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Il Pentateuco come Torà
INTRODUZIONE ALLA LETTURA
DEL PENTATEUCO.
IL PENTATEUCO COME TORÀ
Michelangelo Priotto
I primi cinque libri della Bibbia, che noi in genere chiamiamo «Pentateuco»1,
sono stati sempre considerati come la legge di Israele, ricevendo il nome di
«Torà»; è qui infatti che troviamo il corpus legislativo biblico ed è in quanto
legge che sia gli ebrei sia i samaritani hanno accolto questi libri come normativi; ed è pure questa la posizione del Nuovo Testamento e del giudaismo
posteriore.
È dunque a titolo di legge del popolo eletto che questi libri sono stati ritenuti
normativi e di un valore eccezionale: una legge ci dà la struttura di un popolo
e le norme della sua vita sociale. Così la Torà è alla base della vita di Israele.
Il Pentateuco ha quindi lo scopo primario di farci conoscere la costituzione del
popolo di Dio; ci rivela nello stesso tempo e l’esistenza di un popolo eletto in
mezzo alle nazioni e le condizioni della sua elezione.
Si tratta però di una legge particolare; fino a metà dell’Esodo infatti i testi legislativi sono assai rari! I racconti delle origini e dei patriarchi formano come
una grande introduzione alla legge di Mosè. Questa inserzione di leggi in una
trama storica è il tratto più caratteristico del Pentateuco.
Lo studio storico-critico del Pentateuco
La mescolanza di leggi e di racconti non è l’unico tratto caratteristico del
Pentateuco. Anche a una prima lettura ne scopriamo altri: interruzioni, sbalzi,
riprese, raggruppamenti, ripetizioni, doppioni, ecc. È partendo da questo approccio critico-letterario che il Pentateuco in epoca moderna è stato studiato.
Nascono così diverse interpretazioni, che si possono ricondurre sostanzialmente a tre filoni:
– ipotesi dei frammenti (il Pentateuco risulterebbe dalla compilazione di pezzi
diversi);
Si tratta di una parola greca «pentáteuchos», composta da «penta», che significa cinque, e da
«teuchos», che significa contenitore. Questa parola designa dunque il contenitore cilindrico dei
rotoli e poi per metonimia il contenuto, cioè i cinque libri iniziali della Bibbia: Genesi, Esodo,
Levitico, Numeri, Deuteronomio. Il termine greco compare per la prima volta nel II sec. d.C. negli
scritti dello gnostico Tolomeo e la forma latina pentateuchus liber si incontra da Tertulliano in poi.
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Il Pentateuco come Torà
– ipotesi dei complementi (il Pentateuco sarebbe formato da uno scritto fondamentale, completato in seguito con l’inserzione di testi diversi sia per forma
che per estensione);
– ipotesi documentaria (il Pentateuco sarebbe costituito dalla successiva aggregazione di vari documenti).
È quest’ultima l’ipotesi più importante, perché su di essa, nonostante critiche
e nuove proposte, converge la stragrande maggioranza degli esegeti fino agli
anni ’702.
La teoria documentaria è legata al nome di J. Wellhausen (1844-1918), non
perché ne sia l’unico o il primo difensore, ma per la chiarezza della sua esposizione e la limpidezza del suo stile. Secondo questa teoria un autore («J») o
una scuola verso l’850-800 a.C. nel regno del sud avrebbe operato una prima
compilazione delle tradizioni di Israele: è il documento yahwista.
Un altro documento («E») sorge nel regno del nord poco dopo (750 a.C. circa), caratterizzato da elementi profetici, da una teologia morale più elevata e
da un maggior spazio alla legge mosaica: è il documento elohista.
Dopo la caduta di Samaria (722 a.C.) un redattore fonde i due documenti, dando una certa precedenza a quello yahwista: è il cosiddetto documento jehovista.
Nel 622 d.C. viene ritrovato a Gerusalemme il nucleo antico del Deuteronomio («D»), che confluirà presto nel precedente documento jehovista.
