vale per l’applicazione
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
delle norme di legge sulla tutela della paternita` nonche´
sulle adozioni e sugli affidamenti preadottivi. Regolato,
dunque, secondo il Testo
Unico sulla maternita` l’assenza pre e post partum.
Interviene nel caso di maternita`, per quanto concerne il
trattamento economico, l’Inps
che eroga un’indennita` nella
misura dell’80% della retribuzione media giornaliera, incluso il rateo di tredicesima
mensilita`, del periodo di paga
antecedente a quello in cui ha
avuto inizio l’astensione. Il
datore di lavoro non ha l’onere di integrare il trattamento
economico Inps; non sono altresı` previste norme sul congedo facoltativo a favore del
genitore. Da evidenziare che
la tredicesima mensilita` matura anche durante le assenze
per maternita` nei limiti del
periodo di conservazione del
posto e per la parte non liquidata dagli enti preposti.
Si evidenzia, tuttavia, come
in occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale, le parti sociali si sono riservate di modificare le dichiarazioni a
verbale in calce all’art. 24
sulla maternita` con espresso
riferimento alla convenzione
ILO n. 189/2011 sul lavoro
domestico dignitoso. Le citate dichiarazioni riguardano la
parificazione delle tutele in
ordine all’obbligo di convalida da parte della Direzione
territoriale del lavoro delle
dimissioni della collaboratrice familiare in maternita`.
Infortunio
e malattia
professionale
Il Ccnl (art. 27) disciplina il
caso di assenza dal lavoro
per infortunio o malattia professionale: spetta al lavoratore, convivente o non convivente, la conservazione del
posto per i seguenti periodi:
1) per anzianita` fino a 6 me-
si, superato il periodo di prova 10 giorni di calendario;
2) per anzianita` da piu` di 6
mesi a due anni: 45 giorni
di calendario;
3) per anzianita` oltre i 2 anni:
180 giorni di calendario.
Competono al lavoratore, nel
caso di infortunio sul lavoro
o malattia professionale, le
prestazioni
previste
dal
D.P.R. 30 giugno 1965, n.
1124, erogate dall’Inail.
Per quanto concerne il trattamento economico spettante
al lavoratore, egli ha diritto
alla retribuzione globale di
fatto per i primi 3 giorni di
assenza per infortunio o malattia professionale.
L’aggiunta della quota convenzionale sostitutiva di vitto
e alloggio, per il personale
che ne usufruisca normalmente, e` dovuta solo nel caso in
cui il lavoratore non sia degente in ospedale o presso il
domicilio del datore di lavoro.
La tredicesima mensilita`, infine, matura anche durante
le assenze per infortunio sul
lavoro nei limiti del periodo
di conservazione del posto e
per la parte non liquidata dagli enti preposti.
Trattamento
economico
Per quanto concerne il trattamento economico, ai sensi
dell’art. 33 del Ccnl lavoro
domestico la retribuzione
del lavoratore e` composta
dalle seguenti voci:
a) retribuzione minima contrattuale come da tabelle A,
B, C, D, E allegate al Ccnl
e annualmente rivalutate
comprensiva per i livelli D
e D super di uno specifico
elemento denominato indennita` di funzione;
b) eventuali scatti di anzianita`;
c) eventuale compenso sostitutivo di vitto e alloggio;
d) eventuale superminimo.
La retribuzione cosı` stabilita
si configura quale retribuzione adeguata in relazione alla
quantita` e qualita` della prestazione svolta. L’art. 36
Cost., e` stato affermato in
giurisprudenza, e` applicabile
anche al lavoro domestico
(Cass. civ., sez. lav., 10 febbraio 1989, n. 834).
L’art. 35 del Ccnl prevede altresı` che il vitto dovuto al lavoratore deve assicurargli
una alimentazione sana e sufficiente; l’ambiente di lavoro
non deve essere nocivo all’integrita` fisica e morale dello stesso.
Il datore di lavoro deve fornire al lavoratore convivente
un alloggio idoneo a salvaguardarne la dignita` e la riservatezza.
I valori convenzionali del
vitto e dell’alloggio sono fissati nella tabella F allegata al
contratto e sono stati rivalutati annualmente anche per
il corrente anno 2014.
Al lavoratore spetta, inoltre,
per ogni biennio di servizio
presso lo stesso datore di lavoro, un aumento del 4% sulla retribuzione minima contrattuale. Il medesimo art.
36 del Ccnl prescrive che
gli scatti - previsti in un numero massimo di 7 - non sono assorbibili dall’eventuale
superminimo.
A completamento di quanto
sopra, per quanto concerne
nello specifico l’anno 2014,
si ricorda che in sede di sottoscrizione del Verbale di accordo sottoscritto il 6 febbraio 2014 presso il Ministero del lavoro, la Commissione nazionale per l’aggiornamento retributivo (2) ha determinato i nuovi minimi retributivi e i valori convenzionali del vitto e dell’alloggio applicabili al lavoratore domestico - derivanti dalla variazione del costo della vita,
cosı` come prescritto dall’art.
37 del Ccnl Lavoro domestico.
L’aggiornamento retributivo
segue le variazioni del costo
della vita per le famiglie di
impiegati ed operai rilevate
dall’Istat al 30 novembre di
ogni anno: l’aggiornamento
si e` basato sul dato Istat rilevato a novembre 2013
(0,6%). Le retribuzioni minime contrattuali ed i valori
convenzionali del vitto e dell’alloggio hanno decorrenza
dal 1º gennaio di ciascun anno (se non diversamente stabilito dalle Parti) e sono valide fino a dicembre del corrente anno.
Pertanto, con decorrenza 1º
gennaio 2014 sono state aggiornate le tabelle:
A (lavoratori conviventi);
B (lavoratori di cui all’art.
15, c. 2);
C (lavoratori non conviventi);
D (assistenza notturna per
autosufficienti e non autosufficienti);
F (indennita` - valori giornalieri - per pranzo e/o colazione, cena, alloggio);
G (copertura riposi).
Le tabelle sono comprensive
dei valori convenzionali di
vitto e alloggio.
Si evidenzia che in sede contrattuale le Parti sociali hanno previsto l’aggiornamento
dei minimi retributivi in misura di euro 7,00 con decorrenza dal 1º gennaio 2014,
euro 6,00 con decorrenza
dal 1º gennaio 2015 ed euro
6,00 con decorrenza dal 1º
gennaio 2016 per i lavoratori
conviventi inquadrati nel liNota:
(2) La Commissione nazionale e` costituita a norma dell’art. 44 del Ccnl Lavoro domestico (del 16
luglio 2013) presso il Ministero del lavoro ed e`
composta dai rappresentanti delle Organizzazioni
sindacali dei lavoratori e delle Associazioni dei datori di lavoro stipulanti il Ccnl (rappresentanti delle associazioni di categoria Fidaldo, Domina, Federcolf e delle organizzazioni sindacali Filcams
Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil). Fra i compiti attribuiti alla Commissione vi e` quello appunto di
procedere alla revisione dei minimi retributivi e
dei i valori convenzionali del vitto e dell’alloggio
(cosı` come dispone l’art. 37 del Ccnl Lavoro domestico).
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Percorsi
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1687
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vello BS della tabella A, ed
in misura proporzionale per
gli altri livelli/tabelle. L’aggiornamento retributivo di
cui all’articolo 37 (aggiornamento in base al dato Istat)
viene effettuato sui minimi
retributivi comprensivi degli
aumenti pattuiti, come da
Accordo.
Di seguito si riportano, con
riferimento ad un lavoratore
non convivente, gli importi
contrattualmente stabiliti (valori orari) per il 2014:
livello A: euro 4,47
livello AS: euro 5,27
livello B: euro 5,59
livello BS: euro 5,93
livello C: euro 6,26
livello CS: euro 6,58
livello D: euro 7,60
livello DS: euro 7,93.
Percorsi
Trattamento
di fine rapporto
1688
Occorre infine tenere presente che il Ccnl - in aderenza a quanto previsto dalla
legge, l’art. 39 prevede la
corresponsione, in caso di
cessazione del rapporto di
lavoro, del trattamento di fine rapporto (Tfr) determinato sull’ammontare delle retribuzioni percepite nell’anno, comprensive del valore
convenzionale di vitto e alloggio. E` possibile che i datori di lavoro anticipino, a richiesta del lavoratore e per
non piu` di una volta all’anno, il Tfr nella misura massima del 70% di quanto maturato.
Il Trf spetta altresı` unitamente all’indennita` di preavviso
nel caso di decesso del lavoratore. Le corrispondenti
somme sono devolute al coniuge, ai figli o, se vivevano
a carico del lavoratore, ai parenti entro il 3º grado e agli
affini entro il 2º grado. La ripartizione delle indennita` e
del Tfr, se non vi e` accordo
fra gli aventi diritto, deve farsi secondo le norme di legge.
In mancanza dei superstiti
sopra indicati, le indennita`
sono attribuite secondo le
norme della successione testamentaria e legittima.
Contribuzione 2014
L’Inps (circ. n. 23/2014) ha
elaborato e diffuso con circolare n. 23 le nuove tabelle valide per il 2014 recanti i valori della contribuzione dovuta
all’Istituto.
L’Istat ha infatti comunicato, nella misura dell’1,10%,
la variazione percentuale verificatasi nell’indice dei
prezzi al consumo, per le famiglie degli operai e degli
impiegati, tra il periodo gennaio 2012 - dicembre 2012
ed il periodo gennaio 2013
- dicembre 2013. Conseguentemente sono state determinate le nuove fasce di
retribuzione su cui calcolare
i contributi dovuti per l’anno
2014 per i lavoratori domestici.
Al fine di fornire indicazioni
utili a chiarire numerosi quesiti in merito al contributo
Cuaf, l’Inps ha precisato che
il contributo (Cassa unica assegni familiari) e` dovuto per
tutti i rapporti di lavoro domestico salvo il caso di rapporto fra coniugi (ammesso
soltanto se il datore di lavoro
coniuge e` titolare di indennita` di accompagnamento) e
rapporto tra parenti o affini
entro il terzo grado conviventi, ove riconosciuto ai
sensi di legge (art. 1 del
D.P.R. 31 dicembre 1971,
n. 1403).
Restano in vigore gli esoneri
previsti dall’art. 120 legge 23
dicembre 2000, n. 388, con
decorrenza 1º febbraio 2001,
nonche´ gli esoneri istituiti ai
sensi dell’art. 1 comma 361
e 362 legge 23 dicembre
2005, n. 266, con decorrenza
1º gennaio 2006 - come indicato nella circolare n. 19
dell’8 febbraio 2006.
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Si conferma, pertanto, la minore aliquota contributiva
dovuta per l’Assicurazione
sociale per l’impiego (ASpI)
dai datori di lavoro soggetti
al contributo Cuaf che, ovviamente, incide sull’aliquota complessiva.
Si precisa, inoltre, che, per il
rapporto di lavoro a tempo
determinato, ai sensi dell’art.
2, comma 28, della legge 28
giugno 2012, n. 92 continua
ad essere applicato il contributo addizionale, a carico
del datore di lavoro, previsto
pari all’1,40% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali (retribuzione convenzionale).
Tale contributo non si applica ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti.
Dal 1º gennaio 2014, tuttavia, in riferimento alle trasformazioni di contratto da
tempo determinato a tempo
indeterminato decorrenti dalla predetta data, ai sensi dell’art. 1, comma 135, della
legge 27 dicembre 2013
(Legge di stabilita` 2014),
non e` piu` previsto il limite
delle ultime sei mensilita`
per la restituzione al datore
di lavoro del contributo addizionale di cui all’articolo 2,
comma 30, della legge 28
giugno 2012, n. 92 (Riforma
Fornero).
La restituzione avviene anche nel caso in cui il datore
di lavoro riassuma con contratto di lavoro a tempo indeterminato il lavoratore entro
sei mesi dalla cessazione del
contratto a termine, con una
riduzione del rimborso corrispondente ai mesi che intercorrono tra la scadenza e
l’assunzione a tempo indeterminato. Per il rimborso del
contributo addizionale il datore di lavoro dovra` presentare domanda in via telematica.
I contributi dei lavoratori domestici, versati trimestralmente all’Inps a cura del da-
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tore di lavoro, sono riuniti in
due tabelle contributive distinte tra rapporti di lavoro
a tempo indeterminato e rapporti a tempo determinato,
salvo i casi di lavoratori assunti con contratto a termine
in sostituzione di lavoratori
assenti (per esempio, in caso
di maternita`).
Cas.Sa Colf
In ottemperanza a quanto stabilito dal Ccnl sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico, stipulato da Fidaldo
(costituita da Nuova Collaborazione, da Assindatcolf,
da A.D.L.D. e da A.D.L.C.),
da Domina, da Filcams-Cgil,
da Fisascat-Cisl, da UiltucsUil e da Federcolf e` stata istituita la Cas.Sa.Colf (Cassa
sanitaria Colf o cassa malattia colf) che gestisce i trattamenti assistenziali ed assicurativi, integrativi aggiuntivi
e/o sostitutivi delle prestazioni sociali pubbliche obbligatorie a favore dei dipendenti
collaboratori familiari nonche´ servizi e prestazioni a favore dei datori di lavoro domestici.
Sono iscritti obbligatoriamente alla Cassa tutti i dipendenti ed i datori di lavoro
domestico in regola con i
contributi di assistenza contrattuale, nei confronti dei
quali viene applicato il Ccnl
che sono cosı` beneficiari delle prestazioni erogate dalla
Cassa (e/o i loro aventi causa). Per avere diritto alle prestazioni, e` necessario che
successivamente alla prima
iscrizione, i contributi di assistenza contrattuale siano
versati in modo regolare e
continuativo.
La misura dei contributi da
versare trimestralmente all’Inps (che cura la riscossione dei contributi in forza di
specifica convenzione), a cu-
Contributi per lavoro domestico anno 2014
Senza contributo addizionale (comma 28, art. 2, L. 92/2012)
Importo contributo orario
Con quota assegni familiari
Senza quota assegni familiari
Fino a euro 7,86
E 1,39 (0,35)*
E 1,40 (0,35)**
Oltre E 7,86 e fino a E 9,57
E 1,57 (0,39)*
E 1,58 (0,39)**
Oltre E 9,57
E 1,91 (0,48)*
E 1,92 (0,48)**
Lavoro superiore a 24 ore settimanali***
E 1,01 (0,25)*
E 1,02 (0,25)**
* La cifra tra parentesi e` la quota a carico del lavoratore.
** Il contributo senza la quota degli assegni familiari e` dovuto quando il lavoratore e` coniuge del datore di lavoro oppure e`
parente o affine entro il terzo grado e convive con il datore di lavoro.
*** Gli importi contributivi della quarta fascia sono indipendenti dalla retribuzione oraria corrisposta, si riferiscono ai servizi
domestici effettuati presso uno stesso datore di lavoro con un minimo di 25 ore settimanali e vanno applicati sin dalla prima
delle ore lavorate nel corso della settimana.
Contributi per lavoro domestico anno 2014
Comprensivo contributo addizionale (comma 28, art. 2 L. 92/2012) da applicare
ai rapporti di lavoro a tempo determinato eccetto sostituzioni di lavoratori assenti
Importo contributo orario
Retribuzione effettiva oraria
Con quota assegni familiari
Senza quota assegni familiari
Fino a euro 7,86
E 1,49 (0,35)*
E 1,50 (0,35)**
Oltre E 7,86 e fino a E 9,57
E 1,68 (0,39)*
E 1,69 (0,39)**
Oltre E 9,57
E 2,04 (0,48)*
E 2,06 (0,48)**
Lavoro superiore a 24 ore settimanali***
E 1,08 (0,25)*
E 1,09 (0,25)**
* La cifra tra parentesi e` la quota a carico del lavoratore.
** Il contributo senza la quota degli assegni familiari e` dovuto quando il lavoratore e` coniuge del datore di lavoro oppure e`
parente o affine entro il terzo grado e convive con il datore di lavoro.
*** Gli importi contributivi della quarta fascia sono indipendenti dalla retribuzione oraria corrisposta, si riferiscono ai servizi
domestici effettuati presso uno stesso datore di lavoro con un minimo di 25 ore settimanali e vanno applicati sin dalla prima
delle ore lavorate nel corso della settimana.
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Percorsi
Retribuzione effettiva oraria
1689
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dente avra` a prestazioni quali
l’indennita` giornaliera di ricovero e di eventuale convalescenza ovvero prestazioni
di alta specializzazione, erogate a richiesta del dipendente inoltrata alla Cassa nei termini e nei modi specificati
dalla Cassa.
Se sono stati versati contributi contrattuali per 4 trimestri consecutivi e raggiunta
la soglia minima di versamenti pari a E 25, la Cassa
prevede anche a favore del
datore di lavoro alcune prestazioni quali:
Percorsi
ra del datore di lavoro, e` la
seguente (a carico del datore
di lavoro e del lavoratore):
misura minima oraria complessiva di E 0,03 come stabilito dal Ccnl, dei quali E
0,01 a carico del lavoratore.
Il nuovo Regolamento prevede la possibilita` di versare
quote integrative ai 0,03 euro
per raggiungere la soglia minima di E 25.
Se sono stati versati contributi contrattuali per 4 trimestri consecutivi e raggiunta
la soglia minima di versamenti pari a E 25, il dipen-
1690
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
nel caso di decesso o invalidita` permanente del dipendente a causa di infortunio
per il quale sia stata attivata
la rivalsa Inail: polizza assicurativa per la responsabilita`
civile del datore di lavoro
con un massimale annuo pari
a E 50.000;
nel massimale annuo rientrano anche le spese legali e
peritorie che potranno essere
messe a disposizione dall’assicurazione nel contenzioso
con l’Istituto.
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Conversione in legge
Bonus lavoratori: nuove
modalita` per il recupero
del credito
Il testo definitivo dell’articolo
1 del D.L. n. 66 del 24 aprile
2014 (1) ha deluso le aspettative di chi riteneva che il credito dovesse essere esteso ai
possessori di redditi al di sotto della soglia di imponibilita`
e alle famiglie numerose e
monoreddito, cosı` come da
piu` parti si riteneva che solo
la messa a regime del credito
potesse, effettivamente, produrre effetti di sostegno all’economia. La norma si limita,
invece, ad una enunciazione
di principio ed il credito
d’imposta mantiene le caratteristiche originarie «in attesa
dell’intervento
normativo
strutturale da attuare con la
legge di stabilita` per l’anno
2015, nel quale saranno prioritariamente previsti interventi di natura fiscale che privilegino, con misure appropriate,
il carico di famiglia e, in particolare, le famiglie monoreddito con almeno due o piu` figli a carico». A questo fine e
per mandare un segnale della
volonta` di stabilizzare la misura, l’articolo 50, comma 6,
dello stesso D.L. n. 66/2014,
istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un apposito fondo denominato
«Fondo destinato alla concessione di benefici economici a
favore dei lavoratori dipendenti», con una dotazione di
1.930 milioni di euro in termini di saldo netto da finanziare e di fabbisogno e di
2.685 milioni di euro in termini di indebitamento netto
per l’anno 2015, di 4.680 milioni di euro per l’anno 2016,
di 4.135 milioni di euro per
l’anno 2017 e di 1.990 milioni di euro a decorrere dall’anno 2018.
Pertanto, per il solo anno
2014, «al fine di ridurre nell’immediato la pressione fiscale e contributiva sul lavoro
e nella prospettiva di una
complessiva revisione del prelievo finalizzata alla riduzione
strutturale del cuneo fiscale,
finanziata con una riduzione
e riqualificazione strutturale
e selettiva della spesa pubblica» la legge n. 89/2014 di
conversione del D.L. n. 66/
2014, conferma l’erogazione,
da parte dei sostituti di imposta di un credito di 640 euro ai
lavoratori subordinati ed ai
percettori di alcune tipologie
di redditi assimilati, a condizione che il reddito complessivo del beneficiario, nel
2014, non superi i 24.000 euro. Se il reddito complessivo e`
superiore a 24.000 euro ma
non a 26.000 euro, il credito
spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo
di 26.000 euro, diminuito del
reddito complessivo, e l’importo di 2.000 euro.
Per il calcolo del credito
mensile spettante, riconosciuto dai sostituti di imposta
a partire dal mese di maggio
2014, prassi e dottrina convergono nel ritenere opportuna l’adozione del metodo applicato per il calcolo delle detrazioni per lavoro subordinato, nel cui contesto (artico-
lo 13 del Tuir) e` comunque
inserito il comma 1-bis che
disciplina l’erogazione del
credito d’imposta in esame.
La disposizione si applica, oltre che nei confronti dei lavoratori dipendenti, anche quando alla determinazione dell’imposta lorda concorrono alcuni redditi assimilati a quelli
di lavoro dipendente, e precisamente quelli di cui all’articolo 50, comma 1 del Tuir,
indicati nelle seguenti lettere:
a) compensi percepiti dai soci
lavoratori delle cooperative;
b) indennita` e compensi percepiti a carico di terzi dai
prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in
relazione a tale qualita`;
c) somme corrisposte a titolo
di borsa di studio, premio o
sussidio per fini di studio o
addestramento professionale;
c-bis) redditi derivanti da
collaborazioni coordinate e
continuative;
d) remunerazioni dei sacerdoti;
h-bis) prestazioni pensionistiche erogate da forme di
previdenza complementare;
l) compensi percepiti per lavori socialmente utili.
Altre condizioni per il riconoscimento del credito, che
non concorre alla formazione
del reddito, sono le seguenti:
Nota:
(1) D.L. 24 aprile 2014, n. 66, «Misure urgenti
per la competitivita` e la giustizia sociale» (G.U.
n. 95 del 24 aprile 2014) convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 (G.U. 23
giugno 2014, n. 143).
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Approfondimenti
Maria Rosa Gheido e Alfredo Casotti - Consulenti del lavoro
1691
Approfondimenti
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1692
l’imposta lorda determinata sui redditi suindicati deve
essere di importo superiore
a quello della detrazione per
lavoro dipendente di cui all’articolo 13, primo comma,
del Tuir; al riguardo la circolare n. 8/E del 28 aprile 2014
dell’Agenzia delle entrate
chiarisce che non rileva la
circostanza che l’imposta lorda del contribuente generata
dai redditi di lavoro dipendente e assimilati sia ridotta
o azzerata da detrazioni diverse da quelle indicate, quali ad esempio le detrazioni
per carichi di famiglia di cui
all’articolo 12 del Tuir;
il reddito complessivo, assunto al netto del reddito dell’unita` immobiliare adibita
ad abitazione principale e relative pertinenze, deve essere
non superiore a 26.000 euro.
Al ricorrere di dette condizioni il credito, da rapportare
al periodo di lavoro nell’anno 2014, e` quindi pari a
640 euro (per il solo anno
2014), se il reddito complessivo non e` superiore a 24.000
euro; se invece il reddito
complessivo e` superiore a
24.000 euro ma non a
26.000 euro, il credito di
640 euro annui spetta per la
parte corrispondente al rapporto tra l’importo di
26.000 euro, diminuito del
reddito complessivo, e l’importo di 2.000 euro.
Esempio
Lavoratore
dipendente
con reddito complessivo
25.150 euro.
Periodo di lavoro nel
2014: 365 giorni.
Credito d’imposta spettante = 640 euro 6 (26.000 25.150) : 2.000 = 640 euro
6 0,43 = 275 euro.
Il credito spettante viene riconosciuto autonomamente dal
sostituto d’imposta che ne ripartisce l’importo tra le retribuzioni erogate successivamente alla data di entrata in
vigore del D.L. n. 66/2014
(quindi dal 24 aprile 2014), a
partire dal primo periodo di
paga utile e quindi, a partire
dallo scorso mese di maggio.
L’importo del credito riconosciuto sara` indicato nel modello Cud 2015, mentre l’operato del sostituto sara` rappresentato nel modello 770/2015.
La legge di conversione ha
soppresso il riferimento all’elencazione dei sostituti di imposta fatta dalle disposizioni
in materia di accertamento
(artt. 23 e 29 del D.P.R. n.
600/1973), pertanto sono
soggetti obbligati tutti i sostituti d’imposta anche se non
espressamente richiamati nelle citate disposizioni. Non sono, invece, soggetti all’obbligo i datori di lavoro che non
rivestono detta qualifica, quali i datori di lavoro domestico
i cui dipendenti hanno sı` diritto al bonus, ma debbono richiederlo con la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2014. Pertanto, i lavoratori in possesso dei requisiti per
fruire del bonus ma privi di
un sostituto d’imposta, potranno comunque richiederlo
nella dichiarazione dei redditi
per il 2014. In particolare, i
soggetti titolari nel corso dell’anno 2014 di redditi di lavoro dipendente, le cui remunerazioni sono erogate da un
soggetto che non e` sostituto
di imposta quali i collaboratori domestici dovranno presentare la dichiarazione dei
redditi se vorranno percepire
il bonus.
Prestazioni
previdenziali
Fra i beneficiari del credito
sono compresi anche i percettori di prestazioni previdenziali e assistenziali, con
la sola esclusione dei titolari
di trattamenti pensionistici.
Sono altresı` escluse, precisa
l’Inps con la circolare n. 67
del 29 maggio 2014, le pre-
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
stazioni soggette a tassazione
separata, quali il Tfr posto a
carico del Fondo di garanzia,
nonche´ gli interventi a favore
dei lavoratori autonomi e le
somme che perdono la natura
di sostegno al reddito diventando, invece, un supporto
all’avviamento di attivita` di
lavoro autonomo come nel
caso dell’anticipo in unica
soluzione dei trattamenti di
mobilita`, ASpI, ecc. chiesti
dal beneficiario a tale scopo.
Peraltro, il diritto alle prestazioni di sostegno al reddito
sorge al verificarsi di eventi
temporanei ed imprevedibili
nella durata, che possono
manifestarsi durante il rapporto di lavoro oppure alla
cessazione dello stesso.
L’Inps, in quanto sostituto
di imposta, entra in gioco
ed e` tenuto ad erogare il credito d’imposta per la natura
reddituale di tali prestazioni
che, secondo l’articolo 6 del
Tuir, hanno la stessa natura
dei redditi sostituiti. Tant’e`
che i percettori di prestazioni
a sostegno del reddito fruiscono delle detrazioni di cui
al comma 1 dell’articolo 13
del Tuir, le quali competono
nell’anno in cui i redditi vengono erogati e sono assoggettati a tassazione corrente.
Come sottolineato dall’Agenzia delle entrate con la
circolare n. 9/E/2014, questo
fa sı` che anche i percettori
di queste prestazioni abbiano
diritto al credito che verra`,
pertanto, erogato dall’Inps
sulla base dei dati in suo possesso. Qualora pero` la prestazione sia anticipata dal datore
di lavoro e conguagliata dallo stesso con i contributi dovuti all’Istituto, sostituto di
imposta e` comunque il datore
di lavoro che dovra` riconoscere anche l’eventuale credito spettante. Peraltro l’Inps
non e` sempre in grado di conoscere la potenziale durata
della prestazione e di determinare il reddito annuo pre-
sunto su base previsionale.
Di regola questo e` possibile
in alcuni casi, quali:
indennita` di disoccupazione ASpI e MiniASpI;
indennita` di mobilita`;
trattamenti di disoccupazione speciali per l’edilizia;
sussidi per lavoratori socialmente utili;
le ultime tre mensilita` di
retribuzione poste a carico
del Fondo di garanzia in caso
di insolvenza del datore di lavoro;
indennita` di maternita` per
congedo obbligatorio;
congedo obbligatorio del
padre.
Vi sono invece casi in cui la
durata (almeno teorica) e
l’importo della prestazione
non sono prevedibili, come
nel caso di Cigo, Cigs, Cigd,
indennita` di malattia, congedo parentale, ecc., pertanto
secondo quanto comunica
l’Inps nella citata circolare
n. 67/2014, il credito sara`
corrisposto in base ai singoli
pagamenti mensilmente effettuati. L’Inps sottolinea altresı` che il credito sara` calcolato «in relazione alla durata,
eventualmente inferiore all’anno, del rapporto di lavoro
considerando il numero di
giorni lavorati nell’anno».
Pertanto, per le indennita` dallo stesso erogate, l’Inps terra`
conto dei giorni di erogazione della prestazione.
Comunicazioni
dei beneficiari
Si e` detto che, essendovene i
presupposti oggettivi e soggettivi, i sostituti di imposta
erogano il credito autonomamente senza necessita` che il
potenziale beneficiario debba
avanzare richiesta alcuna.
Tuttavia, non sono pochi i
casi in cui e` interesse del lavoratore segnalare al sostituto d’imposta situazioni personali che possono incidere
sul diritto al bonus o sulla
sua misura. Nulla dice a questo proposito la norma di legge, mentre sia l’Agenzia delle entrate (2) che l’Inps (3)
chiaramente pongono la questione in termini pressoche´
obbligatori. Per l’Agenzia
delle entrate, i lavoratori che
non hanno i presupposti per
il riconoscimento del beneficio in quanto, per esempio,
possessori di altri redditi o titolari di piu` rapporti di lavoro contestuali, sono tenuti a
darne comunicazione al sostituto d’imposta il quale potra` recuperare il credito eventualmente erogato dagli emolumenti corrisposti nei periodi di paga successivi a quello
nel quale e` resa la comunicazione e, comunque, entro i
termini di effettuazione delle
operazioni di conguaglio di
fine anno o di fine rapporto.
L’Inps compie un ulteriore
passaggio e, in allegato al
messaggio n. 5661/2014 fornisce il mod. SR150 che il
percettore di prestazioni previdenziali e` tenuto a presentare all’Istituto per comunicare
dati che possono condizionare il diritto al credito e/o la
sua misura. Con questo modello (in calce) il beneficiario
comunica all’Inps, assumendosene la responsabilita` e
consapevole delle conseguenze anche penali derivanti dalle false dichiarazioni, l’importo di eventuali altri redditi
posseduti o di non avere i
presupposti per il riconoscimento del credito. Con lo
stesso modello il beneficiario
puo` comunicare all’Inps che,
pur avendo diritto al credito,
questo verra` erogato da altro
sostituto di imposta. Pertanto,
parafrasando le istruzioni fornite dall’Inps e riferendole ai
sostituti d’imposta si puo` affermare che:
coloro che non sono in
possesso dei presupposti per
il riconoscimento del beneficio sono tenuti a darne comunicazione al sostituto d’im-
posta, che provvedera` a recuperare le somme eventualmente gia` erogate dai pagamenti successivi e, comunque, entro i termini di effettuazione delle operazioni di
conguaglio di fine anno;
coloro che, oltre ad essere
titolari del reddito erogato
dal sostituto d’imposta sono
altresı` titolari di altri redditi
da lavoro dipendente o ad essi assimilati, i cui importi singolarmente considerati darebbero diritto al credito, ma
complessivamente considerati eccedano la soglia massima
prevista dal comma 1-bis dell’articolo 13 del Tuir, sono
tenuti a darne comunicazione
al sostituto stesso, che non riconoscera` il credito o agira`
come sopra evidenziato;
coloro che sono titolari
contestualmente di piu` redditi da lavoro dipendente o assimilati o derivanti da prestazioni previdenziali, i cui importi complessivamente considerati non eccedano la soglia massima prevista dal
comma 1-bis dell’articolo
13 del Tuir, sono tenuti a
chiedere ad uno o piu` dei sostituti di imposta di non riconoscere il credito in modo
che lo stesso sia erogato da
un solo sostituto.
L’esigenza di effettuare le
opportune
comunicazioni
`
puo verificarsi anche in caso
di rapporti di lavoro iniziati
o cessati in corso e preceduti,
o seguiti, da altri rapporti di
lavoro o dall’erogazione di
misure a sostegno del reddito.
Il beneficiario del credito
che, antecedentemente al
rapporto di lavoro (o alla prestazione previdenziale) abbia
intrattenuto nel corso del
2014 un altro rapporto di lavoro, ha interesse a produrre
Note:
(2) Circolari n. 8/E del 28 aprile 2014 e n. 9/E del
14 maggio 2014.
Approfondimenti
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(3) Inps, messaggio n. 5661 del 27 giugno 2014.
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
1693
Approfondimenti
antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
1694
al sostituto d’imposta la relativa certificazione fiscale
(mod. Cud) relativa ai redditi
da lavoro dipendente al fine
di consentire l’esatta determinazione del diritto al beneficio e del relativo importo.
In tale caso il sostituto terra`
conto anche dei dati esposti
nella certificazione fiscale
prodotta. Precisa l’Inps che
in assenza di detta certificazione, la determinazione della spettanza del credito e del
relativo importo sara` effettuata in base ai soli dati reddituali direttamente gestiti,
circostanza questa che ben
puo` valere anche per gli altri
sostituti.
