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CAPITOLO 61
Gherardo Mazziotti
Andrea Giustina
Fisiologia della tiroide
© 2010 ELSEVIER S.R.L. Tutti i diritti riservati.
La tiroide è un organo endocrino posto nella parte anteriore della base del collo, la cui importanza in fisiopatologia è prevalentemente legata alla sua capacità di produrre
gli ormoni tiroidei, T4 o tiroxina e T3 o 3,5,3’-triiodo-Ltironina, fondamentali per il mantenimento dell’omeostasi energetica e per la funzione di numerosi organi e apparati dell’organismo. I due ormoni prodotti differiscono
sul piano biochimico per il contenuto di atomi di iodio
(4 atomi e 3 atomi rispettivamente per T4 e T3).
Metabolismo dello iodio
Lo iodio inorganico (I-) di origine alimentare presente in
circolo è captato e accumulato dalle cellule dei follicoli da
una proteina vettrice situata nella parte baso-laterale della
membrana cellulare in stretto contatto con i vasi capillari,
denominata NIS (Na+ I- symporter), con un meccanismo
attivo ATP-dipendente che richiede energia (pompa dello
iodio). Il trasporto attivo dello iodio è stimolato dalla
tireotropina (TSH) e inibito per azione competitiva da
anioni quali il perclorato, il tiocianato e il pertecnectato.
Tale meccanismo è in grado di mantenere una concentrazione endocellulare di iodio da 20 a 50 volte superiore a
quella del plasma attraverso un trasporto contro gradiente
di concentrazione (c’è sempre più iodio nella tiroide che
in circolo). In tal modo, la ghiandola mantiene adeguata
la sintesi di ormoni tiroidei anche in carenza di iodio,
ossia per basse concentrazioni di iodio plasmatico. Viceversa, quando la concentrazione dell’I- nel plasma aumenta in modo eccessivo la capacità di trasporto dello stesso
nelle cellule tiroidee diminuisce. Il NIS è una proteina
intrinseca della membrana cellulare ed è costituita da 13
domini transmembrana, un terminale aminico extracellulare e un terminale carbossilico intracellulare.
Per essere incorporato negli ormoni tiroidei, l’I- viene dapprima ossidato da un’emoproteina, la perossidasi tiroidea
(TPO), alla presenza di H2O2 nel citoplasma delle cellule
tiroidee (Fig. 61.1). Ilespressione del gene della TPO e la
sua attività trascrizionale sono stimolate dal TSH-cAMP e
inibite da concentrazioni elevate di I-. L’ossidazione avviene a livello della membrana apicale della cellula (si veda
Fig. 61.1). A questo punto è necessario che lo iodio ossidato sia messo in contatto con le molecole di tirosina per
formare i precursori degli ormoni tiroidei MIT (monoiodiotirosina) e DIT (di-iodio-tirosina). Tale reazione, detta di iodinazione (anch’essa sotto il controllo della TPO), avviene
all’interfaccia cellula-colloide, a livello della tireoglobulina
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Malattie
della tiroide
(Tg), grossa molecola glicoproteica principale costituente
della colloide (si veda Fig. 61.1). Quest’ultima è una sostanza
gelatinosa nella quale sono mantenuti in deposito gli ormoni tiroidei. Gli ormoni tiroidei, T3 e T4, si formano per un
processo di coniugazione ossidativa dal MIT e dal DIT (due
DIT formano T4, un MIT e un DIT formano T3) (Fig. 61.2).
Anche quest’ultimo processo è catalizzato dalla TPO.
Nella Tg umana le molecole della T4 raramente eccedono il
numero di 2-3 per mole di Tg e quelle della T3 1 per 5 moli
di Tg. Il rapporto molare T4:T3 nella Tg è quindi di circa
15:1. Aumentando il contenuto di iodio nella Tg aumenta
la percentuale delle iodotirosine rispetto alle iodotironine
e delle molecole più iodate rispetto a quelle meno iodate.
In tal modo la Tg modula la sintesi degli ormoni tiroidei
in rapporto alla disponibilità di iodio.
La Tg iodata si accumula nel lume follicolare, ove rappresenta il 95% delle proteine della colloide e costituisce una
riserva di ormone tiroideo che assicura lo stato di eutiroidismo in assenza di nuova sintesi per almeno due mesi.
Quando vi è la necessità di immissione in circolo di ormoni tiroidei, la Tg è riportata nella cellula per un processo di
endocitosi a livello della membrana apicale; le goccioline
di colloide inglobate nella cellula sono circondate e invase
dai lisosomi contenenti proteasi che digeriscono la proteina liberando gli aminoacidi iodati T4, T3, MIT e DIT (si
veda Fig. 61.1). Questo processo è attivato dal TSH e inibito
dallo I-. Il processo che porta alla formazione degli ormoni
tiroidei è a bassa efficienza, poiché è richiesta la sintesi di
una grossa molecola proteica, la Tg, del peso molecolare
come omodimero di 660 kDa, per generare solo circa tre
molecole di T4 di 777 Da ciascuna.
Degli aminoacidi iodati messi in libertà a seguito dell’idrolisi della Tg, la MIT e la DIT sono in gran parte deiodinate
a opera di un’alchiltirosinasi tiroidea e lo iodio liberato è
quasi interamente riutilizzato per la sintesi degli ormoni
tiroidei (si veda Fig. 61.1). La T4 e la T3 sono increte nel
torrente circolatorio, la T4 essendo l’80-90% della quota
totale. Una parte della T4 è deiodinata a T3 per merito della
5’ desiodasi prima (D1) e dalla 5’ desiodasi seconda (D2)
tiroidee, per cui il rapporto molare T4:T3 nel secreto tiroideo è di circa 11:1. Quotidianamente sono secreti circa
110 nMol di T4 e 10 nMol di T3. La Tg è per la massima
parte trattenuta nella cellula tiroidea e solo una quota
minima passa in circolo.
9
9
Regolazione della secrezione tiroidea
La tiroide produce principalmente T4 (circa 80%) e in quantità molto inferiori T3 (circa 20%). I due ormoni hanno
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Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
Tireoglobulina
Lume
del follicolo
Microvilli
Riutilizzazione
dello iodio
Fusione
Cellula
Proteolisi
Lisosomi
Iodio
intracellulare
Figura 61.1
Biosintesi e
secrezione
degli ormoni
tiroidei. Le tappe
metaboliche ai
punti 1, 2, 3, 5
possono essere
interessate da
difetti enzimatici
con blocco della
biosintesi degli
ormoni tiroidei.
Figura 61.2
Struttura chimica
della tiroxina
(T4), della
triiodotironina
(T3) e della
“reverse T3”
(RT3). In sede
extratiroidea la
T4 è deiodinata
con formazione
di T3 o di RT3 a
seconda che la
deiodinazione
avvenga in
posizione 5’ o 5.
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MIT
DIT
T4
T3
Capillare
1
2
3
4
5
6
Trasporto attivo dello iodio dal circolo all’interno della cellula tiroidea
Ossidazione dello iodio e legame a un residuo tirosinico della tireoglobulina
Accoppiamento di due residui a formare T4 e T3
Riassorbimento della colloide e proteolisi della tireoglobulina
Deiodinazione delle iodotirosine (MIT e DIT)
Liberazione in circolo di T3 e T4
3’ l
HO
5’ l
l
HO
3 l
O
5 l
CH 2CHCOOH
NH 2
l
l
CH2CHCOOH
O
l
3,5,3’ triiodotironina (T3)
3,5,3’,5’ tetraiodotironina (tiroxina) (T4)
NH2
HO
l
O
CH2CHCOOH
NH2
l
3,3’,5’ triiodotironina (RT3)
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Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
un differente ruolo biologico, essendo la T3 l’ormone biologicamente attivo e fungendo la T4 da precursore. I due
ormoni hanno differente concentrazione plasmatica, con
valori di T4 maggiori di quelli di T3 (frazione libera della
T4, range di normalità 8-18 pg/mL; frazione libera della
T3, range di normalità 2,5-5 pg/mL). Tra l’altro la maggior parte della T3 circolante (circa 80%) è derivante dal
metabolismo periferico della T4. Infine, il rapporto T4/T3
può essere modificato in condizioni di iperfunzione o
iperstimolazione ghiandolare (Fig. 61.3).
La produzione e la secrezione di T4 e T3 da parte della
tiroide sono regolate essenzialmente mediante due meccanismi, uno rappresentato dal TSH (controllo endocrino), inteso a mantenere costante la concentrazione degli
ormoni tiroidei nel sangue, e l’altro intrinseco tiroideo,
inteso a mantenere costante la scorta di ormone nella
tiroide nonostante variazioni dell’apporto di iodio (autoregolazione della funzione tiroidea).
Le cellule tireotrope ipofisarie producono e rilasciano TSH
primariamente controllate dalla stimolazione tonica ipotalamica tramite l’ormone rilasciante il TSH (TRH) e dall’inibizione a feedback negativo esercitata dagli ormoni tiroidei
(si veda il Capitolo 60). Il controllo della sintesi del TRH è
essenzialmente legato al feedback negativo esercitato dagli
ormoni tiroidei. L’azione di controregolazione degli ormoni tiroidei è esercitata dalle frazioni libere degli ormoni
tiroidei. In particolare è la T3 ad agire a livello recettoriale.
La T4 circolante viene convertita in T3 dalle desiodasi presenti nelle cellule ipofisarie e ipotalamiche. La T3 inibisce
direttamente la sintesi di TRH a livello ipotalamico, mentre a livello ipofisario l’effetto inibitorio si esplica sia con
un meccanismo diretto sulle cellule tireotrope riducendo
la produzione di TSH sia indirettamente diminuendo la
responsività delle stesse cellule al TRH. Il freddo, tramite
l’attivazione del sistema catecolaminergico, aumenta il
cAMP cellulare e quindi la sintesi di TRH (così si spiega il
brusco aumento del TSH circolante che si ha alla nascita),
i glucocorticoidi e la somatostatina e alcune citochine ne
inibiscono la sintesi. Dopo la secrezione nel sistema portale
ipotalamo-ipofisario, il TRH raggiunge l’ipofisi, ove è fissato
da recettori specifici della membrana citoplasmatica delle
cellule tireotrope. Tali recettori appartengono alla famiglia
dei recettori accoppiati con le proteine G, il cui sistema
trasduzionale è legato all’idrolisi del fosfatidilinositolo 4-5
bifosfato, all’aumento del calcio intracellulare e all’attivazione della protein-chinasi C. Il TRH stimola la sintesi e la
secrezione di TSH e probabilmente regola i processi posttraduzionali che portano alla sintesi di TSH biologicamente
attivo, dal momento che in pazienti affetti da ipotiroidismo
terziario, ossia da deficit di TRH ipotalamico, si trova in
circolo TSH con ridotta bioattività. Il TRH, inoltre, agisce
a livello delle cellule tireotrope dell’ipofisi modulando la
soglia di sensibilità (set-point) del meccanismo di controregolazione negativo TSH-ormoni tiroidei.
Il TSH è una glicoproteina secreta dalle cellule tireotrope
ipofisarie con peso molecolare di 28.000 Dalton, composta da due subunità ␣ e ␤ legate in modo non covalente:
ha una struttura comune agli altri ormoni glicoproteici
(LH, FSH, β-hCG). La subunità ␣ è comune a tutti e quattro gli ormoni, la subunità ␤ è invece peculiare e conferisce la specifica attività biologica. L’azione del TSH inizia
con il legame al suo recettore specifico (TSHR). Il TSHR è
presente in modo consistente sulla membrana citoplasmatica della parte basale di tutte le cellule follicolari. Esso è
codificato da un gene localizzato sul cromosoma 14 q13
ed è costituito da un’unica catena composta da un lungo
dominio extracellulare amino-terminale (397 residui aminoacidici) che lega il TSH, da un dominio intramembrana
che attraversa sette volte la membrana cellulare in tutto il
suo spessore, ripiegandosi a formare tre piccole anse e un
breve dominio intracellulare carbossiterminale. Il TSHR
è connesso con il pathway trasduzionale del c-AMP. Per
questa via il TSH attiva la protein-chinasi A e aumenta
la produzione di specifici fattori tiroidei di trascrizione,
modulando l’espressione e la trascrizione dei geni che
codificano il NIS, la TPO, la Tg e il TSHR. Caratteristica
del TSHR è quella di non presentare desensibilizzazione
omologa, dal momento che la sua continua stimolazione
da parte del TSH o degli anticorpi tireostimolanti induce
iperplasia e iperfunzione tiroidea.
Oltre ai meccanismi endocrini precedentemente descritti
esiste anche un meccanismo di autoregolazione della funzione tiroidea (presente anche dopo ipofisectomia) legato
al contenuto intraghiandolare di iodio. Infatti, in caren-
1361
9
300 μg/die
90 μg/die
20 μg/dL
10 μg/dL
T4
T4 / T3= 10
25
T3
Siero
T4
Siero
100
T3
100 ng/dL
30 μg/die
5 = T4 / T3
500 ng/dL
200 μg/die
Figura 61.3
Rapporto T4:T3
nella ghiandola
tiroidea e nel
circolo ematico
dei soggetti
eutiroidei e dei
pazienti con
ipertiroidismo.
Le aree in
grigio indicano
la quantità di
T4 trasformate
in T3 in sede
extratiroidea.
(Da: da Kaplan e Utiger, 1978, modificata.)
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Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
za moderata o a breve termine di iodio si ha un aumento della captazione dello I-, della velocità di sintesi degli
ormoni tiroidei, della sintesi della T3 rispetto alla T4, della
deiodinazione intratiroidea della T4 con formazione di T3
e della conservazione intratiroidea dello iodio. Fintanto
che questi meccanismi di adattamento sono adeguati, i
livelli della T4 nel siero si mantengono ai limiti inferiori
della norma e quelli della T3 ai limiti superiori, e i livelli di
TSH sono ancora normali. La produzione preferenziale di
T3, quindi, mantiene uno stato di eutiroidismo. Quando la
carenza di iodio è grave e prolungata, i livelli normali degli
ormoni tiroidei circolanti sono mantenuti solo a prezzo di
un aumento del TSH e dell’iperplasia tiroidea. Nei soggetti
eutiroidei con tiroidi intrinsecamente normali, l’assunzione
di iodio in dosi moderate non determina deviazioni dalla
norma della concentrazione sierica degli ormoni tiroidei,
mentre l’assunzione di dosi elevate di iodio determina a
breve termine una transitoria e modesta diminuzione degli ormoni tiroidei circolanti e un modesto aumento del
TSH che, tuttavia, rimangono nei limiti di norma. Queste
modifiche sono il risultato di un blocco transitorio sia della
secrezione ormonale (per blocco del riassorbimento della Tg
dalla colloide e della liberazione degli ormoni tiroidei dalla
Tg) sia dell’organificazione dello iodio e della formazione
degli ormoni tiroidei. Quest’ultimo effetto (effetto acuto
di Wolff-Chaikoff) è dovuto allo stabilirsi entro la tiroide
di un’elevata concentrazione di I- che porta all’inibizione
della sintesi della TPO e della Tg. Quando l’assunzione di
dosi elevate di iodio è prolungata (superiore ai 7-10 giorni),
la tiroide sfugge all’effetto inibitorio dello iodio. Questo
fenomeno di sfuggita è dovuto alla contemporanea diminuzione della captazione di I- (dovuto alla inibizione della
sintesi del NIS), per cui la concentrazione intratiroidea dello
I- diminuisce e diviene insufficiente a mantenere il blocco
di Wolff-Chaikoff. Questa sfuggita è dunque conseguenza
dell’autoregolazione tiroidea sul trasporto degli I- nei tireociti e previene lo sviluppo del gozzo e dell’ipotiroidismo
nei soggetti normali.
Trasporto e metabolismo degli ormoni tiroidei
Gli ormoni tiroidei, essendo praticamente insolubili in acqua, sono quasi interamente veicolati nel plasma da proteine vettrici e solo in minima parte sono liberi. Tali proteine
sono: la globulina legante la T4 (TBG), la transtiretina (TTR)
o frazione prealbuminica legante la T4 (TBPA) e l’albumina.
Tutte queste proteine sono sintetizzate dal fegato. Esse legano con legame non covalente gli ormoni tiroidei in complessi più o meno facilmente dissociabili. La TBG (codificata
da un gene localizzato sul cromosoma X) lega circa il 70%
della T4 circolante con elevata affinità, la TTR circa il 15%
con minore affinità. La frazione libera della T4 circolante
(FT4) è di circa lo 0,02%. La T3 è legata per l’80% dalla TBG e
per circa il 5% dalla TTR; la quota libera (FT3) è circa lo 0,3%.
Le quote di T4 e di T3 non legate dalla TBG e dalla TTR sono
complessate con l’albumina. La FT4 e la FT3 sono in grado di
entrare nelle cellule. Il complesso ormoni tiroidei-proteine
leganti è un serbatoio che consente la rapida fornitura di
ormone in rapporto alle immediate necessità metaboliche
dei vari tessuti. Variazioni quantitative delle proteine leganti
o della loro affinità per gli ormoni tiroidei determinano
variazioni nello stesso senso della T4 e/o della T3 totali, ma
non delle loro frazioni libere, e quindi in presenza di una
funzione conservata dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide non
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determinano effetti biologici significativi. Un aumento della
TBG si osserva nella gravidanza, nel neonato, nella terapia
con estrogeni e in epatopatie acute e croniche. In questi
casi, la minore disponibilità periferica di T4 causa aumento
del TSH (per ridotto feedback negativo da parte della T3),
incremento compensatorio della secrezione degli ormoni
tiroidei e della saturazione delle proteine di legame e ripristino di normali frazioni libere. Diminuzione della TBG si
ha per effetto degli androgeni, nella sindrome nefrosica,
in una forma familiare recessiva legata al sesso. Aumento
dell’affinità della albumina per la T4 occorre nell’ipertiroxinemia familiare disalbuminemica, trasmessa come carattere
autosomico dominante.
Nelle cellule la T4, che è il pro-ormone, è deiodinata a T3, che
è l’ormone attivo, mediante monodeiodinazione dell’anello
esterno (5’-deiodinazione) che è catalizzata dalle desiodasi
D1 e D2. La D1 si trova nella maggior parte dei tessuti (in
concentrazione elevata nella tiroide, nel fegato, nel rene) e
la sua attività varia contestualmente con la concentrazione
nel plasma della T4 ed è inibita dal propiltiouracile. La D2 si
trova in pochi tessuti (principalmente nel sistema nervoso
centrale, nell’ipofisi, nel tessuto adiposo bruno) e la sua
attività è inversamente proporzionale alla concentrazione
nel plasma della T4 (in modo da mantenere costante la
concentrazione endocellulare della T3 anche per deviazioni importanti dalla norma della T4 circolante) e non è
inibita dal propiltiouracile. Nelle cellule ha luogo anche la
deiodinazione dell’anello interno della T4 e della T3 (5-deiodinazione), catalizzata principalmente dalla 5-desiodasi
(D3), che porta all’inattivazione della T4 a reverse T3 (rT3)
(si veda Fig. 61.2) e della T3 a diiodotironina.
Meccanismo di azione e ruolo fisiologico
degli ormoni tiroidei
La T3 è trasportata e concentrata nel nucleo delle cellule
ove è legata da recettori liberi specifici (TR) che appartengono alla superfamiglia dei recettori nucleari, i quali
legano in varia forma gli steroidi sessuali, la vitamina
D e l’acido retinoico, oltre che la T3. Due distinti geni,
THRA e THRB (codificanti rispettivamente i TR␣ e i TR␤)
producono varie isoforme di TR, tra cui i recettori dotati
di funzione (TR␣1, TR␤1 e TR␤2). Ciascun recettore ha
un sito per il legame con il DNA e un sito distinto per
legare la T3. Il complesso T3-TR, previa dimerizzazione del
recettore e interazione con fattori di trascrizione (ossia
legando coattivatori e dissociandosi da corepressori), si
lega al DNA, attivando la trascrizione a livello del gene
bersaglio e quindi la sintesi di proteine necessarie perché
si manifesti l’effetto fisiologico della T3 nella cellula.
Numerosi sono gli organi bersaglio degli ormoni tiroidei
e questo spiega la ricchezza del quadro sintomatologico
presente nelle alterazioni funzionali tiroidee. Tuttavia,
si possono identificare tre aree maggiori in cui il ruolo
fisiologico degli ormoni tiroidei è fondamentale:
• sistema nervoso centrale (SNC): gli ormoni tiroidei
sono necessari per lo sviluppo (fetale e neonatale) e
per le funzioni (adulto) dell’SNC;
• apparato cardiovascolare: gli ormoni tiroidei
esercitano un effetto diretto sul miocardio
aumentando l’inotropismo. Inoltre, gli ormoni
tiroidei potenziano l’azione delle catecolamine
sull’apparato cardiovascolare attraverso un effetto
favorente l’azione dei recettori ␤2;
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Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
1363
Figura 61.4
Palpazione
della ghiandola
tiroidea.
• metabolismo intermedio: gli ormoni tiroidei hanno
un’azione prevalentemente catabolica (lipolitica)
finalizzata alla produzione di energia (aumento
del consumo di ossigeno).
Semeiotica della tiroide
La tiroide è una ghiandola impari, costituita da due lobi
laterali riuniti da una porzione trasversale definita istmo.
Tale ghiandola è localizzata alla base del collo e in condizioni di normalità non è apprezzabile all’ispezione. Il
momento fondamentale dell’esame obiettivo tiroideo è
rappresentato dalla palpazione. La palpazione della ghiandola tiroidea viene eseguita con l’operatore posto alle spalle del paziente, utilizzando l’indice, il medio e l’anulare
di entrambe le mani (Fig. 61.4). Durante la palpazione
si invita il paziente a deglutire al fine di poter attribuire
eventuali tumefazioni alla pertinenza tiroidea: infatti, vi
possono essere masse nel collo che appartengono ad altre
strutture (esempio linofonodi, cisti mediane). La tiroide
e masse di derivazione tiroidea si spostano verso l’alto e
si abbassano successivamente muovendosi consensualmente alla trachea e alla laringe durante la deglutizione.
La palpazione consente di delimitare i lobi tiroidei e la
regolarità della loro superficie, di valutarne la consistenza e di apprezzare l’eventuale presenza di dolorabilità.