Ezechiele in esilio pone le basi del futuro codice sacerdotale («P»), che verso
il 400 a.C. verrà fuso con i precedenti documenti («JED»), dando vita all’attuale Pentateuco («JEDP»).
La nuova critica
Da una trentina d’anni il consenso classico sul problema della formazione del
Pentateuco, che aveva il suo punto di riferimento nella teoria documentaria, s’è
frantumato ed è iniziato quello che si potrebbe definire un periodo anarchico3.
Le ragioni di questo dissenso sono molteplici:
– la riscoperta dell’importanza della tradizione deuteronomista;
– la revisione radicale delle ipotesi circa le origini storiche di Israele;
– il fiorire di nuove correnti esegetiche che studiano il testo redazionale senza
preoccuparsi della sua storia letteraria;
– una crescente disaffezione per l’atomizzazione del testo dovuta all’esasperazione
del metodo storico-critico.
Se da un lato H.H. Schmid e M. Rose, studiando i testi classici yahwisti,
giungono alla conclusione che essi presuppongono il profetismo classico dei
Circa la storia dell’interpretazione del Pentateuco cf. J.L. SKA, Introduzione alla lettura del Pentateuco. Chiavi per l’interpretazione dei primi cinque libri della Bibbia, Ed. Dehoniane, Roma
1998, 113-185; F. GARCÍA LÓPEZ, Il Pentateuco, Paideia, Brescia 2004, 31-55.
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Per una panoramica su questi studi recenti vedi Ska, Introduzione alla lettura del Pentateuco,
145-185.
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Il Pentateuco come Torà
sec. VIII e VII e la storia deuteronomistica e dunque non possono appartenere all’epoca salomonica o immediatamente post-salomonica, dall’altro lato
R. Rendtorff difende all’origine del Pentateuco la presenza di «unità maggiori» (sarebbero cinque: origini, patriarchi, esodo, Sinai, deserto), caratterizzate da un’indipendenza quasi totale; le avrebbe unificate una prima redazione
deuteronomista, alla quale sarebbe ancora seguita una seconda redazione sacerdotale. Seguono Rendtorff il suo allievo E. Blum e F. Crüsemann.
Nell’ambiente anglosassone si assiste invece a una fioritura di studi letterari
(la cosiddetta «nuova critica»), che sottolineano l’autonomia del testo rispetto
alla storia letteraria che lo precede. Se nel periodo precedente si ricercavano
i valori autentici della religione e della storia di Israele nelle origini, ora s’intende studiare il testo così com’è nella sua stesura finale o, come dice Childs,
nella sua forma canonica.
Nascono così studi basati sull’analisi retorica classica, ispirati cioè alla retorica greco-latina, e studi ispirati piuttosto ai procedimenti di composizione
semitica.
Altri autori analizzano i racconti biblici applicando il metodo narrativo, dove
l’interesse è costituito soprattutto dalla trama, dai personaggi e dal punto di
vista del narratore.
Altri autori, infine, ispirandosi al metodo semiotico, studiano i testi biblici con
particolare attenzione alle strutture profonde e alla «grammatica» del racconto, dunque alle categorie logiche ed essenziali che idealmente sono attive in
ogni racconto.
Bilancio della ricerca
Come si vede da questi rapidi accenni, il quadro di riferimento della ricerca biblica è profondamente cambiato: la teoria documentaria s’è sgretolata, anche
se continua ad avere alcuni sostenitori; proposte nuove, spesso in contraddizione fra loro, si sono affacciate alla ribalta, senza tuttavia riuscire a raccogliere un consenso sufficientemente ampio e stabile; in molti lettori della Bibbia
regnano sconcerto e confusione.
