48a Stagione 2013/2014 - Orchestra di Padova e del Veneto

14 maggio
Hamar
48a Stagione
2013/2014
Fondazione
Orchestra di Padova e del Veneto
via Marsilio da Padova 19
35139 Padova
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Con il contributo di
Mercoledí 14 maggio 2014 / Serie Blu+Verde
Chiesa degli Eremitani – ore 20.45
Concerto n° 6217
Direttore
Zsolt Hamar
Martina Nawrath Soprano
Lucia M. Schwartz Mezzosoprano
Michael Baba Tenore
Thomas De Vries Baritono
La Stagione Armonica Coro
Sergio Balestracci Maestro del coro
Iris Ensemble Coro
Marina Malavasi Maestro del coro
Si ringrazia
Integrale delle Sinfonie di Beethoven
VII Concerto
Nell’ambito di Sacre Armonie/UniversiDiversi
dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova
Programma
Interpreti
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Benedictus dalla Missa solemnis op. 123
Elaborazione per violino solo, oboe, viola, violoncello obbligati e orchestra
di Ferruccio Busoni (1866-1924)
Črtomir Šiškovič Violino solo
Zsolt Hamar
Arnold Schönberg (1874-1951)
A Survivor from Warsaw op. 46
(Un sopravvissuto da Varsavia)
Per narratore, coro maschile e orchestra
Thomas De Vries Narratore
Ludwig van Beethoven
Sinfonia n. 9 in re minore op. 125
per soli, coro e orchestra
Allegro ma non troppo, un poco maestoso
Molto vivace
Adagio molto e cantabile, Andante moderato
Presto, Allegro assai, Presto, Recitativo, Allegro assai, Allegro assai vivace
(Alla Marcia), Andante maestoso, Adagio ma non troppo ma divoto,
Allegro energico sempre ben marcato, Allegro ma non tanto, Prestissimo
4
progr amma
Ha iniziato a studiare pianoforte
all’età di sei anni e ancora
giovanissimo già componeva musica.
A quattordici anni è stato accettato
come studente di composizione
al Conservatorio “Bela Bartók”
di Budapest. Nel 1987 è entrato
all’Accademia “Franz Liszt” di Budapest
nella classe di Emil Petrovics. Ha
vinto un premio al Concorso di
Composizione Zoltán Kodály in
Ungheria e gli è stato commissionato
di scrivere musica per la Fondazione
Statale “Zoltán Kodály”. Nel 1991
ha aggiunto la direzione d’orchestra
al suo corso di studi e nel 1992 è
stato nominato direttore assistente
dell’Accademia dell’Orchestra Sinfonica.
Nel 1993 si è diplomato con il
massimo dei voti e menzione d’onore
in Teoria della musica; nel 1994, con
la stessa votazione, in Composizione
e, ugualmente, nel 1995, in Direzione
d’orchestra. Da allora ha cominciato
a dirigere intensamente tutte le piú
importanti orchestre del suo paese,
apparendo anche con la Tirgu Mures
Philharmonic Orchestra (Romania),
la Cadaques Symphony Orchestra in
Spagna (dove ha vinto nel 1996 due
premi nel Concorso Internazionale
per direttori d’orchestra), oltre alle
orchestre sinfoniche di Dortmund e
Berlino in Germania. Nel 1995 Zsolt
Hamar è stato ammesso all’ottavo
Concorso Internazionale di direzione
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interpreti
d’orchestra della Televisione
ungherese, dove ha ricevuto il Premio
del pubblico, il Secondo premio dalla
Giuria e il Premio speciale per la
migliore esecuzione di un’opera di
Béla Bartók. Nel 1995 ha lavorato con
Yehudi Menuhin al Concerto di gala
della Giornata mondiale della musica.
Dopo quella performance, Menuhin ha
scritto: «Ho visto dirigere Zsolt Hamar
a Budapest. È uno dei piú dinamici,
precisi ed intelligenti tra i giovani
direttori che ho mai ascoltato. Voglio
raccomandarlo con tutto il mio cuore
e senza alcuna riserva». Nel 1997
è diventato Primo direttore stabile
dell’Orchestra Filarmonica Nazionale
Ungherese (la piú prestigiosa nel suo
paese) su invito del suo co-fondatore
e direttore musicale Zoltán Kocsis. Nel
1998 Zsolt Hamar è stato assistente
di Lorin Maazel nel Don Carlos di
Verdi al Festival di Salisburgo. Nel
1999 ha vinto un altro importante
concorso internazionale, quello per
direttori d’orchestra “Antonio Pedrotti”
a Trento. Questa vittoria gli è valsa
l’invito a dirigere numerose orchestre
in Italia. Dal 2004 al 2006 è stato
primo direttore ospite dell’Orchestra
di Padova e del Veneto. Zsolt Hamar
è ospite regolare di diverse sale da
concerto in Europa, Giappone e USA.
Lavora con importanti orchestre come
la Deutsche Symphony Orchestra di
Berlino, la Wiener Kammerorchester,
la Filarmonica di Dortmund, Vlaams
Radio Orkest, Lisboa Radio Orchestra,
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento,
Aalborg Symphony Orchestra,
Vestjysk Symfpnieorkester, Slovenian
Philharmonic, Warsaw Radio
Symphony Orchestra, Cadaques
Symphony Orchestra, Orchestra di
Padova e del Veneto, Orchestra del
Teatro di Cagliari, Japan Philharmonic
Orchestra, Wiener Kammerorchester
e Wiener Akademie. Ha diretto
concerti con la Bruckner Orchestra
alla Brucknerhaus Linz, dove è stato
acclamato «direttore sensazionale»
e «direttore al top della qualità»
dalla critica austriaca. Dal 2000 fino
al settembre 2009 Zsolt Hamar è
stato direttore generale musicale
della Pannon Philharmonics di Pécs.
Ha lanciato una delle piú acclamate
iniziative in Ungheria, Help! Classical
Music una serie di eventi che hanno
attratto un grande numero di giovani
alla musica classica. Dal 2011 Zsolt
Hamar è direttore all’Opera di Stato
Ungherese. È regolarmente ospite
anche di altri teatri d’opera europei.
Ha diretto all’Opera di Francoforte
Tiefland di Eugene D’Albert e una
nuova produzione de I Masnadieri con
nove recite. Dal 2009 è professore
ospite del dipartimento di direzione
d’orchestra all’Accademia “Franz
Liszt” di Budapest. Nel 2007 ha avuto
grande successo il suo debutto al
Teatro dell’Opera di Zurigo. Da allora
ha diretto numerose recite (sia novità
assolute che riprese), continuando
tutt’oggi a collaborare con il Teatro.
Zsolt Hamar è stato insignito dal
Ministero della Cultura con il Premio
Franz Liszt della Repubblica ungherese
nel 2003 e nel 2006 è stato nominato
Cavaliere della Repubblica d’Ungheria.
Dalla stagione 2012/2013 è direttore
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interpreti
musicale dell’Hessisches Staatstheater
di Wiesbaden in Germania.
Martina Nawrath
Nata a Sonneberg, ha studiato
pianoforte per otto anni prima
di dedicarsi agli studi vocali alla
Hochschule für Musik di Würzburg
con G. Czrepan von Ulmann. Nel
2008 ha completato con successo il
percorso di studi ed è stata ammessa
alla classe di formazione della
prof. ssa L. Overmann. In seguito si è
diplomata in Pedagogia della Musica.
Nel 2009 ha debuttato come Adele
in Die Fledermaus al Mozartsommer
festival di Würzburg. L’anno
successivo, è tornata sul palcoscenico
del Mozartsommer per interpretare
Blonde (Il ratto dal serraglio di
Mozart) e Colette (L’ubriaco convertito
di Gluck), ruolo che ha ricoperto anche
al Teatro di Heidelberg nel gennaio
2013. È ospite regolare del Festival
Mozart a Würzburg e a Senftenberg
con il Johann-Strauss-Ensemble
di Lipsia, con il quale continua ad
esplorare il repertorio dell’operetta.
A partire da settembre 2014 farà
parte della compagnia d’opera
del Teatro della Bassa Sassonia a
Hildesheim. Qui farà il suo debutto
come Regina della notte (Il flauto
magico di Mozart). La sua attenzione
si è inoltre rivolta alla musica del
periodo barocco e classico. Ha
preso parte alla Passione secondo
Giovanni di Bach con la Filarmonica
di Heidelberg e il Bach Choir a
Heidelberg, sotto la direzione di
C. Kabitz, cosí come all’esecuzione
del Messiah di Haendel con il
Caecielienchor di Francoforte. Nel
marzo 2013 ha preso parte alle
masterclass della “Bach Week” di
Stoccarda con il Prof. K. Kelly. Ha
cantato sotto la direzione di H. Rilling
nella Passione secondo Matteo di Bach
a Stoccarda e a Bensheim e nella alla
successiva tournée in Cile con tappe a
Santiago e al Teatro del Lago Frutillar.
Lucia M. Schwartz
È nata a Pécs, in Ungheria. Si è
diplomata nel 1992 all’Accademia
“Franz Liszt” di Budapest sotto
la guida di G. Sinkó, dove si è
successivamente perfezionata con
Z. Bende. Nel 1995 ha conseguito il
master alla Hochschule für Musick di
Stoccarda sotto la guida di J. Hamari.
