La prevalenza delle norme comunitarie in materia tributaria a cura di

IL PROCESSO TRIBUTARIO
La prevalenza delle norme
comunitarie in materia tributaria
e loro effetti sul contenzioso.
Alessandro Savorana
9 febbraio 2015
“LA COMUNITA ECONOMICA EUROPEA COSTITUISCE UN ORDINAMENTO GIURIDICO DI NUOVO GENERE NEL
CAMPO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE A FAVORE DEL QUALE GLI STATI MEMBRI HANNO RINUNZIATO, SE
PURE IN SETTORI LIMITATI, AI LORO POTERI SOVRANI ED AL QUALE SONO SOGGETTI NON SOLTANTO GLI
STATI MEMBRI, MA PURE I LORO CITTADINI .
IL DIRITTO COMUNITARIO, INDIPENDENTEMENTE DALLE NORME EMANATE DAGLI STATI MEMBRI, NELLO
STESSO MODO IN CUI IMPONE AI SINGOLI DEGLI OBBLIGHI, ATTRIBUISCE LORO DEI DIRITTI SOGGETTIVI . TALI
DIRITTI SORGONO NON SOLTANTO ALLORCHE IL TRATTATO ESPRESSAMENTE LI MENZIONA, MA ANCHE
QUALE CONTROPARTITA DI PRECISI OBBLIGHI CHE IL TRATTATO IMPONE AI SINGOLI, AGLI STATI MEMBRI ED
ALLE ISTITUZIONI COMUNITARIE .
SECONDO LO SPIRITO E LA STRUTTURA DEL TRATTATO, L' ARTICOLO 12 HA VALORE PRECETTIVO ED
ATTRIBUISCE AI SINGOLI DEI DIRITTI SOGGETTIVI CHE I GIUDICI NAZIONALI SONO TENUTI A TUTELARE.”
SENTENZA DELLA CORTE DEL 5 FEBBRAIO 1963. VAN GEND EN LOOS - CAUSA 26/62
“A DIFFERENZA DEI COMUNI TRATTATI INTERNAZIONALI, IL TRATTATO CEE HA ISTITUITO UN PROPRIO ORDINAMENTO
GIURIDICO, INTEGRATO NELL' ORDINAMENTO GIURIDICO DEGLI STATI MEMBRI ALL' ATTO DELL' ENTRATA IN VIGORE DEL
TRATTATO E CHE I GIUDICI NAZIONALI SONO TENUTI AD OSSERVARE . ISTITUENDO UNA COMUNITA SENZA LIMITI DI
DURATA, DOTATA DI PROPRI ORGANI, DI PERSONALITA, DI CAPACITA GIURIDICA, DI CAPACITA DI RAPPRESENTANZA SUL
PIANO INTERNAZIONALE, ED IN ISPECIE DI POTERI EFFETTIVI PROVENIENTI DA UNA LIMITAZIONE DI COMPETENZA O DA UN
TRASFERIMENTO DI ATTRIBUZIONI DEGLI STATI ALLA COMUNITA, QUESTI HANNO LIMITATO, SIA PURE IN CAMPI
CIRCOSCRITTI, I LORO POTERI SOVRANI E CREATO QUINDI UN COMPLESSO DI DIRITTO VINCOLANTE PER I LORO CITTADINI E
PER LORO STESSI
TALE INTEGRAZIONE NEL DIRITTO DI CIASCUNO STATO MEMBRO DI NORME CHE PROMANANO DA FONTI COMUNITARIE E,
PIU IN GENERALE, LO SPIRITO E I TERMINI DEL TRATTATO, HANNO PER COROLLARIO L' IMPOSSIBILITA PER GLI STATI DI FAR
PREVALERE, CONTRO UN ORDINAMENTO GIURIDICO DA ESSI ACCETTATO A CONDIZIONE DI RECIPROCITA, UN
PROVVEDIMENTO UNILATERALE ULTERIORE, IL QUALE PERTANTO NON E OPPONIBILE ALL' ORDINAMENTO STESSO .