Con uno sguardo meno pessimista e nonostante la pluralità e spesso la contraddizione delle nuove proposte, emergono alcuni orientamenti di fondo dai
quali, indipendentemente dalle scelte che si vogliono fare, non si può facilmente prescindere. Possiamo sintetizzarli in alcuni punti:
1) È sempre più evidente la presa di coscienza della complessità del testo
biblico del Pentateuco. Di fronte alla tentazione di soluzioni facili ed esclusiviste appare la necessità di un approccio umile, che sappia tener conto delle
diversità, o meglio, delle ricchezze nascoste in un testo, frutto di una lunga e
dolorosa maturazione di fede.
2) In polemica contro una precedente tendenza ad «atomizzare» il testo, si
sente oggi la necessità di studiare il testo nel suo tenore attuale; di qui una ricca fioritura di studi che, pur nella varietà di metodi, valorizzano il testo nella
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Il Pentateuco come Torà
sua ricchezza letteraria. È soltanto a partire da questo approccio sincronico
che si può fondare un’analisi diacronica.
3) L’esilio babilonese fa sprofondare Israele in una crisi religiosa e politica
senza precedenti nella storia nazionale. Essa costituisce uno spartiacque ineludibile nel processo di trasmissione e soprattutto di approfondimento delle
tradizioni del Pentateuco. È da questo trauma storico che nascono le due grandi redazioni deuteronomista e sacerdotale. Prima dell’esilio esistono già dei
complessi letterari biblici, ma non ancora strutturati in una trama continua.
4) I testi sacerdotali, benché non manchino problemi al riguardo, sono quelli
meglio definiti. I testi facenti capo alla corrente teologica del Deuteronomio
sono meno definibili, soprattutto a causa di una tendenza in atto a vederne la
presenza dappertutto; è importante allora precisarne meglio le caratteristiche e
l’ampiezza. Per quanto concerne i testi yahwisti ed elohisti dell’ipotesi documentaria si tratta di evitare posizioni oltranziste, di accettare cioè l’esistenza
di testi biblici già prima dell’esilio e di adottare la qualifica meno impegnativa
di «testi pre-esilici».
Criteri fondamentali per un nuovo approccio
Prima di offrire un prospetto equilibrato della formazione storico-letteraria del
Pentateuco occorre ancora precisare alcuni presupposti irrinunciabili per la
comprensione non solo del Pentateuco stesso, ma di tutta la Bibbia. Essi sono
principalmente tre.
Primo. Il Pentateuco, come d’altronde tutto l’Antico Testamento, è intimamente connesso con la storia del popolo di Israele (cf. Eb 1,1-2), della quale però,
soprattutto per il periodo più antico, l’AT costituisce pressoché l’unica fonte.
A parte l’attestazione d’Israele nella stele di Merneptah (1220 a.C. circa), non
possediamo documenti scritti diretti sui personaggi biblici, ma solo ricordi ancestrali e tribali all’interno della Bibbia stessa, la cui redazione finale è assai recente,
dopo l’esilio di Babilonia (587 a.C.); di qui le difficoltà in cui si dibatte l’attuale
storiografia biblica. La redazione tardiva dell’AT, pur essendo un dato da non minimizzare, non preclude tuttavia la possibilità di risalire alle epoche precedenti.
Il problema della credibilità di una fonte storica infatti non va confuso con quello dello sfasamento cronologico rispetto al contenuto, e il carattere teologico
dell’interpretazione storica della Bibbia non può essere aprioristicamente ritenuto un pregiudizio; esso costituisce una testimonianza non solo legittima, ma
anche assai significativa del modo con cui Israele si pone di fronte alla storia.
Secondo. Oltre che alla storia il Pentateuco è pure profondamente connesso con
i vari ambienti sociologici che caratterizzano la vita di Israele.
La maggior parte dei testi infatti non furono scritti per un uso letterario, bensì
per un’occasione o per una necessità precisa della vita della società israelitica;
soltanto in seguito entreranno in complessi più ampi. Gli ambienti sociologici
più importanti sono:
– la vita quotidiana della comunità (famiglia, clan, tribù) nelle sue articolazioni
più significative: nascita, matrimonio, morte, rapporti economici e giuridici,
lavoro, feste, educazione, tradizioni;
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Il Pentateuco come Torà
– il culto con le sue liturgie annuali, prescrizioni e regole di comportamento,
riti e sacrifici;
– l’ambiente giuridico, con la formulazione delle regole del vivere comune e
con le procedure per il ristabilimento dell’ordine violato;
– più tardi la corte, con le sue esigenze di ordine amministrativo, politico,
militare e culturale.
