BSI Market Outlook 2° Trimestre 2014

Banchieri svizzeri dal 1873
BSI Market Outlook
II Quarter 2014
Quarterly market and economic view
By BSI Strategy and Research
www.bsibank.com
Ritorno dell’oro?
2
Scenario economico globale
3
Il punto sulle diverse Asset Class
4
Focus Mercato Svizzera
5
Focus Mercato LatAm
6
Focus Mercato CEE 7
Focus Mercato Asia (Giappone escluso)
8
Idee di investimento
9
BSI Market Outlook
2
Oro: Barometro di fair value (equilibrio)
100%
1900
90%
1700
80%
1500
70%
1300
1100
60%
900
50%
700
40%
500
30%
300
20%
100
Dear
10%
-100
0%
-300
-10%
-500
Cheap
-20%
-700
-30%
Gold Spot
price (rhs)
Fair Value
(r.h.s.)
Barometer
2015
2013
2011
2009
2007
2005
2003
2001
1999
-900
1997
Per l’oro il 2013 è stato un anno da dimenticare, almeno
per quanto riguarda la dinamica di prezzo: un calo del 28%.
Non ci ha quindi sorpreso che l’anno si sia chiuso con una
serie di “de prufundis” sul mercato aureo. Ebbene, come
spesso accade il consensus non si è rivelato buona guida,
almeno per ora: da fine 2013 il metallo giallo ha guadagnato un buon 9% (mentre scriviamo), e alcuni elementi positivi sono emersi dal mercato. Come mai questo apparente
“U-turn”, e quale sarà il destino dell’oro nei prossimi mesi?
Come al solito, è più semplice razionalizzare il passato che
prevedere il futuro, anche se la prima operazione produce
alcuni input a valenza previsionale.
Punto di partenza è che (primo grafico) il metallo giallo aveva
chiuso il 2013 a un prezzo decisamente sotto il suo valore di
equilibrio (come da noi stimato). Quindi, a differenza del mercato azionario, l’oro ha iniziato il 2014 fondamentalmente
“cheap”. Questo sostrato necessitava solo di un qualche catalizzatore per scatenare una reazione di prezzo. Tale catalizzatore è stato l’indebolimento di timori economico-finanziari
che avevano, in precedenza, giocato contro l’oro.
Innanzitutto c’è stato l’indebolimento di timori che la Fed
stesse per iniziare una “rapida” exit strategy – processo di
riassorbimento della liquidità foriero di aumenti nella struttura dei tassi d’interesse. Quest’ultimo è chiaramente un
fattore negativo per l’oro, in quanto ne aumenta notevolmente il costo di opportunità (l’oro non offre un flusso reddituale, a differenza dei bond). Tale cambiamento previsionale vis a vis la Fed non è stato dovuto tanto alla successione di Bernanke con Yellen, quanto all’indebolimento in
una serie di variabili economiche – suggerendo che la Fed
sarebbe più guardinga nel togliere “ossigeno” a mercati
ed economia reale. E la struttura dei tassi d’interesse è calata.
Altro elemento, probabilmente marginale, è stato la debacle subita da Bitcoin dovuta all’osteggiamento da parte di
istituzioni governative e banche. Ciò ha creato dubbi sul
potenziale di crescita per un asset che, essendo a offerta
“fissa” (come e forse più dell’oro) ne potesse in qualche
modo scalfire l’appeal, soprattutto dal punto di vista di
“medium of exchange”.
Altro elemento, certo più fondamentale, è stato l’emergere di dati (fonte, World Gold Council) a favore della tesi che
il 2013 non ha visto un tracollo strutturale nella domanda
di oro, anzi. In sintesi, l’anno passato ha visto acquisti record di oro da parte dei consumatori. Se la domanda di oro
fisico ha decelerato, ciò è dipeso solo (fatto noto in anticipo rispetto ai dati sulla domanda commerciale) dal marcato calo nella domanda di oro per investimento finanziario.
Nel dettaglio, il 2013 ha visto domanda per consumi aurei
in ascesa del 21% a/a, il che ha contrastato con deflussi di
oro fisico, a sostegno di ETF, per 881 tonnellate. Risultato
netto è stato che la domanda totale di oro nel 2013 ha raggiunto “solo” 3.756 tonnellate – calo del 15% a/a. Fattori
principali di traino per la domanda commerciale sono stati Cina e India, con aumento medio del 20% circa, tra gioielleria e oro fisico. Questo è importante perché evidenzia
il supporto per l’oro garantito da economie – per definizione – a forte crescita. A livello globale, la domanda aurea
per “consumo” è aumentata del 21% tra 2012 e ’13. Tra
l’altro, a livello finanziario va notato che, a fronte del calo
di holdings negli ETF fisici, le banche centrali nel 2013 hanno continuato con robusti acquisti di oro (369 tonnellate),
un trend iniziato già nel 2009. Infine, a fronte di tali dinamiche nella domanda, soprattutto ma non solo commerciale, va segnalato che l’offerta globale di oro è calata, in
termini di flusso, del 2% tra 2012 e 2013.
Tutto ciò detto, prima di lanciarsi “a peso morto” in un
outlook radioso per il prezzo dell’oro, va riconosciuto che
rischi ribassisti esistono. Il principale tra questi é il rischio
di deflazione (cali nei prezzi al consumo) a livello globale.
Senza entrare nel merito della diatriba tra deflazionisti e
“negazionisti”, va chiarito che buona parte degli investitori sottoscrive quello scenario, che non è di per sé favorevole al prezzo dell’oro. Tuttavia, va notato che uno scenario alternativo – assenza di deflazione accompagnata da
progressiva exit strategy da parte della Fed – sarebbe più
sfavorevole per il metallo. Quindi, per chi ama l’oro, lo scenario deflazionistico è probabilmente meno dannoso di
quello moderatamente inflazionistico, accompagnato da
rapida ascesa nel costo-opportunità dell’oro.
