Mensile di informazione socio economica diretto da Giacomo Mameli n. 3 - anno XV - marzo 2014 - € 2 Gli editoriali di marzo Redazione: via Paruta 4/b 09131 Cagliari . Tel e fax: 070 4524668 . www.sardinews.it . Stampa: Litotipografia Trudu, Cagliari . Reg. Trib. Cagliari 6 del 5/02/2000 . Abb. post. 45% art.2 comma 20/b L. 662/96 - Cagliari La Grande Transumanza di poche idee e molti uomini La Sardegna è dei sardi non deve essere dei cardi Maria Letizia Pruna Tore Corveddu I l costituzionalista Michele Ainis ha proposto nei giorni scorsi, nella sua rubrica Legge e libertà su L’Espresso, alcune soluzioni a un fenomeno di cui non si parla abbastanza: dall’inizio della legislatura, 11 mesi fa, “hanno cambiato gruppo 135 parlamentari (70 a Palazzo Madama, dunque un quarto rispetto alla composizione del Senato).” I senatori, evidentemente, hanno in sé una disposizione spiccata per il movimento. In media, ogni mese (compreso agosto), una dozzina di parlamentari ha cambiato gruppo. È la Grande Transumanza, come la definisce Ainis, che va in scena a ogni legislatura (nella precedente pare siano stati 161 i parlamentari che hanno cambiato casacca più e più volte). Camera e Senato sembrano corrispondere all’immagine che usiamo in sociologia per spiegare la grande mobilità interna al mercato del lavoro: un cinema, in cui si cambia posto frequentemente, così come si cambiano i lavori (i jobs cui fa riferimento il piano di Matteo Renzi, e speriamo non siano gli stessi jobs di Roberto Maroni e Maurizio Sacconi). Nel Parlamento ci sono quelli che si spostano all’interno di uno stesso schieramento (di centrodestra o di centrosinistra), altri che scavalcano a piè pari il confine – forse non troppo chiaro – tra i due. Quelli più timidi - i veri “moderati” - fanno solo un breve passo verso il centro, da destra o da sinistra. In questi movimenti si formano nuovi gruppi parlamentari, variamente denominati, che nascono anche grazie alle deroghe sul numero minimo di parlamentari necessario per costituire un gruppo autonomo (20 deputati o 10 senatori). In questa legislatura alla Camera beneficiano di deroga (finora) il gruppo Fratelli d’Italia, che ha eletto solo 9 deputati, e il gruppo Per l’Italia che ne ha 19 (con l’Italia nel nome non si riesce a fare numero, a quanto pare). Nella passata legislatura la Grande Transumanza ha avuto protagonisti di grande estro, che hanno percorso senza sforzo distanze politiche notevoli. C’è per esempio il caso del deputato Ga- “U n buon modo per disturbare i manovratori che sono convinti di poter utilizzare a proprio piacimento il territorio sardo, sarebbe quello di chiamare le cose col proprio nome”. Così esordisce nel suo editoriale del 16 marzo scorso il direttore dell’Unione Sarda, Anthony Muroni, dedicato alla riconversione industriale di Porto Torres attraverso la cosiddetta “chimica verde”. Alla buon’ora, e spero che non si tratti di un’iniziativa episodica, che intanto ritengo lodevole, su un tema del quale ho parlato più volte, a partire da una serie di incontri promossi da Sardegna Democratica nel novembre 2011, aventi per titolo “Costruiamo il futuro della Sardegna”. In quell’occasione ci si interrogava su cosa dovesse diventare la Sardegna del futuro, con la consapevolezza che non siamo solo una terra di pastori ma che proprio la terra è il punto fermo da cui ripartire. Anche per questo i Comuni, le scuole e l’università, in quell’occasione, si reputarono lo snodo più importante per tentare di riflettere insieme rispetto a una situazione di rottura delle prospettive di sviluppo che fino a quel momento avevano interessato la Sardegna. Rottura che aveva di fronte, e ha ancora, la crisi industriale e le scellerate decisioni delle imprese che l’hanno accompagnata. È un compito doveroso per le classi dirigenti quello di affrontare le rotture, e i cambiamenti che esse comportano, per poter cogliere le eventuali opportunità. Quando dico che le imprese, specialmente i grandi gruppi (Eni, Alcoa, Eurallumina), hanno adottato scelte scellerate, lo dico a causa di comportamenti colpevoli che hanno fatto passare molte produzioni dalla maturità all’obsolescenza e, conseguentemente, alla chiusura. Ma il paradosso è che alcune di quelle produzioni sono cessate in Sardegna ma sono state trasferite altrove, in Italia e soprattutto all’estero, incluso il Regno Unito della molto conosciuta Ineos (che ha dato origine alla crisi della Vinyls Italia e al conseguente indebolimento del Cracker di Porto Torres). Se a questo aggiungiamo il modo di procedere irresponsabile segue a pagina 26 segue a pagina 27 Politica Politica Quelli che fanno La prima Giunta di Francesco Pigliaru Gianfranco Ganau presidente del Consiglio I partiti (tutti) con le correnti in lotta Il libro-trialogo di Pietro Soddu: autonomia sovranismo federalismo Il voto europeo di maggio La lana di pecora sarda usata negli Airbus I minatori sardi piacciono in Australia Un’App per la parrucchiera last minute Olio San Giuliano 2 marzo 2014 Politica Un appuntamento cruciale per la difesa di un’istituzione da rinnovare non da demolire 25 maggio: voto per l’Unione europea in 28 Paesi Disincanto, populismi, il ruolo di Mario Draghi Paolo Ardu I l 25 maggio circa 500 milioni di cittadini dei 28 Paesi membri dell’Unione Europea eleggeranno l’ottavo Parlamento e la sua presidenza. Un esito che contribuirà, per la prima volta dal 1979, a giocare “un ruolo chiave” nell’elezione del presidente della Commissione europea (organo decisionale su budget e legislazione, insieme al Consiglio). Infatti, a giugno, il presidente del Consiglio europeo si consulterà col Parlamento neoeletto (751 membri più il presidente) su un possibile candidato alla presidenza della Commissione (tenuto conto dell’esito del voto di maggio) che verrà eletto a luglio dalla maggioranza dei componenti dell’assemblea (almeno 376). In applicazione del “ruolo chiave”, stabilito dal Trattato di Lisbona, ben sei dei partiti politici europei hanno deciso di presentare un candidato alla nomina. L’ultimo in ordine di tempo è stato il lussemburghese Claude Juncker (popolari europei, Ppe) votato da 382 delegati contro i 245 dell’ex vicepresidente e Commissario per il mercato interno, il francese Michel Barnier. L’ex primo ministro di un paradiso fiscale e “vecchio rocker del languente progetto europeo” (El Paìs) si scontrerà con “l’impetuoso ex libraio”, il tedesco Martin Schultz, attualmente presidente del Parlamento Eu e candidato socialdemocratico (Pes). Il belga Guy Verhofstadt (Alleanza dei democratici e dei Liberali per l’Europa, Alde), il greco Alexis Tsipras (Sinistra Europea, El), la tedesca Ska Keller e il francese José Bové (entrambi dei Verdi) completano il quadro delle candidature. Il socialdemocratico Schultz nei sondaggi più recenti è dato in leggero vantaggio sul conservatore Juncker. Quest’ultimo, sostenuto da Angela Merkel, dal presidente della Commissione uscente Barroso e da quello del Consiglio Van Rompuy, rappresenta la difesa delle politiche economiche di questi ultimi anni, della gestione della crisi presentata come un successo, dopo il superamento del rischio rottura (coi salvataggi di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna con alla presidenza dell’Eurogruppo lo stesso Juncker). Tuttavia, più efficace nell’azione rispetto a queste politiche per salvare l’Eurozona, è stato Mario Draghi, governatore della Bce. L’austerità, la recessione più profonda del previsto, la disoccupazione (soprattutto quella giovanile) che ha raggiunto picchi altissimi (in Spagna e Italia in particolare) e i dubbi persistenti sia sulle banche che sulle finanze pubbliche di alcuni paesi (tra cui l’Italia), hanno alimentato da mesi un’ondata di eurodisincanto crescente di cui sta approfittando il populismo, come stimano molti recenti sondaggi. In Francia, membro fondatore dell’Ue a cui spetteranno 74 seggi, danno come primo partito col 22 per cento il Front National, movimento nazionalista e antiimmigrati di Marine Le Pen (nel 2009 al 6,3% dei dati reali) che pare aver raggiunto un’intesa insieme all’olandese Geert Wilders (Pvv, anti-islam) “per combattere questo mostro chiamato Europa” in sede di rappresentanza dei movimenti/partiti euroscettici di tutta Europa. La sovranità declinata in tre forme (territoriale, monetaria, di bilancio) è attualmente al centro della loro propaganda. Come in Italia (vedi il caso del M5S), anche in Francia si assiste ad una crescita del voto post-ideologico con gli elettori di Europe Écologie (i Verdi guidati da leader storici di sinistra quali Cohn-Bendit e Bové ed esponenti della società civile) dati al 7 per cento (-9,3 dal 2009) e risucchiati dalla Le Pen, così come in parte l’Ump (la destra europeista di Sarkozy, -6,4), mentre il partito socialista del primo ministro Hollande, ora al governo, pare restare più o meno stabile con un +1 rispetto al 2009. Invece, nella Germania che eleggerà il maggior numero di europarlamentari (96), la Cdu-Csu della Merkel al 40 per cento (+2,1 sul 2009) pare raccogliere i consensi di quell’economia tedesca che tanto ha guadagnato dalla moneta unica, sebbene i socialdemocratici appaiano in forte crescita (26, +5,2 sul 2009). Sembrerebbe senza via d’uscita il continuo crollo dei consensi dei liberali Fdp (già rimasti senza seggi nel Bundestag rinnovato l’anno scorso) al 3,5 (-7,5 sui dati 2009). Nel Regno Unito, che metterà 74 parlamentari, da una parte preoccupa la crescita intorno al 24 per cento (+7,4 sul 2009) dell’Ukip di Farage, partito anti-Europa, che nel gruppo Efd (Europe for Freedom and Democracy) ha come principale partner la Lega Nord e il partito Io Amo l’Italia di Magdi Cristiano Allam. “La retorica dei partiti dell’Efd (razzista e anti-Islam, ndr) contrasta con l’enfasi di Farage che i musulmani sono benvenuti nell’Ukip”, scrive il Guardian. Dall’altra, si registra una significativa ripresa dei Labour, stimati al 33 per cento (+17,2), mentre appaiono in decisa flessione i conservatori di Cameron (23,4) e i liberali (8,9), la cui rispettiva perdita è stimata quasi il 5 per cento sui dati reali precedenti. È in Italia? La novità della lista della sinistra alternativa di Tsipras, dopo un inizio positivo, è in calo, stimato al 6,3 (sondaggio Ixé). Il roboante tamtam mediatico del neo premier Matteo Renzi potrebbe essere dietro la crescita del Pd al 29,1. Cresce anche Forza Italia al 24 (lontana dal 35,3 di voti nel 2009), Lega Nord al 4,7, infine, netto calo del M5S, probabilmente dovuto alle polemiche interne (tra espulsioni e vari abbandoni) che, con l’attuale 21,8 otterrebbe 18-19 seggi su 73 spettanti all’Italia, ingrossando le fila anti-Euro. Se, da una parte, l’austerità ha messo alle corde soprattutto i più deboli, e dall’altra, “l’Unione è troppo grande per fallire”, un parlamento più polarizzato, forse, dovrà trovare nuovi equilibri. Ma i rischi sono tanti. marzo 2014 3 Politica Quasi una schema calcistico per Francesco Pigliaru che passa dal 4-4-4 al 4-3-5 La prima giunta con l’imprimatur-bilancino Sel spaccata dal superpotere di Maschio-alfa Monia Melis I l tempo per il bilancino c’è stato: quasi un mese. La prima giunta regionale del neo presidente della Regione Francesco Pigliaru ha potuto essere soppesata, tastata e testata da tutte le componenti della coalizione di centrosinistra. Dal voto alla proclamazione degli eletti in Consiglio regionale sono passati infatti poco meno di trenta giorni. Tutta colpa della nuova legge elettorale e delle operazioni di scrutinio non concluse in vari seggi, e quindi ecco che il vaglio finale è passato all’ufficio elettorale della Corte d’Appello. Conteggio e riconteggio delle schede annullate fatto dai tribunali. Ma non è stato semplice: a ciò si è aggiunta la polemica sulla distribuzione territoriale dei seggi in Assemblea su cui pendono già tre ricorsi al Tar. Penalizzate, secondo l’interpretazione dell’articolo 17 della nuova legge, le province in cui c’è stata una più alta astensione. Pochi voti, pochi seggi. Il tutto in un contesto di disaffezione generale alle urne: il 16 febbraio ha infatti votato appena il 52,2 per cento degli elettori sardi. Il piatto piange particolarmente in Gallura, Ogliastra e Medio Campidano: le poltrone per la prima sono più che dimezzate. Il tutto a vantaggio di quelle storiche: Sassari e Cagliari. La giunta dei prof. Tra lungaggini, attese e scommesse comunque la giunta del professor Pigliaru è stata ufficializzata il 15 marzo, al giuramento giovedì 20. La premessa iniziale è diventata diktat: niente indagati e scelta per competenza. Con il contorno al vetriolo che ha visto Francesca Barracciu non trovare spazio nell’esecutivo regionale ma entrare direttamente nel governo di Matteo Renzi come sottosegretario alla Cultura. Per lei, vincitrice delle primarie del centrosinistra e candidata mancata per “opportunità politica”, i fantasmi dell’inchiesta bis sui fondi ai gruppi in Consiglio regionale, che la vede indagata per peculato, sono difficili da allontanare. Più che per altri. Ad ogni modo la squadra è pronta all’esordio: il neo-governatore sassarese, già professore di Economia e prorettore dell’università di Cagliari, ha attinto a piene mani dai due atenei isolani. Tanto che gran parte dei nuovi assessori sono anche professori universitari, più della metà: 7 su 12. Proporzione che supera il test dei test: quello sulla spinosa parità di genere: sette uomini, cinque donne. 4 marzo 2014 Un buon risultato considerato che è quasi lo stesso numero totale delle onorevoli elette che siederanno in una delle assemblee meno rosa d’Italia: appunto 4 su 60 consiglieri. Le conferme e i buchi nell’acqua. Rispetto alla girandola estenuante del toto assessori le conferme granitiche rispetto a un mese fa sono solo tre. Una, mai messa in dubbio, è quella di Raffaele Paci. professore di Economia a Cagliari, già direttore del Crenos e con ottimi rapporti di fiducia con il presidente, quindi in quota Pigliaru. E non è un caso che a lui sia andato l’assessorato al Bilancio e Programmazione, quello che fu a suo tempo dell’attuale presidente della Regione quando sedeva nella giunta di Renato Soru, prima della rottura senza ritorno. Altro nome confermato quello di Cristiano Erriu, presidente dell’Anci Sardegna e sindaco di Santadi, ma soprattutto esponente del Pd, di una delle tre aree di peso: quella di Paolo Fadda. A lui va un’altra delega importante: quella all’Urbanistica che ha in dote lo scoglio del Piano paesaggistico regionale. Con la revisione last minute della giunta di Ugo Cappellacci approvata a due giorni dal voto. Di certo Erriu, come tutti i nomi scelti, gode della stima di Pigliaru. Terza conferma, altro prof: il filologo Paolo Maninchedda, da Macomer, sarà assessore ai Lavori pubblici (Partito dei sardi). Il suo nome era stato fatto più volte per l’assessorato alla Cultura. Poi il cambio in corsa. Schemini e metafore calcistiche. Per il resto sono stati giorni di aggiustamenti continui e altrettanti spostamenti di caselle. Con veri schemini e sprecate metafore calcistiche. D’altronde era necessario accontentare gli undici partiti della coalizione che hanno contribuito al risultato finale: Rossomori, Idv-Verdi, Upc, Sinistra sarda, Partito dei sardi, Centro democratico, La Base, Socialisti, Irs, Sel e Pd. Ai democratici va la fetta più importante: hanno conquistato il 22, 06 per cento e via a scendere, alcuni partiti hanno avuto percentuali che non arrivano nemmeno all’1 per cento. Lo schema iniziale pare fosse 4-4-4: quattro nomi scelti dal presidente, quattro dal Pd per meriti sul campo (più il presidente del Consiglio regionale), e quattro da dividere tra Sel, Partito dei Sardi, RossoMori e il Centro democratico. Insomma, uno a testa. Alla fine è stato un 4-3-5, ma con il veto finale di Pigliaru su ogni candidatura. E quindi: quattro al Pd, cinque agli alleati e tre scelti dal governatore. Questa la scaletta con relative deleghe: per il Pd Gianmario Demuro agli Affari generali ( area Renato Soru); Cristiano Erriu (area Paolo Fadda) all’Urbanistica; Massima Deiana ai Trasporti (area Antonello Cabras) e poi Virginia Mura, tecnico, ma che proviene dalla minoranza ex Ds. Gli assessori del governatore, oltre a Paci, sono: Donatella Spano all’Ambiente e il medico e dirigente nuorese Luigi Arru alla Sanità. Programmazione e Sanità – tra gli assessorati più importanti sono stati quindi presi in mano e decisi dal governatore che ha fatto pesare anche il suo nome (ha infatti preso più voti delle liste, in virtù del voto disgiunto). E per le rivendicazioni dei piccoli – come sono stati ribattezzati - la scelta si è complicata ulteriormente con assemblee, riunioni e progetti comuni fino alle dimissioni dell’ultim’ora proprio per le partite ormai chiuse. Politica L’unione fa la forza. È nato in questo contesto il gruppo consiliare “Sardegna vera” che riunisce tutti i cosiddetti partiti piccoli della coalizione (Socialisti, La Base, Upc, Idv-Verdi) che uniti arrivano al 4,9 per cento. Insieme per ottenere un rappresentante di governo. Gli assessori sono cinque, secondo lo schema finale: all’Industria Maria Grazia Piras (“Sardegna vera” appunto, quota Upc), al Turismo Francesco Morandi, indicato dal Centro democratico e poi i nomi che suscitano discordia: l’imprenditrice oristanese Elisabetta Falchi per i Rossomori all’Agricoltura e la dirigente sassarese Claudia Firino per Sel alla Pubblica Istruzione. Resta fuori la lista Prc-Pdci-Sinistra sarda. Per i piccoli comunque un buon risultato considerato il paradosso della nuova legge elettorale che ha lasciato fuori “Sardegna possibile” dall’Assemblea. La candidata alla presidenza Michela Murgia ha raccolto 70mila preferenze e il 10, 30% per cento mentre le tre liste si sono fermate al 6,77 per cento. Non abbastanza per superare lo sbarramento previsto. Ma le regole del gioco si conoscevano dall’inizio. Ed è dalla scrittrice di Cabras, ormai fuori dai giochi, che arriva una bocciatura della giunta «che puzza di vecchie logiche». Così scrive in una nota : «Abbiamo assistito a “tutta la liturgia della spartizione tradizionale: contraccambi romani per poco spontanei passi indietro, settimane di tira e molla tra le correnti Pd, veti incrociati tra potentati del nord e del sud e persino la scena patetica dei minuscoli alleati». E lancia la resistenza esterna: “noi – ribadisce – siamo fuori dal consiglio per scelta precisa di chi ha scritto la legge elettorale». Le dimissioni. Tutto bene, quindi? Accontentati tutti gli interni? Non proprio. Questione di concertazione e democrazia interna. E così succede che il segretario dei Rossomori si dimetta, annuncio dato anche via Facebook come vuole l’etichetta dei nostri giorni. Salvatore Melis ha lasciato l’incarico perché il nome dell’assessore Falchi in quota Rossomori, già presidente di Confagricoltura Sardegna, sarebbe stato fatto in solitaria dal presidente Gesuino Muledda. Una candidatura non condivisa quindi, che non troverebbe riscontro neppure nel numero di voti presi nella provincia di provenienza, Oristano. Maschio alfa o Líder máximo. Partito che vai, dissidio che trovi. Non va meglio a Sel, con una direzione post giunta parecchio contrastata. Anche in questo caso i dissidi ruotano attorno al nome scelto, o meglio, attorno alla componente che l’ha proposto. Pochi dubbi su competenze e personalità di Claudia Firino alla Pubblica istruzione ma spunta il caso Lilli Pruna, docente universitaria di Sociologia del Lavoro e candidata alle scorse politiche. Forse il nome più gettonato, ripetuto con insistenza e dato quasi per certo. Ma poi, nulla da fare, come da copione. Perché ha vinto la corrente del senatore Luciano Uras. E da lì il caso del “maschio alfa” all’interno del partito con la sociologa che, in un duro intervento sul giornale online Sardiniapost, parla di gruppi e riproduzione del potere autoreferenziale, in mano agli uomini che appartengono a un «genere largamente prevalente e prevaricante». E scrive: «Accade però che nella lotta per la propria affermazione e per la riproduzione del proprio gruppo (che non esclude colpi bassi e bassissimi), il maschio alfa utilizzi individui dell’altro sesso, in forme differenti in cui però è sempre riconoscibile (a volerlo vedere) un tratto più o meno elevato di cinismo». Questa la sua lettura di un mancato confronto, non condivisa però da altri esponenti. A partire dal deputato Michele Piras. Eppure, appena due settimane fa, erano arrivate puntualizzazioni con sfumature diverse proprio nei giorni in cui la trattativa per la giunta era ancora in corso. Piras aveva ribadito la necessità di energie fresche e che «la costruzione del governo regionale non è una partita a scacchi. Andiamo oltre il ceto politico consolidato, abbiamo il dovere di cambiare il volto della Sardegna», Uras – sempre a colpi di comunicato - aveva dato rassicurazioni sulla sua permanenza a Roma, in qualità di senatore e chiesto «collegialità nella scelta». La sfida. Per la giunta, scelta con così tanta cura, comunque è ormai tempo di sfide. Quelle messe sul piatto dal presidente Pigliaru sono: semplificazione burocratica e amministrativa, edilizia scolastica, patto di stabilità, analisi della spesa e job act. E proprio il lavoro è la vera emergenza della Sardegna: secondo i dati della Cisl Sardegna è al 29 per cento. Scoraggiati inclusi. Spesso distanti dalla politica, di certo dagli schemi e dai bilancini. Gianfranco Ganau presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau, 58 anni, medico, ex sindaco di Sassari ed esponente del Pd, è il 25.mo presidente del Consiglio regionale della Sardegna. È stato eletto con 34 voti, due in meno della maggioranza di centrosinistra che conta su 36 seggi dei 60 dell’assemblea di via Roma. “Ci sarà un confronto costante tra il Consiglio regionale e la Giunta presieduta da Francesco Pigliaru, che ha già posto la questione al neo presidente Gianfranco Ganau”. Lo ha riferito lo stesso Ganau durante un incontro con i cronisti poco dopo la sua elezione e il passaggio di consegne con l’uscente Claudia Lombardo. Appena eletto presidente Ganau ha fissato la prossima seduta dell’aula per giovedì 27 marzo, alle 10.30, per l’elezione dei componenti dell’ufficio di presidenza, a partire dai due vicepresidenti dell’assemblea, i tre questori e un segretario. Per quanto riguarda i vicepresidenti, la maggioranza di centrosinistra dovrebbe far convergere i propri voti su Eugenio Lai (Sel), sindaco di Escolca e consigliere più giovane in questa quindicesima legislatura. La minoranza di centrodestra potrebbe, invece, decidere di puntare su Antonello Peru (Forza Italia). “Sono consapevole del difficile momento che sta attraversando il popolo sardo - ha detto Ganau. Mi impegno per creare le condizioni migliori per dare risposte alle tante attese e criticità”. Hanno collaborato a questo numero: Paolo Ardu, politologo, esperto di politiche europee, laurea in Scienze politiche a Firenze; Emilio Bellu, critico cinematografico; Marco Bertuccelli, esperto di trasporti; Maddalena Brunetti, giornalista; Anna Maria Capraro, insegnante di Lettere alle superiori di Oristano; Pietro Ciarlo, ordinario di Diritto costituzionale, università di Cagliari; Pierluigi Cocco, Epidemiologo; Carla Colombi, sociologa, collaboratrice di Sardinews; Tore Corveddu, ex segretario nazionale dei chimici della Cgil; Alesandra Corrias, sociologa; Massimo Deiana, docente di Diritto della navigazione, assessore ai Trasporti Regione Sardegna; Mario Frongia, giornalista professionista; Francesca Lai, neolaureata in Lettere, collaboratrice di Sardinews; Massimo Lai, avvocato, specialista in diritto amministrativo e scienza dell’amministrazione; Alessandro Lanza, economista, amministratore delegato di Eni Corporate University; Davide Madeddu, giornalista, corrispondente de L’Unità; Lorenzo Manunza, giornalista professionista disoccupato; Pietro Maurandi, economista; Monia Melis, collaboratrice di Sardinews; Rita Melis, avvocato tributarista; Matteo Meloni, giornalista; Micaela Morelli, ordinario di Farmacologia, università di Cagliari; Giorgio Pisano, giornalista; Giovanni Lorenzo Porrà, giornalista; Maria Letizia Pruna, sociologa, università