Particolare importanza riveste la palpazione nell’identificazione dei noduli tiroidei e nella loro caratterizzazione
sul piano delle dimensioni e dei rapporti con le strutture
circostanti (si veda oltre, Nodulo tiroideo). Nei pazienti
con ipertiroidismo l’esame obiettivo tiroideo può essere
9
completato con l’auscultazione, che permette di apprezzare la presenza di un soffio parenchimale, espressione di
un’ipervascolarizzazione.
Patologia tiroidea
Le malattie della tiroide possono essere schematicamente
(anche se clinicamente ciò, come si vedrà, non sempre è
possibile) suddivise, in base all’atteggiamento funzionale
della ghiandola, in malattie caratterizzate da un aumento
in circolo degli ormoni tiroidei (tireotossicosi), da una
ridotta funzionalità della tiroide (ipotiroidismo) oppure
da livelli circolanti di ormoni tiroidei nel range di norma
(eutiroidismo).
Malattie caratterizzate da tireotossicosi
Per tireotossicosi si intende una condizione patologica
caratterizzata da un eccesso di ormoni tiroidei in circolo.
Schematicamente, le tireotossicosi possono essere suddivise in tireotossicosi causate da iperfunzione ghiandolare
(con ipertiroidismo) e tireotossicosi senza iperfunzione
ghiandolare (Tab. 61.1). A loro volta, gli ipertiroidismi
possono essere classificati come primitivi (quando causati da una patologia a carico della ghiandola tiroidea) o
secondari (quando la tiroide è normale ma è bersaglio di
un’iperstimolazione da parte del TSH o sostanze simili).
Le forme di gran lunga più frequenti di ipertiroidismo
sono la malattia di Graves-Basedow, la malattia di Plummer e il gozzo multinodulare tossico, e verranno discusse
in dettaglio.
TIREOTOSSICOSI CON IPERTIROIDISMO
Malattia di Graves-Basedow (gozzo tossico
diffuso o ipertiroidismo primitivo autoimmune)
Definizione ed epidemiologia
Per più di un secolo questa malattia è stata chiamata,
nell’Europa continentale, morbo di Basedow, dal nome
del clinico tedesco Karl Anton von Basedow che la descrisse nel 1840. Dopo la seconda guerra mondiale si è sempre
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più diffuso soprattutto nei Paesi anglosassoni l’eponimo
di malattia di Graves, dal nome del medico irlandese Robert James Graves, che la descrisse a sua volta nel 1853.
Si tratta di una malattia autoimmune caratterizzata da
un’aumentata produzione di ormoni tiroidei da parte
della ghiandola tiroidea, che appare aumentata di volume
in toto sotto l’effetto di anticorpi in grado di stimolare la
crescita e la funzione delle cellule tiroidee attraverso l’attivazione incontrollata del recettore del TSH. La malattia
di Graves-Basedow va inquadrata nel capitolo più ampio
delle malattie autoimmuni tiroidee, che comprendono
anche la malattia di Hashimoto, la tiroidite silente, la
tiroidite post partum. Queste entità cliniche riconoscono un’unica genesi autoimmunitaria ma con peculiarità
immunologiche che determinano una differente espressione clinica.
La malattia di Graves-Basedow ha una prevalenza nella
popolazione generale dello 0,5% ed è responsabile del
50-80% delle forme di tireotossicosi, con percentuali variabili nelle diverse aree geografiche (più frequente nelle
aree a normale apporto iodico). Predilige il sesso femminile, con un rapporto M:F di 1:5-1:10, un’incidenza di circa
1 caso su 1000 donne all’anno e una prevalenza del 2%
nella popolazione femminile in generale. Può comparire
a qualsiasi età, con un picco di incidenza nelle donne in
età fertile (20-40 anni).
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Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
Tabella 61.1 Classificazione fisiopatologica
delle tireotossicosi
Tireotossicosi con
ipertiroidismo
Primitive
– Malattia di Basedow
– Gozzo uninodulare tossico
(malattia di Plummer)
– Gozzo multinodulare
tossico
Tireotossicosi senza
ipertiroidismo
Tireotossicosi infiammatorie
autoimmuni
– Tiroidite silente
– Tiroidite post partum
Tireotossicosi infiammatorie
virali
– Tiroidite subacuta
di De Quervain
Tireotossicosi esogene
– Tireotossicosi factitia
– Tireotossicosi iatrogena
Secondarie
– Adenoma TSH-secernente
– Tumori secernenti ␤-hCG
Eziologia
Come in tutte le malattie autoimmuni, è presente una
predisposizione genetica sulla quale agiscono fattori ambientali ed endogeni. È presente un 35% di concordanza
tra gemelli omozigoti ed è stato calcolato che la predisposizione genetica può determinare per il 79% lo sviluppo
della malattia. Non esiste un gene unico responsabile della
malattia, ma la suscettibilità a sviluppare la malattia di
Graves-Basedow deriva dall’associazione e interazione di
differenti loci genetici, tra i quali vanno annoverati quelli
del sistema HLA (DR3, DQA10501) e il CTLA-4, quest’ultimo un gene che codifica per una proteina coinvolta nel
processo di presentazione dell’antigene alle cellule linfocitarie. In pazienti geneticamente predisposti agiscono fattori
ambientali o endogeni come fattori scatenanti la malattia.
La predilezione per il sesso femminile della malattia autoimmune tiroidea in generale e della malattia di GravesBasedow in particolare ha portato a ipotizzare l’intervento
di fattori sesso-specifici. In particolare, attenzione è stata
posta nei confronti di geni sul cromosoma X, ma i dati della
letteratura a riguardo necessitano di ulteriore conferma.
Tra i fattori ambientali è stato suggerito un ruolo per gli
agenti infettivi: infatti, è stata descritta una cross-reattività
tra antigeni tiroidei e proteine batteriche della Yersinia
enterocolitica e alcuni antigeni retrovirali.
Lo stress è un altro importante fattore ambientale in grado
di scatenare la malattia in soggetti geneticamente predisposti o di favorire le recidive dopo trattamento farmacologico, operando attraverso effetti neuroendocrini sul
sistema immunitario.
Anche alcuni farmaci, quali quelli immunomodulatori
(interferone ␤, anticorpi monoclonali, interferone ␣) e
quelli contenenti grandi quantità di iodio (amiodarone,
mezzi di contrasto iodati), possono essere responsabili
dello sviluppo della malattia innescando il processo autoimmunitario.
Infine, una recente gravidanza può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia di GravesBasedow in soggetti suscettibili, come conseguenza delle
profonde modifiche del sistema immunitario che occorrono durante la gravidanza e nel successivo periodo post
partum.
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Il fumo di sigaretta predispone o aggrava, come la terapia
con radioiodio, l’oftalmopatia nei pazienti ipertiroidei con
malattia di Graves-Basedow (si veda oltre).
Patogenesi
La malattia di Graves-Basedow rappresenta un estremo
dello spettro di presentazione clinica di quelle patologie
che vanno sotto il nome di “tireopatie autoimmuni”,
all’altro estremo delle quali si colloca la tiroidite di Hashimoto, di cui si parlerà successivamente. Questo è anche
dimostrato dalla possibilità che nello stesso paziente vi
possa essere una transizione dall’una all’altra manifestazione clinica in conseguenza del comportamento della
risposta autoimmunitaria. La coesistenza di risposte immunitarie differenti (cellulo-mediata e anticorpo-mediata)
così come la produzione di classi separate di autoanticorpi
con proprietà biologiche diverse rappresenta il substrato
immunologico delle diverse espressioni anatomocliniche
delle tireopatie autoimmuni (Fig. 61.5).
All’origine delle tireopatie autoimmuni vi è un disordine
dell’immunoregolazione responsabile della comparsa
di un’abnorme risposta immunitaria diretta contro le
strutture della ghiandola tiroidea. Il disordine origina
in seguito ad alterazioni dei meccanismi che intervengono nella regolazione del processo di discriminazione
del “self” rispetto al “non-self”, vale a dire la tolleranza
centrale, la tolleranza periferica e l’anergia. Le alterazioni di questi meccanismi, così come accade in altre
malattie autoimmuni, rendono possibile l’attivazione
del processo autoimmunitario allorché le cellule tiroidee
“presentano” i propri antigeni al sistema immunitario.
Le diverse espressioni cliniche della tireopatia autoimmune sono strettamente dipendenti dal tipo di risposta
immunitaria che si realizza nei confronti della ghiandola tiroidea. Tale risposta è sostanzialmente di due tipi,
anticorpo-mediata e cellulo-mediata, con peculiarità
citochiniche per ciascuna di essa. Secondo il modello
dicotomico Th1-Th2, sviluppato nell’animale da esperimento e applicabile all’uomo con le dovute riserve,
la risposta anticorpo-mediata sarebbe regolata prevalentemente dal pattern citochinico Th2 (per esempio,
IL-4, IL-5 e IL-10), mentre la risposta cellulo-mediata
sarebbe indotta e mantenuta dalle citochine Th1, come
l’interferone ␥ e l’IL-2. Nella malattia di Graves-Basedow
è predominante la risposta anticorpo-mediata rispetto a
quella cellulo-mediata. Inoltre, in questa patologia si assiste a un ridotto danno cellulare apoptotico, verosimilmente come conseguenza di meccanismi di controllo da
parte delle cellule follicolari che svolgono un ruolo chiave nell’indirizzare il proprio “destino” (questo aspetto
verrà approfondito nel paragrafo dedicato alla tiroidite
di Hashimoto). La risposta anticorpo-mediata porta alla
produzione di autoanticorpi diretti sostanzialmente
contro tre antigeni tiroidei che sono fondamentali per
la sintesi degli ormoni tiroidei: la TPO, la Tg e il TSHR.
Gli anticorpi anti-Tg (TgAb) e quelli anti-TPO (TPOAb)
non hanno un ruolo patogenetico, ma vengono tradizionalmente considerati epifenomeno del sottostante
processo autoimmunitario. Gli anticorpi diretti contro il
TSHR, invece, sono direttamente responsabili dell’ipertiroidismo nella malattia di Graves-Basedow. Questi
anticorpi agiscono legandosi alla porzione aminica del
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Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
TgAb +
TPOAb +
TSHRAb +++ (stimolanti)
TgAb +
TPOAb +++
TSHRAb +/– (inibenti)
Oftalmopatia
Tiroidite
di Hashimoto
Malattia
di Graves-Basedow
1365
Figura 61.5
Spettro di
presentazione
clinica delle
tireopatie
autoimmuni
e correlazione
con il pattern
immunologico.
9
Risposta Th2
Risposta Th1
Apoptosi
Funzione tiroidea
Ipertiroidismo
TSHR sulle cellule tiroidee andando ad attivare, in maniera continua e incontrollata, la cascata trasduzionale
c-AMP- e fosfolipasi A2-dipendente, portando così alla
stimolazione della sintesi e secrezione degli ormoni
tiroidei e all’ipertrofia e iperplasia delle cellule tiroidee.
Esistono anche anticorpi anti-TSHR che, legandosi a
epitopi diversi del recettore, non sono in grado di attivarlo ma spiazzano il TSH impedendo l’attivazione delle
cellule tiroidee. Questi anticorpi possono essere presenti
nella malattia di Graves-Basedow, soprattutto dopo un
trattamento radiometabolico o in corso di terapia farmacologica, andando a modulare l’effetto di stimolazione
degli anticorpi stimolanti il TSHR e condizionando in
parte il quadro funzionale tiroideo. Gli anticorpi antiTSHR privi di azione di stimolo possono essere anche
osservati in pazienti con tiroidite di Hashimoto, soprattutto nella forma atrofica.
Un meccanismo autoimmune è anche alla base dello
sviluppo dell’oftalmopatia basedowiana. I linfociti T diretti contro il TSHR riconoscerebbero lo stesso antigene
espresso sulla superficie dei fibroblasti orbitali in via di
differenziazione ad adipociti. In tal modo verrebbe innescato un processo infiammatorio autoimmune con
liberazione di citochine, che stimolano i fibroblasti a produrre glucosaminoglicani che si accumulano con effetto
massa nei muscoli e nei tessuti retro-orbitali. Gli anticorpi
anti-TSHR potrebbero svolgere un ruolo in questo meccanismo di innesco, sebbene i dati in letteratura siano
ancora controversi.
Fisiopatologia
Le manifestazioni cliniche della malattia di Graves-Basedow
sono innanzitutto legate all’ipertiroidismo e quindi in
gran parte riconducibili alle modificazioni metaboliche e
all’iperattività del sistema adrenergico, con contemporanea riduzione del tono vagale, causate dall’elevata concentrazione di ormoni tiroidei. Dall’altra parte, peculiare
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Eutiroidismo
Ipotiroidismo
della malattia di Graves-Basedow sono le manifestazioni
cliniche legate ai processi autoimmunitari.
Il principale effetto metabolico dell’eccesso di ormone
tiroideo è rappresentato dall’accelerazione dei processi
metabolici con aumento del metabolismo basale, conseguenza di una maggiore utilizzazione (con relativo depauperamento) dei depositi energetici, solo parzialmente
compensata dalla maggiore introduzione calorica con gli
alimenti (iperfagia). Il consumo di O2 è aumentato, con
contemporaneo aumento della produzione di calore, per
cui si innalza la temperatura corporea. Infatti, il calore
prodotto in eccesso è disperso sia per irraggiamento (aumento della temperatura cutanea) sia per evaporazione
(sudorazione). Questo spiega l’intolleranza al caldo e l’esagerata sudorazione dei pazienti con tireotossicosi.
Sul piano del metabolismo intermedio la sintesi e il catabolismo proteico sono stimolati, con netta prevalenza
di quest’ultimo; come conseguenza il bilancio azotato si
negativizza con aumentata escrezione urinaria di azoto. A
livello dei muscoli scheletrici l’effetto catabolico determina
liberazione di creatina (eliminata in quantità elevata con le
urine) e atrofia muscolare; analogamente a livello osseo la
diminuzione della matrice proteica provoca mobilizzazione
del calcio con ipercalcemia, ipercalciuria e osteoporosi.
Anche il metabolismo lipidico è influenzato dall’eccesso
di ormoni tiroidei in tutti i suoi aspetti (sintesi, mobilizzazione e catabolismo), con la prevalenza dell’effetto catabolico. Di conseguenza si riducono i livelli di colesterolo
e di trigliceridi circolanti. La mobilizzazione dei depositi
di tessuto adiposo è accelerata, con aumento degli acidi
grassi liberi circolanti.
Più complessa è l’azione dell’eccesso degli ormoni tiroidei
sul metabolismo glucidico. Infatti, l’assorbimento intestinale di glucosio è aumentato, così come la produzione
di glucosio dal glicogeno, dal lattato, dal glicerolo e dagli
aminoacidi. Le elevate concentrazioni di ormoni tiroidei
potenziano l’azione glicogenolitica e iperglicemizzante
6/9/10 5:48:48 PM
1366
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
delle catecolamine e gli effetti biologici dell’insulina, con
conseguente maggiore utilizzazione del glucosio da parte
del tessuto muscolare e di quello adiposo. Come conseguenza dell’accelerato turnover metabolico del glucosio, le
riserve epatiche di glicogeno sono ridotte. In circa il 30%
dei pazienti ipertiroidei la risposta insulinemica al carico
orale di glucosio è inadeguata e la curva glicemica da carico
è alterata; si ritiene che in questi pazienti l’ipertiroidismo
renda evidente una latente insufficienza della secrezione insulinica. In accordo con questi rilievi di ordine metabolico,
l’esperienza clinica dimostra che nei pazienti con diabete
mellito preesistente l’insorgenza di ipertiroidismo aumenta
nettamente il fabbisogno giornaliero di insulina.
Gli effetti cardiovascolari degli ormoni tiroidei sono in
parte mediati dal potenziamento degli effetti delle catecolamine a livello recettoriale e in parte secondari alle
più elevate richieste energetiche dei tessuti. La portata
cardiaca e il lavoro cardiaco aumentano. Compaiono anche tachicardia (effetto cronotropo positivo) e aumento
dell’attività contrattile cardiaca a riposo (effetto inotropo positivo) e diminuzione delle resistenze periferiche.
La diminuzione della resistenza vascolare periferica (in
parte dovuta anche all’aumento della termogenesi indotta dagli ormoni tiroidei) comporta aumento del ritorno venoso al cuore e quindi aumento del precarico.
Quest’ultimo è causato da un aumentato passaggio del
sangue dall’albero arterioso a quello venoso e da un
aumento del volume del sangue circolante, mediato
attraverso l’attivazione del sistema renina-angiotensinaaldosterone e la ritenzione di sodio (Na). Inoltre gli
ormoni tiroidei aumentano la massa dei globuli rossi
per effetto di stimolo sulla secrezione dell’eritropoietina. L’aumentato ritorno di sangue venoso al cuore
comporta a sua volta un corrispondente aumento della
portata cardiaca. La produzione di catecolamine non
è aumentata nell’ipertiroidismo; anzi, le catecolamine
totali nel siero sono ridotte, mentre l’adrenalina nel
siero e le catecolamine urinarie sono normali.
A queste alterazioni fisiopatologiche dovute alla tireotossicosi, come detto, nella malattia di Graves-Basedow
si possono aggiungere manifestazioni cliniche che non
dipendono strettamente dall’ipertiroidismo ma sono
invece espressione del coinvolgimento autoimmunitario
di tessuti e organi extratiroidei, come l’oftalmopatia
conseguenza dell’edema del tessuto adiposo e muscolare
retro-orbitario (causato dall’accumulo di acido ialuronico) e dall’infiltrazione dei tessuti da parte dei linfociti
che sono responsabili dell’innesco e del mantenimento del processo autoimmune. Analogo meccanismo è
all’origine della dermopatia basedowiana o mixedema
pretibiale , causata dall’aumentata concentrazione di
glicosaminoglicani nella porzione reticolare ma non in
quella papillare del derma, con concentrazioni di acido
ialuronico da 6 a 16 volte superiori nelle aree mixedematose rispetto alla cute normale. L’acido ialuronico
espande il tessuto dermico e determina ritenzione di liquido. Può anche causare compressione o occlusione dei
piccoli vasi linfatici locali e quindi aumentare l’edema
del derma. Si ritiene che il prevalente manifestarsi del
mixedema a livello degli arti inferiori sia dovuto a cause
favorenti locali quali la stasi venosa o una particolare
reattività dei fibroblasti regionali.
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Manifestazioni cliniche
Nella malattia di Graves-Basedow si possono riconoscere
segni e sintomi collegati a due ordini di fattori: manifestazioni comuni a tutte le forme di tireotossicosi dovute
all’eccesso degli ormoni tiroidei e che sono sostanzialmente l’espressione di aumento del tono adrenergico e
del consumo energetico basale; sintomi e segni esclusivi,
cioè non presenti nelle altre forme di tireotossicosi, legati
alla patogenesi autoimmune della malattia. La frequenza
relativa delle singole manifestazioni cliniche è riportata
nella tabella 61.2.
Sintomi e segni causati dall’eccesso di ormoni tiroidei
• Generali e sistemici. Il paziente o, come più
frequentemente accade, la paziente con malattia
di Graves-Basedow si presenta all’osservazione
con un quadro generale spesso già significativo
per ipertiroidismo. Tale quadro è caratterizzato
generalmente da magrezza e/o dimagrimento di
data recente (4-5 kg nell’arco di poche settimane),
nonostante l’aumento del senso della fame e
dell’introduzione di cibo (iperfagia). Nei pazienti
in sovrappeso, l’ipertiroidismo può anche associarsi
a un aumento paradosso del peso corporeo
(ipertiroidismo “florido”). La paziente spesso
Tabella 61.2
Manifestazioni cliniche della malattia
di Graves-Basedow
Segni e sintomi
Frequenza
Sintomi e segni causati dall’eccesso di
ormoni tiroidei
Generali e sistemici
– Dimagrimento
– Iperfagia
– Diarrea
– Intolleranza al caldo
– Febbricola
– Astenia e faticabilità
– Eretismo, ansia, insonnia
52-85%
11-65%
12-33%
41-89%
10-20%
44-88%
80-90%
Manifestazioni neuromuscolari
– Tremore
– Ipostenia muscolare
– Retrazione della palpebra superiore
40-97%
50-90%
40%
Manifestazioni cardiovascolari
– Tachicardia e cardiopalmo
– Aumento della pressione arteriosa
differenziale
– Cute calda con dermografismo rosso
Sintomi e segni esclusivi della malattia
di Graves-Basedow
Tiroide aumentata di volume in toto
Esoftalmo e segni di infiltrazione
dei tessuti retro-orbitari
Mixedema pretibiale
Acropatia
58-100%
55-78%
50-72%
37-100%
25-50%
1-5%
0,1-1,5%
6/9/10 5:48:49 PM
Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
riferisce un cambiamento dell’alvo, che diventa
tendenzialmente diarroico, o riferisce irregolarità
o alterazioni del ciclo mestruale (oligomenorrea
o amenorrea). La paziente presenta un’intolleranza
al caldo (vestiti leggeri in pieno inverno e/o
sudorazione profusa nel periodo estivo) riferendo
frequentemente febbricola persistente. La paziente
riferisce inoltre inusuale affaticabilità per piccoli
sforzi, insonnia, ansia e nervosismo; già alla prima
osservazione emerge un atteggiamento tipico
definito “eretismo psicofisico” caratterizzato
da reazioni emotive discordanti rispetto al
contenuto del colloquio e labilità emotiva (facile
e apparentemente inappropriato passaggio dal riso
al pianto). A questo quadro generale vanno poi
aggiunti i segni e sintomi dell’ipertiroidismo ricercati
a livello dei vari organi e apparati.
• Apparato neuromuscolare. Il segno neurologico più
caratteristico e frequente è il tremore; è tipicamente
limitato alle mani e alle dita, i movimenti sono
rapidi, uniformi, di piccola ampiezza. L’esecuzione
di movimenti che richiedono una fine coordinazione
può risultare difficoltosa. La compromissione
muscolare può essere assai variabile; si può andare
da una modesta ipotrofia muscolare, con facile
esauribilità, a una grave atrofia dei muscoli prossimali
degli arti, con difficoltà a portare gli arti superiori
sopra il capo, a salire su uno sgabello e/o a portarsi
dalla posizione seduta a quella eretta. Nonostante
l’astenia muscolare, i riflessi osteotendinei sono
vivaci, con accelerazione della fase di contrazione
e di rilassamento (per esempio, iperreflessia rotulea).
