escursionismo per avvicinare tutti alla montagna

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escursionismo per
avvicinare tutti
alla montagna
Uomini e Sport - numero 14 | Marzo 2014| Pubblicazione gratuita
Accoglienti strutture agevolano
il cammino in ogni stagione
SOMMARIO
MARZO 2014 - Anno V - N°14
EVENTI
SPORT A TUTTO CAMPO
Il punto di vista
OGNI VOLTA “UN NOME”:
DA NON DIMENTICARE
I CONSIGLI DELL’ ESPERTO
ITINERARI
I CONSIGLI DELL’ ESPERTO
ACCADEVA NELL’ANNO…
Editoriale
| pag. 01
Brevi DF
| pag. 02
DF SPORT SPECIALIST Sky Test 2014
| pag. 04
Confronto tra generazioni
| pag. 05
Azzoni e Brioschi: rifugi di vetta
| pag. 06
LORENZO DELLADIO
| pag. 08
Addio a Marco Anghileri
| pag. 11
GIORGIO ANGHILERI
| pag. 12
Negozi DF SPORT SPECIALIST: Ecommerce
| pag. 15
Running: correre fa tendenza
| pag. 16
The Abbots Way: la storia e la corsa
| pag. 18
Regno di Fanes: trekking nel cuore delle Dolomiti
| pag. 20
Sentiero del Sempione: un trekking che è anche cultura
| pag. 22
Trekking: leggeri ma con tutto il necessario
| pag. 23
1953 - La ricognizione verso il K2
| pag. 24
Amici in corrispondenza
| pag. 28
Dove viaggia il logo df Sport Specialist
| pag.29
A proposito delle serate Uno sguardo in tema di cultura
“A Tu per Tu”
In copertina:
il confortevole bivacco Riva-Girani in
località Comolli sull’itinerario dal Pialeral
verso il rifugio Brioschi, in vetta al
Grignone (Foto: Gian Mario Besana)
| pag. 30
FONDATORE: SERGIO LONGONI
COMITATO DI REDAZIONE: RENATO FRIGERIO - MARCO MILANI
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE: PAOLO MICHELI
POSTA E RISPOSTA: Angolo dei lettori “Uomini e Sport”
[email protected]
DF SPORT SPECIALIST
Redazione “Uomini e Sport”
Via Figliodoni, 14 - 23891 Barzanò - LC
L
asciamo immaginare ai lettori di
“Uomini e Sport” quale grosso
rischio abbia corso questo editoriale,
se Sergio Longoni ne avesse potuto
prendere visione in anteprima, per cui
lo avrebbe certamente cestinato senza
misericordia. Bisogna allora riconoscere che in redazione
siamo stati davvero bravi, ed anche un po’ fortunati, a
tenergli tutto nascosto e a sostituirci per una volta a lui,
perché da tempo ci stava in animo che la sua persona
prendesse una certa visibilità anche qui, che è la “sua”
rivista. È vero che già lo scorso anno Daniela e Francesca
non avevano potuto trattenere i sentimenti e i ricordi che lo
riguardavano, e noi tutti non abbiamo ancora dimenticato
quelle lusinghiere parole. In quel caso però si trattava di
uno sfogo filiale in cui era stato giustamente coinvolto il
loro affetto e la loro stima. Adesso è la redazione che si
è presa invece l’iniziativa, e l’abbiamo fatto anche nella
certezza che questo azzardo ci procurerà come minimo
una tiratina d’orecchi, che comunque accetteremo senza
recriminare.
E già che siamo stati tanto bravi nell’evitare il preventivo
sequestro di questo scritto, abbiamo pure escogitato delle
valide giustificazioni che ci permetteranno di scaricare su
altri le colpe che lui ci vorrà addossare.
Ci sarà infatti ben poco di nostro in quello che stiamo
proponendo alla considerazione di chi ci legge, e in
questo siamo stati favoriti dal fatto che Sergio Longoni è
un personaggio troppo alla ribalta per poter sfuggire agli
assalti della stampa, che specialmente in questo ultimo
periodo sembra aver ingaggiato una gara per accaparrarsi
la sua accattivante presenza. Di lui ha scritto ampiamente
“Sciare”, il magazine del grande sci e del turismo invernale,
nel suo numero 654 del novembre 2012. Lo rincorreva
nel settembre 2013 un capitoletto del volume di Giulio
Beggio e Ruggero Meles, “S’al custa?...” Ci limiteremo a
stralciare pochi spunti da ognuna di queste pubblicazioni,
ma anche con così poco avremo un quadro significativo
del nostro Sergio e del pubblico apprezzamento che lo
circonda, più che sufficiente per molestare la sua modestia.
Su “Sciare” è l’articolo di Franco Gionco, “Il Sergio,
70 volte grande”, che approfitta dell’occasione del
suo settantesimo genetliaco per tesserne gli elogi che
farebbero gola a tutti quanti. Lui sarà già arrossito nel
leggere anche solo le parole di introduzione, che sono
queste: “Tra tutti i più importanti imprenditori dello sport
e del tempo libero, la figura di Longoni, neo settantenne,
splende per passione, competenza e popolarità: e lui,
come capita a pochi intimi, è noto col semplice nome di
“il Sergio”. Tutto meritato, s’intende, ma poi prosegue:
“Come dal nome della sua catena di super store dello
sport, “Sport Specialist”, anche il Sergio è un vero
specialista, ed è sempre in prima persona che segue con la
massima attenzione l’evoluzione di tecniche e materiali,
soprattutto quando riguardano la sua passione più grande:
la montagna!” Nel suo articolo Franco Gionco descrive a
puntino la formazione e la crescita di Longoni nella sua
veste di imprenditore straordinario: una storia comunque
che è sotto gli occhi di tutti, anche se varrebbe la pena di conoscerla
per intero. Ci piace infine rilevare il commento che ne fa nel presentare
una fotografia che ritrae Longoni impegnato su un’atletica via ferrata,
scrivendo di lui “che sorprende per agilità ed energia da vendere, fisico
perfetto ed attrezzatura al top!”
Ci sembra che possiamo fermarci qui.
“S’al custa?...” è il libro che si sofferma invece su un più ampio squarcio
biografico, che risulterebbe interessante e bello da proporre qui, se non
si opponessero motivi di spazio. La storia che ne esce mette nettamente
in risalto il suo carattere volitivo, la sua intraprendenza, il suo coraggio
e la sua bontà d’animo: ed è questo che conta. L’incontro dell’autore
con Sergio ha avuto luogo al Grignone presso la baita dei Comolli,
ed è qui che gli viene rivolta quest’ultima domanda: “cosa vorresti per
essere pienamente felice?” Sorride, e subito risponde di essere già felice,
e poi aggiunge: “certo, sarei contento di fare utili con la mia azienda,
mi piacerebbe dividere una
quota importante di questi con
i miei dipendenti, garantendo
loro il futuro di un lavoro stabile
e remunerativo”. Poi Sergio ci
pensa un po’, guarda fuori dalla
finestra della baita e aggiunge:
“non mi dispiacerebbe nemmeno
avere più tempo per i miei nipotini e
portarli quassù, condividere con loro
queste meraviglie, specialmente in
inverno quando c’è tanta neve, uscire
dalla baita, guardare il cielo stellato, la
grande luna sopra alla vetta e veleggiare
insieme a loro nel futuro”.
Potremmo concludere così, dopo che,
chi non lo conosce fino in fondo, avrà
scoperto un Sergio Longoni un po’ diverso,
con tratti più umani di quanto pensasse,
altruista, generoso, affettuoso ed anche un
po’ romantico: perché no?
Vorremmo però aggiungere ancora una cosa, di nostro, che conferma e va
oltre l’impressione che ci è finora derivata.
È stata la recente occasione del cinquantesimo anniversario della tragedia
del Vajont che ci ha rivelato ancora di più quanto sia profondo in lui
il senso umanitario e la sensibilità nel recepire il dolore del prossimo.
Che questa straordinaria passione possa essere collegata a quella tragedia
glielo abbiamo letto nel luccichio dei suoi occhi, quando ci ha parlato
del suo intervento a soccorso della povera gente travolta dalle acque
impetuose di quella diga franata. In quel periodo, 1963, Sergio svolgeva
a Bressanone il servizio militare di leva nel corpo autisti. Fu tra i primi
pertanto ad accorrere e ad essere colpito da indicibili scene strazianti.
La vista di tanti cadaveri e quella lacerante di otto corpicini distrutti
non l’ha più lasciato. Risale a quel tempo e si ripete ogni volta con i
numerosi drammi dei nostri giorni il dolore e la rabbia impotente che
esprimono una sensibilità e una partecipazione che ci colpiscono, ma
non ci sorprendono, perché ormai abbiamo ben conosciuto anche la sua
grande bontà.
BREVI DF...
82^ CINQUE MULINI
AL KENIANO PAUL TANUI
ACCOMPAGNANDO LA SPEDIZIONE
DIRETTA AL TALUNG NORD
Grande spettacolo, come ormai da tradizione, a San Vittore
Olona per l’ 82^ edizione della Cinque Mulini.
Sui dieci chilometri di una corsa campestre difficile e
impegnativa, fatta di continui cambi di ritmo e di passaggi
angusti e tortuosi. Tra i prati fangosi della regina del cross,
si è laureato campione il keniano Paul Tanui, che ha saputo
sconfiggere i connazionali Alex Kibet e Thomas Lokomwa.
Il titolo di campione dei Mulini ritorna così in Kenya che,
nella speciale classifica delle nazioni plurivittoriose, raggiunge
l’Etiopia con 13 successi. Michele Fontana, grazie al suo ottavo
posto, è il primo degli italiani al traguardo.
Daniele Bernasconi di Dervio (LC), Gianpaolo Corona di
Mezzano (TN), Mario Panzeri di Mandello del Lario (LC):
df Sport Specialist porge il suo augurio sentito e il suo
sostegno contributivo agli alpinisti, tutti e tre Guide Alpine,
che più volte hanno già sperimentato la durezza delle
montagne himalayane, per la nuova avventura che stanno
per affrontare in direzione della cima del Talung (7.349 m),
lungo il suo Pilastro Nordovest. La vetta, situata nel gruppo
del Kangchenjunga, e conquistata nel 1964 è stata raggiunta
da allora tre volte soltanto, mentre il Pilastro Nordovest non è
mai stato salito.
Daniele Bernasconi
Via G.Matteotti 28/a
23824 Dervio (LC)
Laurea in Geologia
Guida Alpina
cell. 346 3041560
[email protected]
Gianpaolo Corona
Via Roma 90/a
38050 Mezzano (TN)
Guida Alpina
SPECIAL
OLYMPICS
LOMBARDIA 2014
Istruttore
S.A.G.F.
Special Olympics
è un6783166
programma internazionale di allenamento
Cell. 366
sportivo e competizioni atletiche che coinvolge quattro milioni
[email protected]
di persone, ragazzi e adulti, con disabilità intellettiva. Nel mondo
sono oltre centosettanta i Paesi che adottano il programma. Il
giuramento dell'Atleta Special Olympics è: “Che io possa vincere,
ma se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze”. La
MarioperPanzeri
manifestazione,
quanto riguarda la regione Lombardia, è stata
ospitata Contrada
all’Aprica dal 26
al 1°4/a
marzo.
deifebbraio
Ronchi
83826 Mandello del Lario(LC)
Guida Alpina
cell. 335 5930887
[email protected]
SCIALPINISMO AL PIZZO TRE SIGNORI
184 erano i partecipanti che il 9 febbraio hanno preso il via
sulle nevi lecchesi dell’Alpe Paglio per la 35ª edizione della
“Pizzo dei Tre Signori”, gara valida come 4^ tappa di Coppa
Italia “Trofeo Scarpa”. La fitta nevicata dell’alba ha lasciato il
posto ad un cielo terso sul percorso che prevedeva 1700 m di
dislivello perPILASTRO
gli atleti del settore
assoluto maschile e 1400 m
NORD-OVEST
circa per la gara in rosa. Il podio è stato conquistato da Michele
Boscacci e Laura Besseghini nelle rispettive categorie.
Talung Nord
02 | Uomini&Sport | Marzo 2014
Nepal - 2014
TROFEO
LANFRITTO - MAGGIONI
TESTIMONIAL
Nella giornata di domenica 2 marzo la
città di Erba ha ospitato la terza prova del
trofeo “Lanfritto Maggioni”, trofeo biennale
consecutivo, dedicato alla memoria di
Lanfritto Attilio e Maggioni Giorgio.
Ricordiamo che i due giovani atleti della Soc.
Pol. Lib. Cernuschese erano stati investiti
mortalmente da un’automobile mentre si
allenavano sulle strade di casa.
La prima edizione si è svolta nell’anno
agonistico 1974/75 grazie all’impegno ed
alla volontà della Società e del C.O.N.I.
di Como. Le gare che comprendono le
categorie da esordienti fino ad allievi sono
state appassionanti e spesso combattute fino
all’ultimo metro.
Un insieme della squadra nazionale di Sci di Fondo. Al centro Paolo Riva, allenatore e testimonial DF Sport Specialist.
AGGIORNAMENTI DAL RUNNING
TEAM DF SPORT SPECIALIST
Sempre impegnatissimi i componenti del Running Team
DF Sport Specialist.
Elena Fustella (a destra) si è posizionata al primo posto nella
classifica generale per la categoria SF50 del “Cross per Tutti“
conclusosi a marzo ed ha inoltre conquistato il titolo italiano
master nei 1500 indoor ad Ancona.
Ottime prestazioni anche per Daniela Gilardi (a lato) con
le due belle vittorie nella categoria master delle importanti
campestri di Paderno Dugnano e della Cinque Mulini.
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 03
EVENTI
DF SPORT SPECIALIST
SKI TEST
2014
Il doppio appuntamento sulla neve per testare gli sci delle migliori marche
si conferma anche quest’anno un evento di grande richiamo
L
’inverno ormai è alle spalle e insieme
a lui anche la stagione sportiva sulle
nevi delle nostre montagne sta finendo.
Gli appuntamenti per impegnarsi in
esaltanti discese non sono certo mancati
e, per quanto riguarda lo sci, df Sport Specialist ha
organizzato due eventi che hanno come sempre
riscosso un notevole apprezzamento ed un consistente
riscontro di partecipazioni.