di Cagliari; Valentina Serra, ricercatrice di Letteratura tedesca, università di Cagliari; Amedeo Spagnuolo, docente di Lettere e Filosofia a Nuoro, giornalista pubblicista; Uffici studi Banco di Sardegna; Arel, Aspes, Prometeia, Banca d’Italia, Cgil, Confindustria, Crenos, Istat, Eurostat; grafica Puntotif; la vignetta della prima pagina è di Bruno Olivieri. marzo 2014 5 Politica Il ritratto del neo presidente della Regione scritto da un autorevole economista-amico, Alessandro Lanza Studi, amicizie, letture di Francesco Pigliaru Cercare di capire la ricchezza delle Nazioni Alessandro Lanza Alessandro Lanza è un economista cagliaritano di nascita e sassarese di vita. Ha studiato a Sassari e poi a Londra (UCL) dove ha conseguito il dottorato. Ha lavorato per oltre 20 anni all’Eni dove ha ricoperto diversi ruoli: capo economista, direttore della Fondazione Eni Enrico Mattei e, da ultimo, amministratore delegato di Eni Corporate University. È un esperto di energia e ambiente in particolare sui temi del cambiamento climatico. Oggi svolge un’intensa attività di consulenza sia in Italia che all’estero. Tra gli amici più vicini al nuovo presidente della Regione, Sardinews gli ha chiesto di raccontarlo ai propri lettori. C onosco Francesco Pigliaru da un quarto di secolo. È questo lo spazio di tempo che ci ha portato ad essere da poco più che ragazzi uomini fatti e finiti. Lo spazio delle incertezze, delle speranze, di grandi sofferenze e anche di gioie. Eravamo ragazzi e figli e oggi siamo padri. Con queste poche righe non intendo violare uno spazio personale. Non ne sarei capace e Francesco certamente non lo apprezzerebbe. Né desidero – per carità - scrivere un pezzo che suoni come fosse un “coccodrillo”. Raccolgo invece l’invito di Giacomo Mameli - che è peraltro un comune amico - per raccontare in poche righe quello che a me sembra un percorso intellettuale, civile e politico culminato con la sua recente elezione a presidente della Regione Sardegna. Lo faccio tuttavia dalla mia prospettiva ovvero quella di un amico che ha condiviso parti di questo percorso. Se faccio l’economista lo devo a una persona e a un libro. La persona è ovviamente Francesco che ho conosciuto nella primavera del 1980. Io avevo appena sostenuto l’esame di Economia presso la Facoltà di Scienze politiche a Sassari, mentre Francesco - più grande di me di qualche anno - era già laureato e aveva completato un anno di specializzazione presso la Scuola Enrico Mattei di Milano. Mi ero iscritto a quella facoltà indipendentemente da Francesco - che non conoscevo - ma ho trovato un ambiente che ancora risuonava del passaggio di una generazione di studenti capaci, impegnati e svegli. Francesco, per l’appunto, ma anche Luigi Guiso e Marco Vannini, oggi professore presso l’università di Sassari e molti altri ancora. Tutti aiutati e sostenuti dal sorriso, dall’intelligenza e dalla 6 marzo 2014 tenacia dell’indimenticata Anna Maria Cecaro che voglio ricordare qui e che di questa elezione sarebbe felicissima. Non so perché siamo diventati amici. In fondo la differenza d’età non giocava a favore. Eppure ricordo una primavera di lunghe chiacchierate notturne e gite ad Alghero. Antonello Grimaldi - altro sassarese molto noto e pronto alla diaspora che di lì a poco ci avrebbe colpito tutti - è stato complice e amico di sempre. In quella primavera si sono giocati diversi destini. Non il mio, almeno non nell’immediato, poiché avevo ancora l’università da fare ma certamente quella dei miei sodali di gite notturne. Antonello - che attendeva l’ammissione alla Scuola di Cinema della Gaumont a Roma, e Francesco, che attendeva l’esito di una borsa di studio per l’estero bandita dall’Istituto Bancario San Paolo di Torino. In quelle settimane sosteneva di non essere poi così interessato al mestiere di economista. Ovviamente, lo faceva per scaramanzia pura, per esorcizzare il caso in cui non fosse riuscito ad ottenere il finanziamento. In quei mesi percorreva altri sentieri. Con Antonello Grimaldi e altri appassionati di cinema aveva fatto nascere il circolo “Antoine Doinel” per portare a Sassari film che non sarebbero mai arrivati nei circuiti commerciali. Per queste rassegne Francesco realizzò alcuni manifesti che mostravano qualche talento grafico. Con precoce understatement Francesco non li firmò mai ma ne rimangono alcune copie a dimostrare che, chissà, nella vita avrebbe potuto anche fare altro. Ammissioni e borse di studio arrivarono pun- tualmente e nel settembre di quell’anno io e lui accompagnammo Antonello alla Stazione di Sassari. Francesco partì dopo e fui io ad accompagnarlo a prendere la nave. Seguirono anni di formazione e studio molto intenso. Nel mondo di Erasmus e di Master and Back è difficile spiegare quanto poteva essere lontana Cambridge e non solo fisicamente. Qualche anno dopo il rientro in Sardegna a Cagliari presso la facoltà di Scienze politiche con Antonio Sassu ci fu l’incontro con Raffaele Paci. Una storia che si conosce ma che vale la pena di ricordare per sottolineare la capacità di quel gruppo di persone, colleghi ma anche amici, di creare una cantera da far impallidire quella del Barcellona. Iniziava in quel modo l’attività di professore che certamente gli ha dato molte soddisfazioni più volte richiamate anche durante la campagna elettorale. Seguiranno altre esperienze di studio - un lungo periodo di permanenza negli Stati Uniti e poi di il Consiglio di amministrazione del Banco di Sardegna con Sebastiano Brusco e infine l’impegno politico nella giunta guidata da Renato Soru. Ma questo è un pezzo di biografia che molti già conoscono. Da un punto di vista scientifico, Francesco Pigliaru si è sempre occupato in tempi e modi diversi di temi legati allo sviluppo economico. A partire dalla tesi di laurea, la domanda centrale del suo percorso intellettuale e accademico ha sempre incrociato l’analisi delle determinanti dello sviluppo economico. Naturalmente, nel corso degli anni, la teoria economica e la pratica statistica hanno messo in evidenza nuovi approcci e diversi modi per valutare le differenti performance, tuttavia il tema del successo e dell’insuccesso dei differenti modelli di sviluppo rimane una costante nel suo percorso. Capire perché due aree che sembravano dotate delle stesse ricchezze e possibilità hanno poi seguito un modello totalmente divergente resta un elemento di riflessione. E naturalmente - e non poteva essere diversamente - queste condizioni di divergenza vanno ricercate anche in elementi istituzionali e di governo. Nelle prime pagine di quel meraviglioso libro che è “Armi, acciaio e malattie” l’antropologo americano Jared Mason Diamond si accompagna con il suo amico indigeno che con disarmante sempli- Politica Francesco Pigliaru e il figlio Lorenzo al mare a Santa Margherita di Pula Francesco Pigliaru col suo collega Sergio Paba e il figlio Lorenzo ad Antagnod, in valle d’Aosta Francesco Pigliaru con la mamma Rina in vacanza ad Alghero Francesco Pigliaru, primo a sinistra, col fratello Giovanni e i genitori Rina Fancellu e il padre Antonio il giorno della prima Comunione a Sassari cità gli chiede “Perché (voi bianchi) avete tutto e noi (indigeni) non abbiamo niente”? Se dovessi sintetizzare in due righe lo sforzo di attività di ricerca direi che questa sia la direzione giusta. Cercare di capire la ricchezza delle Nazioni e spiegarne le differenti dinamiche. Un tema che abbraccia certamente l’economia ma anche la politica. In questo quadro si inserisce con coerenza l’interesse per i temi del turismo e in particolare per il turismo che abbia nelle risorse naturali e nella loro conservazione e valorizzazione un punto di forza. Su questi temi abbiamo scritto insieme diversi articoli che credo abbiano contribuito a focalizzare il tema dell’economia del turismo, un argomento fino ad allora non molto considerato dall’accademia internazionale. Chiudo queste poche righe facendo al mio amico presidente e alla nostra terra un augurio di buon viaggio. Sono certo che il futuro della Sardegna sia in buone mani e questa è finalmente una bella notizia, una notizia che in molti aspettavamo da tempo. Vittoria la mia parrucchiera via Castiglione 57 Cagliari - tel. 070487708 marzo 2014 7 politica Al via la quindicesima legislatura, il governo della Sardegna affidato ai cinquantenni Sette professori nella giunta Pigliaru Sassari fa il pieno, 5 donne e 7 uomini Maddalena Brunetti A ll’indomani della proclamazione ufficiale degli eletti – arrivata a quasi un mese dalla chiamata alle urne – il nuovo presidente della Regione, l’economista Francesco Pigliaru ha varato la sua giunta. Ed è un esecutivo “sassaricentrico”, con un età media di 53 anni, composto per metà da professori (6 su 12 senza contare lo stesso governatore) e con cinque donne alla guida di altrettanti assessorati. Ma ecco, nel dettaglio, chi sono i nuovi assessori. Pigliaru ha affidato il delicato compito di gestire la Programmazione, il bilancio, il credito e l’assetto del territorio all’amico e collega Raffaele Paci, con il quale ha fondato il CrenoS (il centro studi economici Nord Sud), ora suo braccio destro alla guida della Sardegna. Paci ha 58 anni, è nato a Sassari ma vive da sempre a Cagliari dove è professore ordinario di Economia Applicata alla facoltà di Scienze Politiche. Agli Affari generali, personale e riforma Regione è stato scelto il costituzionalista sassarese Gianmario Demuro che ha 53 anni ed è professore ordinario di Diritto costituzionale nella facoltà di Giurisprudenza dell’università di Cagliari. È inoltre Adjunct Professor in European Governance alla John Marshall Law School di Chicago e direttore del Master su “La Governance multilivello”. È stato Componente del direttivo della Associazione dei costituzionalisti italiani e del Comitato scientifico del corso di Dottorato di ricerca in Diritto costituzionale dell’università di Ferrara. È anche componente della direzione scientifica della collana editoriale “Per una koinè costituzionale”. Agli Enti locali, finanze ed urbanistica ci sarà uno dei pochi politici di questa Giunta ossia Cristiano Erriu (Pd). Sindaco di Santadi (Sulcis) Erriu ha 50 anni, è presidente dell’Anci Sardegna oltre che direttore generale del Centro servizi imprese dell’Azienda speciale della Camera di commercio di Cagliari. È laureato in Giurisprudenza con un Master in Business Administration conseguito all’università di Bologna. Ancora un professore,invece, per l’assessorato al Turismo, artigianato e commercio guidato da Francesco Morandi 49 anni, nato a Modena ma da anni ad Olbia. È professore ordinario di Diritto del turismo e di Diritto della navigazione e dei 8 marzo 2014 trasporti alla facoltà di Economia dell’università di Sassari, presidente del Corso di Laurea in Economia e Management del turismo al polo universitario di Olbia. Sempre un docente, ma con grande dimestichezza con la politica, per i Lavori pubblici affidati a Paolo Maninchedda. Professore ordinario di Filologia Romanza alla facoltà di Lingue dell’università di Cagliari, Maninchedda ha 53 anni ed è originario di Macomer (Nuoro) è stato consigliere regionale nella XIII e XIV legislatura ed ha presieduto le Commissioni Permanenti Autonomia e Bilancio. A capo dei Trasporti c’è Massimo Deiana, cagliaritano di 52 anni, è professore ordinario di Diritto della Navigazione ed è stato preside della Facoltà di Giurisprudenza. È stato consulente dell’assessorato regionale dei Trasporti, componente della Commissione paritetica Stato-Regione per l’APQ (Accordo di Programma Quadro) sui trasporti esterni e la continuità territoriale. Aspirava all’Autorità portuale di Cagliari andata invece all’ex senatore del Pdl Piergiorgio Massidda la cui nomina ha contribuito a fare annullare con i suoi ricorsi. Il delicato e strategico assessorato alla Sanità è finito nelle mani dell’ematologo Luigi Arru, nuorese di 53 anni. Presidente dell’Ordine dei medici della Provincia di Nuoro è anche coordinatore Centro studi nazionale documentazione e ricerche della federazione nazionale ordine dei medici. Il suo nome aveva sollevato qualche perplessità poiché suo fratello Antonello Arru è presidente del Banco di Sardegna. L’Agricoltura e riforma agro-pastorale resta di competenza oristanese con la presidente regionale di Confagricoltura Elisabetta Falchi. Imprenditrice agricola di 49 anni , gestisce i terreni di famiglia coltivati prevalentemente a riso. Le deleghe alla Difesa dell’ambiente vanno a Donatella Spano, sassarese di 56 anni, che è professore ordinario in Scienze e tecnologie dei sistemi arborei e forestali del dipartimento di Scienze della natura e del territorio dell’università di Sassari. È presidente eletta della Società italiana per le scienze del clima ed è stata componente della Commissione grandi rischi della Protezione civile nazionale. L’Industria sarà gestita da Maria Grazia Piras, anche lei di Sassari. Piras ha 61 anni, è presidente del Fai regionale (Fondo Ambiente Italiano) oltre che consigliere di amministrazione del Banco di Sardegna. Altro assessorato di peso è quello al Lavoro, formazione professionale, cooperazione e sicurezza sociale assegnato a Virginia Mura, cagliaritana di 64 anni, è direttore della Direzione regionale del Lavoro per la Sardegna, già direttore reggente delle Direzioni Provinciali del Lavoro di Cagliari e Nuoro. Infine l’Assessorato alla Pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport è andato alla più giovane ricercatrice del Cnr Claudia Firino cagliaritana che ha 35 anni ed è Project Manager al Cnr - Istituto di storia del Mediterraneo (ISEM). È dirigente della squadra di pallacanestro Superga Cagliari ed è stata vicepresidente della Uildm (Unione italiana lotta alla distrofiamuscolare). Libri A Perdasdefogu la prima presentazione pubblica del libro-tripla intervista di Pietro Soddu Quel dilemma irrisolto dell’identità in Sardegna con un elettore su due allergico ai seggi elettorali Francesca Lai Q uanto la Sardegna pesa sul piano nazionale? E che cos’è questo dibattito eterno fra autonomia, indipendentismo, sovranità? Se ne è parlato ai primi di marzo a Perdasdefogu, nella biblioteca comunale “Daniele Lai”, attorno al nuovo libro di uno degli ex presidenti della Regione, Pietro Soddu, sempre democristiano, “La Sardegna, il tempo non aspetta tempo dialogo tra un Autonomista, un Federalista e un Sovranista” (Edes edizioni). La forma dialogica proposta dall’autore (giunto in gran forma a 85 ani) è quella delle antiche gare poetiche. Nel dialogo Soddu si triplica riuscendo nel compito non semplice, di “diventare” ogni volta federalista, autonomista, sovranista, entrando appieno nella mentalità dei suoi personaggi. Con questo giovo dialogico ci si può immedesimare nel pensiero altrui, non per cercare un terreno di scontro ma quello della condivisone. I problemi affrontati sono stati molteplici, tutti attorno all’identità sarda, di cosa occorra per far riprendere l’isola dalla crisi che pare non allentare la sua morsa, in un’isola dove conta più l’astensionismo elettorale del voto. L’indipendentista Franciscu Sedda ha aperto il dibattito, moderato dal giornalista Anthony Muroni, direttore de L’Unione Sarda. “La sovranità - come recita la nostra Costituzione - appartiene al popolo, ma la sovranità in Sardegna – ha detto il semiologo (insegna a Roma alla Sapienza) - è mancata nelle scuole, dove la storia dell’ Isola non si studia, sembra che non abbiamo i mezzi per formare una coscienza nazionale comune. E pur sapendo che l’isola ha avuto un passato di nazione ci manca una memoria collettiva, è su questo punto che si crea un nodo politico”. I sardi si possono riconoscere come nazione? Se un catalano per esempio può sentirsi tale ma non spagnolo, questo discorso può valere per noi sardi? Possiamo sentirci sardi ma non italiani? La Sardegna ha subito 500 anni di dominazione spagnola eppure nessuno di noi si sente spagnolo, fra qualche anno potrebbe verificarsi la stessa situazione anche per l’Italia? Se la Sardegna dovesse diventare indipendente, se scoprissimo la nostra idea di nazione l’Italia non esisterebbe più, non po- Da destra: Anthony Muroni, Pietro Soddu, Franciscu Sedda e il sindaco di Perdasdefogu Mariano Carta. trebbe di certo esserci una nazione Sarda e una nazione Italiana. Il federalista ammetterebbe l’esistenza di uno stato plurinazionale, l’indipendentista no, la Sardegna non trova accoglienza in uno Stato che si crede mononazionale. Il commento di Pietro Soddu ha riguardato la concezione di identità sarda, ha ricordato al pubblico presente che la nostra concezione di tempo non differisce da quella degli altri occidentali, siamo entrati tutti nello stesso momento nella modernità, ma sembra che la Sardegna non abbia un’identità comune non avendo mai avuto un poeta cantore della nazione sarda né un eroe sardo. In questo momento la Sardegna ha bisogno di una formula che tenga unite modernità identità e cittadinanza, quest’ultima che può sembrare un concetto scontato, è quella che ci garantisce tutti i nostri diritti, la nuova questione sarda deve partire dalla rivendicazione della triade sopracitata, una corrente di pensiero che ritiene di fare un passo avanti con cautela e coraggio, la costituzione di autonomia speciale non è più sufficiente e non garantisce che la triade rimanga in piedi intatta. Sarà compito del Consiglio regionale affrontare i grandi problemi che gli si presentano, ne sarà in grado? In Sardegna non è possibile fare una sintesi dei problemi perché l’isola esige la ricostruzione dell’intero apparato socio-economico: il Consiglio regionale potrà affrontare tutto questo? A prendere la parola a fine serata sono Mariano Carta e Romina Mura, sindaci rispettivamente di Perdasdefogu e Sadali. Carta parlando della questione drammatica in cui si trova la Sardegna, e del fatto che ci sia una vera necessità di proposte immediate e che le forze politiche debbano prendersi la responsabilità di far star bene la nostra regione, ritiene non esista indipendentismo, non esista il federalismo ma che debba esistere solo la coesione delle forze, “se noi stessimo bene come regione non andremo alla ricerca di un modello, è lo stato di necessità insomma che ci impone di cambiare”. Romina Mura – deputato Pd - sottolinea che paradossalmente proprio perché un’isola la Sardegna potrebbe essere vista da fuori come nazione, ma vista dall’interno assolutamente no, non è in grado di interagire con lo Stato, a causa di tutti i problemi che gravano sulla stabilità economica. Il cosiddetto problema a ciambella, zone costiere popolate e meglio organizzate rispetto alle zone interne, i problemi legati all’istruzione, non si ha il medesimo diritto allo studio, gli ospedali lontani dai centri interni, pongono gravi dubbi sull’idea di indipendentismo. Che tipo di indipendentismo vogliamo? O potremmo avere con tutti questi problemi? Da cosa e da chi dobbiamo renderci indipendenti si chiede la Mura. “La Sardegna può essere forse governata con la propria autonomia, ma da sardi dobbiamo cambiare il nostro modo di essere, dobbiamo lasciare le tare ataviche che da sempre ci contraddistinguono, dobbiamo essere guidati dalla modernità, dobbiamo renderci competitivi e invece la nostra regione mostra un dispersione scolastica del 27 per cento e lo spopolamento continua a essere devastante. Per entrare nella modernità dobbiamo essere competitivi”. Come dire che i problemi della Sardegna non sono legati solo alla trilogia proposta da Soddu ma alla mancanza di formazione del singolo cittadino. marzo 2014 9 Grandi sardi Un secolo fa nasceva il gigante-studioso che ha rivelato al mondo la Sardegna del megalitismo Giovanni Lilliu, un uomo, una civiltà Storico, archeologo, poeta delle pietre Giovanni Lorenzo Porrà D a “esperto di pietre vecchie”, come il padre definiva con disapprovazione la carriera del figlio, volendolo avvocato o medico, a rivelatore di un intero mondo, la civiltà nuragica, e fondatore di una disciplina, la Storia e Protostoria della Sardegna. La vita di Giovanni Lilliu,”Sardus Pater” nato nel 1914 e mancato nel 2012, è simile a quella di altri uomini che sono stati pionieri. Da ragazzo esplorava le pietre vicino alle colline della sua Barumini e da grande avrebbe svelato quella reggia patrimonio mondiale dell’umanità; poi ancora tante altre scoperte in tutta l’isola, la carriera come docente, la nomina ad accademico dei Lincei. “Ma non ha insegnato solo l’archeologia – racconta la figlia Caterina, anche lei archeologa – la sua materia è stata l’amore per la Sardegna e la sua storia, e l’ha trasmesso a tutti, raccontandolo nei suoi libri come un poeta”. Per il centenario della sua nascita gli viene dedicata una mostra, solo l’ultima dopo molte altre celebrazioni. “L’isola delle torri” apre a Cagliari nei locali della Torre di San Pancrazio e raccoglie migliaia di reperti della civiltà nuragica da tutta la Sardegna e oltre: alcuni hanno passato anni in polverosi magazzini, altri sono stati sottratti a “collezionisti” che li tenevano nel loro salotto. Tutto possibile grazie alla collaborazione tra varie soprintendenze, come dichiara con orgoglio Marco Minoja, dirigente di quelle ai beni archeologici di Cagliari-Oristano e Sassari -Nuoro. Ma soprattutto la mostra varcherà il Mediterraneo per andare a Roma; non capitava dall’85, con “Nuraghi a Milano”. E chissà che questa volta non scateni una nuova “nuraghe mania”, spingendo il turismo anche nelle zone dell’interno sardo. Tra le vetrine cammina emozionato e felice Enrico Atzeni, già docente di Paletnologia e Antichità Sarde e per tanti anni collega di Lilliu: ascoltarlo è come aprire un libro di storia, e basta poco per riportargli alla mente un ricordo. Come quella volta nel 1977 vicino a Tharros: “ ci trattenemmo con Lilliu un pomeriggio e in una pozza d’acqua avemmo la gioia e la fortuna di tirar fuori una grande testa di una statua sicuramente nuragica”; era il primo dei “Giganti” su cui verrà aperta a breve un’altra mostra a Cabras. Oppure quell’altra “quando trovammo prove di civiltà pre nuragiche, che parlavano di insediamenti in Sardegna risalenti al terzo o al quarto millennio avanti Cristo”. Erano davvero i tempi d’oro dell’archeologia, quando quasi bastava scavare per trovare qualche reperto straordinario. Ma l’impegno di Lilliu fu anche politico: prima consigliere regionale e poi comunale a Cagliari. Dieci anni di lavoro per proteggere il patrimonio della Sardegna, ma anche chiedere infrastrutture, e maggiore autonomia. Quell’autonomia che traeva le sue fondamenta sulla “costante resistenziale sarda”, che Lilliu aveva teorizzato in un omonimo libro; “La Sardegna, in ogni tempo, ha avuto uno strano marchio storico: quello di essere stata sempre dominata (in qualche modo ancora oggi), ma di avere sempre resistito (…) i Sardi hanno avuto l’aggressione di integrazioni di ogni specie ma sono riusciti a conservarsi sempre se stessi.” L’immagine del sardo testardo e diffidente cessava di essere uno stereotipo e acquisiva invece una dignità storica, un tratto culturale; tuttavia Lilliu badava bene a precisare anche che l’isola fu sempre anche aperta ai commerci. Lo provano i reperti nuragici esposti nella mostra: come un vaso ritrovato a Montevetrano, risalente al VII se10 marzo 2014 colo avanti Cristo, o due bellissime navicelle del IV secolo scoperte presso Tarquinia. “Ci parlano di una Sardegna viva e attiva nell’età del ferro, più di quanto molti pensino” – racconta Minoja. Pure la costante resistenziale sarda ha avuto grande fortuna, anche perché ha fornito da spunto a rivendicazioni di indipendenza; chissà se questo Lilliu l’avrebbe approvato: “forse non rimarrebbe sorpreso – riflette Giuseppa Tanda, docente di Preistoria e Protostoria della Sardegna e sua allieva – perché era capace di cogliere le novità: ma comunque queste idee superano il suo pensiero. Bisogna mantenere la propria identità, ma anche aprirsi”. Ma com’era Lilliu come professore? “Sempre attento e preciso, ma soprattutto teneva molto alle lezioni pratiche e a portare i suoi studenti presso gli scavi – continua Tanda – una volta a Barumini ci invitò a casa sua e nel giardino mangiammo e