Ha seguito inoltre gli insegnamenti
di W. Moore, W. Berry, I. Bjoner e
B. Schlick. Si è distinta in numerose
competizioni, conseguendo il Premio
speciale “Mozart” al Concorso
Internazionale di Canto “Francisco
Viñas” di Barcellona (1991) e il Primo
Premio al Concorso Internazionale di
canto barocco di Budapest (1993). Fa
parte dell’Opera di Stato ungherese
dal 1994. Ha interpretato i ruoli
principali in opere di Purcell (Dido and
Aeneas), Haydn (Il mondo della luna, Lo
speziale), Mozart (Le nozze di Figaro, Il
flauto magico, Cosí fan tutte), Rossini
(Cenerentola, Il barbiere di Siviglia,
L’occasione fa il ladro), Donizetti
(Anna Bolena), Mascagni (Cavalleria
rusticana), Verdi (Rigoletto), Gounod
(Faust), Bizet (Carmen), Offenbach
(Les contes d’Hoffmann), Wagner (Das
Rheingold, Götterdämmerung). Ha
affrontato le piú importanti pagine
del repertorio sacro e oratoriale di
Pergolesi, Vivaldi, Haendel, Bach,
Haydn, Mozart, Rossini, Schumann,
Duruflé, Britten, Kodály, sotto la
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interpreti
guida, tra gli altri, di A. Fischer, H.
Rilling, Z. Kocsis, M. Haselböck. Ha
registrato per Hungaroton Classic e
ha realizzato numerose incisioni di
programmi liederistici per la Radio
ungherese.
Michael Baba
È nato a Potsdam e ha studiato
canto alla Hochschule “Hanns
Eisler” di Berlino. Dopo il suo
primo ingaggio all’Opernstudio
della Semperoper di Dresda (19901992) è stato scritturato a Schwerin
(Tamino nel Flauto magico) e
Mannheim (Narraboth in Salome).
Nel 1992 è entrato a far parte
dell’ensemble del Teatro della città
di Münster, dove il suo repertorio
comprendeva Lulu, Salome, Der
Wildschütz. Nel 1996 è passato al
Metropoltheater di Berlino dove,
nel periodo della sovrintendenza di
René Kollo, ha sviluppato un grande
repertorio nell’ambito dell’operetta.
Impegni successivi lo hanno visto
ospite a Monaco (Staatstheater
am Gärtnerplatz) dove nel 1999
è diventato membro fisso della
compagnia e dove ha cantato ruoli da
Eine Nacht in Venedig, Bettelstudent,
Racconti di Hoffmann, La carriera di
un libertino, Candide e Liebesverbot
(Wagner). Ha cantato la parte di
Max del Freischütz in diversi teatri
tedeschi (Dessau, Koblenz…) cosí come
alla Volksoper di Vienna, a Graz, a
St. Gallen e negli Usa. È stato Erik
ne L’olandese volante a Dessau e in
una tournée in Giappone, a Chemnitz
e all’Opera di Lipsia. Nel 2006 ha
debuttato nella parte di Parsifal
ai Tiroler Festspielen di Erl con la
direzione di Gustav Kuhn con il quale
ha collaborato anche l’anno dopo
come Siegmund nella Walkiria. Nel
2009 il suo debutto come Stolzing
nei Maestri cantori di Norimberga
sempre a Erl con Kuhn. Negli anni
2006-2008 e successivi ha cantato
a Vienna, a Karlsruhe (Florestan in
Fidelio), a Lipsia, al Teatro Nazionale
di Tokyo, a Francoforte, Brema,
Wroclaw, Maastricht, di nuovo a
Erl e al Teatro Massimo di Palermo
(Koenig Kandaules di A. Zemlinsky).
Nel 2012 ha cantato con grande
successo Tristano a Salisburgo, ruolo
con cui ha debuttato poi nel 2013 a
Toronto e a Mosca. Sempre in ambito
wagneriano si segnala il suo ritorno
a Erl nel 2014 (Sigfrido) e nel 2015
(Il crepuscolo degli dei). Accanto
all’intensa ed importante carriera
operistica Michael Baba è altrettanto
affermato nell’attività concertistica.
Il suo repertorio include la Nona
Sinfonia e Christus am Oelberg di
Beethoven, Le stagioni di Haydn, Re
David di Honegger, Das Lied von der
Erde di Mahler e il Requiem di Mozart.
Ha cantato con la direzione, fra gli
altri, di W. Hamburg, L. Koenigs,
G. Kuhn, J. Latham-Koenig, J. Maerkl,
M. Piollet, C. Prick, P. Schneider,
D. Stahl e J. Wildner; fra i registi con
cui ha lavorato P. Boysen, A. Everding,
J. Felsenstein, C. Guth, H. Kupfer,
M.A. Marelli, G. Quander, e N. Raab.
Thomas De Vries
È nato a Bad Kreuznach nel
1968. Ha ricevuto le prime lezioni
di pianoforte a dieci anni e le prime
lezioni di canto a 15 anni. Sin da
bambino ha calcato le scene in piccoli
ruoli al Teatro di Coblenza. Dal 1986
ha studiato con il prof. W. Gesell alla
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interpreti
Hochschule für Musik di Colonia e
in seguito con K. Moll. La sua prima
scrittura artistica lo ha portato allo
Staatstheater Cottbus dal 1992 al
1995, dove ha cantato principali
ruoli di baritono come Papageno (Il
flauto magico) e Graf (Der Wildschütz).
In seguito è stato ingaggiato
dall’Oldenburghische Staatstheater,
dove ha arricchito il suo repertorio
con Don Giovanni di Mozart, Il
prigioniero di Dallapiccola, Pelléas et
Mélisande di Debussy e Die Fledermaus
di J. Strauss. Dal 1998 al 2012 è
stato membro dell’ensemble d’opera
di Dortmund. Dal 2002 è invitato
regolarmente come solista allo
Hessiches Staastheater Wiesbaden,
dove ha potuto interpretare
importanti ruoli drammatici come
Kurwenal, Telramund e Sebastiano
cosí come ruoli caratteristici del
repertorio italiano come Germont,
Posa e Ford. Come artista ospite è
stato invitato in numerosi teatri come
Brema, Lubecca, Regensburg, Halle,
Essen, Düsseldorf/Duisburg, Schwerin,
Chemnitz, Berlino (Komische Oper),
Mannheim, Cagliari. Ha cantato anche
per diversi festival, registrazioni
discografiche e radiofoniche. Dal
2005 è anche direttore artistico
dell’Ensemble Mattiacis, un gruppo
di musica antica che ha sede a
Wiesbaden ben conosciuto per i
concerti al Teatro della stessa città
specializzato nella musica tra XVII e
XVII secolo su strumenti originali.
La Stagione Armonica
Viene fondata nel 1991 dai
madrigalisti del Centro di Musica
Antica di Padova, del quale hanno
costituito il nucleo fondamentale dal
1981. L’Ensemble, specializzato nel
repertorio rinascimentale e barocco,
ha lavorato con musicisti quali A. von
Ramm, A. Rooley, N. Rogers, J. Savall,
P. Maag, G. Gavazzeni, G. Leonhardt,
A. Marcon, O. Dantone, R. Goebel,
H. Shelley, Z. Hamar e, dal 2009, con
il Maestro R. Muti. Ha collaborato
con orchestre e gruppi strumentali
tra cui Hesperion XX, Accademia
Bizantina, Orchestra Acàdemia 1750
(Barcellona), Dolce & Tempesta,
Orchestra Barocca di Venezia, Il
Giardino Armonico, Orchestra di
Padova e del Veneto, Orchestra
Giovanile Luigi Cherubini, Orchestra
Giovanile Italiana. Ha partecipato ai
piú importanti festival e rassegne in
Italia e all’estero: Ravenna Festival,
Musica e Poesia a San Maurizio a
Milano, Settembre Musica a Torino
(MiTo), Festival Claudio Monteverdi a
Cremona, TrentoMusicAntica, Festival
Barocco di Viterbo, Serate Musicali di
Milano, Festival Abbaye d’Ambronnay,
York Early Music Festival, Festival
delle Fiandre, Festival Europäische
Kirchenmusik, Salzburger Festspiele.
Ha tenuto concerti in Svizzera,
Germania, Francia, Portogallo, Austria,
Spagna, Gran Bretagna, Belgio, Olanda
e Polonia ed ha collaborato con enti
ed associazioni quali Amici della
Musica di Firenze, Amici della Musica
di Padova, Fondazione Levi e Teatro
La Fenice di Venezia, Ente Lirico
Arena di Verona, Unione Musicale di
Torino, Schola Cantorum Basiliensis,
Teatro del Maggio Fiorentino, Teatro
Municipale di Piacenza e Teatro
Nuovo “Giovanni da Udine” di Udine.
Ha registrato per la RAI, per le radio e
televisioni tedesca, svizzera, francese,
belga ed ha inciso per Astrée, Tactus,
Denon, Argo-Decca, Rivo Alto,
9
interpreti
Arabesque, Symphonia, Bongiovanni,
CPO, Archiv, Deutsche Grammophon,
Sony, Brilliant, Fuga Libera e per la
rivista Amadeus. È stata chiamata a
collaborare con il Maestro R. Muti per
la Missa Defunctorum di G. Paisiello, il
Requiem in do minore di L. Cherubini
con l’Orchestra Giovanile Luigi
Cherubini a Salisburgo (Austria) per
Salzburger Festspiele, Nairobi e nei
piú importanti teatri italiani. Dal 1996
il direttore artistico è il Maestro S.
Balestracci.
Sergio Balestracci
Dopo aver iniziato gli studi di
musica al Conservatorio di Piacenza,
ha studiato flauto diritto con E. Hunt
diplomandosi successivamente in
questo strumento al Trinity College of
Music di Londra. Laureatosi in storia
moderna all’Università di Torino,
ha iniziato molto presto un’intensa
attività concertistica nel campo della
musica rinascimentale e barocca,
contribuendo, tra i primi in Italia,
alla riscoperta di quel repertorio.