Per l’attivazione adrenergica, compare retrazione
della palpebra superiore con conseguente aumento
della rima palpebrale anche in assenza di una vera
protrusione del bulbo oculare. Inoltre si ha asinergia
oculo-palpebrale per mancata coordinazione dei
movimenti della palpebra superiore con quelli
del globo oculare. Queste manifestazioni sono
responsabili dello sguardo sbarrato tipico dei
pazienti ipertiroidei, della rarità dell’ammiccamento
(segno di Stellwag) e dei cosiddetti segni oculari
dell’ipertiroidismo: 1) nello sguardo verso il basso, la
palpebra superiore non segue, come di consueto, il
movimento del bulbo oculare, in modo tale che una
parte della sclera rimane scoperta (segno di Graefe);
2) quando si invita il paziente a fissare un oggetto
che viene avvicinato alla radice del naso, si ha una
scorretta convergenza dei bulbi oculari (segno di
Moebius); 3) nello sguardo verso l’alto non si ha
corrugamento della fronte (segno di Joffroy).
• Apparato cardiovascolare. Le manifestazioni
cardiovascolari sono frequenti e possono
rappresentare gli eventi clinici più precoci e più
gravi dell’ipertiroidismo. Come già descritto nel
paragrafo dedicato alla fisiopatologia, l’eccesso degli
ormoni tiroidei porta alla comparsa di tachicardia
generalmente sinusale (in genere la frequenza
cardiaca è superiore a 120 bpm a riposo) con
senso di cardiopalmo. In alcuni soggetti, l’effetto
batmotropo degli ormoni tiroidei può determinare
la comparsa di aritmie sopraventricolari. Nel paziente
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ipertiroideo giovane, quale generalmente è quello
affetto da malattia di Graves-Basedow, sono possibili
caratteristiche aritmie da rientro per attivazione di
fasci di conduzione anomala (Wolff-Parkinson-White).
Quando la malattia di Graves-Basedow insorge in
età più avanzata, è possibile osservare la comparsa di
fibrillazione atriale. L’aumento della frequenza cardiaca
a riposo spiega la diminuita resistenza all’esercizio
fisico. Nei pazienti con preesistente cardiopatia,
l’ipertiroidismo può causare scompenso cardiaco
definito ad alta gittata. All’esame obiettivo cardiaco
si possono riscontrare soffi funzionali eiettivi che
accompagnano la tachicardia. La pressione arteriosa
ha un’alterazione caratteristica con aumento della
pressione sistolica (per aumento della gittata cardiaca)
e riduzione della diastolica (per vasodilatazione
periferica) con conseguente aumento della pressione
arteriosa differenziale. Per la vasodilatazione periferica
legata alla necessità di disperdere calore prodotto in
eccesso, la cute si presenta calda, umida per eccesso di
sudorazione ed è presente dermografismo rosso (segno
di Maranon). Nei pazienti con scompenso cardiaco
sono presenti edemi declivi.
1367
9
Sintomi e segni esclusivi della malattia
di Graves-Basedow
• Tiroide. Nella malattia di Graves-Basedow entrambi
i lobi tiroidei sono diffusamente e simmetricamente
aumentati di volume (da qui la definizione “gozzo
diffuso tossico”), con consistenza aumentata e senza
dolorabilità (Fig. 61.6). In genere le dimensioni del
gozzo sono modeste; quando il gozzo ha maggiori
dimensioni è spesso possibile percepire un fremito
e ascoltare un soffio. In alcuni pazienti, la malattia
di Graves-Basedow si sovrappone a un preesistente
gozzo nodulare (cosiddetto “gozzo basedowificato”).
• Occhio. L’oftalmopatia basedowiana è un processo
autoimmune a carico dei tessuti retro-orbitari (si veda
Fisiopatologia). Le manifestazioni cliniche sono presenti
nel 25-50% dei pazienti affetti da malattia di GravesBasedow, ma praticamente in tutti sono presenti
alterazioni delle strutture retro-orbitarie evidenziate
dall’ecografia, dalla tomografia computerizzata (TC)
o dalla risonanza magnetica (RM). Nel 75% dei
pazienti l’oftlamopatia basedowiana esordisce entro
un anno (prima o dopo) dalla comparsa dei sintomi
di tireotossicosi e in alcuni pazienti la malattia oculare
può comparire anche in assenza di tireotossicosi.
L’interessamento oculare è bilaterale, anche se in
alcuni casi è asimmetrico (Fig. 61.7). Il quadro clinico
è vario ed è tanto più grave quanto più elevata è
l’ipertensione che si instaura nella cavità orbitaria in
seguito all’aumento di volume dei muscoli extraoculari
e del tessuto fibroadiposo retro-orbitario (si veda
Fig. 61.7, Fig. 61.8). I sintomi sono rappresentati da
lacrimazione, fotofobia, sensazione di secchezza, di
prurito e di corpo estraneo congiuntivali, dolore,
diplopia, calo del visus sino alla cecità. I segni specifici
della malattia infiltrativa sono: 1) protrusione
del bulbo oculare (esoftalmo) di entità variabile
(modesta se < 22 mm), talora solo monolaterale (si
veda Fig. 61.7).; 2) edema delle palpebre e dei tessuti
6/9/10 5:48:49 PM
1368
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
Figura 61.6
Quadro
morfologicoscintigrafico della
ghiandola tiroidea
nella malattia di
Graves-Basedow.
b
a
c
(Illustrazioni di Netter FH, MD. Riproduzione autorizzata da Icon Learning System, a MediMedia USA Company. All Right Reserved.)
periorbitali; 3) congestione venosa ed edema della
congiuntiva che può protrudere oltre la fessura
orbitale (chemosi); 4) paralisi di uno o più muscoli
extraoculari per miopatia infiammatoria, infiltrativa
ed edema; 5) lesione della superficie corneale favorita
dall’impossibilità di chiudere completamente la rima
palpebrale poiché la palpebra superiore non è più in
grado di scendere a ricoprire il bulbo oculare. Vari sono
i metodi proposti di classificazione e di valutazione
dell’attività dell’oftalmopatia mediante punteggio. Il
metodo di classificazione comunemente adottato è
quello elaborato dall’American Thyroid Association che
distingue sei classi (Tab. 61.3). La classificazione della
Figura 61.7
Oftalmopatia
tiroidea:
esoftalmo
asimmetrico.
Figura 61.8
Paziente affetta
da malattia di
Graves-Basedow
con oftalmopatia.
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gravità delle alterazioni orbitali mediante punteggio
può essere effettuata con il metodo Clinical Activity
Score (CAS), che prende in considerazione sette
manifestazioni (si veda Tab. 61.3). Si assegna un punto
a ogni manifestazione clinica presente e si considera
attiva l’oftalmopatia basedowiana con un punteggio
uguale o superiore a 3. Il decorso clinico è caratterizzato
dalla fase acuta (o fase attiva) che può durare anche
parecchi mesi, in cui si può avere progressione rapida
del danno orbitale (esoftalmo maligno), a cui segue
una fase spenta (fase fibrotica) in cui gli esiti sono tanto
più gravi quanto più grave è stato il danno instauratosi
nella fase acuta. È importante ricordare come la
remissione dell’ipertiroidismo non sempre si associ a
un controllo dell’oftalmopatia, che decorre (e quindi va
trattata) come entità clinica autonoma.
• Cute. In meno del 5% dei pazienti con malattia di
Graves-Basedow si può avere la dermopatia infiltrativa
o mixedema pretibiale, che usualmente si associa
all’oftalmopatia e a valori elevati di anticorpi
anti-TSHR circolanti. Dati epidemiologici recenti
suggeriscono una prevalenza anche superiore della
dermopatia (fino a circa il 15% dei pazienti affetti da
oftalmopatia basedowiana grave). Essa è caratterizzata
da mixedema circoscritto alla regione tibiale, ma
talora esteso a tutta la gamba, che si presenta come
un ispessimento cutaneo duro e a margini irregolari,
spesso con superficie a buccia di arancia, di colorito
dal rosa pallido al rosso carne, al brunastro. Può
essere mono- o bilaterale. Sono descritte anche forme
nodulari del piede e delle caviglie, forme elefantiasiche
degli arti inferiori e raramente mixedema degli arti
superiori, delle spalle e del dorso. Nel mixedema la
pressione digitale non comporta la comparsa della
fossetta che è invece presente nelle manifestazioni
edematose. Il decorso è nella gran parte dei casi
cronico, specialmente nelle forme più gravi. In circa
il 15% dei pazienti con dermopatia basedowiana è
presente anche acropatia, con la tipica tumefazione
della cute delle dita delle mani e dei piedi e spesso con
ippocratismo digitale e con le alterazioni radiologiche
caratterizzate da neoformazione ossea subperiostale
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Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
Tabella 61.3
Classificazione dell’oftalmopatia
basedowiana in accordo con i criteri
dell’American Thyroid Association (ATA)
e sintomi e segni utili per la stadiazione
dell’oftalmopatia sulla base dell’attività
infiammatoria
METODO DI CLASSIFICAZIONE DELL’OFTALMOPATIA DELL’ATA
Classe
Classe 0
Classe 1
Classe 2
Classe 3
Classe 4
Classe 5
Classe 6
Segni e sintomi
Nessun segno né sintomo
Solo segni obiettivi, ossia retrazione della
palpebra superiore, sguardo fisso, lagoftalmo,
esoftalmo < 22 mm, non sintomi soggettivi
Interessamento dei tessuti molli, sia segni
sia sintomi
Esoftalmo > 22 mm
Interessamento dei muscoli extraoculari
Interessamento corneale
Diminuzione del visus per interessamento
del nervo ottico
SEGNI E SINTOMI CONSIDERATI NELLA VALUTAZIONE
DEL GRADO DI ATTIVITÀ DELL’OFTALMOPATIA
Nessuna manifestazione
Dolore retrobulbare spontaneo
Dolore con il movimento degli occhi
Eritema palpebrale
Iniezione congiuntivale
Chemosi ed edema della caruncola
Edema palpebrale
Tabella 61.4
a livello delle falangi prossimali e dei metatarsi e/o
dei metacarpi. L’acropatia in genere è asintomatica. Si
può avere infine vitiligine come espressione di malattia
autoimmune associata (anticorpi antimelanociti).
Diagnosi
Esami di routine Il paziente spesso si presenta con alcuni esami di routine eseguiti ambulatorialmente in cui è
presente quasi inevitabilmente ipocolesterolemia (colesterolo totale < 150 mg/dL). Possono anche essere presenti
alterazioni degli enzimi epatici (aumento delle transaminasi e della ␥GT), lieve ipercalcemia per l’elevato turnover
osseo. All’emocromo possono essere presenti alterazioni
che sono l’espressione di malattie autoimmuni associate
alla malattia di Graves-Basedow, quali un’anemia microcitica (causata da un malassorbimento di ferro) o un’anemia
macrocitica (causata da una gastrite atrofica).
9
Esami ormonali Come in tutte le forme di tireotossicosi
primitive, nella malattia di Graves-Basedow il quadro
bioumorale è caratterizzato da TSH soppresso o indosabile
(< 0,005 mU/L) e da elevati valori di frazioni libere degli
ormoni tiroidei. Anche nella malattia di Graves-Basedow,
come nelle altre forme di tireotossicosi con ipertiroidismo, si può osservare un aumento predominante dell’FT3
rispetto all’FT4 (Tab. 61.4). Quando la malattia di GravesBasedow è stata scatenata da un eccesso di iodio (per
esempio, durante la terapia con amiodarone) si osserva
un aumento prevalentemente dell’FT4 come espressione
dell’iperiodinazione della tireoglobulina e della ridotta
trasformazione periferica della T4 a T3, indotte dallo iodio.
Con l’avvento di dosaggi ultrasensibili del TSH non trovano più indicazione nella pratica clinica i test dinamici
(al TRH) per la diagnosi di malattia di Graves-Basedow.
Aspetti clinici, biochimici e strumentali utili per la diagnosi differenziale delle tireotossicosi primitive
Parametri
Malattia
di GravesBasedow
Malattia
di Plummer
Gozzo
multinodulare
tossico
Tiroidite
silente/post
partum
Tiroidite
subacuta
Tireotossicosi
factitia
FT4
↑↑
↑ o normale
↑ o normale
↑↑
↑↑
↑
FT3
↑↑↑
↑ ↑ o normale
↑↑ o normale
↑
↑
↑
TgAb/TPOAb
Positivi
Negativi
Talvolta positivi
Positivi
Negativi
Negativi
TSHRAb
Positivi
Negativi
Negativi
Negativi
Negativi
Negativi
Tireoglobulina
Valori variabili
Valori variabili
Valori aumentati
Valori aumentati
Valori aumentati
Valori soppressi
Indici di flogosi
Negativi
Negativi
Negativi
Negativi
Aumentati
Negativi
Scintigrafia
Diffusa
ipercaptazione
Focale
ipercaptazione
Disomogenea
captazione
Ridotta
captazione
Ridotta
captazione
Ridotta/normale
captazione
Ecografia
Ipoecogenicità
diffusa con
aumentata
vascolarizzazione
Nodulo
singolo
Noduli multipli
Ipoecogenicità
diffusa con
ridotta
vascolarizzazione
Ipoecogenicità
focale con
ridotta
vascolarizzazione
Normale
ecogenicità e
assenza
di noduli
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1370
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
Esami immunologici Come nelle altre forme di tireopatia autoimmune, nel paziente con malattia di GravesBasedow è possibile dimostrare la presenza dei TgAb e
TPOAb. Tuttavia, l’elemento laboratoristico peculiare
di questa patologia è la presenza di anticorpi in grado
di legarsi al recettore del TSH e di attivarne la cascata
trasduzionale. Il dosaggio degli anticorpi anti-TSHR consente di confermare il sospetto diagnostico di malattia
di Graves-Basedow nel paziente con tireotossicosi ed
è anche utile nel paziente con segni di oftalmopatia,
ma senza tireotossicosi. Le metodiche radiorecettoriali
utilizzate nella pratica clinica per dosare gli anticorpi anti-TSHR sfruttano la capacità di tali anticorpi di
spiazzare il TSH dal suo recettore, ma non consentono
di caratterizzarne la funzione. Con le metodiche radiorecettoriali di seconda generazione a elevata sensibilità
oggi disponibili è possibile dimostrare una positività
sierica per questi anticorpi in oltre il 90% dei pazienti
con malattia di Graves-Basedow.
Esami strumentali La tiroide capta selettivamente i
radioisotopi dello iodio (131I, 123I, 125I) e il 99tecnezio (99Tc) e
su questa caratteristica funzionale si basa la scintigrafia tiroidea che nella pratica clinica è eseguita con 99Tc (si veda
Tab. 61.4). Tale esame “morfofunzionale”, infatti, trova
oggi la sua indicazione principale nella diagnostica differenziale delle tireotossicosi. Le caratteristiche biologiche
del radiotecnezio, che è captato dalle cellule tiroidee ma
non organificato, e quelle fisiche (emivita di 6 ore circa,
emissione di fotoni ␥ di 140 keV), consentono bassa irradiazione alla tiroide (circa 0,1 cGy), risoluzione elevata
delle immagini, e praticità di impiego (basso costo, esecuzione della mappa 20 min dopo l’iniezione endovenosa).
Nel paziente con malattia di Graves-Basedow, la scintigrafia tiroidea mostra una tiroide diffusamente ipercaptante
(si veda Fig. 61.6).
L’ecografia tiroidea generalmente fornisce informazioni
aspecifiche nel paziente con tireotossicosi da malattia
di Graves-Basedow. Il parenchima tiroideo si presenta di
aspetto ipoecogeno, come nelle altre tireopatie autoimmuni croniche. Peraltro l’utilizzo della tecnica power Doppler
consente di documentare la classica ipervascolarizzazione
(cosiddetto “inferno tiroideo”). Infine, l’ecografia consente di identificare l’eventuale presenza di formazioni
nodulari tiroidee.
Tra le indagini strumentali è necessario ricordare anche
l’esame TC o RM delle orbite e l’ecografia dei muscoli
extraoculari, che consentono di confermare la diagnosi
di oftalmopatia basedowiana e di fornire informazioni per
un eventuale trattamento chirurgico.
Terapia
La malattia di Graves-Basedow può essere trattata
con terapia farmacologica (conservativa), terapia
radiometabolica o chirurgica (radicale). In Europa,
i farmaci antitiroidei rappresentano la prima
scelta terapeutica per questa patologia. Questa indicazione si basa su studi che dimostrano una
stabile remissione della malattia nei pazienti
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trattati con terapia farmacologica, con percentuali variabili dal 30 al 50% dei casi. In Italia, il
farmaco più utilizzato è il metimazolo, tionamide
in grado di inibire la funzione enzimatica della TPO.
Effetto collaterale principale della terapia con metimazolo è l’agranulocitosi su base idiosincrasica, per la
quale è necessario il controllo dell’emocromo in corso
di terapia. Possono comparire anche aumento delle
transaminasi e rash cutaneo. La terapia farmacologica va iniziata con dosaggi giornalieri di metimazolo
anche elevati (in genere 20 mg/die) per poi ridurre
gradualmente il dosaggio aggiustandolo sulla base del
controllo clinico e biochimico dell’ipertiroidismo. È
importante ricordare che, nei primi mesi di terapia, il
TSH non rappresenta un affidabile marker di risposta
biochimica in quanto l’ipofisi richiede tempo per
riprendere una normale funzione secretoria. Pertanto, nei primi mesi di terapia è necessario modulare
il dosaggio dei farmaci antitiroidei sulla base della
risposta clinica e dei valori di FT4 e FT3 circolanti. La
terapia in genere viene continuata per 12-18 mesi
anche nei pazienti che ottengono un buon controllo
della funzione tiroidea dopo pochi mesi dall’inizio.
Infatti, vi sono evidenze che la terapia prolungata a
basse dosi (2,5 mg/die di metimazolo o a giorni alterni) possa portare benefici in termini di spegnimento
del sottostante processo autoimmune (meccanismo
verosimilmente alla base della remissione clinica della
malattia dopo terapia farmacologica). Il dosaggio
degli anticorpi anti-TSHR, soprattutto se eseguito
con metodica di seconda generazione, consente di
decidere quando sospendere la terapia farmacologica (alla negativizzazione persistente degli anticorpi
circolanti).
Nei primi mesi di terapia con farmaci antitiroidei
(periodo di latenza) è possibile utilizzare i ␤-bloccanti
come sintomatici per il controllo dei segni e dei sintomi dell’ipertiroidismo.
Nei pazienti in cui la terapia medica non è in grado
di indurre la remissione della malattia di GravesBasedow o in quelli con recidive della malattia anche
a distanza di anni dalla remissione, è necessario optare per terapie radicali. La terapia radiometabolica con
131
I ha come obiettivo la distruzione della ghiandola
tiroidea iperfunzionante con conseguente comparsa
di ipotiroidismo, che rappresenta quindi l’effetto
terapeutico e non un effetto collaterale della terapia
ablativa. La terapia radiometabolica è controindicata
nelle donne in gravidanza. Nelle donne in età fertile
la terapia radiometabolica viene praticata solo nei
casi in cui è possibile escludere uno stato gravidico nei 6-12 mesi successivi alla somministrazione
del radioiodio. Un effetto collaterale temibile della
terapia radiometabolica è la crisi tireotossica, che è
causata dal rilascio incontrollato degli ormoni tiroidei accumulati nella colloide e può comparire nelle
prime settimane successive alla somministrazione
del radioiodio. Tale complicanza è più frequente
e severa nei pazienti non precedentemente trattati
con farmaci antitiroidei e pertanto può essere in parte
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Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
prevenuta pretrattando i pazienti con metimazolo per
qualche settimana o mesi, sospendendolo poi qualche
giorno prima della somministrazione del radioiodio.
Un’altra complicanza della terapia radiometabolica
è il peggioramento dell’oftalmopatia basedowiana,
che può essere prevenuto trattando il paziente con
cortisonici.
Una possibilità terapeutica radicale alternativa è costituita dalla chirurgia. Tale opzione rappresenta la
prima scelta terapeutica nei pazienti con malattia di
Graves-Basedow con gozzo voluminoso, oftalmopatia e nelle donne in età fertile. Per essere efficace la
tiroidectomia deve interessare almeno nove decimi
di tiroide (quindi tiroidectomia totale o quasi totale), in quanto la presenza di un residuo chirurgico
comporta il rischio di comparsa di recidive, almeno
fino a quando sono presenti gli anticorpi anti-TSHR
ad azione stimolante.
Nei pazienti con malattia di Graves-Basedow, oltre al
controllo dell’ipertiroidismo è importante il trattamento dell’oftalmopatia soprattutto quando questa
è moderata-severa e attiva. A tale scopo si utilizzano
terapie farmacologiche immunosoppressive condotte
con cortisonici ad alto dosaggio per via sistemica (per
os o boli e.v.). In alcuni pazienti è però necessario
ricorrere alla chirurgia decompressiva o alla radioterapia orbitaria.
Malattia di Plummer
(gozzo uninodulare tossico)
Definizione ed epidemiologia
La malattia di Plummer è dovuta a un adenoma follicolare iperfunzionante nell’ambito di una restante tiroide
normale ed è più frequente causa di ipertiroidismo nella
popolazione generale di età compresa tra i 50 e 60 anni,
con simile incidenza nel sesso maschile e femminile.
a
b
Eziopatogenesi
L’adenoma di Plummer è causato da mutazioni somatiche a carico del sistema recettoriale del TSH che causano
un’attivazione incontrollata della cascata trasduzionale con
conseguente iperstimolazione della crescita e della funzione
cellulare. Le mutazioni sono più frequentemente localizzate
nei domini transmembrana del recettore, portando all’accoppiamento costitutivo del recettore stesso con la proteina Gs.
Meno frequenti sono le mutazioni dirette della proteina Gs,
simili a quelle che compaiono negli adenomi GH-secernenti
(l’associazione di queste condizioni patologiche è osservabile
nei pazienti con sindrome di McCune-Albright).