Stiamo parlando dei due ski test organizzati
rispettivamente a Bormio il 15 e 16 febbraio e all’Aprica
l’1 ed il 2 marzo.
Questo doppio evento segna ormai un momento
cardine della stagione per un numero di appassionati
che di anno in anno continua ad aumentare.
I numeri della manifestazione parlano da soli e basta
un semplice dato per evidenziarne la grandiosità:
nel totale delle quattro giornate sono state effettuate
più di 2270 prove di prodotti con cui i partecipanti,
ovviamente supportati dai preziosi consigli dei
componenti del Team df Sport Specialist, hanno
potuto testare le attrezzature più innovative sul
mercato, messe a disposizione dalle principali aziende
del settore sempre presenti durante la manifestazione.
Entrambi gli eventi malgrado le condizioni
metereologiche non sempre ideali, si sono svolti
senza nessun intoppo, grazie al puntuale lavoro di
programmazione che parte sempre già nei mesi
precedenti all’interno di tutti i punti vendita df Sport
Specialist.
Per tutti gli amanti dello sci allora l’appuntamento con
gli Ski Test si rinnova al 2015, mentre per essere sempre
aggiornati sui numerosi eventi sportivi organizzati
dalla df Sport Specialist basta consultare il sito
www.df-sportspecialist.it.
04 | Uomini&Sport | Marzo 2014
SPORT A TUTTO CAMPO
DIAMO VOCE AI PROTAGONISTI DELLO SPORT A 360 GRADI:
ALLA LUCE DI UN CONFRONTO TRA GENERAZIONI
S
di Renato Frigerio
upponiamo che non sia sfuggito
ai lettori di “Uomini e Sport” un
pur velato cenno toccato da Sergio
Longoni nel suo ultimo editoriale,
quando annunciava l’ingresso di una nuova
rubrica che prenderà piede fisso già a partire dal
prossimo numero. Ne conosciamo pertanto ormai
la sua funzione, almeno per quello che si poteva
intuire da quelle poche parole, che ovviamente
non potevano sostituire e quindi esimerci da
questa indispensabile presentazione. Prendere
in considerazione lo sport nelle sue molteplici
sfaccettature è quanto di più consono si possa
pretendere da una rivista che si fregia proprio
della denominazione “Uomini e Sport”. D’ora
in poi questa nuova rubrica si inserirà quindi tra
gli altri temi come elemento immancabile, come
nostra caratteristica imprescindibile, dove però lo
Sport non potrà mai essere disgiunto dall’altro
termine del binomio, cioè l’Uomo: perché lo sport
è fatto dall’uomo e per l’uomo.
Non ci passa nemmeno lontanamente dalla testa
che l’impostazione con cui iniziamo ora, cioè
il confronto tra differenti generazioni, possa
proseguire senza limiti di tempo: non è questo
che conta, perché non sarà difficile individuare
altri accostamenti alle tematiche dello sport,
sempre ricchi di interesse e di originalità, che ne
prendano il posto, perché l’immagine sportiva
continui a costituire l’asse centrale del nostro
tabloid.
Ma, senza preoccuparci tanto del tempo
che ci troverà impegnati sull’argomento che
stiamo presentando, analizziamo brevemente
lo svolgimento che ne abbiamo previsto. La
rubrica si articolerà soprattutto nella modalità
dell’intervista, con delle specifiche domande che
saranno rivolte rispettivamente a due atleti che
hanno ormai chiuso la loro carriera, risalendo il
più lontano possibile, e a due protagonisti che
sono ancora in attività. È nostra intenzione non
trascurare nessun genere di sport, sempre che
motivi di concomitanza ne consentano il previsto
confronto generazionale. Saranno preferibilmente
interpellati atleti che per nascita o residenza
abbiano attinenza al nostro territorio, e questo
non per un marcato spirito campanilistico, ma
per un doveroso riconoscimento a chi ci è più
vicino e per il maggior interesse che deriva dalla
loro conoscenza. Quando poi sarà indispensabile
rivolgerci oltre i nostri confini territoriali,
cercheremo di offrire ai lettori di “Uomini e
Sport” l’incontro con atleti e campioni che sono
stati o sono attualmente i protagonisti che li
incantano e li fanno sognare: sarà bello sentirli
parlare proprio rivolgendosi a noi!
Ma non è tutto qui: questa rubrica ci offrirà
pure l’opportunità di tracciare un breve profilo
personale e il curriculum dei personaggi che
vengono ogni volta interpellati: ma anche questo
svolto con un tocco di originalità, in quanto
ripreso dalla viva voce degli atleti che si prestano
gentilmente all’intervista.
Approfitteremo inoltre di questa nuova
angolatura della nostra rivista per esporre le
nozioni essenziali sulle quali si reggono le singole
discipline sportive, sia dal punto di vista tecnico
che storico. Questo si presenterà evidentemente
come una dovuta premessa per introdurre ad
ogni puntata l’intervista con i quattro atleti di
turno nella loro specifica attività sportiva, e verrà
impostato tenendolo presente come scopo di
offrire degli elementi obiettivi che consentano
di valutare l’evoluzione dei risultati, il loro valore
particolare e i loro limiti invalicabili.
Rimanendo in attesa di scoprire quale effetto
potrà produrre sui lettori di “Uomini e Sport”
questa nuova iniziativa redazionale, non abbiamo
nessuna riserva, ed anzi il nostro è come sempre
un invitante sollecito, se chi ci legge intenderà
indirizzarci suggerimenti migliorativi, commenti
benevoli, ma anche critiche… costruttive.
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 05
I Rifugi Azzoni e Brioschi:
due sentinelle che guardano dal Resegone e dal Grignone
Maurizio Valsecchi e Alex Torricini
sono i due “capanatt” che le personificano
Da una parte il Resegone, dall'altra la Grigna Settentrionale o, per tutti, Grignone.
A 1860 m di altezza il rifugio Azzoni, un po' più in alto, a 2410 m, il rifugio Brioschi.
Sono i due rifugi di vetta della provincia di Lecco e, nelle belle giornate, l'uno guarda
all'altro come due sentinelle che vegliano su lago e valli. Sono molti gli itinerari che
permettono di raggiungere i due rifugi, di diverse difficoltà; ma entrambi danno il meglio
di sé in inverno quando la neve attutisce i suoni e il tempo sembra trascorrere più lento.
Maurizio Valsecchi, con la sua famiglia è il gestore del rifugio Azzoni da 15 anni;
Alex Torricini, invece, da quattro anni gestisce il rifugio Brioschi.
Due uomini che condividono lo stesso mestiere, ma soprattutto la stessa passione.
Con loro abbiamo cercato di capire cosa vuol dire fare il "capanatt".
Rifugio Azzoni
a colloquio con
Resegone | h 1860m
Maurizio Valsecchi
Da quanto tempo fai il rifugista all'Azzoni?
"E' da 45 anni che frequento la montagna, abito a
Lecco (Castello), sono Guida Alpina e membro del
Soccorso Alpino – spiega Maurizio Valsecchi. Sono di
una generazione che in montagna cerca di coltivare più
le relazioni e magari pensa meno alla prestazione - lo
dico senza polemica - e gestire un rifugio mi consente di
entrare in contatto con molte persone. Quando vado in
montagna io stesso sono solito andare nei rifugi".
Come hai deciso di intraprendere questa professione?
"Con l'andar degli anni la mia famiglia è cresciuta
(Maurizio ha quattro figli, ndr) e fare il rifugista è stato
il modo più semplice per rimanere in montagna, vicino
a casa, con la mia famiglia, ma senza schiacciare il piede
sull'acceleratore".
Cos'ha di speciale il rifugio Azzoni?
"E' un luogo a cui sono particolarmente legato poichè il
rifugio 20 anni prima era gestito dallo zio di mia moglie.
Personalmente preferisco il Resegone alla Grigna poichè è
una montagna di confine: una volta faceva da spartiacque
tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano,
mentre oggi rappresenta l'incontro tra la cultura lecchese,
la Brianza e le Valli Bergamasche. Inoltre del Resegone
apprezzo molto la biodiversità, coesistono infatti molte
specie di animali e piante. E poi apprezzo la varietà di
sentieri, ferrate e vie di arrampicata di tutte le difficoltà
che custodisce".
06 | Uomini&Sport | Marzo 2014
E' una montagna adatta a tutti?
"Il Resegone è una montagna molto particolare, presenta
itinerari di salita adatti a tutte le difficoltà. Inoltre è una
montagna molto appetibile anche in inverno, con vie di
salita facili, come da Morterone, o itinerari di tutto
rispetto come possono essere i canaloni Comera e
Bobbio. Sempre in inverno, inoltre, si possono
trovare itinerari adatti sia allo scialpinismo, come
alle ciaspole: insomma è una montagna che
offre per tutti interessanti possibilità".
Nella pagina precedente: il rifugio Azzoni, di proprietà della SEL, nella
splendida conca da cui si domina il territorio di Lecco.
In questa pagina: il rifugio Brioschi, di proprietà del CAI di Milano,
accogliente riferimento per chi si muove sulla Grigna settentrionale in
ogni stagione.
Al Brioschi, in fondo, grazie alla sua fama arriva gente di
tutti i tipi...
Rifugio Brioschi
a colloquio con
Grigna Settentrionale | h 2410m
Alex Torricini
Come ti sei avvicinato a questa particolare professione?
"Quando frequentavo l'università mi piaceva lavorare nei
rifugi, ma in generale ho sempre coltivato la passione per la
montagna. Ho sempre pensato che il rifugio debba essere un
posto tranquillo dove si arriva per prepararsi alla salita di una
vetta, ma in questo caso è molto diverso perchè il Brioschi
rappresenta la meta finale".
Cosa vuol dire fare il rifugista?
"Devo ammettere che il rifugio Giovanni Riva al Piatté è stata
una bella scuola. Il primo compito del rifugista è rendere agibile
il rifugio e tenerlo aperto. Un compito che non è per nulla
scontato visto che, come è accaduto questo inverno, a causa
delle abbondanti nevicate è stato difficile anche raggiungere il
Brioschi. Prima pensavo che il rifugista dovesse fare di tutto
per accontentare il Cliente, pensavo dovesse essere sempre
paziente e accondiscendente. Quando gestisci un posto tanto
frequentato come il Brioschi mi sono accorto che lo sforzo
deve essere bilaterale, poichè con una maggior affluenza
diventa più difficile relazionarsi".
"E' proprio questo il punto: fare ospitalità non vuol dire
solamente tenere aperto il rifugio, ma a volte è necessario
anche far rispettare delle regole. Un altro aspetto importante
di questa professione è rendersi conto che si è responsabili nei
confronti di tutti gli altri. E' fondamentale saper valutare le
condizioni della salità e per questo mi avvalgo del supporto
delle Guide Alpine. Quest'inverno abbiamo deciso di tener
chiuso il rifugio per tre week-end visto che non c'erano le
condizioni per salire in sicurezza anche se la mia necessità era
quella di lavorare".
La figura del rifugista è fatta di tanti piccoli risvolti...
"Il rifugista è cuoco, idraulico, elettricista; ma è anche una
guida, una persona che deve essere in grado di consigliare e
in qualche modo deve contribuire a sviluppare la cultura della
montagna".
Cosa c'è di speciale al Brioschi?
"Il Brioschi è un rifugio di vetta ma su una montagna
circondata dalle Alpi e dal lago. Per questo si creano delle
condizioni meteo del tutto particolari. Credo che in inverno
questa montagna sia al suo massimo splendore con cornici
“himalayane” che si stagliano sul lago. E poi è bellissimo vedere
la civiltà dall'alto".
interviste di Marco Milani
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 07
Il punto di vista
intervista di Marco Milani
LA SPORTIVA: l’azienda che ha cambiato
la storia dell’arrampicata
Faccia a faccia con LORENZO DELLADIO: “Siamo condannati ad innovare...
ma è fondamentale proporre sempre qualcosa di nuovo”
Il nostro viaggio nel mondo dell'imprenditoria
per articoli di montagna questa volta ci ha
portato fino in Trentino, più precisamente in
Val di Fiemme, a Ziano. Abbiamo visto come
nascono, scarpette d'arrampicata, scarponi da
montagna e da scialpinismo, grazie a una guida
d'eccezione: Lorenzo Delladio, amministratore
delegato e anima dell'azienda La Sportiva.
Nato nel 1955, ha dato l'impulso per portare
ai vertici del settore questa azienda che resta
ancora a conduzione familiare. “Pratico tutti gli
sport, amo utilizzare e collaudare tutti i nostri
prodotti. Il mio hobby è il rally: la passione per
le automobili me la porto dentro sin da giovane
e correre è un ottimo modo per scaricarmi”.
Vicepresidente di Confindustria Trento, padre di
due figli (Francesco, 22 anni e Giulia,
28 anni), Lorenzo Delladio è senza dubbio un
personaggio pieno di sorprese, capace di leggere
il presente per affrontare al meglio il futuro.
Come nasce La Sportiva?
Parliamo di una tipica azienda familiare nata nel 1928 con
mio nonno Narciso, a quel tempo si riparavano i tacchi delle
signore e le mezze suole degli uomini. La nascita dell'azienda
è attestata da una pergamena che riporta la data della prima
partecipazione di mio nonno alla Fiera Campionaria di
Milano, è il documento più vecchio che abbiamo. Già allora,
mio nonno dimostrò una grande imprenditorialità nel portare
avanti questo mestiere in una valle alpina. Negli anni 50 toccò
a mio padre, Francesco, prendere in mano le redini dell'azienda
che si stava pian piano espandendo, dal centro di Tesero si
spostò in periferia dove c'era più spazio. Mio padre dovette
combattere contro l'Amministrazione Comunale dell'epoca
perchè non era in grado di garantire i servizi necessari e
dovette fare tutto da solo autofinanziandosi. Mio padre
ebbe un grande coraggio, fu uno dei primissimi del settore a
partecipare al MIAS di Milano. Allora si facevano scarpe in
cuoio per l'estate e per l'inverno. Negli anni 70 entrammo noi
figli, ora siamo rimasti io, mio fratello Marco e mio papà, ha
87 anni, è presidente del Consiglio di Amministrazione ed è
una figura molto importante in azienda.