Se a questo punto traspare un nostro bias favorevole al
prezzo dell’oro, l’impressione non è errata. Vale la pena, al
proposito, di rimarcare che, secondo le nostre stime, l’attuale prezzo dell’oro risulta a sconto di circa il 20% rispetto
ai fondamentali rilevanti per il medio-lungo termine. Oltre
all’elemento di “valuation”, abbiamo la consapevolezza
che la domanda strutturale di oro rimane su trend robusto,
anche se quella finanziaria (ETF) rimane per sua natura meno prevedibile, e quindi un possibile catalizzatore di “sorprese di prezzo” per il metallo.
1995
Ritorno dell’oro?
Fonte:
Thomson
Reuters
Datastream
BSI Market Outlook
World: Confidence
40
60
35
50
30
40
25
20
30
15
20
10
10
5
0
G3 Consumer
Confidence
(R.H. Scale)
G3 Business
Confidence
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
0
2007
Sulla carta, ci sono diversi ingredienti per continuare a credere in un’accelerazione della crescita economica mondiale
nel 2014. Si possono citare un’ampia creazione globale di
liquidità anche quest’anno, grazie in particolare alla banca
centrale giapponese, politiche fiscali meno restrittive che
hanno fatto rientrare l’incertezza politica molto elevata ancora pochi mesi fa, e un generale miglioramento della fiducia
delle aziende che dovrebbe essere il preludio ad una ripresa
di nuovi investimenti, presupposto indispensabile per generare nuovi posti di lavoro e maggiore reddito per le famiglie.
L’inciso iniziale è dovuto al fatto che, almeno limitatamente
ai primi due mesi dell’anno, tali fattori positivi non riescono
ancora a generare una vera dinamica positiva dell’economia.
È sicuramente vero che durante la seconda metà del 2013 si
sono visti evidenti progressi a livello congiunturale con, in
particolare, l’uscita dalla recessione dell’Eurozona. Tuttavia,
più recentemente, molti indicatori economici hanno deluso
le aspettative. Da quanto si è visto finora, la crescita nel primo trimestre di quest’anno sarà inferiore rispetto al trimestre
precedente, e ciò vale per molti paesi.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, praticamente tutti gli osservatori indicano il clima particolarmente rigido come causa principale di tale rallentamento. Questa tesi trova del
fondamento nelle cifre, e non abbiamo dubbi che, a partire
dal mese di marzo, la situazione dovrebbe normalizzarsi.
Tuttavia, rimane la preoccupazione che non tutto è dovuto
al fattore climatico. L’elemento più critico è rappresentato
dal fatto che, malgrado un evidente miglioramento sul fronte dell’occupazione, la crescita reale dei salari e del reddito
disponibile delle famiglie è tuttora quasi del tutto assente.
Abbinato ad una forte disuguaglianza per fasce di reddito,
questo fenomeno non parla a favore di un’accelerazione
significativa del consumo privato e quindi dell’economia
americana nel suo insieme.
L’Euro Area ha fatto registrare una crescita dello 0.3% nel
quarto trimestre. Ancora una volta la Germania guida la
crescita (+0.4% su base trimestrale), ma segnali positivi vengono anche dalla periferia, in particolare dalla penisola iberica. La ripresa è guidata dal rafforzamento delle esportazioni, ma anche il calo dei consumi sembra essersi ridotto.
D’altro canto, i tassi di disoccupazione ancora elevati contribuiscono a spingere l’inflazione a livelli tali dal far temere
il rischio di deflazione e di “giapponizzazione” dell’economia, perlomeno a livello di singoli paesi, cui non è estranea
la persistente fermezza dell’euro. Di conseguenza, non pensiamo che nel 2014 si possa contare su una ripresa particolarmente vigorosa dell’Eurozona.
Ma se nei paesi avanzati il tutto può ancora rientrare nelle
normali fluttuazioni congiunturali, in certi paesi emergenti
il peggioramento della congiuntura è da considerare più
preoccupante, in quanto ha origini più strutturali ed è quindi potenzialmente destinato a durare nel tempo. Ai cinque
paesi con forti squilibri con l’estero, si è recentemente aggiunta anche la Cina. Come nel caso degli Stati Uniti, si può
fare riferimento a fattori contingenti (festività del Nuovo
anno) che portano regolarmente a distorsioni nelle cifre
economiche. Così come negli USA, anche in Cina le ragioni potrebbero essere più profonde. Il primo default nell’ancora recente storia del mercato obbligazionario cinese, rischia di non essere un caso isolato, e può essere il sintomo
di crescenti tensioni finanziarie nel mondo aziendale e di
quello del shadow banking. La recente debolezza del prezzo del rame e del ferro sono ulteriori indicazioni che le prospettive economiche cinesi potrebbero essere riviste al ribasso, con evidenti ripercussioni per molti altri paesi, in
particolare quelli legati alle materie prime.
Da parte nostra, per il momento, non riteniamo necessario
rivedere al ribasso il nostro scenario di riferimento per il
2014, poiché era già contraddistinto da una buona dose di
prudenza. Come detto, c’è ragione per credere che almeno
una parte del rallentamento osservato durante i primi tre mesi possa venire recuperato nel proseguo dell’anno, visto che
i presupposti per una continuazione della crescita mondiale
sono tuttora presenti. Tuttavia, sullo scenario internazionale,
bisogna ora pure considerare l’acuirsi della crisi in Ucraina.