Manifestazioni cliniche e diagnosi
Le peculiarità cliniche della malattia di Plummer sono
legate alla frequente associazione con il sesso maschile,
con la presenza di un nodulo tiroideo palpabile (di nuova
diagnosi o già presente nella storia clinica del paziente) e
con la diagnosi spesso legata alle complicanze d’organo
dell’ipertiroidismo (fibrillazione atriale) più che ai sintomi
e segni della tireotossicosi, che è spesso “subclinica” (TSH
soppresso con livelli di ormoni tiroidei ai limiti superiori del range di normalità) e di lunga durata. Infine non
sono presenti i segni della dermopatia mixedematosa e
dell’oftalmopatia basedowiana, anche se possono essere
presenti i segni oculari della tireotossicosi.
1371
9
Esami di laboratorio e strumentali
Come nella malattia di Graves-Basedow e nelle altre forme di
tireotossicosi primitive il quadro bioumorale caratteristico è
rappresentato da bassi livelli di TSH e alti livelli delle frazioni
libere degli ormoni tiroidei. In genere i livelli ormonali sono
meno elevati rispetto alla malattia di Graves-Basedow e può
essere frequente il riscontro di un ipertiroidismo “subclinico”
(si veda Tab. 61.4). La scintigrafia mostra il classico aspetto
di un’unica area nodulare calda circondata da parenchima
tiroideo non captante (Fig. 61.9). Se si esegue il test di stimolo con TSH, la scintigrafia mostra dopo la somministrazione
del TSH la comparsa di una captazione diffusa omogenea
(Fig. 61.10). L’ecografia consente di localizzare e caratterizzare morfologicamente il nodulo tiroideo.
c
Figura 61.9
Quadro
morfologicoscintigrafico della
ghiandola tiroidea
nella malattia di
Plummer.
(Illustrazioni di Netter FH, MD. Riproduzione autorizzata da Icon Learning System, a MediMedia USA Company. All Right Reserved.)
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1372
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
Figura 61.10
Scintigrafia
tiroidea di un
paziente con
malattia di
Plummer.
Terapia
Le terapie di prima scelta nella malattia di Plummer
sono la chirurgia e la terapia radiometabolica con
131
I. Le due opzioni sono entrambe valide e hanno
come obiettivo la distruzione/rimozione della sola
formazione nodulare con risparmio del circostante
parenchima tiroideo sano. La terapia farmacologica
con antitiroidei è efficace nel controllo dell’ipertiroidismo, ma non ha un razionale nel lungo termine in
quanto non consente di eliminare la causa dell’iperfunzione tiroidea. È stata descritta la possibilità di
alcolizzazione (iniezione percutanea di etanolo ecoguidata) del nodulo iperfunzionante.
a
Gozzo multinodulare tossico
Definizione ed epidemiologia
Il gozzo multinodulare tossico è caratterizzato dalla presenza di uno o più noduli iperfunzionanti nell’ambito di
un gozzo multinodulare che data da molti anni. Tale condizione in genere si osserva nei soggetti di età superiore ai
50 anni con una storia di gozzo multinodulare eutiroideo.
Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’ipertiroidismo ha un’incidenza del 4% annuo nei pazienti con gozzo
multinodulare da carenza iodica.
b
(a) Il tracciante si fissa solo sul nodulo con inibizione funzionale del parenchima tiroideo
circostante. Dopo stimolazione con TSH (b) anche il tessuto circostante l’adenoma fissa il
tracciante.
Figura 61.11
Storia naturale
del gozzo
multinodulare da
carenza iodica.
Con il progredire
dei processi
proliferativi,
aumentano le
aree follicolari
ad autonomia
funzionale con
il conseguente
sviluppo di
ipertiroidismo.
Eziopatogenesi
Il gozzo multinodulare tossico rappresenta spesso l’ultimo
stadio della storia naturale del gozzo nodulare indotto dalla carenza iodica (Fig. 61.11). Le basi molecolari
dell’autonomia funzionale dei noduli non sono ancora
perfettamenti chiarite, ma certamente entrano in gioco
eventi genici o cromosomici che portano a un’amplificazione della fisiologica eterogeneità funzionale che
Secrezione ormonale
da follicoli normali
Secrezione ormonale da follicoli autonomi
(Da: Braverman LE, Utiger RD. The thyroid: A fundamental and clinical text. 7th ed. Philadelphia: Lippincott-Raven; 1996, p. 570 modificata.)
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Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
caratterizza il parenchima tiroideo e che è responsabile
dell’evoluzione nodulare del gozzo da carenza iodica. La
comparsa di ipertiroidismo nei pazienti con gozzo multinodulare è strettamente dipendente dalle dimensioni dei
noduli ad attività autonoma, con un rischio più elevato
per i noduli di diametro superiore a 3 cm.
Una forma molto rara di ipertiroidismo secondario
è quella causata dalla produzione paraneoplastica di
β-hCG.
Manifestazioni cliniche e diagnosi
Nel gozzo multinodulare tossico i segni e sintomi di ipertiroidismo sono spesso sfumati, in quanto il grado di incremento degli ormoni tiroidei circolanti è di molto inferiore
a quanto osservato nella malattia di Basedow (si veda Tab.
61.4). È spesso presente un ipertiroidismo “subclinico”,
che come detto per la malattia di Plummer, è caratterizzato da TSH soppresso e ormoni tiroidei ai limiti superiori
del range di normalità. Il paziente tipicamente affetto da
gozzo multinodulare tossico è in genere anziano, nel quale
i segni dell’ipertiroidismo sono spesso confinati esclusivamente all’ambito cardiaco e il quadro neuropsichico può
essere caratterizzato da depressione del tono dell’umore.
In considerazione dell’andamento cronico della malattia
(la diagnosi è spesso ritardata a causa degli sfumati segni
clinici), il paziente spesso si presenta con le complicanze
d’organo come la fibrillazione atriale e l’osteoporosi.
Gli anticorpi antitiroide non rappresentano un dato
patognomico del gozzo multinodulare tossico (si veda
Tab. 61.4), ma possono essere presenti come espressione
di una tireopatia autoimmune coesistente. La scintigrafia mostra il classico aspetto di aree ipercaptanti o calde
alternate ad aree ipocaptanti o fredde. L’ecografia consente di localizzare e caratterizzare morfologicamente le
aree nodulari. La valutazione integrata delle immagini
scintigrafiche ed ecografiche consente di programmare
un eventuale approfondimento diagnostico mediante
esame citologico su materiale agoaspirato. In genere l’esame citologico viene eseguito sui noduli freddi, anche se
tumori tiroidei sono stati descritti, seppur raramente,
anche nei noduli caldi.
Le cause di tireotossicosi senza ipertiroidismo possono
essere infiammatorie (su base autoimmune o virale) o
esogene. Si passeranno in rassegna le varie forme suddividendole in infiammatorie autoimmuni (tiroidite silente
e tiroidite post partum), infiammatorie virali (tiroidite
subacuta), esogene factitia ed esogene terapeutiche.
Terapia
Nel gozzo multinodulare tossico la terapia farmacologica a lungo termine non ha un razionale, in quanto
non consente di risolvere la causa dell’ipertiroidismo.
È necessario, quindi, optare per una terapia radicale
e la chirugia sembra essere più efficace della terapia
radiometabolica.
Tireotossicosi con ipertiroidismo secondario
La causa più frequente di ipertiroidismo secondario è
l’adenoma TSH-secernente (si veda il Capitolo 60). Si tratta di una condizione clinica caratterizzata dalla presenza
di elevati livelli di FT4 e FT3 con livelli di TSH normali
o alti e comunque non soppressi. Ai fini diagnostici è
necessario differenziare questa condizione patologica
dalla resistenza agli ormoni tiroidei, che si associa a un
quadro biochimico simile ma non si accompagna a segni
o sintomi di ipertiroidismo.
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1373
TIREOTOSSICOSI SENZA IPERTIROIDISMO
Forme infiammatorie
Queste forme cliniche si presentano generalmente con
una fase transitoria di tireotossicosi (che in genere dura
dalle 2 alle 4 settimane) che può essere seguita da una
fase di ipotiroidismo a sua volta transitorio (dura fino a 3
mesi) o permanente. La tireotossicosi è sempre causata dal
rilascio massivo degli ormoni tiroidei stoccati a livello del
parenchima ghiandolare interessato dal processo distruttivo e per tale motivo è limitata nel tempo fino all’esaurimento dei depositi, dato che la ghiandola infiammata non
è attiva sul piano funzionale. Per tale motivo, all’iniziale
tireotossicosi, nella maggior parte dei casi segue una fase
di ipotiroidismo, anch’esso il più delle volte transitorio,
espressione del tempo di latenza richiesto dall’ipofisi per
riprendere la secrezione di TSH e dal parenchima tiroideo
per rigenerarsi dal processo distruttivo.
9
Forme autoimmuni (tiroidite silente
e tiroidite post partum)
La tireotossicosi può insorgere in pazienti con tiroidite
di Hashimoto come conseguenza di un’esacerbazione
del processo citotossico intraparenchimale che porta alla
distruzione dei follicoli tiroidei e al conseguente rilascio
in circolo degli ormoni tiroidei (tiroidite silente). In alcuni casi sono identificabili fattori endogeni o esogeni
responsabili dell’innesco o del peggioramento del processo autoimmune intratiroideo, come l’utilizzo di farmaci
immunomodulanti (interferone ␣) o farmaci contenenti
iodio (amiodarone). Infine, la tireotossicosi può comparire
dopo il parto (e in questi casi è definita tiroidite post partum), come conseguenza della riaccensione di meccanismi
immunologici parzialmente depressi durante la gravidanza in soggetti predisposti a sviluppare una malattia
tiroidea autoimmune. In particolare, lo stato gravidico si
accompagna a una depressione della risposta immunitaria, soprattutto quella citotossica, garantendo quindi la
permanenza del feto all’interno dell’organismo materno.
Con il parto, si osserva una riaccensione della risposta
immunitaria che può portare, in soggetti geneticamente
predisposti, allo sviluppo di una tiroidite post partum
quale conseguenza dell’innesco di un processo distruttivo
a livello del parenchima tiroideo. Un altro fattore che
potrebbe entrare in gioco nella patogenesi della tiroidite
post partum è il microchimerismo, vale a dire il passaggio
di cellule linfocitarie dal feto alla madre con potenziali
capacità di attivare la risposta autoimmunitaria. In particolare, cellule fetali si andrebbero a localizzare all’interno
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1374
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
della ghiandola tiroidea e dopo il parto (quando si ha una
riattivazione della risposta immunitaria) queste cellule
causerebbero l’innesco del processo autoimmune diretto
contro le cellule tiroidee della madre.
L’andamento clinico è quello tipico delle tireotossicosi
infiammatorie, caratterizzate da un andamento bifasico.
L’ipotiroidismo che segue alla tireotossicosi può essere
permanente e ciò accade quale espressione della cronicizzazione della sottostante patologia autoimmune (tiroidite
di Hashimoto). In effetti, la tiroidite silente o quella post
partum possono rappresentare la prima manifestazione
clinica di una tiroidite di Hashimoto.
In queste forme di tireotossicosi non vi è indicazione a
utilizzare farmaci antitiroidei, ma possono essere usati i
␤-bloccanti per controllare i sintomi dell’eccesso di ormoni tiroidei. Nelle forme indotte da eccesso di iodio (come
nella tireotossicosi infiammatoria da amiodarone) possono essere utilizzati i cortisonici in associazione all’acido
iopanoico e il perclorato di potassio, che consentono di
scaricare la ghiandola tiroidea dall’eccesso di iodio.
Forme virali (tiroidite subacuta o tiroidite
granulomatosa o tiroidite di De Quervain)
È una malattia infiammatoria della tiroide molto frequente, a insorgenza brusca, autolimitantesi nel tempo,
da poche settimane ad alcuni mesi, con caratteristico
andamento a poussée successive. La causa è sconosciuta,
anche se è sospettata un’origine virale, data la sua frequente comparsa dopo un processo infiammatorio acuto
delle alte vie respiratorie. La malattia è caratterizzata da
un’infiammazione granulomatosa che può interessare
tutta la ghiandola tiroidea o più frequentemente parte di essa (tiroidite focale). Il processo distruttivo che
consegue all’infiammazione causa il rilascio in circolo
degli ormoni tiroidei con conseguente tireotossicosi che,
come nella tiroidite silente e post partum, è transitoria.
Alla tireotossicosi può seguire una fase di ipotiroidismo,
anch’esso il più delle volte transitorio. L’elemento clinico peculiare della tiroidite subacuta è l’associazione
dei sintomi legati alla tireotossicosi transitoria con la
presenza di dolore nella regione della loggia tiroidea,
con frequente irradiazione alla mandibola e all’orecchio.
Il dolore è spontaneo e peggiora durante la palpazione
della ghiandola tiroidea, che appare di consistenza aumentata. Il sintomo dolore, che si può accompagnare a
febbricola, si associa a un aumento degli indici di flogosi
(globuli bianchi, VES, PCR e ␣2-globuline) (si veda Tab.
61.4). Dal punto di vista diagnostico la tireotossicosi della
tiroidite subacuta si caratterizza, come nelle altre forme
di tireotossicosi infiammatorie, per un rapporto FT4/FT3
maggiore rispetto alle tireotossicosi con ipertiroidismo
e un quadro scintigrafico di assente captazione (si veda
Tab. 61.4). L’esame ecografico consente di documentare la
presenza delle aree di infiammazione, che appaiono come
zone ipoecogene, e permette di escludere la presenza di
formazioni nodulari. Anche in questo caso, trattandosi di
una tireotossicosi senza ipertiroidismo, non vi è razionale
all’utilizzo di farmaci antitiroidei, i quali, oltre a non essere efficaci, potrebbero peggiorare la fase di ipotiroidismo
che consegue alla tireotossicosi. La tiroidite subacuta va
trattata con cortisonici (prednisone 25-40 mg/die come
dose di attacco, con successiva graduale riduzione). La
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durata della terapia è variabile sulla base della risposta
clinica (scomparsa del dolore) e biochimica-strumentale
(riduzione della VES, recupero della captazione tiroidea).
Nella fase di tireotossicosi può essere utile associare un
␤-bloccante per controllare i sintomi dell’eccesso degli
ormoni tiroidei.
Forme esogene
La tireotossicosi factitia è causata dall’assunzione di elevati dosaggi di ormoni tiroidei nei soggetti eutiroidei e
senza malattie tiroidee, generalmente a scopo dimagrante. I quadri clinico e biochimico sono comuni alle altre
forme di tireotossicosi primitive. Sul piano laboratoristico
vi è la predominanza di uno dei due ormoni tiroidei, in
rapporto al farmaco assunto (T4 o T3). I dati strumentali
sono simili a quelli delle tiroiditi distruttive (bassa captazione tiroidea alla scintigrafia). Un dato biochimico
che può differenziare la tireotossicosi factitia da quelle
distruttive è rappresentato dai livelli di tireoglobulina:
bassa nelle forme factitie (tiroide “a riposo”), alta nelle
forme distruttive (per rilascio della molecola dai follicoli
distrutti) (si veda Tab. 61.4). Esistono anche forme di
tireotossicosi iatrogene che si possono osservare nei pazienti che assumono ormoni tiroidei per ipotiroidismo,
in quanto il fabbisogno individuale di ormone tiroideo
è assai variabile e nonostante una appropriata modalità
di gestione della terapia sostitutiva (inizio con dosi basse
e poi in aumento), il sovradosaggio di ormone tiroideo
può essere un evento non infrequente. Vi sono casi in
cui invece si può (nodulo tiroideo) o si deve (carcinoma
tiroideo post-trattamento chirurgico e radiometabolico)
utilizzare un dosaggio di tiroxina volutamente elevato in
rapporto alle necessità individuali, allo scopo di “sopprimere” i livelli di TSH in quanto fattore di crescita per le
cellule tiroidee (terapia “TSH soppressiva”). In questi casi
si viene a creare una tireotossicosi “subclinica” che può
avere effetti negativi nel paziente anziano.
CONDIZIONI CLINICHE PARTICOLARI
Tireotossicosi in gravidanza
La causa più frequente di tireotossicosi in gravidanza è
la malattia di Graves-Basedow. Come in tutte le malattie autoimmuni, si può avere un andamento fluttuante
durante la gravidanza con un peggioramento nel primo
trimestre e un miglioramento nei mesi successivi (tolleranza immunologica che può indurre la remissione
spontanea della malattia). I seguenti aspetti diagnostici
e terapeutici peculiari della tireotossicosi in gravidanza
devono essere ricordati.
• Molti dei segni e sintomi della tireotossicosi
sono comuni allo stato gestazionale. Inoltre nel
primo trimestre di gravidanza i livelli di TSH sono
fisiologicamente ridotti quale effetto di interferenza
funzionale da parte della gonadotropina corionica.
In media i livelli di TSH sono di 0,7-0,8 mU/L, ma
è possibile anche avere valori di TSH-soppressione.
Questo quadro bioumorale causato dall’azione della
gonadotropina corionica raggiunge la sua massima
espressione nell’iperemesi gravidica, nella quale
6/9/10 5:48:54 PM
Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
si può osservare anche un lieve aumento degli
ormoni tiroidei senza che questo rappresenti di per
sé espressione di disfunzione ghiandolare. Pertanto
la diagnosi di tireotossicosi può essere difficile,
soprattutto nei primi mesi di gestazione.
• L’eccesso di ormoni tiroidei durante la gravidanza
può avere effetti deleteri sul decorso della stessa,
causando con elevata frequenza aborti, parti
prematuri, preeclampsia nella madre e basso
peso nei neonati. Inoltre, a causa del passaggio
transplacentare degli anticorpi anti-TSHR si possono
avere disfunzioni ghiandolari nel feto, che il più
delle volte diventano clinicamente importanti
dopo la nascita. Pertanto è importante la correzione
dell’eccesso di ormoni tiroidei.
• Nel correggere l’ipertiroidismo è fondamentale
evitare l’ipotiroidismo da sovradosaggio di farmaci
antitiroidei. È infatti raccomandato il trattamento
con bassi dosaggi di antitiroidei mantenendo le
frazioni libere degli ormoni tiroidei a valori medioalti del range laboratoristico di riferimento.
• Dati in letteratura, peraltro controversi,
suggerirebbero che il metimazolo possa causare
effetti collaterali nel feto, quali l’aplasia cutis e
l’aplasia esofagea. Le linee guida attuali indicano
di utilizzare quando possibile il propiltiouracile,
che sarebbe caratterizzato da una minore capacità
di attraversare la barriera placentare. I ␤-bloccanti
quali il propanololo possono essere utilizzati in
gravidanza. Nei casi non responsivi alla terapia
farmacologica è possibile ricorrere all’intervento
chirurgico.
Tireotossicosi nel paziente anziano
La causa più frequente di tireotossicosi in età geriatrica
è il gozzo multinodulare tossico. Generalmente si tratta
di un ipertiroidismo di lieve entità, a volte “subclinico”
e spesso di lunga durata. La diagnosi può essere ritardata rispetto all’insorgenza della malattia, in quanto la
sintomatologia clinica è spesso sfumata e i segni clinici
dell’ipertiroidismo sono spesso confinati esclusivamente
all’ambito cardiaco. Sul piano neuropsichico, al contrario di ciò che succede nel paziente giovane, è spesso presente depressione del tono dell’umore, tanto da
far coniare agli autori anglosassoni il termine apathetic
hyperthyroidism, che sottolinea come in questi pazienti siano del tutto assenti l’eretismo e l’irrequietezza.
A fronte del quadro clinico sfumato, l’ipertiroidismo
1375
nell’anziano anche quando è “subclinico” può causare
complicanze cardiovascolari quali la fibrillazione atriale ed eventi ischemici miocardici (cardiotireosi) per la
sovrapposizione degli effetti della tireotossicosi su una
cardiopatia di base prevalentemente di tipo aterosclerotico.
Crisi tireotossica
Si tratta di una condizione rara ma clinicamente importante, in quanto è gravata da elevata mortalità. In genere
compare in pazienti con ipertiroidismo noto ed è scatenata da malattie intercorrenti, quali infezioni e traumi,
terapia radiometabolica non pretrattata con farmaci antitiroidei, interventi chirurgici non adeguatamente preparati con iodio per os o è anche secondaria all’uso di farmaci
(per esempio, amiodarone). È caratterizzata clinicamente
da un’esacerbazione del caratteristico quadro delle tireotossicosi. Le manifestazioni cliniche più importanti sono
rappresentate da: ipertermia, che può raggiungere i 40 °C
e si associa a vampate e a profusa sudorazione; spiccata
tachicardia, o tachiaritmia da fibrillazione atriale; tremore
intenso con imponente agitazione psicomotoria e talora
delirio; sintomi gastrointestinali, quali nausea, vomito e
diarrea. La crisi tireotossica può portare a morte il paziente
per scompenso cardiaco e shock. La responsabilità della
crisi è in parte addebitabile alla brusca immissione in
circolo di ormoni tiroidei e in parte alla combinazione
dell’aumentata responsività alle catecolamine causata
dall’ipertiroidismo e dell’aumentato rilascio di catacolamine causato dall’evento acuto intercorrente che spesso
è all’origine dell’innesco della crisi tireotossica. Da un
punto di vista terapeutico si utilizzano elevati dosaggi
di farmaci antitiroidei (si preferisce il propiltiouracile in
quanto blocca la conversione della T4 in T3) somministrati
per sondino naso-gastrico: si inizia con un bolo di 600 mg
di propiltiouracile o in alternativa 60 mg di metimazolo,
continuando poi con dosaggi di mantenimento elevati di
tali farmaci. Dopo aver somministrato gli antitiroidei, si
può utilizzare lo ioduro di potassio sfruttando l’effetto di
Wolff-Chaikoff. Sono utili i ␤-bloccanti, preferendo quelli
non cardioselettivi quali il propanololo, che consentono
di bloccare gli effetti degli ormoni tiroidei su molti tessuti bersaglio ed esercitano un effetto di inibizione sulla
conversione della T4 in T3, così come fanno anche i corticosteroidi. Nei casi più gravi si ricorre alla plasmaferesi
e alle altre procedure di rimozione degli ormoni tiroidei
dal circolo ematico.
9
Malattie caratterizzate da ipotiroidismo
L’ipotiroidismo nella gran parte dei casi è primitivo, causato cioè da malattie che coinvolgono direttamente la
ghiandola tiroidea con conseguente compromissione
della secrezione ormonale. Meno frequentemente l’ipotiroidismo è causato da malattie ipotalamo-ipofisarie che
compromettono la secrezione del TSH con conseguente
compromissione funzionale tiroidea (ipotiroidismo se-
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condario e terziario). Infine, raro è l’ipotiroidismo causato
dalla resistenza recettoriale all’azione degli ormoni tiroidei
(sindrome di Refetoff) (Tab. 61.5).