È a partire da questa vita della gente che nasce dunque la futura letteratura. Questi testi, ancorati a situazioni determinate del vivere comune, pur nella loro specificità, mostrano naturalmente strutture costanti di
contenuto e di espressione, dando origine così ai generi letterari; risulta in tal modo evidente la reciprocità fra genere letterario e ambiti di vita.
Infine, questa attenzione alla vita della società israelitica non può eludere il problema del rapporto tra tradizione orale e tradizione scritta. In particolare la scuola scandinava (Engnell, Nielsen) ha sottolineato l’importanza della tradizione orale nel Vicino Oriente antico e ha contestato un
approccio puramente letterario dell’AT. Non si può ignorare una fase orale nella trasmissione di molto materiale; tuttavia è altrettanto incontestabile la conoscenza e l’esercizio della scrittura nell’Israele antico (cf. Es
17,14; 24,4; Nm 5,23; Gs 24,26; Gdc 8,14; ecc.), come l’esistenza di una
letteratura: il libro delle guerre del Signore (Nm 21,14), il libro del Giusto
(Gs 10,13; 2Sam 1,18), il libro delle gesta di Salomone (1Re 11,41), ecc.
D’altra parte, il ricco materiale letterario emerso dagli scavi archeologici nel
Vicino Oriente prova l’esistenza d’una fiorente cultura scritta già prima della
comparsa di Israele. Bisognerà tener presenti entrambi gli elementi per un
corretto studio delle origini della letteratura ebraica.
Terzo. Questi testi, trasmessi oralmente o per iscritto e saldamente ancorati
ad ambienti e situazioni della vita, diventano a un certo momento letteratura,
perdono cioè la loro relazione esclusiva e immediata con un determinato fatto
o circostanza ed entrano a far parte di complessi più ampi, come per esempio
i cicli narrativi patriarcali, la storia di Giuseppe o la storia della successione al
trono di Davide. Questo passaggio esige un lavoro letterario di compilazione,
elaborazione e interpretazione, e soprattutto un lavoro di rilettura teologica,
perché è alla luce della fede nel Dio di Abramo operante nella storia di Israele
che questi vecchi testi letterari, simili a quelli che circolano nel Vicino Oriente
antico, ricevono la loro qualificazione specifica e cessano di essere semplicemente il prodotto e la testimonianza della vita di un popolo, per diventare
invece la testimonianza d’una storia salvifica.
La vecchia radice dei testi non scompare, ma emerge ora in tutta la sua importanza la nuova portata teologica di questi testi. Anche se non conosciamo gli
autori di questo lavoro letterario e teologico, sappiamo però che sono scribi
credenti e profeti, che alla luce della fede sottolineano e illustrano l’irruzione
salvifica di Dio nella storia degli uomini. Sarà questa re-interpretazione teologica che permetterà alla religione di Israele di affrontare il mondo razionale
greco-romano, a differenza dei testi delle altre culture medio-orientali che,
pur esprimendo profonde aspirazioni umane, a poco a poco scompariranno
nell’oblio.
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Il Pentateuco come Torà
La formazione del Pentateuco4
Gli scritti dell’epoca pre-esilica
In generale non si nega nell’epoca pre-esilica l’esistenza di tradizioni scritte;
il problema sta nel determinarne il numero e l’estensione. Seguendo specialmente le suggestioni di R. Rendtorff e di E. Blum, i quali a loro volta riprendono l’ipotesi dei frammenti, si possono individuare sette temi attorno ai quali
in epoca monarchica iniziò a coagularsi la tradizione scritta:
1) Storia delle origini. È evidente che in Gn 1-11, accanto a una narrazione
sacerdotale, esiste un racconto non sacerdotale (Gn 2,5-11,9*). Non tutti però
ne ammettono l’appartenenza all’epoca pre-esilica!