discutemmo, c’era chi suonava la chitarra e cantava…in tanti ricordano questi momenti”. Lilliu ha saputo trasmettere la sua passione anche alla figlia Caterina: “il mio primo ricordo è a dieci anni – racconta con naturalezza – quando durante le vacanze estive mi portò agli scavi di Maiorca” ; nel privato era un padre affettuoso, ma “amava avere i suoi momenti privati per pensare; e qualche volta preso dalle sue riflessioni commetteva qualche distrazione, come dimenticare le chiavi nella porta di casa”. Soprattutto è l’affetto il sentimento più forte e sincero che viene fuori ascoltando il ricordo di Lilliu da chi l’ha conosciuto: “chi lascia eredità di insegnamenti e affetti non muore mai, ma vive del bello che ha lasciato in vita” – commenta ancora Atzeni. L’eredità di Lilliu poi si vede nell’entusiasmo di chi gli è stato allievo, perché ancora tanto resta da scoprire: “non conosciamo ancora le origini della civiltà nuragica, e addirittura è incerta la vera funzione dei nuraghi – riassume Tanda; soprattutto “non è stato ancora realizzato il suo sogno: una carta archeologica della Sardegna. Ma per quello – conclude lanciando un appello – avremmo davvero bisogno di uno sponsor”. Arte Maria Antonietta Mameli esplora il tema di “San Giorgio e il Drago” in una mostra collettiva a GovanorArt La fotografa sarda tra New Yorker e Time Dalla Bruce Silverstein eccola a Bonnanaro Carla Colombi È un vero e proprio master and back. Nel segno dell’arte. Che è sinonimo di fotografia. Perché Maria Antonietta Mameli, affermata fotografa internazionale, dal 2007 rappresentata dalla prestigiosa galleria Bruce Silverstein gallery di New York, parteciperà ad una mostra collettiva intitolata ‘San Giorgio e il Drago’ negli spazi espositivi di GovanorArt, a Bonnanaro (in provincia di Sassari), sabato 12 aprile 2014, alle ore 18. Maria Antonietta Mameli ha visto più volte le sue opere esposte presso la galleria Silverstein in mostre personali a New York e Miami, e in Italia al Museo Marino Marini, nel cuore di Firenze. In occasione della mostra al museo del capoluogo toscano è stato pubblicato un catalogo “Maria Antonietta Mameli Free Composition”, con essay di Alberto Salvadori, direttore del museo, e Vicki Goldberg, importante autrice e critica d’arte fotografica per diverse pubblicazioni tra cui il New York Times. Sin dal 2007 le opere di Mameli sono state esposte nelle fiere d’arte più importanti in America e in Europa. Tra le pubblicazioni prestigiose relative a Mameli, una bella recensione della sua prima mostra personale a New York pubblicata dal noto New Yorker magazine e firmata dal critico Vince Aletti; una fotografia commissionata da Time magazine che ha illustrato un lungo articolo sui soldati americani che ritornano a casa dalla guerra in Iraq; tante sue fotografie in un articolo pubblicato su LightBox, popolare blog curato dalla redazione fotografica di Time, che ogni mese, da tutto il mondo, seleziona le immagini piu belle, capaci di definire il mondo moderno. Nel 2011 una opera della serie intitolata “Human Observations - Free Composition” creata su commissione e’ diventata l’immagine ufficiale del Festival internazionale del film del documentario di Firenze - Il festival del documentario più antico del mondo - col risultato che il centro di Firenze per alcune settimane è stato tappezzato da enormi cartelloni con la ‘libera composizione” di Mameli; un panorama formato da una moltitudine di minuscoli passanti della Chinatown di New York catturati da centinaia di scatti fotografici di Mameli che li ha prima osservati dal ponte di Manhattan e poi accuratamente selezionati per poi riprodurli in scala microscopica, sospesi nello spazio vuoto, in una composizione liberamente dettata dalla sua immaginazione. Tutti i personaggi di Mameli sono rigorosamente accompagnati dalla loro ombra e dall’inconfondibile sacchetto rosso di plastica usato in ogni negozio e bancarella di Chinatown. Dal 2013 diverse sue opere fanno parte della collezione di fotografia d’arte della Canon Corporation. Nel giugno 2013 la sua più recente serie di fotografie intitolata “Grand Central Station, Continued” è stata esposta per la prima volta al pubblico ad Art Basel, considerata la piu’ prestigiosa fiera d’arte moderna e contemporanea del pianeta. La nuova serie - una estensione concettuale delle serie precedente di fotografie gia’ scattate a Grand Central – è stata ispirata dalle celebrazioni per i cento anni della bellissima stazione centrale di New York sopravvissuta, nel 1975, al rischio di essere abbattuta grazie all’appassionata difesa da parte di Jackie Kennedy. La stazione centrale di New York per Mameli rappresenta il punto di convergenza della incredibile energia e vitalità della grande mela. Il prossimo aprile, a GovanorArt – una delle gallerie più innovative in Sardegna -. sarà in mostra un’opera della Mameli, insieme alle opere di venticinque artisti di talento che lavorano con diversi media, tra cui pittura, scultura, fotografia, video e performance. Le opere sono state ispirate dal tema di San Giorgio e il Drago; tema tradizionale spesso esplorato in arte e letteratura e interpretato come simbolo della lotta del bene contro il male. Il tema della mostra è stato di ispirazione per molti artisti nel passato, ma resta di grande rilevanza proprio in questi tempi moderni. La mostra è stata ideata dal fondatore di GovanorArt, splendido spazio espositivo di Gian Carlo Marchisio, stimato artista, pittore e scultore discendente da una nota famiglia di artisti torinesi. Marchisio contribuirà alla collettiva con una delle sue opere. In congiunzione alla mostra è stato pubblicato un catalogo dello storico dell’arte e curatore Alessandro Ponzeletti, con essay dal titolo “San Giorgio e il drago, tra mitologia agiografia e arte”. L’inaugurazione della mostra aprirà alle ore 18 del 12 aprile 2014 a GovanorArt, via Budroni 9, Bonnannaro, a una ventina di chlometri da Sassari. marzo 2014 11 Professionalità L’ex direttore Carbosulcis Giuseppe Deriu esalta la capacità di lavoro di un mestiere archiviato in Sardegna 1914: nasceva la federazione dei minatori sardi 2014: mestiere corteggiato in Australia e Honduras Davide Madeddu L’ immagine romantica dell’uomo con elmetto, candela a carburo e piccone che lavora e scava sottoterra è solo un ricordo. L’emotività offerta da immagini e racconti d’altri tempi è stata superata dalla tecnologia e dalla ricerca. Una sorta di ‘lavoro in miniera ai tempi della rete’. Per questo motivo a cento anni dalla fondazione della prima Federazione regionale dei minatori sardi (l’atto costitutivo venne siglato il 1 febbraio del 1914 ), la figura del minatore «ha ancora ragione di esistere». Non solo nel Sulcis Iglesiente, dove è ancora aperta l’ultima miniera di carbone e esistono ancora le altre miniere metallifere da bonificare, ma anche dove si devono portare avanti lavori che riguardano suoli e ambiente. L’occasione per rimarcare il concetto è stata offerta dal convegno promosso ad Iglesias dalla Filctem Cgil regionale in occasione dei cento anni della costituzione della Federazione regionale dei minatori sardi. Prima organizzazione sindacale che ha poi visto nascere le diverse sigle sino a oggi. Tra storia più o meno recente, dall’eccidio di Buggerru del 1904 all’ultima occupazione mineraria, c’è stato spazio anche per ribadire l’importanza del lavoro del minatore nel nuovo millennio. Ossia chi, nell’era del digitale, lavora ancora a mezzo chilometro di profondità facendo i conti con la tecnologia ma, anche, con le avversità di un ambiente non certo confortevole. Il risultato è una «figura tutt’altro che romantica ma super specializzata che ha competenze tanto ambientali quanto sullo studio delle terre e dei suoli, oltre che delle macchine operatrici». D’altronde basta varcare l’ingresso di una galleria, a centinaia di metri di profondità, e riuscire a districarsi tra sensori, e strumenti elettronici che popolano i cunicoli dove si può passare anche in auto, per capire che trascorrere una giornata di lavoro in sottosuolo non è proprio un «lavoro per tutti». Soprattutto per chi non ha una competenza precisa in un settore altamente tecnologico. Lo sa bene anche Giuseppe Deriu, ingegnere con una lunga esperienza nel settore minerario. Prima capo servizio poi direttore nella miniera di carbone di Seruci e Nuraxi Figus. Nella sua lunga 12 marzo 2014 carriera professionale ha visto crescere generazioni di operai, minatori e tecnici. «La figura romantica è un lontanissimo ricordo - premette - da anni il minatore è un operaio o un tecnico altamente specializzato, con una conoscenza dei mezzi, dell’ambiente e dei suoli». Una figura specializzata e complessa, per usare le parole dell’ingegnere, che viaggia con una marcia in più perché, chiarisce Deriu «lavora in una condizione di disagio aggiuntivo: quello del sottosuolo». Ma che «ha una serie di competenze specifiche che vanno dalla conoscenza delle rocce a quella dei suoli, indispensabili anche quando si fanno lavori che non sono strettamente legati a quelli in miniera». A sostenere l’attualità di questa figura professionale, particolarmente ricercata soprattutto all’estero (dall’Honduras all’Australia), sono anche i dirigenti sindacali. Perché nel Sulcis Iglesiente i contesti in cui queste figure professionali diventano indispensabili sono diversi. Da una parte ci sono le vecchie miniere metallifere ormai chiuse ma da bonificare e risanare, dall’altra la miniera di carbone di Nuraxi Figus. Sito minerario che sarà dismesso attraverso un piano decennale ma che i sindacati e lavoratori vorrebbero trasformare in riserva strategica. «Posso dire che la figura del minatore, almeno nel nostro territorio è sempre attuale - spiega Francesco Garau, segretario provinciale della Filctem Cgil - certo non stiamo parlando dei signori col piccone ma, nella maggior parte dei casi, di diplomati con competenza e preparazione di alto livello. Per questo motivo sono convinto che debba avere un ruolo importante anche per il futuro». Una convinzione che Garau, segretario del sindacato che riunisce chimici e minatori del Sulcis Iglesiente spiega in questo modo: «Chi lavora in miniera, e nel caso specifico parlo di miniera di carbone, non si occupa solo o necessariamente dell’estrazione della materia prima ma fa altro». Tipo?«Per esempio studia e partecipa alla ricerca per individuare sbocchi complementari alla mera estrazione del carbone». In questo contesto non vengono poi tralasciate altre due questioni: quella energetica e quella delle bonifiche ambientali. «In altri paesi d’Europa c’è un ritorno all’utilizzo del carbone attraverso sistemi all’avanguardia - argomenta ancora il sindacalista - per questo motivo sono del parere che la miniera di carbone debba rimanere in stand by come una riserva strategica da riavviare in caso di necessità». Eppoi ci sono le bonifiche ambientali che interesseranno le aree minerarie metallifere. «Solo chi ha lavorato in miniera e ci lavora ha contezza di ciò che vuol dire intervenire in quei luoghi ed è quindi nelle condizioni di portare avanti un’opera di bonifica e risanamento ambientale con competenza e professionalità». Quelli che fanno L’azienda di Oscar Ruggeri e Daniela Ducato di Guspini continua a innovare conquistando mercati Lana di pecora sarda nei pannelli degli Airbus E con la lana di mare tetti a efficienza termica Maddalena Brunetti D alle stalle alle stelle e poi di nuovo giù ma questa volta fino agli abissi del mare. Edilana, azienda di Guspini con stabilimenti produttivi anche a Bitt-Nule, fucina pluri-premiata di idee rivoluzionarie e prodotti di eccellenza, non smette di stupire con le innovazioni. Lo fa con gli ultimi due nati di casa Edilana Group: Edilana Fly e Edimare che hanno portato la lana di pecora sarda dagli ovili agli studi di ingegneria aerospaziale e della Conservatoria delle coste alla prese con la posidonia. L’industria di Guspini, ormai leader in Europa nel campo della bioedilizia e dell’efficienza energetica e acustica, è nata dalla geniale intuizione dei coniugi Oscar Ruggeri e Daniela Ducato con la famiglia Crabolu che per primi hanno capito e studiato le straordinarie qualità della lana di pecora sarda trasformandola da prodotto disprezzato sul mercato tessile, a materiale altamente performante per la bioedilizia. Sono così nati gli ormai famosi materassini 10 per cento lana per la coibentazione delle abitazioni che hanno dato il via a una vasta produzione green dalle prestazioni di altissima qualità certificata che ha reso famoso il nome di Edilana a livello internazionale. Ed è così che, nel 2012, è nata Edilana Fly: un team di ingegneri italiani era alla ricerca del materiale ideale per abbattere gli elevati costi del precondizionamento degli aerei in fase di scalo, quando si è imbattuto nei prodotti di Edilana. Così dopo un lavoro di ricerca e dialogo tra i ricercatori di Edilana e quelli aerospaziali sono nati i materassini isolanti montati sugli impianti del precondizionamento a terra degli Airbus 380. Un risultato tecnologicamente avanzato ottenuto con le fibre corte del vello ovino che, grazie a una ingegneria industriale avanzata,diventano straordinario termo-fono-coibente in grado di ridurre l’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera e di far risparmiare il 30 per cento dei consumi ai più grandi aerei del mondo. Il pannello ad alta ingegneria industriale, è planato fino agli States, adottato dall’Airbus Group. Edimare. Ma dopo i cieli l’azienda ha scrutato i mari: lavorando assieme lana di pecora sarda con gli egagropili (conosciuti come palle di mare) composti da fibre legnose della posidonia è stata ottenuta una fibra intelligente: la lana di mare Edimare, Daniela Ducato e Oscar Ruggeri con cui si producono, ad esempio, tetti ad alta efficienza termica che risparmiano fino al 30 per cento in più di energia rispetto al legno e ad altri isolanti. L’ultimo progetto Edimare è nato dopo nove mesi di lavoro, nel rispetto delle indicazioni e ricerca della “linee guida per una gestione sostenibile dei litorali” realizzato dalla Conservatoria delle Coste, all’interno dell’assessorato per la Difesa dell’Ambiente della Regione Sardegna, un esempio di riuscita sinergia tra pubblico e privato. Tutto ha avuto inizio con l’enorme problema rappresentato dai cumuli di posidonia spiaggiata che molti Comuni sardi si trovano ciclicamente ad affrontare con costi elevatissimi. Perché se è vero che la posidonia è un segno di mare sano e pulito, è anche vero che in grosse quantità può far scattare anche il divieto di balneazione per le emergenze igienicosanitarie causate dalle fermentazioni e dalle putrescenze. Emblematico il caso di Alghero: la cittadina, virtuosa nella gestione dei suoi litorali, si era ritrovata a gestire cumuli in eccesso con costi di smaltimento che sarebbero arrivati a un milione di euro. Per questo la Conservatoria delle Costedella Regione ha attivato un tavolo tecnico con l’assessorato degli Enti Locali, e alcune aree marine protette per la corretta gestione della posidonia spiaggiata. Ed è stato in quest’ottica che è nata una fruttuosa interlocuzione tra i Comuni, la Conservatoria, guidata da Alessio Satta, e Edilana che ha come filosofia quella di trasformare i problemi in opportunità e i rifiuti speciali in risorse preziose. Dopo poco meno di un anno di lavoro, in cui sono state messe in rete le rispettive ricerche e conoscenze, è nata Edimare lana di mare, un risultato ottenuto con l’abbinamento dei materiali Edilana che aiutano a superare delle criticità insite nella posidonia. “Non solo Edimare ha prestazioni migliori di materiali come il legno ma è anche molto più green,”, precisa Ruggeri che spiega: “Anche perché la Sardegna importa il legno che viene trasportato sui camion che inquinano”. L’oro del mare. In più, mentre l’azienda lavorava per ottenere la lana di mare è incappata in un’ulteriore scoperta. Dalla posidonia si otteneva un piccola quantità di prodotto di scarto ossia dei microfilamenti color oro, un qualcosa di molto simile al bisso, la preziosa seta marina. Ma anche questo “rifiuto” è stato reinventato per ottenere delle pitture “oro di mare” che tra le altre cose sono molto resistenti. La denuncia. Nonostante le soddisfazioni, l’azienda deve affrontare qualche rammarico.“Ci continuano ad arrivare proposte ‘indecenti’ di chi vuole convincerci a tagliare la lana con i derivati del petrolio, il mondo della ricerca per assurdo finanzia e premia tale insostenibilità appellandola green, come se le filiere petrolchimiche, vedi Porto Torres, non ci avessero insegnato nulla” denuncia Ducato che argomenta: “Ma noi crediamo nell’innovazione e nella filiera 100 per cento carbon free senza contare che con le fibre sintetiche non si migliorerebbe la qualità o le prestazioni dei prodotti, anzi”. marzo 2014 13 Quelli che fanno Il progetto I’m Sardegna col Formez e l’università di Cagliari fa tappa alle vigne Surrau Full immersione tra vini turismo e auto New economy nella sala del vermentino Mario Frongia I l territorio, l’innovazione, il futuro. Competenze, saperi, voglia di mettersi in gioco. Un cammino che guarda oltre i consueti steccati. Costruito con partner accreditati. Tra questi, ateneo di Cagliari e Formez. Il progetto I’M Sardegna ha fatto tappa alle Cantine Surrau. Frullate il tutto ed ecco uno scenario che dà un po’ di salutare ottimismo. La Gallura ospita e regala emozioni. Da sempre. Ma se c’è da capire quali strategie siano vincenti, in che modo si intercettano mercati sofisticati come quelli dei vini doc, dove passa il domani per un’impresa innovativa che non intacca i patrimoni tradizionali e naturalistici, la risposta è semplice. E il Formez l’ha trovata andando con 24 neo laureati in casa Surrau. Entusiasmo e determinazione. Ma anche la passione per le cose che funzionano. Un esempio? La forza trainante del binomio enologia e turismo. Il gioiello della famiglia Demuro è stato al centro della full immersion dei manager in erba. Il “Percorso di sviluppo competenze in innovazione di impresa” è stata la cornice azzeccata. Vigne Surrau – recente balzo in cima al mondo con i tre calici del Gambero Rosso per il Vermentino, magnificati a Chicago da un evento che ha avuto per sfondo il set del film The Invisible - accelera. E per gli allievi del Formez - con L’Innovation manager Sardegna 2013/14 e il Centro regionale di programmazione alle spalle - è stato uno spot mica male. L’azienda della famiglia Demuro è stata raccontata dalle origini. Struttura, organizzazione, personale, scelte e strategie. “I giovani hanno le chiavi del mondo, vanno affiancati. Noi - dice Tino Demuro, l’amministratore delegato di Cantine Surrau – dobbiamo essere bravi a trasmettere i codici giusti, lasciandoli liberi di inventare e di andare in cerca di nuovi confini imprenditoriali”. Un sms preciso. Tanto che la Fondazione Giovanni Demuro onlus ha promosso il concorso per tre borse di studio su “Tutela e valorizzazione del territorio”. In palio – per gli studenti del quarto anno degli istituti “Falcone e Borsellino”, Alberghiero e liceo di Arzachena e Palau – un mese di stage all’estero. In commissione anche gli intellettuali Antonio Ligios e Vanni Macciocco. “È basilare investire sui nostri luoghi. I mercati chiedono esperien14 marzo 2014 za, storia, genuinità e rispetto ambientale. Le borse servono per il confronto e le competenze linguistiche”. Tino Demuro – in confidenza con Peter Gabriel e altre star internazionali di musica, spettacolo e cinema – tira dritto. I premi sui rossi e sui vermentini confermano la nobiltà del territorio gallurese. E l’intuito degli viticoltori: una storia che va di padre in figlio. Il set della Cantina – acciaio, granito, sughero in salsa hi tech, quadri e foto d’autore alle pareti per una wine boutique senza eguali – offre sensazioni forti. Anche per i rigorosi dirigenti della Hyundai: a Chilvagghja, sulla provinciale Arzachena-Porto Cervo, la multinazionale giapponese ha presentato in anteprima mondiale tra torchi e pigiatrici dei Demuro, la sua ultima utilitaria. L’applauso per la Sardegna che funziona. E salta i confini. Senza fatalismi e piagnistei. Un altro tassello appuntato nei loro Ipad dagli allievi del Formez. Irene Comiti (Elmas, Ingegneria), Carla Vinci (Tuili, Biologia), Marco Pischedda (Cagliari, Biologia), Enrica Corona (Arbus, Marketing), Marco Avezzano (Selargius, Ingegneria), Martina Littera (Selargius, Architettura), Stefania Congiu (Sinnai, Governance), Battistina Marras (Macomer, Consulenza aziendale), Simona Sestu (Muravera, Ingegneria), Francesca Sulis (San Vito, Relazioni internazionali), Marta Musso (Oristano, Economia), Antonio Cocco (Gadoni, Relazioni internazionali), Stefano Colombu (Oristano, Economia), Nicola Bordi- gnon (Carbonia, Economia), Valentina Orecchioni (Sassari, Marketing), Luigi Del Prete (Cagliari, Economia), Mauro Maleddu (Cagliari, Governance), Laura Fois (Sassari, Scienze politiche), Federica Porcu (Buggerru, Governance), Maura Musa (Sardara, Economia), Elisa Secci (Ussassai, Relazioni internazionali), Giulia Porcu (Alghero, Relazioni internazionali), Milena Atzori (Cagliari, Ingegneria) e Laura Garau (Cagliari, Governance) hanno un’età media di 27 anni e la voglia di capovolgere il pianeta. Il nuovo che avanza. Curioso, emancipato, pronto a mettersi in gioco. “Diamo sostegno e coraggio ai nostri ragazzi” rimarca Tino Demuro. Nella sala delle botti, elegante area utilizzata per meeting e congressi, si è dibattuto di rapporti con la clientela, rete commerciale, internazionalizzazione, ricerca e sviluppo. Dai laboratori universitari alla pratica. Un filo da cui traspare diversificazione, vision aziendale, valori. La famiglia Demuro tiene un profilo basso. Ma sulla solidarietà le azioni sono nitide. In un villaggio a 150 chilometri da Dakar la squadretta locale di calcio indossa le maglie con il logo Surrau. Fango, sassi, miseria. E un pallone. Che diventa meno sgonfio con la mano d’aiuto che arriva da Arzachena. “Vi ringraziamo per quel che fate per noi” scrive con grafia incerta l’allenatore dei ragazzini senegalesi, Gouneye Pire. Business e attenzione a chi parte sempre dietro. E spesso, non ha occasioni di riscatto. Per i neo laureati, un altro squarcio di lezione da mettere nel kit professionale. Quelli che inventano La tecnologia al servizio della bellezza, dalla Sardegna la prima mossa dopo un bagno a San Francisco Parrucchiera pedicure e massaggi last minute Ci pensa l’App di Cinzia e prenoti con Glamy Francesca Lai L ei si chiama Cinzia Carta, ha 37 anni e una figlia di 3. E, come tutti sanno, le mamme, soprattutto se alle prese con bimbi piccoli, hanno sempre pochissimo tempo da dedicare a se stesse. Così, dopo gli studi giuridici a Cagliari, un master a Milano, tanti anni di esperienza nelle risorse umane sia nel capoluogo lombardo che a Cagliari, dove rientra nel 2007, Cinzia nel 2011 decide di licenziarsi e di dedicarsi totalmente a sua figlia. Nel 2012 segue il marito con la sua azienda a San Francisco per un’esperienza con la fondazione Mind the Bridge: tre mesi di immersione totale nel regno dell’innovazione durante i quali comincia ad appassionarsi a quel tipo di approccio orientato al business, al rischio e alla sfida con se stessi. E a ritenere che non vi sia motivo per non applicarlo anche nella propria terra. Così, una volta rientrata in Sardegna, inizia a pensare a come usare la tecnologia per risolvere i piccoli problemi quotidiani delle donne. E, memore delle settimane in cui si è sentita disordinata, trascurata e poco attenta a se stessa, pensa che sarebbe bello poter finalmente dedicare i pochi ritagli di tempo disponibili a quelle piccole coccole di cui una donna si deve talvolta privare per fare posto alle priorità della vita. Per intenderci, una visita dal parrucchiere, un massaggio, una pedicure, niente di trascendentale. All’ultimo secondo, non appena ci si rende conto di avere mezz’ora libera. Comincia a guardarsi in giro per capire se esista già un servizio simile ma con grande sorpresa si rende conto che no, non c’è. E perché? “Perché chi sviluppa tecnologie solitamente è un uomo – risponde