Da un punto di vista nosologico, l’ipotiroidismo primitivo
può essere distinto in congenito e acquisito. L’ipotiroidismo congenito, che per definizione è una condizione
patologica presente alla nascita, può essere a sua volta
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1376
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
Tabella 61.5 Cause di ipotiroidismo
Ipotiroidismo primitivo congenito
– Carenza iodica (endemico)
– Disgenesia tiroidea
– Disormonogenesi tiroidea
Ipotiroidismo primitivo acquisito
– Tiroidite di Hashimoto
– Chirurgia tiroidea
– Terapia radiometabolica con 131I
Ipotiroidismo secondario-terziario
– Difetti congeniti della secrezione di TSH
– Malattie neoplastiche ipotalamo-ipofisarie
– Malattie infiammatorie ipotalamo-ipofisarie
– Malattie infiltrative ipotalamo-ipofisarie
– Chirurgia ipofisaria
– Radioterapia ipofisaria
Ipotiroidismo da resistenza recettoriale
sporadico o endemico a seconda delle cause che lo sottendono. L’ipotiroidismo acquisito è causato invece da
malattie primitivamente tiroidee che insorgono dopo la
nascita (si veda Tab. 61.5).
Ipotiroidismo primitivo congenito
Definizione ed epidemiologia
È una forma di ipotiroidismo primitivo presente alla nascita, con una prevalenza variabile in relazione alle aree
geografiche e alla causa responsabile della disfunzione
ghiandolare. Nelle aree di endemia gozzigena la frequenza di ipotiroidismo è strettamente correlata al grado di
carenza iodica. Nei neonati, la frequenza del riscontro di
livelli di TSH > 50 mU/L a 5 giorni dalla nascita è < 1%
nell’endemia di grado 1 (ioduria 50-100 ␮g/g creatininemia), compresa tra 1 e 5% in quella di grado 2 (ioduria
25-49 ␮g/g creatininemia) e > 5% in quella di grado 3
(ioduria < 25 ␮g/g creatininemia). Nell’endemia di grado
3 il cretinismo ha una prevalenza > 1%. L’endemia di
grado 3 interessa ancora oggi milioni di persone che vivono lungo le catene montuose più importanti del mondo e in condizioni di sottosviluppo economico. In Italia
vi sono numerose aree in cui vi è endemia gozzigena di
grado lieve e molto più raramente moderata. Tuttavia,
in Italia l’ipotiroidismo congenito è per lo più sporadico,
con una prevalenza di 1 caso su 3000 neonati.
Eziopatogenesi
La carenza iodica rappresenta la causa dell’ipotiroidismo
congenito endemico, mentre quello sporadico è provocato più frequentemente da disgenesia tiroidea (circa 85%
dei casi) o più raramente da disormonogenesi da difetti
genetici (circa 15% dei casi). La disgenesia tiroidea si presenta usualmente come condizione sporadica isolata e
nella gran parte dei casi non si accompagna ad alterazioni
genetiche specifiche. Esistono tuttavia forme nelle quali
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è possibile individuare alterazioni di alcuni dei geni preposti alla regolazione dello sviluppo ghiandolare, come
il PAX8. Questo gene è espresso dall’inizio dello sviluppo
della tiroide, quando la tiroide si differenzia dal pavimento della faringe. Mutazioni germinali di questo gene sono
state riscontrate in rari casi familiari a eredità dominante
di ipoplasia tiroidea o ectopia tiroidea.
L’ipotiroidismo congenito da difetti ormonogenetici è
invece dovuto a mutazioni germinali dei geni che codificano proteine essenziali per l’ormonogenesi tiroidea e
spesso è clinicamente modesto o subclinico. Si può avere
un difetto del trasporto dello iodio dovuto a mutazioni
del gene NIS che causa una malattia a trasmissione autosomica recessiva. Un’altra malattia autosomica recessiva è
la sindrome di Pendred, caratterizzata da ipotiroidismo e
sordità neurosensoriale, causata da un difetto della capacità delle cellule tiroidee di organificare la Tg. Altre cause di
ipotiroidismo congenito disormogenetico sono il difetto
di TPO, il difetto di produzione di H2O2 e il difetto di
sintesi della Tg.
Esistono infine alcune forme di ipotiroidismo congenito
transitorie, che costituiscono circa il 10% degli ipotiroidismi neonatali. Nei bambini prematuri si può osservare
un difetto del metabolismo dello iodio che può richiedere
alcuni mesi prima di una completa maturazione. Un ipotiroidismo di breve durata (poche settimane) può conseguire
all’assunzione di iodio o farmaci antitiroidei da parte della
madre. Una causa importante di ipotiroidismo neonatale
transitorio è la presenza di anticorpi materni diretti contro il TSHR ad azione inibente. Questi anticorpi hanno
attraversato la placenta durante il periodo gestazionale e
possono permanere nel circolo neonatale per alcuni mesi
dopo il parto.
Fisiopatologia
Gli ormoni tiroidei svolgono un’azione fondamentale
per lo sviluppo scheletrico e dell’SNC. La carenza di ormoni tiroidei nei primi anni di vita può causare danni
all’SNC la cui gravità e reversibilità dipendono dall’epoca
di insorgenza dell’ipotiroidismo fetale e dalla rapidità
dell’inizio della terapia sostitutiva. Nelle aree di endemia
gozzigena, la carenza iodica causa una ridotta funzione
tiroidea sia nella madre sia nel feto e pertanto l’ipotiroidismo compare precocemente durante lo sviluppo fetale,
con gravi conseguenze sullo sviluppo neurologico del
bambino. Nell’ipotiroidismo congenito sporadico, invece, la madre il più delle volte riesce a supplire al deficit
secretivo del feto e pertanto l’ipotiroidismo si sviluppa
più tardivamente, in genere alla nascita e le conseguenze sono in genere meno importanti di quelle osservate
nell’ipotiroidismo congenito endemico. Tuttavia, un
aspetto fisiopatologico importante è che lo sviluppo
neurologico nel bambino non è completo alla nascita e
pertanto anche nelle forme sporadiche il deficit intellettivo può diventare importante se non viene intrapresa
una terapia sostitutiva precoce (perdita di 3-5 punti di QI
per ogni mese di ritardo nell’inizio della terapia).
Oltre agli aspetti neurologici bisogna ricordare che
gli ormoni tiroidei svolgono un’importante azione di
regolazione dell’accrescimento scheletrico. Quindi l’ipotiroidismo congenito non corretto causa un difetto di
accrescimento che esita in una bassa statura defi nita
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Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
“disarmonica”. Quest’ultima è caratterizzata da uno
sproporzionato ridotto accrescimento degli arti rispetto
al tronco, espressione di un difetto di azione degli ormoni tiroidei a livello delle cartilagini di accrescimento
(disgenesia epifisaria).
Manifestazioni cliniche
Per quanto detto nel paragrafo precedente, il quadro
clinico dell’ipotiroidismo congenito può essere variabile.
Nelle forme endemiche il sintomo sempre presente è il
cretinismo, cui si associano i segni dell’ipotiroidismo,
ossia mixedema e nanismo (cretinismo mixedematoso).
Il gozzo è presente nelle forme disormogenetiche, ma
non nell’ipotiroidismo sporadico causato da disgenesia
ghiandolare. I segni clinici dell’ipotiroidismo neonatale,
spesso aspecifici, sono l’ittero prolungato, la difficoltà
all’alimentazione, la macroglossia, l’ipotonia muscolare
e il pianto rauco. Può essere presente un’ernia ombelicale e sono più frequenti le malformazioni, soprattutto
quelle cardiache. Se non corretto, l’ipotiroidismo congenito causa rallentamento della crescita e bassa statura
disarmonica.
Esami di laboratorio e strumentali
Oggi sono in atto programmi di screening effettuati in tutti
i neonati, che consentono di individuare precocemente
l’ipotiroidismo congenito mediante il dosaggio del TSH
(con o senza T4) su una goccia di sangue ottenuta per puntura del calcagno, adsorbita su carta da filtro e inviata per il
dosaggio in un laboratorio di riferimento. Tale screening è
giustificato dai seguenti motivi: a) la probabilità di diagnosticare l’ipotiroidismo alla nascita su base clinica è solo del
5-10%; b) l’elevata frequenza della malattia; c) la semplicità, il costo contenuto e la non invasività della procedura
diagnostica; d) l’importanza della diagnosi precoce per la
completa efficacia della terapia. Con un test di screening
positivo, la diagnosi è poi confermata con il dosaggio su
sangue venoso del pattern ormonale completo. Bisogna
considerare che, nelle prime settimane di vita, i livelli di
TSH sono fisiologicamente più elevati rispetto all’età adulta e quindi la diagnosi di ipotiroidismo deve tenere conto
di un range di riferimento specifico per questa fascia di età.
Inoltre, nei bambini prematuri si può avere un deficit di
sintesi della TBG con conseguenti valori di T4 bassi senza
che questi rappresentino però espressione di ipotiroidismo:
infatti i livelli di TSH e FT4 sono nella norma.
Per la diagnosi eziologica è utile la valutazione mediante
ecografia tiroidea o scintigrafica con 123I, entrambi importanti strumenti diagnostici per caratterizzare le forme
disgenetiche. Quando si sospetta la sindrome di Pendred
(difetto di organificazione dello iodio) può essere utile
eseguire il test al perclorato. Il perclorato è un inibitore
della captazione tiroidea dello iodio ed è in grado di
eliminare dalla tiroide tutto lo iodio non organificato e
non legato alla Tg. Il test viene eseguito somministrando
il perclorato due ore dopo la somministrazione di un
tracciante radioattivo iodato. In presenza di una normale funzione della TPO, la maggior parte dello iodio è
organificata e quindi il perclorato non induce modifiche
significative della captazione tiroidea due ore dopo la
somministrazione del tracciante radioattivo. Nel bambino con deficit congenito della funzione perossidasica,
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1377
invece, il perclorato induce il rilascio di una significativa
quantità di iodio radioattivo, tale da causare una riduzione della captazione scintigrafica > 5% del basale.
Terapia
La terapia sostitutiva dell’ipotiroidismo congenito va
iniziata utilizzando dosi di tiroxina pro kg di peso corporeo più elevate rispetto a quelle utilizzate in età adulta. Si inizia con 10-15 ␮g/kg/die di tiroxina. La terapia
sostitutiva nell’ipotiroidismo congenito deve essere
iniziata entro il primo mese di vita per evitare l’instaurarsi di un deficit intellettivo irreversibile (perdita di
3-5 punti di QI per ogni mese di ritardo della terapia).
9
Ipotiroidismo primitivo acquisito
Tiroidite di Hashimoto
Definizione ed epidemiologia
La tiroidite di Hashimoto è una malattia autoimmune
ad andamento cronico che, come le altre forme di tireopatie autoimmuni, predilige il sesso femminile con una
prevalenza che può raggiungere il 10% della popolazione
generale. L’ipotiroidismo non rappresenta una manifestazione costante della tiroidite di Hashimoto, ma compare
quando il processo autoimmunitario ha causato una distruzione parziale o totale della ghiandola tiroidea tale da
comprometterne la funzione ormonale. Si calcola che la
prevalenza dell’ipotiroidismo nei soggetti adulti sia di 4
casi su 1000 nel sesso femminile e 1 caso su 1000 nel sesso
maschile. Il rischio di sviluppare ipotiroidismo nei pazienti con tiroidite di Hashimoto aumenta progressivamente
con l’età e con la progressione della malattia autoimmune.
Il rischio annuale è variabile in relazione a diversi fattori
individuali ed è calcolato essere in media del 4%.
Eziologia
Come per le altre malattie autoimmuni, la tiroidite di
Hashimoto è una malattia a genesi multifattoriale, scatenata da fattori ambientali in soggetti geneticamente
predisposti. Che esista una predisposizione genetica alla
malattia è suggerito dalla concordanza elevata tra gemelli
omozigoti rispetto a quelli dizigoti (30-60% versus 3-6%).
La predisposizione è multigenica, in quanto coinvolge
vari geni che codificano per proteine coinvolte nella
regolazione della risposta immunitaria. I primi geni a
essere stati identificati come possibili responsabili della
predisposizione genetica alle tireopatie autoimmuni in
generale e alla tiroidite di Hashimoto in particolare sono
quelli di istocompatibilità di classe II (specialmente DR3,
DR4 e DR5). Vi sono anche dati su un possibile coinvolgimento del gene CTLA-4. Infine, anche mutazioni a carico
del gene della Tg sono state associate allo sviluppo della
tiroidite di Hashimoto.
Nei soggetti geneticamente predisposti intervengono
fattori endogeni o esogeni a indurre lo sviluppo della
tiroidite di Hashimoto. Tra i fattori endogeni si deve ricordare la gravidanza, che comporta profonde e rapide
modificazioni dell’assetto immunitario tali da predisporre
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1378
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
alla comparsa di una tireopatia nel periodo post partum
– si veda in precedenza, Forme autoimmuni (tiroidite silente
e tiroidite post partum). Tra i fattori esogeni in grado di
favorire la comparsa di una tiroidite di Hashimoto vanno
ricordati le infezioni, i farmaci, lo iodio e le radiazioni
ionizzanti. Così come accade in altre malattie autoimmuni, quale il diabete di tipo 1, le infezioni possono scatenare
la tiroidite di Hashimoto andando ad attivare in maniera
aspecifica le cascate citochiniche responsabili dell’innesco
e del mantenimento della risposta autoimmune “organospecifica”. Una tiroidite di Hashimoto con ipotiroidismo
può comparire anche nei pazienti che praticano terapia
con farmaci immunomodulanti, quali l’interferone ␣,
che agiscono probabilmente modificando l’assetto citochinico endogeno in soggetti geneticamente predisposti.
La tiroidite di Hashimoto è particolarmente frequente in
quelle aree geografiche, quali il Giappone, ad alto consumo di prodotti ittici crudi a elevato contenuto di iodio.
D’altro canto, è interessante il dato epidemiologico di un
incremento dell’incidenza di tiroidite di Hashimoto nei
Paesi occidentali in cui la profilassi iodica ha consentito
di debellare il problema dell’endemia gozzigena. I meccanismi responsabili dell’innesco della malattia autoimmune tiroidea conseguente all’assunzione di iodio non
sono noti. È stato ipotizzato che lo iodio possa innescare
una risposta autoimmune attraverso un incremento della
iodinazione della Tg, che porterebbe alla “presentazione”
di antigeni tiroidei criptici per i quali non si è sviluppata la “tolleranza”. La presentazione di antigeni criptici
potrebbe anche essere favorita dalla frammentazione
della Tg indotta dall’eccesso di radicali liberi derivanti
dall’organificazione dello iodio. L’accumulo di radicali
liberi porterebbe anche a un danno a carico delle cellule
follicolari con esposizione di autoantigeni e innesco del
processo autoimmune.
Oltre allo iodio, le radiazioni ionizzanti sono state chiamate in causa come fattori in grado di favorire la comparsa della tiroidite di Hashimoto in soggetti geneticamente
predisposti, probabilmente mediante la produzione di
radicali liberi con conseguente danno cellulare ed esposizione di autoantigeni. In effetti negli ultimi anni si è
assistito a un incremento di prevalenza della tiroidite di
Hashimoto nelle popolazioni esposte alla nube radioattiva
di Chernobyl.
Patogenesi
Come detto nel paragrafo dedicato alla malattia di GravesBasedow, le tireopatie autoimmuni sono caratterizzate da
una risposta autoimmunitaria che può essere schematicamente distinta in anticorpo-mediata e cellulo-mediata.
Nella tiroidite di Hashimoto sono generalmente presenti
solo due tipi di anticorpi antitiroide, i TgAb e TPOAb.
Questi anticorpi non sembrano svolgere un’azione patogenetica importante, sebbene studi sperimentali abbiano
suggerito che alcuni dei TPOAb possono attivare il complemento e quindi contribuire al processo di distruzione
della ghiandola tiroidea. Più importante, invece, nella
patogenesi dell’ipotiroidismo della tiroidite di Hashimoto, è la risposta autoimmune di tipo cellulo-mediata che
coinvolge prevalentemente i linfociti T CD8+ citotossici.
A dirigere questa risposta intervengono citochine e chemochine prodotte sia dai linfociti infiltranti la ghiandola
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tiroidea sia dalle stesse cellule follicolari. Queste ultime
rappresentano non solo il bersaglio dell’azione distruttiva dei linfociti infiltranti, ma sono anche in grado di
partecipare alla cascata patogenetica regolando l’afflusso
di linfociti all’interno della ghiandola e di modularne
la risposta immunitaria. Il ruolo dei tireociti è particolarmente importante nella modulazione del processo
apoptotico, che ha un ruolo centrale nell’ipotiroidismo
della tiroidite di Hashimoto. In particolare, nella tiroidite
di Hashimoto le cellule tiroidee, in seguito allo stimolo
citochinico, esprimono due marcatori che sono coinvolti
nell’induzione dell’apoptosi: Fas (CD95) e FasL (CD95L).
Quando FasL si lega a Fas, attiva una cascata trasduzionale
che porta alla morte cellulare. In condizioni fisiologiche
le cellule tiroidee esprimono prevalentemente FasL, mentre l’espressione di Fas è minima o assente. Quindi, in
condizioni fisiologiche le cellule tiroidee sono protette
dall’apoptosi Fas-dipendente e possono invece attivarla
in altre cellule, quali i linfociti, che esprimono il Fas. Le
cose cambiamo nella tiroidite di Hashimoto, allorché l’attivazione del processo autoimmune induce l’espressione
del Fas anche sulle cellule tiroidee, che quindi sono predisposte a essere distrutte attraverso un processo apoptotico.
Questo aspetto patogenetico è confermato dal riscontro
anatomopatologico di un’architettura ghiandolare notevolmente alterata per la presenza di un intenso infiltrato
infiammatorio interstiziale che separa le strutture follicolari residue. Il tessuto interstiziale contiene un denso
infiltrato di linfociti e plasmacellule, spesso organizzati
in follicoli con centri chiari germinativi ben evidenti. Il
grado di fibrosi varia da caso a caso e in alcune aree mostra
un aspetto ialino, amiloido-simile.
Fisiopatologia
Riprendendo quanto detto precedentemente per gli stati
di tireotossicosi, si può affermare che la carenza di ormoni tiroidei provoca effetti generali che possono essere
riassunti come segue.
• Rallentamento dei processi metabolici con
prevalente compromissione del catabolismo rispetto
all’anabolismo e conseguente accumulo di sostanze
a ricambio più lento: mixedema da accumulo di
mucopolisaccaridi, ipercolesterolemia, diminuita
sintesi proteica con ridotta disponibilità di sostanze
proteiche essenziali al metabolismo (deficit di
enzimi, recettori, ormoni peptidici). Alla minore
responsività dei recettori delle catecolamine a
livello dell’SNC si attribuisce attualmente un ruolo
rilevante nella genesi delle manifestazioni psichiche
che caratterizzano l’ipotiroidismo (diminuzione
dell’attenzione, compromissione della memoria,
abulia e sintomi francamente depressivi). Per la
minore sensibilità dei recettori delle catecolamine
si crea infatti una situazione di deficit funzionale
dei neurotrasmettitori monoaminergici a livello
dell’SNC.
• Riduzione dei processi ossidativi e della produzione
di calore con compromissione dell’omeostasi
termica.
• Ridotta disponibilità energetica per tutte le
cellule con conseguente riduzione di ogni attività
(contrattile, secretoria, proliferativa).
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Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
NORMALITÀ
EUTIROIDISMO
IPOTIROIDISMO
SUBCLINICO
IPOTIROIDISMO
Focolai di tiroidite
autoimmune
Estensione dei processi
di tiroidite autoimmune
Progressione dei processi
di tiroidite autoimmune
Tg Ab –
Tg Ab +
Tg Ab + +
Tg Ab ±
TPO Ab –
TPO Ab ±
TPO Ab +++
TPO Ab +++
1379
Figura 61.12
Storia naturale
della tiroidite
di Hashimoto.
TSH
9
FT3
FT4
Tg Ab = anticorpi (Ab) antitireoglobulina; TPO Ab = anticorpi antiperossidasi tiroidea.
Manifestazioni cliniche
Il decorso clinico della tiroidite di Hashimoto presenta una
fase iniziale asintomatica in cui non vi è ipotiroidismo (Fig.
61.12). L’unico segno clinico può essere il gozzo. Tale fase
può essere più o meno lunga e durare anche tutta la vita. Si
possono anzi avere fasi transitorie di tireotossicosi espressioni di tiroidite distruttiva (si veda in precedenza, Tireotossicosi
senza ipertiroidismo, Forme infiammatorie). Successivamente,
la transizione dall’eutiroidismo all’ipotiroidismo può presentare una più o meno lunga fase di cosiddetto ipotiroidismo “subclinico” caratterizzato da un incremento del
TSH con valori di FT4 e FT3 ancora nel range laboratoristico
di riferimento (si veda Fig. 61.12). Anche quando, infine,
si sviluppa l’ipotiroidismo conclamato, la sintomatologia
può essere sfumata, non facilmente riconoscibile e spesso
addirittura ignorata dal paziente. Infatti, l’ipotiroidismo
può essere diagnosticato in pazienti che giungono all’osservazione o che vengono ricoverati per sintomi e segni
suggestivi di malattie non tiroidee, come edemi attribuiti
a malattie renali, cardiomegalia e scompenso attribuiti a
miocardiosclerosi, anemia di natura da determinare, astenia
e crampi muscolari, depressione o altri sintomi psichici,
menometrorragia.
I sintomi di ordine generale avvertiti dal paziente sono
l’astenia, l’affaticabilità, una ridotta tolleranza al freddo,
la sonnolenza, la stipsi ostinata (Tab. 61.6). Obiettivamente, si nota che la voce è roca e profonda, l’eloquio
lento, uniforme, privo di variazioni di tono. La succulenza
delle palpebre, il pallore, la scarsezza dei movimenti mimici danno al volto un aspetto inespressivo caratteristico
(Fig. 61.13). Nei casi più gravi le alterazioni del volto
sono più spiccate: l’edema diffuso, le rime palpebrali
ristrette, i capelli e le sopracciglia scarsi e la bocca semi-
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aperta, attraverso la quale si scorge la lingua ingrossata (da infiltrazione mixedematosa), conferiscono al
volto del paziente l’aspetto inconfondibile della facies
mixedematosa. Si osserva generalmente un aumento di
peso, principalmente dovuto alla ritenzione di liquidi.