2) Le narrazioni patriarcali. Il nucleo più antico pare quello della storia di
Giacobbe (Gn 25-35*), composto nel regno d’Israele all’epoca di Geroboamo
I. A sud, nel regno di Giuda, appare il ciclo di Abramo - Lot (Gn 13; 18-19*). I
due complessi si fondono e si arricchiscono nel regno di Giuda, dopo la caduta
di Samaria (722 a.C.) e prima dell’esilio babilonese (587 a.C.).
3) L’uscita dall’Egitto (Es 1-15*). Le tradizioni non sacerdotali, che s’intrecciano con quelle sacerdotali, si concentrano in particolare sull’infanzia
di Mosè, sulle piaghe e sul passaggio del mare dei Giunchi. Queste tradizioni
vengono conservate nel regno del nord, come conferma Os 2,17.
4) Gli avvenimenti al Sinai. Se la maggior parte del testo attuale appartiene
alla tradizione sacerdotale (cf. Es 19,1-2; 24,15 18; 25-31; 35-40; Lv; Nm
1-10), la tradizione più antica è rappresentata soprattutto dai due blocchi Es
19,3-24,11 e 32-34. Accanto ad essa compare pure il codice dell’alleanza (Es
20,22-23,19), il cui quadro storico-sociale si potrebbe collocare facilmente
nell’epoca dei profeti dell’VIII sec. a.C.
5) La marcia attraverso il deserto. La tradizione antica, confermata dai riferimenti profetici di Am 2,10; Os 2,16-17 e Ger 2,2-3, pare rappresentata
soprattutto dai seguenti testi: Es 15,22-25a; 17,1b.3-6.8.16; 18; Nm 10,29-32;
11,1-3; 13-14*; 16.
6) La storia di Balaam. È verosimile che questa tradizione biblica (Nm 22-24)
nei suoi elementi originari (Nm 22,4b 6.21.36-41, 23,1-25; 24,25) sia antica; si
ispirerebbe infatti a una tradizione extrabiblica proveniente dalla Transgiordania, come testimonia l’iscrizione aramaica di Deir ‘Allah dell’VIII sec. a.C.
7) Il Deuteronomio primitivo. È innegabile l’origine pre-esilica del Deuteronomio. Nella sua forma primitiva lo troviamo nell’attuale secondo discorso
di Mosè (Dt 6,4-28,44*) e corrisponde al documento di riforma cultuale e
giuridica attuata da Giosia nel VII sec. a.C. Costituirebbe uno degli scritti più
estesi e meglio datati del periodo pre-esilico.
La redazione deuteronomista
L’esilio costringe la comunità giudaica a una profonda revisione. In questo
4
Il prospetto seguente si ispira soprattutto a GARCÍA LÓPEZ, Il Pentateuco, 220-286.
9
Il Pentateuco come Torà
contesto il Deuteronomio primitivo subisce una forte rielaborazione con
l’aggiunta di capitoli iniziali e finali (Dt 1,1-6,3; 28,69-34,12), oltre che ad
aggiunte redazionali all’interno del libro stesso (cf., ad esempio, Dt 9,7-10,11).
Prescindendo dal problema se intervennero una o più redazioni, il nuovo scritto
appare ora come un discorso di Mosè nelle steppe di Moab e come l’introduzione a una storia più ampia, la cosiddetta storia deuteronomistica (Gs - 2Re).
La redazione sacerdotale
La tradizione sacerdotale si esprime anzitutto in uno scritto di base, strutturato
in Genesi dalle genealogie con le tipiche formule-tôledôt introduttive5 e in
Esodo-Numeri dalle «formule itinerario» (cf., ad esempio, Nm 20,1.22; 22,1).
In questa griglia il redattore sacerdotale colloca il proprio materiale narrativo6 e vi aggiunge buona parte del materiale pre-esilico sopra ricordato, con
l’esclusione del codice dell’alleanza e del Deuteronomio.