ironicamente Cinzia – e dunque è più raro che al centro vi sia la donna con le sue esigenze. Per cui ho deciso che l’avrei realizzato io”. Ed è così che nel 2013 nasce Glaamy, la prima App che consente di prenotare qualsiasi tipo di trattamento estetico last-minute dal proprio smartphone. Lanciata a fine febbraio, è già in uso in 17 saloni di bellezza nella città di Cagliari ma l’obiettivo è quello di espandersi a tutta la regione, in un primo momento, per poi allargarsi a tutta Italia. “Devo ammettere che partire non è stato così semplice – continua Cinzia – l’avvio ha richiesto consistenti energie e risorse, dalla ricerca di un notaio competente in materia di startup innovative secondo le ultime disposizioni di legge fino alla ricerca dei collaboratori da inserire nel team, ma ora tutto sembra andare per il meglio”. Il progetto infatti è piaciuto molto sia ai centri estetici che ai clienti che hanno già iniziato a usarla sia alla comunità degli innovatori che gira intorno al mondo delle startup, fin da quando la presentò in forma embrionale nel 2012 in occasione di una tappa di Barcamper a Cagliari. A quello fece seguito poi lo Startup Weekend, ospitato nell’Opencampus di Tiscali nel 2013, che le valse l’accesso all’incubatore TheNetValue di Mario Mariani, dove oggi Cinzia gestisce le attività di Glaamy. E infine la presentazione ufficiale alla MEM, in occasione dell’evento conclusivo del Contamination Lab di Cagliari. “Il riscontro dei saloni a Cagliari fino a oggi è stato molto positivo e dopo una brevissima formazione le titolari dei centri hanno già iniziato a raccogliere le prenotazioni attraverso la App – continua Cinzia – se pensiamo che fino a oggi tutto questo avveniva ancora con carta, penna e telefono, con un consistente dispendio di tempo e risorse, si può immaginare quale sia il salto tecnologico che anche questa categoria si appresta a fare grazie a una semplice App”. Già, perché è proprio sul fattore tempo, come dicevamo, che si gioca la partita del successo di Glaamy, che ha stimato un volume di affari potenziale di quasi 8 miliardi e mezzo di euro* intorno all’invenduto dei centri estetici italiani, pari a circa il 25% della disponibilità oraria giornaliera. Un bel mercato attorno al quale gravitano circa 140.000 aziende con 260mila addetti ai lavori e sul quale è possibile intervenire cercando di offrire il servizio migliore [* dati Confartigianato 2011-12]. Ma come si può iniziare a usare Glaamy? “È tutto davvero molto semplice e alla portata di chiunque sappia usare uno smartphone – assicura Cinzia - Il proprietario di un centro estetico o di un salone di acconciatura non deve far altro che scaricare da Google Play o App Store la App Glaamy Pro e inviare una richiesta di registrazione con tutte le informazioni utili: una volta confermata l’adesione da parte del team di Glaamy, potrà iniziare a segnalare in piattaforma le disponibilità del giorno con relativo orario, durata, tipo di trattamenti, prodotti utilizzati, metodologie adottate. In questo modo qualsiasi utente, dopo aver scaricato la App Glaamy, potrà visualizzare in pochi secondi i trattamenti disponibili più vicini (attraverso la georeferenziazione) secondo i parametri che avrà impostato (tipo di trattamento, orario, distanza) e prenotare un trattamento. Ma quindi un uomo non può usare Glaamy? “Ci mancherebbe, certo che può – conclude sorridendo Cinzia – Glaamy è pensata per chiunque abbia bisogno di un trattamento e oggi gli uomini che frequentano i beauty salon, dai parrucchieri sofisticati fino ai solarium, sono sempre più numerosi. Ma penso anche ai tantissimi sportivi che hanno spesso bisogno di massaggi postpartita o di un trattamento depilazione frequente, come i nuotatori. E a loro chi pensa? Sempre Glaamy, ovviamente”. Saloni di Cagliari aderenti: Beauty Time di Rosalia Macrì, Via Santa Maria Chiara, 69, Pirri Elite Hair Center di Emanuela Cuncu in Via Trincea delle frasche, Cagliari Elite Hair Center di Andrea Mura in Via Zurita 11, Cagliari Cristina Hair Stylist di via Capraia 12, Cagliari Centro estetico Soleluna di via S’Arriu, Cagliari Beauty Line di via Domenico Cimarosa, Cagliari Hair Kaos in via Francesco Ciusa 71, Cagliari I tre tesori, via Machiavelli, 25 Cagliari Profilo benessere, via Giudice Chiano 21, Cagliari Snap new hair, piazza del Carmine 23, Cagliari Beauty way, via s’arrulloni ang. viale Poetto, Cagliari Attilio Secchi Parrucchieri, piazza Yenne 10, Cagliari Per lei Parrucchieri, via s. Cristoforo 88, Assemini Egò parrucchieri, via Scano 17, Cagliari Isacco e Alberto Parrucchieri, via Gramsci 15, Quartu S. Elena Total Body, via Tuveri 47, Cagliari Franco e Miranda Parrucchieri, Via Giudice Mariano 35/37 Cagliari marzo 2014 15 I segni della crisi Una passeggiata nei vari rioni del capoluogo tra tristezza, solitudine e disperazione Nuoro: chiude la libreria del Corso, perché? Chiudo anche la pizzeria. Il bar? Lo chiudo Amedeo Spagnuolo P essimismo, tristezza, solitudine e, non di rado, disperazione. Sono queste le emozioni che, in una giornata come le altre, durante una passeggiata estemporanea per le strade di Nuoro, mi si sono fatte incontro e hanno preteso attenzione da me, quasi a voler in qualche modo scuotermi dal mio torpore intellettuale. Torpore che, purtroppo, condivido con tanti altri che, come me, vivono in una condizione d’indolenza mentale causata, principalmente, dal disorientamento di una comunità che ha perso quasi tutti i punti di riferimento più importanti che consentono a un individuo di condurre una vita sufficientemente gratificante. Durante questa passeggiata poco serena, osservo il corso Garibaldi. Da un lato e dall’altro della strada ormai prevalgono i locali vuoti con le insegne di affittasi e vendesi che marchiano in maniera indelebile la fine di un progetto commerciale e, probabilmente, la caduta nell’inferno della disoccupazione e, forse, della disperazione. Tra gli altri c’è un locale vuoto che fino a qualche mese prima ospitava una bella libreria, non molto grande, ma piena zeppa di libri. Era piacevole trascorrere tra tutti quei volumi un po’ di tempo, sfogliare qualche libro, acquistarne qualche altro, magari consigliato dal libraio esperto che ti dava una mano quando il dubbio ti assaliva sulla qualità dell’uno o dell’altro volume. Il vuoto di quel locale commerciale mi ha colpito in maniera esagerata, provocandomi un profondo malessere che si è prolungato per tutta la giornata. Tutto dipende, forse, dal fatto che nel mio personalissimo modo di vedere la chiusura di una libreria rappresenta simbolicamente il fallimento, non solo del libraio, ma dell’intera comunità che, decidendo di ridurre o, addirittura, di non acquistare più manco un libro aveva decretato, in maniera concreta, che la cultura non fosse più un fattore necessario per contribuire alla crescita economica, ma anche civile, del nostro consorzio umano e dei tanti altri che costellano il nostro Paese. Certo mi verrebbe da dire che l’Italia non è mai stato un paese che ha coinvolto le masse nella lettura dei libri, di fatto, 16 marzo 2014 però, l’attuale crisi economica ha determinato un crollo disastroso delle vendite in questo settore con evidenti conseguenze non solo economiche, ma anche di natura etica e culturale. Dopo il Corso Garibaldi, continuando la mia passeggiata triste e solitaria e con la mente occupata da pensieri piuttosto corrosivi, giungo senza quasi accorgermene in via Repubblica, una strada un po’ più periferica del capoluogo barbaricino, ma che negli anni si era caratterizzata come una delle arterie più commerciali della città. Lungo questa strada, infatti, si concentravano decine di negozi di tutti i tipi e i marciapiedi erano sempre brulicanti di persone in cerca di qualcosa da acquistare. Questo accadeva solo qualche anno fa, a vederla oggi mi assale una profonda sensazione di malinconia, eppure io abito nelle vicinanze, ma non mi ero reso conto, prima di adesso, della desolante situazione in cui questa strada, tanto viva un tempo, era sprofondata. Pochissime le attività commerciali sopravvissute, tra queste vi sono quelle che tradizionalmente rappresentano i luoghi d’incontro e di socializzazione dei nuoresi ovvero bar e pizzerie. Ebbene, entro in una di queste pizzerie e scambio qualche chiacchiera con il pro- prietario che conosco da tempo, questi mi confida che le persone oggi sono costrette a risparmiare anche sull’acquisto di una pizza da portare a casa, per quella al tavolo, poi, ormai i clienti si contano sulle dita di una mano. Mi trasferisco in un bar poco lontano. Con la scusa di un caffè cerco di capire se la situazione sia migliore. Macché: il gestore mi confida a bassa voce che se le cose continuano in questo modo chiude tutto e torna a lavorare in nero nell’edilizia o in qualsiasi altro settore ci sia da guadagnare qualcosa. Comunque meglio di continuare a spaccarsi la schiena da mattina a sera in un bar con il risultato di riuscire, a stento, a coprire le spese. Continuo la passeggiata, il passo diventa sempre più lento e faticoso, sarà la depressione che mi sta assalendo, ma forse posso riprendermi un pochino con la cultura, d’altro canto, la piccola Nuoro, nei momenti peggiori si è sempre aggrappata ad essa. Arrivo a casa di un noto musicista nuorese, un bicchiere di buon vino rosso e mi sembra già di stare meglio, poi gli faccio qualche domanda sulle ripercussioni della crisi economica sulla cultura, non mi risponde, prende la chitarra e mi dice: “ ti suono qualcosa, va’che è meglio”. Scuola-modello Seicento alunni, ottanta docenti, un fiore all’occhiello per l’Ogliastra e la Sardegna L’alberghiero di Tortolì dalla teoria alla pratica Ha la sala ristorante, gli studenti sono motivati Francesca Lai C’ è un consiglio autorevole per la nuova giunta regionale. Lo firma uno dei più brillanti scrittori italiani, il sardissimo Flavio Soriga da Uta giunto con le telecamere Rai in Ogliastra. Dice Soriga: “Bisognerebbe portare tutti gli assessori al turismo della Sardegna, ma anche gli ex assessori e gli aspiranti futuri assessori, a visitare l’istituto alberghiero di Tortolì. Avrebbero la possibilità di vedere da vicino un esempio clamoroso di buona gestione di soldi pubblici accompagnata a inventiva e mancanza assoluta di snobismo e di pregiudizi verso il cosiddetto “mercato”, che in questo caso significa voglia di servire dei clienti e piacere di vederli soddisfatti”. Ancora Soriga: “Visitando la scuola di Tortolì avrebbero chiaro un paradosso tremendo del nostro tempo, della nostra isola: preparare ottimi professionisti dell’accoglienza turistica significa anche dare loro gli strumenti per misurarsi nel loro lavoro alla pari con i migliori, ovunque nel mondo”. Conclusione: “Non possiamo escludere che i più appassionati tra gli studenti, i più preparati tra i futuri cuochi, camerieri e direttori di sala, una volta finita la scuola vadano via, a lavorare lontano dalla Sardegna. Questo probabilmente è giusto e bello per ognuno di essi, ma può diventare un gran danno per l’isola. Ecco, affrontare questo paradosso. Cercare di risolverlo è una delle grandi scommesse che abbiamo davanti. A risolverlo non potrà essere (purtroppo) il solo preside dell’alberghiero di Tortolì”. Ha ragione da vendere Flavio Soriga. Perché l’alberghiero di Tortolì (nato nel 1988, oggi seicento studenti divisi in 28 classi e guidati da 82 docenti) è una scuola-modello. Il preside è Gian Battista Usai, di Jerzu, convinto che “la scuola è la principale risorsa del Paese-Italia e della Sardegna”. Un alberghiero con annesso ristorante didattico. Cioè teoria e pratica. Evviva. Una delle insegnanti, Rita Useli, dice: “É nato nel 2007 come risposta alla richiesta delle aziende che ospitavano i nostri studenti in stage, per supportare la preparazione teorica, con una altrettanto efficace sicurezza nell’approccio con la clientela e le attività pratiche. Negli anni il ristorante è diventato una piccola realtà aziendale/lavorativa, inserita nel contesto scolastico, per simulare una situazione di lavoro reale, nella quale i tre indirizzi - sala, cucina, ricevimento - convivono e interagiscono e si confrontano con l’utenza. Si cimentano con clienti veri, raccolgono le prenotazioni, allestiscono la sala e il servizio, predispongono e servono menu di qualità. È una vera impresa formativa simulata che ha il doppio pregio di far sì che gli studenti si abituino a una clientela vera. Il che costituisce anche una forma di autofinanziamento per garantire le attività pratiche dell’Istituto”. Il ristorante didattico (oggi 50 posti in un locale lontano dalla scuola, saliranno a 80 con sala in pieno centro storico) è diventato anche un laboratorio di sperimentazione aperto al territorio. “Per ora – dice Useli apre su prenotazione il mercoledì, il giovedì, il venerdì, ma quando saranno agibili i nuovi laboratori, attualmente in preparazione, contiamo di aprirlo 5 giorni alla settimana”. Punti di forza - L’Istituto alberghiero di Tortolì rappresenta un importante punto di riferimento formativo per i giovani: è un ambiente scolastico organizzato e strutturato per erogare formazione mirata, che può garantire la maturazione di abilità e competenze specifiche e rispondere in modo quali- ficato alle esigenze di un mercato del lavoro sempre più selettivo e competitivo. Le indagini nazionali confermano che i titoli di studio a indirizzo turistico-alberghiero sono molto richiesti: nel 2012 sono state programmate 15000 assunzioni di diplomati nel settore ristorativo e dell’ospitalità turistica, pari ad oltre il 10 per cento di tutte le assunzioni, con contratto a tempo indeterminato e ampie opportunità occupazionali nei lavori stagionali. “In questi anni – spiega Useli - ha svolto e continua a svolgere anche un ruolo importante di promozione dei prodotti agroalimentari e della cultura enogastronomica dell’Ogliastra anche oltre i confini dell’isola. Scambi culturali attivati con numerosi partners europei, stage aziendali, partecipazione a fiere e concorsi hanno sempre rappresentato un’occasione importante per sponsorizzare, in altri contesti territoriali, i “prodotti di nicchia” e le tipicità enogastronomiche”. Numerosi sono stati i riconoscimenti ottenuti dalla scuola. Altro punto di forza: un convitto che ospita 40 convittori e circa 60 semiconvittori provenienti da tutta la Sardegna. Criticità - Mentre la collaborazione è produttiva con le agenzie territoriali pubbliche, permangono difficoltà con le imprese private locali. C’è poi il dramma della dispersione scolastica. Benché in calo negli ultimi anni, rimane alta. Useli: “Siamo passati infatti dal 23 al 18 per cento, i numeri restano alti, nonostante si siano attuate varie strategie didattico educative per contrastarla. Insisteremo. Vogliamo una scuola dove i ragazzi si trovino bene. Vogliamo che i ragazzi amino la loro scuola”. marzo 2014 17 Il fisco a cura dell’avvocato Rita Melis La nuova tassazione atti immobiliari L’ imposta di registro trae la sua origine dall’obbligo o dalla volontà, da parte dei cittadini, di annotare ogni atto scritto (contratti, scritture private, costituzione di enti o di società, sentenze, decreti, ecc.) presso un registro pubblico, allo scopo di non poterne più modificare la data e il contenuto. Questo registro, tenuto dall’apposito Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, riporta in ordine cronologico tutti gli atti sottoposti a registrazione. L’imposta che deriva da queste operazioni colpisce pertanto, quali trasferimenti di ricchezza, i valori venali (ossia i valori di mercato dei beni) o patrimoniali contenuti negli atti, come la vendita o la locazione di un immobile. L’imposta di registro è tributo avente natura di tassa, quando è correlata all’erogazione di un servizio da parte della pubblica amministrazione, di imposta quando è determinata in proporzione al valore economico dell’atto o del negozio. Essa è regolata dal Testo unico dell’imposta di registro, approvato con Dpr 26 aprile 1986, n. 131. È importante ricordare, al fine del verificarsi di una doppia imposizione, che l’Imposta di registro è alternativa all’Iva, quale altra imposta indiretta: gli atti soggetti a Iva non scontano pertanto l’Imposta di Registro, infatti questa sarà versata in misura fissa, salvo quanto previsto in materia di locazione e cessione di fabbricati da imprese costruttrici. La circolare n. 2/E del 2014 l’Agenzia delle Entrate detta istruzioni con riferimento alla riforma dell’imposizione indiretta relativa agli atti, a titolo oneroso, traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari. Le novità fiscali relative all’imposta di registro, ipotecaria e catastale al settore immobiliare sono state introdotte dal Decreto legislativo 23/2011, come modificato dal Decreto legge n. 104/2013 e dalla Legge di stabilità 2014 (Legge 147/2013). Queste novità si applicano dal 1° gennaio di quest’anno per gli atti pubblici formati o autenticati a partire da tale data. La disciplina entrata in vigore continua inevitabilmente ad avere interagire con la normativa sull’imposta sul valore aggiunto (iva), ecco la necessità di chiarimenti. L’imposta di registro Per quanto riguarda i trasferimenti di immobili fuori campo Iva abbiamo tre sole aliquote dell’imposta di registro: 2 per cento per la prima casa, 9 per tutti gli altri beni immobili, 12, a determinate condizioni, per i terreni agricoli e relative pertinenze. L’imposta di registro dovuta, si specifica 18 marzo 2014 nella nuova normativa, non può essere in ogni caso di importo inferiore a 1.000 euro. Ciò significa che se dai calcoli effettuati l’imposta di registro da versare dovesse avere un importo di euro 850,00, ebbene allo Stato dovremmo versare, comunque, euro 1000,00. Mentre le imposte ipotecarie e catastali sono state ridotte a 50,00 ciascuna. Quindi si come affermato nella stessa circolare si verifica “l’assorbimento” dell’imposta di bollo, delle tasse ipotecarie e dei tributi speciali catastali dai quali tutti restano esenti dal 1 gennaio 2014, gli atti soggetti a imposta di registro con le aliquote proporzionali al 2, 9 e al 12 per cento. Per le cessioni di unità abitative imponibili iva, l’imposta di registro non sarà proporzionale, in virtù dell’applicazione dell’iva, appunto, ma sarà fissa nella nuova misura di euro 200, in luogo dei 168. Così pure per le imposte ipotecarie e catastali, saranno in misura fissa euro 200. Invece, per quanto riguarda gli atti di cessione a titolo oneroso di unità immobiliari strumentali per natura si applica l’imposta di registro fissa a euro 200 imposta ipotecaria e catastale proporzionale rispettivamente 3 e 1 per cento, imposta di bollo e tasse ipotecarie e tributi speciali catastali. La prima casa Per quanto concerne la prima casa l’imposta di registro è più leggera (2) per i trasferimenti di case di abitazione, in cui il venditore sia un soggetto privato. Ciò a condizione che non si tratti di abitazioni di tipo signorile (cat. A/1), abitazioni in ville (A/8), castelli e palazzi di eminente pregio artistico e storico (A/9). Al fine di poter beneficiare del trattamento di favore, è fondamentale che al momento della stipula dell’atto di trasferimento venga indicata la classificazione dell’immobile nelle categorie catastali da A/2 a A/7. Naturalmente occorre che siano comunque presenti le altre condizioni richieste dal Testo unico delle disposizioni sull’imposta di registro (nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al Testo unico del registro). Le agevolazioni prima casa, si specifica, competono inoltre, sia in caso di trasferimento di immobile in costruzione che per l’acquisto contemporaneo di immobili contigui, destinati a formare un’unica abitazione, o di un immobile contiguo ad altra abitazione acquistata con i benefici prima casa. Cessione di aree fabbricabili La cessione di aree edificabili da parte di soggetti passivi iva, sarà in tal senso: l’imposta sul valore aggiunto sconterà il 22 per cento, mentre le imposte ipotecarie e catastali ammonteranno a euro 200,00, quindi a misura fissa e restano applicabili, comunque i tributi minori. Conferimento di immobili ai soci e atti giudiziari La circolare 2/E 2014 illustra, anche, le conseguenze della riforma sugli atti societari con riferimento al conferimento di beni immobili e assegnazione ai soci. Pertanto, se gli atti hanno per oggetto la proprietà o i diritti reali di godimento su immobili diversi dai fabbricati strumentali per natura e dalle aree destinate ad essere utilizzate per la costruzione dei suddetti fabbricati o come loro pertinenze in relazione a tali atti, trovano applicazione le aliquote dell’imposta di registro del 9 o del 1, per un importo minimo pari a 1.000 euro, e le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro ciascuna. Se invece gli atti hanno per oggetto la proprietà o diritti reali di godimento su immobili strumentali per natura l’imposta di registro è del 4 per cento, ma non sono riconosciuti i benefici per quanto concerne l’imposta ipotecaria e catastale del 2 e dell’ 1, invece l’imposta di bollo sarà di euro 300,00 e inoltre saranno dovuti i tributi minori. La soppressione delle agevolazioni previste in leggi speciali La circolare 2/E ha illustrato che la nuova disciplina ha stabilito il taglio delle esenzioni e delle agevolazioni tanto da ricomprendere tutte le agevolazioni relative ad atti di trasferimento immobiliare a titolo oneroso riconducibili nell’ambito applicativo dell’art. 1 della tariffa, parte prima allegata al testo unico del registro. Dal primo gennaio 2014 non trovano più applicazione quelle previsioni normative che stabiliscono misure agevolate dell’imposta di registro, intese sia come riduzione di aliquota di imposta di registro, sia misura fissa o esenzioni; alcuni esempi sono le agevolazioni per i piani di recupero; agevolazioni per l’acquisto di fondi rustici; agevolazioni per i trasferimenti a favore di giovani agricoltori. Questi sono alcuni aspetti di quanto illustrato in 78 pagine di circolare dell’Agenzia delle Entrate. La coperta è sempre troppo corta, diminuisce l’aliquota per pochissimi atti e per tanti altri vengono soppresse le agevolazioni. New Economy Un progetto tuttosardo per creare impresa ad alto contenuto tecnologico e ad alto rischio Otto startup nell’Open Campus di Tiscali Turismo innovativo e consulenze aziendali Matteo Meloni I nnovation, coworking e community sono le tre parole chiave che descrivono al meglio Open Campus, progetto in divenire di Tiscali che punta a fare impresa nel mondo delle startup. La mission di Open Campus è lo sviluppo di programmi di accelerazione per startup digitali, ma in realtà è l’aspetto umano che gioca un ruolo decisivo nel progetto: grazie alla condivisione degli spazi, i partecipanti interagiscono tra loro per la soluzione delle problematiche che si incontrano nel corso del lavoro, dove la competizione è finalizzata alla comune riuscita dei singoli progetti. “Open Campus – racconta Alice Soru, responsabile del progetto – nasce nel maggio del 2013 con l’organizzazione del primo Startup Weekend al quale hanno partecipato 130 persone provenienti dall’isola e dalla penisola”. Nella sede Tiscali di Sa Illetta Open Campus mette a disposizione uno space di 500 metri quadrati che può contenere fino a 50 persone. “In questo momento – spiega la responsabile del progetto – ospitiamo otto startup selezionate per creare le giuste condizioni di lavoro. Puntiamo sulla creazione di nuovi progetti e sulla partecipazione di persone appassionate e dinamiche”. Quando si parla di startup si intende un’azienda ad alto contenuto tecnologico e ad alto rischio, con un ciclo di vita e logiche diverse rispetto, ad esempio, alle realtà del settore manifatturiero o agroalimentare. “Le startup – continua Soru – sono progetti scalabili, con un mercato di riferimento globale, vivono attraverso una vita fatta di round di finanziamenti. Nei nostri spazi sono presenti diverse tipologie d’aziende: startup vere e proprie, realtà già strutturate, e freelance”. Con Startup Weekend Tiscali ha offerto un voucher di 50 mila euro in servizi da utilizzare sotto forma di consulenza marketing e legale, e in parte