Essa è da prendere sul serio, è di difficile soluzione in tempi
brevi e potrebbe anche inasprirsi nel prossimo futuro. Annessa la Crimea, la Russia potrebbe ora spingere la popolazione
di origine russa delle regioni orientali ad aumentare le tensioni con il governo di Kiev. La possibilità che le cose possano sfuggire di mano non può essere esclusa a priori, senza
per questo arrivare allo scenario peggiore, che sarebbe quello di un conflitto armato. In tutti i casi, il costo economico di
questa crisi non va sottovalutato. Di conseguenza, la futura
evoluzione dell’economia mondiale rimane ancora soggetta
a rischi, in prevalenza verso il basso. Facciamo invece sempre
molta fatica ad immaginare scenari più positivi. Ciò è in palese contrasto con il diffuso clima di mercato, contraddistinto
da una generale compiacenza su quanto è successo a livello
economico e che nemmeno la questione ucraina è riuscita
ad intaccare. Forse, più degli aspetti squisitamente economici e finanziari, è questo l’aspetto su cui maggiormente riflettere nel prossimo futuro.
2006
Scenario economico globale
Fonte:
Thomson Reuters Datastream
3
BSI Market Outlook
4
105
104
103
102
101
100
99
98
97
96
95
Equities
(MSCI)
Commodities
(GSCI SPOT)
Corp Bonds
Barclayssuscorphigh Yield
Gov Bonds
(CITI)
Fonte:
Thomson
Reuters
Datastream
31 MAR
24 MAR
17 MAR
10 MAR
3 MAR
24 FEB
17 FEB
10 FEB
3 FEB
94
27 JAN
Divise
Sono molte le questioni aperte sul mercato valutario. La più
recente interessa la moneta cinese che, non essendo una valuta liberamente convertibile, non ha quella volatilità giornaliera
Asset classes year to date
20 JAN
Reddito fisso
I mercati obbligazionari hanno cominciato l’anno meglio di
quanto atteso. Le performance sono state molto positive per
i titoli di stato della periferia UEM e per i crediti, in particolare
il segmento high yield, mentre sono rimasti indietro i paesi
emergenti, sia sovereign sia crediti. Proprio la cattiva performance di questi ultimi spiega in parte il buon andamento dei
mercati maturi che hanno beneficiato dei deflussi dagli emergenti, esacerbati di recente dall’escalation della crisi ucraina.
Inoltre, qualche incertezza sulla solidità della ripresa americana, in parte legata alle conseguenze delle cattive condizioni
meteorologiche, e l’assenza di pressioni inflazionistiche ha
compresso i rendimenti nonostante la Federal Reserve abbia
sinora confermato l’intenzione di procedere con il tapering in
vista di una progressiva normalizzazione della sua politica monetaria. Se i dati economici nei prossimi mesi dovessero migliorare coerentemente con le attese della banca centrale
USA, ci aspettiamo un moderato aumento dei rendimenti che,
seppure con minore intensità, contagerà anche i mercati europei nonostante le indicazioni della BCE che i tassi ufficiali
rimarranno fermi per un lungo periodo di tempo.
Materie prime
Se le materie prime si sono relativamente ben difese nel
primo trimestre, ciò lo si deve in particolare al ritorno di interesse sull’oro. Il metallo giallo è stato eccessivamente penalizzato durante l’anno scorso, quando aveva perso quasi
il 30% del suo valore. Le tensioni sulle monete dei paesi
emergenti, il ritorno del rischio geopolitico e un rapporto
domanda/offerta favorevole dovrebbero garantire un buon
sostegno ai metalli preziosi in generale e all’oro in particolare, che si trova tuttora ben al di sotto del suo valore intrinseco (quantificabile tra 1’550 $ e 1’600 $ l’oncia).
13 JAN
Mercato azionario
I mercati azionari hanno iniziato l’anno, portandosi su nuovi
massimi, cavalcando l’onda del momento che si era creato nel
quarto trimestre del 2013. L’euforia è però durata poco, poiché
già a fine gennaio abbiamo assistito ad uno storno di una certa
portata, innescato dai timori sulla crescita della Cina, dallo
stress sui mercati emergenti e, dall’imminenza del primo FOMC
meeting della Fed con le conseguenti decisioni in merito alla
progressione del “tapering” della banca centrale. In seguito, la
borsa si è ripresa gradualmente, grazie alle buone trimestrali
pubblicate dalle aziende americane, alla prima pacata presa di
posizione della nuova chairwoman della Federal Reserve Janet
Yellen, alla pubblicazione di alcuni dati macroeconomici favorevoli in Eurolandia e, al cambio di governo in Italia, interpretato dagli investitori come un punto di svolta nei confronti delle
riforme strutturali del Belpaese. La festa era poi interrotta a
marzo. Da una parte, tornava a preoccupare l’andamento della
crescita economica della Cina e i potenziali effetti collaterali di
una stretta creditizia nel paese del dragone, dall’altra venivano
sempre più a galla le tensioni tra l’Ucraina e la Russia, con delle
ripercussioni importanti, dapprima sui mercati dell’est e, in seguito, delle prese di profitto anche in quelli sviluppati. Dal nostro punto di vista, continuiamo a rimanere favorevolmente
orientati nei confronti dei mercati azionari, in particolare quelli
sviluppati. Tuttavia, in un’ottica di più breve periodo, dobbiamo
mettere in conto probabili aumenti di volatilità e una possibile
presa di benefici, dettati dalla prospettata uscita della FED dal
QE, dall’incognita degli sviluppi geopolitici in Ucraina/Russia e
dall’incertezza sulla situazione macroeconomica cinese.