08 | Uomini&Sport | Marzo 2014
Quale è la forza di La Sportiva?
Guardando in prospettiva, fu fondamentale cominciare ad
esportare. Ogni fiera era la nostra fiera: si partiva col FIAT
238 per mettere il nostro stand a Monaco, a Colonia oppure
a Grenoble. Erano anni eroici, siamo stati capaci di seminare
bene anche all'estero e oggi stiamo raccogliendo i frutti.
Quale fu la svolta fondamentale?
Bisogna tornare alla fine degli anni 70 quando ero
nella Scuola Alpina della Polizia a Moena. Fu Gino
Comelli, un istruttore, che mi forzò a creare la prima
scarpetta da free climb per come la conosciamo oggi.
Prima si usavano gli scarponi e lui intuì che serviva
qualcosa di meno rigido, tanto che arrampicava con
le Superga. Il nostro merito fu quello di credere nei
consigli che arrivavano dall'esterno, successe tutto
quasi per scherzo poi fu una vera e propria rivoluzione
nel mondo alpinistico. Grazie alle nostre scarpette
si poteva arrampicare in modo molto più divertente
e dinamico e questo permise a molta più gente di
avvicinarsi alla disciplina. Nei primi anni 80 creammo
la collezione di scarpette per cui siamo diventati
famosi in tutto il mondo. Anche oggi siamo leader nel
settore per la produzione di scarpette: sia come brand,
sia come quantità poiché siamo presenti in 74 paesi.
Oggi l'82% della nostra produzione va sull'export ed è
quello che ci permette di essere vivi e vegeti.
Da allora è stata una crescita continua?
Con l'evolversi dello sport abbiamo creato tanti altri
prodotti. Un altro passo importante fu la decisione
di investire nel mountain running, un marchio che
è stato inventato e depositato da “La Sportiva”. Per
correre in montagna non esisteva praticamente niente
e abbiamo deciso di investire in quella che si sarebbe
rivelata una fetta di mercato molto importante.
Abbiamo preso una scarpa da montagna e l'abbiamo
alleggerita per muoversi velocemente e in modo
sicuro. Per la produzione ci siamo agganciati a una
azienda cinese che ha portato avanti la nostra idea.
Non abbiamo “esportato” la tecnologia - questo è
fondamentale per come la vedo io – tutto quello
che viene prodotto fuori è pensato e prototipato in
Italia. Prendiamo tutto ciò che è il know how loro
e finchè è possibile non portiamo fuori le nostre
conoscenze. Questa operazione mi ha consentito
di far crescere e far star meglio anche l'azienda di
Ziano di Fiemme: sono sinergie e scale di spesa che si
possono condividere e fanno star bene anche l'azienda
italiana. Uno vede le scarpe e storce il naso quando
legge “Made in China”, ma è ciò che mi permette di
tenere in piedi una struttura con 234 persone a Ziano
e 92 a Montebelluna.
Come nasce l'idea vincente?
Spesso gli input arrivano dall'esterno. Gli utilizzatori,
i professionisti della montagna mi dicono quale
è il problema e io devo risolverlo. Per questo è
fondamentale il reparto di ricerca e sviluppo, io lo
chiamo il “pensatoio”: sette ragazzi tutti giovani che
arrivano da diverse esperienze, tutti utilizzatori del
prodotto; un aspetto essenziale perché devono essere
consci di quello che stanno facendo. Pensando il
prodotto, lo studiano, lo prototipano e alla sera loro
stessi devono andare a provarlo perchè per primi devono essere convinti
di quello che fanno. Ciò che sorprende è che loro riescono sempre a
stupirmi, sono capaci di mettere sul tavolo qualcosa che non abbiamo
richiesto commercialmente e nemmeno l'atleta ha pensato. Sono capaci
di anticipare le esigenze del mercato e ogni volta riusciamo a stupire
il Cliente. Mi è capitato di dire al responsabile della ricerca di tenere
alcune idee nel cassetto perchè ne arrivano talmente tante che anche
il negoziante non sa più cosa scegliere. Non ho paura a dire che siamo
talmente avanti su certe cose che la concorrenza arriva sempre dopo.
É fondamentale essere propositivi, lungimiranti... il Cliente deve
guardare uno scaffale con cento paia di scarpe e la prima che deve vedere
è La Sportiva. Se questo succede ho già fatto il 50% della vendita.
In alto: laboratorio e, nella pagina seguente, la facciata esterna dell’azienda: due
immagini che rivelano il continuo adeguamento tecnologico e promozionale di chi
vuol reggere sul mercato. (foto Archivio: La Sportiva)
Sopra: Sergio Longoni si riconosce a fianco di Lorenzo Delladio. È qui per collaudare
come sempre quello che propone nei suoi punti vendita.
(foto Archivio: La Sportiva)
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 09
L'ambiente conta nella nascita delle idee giuste?
Sicuramene i ragazzi sono influenzati da quello che c'è intorno.
Son persone nate qui, molto vicine allo sport. Io non pongo
paletti lascio molta libertà, è chiaro che devono fare quello che
chiede il commerciale oppure se c'è una esigenza dell'atleta
devono soddisfarla. Arrivare a risolvere il problema è un
obbligo, ma loro sono anche capaci di anticipare le esigenze
del mercato. E' ciò che è successo con la scarpetta no-edge:
l'atleta non mi dice che c'è bisogno di quello, l'idea è nata dai
miei ragazzi. Sono persone che escono ad arrampicare, correre
o sciare per testare ciò che hanno creato durante il lavoro.
La mattina dopo sistemano il prototipo e così arrivano al
risultato finale.
La Sportiva è anche sinonimo di scialpinismo.
A un certo punto abbiamo deciso di entrare nel mondo
invernale e abbiamo pensato allo scialpinismo. Siamo entrati
per ultimi ma abbiamo voluto farlo dalla porta principale
creando un prodotto in carbonio e titanio: uno scarpone
talmente innovativo che ha trascinato tutto il campionario.
I concorrenti ci stanno arrivando solo adesso.
Quanto conta la comunicazione nella strategia aziendale?
Abbiamo un ufficio con sette persone che fanno comunicazione
e qui entra in ballo la quarta generazione perché ci lavora mia
figlia. Dopo aver fatto il suo percorso di studi, le sue esperienze
all'estero, è tornata in azienda perché c'era bisogno di lei.
Giulia ha 28 anni e coordina il gruppo del marketing. Io ho
il merito di credere molto in questo gruppo che sta portando
avanti i nuovi sistemi di comunicazione. Il lavoro che fanno è
anche quello di rendere il nostro marchio un po' più giovane.
Qualsiasi manifestazione la seguiamo in diretta sul sito e sui
social. Lo stesso vale per il prodotto, rispondiamo al Cliente in
linea diretta perché questo è già il futuro. Diamo grandissima
importanza alla comunicazione e spendiamo grandi risorse. In
base ad alcuni studi fatti da riviste di settore sull'utilizzo dei
social noi siamo tra i primi posti. Poi cerchiamo di essere
presenti alle manifestazioni sportive: è il modo migliore per
essere più vicini al Cliente finale, così riusciamo a fare conoscere
ancora di più il nostro prodotto. Da tre anni, infine, abbiamo
deciso di entrare anche nel campo dell'abbigliamento, ci
stiamo accorgendo che è un settore dove il nostro marchio ha
molta visibilità. E' un settore che stiamo guardando in maniera
rilevante, abbiamo deciso di investire in maniera consistente
perché la visibilità in questo campo è molto importante.
Come cercate di affrontare la crisi che sta investendo l'Italia?
Io sono vicepresidente di Confindustria a Trento e ho
una visione abbastanza ampia in tutti i settori. Da questo
osservatorio privilegiato vedo tutto ciò che succede in
Trentino e questa penso sia l'ultima regione d'Italia ad essere
stata attaccata dalla crisi. Penso che più che una crisi questa sia
una fase di cambiamento perchè non torneremo mai a quella
che era la vita o l'economia di 4 o 5 anni fa, quindi dovremo
adattarci. Penso anche che questa crisi non sia assolutamente
finita e rimarranno a galla solo quelli che investono e ci
credono e soprattutto quelli che esportano. Se ci dedicassimo
solo all'Italia non avremmo futuro. Per uscire da questa
10 | Uomini&Sport | Marzo 2014
situazione dobbiamo reagire con investimenti e sacrifici anche
se, guardando i bilanci, non lo faccio con tranquillità. Bisogna
investire a livello produttivo, di personale e di ricerca. Credo
che spariranno alcune aziende e rimarranno solo quelle capaci
di reagire a questo momento, ma significa che ci sarà anche più
spazio per qualcuno. Forzare in questo momento di crisi vuol
dire prepararsi il mercato del futuro. Chiaramente non è facile.
C'è ancora tanto da scoprire?
Me lo chiedo anch'io, ma è proprio quello che mi fa ancora
stupire di fronte ai ragazzi. A volte mi chiedo come fanno
ancora a inventare nuove soluzioni da una scarpa di trenta
centimetri. Però spesso, proprio davanti alla macchinetta del
caffè, escono idee anche assurde o irrealizzabili, ma questo è
proprio lo spirito che ci fa andare avanti. Non bisogna porsi
limiti. Siamo condannati a innovare... in tutti i settori:
è fondamentale proporre sempre qualcosa di nuovo.
Il sogno nel cassetto di Lorenzo Delladio?
Io ho sempre messo l’azienda davanti alla famiglia e se sono
arrivato fino a qui è perché questa l’ho in parte sacrificata. Non
mi chiedo se è stato giusto o sbagliato, anche se il mio sogno
nel cassetto è che i miei figli riescano a farsi una famiglia e
nello stesso tempo possano portare avanti l’azienda. Ai miei
tempi diversamente era tutto in subbuglio, io ero da solo, e
allora non era proprio possibile conciliare famiglia e lavoro da
condurre. Adesso che l’azienda ha raggiunto una certa stabilità
penso che ciò possa essere fatto tranquillamente.
IL NOSTRO TRISTE ADDIO A MARCO ANGHILERI
La tragica scomparsa di Marco
Anghileri, che, oltre ai suoi familiari,
ha colpito nel cuore tanti amici e tutte
le persone che lo hanno semplicemente
conosciuto, ha incluso in questo dolore
immenso anche df Sport Specialist,
di cui Marco rappresentava uno dei
suoi testimonial più responsabili e
affidabili, e tutti coloro che ne hanno
apprezzato le sue qualità attraverso
le relazioni su questa rivista e i suoi
numerosi interventi alle serate “A tu
per tu”. La notizia della sua morte ha
destato sgomento in tutto il mondo
dell’alpinismo, come viene specificato
anche dai significativi messaggi di
cordoglio pervenuti dagli alpinisti
inglesi Mick Fowler e Leo Houlding.
Per un periodico come il nostro, che
non può disporre dell’immediatezza
dei quotidiani o delle televisioni, è
giocoforza affidare soltanto ad un
primo semplice pensiero il suo senso
di smarrimento, che si riallaccia
all’illimitata ammirazione riservata
all’uomo e all’alpinista Marco
Anghileri. La redazione di “Uomini
e Sport” si ripromette comunque di
riprendere con la dovuta ampiezza
la sua immagine e la sua storia, che
si è conclusa con il conseguimento del
sogno che lui stesso aveva da tanti
anni cullato.
E
ra una di quelle notizie che nessuno mai avrebbe voluto dare, nessuno
mai ascoltare, quella che è circolata nella tarda serata di domenica 16
marzo. Una data che difficilmente scorderemo per l’intensità con cui
ha scosso tutti: e se è scontato che questo sia un fatto che riguarda
principalmente coloro che sono racchiusi nello scrigno riservato agli
affetti familiari, non stupisce che l’onda di straziante sgomento si sia propagata
ovunque. Lo rimpiange così chi gli è stato più vicino con un’amicizia privilegiata
dalla medesima passione per l’alpinismo, ma anche le numerose persone che lo
hanno appena conosciuto, apprezzato e stimato negli incontri occasionali o per
averlo seguito nel racconto delle sue avvincenti esperienze. Tutti siamo rimasti
costernati da una disgrazia che ci sarebbe sembrata impossibile, e così forse ci
siamo trovati lontani dal modo con cui Marco considerava l’esistenza. Lui, la
possibilità di un passaggio tragico verso la morte, l’aveva certamente messa nel
conto dell’eventualità, già da molto tempo. Questo perché l’evento terribile della
morte improvvisa era entrato nella sua casa già diciassette anni or sono, quando
un incidente inverosimile aveva stroncato la vita del fratello Giorgio. Possiamo
immaginare che questo ricordo doloroso lo abbia accompagnato in tante delle
sue imprese nelle quali il rischio non può venire escluso solo perché sono state
prese tutte le precauzioni. Ora lo dobbiamo ammirare anche perché questo rischio
Marco lo ha accettato con serenità, come condizione dovuta per realizzare sia la
sua passione, sia la sua personalità. Abbiamo conosciuto Marco perché le sue doti
eccezionali lo avevano fatto emergere fino alla notorietà ed alla ammirazione in
ogni parte del mondo dove ci si appassiona di alpinismo. Gli abbiamo voluto bene
e lo abbiamo stimato in seguito perché abbiamo intravisto le sue non comuni
qualità umane, straordinarie per un ragazzo che stava crescendo con una maturità
precoce.
Tutte cose che non scorderemo, ma che adesso ci vengono a mancare e ci fanno
rimpiangere un alpinista che arrampicava e amava la montagna con la passione e
la bravura dei grandi alpinisti lecchesi di un tempo ormai lontano.
Renato Frigerio
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 11
OGNI VOLTA “UN NOME”: DA NON DIMENTICARE
GIORGIO ANGHILERI
È senza dubbio strano il modo con cui viene
proposto questa volta un nome che oggi
potrebbe venire facilmente dimenticato per
essere mancato a noi prima di pervenire al
suo apice potenziale: non un articolo, come
si fa solitamente, redatto a suo tempo da
testimoni contemporanei, e nemmeno quello
che potrebbe venire approntato appositamente
per questa rubrica, con il concorso di richiami
storici. È invece lo stesso personaggio
che ci viene incontro per farsi conoscere,
quasi sospinto da un impulso premonitore,
anticipandosi sei anni prima dell’assurdo
incidente che ci avrebbe privato della sua
incomparabile compagnia ed amicizia, negando
nello stesso tempo all’alpinismo lecchese un
ulteriore rappresentante della sua più gloriosa
tradizione. L’articolo scritto da Giorgio
Anghileri rischiara autobiograficamente la
sua figura non solo in quello che prorompeva
come alpinista di classe rara, ma anche e
primariamente nelle sue esemplari qualità
umane, dove si inseriva in modo totalmente
condivisibile la sua concezione di un alpinismo
autentico, dal quale non possono prescindere i
più alti valori esistenziali.