in advertising sul portale dell’azienda. Luca Sini è il Ceo di Guide me right, la startup vincitrice del premio: il suo progetto integra l’offerta turistica online con un servizio offline innovativo. “Ci sono lati positivi e negativi nello sviluppo di un progetto legato al mondo delle startup – spiega Sini –: si impara, si conosce, si sperimenta. Ma è necessario capire quanto vale l’idea il prima possibile, condizioni esterne permet- tendo. Noi, ad esempio, saremo operativi nel giro di poche settimane, dopo mesi di duro lavoro. Col progetto Guide me right i ‘guests’ e i ‘local friends’ saranno messi in contatto tramite il nostro portale: le due categorie potranno così interagire in maniera facilitata, con gli utenti del luogo che offriranno un’esperienza di viaggio diversa ai visitatori. Open Campus – racconta il Ceo – è uno spazio in continua evoluzione, ideale per iniziare un nuovo business: stare all’interno di un ecosistema del genere permette di rimanere costantemente in contatto con le realtà del settore, interagendo continuamente con le varie attività”. Il progetto di Tiscali ospita anche freelance come Alessandra Polo, Social Media Manager che si occupa di consulenze per aziende pubbliche e private. “Sono sempre più le realtà che hanno capito l’importanza dei canali social per mettere in evidenza i servizi e i prodotti delle singole aziende. Anche tramite applicazioni come Instagram – afferma Polo – si può far rete: ci si incontra nello spazio online, per poi conoscersi nella vita reale e creare nuovi business”. Instagram permette agli utenti di scattare foto, pubblicarle e condividerle con i vari social network. “Ho fondato Instagramers Sardegna – spiega Polo –, e gli altri account relativi a Cagliari, Sassari, Ogliastra e Barbagia. In questo modo raccontiamo la nostra isola attraverso gli scatti delle persone che ci seguono, evidenziando i tratti naturalistici, culturali ed enogastronomici della Sardegna. Proponiamo dei contest settimanali relativi al tema del momento, con la foto più bella pubblicata sul nostro account”. All’interno di Open Campus sono presenti tre aziende già strutturate. Una di queste è la Easy Network: fondata 12 anni fa, la società si occupa di sviluppo software. Stefano Casu, Ceo dell’azienda, spiega: “Uno dei valori aggiunti di Open Campus, motivo della nostra presenza all’interno del progetto, è la dinamicità, lo sviluppo delle collaborazioni, l’interdisciplinarietà di chi ne fa parte. Easy Network collaborava già con Tiscali, e ora siamo in Open Campus così come le altre realtà”. Diversa l’esperienza di Mario Fanari, Silvia Atzeni, Marta Cappai e Luca Migliari e del loro progetto SnuPlace: nell’ambito del programma universitario Contamination Lab in collaborazione con InnovAction Lab e l’incubatore The Net Value hanno vinto il premio messo a disposizione da Open Campus, consistente in tre mesi di lavoro con tutorship più 5 mila euro di pubblicità sul portale Tiscali. SnuPlace ha l’intento di fornire spazi in forma temporanea a chi necessita di un luogo per svolgere un’attività: ci si potrà collegare al sito della startup e scegliere il locale che più si adatta alle proprie esigenze. “L’esperienza del primo anno di Open Campus – conclude Alice Soru – è stata positiva, anche umanamente: Tiscali nasce come startup innovativa, e seguendo questo esempio ci rendiamo conto che essere continuamente competitivi e al passo con i tempi dell’innovazione è fondamentale. Aiutiamo i giovani sardi perché fa bene anche a noi”. marzo 2014 19 Continuità territoriale Leggendo le statistiche ufficiali negli scali per il 2013 ma non c’è da cantar vittoria Traffico aereo: sette milioni di passeggeri Gli stranieri sono cresciuti del 14 per cento Marco Bertuccelli I dati del traffico aereo forniti da Assaeroporti indicano che i passeggeri arrivati e partiti nel 2013, nei tre principali scali della Sardegna, sono aumentati di circa 165 mila unità rispetto all’anno precedente il che ha consentito di superare nuovamente i sette milioni di passeggeri trasportati e, per la prima volta, il tetto dei due milioni sia per l’aeroporto di Olbia che per il movimento internazionale, come meglio ed in dettaglio riportato nella tavola (Tav.1). E’ una crescita molto contenuta (+ 2,35% rispetto al 2012); un risultato comunque importante se si considera che, a livello nazionale, si è invece registrato un calo del 2% rispetto al 2012. Il dato positivo non deve tuttavia alimentare facile ottimismo; innanzitutto perché Cagliari, dopo anni di crescita continua, ha perso oltre 106 mila passeggeri nel 2012 ed ancora altri 4 mila nel 2013; una perdita, l’ultima, contenuta per effetto dell’incremento di 108 mila nel movimento internazionale che ha consentito appunto di ridurre la perdita sul traffico nazionale di oltre 112 mila passeggeri che purtroppo, seppure in misura molto ridotta, ha interessato anche lo scalo di Alghero (-5.537 passeggeri nei voli nazionali). Un dato, quello negativo sui voli domestici, che conferma, qualora ce ne fosse bisogno, il permanere della crisi che ormai da qualche anno interessa il Paese. Un altro dato interessante è rappresentato dal “peso” del traffico dei quattro mesi estivi (giugno/settembre) rispetto al globale annuo : per Cagliari è passato dal 45,92% del 2011 al 46,36% del 2012 fino al 47,71% del 2013; per Alghero dal 47,04% del 2011, al 48,93% del 2012 e 50,83% del 2013; per Olbia si parte addirittura dal 66,26% del 2011 per passare al 69,58% del 2012 ed addirittura 70,25% nel 2013. Un “peso” che preoccupa in quanto indica una stagionalità accentuata, particolarmente per l’aeroporto di Olbia, che sicuramente non favorisce sia l’allungamento della stagione che un efficiente utilizzo della flotta e del personale da parte dei vettori. Relativamente al movimento internazionale, come abbiamo già accennato, il 2013 con 2.174.923 passeggeri arrivati e partiti è positivo rispetto al 2012 (1.910.468 passeggeri) registrando una crescita di 20 marzo 2014 quasi il 14%. Crescita che, diversamente dal traffico nazionale, interessa tutti e tre gli scali seppure in misura diversa: Cagliari +15,67%; Alghero +9,69% e Olbia +15,10%. Per quanto riguarda le aree geografiche del movimento internazionale possiamo dire che circa il 90% si riferisce ai Paesi UE, l’8-9% ai Paesi europei extra UE e solo l’1-2%riguarda l’Africa, Oceania, Asia, Americhe. Con riferimento ai Paesi UE il movimento dei primi cinque (Germania 29%, Spagna 16%, Francia 14%, Gran Bretagna 13%, Belgio 5%) supera il 75% del movimento globale. Abbiamo esaminato alcuni dati del 2013 confrontandoli con gli anni immediatamente precedenti (2012-2011); raffrontando invece i dati del 2013 con quelli del 2003 e 2008 possiamo ricavare altri elementi di interesse. L’aeroporto di Cagliari nel decennio (2003/2013) è cresciuto oltre il 55%, ma solo il 22% nell’ultimo quinquennio (2008-2013); Alghero è cresciuto addirittura del 76% nel decennio ma solo il 13% nell’ultimo quinquennio; Olbia si è fermato al 29% nel decennio ed al 12% nell’ultimo quinquennio. Considerando invece solo il movimento internazionale la crescita nel decennio è stata del 557% per Cagliari , 184% per Olbia e 129% per Alghero; ma nell’ultimo quinquennio la crescita per Cagliari é del 64%, del 34% per Olbia e solo del 2% per Alghero il che significa che la crisi di cui abbiamo fatto cenno ha interessato tutta l’Europa. Sempre nel decennio considerato i movimenti della aviazione commerciale crescono in maniera assai più contenuta ( +22% Cagliari, +6,5% Olbia e +30% Alghero) e registrano addirittura una flessione nell’ultimo quinquennio (Cagliari -11%, Olbia -2,5% ed Alghero -3%); una situazione che, dato il movimento passeggeri, evidenzia comunque un efficiente utilizzo del mezzo aereo da parte dei vettori. Altro dato interessante riguarda la ripartizione del mercato aereo tra le compagnie tradizionali e low cost; queste ultime rappresentano ad Alghero il vettore preponderante con una quota di traffico attorno al 65%, quota che scende a circa il 50% a Cagliari per divenire minoritaria ad Olbia dove non raggiunge il 35%. Per quanto riguarda l’aviazione generale, Olbia, nel 2013 (9.710 movimenti e 21.596 passeggeri), si conferma ancora una volta polo di eccellenza legato al turismo di elite; comparto che interessa comunque anche Cagliari (4.678 movimenti e 6.323 passeggeri) e, in misura minore, Alghero (686 movimenti e 888 passeggeri). Relativamente al servizio cargo, rispetto al quale è opportuno evidenziarlo esiste una debolezza strutturale del sistema Paese, le previsioni di crescita al 2030 più favorevoli prevedono a livello nazionale un raddoppio del totale trasportato che per la Sardegna potrebbe significare, nella migliore dell’ipotesi, 10.000 tonnellate; una quantità trascurabile rispetto alle merci trasportate per via marittima ma interessante per quanto riguarda il valore economico ed in ogni caso poiché un incremento delle merci trasportate concorre ad abbassare il costo medio di produzione per unità trasportata. Nella tavola (Tav.2) si riportano le merci trasportate nell’ultimo quinquennio evidenziando che per Cagliari il 40% circa del trasportato si riferisce alla posta. Accenniamo infine alla continuità territoriale, ricordando che il meccanismo di imposizione degli obblighi di servizio pubblico (OSP) è senz’altro il più efficace per migliorare la mobilità delle persone e delle merci in quanto interviene a governare il servizio nel suo complesso (frequenza voli, capacità, orari, tariffe, eccetera). Non disponiamo di dati di dettaglio per una analisi circa l’efficacia dei nuovi one- Continuità territoriale ri entrati in vigore il 27 ottobre 2013 sui collegamenti con Roma Fiumicino e Milano Linate; tuttavia l’imposizione di una tariffa unica per nove mesi che per gli altri tre (dal 15 giugno al 15 settembre) resta scontata per i residenti ed altre particolari categorie di utenti divenendo variabile per i non residenti, seppure con un tetto massimo stabilito, meriterebbe comunque qualche riflessione. Infatti, lo ricordiamo, la mobilità deve essere sicuramente efficiente, efficace, sicura e sostenibile ma anche economicamente accessibile; applicare perciò per nove mesi una tariffa unica per tutti gli utenti sembra troppo penalizzante per i Sardi il cui tenore di vita (Pil pro capite, risparmio, importo medio pensione, consumi, inflazione, costo della casa) non risulta certo ai primi posti a livello nazionale ed è comunque nettamente inferiore a quello della Lombardia e del Lazio. Relativamente alla continuità aerea minore (CT2), considerato che nessun vettore, entro l’11 novembre 2013, ha accettato di operare sulle singole rotte senza compensazione, la Regione ha individuati i nuovi oneri (Delibera Giunta 2/20 del 22 gennaio 2014) per chiudere la nuova procedura onerata che non interessa più le dieci rotte iniziali ma solo sei (Cagliari-Bologna, Cagliari Torino, Cagliari-Verona, Cagliari- Napoli, Olbia-Bologna ed Olbia-Verona). Al riguardo, mentre l’individuazione dei collegamenti con Roma Fiumicino e Milano Linate risponde senz’altro alla domanda di mobilità (nel 2013 il movimento complessivo con gli aeroporti sardi ha sfiorato i 2 milioni di passeggeri), così non sembra per quanto riguarda le tratte riferite alla continuità minore (CT2), almeno stando alle percentuali di traffico sui collegamenti con la Sardegna delle varie Regioni italiane (TAV.3) Concludendo, si ricorda che la Commissione Europea, relativamente alle sovvenzioni concesse agli aeroporti dalla Regione, ha avviato il procedimento (ex art.108 §2 del TFUE) per valutare se gli aiuti a favore degli operatori aeroportuali o delle compagnie siano compatibili col mercato (GUUE Serie C n.152 del 30.05.2013). Al riguardo risulta interessante la normativa di cui al DL n.145/2013, articolo 13 comma 14, convertito con L.n.9/2014, che prevede che i gestori degli aeroporti che erogano contributi, sussidi o ogni altra forma di contributo ai vettori aerei in funzione dell’avviamento e sviluppo delle rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, debbano esperire procedure di scelta del beneficiario che siano concorrenziali, trasparenti e tali da garantire la più ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati. Tav.1 Sardegna: movimento (arrivi e partenze) della navigazione aerea (I numeri tra parentesi si riferiscono al traffico internazionale già compreso nel totale) Descrizione Anno 2003 passeggeri Anno 2008 passeggeri Anno 2011 passeggeri Anno 2012 passeggeri Anno 2013 passeggeri Anno 2003 Movimenti Anno 2008 Movimenti Anno 2013 Movimenti Cagliari 2.307.035 (121.714) 2.929.870 (487.761) 3.698.883 (772.259) 3.592.020 (690.833) 3.587.713 (799.116) 24.119 (2.338) 33.123 (5.028) 29.501 (6.842) Olbia 1.554.254 (284.150) 1.803.324 (604.323) 1.874.696 (623.707) 1.887.641 (700.930) 2.011.720 (806.808) 16.779 (3.515) 18.323 (5.761) 17.866 (6.899) Alghero 888.369 (248.686) 1.380.762 (559.935) 1.514.254 (487.979) 1.519.111 (518.705) 1.563.868 (568.999) 10.084 (1.918) 13.490 (4.264) 13.096 (4.340) Totali 4.749.658 (654.550) 6.113.956 (1.652.019) 7.087.833 (1.883.945) 6.998.772 (1.910.468) 7.163.306 (2.174.923) 50.982 (7.771) 64.936 (15.053) 60.463 (18.081) Tav.2 Sardegna: tonnellate di merci trasportate via aerea Aeroporto Anno 2009 Anno 2010 Anno 2011 Anno 2012 Anno 2013 3.973 3.612 3.115 3.052 3.361 220 221 203 136 284 Alghero 1.702 1.445 1.580 1.637 33,6 Totale 5.895 5.278 4.898 4.825 3.678,6 Cagliari Olbia Tav.3 Sardegna: analisi traffico aereo domestico con le altre Regioni Anno 2013 Δ% traffico passeggeri sul totale traffico Δ% movimento estivo (giu-set) Lombardia 36,22 51,16 Bergamo, Milano L., Milano M. Lazio 33,06 41,92 Roma C., Roma F. Veneto 6,93 78,37 Treviso, Venezia, Verona Toscana 6,37 47,24 Pisa, Firenze Emilia Romagna 6,20 52,45 Bologna, Parma, Rimini Piemonte 4,15 57,86 Torino, Cuneo Campania 2,14 61,35 Napoli Sicilia 1,48 61,85 Trapani, Catania, Palermo Liguria 1,27 60,50 Genova Friuli Venezia Giulia 0,81 66,53 Trieste Abruzzo 0,48 66,92 Pescara Marche 0,38 81,69 Ancona Umbria 0,36 65,85 Perugia Puglia 0,13 100,00 Bari Trentino Alto Adige 0,02 100,00 Bolzano 100,00 51,04 26 aeroporti Regione Totale marzo 2014 Aeroporti utilizzati 21 FotoNews Oristano: la prima stella d’argento al filosofo Paolo Mancosu La prima stella d’argento “Oristanesi nel mondo” è stata consegnata, dal sindaco Guido Tendas, al filosofo oristanese Paolo Mancosu docente all’università di Berkeley. Presente alla cerimonia (venerdì 27 febbraio) l’editore Carlo Feltrinelli che ha parlato del libro-annale di Mancosu sul carteggio segreto fra Giangiacomo Feltrinelli e Boris Pasternak per la pubblicazione del capolavoro Dottor Zivago. Durante la manifestazione, al Teatro Garau, hanno cantato i tenores di Neoneli. Dopo Oristano, nei prossimi mesi il professor Mancosu parlerà del caso Feltrinelli-Pasternak al The Center for Advanced Studies di Monaco, all’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco e nelle università di Berkeley e Stanford. In aprile è atteso all’università di Pisa. Mamoiada legge “L’Italia migliore” di Vladimir Luxuria Il libro di Vladimir Luxuria “L’Italia miglioire” (edizioni Bompiani) è stato presentato lunedì 3 marzo nella sala del Consiglio comunale di Mamoiada su iniziativa dell’Università della terza età presieduta da Nina Trivero e da Donatella Cau, direttrice dei corsi. Presenti oltre trecento persone, decisamente entusiaste. Ha chiuso, tra gli applausi, il sindaco Graziano Deiana. Molti gli interventi dal pubblico. 22 marzo 2014 Dibattiti/4 Dopo gli articoli di Amedeo Spagnuolo, Graziano Pintori e Natalino Piras interviene Alessandra Corrias Altro che Atene Sarda, Cagliari dà l’esempio A Nuoro la cultura è attitudine un po’ bohéme Alessandra Corrias N on c’è dibattito più appassionante, in Sardegna, di quello che riguarda Nuoro e il suo rapporto con la cultura. Infatti va avanti più o meno da un secolo. È un dibattito molto più coinvolgente, molto più melodrammatico di quello sui chioschi del Poetto, per dire. Ma mentre Nuoro continua a dibattere, Cagliari riesce a pensare anche ad altro, oltre ai chioschi, e si candida Capitale Europea della Cultura per il 2019, con buone possibilità di farcela. Alla faccia dell’Atene Sarda. I nuoresi si sono sempre consolati, rispetto alle proprie sfortune (non avere un porto, un aeroporto, un treno che porti da qualche parte in tempi decenti, delle spiagge, un clima mite, spettacolari monumenti costruiti da popoli invasori da cui guardare il tramonto), cullandosi nella certezza di essere perlomeno i sardi più acculturati di tutti.Lo siamo. Non fosse altro che abbiamo poche distrazioni materiali, e adoperiamo gran parte del nostro tempo libero per leggere e rimuginare. Lo siamo. Non fosse che per quel continuo senso di colpa, di inquietudine che non ci fa mai essere soddisfatti. L’arte non va d’accordo con la felicità né con la soddisfazione. I nuoresi sono malinconici e problematici come lo sono stati i più grandi artisti della storia. A Nuoro si respira cultura come attitudine naturale un po’ bohème, come fosse roba con cui non bisogna fare soldi. Come fosse ancora prerogativa dell’èlite da una parte o dei sognatori diseredati e avvinazzati dall’altra. Le immagini sattiane del Tettamanzi e dei poveri geni incompresi che barattavano la loro opera con un po’ di vino come Francesco Congiu- Pes (noto ai più come Conzu Mandrone, non a caso) incombono come una condanna perenne sugli artisti nuoresi, che sono stati e sono moltissimi, più che in qualsiasi altro luogo della Sardegna. Provate a pensare a un altro posto come il Tettamanzi del “Giorno del Giudizio”. Vi verrebbero in mente i caffè di Montmartre e L’absinthe di Degas, mica il Poetto. Eppure oggi è Cagliari a essere candidata Capitale Europea della Cultura. E lo è grazie a un progetto. Fatto bene, per tempo. Un progetto bellissimo. La progettualità e la visione d’insieme: è proprio ciò che a Nuoro manca. Ci sono musei straordinari, dove il biglietto costa una miseria (ma perché?). C’è un seminario jazz importantissimo. Ci sono festival internazionali di cinema ed etnografia, che saltano se la politica si distrae e non arrivano i finanziamenti necessari. Ci sono fior di professionisti e tecnici in grado di organizzare e supportare qualsiasi tipo di spettacolo, ai massimi livelli. C’è chi gestisce il Teatro Eliseo egregiamente, senza avere pomposi Cda dietro. C’è un patrimonio di tradizioni popolari mai messo a sistema, affidato alla costanza di centinaia di volontari che altro non sono che i membri dei gruppi folk. Qua è stato inventato il canto corale a quattro voci pari. E c’è un’incredibile avanguardia di pittori, scultori, fotografi, poeti, attori, musicisti che affolla i circoli e le cantine. Quando a Nuoro si prova a riunire il talento di tutti gli artisti che la abitano, non c’è un posto abbastanza grande, non c’è abbastanza meraviglia per affrontare ciò che si pone davanti agli occhi. I pittori di Nuoro espongono le proprie opere alle pareti dei bar, quando sono fortunati. Non c’è più neanche la galleria comunale. Quando si mettono in testa di organizzare qualcosa, spendono infinite energie nella realizzazione di eventi eccezionali: nel senso di eccellenza, ma anche di eccezione. Nascono e muoiono in un battito d’ali senza essere inseriti in una prospettiva, in un contesto organizzato, riconoscibile e pertanto vendibile e fonte di profitti. Se a Nuoro a parlare ossessivamente di cultura sono la Confindustria e la Camera di Commercio, e non il Comune o la Provincia, qualche domanda bisognerà pur farsela. Gli attori economici più importanti del territorio dimostrano di essere più consapevoli di quelli politici della risorsa cultura come chiave dello sviluppo. Mentre gli amministratori titubano, balbettano, si accodano alle iniziative altrui senza troppa convinzione, ammettendo implicitamente di non avere ben chiaro cosa fare e come farlo. Il caso della candidatura a “Capitale Europea della cultura” è emblematico. Nel 2019 sarà il turno dell’Italia. Dalla pubblicazione da parte del Mibac dell’invito a presentare le candidature, fino alla scadenza per le candidature stesse, c’erano dieci mesi di tempo per elaborare un progetto. Ci si poteva provare. Con un milione di euro e una visibilità internazionale assicurata in palio, ci si poteva provare. Sarebbe stata l’occasione giusta per mettersi in gioco. Immaginare un futuro, organizzare una rete, costruire un’idea di Nuoro città di cultura. Coinvolgere la cittadinanza, stimolare la conoscenza fra popoli diversi, valorizzare la ricchezza della diversità culturale in Europa: il bando diceva con chiarezza che lo sviluppo di questi punti sarebbe stato premiante, perfino a fronte di carenze infrastrutturali. Certo, c’è anche la parte economica, un bilancio da costruire, fondi da reperire, spese da fare. E Nuoro, ogni estate, non riesce nemmeno a essere sicura di avere i soldi per il Redentore. Ma anche solo provarci, ambire a un risultato così clamoroso, non sarebbe stato esercizio inutile. Sarebbe stato misurarsi con le proprie capacità e capire finalmente dove stanno le falle. O forse, lo si è già capito. marzo 2014 23 Analisi Il disordine istituzionale e il declino italiano nelle classifiche europee nel campo della cultura Tra demagogia populistica del No a tutti e il ruolo delle professionalità femminili Pietro Ciarlo I l problema dell’equilibrio dei bilanci pubblici è assillante. Molto dipende per cosa e come si spende. In Italia alla ricerca pubblica sono assegnati pochissimi fondi, ma il loro rendimento è elevato. I ricercatori italiani si arrangiano con poco, l’efficienza della spesa è alta. Questo dato è confortante, ma non può essere un alibi. Così non dura ancora a lungo. Alla fine senza soldi non si dicono neanche le messe. Sono evidenze che rinviano immediatamente al nodo focale della cultura in Italia: il declino. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una straordinaria redistribuzione della ricchezza tra diverse aree mondiali. Tanta manifattura ha lasciato l’Europa occidentale, ma adesso gli scambi internazionali sembrano aver trovato un loro nuovo equilibrio. Negli States e in alcuni Stati europei si vede la ripresa, in Italia no. La nostra economia e la nostra psiche continuano a essere depresse. Se una società è in declino economico fatalmente è anche in declino culturale. Non credo che nella storia sia dato riscontrare società in crisi economica e in fioritura culturale. Dal rapporto 2013 di Federcultura si evince che in Italia esistono oltre 12.000 biblioteche, ma i lettori calano in continuazione e il 57 per cento degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno. Abbiamo 3.609 musei, il triplo della Francia, 5.000 siti culturali, 46.000 beni architettonici vincolati, 34.000 luoghi di spettacolo. L’industria culturale vale circa 76 miliardi di euro, dà lavoro a quasi un milione e mezzo di persone eppure le risorse destinate alla cultura si riducono implacabilmente. Oggi il budget del ministero dei Beni culturali è di un miliardo e mezzo, appena lo 0,20 per cento del bilancio dello Stato. Per il triennio 2014-2016 si prevede un’ulteriore riduzione di circa 100 milioni. Alla fine lo stanziamento sarà di 1 miliardo e 400 milioni, esattamente come quello della Danimarca, meno di 6 milioni di abitanti, meno di un decimo della popolazione italiana. Sempre secondo Federcultura siamo al 26° posto sui 28 Paesi dell’Ue per spesa pubblica pro capite in istruzione e formazione con un’incidenza del 4,2 per cento sul Pil, contro una media europea del 5,3. Negli ultimi dieci anni gli iscritti alle università italiane sono scesi da 338 mila a 280 mila con un calo del 15 per cento. Europa 2020 ipotiz24 marzo 2014 za il 40 per cento di laureati tra i 30 e i 40 anni: la media Ue è di circa il 35 mentre in Italia siamo soltanto al 20. Anche nel 2013 nessun ateneo italiano viene classificato tra i primi 100, anzi Bologna, la prima delle università italiane, perde 11 posizioni scendendo al 194° posto. Negli ultimi 10 anni 68.000 neolaureati hanno lasciato l’Italia, una vera e propria desertificazione. Non deve meravigliare, dunque, se per Erobarometro, cioè le indagini demoscopiche del Parlamento Ue, il nostro indice di partecipazione culturale nazionale sia appena dell’8 per cento, contro una media europea del 18, e una percentuale che arriva al 43 della Svezia, il Paese europeo con la più alta partecipazione dei cittadini ad attività culturali. Le classifiche di questo tipo sono opinabili, ma pur sempre indicative. I dati riportati sono ben noti, ma leggendoli tutti di fila colpiscono al cuore e fanno veramente male. Sono univocamente orientati, l’immagine di insieme è deprimente e nonostante il gran parlare, restiamo tra gli ultimi, anzi continuiamo a regredire. Uno degli epicentri del nostro declino culturale riguarda il disordine istituzionale. Giuristi ed economisti si occupano della organizzazione e della gestione delle nostre società. In Italia il sapere giuridico e quello economico vivono una profondissima crisi per il deperimento dell’oggetto della loro conoscenza. Questo aspetto va sottolineato perché è uno dei profili che distingue le scienze della natura da quelle umane. Economisti e giuristi, questi ultimi in particolare, devono contribuire ad edificare un ordine, un ordinamento, ma la loro capaci- tà di dare certezze e costruire prevedibilità viene vanificata dall’irrimettibile disordine istituzionale e politico. Sulla crisi della cultura economica e giuridica si dicono molte cose inesatte, spesso volutamente inesatte. Da parte della politica esiste una vera e propria astuzia dell’inesattezza finalizzata a minimizzare le proprie responsabilità e a scaricare tutte le colpe su altri. Se le cose non funzionano è colpa dei giudici, della burocrazia, mai del legislatore, cioè della politica. Giudici e burocrazia possono avere anche tutte le colpe del mondo, ma non si può trascurare di osservare che essi alla fin fine sono chiamati ad applicare le leggi. Se per anni e anni si fanno leggi confuse e contraddittorie non si può immaginare che esse vengano raddrizzate in sede applicativa. Accadrà il contrario, i difetti degli esecutori si sommeranno a quelli dei decisori. Come gruppo dei costituzionalisti di Cagliari da circa dieci anni curiamo per una delle maggiori riviste specialistiche del settore una rassegna della legislazione pubblicistica più importante segnalandone i contenuti salienti, ma ormai siamo sommersi da una marea di legislazione di pessima qualità, non so se riusciremo a continuare questo lavoro. Del resto non bisogna essere specialisti per sapere queste cose. Basti pensare a che cosa sta succedendo per la tassazione sugli immobili, con i commercialisti che inevitabilmente sbaglieranno, ma poi a pagare i loro sia pur scusabili errori saranno i contribuenti. O ancora al caso Stamina dove l’amministrazione competente dal primo momento assume una posizione negativa, ma viene delegittimata da un giudice, un altro giudice obbliga una struttura sanitaria ad erogare il trattamento ed infine un altro giudice ancora, giustamente, mette tutti i protagonisti sotto procedimento penale. Per non parlare della valutazione dei curricula per l’ accesso a medicina cambiata il giorno delle prove. Con gli esempi si potrebbe continuare praticamente all’infinito. Le leggi sono divenuti dei testi esoterici. Le ultime trenta pagine della relazione annuale della Corte dei Conti al Parlamento sono l’elenco degli acronimi. Finanche l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta ha ritenuto di lamentare l’uso eccessivo di quelle che una volta si chiamavano abbreviazioni. I testi giuridici sono diventati sempre più Analisi complessi perché più complesse sono divenute le nostre società, ma la loro decadenza contenutistica e linguistica, e in ambito giuridico le parole sono tutto, è ormai un fattore disfunzionale autonomo, nel senso che in Italia è molto più accentuato che altrove. Incertezza, imprevedibilità e lentezza ci stanno distruggendo. Il nostro Paese è sicuramente ammalato di burocrazia, ma l’insistenza che la politica pone sui mali della burocrazia configurano un vero e proprio alibi burocratico. Il disordine legislativo apre spazi vertiginosi alla discrezionalità dei giudici, fino a configurare dei veri e propri abusi del diritto. L’incertezza normativa e la conseguente mancanza di prevedibilità sono il peggior nemico del futuro. Oltre al passato e al presente, anche il futuro è gravido di conseguenze perché noi regoliamo i nostri comportamenti a seconda delle aspettative che nutriamo. Se l’immaginazione non riesce a vedere il futuro il danno è enorme soprattutto per le imprese e per i giovani. Incertezza, mancanza di fiducia, diffidenza, sospetto ci hanno spinto ad assume una psicologia recessiva sul piano personale, collettivo, politico. Spesso, quando ascoltiamo una posizione espressa da altri, automaticamente la nostra mente si ritrova impegnata a selezionare gli argomenti più efficaci per poter dire no. Consapevolmente o inconsciamente siamo diventati tutti un po’ dei veto player. Ma poi ci sono i veto player professionisti, quelli che costruiscono loro posizioni di forza esercitando il ricatto del no. Quando nel gennaio scorso si pose il problema del transito delle sostanze chimiche derivanti dal disarmo siriano e il porto di destinazione fu individuato in quello di Gioia Tauro, subito scesero in campo i professionisti del no. I tre sindaci della zona dichiararono che avrebbero dovuto passare sul loro cadavere. Il presidente della Regione disse che sarebbe scoppiata la guerra civile. Per fortuna la Filt-Cgil tempestivamente ha segnalato che nel porto transitano 600.000 tonnellate all’anno di quella merce e che dunque le 600 siriane erano un’inezia, ma soprattutto che non si poteva inviare al mondo il messaggio che quel lavoro a Gioia Tauro non si sarebbe potuto fare. Fortunatamente Confindustria, Autorità portuale e finanche il Vescovo hanno condiviso la posizione del sindacato. Così la spregiudicata politica locale che con il suo no sperava di intercettare i sentimenti e il consenso più ingenui della popolazione è rimasta, una volta tanto delusa. Ha sfiorato il ridicolo una certa politica sarda, amministrazione regionale in testa, che voleva anch’essa dichiarare una guerra civile per una cosa che nessuno le aveva chiesto, essendo sin dall’inizio Gioia Tauro la destinazione dei materiali siriani. C’è stato un tempo in cui investitori esteri volevano realizzare una decina di rigassificatori in Italia, i NO localistici hanno prevalso, non se ne è fatto neanche uno. Finanche in Sardegna, nonostante sia assieme alla Corsica, l’unica regione europea a non poter disporre del metano, quando si parlava operativamente del metanodotto Galsi, spuntarono dei politicanti del no. Poi nel grande risico dell’energia questo metanodotto è sfumato, sarebbe interessante sapere chi oggi volesse cavalcare il diniego ad un rigassificatore. Bisogna pensare positivo, avere proposte, una cultura propositiva. Solo ragionando in termini propositivi ci si può riscattare dalla demagogia del no. Ma le proposte devono avere credibilità, devono esprimere una loro funzionalità, non essere a loro volta espressione della demagogia populistica. Ad esempio, il solo accennare ad una moneta sarda nel resto del mondo suscita un’ immediata incredulità e una più meditata ilarità quando e se riusciamo a spiegare di cosa si tratterebbe. Fare buona politica mai come adesso significa avere una genuina capacità propositiva, ma non c’è buona politica senza cultura. Detta in modo un po’ brutale la parola “declino” dal punto di vista culturale vuol dire che stiamo diventando più ignoranti. Le abilità aumentano, ma all’incremento delle abilità non necessariamente corrisponde una crescita culturale, intesa come capacità di comprendere il mondo e di rapportarsi ad esso, agli altri. In un universo plurimo solo la cultura, la mediazione culturale, può costruire una prospettiva di pace tra diversi che hanno o vogliono avere per destino l’integrazione e l’elevazione della loro qualità della vita. Bisogna tener conto criticamente di alcuni sviluppi recenti. Innanzitutto la perniciosa rinascita del populismo identitario che si salda con il cinismo dei veto player, dei professionisti del no. Le narrazioni identitarie non sono neutre. Possono servire a costruire la consapevolezza di noi stessi e della nostra naturale plurima e concentri- ca cittadinanza locale, regionale, europea, mondiale. Oppure a fondare i miti populistici del sangue e della terra, della diffidenza e dell’odio verso l’altro. Dell’isolamento e dunque del declino economico e culturale. Quando sentiamo risuonare un no localistico non dobbiamo porci solo domande di carattere economico o ambientale, ma soprattutto culturali. Ad esempio dovremmo chiederci che tipo di cultura esprime chi pensa di poter derivare le sorti del mondo da sessanta chilometri di ferrovia. La nostra cultura deve essere più coraggiosa, misurarsi senza esitazioni con le nuove separazioni, i nuovi stridori. Le donne prevalgono negli studi e nei lavori qualificati. Il 60 per cento dei diplomati e dei laureati sono donne. Il 60 per cento dei medici, dei magistrati, dei funzionari pubblici sono donne. Come mostrano recenti studi dell’Ocap (Osservatorio sul cambiamento delle amministrazioni pubbliche) della Bocconi e dell’Inps, anche per i dirigenti pubblici e privati ci si avvia a grande velocità verso percentuali di questo tipo. Si deve essere lieti che cadano antiche discriminazioni, ma vuol dire anche che il versante maschile delle nostre società vive una grande crisi culturale. I ragazzi tra calcio, fantacalcio, videogiochi, ludopatie, pornopatie e altre dipendenze, di cui le ragazze fortunatamente soffrono molto meno, sono in piena fase involutiva. La deculturalizzazione delle nostre società si addensa soprattutto sul versante maschile. Esse, anche per questa ragione, stanno diventando sempre più rozze, violente e pericolose soprattutto per le donne. Ci sono troppe ipertrofie e troppe atrofie. Oggi il lassismo, i vincoli del politicamente corretto, i veto player, la mancanza di selettività sono amici degli squilibri e nemici della cultura. Senza originalità non c’è cultura e senza cultura non c’è originalità, innovazione genuina, buona politica e non si arresta il declino. La rete nel bene e nel male cambia la nostra antropologia, ma non è scritto da alcuna parte che in nome del bene dobbiamo prenderci anche il male senza neanche provare a reagire. marzo 2014 25 dalla prima pagina Maria Letizia Pruna / La Grande Transumanza di poche idee e molti uomini glione Antonio, eletto nel Pd, passato al gruppo Misto, poi Misto-Noi Sud, poi di nuovo Misto (vengono in mente antipasti di terra o di mare o misti, appunto), infine Misto-Iniziativa liberale. In questo ultimo gruppo il Gaglione si è ritrovato con il deputato Guzzanti Paolo, eletto invece nel Pdl, passato anche lui per il gruppo Misto, poi Misto-Noi Sud, di nuovo al gruppo Misto, poi al gruppo Popolo e Territorio, ancora una volta al gruppo Misto (doveva essere irresistibile), e finalmente anche lui al gruppo Misto-Iniziativa liberale, che con la sua denominazione giustifica l’intero percorso compiuto per raggiungerlo. “Cambiare casacca” è il termine usato più frequentemente per indicare questo genere di movimenti, e la dice lunga sulla scarsa rilevanza che giocano le idee nell’incessante cammino dei politici erranti. Se le idee avessero un peso, se questi uomini fossero stati eletti sulla base di qualche idea (almeno dei loro partiti, visto che sono i partiti a scegliere i propri candidati), sarebbe interessante chiedersi che fine fanno queste idee nel passaggio da un gruppo all’altro, da una posizione all’altra nell’emiciclo: le portano con sé o le lasciano dove le hanno trovate? Sarebbe interessante, anche opportuno, capire in quale misura i posizionamenti mutevoli di un numero non irrilevante di deputati e senatori incidono sulla produzione legislativa, sulla intensità e la qualità del lavoro svolto nelle aule parlamentari. Anche nel contesto regionale si annoverano casi di salto plurimo da un partito e gruppo consiliare all’altro, con passaggi acrobatici da centrodestra a centrosinistra e viceversa, e persino con sorprendenti ritorni al punto di partenza. Alcuni saltatori - quasi degli artisti, nel loro genere - riescono a posizionarsi sempre nella maggioranza ad ogni legislatura, nonostante l’alternanza del centrodestra e del centrosinistra al governo della Regione. Quasi sempre i transumanti non cambiano le loro idee, la transumanza non si accompagna a una seria evoluzione del pensiero: le idee non sono mai nette e chiare, restano le stesse quando stanno a destra e quando stanno a sinistra, anche perché i partiti – si sa – sono interessati ai portatori di voti e li accolgono senza riserve, non stanno a sottilizzare sulle loro idee e a fare le pulci al loro pedigree politico. I voti sono come il denaro, non hanno odore, le idee sono come le piume, non hanno peso. Il senso della riflessione di Ainis è molto serio: è vero che l’art. 67 della Costituzione protegge la libertà dei parlamentari 26 marzo 2014 (che rappresentano la Nazione ed esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato), ma anche le scelte degli elettori meriterebbero un po’ di rispetto. Come si può pensare che il fregolismo (dal nome di Leopoldo Fregoli, il più famoso trasformista e illusionista) non danneggi l’opinione e l’atteggiamento dei cittadini nei confronti della politica? Lo si dice troppo poco, e nulla - veramente nulla - è stato fatto per richiamare la politica al rispetto degli elettori, nelle diverse forme in cui il rispetto delle scelte espresse con il voto dovrebbe essere esercitato. A ogni tornata elettorale, per esempio, assistiamo a una gara ad abbandonare ruoli istituzionali di vario livello, occupati da poco tempo (negli enti locali e perfino in Parlamento), per avere un posto tra i candidati al Consiglio regionale o un incarico nella nuova Giunta, interrompendo per ambizione personale il mandato ricevuto dagli elettori, dopo averlo chiesto e sollecitato in campagna elettorale. Si potrebbe suggerire che i candidati dichiarino in anticipo per quanto tempo sono disponibili a portare avanti il proprio mandato in caso di elezione; così, giusto per informare chi intende votarli che potrebbero stancarsi presto della responsabilità politica che si stanno assumendo nei loro confronti. Altrimenti, a distanza di poco tempo, le parole spese e gli impegni assunti appaiono miseramente per ciò che sono: inaffidabili, inconsistenti. Veniamo da un periodo che forse non ha precedenti in termini di tradimento sistematico delle scelte degli elettori, da qualsiasi prospettiva democratica si voglia osservare; non c’è quindi da stupirsi se l’astensionismo è diventato una gigantesca e terribile rinuncia all’esercizio del diritto di voto, un rifiuto collettivo della rappresentanza politica. Tale rifiuto è legittimo e purtroppo del tutto comprensibile; verosimilmente aumenterà, in assenza di comportamenti differenti, di gesti diversi da parte della classe politica. Non bastano le parole, servono comportamenti esemplari. Non si può continuare a evocare un generico cambiamento, c’è bisogno di una rottura netta, di un distacco brusco ed esplicito dalle consuete pratiche politiche, dalle logiche spartitorie che sempre prescindono dall’interesse pubblico, dalla bulimia di potere, dall’opportunismo e dall’arroganza, che accorciano la vista e allungano le mani. Mentre a troppe persone manca un reddito sufficiente, un lavoro dignitoso e l’istruzione necessaria, si è formata una categoria di ingordi che cumula incarichi e retribuzioni smisurate rispetto alle capacità, ha sempre il piede in qualche staffa (spesso più di una) e gode di favori e rendite, accaparra e consuma risorse e opportunità che spetterebbero a molti e non a pochi. I nomi sono sempre gli stessi, e quando sembrano diversi sono comunque legati ai soliti truffatori di bell’aspetto, che la politica coltiva. Tutto questo è ormai evidente, si vede e si conosce, ma soprattutto si capisce che nulla cambia: è chiarissimo che non esiste la minima volontà di cambiare le cose. Nel frattempo, però, si è accresciuto il divario spaventoso tra chi dispone del necessario e del superfluo e chi è ormai alla deriva. Mai come in quest’ultima campagna elettorale, in Sardegna, la cosiddetta società civile, impoverita e scoraggiata, è rimasta attonita davanti allo spettacolo della classe politica occupata nelle sue guerre e a fare i conti con la giustizia. Abbiamo visto cose che non avremmo mai immaginato, e che i futuri trasformismi e le prossime transumanze della classe politica non dovrebbero farci dimenticare. dalla prima pagina Tore Corveddu / La Sardegna è dei sardi non deve essere dei cardi che ha adottato e perpetuato il Governatore Ugo Cappellacci nella gestione delle “politiche energetiche” il quadro si mostrava (e si mostra ancora) molto più drammatico: totale assenza di una strategia consapevole proprio nel settore che – per dirla come Jeremy Rifkin – potrà rappresentare la porta di una terza rivoluzione industriale. È evidente, quindi, che negli incontri prima richiamati si apriva uno spazio di riflessione al servizio della politica sarda e, principalmente, del centrosinistra, del sardismo e dell’indipendentismo, per tentare di cambiare una Sardegna sempre più infeudata e negata. Tutto quello che è successo in questi ultimi anni è solo colpa di Cappellacci, o anche della negligenza dell’intero Consiglio regionale? Credo di si, ma non solo. Non solo, perché l’università, giustamente e oggettivamente considerata come uno snodo fondamentale nella progettazione del futuro, ad esempio, si è mostrata altrettanto negligente proprio sul tema che oggi ritorna all’attenzione dell’opinione pubblica (quanta?) grazie alla denuncia del direttore Anthony Muroni. Negligente quanto e più della politica, di certa politica, perché l’interrogativo che pone la modalità di produzione e di approvvigionamento delle specie cereali che dovrebbero alimentare una colossale centrale a biomasse, è un interrogativo di carattere scientifico.Se a questo si aggiunge che con deliberazione 1/44 del 17.01.2014, sempre la Giunta Cappellacci e in piena campagna elettorale, ha concesso ad Eni Power l’approvazione della Valutazione di impatto ambientale (Via) relativa al progetto della “Centrale a biomassa di Porto Torres”, e che nella stessa deliberazione sono evidenti e macroscopiche le criticità (testualmente) “riguardanti principalmente gli aspetti legati allo sviluppo della filiera agricola. . .” per una serie di particolari e interessanti complicanze, si capisce meglio perché occorreva, e occorre, fare chiarezza prima che si capisca tardivamente che è stata imposta alla Sardegna una prospettiva che di futuro ha solo l’inganno. È gravemente colpevole non rispondere in anticipo a questi quesiti, e non si tratta di sola miopia. Si tratta di gravi responsabilità sociali perché si gioca, sempre e soltanto, sulla pelle di donne e uomini che vengono sottoposti al ricatto del posto di lavoro, con miraggi che non dovrebbero appartenere a questa epoca, se è vero che non siamo più nel tempo delle colonizzazioni. Giusta o sbagliata che fosse, la scelta dell’industrializzazione adottata con il “Piano di Rinascita” aveva mobilitato intelligenza e cultura, classe politica e dirigente e popolazioni, mentre ora pare che tutto ciò sia scomparso dall’agenda e, sia la classe dirigente sia la politica accettano passivamente (e inconsapevolmente) scelte che oltre a bruciare cardi bruciano anche una prospettiva migliore. E in tutto questo che ruolo gioca la programmazione? Quale considerazione verso il territorio (inteso in senso lato e non come campanili) dopo la cancellazione delle Province, o con le Comunità montane che anche se esistono nessuno se ne accorge? La crisi delle aree industriali, il progressivo svuotamento delle zone interne da cui i giovani si allontanano perché si è totalmente persa la speranza di uno sviluppo sociale ed economico, impongono ben altri atteggiamenti, troppo superficiali, rispetto a chi afferma che tanto nella centrale a biomasse si brucerà solo paglia. Posso capire, ma non condividere, il sindacalista che nella disperata ricerca di tutela dei posti di lavoro fa queste povere affermazioni, senza però avere idea di dove e chi produrrebbe la povera paglia, ma la responsabilità passiva della politica, quella no, perché questa porta in sé una scelta fallimentare per il futuro della Sardegna, e imposta senza che abbia attinenza con una visione programmatica di ciò che vogliamo essere. Costruire una coscienza popolare affidataria, quindi non assistenzialistica e clientelare, dovrebbe essere interesse individuale e collettivo. Parlare di politica narrativa significa (ri)partire dalla (ri)costruzione di una propria storia, e nella poesia sarda – nei secoli – il contenuto non era il “dire” ma l’indicazione di ciò che era necessario “fare”. Questo immaginario collettivo, da ricostruire, deve rendere i sardi protago- nisti di una loro “cittadinanza attiva” che oggi è affidata alla delega e, per il 50 per cento alla disaffezione al voto. Per tentare una nuova strada nella recente tornata elettorale, Sardegna Possibile ha messo in campo un metodo che, attraverso l’ascolto, il coinvolgimento, la riflessione collettiva, affida ai processi partecipativi (e responsabili) le azioni necessarie alla costruzione di una progettualità che fa perno sulla realtà che vivono quotidianamente i diversi portatori di interesse: che si tratti della singola persona o dell’impresa. Non in alternativa, ma contro una politica che, per scelta, ha abbandonato la capacità di ascolto e di rappresentanza degli interessi e delle esigenze reali, praticando la strada della politica affaristica e degli affari attraverso la politica. Nel frattempo che tutti i livelli istituzionali hanno lasciato fare all’Eni le scelte delle chiusure e delle presunte reindustrializzazioni, solo a titolo informativo in Italia e in Europa succede quanto segue: la produzione della sola chimica in Italia (esclusa la farmaceutica) si attesta su circa 53 miliardi, mentre la domanda intera supera i 63 mld, con un deficit sulla bilancia commerciale di oltre 10 mld, dato che si conferma oramai da oltre 10 anni con piccole oscillazioni. Nello stesso periodo di tempo l’Ue registra un fatturato di 558 mld con un surplus a favore della bilancia commerciale di 50 mld e, per fare un confronto, la Germania è il primo produttore con 162 mld di fatturato, e il più importante fornitore di chimica secondaria e specialistica per il nostro Paese. E le campagne tedesche non sono invase di cardi. No. Sono circondate da competenze. I tedeschi sanno che cos’è la chimica fine, la farmaceutica, eccetera. Sanno che cosa è la politica industriale. Innovazione compresa. Merce rara in Italia (Isole comprese). marzo 2014 27 Teatro Spettacolo di successo al Civico di Sinnai con la compagnia “ParoleRivelate” di Carla Calò Metti il tradimento sul palcoscenico rileggendo Cechov Molnàr e Buzzati Francesca Lai M etti sul palcoscenico tre eccellenze del teatro, trova un tema intrigante (quello del tradimento di coppia), aggiungici un cast motivato e decisamente professionale. E Lo spettacolo è garantito. Proprio come è successo lo scorso sabato 15 febbraio al Teatro Civico di Sinnai dove è stato rappresentato l’atto unico “Tra dire e non dire… meglio tradire”, per la regia di Marco Nateri, che ha curato anche i costumi e la scenografia della rappresentazione e con musiche originali di Gianni Piludu. Nella locandina si legge: “Tradiscono più gli uomini o le donne? Ed è più grave il tradimento mentale o il tradimento fisico? Da sempre queste domande affollano conversazioni, programmi televisivi, film perché il tradimento è parte integrante della vita”. Davanti a un pubblico attento e divertito la compagnia “ParoleRivelate Teatro” ha così proposto uno spettacolo molto originale, che affronta il tema del tradimento - non come una fiction televisiva da bolso programma post-prandium – ma attraverso la rilettura, la radiografia dell’animo umano con alcuni atti unici di grandi autori: “La Corista” di Anton Čechov, “L’Imperdonabile peccato” di Ferenc Molnár e “I Suggeritori” di Dino Buzzati. Il tema del tradimento di coppia è esplorato attraverso le differenze culturali, sociali e di pensiero che hanno caratterizzato quasi un secolo di storia paneuropea con i lavori di uno scrittore russo, un ungherese e un italiano di Belluno. Nateri unisce, senza sforzo apparente, queste tre diverse scuole di teatro in un atto unico che ammalia e stupisce lo spettatore. Il passaggio dal dramma alla commedia brillante è, insieme, indolore e piacevole grazie al contributo di attori che possiedono un’ideale flessibilità per interpretare ruoli così distanti tra loro. Interessante, non da meno, la scenografia minimalista, generata con sedie di ogni foggia: diventa essa stessa protagonista dello spettacolo, con il contributo degli attori, che la costruiscono, tra una storia e l’altra, in sincrono con le musiche. Nateri arreda il palcoscenico ora con sedie vestite a lutto, per Čechov, ora con sedie impilate che simboleggiano al28 marzo 2014 beri, per Molnár, ora con sedie bianche e diversamente allineate, per descrivere ambienti diversi di una garçonnière anni sessanta, nel “I Suggeritori” di Buzzati. Gli attori in scena (Rebecca Anichini, Maurizio Da Comeana, Luigi Ibba, Nino Mameli, Gianni Piludu, Manuela Pini, Elisa Zedda e Corinne Vigo) salutano, infine, il pubblico cantando e danzando sulle note di una canzone, anch’essa con musica e testo originale, che intende ricordarci quanto il tradimento sia parte integrante della vita e per questo motivo ci invita a “lasciarci andare”: perché “il tradimento non è volgare!”