tipica delle parità classiche. La novità è rappresentata da un
cambiamento d’approccio delle autorità cinesi nei confronti
della propria moneta. Se, fino adesso, c’era una volontà esplicita nel guidare gradatamente verso l’alto lo yuan, adesso sembra che la banca centrale sia disposta a tollerare una maggiore
volatilità giornaliera per scoraggiare l’afflusso di fondi speculativi. La domanda che molti si pongono, è sapere se questo stop
all’apprezzamento della moneta cinese non sia invece espressione di un peggioramento delle prospettive economiche e finanziarie della Cina, cosa che avrebbe profonde ripercussioni
per tutta la galassia delle monete dei paesi emergenti, Questo
segmento di mercato, continua ad essere attraversato da tensioni non ancora rientrate e che sembrano, anzi, destinate a
perdurare ancora per diverso tempo, perlomeno sulle monete
di quei paesi che hanno un alta vulnerabilità dei propri conti con
l’estero. La più importante questione interessa invece l’euro, in
particolare fino a che punto esso riuscirà a confermare la sua
fermezza di fronte ad un quadro strutturale e ciclico tuttora alquanto problematico. Da parte nostra, restiamo dell’opinione
che una parità EUR/USD di 1.40 non sia sostenibile sul medio
termine, già solo per una questione di valutazione, essendo la
parità del potere d’acquisto quantificabile tra 1.20 e 1.30. Continuiamo a credere in una ripresa del dollaro, che dovrebbe
iniziare non appena l’interesse degli investitori si sposterà dal
tapering alla futura evoluzione dei tassi d’interesse.
6 JAN
Il punto sulle diverse Asset Class
BSI Market Outlook
Confronto del prodotto cumulato (1994=100)
150
125
120
115
110
105
CH
UK
USA
12/13
12/11
12/09
12/07
12/05
12/03
100
12/01
L’ente governativo SECO ha recentemente pubblicato i dati
sintetici relativi alla crescita economica della Svizzera nel T4,
che rappresentano una verifica di medio termine per l’intero
2013. È pertanto il momento giusto per esaminare gli ultimi
dati, ampliando la nostra analisi per includere i fattori strutturali che emergono dai dati economici post 2000. A nostro avviso, questi elementi giustificano un certo ottimismo riguardo
alle prospettive dell’economia elvetica nel medio periodo.
A dirla tutta, i dati sul PIL reale del T4 sono stati leggermente inferiori alle attese, a causa dell’impatto del comparto
estero. Per l’intero 2013 si stima una crescita economica del
2% in termini reali trainata dai consumi, a fronte di un contributo minimo delle esportazioni reali nette. Nel T4 2013 il PIL
reale ha registrato un incremento dello 0,2% t/t (contro una
previsione di consenso dello 0,4%) e dell’1,7% a/a. La domanda interna si è mantenuta piuttosto robusta, mentre le
esportazioni reali nette hanno dato un apporto negativo. I
consumi sono aumentati dello 0,7% t/t su base reale, mentre
gli investimenti in capitale fisso sono saliti dell’1,5%, come
anche la sottocomponente del mercato immobiliare. Le
esportazioni sono calate dell’1,7% t/t in termini reali (al netto
degli elementi transitori), ma le importazioni reali sono lievitate (1,4%), con un impatto netto negativo sulla crescita economica complessiva. Tuttavia, il recupero dell’import nel T4,
unitamente ai segnali dal lato dell’offerta secondo cui il commercio all’ingrosso sarebbe stato il settore più brillante del
trimestre, sembrano trasmettere un messaggio di ottimismo
circa l’espansione congiunturale in apertura di 2014.
In sintesi, l’economia svizzera continua a registrare una crescita relativamente solida, a un tasso tendenziale dell’1,5 - 2%, e
questo ritmo dovrebbe proseguire – se non accelerare – nel
2014. Passiamo alle considerazioni di carattere strutturale.
Il grafico mette a confronto il PIL reale cumulato della Svizzera
e di alcuni dei suoi principali concorrenti a medio termine. Innanzitutto, dai dati emerge che la produzione elvetica su base
aggregata è seconda solo agli Stati Uniti. Tuttavia, soprattutto
negli ultimi cinque anni l’economia americana ha beneficiato
di enormi aiuti sotto forma delle massicce politiche economiche reflazionistiche che hanno creato pericolosi squilibri in termini di eccesso di debito e di massa monetaria, meno evidenti in Svizzera. In particolare, il grafico illustra l’accelerazione del
PIL reale elvetico rispetto ai paesi concorrenti a partire dalla
grande recessione (2007-09), soprattutto rispetto all’UEM. In
termini macro ciò rispecchia principalmente il costo del capitale (azionario e di debito) complessivamente più basso e i
minori livelli di debito dell’economia elvetica. Inoltre, sul piano
micro le società esportatrici hanno riorientato parte della loro
attività verso le economie emergenti dinamiche, la cui domanda è diminuita meno di quella dei mercati maturi durante la
grande recessione.
In secondo luogo, i dati indicano che a partire dalla grande
recessione la domanda interna è diventata il principale motore della crescita del PIL, sostituendosi all’impulso tradizionalmente fornito dalle esportazioni reali nette. Ci riferiamo in
particolar modo ai consumi interni, che negli ultimi anni hanno acquistato slancio in Svizzera. Da un lato, l’accelerazione
strutturale della crescita dei consumi rispecchia i miglioramenti attuati dal lato dell’offerta (dal punto di vista dei consumatori), come le minori restrizioni all’ingresso di catene al
dettaglio estere e gli orari di apertura dei negozi più flessibili. Dall’altro, i sondaggi trimestrali SECO presso le famiglie
indicano che, dal punto di vista della domanda, ormai da
qualche tempo i consumi sono sostenuti principalmente da
due fattori: la fiducia dei consumatori e il favorevole rapporto tra risparmi e debito. Precisiamo che in questo caso la fiducia si riferisce alle prospettive economiche complessive e
non alla sicurezza dell’impiego in senso stretto (che di recente ha invece mostrato una certa debolezza). Ciò significa che
secondo i consumatori l’economia è abbastanza flessibile da
consentire a un neo disoccupato un certo ottimismo riguardo
alle probabilità di trovare un nuovo lavoro. Il buon rapporto
risparmi/debito indica che i risparmi finanziari hanno registrato un andamento relativamente positivo, mentre i livelli del
debito (e i relativi costi) sono da tempo contenuti.