In ogni caso il contribuente,
che abbia comunque percepito somme di cui al comma 1bis dell’articolo 13 del Tuir
in tutto o in parte non spettante, e` tenuto alla restituzione dello stesso in sede di dichiarazione dei redditi.
Recupero
del credito: cosa
cambia
La legge di conversione del
D.L. n. 66/2014 ha profondamente modificato le modalita`
con cui i sostituti d’imposta
possono recuperare i crediti
mensilmente erogati ai beneficiari. Come gia` anticipato dall’Agenzia delle entrate con la
circolare n. 9/E/2014, i datori
di lavoro del settore privato
possono esclusivamente compensare l’importo a loro credito tramite il modello di pagamento unificato F24. A tal
fine con la risoluzione n. 48/
E l’Agenzia ha istituito il codice tributo «1655» denominato «Recupero da parte dei
sostituti d’imposta delle somme erogate ai sensi dell’articolo 1 del D.L. 24 aprile
2014, n. 66» (4).
In sede di compilazione del
modello di versamento F24
il codice tributo e` esposto
nella sezione «Erario» in cor-
rispondenza delle somme indicate nella colonna «importi
a credito compensati», con
l’indicazione nel campo «rateazione/regione/prov./mese
rif.» e nel campo «anno di riferimento», del mese e dell’anno in cui e` avvenuta l’erogazione del beneficio fiscale, rispettivamente nel formato «00MM» e «AAAA».
La modifica rispetto al testo
previgente che prevedeva, invece, la compensazione c.d.
‘‘interna’’ con il monte ritenute disponibili nel mese e
con gli eventuali contributi
dovuti per lo stesso periodo,
risolve i dubbi che erano sorti
fra gli operatori, tuttavia non
appaiono del tutto risolti alcuni dubbi posti anche sulla
compensazione con il mod.
F24. L’Agenzia delle entrate
ha avuto modo di precisare
che, per le finalita` delle norma
in commento, «alla compensazione non si applica il limite
di cui all’articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n.
388», vale a dire che il recupero del credito non rileva ai
fini della soglia di 700.000
euro utilizzabili in compensazione (circolare n. 9/E/2014).
Nulla e` stato detto, invece,
circa il divieto di compensazione, nel mod. F24, di crediti
per imposte erariali fino a
concorrenza dell’importo dei
debiti verso l’erario, iscritti a
ruolo per un ammontare superiore a 1.500 euro e per i quali
e` scaduto il temine di pagamento (articolo 31, D.L. n.
78/2010). Parte della dottrina
considera il recupero del credito anticipato ai lavoratori
incluso in tale divieto, intendendo che lo stesso si riferisca a qualsivoglia credito di
imposta erariale. Tuttavia,
non sembra trascurabile che
la norma richiamata e` intesa
ad impedire che il contribuente compensi crediti per imposte anticipate senza aver prima assolto i propri debiti insoluti verso l’Erario. La nor-
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
ma appare, quindi, volta ad
evitare comportamenti elusivi. Appare, pertanto, condivisibile il diverso orientamento
espresso dalla Fondazione
Studi del Consiglio nazionale
dei consulenti del lavoro con
la circolare n. 14 del 20 giugno 2014 di cui riportiamo il
seguente passaggio:
«Appare evidente che sia la
finalita` della disposizione,
sia la natura del credito riconosciuto, in nessun modo
possono essere ricondotti ad
una definizione di «credito
derivante da imposta erariale». E` bene evidenziare che
il credito in esame nasce da
un atto legislativo e quindi
al di fuori dell’ambito delle
imposizioni erariali o dalle
tradizionali modalita` di riconoscimento di «crediti di imposta». La circostanza che
l’importo sia concesso anche
per il tramite dei sostituti di
imposta non altera la natura
sopra descritta. Ne consegue
che il sostituto di imposta
puo` (anzi deve) corrispondere il bonus ai lavoratori interessati e legittimamente puo`
compensare tale credito anche in presenza di debiti
iscritti a ruolo di ammontare
superiore a 1.500 euro».
Ad analoga conclusione
giunge la Fondazione sul
dubbio da alcuni sollevato
in ordine alla necessita` di rispettare la previsione dell’articolo 1, comma 574 della
legge n. 147/2013, secondo
cui, a decorrere dal periodo
di imposta in corso al 31 dicembre 2013, i contribuenti
che ai sensi dell’articolo 17
del D.Lgs. 9 luglio 1997, n.
241 utilizzano in compensazione i crediti relativi alle imNota:
(4) Risoluzione n. 48 del 7 maggio 2014 «Istituzione del codice tributo per il recupero da parte
dei sostituti d’imposta delle somme erogate ai
sensi dell’articolo 1 del decreto legge 24 aprile
2014, n. 66, mediante il modello di pagamento
F24».
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visione ha una finalita` meramente antielusiva, che nulla
ha a che vedere con il ruolo
assegnato al sostituto d’imposta per l’erogazione del
bonus in esame, e che pertanto appare del tutto estranea
alla compensazione del credito che ne deriva anche se
di misura superiore ai
15.000 euro.
Il comma 1-bis dell’articolo
13 del Tuir afferma espressamente che il credito in argomento «non concorre alla for-
mazione del reddito». Ne
consegue che dette somme
non rilevano ad alcun titolo
nei confronti del percettore.
Inoltre le stesse, non costituendo retribuzione per il percettore, nemmeno rilevano ai
fini dell’Irap per il soggetto
erogatore. E` buona norma,
quindi, contabilizzare l’importo dei crediti separatamente da quello delle retribuzioni
al fine di consentirne la deduzione dalla base imponibile
per il calcolo dell’Irap.
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poste sui redditi e alle relative addizionali, alle ritenute
alla fonte di cui all’articolo
3 del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 602, alle imposte sostitutive delle imposte sul
reddito e all’imposta regionale sulle attivita` produttive,
per importi superiori a
15.000 euro annui, hanno
l’obbligo di richiedere l’apposizione del visto di conformita`.
E` di tutta evidenza, a parere
di chi scrive, che questa pre-
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
1695
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1696
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
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Jobs Act e Fondazione Studi
Tempo determinato
e apprendistato:
indirizzi applicativi
Il 20 maggio scorso e` entrata
in vigore la legge 16 maggio
2014, n. 78, che ha convertito con modificazioni il D.L.
20 marzo 2014, n. 34.
Numerosi gli aspetti modificati rispetto al testo originario,
ma molti i dubbi che chi quotidianamente deve applicare le
nuove regole si trova di fronte.
Infatti, se alcuni punti di criticita` del testo ante conversione
hanno trovato puntualizzazione nella legge n. 78/2014, sono rimasti irrisolti molti aspetti che costituiscono un fattore
di rischio con conseguente latente contenzioso che si puo`
innescare proprio a causa dei
dubbi interpretativi.
Peraltro, le modifiche hanno
riguardato in misura significativa due istituti molto utilizzati e cioe` il contratto a
tempo determinato e quello
di apprendistato.
A fornire importanti indicazioni e` intervenuta la Fondazione Studi del Consiglio nazionale dei Consulenti del lavoro con la circolare n. 13
del 12 giugno scorso.
Un corposo documento che,
come si dira`, interviene sui
diversi aspetti toccati dal legislatore.
Va ricordato, a tal fine, che il
provvedimento, dopo la conversione, ha innanzitutto introdotto un triplice regime
per le modifiche ai contratti
di lavoro a tempo determinato e di apprendistato.
In particolare, le differenti regole riguardano:
1) contratti stipulati prima
del 20 marzo 2014;
2) regime applicabile a quelli
stipulati dal 20 maggio 2014;
3) applicazione delle norme
previste dal D.L. n. 34/2014
nel periodo di vigenza (dal
21 marzo al 19 maggio 2014).
Le differenti regole sono
frutto dell’introduzione dell’articolo 2-bis che regola il
regime transitorio, nel testo
originario non previsto.
Il testo di tale articolo introduce il principio che le nuove
norme si applicano esclusivamente ai contratti stipulati
dal 20 maggio 2014.
Di conseguenza, per quelli
conclusi precedentemente,
occorre osservare le disposizioni previgenti.
Tuttavia, vengono fatti salvi
gli effetti prodottisi in vigenza del D.L. n. 34/2014.
Una precisazione importante,
perche´ va ricordato che, prima della conversione, non
era previsto uno specifico regime transitorio e conseguentemente le regole introdotte dal D.L. n. 34/2014
erano pienamente vigenti anche per i contratti in corso.
L’organo scientifico del
Consiglio nazionale dei consulenti fornisce indirizzi applicativi soprattutto sui contratti a termine e di apprendistato dopo l’entrata in vigore
della legge 16 maggio 2014,
n. 78 di conversione del
D.L. 20 marzo 2014, n. 34.
Contratto a tempo
determinato
Certamente
l’eliminazione
del c.d. ‘‘causalone’’ col quale si e` convissuto dal 2001,
data in cui e` entrato in vigore
il D.Lgs. n. 368/2001 che regola il contratto a tempo determinato recependo la direttiva comunitaria in materia,
rappresenta non solo una rilevante novita` ma soprattutto
una effettiva e tangibile semplificazione soprattutto in ottica di prevenzione del contenzioso tra le parti.
Durata
Ora il nuovo comma 1 dell’articolo 1 di tale decreto fissa la regola che la stipula e`
legata esclusivamente alla
durata che e` stabilita in 36
mesi, e non piu` alle esigenze
organizzative, tecniche, produttive o sostitutive che costituivano la regola previgente.
La circolare dei consulenti
del lavoro sottolinea a tal
proposito che le conseguenze
di tale previsione sono l’introduzione di una durata
massima del contratto sin
dalla stipulazione, salvo poche eccezioni e cioe`:
contratti avviati tra istituti
pubblici o enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a
svolgere in via esclusiva attivita` di ricerca scientifica o
tecnologica, di assistenza
tecnica e direzione alla stessa. In tal caso, la durata e` pari
a quella del progetto di ricerca cui si riferisce;
nel settore stagionale stante
la confermata previsione contenuta nell’articolo 5 comma
4-ter del D.Lgs. n. 368/2001.
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
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Giuseppe Buscema - Consulente del lavoro
1697
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Naturalmente, le regole non
riguardano tutti i casi di
esclusione dalla disciplina
del citato decreto (es. dirigenti).
In precedenza, invece, il limite massimo riguardava la
durata complessiva di occupazione soltanto in caso di
successione di contratti (articolo 5 comma 4-bis) e questo
consentiva di poter avviare il
primo contratto a temine anche per un perdo superiore a
36 mesi.
1698
Limiti
A fare da contrappeso a tale
liberalizzazione, e` stata prevista la fissazione di precisi limiti legali al numero di contratti stipulabili da parte dei
datori di lavoro, peraltro con
alcune deroghe (v. infra).
Prevede la seconda parte del
comma 1 dell’articolo 1, infatti, che i contratti a termine
non potranno superare il limite del 20% del numero
dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1º gennaio dell’anno di assunzione.
Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti e` sempre possibile stipulare un contratto di lavoro
a tempo determinato.
E` senza dubbio questo l’aspetto che piu` di altri rappresenta maggiori criticita`, non
solo da un punto di vista oggettivo per quanto concerne
il numero dei contratti stipulabili, ma soprattutto per le
modalita` applicative che - come vedremo - sono tutt’altro
che agevoli.
La Fondazione Studi sottolinea intanto che il limite numerico va verificato tempo
per tempo nel corso dell’anno; questo significa che ad
ogni avvio di contratto a termine va rispettata la percentuale di rapporto rispetto ai
lavoratori a tempo indeterminato esistenti al 1º gennaio
talche´ durante il corso del-
l’anno non potranno essere
contemporaneamente presenti un numero complessivo di
contratti superiore al limite.
Per la Fondazione, dunque, il
numero di contratti massimo
stipulabili non va effettuato
progressivamente nell’anno.
E` una presa di posizione importante perche´ le interpretazioni possibili sono due:
1) quella della Fondazione i
cui effetti pratici comportano
che al momento di assunzione non rilevano i contratti a
termine gia` scaduti in precedenza;
2) l’altra secondo la quale rilevano invece tutti i contratti
stipulati nel corso dell’anno
interessato a prescindere dalla durata. Una sorta di contatore annuo.
Le differenze sono significative: immaginiamo, ad esempio, che un datore di lavoro
al 1º gennaio 2014 occupava
20 lavoratori a tempo indeterminato. Sara` pari a 4 il limite
massimo di contratti a tempo
determinato per tutto il 2014.
Se tale datore di lavoro il 1º
giugno ha assunto 4 lavoratori con durata di 3 mesi, la seconda interpretazione comporterebbe che per tutto l’anno non potra` stipulare piu` alcun contratto.
Applicando il criterio della
circolare della Fondazione,
invece, a settembre il datore
di lavoro potra` sottoscrivere
nuovi contratti perche´ non
occupava piu` lavoratori a termine in quanto quelli stipulati precedentemente erano gia`
scaduti.
Altro aspetto riguarda le tipologie di contratti su cui va effettuato il calcolo del 20%.
Secondo la Fondazione si
computano anche gli apprendisti e i lavoratori assunti con
contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato
con diritto all’indennita` di disponibilita` (secondo i criteri
di cui all’articolo 39 del
D.Lgs. n. 276/2003); al con-
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
trario non devono essere considerati i lavoratori accessori,
i contratti di collaborazione
anche a progetto, ed i lavoratori intermittenti a tempo indeterminato senza indennita`
di disponibilita` (questa esclusione deriva dalla valutazione che gli stessi non rappresentano una forza stabile in
azienda).
Anche in questo caso si tratta
di una presa di posizione su
un punto dubbio: anche se
gli apprendisti sono considerati lavoratori a tempo indeterminato (in quanto cosı`
espressamente definiti dal
D.Lgs. n. 167/2011, articolo
1), l’articolo 7, comma 3 del
D.Lgs. n. 167/2011 li esclude
dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione
di particolari normative e istituti, fatte salve specifiche previsioni di legge o di contratto
collettivo. Dunque, non essendo previste deroghe, l’altra lettura e` che gli apprendisti non siano computabili.
Sempre relativamente al conteggio e` importante la questione riguardante i lavoratori con
contratto a tempo parziale.
Il legislatore, sottolinea la
Fondazione, non fornisce
una indicazione se il conteggio debba essere eseguito
‘‘per teste’’ oppure valorizzando tale numero in termini
di ‘‘full-time equivalenti’’.
Nel silenzio della norma (che
richiede di verificare «il numero dei lavoratori a tempo
indeterminato»), ma richiamando il principio generale
stabilito dall’articolo 6 del
D.Lgs. n. 61/2000 a mente
del quale «in tutte le ipotesi
in cui, per disposizione di
legge o di contratto collettivo, si renda necessario l’accertamento della consistenza
dell’organico, i lavoratori a
tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti
in proporzione all’orario
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gio dei lavoratori sia per l’individuazione del momento o
dell’arco temporale da prendere a riferimento).
In materia di deroghe, oltre
all’applicabilita` espressamente prevista che rinvia alle ipotesi di cui all’articolo 10 comma 7 del D.Lgs. n. 368/2001,
per la Fondazione si puo` ricorrere anche alla sottoscrizione di un contratto aziendale ex articolo 8 del D.L. n.
138/2011 che in questi casi
possa derogare, per ragioni
di competitivita` aziendale, al
20% stabilito dalla legge.
La circolare infatti puntualizza che per sopperire a picchi
di produttivita` per i quali in
passato non era prevista alcun limite quantitativo e che
ora per effetto della legge n.
78/2014 sono costrette ad applicare il limite del 20% ragionare sull’avvio di contratti
di prossimita` puo` essere un
utile strumento risolutivo.
Tenuto conto che anche prima della riforma apportata
dal D.L. n. 34/2014 attraverso
la stipula di un contratto di
prossimita` era possibile procedere ad una autonoma regolamentazione del contratto
a termine (potenzialmente incidente anche nei limiti quantitativi), infatti, tali contratti
applicabili in azienda continueranno ad essere la fonte
regolamentatrice dei rapporti
a termine, compresi quelli avviati dal 21 marzo 2014.
La circolare della Fondazione si sofferma anche sul problema delle acquisizioni di
aziende o cambi di appalto
in cui trova piena applicazione l’articolo 2112 c.c. in cui
sono presenti rapporti a tempo determinato. In questo caso, viene sottolineato che
non appare possibile l’applicazione dei limiti quantitativi
legali e contrattuali poiche´
sarebbe un contratto con un
legittimo interesse economico dell’imprenditore cessionario o appaltatore.
Violazione dei limiti
Una delle novita` previste in
sede di conversione del D.L.
n. 34/2014 e` rappresentata
dalla previsione di una sanzione amministrativa nel caso di violazione dei limiti
percentuali di contratti a tempo determinato stipulabili.
E` previsto dal comma 4-septies inserito all’articolo 5 del
D.Lgs. n. 368/2001 che si applica una sanzione pari al
20% della retribuzione, per
ciascun mese o frazione di
mese superiore a 15 giorni
di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti i violazione al limite non sia superiore ad
uno. Se si supera tale soglia,
la sanzione sale al 50%.
La Fondazione Studi ritiene
che la sanzione amministrativa prevista dal 20 maggio
2014 esclude la conversione
del rapporto a tempo indeterminato. Sul punto la circolare
afferma infatti che la conseguenza della conversione
del rapporto era stata in precedenza individuata dalla
giurisprudenza in mancanza
di una specifica previsione
in tal senso (c.d. sanzione
giurisprudenziale). La scelta
del legislatore di sanzionare
il superamento del limite solo con una sanzione amministrativa porta alla inevitabile
conseguenza di escludere la
conversione del rapporto.
Una volta sanzionata la violazione del limite, la circolare
sottolinea che il contratto
prosegue fino alla scadenza.
Inoltre, lo stesso datore di lavoro non dovrebbe essere
esposto a successive sanzioni
in caso di nuovi accessi
ispettivi.
Questo perche´ la norma mira
a sanzionare ‘‘la condotta’’
irregolare (costituita dall’aver avviato il rapporto in violazione del limite) e non
l’impiego del lavoratore nel
singolo mese.
Per quanto attiene alla quan-
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
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svolto, rapportato al tempo
pieno», la circolare n. 13 indica che debba essere utilizzato il criterio del riproporzionamento rispetto ai lavoratori full-time. Cosı` ragionando il datore di lavoro che al
1º gennaio conta un organico
di 30 lavoratori a tempo indeterminato (di cui 10 part-time
al 50%) ha in forza n. 25 lavoratori a tempo indeterminato e, pertanto, potra` assumere
n. 5 lavoratori a termine nel
corso dell’anno 2014.
Quanto al numero di lavoratori invece che e` possibile assumere, la circolare chiarisce
che, se ad esempio il datore
di lavoro con 32 lavoratori a
tempo indeterminato full-time puo` assumere fino al limite di 6,4 contratti a termine, il criterio da applicare in
questo caso e` quello di consentire l’assunzione di n. 6
lavoratori a termine full-time
ed una unita` a termine part-time al 40% (per coprire il decimale dello 0,4).
Non rileva invece la durata
del contratto a termine che
si intende avviare, per cui
una volta stabilita la soglia
di capienza il datore di lavoro puo` decidere se far durare
quel contratto un mese piuttosto che 36 mesi.
Quanto fin qui descritto riguarda i limiti c.d. legali,
ma il citato articolo1 comma
1, fa salvo «quanto disposto
dall’articolo 10, comma 7».
Si tratta delle competenze
della contrattazione collettiva
nazionale, nonche´ delle ipotesi derogatorie dei limiti applicabili.
La circolare n. 13/2014 sottolinea che la contrattazione
collettiva puo` regolare diversi elementi della disciplina
del contingentamento dei
contratti a termine: dalla percentuale applicabile (superiore, inferiore o uguale a quella
legale), alla base di computo
cui riferire il limite stesso
(sia nelle modalita` di conteg-
1699
Approfondimenti
antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
1700
tificazione della retribuzione
cui commisurare la sanzione
amministrativa, la stessa va
calcolata tenendo conto di
quella prevista dal contratto
di assunzione a termine senza eventuali aumenti retributivi riconosciuti nel corso
del rapporto.
Va ricordato che la disciplina
sanzionatoria non si applica
ai datori di lavoro che al 20
maggio 2014, data di entrata
in vigore della legge n. 78/
2014, gia` occupavano un numero di lavoratori a tempo
determinato in eccedenza rispetto alla disciplina dei limiti. L’articolo 2-bis del D.L. n.
34/2014, introdotto dalla legge di conversione, prevede
che tali datori di lavoro possono rientrare nei limiti entro
il 2014. La sanzione in caso
di mancato rispetto dei limiti
oltre tale data e` l’impossibilita` di stipula di nuovi contratti
fino al momento del rientro
nel limite percentuale.
Su tali aspetti, sottolinea la
Fondazione, puo` assumere
un ruolo importante la contrattazione collettiva anche
aziendale che potrebbe, ad
esempio, prevedere un limite
di rientro piu` ampio ovvero
un limite quantitativo meno
restrittivo.
Proroghe e rinnovi
La Fondazione Studi interviene anche sul tetto delle
proroghe ritenendo che il limite di 5 non si riferisce al
singolo contratto a termine
stipulato tra le parti ma all’intero periodo di tempo
(36 mesi) indicato dalla norma. Conseguentemente, se
le parti utilizzano le 5 proroghe nel primo contratto a termine (ad esempio, di durata
annuale comprese le proroghe), saranno libere di stipulare altri contratti a termine
sino al tetto dei 36 mesi (articolo 5, comma 4-bis) ma non
potranno piu` utilizzare l’istituto della proroga.
Viene ricordato che rimane la
necessita` che la proroga si riferisca alla stessa attivita` lavorativa per la quale il contratto e` stipulato.
Nessuna novita` invece in materia di rinnovi e dunque rimane l’obbligo di rispettare
gli intervalli temporali previsti dall’articolo 5 del D.Lgs.
n. 368/2001 nonche´ il limite
massimo di occupazione di
36 mesi peraltro per analoghe mansioni o equivalenti,
compresi i periodi di occupazione con contratto di somministrazione di lavoro.
Sul periodo massimo di occupazione, per la Fondazione
in sede di avvio di una somministrazione di lavoro non
deve essere verificato se in
precedenza sono stati avviati
rapporti di lavoro a termine
che concorrono al raggiungimento del tetto di 36 mesi.
In tal senso viene citata anche
la posizione espressa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in risposta all’interpello n. 32/2012 in cui
e` stato chiarito che «si ritiene
dunque che un datore di lavoro, una volta esaurito il periodo massimo di 36 mesi, possa
impiegare il medesimo lavoratore ricorrendo alla somministrazione di lavoro a tempo
determinato».
Apprendistato
In materia di apprendistato, e`
oggetto di interpretazione la
reintroduzione, con modifiche, della clausola di stabilizzazione che originariamente
il D.L. n. 34/2014 aveva soppresso.
Per la Fondazione la contrattazione collettiva nazionale
ha la facolta` di individuare limiti diversi dal summenzionato 20% ma non potra` modificare il limite dimensionale dei 50 dipendenti per il
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
quale si rende applicabile la
disciplina.
Dunque, i datori di lavoro
che si collocano al di sotto
di tale limite non saranno
soggetti a tale onere.
Un altro aspetto trattato dalla
circolare n. 13/2014 ha riguardato la formazione di base e trasversale per il contratto di tipo professionalizzante
e di mestiere.
A tal proposito, va ricordato
che l’articolo 4, comma 3,
del D.Lgs. n. 167/2011 ha
puntualizzato che «Si intende
per disponibile un’offerta formativa formalmente approvata e finanziata dalla pubblica
amministrazione competente,
che consenta all’impresa l’iscrizione all’offerta medesima affinche´ le attivita` formative possano essere avviate
entro 6 mesi dalla data di assunzione dell’apprendista».
Tale previsione va coordinata con quanto previsto dalle
vigenti linee guida introdotte
dalla riforma Giovannini
(D.L. n. 76/2014). Si tratta,
va ricordato, delle Linee guida approvate dalla Conferenza permanente per i rapporti
tra Stato, Regioni e Province
autonome il 20 febbraio scorso e che e` previsto siano recepite dalle singole Regioni
entro il prossimo 20 agosto.
Il combinato disposto delle
due disposizioni, secondo la
Fondazione, porta alla conclusione operativa che le
aziende in caso di mancata
comunicazione da parte delle
Regioni entro i 45 giorni successivi all’instaurazione del
rapporto di lavoro sono facoltizzate ad effettuare la formazione pubblica; qualora, tale
comunicazione non dovesse
essere notificata nei successivi 6 mesi (vale il giorno di
notifica e non di spedizione)
allora le stesse aziende sono
esonerate definitivamente dalla erogazione della formazione pubblica per tutta la durata
del rapporto di apprendistato.
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Jobs Act e legge di conversione
Somministrazione
a termine tra novita`
e dubbi interpretativi
Il D.L. 20 marzo 2014, n. 34,
come convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 78, apporta rilevanti modifiche alla disciplina del contratto a termine e
dell’apprendistato, ma e` intervenuto anche in materia
di somministrazione di lavoro a termine incidendo, in
parte,
direttamente
sul
D.Lgs. n. 276/2003. Cio` ha
fatto passare in secondo piano le altre novita` del recente
intervento legislativo in materia, ad esempio, di dichiarazione di disponibilita` dei
soggetti in cerca di occupazione, di semplificazione del
Documento unico di regolarita` contributiva (Durc), di
contratti di solidarieta` per le
imprese che rientrano nel
campo di applicazione della
Cig (1). Altrettanto sotto
traccia, pero`, sono rimasti, a
nostro avviso, gli effetti della
novella sul contratto di somministrazione a termine, essendosi l’attenzione della
dottrina incentrata sulla nuova disciplina del contratto a
tempo determinato. Muovendo da siffatta considerazione
intendiamo, dunque, con
queste brevi note, esaminare,
seppur rapidamente e con il
‘‘limite’’ proprio dei primi
commenti ‘‘a caldo’’, le ripercussioni del suddetto nuovo impianto normativo, sulla
disciplina della somministrazione di lavoro.
Peraltro, l’entrata in vigore
della legge di conversione
n. 78/2014 offre, nel contem-
po, lo spunto per richiamare
il quadro giurisprudenziale
in materia di apposizione
del termine al contratto di
somministrazione di lavoro,
anche considerato che il nuovo impianto legislativo non
si applica ai contratti di lavoro stipulati prima del 21 marzo 2014 che, pertanto, rimangono soggetti alle precedenti
regole, come interpretate dalla giurisprudenza.
Somministrazione
di lavoro a termine
La configurazione nel nostro
ordinamento giuridico della
somministrazione di lavoro
si inserisce nella tendenza alla ‘‘flessibilizzazione’’ rinvenibile in molti Paesi comunitari (2). Con l’apertura alla
somministrazione di lavoro,
infatti, «si realizza una forma
di forte flessibilizzazione del
mercato del lavoro: basti
pensare che, a fronte di un
contratto di somministrazione di lavoro temporaneo, e`
sempre possibile stipulare
contratti di lavoro a termine,
sia pure nel rispetto della
normativa collettiva di riferimento» (3). Siffatto schema
negoziale sviluppa l’idea di
fondo sul quale si basava la
disciplina di cui alla legge
n. 196/1997 sul lavoro temporaneo, l’assunto, cioe`, «secondo cui nel tessuto produttivo e nel mercato del lavoro
attuali chi fornisce professionalmente un servizio di reperimento e gestione della forza
lavoro puo` svolgere una funzione economica positiva, e
non socialmente pericolosa,
nonostante che la natura imprenditoriale della sua attivita` si manifesti nella fase preparatoria della prestazione
(somministrazione di lavoro), invece che nella fase di
esecuzione (come accade
nell’appalto di servizio)» (4).
La somministrazione di lavoro puo` essere, come noto, a
tempo indeterminato (c.d.
staff leasing) o a termine. Il
contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterNote:
(*) Il presente studio e` interamente ed esclusivamente riferibile ad entrambi gli Autori e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.
(1) Cfr. E. Massi in Dir. prat. lav., 2014, 16.
(2) Una analisi delle principali legislazioni europee
sul punto in M. Tiraboschi, S. Spattini, Staff leasing
e somministrazione professionale di manodopera in
Europa: un quadro comparato, in M. Tiraboschi (a
cura di), La riforma del collocamento e i nuovi servizi
per l’impiego, Giuffre`, Milano, 2003, spec. 207 ss.
(3) Coppola, Somministrazione e direttiva 2008/
104/CE: il (non) adeguamento dell’ordinamento interno, in Lav. giur., 2013, 10, 879.
(4) Ichino, La somministrazione di lavoro, in Il nuovo
mercato del lavoro, D.Lgs. 10 settembre 2003, n.
276, Commentario, Zanichelli, Bologna, 2004,
296 ss. Si rammenta che per la disciplina dettata
dalla legge n. 1369/1960 era irrilevante il fatto
che i prestatori di lavoro fossero organizzati e diretti dal fornitore piuttosto che dal committente,
atteso che l’esercizio di quel potere non rappresentava un elemento sufficiente per attribuire natura imprenditoriale alla prestazione promessa e
svolta dal primo in favore del secondo. Sul tema
v. O. Bonardi, L’utilizzazione indiretta dei lavoratori,
Franco Angeli, Milano, 2001, 37 ss.; G. Benedetti,
Profili civilistici dell’interposizione nel rapporto di lavoro subordinato, in Rivista trimestrale diritto procedura civile, 1965, 1512 ss.
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Mauro Sferrazza e Francesco Gramuglia - Avvocati Inps (*)
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1702
minato rappresenta il modello di riferimento e risponde
ad esigenze di stabilita` dell’occupazione: «viceversa il
contratto a termine e la somministrazione di lavoro a termine, in deroga al precedente, devono ricondursi alla categoria della temporaneita`,
intesa come limite temporale
alla ragione obiettiva addotta» (5). La somministrazione
di lavoro a tempo determinato e` sempre stata ammessa in
presenza di esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo,
pur riferibili all’ordinaria attivita` dell’utilizzatore. Tali
ragioni possono, dunque, riguardare «non solo eventi alternativi del normale assetto
organizzativo e produttivo,
aventi carattere di occasionalita` e straordinarieta`, ed esigenze di carattere temporaneo, ma anche carenze di organico legate al normale ciclo produttivo dell’azienda» (6).
Il Ministero del lavoro (circolare n. 7/2005) ha a suo
tempo chiarito che «il termine costituisce la dimensione
in cui deve essere misurata
la ragionevolezza delle esigenze tecniche, organizzative, produttive o sostitutive»
e che «si potra`, pertanto, fare
ricorso alla somministrazione
a tempo determinato in tutte
le circostanze, individuate
dall’utilizzatore sulla base di
criteri di normalita` tecnicoorganizzativa ovvero per ipotesi sostitutive, nelle quali
non si potra` esigere, necessariamente, l’assunzione diretta
dei lavoratori alle dipendenze
dell’utilizzatore e nelle quali,
quindi, il ricorso alla somministrazione di lavoro non assume la finalita` di eludere
norme inderogabili di legge
o di contratto collettivo».
Il c.d. ‘‘causalone’’ consente
allora di utilizzare questo
strumento di ‘‘esternalizzazione’’ a fronte di qualsiasi
motivazione, occasione, bisogno ecc., riferibile all’attivita` dell’utilizzatore. Proprio
in considerazione di tale indeterminata ampiezza, una
parte della dottrina ha da subito messo in evidenza la
tendenziale natura ‘‘a-causale’’ del contratto di somministrazione a termine, nel senso
che lo stesso e` svincolato «da
esigenze tipiche e precostituite - in funzione limitativa
- dalla legge, coincidendo
quelle indicate nel comma 3
dell’articolo 20 con ognuna
delle infinite ragioni non arbitrarie ne´ illecite ispirate all’interesse d’impresa e alla libera interpretazione che dello
stesso ne da` l’imprenditore» (7).
La legge n. 92/2012 ha, poi,
introdotto una ipotesi di c.d.
a-causalita` vera e propria sia
per il contratto a termine,
sia per la somministrazione
di lavoro a termine. A tal
proposito la dottrina ha osservato come «la successione
abbastanza convulsa, nel giro
di un triennio circa, delle ipotesi di legge in cui e` consentito ricorrere ad un contratto
di somministrazione a termine prescindendo dalla indicazione della ragione che ne e`
alla base non rappresenta solo una semplificazione dal
punto di vista dei requisiti
formali del contratto, ma ha
anche un corposo significato
dal punto di vista sostanziale» (8).
Novita`
sull’apposizione
del termine
Orbene, su questo assetto
normativo di riferimento interviene oggi la novella di
cui al D.L. n. 34/2014, convertito, come detto, con modificazioni, dalla legge n.
78/2014, che, per quanto
qui interessa, estende la possibilita` di ricorso al contratto
di lavoro a termine c.d. a-
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
causale.