SCATURITO DA UNA FONTE AUTONOMA, IL DIRITTO NATO DAL TRATTATO NON POTREBBE, IN RAGIONE APPUNTO DELLA
SUA SPECIFICA NATURA, TROVARE UN LIMITE IN QUALSIASI PROVVEDIMENTO INTERNO SENZA PERDERE IL PROPRIO
CARATTERE COMUNITARIO E SENZA CHE NE RISULTASSE SCOSSO IL FONDAMENTO GIURIDICO DELLA STESSA COMUNITA
IL TRASFERIMENTO, EFFETTUATO DAGLI STATI A FAVORE DELL' ORDINAMENTO GIURIDICO COMUNITARIO, DEI DIRITTI E
DEGLI OBBLIGHI CORRISPONDENTI ALLE DISPOSIZIONI DEL TRATTATO IMPLICA QUINDI UNA LIMITAZIONE DEFINITIVA DEI
LORO POTERI SOVRANI ”
SENTENZA DELLA CORTE DEL 15 luglio 1964. Costa/Enel - CAUSA 6/64
“L ' APPLICABILITA DIRETTA DEL DIRITTO COMUNITARIO SIGNIFICA CHE LE SUE NORME DEVONO ESPLICARE PIENAMENTE I
LORO EFFETTI , IN MANIERA UNIFORME IN TUTTI GLI STATI MEMBRI , A PARTIRE DALLA LORO ENTRATA IN VIGORE E PER
TUTTA LA DURATA DELLA LORO VALIDITA . LE DISPOSIZIONI DIRETTAMENTE APPLICABILI SONO UNA FONTE IMMEDIATA DI
DIRITTI E DI OBBLIGHI PER TUTTI COLORO CH ' ESSE RIGUARDANO , SIANO QUESTI GLI STATI MEMBRI OVVERO I SINGOLI ,
SOGGETTI DI RAPPORTI GIURIDICI DISCIPLINATI DAL DIRITTO COMUNITARIO . QUESTO EFFETTO RIGUARDA ANCHE TUTTI I
GIUDICI CHE , ADITI NELL ' AMBITO DELLA LORO COMPETENZA , HANNO IL COMPITO , IN QUANTO ORGANI DI UNO STATO
MEMBRO , DI TUTELARE I DIRITTI ATTRIBUITI AI SINGOLI DAL DIRITTO COMUNITARIO .
IN FORZA DEL PRINCIPIO DELLA PREMINENZA DEL DIRITTO COMUNITARIO , LE DISPOSIZIONI DEL TRATTATO E GLI ATTI DELLE
ISTITUZIONI , QUALORA SIANO DIRETTAMENTE APPLICABILI , HANNO L ' EFFETTO , NEI LORO RAPPORTI COL DIRITTO
INTERNO DEGLI STATI MEMBRI , NON SOLO DI RENDERE ' IPSO JURE ' INAPPLICABILE , PER IL FATTO STESSO DELLA LORO
ENTRATA IN VIGORE , QUALSIASI DISPOSIZIONE CONTRASTANTE DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE PREESISTENTE , MA
ANCHE - IN QUANTO DETTE DISPOSIZIONI E DETTI ATTI FANNO PARTE INTEGRANTE , CON RANGO SUPERIORE RISPETTO ALLE
NORME INTERNE , DELL ' ORDINAMENTO GIURIDICO VIGENTE NEL TERRITORIO DEI SINGOLI STATI MEMBRI - DI IMPEDIRE LA
VALIDA FORMAZIONE DI NUOVI ATTI LEGISLATIVI NAZIONALI , NELLA MISURA IN CUI QUESTI FOSSERO INCOMPATIBILI CON
NORME COMUNITARIE .