Infine, un tema attuale che influenza l’orientamento della politica monetaria (o meglio, dei tassi di cambio), è l’andamento delle esportazioni e in quale misura questo renda necessario mantenere il “floor” del franco contro l’euro. Da una
parte, è evidente che la dinamica dell’export nel 2012 e 2013
è stata modesta in termini storici, anche nel quadro di un
tasso di crescita economica vicino al 2%. A nostro avviso,
tuttavia, ciò è riconducibile essenzialmente ai volumi degli
scambi commerciali globali insolitamente fiacchi registrati tra
fine 2011 e fine 2013. Dato che le società esportatrici hanno
accettato una compressione dei margini e l’inflazione nazionale è più contenuta che all’estero, dubitiamo che esista ancora un serio problema di concorrenzialità dei prezzi per i
produttori di “merci negoziabili”. A nostro avviso, i costi marginali della politica del “franc cap” (rischi per il bilancio della
BNS, rischi di bolla del mercato immobiliare, impatto negativo sugli afflussi di capitali) sono ormai superiori ai vantaggi
che ne derivano. Ma questa è un’altra storia.
12/99
Focus Mercato Svizzera
EMU
Fonte: Thomson Reuters Datastream
5
BSI Market Outlook
6
LatAm: Consensus view on 2014 real GDP growth
3.6%
3.4%
3.2%
3%
2.8%
Fonte: Bloomberg
01/14
12/13
11/13
10/13
09/13
2.6%
08/13
Il 2013 va archiviato come l’anno peggiore dalla fine della
“great recession” globale. In sintesi, ciò è dovuto a crescita economica anemica accompagnata però da recrudescenza dello storico problema inflazionistico. Il tutto “condito” da deterioramento del clima politico, in alcune nazioni chiave, ed andamento deludente dei mercati (azionario e valutario).
Il quarto trimestre del 2013 e l’inizio del 2014 hanno acuito
l’impressione che LatAm sia in fase di stasi economica
(growth recession), soprattutto per la debolezza ciclica della maggiori economie (Brasile, Messico, Argentina). Il Brasile, soprattutto, ha rischiato di scivolare in recessione tecnica nella seconda parte del 2013, dopo che il T3 aveva
registrato un calo sequenziale del PIL reale poi invertito
(inaspettatamente, alla luce di leading indicator precedenti) da crescita t/t nel quarto trimestre. L’anno si è quindi
chiuso con crescita brasiliana stimata al 2.3%, sotto gli standard storici per il secondo anno consecutivo; e la situazione
non sembra essere migliorata tra gennaio e febbraio. Causa
principale è la decelerazione della domanda interna a causa della stretta monetaria e aumento dell’inflazione (quindi,
decelerazione nei salari reali ergo nel consumo). Dinamiche
simili in Messico, dove la crescita annua è addirittura calata
al 1.1% nel 2013, principalmente a casa di debolezza
nell’export (debole domanda USA) e recessione tecnica nel
settore edilizio. In Argentina i problemi sono più complessi
a causa di mis-management politico: forte accelerazione
dell’inflazione dovuta a monetizzazione della spesa pubblica, pressioni/restrizioni valutarie, scarsità di beni intermedi
e quindi limiti alla crescita anche dal lato dell’offerta. Nonostante le economie “minori” (Cile, Colombia, Perù) continuino a crescere a tassi oltre il 3% (ma il Venezuela è in
recessione “politica”), la crescita economica del LatAm si
attesta attorno al 2.4% per il 2013, in calo dal 2.7% del
2012. Le prospettive per il 2014 non ci sembrano particolarmente ottimistiche.
Parte dei problemi di crescita dipendono da un aumento
“esogeno” dell’inflazione, dovuto al marcato deprezzamento del cambio LatAm/USD, all’usuale monetizzazione di alcuni budget deficit e ad aumenti delle materie prime agricole. Il problema inflazionistico è molto acuto in Venezuela
(vicino al 60%) e Argentina dove, dopo la revisione statistica del CPI “imposta” dal FMI, si presume che l’inflazione
viaggi a ritmo annualizzato oltre il 30%. Ciò detto, anche se
a livelli assoluti ben inferiori, desta preoccupazione la recrudescenza dei prezzi brasiliani. Questo sia per il peso dell’economia verde-oro che per la reazione “impulsiva” della
sua banca centrale, causa di restrizione delle condizioni monetarie oltre i confini brasiliani. In sintesi, l’inflazione al consumo è aumentata a 7.5% nel 2013, e dovrebbe tendere
verso il 9% nel 2014 – principalmente a causa di Argentina
e Venezuela. Anche in questo caso, le economie “minori”
danno buona prova di sé con tassi di inflazione contenuti,
attorno al 3% in media.
L’equilibrio esterno del LatAm è peggiorato nel 2013, per
la combinazione di deficit di partire correnti (bilancia dei
pagamenti) in aumento e pressioni ribassiste sui tassi di
cambio – il tutto completato da diminuiti afflussi in conto
capitale. Il peggioramento delle bilance commerciali riflette decelerazione nella domanda dai mercati di sbocco (Cina
in primis) e un’evoluzione non favorevole delle ragioni di
scambio LatAm. Il deficit di partite correnti per l’area si attesta a circa 2.6% del PIL ed è relativamente più pesante
per le economie minori, che dipendono maggiormente dal
settore export-minerario (Perù, Cile, Colombia).