Direttore dell’Accademia Fontegara
di Torino fin dalla sua fondazione nel
1971, ha partecipato nel 1985 alle
celebrazioni di Gabrieli con il Consort
of Music per la Biennale di Venezia,
ha diretto l’orchestra dell’Università
di Padova e l’European Baroque
Ensemble. Fondatore dell’Accademia
del Flauto Dolce e dell’Accademia del
Santo Spirito di Torino, ha curato per
quest’ultima la revisione di diverse
composizioni sei-settecentesche in
prima esecuzione moderna (David
di Scarlatti, San Giovanni Battista di
Stradella, Te Deum di Fiorè, Requiem
di Bassani). Ha diretto il balletto Il
Gridelino al Teatro Regio di Torino,
l’opera Totila e i grandi Mottetti op. 9
di Legrenzi nel terzo centenario della
morte del compositore, ha curato una
rappresentazione teatrale della Pazzia
Senile di Banchieri per il Festival of
Fine Arts di New York. Ha diretto
inoltre una versione rappresentativa
dei madrigali di Monteverdi (tra cui
Tirsi e Clori) per la Reggia di Caserta
e per lo Oude Muziek Festival
di Utrecht; ha eseguito in prima
esecuzione moderna la Passione di
Gesú Cristo di Caldara. Da tempo
è anche attivo come musicologo
e docente: ha pubblicato la prima
traduzione italiana del Trattato sul
flauto traverso di Quantz e uno studio
sulla Cappella Regia a Torino nel
secolo XVIII per conto dell’Accademia
di Santa Cecilia. Dal 1996 dirige e
prepara La Stagione Armonica della
quale è direttore artistico.
di Mozart. Con l’Orchestra Filarmonici
Veneti ha eseguito il Requiem in do
minore di Salieri presso il Festival
Salieri, con NovartBaroquensemble la
Cantata n. 39 di Bach; con l’Ensemble
La Pifarescha il Concerto per le
Sacre Ceneri a Venezia nel 2014.
Come formazione mista a cappella
si è inoltre dedicato allo studio della
liederistica corale di Mendelssohn
e Brahms, a musiche del Novecento
storico europeo e americano, al
repertorio policorale del tardo
Rinascimento. Il gruppo svolge attività
concertistica a livello nazionale e
internazionale: si è esibito in concerti
e rassegne nazionali in Padova, Siena,
Lucca, Vicenza, Milano, Pirano d’Istria.
Ha promosso scambi culturali con Cori
giovanili e universitari provenienti
da Svizzera, Canada e Stati Uniti. È
diretto da Marina Malavasi.
Iris Ensemble
Marina Malavasi
È un gruppo vocale fondato
nel 2007 e dedito allo studio e
all’esecuzione di musica di ogni
tempo. Molti suoi componenti hanno
iniziato lo studio del canto come
voci bianche, svolgendo attività
concertistica e teatrale. Nato come
formazione femminile da camera,
si è poi costituito anche anche in
formazione mista, collaborando in
diverse occasioni con l’Orchestra La
Bottega Tartiniana diretta da G.B.
Rigon con l’esecuzione della Messa in
sol maggiore D 167 di Schubert, della
Messa KV 167 (“Trinitatis Messe”) di
Mozart, delle Cantate BWV 39 e BWV
12 di Bach, dei Vesperae solennes de
Confessore di Mozart; con lo stesso
Rigon ha inoltre debuttato al Teatro
Olimpico di Vicenza in Don Giovanni
Si è diplomata in Pianoforte e in
Musica corale presso il Conservatorio
di Padova e ha studiato Direzione
di coro con Fosco Corti; si è laureata
in Filosofia all’Università di Padova
e perfezionata in musicologia con
Giulio Cattin. Come Maestro del
coro ha lavorato presso i Teatri di
Rovigo e Treviso tra il 1991 e il 2001,
partecipando alla prima esecuzione
assoluta di alcune opere di autori
contemporanei. È stata Maestro del
coro a Venezia in occasione della
prima esecuzione dell’opera Mister Me
di L. Mosca (2004) e in Cenerentola
di Rossini al Teatro Malibran (2005).
Nel 2006 ha presentato in prima
esecuzione moderna l’opera di
Galuppi Ifigenia in Tauride con il Coro
dei Conservatori del Veneto; è stata
10
interpreti
Maestro del coro presso il Teatro
Donizetti di Bergamo per le opere
Lucia di Lammermoor e Anna Bolena,
portate in tournée in Giappone nel
gennaio 2007; nella stagione 2007
è stata nuovamente a Bergamo
con L’Elisir d’amore, nel 2008 con
Una piccola Cenerentola. Dal 2006
è presente alle Settimane Musicali
al Teatro Olimpico di Vicenza per
Il Flauto Magico, Il Turco in Italia,
Don Pasquale, Don Giovanni. Tutte
le opere sono state registrate per
Fonit Cetra, La Bottega Discantica,
MusicaImmagine Records; le opere
donizettiane sono proposte in DVD
da Dynamic e Bongiovanni. Dal 1984
ha svolto attività concertistica alla
guida del Nuovo Coro Polifonico,
dell’Ensemble a voci miste
Dodecantus e del gruppo maschile
Speculum Musicae, con i quali ha
realizzato concerti in Italia, Spagna,
Belgio, Slovenia, Croazia, Germania, e
partecipato a Festival internazionali
(Brezice, St. Blasien, Festival
Galuppi). Ha registrato alcuni CD di
polifonia rinascimentale in prima
registrazione mondiale: per RivoAlto
Magnificat (1999); per Bongiovanni
Lamentationes Hieremiae di Giovanni
Nasco (2001), O stella matutina
(2002), Requiem di Costanzo Porta
(2003), conseguendo il premio della
critica internazionale (segnalazione
al Premio Vivaldi nel 2001, Disco del
mese nel luglio 2001 per Alte Musik
Aktuell, 5 stelle sulla rivista Amadeus
nel 2001 e 2003); Da Venezia a
Varsavia (2011) dedicato alla musica
policorale di fine Cinquecento. Alla
guida del Coro da Camera Pollini
ha collaborato con l’Orchestra di
Padova e del Veneto alle esecuzioni
di Ein Deutsches Requiem di Brahms
11
interpreti
e Lobgesang di Mendelssohn, anche
in gemellaggio con il Bachchor di
Friburgo diretto da H.M. Beuerle. È
fondatrice e direttrice del Coro di
Voci bianche Cesare Pollini e di Iris
Ensemble. Insegna Armonia e Analisi
al Conservatorio di Padova.
ORCHESTRA DI PADOVA
E DEL VENETO
L’Orchestra di Padova e del Veneto
si è costituita nell’ottobre 1966 e nel
corso di quarant’anni di attività si è
affermata come una delle principali
orchestre da camera italiane nelle
piú prestigiose sedi concertistiche
in Italia e all’estero. L’Orchestra è
formata sulla base dell’organico del
sinfonismo ‘classico’. Peter Maag – il
grande interprete mozartiano – ne è
stato il direttore principale dal 1983
al 2001. Alla direzione artistica si
sono succeduti Claudio Scimone (dalla
fondazione al 1983), Bruno Giuranna
(dal 1983 al 1992), Guido Turchi
(1992-93) e, come direttore musicale,
Mario Brunello (2002-2003). L’attuale
direttore artistico dell’Orchestra è
Filippo Juvarra, che collabora con
la stessa dal 1984 ed ha contribuito
decisivamente a dare continuità al
profilo artistico e musicale definito,
dopo il 1983, da Bruno Giuranna e
Peter Maag. Per questo suo lavoro
Filippo Juvarra ha ricevuto nel 2002 il
Premio della Critica Musicale Italiana
“Franco Abbiati”. Nella sua lunga
vita artistica l’Orchestra annovera
collaborazioni con i nomi piú insigni
del concertismo internazionale tra i
quali ricordiamo: S. Accardo,
P. Anderszewski, M. Argerich,
V. Ashkenazy, J. Barbirolli,
Y. Bashmet, J. Bream, R. Buchbinder,
12
interpreti
La musica è necessaria
al vivere civile dell’uomo,
perché si basa sull’ascolto.
—Claudio Abbado
Venezia, tutti appuntamenti che hanno
riscosso l’unanime plauso della critica.
Nel settembre 2010, su invito della
Pontificia Accademia delle Scienze,
l’Orchestra ha eseguito il Requiem K
626 di W.A. Mozart con la direzione
del Maestro C. Desderi alla presenza
di Sua Santità Benedetto XVI. Nelle
ultime Stagioni si è distinta anche
nel repertorio operistico, riscuotendo
unanimi apprezzamenti in diversi
allestimenti di Don Giovanni, Le nozze
di Figaro e Cosí fan tutte di Mozart,
L’elisir d’amore, Don Pasquale e
Lucrezia Borgia di Donizetti, Rigoletto
di Verdi, La voix humaine di Poulenc
e Il telefono di Menotti. A partire
dal 1987 l’Orchestra ha intrapreso
una vastissima attività discografica
realizzando oltre cinquanta incisioni
per le piú importanti etichette.
L’Orchestra di Padova e del Veneto
è sostenuta da Ministero per i Beni
e le Attività Culturali, Regione del
Veneto, Provincia di Padova, Comune
di Padova e Fondazione Antonveneta.
Dall’ottobre 2011 ha acquisito la
natura giuridica di «Fondazione».