La presentazione con cui Renato Frigerio aveva passato il testo di
Giorgio alla Rivista Nazionale del C.A.I., che lo pubblicava nel
numero di settembre-ottobre 1997, costituiva una parte integrante
dello stesso articolo e conferiva l’evidenza della particolare
considerazione che circondava questo promettente alpinista dotato
di una eccezionale personalità.
In apertura: Giorgio Anghileri sulla via “Nubifragio degli argonauti”
al Picco Darwin in alta Val di Mello. Sensazionale prestazione nei
primi anni 90, anche perché la salita fu effettuata con partenza e
ritorno a Lecco nella stessa giornata.
Nella pagina a lato: in alto - Qui è sulla via “Holzer-Messner”
al Castello della Busazza in Civetta.
sotto - Un suo exploit per la prima ripetizione solitaria invernale
dello spigolo Nord del Pizzo Badile.
12 | Uomini&Sport | Marzo 2014
LA MONTAGNA ED IO
di Giorgio Anghileri
N
on so perché ho fatto tutte queste grosse cose
in montagna, tutte insieme nell’estate di questo
1991. E neppure so perché adesso mi metto a
scrivere di me, nei miei rapporti con la montagna e
l’alpinismo: forse una e l’altra cosa sono da mettere
in relazione al fatto che tra poche settimane, in dicembre, partirò
per il servizio militare. Fare il militare di leva oggi come ieri, anche
se oggi non è impegnativo e tremendo come dicono che fosse ieri,
significa rompere un po’ con il passato, cambiare certe abitudini e
modi di pensare.
Tutto questo deve avermi indotto a fare il punto sulla mia
situazione di ragazzo tutto preso da una passione incontenibile per
la montagna, risalendo alle sue origini per proiettarla in un futuro
che è sempre difficile prevedere.
A casa mia la montagna è presente da sempre, divenuta intimamente
una componente di vita: alpinista il nonno Adolfo e papà Aldo,
corre sulle nostre orme anche Marco, il fratello minore. Già a 13/14
anni arrampicavo da primo di cordata in Grigna e al Resegone, a 16
anni cercavo traguardi più impegnativi in Dolomiti. Fino a 18 anni
mi alterno al comando della cordata, ed i miei compagni a volte
sono mio padre o qualcuno dei suoi amici, a volte dei miei coetanei.
La passione diventa sempre più forte, la voglia irrefrenabile. Non
si limita più al fine settimana: ogni momento libero è un pretesto
per arrampicare.
Col passare del tempo le vie che affronto sono sempre più
impegnative, i programmi più ambiziosi: ma tutto questo lo vivo e
condivido con i miei compagni, con i quali mi lego con un’amicizia
che dura tuttora.
La montagna per me non è solo luogo di arrampicata, ma è
l’ambiente che mi suggestiona e mi si pone come elemento di
riflessione. Dalle Grigne alle Dolomiti, misurarsi con la montagna
diventa più difficile, perché bisogna prepararsi a problemi di
diversa natura che richiedono prestazioni non comuni: però
è sempre montagna, e tutto mi piace e mi affascina. Assaporo
la tranquillità che si prova nel sentirsi fuori dal traffico, dai
rumori assordanti, dalle convenzioni, dal tempo che stringe
e che ti stressa e preoccupa: mi trovo bene a contatto con la
natura, con il movimento fisico, con l’azione, con sensazioni
ed emozioni intense e profonde. Anche la montagna può far
soffrire, ma, dopo aver superato le difficoltà, ti senti fiero di
quello che hai fatto e che puoi raccontare agli amici, mentre
ti prepara ad affrontare prove maggiori. Anche in montagna,
come quando inghiottito dal traffico cittadino, sei in coda,
ti soffermi a pensare: ma con quale diversa predisposizione
d’animo e condizione di spirito! Uno dei limiti di noi uomini
è quello di volersi impadronire del tempo: ma solo quando
si è immersi nel silenzio delle vette solitarie, dove il tempo è
scandito dalla luce del giorno, si capisce il senso della vita e
della sua durata.
I pensieri ti assalgono sia al bivacco all’addiaccio sia per strada
alla guida di una autovettura confortevole: ma cambiano gli
obiettivi e le sensazioni, ed alla rabbia fa posto l’allegria. Mi
piace in montagna esprimermi su ogni terreno di azione,
perché ritengo riduttivo arrampicare sempre su vie simili ed in
ambienti conosciuti.
La voglia di misurarsi su difficoltà sempre più elevate è
giustificata dal desiderio di conoscere il limite personale. Non
svolgo preparazioni ginniche specifiche e non uso sistemi
scientifici. Solo l’arrampicata mi diverte, mentre ogni schema
da assimilare mi appare come una riduzione alla mia voglia di
divertirmi. Non sento attrazione particolare per l’arrampicata
sportiva di preparazione, perché questa per me rappresenta
solo un mezzo per prepararsi ad affrontare le vie sulle grandi
pareti della montagna, e quindi non deve essere fine a se stessa.
Trovo anche che per me il limite non deve essere rischio
senza senso, perché bisogna saper valutare le proprie capacità
e percepire fin dove si può arrivare, senza osare oltre. Trovo
bello parlare di come ho superato certe difficoltà nell’ambito
del mio ambiente, al Gruppo Gamma, e confrontare con i miei
amici le valutazioni, le sensazioni, le emozioni.
Anche questo è un aspetto che mi piace dell’alpinismo, anche
se rimane un fatto marginale e non indispensabile. Una bella
via rimane tale se la affronti preparato, altrimenti diventa una
sofferenza.
La preparazione psicologica è importante come quella fisica. La
ricerca di una via, la preparazione della scalata, la conoscenza
delle difficoltà da superare, mi prendono, mi avvincono fino a
togliermi il sonno e a darmi la giusta carica.
Tutto questo è un repertorio personale che fa parte integrante
e non è disgiunto dalla salita. È solo dopo aver fatto una
salita rincorsa, a lungo sognata, quando dopo qualche giorno
il ricordo si stempera, che quasi ti sembra di non averla
effettuata, perché non vivi più lo stato propositivo e ti scarichi.
Per me l’alpinismo comunque, pur rappresentando una
grande passione, resta solo un aspetto della vita. Non arrivo
a concepire l’alpinismo come unica avventura: l’uomo deve
realizzarsi in tutti i sensi, non solo con le sue passioni, ma anche
nell’impegno del lavoro e della famiglia. Non vedo un futuro
senza certezze, e allora voglio avere un lavoro, per potere poi
divertirmi in montagna senza altre preoccupazioni. Solo per
una spedizione extraeuropea, impresa che mi manca, prenderei in
esame l’eventualità di trascurare per poche settimane il lavoro.
Quando in montagna mi vedevo respinto dalle difficoltà, ci ho
sempre riprovato per convincermi che la parola definitiva non era
ancora stata sentenziata. E proprio per avere una risposta di questo
tipo, quest’anno ho voluto tentare esperienze ai massimi livelli, su
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 13
montagne con caratteristiche diverse, come la salita in solitaria dello spigolo Nordovest
della Cima Su Alto in Civetta, la via nuova sulla Quinta Pala di San Lucano, la
ripetizione della via del Pesce in Marmolada e della Nord dell’Eiger. Desideravo
mettermi alla prova in situazioni diverse, sperimentare impressioni profondamente
nuove, ma soprattutto capivo che la montagna avrebbe potuto contribuire alla
formazione del mio carattere, a migliorarmi in modo completo, ad infondermi una
sicurezza di uomo prima ancora che come alpinista.
Prepararmi ad affrontare la solitaria alla Su Alto è stata una cosa molto impegnativa,
anche sotto il profilo psicologico. Affrontare passaggi di libera estrema, rimanere per
10 ore a tu per tu con la parete richiede un notevole dispendio di risorse, e solo la
convinzione di aver superato in solitaria test probanti mi davano assoluta persuasione.
Sono comunque sensazioni provvisorie, transitorie, che mutano più volte e che non
hanno riscontro in altre attività. Sulla Su Alto ho provato sensazioni profonde, che
comunque non possono essere paragonate, perché del tutto diverse, a quelle vissute
nel superamento della via nuova, sempre di quest’estate, alle Pale di San Lucano.
Qui le difficoltà della via erano tutte da scoprire e poi non ero più solo, potendo
contare sulla compagnia di Manuele Panzeri. Insieme abbiamo affrontato 16 ore di
arrampicata per superare grandi fessure, 500 metri di dislivello, difficoltà di 7°/A2/A3.
Con Manuele mi trovo bene da sempre: ci conosciamo dagli anni dell’adolescenza,
siamo stati ammessi insieme nel Gruppo Gamma, e con altri ragazzi della nostra
età, alcuni figli d’arte, trascorriamo gran parte del nostro tempo libero. Arrampicare
con Manuele mi diverte e, anche di fronte alle difficoltà, il nostro umore rimane
inalterato, sempre rivolto verso l’allegria.
Manuele è in cordata con me anche in Marmolada sulla via del Pesce, che superiamo
in 15 ore, e dove affronto i massimi livelli di difficoltà come esperienza personale.
La prova è ardua, anche per le condizioni atmosferiche esasperatamente sfavorevoli
e perché, su alcune delle difficoltà, il limite si presenta invalicabile, con l’incertezza
di poter sia “scoppiare” che vincere. Ecco, su questi livelli diventa determinante avere
un compagno, tanto è intensa la prova che sostieni, mentre ogni situazione deve
essere superata tenendo sempre sotto controllo numerosi fattori. La certezza di poter
contare su un amico che segue i tuoi movimenti, che può aiutarti, che può sostituirti,
che può intervenire è un conforto incalcolabile che ti sprona a tirare fuori tutto quello
che hai in corpo. Questi frammenti di ricordi e considerazioni non sono semplici
nostalgie o sentimentalismi, ma sono forze reali dello spirito, frutto di conquista, che
formano l’uomo e lo aiutano a combattere gli ostacoli, a credere in se stesso, a credere
nel valore dell’amicizia, a non arrendersi mai. Mi introduco così all’ultima, in ordine
di tempo, scalata di rilievo della stagione, quella che ho affrontato in compagnia del
“ragno” Lorenzo Mazzoleni. Con lui il 15 settembre ho superato in 15 ore la Nord
14 | Uomini&Sport | Marzo 2014
dell’Eiger, una delle grandi pareti che con
il Cervino, e la Walker alle Jorasses in
particolare, mi hanno sempre affascinato.
La mia rincorsa alla ricerca di sensazioni
nuove, impressioni suggestive, valutazioni
oggettive di diverso tipo non poteva che
completarsi nell’arco della stagione con
la Nord dell’Eiger, una grande parete per
i… miei giorni grandi.
Su Alto, Nord dell’Eiger, Quinta
Pala di San Lucano, via del Pesce alla
Marmolada: ci ripenso, e già questa
magica stagione mi sembra un sogno.
Forse è giusto che ogni grande passione,
quando viene ripensata, prenda l’aspetto
di un sogno, perché la realtà è fatta di
cose più grandi ed importanti. Sento che
ogni esperienza, anche questa immensa
esperienza dell’alpinismo, deve servire a
rendere più valida la vita.
È per questo che montagna ed alpinismo,
così importanti per me, non arriveranno
mai a possedermi in modo ossessivo:
saranno l’espressione concreta e personale
del mio modo di affrontare la vita, per
viverne con gioia gli aspetti più positivi.
Sopra: tutti lo ricordano così.
In alto a sinistra: alle prese della via “AnghileriGogna” sulla parete Sud della Terza Pala di San
Lucano, dove si aggiudica la prima ripetizione
invernale.
Immagini fotografiche gentilmente offerte
dal fratello Marco.
PUNTI VENDITA DF SPORT SPECIALIST
NEGOZIO
ONLINE
Globalmente, il mercato dell’ecommerce sta avendo una crescita
che in questi periodi di crisi fa emergere ancora di più le proprie
potenzialità. Basti pensare che a livello europeo, l’anno 2012 ha
raggiunto un fatturato di più di 300 miliardi di euro, il 19% in
più rispetto al 2011. Questo, mentre le statistiche per l’anno 2013
davano una possibile crescita del 17% rispetto all’anno passato,
con un fatturato, limitato alla sola Italia, di 11.2 miliardi di euro
(fonte ilsole24ore.com).
Ogni commento quindi pare quasi superfluo: l’ecommerce è
l’affare del momento e lo sarà sempre di più in futuro.
Df-Sport Specialist, che da sempre ha puntato su questa
opportunità, oggi vanta un servizio ecommerce efficiente e sicuro,
con una vastissima scelta di prodotti sportivi e casual, che può
soddisfare le esigenze di tutti, ma veramente tutti, gli utenti.
Che non vendiamo slogan pubblicitari, si può verificare
direttamente sul nostro sito: più di 350 calzature solo nel reparto
trekking ed alpinismo, 600 ed oltre articoli di attrezzatura
montagna e arrampicata, più di 800 capi di abbigliamento
tecnico tra uomo, donna e bambino, ma anche oltre 300 modelli di
scarpe da running, un vastissimo assortimento di abbigliamento
e scarpe da ciclismo, tennis, calcio, volley, fitness, con annesse
tante palestre, cyclette, sport da combattimento.
Il tutto senza dimenticare il mondo neve, dove trionfano sci,
tavole, attacchi, completi e tutto quello che cercano nei mesi
invernali gli appassionati di sci alpino, sci di fondo, sci alpinismo
e snowboard.
Il sito Df-Sport Specialist non è e non vuole essere però solo
vendita: sul nostro portale è possibile trovare anche tutte le nostre
iniziative, le date degli eventi che organizziamo e gli appuntamenti
che sosteniamo. Potrete seguire le imprese dei nostri testimonial e
sfogliare online tutti i nostri cataloghi e, perché no?, anche questa
nostra rivista “Uomini e Sport”. Il progetto, che è partito nel
2008, nel tempo è cresciuti con il catalogo prodotti e le possibilità
di presentare l’Azienda anche agli utenti lontani dai punti vendita
che hanno così acquisito sempre più importanza e spessore.