IL GIUDICE NAZIONALE , INCARICATO DI APPLICARE , NELL ' AMBITO DELLA PROPRIA COMPETENZA , LE DISPOSIZIONI DI
DIRITTO COMUNITARIO , HA L ' OBBLIGO DI GARANTIRE LA PIENA EFFICACIA DI TALI NORME , DISAPPLICANDO ALL '
OCCORRENZA , DI PROPRIA INIZIATIVA , QUALSIASI DISPOSIZIONE CONTRASTANTE DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE , ANCHE
POSTERIORE , SENZA DOVERNE CHIEDERE O ATTENDERE LA PREVIA RIMOZIONE IN VIA LEGISLATIVA O MEDIANTE QUALSIASI
ALTRO PROCEDIMENTO COSTITUZIONALE .”
SENTENZA DELLA CORTE DEL 9 MARZO 1978. SIMMENTHAL- CAUSA 106/77
“Il diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che il giudice
nazionale chiamato a dirimere una controversia vertente sul diritto
comunitario, qualora ritenga che una norma di diritto nazionale sia l’unico
ostacolo che gli impedisce di pronunciare provvedimenti provvisori, deve
disapplicare detta norma.”
Caso Factortame (sentenza 19 giugno 1990, causa C- 213/89) e caso Brasserie du Pecheur (sentenza
5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 E C-48/93).
Definizione di primato del diritto comunitario
Il primato del diritto comunitario si sostanzia nella prevalenza di quest’ultimo sulle norme interne con
esso contrastanti, sia precedenti che successive e quale ne sia il rango, anche costituzionale.
In pratica, la norma interna contrastante con una norma comunitaria provvista di efficacia diretta non
può essere applicata ovvero deve essere disapplicata, con la conseguenza che il rapporto resta
disciplinato, per quanto di ragione, dalla sola norma comunitaria.
La giurisprudenza comunitaria ha costantemente affermato che “il giudice nazionale ha l’obbligo di
applicare integralmente il diritto comunitario e di dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce,
disapplicando di conseguenza la norma interna confliggente, sia anteriore che successiva a quella
comunitaria”.
Il principio della preminenza del diritto comunitario impone non solo al giudice ma allo Stato membro
nel suo insieme, dunque a tutte le sue articolazioni, ivi comprese le amministrazioni, di dare piena
efficacia alla norma comunitaria e, in caso di conflitto di una norma nazionale con una norma
comunitaria provvista di effetto diretto, di disapplicarla.
Definizione di primato del diritto comunitario
Principali sentenze della Corte Costituzionale sul rapporto tra diritto comunitario e diritto interno:
•
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sentenza Costa c. Enel;
sentenza Frontini;
sentenza Industrie Chimiche;
sentenza Granital;
ordinanza n. 103/08.
La legge costituzionale 8 marzo 2001 ha modificato il Titolo V della parte seconda della Costituzione, in
particolare introducendo una novità di assoluto rilievo nell’art. 117, primo comma: “La potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto [...] dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”.
In tal modo viene dato un rilievo costituzionale alla partecipazione dell’Italia al processo di integrazione
europeo, imponendo al legislatore statale e regionale il rispetto del diritto comunitario, senza mettere in
discussione la soluzione fornita in precedenza dalla Corte Costituzionale in relazione all’art. 11 Cost.
Definizione di primato del diritto comunitario
La Corte costituzionale ha affermato che anche le norme contenute nelle direttive comunitarie provviste di
efficacia diretta, vale a dire sufficientemente chiare, precise e suscettibili di efficacia immediata, possono essere
fatte valere dai singoli direttamente dinanzi ai giudici nazionali nel confronti dello Stato membro inadempiente
(Corte Costituzionale, sentenza 1 aprile 1991, n. 168).
La Corte costituzionale, nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale, è legittimata a
proporre questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE davanti alla Corte di giustizia, poiché in tali giudici essa,
pur nella sua peculiare posizione di supremo organo di garanzia costituzionale nell’ordinamento interno,
costituisce una giurisdizione nazionale (in quanto contro le sue decisioni – per il disposto dell’ art. 137, terzo
comma, Cost. – non è ammessa alcuna impugnazione).