Premesso,
nel
‘‘preambolo’’, di muovere
dalla considerazione della
«perdurante crisi occupazionale» e dall’incertezza «dell’attuale quadro economico
nel quale le imprese devono
operare», il legislatore sancisce la regola del possibile
triennio iniziale di non piena
stabilita` del rapporto di lavoro (per ora nella forma del
contratto a termine, domani,
probabilmente, anche in
quella del contratto a tempo
indeterminato c.d. a protezione crescente, oggi al centro
del dibattito politico e dottrinale).
Infatti, l’originaria previsione
dell’articolo 1 del D.Lgs. n.
368/2001, come modificato
dalla riforma Fornero di cui
alla legge n. 92/2012 (che
prevedeva la possibilita` di
stipulare un contratto a termine a-causale nell’ambito del
primo rapporto di lavoro subordinato e nel limite temporale massimo di dodici mesi),
e` stata modificata nel senso
che e` oggi possibile stipulare
contratti a tempo determinato, anche nella forma della
somministrazione, fino a
trentasei mesi complessivi,
senza necessita` di indicazione della relativa causale (9).
Note:
(5) L. Ratti, Somministrazione di lavoro e temporaneita` delle esigenze dell’impresa, in Lav. giur., 2010,
7, 705. Cfr. anche V. Speziale, Il contratto commerciale di somministrazione di lavoro, in Dir. rel. ind.,
2004, 295 ss.
(6) E. Vitiello, I nuovi rapporti di lavoro, Cedam, Padova, 2004, 19.
(7) Chieco, Somministrazione, comando, appalto.
Le nuove forme di prestazione di lavoro a favore
del terzo, Wp Csdle «Massimo D’Antona», n. 10/
2004, 3, 14.
(8) R. Romei, La somministrazione di lavoro dopo
le recenti riforme, in Dir. rel. ind., 2012, 4, 971.
(9) Peraltro, la vigente disciplina come introdotta
dal legislatore del 2014, prevede ora anche la
possibilita` che i contratti di lavoro a termine possano essere prorogati fino ad un numero massimo di cinque volte, «indipendentemente dal numero dei rinnovi», fermo restando il limite complessivo di durata dei trentasei mesi.
Cosı`, in particolare, e` stata
modificata la disposizione di
cui all’articolo 1, comma 1,
del D.Lgs. n. 368/2001: «E`
consentita l’apposizione di
un termine alla durata del
contratto di lavoro subordinato (10) di durata non superiore a trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore
di lavoro e un lavoratore per
lo svolgimento di qualunque
tipo di mansione, sia nella
forma del contratto a tempo
determinato, sia nell’ambito
di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del D.Lgs. 10
settembre 2003, n. 276. Fatto
salvo quanto disposto dall’articolo 10, comma 7, il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non puo` eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo
indeterminato in forza al 1º
gennaio dell’anno di assunzione. Per i datori di lavoro
che occupano fino a cinque
dipendenti e` sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato».
Contestualmente, viene abrogato il comma 1-bis (11),
mentre l’articolo 1, comma
2, del D.Lgs. n. 368/2001,
come riformulato, precisa
che «l’apposizione del termine di cui al comma 1 e` priva
di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da
atto scritto». In difetto di forma scritta, pertanto, l’apposizione del termine resta priva
di validita` ed efficacia ed il
rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato.
L’apposizione del termine,
dunque, e` stata ‘‘liberalizzata’’ in modo rilevante, muovendo, tuttavia, dalla richiesta di specifica indicazione
della data di termine del contratto.
In altri termini, oggi il ricorso all’a-causalita` e` consentita
fino a trentasei mesi e non
piu`, dunque, circoscritta al
primo rapporto di lavoro a
tempo determinato di durata
non superiore a dodici mesi,
sia nella forma del contratto
a tempo determinato, che in
quella della missione nell’ambito di un contratto di
somministrazione a termine.
La nuova previsione, che sostanzialmente generalizza la
disciplina della c.d. a-causalita`, viene, infatti, come detto, estesa anche al contratto
di somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Non serve piu`, dunque, la
causale per utilizzare un lavoratore con contratto di
somministrazione a tempo
determinato.
Nel computo del periodo
massimo di durata del contratto a tempo determinato,
pari a trentasei mesi, si tiene
altresı` conto dei periodi di
missione aventi ad oggetto
mansioni equivalenti, svolti
fra i medesimi soggetti, ai
sensi dell’articolo 20 del
D.Lgs. n. 276/2003, relativamente, appunto, alla somministrazione di lavoro a tempo
determinato. Cosı`, infatti,
sotto tale profilo, recita l’articolo 5, comma 4-bis, del
D.Lgs. n. 368/2001, come
oggi riscritto: «Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai
commi precedenti, e fatte salve diverse disposizioni di
contratti collettivi stipulati a
livello nazionale, territoriale
o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente piu` rappresentative
sul piano nazionale qualora
per effetto di successione di
contratti a termine per lo
svolgimento di mansioni
equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di
lavoro e lo stesso lavoratore
abbia complessivamente superato i trentasei mesi com-
prensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai
periodi di interruzione che
intercorrono tra un contratto
e l’altro, il rapporto di lavoro
si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2;
ai fini del suddetto computo
del periodo massimo di durata del contratto a tempo determinato, pari a trentasei
mesi, si tiene altresı` conto
dei periodi di missione aventi
ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi
soggetti, ai sensi dell’articolo
20 del D.Lgs. 10 settembre
2003, n. 276, e successive
modificazioni, inerente alla
somministrazione di lavoro
a tempo determinato».
Alla prima lettura del nuovo
impianto legislativo residua
il dubbio se le nuove norme
(e, soprattutto, le limitazioni)
dettate adesso per il contratto
a tempo determinato siano o
meno applicabili anche alla
somministrazione di lavoro.
Il predetto dubbio e` alimentato dal fatto che, ancora
Note:
(10) Le parole «a fronte di ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo,
anche se riferibili alla ordinaria attivita` del datore
di lavoro» sono state eliminate.
(11) «1-bis. Il requisito di cui al comma 1 non e`
richiesto:
a) nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi
comprensiva di eventuale proroga, concluso fra
un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore
per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4
dell’articolo 20 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n.
276;
b) in ogni altra ipotesi individuata dai contratti
collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro
comparativamente piu` rappresentative sul piano
nazionale.
2. L’apposizione del termine e` priva di effetto se
non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di
cui al comma 1, fatto salvo quanto previsto dal
comma 1-bis relativamente alla non operativita`
del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo».
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
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una volta, il legislatore interviene con una serie di disposizioni che hanno come possibile destinataria tanto la disciplina sul contratto a termine, quanto quella della somministrazione a termine, generando, cosı`, confusione e
alimentando difficolta` interpretative. Sul punto, e` possibile osservare come una
complessiva lettura, specie
sistematica, del riformulato
quadro normativo non faccia
trasparire una chiara volonta`
legislativa di riferire le novita`
di cui trattasi anche al contratto di somministrazione di
lavoro a tempo determinato.
In questa prospettiva e`, peraltro, possibile dare conto di
un ordine del giorno del 5
maggio 2014 del Senato, accolto dal Governo, che impegna quest’ultimo ad operare,
appunto, «in sede di interpretazione e applicazione dell’articolo 1 del D.L. nella
sua nuova formulazione,
confermando che i limiti di
cui all’articolo 1, comma 1,
e all’articolo 5, comma 4bis, secondo periodo, del
D.Lgs. n. 368/2001, (...) sono esclusivamente riferibili
al contratto a tempo determinato e non al lavoro somministrato tramite agenzia».
Peraltro, l’autonomia dei due
istituti non sembra essere intaccata dalla nuove disposizioni: si tratta di due istituti
che rimangono, comunque,
distinti sul piano concettuale,
essendo il contratto a termine
stipulato tra datore di lavoro
e lavoratore, laddove quello
di somministrazione intercorre tra agenzia per il lavoro e
utilizzatore. I due schemi negoziali, del resto, hanno origini e finalita` diverse: da
qui, a nostro avviso, l’errore
nel tentativo di ‘‘trattare’’
gli stessi in maniera simbiotica, anche laddove si consideri che dalla disciplina comunitaria si evince una differente indicazione, come dimo-
stra l’adozione di due distinte
direttive (1999/70 per il contratto a termine, 2008/104
per la somministrazione).
Conferma questa conclusione anche la Corte di giustizia
europea secondo cui la direttiva (1999/70) sul contratto a
tempo determinato non e` applicabile al rapporto di lavoro a tempo determinato tra lavoratore e agenzia di lavoro (12).
Il dubbio, tuttavia, rimane e
dunque, allo stato, riteniamo
non sia possibile affermare
con certezza che la somministrazione di lavoro a tempo
determinato possa oggi essere stipulata sulla base del
nuovo dettato normativo di
cui all’articolo 1 del D.Lgs.
n. 368/2001 senza subire i limiti propri dettati dalla predetta disciplina per il contratto a termine e, in particolare,
il tetto del venti per cento, rispetto allo stabile organico,
introdotto nella disciplina
del contratto a termine.
Il limite massimo di durata
dei trentasei mesi non dovrebbe applicarsi all’azienda
che utilizza il lavoratore
somministrato. La durata
massima e` illimitata per cio`
che riguarda il contratto
(commerciale) di somministrazione (quello, cioe`, sottoscritto tra utilizzatore e somministratore), mentre nessun
limite (di legge) e` rinvenibile
in ordine al numero di missioni che un lavoratore puo`
svolgere presso il medesimo
utilizzatore, rimanendo, dunque, il rapporto del lavoratore con l’agenzia regolato dal
Ccnl Agenzie.
Per cio` che concerne le proroghe vigono solo i limiti
previsti dal predetto contratto
(attualmente, sei proroghe
nell’arco dei trentasei mesi),
mentre non sussiste l’obbligo
di pausa tra una missione e
quella successiva, come, invece, previsto per i contratti
a termine (c.d. stop and go).
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Infine, non e` previsto, per il
lavoratore utilizzato con contratto di somministrazione,
alcun diritto di precedenza
e, soprattutto, come detto,
non dovrebbe (il condizionale e` d’obbligo) essere applicabile il tetto del venti per
cento, rispetto allo stabile organico, introdotto nella disciplina del contratto a termine,
limiti, pero`, che possono essere previsti nel Ccnl dell’utilizzatore.
Resta fermo che e` sempre
possibile fare ricorso alla
somministrazione a termine,
salvi, ovviamente, i divieti
di legge validi anche per il
contratto a termine (ossia, sostituzione dei lavoratori in
sciopero, omessa valutazione
dei rischi, utilizzo nelle medesime mansioni dei lavoratori licenziati o sospesi nei
sei mesi precedenti).
Giurisprudenza
sull’apposizione
del termine
L’articolo 2-bis della legge n.
78/2014 di conversione del
D.L. n. 34/2014 precisa che
«le disposizioni di cui agli
articoli 1 e 2 si applicano ai
rapporti di lavoro costituiti a
decorrere dalla data di entrata
in vigore del presente decreto. Sono fatti salvi gli effetti
gia` prodotti dalle disposizioni introdotte dal presente decreto». Pertanto, i contratti
stipulati prima del 21 marzo
2014 restano soggetti alla
precedente disciplina, ragione per cui riteniamo opportuno riepilogare rapidamente
quelli che sono gli arresti
della giurisprudenza in materia di apposizione del termine al contratto di somministrazione di lavoro.
Sappiamo che il contratto di
Nota:
(12) Corte di giustizia europea, 11 aprile 2013,
causa C-290/12, Della Rocca c. Poste italiane Spa.
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le, altrimenti privo di parametri certi ed oggettivi» (17).
Insomma, l’obbligo di indicare le ragioni di ricorso alla
somministrazione e` stato introdotto allo scopo di renderne possibile la verifica ed
evitare comportamenti fraudolenti ed abusivi. L’indicazione di cui trattasi, pertanto,
«non puo` consistere nel mero richiamo alla previsione
generale di legge, occorrendo invece che le motivazioni
siano espresse con riferimento alla concreta situazione di fatto che induce l’impresa utilizzatrice a far ricorso alla manodopera avventizia» (18). Sotto questo profilo la giurisprudenza ha precisato che «la clausola riportata nel contratto collettivo e`
chiaramente una clausola generale, che richiede di essere
specificata in relazione al
singolo contratto di fornitura, con deduzione della situazione che lo giustifica.
Ed e` altresı` evidente che la
mera ripetizione della clausola contrattuale ovvero l’uso di formule lessicali che
per la loro genericita` risultano prive di qualsiasi capacita`
descrittiva delle ragioni del
ricorso al lavoro temporaneo
non e` sufficiente a sancirne
la sua legittimita`» (19). La
clausola appositiva del termine deve, dunque, ritenersi
legittima qualora la stessa
enunci per iscritto la concreta causa specifica della ragione giustificativa, «con
dettagliata descrizione del
perche´ si assume a termine
e non a tempo indeterminato, non essendo sufficiente
il mero richiamo alla causale
astratta o la generica descrizione dell’esigenza produttiva» (20).
L’apposizione del termine al
contratto di lavoro deve,
dunque, essere accompagnata, entro la data di invio del
lavoratore presso l’utilizzatore, «dalla specificazione
delle ragioni cioe` dalla loro
indicazione in modo sufficientemente specifico, al fine
di consentire il controllo ex
ante ed ex post delle parti compreso il lavoratore - e
del giudice in ordine all’effettiva ricorrenza delle ragioni imprenditoriali e alla coerente esecuzione del programma negoziale (...) in caso di difetto di specifica indicazione l’apposizione del
termine e` nulla e quindi priva di effetto ex articolo 1
Note:
(13) Tribunale Roma, 30 novembre 2010, n.
18986; Tribunale Roma, 25 novembre 2010; Tribunale Roma, 17 giugno 2010, inedite, a quanto
consta.
(14) Cfr. Tribunale Milano, 4 luglio 2007, in Riv.
critica dir. lav., 2007, 4, 1089. Secondo il predetto
Tribunale la richiesta specificazione e` giustificata
da ragioni di trasparenza, nel senso che: «la specifica individuazione ex ante delle motivazioni
del ricorso a un siffatto schema giuridico» consente «al lavoratore di conoscere le ragioni per
cui e` stato assunto a termine e assicurare a questi
e al giudice la controllabilita` della loro reale esistenza».
(15) Cassazione, 3 aprile 2013, n. 8120, in Foro it.,
2013, 6, I, 1923, nonche´ in Riv. it. dir. lav., 2013, 4,
II, 827 (s.m.).
(16) Cfr. Corte d’Appello Milano, 12 gennaio
2009, in Riv. critica dir. lav., 2009, 1, 138 (s.m.).
(17) G. Cordedda, Le ragioni che legittimano il ricorso alla somministrazione di lavoro a termine: onere probatorio del soggetto utilizzatore e poteri di accertamento del giudice (nota a Tribunale Milano, 9
dicembre 2006), in Riv. critica dir. lav., 2007, 129
ss. Onere di specificazione che si spiegherebbe
anche alla luce di ragioni di trasparenza ed al fine
di assicurare la immodificabilita` delle esigenze che
hanno indotto l’imprenditore ad avvalersi della
somministrazione di lavoro, onde consentire, in
un secondo momento, la verifica della corrispondenza tra l’esigenza dichiarata e quella effettiva
(cfr. Corte d’Appello Bari, 26 gennaio 2012 e Tribunale Bergamo, 10 marzo 2011, inedite, a quanto consta).
(18) Tribunale Parma, 7 agosto 2013, n. 290, inedita, a quanto consta.
(19) Tribunale Bologna, 8 febbraio 2008, in Lav.
giur., 2009, 1, 69, con nota di M.D. Ferrara, Indicazione delle ragioni giustificative nel contratto di somministrazione a termine, nonche´ in Riv. giur. lav.,
2008, II, 946. Cfr. anche Tribunale Milano, 25
maggio 2010, in Riv. critica dir. lav., 2010, 4,
1084 (s.m.).
(20) Corte d’Appello Firenze, 13 dicembre 2011,
in Riv. critica dir. lav., 2012, 2, 452 ss. In senso conforme Tribunale Firenze, 14 febbraio 2012, ivi.
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somministrazione a tempo
determinato deve (ossia doveva, per quanto appena sopra detto) prevedere per
iscritto le concrete ragioni
che giustificano il ricorso al
contratto a termine. Le ragioni che inducono l’imprenditore ad utilizzare prestazioni
di lavoro a tempo determinato devono, cioe`, essere «cristallizzate nel contratto di lavoro (...) ovvero nel contratto
di somministrazione» (13).
La legittimita` del contratto
di somministrazione a tempo
determinato e`, cioe`, subordinata alla specifica indicazione scritta, da parte del somministratore e dell’utilizzatore, delle ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che nel
caso concreto e specifico
hanno determinato l’esigenza
dell’assunzione di cui si tratta (14). Tali ragioni devono
non solo essere indicate per
iscritto nel contratto, ma anche descritte, «in quella sede,
con un grado di specificazione tale da consentire di verificare se rientrino nella tipologia di ragioni cui e` legata
la legittimita` del contratto e
da rendere possibile la verifica della loro effettivita`. L’indicazione, pertanto, non puo`
essere tautologica, ne´ puo` essere generica. Non puo` risolversi in una parafrasi della
norma, ma deve esplicitare
il collegamento tra la previsione astratta e la situazione
concreta» (15).
Peraltro, per esigenze di certezza del diritto e per consentire il controllo sull’effettiva
sussistenza delle ragioni, le
stesse devono non solo risultare per iscritto, ma anche essere comunicate (per iscritto)
al lavoratore, assieme agli altri elementi del contratto di
somministrazione (16). La
specificazione delle ragioni,
insomma, diviene «un prezioso ‘‘canone ermeneutico’’
per il controllo giurisdiziona-
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comma 2 del D.Lgs n. 368/
2001» (21).
La ragione di questo orientamento deve rinvenirsi nel fatto che il vincolo formale viene posto a presidio della
«certezza del diritto» e del
principio di «trasparenza» (22), per consentire al
giudice il controllo sulla causale e, segnatamente, se questa, come indicata in contratto, sia «concretamente esistente e soprattutto se giustifichi una determinata durata
del contratto piuttosto che
una durata diversa» (23).
In conclusione, il contratto di
somministrazione privo dell’indicazione scritta relativa
alle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo
o sostitutivo, che giustificano
il ricorso alla somministrazione a tempo determinato e`
nullo (24). In questa prospettiva, la giurisprudenza riconosce alla indicazione scritta
delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo un senso specifico ed una rilevanza proprio «(perche´ altrimenti si
tratterebbe di una enunciazione di un requisito formale
sostanzialmente privo di contenuto e rilevanza) se tali casi
e ragioni sono specificati in
contratto e, quindi, fin dal
momento per cosı` dire genetico della fattispecie somministrazione di lavoro a tempo
determinato» (25).
Assenza di una
specifica causale:
conseguenze
In caso di carente specificazione delle cause giustificative nel contratto di lavoro
somministrato a termine trova (oggi per i soli contratti
stipulati sotto il vigore della
precedente disciplina normativa, come detto) direttamente applicazione la sanzione di
cui all’articolo 27 del D.Lgs.
n. 276/2003 e, cioe`, la costi-
tuzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato
alle dipendenze dell’utilizzatore, con effetto dall’inizio
della somministrazione, anche considerato che ove le
ragioni giustificative del contratto di somministrazione a
termine non siano state specificate o siano state indicate
in modo insufficiente, la
clausola contenente il termine resta invalida per carenza
di un suo elemento essenziale di carattere formale (26).
Nel caso in cui la causale
del contratto di somministrazione sia del tutto indeterminata, infatti, la stessa e` «inidonea a consentire il controllo delle parti e del giudice in
ordine all’effettiva ricorrenza
delle ragioni imprenditoriali
e alla coerente esecuzione
del programma negoziale» (27).
Una parte della dottrina ritiene che l’orientamento giurisprudenziale prima indicato
si traduca in una «intransigente reazione dei giudici di
primo grado nei confronti
della diffusa prassi di ripetere
nel contratto di somministrazione a termine le formule
generiche mutuate dal testo
legislativo o dalla fonte collettiva» (28). Numerose, in
effetti, le pronunce in tal senso (29).
Secondo altra parte della giurisprudenza, invece, l’obbligo di specificazione delle
causali deve essere sottoposto, nel contratto di somministrazione di lavoro, ad una
meno rigorosa verifica rispetto a quella della fattispecie
del contratto a termine: infatti, se sono identici i presupposti della somministrazione
di lavoro e del contratto di lavoro a tempo determinato,
soltanto per quest’ultimo la
disciplina normativa prescrive la «specificazione» delle
predette ragioni e da cio`
non puo` che desumersene
che nel contratto di sommini-
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strazione a termine sia richiesto qualcosa meno che nel
contratto a termine (30). In
qualche sentenza si legge anNote:
(21) Corte d’Appello Brescia, 17 maggio 2012, n.
270, inedita, a quanto consta.
(22) Corte d’Appello Milano, 12 gennaio 2009,
in Riv. critica dir. lav., 2009, 145.
(23) Tribunale Milano, 10 aprile 2007, in Riv. critica dir. lav., 2007, 421.
(24) Cfr. Tribunale Milano, 13 marzo 2007, in Riv.
critica dir. lav., 2007, 2, 413 (s.m.)
(25) Corte d’Appello Bologna, 26 luglio 2011,
inedita, a quanto consta.
(26) Cfr. Tribunale Ascoli Piceno, 17 dicembre
2010, in Dir. lav. Marche, 2011, 1, 160.
(27) Tribunale Bergamo, 15 giugno 2010, n. 500,
in Lav. giur., 2011, 4, 402, secondo cui, nella fattispecie sottoposta a giudizio, «l’indicazione delle
ragioni imprenditoriali (ricavabili, per relationem,
dal contratto di assunzione ex articolo 21, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003) non risulta sufficientemente specifica e idonea a consentire il controllo,
ex ante ed ex post, della loro effettivita`». Con
particolare riferimento al difetto di contenuto forma delle ragioni giustificatrici v. Tribunale Milano, 10 aprile 2007, in Riv. critica dir. lav., 2007, 1,
413 ss., con nota di A. Beretta.
(28) Cfr. M.D. Ferrara, Indicazione delle ragioni giustificative nel contratto di somministrazione a termine, in Lav. giur., 2009, 1, 71.
(29) Si ricordano, a titolo esemplificativo, Tribunale Milano, 13 marzo 2007, in Riv. critica dir.
lav., 2007, n. 2, 413 (s.m.); Tribunale Milano, 14
febbraio 2007, in Riv. critica dir. lav., 2007, n. 2,
413 (s.m.); Tribunale Milano, 9 dicembre 2006,
cit. 1, 126. Contra, pero`, Tribunale Milano, 12 ottobre 2006, in Riv. critica dir. lav., 2007, n. 2, 414;
Tribunale Monza, 22 novembre 2005, in Riv. critica dir. lav., 2006, n. 1, 327.
(30) Si iscrivono a siffatto orientamento, ad
esempio, Tribunale Treviso, 27 luglio 2011, inedita, a quanto consta; Tribunale Vicenza, 17 febbraio 2011, n. 1378, in Dir. rel. ind., 2011, 4,
1136. In tal ottica, e` stato evidenziato che, «nell’interpretazione della legge, le esigenze temporanee possano essere individuate con formulazioni
generiche nell’ambito delle quali sono sussumibili
diverse fattispecie concrete», cio` che risponderebbe all’intenzione del legislatore di «fornire all’imprenditore uno strumento di flessibilita` molto
piu` significativo» (Tribunale Milano, 21 marzo
2006, in Lav. giur., 2006, 1136). Nello stesso senso in altra decisione si afferma che «la causale inserita nel contratto di natura commerciale che intercorre tra la societa` fornitrice ed il lavoratore
non puo` essere tacciata di genericita`, essendo al
contrario sufficientemente specifica e dettagliata,
qualora essa faccia riferimento alla necessita` dell’utilizzatore di coprire un fabbisogno di personale
a fronte di una situazione non ancora stabilizzata»
(Tribunale Milano, 26 novembre 2008, in Or. giur.
lav., 2008, 944).
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Tariffa R.O.C.: Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
Anno XXXI, 26 luglio 2014, n. 30 - Direzione e Redazione: Strada 1, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (Mi) -
Diritto & Pratica del Lavoro n. 30 del 26 luglio 2014
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30
2014
Inserto
La giurisprudenza
della Corte di Giustizia
in materia di lavoro
a cura di A. Fenoglio e F. Savino
15/07/14 09:54
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Sommario
1. Libera circolazione dei lavoratori
.............................................................................................
1.1. Lavoratori extracomunitari: accordi con Stati terzi
2. Sicurezza sociale dei lavoratori migranti
.....................................................................
VI
.....................................................................................
VI
........................................................
VIII
...........................................................................
VIII
.............................................................................................
XI
.................................................................................................................
XII
3. Formazione professionale e riconoscimento di titoli e diplomi
4. Parita` di trattamento fra lavoratori e lavoratrici
4.1. Discriminazioni non di genere
5. Lavoro a termine
6. Licenziamenti collettivi
..........................................................................................................
XIV
........................................................................................................
XIV
..................................................................................................................
XV
7. Trasferimento d’impresa
8. Diritto sindacale
III
MILANOFIORI ASSAGO, Strada 1, Palazzo F6, Tel. 02.82476.090
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La giurisprudenza
della Corte di Giustizia
in materia di lavoro
Rassegna delle decisioni del primo quadrimestre 2014
a cura di Anna Fenoglio - Ricercatore nell’Universita` di Torino
e Francesca Savino - Dottore di ricerca nell’Universita` di Genova
1. Libera circolazione
dei lavoratori
Corte di giustizia 16 gennaio 2014, causa C423/12, Flora May Reyes contro Migrationsverket
L’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/
38/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del
29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (Cee) 1612/68 ed
abroga le direttive 64/221/Cee, 68/360/Cee, 72/
194/Cee, 73/148/Cee, 75/34/Cee, 75/35/Cee, 90/
364/Cee, 90/365/Cee e 93/96/Cee, deve essere interpretato nel senso che non consente ad uno Stato
membro di esigere che, in circostanze come quelle
di cui al procedimento principale, il discendente diretto di eta` pari o superiore a 21 anni dimostri, per
poter essere considerato a carico e rientrare, quindi,
nella nozione di «familiare» contenuta in tale disposizione, di avere inutilmente tentato di trovare un lavoro o di ricevere un aiuto per il proprio sostentamento dalle autorita` del suo paese d’origine e/o di
aver tentato con ogni altro mezzo di garantire il proprio sostentamento.
L’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/
38 deve essere interpretato nel senso che il fatto che
un familiare sia considerato, alla luce di circostanze
personali quali l’eta`, le qualifiche professionali e lo
stato di salute, dotato di ragionevoli possibilita` di
INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
trovare un lavoro e, inoltre, intenda lavorare nello
Stato membro ospitante resta irrilevante ai fini dell’interpretazione della condizione di essere «a carico», prevista da detta disposizione.
Com’e` noto, la direttiva 2004/38 riconosce il diritto
a circolare e soggiornare liberamente nel territorio
degli Stati membri anche ai discendenti diretti di
cittadini dell’Unione di eta` superiore a 21 anni purche´ siano a loro carico. Chiamata a precisare la nozione della «vivenza a carico», la Corte pone l’accento sulla necessaria esistenza di una reale situazione di dipendenza del discendente dal cittadino
dell’Unione che si e` avvalso della liberta` di circolazione oppure dal coniuge dello stesso: dipendenza
che e` certamente ravvisabile qualora, come nel caso
di specie, un cittadino dell’Unione effettui regolarmente, per un periodo considerevole, il versamento
di somme di denaro al proprio familiare al fine di
aiutarlo a sopperire ai suoi bisogni essenziali nello
Stato d’origine. In una simile situazione non puo` essere richiesto al discendente di dimostrare di avere
inutilmente tentato di trovare un lavoro o di ricevere
un aiuto al sostentamento dalle autorita` del paese
d’origine e/o di aver tentato con ogni altro mezzo
di assicurare il proprio sostentamento: la richiesta
di una simile prova renderebbe infatti eccessivamente difficile la possibilita` per quest’ultimo di beneficiare del diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante.
Sono inoltre del tutto irrilevanti ai fini dell’interpreIII
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tazione della condizione di «vivenza a carico» le
eventuali prospettive di ottenere un lavoro nello
Stato membro ospitante, che consentirebbero al discendente del cittadino dell’Unione di non essere
piu` a carico di quest’ultimo: se cosı` non fosse, infatti, verrebbe di fatto impedito al familiare di cercare un lavoro nello Stato membro ospitante, violando l’articolo 23 della direttiva che autorizza
espressamente quest’ultimo, qualora benefici del
diritto di soggiorno, ad intraprendere un’attivita`
economica a titolo di lavoratore subordinato o autonomo.
Corte di giustizia 16 gennaio 2014, causa C378/12, Nnamdi Onuekwere contro Secretary of State
for the Home Department
L’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/
CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29
aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri,
che modifica il regolamento (Cee) 1612/68 ed
abroga le direttive 64/221/Cee, 68/360/Cee, 72/
194/Cee, 73/148/Cee, 75/34/Cee, 75/35/Cee, 90/
364/Cee, 90/365/Cee e 93/96/Cee, dev’essere interpretato nel senso che i periodi di detenzione nello Stato membro ospitante di un cittadino di un
paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione
che ha acquisito il diritto di soggiorno permanente
in tale Stato membro durante detti periodi, non
possono essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione, da parte di tale cittadino, del diritto
di soggiorno permanente ai sensi di tale disposizione.
L’articolo 16, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2004/
38 dev’essere interpretato nel senso che la continuita` del soggiorno e` interrotta da periodi di detenzione
nello Stato membro ospitante di un cittadino di un
paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione
che ha acquisito il diritto di soggiorno permanente
in detto Stato membro durante tali periodi.
Corte di giustizia 16 gennaio 2014, causa C400/12, Secretary of State for the Home Department
contro M.G.
L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva
2004/38/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini
dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (Cee) 1612/68 ed
abroga le direttive 64/221/Cee, 68/360/Cee, 72/
194/Cee, 73/148/Cee, 75/34/Cee, 75/35/Cee, 90/
364/Cee, 90/365/Cee e 93/96/Cee, deve essere interpretato nel senso che il periodo di soggiorno decennale previsto da tale disposizione deve essere, in liIV
nea di principio, continuativo e calcolato a ritroso, a
partire dalla data della decisione di allontanamento
della persona di cui trattasi.
L’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva
2004/38 deve essere interpretato nel senso che un
periodo di detenzione della persona di cui trattasi
e` in linea di principio idoneo ad interrompere la
continuita` del soggiorno, ai sensi di tale disposizione, e ad incidere sulla concessione della protezione
rafforzata da essa prevista, compreso il caso in cui
tale persona abbia soggiornato nello Stato membro
ospitante duranti i dieci anni precedenti la sua detenzione. Tuttavia, tale circostanza puo` essere presa
in considerazione nella valutazione globale richiesta
per determinare se i legami di integrazione precedentemente creatisi con lo Stato membro ospitante
siano stati o meno infranti.
Nelle due pronunce in epigrafe, la Corte e` chiamata
a valutare se i periodi di detenzione possono essere
presi in considerazione ai fini, rispettivamente, dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente
dei cittadini di Paesi terzi familiari di un cittadino
dell’Unione e dell’ottenimento di una protezione
rafforzata contro provvedimenti di allontanamento
dal territorio di uno Stato membro per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza nei confronti
dei cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato
nello Stato membro ospitante durante i precedenti
dieci anni. Nel rispondere negativamente ad entrambe le domande, la Corte chiarisce che la direttiva 2004/38 mira a rafforzare il sentimento di appartenenza alla cittadinanza dell’Unione, motivo
per cui l’ottenimento del diritto di soggiorno permanente e della protezione rafforzata contro provvedimenti di allontanamento e` subordinato all’integrazione del cittadino dell’Unione nello Stato membro
ospitante: integrazione che puo` essere desunta non
solo da elementi spaziali e temporali, ma anche da
elementi qualitativi. Secondo la Corte, in particolare, il fatto che il giudice nazionale abbia inflitto una
pena detentiva senza sospensione e` idoneo a dimostrare il mancato rispetto, da parte della persona di
cui trattasi, dei valori espressi dalla societa` dello
Stato membro ospitante nel diritto penale di quest’ultimo.
Corte di giustizia 12 marzo 2014, causa C456/12, O. contro Minister voor Immigratie, Integratie
en Asiel, e Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel
contro B.