L’appetito è ridotto in rapporto al diminuito fabbisogno
Tabella 61.6
Manifestazioni cliniche dell’ipotiroidismo
conclamato
Segni e sintomi
Astenia, adinamia
Ipercheratosi e secchezza della cute
Sonnolenza
Eloquio rallentato
Edema palpebrale
Intolleranza al freddo
Cute fredda
Macroglossia
Edema del volto
Secchezza e fragilità dei capelli
Cardiomegalia
Pallore cutaneo
Riduzione della memoria
Stipsi
Aumento di peso
Perdita di capelli
Pallore
Mixedema periferico
Voce rauca
Menorragia
Frequenza (%)
99
97
91
91
90
89
83
82
79
76
68
67
66
61
59
57
57
55
52
32
6/9/10 5:48:54 PM
1380
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
Figura 61.13
Paziente affetta
da ipotiroidismo
primitivo.
energetico. La stipsi ostinata, dovuta a rallentamento della
peristalsi intestinale, è sintomo assai frequente.
La cute è spessa, secca, pallida, fredda, talvolta con una
sfumatura giallastra per accumulo di carotene. Il mixedema è un edema caratterizzato semeiologicamente dalla
consistenza duro-elastica con mancata formazione di
fovea alla pressione digitale e dallo sviluppo in sedi caratteristiche (regioni periorbitali, dorso delle mani e dei
piedi, regioni pretibiali e avambracci).
Nella fase iniziale della malattia, che può durare molti
anni, è presente un aumento di volume della ghiandola
tiroidea. La consistenza è aumentata e raramente può essere presente dolorabilità. Possono anche essere presenti
formazioni nodulari che però non sono patogeneticamente correlate alla malattia autoimmune, ma che riflettono la
coesistenza di un gozzo nodulare. Con il progredire della
malattia autoimmune, la ghiandola tiroidea si riduce di
dimensioni per divenire non palpabile o difficilmente
palpabile (cosiddetta variante atrofica).
Nell’ipotiroidismo dell’adulto si ha un rallentamento di
tutte le funzioni intellettive, ma non si osservano i gravi
difetti mentali presenti nell’ipotiroidismo congenito.
L’atteggiamento psichico del paziente ipotiroideo è caratterizzato da rallentamento dell’ideazione, perdita della
memoria, difetto dell’attenzione, sonnolenza, con rallentamento dei riflessi osteotendinei. Nei soggetti anziani la
sonnolenza spesso è più accentuata sino a giungere a una
vera letargia e in rari casi al coma (coma mixedematoso).
Non raramente possono essere presenti stati depressivi.
Nei pazienti anziani si può avere un vero stato demenziale, spesso erroneamente attribuito a demenza senile.
La carenza di ormoni tiroidei causa bradicardia e riduzione
della forza contrattile del miocardio con riduzione della
gittata sistolica. Di conseguenza la portata cardiaca è nettamente ridotta e il flusso sanguigno alla cute, al cervello e ai
reni è diminuito. Si ha inoltre una vasocostrizione periferica
con aumento delle resistenze e talora ipertensione. Si stabilisce pertanto una situazione emodinamica caratterizzata
da bradicardia, allungamento del tempo di circolo (per aumento delle resistenze periferiche), diminuzione del flusso
ematico ai tessuti (estremità fredde, pallide, intolleranza al
freddo, riduzione del filtrato glomerulare ecc.), diminuito
ritorno venoso al cuore, riduzione della gittata sistolica.
Questa situazione emodinamica può essere parzialmente
condizionata dalla minore richiesta di ossigeno da parte dei
tessuti periferici. Infatti, nonostante la riduzione della gittata cardiaca, la differenza arterovenosa di ossigeno è normale
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e, diversamente da quanto avviene nello scompenso cardiaco, la gittata cardiaca aumenta se il paziente è sottoposto
a uno sforzo. Tuttavia nelle forme gravi e di lunga durata
l’ipotiroidismo può essere complicato da scompenso cardiaco, in quanto la carenza di ormoni tiroidei causa lesioni
del miocardio (edema interstiziale, rigonfiamento aspecifico
delle miofibrille, deposizione di materiale mucoproteico
nell’interstizio) configurando il quadro di cuore da mixedema. Clinicamente si ha una cospicua cardiomegalia. Si può
avere un versamento pericardico, in genere ben sopportato
in quanto il liquido si accumula lentamente provocando
una progressiva dilatazione del sacco pericardico con scarso
aumento della pressione intrapericardica.
Negli ultimi anni numerosi studi hanno dimostrato come
l’ipotiroidismo, anche se lieve, può essere un fattore di
rischio per la cardiopatia ischemica soprattutto a causa
delle alterazioni dell’assetto lipidico (ipercolesterolemia)
causate dalla carenza di ormoni tiroidei.
Diagnosi
Esami di routine Gli esami ematochimici di routine generalmente documentano un’ipercolesterolemia (che può
raggiungere valori > 300 mg/dL) e un’anemia. L’incidenza
dell’anemia è valutata intorno al 25-33%. Si tratta in genere di
un’anemia normocromica, normocitica con ridotto numero
di reticolociti e quadro midollare di tipo ipoplasico. L’anemia
può aggravarsi bruscamente, divenendo sideropenica nelle
pazienti che abbiano menometrorragia. Una sideropenia può
essere anche conseguente alla coesistente malattia celiaca
con conseguente malassorbimento intestinale. Un’anemia
macrocitica da ridotto assorbimento di vitamina B12 con
presenza in circolo di anticorpi anticellule parietali della mucosa gastrica può osservarsi come manifestazione patologica
autoimmune associata alla tiroidite di Hashimoto.
Esami immunologici Nella fase iniziale della tiroidite
di Hashimoto sono presenti solo gli anticorpi antitiroide,
TgAb e TPOAb, con normali livelli di TSH, FT4 e FT3 (si veda
Fig. 61.12). I TgAb e soprattutto i TPOAb hanno un ruolo
diagnostico fondamentale per identificare i pazienti con
tiroidite di Hashimoto, soprattutto nella fase di eutiroidismo. Esistono tuttavia pazienti con tiroidite di Hashimoto
senza anticorpi antitiroide circolanti. Considerando che
la tiroidite di Hashimoto può associarsi ad altre malattie
autoimmuni, la diagnostica di laboratorio può allargarsi al
dosaggio di marcatori immunologici di tali malattie, quali
il dosaggio degli anticorpi anti-parete gastrica (presenti
nella gastrite atrofica autoimmune), quelli antiendomisio
o antitransglutaminasi (presenti nella celiachia) e quelli
anti-GAD65 (presenti nel diabete mellito di tipo 1).
Esami ormonali Lo studio della funzione tiroidea si avvale innanzitutto del dosaggio del TSH, che rappresenta il
parametro più affidabile per definire il quadro funzionale
in assenza di patologie ipotalamo-ipofisarie. Il range laboratoristico di riferimento del TSH è compreso tra 0,5 mU/L
e 4,5 mU/L. Come si dirà successivamente, questo range
di riferimento è piuttosto ampio e può non riflettere l’eutiroidismo individuale. Per completezza diagnostica, al
TSH si associa il dosaggio della FT4, mentre una minore
importanza riveste il dosaggio della FT3. Il dosaggio degli
ormoni tiroidei totali non fornisce informazioni aggiuntive rispetto al dosaggio delle frazioni libere e può trarre
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Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
in errore diagnostico in quelle condizioni nelle quali gli
ormoni tiroidei totali si riducono o aumentano per una
riduzione o un aumento delle proteine di legame.
Nella tiroidite di Hashimoto si ha una prima fase, che può
durare anche tutta la vita, nella quale la funzione tiroidea
è nella norma (si veda Fig. 61.12). Questa fase di eutiroidismo può essere interrotta transitoriamente da episodi
di tireotossicosi senza ipertiroidismo espressione di una
tiroidite silente (si veda in precedenza, Tireotossicosi senza
ipertiroidismo, Forme infiammatorie). L’ipotiroidismo in
genere si sviluppa gradualmente con una fase più o meno
lunga di ipotiroidismo “subclinico” (TSH alto e ormoni
tiroidei nel range laboratoristico di normalità) che precede
l’ipotiroidismo conclamato (TSH alto e ormoni tiroidei
bassi) (si veda Fig. 61.12). Nell’ipotiroidismo conclamato
il quadro bioumorale è caratterizzato sempre da elevati
livelli di TSH e bassi livelli di FT4, mentre nel 25% dei casi
i livelli di FT3 possono essere normali quale espressione
di un meccanismo di adattamento dell’organismo alla
ridotta funzione secretoria tiroidea.
La valutazione ormonale può essere allargata a studiare
malattie autoimmuni interessanti altre ghiandole endocrine. Per esempio, nel sospetto di una malattia di Addison
(presenza di un’iperkaliemia con o senza iposodiemia
associate a ipotensione arteriosa) è indicato eseguire il
dosaggio dell’attività reninica plasmatica, dell’aldosterone
sierico, dell’ACTH e del cortisolo plasmatici. Nelle donne
in età fertile è spesso presente iperprolattinemia (effetto
dell’aumento del TRH a sua volta conseguente al mancato
feedback negativo degli ormoni tiroidei).
Esami strumentali L’ecografia tiroidea è uno strumento
utile anche se non indispensabile nell’approccio diagnostico al paziente con tiroidite di Hashimoto. Il quadro
ecografico tipico è caratterizzato da un’ipoecogenicità
più o meno diffusa espressione dell’infiltrazione linfomonocitaria e della distruzione follicolare (Fig. 61.14).
In genere, più estesa è l’ipoecogenicità della ghiandola
tiroidea e maggiore è il rischio successivo di sviluppare
ipotiroidismo (nei casi con eutiroidismo o ipotiroidismo
“subclinico”). L’ecografia può avere un ruolo diagnostico
importante in quei pazienti con tiroidite di Hashimoto
senza anticorpi antitiroide circolanti. Inoltre l’ecografia
consente di evidenziare anche l’eventuale coesistenza di
noduli tiroidei. È da ricordare che nella tiroidite di Hashimoto, così come nelle altre forme di tireopatia autoimmune, è possibile confondere le aree di ipoecogenicità
(pseudonoduli) con aree nodulari vere.
L’agoaspirato con esame citologico va eseguito solo nei
pazienti nei quali l’ecografia abbia evidenziato la presenza
di noduli tiroidei veri. La scintigrafia tiroidea, invece, non
riveste un ruolo diagnostico importante.
il decorso della malattia autoimmune sottostante. Pertanto, la terapia deve necessariamente continuare per
tempo indefinito. Sebbene sia la T3 l’ormone biologicamente attivo, si preferisce utilizzare la T4 o tiroxina
nella terapia sostitutiva dell’ipotiroidismo sfruttando
la sua trasformazione endogena in ormone biologicamene attivo. Le formulazioni contenenti sia T4 sia T3,
tuttavia, in alcuni casi potrebbero avvicinarsi meglio alla situazione fisiologica preesistente. Il dosaggio giornaliero di tiroxina in grado di correggere l’ipotiroidismo
è variabile tra 1,5 ␮g e 2,0 ␮g/kg. Nel soggetto giovane
è possibile iniziare con dosaggio pieno, mentre nel
soggetto anziano è necessario iniziare gradualmente,
in genere con 12,5 ␮g/die con successivo aumento di
12,5 ␮g/die ogni 3-4 settimane. Va ricordato che nel
soggetto anziano il metabolismo degli ormoni tiroidei
è rallentato e pertanto si impone un inizio graduale
per evitare il rischio di tireotossicosi “subclinica” da
sovratrattamento (rischio cardiovascolare). Il dosaggio
di mantenimento deve essere tale da mantenere i livelli
di TSH tra 1,0 e 4,5 mU/L con FT4 e FT3 nel range di
normalità. Per i soggetti longevi (età superiore agli 85
anni) è stato proposto di mantenere i livelli di TSH a
valori più alti, tra 5 e 8 mU/L.
1381
9
Ipotiroidismo da cause iatrogene
La terapia radio-metabolica con 131I, la chirurgia e la terapia medica con farmaci antitiroidei rappresentano cause
frequenti di ipotiroidismo primitivo su base iatrogena.
Sul piano clinico non vi sono differenze sostanziali rispetto all’ipotiroidismo della tiroidite di Hashimoto, se
si eccettua il fabbisogno in generale maggiore di ormone
tiroideo nella terapia sostitutiva e, per ciò che riguarda
l’ipotiroidismo postchirurgico, la possibile coesistenza di
un ipoparatiroidismo secondario all’intervento stesso.
Ipotiroidismo secondario e terziario
Esistono forme acquisite e congenite di ipotiroidismo
secondario e terziario, che per definizione sono causati
rispettivamente da una ridotta secrezione di TSH o TRH.
Queste condizioni possono verificarsi nei pazienti con malattie ipotalamiche o ipofisarie (malattie infiammatorie,
Terapia
Nella fase di eutiroidismo non è indicata alcuna terapia.
La terapia sostitutiva viene intrapresa sempre nei pazienti con ipotiroidismo conclamato, mentre l’indicazione al trattamento dell’ipotiroidismo “subclinico”
è variabile e controversa (si veda oltre). La terapia
dell’ipotiroidismo è sintomatica, in quanto consente
di correggere il difetto ormonale ma non di influenzare
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Figura 61.14
Aspetto
ecografico
della tiroidite
di Hashimoto.
(Per gentile concessione del dott. Massimo Garofano, UO Medicina Interna, AO Carlo
Poma, Mantova.)
6/9/10 5:48:55 PM
1382
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
vascolari, neoplastiche, infiltrative) o in quei pazienti sottoposti a ipofisectomia o irradiazione ipofisaria. In queste
condizioni, l’ipotiroidismo secondario si accompagna ad
altre manifestazioni cliniche di ipopituitarismo. Esistono anche forme congenite di ipotiroidismo secondario
che nella maggior parte dei casi sono idiopatiche. È nota
una forma dovuta a mutazioni inattivanti il gene che
codifica per il recettore del TRH e che comporta deficit
di TSH e di prolattina. È pure nota una forma a trasmissione autosomica recessiva caratterizzata da mutazioni a
carico del gene che codifica per il TSH che causano una
ridotta eterodimerizzazione della subunità ␤ con quella
␣. Deficienza di TSH, infine, è stata descritta in ceppi familiari per difetto dei fattori di trascrizione ipofisari Pit-1
(associata a quella di GH e prolattina) e Prop-1 (associata
a quella di GH, prolattina, FSH e LH).
Una peculiarità dell’ipotiroidismo secondario o terziario è
la non affidabilità diagnostica e nel follow-up del dosaggio
del TSH. Il quadro bioumorale tipico dell’ipotiroidismo
centrale (secondario o terziario) è caratterizzato da livelli
sierici di FT4 e FT3 inferiori alla norma e quelli di TSH
inappropriatamente bassi. Si possono avere anche forme
di ipotiroidismo centrale con elevati livelli di TSH, che
però risulta essere biologicamente inattivo. Il test al TRH
consente di fornire informazioni diagnostiche nei pazienti
con ipotiroidismo centrale (risposta del TSH assente o
ridotta nelle forme a genesi ipofisaria; ritardata, esagerata
e prolungata nelle forme a genesi ipotalamica).
Resistenza agli ormoni tiroidei
Infine esistono forme rare di ipotiroidismo causate da
una resistenza agli ormoni tiroidei (sindrome di Refetoff). Le mutazioni del TR␤ a livello del sito di legame
con l’ormone che comportano incapacità a legare la T3
determinano repressione della trascrizione a livello del
gene bersaglio e sono causa della sindrome da resistenza
agli ormoni tiroidei. I valori di FT4 e FT3 sono superiori
alla norma e il TSH ha valori inappropriatamente elevati. Il TSH non è inibito dalla somministrazione degli
ormoni tiroidei, ma aumenta in risposta alla somministrazione di TRH. Clinicamente si ha gozzo e la sintomatologia può variare dall’ipotiroidismo all’assenza
di sintomi (e queste condizioni vanno sotto il nome
di resistenza generalizzata agli ormoni tiroidei), alla
presenza di sintomi di tireotossicosi soprattutto cardiaci
(e questa condizione va sotto il nome di resistenza parziale agli ormoni tiroidei). Tali malattie sono in genere
↑ TBG
↓ FT3, FT4
Figura 61.15
Modificazioni
dell’omeostasi
tiroidea
nella donna
in gravidanza.
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↑ TSH
↑ hCG
↑ Metabolismo
degli ormoni tiroidei
IPERSTIMOLAZIONE GHIANDOLARE
IODIO-CARENZA:
ipotiroxinemia relativa
– stimolo gozzigeno
(madre e bambino)
IODIO-SUFFICIENZA:
adattamento
metabolico
familiari, con eredità autosomica dominante. Quando
vi è ipotiroidismo si somministrano ormoni tiroidei,
tenendo conto che la dose deve essere modulata sulla
risposta a livello del tessuto o dell’organo piuttosto che
sui livelli di TSH.
CONDIZIONI CLINICHE PARTICOLARI
Ipotiroidismo in gravidanza
La gravidanza è una condizione che predispone alla comparsa di ipotiroidismo, il quale a sua volta può causare
importanti danni al feto anche quando è di lieve entità.
Durante la gravidanza aumenta il fabbisogno di ormoni
tiroidei quale conseguenza dell’aumento indotto dagli
estrogeni delle proteine di legame (in particolare della
TBG) e dell’aumento del volume di distribuzione corporea
(Fig. 61.15). Per fare fronte a tali esigenze è necessario che
la ghiandola tiroidea sia efficiente. Nelle donne con una
riserva tiroidea ridotta a causa di una malattia autoimmune o di un precedente intervento chirurgico o radiometabolico, la gravidanza può slatentizzare un ipotiroidismo.
Ciò accade soprattutto nelle aree di endemia gozzigena,
in quanto l’incremento della clearance renale dello iodio
non può essere soddisfatto dall’introito esterno. Nelle
aree di endemia gozzigena, infatti, è possibile osservare
durante la gravidanza un peggioramento della funzione
tiroidea anche in donne senza evidenza di patologie a
carico della ghiandola tiroidea.
Quanto detto nel paragrafo dedicato all’ipotiroidismo
congenito consente di comprendere l’importanza della
correzione dell’ipotiroidismo materno, soprattutto nelle
prime 12 settimane di gestazione, quando la tiroide
fetale non è in grado di produrre ormoni tiroidei. Esistono studi clinici che dimostrano chiaramente come
anche un ipotiroidismo lieve (“subclinico”) possa pregiudicare lo sviluppo neurologico del feto. In considerazione del fatto che i livelli di TSH in gravidanza
sono fisiologicamente più bassi dello stato non gestazionale, le linee guida attuali suggeriscono di trattare
l’ipotiroidismo materno quando i valori di TSH siano
superiori a 2,5 mU/L nel primo trimestre e a 3,0 mU/L
nel secondo e terzo trimestri. Per l’incremento delle
proteine di legame, il dosaggio sostitutivo di tiroxina è
in media aumentato di 25-50 ␮g/die rispetto al periodo
pregestazionale.
Ipotiroidismo “subclinico”
L’ipotiroidismo “subclinico”, definito da elevati livelli
sierici di TSH con FT4 e FT3 nel range laboratoristico di
normalità, è una condizione molto frequente, con una
prevalenza del 4-10% nella popolazione generale che
può raggiungere il 20% nelle donne in età geriatrica. Il
range laboratoristico di normalità degli ormoni tiroidei
non riflette l’eutiroidismo individuale. Infatti, mediante
un approccio matematico è stato chiaramente dimostrato
che in ciascun soggetto il range di normalità degli ormoni
tiroidei è più stretto del range di normalità proposto a
livello laboratoristico. Quindi, un soggetto può avere un
lieve ipotiroidismo anche con valori di FT4 e FT3 ancora
compresi nel range laboratoristico di riferimento. La sensibilità tissutale agli ormoni tiroidei può essere variabile
6/9/10 5:48:55 PM
Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
da soggetto a soggetto in relazione a fattori genetici che
regolano il metabolismo e l’attività recettoriale periferica. Da questo punto di vista è estremamente difficile se
non impossibile riconoscere una disfunzione ghiandolare
lieve o “subclinica” sulla base dei soli livelli di ormoni
tiroidei. Pertanto, il dosaggio del TSH è fondamentale,
in quanto un aumento o una riduzione oltre il range
di normalità riflettono la comparsa di una disfunzione
ghiandolare a livello del singolo soggetto. Tale concetto
si basa sul principio che esiste un set-point individuale di
sensibilità del TSH alla variazione degli ormoni tiroidei.
Negli ultimi anni, numerosi studi hanno dimostrato che
l’ipotiroidismo cosiddetto “subclinico” non è una mera
entità laboratoristica, ma una condizione patologica che
in alcuni casi può essere sintomatica e, quando è cronica,
può anche indurre complicanze soprattutto cardiovascolari. Pazienti affetti da ipotiroidismo “subclinico” possono
presentare una disfunzione diastolica che può avere un
significato clinico e prognostico negativo soprattutto nei
soggetti anziani. È stata descritta anche un’associazione
con l’ipertensione arteriosa, quale conseguenza dell’aumento delle resistenze periferiche e della disfunzione
endoteliale indotte dalla carenza anche lieve degli ormoni
tiroidei. L’ipotiroidismo “subclinico” può associarsi alla
presenza di dislipidemia con un aumento del rischio di
cardiopatia ischemica. Infine, l’ipotiroidismo “subclinico”
è un fattore di rischio per lo sviluppo di ipotiroidismo
conclamato. È stato osservato che ogni anno circa il 2-5%
dei pazienti con ipotiroidismo “subclinico” può evolvere
in una forma clinicamente manifesta.