Oggi il sito Df-Sport Specialist è un negozio a tutti gli effetti
per quanto riguarda la sezione ecommerce ed un valido mezzo
di informazione per ciò che concerne la parte di comunicazione:
un mezzo informatico che, insieme al Blog di arrampicata, va
incontro alle diverse le esigenze degli appassionati.
facebook.com/sportspecialist
youtube.com/user/SportSpecialist
twitter.com/dfsport
CONTATTI
indirizzo e-mail:
[email protected]
info-line:
tel. 039.92155414
tel. 039.92155419
tel. 039.92155422
da lunedì a venerdì
9.30 - 13.00 / 14.00 - 18.00
Uomini&Sport | Marzo 2014 |15
I CONSIGLI DELL’ ESPERTO
Correre fa tendenza
...m a so p ratt utto fa b en e alla salute
“C
a cura di
orrere aiuta a conoscersi meglio. Il running è un processo di riflessione meditativa e attiva.
E’ un modo meraviglioso e semplice per mantenersi in forma e in salute. Può essere
praticato dove, quando e con chi si vuole. E’ un’attività che migliora l’autostima e
aumenta la comprensione delle proprie capacità e dei propri limiti. Il running di gruppo
accentua i legami e rafforza le amicizie. Mentre si corre ci si sente bene perché lo sforzo
scatena l’adrenalina: la strana espressione che aleggia sempre sul volto del runner non è
dovuta alla fatica fisica ma al benessere interiore di chi ama quello che sta facendo.
Tutti coloro che hanno già iniziato a correre ritengono che per
loro questa è un’esperienza fantastica!
All’inizio bisogna fare i conti con la fatica ed alcuni dolorini nelle
varie parti del corpo, ma con il passare del tempo, man mano
che l’allenamento procede, il piacere prende il sopravvento,
piacere derivante dal rilascio di sostanze chimiche nel nostro
corpo (le celebri endorfine con il loro potere analgesico ed
eccitante).
Con un allenamento costante le gambe diventano sempre
più forti, il corpo più leggero e la fatica ci assale sempre più
tardi permettendoci così di allungare sempre più la sessione di
allenamento.
16| Uomini&Sport | Marzo 2014
”
Giacomo Leone
Vincitore della Maratona di New York nel 1996
Con l’arrivo della bella stagione, poi, la voglia di fare una
bella corsetta, magari in uno dei parchi non lontani da dove
abitiamo, sopraggiunge sia per gli sportivi più convinti, sia
per i sedentari più incalliti. A questo punto le questioni
di maggiore importanza sono due: sottoporsi a un visita
di idoneità sportiva e acquistare un buon paio di scarpe
da running (le scarpe da ginnastica o da tennis non sono
adatte alla corsa).
Per scegliere una buona scarpa, fondamentale per non
soffrire in seguito di problemi articolari, muscolari e di
fastidiose vesciche, bisogna tener conto di diversi parametri
come il proprio peso, il tipo di appoggio del piede, il tipo
di terreno su cui andremo a correre ed altri aspetti che
possono essere valutati con il personale esperto in running
dei negozi specializzati.
La scelta dell’abbigliamento per correre è invece più
semplice e lascia maggiore libertà rispetto alla scelta delle
calzature.
Correndo il corpo produce calore che viene disperso con la
sudorazione. Se siamo coperti troppo si ostacola il processo
di traspirazione, il corpo rimane costantemente bagnato dal
sudore e ci affatichiamo più velocemente. Indossare capi
leggeri e traspiranti, invece, compatibilmente con le stagioni
e le temperature esterne, ci aiuta a disperdere velocemente
la sudorazione e ad evitare inutili affaticamenti.
Una regola fondamentale per chi inizia a correre è quella
di usare molta prudenza: è importante partire lentamente,
con un impegno blando, dosando le sedute di allenamento
in modo da poter svolgere l’attività sempre con una
respirazione facile ed un carico di lavoro di bassa intensità.
All’inizio, per facilitare l’adattamento degli arti inferiori
e migliorare l’apparato respiratorio, è bene partire
camminando per almeno qualche settimana o addirittura
per un paio di mesi per i più sedentari.
Questo permetterà di ridurre le probabilità di infortuni
nel momento in cui si passerà alla corsa che dovrà essere
comunque praticata in base alle proprie possibilità e senza
avere il fiatone. Ora, capaci di camminare per un’ora di
fila senza sentirsi stravolti, si è pronti per inserire alcuni
tratti di corsa leggera che lascerà di nuovo spazio alla
camminata solo al sopraggiungere del fiatone.
Alternando la fase del cammino con la corsa si riesce
a raggiungere il primo importante obiettivo: arrivare a
correre circa un’ora consecutiva con una certa facilità.
Questo è il momento in cui, se si è tenuto duro, la
sofferenza e il dolore, il fiatone e gli acciacchi, lasciano
posto alla soddisfazione e al piacere.
Si potrà continuare a correre semplicemente per
tenersi in forma, partecipando alla più scanzonata delle
“tapasciate” o alla più impegnativa delle maratone, purché
l’importanza dell’attività sportiva sia il raggiungimento
del benessere psico-fisico.
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 17
The Abbots Way
la storia e la corsa
La corsa attraverso l’Appennino Tosco Emiliano è prima di ogni altra cosa una corsa in natura, al di
là delle definizioni di moda come trail-running, ultratrail, skyrace e così via. Nasce da un’idea di Elio
Piccoli, runner e biker piacentino che, nel 2007, durante un’escursione in Appennino decide di seguire le
indicazioni dello studioso dott. Giovanni Magistretti, ricercatore e scopritore della documentazione che
porta alla scoperta dell’antico passaggio alto medievale, da Bobbio(PC) fino a Pontremoli (MS).
Il tracciato incontra la Via Francigena proveniente in questa tratta emiliana, da Fidenza in provincia
di Parma, per proseguire sul Passo della Cisa e poi verso Roma, diventata famosa in quanto percorsa
dall’arcivescovo di Canterbury, Sigerico, di ritorno da Roma nel 990 d.c. in 79 tappe.
San Colombano e La Via Degli Abati
E
ra il 613 d.c. quando l’abate e santo irlandese
Colombano fondò la celebre abbazia di Bobbio, divenuto
successivamente un centro europeo culturale e religioso,
nonché grande studio 'scriptorium' del medioevo.
Colombano partì da Bangor in Irlanda, con dodici compagni di viaggio
e dopo aver fondato diverse abbazie come Annegray, Luxeuil, Fontaine,
essendo perseguitato dall'episcopato e dalla dinastia burgunda, decise
di recarsi a Roma per avere l’approvazione di Papa Bonifacio IV.
Durante il suo stazionamento a Milano, sotto la protezione del re
longobardo Agilulfo e della di lui moglie Teodolinda, riceve l’incarico
dell’avvicinamento della corte longobarda alla Sede Apostolica in
cambio della possibilità di creare sul suolo demaniale un nuovo centro
di vita monastica. Viene segnalato il nome di Bobbio, e la stessa regina
Teodolinda, fervente cristiana, sale sulla vetta del Monte Penice nel
612, allo scopo di ricognizione del luogo già sacro e lì gli promette
il territorio in cambio di dedicare alla Madonna la piccola chiesetta
in cima alla vetta. San Colombano giunge a Bobbio nell'autunno del
614 con Sant'Attala, constata lo stato di abbandono dell'antica chiesa
di S. Pietro e la ripara disponendo attorno ad essa alcune costruzioni
in legno, come primo centro di vita monastica. Dopo un solo anno
di permanenza a Bobbio, e all'età 75 anni, muore nel monastero la
domenica 23 novembre del 615. Fu a quei tempi che la “Via degli
Abati” venne utilizzata dai monaci per il raggiungimento di Roma,
oltre che dagli ecclesiastici irlandesi in pellegrinaggio alla tomba di
San Colombano, per il trasporto e la distribuzione dei prodotti dai
possedimenti monastici di San Colombano verso i territori piacentini,
le Valli del Ceno e del Taro e la Toscana. L'antica “Via degli Abati”
18 | Uomini&Sport | Marzo 2014
collega le medievali Pavia, Bobbio e Pontremoli, proseguendo per
Roma, facendosi largo tra i millenari boschi, le gole e i torrenti
degli Appennini tra le province di Pavia, Piacenza, Parma e
Massa. Innumerevoli i borghi, le chiese, le rocche ed i luoghi
rimasti immutati nel tempo, dove solo gli elementi naturali e
l'abbandono dell'uomo hanno contribuito all'attuale fascino. Di
notevole interesse storico e artistico, oltre al complesso abbaziale
di Bobbio, sono il romanico ponte sul fiume Trebbia, importante
corso d'acqua e silente testimone dell'epica battaglia che vide il
condottiero Annibale vittorioso sulle truppe dell'Impero romano;
la longobarda rocca di Bardi, edificata su di un suggestivo sperone
di diaspro rosso, e gli eleganti rinascimentali e barocchi palazzi di
Borgo Val di Taro, ed infine Pontremoli, antico centro medievale
di traffici commerciali le cui alte torri ed antichi ponti, dominano
le vallate della Lunigiana, culla di antiche civiltà.
La Gara
Dopo una ricognizione in 4 tappe con alcuni runners piacentini, che sarebbero poi
diventati i Lupi d’Appennino, Elio Piccoli e Armando Rigolli decidono di organizzare
la gara nel 2008. Le valli che si attraversano diventano nomi epici, come le battaglie del
passato, per la fatica ed il sudore versato. La Valle del Verde a Pontremoli, la Val Taro che
comincia dal Passo del Borgallo fino al valico che porta a Osacca nel comune di Bardi in
Val Ceno, provincia di Parma. Si sale sul Monte Lama punto più alto del percorso a circa
1350 slm per arrivare a Farini in Val Nure, tratto piacentino e da lì si proseguire per la Val
Trebbia con l’arrivo a Bobbio passando dalla oramai mitica Sella dei Generali, che permette
di affrontare la discesa finale verso Coli e Bobbio. La prima edizione, non pubblicizzata
per poter gestire pochi atleti in sicurezza, vede la partecipazione di una quarantina di
runners che percorrono la Via in due tappe distinte da Pontremoli(MS) a Bardi(PR) in
65 chilometri e da Bardi(PR) a Bobbio (PC) su altri 60 chilometri. Il dislivello totale
nelle prime due edizioni rimase minore in quanto il percorso non passò sul Monte Lama,
inserito successivamente per incattivire un po’ la corsa portandola a circa 5.500 m d+.
Nelle edizioni successive il numero dei partecipanti cresce subito e nella seconda edizione,
partono da Pontremoli 168 atleti provenienti da tutt’Italia, sempre nella formula in due
tappe. Una nuova svolta si ha nel 2010 quando viene inserita la tappa unica in “single
stage” e il numero dei partecipanti vola a 300 circa. Vince un ragazzo svizzero, Christian
Schneider in circa 15 ore, destando scalpore per il tempo di percorrenza impensabile
fino a quel momento. Tra le donne plurivincitrice sarà Katia Fori che anche per le ottime
prestazioni su questo percorso, verrà chiamata a far parte della nazionale italiana di trail
running. Altri personaggi sportivi famosi si faranno largo nel panorama nazionale come
Francesca Canepa che, dopo la vittoria all’Abbots nel 2012, in 15 ore e 12 minuti, andrà
a trionfare per 2 volte nella corsa trail più lunga del mondo, il TOR DES GEANTS in
Valle d’Aosta. A porre una sorta di sigillo di supremazia con il record della corsa arriva
Stefano Ruzza, campione italiano ultratrail, in 14 ore e 14 minuti. Nel 2012 l’Abbots si
guadagna l’onore di diventare qualificativa per la Western States negli Stati Uniti, corsa
trail storica e famosa in tutto il mondo.
Come da sempre
DF Sport Specialist
si presenta importante sponsor
anche alla 7^ edizione
della Abbots Way.
una varietà di immagini nelle
diverse fasi della 6^ edizione.
Uomini&Sport
Uomini&Sport
| Settembre
| Marzo2013
2014||##
19
ITINERARI
A cura di WWW.PIEDILIBERI.IT -Il sito di itinerari nella natura
Nel regno di Fanes
Un trekking di tre giorni nel Parco Naturale Fanes-Senes-Braies,
il cuore delle Dolomiti
B
astano tre giorni per questo breve trekking circolare, alla portata
di tutti, per esplorare la zona del parco che appartiene all’Alta
Val Badia, una valle di cui ci si innamora facilmente. Il modo
migliore per entrare nel mondo incantato delle Dolomiti,
è quello di immergersi completamente tra le montagne i boschi e le
praterie di queste valli percorrendone i sentieri e pernottando nei rifugi,
lontani dalla confusione e dall’asfalto. Il Parco Naturale Fanes-SenesBraies, in provincia di Bolzano, custodisce uno straordinario patrimonio
naturalistico e permette di scoprire grandi spazi e angoli suggestivi dove
sono ambientate antiche leggende.
Il trekking è adatto a tutte le persone abituate a camminare in montagna
ed è percorribile, di norma, da luglio a settembre (informarsi sempre
sull’apertura dei rifugi e la transitabilità dei passi).
Anche se il percorso non presenta particolari difficoltà, occorre seguire
alcune semplici regole, fondamentali per la sicurezza in montagna,
come procurarsi una cartina aggiornata e non allontanarsi dai sentieri,
portare scarponcini da trekking, indumenti leggeri ma anche capi caldi e
impermeabili tenendo presente che anche nel mese di agosto a 2000 metri
può nevicare e fare molto freddo, partire presto al mattino e informarsi
presso i rifugi sul percorso e il meteo.