L’articolo 21, paragrafo 1, Tfue deve essere interpretato nel senso che, in una situazione in cui un
cittadino dell’Unione abbia sviluppato o consolidato una vita familiare con un cittadino di un paese
terzo nel corso di un soggiorno effettivo, ai sensi e
nel rispetto delle condizioni enunciate agli articoli
INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
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7, paragrafi 1 e 2, o 16, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/38/Ce del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto
dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio
degli Stati membri, che modifica il regolamento
(Cee) 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/Cee,
68/360/Cee, 72/194/Cee, 73/148/Cee, 75/34/Cee,
75/35/Cee, 90/364/Cee, 90/365/Cee e 93/96/Cee,
in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza, le disposizioni della medesima direttiva si applicano per analogia quando detto cittadino dell’Unione ritorni, con il familiare interessato, nel proprio Stato membro d’origine. Di
conseguenza, le condizioni per la concessione di
un diritto di soggiorno derivato al cittadino di un
paese terzo, familiare del menzionato cittadino dell’Unione, nello Stato membro d’origine di quest’ultimo non dovrebbero, in via di principio, essere piu`
severe di quelle previste dalla citata direttiva per la
concessione di un diritto di soggiorno derivato al
cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, che si e` avvalso del proprio diritto
di libera circolazione stabilendosi in uno Stato
membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza.
La Corte e` qui chiamata ad affrontare il caso di un
cittadino dell’Unione che, nel corso di un soggiorno
in uno Stato membro ospitante, ha sviluppato o consolidato una vita familiare con un cittadino di un
Paese terzo, al fine di chiarire se - qualora il cittadino
dell’Unione faccia ritorno nel proprio Paese di origine - le disposizioni della direttiva 2004/38 e l’articolo 21, paragrafo 1, Tfue impediscano a tale Stato
membro di rifiutare il diritto di soggiorno al familiare interessato.
Nell’affrontare tale questione i giudici di Lussemburgo ricordano che gli eventuali diritti conferiti ai cittadini di Paesi terzi dalle disposizioni in questione
sono diritti derivati dall’esercizio della liberta` di circolazione da parte di un cittadino dell’Unione: motivo per cui non puo` essere riconosciuto un diritto di
soggiorno derivato a favore di cittadini di paesi terzi,
familiari di un cittadino dell’Unione, nello Stato
membro di cui quest’ultimo possieda la cittadinanza.
La Corte e` tuttavia ben consapevole che se nel caso
in questione non fosse riconosciuto un diritto di soggiorno derivato al proprio familiare, il cittadino dell’Unione - non avendo la certezza di poter proseguire
nello Stato membro di origine una vita familiare con
i propri stretti congiunti - sarebbe indotto a lasciare
la propria patria al fine di avvalersi del suo diritto
di soggiorno in un altro Stato membro. Al fine di attribuire efficacia pratica all’articolo 21, paragrafo 1,
Tfue, si deve dunque ritenere che al ritorno in patria
del cittadino dell’Unione il familiare possa beneficiare del diritto di soggiorno derivato. E` pero` chiaro che
INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
l’applicazione delle norme del diritto dell’Unione
non puo` estendersi fino alla tutela di pratiche abusive
che, pur rispettando formalmente le condizioni previste dalla normativa dell’Unione, perseguano l’obiettivo di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa
delle condizioni necessarie per il suo ottenimento;
ne´ il diritto di soggiorno derivato per un familiare
del cittadino dell’Unione puo` sorgere dal cumulo
di vari soggiorni di breve durata, come fine settimana o vacanze trascorse in uno Stato membro diverso
da quello di cui quest’ultimo possiede la cittadinanza.
Corte di giustizia 12 marzo 2014, causa C457/12, S. contro Minister voor Immigratie, Integratie
en Asiel, e Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel
contro G.
Le disposizioni della direttiva 2004/38/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004,
relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro
familiari di circolare e di soggiornare liberamente
nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (Cee) 1612/68 ed abroga le direttive 64/
221/Cee, 68/360/Cee, 72/194/Cee, 73/148/Cee, 75/
34/Cee, 75/35/Cee, 90/364/Cee, 90/365/Cee e 93/
96/Cee, devono essere interpretate nel senso che
non ostano a che uno Stato membro rifiuti il diritto
di soggiorno al cittadino di un paese terzo, familiare
di un cittadino dell’Unione, quando tale cittadino
possiede la cittadinanza di detto Stato membro e risiede in questo medesimo Stato, ma si reca regolarmente in un altro Stato membro nell’ambito delle sue
attivita` professionali.
L’articolo 45 Tfue deve essere interpretato nel senso
che attribuisce al familiare di un cittadino dell’Unione, cittadino di un paese terzo, un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro di cui tale cittadino possiede la cittadinanza, allorche´ detto cittadino risiede in quest’ultimo Stato, ma si reca regolarmente in un altro Stato membro in quanto lavoratore
ai sensi della menzionata disposizione, quando il rifiuto di un siffatto diritto di soggiorno ha un effetto
dissuasivo sull’esercizio effettivo dei diritti che al lavoratore interessato derivano dall’articolo 45 Tfue,
circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.
Alla Corte e` chiesto di chiarire se le disposizioni
della direttiva 2004/38 e gli articoli 20 Tfue, 21, paragrafo 1, Tfue e 45 Tfue impediscano ad uno Stato
membro di rifiutare il diritto di soggiorno al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che - nel svolgere la sua attivita` professionale - si rechi regolarmente in uno Stato membro diverso da quello in cui ha la cittadinanza. Nell’affrontare tale questione, la Corte precisa che l’articoV
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lo 45 Tfue deve essere interpretato in modo tale
che, in un simile caso, al familiare sia riconosciuto
un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro
d’origine del cittadino dell’Unione, qualora sia accertato che il rifiuto del diritto di soggiorno possa
avere un effetto dissuasivo sull’esercizio effettivo
del diritto alla libera circolazione dei lavoratori. Tale circostanza deve essere verificata dal giudice del
rinvio, che deve tenere in adeguata considerazione
gli elementi di fatto che emergono dal caso di specie. In particolare, il fatto che il cittadino del Paese
terzo si occupi del figlio del cittadino dell’Unione
puo` costituire un elemento rilevante - ma di per se´
non sufficiente - che deve essere preso in considerazione dal giudice del rinvio al fine di verificare
se il rifiuto di concedere un diritto di soggiorno a
favore del familiare possa avere un carattere dissuasivo relativamente all’esercizio effettivo dei diritti
derivanti dall’articolo 45 Tfue.
1.1 Lavoratori extracomunitari: accordi
con Stati terzi
Corte di giustizia 27 febbraio 2014 causa C656/11, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del
Nord, sostenuto da Irlanda, v. Consiglio dell’Unione
europea, sostenuto da Repubblica francese e
Commissione europea
Il ricorso presentato da Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord per l’annullamento della decisione 2011/863/Ue del Consiglio del 16 dicembre
2011 e` respinto dal momento che lo scopo principale
della decisione impugnata e`, in seguito all’entrata in
vigore della nuova normativa dell’Unione in materia
di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale,
quello di attualizzare anche la disciplina che e` stata
estesa alla Confederazione svizzera dall’accordo
Ce-Svizzera sulla libera circolazione delle persone,
e di continuare quindi a mantenere l’estensione dei
diritti sociali a favore dei cittadini degli Stati interessati gia` voluta e operata da detto accordo CeSvizzera fin dal 2002. Pertanto, tale decisione poteva essere validamente adottata sulla base dell’articolo 48 Tfue.
Nel caso di specie la Corte e` stata investita del ricorso proposto da Regno Unito e Irlanda del Nord
per l’annullamento della decisione 2011/863 del
Consiglio relativa alla posizione dell’Unione europea in seno al Comitato misto istituito in base all’accordo tra la Comunita` europea e i suoi Stati
membri, da una parte, e la Confederazione svizzera
dall’altra, in tema di libera circolazione delle persone, e in particolare riguardo alla sostituzione dell’allegato II di tale accordo sul coordinamento dei
sistemi di sicurezza sociale. Tra i motivi del ricorso,
il Regno Unito, sostenuto dall’Irlanda, censura il
Consiglio per aver considerato l’articolo 48 Tfue
VI
quale base giuridica sostanziale della decisione impugnata.
Nell’affrontare la questione, la Corte ricorda innanzitutto che l’accordo Ce-Svizzera sulla libera circolazione delle persone e` stato approvato con la decisione 2002/309 sulla base dell’articolo 310 Ce (divenuto articolo 217 Tfue); per quanto concerne il
coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, l’articolo 8 dell’accordo riprende le disposizioni che
compaiono all’articolo 48, lettere a) e b), Tfue e
che sono dirette a garantire, da una parte, il calcolo
totale, ai fini della concessione e del mantenimento
del diritto alle prestazioni nonche´ per il calcolo delle medesime, di tutti i periodi presi in considerazione dalle diverse legislazioni nazionali e, dall’altra, il
pagamento delle prestazioni alle persone residenti
sul territorio degli Stati membri (a cui la Confederazione svizzera, in virtu` dell’accordo stesso, e` assimilabile). L’Unione ha cosı` esteso alla Confederazione svizzera l’applicazione della sua regolamentazione in materia di coordinamento dei sistemi di
sicurezza sociale, allora contenuta nei regolamenti
1408/71 e 574/72 (ora abrogati e sostituiti dai regolamenti 883/2004 e 987/2009). Questi ultimi regolamenti hanno lo scopo di sostituire le norme di
coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, modificate e aggiornate piu` volte per tenere conto degli
sviluppi intervenuti al livello dell’Unione, ivi incluse le sentenze della Corte, nonche´ delle modifiche
apportate alle legislazioni nazionali, modernizzando
e semplificando tali norme. Per questi motivi, la decisione impugnata e` legittima in quanto diretta, in
ragione di tale evoluzione, ad aggiornare l’allegato
II sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale
integrandovi i regolamenti 883/2004 e 987/2009,
allo scopo di salvaguardare un’applicazione coerente e corretta degli atti giuridici dell’Unione ed evitare difficolta` amministrative, ed eventualmente
giuridiche.
2. Sicurezza sociale
dei lavoratori migranti
Corte di giustizia 27 febbraio 2014, causa C32/13, Petra Wu¨rker v. Familienkasse Nu¨rnberg
L’articolo 77, paragrafo 1, del regolamento (Cee)
1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo
all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai
lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e
ai loro familiari che si spostano all’interno della
Comunita`, nella sua versione modificata e aggiornata dal regolamento (Ce) 118/97 del Consiglio,
del 2 dicembre 1996, come modificato dal regolamento (Ce) 592/2008 del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 17 giugno 2008, deve essere interpretato nel senso che una prestazione come la
pensione per l’educazione dei figli prevista all’artiINSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
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colo 47, paragrafo 1, del sesto libro del codice della sicurezza sociale (Sozialgesetzbuch, Sechstes
Buch), concessa, in caso di decesso, all’ex coniuge
del defunto ai fini dell’educazione dei figli di questo
ex coniuge, non puo` essere assimilata a una «pensione o [a] una rendita di vecchiaia, di invalidita`,
di infortunio sul lavoro, o di malattia professionale», ai sensi di detta disposizione del medesimo regolamento. L’articolo 67 del regolamento (Ce) 883/
2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, deve essere interpretato nel
senso che una prestazione come la pensione per l’educazione dei figli prevista all’articolo 47, paragrafo 1, del sesto libro del codice della sicurezza
sociale rientra nella nozione di «pensione», ai sensi
di detto articolo 67.
Nel caso di specie il giudice del rinvio ha domandato
alla Corte se l’articolo 77, par. 1, del regolamento
1408/71, debba essere interpretato nel senso che
una prestazione come la pensione per l’educazione
dei figli prevista in Germania, la quale e` concessa,
in caso di decesso, all’ex coniuge del defunto per l’educazione dei figli di questo ex coniuge, possa essere assimilata a una «pensione o [a] una rendita di
vecchiaia, di invalidita`, di infortunio sul lavoro, o
di malattia professionale», ai sensi della citata disposizione del medesimo regolamento. La Corte, considerando che una prestazione come la pensione per
l’educazione dei figli prevista dall’Sgb VI presenta
maggiormente le caratteristiche di una pensione versata in caso di decesso, come una pensione di reversibilita`, piuttosto che quelle di una delle categorie di
pensioni o di rendite specificamente elencate nella
disposizione sopra citata, vale a dire le pensioni o
le rendite «di vecchiaia, di invalidita`, di infortunio
sul lavoro, o di malattia professionale», risponde negativamente.
Corte di giustizia 30 aprile 2014, causa C-250/
13, Birgit Wagener v. Bundesagentur fu¨r Arbeit Familienkasse VillingenSchwenningen
In circostanze come quelle del procedimento principale, la conversione valutaria di assegni familiari
deve essere effettuata conformemente all’articolo
107, paragrafo 6, del regolamento (Cee) 574/72
del Consiglio, del 21 marzo 1972, che stabilisce
le modalita` di applicazione del regolamento (Cee)
1408/71 relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunita`, nella versione modificata
e aggiornata dal regolamento (Ce) 118/97 del Consiglio, del 2 dicembre 1996, come modificato dal
regolamento (Ce) 1386/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2001. L’articolo
107, paragrafo 6, del regolamento 574/72, nella
INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
versione modificata e aggiornata dal regolamento
118/97, come modificato dal regolamento 1386/
2001, deve essere interpretato nel senso che la conversione valutaria di assegni familiari, quali quelli
oggetto del procedimento principale, ai fini del calcolo dell’integrazione differenziale degli assegni
familiari ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento, deve essere effettuata
al corso ufficiale di cambio del giorno del pagamento di tali assegni da parte dello Stato membro
nel cui territorio il lavoratore in questione svolge
un’attivita` subordinata.
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte anche
in questo caso sulla concessione degli assegni per
figli a carico in Germania. Questi i fatti all’origine
della causa: i coniugi Wagener risiedono in Germania con i tre figli; la signora Wagener non esercita alcuna attivita` lavorativa, mentre il signor Wagener svolge un’attivita` lavorativa subordinata in
Svizzera dal 2006; a motivo di tale attivita` ha percepito, in franchi svizzeri, diversi assegni familiari
per i suoi tre figli. Tuttavia, contemporaneamente,
il signor Wagener ha percepito assegni per figli a
carico anche in Germania: dato che la Familienkasse non era stata informata dell’esercizio dell’attivita` professionale del signor Wagener in Svizzera, tali assegni sono stati corrisposti per intero.
Al fine di garantire l’effetto utile delle norme anticumulo dirette a garantire al beneficiario di prestazioni corrisposte da piu` Stati membri un importo
complessivo delle prestazioni identico a quello
della prestazione piu` favorevole a cui ha diritto
in virtu` della legislazione di uno solo di tali Stati,
l’articolo 107 del regolamento 574/72 deve essere
inteso nel senso di riferirsi alla conversione delle
prestazioni pagate dallo Stato di svolgimento dell’attivita` lavorativa ove tale pagamento si effettui
in qualunque ipotesi, mentre il pagamento delle
prestazioni previste dallo Stato di residenza si effettua soltanto a determinate condizioni, ed e` dunque condizionato e incerto. In una controversia come quella di cui al procedimento principale, conclude la Corte, il beneficiario degli assegni familiari corrisposti dallo Stato di svolgimento dell’attivita` lavorativa risiede nello Stato membro che concede l’integrazione differenziale degli assegni familiari cosicche´ gli assegni versati dallo Stato di svolgimento dell’attivita` lavorativa sono trasferiti allo
Stato di residenza: solo dopo il pagamento di tale
prestazione da parte dello Stato di svolgimento
dell’attivita` lavorativa e della conversione del suo
importo nella valuta dello Stato di residenza, l’interessato puo` beneficiare di tale integrazione in
quest’ultimo Stato qualora l’importo convertito
sia inferiore a quello della medesima prestazione
dovuta a titolo della legislazione dello Stato di residenza.
VII
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3. Formazione professionale
e riconoscimento di titoli
e diplomi
Corte di giustizia 30 aprile 2014, causa C-365/
13, Ordre des architectes contro E´tat belge
Gli articoli 21 e 49 della direttiva 2005/36/Ce del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre
2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche
professionali, come modificata dal regolamento
(Ce) 279/2009 della Commissione, del 6 aprile
2009, devono essere interpretati nel senso che ostano a che lo Stato membro ospitante richieda al titolare di una qualifica professionale ottenuta nello
Stato membro d’origine e prevista agli allegati V,
punto 5.7.1, o VI, di tale direttiva, di effettuare un
tirocinio o dimostrare che possiede un’esperienza
professionale equivalente per essere autorizzato a
esercitare la professione d’architetto.
Chiamata a chiarire se gli articoli 21 e 49 della direttiva 2005/36 impediscano ad uno Stato membro
ospitante di richiedere al titolare di una qualifica professionale ottenuta nello Stato membro d’origine di
effettuare un tirocinio oppure dimostrare il possesso
di un’esperienza professionale equivalente per essere
autorizzato ad esercitare la professione, la Corte rimarca innanzitutto che scopo della direttiva e` quello
di garantire il riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali con riferimento ad un certo numero
di professioni regolamentate al fine di consentire
l’accesso, nello Stato membro ospitante, alla stessa
professione per la quale il soggetto e` qualificato nello Stato membro d’origine e di esercitarla sul suo territorio alle medesime condizioni dei cittadini. Tale
direttiva, peraltro, non lascia alcun margine di discrezionalita` agli Stati membri: mentre la direttiva
85/38 prevedeva la possibilita` per gli Stati membri
di imporre condizioni di tirocinio complementari ai
titolari di titoli di formazione rilasciati da un altro
Stato membro anche qualora tali titoli beneficiassero
del reciproco riconoscimento (articolo 23, paragrafo
1), la direttiva 2005/36 ha infatti soppresso tale facolta`.
4. Parita` di trattamento
fra lavoratori e lavoratrici
Corte di giustizia 13 febbraio 2014, cause
riunite C-512/11 e C-513/11, Terveys- ja
sosiaalialan neuvotteluja¨rjesto¨ (TSN) ry v.
Terveyspalvelualan Liitto ry, con l’intervento di
Mehila¨inen Oy (C-512/11), e Ylemma¨t Toimihenkilo¨t
(YTN) ry v. Teknologiateollisuus ry, Nokia Siemens
Networks Oy (C-513/11)
La direttiva 96/34/Ce del Consiglio, del 3 giugno
VIII
1996, concernente l’accordo quadro sul congedo
parentale concluso dall’Unice, dal Ceep e dalla
Ces, deve essere interpretata nel senso che osta ad
una disposizione di diritto nazionale, come quella
prevista dai contratti collettivi di cui trattasi nei procedimenti principali, in virtu` della quale una lavoratrice gestante che interrompe un congedo parentale
non retribuito ai sensi di tale direttiva per prendere,
con effetto immediato, un congedo di maternita` ai
sensi della direttiva 92/85/Cee del Consiglio, del
19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure
volte a promuovere il miglioramento della sicurezza
e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti,
puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo
1 della direttiva 89/391/Cee) non beneficia del mantenimento della retribuzione alla quale avrebbe avuto diritto se tale congedo di maternita` fosse stato
preceduto da un periodo minimo di ripresa del lavoro.
Con le domande di pronuncia pregiudiziale qui riunite e` stato chiesto alla Corte di chiarire se e` legittimo
che un datore di lavoro rifiuti di corrispondere la retribuzione spettante alle sue lavoratrici durante un
congedo di maternita`, giustificando tale rifiuto col
fatto che i congedi di maternita` richiesti da tali lavoratrici hanno interrotto dei congedi parentali non retribuiti, connessi alla nascita del primo figlio. La
Corte si premura immediatamente di precisare che
la scelta di una lavoratrice di esercitare il suo diritto
al congedo parentale non dovrebbe pregiudicare le
condizioni di esercizio del suo diritto a prendere un
altro congedo (nel caso di specie, un congedo di maternita` richiesto in seguito ad una seconda gravidanza). Ora, l’effetto di una condizione come quella di
cui trattasi e` quindi di obbligare una lavoratrice, al
momento dell’adozione della sua decisione di prendere un congedo parentale non retribuito, a rinunciare in anticipo ad un congedo di maternita` retribuito,
come previsto dai contratti collettivi applicabili, qualora questa avesse bisogno di interrompere il suo
congedo parentale per prendere immediatamente dopo un congedo di maternita`. In queste circostanze, e`
chiaro che una lavoratrice sarebbe incitata a non usufruire di siffatto congedo parentale; questa condizione pregiudica l’effetto utile della direttiva 96/34 ed e`,
pertanto, illegittima.
Corte di giustizia 27 febbraio 2014, causa C588/12, Lyreco Belgium NV v. Sophie Rogiers
La clausola 2, punto 4, dell’accordo quadro sul congedo parentale, concluso il 14 dicembre 1995, contenuto nell’allegato della direttiva 96/34/Ce del
Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo
quadro sul congedo parentale concluso dall’Unice,
dal Ceep e dalla Ces, come modificata dalla direttiva 97/75/Ce del Consiglio, del 15 dicembre 1997,
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esaminata alla luce tanto degli obiettivi perseguiti
da tale accordo quadro quanto del punto 6 della medesima clausola, deve essere interpretata nel senso
che essa osta a che l’indennita` forfetaria di tutela
dovuta ad un lavoratore che fruisce di un congedo
parentale a tempo parziale, in caso di risoluzione
unilaterale da parte del datore di lavoro, senza motivo grave o adeguato, del contratto di tale lavoratore assunto a tempo indeterminato e a tempo pieno,
sia determinata sulla base della retribuzione diminuita percepita da quest’ultimo alla data del suo licenziamento.
Nel caso di specie, la domanda di pronuncia pregiudiziale e` stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra la Lyreco Belgium NV e la signora
Rogiers in merito al calcolo dell’indennita` forfetaria
di tutela a lei dovuta a seguito del suo licenziamento illegittimo, che ha avuto luogo durante un congedo parentale a tempo parziale. Assunta a tempo pieno, la signora Rogiers ha lavorato in Belgio presso
la societa` Lyreco in forza di un contratto di lavoro a
tempo indeterminato; rimasta incinta, ha fruito di
un congedo di maternita`, che ha prolungato con
un congedo parentale di quattro mesi a tempo parziale. A decorrere dall’inizio del congedo parentale,
la Lyreco ha risolto il contratto di lavoro della signora Rogiers con un preavviso di cinque mesi.
La giustizia belga ha condannato la Lyreco al pagamento dell’indennita` forfetaria di tutela in quanto
nessun motivo grave o adeguato giustificava la risoluzione unilaterale del contratto di lavoro durante il
congedo parentale. Adita in appello, la Corte del lavoro di Anversa ha sospeso il procedimento e ha
chiesto alla Corte di giustizia se, in un caso siffatto,
l’indennita` forfetaria debba essere calcolata sulla
base della retribuzione diminuita percepita dal lavoratore alla data del suo licenziamento, come sostenuto dalla Lyreco.
La Corte ricorda che l’indennita` forfetaria di tutela
belga costituisce una misura destinata a proteggere
i lavoratori dal licenziamento illegittimo causato dalla domanda o dalla fruizione di un congedo parentale. Tale misura di tutela sarebbe privata di gran parte
del suo effetto utile se l’indennita` fosse determinata
sulla base non della retribuzione a tempo pieno, bensı` della retribuzione diminuita versata durante un
congedo parentale a tempo parziale; un siffatto metodo di calcolo, infatti, potrebbe non produrre un effetto dissuasivo sufficiente ad impedire il licenziamento
illegittimo dei lavoratori. Questa valutazione e` confortata dal fatto che, conformemente al diritto dell’Unione, i diritti acquisiti dal lavoratore alla data di inizio del congedo parentale (cioe` l’insieme dei diritti e
dei vantaggi che derivano dal rapporto di lavoro) devono restare immutati fino alla fine del congedo. Il
diritto ad ottenere un’indennita` forfetaria di tutela
in caso di risoluzione unilaterale del contratto senza
INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
motivo grave o adeguato fa parte dei diritti acquisiti,
in quanto tale indennita` e` dovuta a motivo dell’impiego svolto dal lavoratore e che quest’ultimo avrebbe continuato a svolgere in assenza del licenziamento illegittimo.
Corte di giustizia 6 marzo 2014, causa C-595/
12, L. N. v. Ministero della giustizia - Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria
L’articolo 15 della direttiva 2006/54/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunita` e della parita` di trattamento fra uomini e
donne in materia di occupazione e impiego, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che, per motivi di interesse pubblico, esclude una donna in congedo di maternita` da un
corso di formazione professionale inerente al suo
impiego ed obbligatorio per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare di condizioni
d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di
partecipare a un corso di formazione successivo,
del quale tuttavia resta incerto il periodo di svolgimento. L’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva
2006/54 non si applica a una normativa nazionale,
come quella controversa nel procedimento principale, che non riserva una determinata attivita` ai soli
lavoratori di sesso maschile, ma ritarda l’accesso
a tale attivita` da parte delle lavoratrici che non abbiano potuto giovarsi di una formazione professionale completa a causa di un congedo di maternita`
obbligatorio. Le disposizioni degli articoli 14, paragrafo 1, lettera c), e 15 della direttiva 2006/54 sono
sufficientemente chiare, precise e incondizionate da
poter produrre un effetto diretto.
In questo caso la domanda di pronuncia pregiudiziale e` stata presentata nell’ambito di una controversia
insorta tra la signora N. e il Ministero della giustizia
- Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria,
ed ha ad oggetto l’esclusione della signora N. da
un corso di formazione per l’assunzione della qualifica di vice commissario di polizia penitenziaria; tale
esclusione e` stata determinata dal fatto che la ricorrente e` stata assente dal corso di formazione citato
per piu` di trenta giorni, assenza motivata da un congedo obbligatorio di maternita`.
Nella sua sentenza, la Corte ricorda innanzitutto che
un trattamento meno favorevole riservato ad una
donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternita` costituisce una discriminazione
basata sul sesso; alla fine del periodo di congedo
per maternita`, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e
condizioni che non le siano meno favorevoli, e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni
di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza. Nel caso di specie, e` pacifico che il corso dal
IX
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quale la signora N. e` stata esclusa a causa del congedo di maternita` fa parte delle condizioni di lavoro, in
quanto tale corso era tenuto nel contesto del rapporto
di lavoro ed era finalizzato a prepararla a un esame
che, se superato, le avrebbe permesso di accedere a
un livello di carriera superiore. L’esclusione dal corso di formazione a causa del congedo ha avuto un’incidenza negativa sulle condizioni di lavoro della signora N.: infatti, i suoi colleghi hanno avuto la possibilita` di seguire tale corso per intero e di accedere,
prima di lei, al superiore livello di carriera di vice
commissario, percependo al contempo la retribuzione corrispondente. Pertanto, l’esclusione dal corso
di formazione e il conseguente divieto di partecipare
all’esame hanno comportato per la signora N. la perdita di un’opportunita` di beneficiare, al pari dei suoi
colleghi, di migliori condizioni di lavoro e devono
pertanto essere considerati quali integranti un trattamento sfavorevole.
Per garantire l’uguaglianza sostanziale tra uomini e
donne, prosegue la Corte, gli Stati membri dispongono di un certo margine discrezionale: le autorita`
nazionali potrebbero conciliare l’esigenza della formazione completa dei candidati con i diritti della lavoratrice, predisponendo all’occorrenza, per colei
che rientra da un congedo di maternita`, corsi paralleli di recupero equivalenti, di modo che la lavoratrice possa essere ammessa in tempo utile all’esame
e accedere quindi il prima possibile a un livello superiore di carriera. In tal modo l’evoluzione della
carriera della lavoratrice non risulterebbe rallentata
rispetto a quella di un collega di sesso maschile vincitore dello stesso concorso e ammesso allo stesso
corso di formazione iniziale. La Corte sottolinea,
infine, che le disposizioni della direttiva sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto. Pertanto, il giudice
nazionale incaricato di applicarle ha l’obbligo di garantirne la piena efficacia disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione
nazionale contraria.
Corte di giustizia 18 marzo 2014, causa C363/12, Z. v. A. Government department, The Board of
management of a community school
La direttiva 2006/54/Ce del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunita` e della parita` di trattamento fra uomini e donne in materia di
occupazione e impiego, in particolare agli articoli 4
e 14, deve essere interpretata nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito
equivalente a un congedo di maternita` a una lavoratrice che abbia avuto un figlio mediante un contratto
di maternita` surrogata, in qualita` di madre committente. La situazione di una simile madre committente
in ordine al riconoscimento di un congedo di adozioX
ne non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva. La direttiva 2000/78/Ce del Consiglio, del 27
novembre 2000, che stabilisce un quadro generale
per la parita` di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretata
nel senso che non costituisce una discriminazione
fondata sull’handicap il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternita` o a un congedo di adozione a una
lavoratrice che sia incapace di sostenere una gravidanza e si sia avvalsa di un contratto di maternita`
surrogata. La validita` di tale direttiva non puo` essere esaminata in riferimento alla convenzione delle
Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilita`,
ma la stessa direttiva deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a detta
convenzione.
Corte di giustizia 18 marzo 2014, causa C167/12, C.D. v. S.T.
La direttiva 92/85/Cee del Consiglio, del 19 ottobre
1992, concernente l’attuazione di misure volte a
promuovere il miglioramento della sicurezza e della
salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere
o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/Cee), deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri non sono tenuti a riconoscere un diritto al congedo di maternita` ai sensi dell’articolo 8 di tale direttiva a una lavoratrice che, in
qualita` di madre committente, abbia avuto un figlio
mediante un contratto di maternita` surrogata, nemmeno quando, dopo la nascita, essa effettivamente
allatti, o comunque possa allattare, al seno il bambino. Il combinato disposto dell’articolo 14 con l’articolo 2, paragrafi 1, lettere a) e b), e 2, lettera c), della direttiva 2006/54/Ce del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunita` e della parita` di trattamento fra uomini e donne in materia di
occupazione e impiego, deve essere interpretato nel
senso che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il rifiuto di un datore di lavoro di riconoscere un congedo di maternita` a una madre
committente che abbia avuto un figlio mediante un
contratto di maternita` surrogata.
Entrambi i casi qui segnalati riguardano la richiesta,
da parte di una madre committente che ha avuto un
figlio mediante un contratto di maternita` surrogata,
di avere il diritto ad un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternita` o a un congedo di adozione; tali richieste sono state respinte con la motivazione che le lavoratrici interessate non sono mai state
incinte e che i bambini non sono mai stati adottati dai
genitori. I giudici nazionali ai quali le due madri
committenti si sono rivolte chiedono se un simile riINSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
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fiuto sia contrario alla direttiva sulle lavoratrici gestanti o se esso costituisca una discriminazione fondata sul sesso o sull’handicap (discriminazioni vietate, rispettivamente, dalla direttiva 2006/54/Ce e dalla
direttiva 2000/78/Ce).
Per quanto riguarda la direttiva 92/85, la Corte ricorda che il suo scopo e` quello di promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle
lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, considerate come un gruppo esposto a rischi
specifici; la disposizione sul congedo di maternita`, in
particolare, si riferisce espressamente al parto e ha
l’obiettivo di proteggere la madre nella peculiare situazione di vulnerabilita` derivante dalla sua gravidanza. Sebbene il congedo di maternita` sia volto anche ad assicurare la protezione delle particolari relazioni tra la donna e il suo bambino, tale finalita` riguarda tuttavia «soltanto il periodo successivo alla
gravidanza e al parto». Ne deriva che il riconoscimento di un congedo di maternita` sulla base di tale
direttiva presuppone che la lavoratrice interessata
sia stata incinta e abbia partorito.
Quanto alla direttiva 2006/54, la Corte dichiara che il
rifiuto di riconoscere un congedo di maternita` ad una
madre committente non costituisce una discriminazione fondata sul sesso, in quanto neppure un padre
committente ha diritto a beneficiare di un tale congedo e il diniego non sfavorisce in modo particolare i
lavoratori di sesso femminile rispetto ai lavoratori
di sesso maschile. Il diniego ad una madre committente di un congedo retribuito equivalente a un congedo di adozione, poi, non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva sulla parita` di trattamento,
la quale lascia gli Stati membri liberi di accordare
o meno un congedo di adozione e si limita a prevedere che, qualora un siffatto congedo venga riconosciuto, le lavoratrici interessate debbano essere tutelate contro il licenziamento e abbiano il diritto di riprendere il loro impiego o un impiego equivalente.
Infine, riguardo alla direttiva 2000/78, la Corte osserva che e` innegabile che l’incapacita` di procreare
possa causare a una donna grande sofferenza. Tuttavia, la nozione di «handicap» ai sensi di tale direttiva
presuppone che la limitazione di cui soffre la persona, in interazione con barriere di diversa natura, sia
in grado di ostacolare la sua piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. Ebbene, l’incapacita`
di procreare naturalmente non costituisce di per se´,
in via di principio, un impedimento per la madre
committente ad accedere a un impiego, a svolgerlo
o ad avere una promozione. In tale contesto, la Corte
dichiara che l’impossibilita` di avere un figlio non costituisce un «handicap» ai sensi della direttiva 2000/
78 che, di conseguenza, non e` applicabile alla presente fattispecie.