Raccogliendo e organizzando tutto questo materiale nuovo e tradizionale, il redattore sacerdotale vuole rispondere alle gravi inquietudini suscitate dalla prova dell’esilio, affermando soprattutto la presenza di Dio in mezzo al suo popolo.
Più tardi, dopo il ritorno dall’esilio e in risposta alle domande e alle esigenze
della nuova comunità giudaica, lo scritto sacerdotale si arricchisce di ulteriori
e importanti integrazioni, soprattutto nella sezione del Sinai, nei capitoli finali
dell’Esodo (Es 35-40), in buona parte del Levitico e nella prima parte del libro
dei Numeri (Nm 1,1-10,10). Si tratta soprattutto di integrazioni di tipo legale
e cultuale per una comunità che vive all’ombra del santuario.
Fusione delle tradizioni e redazione finale del Pentateuco
Al tempo della missione di Esdra (398 a.C. o 458 a.C.), in risposta al
bisogno di una legge che ridefinisca chiaramente l’identità della comunità
giudaica post-esilica e forse anche sotto la spinta dell’autorità persiana, nasce
l’attuale Pentateuco come risultato della fusione tra i due scritti principali
della tradizione biblica, quello sacerdotale e quello deuteronomista, a cui si
devono aggiungere il codice dell’alleanza e altri scritti minori.
Il redattore sceglie di far terminare la sua opera alle soglie della terra promessa; le aggiunte da lui apportate a Dt 34 (vv. 4.10-12) ce ne rivelano lo
spirito: il richiamo alla promessa patriarcale della terra (Dt 34,4) e l’esaltazione della figura eccezionale di Mosè (Dt 34,10-12).
Con ciò il Pentateuco viene staccato dai libri seguenti (Gs - 2Re), che costituiscono così soltanto una realizzazione parziale della promessa. Collocando
il codice dell’alleanza e il decalogo all’inizio della sezione del Sinai, questo
redattore del Pentateuco concentra tutta la legge al Sinai, cioè nel contesto
dell’alleanza, perché soltanto grazie alla sua osservanza la comunità giudaica
troverà la propria identità e accoglierà le nuove attuazioni della promessa.
Cf. Gn 5; 10; 11,10-26.27-32*; 25,7-11a.12-17.19-20; 36,1-8.
I testi principali sono: Gn 1,1-2,3; 6,9-9,17*; 17; 23; 27,46-28,9; 35,9-15*.22-29*; Es 6,2-8; 711*; 14*; 16*; 25-31*; 35-40*; Lv 9; Nm 13-14*; 20,1-13*.22-29*; 27,12-14.
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Il Pentateuco come Torà
Il Pentateuco conoscerà ancora nuove e minori acquisizioni, ma questa struttura di fondo articolata dalla promessa e dalla legge rimarrà ormai una acquisizione definitiva.
Il Pentateuco nella sua forma canonica
La molteplicità delle mani che hanno lavorato alla stesura del Pentateuco non
è l’ultima parola esprimibile riguardo al Pentateuco. Se l’analisi storico-critica è indispensabile, perché il libro biblico non nasce a opera di un solo autore
e in un arco di tempo limitato, essa è tuttavia insufficiente perché non riesce
pienamente a dare ragione della sua struttura attuale. Il redattore finale infatti
non si è limitato a fare una compilazione di testi antichi, ma ha raccolto le
precedenti tradizioni secondo un quadro teologico complesso, ma coerente.
Il disegno redazionale che sta alla base dell’attuale Pentateuco si articola su
tre chiari orizzonti.