. Ma come è nata l’idea di questa produzione? Nateri risponde: “Sono state fondamentali mie collaborazioni passate con la compagnia, in veste di costumista. Quando Carla Calò, la presidente di ParoleRivelate, mi ha proposto questa sinergia ho risposto subito con entusiasmo. Ho impiegato alcune settimane a scegliere con attenzione i testi da impiegare e per un’attenta selezione degli attori e delle musiche di Gianni. Mi sono divertito, infine, a disegnare i costumi, in particolare quelli per “La Corista” di Anton Čechov, e a inventarmi queste scenografie molto particolari realizzate interamente con le sedie”. Quando avete debuttato? “La nuova produzione di “ParoleRivela- te Teatro” aveva debuttato lo scorso 14 maggio al MiniMax, il Ridotto del Teatro Massimo di Cagliari, ottenendo un tutto esaurito anche nella serata di replica. Poi alcune belle esperienze in provincia e nelle scuole”. Progetti futuri? “Più di uno. Alcuni molto interessanti, ma preferisco non parlarne, lasciamo che sia una sorpresa. Per ora godiamoci “Tra dire e non dire… meglio tradire”, insieme ai nostri scatenati attori che cantano e danzano divertendosi allegramente. Questo è il gioco del teatro che raccontiamo. Divertitevi e mi raccomando tradite per amore!”. Il pubblico ha apprezzato. E si è convinto che Nateri convince con la sua lettura psicologica nel rapporto di coppia e che, alla fine, vince una scommessa molto difficile ricordandoci, una volta di più, che il teatro è vivo e ha tanto da raccontarci ancora. Per gli appassionati di teatro – sempre a Sinnai – segnaliamo che sabato 22 marzo alle 21 dalla compagnia B Viamentano Teatro verrà proposto “Lunga è la notte-Peppino Impastato” con Giuliano Pornasio, Davide Sanna, Enrico Incani, Marcello Armellino per la regia di Giuliano Pornasio. (Peppino Impastato fu ucciso dalla mafia il 9 maggio del 1978). Teatro Un grande che la Sardegna e il suo capoluogo non hanno saputo capire e apprezzare Pierzappa, genio irregolare della bellezza Portò a Cagliari Artaud Osborne e Kantor Giorgio Pisano A vesse fatto il contabile, magari dietro uno sportello e in mezzemaniche scure, lo avrebbero licenziato per incolpevole e manifesta incapacità a far quadrare i conti (manco quelli della sua vita riusciva a far quadrare). Fosse stato architetto, si sarebbe certamente ispirato a Dalì e ai suoi orologi in decomposizione, cadaveri dimenticati. Pierfranco Zappareddu sapeva molto bene che il tempo non è uguale per tutti. “Se dovessi costruire un progetto di vita scriveva a un amico - sceglierei il comandamento “Non ammazzare” a suo fondamento. Non ammazzare. Altrimenti sarebbe la negazione assoluta di quel breve frammento di tempo che è stato concesso all’uomo e che l’uomo chiama vita”. Cagliari (la Sardegna, anzi) deve a Pierfranco Zappareddu un momento magico della sua asfittica attività culturale, un momento affollato da giganti planetari. Trasformare quest’isola, periferia dell’impero e angolo morto d’Europa, in un centro di richiamo internazionale era un sogno impossibile. E manco quello, visto che nessuno aveva mai provato neppure a sognarlo. Pierzappa, come lo chiamavano gli amici, è sempre stato un irregolare. Viveva con tre donne (mamma, zia e nonna) che l’hanno fatto crescere libero, a briglia sciolta fin da piccolo. Al liceo classico Dettori, mescolato ai figli della buona borghesia cagliaritana, ha dato subito segni d’allergia. Era la fine degli anni sessanta e in giro tirava un’arietta di rivolta che sarebbe inevitabilmente passata anche attraverso il portone dell’austero ginnasio dove, a suo tempo, studiò Antonio Gramsci. Il preside d’allora, quel professor Rachel che gli studenti chiamavano Pampurio, lo cacciò perché aveva allestito in aula magna un singolare spettacolo teatrale che faceva a fette l’America di Lyndon Johnson, quella dell’invasione in Vietnam. In più c’erano molte aggravanti: portava i capelli lunghi e non era sufficientemente ossequioso coi prof. Eppure proprio quei prof gli facevano fare tournée fra le classi dell’istituto per ascoltarlo declamare Dante. Voce profonda, mai trombonesca, mai impostata. È stato unico, indimenticabile: tanti che oggi hanno i capelli bianchi ricordano quelle performance non previste dal rigido protocollo del ministero della pubblica Pierfranco Zappareddu istruzione. In pieno Sessantotto, facoltà occupate cortei botte arresti, Pierzappa ha svelato l’anima più intima: non era affatto comunista, come qualcuno aveva creduto. Andava oltre. Sognava l’armonia più che la perfezione o una repubblica felice. Considerava l’ideologia un optional non richiesto e, tutto sommato, inutile. Meglio, come faceva lui, avere occhi visionari, sognare una città un’isola un mondo abbagliati dall’incanto della bellezza. Già, ma cos’era la bellezza? Era, per esempio, il teatro di Artaud e quello del Living, gli “arrabbiati” inglesi (Osborne) e i pifferai polacchi (Kantor). Regista di spessore, respiro corto e delirante in allestimenti diventati memorabili, ha portato in scena piéces che erano mezzo secolo più avanti della cultura stretta e provinciale d’una città come Cagliari. Pierzappa, insomma, ci ha provato e riprovato fino a quando si è reso conto di essere clamorosamente fuori gioco. Allora è partito con lo spirito del crociato: prima in Danimarca (per incontrare e conoscere Eugenio Barba, regista-guru dell’Odin), poi in Spagna (per contattare gli Els Comediants). Il suo, direbbero adesso i sacerdoti del nuovo linguaggio, è stato un master & back in piena regola. Rientrato a Cagliari, ha deciso che c’era bisogno d’un elettroshock. Così, a cominciare dal 1981, ha varato una rassegna con un cartellone siderale: il pubblico di quella ultra-periferia d’Europa, ha potuto vedere La classe morta (uno dei capolavori assoluti della drammaturgia universale), Lindsay Kemp in Sogno di una notte di mezza estate, la Carmen diretta da Peter Brook, il tango celestiale di Antonio Gades. Pierzappa non era affatto un organizzatore teatrale ma la cosa non l’ha affatto intimidito. La mancanza di finanziamenti, ancora meno. Alle perdite di tempo nelle anticamere di assessori a cui quei nomi si sarebbero potuti snocciolare come una squadra di calcio (tanto non cambiava niente), era abituato. Abituato a vedere sguardi sorpresi e analfabeti, di sola andata e di ritorno. Tutto questo però non l’ha fermato. I legami stabiliti durante la permanenza all’estero hanno convinto l’aristocrazia teatrale europea ad accettare l’invito in una città minuscola e sconosciuta come Cagliari. Nessun problema per i cachet, tanto Pierzappa non possedeva che se stesso e dunque non si spaventava di fronte a richieste alte, altissime, vertiginose. Molti di quei conti sono rimasti in sospeso e poi dimenticati: impossibile litigare con un innocente incapace di mettersi una lira in tasca, un uomo che viveva (da francescano) per la cultura e solo per la cultura. L’importante era non tradire quel principio (non ammazzare) e cercare fino all’ultimo respiro un’idea di armonia, un’immagine di bellezza che ogni giorno ci aiutasse a vivere. Cammino accidentato da sogni infranti, il suo. Ma questo non lo ha mai scoraggiato. Era abituato a confrontarsi con la miseria culturale, con l’indifferenza, col disinteresse. A metterlo al tappeto - nel silenzio generale d’una città narcotizzata - è stata una leucemia che l’ha ucciso ai primi dell’anno. A noi, che abbiamo avuto il privilegio di conoscerlo, lasciatecelo piangere. Cagliari continui pure a dormire. marzo 2014 29 Economisti a cura di Pietro Maurandi Pierre Joseph Proudhon (1809-1865): la passione senza l’analisi L e varie correnti dei socialisti utopisti, che si diffusero in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, comprendono pensatori di diversa estrazione, che hanno sollevato il problema del rapporto fra libertà individuale e giustizia sociale ma non sono mai riusciti a risolverlo in modo soddisfacente. Comprendono anche scrittori che, pur essendo vicini ai problemi e agli interessi del proletariato, con qualche difficoltà si possono collocare fra i pensatori socialisti, presentando proprie originalità e anomalie. L’anomalia di Pierre Joseph Proudhon sta nel fatto che le soluzioni da lui offerte per il dilemma libertà individuale/giustizia sociale non si propongono affatto di risolverlo. La società futura da lui disegnata non sistema una volta per tutte i due aspetti ma si dà strumenti per affrontarli continuamente e permanentemente, in quanto essi rientrano nella natura contraddittoria di ogni società. Proudhon era nato a Besançon in una famiglia povera di artigiani. Si era formato inizialmente da autodidatta. A ventinove anni aveva ottenuto una borsa di studio per il collegio reale di Besançon, dove aveva completato gli studi. Aveva studiato l’ebraico e la Bibbia per essere in grado di attaccare meglio la religione. Un’altra borsa di studio gli aveva permesso di vivere e di aiutare la sua famiglia. Si stabilì poi a Parigi dove collaborò con diversi giornali. Nel 1840 pubblicò la sua opera più nota Che cos’è la proprietà? che contiene la celebre affermazione “la proprietà è un furto”. Nel 1843 pubblicò Sulla creazione dell’ordine nell’umanità, dove espone le proprie concezioni filosofiche. Nel 1846 pubblicò la sua opera più importante, Il sistema delle contraddizioni economiche o La filosofia della miseria. Durante la rivoluzione del 1848 fu eletto deputato e i suoi interventi in assemblea fecero scandalo. Nel 1849 venne condannato a tre anni di carcere per aver scritto articoli contro Luigi Napoleone. In carcere pubblicò Confessioni di un rivoluzionario e L’idea generale della rivoluzione nel XIX secolo. Liberato nel 1852, aderì sostanzialmente al nuovo regime bonapartista pubblicando L’idea generale della rivoluzione dimostrata attraverso il colpo di Stato. Ma alla pubblicazione dell’opera Sulla giustizia sociale nella rivoluzione e nella chiesa, nel 1858, fu perseguito per oltraggio alla morale e alla religione e fu costretto a rifugiarsi a Bruxelles, dove pubblicò La guerra e la pace nel 1861. Nel 1862 riuscì a tornare a Parigi dove morì povero tre anni dopo. Polemista instancabile, Proudhon ebbe grande notorietà, non tanto per le sue idee quanto per lo stile duro e caustico. I suoi scritti suscitarono interesse, discussioni e polemiche. Per questo Marx ne fece oggetto delle sue critiche nei confronti della filosofia idealistica. La libertà e l’uguaglianza sono per Proudhon diritti assoluti e sacri. In particolare sull’uguaglianza afferma che tutte le funzioni sociali sono interdipendenti e quindi è impossibile mantenere una superiorità dell’una sull’altra. L’antinomia è la categoria che viene da lui utilizzata per definire le contraddizioni che caratterizzano la società. Le realtà antinomiche sono situazioni che continuamente sono fonti sia di libertà che di dispotismo: così è per la proprietà, lo scambio, le macchine, il mercato. Si tratta tuttavia di condizioni naturali e ineliminabili, e quando si cerca di eliminarle si finisce per sopprimere la libertà. Così le macchine, sono fonte di libertà perché riducono la fatica dei lavoratori e sono fonte di dispotismo perché assoggettano l’operaio al lavoro salariato. Così lo scambio è fonte di libertà perché ogni soggetto può contrattare secondo le sue convenienze ma è anche un sistema che sottopone i più deboli al potere dei più forti. Anche la proprietà è una realtà antinomica, in quanto garantisce all’indivi30 marzo 2014 duo la libertà da ogni coazione da parte della società, ma consente anche ad alcuni individui di impadronirsi di gran parte delle ricchezze della società. Dunque “la proprietà è un furto” nel senso che non si fonda sulle condizioni naturali dell’uomo, non si tratta di un diritto naturale; ma non va soppressa perché, come tutte le realtà antinomiche, è anche fonte di libertà. Per queste ragioni Proudhon è contrario a molte idee delle correnti socialiste, si tratta secondo lui di proposte che provocano autoritarismo nell’economia. Si oppone non solo ai progetti di città futura avanzati da scrittori socialisti, che comportano la comunità dei beni e una forte preminenza della collettività sull’individuo. Si oppone anche a numerose proposte del movimento socialista, come il diritto di sciopero, il diritto di associazione fra gli operai, il suffragio universale; perché ritiene che la libera concorrenza sia la migliore garanzia per un equo salario. Posizioni che lo portano a scontrarsi con il movimento e i pensatori socialisti e a trovare maggiore accordo con i liberali. Ma si allontana anche da essi allorché sostiene che lo Stato è destinato a estinguersi in ragione della sua inutilità, per essere sostituito da un sistema di rapporti contrattuali fra uomini eguali. Per questa ragione egli si considera una anarchico. La soluzione che avanza è di sottoporre i rapporti sociali ad un “principio etico”, che rispetti integralmente l’autonomia dell’individuo, attraverso forme contrattuali, di mutualità e di libera associazione fra i lavoratori, quella che Proudhon chiama la “democrazia economica”. Sostiene l’eliminazione dei redditi non da lavoro, come le rendite e i profitti, assicurando ai capitalisti una remunerazione per il lavoro di organizzazione della produzione. In quest’ambito rientra la sua proposta della banca senza interessi, che effettivamente fondò nel 1849, la banque du peuple, e che fallì rapidamente. Proudhon si considera erede delle idee della rivoluzione dell’89, di cui respinge gli aspetti degenerati e violenti. Nonostante la sua avversione per le lotte del movimento socialista, Proudhon fu indubbiamente vicino ai problemi del proletariato e li interpretò alla luce della sua idea di mantenere in equilibrio libertà individuale e giustizia sociale. Nonostante l’assenza di categorie analitiche sull’economia capitalistica, Proudhon ne mette in discussione alcuni caratteri fondamentali. Una passione senza analisi, da cui derivano proposte e atteggiamenti contraddittori, che tuttavia rendono conto delle difficoltà di misurarsi, senza l’elaborazione di adeguati strumenti analitici, con un sistema capitalistico in forte crescita e in rapida diffusione. Episodi a cura di Pierluigi Cocco Morte apparente a Maimagattas L ’ingresso di J.J. negli uffici di Stato Civile era spesso accompagnato da movimenti strani, appena percepibili, degli impiegati. La mani sparivano dai tavoli di lavoro, le attività di scrittura, digitazione o ricerca manuale si interrompevano: ormai era risaputo che il suo arrivo era motivato dalla ricerca di certificati di morte avvenuti decenni prima, sepolti in archivi polverosi, che gli stessi impiegati comunali non frequentavano più da decenni o di cui i più giovani non avevano mai varcato la soglia. Che quella cartaccia semi-divorata dai topi potesse interessare qualcuno era per loro motivo di grande meraviglia e di conferma della stranezza dei ricercatori. Gli studi di mortalità sono la base della ricerca epidemiologica soprattutto in ambito lavorativo: in primo luogo si raccoglie la coorte (sì, certo, proprio il termine utilizzato da Giulio Cesare nel De Bello Gallico), ossia l’elenco completo dei dipendenti di una fabbrica o di una azienda, esposti ad uno o più agenti potenzialmente in grado di provocare conseguenze a lungo termine sulla loro salute. Si ricerca quindi l’esistenza in vita di ciascun membro della coorte negli uffici d’anagrafe dell’ultimo comune di residenza e, per i deceduti, si cercano le cause del decesso riportate nei certificati di morte Istat o nei certificati necroscopici, conservati presso gli uffici di Igiene Pubblica della Asl, o nei cartellini dell’eliminazione anagrafica, conservati negli uffici di Stato Civile dei comuni, nei quali avvenne il decesso, se questo dovesse risalire ad epoca pre riforma sanitaria del 1978. Esistono molti problemi nella definizione delle cause di morte riportate nella scheda Istat, ma, al tempo stesso, esiste la possibilità di confronto con i dati statistici della mortalità per cause in ambito nazionale, che sugli stessi certificati Istat sono costruiti. Questi dati statistici permettono di calcolare quanti decessi sarebbero attesi nella coorte oggetto dello studio, se la mortalità dei lavoratori che la compongono fosse analoga a quella della popolazione generale, ossia se le esposizioni lavorative non avessero dato luogo ad alcuna conseguenza sulla loro salute. Il rapporto tra decessi osservati e decessi attesi rivela, quindi, se la mortalità dei membri della coorte è aumentata, invariata o diminuita rispetto a quella della popolazione generale. Nel caso che si osservi un aumento non spiegabile quale effetto del caso, è ipotizzabile che le esposizioni subite nel luogo di lavoro abbiano determinato o comunque contribuito ad una o più cause di morte. Il tutto si basa chiaramente sulla coscienza che la morte è un evento che naturalmente si verifica nella popolazione. Alcuni episodi suggeriscono tuttavia che l’allungamento delle aspettative di vita, verificatosi dagli anni 50 in poi, abbia mutato il concetto della morte come evento ineludibile della vita, anzi come suo presupposto. Se fosse possibile estendere la vita in maniera indefinita l’unica soluzione sarebbe quella di bloccare le nuove nascite, altrimenti il nostro stesso pianeta non potrebbe più contenere la popolazione umana: l’umanità invecchierebbe ed andrebbe incontro ad una rapidissima decadenza, non solo fisica, ma anche intellettuale. E’ una legge biologica, come quella che determina la morte dei muggini nello stagno di Marceddì: troppi individui, poco ossigeno a disposizione di ciascuno, morte collettiva. Tuttavia, se fosse possibile generalizzare a partire da singoli eventi, sembrerebbe che il decadimento intellettuale dell’umanità si stia verificando più velocemente rispetto all’avanzamento dell’età media. Nonostante il funerale della loro madre fosse già stato celebrato da oltre un mese, i figli di una donna di 68 anni, malata terminale di carcinoma del pancreas, hanno presentato formale denuncia per riaprire la bara della donna perché potrebbe essere viva ed essersi risvegliata. I figli avevano rifiutato l’autorizzazione al seppellimento, perché, secondo loro, si trattava di “morte apparente”, non avendo notato segni di decomposizione, né di abbassamento della tempera- tura o di irrigidimento del cadavere. Nonostante queste prove, diversi medici ne avevano dichiarato il decesso, e pertanto il sindaco ordinò il seppellimento. I quattro figli pare che abbiano ottenuto dal procuratore competente la riapertura della bara. La Procura ha aperto un fascicolo a carico di ignoti (quasi certamente i medici necroscopi) e ha sequestrato le cartelle cliniche della donna. Quasi negli stessi giorni, i seguaci del guru indiano Ashutosh Maharaj, morto a 70 anni in una cittadina del Punjab, hanno conservato il suo corpo in un congelatore per “favorire la sua meditazione”, sostenendo che il loro maestro in realtà non fosse morto, ma in uno stato di “samadhi”, il livello più alto di meditazione, pronto a risvegliarsi per portare tutti i suoi seguaci in un luogo bellissimo. Pare che il guru fosse la guida spirituale della Divya Jyoti Jagrati Sansthan (Missione per il risveglio della luce divina), che avrebbe seguaci in tutto il mondo. Tuttavia, le persone convinte che il suo stato di morte fosse solo apparente, sarebbero quelle che gli stavano più vicine. Il suo ex autista, ritenendo che i seguaci si opponessero al seppellimento per non perdere la disponibilità dei suoi beni immobili, ha chiesto l’intervento del tribunale: i periti hanno accertato che il guru era effettivamente deceduto, pare a seguito di un infarto, ma che spettava ai suoi seguaci decidere cosa fare del corpo. Pertanto, il cadavere di Ashutosh Maharaj rimane nel freezer ed i suoi adepti aspettano che si risvegli nella sua abitazione. Non è dato sapere se i quattro figli della signora Italiana o i seguaci del guru del Punjab continuino anche a riscuotere la pensione in vece dei loro rispettivi cari, momentaneamente impossibilitati. Durante la presentazione pubblica di un progetto di ricerca sulla mortalità dei dipendenti militari e civili della base militare di Maimagattas, MAG, una modenese laureata in Ingegneria dei materiali, capace in trovare nanoparticelle ovunque ed osannata per questo dai quotidiani e dai politicanti locali, notando in una diapositiva il calcolo dei decessi attesi nella coorte, si scandalizzò e sibilò inviperita che nessun decesso si sarebbe dovuto verificare e tutti quelli osservati sarebbero stati da attribuirsi alle esposizioni lavorative, anche se queste fossero tutte da dimostrarsi. Un tempo J.J., da ambientalista convinto, riteneva che l’uso del piombo come antidetonante dei carburanti delle automobili e la sua conseguente diffusione nell’ambiente potesse essere responsabile del decadimento intellettuale degli Italiani, data la sua azione di rallentamento dei processi cognitivi e le conseguenti alterazioni comportamentali, anche a basse concentrazioni nel sangue. Come alcuni storici avevano attribuito all’uso del piombo nelle intercapedini delle botti del vino la caduta dell’Impero Romano, così J.J. ipotizzava che il comportamento elettorale degli Italiani potesse essere spiegato dal loro ritardo nell’abolire la benzina additivata con il piombo. Sono passati molti anni dall’uso della benzina senza piombo; il piombo nel sangue della popolazione generale si è ovunque ridotto a livelli estremamente bassi, se paragonati agli anni 80 e 90, eppure i comportamenti sono rimasti invariati. Avevi torto J.J., torto marcio. marzo 2014 31 Libri Il volume miscellaneo della germanista Lia Secci presentato alla libreria delle donne di Cagliari Il mondo “nepotistico” dell’editoria e l’opera della Nobel Elfriede Jelinek Valentina Serra G iovedì 6 marzo il Centro di documentazione e studi delle donne di Cagliari ha ospitato la presentazione del volume miscellaneo curato dalla germanista Lia Secci, Il teatro di Elfriede Jelinek in Italia che ha sollecitato diverse riflessioni sulla figura della scrittrice austriaca, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 2004. L’evento, organizzato con il patrocinio del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’università di Cagliari, dell’Associazione culturale italotedesca (Acit-Cagliari), del Circolo nel Cinema Alice Guy e del Comune di Cagliari, si è concluso con la proiezione del film La pianista (regia di Michael Haneke, 2001, Grand Prix Speciale della Giuria al 54° Festival