In conclusione, nelle due sentenze, la Corte di giustizia stabilisce che il diritto dell’Unione non riconosce
INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
alle madri committenti il diritto a un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternita` o di adozione.
4.1 Discriminazioni non di genere
Corte di giustizia 16 gennaio 2014, causa C429/12, Siegfried Pohl v. O¨BBInfrastruktur AG
Il diritto dell’Unione e, in particolare, il principio
di effettivita`, non osta ad una normativa nazionale,
come quella oggetto del procedimento principale,
che assoggetta a un termine di prescrizione trentennale - che inizia a decorrere dalla conclusione dell’accordo in forza del quale e` stata fissata la data
di riferimento ai fini dell’avanzamento o dall’inquadramento a un livello di retribuzione erroneo
- il diritto del dipendente di chiedere una nuova valutazione dei periodi di servizio da prendere in considerazione ai fini della fissazione di tale data di riferimento.
Nel caso di specie, la domanda di pronuncia pregiudiziale e` stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra il signor Pohl e il suo ex datore
¨ BB, in merito alla determinazione,
di lavoro, la O
all’atto della sua assunzione a tempo indeterminato
avvenuta il 1º luglio 1977, della data di riferimento
ai fini dell’avanzamento nella fascia di retribuzione
relativa a tale attivita` lavorativa e delle conseguenze della fissazione di tale data (riguardanti, in particolare, il calcolo della sua retribuzione e della
sua pensione di vecchiaia). Questi i fatti all’origine
della causa: il signor Pohl ha preso servizio presso
¨ BB nel 1974 ed e` stato
la societa` dante causa della O
assunto a tempo indeterminato da tale societa` nel
1977. Per fissare la data di riferimento ai fini dell’avanzamento del signor Pohl nella fascia di retribuzione relativa alla sua posizione professionale, i periodi di servizio svolti a far data dal compimento
del diciottesimo anno di eta` presso altre societa` situate in Austria sono stati presi in considerazione
solo a concorrenza della meta` della loro durata,
mentre quelli svolti precedentemente al compimento del diciottesimo anno di eta` non sono stati computati. Dopo essere stato collocato a riposo nel
2005, il signor Pohl, inquadrato in seguito alla
sua ultima promozione al livello di retribuzione
15, ha reclamato dinanzi al Tribunale di primo grado di Innsbruck di avere invece conseguito il livello
¨ BB fosse
di retribuzione 16, e ha chiesto che la O
condannata a versargli la differenza tra le prestazioni di trattamento pensionistico percepite e quelle
dovute sulla base del livello 16. A suffragio della
sua richiesta, il signor Pohl ha addotto che l’esclusione dei periodi di servizio precedenti al 1974 costituiscono una discriminazione diretta fondata sull’eta`. La domanda del ricorrente e` stata respinta in
primo grado e tale decisione e` stata impugnata diXI
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nanzi al giudice del rinvio; quest’ultimo ha sospeso
il procedimento e si e` rivolto alla Corte di giustizia,
precisando tuttavia che il diritto del signor Pohl di
chiedere una nuova valutazione della data di riferimento e` prescritto e che dunque i diritti che il signor Pohl fa valere per ottenere un versamento retributivo e pensionistico complementare sono del
pari prescritti.
La Corte ricorda che spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i
giudici competenti e stabilire le modalita` procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la
piena tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza
del diritto dell’Unione, purche´ dette modalita` non
siano meno favorevoli di quelle che disciplinano ricorsi analoghi fondati sul diritto interno (principio
di equivalenza), ne´ rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti
conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione
(principio di effettivita`). Al riguardo, la Corte rileva
che il diritto dell’Unione non prevede regole relative ai termini prescritti per proporre ricorso con riguardo al principio di parita` di trattamento: ne consegue che spetta ad ogni Stato membro interessato
disciplinare tale modalita` procedurale, con riserva
del rispetto dei principi di equivalenza e di effettivita`. Per quanto riguarda il primo, esso richiede che la
complessiva disciplina dei ricorsi si applichi indistintamente a quelli fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli simili fondati sulla violazione del diritto interno. Nella specie, dagli atti
sottoposti alla Corte risulta che il termine di prescrizione trentennale previsto dal diritto nazionale austriaco si applichi indipendentemente dal fatto che
la violazione del diritto fatta valere ricada nel diritto
dell’Unione o nel diritto nazionale; pertanto, siffatta
regola non puo` ritenersi in contrasto con il principio
di equivalenza. Per quanto concerne il principio di
effettivita`, la Corte ha riconosciuto compatibile
con il diritto dell’Unione la fissazione di ragionevoli termini di ricorso a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, in quanto termini del
genere non siano tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei
diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione.
Dopo aver precisato che una sentenza pregiudiziale
ha valore non costitutivo bensı` puramente dichiarativo, con la conseguenza che i suoi effetti risalgono, in linea di principio, alla data di entrata in vigore della norma interpretata, la Corte conclude
che, per quanto riguarda il momento iniziale del
termine di prescrizione, esso rientra nell’ambito
del diritto nazionale, e l’eventuale accertamento
da parte della Corte di una violazione del diritto
dell’Unione e` in linea di massima ininfluente su
detto dies a quo.
XII
5. Lavoro a termine
Corte di giustizia 13 marzo 2014, causa C38/
13, Malgorzata Nierodzik contro Samodzielny Publiczny
Psychiatryczny Zaklad Opieki Zdrowotnej im. dr
Stanislawa Deresza w Choroszczy
La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo
1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/
Ce del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro Ces, Unice e CeeP sul lavoro a
tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella in questione nel procedimento principale, la quale
prevede, ai fini della risoluzione dei contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore a sei
mesi, la possibilita` di applicare un termine di preavviso fisso di due settimane a prescindere dall’anzianita` del lavoratore interessato, mentre la durata del
preavviso di risoluzione nel caso dei contratti a tempo indeterminato e` fissata in funzione dell’anzianita`
del lavoratore interessato e puo` variare da due settimane a tre mesi, quando tali due categorie di lavoratori si trovano in situazioni comparabili.
Con la domanda di pronuncia pregiudiziale in questione e` chiesto alla Corte di chiarire se una normativa nazionale come quella polacca che fissa in due
settimane la durata del termine di preavviso ai fini
della risoluzione dei contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore a sei mesi, prevedendo
viceversa una durata del preavviso variabile in relazione dell’anzianita` del lavoratore interessato in caso
di contratti a tempo indeterminato, contrasti con il
principio di non discriminazione previsto dalla direttiva 1999/70. Nel risolvere tale questione, occorre
anzitutto accertare se la durata del preavviso per la
risoluzione del contratto rientri nella nozione di
«condizioni di impiego» rispetto alle quali la direttiva prevede il divieto di trattare i lavoratori a tempo
determinato in modo meno favorevole dei lavoratori
a tempo indeterminato: la Corte non ha dubbi in proposito, giacche´ un’interpretazione diversa ridurrebbe
l’ambito di applicazione della tutela accordata ai lavoratori a tempo determinato contro le discriminazioni, violando cosı` l’obiettivo perseguito dalla direttiva.
Affinche´ si possa ritenere che la norma nazionale
violi il principio di parita` di trattamento e` poi necessario accertare se la situazione dei lavoratori a tempo
determinato sia comparabile a quella dei lavoratori a
tempo indeterminato: un indizio in tal senso e` ravvisato dalla Corte nel fatto che la ricorrente nel procedimento principale in passato era stata assunta per lo
svolgimento delle medesime mansioni dal medesimo
datore di lavoro mediante un contratto di lavoro a
tempo indeterminato. Alla luce di tali elementi e
non ravvisando alcuna giustificazione oggettiva al
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trattamento meno favorevole riservato ai lavoratori a
tempo determinato, la Corte rileva dunque che l’applicazione di durate diverse del preavviso costituisce
una differenza di trattamento nelle condizioni di impiego contrastante con l’articolo 4, punto 1, dell’accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70.
Corte di giustizia 13 marzo 2014, causa C190/
13, Antonio Ma´rquez Samohano contro Universitat
Pompeu Fabra
La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che
compare in allegato alla direttiva 1999/70/Ce del
Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo
quadro Ces, Unice e CeeP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che non
osta a una normativa nazionale, quale quella controversa nel procedimento principale, che consente
alle universita` di rinnovare contratti di lavoro a tempo determinato successivi conclusi con docenti associati, senza alcun limite della durata massima e del
numero di rinnovi di tali contratti, qualora tali contratti siano giustificati da una ragione obiettiva ai
sensi del punto 1, lettera a), di tale clausola, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Tuttavia, spetta ugualmente a tale giudice verificare,
in concreto, che nel procedimento principale il rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato
successivi in parola intendesse effettivamente soddisfare esigenze provvisorie e che una normativa come
quella controversa nel procedimento principale non
sia stata utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze
permanenti e durevoli in materia di assunzione di
personale docente.
Assai interessante e` la domanda di pronuncia pregiudiziale in questione, con la quale e` stata sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia la normativa
spagnola in materia di assunzione con contratto a
tempo determinato di docenti universitari associati
che, diversamente da quanto previsto dalla direttiva
e dalla normativa spagnola di carattere generale che
l’ha recepita, non individua ne´ le ragioni obiettive
che giustificano il rinnovo dei contratti di lavoro a
termine, ne´ la durata massima totale degli stessi,
ne´ il numero dei rinnovi contrattuali ammessi. Pur
ricordando che una disposizione nazionale che si limiti ad autorizzare in modo generale ed astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato successivi non e` conforme al diritto dell’Unione (Cg 23
aprile 2009, cause da C378/07 a C380/07, Angelidaki e a., in Racc., 2009, 3071, punto 97, gia` commentata nella rassegna pubblicata in Dir. prat. lav.,
2009, 45, inserto), la Corte ritiene ad ogni modo
che la conclusione e il rinnovo, da parte delle universita`, di contratti a tempo determinato siano giustificati dall’esigenza di assegnare a specialisti di
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affermata competenza che svolgono un’attivita` professionale al di fuori dell’ambito universitario lo
svolgimento a tempo parziale di incarichi di insegnamento specifici affinche´ questi ultimi mettano
a disposizione dell’universita` le proprie conoscenze
e esperienze professionali, instaurando in tal modo
una collaborazione tra il settore dell’insegnamento
universitario e il settore professionale. Secondo tale
normativa, infatti, durante un periodo minimo di
vari anni precedente l’assunzione da parte dell’universita`, il docente associato deve aver svolto un’attivita` professionale retribuita cui lo abiliti il titolo di
istruzione superiore da lui detenuto; i contratti di lavoro in parola sono, peraltro, conclusi e rinnovati a
condizione che i requisiti dello svolgimento dell’attivita` professionale siano mantenuti. Alla luce di tali elementi, la Corte ritiene percio` che, fatte salve le
necessarie verifiche spettanti al giudice del rinvio,
la normativa spagnola stabilisca circostanze precise
e concrete in presenza delle quali possono essere
conclusi e rinnovati contratti di lavoro a tempo determinato. Peraltro, ad avviso della Corte, poiche´
per essere assunto in qualita` di docente associato
l’interessato deve necessariamente esercitare un’attivita` professionale al di fuori dell’ambito universitario e puo` svolgere il suo incarico di docenza soltanto a tempo parziale, la possibilita` di rinnovare ripetutamente contratti di lavoro a tempo determinato
non pregiudicherebbe la finalita` - perseguita dall’accordo quadro - di tutelare i lavoratori contro
l’instabilita` in materia di impiego: a condizione,
chiaramente, che le autorita` nazionali stabiliscano
criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se
il rinnovo dei contratti risponda effettivamente ad
un’esigenza reale e consenta il raggiungimento dello scopo perseguito (Cg 26 gennaio 2012, C586/10,
Ku¨cu¨k, non ancora pubblicata in Racc., punto 34,
gia` commentata nella rassegna pubblicata in Dir.
prat. lav., 2012, 39, inserto). Motivo per cui la normativa nazionale controversa nel procedimento
principale risulta conforme alla clausola 5, punto
1, dell’accordo quadro.
Occorre tuttavia verificare la sussistenza di ragioni
di carattere temporaneo che possano giustificare il
rinnovo di contratti di lavoro a termine cosı` da accertare il rispetto della premessa sulla quale si fonda l’accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono
la forma comune dei rapporti di lavoro. A tal proposito, pur correttamente rilevando che i contratti
di lavoro a tempo determinato conclusi con i docenti associati rispondono ad un’esigenza permanente delle universita` (considerato che il docente
associato svolge compiti ben definiti rientranti nelle attivita` abituali dell’universita`), la Corte ritiene
che l’esigenza lavorativa rimanga temporanea poiche´ si presume che i docenti riprendano la loro attivita` professionale a tempo pieno al termine del loXIII
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ro contratto. Tale tesi troverebbe inoltre conferma
nel fatto che i contratti a tempo determinato in questione non possono essere rinnovati per lo svolgimento, in maniera permanente e durevole, di compiti d’insegnamento che rientrano normalmente
nell’attivita` del corpo docenti ordinario. Sulla base
di tale interpretazione i giudici di Lussemburgo affidano dunque alle autorita` dello Stato membro interessato il compito di garantire il rispetto della
clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro,
verificando concretamente che il rinnovo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi conclusi con docenti associati intenda soddisfare esigenze provvisorie e che una disciplina
come quella controversa non sia utilizzata, di fatto,
per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle
universita` in materia di assunzione di personale docente.
6. Licenziamenti collettivi
Corte di giustizia 13 febbraio 2014, causa
C596/12, Commissione europea contro Repubblica
italiana
Avendo escluso, mediante l’articolo 4, paragrafo 9,
della legge del 23 luglio 1991, 223, recante norme in
materia di cassa integrazione, mobilita`, trattamenti
di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunita` europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro, la categoria dei «dirigenti» dall’ambito di applicazione
della procedura prevista dall’articolo 2 della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di licenziamenti collettivi,
la Repubblica italiana e` venuta meno agli obblighi
ad essa incombenti in forza dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva.
La normativa italiana in materia di licenziamenti collettivi e` oggetto di un ricorso per inadempimento
presentato dalla Commissione, secondo la quale l’esclusione dei dirigenti dall’ambito di applicazione
della procedura di licenziamento collettivo viola la
direttiva 98/59, il cui ambito di applicazione si estende a tutti i lavoratori senza eccezione. Del medesimo
avviso e` la Corte di giustizia, secondo la quale la nozione di «lavoratore» oggetto dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 98/59 deve essere definita
in base a criteri oggettivi che caratterizzano il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi
delle persone interessate: in particolare, la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro va ravvisata
nel fatto che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un altro soggetto e sotto la
direzione di quest’ultimo, prestazioni in contropartita
delle quali percepisce una retribuzione (Cg 11 noXIV
vembre 2010, C232/09, Danosa, in Racc., 11405,
punto 39, gia` commentata nella rassegna pubblicata
in Dir. prat. lav., 2011, 25, inserto). Benche´ sia indiscusso che la categoria dei dirigenti ricomprende
persone inserite in un rapporto di lavoro aventi tali
caratteristiche, la legge 223/1991 trova applicazione
soltanto nei confronti degli operai, degli impiegati e
dei quadri.
Una giustificazione a tale esclusione non puo` certo
essere ravvisata nel riconoscimento ai dirigenti di
una tutela di carattere economico in caso di licenziamento, essendo ben piu` ampia la finalita` perseguita
dalla direttiva che, ponendo in capo al datore di lavoro l’obbligo di procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori, intende consentire alle parti di verificare la possibilita` di evitare
o di ridurre i licenziamenti stessi (Cg 10 settembre
2009, C44/08, Akavan Erityisalojen Keskusliitto
AEK e a., in Racc., 8163, punti 39 e 47, gia` commentata nella rassegna pubblicata in Dir. prat. lav.,
2010, 10, inserto). A prescindere dalle misure sociali
di accompagnamento previste per attenuare le conseguenze di un licenziamento collettivo, la mancata attuazione della procedura di consultazione nei confronti di taluni lavoratori priva dunque parzialmente
la direttiva del suo effetto utile: ragione per cui la
Corte ritiene che la Repubblica italiana sia venuta
meno agli obblighi previsti dall’articolo 1, paragrafi
1 e 2, della direttiva 98/59.
7. Trasferimento d’impresa
Corte di giustizia 6 marzo 2014, causa C-458/
12, L. A. e altri contro Telecom Italia Spa, Telecom Italia
Information Technology Srl, gia` Shared Service Center Srl
L’articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2001/23/Ce del Consiglio, del 12 marzo 2001,
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti
dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di
stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti,
deve essere interpretato nel senso che non osta ad
una normativa nazionale, come quella oggetto del
procedimento principale, la quale, in presenza di
un trasferimento di una parte di impresa, consenta
la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell’ipotesi in cui la parte di impresa in
questione non costituisca un’entita` economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento.
L’articolo 1, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel senso che
non osta a una normativa nazionale, come quella
oggetto del procedimento principale, la quale consenta la successione del cessionario al cedente nei
rapporti di lavoro nell’ipotesi in cui, dopo il trasfeINSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
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rimento della parte di impresa considerata, tale cedente eserciti un intenso potere di supremazia nei
confronti del cessionario.
Gia` all’indomani della sua pronuncia, questa sentenza - avente ad oggetto la normativa italiana in
materia di trasferimento d’azienda - ha suscitato
un ampio dibattito giuridico. La domanda di pronuncia pregiudiziale in questione e` stata sollevata
dal Tribunale di Trento a cui era stato chiesto da
un gruppo di lavoratori di accertare che il conferimento da parte di Telecom Italia ad una societa`
da questa controllata di una entita` economica priva
del carattere dell’autonomia funzionale preesistente
non potesse essere qualificato come trasferimento
del ramo d’azienda: motivo per cui i ricorrenti avevano domandato al giudice remittente di dichiarare
che il loro rapporto di lavoro continuava a sussistere con Telecom Italia.
Nell’affrontare tale questione, la Corte di giustizia ricorda anzitutto che per stabilire se si e` in presenza di
un trasferimento d’impresa ai sensi dell’articolo 1,
paragrafo 1, della direttiva 2001/23 occorre accertare
se l’entita` in questione conservi la propria identita`
dopo essere stata rilevata dal nuovo datore di lavoro.
Inoltre, ai fini dell’applicazione della direttiva, l’entita` economica deve, anteriormente al trasferimento,
godere di un’autonomia funzionale sufficiente, intesa
come capacita` di organizzare, in modo relativamente
libero e indipendente, il lavoro e di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati,
senza intervento diretto da parte di altre strutture organizzative del datore di lavoro (Cg 6 settembre
2011, C-108/10, Scattolon, in Racc., 7491, punti
60 e 51, gia` commentata nella rassegna pubblicata
in Dir. prat. lav., 2012, 29). Secondo giurisprudenza
costante, non rientra dunque nella sfera di operativita`
della direttiva 2001/23 il trasferimento di un’entita`
che, anteriormente al trasferimento, non disponeva
di un’autonomia funzionale sufficiente: in tal caso,
dunque, dalla normativa dell’Unione non puo` derivare alcun obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti.
La Corte, ad ogni modo, rileva che la direttiva non
vieta di certo ad uno Stato membro di prevedere il
mantenimento dei diritti dei lavoratori anche al di
fuori dell’ambito di applicazione della direttiva: ravvisando nell’eliminazione dall’articolo 2112 cod.
civ. del requisito dell’autonomia funzionale del ramo
d’azienda preesistente al trasferimento la volonta` del
legislatore italiano di garantire ai lavoratori una protezione maggiore rispetto a quella prevista dalla direttiva (e non l’intenzione di agevolare forme di
esternalizzazione fraudolente, basate sull’accorpamento di diversi spezzoni di attivita` in funzione
espulsiva del personale in esso raggruppato), la Corte ha dunque ritenuto la normativa italiana conforme
al diritto dell’Unione.
INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Ad avviso della Corte e` inoltre irrilevante il fatto
che - come nel caso in questione - l’impresa cedente eserciti nei confronti del cessionario un intenso
potere di supremazia, che si manifesta attraverso
uno stretto vincolo di committenza ed una commistione del rischio di impresa: non risulta infatti da
alcuna disposizione della direttiva 2001/23 che il
legislatore dell’Unione abbia voluto che l’indipendenza del cessionario nei confronti del cedente costituisca un presupposto per l’applicazione della direttiva stessa. Si deve dunque ritenere che la direttiva possa essere applicata ad un trasferimento tra
due consociate di uno stesso gruppo che costituiscono persone giuridiche distinte ognuna delle quali ha contratto rapporti di lavoro specifici con i rispettivi dipendenti, essendo privo di rilievo il fatto
che le societa` in questione abbiano non soltanto gli
stessi proprietari, ma anche la stessa direzione e gli
stessi locali e siano impegnate nell’esecuzione della
stessa opera.
8. Diritto sindacale
Corte di giustizia 15 gennaio 2014, causa C176/12, Association de me´diation sociale v. Union locale
des syndicats CGT, Hichem Laboubi, Union
de´partementale CGT des BouchesduRhoˆne,
Confe´de´ration ge´ne´rale du travail (CGT)
L’articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, da solo o in combinato disposto con le norme della direttiva 2002/14/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo
2002, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori
nella Comunita` europea, deve essere interpretato
nel senso che esso - ove una norma nazionale di trasposizione di detta direttiva, come l’articolo L.
11113 del code du travail francese, sia incompatibile con il diritto dell’Unione - non puo` essere invocato in una controversia tra privati al fine di disapplicare tale norma nazionale.
La domanda pregiudiziale in questo caso verte sull’interpretazione della direttiva 2002/14/Ce in
combinato disposto con l’articolo 27 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea e sull’applicabilita` orizzontale di quest’ultima disposizione. In particolare, la Cour de cassation chiede
alla Corte se il diritto fondamentale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori (ex
articolo 27 della Carta) possa essere invocato in
una controversia tra singoli al fine di verificare la
conformita` al diritto dell’Unione di una misura nazionale di trasposizione di una direttiva. La normativa nazionale in discussione nel procedimento in
esame, escludendo dal calcolo degli effettivi dell’impresa una determinata categoria di lavoratori,
XV
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produce la conseguenza di sottrarre taluni datori di
lavoro agli obblighi previsti dalla direttiva 2002/14
e di privare i loro dipendenti dei diritti riconosciuti
da quest’ultima. La Corte di giustizia chiarisce pero` che l’articolo 27 della Carta, da solo o in combinato disposto con le norme della direttiva 2002/
14/Ce, non e` di per se´ sufficiente a conferire ai sin-
XVI
goli un diritto invocabile in quanto tale, ma, per
poter produrre pienamente i propri effetti, «deve
essere precisato mediante disposizioni del diritto
dell’Unione o del diritto nazionale»; per questo
motivo, non puo` essere invocato in una controversia tra privati al fine di disapplicare una norma nazionale.
INSERTO DI DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
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ne, alle dipendenze dell’utilizzatore (35). E` stato, poi,
dichiarato nullo il termine
apposto al contratto di somministrazione stipulato per
motivi diversi da quelli dichiarati nel relativo contratto:
in queste ipotesi, dunque, il
rapporto di lavoro deve essere costituito direttamente in
capo all’utilizzatore con effetto ex tunc (36).
Deve darsi conto del fatto
che una parte (minoritaria)
della dottrina ha censurato
quella che definisce «logica
esegetica giurisprudenziale
decisamente restrittiva», ritenendo che la stessa trovi fondamento nel tentativo del legislatore «di rispondere alla
crisi occupazionale pensando
di colpire il tradizionale sistema delle assunzioni dei lavoratori subordinati (lavoratori a tempo indeterminato,
in via generale, o a termine,
in via eccezionale) con discipline, in termini previdenziali/assicurativi e, soprattutto
di sanzioni, ritenute troppo
onerose per qualsiasi datore,
spesso costretto a rifugiarsi
nella piena evasione» (37).
In conclusione, l’indicazione
per iscritto delle specifiche
ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o
sostitutivo costituisce (ossia
costituiva) elemento essenziale del contratto, indispensabile per assicurare la trasparenza delle causali addotte e per garantire l’effettivita`
della tutela giudiziaria del lavoratore (38). Il controllo
giudiziale puo`, pero`, «riguardare soltanto l’accertamento
dell’esistenza delle ragioni
giustificatrici della somministrazione a termine, e non
puo` essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche,
organizzative o produttive
che spettano all’utilizzatore:
il giudice dovra` limitarsi ad
accertare l’effettiva sussistenza dei motivi addotti dal-
l’utilizzatore a sostegno del
provvedimento e delle scelte
gestionali di cui esso e` conseguenza, non potendo invece spingersi a valutare l’opportunita` delle scelte stesse» (39). In altri termini, il
Note:
(31) Tribunale Treviso, 29 febbraio 2012 e Tribunale Treviso, 16 settembre 2010, entrambe
inedite, a quanto consta.
(32) Ex multis Tribunale Reggio Calabria, 20 luglio 2007, in Foro it., 2008, I, 294; Tribunale Milano, 21 novembre 2006, Or. giur. lav., 2007, I, 107;
Tribunale Milano, 16 ottobre 2006, in Or. giur. lav.,
2006, I, 857; Tribunale Piacenza, 27 settembre
2006, in Arg. dir. lav., 2007, 577; Tribunale Milano,
24 dicembre 2005, in Or. giur. lav., 2006, I, 115;
Tribunale Milano, 29 agosto 2005, in Riv. critica
dir. lav., 2005, 743; Corte d’Appello Firenze, 30
maggio 2005, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, 111; Tribunale Roma, 12 gennaio 2005, in Riv. giur. lav.,
2005, 707; Tribunale Roma, 3 febbraio 2005, in
Riv. giur. lav., 2005, II, 706; Tribunale Ravenna, 7
ottobre 2003, in Lav. giur., 2004, 1283; Tribunale
Milano, 21 giugno 2002, in Arg. dir. lav., 2002, 911.
(33) Cfr., tra gli altri, L. Menghini, Il lavoro a tempo
determinato, in C. Cester, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, in Commentario di diritto del lavoro diretto da F. Carinci, vol. II,
tomo II, Torino, 2007, 1251.
(34) In tal senso, ad esempio, Tribunale Trani, 10
maggio 2007, n. 2854, in Guida al lavoro, 2007, n.
46, 31 e Tribunale Roma, 3 maggio 2011, in Lav.
giur., 2012, n. 5, 495, con commento di R. Poggio.
(35) Cassazione, 9 settembre 2013, n. 20598, in
Mass. giust. civ., 2013, nonche´ in Dir. giust. online,
2013, 19 dicembre.
(36) Cfr. Tribunale Milano, 2 dicembre 2010, n.
5058, in Riv. critica dir. lav., 2010, 4, 1040.
(37) Regina, Commento alla sentenza Tribunale
Bergamo, 15 giugno 2010, n. 500, in Lav. giur.,
2011, 4, 404. Ritiene l’A. che proprio in tema di
somministrazione «l’intento del legislatore sia stato sufficientemente chiaro nel consentire l’uso
piu` ampio possibile dello strumento, senza poter
pensare che l’assenza o la carenza di specificita`
nella causale del contratto (peraltro non conosciuto, necessariamente, dal lavoratore) ne potesse inficiare l’essenza». In sintesi, secondo l’A. «una
disciplina che, nell’intento del legislatore, doveva
essere snella, agevolata economicamente e, soprattutto, scarsamente tangibile dai diretti interessati (lavoratore ed Enti previdenziali), dagli uffici
ispettivi e di controllo e, infine, dalla giustizia, e` diventata tutt’altro con abbassamento notevole
delle tipiche tutele e, nella sostanza, fortemente
a rischio, con pericolo di stravolgimenti giurisprudenziali».
(38) Cfr. Tribunale Milano, 30 gennaio 2009, in
Riv. critica dir. lav., 2009, 2, 414 (s.m.).
(39) D. Serra, La somministrazione di lavoro nelle
pubbliche amministrazioni: inapplicabilita` della conversione, in Lav. giur., 2012, 1, 42.
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Approfondimenti
che che il contratto di somministrazione va ritenuto nullo «solo se non e` stipulato
per iscritto, non anche se
non contiene l’indicazione
delle ragioni (...) di cui al
comma IV dell’articolo 20;
a fortiori l’insufficiente specificazione di tali ragioni (vizio minore rispetto alla mancata indicazione delle medesime) non comporta l’imputazione ope legis del rapporto
di lavoro in capo all’utilizzatore» (31).
Tuttavia, occorre segnalare
che il primo (maggioritario)
dei sopra ricordati orientamenti giurisprudenziali appare coerente con quanto gia`
affermato dalla giurisprudenza (32), unitamente alla dottrina (33), in relazione al
contratto a termine. Quale la
conseguenza? Considerato
che, come detto, l’articolo
21 prescrive (rectius, prescriveva) che nel contratto di
somministrazione siano indicate le ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificano il ricorso al lavoro
somministrato e che tale indicazione rappresenta un requisito di contenuto - forma del
contratto, dalla omissione
della stessa deriva la nullita`
del contratto di somministrazione e la conseguente costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore (34).
Effetto, questo, che si verifica anche nel caso in cui la
causale che giustifica l’apposizione del termine sia stata
ritualmente inserita in contratto, ma la stessa non risulti
veritiera. In questa ipotesi,
accertato che la somministrazione di lavoro e` avvenuta
fuori dei limiti e delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 276/
2003, la Suprema Corte ha,
infatti, disposto la costituzione di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, sin dall’inizio della somministrazio-
1707
Approfondimenti
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controllo giudiziario sulle ragioni che consentono il ricorso alla somministrazione di
manodopera «e` limitato all’accertamento della loro esistenza, non potendosi estendere al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’utilizzatore, il quale e`
tenuto a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore, instaurandosi, ove
tale onere non sia soddisfatto, un rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore» (40). L’utilizzatore deve
fornire la prova in concreto
in ordine alla «effettiva riconducibilita` dell’assunzione
del lavoratore alle suddette
ragioni» (41). In definitiva,
dunque, incombe sull’impresa utilizzatrice la prova della
sussistenza e dell’effettiva riconducibilita` dell’assunzione
alle ragioni giustificatrici
contrattualmente dedotte e il
difetto di siffatta dimostrazione si sostanzia in una ipotesi di somministrazione irregolare di cui all’articolo 27
del D.Lgs. n. 276/2003 (42).
Occorre, da ultimo, precisare
che, con riferimento alle pub-
bliche amministrazioni, la
sanzione della costituzione
di un contratto di lavoro subordinato e` certamente inapplicabile. Tale soluzione, anzitutto, e` espressamente
esclusa dall’articolo 86, comma 9, del D.Lgs. n. 276/2003
e in ogni caso sarebbe incompatibile con la speciale
disciplina sulle assunzioni
dettata dal D.Lgs. n. 165/
2001, peraltro in ossequio al
superiore principio di cui all’articolo 97 della Costituzione (43).
Sotto tale profilo alcune pronunce dei giudici di merito (44) hanno sancito il seguente principio: «chiarito
che l’unica conseguenza invocata da chi contesta la legittimita` di un contratto di
somministrazione puo` essere
quella di cui all’articolo 27,
primo comma, citato si deve
evidenziare che ai sensi dell’articolo 86, nono comma,
dello stesso D.Lgs. n. 276/
2003 tale norma non trova
applicazione alla pubblica
amministrazione, nel senso
che qualora il soggetto utilizzatore nell’ambito di un contratto di somministrazione il-
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
legittimo sia una pubblica
amministrazione non si potra`
mai chiedere la costituzione
del rapporto di lavoro. Pertanto, la domanda con la quale il lavoratore ha chiesto la
costituzione del rapporto di
lavoro nei confronti dell’Inps, ente utilizzatore, deve
essere certamente rigettata,
trattandosi di conseguenza
espressamente esclusa dalla
legge» (45).
Note:
(40) Cassazione, 8 maggio 2012, n. 6933, in Foro
it., 2012, 12, I, 3415.
(41) Tribunale Milano, 13 novembre 2008 e Tribunale Milano, 12 novembre 2008, entrambe in
Riv. critica dir. lav., 2009, 145 s. (s.m.).
(42) Cfr. Tribunale Milano, 26 gennaio 2009, in
Riv. critica dir. lav., 2009, 2, 414 (s.m.).
(43) Cfr., ex pluris, Cassazione, 20 giugno 2012, n.