Al centro si colloca anzitutto l’evento fondamentale di Israele, cioè l’evento
dell’esodo, costituito da tre assi fondamentali: l’uscita dall’Egitto, il cammino nel deserto e l’entrata nella terra promessa7. Questo orizzonte comprende
quattro libri: Esodo - Levitico - Numeri - Deuteronomio, strutturati secondo
un chiaro intento teologico, volto a interpretare l’evento dell’esodo come modello di una storia che abbraccia l’intero disegno salvifico divino8. Ecco una
possibile struttura d’insieme di questi libri9:
A
B
C
D
E
F
E’
D’
C’
B’
A’
prologo: il popolo in Egitto
uscita dall’Egitto
il cammino nel deserto
l’alleanza del Sinai
leggi sul santuario
peccato - castigo - perdono e nuova alleanza
costruzione del santuario
leggi
il cammino nel deserto
i primi approcci alla terra
epilogo: il Deuteronomio
(Es 1,1-7,6)
(Es 7,7-15,21)
(Es 15,22-18,27)
(Es 19-24)
(Es 25-31)
(Es 32-34)
(Es 35-40)
(Lv 1,1-Nm 10,10)
(Nm 10,11-12,16)
(Nm 13-26)
(Dt 1-34)
Vedi, ad es., L. ALONSO SCHÖKEL, Salvezza e liberazione: l’Esodo, EDB, Bologna 1997.
Il tema dell’esodo viene ampiamente ripreso dai profeti per l’annuncio di un nuovo intervento
salvifico di Dio (cf. Is 24-27; 34-35; 56-66; Bar 4,5-5.9; Gio 3-4; Mic 4-5). Tuttavia, anche dopo
questi testi l’esodo rimane una domanda non risolta definitivamente; il suo annuncio infatti proietta
i credenti verso un futuro salvifico che si deve ancora realizzare, verso cioè un nuovo esodo. Sarà
nell’esodo di Gesù (cf. Lc 9,31) che si compirà in modo definitivo l’annuncio del nuovo esodo. È
lui infatti la salvezza! E in lui si apre ai credenti la via dell’esodo escatologico, che conduce alla
Gerusalemme celeste e al regno di Dio (cf. Eb 3,7-4,11; Ap 21,25-27; 22,14). Cf. A. SPREAFICO,
Esodo: memoria e promessa. Interpretazioni profetiche, EDB, Bologna 1985.
9
Cf. G. Borgonovo - A. Bagni - S. De Carli, Il testo biblico: per un approccio scolastico, SEI,
Torino 1990, 39-40.
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Il Pentateuco come Torà
Precede questo complesso esodico la storia dei Padri (Gn 12-50), le tradizioni
cioè che fanno capo ad Abramo, Isacco e Giacobbe. Il redattore vuole affermare le radici di Israele collegando questi patriarchi con legami di tipo parentale,
sebbene il dato storico soggiacente sia molto più complesso. Tramite la memoria
delle promesse fatte da Dio a questi patriarchi la storia della liberazione dall’Egitto appare come l’adempimento di una promessa divina, il segno di un Dio
fedele, che non abbandona mai il suo popolo.
Infine il redattore del Pentateuco con Gn 1-11 amplia ancora una volta l’orizzonte a livello universale: è la cosiddetta storia delle origini, entro la quale si
colloca la storia particolare di Israele. Per evitare fraintendimenti si potrebbe
chiamare «eziologia metastorica». Essa non raccoglie più delle memorie storiche, anche se talvolta il punto di partenza è un dato storico come, ad esempio,
la potenza babilonese o le catastrofiche inondazioni mesopotamiche; infatti il
senso di questi primi undici capitoli di Genesi non sta tanto nel narrare quanto
è successo ai primordi dell’umanità, quanto piuttosto nell’utilizzare uno schema narrativo preso anche da memorie storiche, ma soprattutto dall’esperienza
dell’uomo di sempre, filtrato attraverso il linguaggio mitico comune della civiltà mediorientale e reso linguaggio simbolico universale. Si tratta di evidenziare il senso fondamentale di Dio e di conseguenza dell’uomo e del mondo.
Questi capitoli iniziali di Genesi creano così la premessa universale dentro la
quale si pone poi la storia dei padri, in particolare la liberazione dell’esodo
con la rivelazione di Dio come YHWH.