Di conseguenza, ove nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale non fosse possibile
effettuare il rinvio pregiudiziale di cui all’art. 234 del Trattato CE, risulterebbe leso il generale interesse alla
uniforme applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte di giustizia CE. (Corte
Costituzionale, ordinanza 15.04.2008, n. 103)
Fonti del diritto comunitario
•
fonti di diritto primario: comprendono i Trattati istitutivi delle tre Comunità, gli atti di modifica degli
stessi, i Trattati di adesione di nuovi Stati membri, gli accordi con Stati terzi, nonché i principi generali
del diritto individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia;
• fonti di diritto secondario o derivato : gli atti adottati dalle istituzioni comunitarie in forza dei poteri
loro attribuiti dai Trattati. Questi si distinguono in
• atti tipici, previsti dall’art. 288 TFUE;
• atti atipici, non previsti dai Trattati, ma adottati, nella prassi, dalle istituzioni comunitarie.
Nell’ambito degli atti tipici si distingue inoltre tra atti vincolanti (regolamenti, direttive e decisioni) e
atti non vincolanti (raccomandazioni e pareri).
Anche le pronunce della Corte di Giustizia (o del Tribunale di primo grado) hanno efficacia diretta nel
nostro ordinamento, dal momento che l’interpretazione di una norma comunitaria, resa in una
pronuncia della Corte di Giustizia, ha la stessa immediata efficacia delle disposizioni interpretate. La
nostra Corte costituzionale ha, infatti, chiarito che qualsiasi sentenza che applica o interpreta le norme
dell’UE ha carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario: “la Corte di Giustizia, come
interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze
e, per tal via, ne determina, in definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative
Fonti del diritto comunitario – Atti tipici – Il Regolamento
L’atto che viene menzionato per primo nell’art. 288 del Trattato CE è il regolamento, del quale si dice
che “ha portata generale” ed “è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in
ciascuno degli Stati membri”.
La definizione pone in evidenza tre caratteristiche del regolamento: a) la portata generale; b) il
carattere obbligatorio; c) l’applicabilità diretta, che ne fanno la fonte primaria delle politiche dell’Unione.
L’applicabilità diretta del regolamento significa che senza che sia necessario un intervento del potere
normativo nazionale esso ha validità automatica negli Stati della Comunità e in quanto tale è atto a
conferire diritti e imporre obblighi agli Stati membri, ai loro organi e ai privati, alla stessa stregua della
legge nazionale. “L’applicabilità diretta (ha dichiarato la Corte nella sentenza Simmenthal) va intesa
nel senso che le norme di diritto comunitario devono esplicare la pienezza dei loro effetti, in maniera
uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro
validità “.
Fonti del diritto comunitario – Atti tipici – La Direttiva
La direttiva (art. 288 Trattato CE) è un atto che si rivolge agli Stati membri, e, mentre ha efficacia
vincolante per quanto concerne il risultato da raggiungere, lascia gli organi nazionali liberi nella scelta
delle forme e dei mezzi atti a conseguire il risultato da essa indicato.
A differenza dei regolamenti le direttive non hanno portata generale, ma hanno dei destinatari precisi
negli Stati membri ai quali sono indirizzati e nei confronti dei quali sono vincolanti. Essa “vincola lo
Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la
competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”.
Per queste loro caratteristiche fondamentali, le direttive comportano sempre un procedimento di
normazione articolato in due fasi. Nella prima, lo Stato destinatario è vincolato al raggiungimento di un
determinato risultato. La seconda fase riguarda la trasposizione nel diritto nazionale delle prescrizioni
risultanti dagli obiettivi di tali atti.
Fonti del diritto comunitario – Atti tipici – La Direttiva
Nella sentenza Sace (17-12-1970, causa 33/70,), preparata in una certa misura dalla sentenza Grad (6-10-1970,
causa 9/70), la Corte di giustizia delle Comunità europee elaborò la tesi dell’effetto diretto nei confronti dei
singoli.