10127, in Riv. it. dir. lav., 2012, 4, II, 870 (s.m.);
Cassazione, 13 gennaio 2012, n. 392, in Guida
al diritto, 2012, 6, 64 (s.m.); Cassazione, 3 giugno
2004, n. 10605, in Giust. civ., 2005, 12, I, 3194;
Consiglio di Stato, 27 aprile 2004, n. 2560, in Foro
amm. - Cds, 2004, 1104; Corte Costituzionale, 6
luglio 2004, n. 205, in Giur. it., 2005, 678; Corte
Costituzionale, 27 marzo 2003, n. 89, in Giur. it.,
2004, 19.
(44) Cfr., tra le altre, Tribunale Genova, 17 dicembre 2012, n. 2051, inedita, a quanto consta.
(45) Tribunale Roma, 4 giugno 2013, n. 8688,
inedita, a quanto consta.
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Formule operative
Quadri e impiegati
con funzioni direttive
e orario di lavoro
L’art. 17 comma 5 del
D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile
2003 prevede la non applicazione, ad alcune categorie di
lavoratori, dei limiti di durata
delle prestazioni di lavoro
previsti per la generalita` del
personale dipendente. In particolare l’esenzione trova applicazione anche quando trattasi «di dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di
altre persone aventi potere di
decisione autonomo». La nozione, particolarmente ampia, include pertanto non solo i dirigenti propriamente intesi, ma anche gli altri soggetti che svolgono compiti
direttivi in base alle disposizioni della contrattazione
collettiva, atteso che l’art.
2095 c.c. nel suddividere i
dipendenti in 4 categorie legali, specifica che i requisiti
di appartenenza devono essere definiti, in assenza di leggi
speciali, dalle norme corporative. Mancando, nell’attuale ordinamento lavoristico,
una regolamentazione di carattere corporativo, da tempo
abrogata, il disposto codicistico e` comunemente considerato riferibile alle discipline dei Ccnl di categoria,
quindi alle declaratorie dei
mansionari contrattuali nazionali che, in relazione solitamente ai quadri ed al personale impiegatizio di livello
superiore, attribuiscono a
specifici profili un ruolo di tipo direzionale.
Ne consegue innanzitutto l’esclusione di tali categorie
dall’obbligo di «riposo giornaliero» che, ai sensi dell’art.
5, richiamato dall’art. 17
comma 5, consiste in «undici
ore di riposo consecutivo
nell’arco di 24 ore». La circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n.
8 del 3 marzo 2005 ha precisato che l’obbligo di riposo
giornaliero di 11 ore implica
«che il datore di lavoro non
puo` richiedere al lavoratore
lo svolgimento di una prestazione lavorativa, sia a titolo
di orario normale di lavoro
(anche multiperiodale), sia a
titolo di lavoro straordinario,
la cui durata determini il
mancato rispetto del limite»
derivandone quindi la necessita` di non eccedere - a contrario - le 13 ore di lavoro
giornaliero. I quadri ed impiegati con funzioni direttive,
essendo esentati dal suddetto
limite orario, possono quindi
prestare legittimamente attivita` lavorativa superiore a
13 ore giornaliere fermo restando, ai sensi del primo periodo del comma 5 dell’art.
17, il «rispetto dei principi
generali della protezione della sicurezza e della salute».
La medesima disposizione
inoltre esclude il personale
direttivo: 1) dall’assoggettamento all’orario normale di
lavoro, che l’art. 3 fissa in
40 ore settimanali riducibili
dalla contrattazione collettiva
od articolabili in cicli plurisettimanali; 2) dalla sottoposizione a limiti di durata massima settimanale definiti dal-
la contrattazione collettiva ai
sensi dell’art. 4 comma 1;
3) dalla sottoposizione ai limiti di durata media settimanale di 48 ore comprensive
delle prestazioni straordinarie, previsti dall’art. 4 comma
2; 4) dai limiti di ricorso al
lavoro straordinario previsti
dall’art. 5.
Il combinato disposto di tali
esenzioni implica di fatto la
disapplicazione nei confronti
del personale direttivo di
ogni formula legale, di contingentamento delle prestazioni eventualmente rese in
misura superiore all’orario
normale di lavoro praticato,
nel medesimo reparto/ufficio,
dal restante personale, assoggettato invece alle limitazioni
suddette. Piu` specificamente
le prestazioni eccedenti la
media di 40 ore settimanali,
eventualmente ridotte dalla
contrattazione collettiva, non
rappresentano «lavoro straordinario» ai sensi dell’art. 5
per le relative implicazioni
tra le quali, ad esempio, l’obbligo di compensazione con
le maggiorazioni previste
dalla contrattazione collettiva
o, in alternativa o in aggiunta, con riposi compensativi.
Indicazioni dei Ccnl
nei comparti
industriali
La contrattazione collettiva
nazionale esercitata nei principali comparti industriali e`
intervenuta sulla gestione
dei tempi di lavoro del perso-
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Approfondimenti
Stefano Malandrini - Confindustria Bergamo
1709
Approfondimenti
antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
1710
nale impiegatizio svolgente
funzioni direttive integrando
le previsioni legali succitate
con una duplice modalita`:
definendo i livelli di inquadramento dei lavoratori non
assoggettati ai limiti di orario
e specificando la disapplicazione, per i medesimi, dell’ordinaria regolamentazione
delle prestazioni straordinarie.
In particolare, per quanto riguarda il primo aspetto, i
mansionari inseriti nei piu`
diffusi Ccnl hanno sovente
riportato, nella c.d. declaratoria ovvero la descrizione generale dei requisiti per la riconduzione al livello d’inquadramento contrattuale, a
fini retributivi e normativi,
dei singoli profili e delle
mansioni elencate, formulazioni propriamente finalizzate a chiarire l’attribuzione di
compiti direttivi e/o di coordinamento e/o di autonomia
nella determinazione dei
tempi individuali di lavoro.
Solitamente tale caratteristica
e` ravvisabile negli ultimi due
livelli d’inquadramento previsti dai mansionari contrattuali nazionali, contraddistinti - oltreche´ dalla spettanza
della categoria legale impiegatizia o di quadro - dall’esplicita attribuzione di un
ruolo di particolare rilievo
nell’organizzazione del lavoro. Tale ruolo non e` necessariamente valorizzato contrattualmente dall’assegnazione
della facolta` di dirigere altro
personale, essendo sovente
bastevole il riconoscimento
di una maggiore autonomia
nell’organizzare la prestazione lavorativa finalizzandola
al perseguimento di un risultato preventivamente assegnato. Ad esempio il Ccnl
per l’industria Metalmeccanica del 5 dicembre 2012
specifica, nella declaratoria
della 6^ categoria - la penultima del mansionario stante
la riconduzione del personale
inquadrato in 8a categoria,
introdotta dal 1º gennaio
2014, alla categoria legale
dei quadri - che il requisito
di appartenenza consiste nello svolgere «funzioni direttive o che richiedono particolare preparazione e capacita`
professionale, con discrezionalita` di poteri e con facolta`
di decisione ed autonomia
di iniziativa». Per il personale di 7a categoria e` previsto,
in aggiunta a tale caratteristica, la «notevole esperienza»
nonche´ il coordinamento di
attivita` «fondamentali» o
«di alta specializzazione».
Viene quindi richiamato e ulteriormente specificato il
ruolo direzionale gia` affermato dalla declaratoria valevole per la 6a categoria. Il
Ccnl 22 settembre 2012 per
l’industria Chimica analogamente attribuisce alle categorie A e B, per quanto attiene
le capacita` gestionali, mansioni per le quali occorre
esercitare leadership, prendere decisioni, organizzare risorse. Il Ccnl per l’industria
Tessile del 4 febbraio 2014
prevede che il personale inquadrato in 7a categoria, unitamente ai quadri inseriti in
8a categoria, svolga «funzioni direttive» con «ampia facolta` di iniziativa ed autonomia». La 6a categoria ha invece «autonomia, responsabilita` e facolta` di iniziativa
per l’attuazione dei programmi assegnati», sicche´ la direzionalita` risulta non espressamente attribuita ma da verificarsi in relazione ad ogni caso di specie considerando le
modalita` di effettivo esercizio delle prestazioni.
Per quanto attiene il secondo
aspetto, la contrattazione collettiva e` intervenuta saltuariamente e sovente solo indirettamente, confermando la
sussistenza di categorie di lavoratori che, ai sensi del
D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile
2003, non hanno l’assogget-
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
tamento alla disciplina dell’orario di lavoro, come avviene con l’art. 7 del Ccnl
per l’industria Metalmeccanica, che rinvia alla disciplina legale. Solo eccezionalmente i Ccnl hanno previsto
regolamentazioni specifiche.
E` il caso ad esempio del Ccnl
4 febbraio 2014 per l’industria Tessile, il quale dispone
all’art. 36 che «per gli impiegati di 7º livello, non assoggettabili alle limitazioni dell’orario di lavoro, il lavoro
normalmente eccedente l’orario ordinario contrattuale e
che venga prestato con carattere di continuita` per esigenze dell’azienda, sara` retribuito con una maggiorazione
(...) convenuta tra le parti, o
in misura preventiva forfettaria o di volta in volta». Viene
quindi espressamente riconosciuta l’esenzione dalla disciplina legale e contrattuale
delle prestazioni straordinarie, supplita per i conseguenti
effetti economici da specifiche intese individuali. L’art.
28 del Ccnl per l’industria
Chimica prevede invece che
gli impiegati direttivi percepiscano un importo pari al
30% della retribuzione relativa al numero di ore risultante
dalla differenza tra 13 giornate di lavoro considerate pari a 104 ore e le ore di assenza dal lavoro effettuate nell’anno, come compenso aggiuntivo «tenuto conto della
non applicabilita` nei loro
confronti della disciplina legislativa e contrattuale in materia di lavoro eccedente e/o
straordinario».
I Ccnl peraltro si limitano a
definire, in riferimento alle
prestazioni lavorative ascrivibili alle attivita` direzionali,
regolamentazioni
valevoli
solo per gli inquadramenti
regolarmente disposti ossia
realizzati imputando le prestazioni lavorative, effettivamente rese, alle declaratorie
ed ai profili riportati nei c.d.
mansionari. La funzionalita`
direzionale cosı` riconosciuta
produce l’esenzione dalla disciplina del lavoro straordinario e l’eventuale applicazione di previsioni contrattuali specifiche. I Ccnl prevedono quindi solo schemi atti
a ricondurre alcune fattispecie al disposto dell’art. 17
comma 5 del D.Lgs. n. 66
dell’8 aprile 2003. Eventuali
livelli di inquadramento elevati attribuiti in deroga a tali
schemi, solo come condizioni retributive di miglior favore individuale, in alternativa
alla concessione di superminimi, o comunque in assenza
dei requisiti di autonomia
propri dell’attivita` direzionale riportati nella declaratoria
contrattuale nazionale, in
quanto convenzionalmente
esclusa dalle parti, non superano la disciplina legale e
contrattuale dei limiti di orario e dei limiti e dei trattamenti spettanti per il lavoro
straordinario.
Prestazioni
straordinarie
In particolare i limiti alla prestazione di lavoro straordinario previsti dall’art. 5 del
D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile
2003, rinvenibili nei singoli
commi che compongono la
disposizione e che non operano per i quadri e gli impiegati con funzioni direttive,
sono analiticamente rappresentati da:
l’obbligo di un ricorso
«contenuto» all’esecuzione
di attivita` «oltre l’orario normale di lavoro», secondo la
definizione riportata dall’art.
1 comma 2 lettera c)ed intendendosi come normale, ai
sensi dell’art.3, un periodo
di 40 ore settimanali, ferma
restando la facolta` spettante
ai contratti collettivi di «stabilire, a fino contrattuali,
una durata minore e riferire
l’orarionormale alla durata
media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno»;
l’eventualita` del ricorso,
che non rappresenta quindi
il contenuto ordinario della
prestazione lavorativa derivante dall’instaurazione del
rapporto di lavoro, ma una
modalita` ulteriore la cui attivazione deve rispettare i limiti dettati dall’art. 4 del
D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile
2003. Ne consegue che il lavoratore deve comunque non
eccedere le 48 ore di prestazione, comprensive del lavoro straordinario, come media
per ogni periodo di 7 giorni,
calcolata in riferimento ad
un arco temporale quadrimestrale che la contrattazione
collettiva puo` estendere fino
a 12 mesi;
il limite di 250 ore annue
di prestazione, fatta salva la
sussistenza di una eventuale
intesa collettiva estensiva o
riduttiva o anche introduttiva
di vincoli di carattere tipologico, che identifichino un
elenco di fattispecie il cui riscontro consente il ricorso legittimo allo straordinario e
che non sono correlate al rispetto obbligatorio di un numero predefinito di ore eccedenti l’orario normale. E` il
caso ad esempio del Ccnl
per l’industria Chimica del
22 settembre 2012, art. 8 lettera e), nel quale si precisa
che «il ricorso a prestazioni
eccedenti o straordinarie deve avere carattere eccezionale. Esso (...) deve trovare
obiettiva giustificazione in
necessita` imprescindibili, indifferibili, di durata temporanea e tali da non ammettere
correlativi dimensionamenti
di organico»;
il «previo accordo» individuale tra datore e prestatore
di lavoro, necessario in assenza di una differente disciplina contrattuale collettiva,
la quale puo` introdurre una
disciplina preventiva defi-
nendo l’obbligo di prestazione e le eventuali circostanze
esimenti o le procedure di
preavviso e/o di confronto
sindacale.
L’esenzione dall’applicazione dell’art. 5 del D.Lgs. n.
66 dell’8 aprile 2003 per il
personale con funzioni direttive e` formulata dall’art. 17
comma 5 con una dizione
ampia, inclusiva di tutte le
articolazioni del dettato normativo sopra richiamate, sicche´ per tale categoria di lavoratori la prestazione di lavoro
in supero dell’orario normale
risulta:
frequentemente praticabile,
quindi anche con una ricorrenza che la renda ordinaria
se necessaria per il corretto
adempimento della mansione
assegnata. Non occorre che il
lavoro svolto in aggiunta rispetto all’orario normale praticato nel reparto o ufficio
abbia carattere eccezionale,
potendo anche essere prestato reiteratamente se connaturato all’attivita` lavorativa;
eseguibile producendo all’occorrenza una concentrazione delle prestazioni aggiuntive in un arco temporale
limitato, che determini il superamento delle 48 ore medie settimanali di lavoro indipendentemente dal limite
temporale di riferimento legale o definito dalla contrattazione collettiva per la generalita` degli altri dipendenti;
realizzabile anche in deroga al limite massimo individuale, quantitativo o tipologico, di ricorso alle prestazioni straordinarie valevole
per la generalita` dei dipendenti ancorche´ ridefinito dalla contrattazione collettiva,
fatta salva l’eventuale sussistenza di specifici limiti convenzionali, individuali o collettivi, riferiti proprio alle
funzioni direttive ma in effetti non rinvenibili nei principali Ccnl industriali, esaminati nei precedenti paragrafi;
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richiedibile dal datore di
lavoro
indipendentemente
dal consenso esplicito e preventivo espresso dal lavoratore e da eventuali regolamentazioni collettive concernenti in generale la disponibilita` dei dipendenti a prestare all’occorrenza lavoro
straordinario, purche´ risulti
necessario per l’esecuzione
della mansione assegnata.
Piu` specificamente, il previo
accordo individuale tra datore e prestatore di lavoro per
l’esecuzione di lavoro straordinario, previsto dall’art. 5,
salvo diversa disciplina collettiva, come requisito per
l’imposizione della prestazione aggiuntiva - ad eccezione solo di alcune ipotesi
tassative imputabili al riscontro di eccezionali esigenze
tecnico-produttive, di casi di
forza maggiore o assimilabili, di eventi particolari quali
mostre, fiere, manifestazioni
etc. - non trova applicazione
in relazione al personale con
funzioni direttive. Le prestazioni aggiuntive non devono
pertanto essere previamente
autorizzate e, se eseguite,
non devono essere compensate con maggiorazioni e/o
riposi. Anche il regime compensativo di maggior favore
che i contratti collettivi identificano per retribuire le prestazioni straordinarie e` infatti
da intendersi inapplicabile,
come gia` accennato, in quanto derivato dal rinvio ai confronti sindacali rinvenibile
nel 5º comma dell’art. 5 del
D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile
2003, interamente derogato.
Per la natura stessa delle prestazioni che compongono il
sinallagma contrattuale, impegnando il dipendente all’esecuzione dell’attivita` necessaria all’assolvimento dei
propri compiti, la prestazione
aggiuntiva risulta invece obbligatoria, quindi non ovviabile dal lavoratore, ogni qual
volta l’adempimento della
mansione assegnata determini l’esigenza di un incremento della durata giornaliera
delle prestazioni, fermo restando il criterio di autodeterminazione dei tempi di lavoro del personale direttivo richiamato dall’art. 17 comma
5. E` quindi possibile contestare al personale con funzioni direttive, quando assente
dal lavoro in orari di apertura
degli uffici/reparti di assegnazione, non una riduzione
della quantita` del lavoro rispetto all’orario normale praticato dagli altri dipendenti
assoggettati ai limiti di orario, bensı` gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla mancata esecuzione dell’attivita`
direzionale con una tempistica idonea all’assolvimento
dei compiti assegnati, da valutare in base ai generali
principi di buona fede e correttezza che condizionano in
generale i rapporti contrattuali, anche di lavoro.
Si consideri poi che il quadro
regolamentare succitato, con
le relative implicazioni, trova
applicazione in conseguenza
della sola esenzione dalla disciplina dell’art. 5 del D.Lgs.
n. 66 dell’8 aprile 2003 dell’attivita` del personale rientrante nelle categorie individuate dall’art. 17 comma 5.
Non occorre quindi inserire
espressamente, nella lettera
di assunzione o nella lettera
di assegnazione del livello
di inquadramento che prevede l’esecuzione di attivita` direzionale, una formula che
espliciti la gestione dell’orario individuale in deroga ai
limiti di esecuzione del lavoro straordinario. Piuttosto le
eventuali indicazioni concernenti il regime dei tempi di
lavoro possono rilevare a fini
probatori, per dimostrare la
presenza o assenza di accordi
individuali per la disciplina
dell’orario che convenzionalmente contingentino le modalita` di esecuzione delle
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prestazioni ancorche´ in assenza divincoli legali o contrattuali collettivi. Analogamente non e` prospettabile
l’applicazione dei vincoli
procedimentali che condizionano a livello collettivo la
prestazione di lavoro straordinario, imponendo comunicazioni informative o confronti sindacali preventivi o
legittimando, entro certi limiti, il rifiuto dell’esecuzione di
tali attivita`. Ad esempio non
risulta applicabile il disposto
dell’articolo 7 sezione IV titolo III del Ccnl 5 dicembre
2012 per l’industria Metalmeccanica, il quale prevede
che «nessun lavoratore puo`
rifiutarsi, salvo giustificato
motivo, di compiere lavoro
straordinario», introducendo
una formulazione che, non
prevedendo la necessita` di
comprovare preventivamente
le ragioni addotte per l’esenzione dall’obbligo di prestazione e non imponendo che
le ragioni medesime siano
gravi, di fatto legittima in
un ampio novero di casi e
circostanze il rifiuto del lavoratore, non dedito ad attivita`
direzionale, a riscontrare l’eventuale richiesta datoriale.
Formule operative
Oltreche´ per provare l’assenza di intese individuali difformi, reintroduttive di vincoli di orario, l’inserimento
di specifiche clausole nel
contratto individuale dei quadri e degli impiegati con funzioni direttive puo` risultare
opportuno per regolamentare
all’occorrenza alcune modalita` accessorie di esecuzione
delle prestazioni correlate al
regime dei tempi di lavoro.
E` infatti prospettabile, a titolo esemplificativo, che:
a) la promozione ad un livello di inquadramento superiore, in conseguenza dell’attribuzione di mansioni comportanti compiti direzionali, in
quanto determinativa della
perdita dei trattamenti economici contrattuali per lavoro
straordinario puo` produrre
effetti penalizzanti. Il differenziale retributivo derivante
dal nuovo livello puo` infatti
risultare inferiore al compenso mediamente percepito dal
medesimo dipendente per le
prestazioni di lavoro straordinario rese prima della promozione. Sebbene il decremento
di reddito conseguente all’esenzione dai vincoli di orario
sia una dinamica di per se´ legittima, puo` rappresentare un
elemento ostativo all’accettazione, da parte del lavoratore, del nuovo ruolo propostogli. Puo` quindi risultare utile
la concessione di importi
compensativi. E` ipotizzabile
in particolare l’attribuzione
di un trattamento aggiuntivo
individuale che corrisponda
forfettariamente alla media
mensile dei compensi per le
prestazioni eccedenti l’orario
normale non piu` retribuite
come straordinario, computate su base annua. L’importo
peraltro andrebbe parzialmente ridotto in considerazione dell’incidenza prodotta
sugli istituti indiretti e differiti, a fronte della non incidenza dei compensi per lavoro straordinario, salvo differente previsione contrattuale
collettiva. Peraltro le prestazioni eccedenti, svolte dal lavoratore dopo la promozione, comportano incrementi
del tempo di lavoro in parte
riequilibrati dai periodi di
mancata presenza al lavoro
che il lavoratore medesimo,
autodeterminando il proprio
regime di orario, puo` decidere di fruire e che devono pertanto essere considerati anch’essi all’atto della quantificazione dell’emolumento. Infine il compenso forfettario,
cosı` determinato, puo` essere
all’occorrenza riconosciuto
esplicitandone la finalizzazione alla valorizzazione
economica di prestazioni di
lavoro tendenzialmente maggiori rispetto all’orario ordinario del reparto/ufficio di
assegnazione. Questo approccio comporterebbe che
eventuali successive scelte
del lavoratore di gestire la
propria prestazione riducendo strutturalmente la presenza individuale al lavoro possono determinare la perdita
o il riproporzionamento del
trattamento indennitario. In
particolare perche´ si possa
operare la contrazione e` necessaria l’espressa riconduzione del compenso ad un
orario effettivo medio, ancorche´ autodeterminato dal lavoratore;
b) al fine di prevenire un sistema di autodeterminazione
dell’orario di lavoro che
comporti il mancato assolvimento, da parte dell’impiegato o quadro, dei compiti correlati al ruolo attribuitogli per
eccessiva assenza dal lavoro,
e` altresı` possibile specificare
nella lettera di assunzione o
di promozione a livelli di inquadramento direzionali l’orario di riferimento del reparto o ufficio di assegnazione,
nonche´ la necessita` che la
prestazione si svolga senza
eccesivi scostamenti rispetto
a tale schema di orario. Tale
riferimento verrebbe apposto
non per la sussistenza di vincoli di orario ma perche´ le
parti riconoscono necessario
un regime di tendenziale corrispondenza dei tempi di lavoro per il corretto assolvimento della mansione. La ridotta presenza al lavoro, se
eccedente certi limiti di compatibilita`, puo` infatti inficiare
l’attivita` di coordinamento
delle risorse gerarchicamente
subordinate alla funzione direzionale, rendere impraticabile l’interrelazione con le altre funzioni apicali presenti
in azienda, impedire il monitoraggio diretto di attivita` rese dal restante personale durante l’orario di lavoro ordinario praticato nei reparti/uffici aziendali;
c) nel codice disciplinare
aziendale, necessario ai sensi dell’art. 7 della legge n.
300 del 20 maggio 1970
per consentire al datore di
lavoro l’applicazione all’occorrenza di provvedimenti
sanzionatori, potrebbe essere inserito, con finalita` dissuasive, un richiamo alla ne-
Indennita` per lavoro eccedente l’orario normale
Esempio di clausola:
Fermo restando il Suo non assoggettamento all’orario di lavoro, derivante dalla riconduzione delle mansioni da Lei d’ora innanzi praticate al disposto dell’art.17 comma 5 del D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile 2003, Le viene
riconosciuto, a titolo di «indennita` per lavoro eccedente l’orario normale», l’importo di euro ... lordi mensili in aggiunta alle maggiorazioni previste dal Suo nuovo livello di inquadramento. Tale importo Le sara` riconosciuto in caso di presenza in azienda per piu` di ... ore/mese aggiuntive
all’orario effettivo previsto, nel medesimo mese, per il restante personale.
Presenza al lavoro e orario di riferimento
Esempio di clausola:
Fermo restando il Suo non assoggettamento all’orario di lavoro, le precisiamo che l’orario ordinariamente praticato nel suo reparto/ufficio di
assegnazione e` il seguente: dalle ore ... alle ore ... da lunedı` a venerdı`.
Le parti si danno reciprocamente atto che, al fine del pieno assolvimento
della mansione assegnata, e` peraltro necessario che i Suoi tempi di lavoro tendenzialmente si conformino all’orario di riferimento come sopra
definito.
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cessita` del rispetto dei tempi
di lavoro utili al pieno assolvimento dei compiti assegnati. Tale richiamo potrebbe includere espressamente
il personale dedito ad attivita` direzionale, il quale pur
non avendo vincoli di orario
in senso quantitativo e` parzialmente condizionato, come si e` detto, all’effettuazione di periodi di lavoro corrispondenti alle esigenze impostegli dal ruolo. La prospettazione della possibile
apertura di procedure disciplinari individuali, nell’ipotesi di gestione inadeguata
dei tempi di non lavoro da
parte dell’impiegato direttivo o del quadro aziendale,
concorrerebbe sia a stimolare l’attenzione delle funzioni
direttive ad una adeguata
autodeterminazione del pro-
prio orario di lavoro, sia ad
evidenziare il coinvolgimento di fatto di tutti i lavoratori
in un unico regime dei tempi
di lavoro, favorendo migliori dinamiche relazionali.
Le formule sopra esemplificate rappresentano solo alcune possibili soluzioni finalizzate a favorire la gestione del
tempo di lavoro del personale non dirigente ma assegnatario di un ruolo direttivo,
contemperando la facolta` di
autodeterminazione dei periodi di lavoro e non lavoro
con patti o regolamentazioni
atte prevenire discrasie operative, ferma restando la necessita` che gli interventi implementati siano sempre preceduti da un’analisi puntuale
delle esigenze d’impresa e risultino rispettosi dei criteri di
esenzione dai limiti di orario
previsti dall’art.17 comma 5
del D.Lgs. n. 66 del 8 aprile
2003.
Impiegati direttivi e rispetto dell’orario
Esempio di nota integrativa del codice disciplinare aziendale:
Si precisa che il quadro sanzionatorio previsto dal Ccnl di categoria negli
articoli concernenti la disciplina del lavoro trova applicazione anche alle
ipotesi di mancato rispetto dei tempi di lavoro, sia per il personale assoggettato a vincoli di orario sia per il personale che, per le proprie mansioni, e` da intendersi esentato da tali vincoli ma comunque tenuto al tendenziale rispetto di un orario di riferimento.
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Agevolazioni
Sgravi contributivi
e incentivi per lavoro
autonomo e imprese
Alberto Giordano - Consulente finanziario
Stanziamento: 607 milioni di
euro. Scadenza: 7 agosto
2014
Sgravi contributivi 2013 per
contratti di secondo livello.
Finalita`
Incentivare i contratti collettivi aziendali e territoriali o
di secondo livello che prevedano erogazioni correlate a
incrementi di produttivita`,
qualita`, redditivita`, sottoscritti dai datori di lavoro e depositati presso le Dtl entro il 30
giugno 2014.
Beneficiari
Imprese settori vari.
Attivita` finanziate
Contributi Inps datori di lavoro e lavoratori. Entro il limite del 2,25% della retribuzione contrattuale annua di
ciascun lavoratore.
Contributi previsti
Sgravi contributivi. Entro il
limite massimo di 25 punti
dell’aliquota a carico del datore di lavoro, al netto delle
riduzioni contributive per assunzioni agevolate, delle
eventuali misure compensative spettanti e - in agricoltura
- al netto delle agevolazioni
per territori montani e svantaggiati. Totalmente sulla
quota del lavoratore.
Modalita`
di partecipazione
La domanda deve essere inoltrata all’Inps (anche per i lavoratori iscritti all’Inpgi o alle
gestioni ex Inpdap e ex Enpals) dalle aziende o tramite
intermediari autorizzati per
via telematica. La procedura
provvede ad assegnare a tutte
le istanze un numero di protocollo. La domanda deve contenere: i dati identificativi dell’azienda (per quelle agricole la
matricola e` il codice azienda);
la tipologia di contratto (aziendale o territoriale) e la data di
sottoscrizione; la data di avvenuto deposito del contratto
presso la Dtl; l’indicazione
dell’Ente previdenziale al quale sono versati i contributi pensionistici; ogni altra indicazione richiesta dall’Istituto.
L’ammissione al beneficio riguarda tutte le domande trasmesse entro il periodo indicato dall’Inps. L’ammissione
delle aziende allo sgravio
contributivo avverra` entro i
60 giorni successivi alla data
fissata quale termine unico
per l’invio delle istanze. L’Istituto provvedera` a darne
tempestiva comunicazione
alle aziende beneficiarie e
agli intermediari autorizzati.
Informazioni
Sito www.inps.it.
Circolare Inps 17 giugno
2014, n. 78.
Messaggio Inps 8 luglio
2014, n. 5887.
Regione Piemonte
Stanziamento: n.d. Scadenza: modalita` a sportello
aperto
Misure a favore dell’autoimpiego e della creazione d’impresa.
Beneficiari
Soggetti con le seguenti caratteristiche: titolari di partita
Iva in tutti i settori merceologici e professionali compresi
quelli privi di albo o di ordine professionale; abbiano ottenuto la partita Iva a far data
dal 1º gennaio dei 2 anni precedenti la data di presentazione della domanda. Non
sono ammessi i lavoratori
autonomi che nei 3 anni precedenti la data di presentazione della domanda abbiano
operato in proprio nello stesso settore di attivita` per la
quale si intendono richiedere
gli incentivi. Sono altresı`
esclusi coloro che svolgono
attivita` in forma occasionale
o mediante contratti di collaborazione in assenza della
partita Iva.
Attivita` finanziate
Riferimenti normativi
Decreto interministeriale 14
febbraio 2014.
Formazione professionale e
manageriale, spese di assistenza tecnica gestionale
connesse all’avvio dell’atti-
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Approfondimenti
Inps
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vita`, macchinari e attrezzature, arredi, automezzi, impianti tecnici.
Approfondimenti
Contributi previsti
1716
Fondo perduto e tasso agevolato. La domanda di finanziamento a tasso agevolato,
d’importo complessivo degli
investimenti non inferiore a
5.000 euro (Iva esclusa), deve
essere finalizzata al conseguimento di uno tra i seguenti
obiettivi, riguardante un progetto d’immediata cantierabilita`: a) realizzazione d’investimenti in macchinari, attrezzature, arredi, automezzi (e`
escluso l’acquisto di veicoli
per il trasporto di merci su
strada da parte di soggetti beneficiari di trasporto su strada
per conto terzi); b) attivazione
degli impianti tecnici necessari per l’esercizio delle attivita`.
La domanda di contributo a
fondo perduto deve prevedere
un importo complessivo delle
spese non inferiore a 10.000
euro e non superiore a
20.000 euro. Il contributo e`
pari al 40% della spesa ritenuta ammissibile e deve avere
un importo minimo di 4.000
euro e un importo massimo
di 8.000 euro. La domanda
di contributo a fondo perduto
deve essere finalizzata al conseguimento di uno o piu` tra i
seguenti obiettivi: spese generali di avviamento e spese di
assistenza tecnica-gestionale
connesse all’avvio dell’attivita`; formazione professionale
e manageriale. Le domande
per le 2 tipologie di agevolazione possono essere presentate contestualmente o separatamente.
Modalita`
di partecipazione
La domanda di contributo e/o
finanziamento deve essere
presentata alla provincia,
competente per territorio in
relazione alla residenza dei
soggetti beneficiari. Dopo la
registrazione il singolo progetto e` oggetto di una specifica istruttoria tecnica durante la quale possono essere richieste delle integrazioni. La
provincia invia la domanda
al Comitato tecnico istituito
presso Finpiemonte, che
esprime parere sull’ammissibilita` della stessa, entro 90
giorni dalla ricezione.
sezione F (Costruzioni) del
codice Ateco 2007 (imprese
operanti nel settore edile ed
impiantistico); almeno un’unita` locale (ufficio, magazzino, ecc.) ubicata nel territorio
della regione Liguria, regolarmente iscritta alla Cciaa e
nella piena disponibilita` dell’impresa; numero di dipendenti in termini di Ula non
inferiore a 3 unita`.
Informazioni
Attivita` finanziate
Finpiemonte Spa, galleria
San Federico, 54, 10121 Torino; tel. 011.5717711; fax
011.545759; e-mail [email protected]; sito internet:
www.finpiemonte.it.