L’Orchestra di Padova e del Veneto all’Auditorium del Parco, L’Aquila
Photo Francesco Casciola
M. Campanella, G. Carmignola,
R. Chailly, C. Desderi, G. Gavazzeni,
R. Goebel, N. Gutman, Z. Hamar,
A. Hewitt, C. Hogwood, L. Kavakos,
T. Koopman, A. Lonquich, R. Lupu,
M. Maisky, C. Melles, V. Mullova,
A.S. Mutter, A. Nanut, M. Perahia,
I. Perlman, M. Quarta, J.P. Rampal,
S. Richter, M. Rostropovich, N. Santi,
H. Shelley, J. Starker, R. Stoltzman,
H. Szeryng, U. Ughi, S. Vegh,
T. Zehetmair, K. Zimerman.
L’Orchestra ha dato, attraverso la
propria produzione concertistica, un
grande impulso alla vita musicale di
Padova e del Veneto e, per questo
impegno, è stata riconosciuta dallo
Stato come l’unica Istituzione
Concertistico-Orchestrale (ICO)
operante nel Veneto e le è stata
riconosciuta nel 1984 la personalità
giuridica da parte della Regione
del Veneto. L’Orchestra realizza
circa 120 concerti l’anno, con una
propria stagione a Padova, concerti
nella regione Veneto, in Italia per
le maggiori Società di concerto e
Festival, e tourneé all’estero. Tra
gli impegni piú recenti si ricordano
in particolare i concerti diretti dal
Maestro Tan Dun al Teatro Donizetti
di Bergamo e al Teatro Grande di
Brescia con musiche dello stesso Tan
Dun, il concerto al Festival In terra
di Siena diretto dal Maestro Vladimir
Ashkenazy, i concerti a Milano per
il Festival MITO SettembreMusica
con il pianista e direttore Olli
Mustonen, a Orenburg (Russia) per
il 4° Rostropovich International
Music Festival e a Venezia per il 53°,
54° e 57° Festival Internazionale
di Musica Contemporanea e per il
7° Festival Internazionale di Danza
Contemporanea della Biennale di
Fondazione Antonveneta
Via Verdi, 15
35139 Padova
www.fondazioneantonveneta.it
13
Per la musica.
Un impegno
condiviso con voi.
Esecutori
Orchestra di Padova
e del Veneto
Violino principale
Črtomir Šiškovič
Violini primi
Stefano Bencivenga **
Enrico Rebellato **
Davide Dal Paos
Sonia Domoustchieva
Ivan Malaspina
Chiara Serati
Tiziana Lafuenti °
Erica Zerbetto °
Violini secondi
Gianluca Baruffa *
Serena Bicego
Pavel Cardas
Chiaki Kanda
Roberto Zampieri
Alessandra Bano °
Viole
Luca Volpato *
Floriano Bolzonella
Silvina Sapere
Giada Broz
Sarah Mazzoleni °
Violoncelli
Mario Finotti *
Caterina Libero
Fernando Sartor
Giancarlo Trimboli
Contrabbassi
Lorenzo Baroni *
Giorgia Pellarin
Riccardo Valdettaro
14
esecutori
Coro
La Stagione Armonica
Coro
Iris Ensemble
Soprani
Soprani
Maria Assunta Breda,
Federica Cazzaro, Sara
Pegoraro, Ernesta Pontarolo,
Sheila Rech, Daniela Segato,
Silvia Toffano
Flauti e ottavino
Mario Folena *
Riccardo Pozzato
Veronica La Malfa °
Contralti
Laura Brugnera, Maria Ilaria
Cosma, Luisa Fontanieri,
Viviana Giorgi, Marina Meo,
Eugenia Zuin
Oboi
Paolo Brunello *
Victor Vecchioni
Clarinetti
Tenori
Luca Lucchetta *
Antonio Graziani
Michele Da Ros, Manuel
Epis, Alessandro Gargiulo,
Davide Iob, Alberto Mazzocco,
Maurizio Minelli, Stefano
Palese, Claudio Zinutti,
Gian-Luca Zoccatelli
Fagotti e controfagotto
Aligi Voltan *
Laura Costa
Lorenzo Vignato °
Corni
Bassi
Marco Bertona *
Michele Fait
Danilo Marchello *
Alberto Prandina
Paolo Bergo, Fabrizio Da Ros,
Dimitri Fontolan, Alessandro
Magagnin, Alessandro Pitteri,
Nicola Rampazzo,
Luigi Varotto
Trombe
Simone Lonardi *
Roberto Caterini
Alberto Frugoni
Tromboni
Alessio Brontesi *
Michele Zulian
Fabio Rovere
Giulia Bortelli, Giorgia
Di Nardo, Camilla Giacometti,
Giulia Gusella, Marina
Malavasi, Maria Teresa
Orlando, Erica Tavazzi,
Alice Vittori
Contralti
Virginia Aghito, Maria Baldo,
Anna Bassi, Dianella Bisello,
Serena Catullo, Annamaria
Dainese, Elizabeth Kirby,
Marta Mosele, Laura Paliotto,
Chiara Pengo, Sofia Salvalajo,
Martina Veshi, Lorenza
Zanotto
Tenori
Edoardo Cavalli, Fabio
Comberlato, Jacopo Fantin,
Gianfranco Rossetto, Ignacio
Vazzoler
Bassi
Gianmaria Barbato,
Guido Bombi, Roberto
Cavazzana, Fabio Nardi,
Lorenzo Sambataro, Luca
Sozio, Gabriele Taschetti,
Giambattista Vico,
Matteo Zabadneh
Tuba
Roberto Ronchetti *
* Prima parte
** Concertino
° L’organico del concerto prevede
l’inserimento di studenti dei
Conservatori del Veneto, nell’ambito
di un progetto di formazione
professionale realizzato in
collaborazione fra l’opv e il Consorzio
tra i Conservatori del Veneto.
Timpani
Alberto Macchini *
Percussioni
Arrigo Axia °
Sofia Garzotto °
Giannino Barizza °
Arpa
Francesca Tirale *
15
esecutori
Note di sala
Beethoven/Busoni
Come la Messa op. 86, anche la Missa solemnis fu opera d’occasione, in questo caso l’elezione dell’arciduca Rodolfo d’Austria, grande amico di Beethoven,
ad arcivescovo di Olmütz. Beethoven iniziò il lavoro nell’autunno del 1818 con
il proposito di farla eseguire il 9 marzo 1820, giorno del solenne insediamento
dell’arcivescovo, ma la composizione chiese un tempo molto piú lungo per gli interessi via via cresciuti nella coscienza del compositore; l’opera fu terminata verso la metà del 1823 e pubblicata a Mainz dall’editore Schott nella primavera del
1825. Tre parti di essa, Kyrie, Credo e Agnus Dei furono eseguite la prima volta nel
famoso concerto del 7 maggio 1824 presso la società Filarmonica di Pietroburgo
per opera del principe Galitzin.
La rielaborazione di Ferruccio Busoni fu edita nel 1916 da Breitkopf&Härtel.
Busoni accennò al Benedictus in una lettera del 14 gennaio dello stesso anno al
violinista Arrigo Serrato. Sono gli anni in cui Busoni è attivo anche come direttore
d’orchestra, e la proposta di programma rivolta a Serato è la seguente: «In quanto
concerto d’orchestra proporrei come segue, facendo calcolo che tu sia disposto a
cooperarvi. 1. Sinfonia Eroica – Beethoven, 2. Ouverture per il Ratto dal serraglio
– Mozart (completata da F.B.), Berceuse Elégiaque, Rondò Arlecchinesco (prima
esecuzione), 3. Romanza in re e Benedictus – Beethoven, 4. Le Carnaval Romain
– Berlioz.»
Nel 1913, in un articolo critico sul Parsifal, Busoni aveva scritto: «La musica non
può esprimere una “concezione del mondo” (parola che mi è incomprensibile in
questioni d’arte, eccetto quelle filosofiche). Parlo in veste di puro musicista. ‘Etico’, ‘religioso’, ‘solenne’, ‘culturalmente importante’, ‘purificante’: sono faccende
che non toccano la mia arte; contesto l’affermazione che mai altri abbia mostrato
l’elevazione in una forma cosí concentrata e con arte talmente permeata di spiritualità. La Missa solemnis di Beethoven e il Flauto magico di Mozart sono i piú
validi esempi dell’espressione che porta “ad altezze di spiritualità e amore puri”».
Ludwig van Beethoven nel celebre olio (1820) di J. Stieler, che ritrae il compositore
con il manoscritto della Missa solemnis (Berlino, Archivio d’arte e di storia)
17
note di sala
Schönberg
L’impulso per A Survivor from Warsaw giunse ad Arnold Schönberg a fine
marzo/inizio aprile 1947 dalla danzatrice russa, maestra di danza e coreografa,
Corinne Chochem (1907-1990). Il 2 aprile 1947 Chochem mandò a Schönberg la
melodia con la traduzione inglese di un canto partigiano da usare in una composizione che voleva commissionare, o nell’originale Yiddish o in una traduzione in
ebraico. Il 20 aprile 1947, discutendo della commissione ricevuta, Schönberg comunicò a Corinne Chochem il suo compenso per «una composizione di 6-9 minuti
per piccola orchestra e coro, forse uno o piú solisti sulla melodia che mi ha dato»,
e aggiunse «Penso di fare questa scena – che lei mi ha descritto – nel ghetto di
Varsavia – con gli ebrei condannati che cominciano a cantare, prima di andare a
morire.» Chochem rispose subito che non sarebbe stata in grado di affrontare la
richiesta economica, motivo per il quale, anche dopo una ulteriore concessione di
Schönberg («se lei è in grado di farcela, allora mi piacerebbe avere il piú presto
possibile la storia e la traduzione del testo», 23 aprile 1947), il progetto rimase
irrealizzato in questo particolare contesto.
Ai primi di luglio del 1947, Schönberg ricevette una commissione da parte della
Fondazione Musicale Koussevitzky, che egli accettò facendo presente che aveva
già cominciato una composizione, che sarebbe stato in grado di portare a termine
nel giro di circa sei settimane: «Il mio piano originario era di scriverla per un
piccolo gruppo di circa 24 musicisti, uno o due ‘narratori’ ed un coro maschile
adeguato come consistenza» (lettera a Margaret Grant, Fondazione Koussevitzky,
7 luglio 1947). Per problemi di vista Schönberg aveva scritto la composizione e
il testo – di cui pure era l’autore – su una grande, condensata partitura, che fu poi
realizzata, in vista della sua edizione, in una partitura standard sotto la supervisione di René Leibowitz nel dicembre 1947 a Los Angeles.