La politica economica ha risposto in maniera variegata agli
sviluppi descritti. Quella monetaria è stata chiaramente restrittiva, anche se maggiormente a causa del forte aumento
dei tassi d’interesse in Brasile (tasso Selic ormai vicino
a 11%, a confronto con 7.25% a inizio 2013). Ciò detto, anche in Argentina, causa attacchi speculativi sul cambio, le
autorità sono state costrette a marcati aumenti nei tassi
d’interesse a breve – con accentata volatilità e picchi vicini
a 100% a cavallo di fine 2013. Altre banche centrali, in Cile
e Colombia, hanno cercato invece di stimolare l’economia
con tagli “misurati” dei tassi – facilitati in questo dalla bassa inflazione. La politica fiscale, invece, ha accentuato la
sua anti-ciclicità, con aumenti del “deficit-spending” soprattutto in Brasile, Venezuela e Argentina, per stimolare la
domanda interna. Quindi, il rapporto tra deficit pubblico e
PIL per il LatAm si attesta ormai al 3%, in aumento nel 2013.
Ciò detto, i rapporti debito/PIL rimangono contenuti rispetto a standard internazionali: LatAm nel complesso vanta un
rapporto pari al 35%. Quel che preoccupa di più gli investitori è probabilmente il peggioramento della “cifra di policy
management” in paesi chiave come (in ordine di negatività)
Venezuela, Argentina e Brasile. Se in quest’ultimo il clima
politico è distante dai picchi negativi di (soprattutto) Venezuela e Argentina, rimane comunque un problema LatAm
di crescita nel premio al rischio finanziario – a danno degli
investimenti reali, anche all’estero, e quindi della crescita
economica potenziale.
07/13
Focus Mercato LatAm
BSI Market Outlook
CEE: Dinamica del PIL
10
8
6
4
2
2013
2014
Emerging Asia
Thailand
Taiwan
Singapore
Philippines
Malaysia
Korea
Indonesia
India
0
Hong Kong
Le prospettive di breve termine delle economie dell’Est Europa sono al momento dominate dagli sviluppi della crisi
ucraina che al momento pare ben lungi da una conclusione
favorevole ai mercati. Il rischio geopolitico rappresentato
dalla possibilità che la Russia sia oggetto di sanzioni economiche da parte dei paesi occidentali o che, peggio, la crisi
diplomatica sfoci in aperta belligeranza rappresenta una
pesante spada di Damocle sullo scenario dei prossimi trimestri. Chiaramente, l’acuirsi della crisi comporterebbe un
pesante shock alla crescita economica dell’area, con le principali conseguenze per l’economia russa che cadrebbe con
ogni probabilità in una pesante recessione. L’impatto diretto della contrazione delle importazioni russe dagli altri paesi CEE causerebbe un sensibile rallentamento dell’attività
economica che porterebbe, nella migliore delle ipotesi, ad
una stagnazione. Se agli effetti diretti aggiungiamo i probabili effetti indiretti dovuti alla fuga di capitali dall’area, le ricadute economiche di un eventuale evento bellico in Ucraina andrebbero ben al di là del peso economico rappresentato da quest’ultima.
Lo scenario appena descritto non è quello centrale del nostro esercizio previsivo, ma non si può ignorare che la probabilità che esso si verifichi è in continuo aumento e ciò sta
già avendo un grave impatto negativo sull’andamento delle attività finanziarie dell’area.
Peraltro, anche senza considerare le alternative più cupe, la
crisi ucraina e la contrapposizione tra Russia ed Occidente
che si è creata avrà in ogni caso considerevoli ricadute negative sull’area nei trimestri a venire. Una situazione di semistallo, quasi fossimo tornati ai tempi della guerra fredda, che
veda l’imposizione anche solo di sanzioni “leggere” sulla Russia, e la conseguente ritorsione da parte di Putin verso i paesi occidentali, causerà un peggioramento del quadro economico rispetto a quanto stava emergendo fino al mese di
gennaio. In questo secondo scenario, che ci pare nonostante tutto il più probabile, il principale canale di trasmissione
dello shock sarà quello finanziario, legato all’aumento del
premio al rischio richiesto dagli investitori ed alla fuoriuscita
di capitali dall’area che lo accompagnerà.
I primi segnali in questa direzione hanno già cominciato ad
emergere: gli spread sovrani sono aumentati di molto in Russia, ma una pressione all’allargamento si è notata anche per
gli altri paesi, le valute rimangono sotto pressione anche in
quei paesi, come la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria,
i cui fondamentali sono andati migliorando nel corso degli
ultimi trimestri, ed infine i mercati azionari accusano perdite
in alcuni casi superiori al 10% da inizio anno.
Dal punto di vista quantitativo, la crescita del PIL dell’area
CEE potrebbe fermarsi nel 2014 a solo 1.3%, con delle differenze sensibili all’interno dell’area. La Russia dovrebbe complessivamente stagnare con una crescita solo marginalmente
superiore a zero, la Turchia, alle prese con un doloroso aggiustamento strutturale ed una strisciante crisi politica a prescindere dagli eventi in Ucraina, dovrebbe vedere la crescita
rallentare dal 4% del 2013 a circa l’1% nel 2014. Al contrario,
le economie del Centro Europa – Polonia, Repubblica Ceca
ed Ungheria – dovrebbero mettere a segno performance
formalmente migliori, intorno o superiori al 2% in media annua, ma non andrebbero esenti da un chiaro rallentamento
nella dinamica trimestrale del PIL dopo un primo trimestre
che, nonostante tutto, sarà ancora piuttosto solido.