Formazione del personale interno; consulenze esterne
qualificate, nel limite massimo del 15% della spesa ammissibile complessiva; acquisto di specifico software gestionale (e della relativa licenza) o di servizi on-line
(per un periodo non inferiore
a 3 anni) per monitorare il livello di sicurezza all’interno
dei cantieri. La formazione
del personale interno deve
essere effettuata esclusivamente da parte di enti di formazione accreditati. La conformita` del sistema di gestione alla norma di certificazione deve essere attestata da
parte di organismi accreditati
dal sistema nazionale o da
strutture equivalenti in ambito internazionale riconosciute
dal sistema nazionale.
Riferimenti normativi
Legge regionale 22 dicembre
2008, n. 34, art. 42.
Regione Liguria
Stanziamento: n.d. Scadenza:
modalita` a sportello aperto
Contributi per promuovere la
sicurezza dei cantieri e la cultura delle responsabilita` sociale delle imprese.
Finalita`
Favorire l’adozione da parte
delle imprese del settore dell’edilizia e dell’impiantistica
di metodologie e sistemi finalizzati a migliorare e garantire
la sicurezza dei cantieri, in accordo con norme nazionali,
internazionali e comunitarie,
e promuovere la cultura della
responsabilita` sociale delle
imprese e l’adozione di codici
etici da parte delle stesse.
Beneficiari
Le piccole imprese che, alla
data di presentazione della
domanda, siano in possesso
dei seguenti requisiti: iscrizione presso la Cciaa ed attivita` svolta classificata nella
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Contributi previsti
Fondo perduto. Fino al 70%
del totale delle spese ammissibili, oneri fiscali e previdenziali esclusi. Il contributo
totale non puo` comunque superare l’importo massimo di
7.000 euro per impresa.
Non sono ammesse richieste
di contributo che prevedano
un importo di spesa ammissibile inferiore a 3.000 euro.
Modalita`
di partecipazione
La domanda di ammissione
al contributo deve essere
compilata utilizzando il modulo appositamente predisposto (allegato 1) disponibile in formato elettronico sul
sito ufficiale della regione
Liguria (http://www.regione.liguria.it) alla voce «Bandi e avvisi» della sezione
«Territorio ambiente e infrastrutture/edilizia» e sul sito
di Filse Spa (www.filse.it) alla voce «Bandi». La domanda deve essere indirizzata a:
Finanziaria ligure per lo sviluppo economico - Filse
Spa, via Peschiera, 16 16122 Genova. Le domande
devono essere presentate a
decorrere dal 4 febbraio
2013 fino ad esaurimento
delle risorse disponibili. La
domanda deve essere inviata
esclusivamente a mezzo raccomandata postale. Sulla busta deve essere apposta la seguente dicitura: «Richiesta di
contributi L.R. n. 31/2007,
art. 19». La domanda deve
contenere la documentazione
richiesta e sottoscritta dal legale rappresentante dell’impresa richiedente. Inoltre deve essere trasmessa unitamente a copia fotostatica di
idoneo e valido documento
di identita` del sottoscrittore,
a pena di inammissibilita`.
Informazioni
Filse Spa, via Peschiera, 16,
16122
Genova;
tel.
010.84031; fax 010.814919;
e-mail: [email protected]; sito internet: www.filse.it.
Riferimenti normativi
Legge regionale 13 agosto
2007, n. 31, art. 19.
D.G.R. 31 luglio 2009, n.
1069.
Fondo per il Microcredito,
sezione A.
Finalita`
Interventi a sostegno delle
microimprese, volti sia a contrastare l’economia sommersa
sia a sostenere la nuova occupabilita`, l’autoimpiego e l’inclusione di lavoratrici e lavoratori con contratti atipici.
Beneficiari
Microimprese, in forma giuridica di cooperative, societa`
di persone e ditte individuali,
costituite e gia` operanti, ovvero in fase di avvio d’impresa. Settori vari.
Attivita` finanziate
Spese connesse
d’impresa.
all’avvio
Contributi previsti
Tasso agevolato. Importo minimo 5.000 euro e massimo
20.000 euro. Durata: 36 - 84
mesi. Tasso d’interesse: 1%.
Copertura diretta, tramite Istituto di credito, delle situazioni debitorie indicate dai beneficiari. Pre-ammortamento di
3 mesi seguito dal pagamento
di rate costanti mensili. Non
saranno applicate spese di
istruttoria ai beneficiari. Possono essere richieste al beneficiario altre garanzie personali, ma non reali, patrimoniali o finanziarie. Al beneficiario del prestito non viene
erogata liquidita`, bensı`, tramite le banche convenzionate,
vengono sanate le posizioni
debitorie per le quali, il beneficiario stesso, abbia presentato documentazione giustificativa. I finanziamenti vengono
erogati dalle banche appositamente convenzionate con Sviluppo Lazio.
no chiamare il numero verde
di
Sviluppo
Lazio
800.264525 per ricevere un
codice indentificativo, successivamente saranno contattati da uno degli operatori
territoriali dislocati sull’intero territorio regionale. L’iter
prevede: colloquio con uno
degli operatori territoriali assegnato in base alla logistica
territoriale; prima valutazione agevolativa.
Nel caso di una valutazione
positiva viene rilasciata ai
soggetti richiedenti una copia
cartacea della domanda alla
quale allegheranno i documenti idonei a giustificare la
stessa e a dimostrare la capacita` di restituzione del prestito richiesto. La domanda con
gli allegati verra` accompagnata da una «lettera di presentazione» rilasciata dagli
operatori territoriali ai potenziali beneficiari e, questi ultimi consegneranno copia di
tutta la documentazione suddetta all’Istituto di credito
convenzionato. Tale lettera
segna il momento iniziale
del rapporto che deve instaurarsi tra quest’ultimo ed il
soggetto richiedente, rapporto che continuera` per tutta
la durata del finanziamento,
con particolare riguardo alla
fase di restituzione del prestito. L’Istituto di credito istruisce la pratica, valutando il
merito creditizio, l’ammissibilita` oggettiva e soggettiva
e la capacita` di rimborso del
beneficiario.
Informazioni
Sviluppo Lazio, via Vincenzo Bellini, 22, 00198 Roma,
tel. 06.8445681; Informalazio 800.264525; sito internet
www.sviluppo.lazio.it;
www.microcredito.lazio.it.
Regione Lazio
Stanziamento: n.d. Scadenza: modalita` a sportello
aperto.
Modalita`
di partecipazione
Riferimenti normativi
I potenziali beneficiari devo-
Legge regionale 18 settembre 2006, n. 10, art 1.
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Approfondimenti
antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
1717
1718
Somme erogate e scadenza
Soggetti beneficiari
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Le piccole imprese che, alla data di presentazione
della domanda, siano in possesso dei seguenti requisiti: iscrizione presso la Cciaa ed attivita` svolta classificata nella sezione F (Costruzioni) del codice Ateco 2007 (imprese operanti nel settore edile ed impiantistico); almeno un’unita` locale (ufficio, magazzino, ecc.) ubicata nel territorio della regione Liguria,
regolarmente iscritta alla Cciaa e nella piena disponibilita` dell’impresa; numero di dipendenti in termini
di Ula non inferiore a 3 unita`.
Stanziamento: n.d.
Spese relative a: formazione del personale interno; consulenze esterne qua Regione Liguria
Contributi per promuovere la sicu- Scadenza: modalita` a sportello lificate, nel limite massimo del 15% della spesa ammissibile complessiva; acquisto di specifico software gestionale (e della relativa licenza) o di servizi
rezza dei cantieri e la cultura delle re- aperto
on-line (per un periodo non inferiore a 3 anni) per monitorare il livello di
sponsabilita` sociale delle imprese
Legge regionale 13 agosto 2007, n.
sicurezza all’interno dei cantieri.
31 art. 19 e D.G.R. 31 luglio 2009, n.
Contributi previsti. Fondo perduto una tantum. Fino al 70% del totale delle
1069
spese ammissibili, oneri fiscali e previdenziali esclusi. Il contributo totale
non puo` comunque superare l’importo massimo di 7.000 euro per impresa.
Non sono ammesse richieste di contributo che prevedano un importo di
spesa ammissibile inferiore a 3.000 euro.
Regione Lazio
Stanziamento: n.d.
Spese connesse all’avviamento attivita`.
Microimprese. Settori vari.
Sostegno delle microimprese
Scadenza: modalita` a sportello
Contributi previsti. Tasso agevolato. Importo minimo 5.000 euro e massi Legge regionale 18 settembre aperto
mo 20.000 euro. Durata: 36 - 84 mesi. Tasso d’interesse: 1%. Copertura
2006, n. 10, art 1
diretta, tramite Istituto di credito, delle situazioni debitorie indicate dai beneficiari. Pre-ammortamento di 3 mesi seguito dal pagamento di rate costanti mensili. Non saranno applicate spese di istruttoria ai beneficiari.
Soggetti con le seguenti caratteristiche: titolari di
partita Iva in tutti i settori merceologici e professionali compresi quelli privi di albo o ordine professionale, che abbiano ottenuto la partita Iva a far data dal
1º gennaio dei 2 anni precedenti la data di presentazione della domanda. Non sono ammessi i lavoratori
autonomi che nei 3 anni precedenti la data di presentazione della domanda abbiano operato in proprio nello stesso settore di attivita` per la quale si intendono richiedere gli incentivi.
Contributi previsti. Sgravi contributivi. Entro il limite massimo di 25 punti
dell’aliquota a carico del datore di lavoro, al netto delle riduzioni contributive per assunzioni agevolate, delle eventuali misure compensative spettanti
e - in agricoltura - al netto delle agevolazioni per territori montani e svantaggiati. Totalmente sulla quota del lavoratore.
Incentivare i contratti collettivi aziendali e territoriali o di secondo livello Imprese settori vari.
che prevedano erogazioni correlate a incrementi di produttivita`, qualita`,
redditivita`, sottoscritti dai datori di lavoro e depositati presso le Dtl entro
il 30 giugno 2014.
Misure previste
Tabella di sintesi
Stanziamento: n.d.
Formazione professionale e manageriale, spese di assistenza tecnica gestio Regione Piemonte
Misure a favore dell’autoimpiego e Scadenza: modalita` a sportello nale connesse all’avvio dell’attivita`, macchinari e attrezzature, arredi, autodella creazione d’impresa
aperto
mezzi, impianti tecnici.
Legge regionale 22 dicembre 2008,
Contributi previsti. Fondo perduto e tasso agevolato. La domanda di finann. 34, art. 42
ziamento a tasso agevolato, d’importo complessivo degli investimenti non
inferiore a 5.000 euro (Iva esclusa). La domanda di contributo a fondo perduto deve prevedere un importo complessivo delle spese non inferiore a
10.000 euro e non superiore a 20.000 euro. Il contributo e` pari al 40% della
spesa ritenuta ammissibile e deve avere un importo minimo di 4.000 euro e
un importo massimo di 8.000 euro.
Inps
Stanziamento: 607 milioni di euro
Sgravi contributivi 2013 per con- Scadenza: 7 agosto 2014
tratti di secondo livello
Decreto interministeriale 14 febbraio 2014; circolare Inps 17 giugno
2014, n. 78; messaggio Inps 8 luglio
2014, n. 5887
Soggetto erogatore, tipologia
d’intervento, normativa
Approfondimenti
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26 giugno 2014
Rassegna interpelli
Aziende straniere
Autorizzazione preventiva per l’assunzione di italiani all’estero
Ministero del lavoro, 26 giugno 2014,
n. 13
Oggetto: art. 9 del D.Lgs. n. 124/2004 - art.
2, D.L. n. 317/1987 (conv. da L. n. 398/1987)
- campo di applicazione.
Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Direzione generale in merito all’obbligo per le
aziende straniere con sede legale e operativa
in un territorio extra Ue, facenti parte di un
gruppo di imprese ai sensi dell’art. 2359
c.c., di richiedere il rilascio dell’autorizzazione preventiva di cui all’art. 2 del D.L. n.
317/1987 qualora intendano assumere presso la propria sede estera un lavoratore italiano residente in Italia.
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale per le Politiche per i servizi
per il lavoro, si rappresenta quanto segue.
Preliminarmente si ritiene opportuno rappresentare che il D.L. n. 317/1987 (conv. da L.
n. 398/1987) e` stato parzialmente sostituito
dal D.P.R. n. 346/1994 che, in ottemperanza
alle disposizioni di cui all’art. 2, commi 7, 8
e 9 della L. n. 537/1993, ha disciplinato il
procedimento di autorizzazione all’assunzione o al trasferimento in Paesi non aderenti
all’Unione europea di lavoratori italiani.
La normativa di cui all’art. 2 del D.P.R. n.
346/1994 dispone espressamente che alla
presentazione di autorizzazione preventiva
per l’assunzione o il trasferimento all’estero
dei lavoratori italiani sono tenuti i datori di
lavoro di cui all’art. 1, comma 2, del D.L.
n. 317/1987.
Nello specifico i datori di lavoro individuati
dalla legge sono: «a) i datori di lavoro residenti, domiciliati o aventi la propria sede,
anche secondaria, nel territorio nazionale;
b) le societa` costituite all’estero con partecipazione italiana di controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile;
c) le societa` costituite all’estero, in cui persone fisiche e giuridiche di nazionalita` italiana
partecipano direttamente, o a mezzo di societa` da esse controllate, in misura complessivamente superiore ad un quinto del capitale sociale; d) i datori di lavoro stranieri».
Dal dettato della citata normativa (cfr. art. 2,
D.P.R. n. 346/1994) puo` evincersi che sono
soggetti alla richiesta dell’autorizzazione i datori di lavoro che intendono assumere o trasferire all’estero un lavoratore italiano, pertanto si ritiene irrilevante la circostanza per
cui il lavoratore debba essere assunto presso
il datore di lavoro localizzato in Paese extra
Ue e non debba, invece, essere assunto in
Italia per prestare la propria attivita` all’estero, atteso anche che l’art. 2 precisa espressamente che sussiste la necessita` dell’autorizzazione sia per l’assunzione all’estero del lavoratore italiano sia per il suo trasferimento.
Sotto il profilo operativo, le modalita` di presentazione della richiesta di autorizzazione continuano ad essere regolate dal D.M. 16 agosto
1988, recante la «Documentazione da produrre in allegato alle domande di autorizzazione
al reclutamento ed all’espatrio di lavoratori
italiani». Tale D.M., al quale si fa integrale rinvio, resta infatti in vigore, attesa la mancata
emanazione, entro i termini previsti, del nuovo
decreto richiesto dal D.P.R. n. 346/1994 per
l’individuazione della documentazione da allegare alle domande di autorizzazione.
Nota
Rispondendo con l’interpello n. 13 del 26 giugno 2014 all’istanza del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, intesa a chiarire l’obbligo delle aziende straniere di richieDIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Interpelli
Un’azienda extra Ue, facente parte di un gruppo di imprese, deve richiedere il rilascio
dell’autorizzazione preventiva per assumere presso la propria sede estera un lavoratore
italiano residente in Italia?
1719
Interpelli
antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
1720
dere l’autorizzazione preventiva per l’assunzione di un lavoratore italiano, il Ministero del lavoro sottolinea l’applicazione della legge n. 398/1987 nei confronti di qualsivoglia datore di
lavoro che intenda impiegare all’estero lavoratori italiani.
A seguito dell’intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 369/1985), che ha dichiarato
l’illegittimita` delle disposizioni che escludevano dalla tutela previdenziale i lavoratori italiani impiegati in un Paese estero, il D.L. n. 317/1987, convertito in legge n. 398 del 1987, all’articolo
2, al comma 1, ha stabilito che per assumere o trasferire lavoratori italiani per svolgere attivita`
lavorative in Paesi extracomunitari e` necessario il rilascio di una preventiva autorizzazione da
parte del Ministero del lavoro. In particolare, sono tenuti a richiedere l’autorizzazione:
i datori di lavoro residenti, domiciliati e aventi la propria sede, anche secondaria, nel territorio nazionale;
le societa` costituite all’estero con partecipazione italiana di controllo ai sensi dell’articolo
2359, primo comma, del codice civile;
le societa` costituite all’estero, in cui persone fisiche e giuridiche di nazionalita` italiana partecipano direttamente, o a mezzo di societa` da esse controllate, in misura complessivamente
superiore ad un quinto del capitale sociale;
i datori di lavoro stranieri.
Del tutto priva di rilievo e` la circostanza che l’assunzione avvenga in Italia ed il lavoratore sia
successivamente trasferito all’estero o che l’assunzione sia effettuata direttamente nel Paese
estero. In tal senso l’articolo 2 del D.P.R. n. 346/1994 dispone che i sopraelencati datori di
lavoro devono presentare richiesta di autorizzazione, corredata della prescritta documentazione, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, divisione competente della Direzione
generale per l’impiego, sia che intendano procedere all’assunzione sia che debbano trasferire
lavoratori italiani all’estero. Copia della sola istanza e` trasmessa al Ministero degli affari esteri.
Se residenti all’estero, i datori di lavoro possono presentare la richiesta all’ufficio consolare
competente, che la trasmette direttamente al Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
Alla richiesta devono essere allegati:
certificato d’iscrizione alla Camera di commercio o al registro delle societa` di data non anteriore a un mese (per le organizzazioni sindacali non governative il certificato d’idoneita` di cui
agli articoli 28 e 29 della legge n. 49/1987) (articolo 1, comma 3, D.M. 16 agosto 1988);
copia del contratto di appalto o, se l’attivita` da svolgere all’estero non costituisca l’oggetto di
un appalto, la specificazione dell’attivita` contrattuale o del titolo giuridico inerente l’attivita`
medesima (per le organizzazioni sindacali non governative una corrispondente dichiarazione
rilasciata dal Ministero degli affari esteri) (articolo 1, comma 5);
per i datori di lavoro non aventi sede nel territorio nazionale la documentazione relativa al
conferimento per atto pubblico del mandato ad una persona fisica o giuridica residente in Italia
e della corrispondente accettazione del mandatario con responsabilita` solidale per l’adempimento di tutti gli obblighi derivanti dal D.L. n. 317/1987 (se la domanda e` presentata direttamente essa va corredata di documentazione equipollente tradotta in lingua italiana e autenticata dalle autorita` consolari italiane) (articolo 1, comma 4).
Il rilascio dell’autorizzazione e` subordinato al rispetto delle seguenti condizioni:
il trattamento economico e normativo offerto al lavoratore sia complessivamente non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di lavoro vigenti in Italia per la categoria di appartenenza del lavoratore;
il contratto di lavoro stabilisca il tipo di sistemazione logistica, impegni il datore di lavoro ad
apprestare idonee misure in materia di sicurezza sul lavoro, preveda la possibilita` di trasferire
in Italia la quota di valuta trasferibile delle retribuzioni corrisposte all’estero;
sia stipulata una polizza assicurativa a favore del lavoratore inviato all’estero a svolgere attivita` lavorativa per ogni viaggio di andata e di ritorno verso il e dal luogo di lavoro e di rientro
dal luogo stesso in caso di morte;
il Ministero degli affari esteri rilasci il proprio parere preventivo favorevole e non comunichi
al Ministero del lavoro che le condizioni generali del Paese di destinazione non offrono idonee
garanzie alla sicurezza del lavoratore.
I tempi della procedura non sono certo brevi. Prevede infatti l’articolo 5 del D.P.R. n. 346/
1994, come sostituito dal D.P.R. n. 247/1997, che i l Ministero del lavoro e della previdenza
sociale provveda al rilascio dell’autorizzazione nel termine di 75 giorni dalla data del ricevimento della richiesta della societa`, se presentata in Italia, e di 90 giorni, se presentata all’estero, salvo eventuali interruzioni per richieste di modifica o integrazione dell’istanza. Decorsi i
termini di cui sopra, opera il silenzio-assenso e l’autorizzazione si intende concessa.
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Con l’interpello n. 47/2009, il Ministero del lavoro, ha ritenuto che non sussista un obbligo di
comunicazione ai Centri per l’impiego per rapporti di lavoro costituitisi sul territorio di Paesi
stranieri, anche se riguardanti l’assunzione di un lavoratore di nazionalita` italiana. In tali casi, peraltro, la conoscibilita` da parte della P.A. della costituzione del rapporto di lavoro e` assicurata
dal perfezionamento della procedura di assunzione presso la Direzione regionale di iscrizione
del lavoratore interessato, cosı` come previsto dall’articolo 1, comma 4, del D.L. n. 317/1987.
Peraltro, l’articolo 1, comma 4, della legge 3 ottobre 1987, n. 398 prevede che «i lavoratori
disponibili a prestare all’estero la loro attivita` devono iscriversi in apposita lista di collocamento tenuta dall’Ufficio regionale del lavoro del luogo di residenza il quale rilascia il nulla osta
all’assunzione che puo` avvenire con richiesta nominativa». A questo fine, tramite il portale
«cliclavoro» e` gestita la Lista italiani all’estero nella quale sono iscritti i cittadini italiani o comunitari disponibili al trasferimento in Paesi extra-comunitari ed alla quale possono accedere i
datori di lavoro interessati. Nel caso di datori di lavoro che non hanno sede nel territorio nazionale, la richiesta puo` essere presentata, anche attraverso l’ufficio consolare competente,
conferendo mandato per atto pubblico a persona fisica o giuridica residente in Italia (che accetta sempre per atto pubblico).
Maria Rosa Gheido e Alfredo Casotti
Legislazione: D.L. 31 luglio 1987, n. 317; D.M. 16 agosto 1988; D.P.R. 18 aprile 1994, n. 346;
D.P.R. 19 giugno 1997, n. 247.
Prassi: Inpdai, circ. 1º dicembre 2000 e circ. 5 dicembre 2000; Inps, msg. 30 dicembre 2003, n.
159; Min. lav., int. 5 giugno 2009, n. 47.
Edilizia
Indennita` di disoccupazione nelle aree in stato di grave crisi
Ministero del lavoro, 26 giugno 2014,
n. 14
Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - trattamento di disoccupazione edile ex art. 11, L.
n. 223/1991.
L’Associazione nazionale costruttori edili ha
avanzato istanza di interpello a questa Direzione per avere chiarimenti circa la corretta
applicazione del trattamento di disoccupazione edile di cui all’art. 11, L. n. 223/1991.
In particolare l’interpellante chiede di sapere
se risulta applicabile il punto 3 della Delibera Cipi del 19 ottobre 1993 che fissa in 40
unita` il numero dei lavoratori licenziati cui
applicare il citato trattamento di disoccupazione «nelle circoscrizioni che presentino
un rapporto superiore alla media nazionale
fra iscritti alla prima classe di collocamento
e la popolazione residente in eta` da lavoro».
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale per le politiche attive e passive del lavoro e dell’Inps, si rappresenta
quanto segue.
Come noto, la L. n. 92/2012 ha introdotto un
sistema generalizzato di protezione dalla disoccupazione involontaria attraverso l’introduzione delle indennita` di disoccupazione
(ASpI e mini AspI). Detta legge ha abrogato,
a far data dal 1º gennaio 2017, molti dei trattamenti previgenti, tra i quali il trattamento
speciale di disoccupazione per l’edilizia di
cui all’art. 11, L. n. 223/1991, il quale trova
comunque medio tempore piena applicazione
per gli eventi di licenziamento intervenuti entro la data del 30 dicembre 2016 (cfr. Inps
circ. n. 2/2013).
Si ritiene, pertanto, tutt’ora validamente operante il trattamento di disoccupazione speciale per l’edilizia, cosı` come disciplinato prima
dell’entrata in vigore della L. n. 92/2012 e secondo le modalita` dettate dalle diverse disposizioni che ad esso fanno riferimento.
Fra queste vanno principalmente segnalate
la Delibera Cipi del 19 ottobre 1993, cui rimanda espressamente l’art. 11, comma 2, L.
n. 223/1991 e il D.M. 14 gennaio 2003, che
individua gli ambiti territoriali circoscrizionali che presentano un rapporto superiore
alla media nazionale tra iscritti alla prima
classe delle liste di collocamento e popolaDIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Interpelli
Dopo la riforma Fornero, e` ancora operativo il requisito dei 40 lavoratori licenziati per
beneficiare del trattamento speciale di disoccupazione edile?
1721
antonella carrara - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Interpelli
zione residente interessati dal trattamento di
disoccupazione ex art. 11, comma 3, L. n.
223/1991 nella misura prevista dal punto 3
della stessa Delibera Cipi.
In sostanza l’art. 11, comma 2, L. n. 223/
1991 prevede l’applicazione del trattamento
speciale di disoccupazione per i lavoratori
occupati in lavori edili «nelle aree nelle quali
il Cipi (...) accerta la sussistenza di uno stato
di grave crisi dell’occupazione» e licenziati a
causa di tale stato di crisi. Il trattamento in
questione, ai sensi del successivo comma 3,
risulta esteso ai lavoratori residenti in circoscrizioni che presentano «un rapporto superiore alla media nazionale tra iscritti alla
prima classe di collocamento e popolazione
residente in eta` da lavoro».
In applicazione di tale precetto il Cipi, con
Delibera del 19 ottobre 1993, ha individuato
i casi di crisi occupazionale che consentono
la fruizione del trattamento speciale di disoccupazione edile definendo, da un lato, la nozione di opera pubblica e di finalita` pubblica
e, dall’altro, prevedendo al punto 3, per l’applicazione dell’art. 11, L. n. 223/1991, che
«il numero dei lavoratori edili licenziati
non deve essere inferiore a 40 unita` (...) nelle
circoscrizioni che presentino un rapporto superiore alla media nazionale tra iscritti alla
prima classe di collocamento e popolazione
residente in eta` da lavoro».
1722
L’effettiva individuazione della misura percentuale del rapporto cui fanno riferimento
sia la L. n. 223/1991 che la Delibera Cipi
suddetta e` stata effettuata con Decreto del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali
del 14 gennaio 2003, che ha fissato nel
18,4% la soglia della media nazionale, il superamento della quale comporta l’applicazione del punto 3 della Delibera Cipi e dell’art. 11 della L. n. 223/1991.
In allegato al D.M. 14 gennaio 2003 risultano
riportati i dati riferibili alle circoscrizioni territoriali che determinano il relativo rapporto
percentuale. Si ritiene che tali dati, in assenza
della emanazione di successivi Decreti, possano essere ancora utili ai fini della fruizione del
trattamento speciale di disoccupazione edile.
Pertanto, per individuare le circoscrizioni interessate dalle norme esaminate e` sufficiente
consultare gli allegati al citato Decreto.
Riconosciute le circoscrizioni nelle quali il
rapporto tra iscritti alla prima classe di collocamento e popolazione residente in eta` di lavoro risulta superiore al 18,4%, si applica, fino al 30 dicembre 2016, il trattamento speciale di disoccupazione edile di cui all’art. 11, L.
n. 223/1991 per coloro che rientrano nell’area in cui sono ricompresi i cantieri sorti
per lo svolgimento di opere con finalita` pubbliche e licenziati, in numero superiore a 40
unita`, a causa di gravi crisi dell’occupazione.
Nota
L’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) ha chiesto di sapere se, dopo l’entrata in vigore
della legge n. 92/2012, e` sempre operativo il requisito delle 40 unita` per il riconoscimento dell’indennita` speciale di disoccupazione edile, in caso di licenziamenti rientranti nella previsione dell’articolo 11 della legge n. 223/1991. Il Ministero del lavoro risponde con l’interpello n. 14 del 26
giugno 2014 confermando l’applicazione della previgente disciplina fino al temine del periodo transitorio disciplinato dalla legge n. 92/2012 che ha introdotto l’assicurazione sociale per l’impiego.
Come regola generale, l’articolo 9 della legge n. 427/1975 riconosce il trattamento speciale di
disoccupazione per l’edilizia ai lavoratori licenziati da imprese edili ed affini per cessazione dell’attivita`, per ultimazione del cantiere o di singole fasi lavorative o per riduzione di personale.
Una norma speciale e` introdotta dal comma 2 dell’articolo 11 della legge n. 223/1991, il quale
stabilisce che nelle aree nelle quali il Cipi, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, accerta la sussistenza di uno stato di grave crisi dell’occupazione conseguente
al previsto completamento di impianti industriali o di opere pubbliche di grandi dimensioni, ai
lavoratori edili che siano stati impegnati, in tali aree e nelle predette attivita`, per un periodo di
lavoro effettivo non inferiore a 18 mesi e siano stati licenziati dopo che l’avanzamento dei lavori edili abbia superato il 70%, spetta il trattamento speciale di disoccupazione. Il trattamento
e` esteso ai lavoratori non residenti nell’area in cui sono completati i lavori a condizione che
essi siano residenti in circoscrizioni che presentino un rapporto superiore alla media nazionale
tra iscritti alla prima classe di collocamento e popolazione residente in eta` da lavoro.
Il Cipi, con delibera del 19 ottobre 1993 ha individuato i casi di crisi occupazionale nei quali si
applica la suddetta disposizione ed ha definito opera pubblica quella in cui siano amministrazioni aggiudicatrici lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, i comuni,
gli altri enti locali, gli enti pubblici e le associazioni fra i soggetti anzidetti, di carattere immobiliare, destinata ad un fine pubblico, finanziata in tutto o in parte con fondi dello Stato, delle
regioni o di enti pubblici. Rientrano in questa definizione:
le opere di edilizia residenziale pubblica ed edifici destinati a scopi amministrativi;
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
i lavori edili relativi ad ospedali, edifici scolastici ed universitari, impianti sportivi e ricreativi;
i lavori di genio civile (strade, ponti, ferrovie, aeroporti, pozzi, gallerie, opere fluviali, marittime e idrauliche, ecc.).
Per generare il diritto all’indennita` speciale occorre, pero` che il numero dei lavoratori edili
licenziati, in un arco temporale di 6 mesi, non sia inferiore a:
40 unita` nelle aree ricomprese nei territori di cui al D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, nonche´
nelle circoscrizioni che presentino un rapporto superiore alla media nazionale fra iscritti alla
prima classe di collocamento e la popolazione residente in eta` da lavoro; il numero delle unita`
puo` essere ridotto fino ad un minimo di 30 qualora nelle medesime zone il suindicato rapporto fra iscritti alla prima classe di collocamento e popolazione residente in eta` da lavoro sia
superiore del 30% alla media nazionale;
80 unita` nelle aree non ricomprese nei territori di cui al precedente punto.
Con il decreto ministeriale 14 gennaio 2003 sono state definite le circoscrizioni che presentano un rapporto tra iscritti alla prima classe delle liste di collocamento e popolazione residente in eta` da lavoro superiore alla media nazionale ed e` stato individuato nel individuato
nel 18,4% il rapporto medio nazionale.
Dal 1º gennaio 2013 la legge n. 92/2012, c.d. legge Fornero, con la finalita` di uniformare e razionalizzare i trattamenti di sostegno al reddito in caso di disoccupazione, ha introdotto l’ASpI,
in sostituzione dei trattamenti di disoccupazione non agricola ed e` intervenuta anche sull’indennita` speciale in argomento.
In particolare, l’articolo 2, comma 71, della citata legge n. 92/2012 abroga, a far data dal 1º
gennaio 2017 le seguente disposizioni:
articolo 11 comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223;
articoli da 9 a 19 della legge n. 427/1975;
articolo 3, comma 3, del D.L. n. 299/1994.
Per l’anno 2014, i lavoratori che hanno diritto al trattamento speciale di disoccupazione per
l’edilizia di cui all’articolo 11, commi 2 e 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223, nonche´ a quello di
cui all’articolo 3, comma 3, della legge 19 luglio 1994, n. 451, percepiscono un importo pari a
quello dell’indennita` di mobilita`, mentre quelli che ne hanno diritto per effetto della legge 6
agosto 1975, n. 427, percepiscono, per l’anno 2014, euro 634,07 che, al netto della riduzione
del 5,84%, sono pari ad euro 597,04. Tant’e` che per il periodo transitorio, come chiarito dall’Inps con la circolare n. 2/2013, il lavoratore in possesso dei requisiti di cui all’art. 9 della legge
n. 427/1975 puo` presentare in alternativa alla domanda di disoccupazione speciale quella per
ASpI o Mini-ASpI (nei termini perentori previsti per quest’ultime) perche´ piu` favorevole.
Per gli eventi di licenziamento intervenuti entro il 30 dicembre 2016, che generano il diritto al
maggior importo in quanto riconducibili ai commi 2 e 3 dell’articolo 11 della legge n. 223/1991
in argomento, continuano ad applicarsi le condizioni di cui alla delibera Cipi del 19 ottobre
1993 e al D.M. 14 gennaio 2003. Le domande di trattamento speciale per l’edilizia con data
di licenziamento 31 dicembre 2016 non saranno piu` gestite dall’Inps in quanto la norma sara`
abrogata con effetto dal 1º gennaio 2017.
Maria Rosa Gheido
Legislazione: L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 11, c. 2 e 3; L. 6 agosto 1975, n. 427, artt. da 9 a
19; D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 3.
Prassi: Inps, circ. 7 gennaio 2013, n. 2 e circ. 29 gennaio 2014.