In una lettera dell’1 novembre 1948 a Kurt List, Schönberg scrisse: «Ora, questo
è ciò che il testo di Un Sopravvissuto significa per me: significa prima di tutto un
richiamo a tutti gli ebrei, di non dimenticare mai ciò che ci è stato fatto, di non
dimenticare mai che anche la gente che non lo ha fatto personalmente, era d’accordo con loro e che molti di loro trovarono necessario trattarci in quel modo. Non
dovremmo mai dimenticare ciò, anche se queste cose non sono state fatte nella
maniera che io descrivo nel Sopravvissuto. Questo non importa. La cosa che conta
è che io lo vidi nella mia immaginazione.»
Nella stessa lettera a Schönberg scrive ancora: «lo Shem’a Yisroel alla fine ha un
significato speciale per me. Io credo che lo Shem’a Yisroel sia la ‘Glaubenserkenntis’, la confessione di fede dell’Ebreo. È il nostro pensiero dell’unico, eterno Dio
che è invisibile, che bandisce l’imitazione e di fare un quadro e tutte queste cose,
che forse lei ha già realizzato leggendo il mio Moses und Aron und die biblische
Weg (Mosè e Aronne e la via biblica). Il miracolo, per me, è che tutta questa gente,
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note di sala
che potrebbe aver dimenticato, per anni, di essere ebrea, improvvisamente di
fronte alla morte, si ricorda chi è.»
[Da Therese Muxeneder, testo in Catalogo delle opere di A. Schönberg, Schönberg
Center, Wien]
Schönberg scrisse il brano fra l’11 e il 23 agosto 1947; in una lettera ai signori
Stuckenschmidt del 26 agosto leggiamo infatti: «L’altro ieri ho terminato un brano
per voce recitante, coro maschile e orchestra, Un sopravvissuto da Varsavia, e
adesso mi riposo un po’, prima di passare ad altri lavori.»
Nel manoscritto il titolo è A Survivor of Warsaw (Un sopravvissuto di Varsavia)
che poi troviamo corretto nella copia dello stesso manoscritto in A Survivor from
Warsaw (Un sopravvissuto da Varsavia). A destra del titolo Schönberg stesso annotò: «Questo testo è in parte basato su resoconti che ho ricevuto direttamente o
indirettamente». Il compositore si riferiva alla testimonianza di un superstite del
ghetto di Varsavia e alla notizia della morte del nipote in un campo di sterminio. Il
testo è in inglese, con le frasi dei nazisti in tedesco e con l’introduzione in ebraico,
alla fine, dell’antica preghiera Shem’a Yisroel.
Riguardo al ruolo di Leibowitz, Dika Newlin (Schönberg Remembered, 1980) ricorda come il direttore si fosse fatto molti amici fra gli schönberghiani con il suo
Schönberg et son école, ed è lei stessa a tradurlo in inglese nel 1949 per la Philosophical Library di New York e ad incontrare Leibowitz per la revisione finale
della traduzione. «Poi le cose cambiarono quando Leibowitz, che aveva copiato
la partitura di A Survivor from Warsaw, incominciò a dire che aveva assistito
Schönberg nell’orchestrazione. Questo fu un crimine peggiore dell’aver fatto visita a Stravinskij a Los Angeles e che gli avrebbe portato all’istante l’ostracismo
della cerchia schönberghiana.»
La prima esecuzione ebbe luogo al Carlisle Gymnasium University Campus di
Albuquerque, nel New Mexico, il 4 novembre 1948 con la Albuquerque Civic
Symphony Orchestra diretta da Kurt Frederick, Sherman Smith voce recitante.
L’esecuzione, lo apprendiamo dalla recensione dell’Albuquerque Journal, «lasciò
gli ascoltatori senza respiro e sconcertati, ma poi seguí da parte loro un leale e
forte applauso fino a quando il direttore e Sherman Smith, che aveva dato la sua
potente voce di basso alla narrazione, tornarono sulla scena e chiesero al pubblico se volevano ascoltare di nuovo la composizione. L’applauso si raddoppiò in
volume ed entusiasmo e l’intera opera fu ripetuta. La seconda esecuzione sembrò
molto piú chiara della prima e fu salutata da applausi fragorosi per tutti.» Ed è ciò
che gli esecutori segnalarono subito in un telegramma a Schönberg. Allo stesso
modo, grande commozione salutò, secondo quanto riporta René Leibowitz, la prima esecuzione europea nel novembre 1949.
19
note di sala
La voce, come già nel Pierrot lunaire e nell’Ode a Napoleone, usa le regole dello
Sprechgesang (canto parlato), anche se in maniera piú libera. Cosí scrive il compositore: «Questa voce recitante non può essere in modo cosí musicale come le
altre mie composizioni piú rigide. Non si deve mai cantare, non si deve mai poter
riconoscere una vera altezza del suono. Ciò vuol dire che qui si intende soltanto il
modo dell’accentuazione…»
riguarda il movimento piuttosto coreografico che ho aggiunto, se Lei pensa che
ciò ha mostrato una mancanza di rispetto per il Suo genio, me ne rammarico terribilmente e la prego in ginocchio di perdonarmi». Schönberg rispose: «Caro Sig.
Mitropoulos, mi creda, non era mia intenzione ferirla. Apprezzo troppo la vostra
amicizia nei miei confronti per fare ciò. È stata una circostanza sfortunata quella
che mi ha fatto scrivere in un modo cosí aspro. Quando ho letto il malevolo resoconto di Olin Downes della vostra aggiunta ‘coreografica’ al Sopravvissuto […]».
Il ricordo di Nuria Schönberg
Tutte le volte che ascolto questa composizione sento quale enorme impatto ha
questa musica sul pubblico. È proprio questo impatto sugli ascoltatori che ha portato certi critici a etichettare erroneamente questa composizione come ‘spettacolare’ o come ‘musica da film’, due ambiti molto lontani dalle intenzioni di mio
padre. Queste critiche si indirizzano principalmente al coro finale. Di fronte alla
morte imminente i prigionieri ebrei cantano la «vecchia preghiera, da lungo tempo dimenticata», tornando alle loro origini ebraiche e alla loro consapevolezza.
Mi sono spesso chiesto perché il testo di mio padre dicesse «da lungo tempo dimenticata». Pensava egli che la maggior parte degli ebrei era integrata? Com’era
lui prima di tornare alla comunità ebraica a Parigi nel 1933? [Schönberg si era
convertito al protestantesimo nel 1898. Nel 1922 fu costretto a lasciare Mattsee,
una cittadina lacustre austriaca dove aveva pensato di passare l’estate con i suoi
allievi, perché la città doveva, secondo il Consiglio Cittadino, essere tenuta «libera
dagli ebrei». Dopo questa traumatica esperienza antisemita, anche se Schönberg
non era un ebreo praticante, egli si sentí parte della Nazione ebraica, della sua
eredità culturale ed etica.] Dopo il suo arrivo negli Stati Uniti nel 1933 egli fu attivamente impegnato nel cercare di aiutare ebrei tedeschi ed austriaci ad emigrare.
Si prese la responsabilità personale degli affidavit per molte di queste persone e
cercò di incoraggiare altri noti americani a fare altrettanto.
[Da Nuria Schönberg Nono, Testo introduttivo all’edizione in facsimile del manoscritto di A Survivor from Warsaw op. 46 (Library of Congress, Washington),
Laaber Verlag, 2014, in collaborazione con Arnold Schönberg Center, Wien]
Non ho sentito l’esecuzione di Un sopravvissuto da Varsavia a Los Angeles anche
se vivevo là. Ma ricordo mio padre parlare di una lettera nella quale un sopravvissuto di un campo di concentramento nazista riferiva del momento in cui i
prigionieri, che erano di fronte alla morte, cominciarono a cantare una preghiera
ebraica. All’epoca avevo solo 15 anni ma ero certamente a conoscenza che c’erano
stati campi di concentramento e che milioni di ebrei erano stati messi a morte.
Durante la seconda guerra mondiale sentivamo alla radio le notizie; erano per
lo piú informazioni militari, molto pochi, invece, i dettagli sul destino degli ebrei
e degli altri che erano stati deportati nei cosiddetti ‘campi di lavoro’. Mio padre
aveva due figli che vivevano a Vienna. Fortunatamente egli riuscí ad aiutare sua
figlia Gertrude, suo marito Felix Greissle e i loro due figli e a farli immigrare negli
Stati Uniti, ma suo figlio, Georg, rimase a Vienna ed ebbe abbastanza fortuna per
sopravvivere durante gli anni della guerra facendo un lavoro di fatica in un mercato ortofrutticolo. Egli rimase a Vienna per il resto della sua vita.
La verità sui campi di morte venne fuori soltanto piú tardi, con le sue storie di
orrore e i documenti. Sapevo che Un sopravvissuto aveva avuto la sua prima esecuzione ad Albuquerque. Ricordo che mio padre si arrabbiò molto quando lesse,
in una recensione giornalistica di Olin Downes, dell’esecuzione diretta a New
York da Dimitri Mitropoulos, che «a questa circostanza si accompagnò un tratto
melodrammatico creato con la trovata teatrale per cui i membri del coro, mentre
il narratore descriveva la scena, si alzarono in piedi, prima uno a uno, riempiendo
le fila sempre piú rapidamente, finché stettero, dismessi i soprabiti, nelle loro
bianche camicie di condannati. Ci dispiace dire che l’effetto fu gigionesco…». Certamente mio padre non aveva l’intenzione di creare una situazione spettacolare
con il coro che canta lo Shem’a Yisroel. Mio padre scrisse una lettera a Dimitri Mitropoulos in cui affermava: «avrei piacere di sapere se il Sig. Olin Downes era nel
giusto quando scrisse di un’azione – dico una azione in una cantata – per la quale
i cantanti si tolsero i loro soprabiti. Mi sembra che avreste dovuto rendervi conto
che non ho composto una tale azione, non solamente per ragione di un gusto piú
elevato, ma anche perché un concerto non è teatro». Mitropoulos rispose due
mesi dopo, profondamente ferito dalle parole di Schönberg, che «qualsiasi cosa
che io abbia fatto oltre le vostre indicazioni nella partitura fu puramente per un
eccesso di devozione, per fare in modo che l’opera fosse la piú efficace possibile,
e, mi creda, non penso di aver fatto male al suo spirito. In ogni modo, per quel che
20
note di sala
Beethoven
Sinfonia n. 9
«È venuta poi la funesta ‘popolarizzazione’ della Nona, che ha confuso le
idee e non ha prodotto alcun frutto. I seguaci di Wagner non rappresentano che
un ininterrotto declino. Allora dove dirigersi? Verso la nuova classicità, ma non
‘all’indietro’, qui sta ‘il nocciolo del cane’.»