Dalla decisione Sace in avanti, la Corte di giustizia, nel quadro della costante evoluzione della sua
giurisprudenza, ha riconosciuto che le direttive destinate a Stati membri sono suscettibili di effetti diretti:
l’effetto «utile» di una direttiva sarebbe infatti affievolito se i cittadini dello Stato membro destinatario non
potessero far valere in giudizio la sua efficacia e se i giudici nazionali non potessero prenderla in considerazione
come parte integrante del diritto comunitario. Il vincolo della direttiva – ha precisato successivamente la Corte
– vale anche per gli organi dell’amministrazione non appartenenti allo Stato in senso stretto.
Le condizioni per l’effetto diretto delle direttive, descritte con chiarezza nel caso Van Duyn, sono state precisate
in una serie di sentenze successive: 1) la direttiva deve essere incondizionata e sufficientemente precisa; 2)
deve essere trascorso il termine per la trasposizione in norme interne assegnato agli Stati.
La prima condizione in genere non dà luogo a difficoltà. Quanto alla seconda, vi è da segnalare la sentenza
Emmott, in cui la Corte (5-7-1991, causa C-208/90) ha statuito che i termini di ricorso nazionali per far valere un
diritto creato da una direttiva non decorrono dalla data della legge emanata dallo Stato per trasporla ma, se la
legge non la traspone correttamente, dalla data posteriore in cui è stato emanato un provvedimento di
trasposizione veramente conforme alle prescrizioni della direttiva.
In ogni caso l’efficacia diretta delle direttive riguarda i rapporti verticali, cioè quelli tra i cittadini e lo Stato,
rimanendo esclusi quelli orizzontali, vale a dire dei cittadini tra di loro.
Fonti del diritto comunitario
Il vincolo della prevalenza del diritto comunitario direttiva vale anche per gli organi dell’amministrazione dello
Stato.
Nella Sentenza della Corte di Giustizia del 22 giugno 1989, causa C 103/88, Fratelli Costanzo, la Corte ebbe a
precisare che “…esattamente come il giudice nazionale, la pubblica amministrazione, ivi compresa quella
comunale, ha l' obbligo di applicare …..la direttiva, e di disapplicare le norme nazionali che siano con esso in
contrasto . “
Concludendo : i giudici e gli organi della pubblica amministrazione, compresi quelli dipendenti dagli enti locali,
sono chiamati a conoscere in modo approfondito, oltre alla normativa interna, anche il diritto comunitario.
Qualora il diritto italiano contrasti con il diritto comunitario, ciascun dipendente pubblico, che appartenga
all’ordinamento giudiziario o all’amministrazione pubblica, ha l’obbligo di disapplicare la normativa
domestica, anche se di rango legislativo.
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La prevalenza del diritto comunitario nell’ambito tributario
Tributi comunitari “armonizzati” :
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Imposta sul valore aggiunto
Dazi doganali
Accise
Anche le diverse forme di tassazione dei capitali sono state armonizzate con la direttiva 69/335
(unica imposta sui conferimenti, armonizzata per struttura e aliquote, da applicare nello Stato
in cui è situata la direzione effettiva della società; abolizione delle imposte di bollo sui titoli e
soppressione di altre imposte similari), che ha indicato anche i presupposti dell’imposta
(costituzione di società, trasformazione, aumento di capitale o del patrimonio sociale,
trasferimento da paese terzo a Stato membro e fra Stati membri ecc.) e ha proibito
l’applicazione alle società di capitali di altre imposte indirette. Le agevolazioni sono state
progressivamente ampliate e nel 1985 le operazioni di concentrazione (e di fusione, grazie alla
giurisprudenza della Corte di giustizia comunitaria) sono state esentate.
La prevalenza del diritto comunitario nell’ambito tributario
Manca nel Trattato CE un’uguale attenzione alle tematiche relative alle imposte dirette, che sono
regolate autonomamente dagli Stati membri.