Aziende sanitarie
Enpam e certificazione della regolarita` contributiva
Come certificare l’assolvimento degli obblighi contributivi gravanti sulle societa` operanti in
regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale nei confronti del Fondo degli
specialisti esterni dell’Enpam?
Ministero del lavoro, 26 giugno 2014, n.
15
Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - certificazione di regolarita` contributiva per le socie-
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Interpelli
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1723
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Interpelli
ta` operanti in regime di accreditamento con il
S.S.N. e trasmissione dei dati necessari alla
verifica del corretto adempimento degli obblighi previdenziali.
1724
L’Ente nazionale di previdenza ed assistenza
dei medici e degli odontoiatri - Enpam - ha
avanzato istanza di interpello per conoscere
il parere di questa Direzione generale in ordine alla certificazione del corretto assolvimento degli obblighi contributivi gravanti
sulle societa` operanti in regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale nei
confronti del Fondo degli specialisti esterni
istituito presso il medesimo ente (art. 1, comma 39, L. n. 243/2004).
Si pone, altresı`, la problematica afferente alla trasmissione dei dati relativi al fatturato
annuo delle societa` in argomento, richiesti
dall’Ente ai fini della tutela previdenziale obbligatoria dei medici chirurghi ed odontoiatri impiegati presso dette strutture.
Al riguardo e` stato acquisito il parere della
Direzione generale per le politiche previdenziali ed assicurative e dell’Inail mentre
l’Inps, pur sollecitato, non ha fornito riscontri.
Ai fini della soluzione del quesito, occorre innanzitutto sottolineare che il Documento unico di regolarita` contributiva (Durc) attesta la
regolarita` e la correntezza degli adempimenti di carattere contributivo da parte di un
operatore economico nei confronti degli Istituti previdenziali ed assistenziali.
Si ricorda che, in virtu` dell’art. 16 bis, comma 10, D.L. n. 185/2008 (conv. da L. n. 2/
2009), le stazioni appaltanti pubbliche acquisiscono d’ufficio, anche attraverso strumenti
informatici, il Durc dagli Istituti in tutti i casi
in cui la legge lo richiede (v. Min. lav. circ. n.
12/2012).
Laddove non risulti possibile acquisire il
Durc mediante il c.d. Sportello unico previdenziale, come avviene nelle ipotesi di lavoratori autonomi liberi professionisti iscritti
alle relative Casse di categoria, queste ultime
rilasciano una certificazione equipollente,
nel rispetto della normativa previdenziale di
settore, che di fatto riproduce contenuti analoghi a quelli previsti per il Durc.
Si fa presente che l’art. 15, comma 1, lett. d),
L. n. 183/2011, a decorrere dal 1º gennaio
2012, ha previsto una semplificazione in materia di accertamento della regolarita` contributiva, introducendo l’art. 44-bis del D.P.R.
n. 445/2000, secondo il quale «le informazioni relative alla regolarita` contributiva sono
acquisite d’ufficio, ovvero controllate ai sensi dell’art. 71, dalle pubbliche amministraDIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
zioni procedenti, nel rispetto della specifica
normativa di settore».
Come previsto dall’art. 31 del D.L. n. 69/
2013 (conv. da L. n. 98/2013) e, per il passato, gia` chiarito dall’Autorita` per la vigilanza
sui contratti pubblici (cfr. Avcp faq D17),
l’acquisizione di tale certificazione e` necessaria sia al momento della stipulazione del
contratto, sia per il pagamento delle prestazioni relative a servizi e forniture.
Per quanto concerne la certificazione della
regolarita` contributiva per le societa` operanti in regime di accreditamento con il Servizio
sanitario nazionale, occorre richiamare
l’art. 1, comma 39, L. n. 243/2004, il quale
sancisce il versamento in favore del Fondo
degli specialisti esterni istituito presso l’Enpam di «un contributo pari al 2 per cento
del fatturato annuo attinente a prestazioni
specialistiche rese nei confronti del Servizio
sanitario nazionale e delle sue strutture operative (Aa.Ss.Ll.), senza diritto di rivalsa sul
Servizio sanitario nazionale. Le medesime
societa` indicano i nominativi dei medici e
degli odontoiatri che hanno partecipato alle
attivita` di produzione del fatturato, attribuendo loro la percentuale contributiva di
spettanza individuale».
In considerazione del rapporto di concessione ex lege intercorrente tra le societa` in argomento e le Aziende sanitarie locali (cfr.
Cass., sez. un., n. 5769/2012), nonche´ dell’esigenza di interpretare in modo uniforme la
normativa in materia di regolarita` contributiva, si ritiene che le Aziende sanitarie, oltre
all’acquisizione d’ufficio del Durc, siano tenute - sia in sede di stipula del contratto di
accreditamento che al momento della liquidazione delle fatture - a richiedere all’Enpam il rilascio della certificazione equipollente al Durc attestante il regolare adempimento degli obblighi contributivi di cui al citato art. 1, comma 39, della L. n. 243/2004.
Con riferimento alla trasmissione dei dati relativi al fatturato annuo delle societa` accreditate, si evidenzia che, ai sensi della disposizione normativa da ultimo menzionata, l’obbligo
contributivo delle medesime societa` risulta parametrato ad una somma pari ad una percentuale del fatturato annuo afferente alle prestazioni specialistiche rese nei confronti del
S.S.N., con indicazione dei nominativi dei medici e degli odontoiatri che hanno partecipato
alle attivita` di produzione del fatturato e delle
quote contributive di spettanza individuale.
Si precisa che il calcolo della base imponibile del contributo in questione puo` essere effettuato solo avvalendosi dei dati in possesso
delle Aa.Ss.Ll. che usufruiscono delle presta-
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in applicazione del dovere di collaborazione
previsto dal citato art. 1, comma 39, nei confronti delle societa` in argomento.
Cio` appare, altresı`, confermato dal disposto
dell’art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 196/2003,
ai sensi del quale «la comunicazione da parte di un soggetto pubblico ad altri soggetti
pubblici e` ammessa quando e` prevista da
una norma di legge o di regolamento. In
mancanza di tale norma la comunicazione
e` ammessa quando e` comunque necessaria
per lo svolgimento di funzioni istituzionali».
Nota
Con l’interpello n. 15 del 26 giugno l’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e
degli odontoiatri, Enpam, ha posto alla Direzione generale per l’attivita` ispettiva del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali richiesta di duplice chiarimento.
Il primo tema e` quello relativo al corretto assolvimento degli obblighi contributivi gravanti sulle societa` operanti in regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale nei confronti
del Fondo degli specialisti esterni.
Il riferimento normativo e` rappresentato dall’articolo 1, comma 39, della legge 23 agosto 2004
n. 243 in base al quale si dispone che le societa` professionali mediche ed odontoiatriche, in
qualunque forma costituite, e le societa` di capitali, operanti in regime di accreditamento col
Servizio sanitario nazionale, devono versare al Fondo di previdenza a favore degli specialisti
esterni dell’Enpam un contributo pari al 2% del fatturato annuo attinente a prestazioni specialistiche rese nei confronti del Servizio sanitario nazionale e delle sue strutture operative, senza
diritto di rivalsa sulle strutture pubbliche. Si prevede ancora che devono essere altresı` indicati
i nominativi dei medici e degli odontoiatri che hanno partecipato alle attivita` di produzione del
fatturato, attribuendo loro la percentuale contributiva di spettanza individuale. Il Ministero del
lavoro nel rispondere all’interpello ribadisce in primo luogo la valenza del Durc quale documento atto a certificare la regolarita` e la correntezza degli adempimenti di carattere contributivo e ricorda come, laddove la normativa lo preveda, le stazioni appaltanti pubbliche lo acquisiscono d’ufficio anche attraverso il canale informatico. Nella fattispecie concreta dei lavoratori autonomi liberi professionisti il documento di regolarita` contributiva e` prodotto dalla
Cassa di categoria di riferimento. Viene altresı` richiamata la previsione normativa di cui all’articolo 31 del D.L. n. 69/2013 in base alla quale la documentazione di regolarita` contributiva
costituisce «conditio sine qua non» sia per la stipula di contratti pubblici che per il pagamento
delle relative prestazioni fornite. In considerazione di tale quadro normativo ed alla luce del
rapporto di concessione ex lege che le societa` in accreditamento hanno con il Servizio sanitario nazionale, il parere del Ministero del lavoro e` allora quello per cui le Aziende sanitarie
sono tenute, sia nel momento genetico del rapporto che nella fase di liquidazione delle fatture,
a richiedere all’Enpam il rilascio della certificazione equipollente al Durc attestante l’ottemperanza alla previsione normativa di cui all’articolo 1, comma 39, della legge n. 243/2004.
Ulteriore quesito posto dall’Ente di previdenza riguarda poi, sempre con riferimento alla medesima disposizione di legge, la problematica inerente alla richiesta di trasmissione dei dati relativi al fatturato annuo delle medesime societa` ai fini della tutela previdenziale obbligatoria dei
medici chirurghi ed odontoiatri presso le medesime strutture.
Il Ministero del lavoro precisa che l’Enpam, assolvendo ad una funzione «pubblicistica ai sensi
dell’articolo 38 Cost.», e` legittimata a richiedere alle Aa.Ss.Ll. la fornitura dei dati essendo queste ultime tenute al dovere di collaborazione e, dal punto di vista operativo, uniche tenutarie
delle informazioni utili per il calcolo della base imponibile del contributo da versare.
Giuseppe Rocco
Legislazione: D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196; L. 23 agosto 2004, n. 243; D.L. 29 novembre
2008, n. 185.
Prassi: Min. lav., circ. 1º giugno 2012, n. 12.
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Interpelli
zioni specialistiche e ambulatoriali dei medici e degli odontoiatri operanti per conto delle
predette societa`, informazioni necessarie al
fine di ottemperare agli obblighi di legge
(cfr. sentenza Tribunale Roma, sez. lavoro,
n. 7334/2013).
La richiesta di fornitura di tali dati appare
pertanto legittimata in quanto effettuata dall’ente, nell’espletamento della sua specifica
funzione «pubblicistica», volta alla tutela
previdenziale ed assistenziale dei medici chirurghi ed odontoiatri (art. 38 Cost.), nonche´
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Presunzione di collaborazione
Fisioterapisti titolari di partita Iva
La presunzione relativa di parasubordinazione, di cui all’articolo 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003,
si applica ai fisioterapisti?
Ministero del lavoro, 26 giugno 2014,
n. 16
Interpelli
Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - art. 69
bis, D.Lgs. n. 276/2003 - figura professionale
del fisioterapista.
1726
La Confindustria ha avanzato istanza d’interpello per conoscere il parere di questa Direzione in ordine alla corretta interpretazione della disciplina di cui all’art. 69 bis del
D.Lgs. n. 276/2003, concernente le prestazioni di lavoro autonomo espletate dai soggetti
titolari di partita Iva.
In particolare, l’istante chiede se la presunzione relativa di parasubordinazione, contemplata dalla citata disposizione, possa trovare applicazione nei confronti della categoria professionale dei fisioterapisti, laddove
ricorrano i presupposti previsti dalla medesima norma.
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale delle relazioni industriali e
dei rapporti di lavoro, si rappresenta quanto
segue.
Al fine di contrastare l’utilizzo ‘‘distorto’’
dello strumento delle c.d. partite Iva, l’art.
69 bis del D.Lgs. n. 276/2003 disciplina
una presunzione di parasubordinazione in
virtu` della quale e` possibile ricondurre le
prestazioni di lavoro autonomo ex art. 2222
c.c. nell’ambito della diversa forma di natura
autonoma della collaborazione coordinata e
continuativa a progetto di cui agli artt. 61
e ss. del citato Decreto.
Come chiarito da questo Ministero con circ.
n. 32/2012, la predetta presunzione trova applicazione in presenza di determinate condizioni di legge, salvo prova contraria da parte
del committente. La stessa presunzione risulta invece esclusa, ex art. 69 bis, comma 2,
nelle ipotesi in cui la prestazione implichi
competenze teoriche di grado elevato ovvero
capacita` tecnico-pratiche, acquisite attraverso rilevanti esperienze e sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro
autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello
minimo imponibile ai fini del versamento dei
contributi previdenziali.
La presunzione non opera, inoltre, ai sensi
del comma 3 del medesimo articolo, in relaDIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
zione «alle prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attivita` professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un
ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni».
Con Decreto del 20 dicembre 2012 questo
Ministero ha provveduto ad effettuare una
«ricognizione» delle suddette attivita`, individuando i seguenti criteri di ordine generale:
«gli ordini o collegi professionali, i registri, gli albi, i ruoli e gli elenchi professionali
(...) sono esclusivamente quelli tenuti o controllati da una amministrazione pubblica di
cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 165/
2001 nonche´ da federazione sportive»;
«l’iscrizione e` subordinata al superamento
di un esame di stato o comunque alla necessaria valutazione, da parte di specifico organo, dei presupposti legittimanti lo svolgimento delle attivita`».
Ai fini della soluzione del quesito, occorre
dunque verificare se i due requisiti sopra richiamati siano riscontrabili con riferimento
alla figura professionale in esame.
Dalla lettura dell’art. 2 del Decreto del Ministero della sanita` del 14 settembre 1994, n.
741, si evince che «il diploma universitario
di fisioterapista abilita all’esercizio della
professione». Lo stesso viene, infatti, rilasciato a seguito del completamento del corso
di studi e del superamento di un esame finale
che involge la valutazione di una specifica
commissione costituita presso l’Universita`.
Il possesso di tale diploma - conseguito ai
sensi dell’art. 6, comma 3, del D.Lgs. n.
502/1992 o di diploma o attestato equipollente ovvero titolo riconosciuto ai sensi della
normativa statale vigente - costituisce, inoltre, requisito indispensabile ai fini dell’iscrizione negli elenchi professionali dei fisioterapisti, laddove istituiti con legge regionale
(cfr. ad es. legge Regione Lazio n. 17 /2002).
Alla luce delle osservazioni svolte, si ritiene
pertanto che l’attivita` svolta dai fisioterapisti
possa essere ricompresa nell’ambito delle
prestazioni professionali di cui all’art. 69
bis, comma 3, con la conseguente esclusione
dall’applicazione della presunzione, solo
nella misura in cui gli stessi risultino in pos-
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presunzione, resta fermo che laddove siano
riscontrabili gli usuali indici di subordinazione, la prestazione di lavoro autonomo
dei fisioterapisti potra` essere «direttamente»
ricondotta ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Nota
L’attivita` del fisioterapista non rientra fra i casi ai quali si applica la presunzione di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003. La norma richiamata prevede come e` noto la trasformazione del rapporto di lavoro autonomo con partita
Iva reso dal fisioterapista allo stesso committente in una collaborazione coordinata e continuativa e conseguente pagamento dei contributi all’Inps da parte del datore di lavoro. La presunzione scatta, per esempio, nel caso in cui la prestazione sia resa per lo stesso committente per
piu` di 8 mesi all’anno per 2 anni consecutivi o, per avere un reddito, derivante da tale prestazione, che rappresenti piu` dell’80% di quanto fatturato dal soggetto.
Il Ministero, con l’interpello n. 16/2014, esclude i fisioterapisti dalla soggezione a tale presunzione.
L’iscrizione negli elenchi professionali, o il diploma universitario che abilita alla professione di
fisioterapista, collocano tale figura professionale, fra quelle svolte «nell’esercizio di attivita`
professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale ovvero
appositi registri, albi ruoli o elenchi professionali qualificati» i quali, per espressa previsione del
comma 3 dell’articolo 69-bis richiamato, escludono dalla presunzione.
L’interpello e` stato posto da Confindustria che ha chiesto alla Direzione generale per l’attivita`
ispettiva del Ministero del lavoro un parere concernente, appunto, la corretta interpretazione
della disciplina dettata dall’articolo 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003, con riferimento alle prestazioni di lavoro autonomo poste in essere dai soggetti titolari di partita Iva e la presunzione
relativa alla parasubordinazione. Si chiede nell’interpello se la presunzione che porta alla trasformazione del rapporto di lavoro autonomo in una collaborazione coordinata e continuativa, possa trovare applicazione nei confronti della categoria professionale dei fisioterapisti.
La norma novellata con l’articolo 69-bis ha lo scopo di contrastare il non corretto utilizzo della
partita Iva al fine di occultare rapporti di lavoro con elementi di subordinazione. In buona sostanza il fisioterapista che si presenta come lavoratore autonomo con partita Iva nella realta`
fattuale fornisce prestazioni di lavoro dipendente rispettando orari e agisce sotto l’eterodirezione del committente - datore di lavoro.
Tutto cio` premesso e considerato, ritiene il Ministero che l’attivita` svolta dai fisioterapisti possa essere ricompresa nell’ambito delle prestazioni professionali di cui all’art. 69-bis, comma 3,
con la conseguente esclusione dall’applicazione della presunzione, solo nella misura in cui gli
stessi risultino in possesso del diploma abilitante, nonche´ iscritti in appositi elenchi professionali, tenuti e controllati da parte di una amministrazione pubblica, ai sensi dell’art. 1, comma 2,
del D.Lgs. n. 165/2001.
A prescindere dall’operativita` o meno della presunzione, resta fermo che laddove siano riscontrabili gli usuali indici di subordinazione, la prestazione di lavoro autonomo dei fisioterapisti potra` essere «direttamente ricondotta ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato.»
Un avviso ai fisioterapisti giunge dallo stesso Ministero: nonostante il tenore dell’interpello, al
lavoratore resta comunque la possibilita` di far causa al presunto datore di lavoro nel caso in
cui le prestazioni siano rese con la tipicita` che qualifica un rapporto di lavoro.
Alfredo Casotti
Legislazione: R.D. 16 marzo 1942, n. 262, art. 2222; D.Lgs 10 settembre 2003, n. 276, art. 69
bis.
Prassi: Min. lav., circ. 27 dicembre 2012, n. 32.
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Interpelli
sesso del diploma abilitante, nonche´ iscritti
in appositi elenchi professionali, tenuti e
controllati da parte di una amministrazione
pubblica, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del
D.Lgs. n. 165/2001.
A prescindere dall’operativita` o meno della
1727
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26 giugno - 1º luglio 2013
Rassegna della Cassazione
Violenza sessuale
e licenziamento
per giusta causa
Giurisprudenza
Cassazione, sez. lav., 26 giugno 2013, n.
16098 - Pres. Stile - Rel. Arienzo - P.M.
(Conf.) Matera - T.C.F. c. Provincia italiana della Congregazione dei figli Immacolata Concezione
1728
L’elencazione delle ipotesi di giusta causa di
licenziamento contenuta nei contratti collettivi, diversamente da quanto avviene con riguardo alle sanzioni di tipo conservativo,
ha valenza meramente esemplificativa e non
esclude pertanto che la giusta causa possa
essere ritenuta sussistente a fronte di comportamento gravissimo del lavoratore, contrario alle regole del buon vivere civile.
Il caso
Avendo ritenuto un proprio dipendente colpevole di violenza sessuale, con lesioni ai danni di
un’altra dipendente, il datore di lavoro lo licenziava per giusta causa.
Il lavoratore impugnava la decisione datoriale,
ma sia il giudice di primo grado che la Corte
d’appello di Roma, con decisione del 9 aprile
2010, respingevano il ricorso, dichiarando quindi legittimo il licenziamento.
Nella fattispecie, la Corte territoriale aveva ritenuto provata l’accusa, anche in considerazione
del fatto che ad analoghe conclusioni era giunto il giudice penale, in base sia alla diagnosi di
lesioni contenuta nel referto del Pronto soccorso che alle contusioni al volto compatibili
con la versione fornita dalla parte lesa. La Corte d’appello della capitale aveva quindi ritenuto
che fosse stato rispettato il principio di proporzionalita` tra la mancanza commessa dal lavoratore e la sanzione espulsiva e che, quindi, il licenziamento per giusta causa fosse da ritenersi
del tutto corretto. Il lavoratore propone quindi
ricorso davanti alla Suprema Corte.
La decisione e i precedenti
A supporto del proprio ricorso, il lavoratore
anzitutto sostiene l’inidoneita` ai fini probatori
del solo richiamo alla denunzia querela e alla
deposizione della teste, argomento respinto
dalla Corte in base al principio del libero convincimento del giudice, ritenuto adeguatamente motivato nella sentenza di merito.
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Del pari e` stato respinto il motivo centrato sull’onere della prova della sussistenza della giusta
causa che e` posto a carico del datore di lavoro,
essendosi quest’ultimo compiutamente adoperato nel fornire le prove degli addebiti contestati, quali l’escussione della teste, la deposizione della parte lesa e il contenuto della denunzia
sporta dalla medesima. Tali elementi peraltro
erano supportati dalle deposizioni rese da altri
testimoni e dai risultati del referto sanitario, elementi posti a base anche della sentenza penale
di primo di grado di condanna.
Ancora piu` interessante l’ultimo aspetto della decisione in commento, e relativo alla tipizzazione
delle ipotesi costituenti giusta causa. Nel caso di
specie, il Ccnl applicato al rapporto prevedeva il
licenziamento per giusta causa per «molestie di
carattere sessuale rivolte a degenti e/o accompagnatori all’interno della struttura». A tale proposito, la Suprema Corte ha del tutto condivisibilmente affermato che non vi sono motivi «per
non ritener inclusa nella previsione anche la violenza posta in essere nei confronti di una collega».
Infatti, l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di
licenziamento contenuta nei contratti collettivi,
diversamente da quanto avviene con riguardo alle
sanzioni disciplinari conservative, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, pertanto,
la sussistenza della giusta causa a fronte di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore che risulti in netto contrasto con
le norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che l’inadempimento
o il comportamento abbia comportato la rescissione del rapporto fiduciario tra datore e lavoratore. In senso conforme Cass. 18 febbraio 2011,
n. 4060, in Ced Cassazione, 2011.
In materia di molestie sessuali e licenziamento
si vedano: Cass. 5 agosto 2010, n. 18279, in
Ced Cassazione, 2010; Cass. 18 settembre
2009, n. 20272, in Mass. giur. it., 2009; Cass.
2 maggio 2005, n. 9068, in Mass. giur. lav.,
2005, 10, 760; Trib. Milano, 17 ottobre 2000,
in Orient. giur. lav., 2000, I, 1093; Pret. Milano,
27 agosto 1997, in Lav. giur., 1998, 516.
Tempestivita`
del licenziamento
Cassazione, sez. lav., 27 giugno 2013, n.
16227 - Pres. Stile - Rel. Napoletano P.M. (Conf.) Matera - Poste Italiane Spa
c. T.P.
In materia di licenziamento disciplinare, il
principio dell’immediatezza della contestazione, che trova fondamento nella legge 20
maggio 1970, n. 300, articolo 7, commi 3 e
4, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa, cosı` da consentirgli il pronto allestimento del materiale
difensivo per poter contrastare piu` efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione,
a tutelare il legittimo affidamento del prestatore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia tardiva,
si realizza una preclusione all’esercizio del
relativo potere e l’invalidita` della sanzione
irrogata.
Il caso
A seguito dell’emergere di gravi fatti, un dipendente veniva sottoposto a procedimento penale,
poi sfociato in una sentenza di condanna. Il datore di lavoro, dal proprio canto, disponeva la sospensione cautelare dal servizio e, avendo ricevuto comunicazione della condanna in sede penale in data 16 febbraio 2004, solamente in data
7 luglio 2004 comunicava il licenziamento al
proprio dipendente. Il lavoratore ricorreva in giudizio lamentando la tardivita` dell’intimazione del
recesso e, mentre soccombeva nel primo grado
di giudizio, otteneva ragione dalla Corte d’appello di Roma la quale, con sentenza depositata in
data 23 aprile 2010, ne accoglieva la domanda.
I giudici dell’appello, in particolare, avevano rilevato come non vi fosse alcuna ragione tale da
giustificare l’esercizio del potere disciplinare da
parte del datore di lavoro a distanza di oltre
quattro mesi dalla comunicazione della sentenza
di condanna con la quale erano stati accertati i
fatti che hanno, poi, costituito l’oggetto della
contestazione degli addebiti posti a base della risoluzione del rapporto. La stessa Corte non ha
mancato di evidenziare come una prima valutazione della gravita` dell’accaduto fosse stata gia`
effettuata dalla societa` datrice quando, successivamente all’arresto del dipendente e alla sua rimessione in liberta`, lo aveva sospeso dal servizio.
La decisione e i precedenti
La societa` ricorre quindi avanti la Suprema Corte con un unico motivo, sostenendo che i giudici di appello hanno omesso di motivare circa le
ragioni in base alle quali ritengono che il trascorrere di quattro mesi tra il deposito della sentenza penale di condanna e la contestazione disciplinare ha leso il diritto di difesa del lavoratore.
A tale proposito, la Cassazione ribadisce la rilevanza della notorieta` dei fatti (e della loro gravita`), evidenziando come la Corte territoriale - in
base alle circostanze dedotte dalla societa` - non
ha ritenuto sussistente alcuna valida ragione atta
a giustificare il ritardo della contestazione disciplinare, sul presupposto che i fatti relativi erano
gia` conosciuti nella loro gravita` dal datore di lavoro sin dal primo momento, convalidando cosı`
la tesi secondo la quale i quattro mesi trascorsi
dalla comunicazione della sentenza penale di
condanna non possono trovare alcuna giustificazione in ragione della complessita` dell’organizzazione aziendale.
In argomento, per ricordare i principi affermati
dalla giurisprudenza della Suprema Corte, va evidenziato che la tempestivita` della contestazione
disciplinare costituisce giudizio di merito, non
sindacabile in cassazione ove adeguatamente
motivato; cosı` Cass. 1º luglio 2010 n. 15649,
in Ced Cassazione, 2010; Cass. 6 settembre
2006 n. 19159, in Mass. giur. it., 2006; Cass. 29
marzo 2004 n. 6228, in Ced Cassazione, 2004.
In senso conforme anche la recente Cass. 13
febbraio 2013, n. 3532, in Ced Cassazione,
2013, secondo cui, nell’ambito di un licenziamento per motivi disciplinari, il principio di immediatezza della contestazione, pur dovendo
essere inteso in senso relativo, comporta che
l’imprenditore porti a conoscenza del lavoratore i fatti contestati non appena essi gli appaiono
ragionevolmente sussistenti, non potendo egli
legittimamente dilazionare la contestazione fino al momento in cui ritiene di averne assoluta
certezza, pena l’illegittimita` del licenziamento.
Da quanto sopra e` conseguito il rigetto del ricorso e la condanna della societa` ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio.
Tentativo di conciliazione
e interruzione
della prescrizione
Cassazione, sez. lav., 1º luglio 2013, n.
16452 - Pres. Miani Canevari - Rel. Arienzo - P.M. (conf.) Servello - Pac Diviteliseo
di R.D.V. & C. Snc c. F.S.
Il tentativo obbligatorio di conciliazione interrompe la prescrizione se comunicato alla controparte; infatti, ai sensi dell’art. 410 c.p.c. la
comunicazione della richiesta di espletamento
del tentativo di conciliazione interrompe la
prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni
termine di decadenza.
Il caso
La Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento del ricorso proposto da un datore di laDIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
Giurisprudenza
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voro, riduceva l’importo della condanna alla spese, ma per il resto confermava l’accoglimento
della domanda, proposta da una dipendente,
di condanna al risarcimento dei danni provocati
da un infortunio sul lavoro (investimento da parte di un muletto sul luogo di lavoro), verificatosi
nel 1998. Preliminarmente, il giudice d’appello
riteneva, respingendo l’eccezione di prescrizione
sollevata dal datore di lavoro, che «il termine di
prescrizione quinquennale era stato interrotto
dalla notifica del primo ricorso introduttivo del
giudizio del 26 novembre 1999» e poi ancora
«con la richiesta del tentativo obbligatorio di
conciliazione indirizzata anche all’appellante prima della scadenza del quinquennio». Nel merito, confermava l’accoglimento della domanda,
ritenendo che il datore di lavoro avesse «violato
le prescrizioni poste dal D.Lgs. n. 626/1994, art.
33, in materia di collocazione e segnalazione
delle vie di circolazione dei pedoni e dei veicoli,
non potendosi considerare imprevedibile ed abnorme la condotta» della lavoratrice in occasione dell’incidente; inoltre vi era stata «specifica
contestazione delle voci di danno liquidate, sicche´ la determinazione quantitativa di quest’ultimo andava confermata». Il datore di lavoro proponeva quindi ricorso per cassazione per cinque
motivi, lamentando preliminarmente, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione
dell’art. 2943 c.c. in merito alla ritenuta interruzione della prescrizione.
La decisione
Quanto al primo motivo, dopo avere svolto alcune osservazioni in merito all’interpretazione
dell’art. 410-bis c.p.c. (osservazioni condivisibili,
ma non piu` attuali, poiche´ questa norma e` stata
abrogata nel 2010, quando, per effetto della legge n. 183, il tentativo di conciliazione e` ridiventato facoltativo), la S.C. ha rilevato che, invece,
ai sensi del secondo comma dell’art. 410 c.p.c.
(norma pure modificata nel 2010, ma il cui secondo comma, che qui interessa, e` rimasto
uguale e quindi tuttora vigente), per aversi interruzione della prescrizione e` necessario, attesa la
natura recettizia degli atti di interruzione, che la
comunicazione pervenga non solo alla Direzione
provinciale del lavoro ma anche alla controparte
(mediante raccomandata, notifica o altro mezzo
equipollente). E nella fattispecie «la richiesta del
tentativo obbligatorio di conciliazione era stata
indirizzata non solo alla Dpl di Latina, ma anche
alla societa` appellante, come documentato in atti, prima della scadenza del quinquennio e tanto
basta per disattendere la censura, non essendo
precisato alcun elemento che valga ad inficiare
le argomentazioni della Corte del merito riportate e non essendo neanche precisato se la doglianza sia stata ritualmente avanzata nella fase di
DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO n. 30/2014
merito». La Cassazione ha poi ritenuto infondati
anche gli altri motivi ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese.
I precedenti
In senso conforme, sulla necessita` che, per determinare l’effetto interruttivo della prescrizione, la
richiesta del tentativo di conciliazione debba pervenire (anche) alla controparte, la sentenza in
esame richiama espressamente l’insegnamento
di Cass., sez. lav., 21 gennaio 2004, n. 967, in
Mass. foro it., 2004, 55 s. (per la quale «deve ritenersi che, ai fini dell’espletamento del tentativo
di conciliazione, il quale ai sensi dell’art. 412 c.p.c.
costituisce condizione di procedibilita` della domanda, sia sufficiente, in base a quanto disposto
dall’art. 410-bis c.p.c., la presentazione della richiesta all’organo istituito presso le Direzioni
provinciali del lavoro, considerandosi comunque
espletato il tentativo di conciliazione decorsi sessanta giorni dalla presentazione, a prescindere
dall’avvenuta comunicazione della richiesta stessa
alla controparte. Tale comunicazione e` invece
necessaria, ai sensi dell’art. 410, comma 2, c.p.c.,
perche´ si verifichi la interruzione della prescrizione e la sospensione, per il periodo ivi indicato, di
ogni termine di decadenza»), e Cass., sez. lav., 18
ottobre 2005, n. 20153, ivi, 2005, 606 s. Su analoghe posizioni si possono anche aggiungere
Cass., sez. lav., 16 marzo 2009, n. 6336, in Lav.
giur., 2010, 255 ss., con commento di Ferruggia;
Cass., sez. lav., 15 maggio 2006, n. 21116, in
Riv. it. dir. lav., 2007, I, 188 ss., con nota di Pardini
(secondo cui «la mera presentazione della richiesta di espletamento della procedura obbligatoria
di conciliazione presso la Direzione provinciale
del lavoro, in assenza della sua comunicazione
al datore di lavoro, non puo` avere gli effetti interruttivi della prescrizione indicati dall’art. 410 c.p.c.,
poiche´ quest’ultimo riconnette esplicitamente
detti effetti alla «comunicazione» dell’atto alla
controparte, e non gia` alla sua «presentazione»
alla Commissione di conciliazione»); Cass., sez.
lav., 19 aprile 2006, n. 9048, in Mass. giust. civ.,
2006, 728; C. app. Milano, 4 maggio 2001, in
Giur. lav., 2001, 1100 (che ha pure precisato
che, anche se, «in linea di principio, l’atto interruttivo della prescrizione deve essere sottoscritto
dal creditore», la richiesta del tentativo di conciliazione puo` produrre tale effetto interruttivo anche se e` sottoscritta da un rappresentante sindacale, essendo qui applicabili anche «le norme
speciali di cui agli art. 410, commi 1 e 2, c.p.c.,
la prima laddove prevede che il tentativo possa
essere promosso anche tramite l’organizzazione
sindacale cui il lavoratore aderisce, la seconda
che stabilisce che la comunicazione alla controparte della richiesta interrompe la prescrizione»).
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