Leggenda del Fanes: si può trovare la storia dell’antico Regno dei Fanes, oltre ad interessanti informazioni sul parco, sul sito www.dolomititour.com/fanes/pag11-i.htm
20 | Uomini&Sport | Marzo 2014
2° giorno
Partenza: Rifugi Fanes m 2060 o Lavarella m 2050
Arrivo: Rifugio Santa Croce m 2045
Dislivello: metri 650 | Tempo: ore 6
Il secondo giorno si imbocca il sentiero n° 13, che parte
dal Rifugio Lavarella, e si sale dolcemente tra grandi
pascoli fino a raggiungere i ghiaioni che portano al
Passo di San Antonio m 2466; valicato il passo, il
sentiero scende su grandi pendii detritici finché si
incontra di nuovo una verdissima vegetazione. Percorsa
per un tratto una stradina, bisogna fare attenzione
e imboccare il sentiero n° 16 che si stacca verso
sinistra e si addentra nei grandi e suggestivi boschi
dell’Armentara. Seguendo fedelmente il sentiero per
un lungo tratto, si arriva finalmente al Rifugio Santa
Croce sotto le spettacolari pareti del Sass da la Crusc.
3° giorno
Partenza: Rifugio Santa Croce m 2045
Arrivo: San Cassiano in Val Badia m 1538
Dislivello: metri 500 in discesa | Tempo: ore 3
1° giorno
Partenza: San Cassiano in Val Badia m 1538
Arrivo: Rifugi Fanes m 2060 o Lavarella m 2050
Dislivello: metri 600 | Tempo: ore 4
Dal Rifugio Santa Croce si segue il riposante sentiero
n° 15 tra boschi e belle radure, con grandiose vedute
sul Gruppo del Sella e i lontani ghiacciai della
Marmolada; in leggera discesa si arriva a delle piccole
frazioni finché si trovano le indicazioni per San
Cassiano, dove si conclude l’itinerario.
Punto di partenza, e di arrivo, è il paese di San Cassiano,
da dove si prosegue per la località Armentarola e il
rifugio Capanna Alpina (fin qui si può arrivare anche
in macchina). Dalla Capanna Alpina si imbocca il
sentiero numero 11 che attraversa un bel bosco e sale
al Col de Locia m 2069; da qui il sentiero percorre
lungamente un grande altipiano finché raggiunge il
posto di ristoro Malga Grande di Fanes. Rimanendo
sul sentiero n°11 che a tratti segue una vecchia stradina
militare, si arriva al Passo del Limo, e al suo lago, e in
breve si scende alla incantevole conca, ricca di torrenti
e laghetti, dove si trovano il Rifugio Fanes e il Rifugio
Lavarella, al termine della prima tappa.
INFORMAZIONI
Come arrivare:
In auto – autostrada del Brennero A22 fino al casello di
Chiusa, quindi strada SS242 della Val Gardena, Passo
Gardena, Alta Badia. Da Milano km 372.
Mezzi pubblici – collegamenti autobus con le stazioni
ferroviarie di Bolzano, Bressanone e Brunico.
Consorzio Turistico Alta Badia per informazioni su trasporti, attività, iniziative e ogni tipo di alloggio
in hotel, appartamenti, B&B, campeggi ecc. tel. 0471836176 - www.altabadia.org
Rifugio Fanes tel. 0474 501097 - www.rifugiofanes.com;
Rifugio Lavarella tel. 0474 501079 - www.lavarella.it;
(Foto: L. Kostner, F. Planinschek, A. Filz)
Rifugio Santa Croce tel. 0471839632 - www.enrosadira.it/rifugi/santacroceinbadia.htm
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 21
A cura di WWW.PIEDILIBERI.IT -Il sito di itinerari nella natura
ITINERARI
UN TREKKING CHE É ANCHE CULTURA
L’antico Sentiero del Sempione, percorso ideale per addentrarsi nella natura,
consente insieme di scoprire la storia di un grande personaggio del passato
T
ra l’italiana Domodossola e la svizzera Briga, il Passo del Sempione è
la principale porta d’accesso al Vallese come ben sapeva Kaspar Jodok
von Stockalper, il grande uomo d’affari che fece fortuna nel XVII
secolo. Nato nel 1609, uno dei più importanti commercianti d’Europa, parlava
cinque lingue ed era proprietario di vasti pascoli, alpeggi e miniere. Dal suo
palazzo a Briga, che aveva trasformato in un magnifico castello, controllava
i commerci con Anversa, Parigi ed i porti della Manica a Nord e Milano a
Sud. Fu lui a far sistemare il sentiero, ad attrezzarlo con ponti e rifugi per
permettere alle carovane di passare anche d’inverno e consentire il commercio
del sale, della seta e di tutte le merci che dovevano valicare il Sempione. Nel
1995 la Fondazione Svizzera “ Ecomuseo del Sempione”, ha realizzato un
interessante museo ed ha ripristinato l’antico percorso, che costituisce oggi una
straordinaria testimonianza a cielo aperto della grande opera seicentesca e dei
successivi ampliamenti voluti da Napoleone. Da molto tempo ormai queste
antiche vie di comunicazione hanno lasciato il loro ruolo economico e militare
a strade più nuove e moderne, tuttavia da diversi anni la mulattiera ha ripreso
vita come itinerario culturale, un trekking nella storia insomma, per vedere le
valli che portano al Sempione da una prospettiva diversa.
Il trekking che segue la strada seicentesca del Sempione richiede 2 giorni
di cammino, con un pernottamento al Passo del Sempione. Tra le diverse
possibilità, è consigliato il pernottamento presso il celebre e confortevole
Ospizio del Sempione – telefono 0041 (0) 279791322; e-mail simplon@
gsbernard.net – ben noto tra gli alpinisti e gli scialpinisti, che qui fanno tappa
per le salite al Monte Leone, al Breithorn e a molte altre cime della zona.
1° giorno
da Gondo (855 m) al Passo del Sempione (2006 m)
dislivello salita: 1151 m | tempo: 5/6 ore
La prima tappa è la più impegnativa dato che prevede la
salita al Passo. Si parte da Gondo, dove si trova già una
testimonianza, la Torre Stockalper, fatta costruire nel XVII
secolo. Da qui ci si inoltra nelle famose gole percorrendo
un sentiero attrezzato con ponticelli metallici che corre
parallelo alla strada carrozzabile, fino a giungere ad una
caserma napoleonica (Alte Caserme, 1157 m) dove è stato
allestito un museo sulla storia del passo.
Si passa quindi da Gabi (1240 m) per giungere a Simplon
Dorf ( 1472 m) dove si può visitare la bella sede dell’ecomuseo
(Alter Gasthof ). Attraverso prati e boschi aperti di larici si
sale ancora verso l’antico alpeggio di Egga (1588 m) ed il
vecchio ospizio (1870 m) fatto costruire da Stockalper nel
1670, superato il quale si giunge finalmente al Passo dove
sorge l’Ospizio Napoleonico terminato nel 1831.
2° giorno
dal Passo del Sempione (2006 m) a Briga (678 m)
dislivello discesa: 1328 m | tempo: 4 ore
La discesa a Briga si svolge in ambienti molto vari e corre
sempre distante dalla strada carrozzabile. La mulattiera,
lasciato il passo, guadagna rapidamente il fondovalle a Taferna
(1597 m) dove vi sono i resti dell’antica Osteria costruita nel
1684. Il sentiero si articola quindi tra abeti rossi ed ontani
verdi fino al borgo di Grund (1071 m) alla confluenza del
Taferna con il Ganterbach dove si trova un fienile del 1459.
Da qui, attraverso una pietraia, bisogna risalire fino all’Alpe
Rosswald (1316 m) dove si incontra l’antica canalizzazione
che dal XIII° secolo consente l’irrigazione dei campi di
Termen e Ried.Costeggiata la gola della Saltina, la mulattiera
comincia quindi a scendere verso Briga toccandone i
sobborghi. L’arrivo è posto in corrispondenza del castello
Stockalper di Briga, costruito a partire dal 1650 e restaurato
nel 1961, che merita certamente una visita.
Tutte le informazioni sulla regione si trovano sul sito: www.vallese.ch - Foto: Peter Salzmann – Vallese Turismo
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Uomini&Sport||Marzo
Settembre
2014 2013
I CONSIGLI DELL’ ESPERTO
Leggeri ma con tutto il necessario.
Arriva la bella stagione e gli amanti della vita outdoor iniziano a scalpitare. Sono tante le cose da portare durante le nostre
escursioni ma allo stesso tempo si vorrebbe tenersi il più possibile leggeri. Tutto parte sicuramente da un corretto abbigliamento,
ma quello che mettiamo nello zaino ha sicuramente il suo “peso”. Oggi grazie ai materiali più innovativi anche le attrezzature
più semplici posso diventare ultraleggere e facilitare così le nostre escursioni.
Cosa mettere
nello zaino...
ESPERTO CONSIGLIA
Giacca Tecnica
Df Mountain
SCI
Zaino Trekking
30 litri
Df Mountain
Gilet Thermore
Df Mountain
Scarpone
Df Lavaredo
L’importanza di vestirsi a strati
L’obbiettivo di un corretto abbigliamento per
attività sportiva dovrebbe essere quello di
mantenere inalterata la temperatura corporea ideale
che è di circa 37°C. In montagna, le repentine
mutazioni delle condizioni metereologiche e
la necessità di essere autonomi costringono gli
escursionisti ad essere dotati di un abbigliamento
il più versatile possibile, poco ingombrante e con
tempi di asciugatura assolutamente brevi. Per chi
pratica attività in montagna, e più in generale per
chi pratica attività outdoor, è consigliabile applicare
il principio “dell’abbigliamento a strati” in cui ogni
capo ha la sua specifica funzione:
1° strato, detto strato “a pelle”
2° strato, detto strato “calore”
3° strato, detto strato “protezione”
La gamma di prodotti DF-Mountain copre tutti
questi requisiti, offrendo ottime risposte anche per
gli sportivi più esigenti.
Borraccia
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Bastoncini telescopici
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Tazza
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Saccoletto
Df Mountain
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 23
ACCADEVA NELL’ANNO…
=
1 9 5 3=
L’ALPINISMO ITALIANO
IN KARAKORUM
di Riccardo Cassin
prima parte
È
La rievocazione prevista da questa rubrica assume nel presente
numero la straordinaria particolarità di prendere in considerazione
due diverse annate per due episodi che concorrono in un unico senso.
Si tratta di due incursioni di Riccardo Cassin nel fantastico mondo
del Karakorum: una prima volta, nel 1953, in qualità di ricognitore
incaricato dal C.A.I. Nazionale per riferire gli estremi determinanti
in funzione della spedizione italiana che l’anno successivo avrebbe
avuto come trofeo la cima del K2. A distanza di cinque anni dalla
sua prima visita, Cassin ritornava in Karakorum per guidare una
seconda spedizione Nazionale che avrebbe trionfato nella conquista
del Gasherbrum IV. Nell’insieme possiamo leggere una relazione
di particolare interesse, dove trascurando in parte l’aspetto
propriamente alpinistico a lui più congeniale, Riccardo Cassin si fa
apprezzare nella sua veste di personaggio interessato all’esplorazione,
cui nulla sfugge nell’ammirazione e nella descrizione degli ambienti
che attraversa con occhio vigile ed appassionato. Possiamo pertanto
chiamarle due differenti spedizioni tenute insieme da un unico
paesaggio e da una relazione tanto riuscita che, a distanza di un
decennio, ne fu richiesta la pubblicazione su una rivista straniera
in lingua inglese.
In apertura:
la vertiginosa parete della stupenda e tremenda Torre Muztagh:
i suoi 7.000 m di quota hanno resistito ai numerosi assalti fino
al 1956, con la conquista degli inglesi J. Hartog e T. Patey.
Nella pagina a lato:
Askole: gli ultimi spazi estremi per una misera esistenza prima
di incontrare soltanto roccia e ghiaccio.
24 | Uomini&Sport | Marzo 2014
noto che i sistemi dell’Himalaya e del
Karakorum, tra l’India a Sud e il Tibet a Nord,
costituiscono la zona di massima elevazione
della superficie terrestre e superano di gran lunga ogni
altra catena di montagne del globo. Si riscontra una
notevole simmetrica regolarità in queste montagne.
Politicamente la catena interessata abbraccia gli stati
di India, Pakistan, Tibet (Cina), Kashmir e Bhutan.
La profonda vallata dell’Indo separa le catene del
Karakorum da quelle dell’Himalaya occidentale.
A partire da Ovest del colossale massiccio del
Karakorum, troviamo il Nanga Parbat (8.125 m),
sopra l’ansa dell’Indo, che si eleva quasi isolato come
un poderoso pilastro a sostegno della lunga catena.
Dal Nanga Parbat le più alte vette si trovano tutte
raggruppate nel settore centrale della catena: non
mancano tuttavia alcuni 7.000 anche in altri settori.
La massima vetta del Karakorum è il K2, 8.611 m
di altitudine, al secondo posto, dopo l’Everest, nella
graduatoria delle cime più elevate della terra.
Da notare che alla catena principale si affianca una
seconda catena, discontinua ma altrettanto elevata
e grandiosa: tra le due s’interpone un profondo
solco vallivo, quasi interamente occupato da lunghi
ghiacciai.
Caratteristica del Karakorum, oltre all’estensione dei
ghiacciai, è l’incomparabile arditezza dei suoi monti.
Lo stesso K2 si erge quasi isolato con creste e fianchi
molto ripidi in ogni versante. E i massicci grandiosi e
complessi, come il gruppo dei Gasherbrum, il Broad
Peak, il Masherbrum, ecc., che in nulla cedono ai
colossi himalayani, si accompagnano qui a poderose
formazioni torreggianti (Torre Muztagh, Torri di
Trango, Cattedrali del Baltoro, Torre di Uli Biaho,
Guglie dei Kiaveri). È facile comprendere da tutto ciò
come il Karakorum possa esercitare sull’alpinista un
fascino forse ancora maggiore di quello dell’Himalaya.
Vediamo un poco la toponomastica di
queste montagne. Karakorum significa
ghiaia nera.
È un nome turchestano. Quello che noi
chiamiamo Karakorum, fu detto anche
muztagh. Anche questo è un turchestano
e significa montagna di ghiaccio o di
neve. Tale toponimo è oggi relegato alla
catena posta lungo la destra orografica del
ghiacciaio Baltoro, con i passi Muztagh
vecchio e nuovo, la cima e la famosa Torre
Muztagh (7.273 m).