Ferruccio Busoni
dalla lettera a Philipp Jarnach, Parigi, 22 marzo 1920
21
note di sala
Non si dà forse un caso piú clamoroso, in tutta la storia della musica, e forse di
ogni arte, di germinazione inconscia e prolungata, che quello della Nona Sinfonia;
o, per lo meno, che il proposito beethoveniano di mettere in musica, in qualche
modo, l’Ode alla gioia di Schiller. Il 26 gennaio 1793 il professor Fischenich, amico
di Schiller, scriveva alla moglie del poeta, Carlotta, per ragguagliarla sulle attività
d’un giovane musicista della citta di Bonn, dove egli era insegnante di diritto all’Università: «Vi accludo una composizione sulla poesia Feuerfarb, vorrei conoscere
il vostro giudizio in merito ad essa. È stata composta da un giovanotto della nostra città, il cui talento è ovunque apprezzato e che è stato mandato recentemente
dal nostro Elettore a Vienna presso Haydn. Egli comporrà anche An die Freude di
Schiller, ogni strofa separatamente. lo mi attendo da lui qualcosa di perfetto, giacché egli prova interesse soltanto per gli argomenti grandiosi e sublimi.»
Un germe – quello del 1793 – che lavorava in due direzioni contemporaneamente:
come generico progetto di composizione, ma anche già come avvicinamento all’idea melodica e tematica che un giorno, nel 1823 e 24, ne sarà il concretamento.
Al 1794 risale un Lied intitolato Gegenliebe (amore reciproco, amore ricambiato), o
piú esattamente Seufzer eines Ungeliebten und Gegenliebe (Sospiro di un disamato
e amore reciproco), su due poesie di Burger. (Il poeta della Eleonora, tradotta dal
Manzoni, e della ballata Il cacciatore selvaggio, presa a modello di romanticismo dal Berchet nella Lettera semiseria di Grisostomo, era morto quell’anno). La
melodia che trent’anni dopo diverrà celeberrima nel finale della Nona vi e già
chiaramente prefigurata. Invece in un quaderno del 1798 si trova un abbozzo di
melodia sulle parole d’un verso dell’Inno alla gioia di Schiller («Muss ein lieber
Vater wohnen»). Questa melodia non ha nulla da vedere con quella della Nona. Al
1804 risale un misterioso abbozzo di melodia sulla parola «Wer» (chi), che Romain Rolland ritiene si debba completare con le parole del verso di Schiller: «Wer
ein holdes Weib errungen» (Chi si è conquistato una cara donna). La melodia presenta analogia con quella dell’Ode alla gioia della Nona: stessa sillabazione fitta,
con andamento discendente seguito da risalita e ripiegamento finale.
Del 1808 è la Fantasia in do minore op. 80 per pianoforte, orchestra e coro. Il
coro interviene nell’ultimo tempo (come accadrà nella Nona Sinfonia), intonando
sei quartine del poeta Christoph Kuffner, pare improvvisate su richiesta e suggerimento di Beethoven. La melodia è quella del Lied Gegenliebe, che già sappiamo
essere un anticipo del finale della Nona. Le parole inneggiano al trionfo della pace
e della gioia («Fried’ und Freude») attraverso le nozze della musica e della parola,
paiono a Rolland «il programma del finale della Nona» e provano, secondo lo
scrittore francese, quanto fosse radicato in Beethoven il proposito di maritare la
parola alla forma sinfonica, contrariamente alla nota opinione di Carl Czerny, che
il finale corale della Nona sarebbe stato «ein Misgriff», uno sbaglio, sconfessato e
deplorato dallo stesso Beethoven.
di Concerti per pianoforte, si legge: «Freude schöner Götterfunken, Tochter… Lavorare l’ouverture». Poi: «Frammenti staccati, come «i principi sono mendicanti»,
ecc., non tutto». E ancora: «Frammenti staccati dalla Gioia di Schiller, messi assieme in tutto». Infine: «Sinfonia in re minore, terza sinfonia». Terza, naturalmente,
perché l’idea s’incunea tra la Settima e l’Ottava, allora in corso di composizione.
Dobbiamo quindi inserire tra i molteplici antefatti della Nona il progetto d’una
Sinfonia in re minore (quale sarà appunto la tonalità della Nona), senza piú, cioè
senza progetti di inserzione vocale, e pertanto senza riferimento all’Ode alla gioia
di Schiller.
Infatti, in una lettera agli editori Breitkopf&Härtel, del 1 giugno 1812, annuncia:
«Sto scrivendo tre Sinfonie, delle quali una è già completa». Al 1812 risale uno
schizzo sui due versi di Schiller: «Freude, schöner Götterfunken, Tochter aus
Elysium». La melodia è assai curiosa e non ha niente a vedere con quella che
entrerà poi nella Nona. Scandisce energicamente la triade di do maggiore, con un
effetto di proclamazione seccamente sillabata. Come scrive Rolland, la Gioia non
aveva ancora assunto il suo volto religioso: era pura allegrezza, e basta.
Il materiale della futura Sinfonia continua a germogliare per conto proprio, quando della Sinfonia non c’è ancora l’idea. In un quaderno del 1813, tra gli schizzi
della Sonata per violoncello op. 102 n. 2 in re maggiore, annotato come un tema
di fuga, ecco spuntare quello che sarà l’inizio dello Scherzo nella Nona Sinfonia:
una nota puntata, ribattuta all’ottava inferiore, il tutto seguito da una vivacissima
ronda. Nel 1817, anno quasi sterile, Beethoven lavora alla grandiosa Sonata op.
106, e comincia, molto genericamente, la Sinfonia. Ci lavora nel 1818 e occasionalmente nel 1819. Non è ancora questione dell’Ode alla gioia e in certi appunti in
fogli sciolti del 1817-18 parrebbe previsto un finale strumentale, ma in appunti
della seconda metà del 1818 ecco l’atto di nascita del celebre finale con voci, che
tanto effetto produrrà sulle sorti future della musica sinfonica, quando Gustav
Mahler avrà il coraggio di riallacciarvisi.
Adagio cantico. Cantico religioso per una Sinfonia negli antichi modi: «Herr
Gott, dir loben wir. Alleluja» in maniera indipendente o come introduzione a
una fuga. Forse in questa seconda maniera l’intera Seconda Sinfonia potrebbe essere caratterizzata con l’entrata delle voci nel Finale o già nell’Adagio.
Decuplicare i violini dell’orchestra, ecc. per l’ultimo movimento. O l’Adagio
sarà in qualche modo ripetuto negli ultimi pezzi in cui le voci poi entrano
gradatamente nell’Adagio come testo un mito greco o un cantico di chiesa:
nell’Allegro festa a Bacco.
Nel taccuino Petter, del 1809 o 1811, insieme con schizzi per lo straordinario
Allegretto della Settima Sinfonia e per il finale dell’Ottava, e insieme con abbozzi
Per prepararsi alla composizione della Missa solemnis Beethoven si affacciava sul
continente della musica sacra e riconsiderava il canto gregoriano, sicché la peculiarità melodica dei modi ecclesiastici lo induceva a un vagheggiamento dell’antichità classica mescolata a un senso di libera religiosità (si pensi alla «Canzona di
ringraziamento in modo lidico offerta alla divinità da un guarito» nel Quartetto in
22
23
note di sala
note di sala
la minore op. 132). Perché «Seconda Sinfonia»? In una conversazione tenuta con
J. F. Rochlitz nell’estate del 1822 Beethoven diceva d’avere in mente «due grandi
Sinfonie, molto differenti»: quella in re minore per Londra, tutta strumentale, e
una Sinfonia tedesca, cioè con intervento corale su parole tedesche, probabilmente il progetto del 1818 su idee mistiche della mitologia e del cristianesimo.
Svanite queste speculazioni, risorse dalle profondità della coscienza il vecchio
proposito di musicare l’Ode alla gioia di Schiller, e scartando altre formulazioni
melodiche che ancora nel 1822 egli veniva escogitando, andò a congiungersi col
tema balenato fin dal giovanile Lied Gegenliebe e ripreso poi nella Fantasia per
pianoforte coro e orchestra: «erano due che si cercavano», scrive Romain Rolland,
sicché la genesi della Nona Sinfonia, e in particolare del finale con coro, riproduce
proprio esattamente il procedimento e le fasi d’un biologico concepimento.
Mescolandosi i due progetti di Sinfonia, quella inglese e quella ‘allemand’, uno
divorò l’altro. Per lettera Beethoven dovette barcamenarsi per tenere a bada
l’amico Ferdinand Ries, che gli aveva procurato a Londra l’ordinazione di una
Sinfonia, e naturalmente se n’aspettava una normale, per sola orchestra. Invece
Beethoven si era ormai buttato sull’altro progetto, quello della Sinfonia tedesca
con cori: nel suo spirito si era unificata la dispersione dei vari progetti e l’idea ormai lo possedeva. Sempre del 1822 è un appunto decisivo, fra gli schizzi studiati
dal Nottebohm, che dice: «Sinfonie allemand dopo la quale entra il coro Freude
Schöner Götterfunken Tochter aus Elysium. Fine della Sinfonia con musica turca o
coro vocale”. Da notare che in questo schizzo le parole di Schiller sono segnate in
musica, ma con una melodia affatto diversa da quella che le rivestirà nella Nona
Sinfonia e che già era apparsa nel vecchio Lied e nella Fantasia op. 80.