Questa struttura tripartita, che legge sostanzialmente il Pentateuco come una
lunga storia di Israele dall’origine del mondo al momento del suo ingresso in
una terra a lui promessa dal Dio nazionale, pur essendo vera, però non spiega
appieno la divisione canonica in cinque libri, a meno di intendere quest’ultima
come un dato puramente tecnico. È legittimo domandarci se questa divisione
non corrisponda a un disegno preciso del redattore ultimo del Pentateuco10.
Secondo la concezione semitica il Dio creatore regna sul mondo creato non
soltanto dalla sua residenza celeste, ma anche dal tempio terrestre; infatti i
racconti di creazione spesso terminano con la costruzione di un tempio, dove
il Dio viene a prendere dimora. Una simile concezione è alla base dell’attuale
struttura del Pentateuco; in effetti l’opera creatrice di YHWH descritta nella
prima pagina di Genesi sfocia nella costruzione della Tenda del convegno costruita da Mosè alla fine del libro dell’Esodo (Es 25-31; 35-40). In particolare
il libro dell’Esodo termina con la consacrazione della Tenda del convegno:
Allora la nube coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la
dimora. Mosè non poté entrare nella tenda del convegno, perché la nube dimorava su di essa e la gloria del Signore riempiva la dimora (Es 40,34-35).
Dunque YHWH, dopo aver creato l’universo ed essersi scelto un popolo (libro
della Genesi), lo libera dalla schiavitù egiziana, stringe con lui un’alleanza al
Sinai e viene a stabilire la sua dimora in mezzo al suo accampamento (libro dell’Esodo). È da questa dimora, e non più dal monte Sinai, che YHWH ormai parla
a Mosè e al popolo, inaugurando il culto e consegnando le regole, perché Israele
possa vivere come popolo santo alla sua presenza (libro del Levitico). YHWH
Vedi al riguardo l’articolo di J.L. Ska, «La structure du Pentateuque dans sa forme canonique»,
in Zeitschrift für die alttestamentliche Wissenschaft 113/3 (2001) 331-352.
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Il Pentateuco come Torà
poi organizza Israele come un esercito e lo guida attraverso il deserto fino alle
rive del Giordano (libro dei Numeri), dove il vecchio Mosè, ormai in procinto
di morire, commenta e interpreta al popolo la legge, quasi un suo testamento
spirituale prima dell’entrata nella terra promessa (libro del Deuteronomio).
I cinque libri del Pentateuco appaiono così legati fra loro da un disegno coerente, incentrato sulla fede in un Dio creatore, che si sceglie un popolo in
mezzo al quale viene ad abitare e al quale consegna una legge di santità.
La Torà di Mosè
Il Pentateuco è inconcepibile senza la personalità di Mosè come suo fondamento. Il problema non consiste nel rispondere alla domanda se abbia o no
Mosè scritto il Pentateuco; da questo punto di vista il problema è già da tempo
risolto, quanto piuttosto nel saper capire l’impronta fondamentale che Mosè
ha dato al Pentateuco.
La tradizione mosaica modifica profondamente la concezione regale davidica
rispetto al Medio Oriente contemporaneo, essendo la vita del popolo non più
centrata sulla persona del re, ma sulla presenza di YHWH, presente nel santuario di Sion, dove officia il sacerdozio di Zadok, discendente del sacerdozio
levitico. L’eredità e la tradizione mosaiche sviluppano sempre di più l’importanza del profeta e della Parola, specie in rapporto alle gravi deficienze della
monarchia.
Così Mosè nella sintesi del Pentateuco è il mediatore delle parole divine nel
decalogo, il mediatore della Torà nel Deuteronomio e il consacratore di Aronne nei testi sacerdotali dell’Esodo. È questa presenza costante e dinamica di
Mosè e del suo messaggio che ha determinato il carattere del Pentateuco. È a
questa forte presenza di Mosè, e non certo a un fatto tecnico di trascrizione,
che si deve l’espressione «Torà di Mosè»!
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