In uno scenario così incerto un rischio che potrebbe ulteriormente compromettere le prospettive delle economie è
che le banche centrali siano costrette ad alzare i tassi di interesse per difendere le valute qualora il deprezzamento si
facesse disordinato. Esempi in questo senso sono già stati
i draconiani aumenti dei tassi ufficiali in Turchia a fine gennaio (+450pb), ed in Russia ad inizio marzo (+150pb). Movimenti violenti sui mercati valutari andrebbero infatti ad
aumentare i rischi per le prospettive di inflazione e, più in
generale, per la stabilità finanziaria stessa delle economie
CEE. Tuttavia, se per le prospettive di medio termine la
credibilità della banca centrale è fondamentale per il benessere di una nazione, nel breve termine aumenti dei tassi
imposti ad economie che già stentano andrebbero certamente ad esacerbare i rischi verso il basso sulla congiuntura
economica.
In questo contesto, temiamo che l’aggiustamento dei prezzi delle attività finanziarie dei mercati CEE non sia ancora
terminato. Come detto, la prospettiva più probabile è un
prolungarsi della situazione di stallo o quasi della crisi ucraina,
elemento che penalizzerà l’appetito degli investitori rispetto
ai mercati CEE. Pur considerando difficile che possano eludere il contagio proveniente dalla Russia, ci sentiamo però
di esprimere una preferenza per i mercati dell’Europa Centrale che mostrano fondamentali economici migliori ed un
quadro istituzionale più stabile. Al contrario, la Russia pare
destinata a subire le conseguenze delle scelte della sua amministrazione mentre la Turchia deve superare una delicata
fase politica che culminerà con l’elezione del Presidente
della Repubblica il prossimo mese di agosto.
China
Focus Mercato CEE
Fonte:
CEIC, IMF World Economic Outlook
October 2013. BSI Bank
7
BSI Market Outlook
8
Annual GDP (YoY, %)
10%
8%
6%
4%
2%
0%
2011
2012
2013
CEE
Turkey
Russia
Poland
-2%
Hungary
Sinora la regione asiatica (Giappone escluso) ha mostrato una
buona tenuta sia alle pressioni legate al tapering della Fed sia
alla serie di notizie negative provenienti dalla Cina, in particolare
quelle riguardanti il suo sistema bancario ombra. Continuiamo a
prevedere che nel 2014 il tasso di crescita in Asia (Giappone
escluso) sarà del 6,2% circa. Un rallentamento più marcato delle
attese in Cina rappresenta chiaramente un rischio per le nostre
stime, oltre che per i mercati azionari asiatici in generale. L’inflazione rimane su livelli elevati in India e Indonesia e abbastanza
contenuta in gran parte delle altre economie della regione. Per
quanto riguarda l’andamento delle piazze azionarie da inizio anno
ad oggi, mercati come Indonesia, Filippine e Tailandia hanno attratto l’interesse degli investitori, così come l’India. Confermiamo
le nostre stime di crescita del 7,3% per l’economia cinese nel
2014, mentre il governo di Pechino ha lasciato invariato il suo
obiettivo del 7,5% per l’anno in corso. Secondo alcune voci, la
banca centrale sarebbe pronta a ridurre il coefficiente di riserva
obbligatoria qualora la crescita si avvicinasse al 7,0% e la debolezza dei dati di gennaio e febbraio suggerisce che tale riduzione
potrebbe rendersi necessaria nel corso del secondo trimestre. La
presenza di un piccolo rischio di insolvenza nell’ambito dei prestiti fiduciari e dei prodotti di gestione patrimoniale sta causando
alcuni episodi di panico, ma il sistema finanziario, con il parziale
sostegno delle autorità, dovrebbe essere in grado di assorbire
la risultante incertezza, con ripercussioni limitate sull’economia
reale. Una volta che queste iniziali inadempienze saranno alle
spalle, l’attenzione potrebbe tornare gradualmente a concentrarsi sull’importanza delle riforme in via di attuazione. Per
quanto riguarda gli altri paesi dell’Asia settentrionale, come
Hong Kong, Taiwan e Corea, il rallentamento in corso in Cina
dovrebbe essere compensato dal graduale miglioramento delle economie avanzate, e in particolare dal suo impatto sulle rispettive esportazioni. In queste nazioni, la domanda interna
rimane abbastanza solida. Hong Kong è ancora alle prese con
alcune preoccupazioni relative al mercato immobiliare, mentre la
competitività delle esportazioni coreane continua a risentire del
rafforzamento del won (KRW) nel 2013. Le esportazioni indiane
hanno beneficiato della svalutazione subita dalla rupia negli ultimi
anni, mentre il calo delle importazioni (escluse quelle di petrolio
e oro) ha rispecchiato la debolezza della domanda interna, che è
stata evidenziata anche da altri indicatori ad alta frequenza, come
produzione di beni strumentali e beni di consumo durevoli. Il deficit delle partite correnti indiano si è notevolmente ristretto per
effetto del graduale miglioramento delle esportazioni e di una
flessione delle importazioni, e ciò ha favorito una parziale stabilizzazione della valuta. Il governo è riuscito a battere il proprio obiettivo di un deficit di bilancio del 4,8% del PIL per l’esercizio 2014.