Pertanto esiste un razionale a trattare il paziente con
ipotiroidismo “subclinico”, ma è piuttosto controverso
definire quando iniziare il trattamento. Le attuali linee
guida suggeriscono di trattare sempre l’ipotiroidismo
“subclinico” quando i valori di TSH sono > 10 mU/L. In
questi casi, il rischio di progressione verso l’ipotiroidismo
conclamato è molto alto anche nel breve tempo e inoltre
esistono dati che suggeriscono come un certo beneficio
occorra sul rischio cardiovascolare. Al contrario, le linee
guida suggeriscono che sia non utile trattare i pazienti
con valori di TSH < 4,5 mU/L. Le raccomandazioni sono
differenti se si considerano le donne in stato di gravidanza
(il trattamento va iniziato quando i valori di TSH sono
> 2,5-3,0 mU/L) e i soggetti giovani con coesistente gozzo nodulare (il trattamento va iniziato per sopprimere i
livelli di TSH). Se esistono certezze su cosa fare per valori
di TSH > 10 o < 4,5 mU/L, purtroppo è ancora controverso come si debba agire per i pazienti con ipotiroidismo
“subclinico” con valori di TSH tra 4,5 e 10 mU/L. È stato
proposto di trattare solo quei pazienti nei quali è presente
un elevato rischio cardiovascolare e soprattutto quelli
con sintomi o segni di ipotiroidismo. Tuttavia, il grado
di evidenza che il trattamento possa essere di beneficio
in questi soggetti è ancora basso. In questi casi, dove le
linee guida non sono univoche è possibile applicare il
criterio dell’individualizzazione della scelta per i singoli
pazienti, tenendo in considerazione l’età del paziente e la
presenza di potenziali controindicazioni relative all’utilizzo dell’ormone tiroideo, quali la fibrillazione atriale, che
potrebbe peggiorare in presenza di un aumento anche
lieve dei livelli circolanti degli ormoni tiroidei. Si deve
ricordare che nel soggetto anziano, a causa di peculiarità
C0305.indd 1383
1383
metaboliche, la soglia di sicurezza della terapia sostitutiva
tiroidea è più bassa rispetto al soggetto giovane.
Coma mixedematoso
Il coma mixedematoso è una condizione clinica grave che
oggi solo eccezionalmente rappresenta lo stadio finale di
un ipotiroidismo che ha seguito la sua naturale evoluzione.
Assai più frequentemente il coma può essere precipitato da
fattori capaci di provocare anossia dell’SNC, deprimendo
i centri respiratori e/o diminuendo il flusso ematico cerebrale. Tra le cause scatenanti più comuni si ricordano:
l’esposizione prolungata al freddo, le infezioni, i traumi
con emorragia, l’ingestione di grandi quantità di alcol e
soprattutto la somministrazione di sedativi o tranquillanti.
Sono prevalentemente colpiti pazienti anziani, talora con
ipotiroidismo non noto o trattato in modo inadeguato,
affetti da malattie croniche respiratorie (inadeguata risposta
ventilatoria all’ipossia e all’ipercapnia, e facile depressibilità dei centri respiratori) o dell’apparato cardiovascolare.
Clinicamente il coma mixedematoso è caratterizzato da
bradicardia, da ipotermia e da sonnolenza progressiva sino
alla letargia e al coma. Non è sufficiente porre diagnosi di
coma mixedematoso, è necessario ricercare e correggere
la causa scatenante. La terapia del coma mixedematoso si
effettua mediante somministrazione di ormone tiroideo per
sondino naso-gastrico o (se la formulazione è disponibile)
per via endovenosa. Si inizia con una dose iniziale elevata
di tiroxina con o senza T3. Bisogna ricordare che nel coma
mixedematoso la trasformazione della T4 in T3 è ridotta. È
fondamentale la terapia di supporto con liquidi ipertonici
(frequente iposodiemia), la correzione dell’iperglicemia, la
somministrazione di cortisonici (nel caso di associazione
con l’iposurrenalismo) e di antibiotici a largo spettro. La
correzione dell’ipotermia va eseguita con cautela per evitare
un collasso cardiocircolatorio favorito dall’ipotiroidismo.
9
Alterazioni tiroidee
in corso di malattie sistemiche
L’assetto ormonale dell’asse ipofisi-tiroide può variare,
nel corso di malattie acute o croniche o di gravi carenze
nutritive, anche in assenza di malattie primitive della
tiroide o dell’ipofisi. Questa non rara eventualità, nota
come sindrome del malato eutiroideo o euthyroid sick syndrome dagli autori di lingua inglese, è andata assumendo
crescente importanza con l’estendersi del dosaggio degli
ormoni tiroidei e del TSH anche a pazienti senza evidenze
cliniche indicative di iper- o ipotiroidismo. Il cambiamento più precoce e comune è rappresentato dalla riduzione
dei livelli di T3 causata dalla ridotta deiodinazione periferica della T4. La riduzione della T3 in assenza di ipotiroidismo si osserva in tutte quelle condizioni in cui è utile
ridurre il metabolismo energetico stimolato dall’ormone
tiroideo. La riduzione della T3 può restare isolata oppure
associarsi a una diminuzione della T4 (“ipotiroxinemia
senza ipotiroidismo”) che si osserva nelle malattie più
gravi, quale espressione di un alterato legame alla TBG.
Il TSH può andare incontro a oscillazioni da valori molto
bassi a valori elevati, rendendo difficile l’interpretazione
del quadro funzionale tiroideo. In effetti, è importante
ricordare che nell’euthryroid sick syndrome le alterazioni
biochimiche tiroidee sono transitorie, in stretta correlazione con l’evento sistemico.
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1384
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
Malattie caratterizzate da eutiroidismo
Gozzo semplice
Definizione, epidemiologia ed eziologia
È una condizione clinica caratterizzata da un aumento di
volume della ghiandola tiroidea diffuso o nodulare (unio multinodulare) in presenza di una normale funzione
tiroidea. Per definizione il gozzo (dal latino gargutium:
canna della gola) è endemico quando è presente in più
del 10% della popolazione adulta o in più del 5% della
popolazione adolescenziale di una determinata area geografica; in alternativa si definisce sporadico. Nelle nostre
aree il gozzo è sporadico con percentuali del 3-4% della
popolazione generale. Il sesso femminile è quello più
colpito (rapporto femmine:maschi almeno 4:1), soprattutto in adolescenza, allattamento e gravidanza, quando
il fabbisogno di iodio è aumentato, e nelle aree in cui vi
è carenza marginale di iodio.
La causa del gozzo endemico è la carenza di iodio. Nell’endemia gozzigena di grado 1 la prevalenza del gozzo è
del 10-19% e la carenza di iodio è lieve (la ioduria è 50100 ␮g/g creatinina). In quella di grado 2 la prevalenza
del gozzo è del 20-29% e la carenza di iodio è moderata
(la ioduria è 25-49 ␮g/g creatinina). In quella di grado 3
la prevalenza del gozzo è > 30% e la carenza di iodio è
grave (ioduria < 25 ␮g/g creatinina).
Oltre alla carenza di iodio, esistono anche fattori genetici
che possono contribuire alla comparsa del gozzo e che
possono spiegare la frequente clusterizzazione familiare
della malattia. La concordanza nei gemelli omozigoti varia
dal 42 all’80%. Non si tratta di una trasmissione genetica
di tipo mendeliano, ma, come nelle tireopatie autoimmuni, entrano in gioco più geni a penetranza variabile.
In alcune forme di gozzo semplice entrano in gioco geni,
quali il MNG-1 sul cromosoma 14, che possono favorire
la proliferazione abnorme delle cellule tiroidee. Infine
esistono fattori acquisiti differenti dalla carenza iodica che
possono contribuire alla genesi del gozzo, quali sostanze
gozzigene (radice di cassava, vegetali della famiglia della
Cruciferae) e fumo di sigaretta.
Patogenesi e fisiopatologia
Esistono tre momenti fisiopatologici che sono responsabili
della formazione del gozzo: 1) un esagerato o abnorme stimolo mitogeno che agisce sulle cellule follicolari; 2) un’esagerata risposta delle cellule follicolari agli stimoli mitogeni;
3) la proliferazione autonoma delle cellule follicolari.
Per dare origine allo sviluppo del gozzo, lo stimolo mitogeno deve essere di bassa intensità e cronico, tale cioè da
superare la desensibilizzazione delle cellule follicolari che
invece si realizza quando lo stimolo è acuto e di elevata
intensità, quale quello causato dagli anticorpi anti-TSHR
nella malattia di Graves-Basedow. Lo stimolo mitogeno
che si ritiene più frequentemente in causa è il TSH, soprattutto nelle fasi iniziali dello sviluppo del gozzo, in
genere per un aumento della sua secrezione in risposta
a un’insufficiente secrezione ormonale tiroidea da cause
diverse, come si ha per esempio nella carenza di iodio.
La carenza iodica, d’altra parte, causa un aumento della
sensibilità delle cellule follicolari allo stimolo prolifera-
C0305.indd 1384
tivo. Poiché nel gozzo semplice generalmente il livello
plasmatico del TSH è normale, è possibile che siano in
gioco altri stimoli mitogeni abnormi quali per esempio
le immunoglobuline stimolanti la proliferazione (ma non
la funzione) delle cellule follicolari tiroidee (TGI o TGAb)
e fattori di crescita diversi quale per esempio l’IGF-1 e
altre citochine. Inizialmente, la proliferazione cellulare
è diffusa quindi il gozzo è diffuso e può regredire se lo
stimolo mitogeno cessa. Perdurando lo stimolo gozzigeno,
iniziano a comparire i noduli tiroidei, nella cui formazione entrano in gioco vari fattori. Un fattore importante
è la fisiologica eterogeneità delle cellule follicolari. In
condizioni di uno stimolo proliferativo cronico e di bassa
intensità (carenza iodica) le fisiologiche differenze tra le
cellule follicolari diventano evidenti, con creazione di
follicoli morfologicamente differenti a seconda del tipo
di cellula predominante. Si ipotizza che, perdurando lo
stimolo gozzigeno, prevalga la proliferazione dei cloni
cellulari a più elevata sensibilità agli stimoli mitogeni,
per cui il gozzo diviene nodulare. Alternativamente, è
possibile che l’attiva replicazione cellulare indotta dagli
stimoli mitogeni favorisca l’insorgere di mutazioni cellulari che consentono la proliferazione autonoma dei
cloni cellulari mutati. Infatti, le cellule follicolari tiroidee
sembrano particolarmente predisposte alle mutazioni
geniche spontanee, probabilmente quale conseguenza
della produzione di radicali liberi che derivano dall’ormonogenesi tiroidea (produzione di H2O2). Le mutazioni
possono interessare geni preposti alla sintesi di proteine
coinvolte nella regolazione della proliferazione cellulare
(per esempio, RAS), oppure di proteine coinvolte nella
regolazione sia della proliferazione sia dell’ormonogenesi
(per esempio, il TSHR o le proteine G). Nel primo caso si
avranno noduli non funzionanti, mentre nel secondo
caso i noduli possono presentare autonomia funzionale
responsabile della comparsa di ipertiroidismo (si veda in
precedenza, Gozzo multinodulare tossico).
Manifestazioni cliniche
Essendo la funzione tiroidea normale nel gozzo semplice, il
paziente è spesso asintomatico. Gli eventuali sintomi sono
in rapporto al volume del gozzo e alla sua sede. Il sintomo
più frequentemente lamentato dai pazienti è la sensazione
di compressione alla base del collo. Quando il gozzo è di
dimensioni tali da causare fenomeni compressivi sulle
strutture del collo, si possono avere disfagia (compressione
esofagea), distress respiratorio (compressione tracheale),
pletora (compressione dei vasi venosi), voce rauca, disfonia, afonia (compressione del nervo laringeo ricorrente).
La classificazione clinica del gozzo (OMS) è la seguente:
• grado 1, il gozzo è evidenziabile con la palpazione,
ma non è visibile neanche all’estensione del collo;
• grado 1b, il gozzo è palpabile e visibile solo
all’estensione del collo oppure sono palpabili noduli
anche in assenza di gozzo;
• grado 2, il gozzo è visibile nella posizione normale del
collo, la palpazione non è necessaria per la diagnosi;
• grado 3, il gozzo è voluminoso e si vede anche a
distanza.
6/9/10 5:48:56 PM
Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
Quando il gozzo è a estrinsecazione retrosternale può
essere presente il segno di Pemberton, che consiste nella
comparsa di congestione al volto e debolezza agli arti
superiori quando le braccia sono sollevate dietro la testa
(manovra che porta la ghiandola tiroidea aumentata di
volume nello stretto toracico).
Diagnosi
Esami di laboratorio e strumentali Gli esami di laboratorio non forniscono informazioni utili per l’identificazione
dei pazienti con gozzo. Nel gozzo semplice la funzione
tiroidea è normale, sebbene nella storia naturale della malattia possa comparire una tireotossicosi con ipertiroidismo
(si veda in precedenza, Gozzo multinodulare tossico). Il dosaggio della tireoglobulina non è utile e non è raccomandabile nella diagnostica di laboratorio del gozzo. L’esame
strumentale cardine per la diagnosi di gozzo è l’ecografia
tiroidea. Ci si avvale di apparecchiature a elevata risoluzione che utilizzano segnali acustici con frequenza elevata
(7,5-10 MHz) che penetrano nei tessuti non più di 5 cm,
una profondità sufficiente per l’esplorazione della tiroide.
Questo esame consente di individuare eventuali noduli
tiroidei e caratterizzarli sul piano morfologico (si veda oltre,
Nodulo tiroideo). Nei pazienti con gozzo a estrinsecazione
retrosternale e/o con sintomi e segni di compressione delle
strutture del collo, può essere utile eseguire una Rx trachea/
esofago con pasto di bario, una TC o una RM.
Terapia
La prevenzione del gozzo viene effettuata mediante la
profilassi iodica. La profilassi con iodio nelle zone di
endemia gozzigena è comunemente effettuata con sale
da cucina a cui è stato aggiunto potassio ioduro o iodato di potassio. La iodazione del sale da cucina si effettua
comunemente nella proporzione iodio-sale di circa
1:50.000, ovvero di 33,7 mg di iodato per kg di sale. Il
consumo giornaliero di 5-10 g di tale sale assicura l’apporto giornaliero di iodio raccomandato per l’adulto di
100-200 ␮g. Da ricordare che la stabilità dello iodato nel
sale non va oltre i tre mesi dalla data di fabbricazione
anche se il sale è conservato a temperatura ambiente
e in sacchetti di plastica. Ovviamente, la profilassi iodica ha un significato di prevenzione quando iniziata
precocemente in età infantile, prima cioè che si siano
innescati quei meccanismi irreversibili che portano
alla formazione del nodulo tiroideo. Essendo tuttavia
la profilassi con iodio non una procedura individuale,
ma necessariamente sociale, può succedere che nei pazienti con gozzo inveterato si abbia la comparsa di un
ipertiroidismo, in quanto lo iodio va a slatentizzare una
condizione di autonomia funzionale che si è sviluppata
durante la storia naturale del gozzo.
La terapia del gozzo semplice può essere effettuata con
la tiroxina somministrata a dosaggi tali da ridurre i
livelli di TSH a valori inferiori a 0,5 mU/L, creando
quindi una tireotossicosi “subclinica” (terapia TSHsoppressiva). Il razionale di tale terapia è di annullare lo
stimolo gozzigeno del TSH. Tuttavia, questo tipo di terapia non consente di eliminare del tutto la possibilità
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1385
di crescita del gozzo, che può dipendere da altri fattori
di crescita e dall’insorgenza di autonomia proliferativa.
Indipendentemente da queste considerazioni, va ricordato che la terapia TSH-soppressiva è controindicata
nei soggetti anziani, nelle donne in postmenopausa e
nei soggetti cardiopatici e con osteoporosi.
Quando il gozzo è di dimensioni tali da causare fenomeni compressivi o quando è presente ipertiroidismo,
la terapia più appropriata è la chirurgia.
Nodulo tiroideo
I noduli tiroidei sono frequenti e spesso rappresentano
reperti occasionali riscontrati durante esami ecografici del
collo in pazienti senza segni o sintomi di malattia tiroidea
(cosiddetti “incidentalomi” tiroidei). Studi ecografici hanno dimostrato la presenza di noduli tiroidei fino al 40%
della popolazione generale anche in quelle aree considerate
classicamente come non endemiche per il gozzo nodulare.
Da un punto di vista clinico i noduli tiroidei possono essere
riscontrati da parte del paziente, dei familiari o durante una
visita clinica di routine con ispezione e palpazione. Quando
i noduli superano 1 cm di diametro possono essere palpabili
come tumefazioni a carico del parenchima tiroideo, mobili
con gli atti della deglutizione. I noduli tiroidei sono visibili
solo quando sono di grandi dimensioni e/o interessano le
porzioni anteriori dei lobi tiroidei o dell’istmo, più frequentemente nei pazienti di costituzione magra. Nei pazienti
con noduli tiroidei cistici può comparire una sintomatologia dolorosa provocata dall’incremento improvviso delle
dimensioni del nodulo, che il più delle volte è causato da
un’emorragia intracistica.
L’ecografia tiroidea rappresenta lo strumento fondamentale nell’approccio diagnostico del nodulo tiroideo
(Fig. 61.16). Questo esame consente di caratterizzare i
noduli tiroidei da un punto di vista morfologico (dimensioni, forma, struttura, presenza di capsula, presenza
di calcifi cazioni, caratteristiche della vascolarizzazione). Da un punto di vista ecografi co i noduli tiroidei
vengono classificati come isoecogeni, iperecogeni,
ipoecogeni, anecogeni, sulla base dell’intensità del
segnale rispetto al circostante parenchima tiroideo. I
noduli a contenuto liquido (cisti) appaiono come completamente o parzialmente anecogeni ( Fig. 61.16 a ),
mentre quelli a contenuto solido appaiono isoecogeni
(Fig. 61.16 b) o ipoecogeni (Fig. 61.16 c) e più raramente iperecogeni. Tali aspetti ecografici consentono di
orientare il successivo protocollo diagnostico: infatti i
noduli cistici sono in genere benigni e quindi può essere
non necessario eseguire l’esame citologico. Alcuni noduli possono avere una struttura “complessa”, con aree
solide e aree liquide (Fig. 61.16 d). L’ecografia tiroidea
allargata alla regione cervicale antero-laterale consente
anche di valutare l’eventuale presenza di linfoadenomegalie, che possono rappresentare la prima spia di una
neoplasia tiroidea. Infine, l’ecografia può essere anche
utilizzata per guidare procedure diagnostiche (agoaspirato per esame citologico) e terapeutiche (aspirazione di
noduli cistici o alcolizzazione).
9
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Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
La scintigrafia tiroidea viene eseguita solo in quei pazienti
con un quadro biochimico suggestivo di tireotossicosi.
Di fronte a un paziente con nodulo tiroideo vi è la necessità di distinguere le forme maligne da quelle benigne
e quindi di individuare i pazienti da sottoporre a tratta-
a
b
c
mento chirurgico. Ingrandimenti apparentemente circoscritti della tiroide possono essere causati da forme non
tumorali (Tab. 61.7). Il gozzo nodulare è una patologia
frequente nella popolazione generale, ma solo il 3-5%
dei noduli è maligno. Nell’infanzia e nell’adolescenza
i noduli tiroidei hanno bassa prevalenza, compresa tra
0,2 e 1,4%, ma l’incidenza di malignità in questi noduli
è elevata, essendo compresa tra il 15 e il 20% e anche
più in alcune casistiche. L’unico esame che consente,
in fase preoperatoria, di discriminare il nodulo benigno da quello maligno è l’esame citologico su materale
agoaspirato. Nel 70% dei casi la diagnosi è di benignità,
nel 3-5% dei casi di malignità e nella restante parte dei
casi l’esame può fornire informazioni non dirimenti ai
fi ni diagnostici a causa di un risultato inadeguato (il
campione cellulare è scarso) o di un risultato indeterminato (di fronte a una lesione follicolare o a una lesione
a cellule di Hürthle l’esame citologico non consente di
differenziare l’adenoma dal carcinoma). Quando il risultato dell’esame citologico è inadeguato o indeterminato,
il clinico viene posto di fronte alla scelta di sottoporre
o meno il paziente a un trattamento chirurgico il cui
signifi cato però non è terapeutico, ma fondamentalmente di approfondimento diagnostico mediante esame
istologico.
Il primo passo nell’approccio diagnostico a un paziente
con nodulo tiroideo è la scelta di eseguire o meno l’esame
citologico. La scelta tiene conto del profilo individuale di
rischio (età < 20 anni o > 70 anni, sesso maschile, familiarità per neoplasie tiroidee sia midollari e sia a partenza
dalle cellule follicolari, sospetto di sindromi MEN o di
malattie familiari come la sindrome di Gardner, pregresse
irradiazioni al collo o esposizione ambientale a radiazioni
ionizzanti), comportamento clinico del nodulo (aumento
di dimensioni durante il follow-up, comparsa di segni
e sintomi suggestivi di infiltrazione delle strutture del
collo), caratteristiche ecografiche del nodulo (struttura
solida, diametro > 1-1,5 cm, struttura ipoecogena, margini
sfumati, presenza di microcalcificazioni, vascolarizzazione intranodulare), comportamento funzionale (assenza
di autonomia funzionale). Le linee guida internazionali raccomandano l’esecuzione dell’agoaspirato sempre
quando il nodulo è palpabile o comunque di diametro >
1,0-1,5 cm in assenza di segni biochimici e/o scintigrafici
di autonomia funzionale. Nei noduli più piccoli l’agoaspirato è giustificato se sono presenti segni ecografici di
malignità e/o se sono presenti fattori di rischio individuali
e/o se il comportamento clinico del nodulo è sospetto
(Fig. 61.17).
Tabella 61.7
Figura 61.16
Aspetto
ecografico dei
noduli tiroidei.
d
(Per gentile concessione del dott. Massimo Garofano, UO Medicina Interna, AO Carlo
Poma, Mantova.) (a) Nodulo solido con una componente centrale anecogena da
contenuto liquido; (b) nodulo solido isoecogeno; (c) nodulo ipoecogeno; (d) nodulo
complesso.