L’unico riferimento era rinvenibile nell’art. 293 (ora abrogato dal TFUE), volto a evitare i fenomeni
di doppia imposizione. Tuttavia, in considerazione della rilevanza dei tributi diretti per il corretto
funzionamento del mercato unico, sono state approvate:
•la direttiva sulle riorganizzazioni societarie transfrontaliere (90/43, nota come ‘direttiva
fusioni’), che stabilisce il principio di neutralità fiscale (fusione, scissione, conferimenti di attivo
e scambi di azioni non comportano tassazione delle plusvalenze risultanti dalla differenza tra
valori reali e valori fiscali dei beni) e disciplina il conferimento di una stabile organizzazione;
•la direttiva madre-figlia (90/435), che risolve in ambito comunitario il problema della doppia
imposizione internazionale dei dividendi infragruppo;
•la direttiva 2003/48 in materia di tassazione dei redditi di risparmio sotto forma di interessi,
•la direttiva 2003/49, che disciplina il regime fiscale degli interessi e dei canoni (royalties)
corrisposti da una società ad altre società o stabili organizzazioni di un medesimo gruppo con
sede in Stati membri diversi, sopprimendo l’imposizione alla fonte ed eliminando, in tal modo,
la doppia imposizione.
La prevalenza del diritto comunitario nell’ambito tributario
In realtà, la Corte di Giustizia della comunità europea (ora Corte di giustizia dell’unione europea) ha sempre
precisato che:
“….se la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri,
tuttavia questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto
comunitario”
Sentenze : 4 ottobre 1991, causa C-246/89, Commissione/Regno Unito; 14 febbraio 1995, causa C-279/93,
Schumacker; 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx; 27 giugno 1996, causa C-107/94, Asscher; 15 maggio
1997, causa C-250/95, Futura Participations e Singer; 28 aprile 1998, causa C-118/96, Safir; 16 luglio 1998, causa
C-264/96, Imperial Chemical Industries; 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland, 13 aprile 2000,
causa C-251/98, Baars; 6 giugno 2000, causa C- 35/98, Verkooijen; 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C410/98, Metalgesellschaft; 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lannkhorst- Hohorst Gmbh; e così via…..
La prevalenza del diritto comunitario nell’ambito tributario
In realtà, la Corte di Giustizia della comunità europea (ora Corte di giustizia dell’unione europea) ha sempre
precisato che:
“….se la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri,
tuttavia questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto
comunitario”.
Sentenze : 4 ottobre 1991, causa C-246/89, Commissione/Regno Unito; 14 febbraio 1995, causa C-279/93,
Schumacker; 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx; 27 giugno 1996, causa C-107/94, Asscher; 15 maggio
1997, causa C-250/95, Futura Participations e Singer; 28 aprile 1998, causa C-118/96, Safir; 16 luglio 1998, causa
C-264/96, Imperial Chemical Industries; 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland, 13 aprile 2000,
causa C-251/98, Baars; 6 giugno 2000, causa C- 35/98, Verkooijen; 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C410/98, Metalgesellschaft; 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lannkhorst- Hohorst Gmbh; e così via…..
La prevalenza del diritto comunitario nell’ambito tributario
E’ dunque nel rispetto del diritto comunitario, delle sue libertà fondamentali, che gli Stati devono
attenersi nell’emanare le norme tributarie interne; questo è il passaggio “tecnico”, in linea con
l’affermazione del primato delle disposizioni comunitarie su quelle dei singoli ordinamenti, che ha
consentito alla Corte di Giustizia di decidere di volta in volta i casi sottoposti al suo esame in materia di
fiscalità diretta (e indiretta).
La Corte si è quindi aperta un varco nei regimi fiscali degli Stati membri, riaffermando le garanzie sulla
libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali, sulla libertà di stabilimento e della
cittadinanza comunitaria, in forza del divieto di discriminazione, basato anche sulla cittadinanza o di
misure aventi un effetto equivalente ad una restrizione delle libertà fondamentali, non senza qualche
iniziale difficoltà, ma successivamente consolidando orientamenti che oggi si rivelano di particolare
importanza.