In vista delle imminenti elezioni generali, i cui risultati si sapranno
a maggio, permangono dei rischi politici in India. Alla luce dei livelli d’inflazione sempre elevati, è probabile che la Reserve Bank
of India mantenga l’orientamento restrittivo (il tasso di riferimento
è attualmente dell’8,0%) per qualche tempo. Un altro paese “vulnerabile”, ma che sembra ora mostrare alcuni progressi è l’Indonesia. La domanda interna dovrebbe ulteriormente rafforzarsi,
grazie alla solidità dei consumi privati, sostenuti dalla robusta crescita del credito e dalla saldezza della fiducia dei consumatori. La
riduzione del disavanzo di parte corrente e l’aumento delle riserve estere hanno alimentato il clima di fiducia, consentendo al
mercato azionario indonesiano di esprimere le performance migliori da inizio anno ad oggi. L’attenzione degli investitori sarà
rivolta alle elezioni parlamentari di aprile e a quelle presidenziali
di luglio. La spesa per infrastrutture che verrà stabilita dal nuovo
esecutivo dovrebbe inoltre favorire la crescita in un’ottica di più
lungo termine. L’inflazione nel paese rimane elevata e si prevede
che la banca centrale lasci invariato il costo del denaro al 7,5%
per qualche tempo. I mercati sembrano guardare con rinnovato
interesse alla regione ASEAN e Filippine e Tailandia hanno beneficiato di un aumento degli afflussi di capitali. Le Filippine continuano a vantare fondamentali robusti, mentre in Tailandia gli
investitori sperano in una risoluzione pacifica delle agitazioni politiche e in una futura ripresa della crescita. La prolungata fase di
incertezza politica, che si traduce nella debolezza della fiducia
delle imprese e dei consumatori, rimane un rischio in Tailandia.
La ripresa giapponese continua a essere fortemente dipendente
dalle prime “due frecce” della “Abeconomia” – la politica monetaria e quella fiscale – e per il 2014 si prevede una crescita flebile,
attorno all’1,2%. La domanda interna dovrebbe rimanere piuttosto sostenuta, sebbene l’aumento dell’imposta sui consumi, che
entrerà in vigore ad aprile, rappresenti un rischio. Le autorità sono
pronte ad ammortizzare l’eventuale impatto negativo con il pacchetto fiscale da 5500 miliardi di yen e un ulteriore potenziale
allentamento da parte della Banca del Giappone. L’aumento
degli stipendi nel settore privato, nell’ambito dell’accordo con il
governo che include la riduzione dell’aliquota fiscale per le imprese, dovrebbe anch’esso contribuire ad attenuare gli effetti dell’innalzamento della tassa sui consumi. Gli esportatori nipponici dovrebbero riuscire a beneficiare del continuo graduale recupero
della domanda estera, favoriti anche dall’indebolimento dello
yen. In prospettiva, un’eventuale accelerazione della ripresa economica è legata ai progressi che verranno compiuti sul fronte
della “terza freccia” dell’Abeconomia.
Czech R.
Focus mercato Asia (Giappone escluso)
2014
Fonte: CEIC, IMF World Economic Outlook October 2013, BSI Bank =
CEIC, IMF World Economic Outlook ottobre 2013, BSI Bank
BSI Market Outlook
Idee di investimento
Mercato obbligazionario: US Leveraged Loans
Il mercato dei loans americani offre la possibilità di incassare un interessante rendimento pur avendo un limitatissimo
rischio legato all’atteso aumento dei rendimenti obbligazionari. Infatti, la duration dei loans è pari a quella del tasso
a cui i rendimenti pagati sono indicizzati, tipicamente il tasso interbancario a 3 mesi.
L’elevato rendimento riflette la particolare tipologia di controparti a cui i prestiti vengono concessi dalle banche commerciali americane: si tratta di aziende non finanziarie con
una qualità di credito prevalentemente pari a BBB e BB,
intorno quindi alla soglia dell’investment grade. Attualmente, il tasso di insolvenza è modesto e le prospettive di prosecuzione della ripresa economica suggeriscono che possa
rimanere tale.
In passati episodi di duraturi aumenti dei rendimenti obbligazionari, i leveraged loans hanno registrato performance
superiori ai titoli di stato ed ai bond con un profilo di rischio
equivalente.
Rendimenti dei Treasury e performance obbligazionarie
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Mercato azionario: Automazione/Robotica
Il mercato dell’automazione/robotica rappresenta un’opportunità d’investimento attrattiva.
La globalizzazione e l’accresciuta competitività internazionale richiedono una modernizzazione degli apparati di produzione. Gli aumenti di produttività che ne derivano conducono a una sostituzione della forza-lavoro con le macchine. In questa situazione, il progresso tecnologico osservato nei robot aumenta il loro utilizzo nelle industrie in generale e nelle piccole-medie aziende in particolare, grazie
all’accresciuta semplicità d’uso, all’abbassamento dei prezzi e all’interazione dei robot con i lavoratori.
I robot migliorano la qualità del lavoro, grazie al loro utilizzo nelle attività più pericolose, ripetitive e di basso profilo.
La costante riduzione del ciclo di vita dei prodotti e l’aumento del loro assortimento richiedono un ampliamento
dei processi flessibili di automazione, favorendo l’introduzione dei robot nel tessuto aziendale.
Da ultimo, la trasformazione dei mercati emergenti, con in
primis la Cina, che si vede diminuire il surplus di lavoratori
a causa di una demografia sfavorevole e dove si assiste a
un aumento dei salari, condurrà a investimenti per incrementare l’automazione e l’utilizzo dei robot nei processi
produttivi.
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Robo-Stox Global Robotics & Automation Index ETF (USD)
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US S&P
Leveraged
Loan Index, TR
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US BofA HY,
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US Treasury 5Y
Yield (rhs)
Oct31 Nov15 Nov29 Dec16 Dec31 Jan15 Jan31 Feb14 Feb28 Mar14
2013
Volume 42631
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0
2014
SMAVG (2) 32788
Fonte: Bloomberg
Fonte: Thomson Financial ed elaborazioni BSI
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