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Classificazione clinico-patologica dei noduli
tiroidei non neoplastici
Iperplasia follicolare nell’ambito di un gozzo
Iperplasia di un residuo tiroideo post-chirurgico
Cisti tiroidee
Cisti del dotto tireoglosso
Tiroidite focale (acuta-suppurativa, subacuta-granulomatosa,
cronica-linfocitaria)
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Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
Il comportamento terapeutico è strettamente dipendente dal risultato dell’agoaspirato. Nelle forme benigne è
indicata la terapia TSH-soppressiva quando non sono
presenti controindicazioni. Il follow-up è sempre necessario, in quanto una crescita del nodulo in corso di
terapia farmacologica rappresenta un’indicazione alla
ripetizione dell’esame citologico. Infatti, va ricordato
che risultati falsi negativi di esami citologici (diagnosi di
benignità in carcinomi tiroidei) possono verificarsi fino
al 5% dei casi. La risposta alla terapia TSH-soppressiva
in termini di riduzione delle dimensioni nodulari è variabile e dipende dalle dimensioni e dalla struttura dei
noduli. Ancora oggi si discute sull’efficacia reale di tale
terapia nel gozzo nodulare normofunzionante, anche
perché esistono dati epidemiologici che dimostrano
come in una percentuale non trascurabile di pazienti
il gozzo nodulare tende spontaneamente a stabilizzarsi
nel tempo e in alcuni casi a ridursi di dimensione indi-
9
Nodulo tiroideo
(confermato ecograficamente)
TSH
basso
Scintigrafia
pendentemente dal trattamento farmacologico. Quando
l’esame citologico è positivo per neoplasia maligna si
mettono in atto le procedure terapeutiche che verranno
discusse nel paragrafo dedicato ai tumori tiroidei. La chirurgia è indicata anche nei pazienti con risultato citologico indeterminato (lesione follicolare o lesione a cellule
di Hürthle). Il trattamento chirurgico è necessario, in
quanto la definizione diagnostica (adenoma o carcinoma) non può che avvenire mediante l’esame istologico
sul pezzo operatorio, attraverso la dimostrazione dell’invasione dei vasi e della capsula (presenti nel carcinoma,
assenti nell’adenoma). Quando il risultato dell’esame
citologico è inadeguato, è consigliato il follow-up con
ripetizione dell’esame citologico se il nodulo è misto
o cistico. Invece, se il nodulo è solido è raccomandato
l’intervento chirurgico, il quale va comunque eseguito
quando gli esami citologici di controllo abbiano sempre
dato risultati ripetutamente inadeguati (Fig. 61.17).
1387
TSH
normale/alto
Nodulo
“freddo”
Nodulo
> 1-1,5 cm
Nodulo
< 1 cm
Nodulo
“caldo”
Chirurgia
o radioiodio
Assenza di fattori
di rischio
Aspetti ecografici
non sospetti
Presenza di fattori
di rischio1
Aspetti ecografici
sospetti2
FNAB
TSH-soppressione
o follow-up
Maligno
Lesione
follicolare
Inadeguato
Benigno
Chirurgia, 131l,
TSH-soppressione
Chirurgia
Ripetere FNAB
o chirurgia3
TSH-soppressione
o follow-up
Figura 61.17
Algoritmo
diagnosticoterapeutico nel
paziente con
nodulo tiroideo.
1
I fattori di rischio per il carcinoma tiroideo sono: età < 20 anni o > 70 anni, familiarità per sindromi MEN o per carcinomi tiroidei,
pregressa irradiazione del collo o esposizione a radiazioni ionizzanti, crescita del nodulo durante il follow-up.
2
Reperti ecografici sospetti sono: aspetto ipoecogeno, margini sfumati, presenza di microcalcificazioni, vascolarizzazione intranodulare.
3
L'intervento chirurgico è indicato quando l'agoaspirato è inadeguato su noduli solidi o quando è ripetutamente inadeguato
(l'algoritmo è derivato dall'integrazione delle linee guida dell'ATA [Cooper DS et al. Thyroid, 2006] e dell'AACE/AME [Gharib H et al., 2006]).
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1388
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
Tumori tiroidei maligni
Classificazione ed epidemiologia
I tumori maligni della tiroide sono distinti in primitivi e secondari (metastatici, assai rari). Quelli primitivi
più frequenti sono di origine epiteliale, derivanti dalle
cellule follicolari, e si classificano in carcinomi differenziati (papillifero e follicolare), scarsamente differenziati
(insulare e altri) e indifferenziati (anaplastici). Vi sono
poi i carcinomi che derivano dalle cellule C della tiroide
(carcinoma midollare) e infine tumori maligni non epiteliali (linfoma maligno, sarcoma) (Tab. 61.8). Ciascun tipo
istologico presenta specifiche peculiarità in quanto a diffusione iniziale e alla successiva modalità di recidiva e di
diffusione metastatica. La prognosi migliore è quella che
caratterizza il carcinoma papillifero, mentre la peggiore
è quella degli anaplastici e dei midollari. I carcinomi
papilliferi metastatizzano prevalentemente per via linfatica, i follicolari per via ematica. Gli anaplastici hanno
un’elevata capacità sia di metastatizzare a distanza sia di
progressione locale con infiltrazione delle strutture del
collo. I carcinomi midollari metastatizzano precocemente
e non è raro riscontrare metastasi con lesioni tiroidee
primitive subcentimetriche.
I carcinomi tiroidei sono relativamente rari, costituendo
meno dell’1% di tutti i tumori maligni umani; la loro incidenza annuale è compresa tra 0,5 e 10 per 100.000 abitanti,
ma rappresentano la neoplasia endocrina più comune. In
Italia, le stime di incidenza sono di 600-700 nuovi casi
all’anno nel sesso maschile e 2500-2600 nuovi casi all’anno
nel sesso femminile. L’incidenza aumenta progressivamente
con l’età dei pazienti, con un picco tra i 40 e i 60 anni e un
successivo calo nel sesso femminile e un trend progressivo
all’incremento fino a 70 anni nel sesso maschile. In età
geriatrica sono più frequenti i tumori follicolari e quelli anaplastici rispetto a quelli papilliferi, che sono invece l’istotipo
più frequente nelle fasce di età più giovani.
Negli ultimi decenni si è osservato un progressivo incremento dell’incidenza dei carcinomi tiroidei, ma tale
aumento non si è accompagnato a un incremento della
mortalità. Questa discrepanza è legata a un miglioramento
delle procedure terapeutiche, ma soprattutto a un miglioramento di quelle diagnostiche che ha portato a una
diagnosi precoce del tumore. Infatti, studi epidemiologici
dimostrano come siano aumentate, rispetto al passato, le
diagnosi dei tumori di dimensioni più piccole, che sono
quelli a prognosi migliore.
Tabella 61.8 Classificazione WHO dei tumori tiroidei
Tumori che originano dalle cellule follicolari
Benigni
Adenoma follicolare
Maligni
Carcinoma follicolare
Minimamente invasivo (incapsulato)
Ampiamente invasivo
A cellule di Hürtle
Variante a cellule chiare
Carcinoma papillare
Microcarcinoma papillare (< 1 cm)
Variante incapsulata
Variante follicolare
Variante sclerosante diffusa
A cellule ossifile
Carcinoma indifferenziato (anaplastico)
Tumori che originano dalle cellule C parafollicolari
Maligni
Carcinoma midollare
Tumori non epiteliali
Maligni
Sarcoma
Emagioendotelioma
Linfoma
Metastasi
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Eziopatogenesi e fisiopatologia
Tra i fattori ambientali che sono chiamati in causa
nell’eziologia dei tumori tiroidei bisogna ricordare le radiazioni ionizzanti. Soggetti in precedenza irradiati al
collo per malattie benigne (acne, tinea capitis) o maligne
(linfomi) hanno un rischio aumentato di sviluppare una
neoplasia della tiroide. Il problema delle radiazioni ionizzanti è riemerso negli ultimi anni dopo l’incidente di
Chernobyl, che ha visto aumentare in maniera significativa l’incidenza di tumori tiroidei (in particolare quelli
papilliferi) nelle aree geografiche che sono state raggiunte
dalla nube di sostanze radioattive (in particolare radioisotopi dello iodio) emesse dal reattore nucleare di Chernobyl. Il problema delle radiazioni ionizzanti ha portato
anche a studiare l’eventuale rischio nei pazienti sottoposti
a trattamento radiometabolico con 131I per ipertiroidismo.
I dati clinici, tuttavia, dimostrano che tale tipo di trattamento sarebbe privo di effetti cancerogeni.
Come in altri tipi di neoplasia, il carcinoma tiroideo progredisce attraverso un processo carcinogenetico multistep
caratterizzato dall’accumulo di mutazioni genetiche e di
alterazioni cromosomiche responsabili dell’evoluzione
maligna della malattia. Tale progressione è favorita dai
fattori di crescita, quali il TSH, che agiscono da fattori di
“promozione” dopo che le mutazioni genetiche hanno
creato i presupposti per la crescita incontrollata delle
cellule “trasformate”. Tra i geni responsabili dei tumori
tiroidei, si ricordano i geni RET, BRAF e RAS. I geni RET
e RAS possono essere mutati non solo nei carcinomi (follicolari per RAS e papilliferi per RET), ma anche nelle
lesioni benigne adenomatose. Invece BRAF è mutato solo
nei carcinomi, specificamente in quelli papilliferi. Il gene
RET è coinvolto anche nell’eziopatogenesi dei carcinomi
midollari familiari (si veda il Capitolo 65).
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Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
Anatomia patologica
Il carcinoma papillifero della tiroide è definito come un
tumore epiteliale maligno differenziato in senso follicolare e caratterizzato dalla formazione di papille e/o da
alterazioni peculiari del nucleo delle cellule neoplastiche. La variante istologica più frequente è quella follicolare, che si distingue dal carcinoma follicolare per le
caratteristiche del nucleo. Varianti considerate aggressive
sono quella diffusa sclerosante, in cui la neoplasia è disseminata per via linfatica ai due lobi tiroidei, e quella a
cellule alte e a cellule colonnari con stratificazione dei
nuclei. La neoplasia non è provvista di capsula. All’interno del tumore possono essere presenti calcificazioni
“a granuli stipati”. Le cellule sono in genere diploidi, ma
con frequenti anomalie cromosomiche, espressione dei
riarrangiamenti a carico del gene RET.
Il carcinoma follicolare è definito come un tumore maligno differenziato in senso follicolare ma privo delle
caratteristiche istologiche proprie del carcinoma papillifero. Il carcinoma follicolare della tiroide è provvisto
di capsula, è aggressivo invadendo la capsula, i vasi e il
tessuto tiroideo circostante. L’invasione della capsula e
dei vasi rappresenta l’elemento anatomopatologico che
consente di distinguere il carcinoma follicolare dall’adenoma follicolare. I quadri istologici variano da quello
costituito esclusivamente da follicoli ben formati a quello
costituito da tessuto solido con scarsi follicoli. Sono varianti quella a cellule chiare e quella a cellule oncocitiche/
ossifile (carcinoma a cellule di Hürtle), che è particolarmente aggressiva. Importante dal punto di vista clinico
è la distinzione in due categorie in base all’invasività
del tumore: quella minimamente invasiva, il cui quadro
istologico spesso non è distinguibile da quello dell’adenoma follicolare, essendo l’invasione della capsula e dei
vasi discreta e visibile solo se accuratamente ricercata, e
quella ampiamente invasiva con grossolana ed evidente
invasione della capsula, dei vasi e del tessuto tiroideo
circostante. La proliferazione neoplastica è monoclonale.
Reperti comuni sono l’aneuploidia e le alterazioni cromosomiche del nucleo.
Il carcinoma midollare prende origine dalle cellule C della
tiroide e come queste secerne calcitonina. È un tumore
sprovvisto di capsula, presentante diversi quadri istologici, ma non follicoli né papille. Le cellule, di forma varia,
sono sdifferenziate e in attività mitotica. Caratteristico è lo stroma connettivale ricco di amiloide (positività
istochimica al rosso Congo e non per la colloide come
per i carcinomi follicolari e papilliferi); sono frequenti le
calcificazioni. Esso appare come una massa dura, spesso
bilaterale, e localizzata ai due terzi superiori dei lobi tiroidei. Foci neoplastici multipli possono essere presenti
nella ghiandola.
Il carcinoma anaplastico è un carcinoma altamente invasivo, non provvisto di capsula, a cellule indifferenziate,
di forma varia, spesso in mitosi, la cui natura epiteliale
è dimostrata dalla presenza di cheratina (con fissazione
immunoistochimica di anticorpi anticheratina).
Manifestazioni cliniche
Il cancro della tiroide si presenta come un nodulo tiroideo e quindi le manifestazioni cliniche possono essere
le stesse di quelle già riportate nel paragrafo dedicato al
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1389
gozzo nodulare. Vi possono essere sintomi e segni peculiari che possono orientare verso la natura maligna del
nodulo tiroideo, come la consistenza aumentata, la scarsa
mobilità, l’aumento di dimensioni durante un periodo di
follow-up, la presenza di linfoadenomegalie cervicali. Nei
pazienti con carcinoma midollare possono essere presenti
manifestazioni cliniche di iperproduzione di neuromodulatori, quali la serotonina e l’istamina, che causano sintomi
simili a quelli presenti nei tumori carcinoidi (flushing e
diarrea).
Diagnosi
Esami biochimici Da un punto di vista laboratoristico
non esistono marcatori neoplastici specifici per il carcinoma follicolare e per quello papillifero, almeno per quello
che riguarda la diagnosi di malattia. La Tg ha un significato clinico solo nel monitoraggio dei pazienti già sottoposti
a trattamento chirurgico e radiometabolico. Per il carcinoma midollare è utile il dosaggio della calcitonina, sia
per la diagnosi sia per il monitoraggio post-trattamento.
Nei casi dubbi, quando i livelli di calcitonina non sono
molto aumentati, è possibile eseguire il test alla pentagastrina che consente di discriminare le forme neoplastiche
(aumento dei livelli di calcitonina > 100 pg/L) dalle forme
non neoplastiche associate a lieve ipercalcitoninemia basale (non risposta alla pentagastrina). Il dosaggio dell’antigene carcinoembrionario può essere utile nel carcinoma
indifferenziato e nel carcinoma midollare.
9
Esami strumentali Gli esami strumentali sono fondamentali per la stadiazione della malattia. L’ecografia
del collo consente di ottenere importanti informazioni
soprattutto in quei tumori tiroidei a metastatizzazione
precoce linfonodale, come il carcinoma papillifero e
quello midollare. Esami come la TC e la RM consentono
di completare la stadiazione preoperatoria attraverso lo
studio degli altri distretti corporei. Considerando che
i tumori tiroidei possono metastatizzare anche all’osso
(in particolare il carcinoma follicolare), utile è anche la
scintigrafia ossea.
La stadiazione dei tumori tiroidei si avvale del sistema
AICC.TNM versione VI. La stadiazione è importante in
questo tipo di tumori, poiché essa ha valore nello stabilire
la prognosi, le modalità terapeutiche e del follow-up
postoperatorio indipendentemente dal tipo istologico
della neoplasia, ossia se papillifero o follicolare. La probabiltà di recidiva e di morte aumenta passando dallo
stadio I a quelli successivi. Gli stadi I e II sono considerati
a basso rischio, quelli III e IV a rischio elevato. La stadiazione preoperatoria è solo clinica; dopo l’intervento
chirurgico è più accurata, in quanto si aggiungono i dati
anatomopatologici.
La prognosi dei pazienti con carcinoma tiroideo varia a
seconda dell’istotipo e dello stadio di malattia. Nei pazienti con carcinoma papillifero e follicolare di età inferiore a 45 anni la prognosi è buona. Nei pazienti di età
> 45 anni, invece, la prognosi è strettamente in funzione delle dimensioni del tumore, della presenza o meno
di metastasi linfonodali e a distanza. Per il carcinoma
anaplastico lo stadio TNM è considerato sempre il IV. La
sopravvivenza è di alcuni mesi. Tuttavia, quando il carcinoma è localizzato alla tiroide e ai linfonodi cervicali,
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1390
Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE
la chirurgia ampiamente demolitiva della tiroide e delle
linfoghiandole cervicali, associata a radioterapia esterna e
polichemioterapia, ha permesso occasionalmente sopravvivenze anche di anni.
Terapia
La terapia iniziale è sempre chirurgica. L’intervento consiste nella tiroidectomia totale o quasi totale
con l’obiettivo da una parte di eliminare eventuali foci multipli del tumore (il carcinoma tiroideo è
frequentemente multifocale) e dall’altra di favorire
il successivo monitoraggio dei pazienti mediante
dosaggio della Tg. All’intervento chirurgico segue
la terapia ablativa con 131I che, per essere efficace,
deve essere eseguita in presenza di elevati livelli di
TSH. Tale condizione si ottiene lasciando il paziente
ipotiroideo dopo l’intervento chirurgico o somministrando TSH ricombinante nel paziente che assume
tiroxina. Nei giorni successivi alla somministrazione
del radioiodio è indicata l’esecuzione di una scintigrafia total body per poter visualizzare l’eventuale
presenza di metastasi a distanza non documentate
dagli esami strumentali preoperatori. Le linee guida
attuali non raccomandano l’esecuzione della terapia
radiometabolica nei pazienti con microcarcinoma papillifero della tiroide in stadio I, per il quale il trattamento chirurgico viene considerato sufficiente. Alla
terapia radiometabolica segue un trattamento con
tiroxina a dosaggio “TSH-soppressivo” con controlli
semestrali dei valori di Tg in corso di terapia e controlli
annuali ecografici (per valutare l’eventuale comparsa
di recidive locali a livello cervicale). Un anno dopo la
terapia radiometabolica è indicata una valutazione dei
valori di Tg dopo stimolo con TSH ricombinante o dopo sospensione della terapia con tiroxina. Il successivo
follow-up si esegue dosando la Tg sotto TSH-soppressione. Nei pazienti senza recidiva e metastasi i valori
di tireoglobulina sono inferiori a 1 ng/mL in corso di
TSH-soppressione e < 2 ng/mL durante stimolazione.
Ovviamente i cut-off devono tenere conto delle peculiarità delle metodiche utilizzate e dell’eventuale presenza
di TgAb, che inficiano il dosaggio della proteina tiroidea. Nei casi in cui il dosaggio della Tg non è affidabile
(presenza di TgAb), si ricorre alla scintigrafia total body
con 131I sotto stimolo del TSH o all’esame TC-PET.
Tiroiditi
Le tiroiditi sono malattie infiammatorie della ghiandola
tiroidea che possono essere causate da infezioni batteriche
(tiroidite acuta suppurativa), virali (tiroidite subacuta di
De Quervain), autoimmuni (tiroidite cronica di Hashimoto, tiroidite post partum, tiroidite silente, tiroidite
lignea di Riedel) (Tab. 61.9). Le tiroiditi autoimmuni e la
tiroidite virale sono state trattate nei paragrafi dedicati
all’ipotiroidismo e alle tireotossicosi. La tiroidite acuta
suppurativa è una rara condizione clinica sostenuta da un
processo suppurativo a partenza dalle strutture viciniori
del collo. Si manifesta clinicamente con febbre settica (a
differenza della tiroidite subacuta di De Quervain, in cui
è presente in genere febbricola), aumento degli indici di
Tabella 61.9 Classificazione delle tiroiditi
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Malattie
Tiroidite cronica
di Hashimoto
Eziologia
Autoimmune
Funzione tiroidea
Eutiroidismo →
Ipotiroidismo
Tiroidite silente/
post partum
Autoimmune
Tireotossicosi →
Ipotiroidismo
Tiroidite subacuta
di De Quervain
Virale
Tireotossicosi →
Ipotiroidismo
Tiroidite acuta
Batterica
Eutiroidismo
Tiroidite lignea
di Riedel
Autoimmune –
non certa
Eutiroidismo →
Ipotiroidismo
flogosi, dolore nella regione tiroidea. Generalmente la
funzione tiroidea rimane nella norma, a differenza della
tiroidite subacuta di De Quervain, che invece si associa a
tireotossicosi senza ipertiroidismo (si veda in precedenza,
Tireotossicosi senza ipertiroidismo, Forme infiammatorie).
La tiroidite di Riedel o “tiroidite lignea”, “fibrosa” o “fibroinvasiva”, è un’affezione molto rara, a eziologia non
definita, caratterizzata da lesioni infiammatorie croniche,
a evoluzione fibrosclerotica, che coinvolgono, oltre al parenchima tiroideo, le strutture adiacenti: trachea, esofago,
paratiroidi, muscoli del collo. Il processo fibrosclerotico
può interessare altri distretti: retroperitoneo, mediastino,
dotti biliari, parotidi (fibrosclerosite multifocale). Il processo fibrosclerotico provoca un sovvertimento completo
delle strutture anatomiche della tiroide; il tessuto follicolare è progressivamente sostituito da tralci fibrosi che
inglobano isole di epitelio irregolarmente distribuite.
Da un punto di vista anatomopatologico il processo interessa solo un’area localizzata della ghiandola, che diventa
di consistenza duro-lignea e fissa alle strutture limitrofe
per deposizione di tessuto fibroso denso nella capsula e
nel tessuto adiposo peritiroideo. Le zone colpite dalla
lesione mostrano perdita della struttura lobulare e sostituzione del parenchima da parte di connettivo fibroso
denso, frammisto al quale si osservano rari follicoli compressi, linfociti, plasmacellule e occasionali granulociti;
mancano le cellule giganti e gli istiociti.
Da un punto di vista clinico, l’esordio è insidioso. I sintomi principali sono disturbi da compressione delle strutture
del collo; in particolare esofago, trachea, nervi ricorrenti
con disfagia, dispnea, cambiamento del tono della voce,
6/9/10 5:48:57 PM
Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE
afonia. La lesione tiroidea, inizialmente localizzata, si
estende gradualmente coinvolgendo, nell’arco di mesi
o di anni, l’intera ghiandola. La tiroide è di durezza lignea, indolore, aderente ai piani profondi, modestamente
ingrandita. La cute non è infiltrata; i segni di infiammazione sono assenti. I pazienti sviluppano lentamente
un ipotiroidismo irreversibile. Il coinvolgimento delle
1391
paratiroidi nel processo fibrosclerotico può provocare
ipoparatiroidismo. L’intervento chirurgico offre l’unica
possibilità di porre una sicura diagnosi e di alleviare i
disturbi compressivi su trachea ed esofago, asportando
il tessuto fibrosclerotico presente nella regione istmica e
separando e lateralizzando i due lobi. L’ipotiroidismo va
trattato con terapia sostitutiva.
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