Il 1822 è dunque l’anno decisivo, in cui i vari progetti dispersi a poco a poco si
unificano nel proposito della Sinfonia con cori, e il 1823 fu l’anno del lavoro intenso alla composizione. Il 1° luglio, col consueto incorreggibile ottimismo informava
l’arciduca Rodolfo: «Sto ora scrivendo una nuova Sinfonia per l’Inghilterra, cioè
per la Società Filarmonica, e spero di portarla a termine in meno di quindici giorni». Questi errori di valutazione nelle prospettive di lavoro non sono da imputare
a leggerezza né a difficoltà esterne che intralciassero la composizione. Hanno
un significato storico. Beethoven continuava a calcolare secondo le consuetudini
d’una volta, le consuetudini del tempo di Haydn e di Mozart, quando la composizione d’una Sinfonia era, per l’appunto, affare di quindici giorni al massimo. Non
si rendeva conto di essere stato proprio lui a trasformare la situazione e a fare
della Sinfonia un monumento di alto impegno intellettuale, sicché il lavoro gli si
allungava e complicava tra le mani, come era già avvenuto in maniera clamorosa
per la Messa solenne.
Il gioco dei rinvii prendeva dei risvolti quasi comici con i sotterfugi candidamente
messi in atto per far fronte al soverchiante impegno. A Ries, dopo avergli promesso in marzo la Sinfonia entro quindici giorni, scriveva il 25 aprile: «Proprio ora
non sto bene a causa di tante contrarietà che ho dovuto sopportare, sí, perfino
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note di sala
male agli occhi. Ma non aver paura; avrai presto la Sinfonia; la colpa è solo di
questa miserabile situazione». Il 5 settembre scriveva solennemente al libraio
Kirchhoffer, incaricato di trarre le copie manoscritte, che gli avrebbe consegnato
la Sinfonia entro i soliti «quattordici giorni al massimo», e lo stesso giorno, con
insigne quanto bambinesca malafede, scriveva a Ries: «La partitura della Sinfonia
è stata finita dai copisti durante gli ultimi pochi giorni e di conseguenza Kirchhoffer ed io siamo semplicemente in attesa di una buona occasione per spedirla».
In realtà il lavoro aveva imperversato durante quell’estate, nelle villeggiature di
Hetzendorf e poi di Baden, non lontano da Vienna. Racconta Schindler che Beethoven si era concentrato al massimo, evitando di vedere chicchessia, anche lui,
Schindler, e trascurando ogni affare e convenienza domestica: «Completamente
assorto, vagava per campi e prati, taccuino alla mano, senza darsi pensiero per
l’ora dei pasti. Quando ritornava, era spesso senza cappello, ciò che mai era accaduto prima, anche nei momenti di piú alta ispirazione. Verso metà agosto si
potevano vedere grandi quaderni con annotazioni per il nuovo lavoro.»
È il momento della definizione e della stesura di tutto il materiale portato in
mente per anni: il parto dopo la lunghissima gestazione. Isolato da tutto, interamente immerso nella selva delle idee musicali che giungevano allora al punto di
coagulazione, diceva a Schindler: «Non son mai solo quando sono solo». Sfido! Se
si pensa che facciamo una certa fatica noi, semplicemente a tenere a mente e coordinare tutte le fasi attraverso cui l’opera enorme si venne formando lentamente
nella sua coscienza, si può avere un’idea della gigantesca impresa intellettuale
che fu quella di fissare queste idee musicali che pullulavano e sfuggivano da tutte
le parti, forgiarle, limarle e integrarle nel tutto della Sinfonia. Non c’è da stupire
che Beethoven andasse in giro sciamannato, magari con le calze spaiate e i pantaloni sbottonati, e che tutti i momenti buttasse sotto il rubinetto della cucina la
testa ardente come un vulcano. In totale, poiché al primo tempo della Sinfonia in
re minore Beethoven aveva cominciato a pensare nel 1817-18, la composizione
richiese circa sei anni e mezzo, naturalmente non ininterrotta.
[Massimo Mila]
Come si è già detto, la Nona Sinfonia fu composta per la Società Filarmonica di
Londra (anche se poi, nel 1826 al momento della pubblicazione, sarà dedicata al
Re Federico Guglielmo III di Prussia). La Società Filarmonica ricevette il manoscritto solo dopo la prima esecuzione, che avvenne a Vienna il 7 maggio 1824 al
Kärntnertortheater con grande successo di pubblico, ma con scarsi esiti finanziari.
Il programma comprendeva l’Ouverture op. 124 in do maggiore («La consacrazione della casa»), tre grandi inni per soli e coro (la polizia aveva proibito di indicare
altrimenti, in un programma di teatro, i tre brani della Messa op. 123 che venivano eseguiti: Kyrie, Credo, Agnus Dei) e la Nona Sinfonia.
Interpreti di canto furono Henriette Sontag, Caroline Unger, Anton Haitzinger e
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note di sala
August Seipelt. Dirigeva il Kapellmeister Michael Umlauf; Schuppanzigh era alla
testa dei primi violini; Beethoven, a fianco di Umlauf, indicava il movimento al
principio di ogni pezzo «prendendo parte», come era indicato nel manifesto pubblico, «alla direzione dell’insieme».
Diverse testimonianze sulla prima esecuzione della Nona Sinfonia sono giunte
fino a noi. Cosí scrive il violinista Joseph Böhm: «La composizione fu studiata con
diligenza e coscienziosità come richiedeva tale gigantesco e difficile brano musicale. Si arrivò alla prima esecuzione. Un pubblico illustre, estremamente vasto
ascoltò con rapita attenzione e non desistette da un applauso fragoroso ed entusiasta. Beethoven stesso dirigeva, cioè stava di fronte al leggio del direttore e
si muoveva avanti e indietro come un matto. Ad un certo momento si allungava
in tutta la sua altezza, per poi piegarsi giú verso il pavimento, batteva con mani
e piedi come se avesse voluto suonare tutti gli strumenti e cantare tutte le parti
del coro. – La direzione vera e propria era nelle mani di Duport [sic], noi musicisti
seguivamo soltanto la sua bacchetta. – Beethoven era cosí eccitato che non vide
niente di quello che succedeva attorno a lui, non prestò attenzione all’esplosione
di applausi, che in ogni caso la sua sordità gli impediva di sentire. Gli fu detto ogni
volta quando era il momento di ringraziare per gli applausi, cosa che egli fece nel
modo piú sgraziato che si possa immaginare.» (Kerst II, 73.TDR V.93)
Joseph Carl Rosenbaum registrò invece nel suo diario: «Venerdí 7 (maggio 1824).
Caldo… All’Imp. Teat. concerto di van Beethoven, con Sontag, Unger, Heitzinger
e Seipelt come cantanti. Direttore Umlauf. Egli mostra comprensione. Ouverture
e tre Inni con Kyrie e Ode alla gioia; bello ma noioso – non molto pieno… all’Imp.
Teat. molti palchi vuoti, nessuno della Corte. In proporzione al vasto organico,
poco effetto. I discepoli di B. fecero un gran clamore, la maggior parte del pubblico stava quieta, molti non aspettarono la fine.» (Autografo, Oesterreichische
Nationalbibliothek)
offrire una prova pratica che la musica strumentale è assolutamente incapace di
fare un discorso. Quanto piú spesso, poi, si eseguí questa opera gigantesca tanto
piú migliorò la comprensione che ne avevano i musicisti e il pubblico. […] In questa occasione non posso astenermi dal ricordare qualcosa che il mio caro defunto
amico Carl Czerny (un favorito fra gli allievi di Beethoven) mi disse piú volte e
che egli riteneva attendibilmente vero. Qualche tempo dopo la prima esecuzione
della Nona Sinfonia, si dice Beethoven avesse annunciato ad un piccolo gruppo
dei suoi amici piú vicini, fra i quali Czerny, che si era convinto di aver fatto un
errore con l’ultimo tempo della sinfonia; voleva quindi eliminarlo e scrivere al suo
posto un movimento strumentale senza voci; egli aveva già in mente l’idea di ciò.
Anche se la meno favorevole accoglienza del movimento finale con il coro poté
forse influenzare la convinzione di Beethoven, egli certamente non era persona
che cambiava opinione in ragione delle critiche del giorno e di un applauso meno
pieno del solito. Quindi sembra effettivamente che egli non si sentí del tutto a suo
agio nella nuova strada che aveva preso. In ogni caso è un gran peccato che non
realizzò mai l’intenzione che aveva annunciato. » (Kerst II, 78)
[Da H.C. Robbins Landon, Beethoven, Thames and Hudson, London 1970]
Una seconda esecuzione della Nona Sinfonia a Vienna fu quella del 23 maggio
1824. Fra le successive, quella di Londra del 21 marzo 1825 (dove la sinfonia
fu diretta da Sir George Smart e cantata in italiano), di Francoforte del 1 aprile
1825, di Aachen il 23 maggio 1825, di Lipsia del 6 marzo 1826, di Berlino del 27
novembre 1826, di Brema del 20 dicembre 1826. Sempre nel 1826 Mendelssohn
la eseguí al pianoforte in un concerto privato.