Dopo questi brevi cenni introduttivi
rifaremo assieme i miei due viaggi: il
primo svolto a carattere di ricognizione
per la spedizione alpinistica italiana al K2
e il secondo in occasione della spedizione
al Gasherbrum IV. Giunsi a Karachi il
18 agosto 1953, proveniente da Roma,
dopo un viaggio di 13 ore con un aereo
della Compagnia Scandinavian Airways.
Troviamo un clima secco ed asciutto con
40 gradi all’ombra: non si è mai bagnati
dal sudore.
Il giorno seguente c’è una grande festa a
Karachi e noto una grande animazione.
Assisto interessato ad alcune danze
locali: sono spontanee, ma dal significato
misterioso per me. Finalmente si parte
per Rawalpindi: percorrerò la distanza di
1.300 Km in 36 ore di treno.
È un viaggio interminabile. Salendo verso
Nord, si attraversa una zona tropicale quasi
deserta. La sabbia che il treno solleva entra
nei vagoni e si appiccica al corpo, imperlato
di sudore. Questo viaggio mi prostra
parecchio. Proseguendo, il paesaggio muta
aspetto e il clima si fa più sopportabile. Si
vedono fiumi, alcune marcite, che penso
siano risaie, branchi di buoi, di capre, di
bufali. La quantità di uccelli che ho visto
in questo viaggio in treno è qualcosa di
indescrivibile e dei colori più svariati.
Riconosco i trampolieri e gli avvoltoi.
I corvi riempiono l’aria come da noi i
passerotti. E proseguendo nel mio viaggio
noto come siano belle le terre bagnate dal
fiume Indo. Verdi praterie, boschi, laghetti.
L’Indo è un fiume meraviglioso, che in
alcuni punti sembra un lago, tanto è largo:
scorre come un nastro grigio di immense
proporzioni.
Il 6 settembre siamo in volo su un
bimotore Dakota verso Skardu. È un
mattino limpidissimo e il sole, nascendo,
illumina le montagne: solo montagne a
perdita d’occhio. Nella valle dell’Indo il
paesaggio è mutato repentinamente: rocce
brune, pietraie, un deserto montagnoso
giallo e sassoso, uniforme. Sono le
montagne dell’Asia queste, assolate,
aride (anche qui, infatti, il monsone
non giunge con le sue intense piogge,
arrestato sul versante opposto dalla
cresta del Babusar e dal baluardo
del Nanga Parbat). Vedo poi grandi
ghiacciai, coperti da un immenso
cumulo di nuvole e là in alto, sopra
le nubi più alte, due punte nevose,
le due bianche punte del superbo
Nanga Parbat separate dalla “sella
d’argento”. È il primo ottomila
che vediamo, forse il più bello nel
suo splendido stato di isolamento.
Ammiro questa altissima muraglia
ghiacciata, con paurose seraccate,
crestine affilate e canaloni vertiginosi:
e la vetta è lassù, altissima…
Il Nanga Parbat venne vinto all’inizio
di luglio nel 1953 dal grande alpinista
austriaco mio amico Hermann Buhl,
che cadde su queste montagne del
alberi di frutta numerosissimi danno un
abbondante raccolto. Le piante d’alto
fusto prosperano fino a 3.700 m, gli
arbusti raggiungono i 4.000 m, l’erba
cresce fino ai 4.500, ma sempre e solo
quando c’è acqua. Le piogge sono rare
e scarse: i corsi d’acqua costituiscono le
arterie vitali.
Dopo aver lasciato la larga valle dello
Shigar, ci immettiamo nella valle del
Braldo che ha inizio a Dassu (2.400 m).
La valle del Braldo chiusa, incassata,
severa, penetra fra montagne sempre
Karakorum, e precisamente nel 1957 sul
Chogolisa, montagna del Baltoro.
Dalla cabina di pilotaggio possiamo
vedere altre montagne, dinanzi a noi.
Là in fondo ecco una grande piramide
isolata, superba, più a destra una duplice
gobba; poi un’altra piramide slanciata: il
K2, il Broad Peak, il Gasherbrum IV…
Sollevando una densa nuvola di polvere
giallastra, l’aereo poggia le ruote sulla
pista naturale di fango secco: siamo
a Skardu, il capoluogo principale del
Baltistan.
Lasciato Skardu risaliamo la valle
dell’Indo, dello Shigar e del Braldo. A
quota 2.000/2.500 m nella vallata sulle
rive degli affluenti sorgono villaggi,
che in mezzo allo sterile terreno si
presentano come verdi oasi. L’acqua
distribuita da un sistema di canali porta
la vita.
Le superfici irrigate hanno campi e
frutteti. L’orzo matura fino a 3.500 m, gli
più alte, sulle quali spicca il Koser
Gang Peak, nella catena del Mango
Gusar. Lasciato Dassu passiamo per il
villaggio di Cutrun, dove c’è una fonte
di acqua calda.
Raggiungiamo poi il passo Stak,
nella valle confluente di destra del
medio Indo, e discendiamo un piccolo
ghiacciaio: stiamo dirigendoci verso il
famoso ghiacciaio Kutiah nel gruppo
dell’Haramosch, catena gigantesca le
cui cime più alte raggiungono la quota
di 7.400 m.
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 25
Questo mutamento dall’itinerario tradizionale per il K2, ci è
stato condizionato dal governo del Pakistan, poiché si devono
svolgere per suo conto degli studi sul ghiacciaio Kutiah.
Questo ghiacciaio infatti si era messo ad avanzare a velocità
impressionante, allungandosi in tre mesi di ben 12 Km, con
una progressione quindi di circa 130 metri al giorno. Questa
massa enorme di ghiaccio che con paurosi boati scendeva
dall’alto, travolgendo tutto e sommergendo magnifiche foreste,
creava il terrore dei villaggi. La sua marcia si era comunque
arrestata a circa due miglia dal primo abitato. Dove prima c’era
vegetazione ora si presentava un immenso ghiacciaio, largo
quasi un chilometro, con uno spessore sulla fronte di circa
200 metri, con crepacci profondi e con guglie di ghiaccio alte
10/12 metri.
Il Professor Desio fece i suoi rilievi e al termine dei quali
ritornammo a Cutrun. Il mattino seguente lasciamo Cutrun
per il paese di Defanza e quando raggiungiamo il villaggio
Pakora siamo investiti da un temporale. Sostiamo qui e
riprendiamo la marcia per il passo di Gatola alto 4.480 m.
La nostra è una marcia dura ed estenuante: unico sollievo è
la candida visione di quei seimila/settemila che dal Gatola
compaiono ai miei occhi: sono tutte vette vergini sopra gli alti
bacini nevosi.
Siamo in ritardo di un giorno sul nostro programma, e siccome
dobbiamo attraversare il fiume Bashar, temiamo che lo “zak”,
a causa del nostro ritardo non ci attenda più per il traghetto.
Lo zak, è uno zatterone tenuto a galla da pelli di capra rigonfie
d’aria. Così è infatti, e al punto convenuto dobbiamo quindi
percorrere altre 15 miglia circa per arrivare ad attraversare il
fiume su di una passerella, detta “jhula”. Così vengono chiamati
i ponti indiani sospesi, costruiti con intreccio di liane, di cui
tre grossi fasci, due per le mani e il terzo per camminarvi,
congiunti verticalmente da fasci minori, con la grande curva
scendente quasi a lambire le acque. Questo ponte sul Bashar
si presenta piuttosto malandato e si deve percorrerlo uno alla
volta. La traversata di uno jhula d’altra parte non è sempre
scevra di emozioni, particolarmente verso il mezzo del ponte,
ove le acque vicine e vorticose danno la strana e nettissima
impressione di un vertiginoso movimento laterale, che l’oscillare
inquietante del ponte accresce e completa. Comunque anche
qui tutto va per il meglio.
Imbocchiamo quindi la valle del Braldo. Nella marcia verso
Askole ci imbattiamo in una fauna ricca e varia, nella quale
signoreggiano gli hibex, gli stambecchi himalayani, che a
gruppi di decine pascolano nel loro regno. Vediamo anche i
camosci. Giungiamo a Askole, che sorge sulle pendici della
grande costiera del Karakorum, a breve distanza dalla fronte
del ghiacciaio Biafo: Askole si trova a 3.052 m ed è l’ultimo
villaggio. Benché molto addentrato nelle montagne, a così alta
quota, Askole ha campi d’orzo e rigogliosi albicocchi. Poco
dopo il paese c’è Tisti, ultima oasi perennemente abitata, dopo
che i nomi di località si riferiscono a posti deserti. Incontriamo
poi il ghiacciaio del Biafo che proviene da una valle di destra e
con la lingua terminale, coperta di morene, invade il letto del
fiume Braldo. Questo ghiacciaio è in regresso: lo trovo in gran
parte coperto da morene e sfasciumi. Costeggiando il Braldo,
arriviamo alla fronte del ghiacciaio del Baltoro, 58 Km, il terzo
ghiacciaio del Karakorum. Nell’idioma baltì, che è un dialetto
tibetano, Baltoro significa donatore di vita. Il primo tratto del
26 | Uomini&Sport | Marzo 2014
Raggiunto Liligo, inizia il
ghiacciaio del Baltoro.
L’irresistibile attrattiva del
versante Sud del K2, una delle
più difficili montagne del
Karakorum.
Baltoro è coperto da grosso materiale morenico: però man mano che avanziamo lo scenario diventa più imponente e affascinante.
È tutto un mondo di strapiombanti pareti, di arditissime guglie di ghiaccio, di vertiginose torri di granito tra i 6.000 e 6.500 m
di altitudine che si apre ai nostri occhi.
Il 23 settembre siamo a Urdukas. Abbiamo notato che il ghiacciaio di Liligo, uno dei tanti tributari del Baltoro, è in lento
regresso. Ad Urdukas, 4.057 m, che sta su un terrazzo a cento metri sopra il Baltoro, si fa ammirare una fioritura miracolosa.
Da Urdukas raggiungiamo a quota 4.627 il vastissimo pianoro di ghiaccio chiamato Concordia, anche questo coperto quasi
totalmente di pietre. Dall’anfiteatro Concordia gli oltre ottomila del Baltoro appaiono nella loro formidabile imponenza: al
Concordia confluiscono i ghiacciai del Falcian Kangri, del Gasherbrum, del Vigne. Una cerchia di vette altissime limitano
l’orizzonte: il Bride Peak (7.654 m), la cima resa famosa dagli ardimenti del Duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia; il
cupolone ghiacciato del Golden Throne Peak (7.312 m) scalato dalla spedizione guidata da Piero Ghiglione, e finalmente, in
fondo alla valle Godwin-Austen, che confluisce nel Baltoro, il K2, l’eccelsa piramide, che con i suoi 8.611 m domina tutti gli altri
colossi. C’è da rimanere disorientati di fronte a questo scenario. Io solo, con tre coolies, faccio una ricognizione fino allo spigolo
che s’innalza per oltre tremila metri verso la vetta del K2.
Il 28 settembre, con tempo instabile, intraprendiamo la marcia del ritorno. L’anno successivo gli italiani vinsero il K2: ma il mio
contributo alla vittoria si limitò alla ricognizione menzionata. Per motivi ancor oggi a me sconosciuti, non venni incluso nel lotto
degli alpinisti della spedizione. Augurai e mi complimentai poi con tutti gli italiani per la fulgida e prestigiosa vittoria del nostro
alpinismo: ma rimpiango ancora oggi di non esserci stato. la seconda parte proseguirà sul prossimo numero
L’articolo viene pubblicato con la gentile concessione della Fondazione Riccardo Cassin.
La selettiva scelta fotografica ci è stata consentita dalla generosa disponibilità di Tino Albani.
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 27
Amici in corrispondenza...
Gentile redazione,
ho letto con grande interesse l’inchiesta sulla professione
della Guida Alpina, un “mestiere” sempre più necessario
soprattutto da quando la montagna è diventata il “campo di
gioco” di un numero sempre maggiore di appassionati. Ma,
come sappiamo, la passione non basta per frequentarla in
modo consapevole e sicuro e la conferma arriva, purtroppo,
dalle cronache quasi quotidiane di incidenti, alcuni dei quali
mortali. Grazie quindi per aver messo sotto i riflettori questi
professionisti, che si sono formati proprio per garantire la
sicurezza di noi appassionati.
Leggo sempre con piacere anche le pagine “storiche”, con
i racconti delle imprese che, nei decenni scorsi, hanno reso
grande nel mondo l’alpinismo lecchese. Sono solide basi su
cui costruire i successi futuri. Avanti così! Buon lavoro.
Paolo Ferrario
Giornalista -Lecco-
Cari amici di Uomini e Sport…
Ha qualcosa di insolito, anzi di miracoloso una rivista come
Uomini e Sport che coniuga montagna, sport e divertimento
e al tempo stesso parla di bilanci da far quadrare senza
nascondere i propri interessi commerciali. Come si sa il
divertimento, che i guru dell’alpinismo preferiscono definire
snobisticamente loisir, è una voce quasi ininfluente in quella
ricerca della libertà e di valori assoluti con cui si è soliti
glorificare l’andar per monti. Ciò che più apprezzo in Uomini
e Sport è lo sguardo rivolto verso i nuovi praticanti delle
discipline legate alla montagna (tra i quali, a quanto pare,
ben 100.000 amanti del fuoripista, a loro volta segmentati
in sotto categorie: ski touring classico, race, freeride ognuna
con attrezzatura e interessi specifici). Assecondare questa
migrazione, oltre che con l’uso massivo di internet, con
un’accattivante rivista patinata sarebbe però poca cosa se nelle
pagine non si potessero ritrovare, come di fatto avviene, saggi,
inchieste, orientamenti e anche una fondamentale finestra
aperta sul passato con inedite e appassionanti rievocazioni di
personaggi che hanno fatto grande l’alpinismo. Un mix che fa
onore a questa rivista e a chi, in veste di imprenditore, le offre
un fondamentale sostegno con una passione che va ben oltre
le partite doppie e raramente trova riscontro con altrettanta
generosa disponibilità nelle istituzioni legate alla montagna.
Complimenti vivissimi!
Roberto Serafin
Giornalista -Milano-
Carissima redazione,
la rivista Uomini e Sport, che ho conosciuto grazie al
Concorso Letterario dedicato a Carlo Mauri, mi ha colpito
fin da subito per il suo taglio spigliato, vario e deciso.