Occorre precisare che, generalmente, la violazione dei diritti sanciti dal Trattato (le libertà
fondamentali) è sollevata in sede di rinvio pregiudiziale, per cui una misura fiscale si ritiene
discriminatoria o comunque contraria ad una o più delle libertà fondamentali garantite dal diritto
comunitario.
La prevalenza del diritto comunitario nell’ambito tributario
Ne consegue che, a seguito delle sentenze della Corte, ogni disposizione fiscale che si presenti contraria o
incompatibile con l’ordinamento comunitario, non potrà essere applicata dal giudice nazionale.
Tali potranno essere, a seconda dei casi, gli ordinamenti degli Stati CE che :
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non riconoscono il “primato” delle norme del “Trattato”
direttamente o indirettamente, ostacolano l’applicazione o l’attuazione dei regolamenti o non
recepiscono le direttive, ovvero le recepiscono in modo incompleto o inadeguato, ledendo gli interessi
dei singoli cittadini;
attuino disposizioni, legislative o amministrative, che non consentano l’esercizio dei diritti garantiti ai
singoli dal Trattato;
escludano o privino i cittadini di un altro Stato UE di una identica parità di trattamento come riservata
ai cittadini del proprio Stato, discriminatorie o restrittive perché fondate sulla cittadinanza;
comunque consentano l’esercizio dei diritti previsti dal diritto comunitario, ma a condizioni gravose
(quindi non proporzionate), se non addirittura “impossibili”;
attuino norme, o misure equivalenti, che hanno come effetto una “restrizione” delle quattro libertà
fondamentali sancite dal Trattato, sia nei confronti dei propri cittadini sia di residenti in altri Stati UE.
Gli effetti delle sentenze della Corte di Giustizia della comunità europea
La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:
a) sull'interpretazione dei trattati;
b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi
dell'Unione.
Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri,
tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo
punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.
Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale
nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo
giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio
pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la
Corte statuisce il più rapidamente possibile.
(art. 267 TFUE)
Gli effetti delle sentenze della Corte di Giustizia della comunità europea
Effetti endoprocessuali: la decisione pregiudiziale ha portata vincolante per il giudice del
rinvio, e vincola anche le giurisdizioni di grado superiore chiamate a pronunciarsi sulla
medesima causa.
Il rifiuto, da parte di una giurisdizione nazionale, di tener conto di una sentenza
pregiudiziale può comportare l’apertura di una procedura di infrazione, e sfociare nel
ricorso di inadempimento di cui all’art. 258 TFUE.
La vincolatività di una sentenza interpretativa non impedisce al giudice nazionale di
sollevare un nuovo rinvio alla Corte per chiedere chiarimenti.
Gli effetti delle sentenze della Corte di Giustizia della comunità europea
Effetti extraprocessuali: le sentenze pregiudiziali sono efficaci anche al di fuori del
giudizio principale per due ordini di motivi:
1) le sentenze interpretative, pur originando da una controversia determinata, hanno
carattere astratto, essendo volte a chiarire l’interpretazione e la portata delle
disposizioni UE in questione (PORTATA DICHIARATIVA). L’interpretazione della Corte
dispiega i suoi effetti al di là dell’ambito del litigio principale. Pertanto le sentenze
producono effetti erga omnes, per effetto della portata vincolante delle stesse
disposizioni interpretate.
2) Uno degli obiettivi fondamentali del rinvio pregiudiziale è quello di assicurare
l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione europea. Tale scopo sarebbe frustrato se
le sentenze interpretative della Corte dispiegassero i propri effetti soltanto nella causa a
qua. Pertanto, l’effetto della sentenza pregiudiziale può essere qualificato come
“AUTORITA’ DI COSA INTERPRETATA”
Corte di Giustizia della comunità europea
http://curia.europa.eu/