Leopold Sonnleithner riportò sull’Allgemeine Musikalische Zeitung n. 14 del 6 aprile 1864: «Mi chiede di informarLa, sulla base dei miei ricordi personali, del tempo
che Beethoven prese nel recitativo dei contrabbassi nell’ultimo tempo della Nona
Sinfonia. Volentieri rispondo alla sua domanda e dico per prima cosa che nella
primavera 1824 assistetti a tutte, o alla maggior parte delle prove orchestrali della Nona Sinfonia, che fu eseguita per la prima volta il 7 maggio 1824. Beethoven
stesso era a capo dell’organico, ma la direzione vera e propria dell’orchestra era
quella di Umlauf, che batteva il tempo; Schuppanzigh era il primo violino. – Posso
confermare sulla base della mia esperienza che Beethoven voleva che i recitativi
fossero suonati velocemente, cioè non esattamente Presto ma neanche Andante. Tutta la sinfonia, ma particolarmente l’ultimo tempo, creò grandi difficoltà
all’orchestra, che non la capí all’inizio, anche se vi suonavano musicisti di primo
piano (come Mayseder, Boehm, Jansa, Linke). I contrabbassisti non avevano la
piú lontana idea di cosa avrebbero dovuto fare con i recitativi. Non si sentiva
nient’altro che un rauco brontolio nei bassi, quasi come se l’autore avesse voluto
Note di sala e traduzioni a cura di Filippo Juvarra
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note di sala
note di sala
Testi
Schönberg
A Survivor from Warsaw
Testo di Arnold Schönberg
Narratore
I cannot remember everything. I
must have been unconscious most of
the time.
I remember only the grandiose
moment when they all started to sing,
as if prearranged, the old prayer they
had neglected for so many years –
the forgotten creed! But I have no
recollection how I got underground to
live in the sewers of Warsaw for so
long a time.
The day began as usual: Reveille
when it still was dark. “Get out!”
Whether you slept or whether worries
kept you awake the whole night. You
had been separated from your children,
from your wife, from your parents. You
don’t know what happened to them…
How could you sleep?
The trumpets again – “Get out! The
sergeant will be furious!” They came
out; some very slowly, the old ones,
the sick ones; some with nervous
agility. They fear the sergeant. They
hurry as much as they can. In vain!
Much too much noise, much too much
commotion! And not fast enough!
The Feldwebel shouts: “Achtung!
Stilljestanden! Na wird’s mal! Oder
soll ich mit dem Jewehrkolben
nachhelfen? Na jut; wenn ihrs
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testi
Non posso ricordare ogni cosa. Devo
essere rimasto privo di conoscenza
per la maggior parte del tempo.
Ricordo soltanto il grandioso
momento quando tutti cominciarono
a cantare, come se si fossero messi
d’accordo, l’antica preghiera che essi
avevano trascurato per tanti anni – il
credo dimenticato! Ma non so dire
come riuscii a vivere nel sottosuolo
nelle fogne di Varsavia, per un cosí
lungo tempo.
Il giorno cominciò come al solito:
sveglia quando era ancora buio.
Venite fuori – Sia che dormiste o che
le preoccupazioni vi tenessero svegli
tutta la notte. Eravate stati separati
dai vostri bambini, da vostra moglie,
dai vostri genitori; non si sapeva che
cosa era accaduto a loro – come si
poteva dormire?
Di nuovo le trombe – Venite fuori!
il sergente sarà furioso! Vennero
fuori; alcuni molto lenti; i vecchi, gli
ammalati; alcuni con agilità nervosa.
Temono il sergente. Si affrettano
quanto piú possibile. Invano! Molto,
troppo rumore, molta, troppa
agitazione - e non svelti abbastanza!
Il sergente urla: «Attenzione! Attenti!
Beh, ci decidiamo? O devo aiutarvi io
durchaus haben wollt!”
The sergeant and his subordinates
hit everyone: young or old, strong or
sick, guilty or innocent ...
It was painful to hear them
groaning and moaning.
I heard it though I had been hit
very hard, so hard that I could not
help falling down. We all on the ground
who could not stand up were then
beaten over the head...
I must have been unconscious.
The next thing I heard was a soldier
saying: “They are all dead!”
Whereupon the sergeant ordered to
do away with us.
There I lay aside half conscious. It
had become very still - fear and pain.
Then I heard the sergeant shouting:
“Abzählen!”
They start slowly and irregularly:
one, two, three, four – “Achtung!” The
sergeant shouted again, “Rascher!
Nochmals von vorn anfange! In einer
Minute will ich wissen, wieviele ich zur
Gaskammer abliefere! Abzählen!”
They began again, first slowly: one,
two, three, four, became faster and
faster, so fast that it finally sounded
like a stampede of wild horses, and
(all) of a sudden, in the middle of it,
they began singing the Shem’a Yisroel.
con il calcio del fucile? E va bene; se è
proprio questo che volete!»
Il sergente e i suoi aiutanti
colpivano tutti; giovani e vecchi,
remissivi o agitati, colpevoli o
innocenti.
Era doloroso sentirli gemere e
lamentarsi.
Sentivo tutto sebbene fossi stato
colpito molto forte, cosí forte che non
potei evitare di cadere. Eravamo tutti
stesi per terra, chi non poteva reggersi
in piedi era allora colpito sulla testa.
Devo essere rimasto privo di
conoscenza. La prima cosa che udii
fu un soldato che diceva: «sono tutti
morti».
Al che il sergente ordinò di
sbarazzarsi di noi.
Io giacevo da una parte – mezzo
svenuto. Era diventato tutto tranquillo
– paura e dolore.
Fu allora che udii il sergente che
gridava: «Contateli!». Cominciarono
lentamente e in modo irregolare Uno,
due, tre, quattro – «Attenzione!» il
sergente urlò di nuovo, «Piú svelti!»
«Cominciate di nuovo da capo! Fra
un minuto voglio sapere quanti
devo mandare alla camera a gas!
Contateli!».
Ricominciarono, prima lentamente:
uno, due, tre, quattro, poi sempre
piú presto, sempre piú presto tanto
che alla fine risuonò come una fuga
precipitosa di cavalli selvaggi, e tutto
ad un tratto, nel mezzo del tumulto,
essi cominciarono a cantare lo Shem’a
Yisroel.
[segue]
29
testi
Coro maschile
Shem’a Yisroel Adonoy eloheynu
Adonoy ehod. Veohavto et Adonoy
eloheycho bechol levovcho uvchol
nafshecho uvechol me’odecho.
Vehoyu hadevorim hoele asher onochi
metsavecho hayom ‘al levovecho.
Veshinontom levoneycho vedibarto
bom beshivtecho beveytecho
uvelechtecho baderech uvshochbecho
uvekumecho.
Ascolta, o Israele, il Signore è tuo Dio,
il Signore è uno. E amerai il Signore
Dio tuo con tutto il tuo cuore, con
tutta la tua anima e con tutte le tue
forze. E porrai quanto io ti comando
ora sul tuo cuore. E lo ripeterai ai tuoi
figli, e ne parlerai tornando a casa,
procedendo per la tua via, coricandoti
ed alzandoti.
[Deuteronomio, 6: 4-7]
Beethoven
Sinfonia n. 9
Coro finale sull’Ode “Alla Gioia”
di Friedrich Schiller
(in Thalia, Dresda 1786)
Recitativo iniziale di L. van Beethoven
O Freunde, nicht diese Töne!
Sondern laßt uns angenehmere
anstimmen und freudenvollere!
O amici, non questi suoni!
Ma intoniamone altri
più piacevoli, e più gioiosi!
Freude, schöner Götterfunken,
Tochter aus Elysium,
Wir betreten feuertrunken,
Himmlische, dein Heiligtum!
Deine Zauber binden wieder,
Was die Mode streng geteilt;
Alle Menschen werden Brüder,
Wo dein sanfter Flügel weilt.
Gioia, bella scintilla divina,
figlia dell’Elisio,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio!
La tua magia ricongiunge
ciò che la moda ha rigidamente diviso,
tutti gli uomini diventano fratelli,
dove la tua ala soave freme.
Wem der große Wurf gelungen,
Eines Freundes Freund zu sein;
Wer ein holdes Weib errungen,
Mische seinen Jubel ein!
Ja, wer auch nur eine Seele
Sein nennt auf dem Erdenrund!
Und wer’s nie gekonnt, der stehle
Weinend sich aus diesem Bund!
L’uomo a cui la sorte benevola,
concesse di essere amico di un amico,
chi ha ottenuto una donna leggiadra,
unisca il suo giubilo al nostro!
Sì, chi anche una sola anima
possa dir sua nel mondo!
Chi invece non c’è riuscito,
lasci piangente e furtivo questa
compagnia!
30
testi
Freude trinken alle Wesen
An den Brüsten der Natur;
Alle Guten, alle Bösen
Folgen ihrer Rosenspur!
Küße gab sie uns und Reben,
Einen Freund, geprüft im Tod;
Wollust ward dem Wurm gegeben,
Und der Cherub steht vor Gott.
Gioia bevono tutti i viventi
dai seni della natura;
tutti i buoni, tutti i malvagi
seguono la sua traccia di rose!
Baci ci ha dato e uva, un amico,
provato fino alla morte;
la voluttà fu concessa al verme,
e il cherubino sta davanti a Dio!
Froh, wie seine Sonnen fliegen
Durch des Himmels prächt’gen Plan,
Laufet, Brüder, eure Bahn,
Freudig, wie ein Held zum Siegen.
Lieti, come i suoi astri volano
attraverso la volta splendida del cielo,
percorrete, fratelli, la vostra strada,
gioiosi, come un eroe verso la vittoria.
Seid umschlungen, Millionen.
Diesen Kuß der ganzen Welt!
Brüder, über’m Sternenzelt
Muß ein lieber Vater wohnen.
Ihr stürzt nieder, Millionen?
Ahnest du den Schöpfer, Welt?
Such’ ihn über’m Sternenzelt!
Über Sternen muß er wohnen.
Abbracciatevi, moltitudini.
Questo bacio vada al mondo intero!
Fratelli, sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.
Vi inginocchiate, moltitudini?
Intuisci il tuo creatore, mondo?
Cercalo sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare.
31
testi
Bunker / Olimpia Zagnoli
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