A differenza di altre riviste dedicate solo all’alpinismo e
all’arrampicata, Uomini e Sport, pur restando piacevolmente
legata al mondo della montagna e della natura, concede
spazio a molte attività, inframmezzando utili consigli in
merito alle attrezzature necessarie per affrontarle al meglio
e con il massimo della sicurezza possibile. In particolare
apprezzo quegli articoli che presentano sportivi e alpinisti
da un punto di vista un po’ da “dietro le quinte”, cogliendo
aspetti altrimenti sconosciuti. Molto interessante anche
l’inchiesta dedicata alle Guide Alpine, che è riuscita a
mettere a nudo questi professionisti della montagna,
rovistando tra le loro motivazioni ed i loro punti di vista.
Una cosa ha attirato la mia attenzione: il fatto di associare,
nella stessa pagina e con lo stesso spazio, personaggi
che hanno compiuto imprese alpinistiche rischiose ed
eccezionali con atleti di altri sport, evidentemente di livello
tecnico e qualitativo minore. Questo a mio avviso non
sminuisce i primi e non ingigantisce i secondi, perché ogni
vero sportivo deve saper valutare e accettare il valore delle
proprie prestazioni anche in riferimento a quelle degli
altri. Personalmente tengo molto all’etica, ai valori ed alla
correttezza dello sport. A questo proposito su Uomini e
Sport mi piacerebbe vedere, anche saltuariamente, una
rubrica dedicata ai giovani, per cercare di stimolarli, affinché
entrino in questo magico mondo. Poi andrebbe loro spiegato,
anche attraverso esempi negativi e positivi, che lo sport
autentico prevede il rispetto per se stessi, per le regole
e per gli avversari. Una volta applicati questi parametri,
la vittoria è già raggiunta anche se non si vince. Non sta
scritto da nessuna parte che tutti dobbiamo essere campioni.
Tanti campioni fasulli sono stati smascherati mostrando
tutta la loro vigliaccheria e disonestà. Le loro tante vittorie
erano solo fumo, perché raggiunte col doping o col trucco.
Bene! Lo sport non ha bisogno di queste tristi persone.
Un’altra inchiesta, tipo quella dedicata alle Guide Alpine,
potrebbe scandagliare le motivazioni ed il modo di andare
in montagna. Perché andiamo in montagna? Per noi stessi
o per gli altri? Ha più valore il salire l’Everest in fila indiana
come allo sportello delle Poste, grazie a portatori d’alta quota,
corde fisse già predisposte e all’utilizzo di ossigeno, oppure
salire in tutta autonomia il Monte Bianco?
Mi piacerebbe che Uomini e Sport diventasse, sempre di
più, un punto di riferimento a favore dello sport spensierato,
onesto e pulito, che è una cosa meravigliosa.
Roberto Merli
Podenzano [email protected]
df SPORT SPECIALIST
Redazione “Uomini e Sport”
Via Figliodoni, 14 - 23891 Barzanò - LC
28 | Uomini&Sport | Marzo 2014
DOVE VIAGGIA
IL LOGO DF SPORT SPECIALIST
Inviaci una tua fotografia dove compare il
logo df Sport Specialist: sarà qui pubblicata,
mentre a te faremo dono di un simpatico
gadget. Le immagini più curiose e più belle
saranno premiate durante una delle serate
“A tu per tu con i Grandi dello Sport”.
“Piccoli ciclisti crescono”: tanta allegria al Randolario con la
ciclogimkana organizzata da Giretto.it, a Maggianico di Lecco.
Giorgio Berta in Patagonia: a sinistra al Paso Marconi, sullo
Hielo Patagónico Sur. A destra osservando il panorama durante
la traversata del lago Viedma.
Giancarlo Bonardi ha trovato interessante la foto scattata dal
Base Camp Green Lake (m 5000), di fronte al Kangchenjunga,
nell’Himalaya del Sikkim.
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 29
A proposito delle serate “A Tu per Tu ”
SI PARLA DI ENDURANCE...
Doppio appuntamento con la fatica nelle serate
organizzate a Piacenza e Olgiate Olona
Quello dell’ endurance è un tema sempre molto sentito e che
riesce ad appassionare diverse fasce di pubblico.
Per questo, i due incontri tenutisi rispettivamente il 21 febbraio
ad Olgiate Olona ed il 7 marzo a Piacenza presso i rispettivi
punti vendita DF Sport Specialist, hanno riscosso un grande
successo di pubblico.
Le due serate, grazie all’intervento di apprezzatissimi esperti del
campo, il Dott. Huber Rossi allenatore dei migliori maratoneti
mondiali, il Dott. Luca Speciani allenatore e nutrizionista
internazionale ed il Dott. Stefano Codognola laureato in
scienze motorie ed esperto di allenamento funzionale, hanno
potuto affrontare il fenomeno della corsa a 360°.
Le performance dell’atleta evoluto fino a quelle della persona
che appena si affaccia all’attività fisica in modo amatoriale,
hanno dipanato dubbi e soddisfatto puntualmente la curiosità
dei presenti, con consigli preziosi sulla preparazione atletica.
In alto: evidente l’interesse del pubblico che segue
la serata a Piacenza.
In basso: soltanto posti in piedi per chi ha tardato a gremire il
punto vendita df-Sport Specialist di Olgiate Olona.
DF SPORT SPECIALIST
E
BERGAUTO
VIAGGIANO
INSIEME
BMW Lario
Bergauto
30 | Uomini&Sport | Marzo 2014
Una grande serata di DF SPORT SPECIALIST
con Michele Boscacci, Marco Camandona e il mitico Tour de Rutor
U
na serata dedicata agli amanti dello scialpinismo.
Immagini mozzafiato, due grandi campioni e una
gara estrema: tutto questo è andato in scena giovedì
30 gennaio da df-Sport Specialist. L'appuntamento
con "A tu per tu con i grandi dello Sport" ha portato
nel negozio a Bevera di Sirtori, Marco Camandona
e Michele Boscacci. I due protagonisti, grazie alla
conduzione del giornalista Maurizio Torri (www.
sportdimontagna.com), ci hanno portato nel vivo del
Tour du Rutor Extreme.
Una gara leggendaria divisa in tre tappe che vede al via 300 squadre, 600 atleti,
impegnati sui 7000 metri di dislivello positivo spalmato su 75 chilometri di vero
fuoripista. "Lo scialpinismo è uno sport che sta prendendo sempre più piede – ha
detto Maurizio Torri. E' una disciplina che sta crescendo e sta effettuando una vera
rincorsa verso le Olimpiadi e speriamo che ci arrivi al più presto".
Michele Boscacci, atleta 24enne di Albosaggia in Valtellina, ci ha portato all'interno
di una gara mitica dello scialpinismo mondiale: "Ho partecipato a diverse edizioni
del Tour du Rutor e devo dire che, oltre a correre in mezzo a panorami eccezionali e
montagne stupende, è sorprendente il calore della gente. Un aspetto fondamentale
di questo tipo di gare è trovare il compagno giusto. Bisogna
cercare un compagno che è anche un amico. Io corro con
Robert Antonioli: un compagno perfetto, basta uno sguardo
per capire cosa ci passa nella testa". Salite faticose, discese
su neve fresca, creste e canali che presentano passaggi di
alpinismo vero, tutto questo si chiama Tour du Rutor. Alla
regia di questo spettacolo c'è Marco Camandona, Guida
Alpina di Aosta: "Uno degli obiettivi di quest'anno è riuscire
a portare tanti appassionati al Tour du Rutor, vogliamo
avere sul percorso più gente possibile, dai bambini delle
scuole agli amatori, perchè il tifo fa bene prima di tutto agli
atleti". L'appuntamento, quindi, è il 28, 29 e 30 marzo in
Valgrisenche (AO).
Un Sergio Longoni visibilmante
soddisfatto saluta il pubblico che ha
seguito Michele Boscacci
e Marco Camandona.
Alla loro destra, il conduttore della
serata, Maurizio Torri.
Uomini&Sport | Marzo 2014 | 31
A proposito delle serate “A Tu per Tu ”
LA MAGIA DELLO SCIALPINISMO
A proposito delle serate “A Tu per Tu ”
NINA CAPREZ:
L'ALPINISTA CHE AMA DANZARE
SULLE PARETI
Tutto esaurito da df-Sport Specialist per
l'appuntamento con la giovane alpinista elvetica
N
ina la macchina. Così è
soprannominata Nina Caprez,
27 anni, forte alpinista elvetica che
giovedì 27 febbraio ha incantato gli
spettatori di df-Sport Specialist.
Dietro la scorza dura di climber
di grande livello però c'è molto di
più: una ragazza che è stata capace
di prendere il meglio da tutte le esperienze che le ha offerto
la vita andando a costruire, piolo dopo piolo, quella scala che
le ha permesso di arrivare ai vertici come sportiva e come
persona. "Mi sono innamorata dell'arrampicata quando avevo
13 anni – ha spiegato – poi ho cominciato a fare le gare e
contemporaneamente è entrato a far parte della mia vita un
uomo veramente folle, Cedric Lachat. Sono stati tempi felici,
ma dopo 2/3 anni mi stancai di fare le gare, non sopportavo
più la pressione, perciò ho deciso di mollare le gare e Cedric
e andare in Francia, verso Sud, verso il sole".
Da qui Nina ha fatto una serie di esperienze importanti in
giro per il mondo, alla scoperta di luoghi e persone speciali:
"Questo periodo mi ha insegnato tanto e mi ha letteralmente
aperto lo spirito. Sono cresciuta sia come sportiva che
come persona. Ho capito che la mia strada sarebbe stata
l'arrampicata e a quel punto è cominciata la mia vita".
Nina è tornata da Cedric Lachat e da quel momento non si
sono più lasciati: "La nostra prima casa è stata un furgone
con il quale abbiamo cominciato ad andare in giro. Mi sono
accorta che non ero io a cercare le pareti, ma erano loro a
trovare me". Tra i progetti più belli di Nina Caprez c'è la
prima salita femminile della via Silbergeier, la mitica linea
aperta da Beat Kammerlander nel Ratikon: "Mi piace molto
essere donna e mi piace esprimere la mia femminilità anche
nell'arrampicata, mi piace muovermi con estrema leggerezza.
E spesso vado a cercare salite che solitamente affrontano i
maschi per dimostrare che noi donne non siamo da meno".
A Bevera di Sirtori il folto pubblico della platea di df-Sport
Specialist ha potuto gustare un fantastico film dell'impresa
dell'arrampicatrice elvetica che è stata capace, letteralmente,
di giocare con la parete. Insomma abbiamo potuto ammirare
la bravura e la simpatia di una ragazza genuina: "Tutto questo
tempo mi è servito perché adesso so chi sono".
Nina Caprez: questa è vera danza verticale.
L’emozione visibile di Sergio Longoni dice tutto di Nina Caprez.
Al suo fianco, e più che interprete, Christine Kopp.
32| Uomini&Sport | Marzo 2014
I PROSSIMI APPUNTAMENTI
“A Tu per Tu
con i grandi dello Sport”
“Luci in Nord-Ovest”
ALESSANDRO BAÙ
10/04/2014
dalle ore 20.00
“Fino alla magica via”
HANS JÖRG AUER
8/05/2014
dalle ore 20.00
“L’uomo del giardino
di cristallo”
GIAN CARLO GRASSI
nel ricordo di Angelo Siri
5/06/2014
dalle ore 20.00
30 APRILE - evento a sorpresa di “ADIDAS DAY”
www.blufrida.it
SIRTORI - LOC. BEVERA
I NEGOZI DF SPORT SPECIALIST LI TROVI A:
NEWS
MATTIA
GALBIATI
Gennaio ricco di successi per
il judoka df Sport Specialist:
medaglia di bronzo al III°
Torneo Nazionale “Città di
Modena”; medaglia d’oro
e premio come miglior
atleta senior al XIII° Torneo
Nazionale “Città di Castiraga
Vidardo con Marudo” (LO).
STEFANO
CARNATI
Arriva il primo 8c+ per il
fenomenale climber del Team df
Sport Specialist. Un grado che fa
tremare i polsi di tutti quelli che
scalano, che fa sudare le mani
ai pochissimi che se lo possono
permettere, che fa entrare
Stefano, a soli 15 anni, nella
cerchia dei pochissimi scalatori
lombardi capaci di poterlo fare.
CESARE
PISONI
Dopo un anno di stop
per seguire al meglio
le squadre nazionali, il
grande snowboarder del
Team df-sport specialist ha
ripreso a gareggiare. Nella
prima tappa della Coppa
Italia 2014 di Snowboard
Alpinismo, ha conquistato
subito una grande vittoria.
w w w. d f - s p o r t s p e c i a l i s t . i t
[email protected] | sede tel. 039.921551
Milano
Via Palmanova 65-fermate MM Udine/Cimiano
Tel. 02-28970877
Olgiate Olona (VA)
Via Santa Chiara - al fianco di Esselunga e Brico
Tel. 0331-679966
Piacenza
Centro Commerciale “Galleria Porta San Lazzaro”
Via Emilia Parmense
Tel. 0523-594471
Grancia / Lugano (Svizzera)
Parco Commerciale Grancia
Via Cantonale s.n.
Tel. 0041-919944030
Desenzano del Garda (BS)
Centro Commerciale Le Vele
Via Marconi, angolo Via Bezzecca s.n.
Tel. 030-9911845
Mapello (BG)
Centro Commerciale Il Continente
Via Strada Regia 4
Tel. 035-908393
Cremona
Centro Commerciale Cremona Po,
Via Castelleone 108
Tel. 0372-458252
Orio Al Serio (BG)
Via Portico 14 - 16 (vicino Oriocenter)
Tel. 035-530729
Sirtori (LC)
Via delle Industrie,
Provinciale Villasanta-Oggiono, Località Bevera
Tel. 039-9217591
Bellinzago Lombardo (MI)
Centro Commerciale La Corte Lombarda
Tel. 02-95384192
Lissone (MB)
Centro UCI Multisala, Via Nuova Valassina
Tel. 039-2454390
San Giuliano Milanese (MI)
Centro commerciale “C.C. San Giuliano”
Via Emilia - km 315, angolo via Tolstoj
Tel. 02-98289110
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