del Cinema di Cannes) e ha visto la partecipazione di un vivace pubblico incuriosito dall’opera di questa autrice purtroppo ancora poco conosciuta in Italia. Elfriede Jelinek è scrittrice complessa e controversa che si oppone alle strategie commerciali dell’editoria di lingua tedesca e ormai da anni pubblica gratuitamente le sue opere in rete (www.elfriedejelinek. com). La coraggiosa scelta è tuttavia non solo il frutto di un’accesa polemica con mondo dell’editoria e della distribuzione libraria, che l’autrice non esita a definire «nepotistico» ed «estremamente corrotto» («nepotisch», «extrem korrupt», intervista rilasciata a «Der Spiegel», 27.02.2014), ma anche un preciso modo di comunicare direttamente con il pubblico interessato alla sua opera. È soprattutto l’espressione di un forte attaccamento ai testi, espresso metaforicamente con l’opportunità di «mangiare la torta serbandola allo stesso tempo» («ich kann den Kuchen essen und ihm gleichzeitig behalten», idem). La Jelinek è autrice di opere liriche, narrative e teatrali che, non sempre tradotte in lingua italiana, presentano complessità sotto i diversi profili tematico e linguistico. L’autrice attua, a diversi livelli, una critica dissacrante e demistificatoria della sua patria, colta negli aspetti controversi del collaborazionismo con la dittatura hitleriana e nelle intricate scelte politiche della contemporaneità. L’arte della scrittura diviene qui forma di attenzione a temi di responsabilità civile, morale ed etica (Inversi, p. 74), svisceramento di 32 marzo 2014 complessi temi femminili e dialogo complicato con la tradizione in una puntuale e ironica ricerca di riferimenti intertestuali e intermediali. La Jelinek, soprattutto, opera un lavoro minuzioso sulla lingua che diviene materia «scolpita (...) come altri scolpiscono la pietra» (Waas, p. 12) e che è necessario imparare a leggere e a interpretare perché non funzionale a qualcosa ma esistente di per sé. Il volume presentato a Cagliari raccoglie i contributi di registi, attori ed esperti teatrali (Pia Janke, Werner Waas, Roberta Cortese, Maria Inversi e Federica Santoro) che per anni si sono cimentati nell’arduo compito di rappresentare testi che si rivelano sfide e «provocazioni permanenti»(Janke, p. 7) e che richiedono uno sforzo ingegnosamente traduttivo affinché una cultura possa «illuminare e riconcepire un’altra» (Waas, p. 21). Tradurre e rappresentare il teatro della Jelinek significa perciò scontrarsi con esso, cimentarsi in poliedriche forme di riscrittura e in continui rimandi intertestuali, sciogliere innumerevoli aspetti autoreferenziali con l’ausilio di ingegnosi stratagemmi. I casi descritti in quest’opera collettanea confortano la tesi di una “rappresentabilità” delle opere della Jelinek anche a fronte di oscurità testuali e riferimenti culturali “altri”, laddove il/la regista diviene necessariamente co-autore o co-autrice di un teatro “aperto”, «ove ognuno può “giocare” cosa e come vuole e fino al più alto e (...) nobile tradimento» (Inversi, p. 66). La riflessione conclusiva della germanista Lia Secci si fonda sulle ricerche svolte nell’ambito di due convegni scientifici legati all’argomento (il convegno internazionale La ricezione del teatro di lingua tedesca in Italia, Roma, 30 marzo-1 aprile 1998 e l’incontro di studi Elfriede Jelinek in Italia, aprile 2007). Secci segnala le innumerevoli difficoltà traduttive, strutturali e linguistiche che scaturiscono dal tentativo di rappresentare l’opera jelinekiana ma riconosce al contempo il caparbio impegno di registe e registi attivi in ambito germanofono (Werner Waas, Roberta Cortese), di artiste impegnate in lavori sperimentali (Inversi, Santoro, Merloni) e di giovani e volenterosi attori (Valentina Martino Ghiglia, Barbara Mazzi, Marco Lorenzi, Maddalena Monti, Luca Di Prospero, Yuri D’Agostino e Fabrizio Bordigon) che hanno fatto delle messe in scena italiane un esperimento di successo. La crisi del teatro, particolarmente virulenta nei confronti di chi si occupa di testi lontani dalla routine del consumo, ha sfortunatamente causato la sospensione delle fruttuose collaborazioni che hanno portato sulle scene i lavori di Elfriede Jelinek e li hanno fatti conoscere anche nel nostro paese. Lia Secci (a cura di), Il teatro di Elfriede Jelinek in Italia, Aracne, 2011 Cineteca a cura di Emilio Bellu Dodici anni schiavo L’orrore della Storia con gli occhi di Steve Mc Queen S olomon Northup, a New York, era un uomo di colore, un uomo educato, e un uomo libero. Per quanto nel 1841 anche le zone degli Stati Uniti dove la schiavitù era abolita non fossero immuni dal razzismo, la sua vita procedeva bene: aveva una moglie, due figlie, una brillante carriera da violinista e artigiano. Dopo un concerto, due uomini lo invitarono a unirsi alla loro compagnia circense, con la promessa di un’ottima paga. Era una trappola: Northup, dopo essere stato drogato, si svegliò in Luisiana, a New Orleans, insieme ad altri afroamericani in attesa di essere venduti al migliore offerente per lavorare nelle piantagioni di ricchi proprietari terrieri. Incapace di contattare la sua famiglia, Solomon si rese conto che non c’era modo di chiedere libertà senza attirare ancora più violenza verso di lui. Anche solo rivelare di sapere leggere e scrivere era un pericolo: i suoi proprietari volevano una servitù docile e facilmente manipolabile. Il suo racconto di dodici anni di cattività, di un’esperienza che poche persone educate e capaci di raccontare la loro storia furono in grado di mettere su carta, diventò nel 1853 un libro fondamentale per la lotta contro la schiavitù negli Stati Uniti, Dodici anni schiavo. In un periodo dove la pratica della tratta degli uomini era ancora un elemento portante dell’economia di interi stati, ed era ancora diffusa l’idea che le persone di colore fossero fondamentalmente inferiori ai bianchi, il racconto di Northup descriveva in dettaglio gli abusi dei proprietari terrieri, lo stato di degrado in cui vivevano gli schiavi, e la mancanza di umanità di un’istituzione che per molti americani era ancora considerata fondamentale e giusta. Dodici anni dopo la schiavitù venne abolita negli Stati Uniti, e testimonianze come quella di Northup furono fondamentali per sensibilizzare l’opinione pubblica e provocare un cambiamento. L’anno scorso 12 anni schiavo è diventato un film diretto da Steve McQueen, regista inglese già celebrato per i suoi film Hunger e Shame, opere intense e forti, che hanno cementato la reputazione del regista e lanciato la carriera dell’attore Michael Fassbender. Prodotto dalla Plan B di Brad Pitt, che ha un piccolo ma importante ruolo nel film, e interpretato da ottimi attori come Chiwetel Ejiofor, Benedict Cumberbach, Lupita Nyong’o, Paul Dano e lo stesso Fassbender, la versione cinematografica di 12 anni schiavo è un tour de force nell’odissea di Northup, raccontato senza compromessi, mostrando tutto l’orrore della sua esperienza, la disperazione di chi lo ha circondato, e la brutalità di un sistema costruito sul sopruso. McQueen ha cominciato la sua carriera come artista visuale, prima di cominciare a dirigere cortometraggi, e l’aspetto visivo è fondamentale nel film. Lo sguardo di McQueen non permette di ignorare l’orrore dell’esperienza di Northup, non ha paura di mostrare sangue, ferite, lacrime e morte, e fotografa questa violenza con grande abilità: sono bellissime immagini orribili, un contrasto che amplifica la violenta dissonanza tra la gloria della natura che circonda gli schiavi nel film e la loro condizione. 12 anni schiavo è un film pesante, difficile da guardare dall’inizio alla fine. Non pochi hanno criticato McQueen descrivendo la sua opera come un esercizio nel descrivere con sadismo quasi compiaciuto una storia agghiacciante, utilizzando definizioni come “pornografia della tortura”, solitamente riservate a film horror di serie C. E quando la macchina da presa si ferma su scene particolarmente violente, molto dopo che i contorni dell’orrore sono diventati chiari, ci si può chiedere se la scelta di costringere di guardare gli abusi subiti dagli schiavi sia un modo per cercare di arrivare ad un’espiazione attraverso il film, o se sia un modo per rendere giustizia alla realtà storia raccontata da Northup: se il disagio creato allo spettatore sia giustificato da un’idea forte, o se sia un modo pigro e manipolatore per creare un’esperienza memorabile. Non è una domanda a cui è facile rispondere, ma quello che è certo è che il film è difficile da ignorare. È interpretato da attori straordinari, realizzato con grande maestria, e racconta una storia importante. La grande quantità di premi vinti quest’anno, compreso l’Oscar per il miglior film dell’anno (ma non per il miglior regista, andato ad Alfonso Cuaròn per Gravity), dimostrano che Hollywood ha un debole per le storie che mischiano forte impatto emotivo con un messaggio socialmente impegnato. 12 anni schiavo è un film che mette all’angolo, difficile da criticare senza sentirsi in colpa di attaccare una visione insindacabilmente giusta del mondo, nonostante, con un po’ di freddezza e lucidità, si potrebbe dire che Frozen e The Wolf of Wall Street raccontino storie forse ancora più profonde e importanti per il nostro quotidiano, ma senza cercare di apparire a tutti i costi “serie” ed “importanti”, forse un segno di maggiore maturità, a discapito delle apparenze. Ma comunque la si possa pensare, questo è un ottimo film, che può aiutare a ricordare l’orrore di una pratica ancora molto diffusa, per quanto non più comune nel mondo occidentale. L’idea che alcuni uomini abbiano meno valore degli altri è sempre presente, pericolosa, e pronta a catturare intere nazioni. Ricordarsi di quanto sia agghiacciante non è mai una cattiva cosa. marzo 2014 33 Dalla Valle del Tirso, a cura di Anna Maria Capraro Oristano scopre le sue vere eccellenze nel mondo Paolo Mancosu in cattedra tra Berkeley e Mosca Con questo articolo Anna Maria Capraro, professoressa di Lettere nei licei e nelle scuole superiori di Oristano, inizia la sua collaborazione con questo giornale occupandosi degli aspetti sociali dell’Oristanese. Sardinews è orgoglioso di annoverarla fra i collaboratori. I suoni della lingua sarda si incrociano con quelli dell’inglese e del russo nella valle del Tirso, e raccontano la possibilità di imboccare strade che non siano unicamente quelle della deriva e del ripiegamento nei miasmi asfittici dell’inerzia. Ci parlano di radici aeree, capaci di allargare smisuratamente la nostra piccola isola attraverso confini intesi come soglia aperta a culture differenti. E di sfide, rischi, sacrifici e sogni che si realizzano altrove disegnando i contorni di una nuova emigrazione. Tutto questo nel riconoscimento conferito il 28 febbraio al teatro Garau di Oristano dal sindaco Guido Tendas al concittadino Paolo Mancosu, professore ordinario di filosofia presso l’università di Berkeley. Laurea in logica matematica alla Cattolica di Milano, dottorato di ricerca a Stanford e un’intensa attività svolta in Accademie e Università di tutto il mondo, Paolo Mancosu ha oggi aggiunto allo sterminato elenco delle sue pubblicazioni scientifiche un’interessantissima opera sulla misteriosa storia della pubblicazione de Il dottor Zivago di Boris Pasternak mettendo in luce, attraverso il rapporto e il carteggio di quest’ultimo con Giangiacomo Feltrinelli, il caso politico-letterario più importante del ventesimo secolo. E così, dopo l’attribuzione, nel 2009, della prestigiosa “Navicella d’argento”, riceve dalle mani del sindaco Tendas una Stella d’argento, simbolo del legame con una città della quale continua a sentirsi figlio. La serata vuole essere, secondo le affermazioni dello stesso Tendas, una sorta di edizione zero, di prova battesimo di una manifestazione,“Oristanesi nel mondo”, “… con cui dall’anno prossimo il Comune di Oristano premierà chi si è distinto - per capacità, qualità e impegno - nei campi dell’economia, della politica, dello sport e del sociale, nell’ambito delle arti, della musica e della cultura, nel settore scientifico e della ricerca, con opere di ingegno, nei lavori manuali o intellettuali, valorizzando l’identità della nostra città.” Una manifestazione destinata ad essere istituita formalmente nel prossimo anno in 34 marzo 2014 concomitanza con una sorta di piazza virtuale che su un sito del Comune permetterà agli oristanesi “di dentro” di incontrarsi con quelli “di fuori”, ben 1300 secondo il registro delle duplici iscrizioni. Si creerà dunque uno spazio per la formazione e il confronto, lo scambio e la capitalizzazione condivisa delle diverse esperienze, mentre attraverso assegnazioni di premi, videointerviste e iniziative particolari si valorizzeranno le specifiche competenze dei nostri concittadini in una sorta di centro di propulsione per l’innovazione culturale. Ci ritroviamo così a riflettere su una“distrazione storica”che ci vede riconoscere tardivamente le nostre eccellenze, già affermate in Paesi lontani, verso i quali sono state spinte da una terra che, come si afferma nella prefazione all’opera Sardo sono di Giacomo Mameli, “delle private virtù non riesce a far sistema”. Problema scottante in un momento in cui le attese comuni si concentrano sulla necessità di una rivoluzione copernicana che riporti alla necessaria centralità il ruolo della cultura nel superamento dell’attuale crisi economica. Ma è proprio Paolo Mancosu che, eclettico e versatile più di un intellettuale del Rinascimento, postura esistenziale da autentico globetrotter, offre, nella sua condizione di “cervello in fuga”, ottimi spunti di riflessione su una grande contraddizione da sanare al più presto: le qualità della scuola italiana e la sua incapacità di offrire sbocchi concreti per via di scelte politiche che l’hanno trascinata, nelle statistiche Ocse, agli ultimi posti per percentuale di Pil ad essa destinata. Nel suo breve discorso di ringraziamento, nel sottolineare le potenzialità che anche una piccola città può offrire a chi rifiuta di farsi risucchiare dalla palude, Mancosu ricorda l’importanza della scuola. Dove anche un solo insegnante motivato può sopperire ad oggettive deficienze strutturali, contribuire a creare un immaginario positivo, diventare sponda di avvio per un cammino di determinazione capace di cercare nella propria interiorità, quando niente è scontato, la spinta propulsiva a dare il meglio di sé. Ed è appunto da un liceo privo di aule di fisica ma ricco di buoni maestri che Mancosu fa derivare la propria specificità nel campo della cultura degli States: un approccio insieme storico ed analitico nei confronti dei problemi tecnici e scientifici. È il paradosso di un Paese che non riesce a riappropriarsi di un senso da troppo tempo perduto, quello della consapevolezza di una straordinaria creatività negli ambiti più diversi del fare e del sapere. Sinora gli scarsi investimenti nel campo culturale hanno riguardato soltanto le tecnologie, e così, mentre attendiamo che finalmente si ponga l’accento sul talento, il merito, l’intraprendenza e il dinamismo, l’America , scrive a caratteri cubitali il quotidiano “Repubblica”, scopre il manager italiano e su”La voce di New York” compare un entusiastico articolo su Marco Arconte, giovane di Cabras che, dopo aver studiato management a Londra e in Svizzera, approda venticinquenne a New York diventando prima manager da Cipriani, ed ora, dopo appena un anno, General Manager al ricercatissimo Brynwood Private Golf & Country Club della stessa città. Con gli occhi di Micaela Il difficile compito di divulgare la scienza Questa pagina da questo numero è battezzata “Con gli occhi di Micaela”. La titolare della rubrica non è più la giornalista Paola Pilia ma Micaela Morelli, ordinario di Farmacologia all’università di Cagliari. Sardinews ringrazia Paola Pilia che dal 10 febbraio ha assunto la condirezione della trasmissione “L’Unione in diretta” su Radiolina dove sta dimostrando la professionalità con la quale ha raccontato per due anni, su questo giornale, l’universo femminile. Raccoglie il testimone Micaela Morelli che Sardinews è felice di inserire tra i collaboratori più autorevoli. A ll’università di Cagliari e Sassari, così come in altri 36 atenei italiani, il 14 marzo si è svolta la 6° edizione della manifestazione UniStem day, un affascinante viaggio finalizzato alla divulgazione scientifica, durante il quale docenti e ricercatori hanno mostrato tutta la bellezza della ricerca agli studenti delle scuole superiori della Sardegna. Partendo dai temi affrontati nell’ambito degli studi sulle cellule staminali, i ragazzi hanno scoperto durante la giornata quanto la ricerca scientifica sia coinvolgente e favorisca relazioni personali e sociali costruite sulle prove, sul coraggio e sull’integrità. I numeri di questa edizione sono stati davvero importanti: 36 atenei italiani e 9 europei tra Irlanda, Regno Unito, Spagna e Svezia, 20mila studenti di oltre 350 scuole superiori. Sulla scia delle vicende mediatiche legate al caso Stamina, si è discusso quest’anno a Cagliari di come comunicare la scienza e delle questioni etiche legate all’utilizzo delle cellule staminali. Partendo da questa giornata che si ripete da sei anni, vorrei condividere alcune riflessioni sulla comunicazione della scienza e riflettere sul perché questa comunicazione sia molto carente in Italia. Un primo motivo è il poco interesse a conoscere tutto quello che ci circonda frutto della ricerca scientifica, dall’accensione di una lampadina all’energia nucleare fino a comprendere perché dormiamo o perché proviamo piacere. Questo poco interesse non è una tara genetica italiana, ma considerato che negli altri paesi europei le cose stanno in maniera diversa, certamente devono esistere motivazioni che non favoriscono la consuetudine nei confronti dei temi della scienza nel nostro paese. È un distacco che deriva da una educazione disattenta verso la scienza, da una sua poco frequente e poco corretta divulgazione attraverso i media, da una incapacità delle istituzioni, a tutti i livelli, di governare situazioni complesse, ed anche da una responsabilità dei ricercatori. In questo contesto prende le mosse il metodo Stamina, che non è il primo caso, né sarà l’ultimo, di un approccio fondato sulla emotività e sulla manipolazione mediatica. Il dibattito scientifico sviluppatosi intorno all’utilizzo del metodo Stamina, per trattare patologie senza cura, si è trasformato in un caso mediatico, giuridico, politico ed è diventato lo specchio della società italiana contemporanea in cui è emersa profonda sfiducia nei confronti delle istituzioni ed una ribellione rituale nei loro confronti. Sono nate manifestazioni di piazza per rivendicare il diritto a essere curati gratuitamente anche in assenza di evidenze sulla attendibilità del metodo, che additavano la medicina ufficiale come portatrice di reti di clientele governate da aggregazioni di interessi non legittimi. L’opinione pubblica anche senza sostegno di elementi di prova e di controllo, si è sostituita alle autorità sociali (religiose, scientifiche, professionali) esistenti. L’opinione pubblica creata dai media attribuisce, in generale, riconoscimenti pubblici che vanno al di là di quelli tradizionalmente legati alle competenze scientifiche e professionali, ma che sono basati solo sulla quantità di esposizione mediatica. Le decisioni provenienti dalle istituzioni vengono quindi passate al vaglio di una critica pubblica incompetente che determina le scelte di chi non è attrezzato culturalmente. Ci si chiede come possano i media ingaggiare una guerra aperta contro la scienza e il modo di procedere scientifico. In Italia sembra proprio si possa. E quindi in Italia il metodo Stamina, mai pubblicato, è stato accettato in un Ospedale di Brescia mentre sulle riviste scientifiche internazionali si scriveva che nessuno era mai riuscito a fare sviluppare cellule staminali nelle modalità cosi approssimativamente descritte da Vannoni il ‘padre’ di Stamina. Iniziali errori delle istituzioni preposte al controllo ed una comunicazione distorta poi, hanno fatto si che attraverso i media, la gente abbia creduto alla trovata fulminea e al colpo di genio che avrebbe permesso di superare anni di faticose ricerche svolte dai ricercatori riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. L’attesa dei miracoli in Italia sostituisce le limitate capacità, e chi li promette diventa l’eroe capace di opporsi alle istituzioni e ai loro ‘oscuri interessi’ indicando una nuova strada acritica e facile, attraverso la quale la gente comune cerca risultati senza fatica. Dobbiamo quindi perdere le speranze di avere nel nostro paese una informazione meno emotiva e più competente? Cosa può fare la comunità scientifica per competere contro proposte che poco hanno di rigore ed efficacia, ma che per la loro semplicità riescono a toccare la sensibilità e l’emotività dell’opinione pubblica? Alla scienza si chiede lo sforzo creativo di saper rappresentare i modelli sempre più complessi che va elaborando in una maniera semplificata e accessibile, senza rinunciare al rigore che le è proprio. Un compito difficile in cui i ricercatori devono imparare ad essere i protagonisti. L’UniStem day è un esempio, e guardando i ragazzi che hanno partecipato a questa manifestazione, è sembrato che l’esigenza dei giovani di comprendere maggiormente la scienza e di difendersi da chi distorce la realtà e l’informazione scientifica a scopo di lucro o di visibilità, stia crescendo. Questa giornata di informazione è forse il caso più visibile e meglio organizzato, bisogna però cercare di soddisfare questa esigenza. marzo 2014 35 Amministratori e amministrati a cura di Massimo Lai Le pari opportunità (?) donne-uomini nei parlamenti Si sta rapidamente consolidando una grosso Comune. Di recente, in senso diverso si è pronunciato il Tar univoca giurisprudenza sulla legge Lombardia nella sentenza n. 482 dello scorso 14 febbraio 2014. La 23 novembre 2012 n. 215 che detta pronuncia si allinea con il pacifico orientamento della sicura immedisposizioni per promuovere il riequidiata applicabilità e operatività della disciplina che prevede la prelibrio delle rappresentanze di genere senza di entrambi i generi nelle giunte. Precisa anche che l’art. 23 nei Consigli e nelle giunte degli enti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea impone locali e nei Consigli regionali. In pardi assicurare la parità formale tra uomini e donne in tutti i campi e ticolare, con riferimento alla compostabilisce che il principio della parità non osta al mantenimento o sizione delle giunte degli enti locali, all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del costituisce approdo unanimemente genere sottorappresentato. condiviso la natura cogente e non Il Giudice lombardo chiarisce, però, che l’immediata precettività meramente programmatica della previsione dell’art. 51 della Codella disciplina, di varia fonte, sulle pari opportunità non comporta stituzione, cristallizzato nella versiouna riserva ai soggetti appartenenti al ne vigente dell’art. 46 del testo unico genere sottorappresentato del 50 per Sardinews viene inviato per posta agli abbonati degli enti locali, secondo il quale le cento dei posti e nemmeno comporgiunte sono nominate nel rispetto ta la determinazione in via astratta di Può essere acquistato presso le librerie di Cagliari del principio di pari opportunità tra una soglia minima di rappresentanza Cuec, Facoltà di Lettere, via is Mirrionis Dettori, via Cugia 3 donne e uomini, garantendo la preal di sotto della quale il principio delle Edicola Meloni, D. I. Via Basilicata, 69 senza di entrambi i sessi. La necessità pari opportunità possa dirsi violato; Edicola Piazza Yenne, lato Corso Vittorio della presenza di entrambi i sessi non anzi arriva ad affermare a chiare letteFahrenheit 451, Via Basilicata, 57 è più messa in dubbio. Resta salvo re che la determinazione per via giudiMiele Amaro, via Manno 88 solo il limite della reale inesistenza ziale di una soglia astratta sarebbe del Murru, via San Benedetto 12/c (verosimilmente verificabile solo in tutto arbitraria ed esorbiterebbe dal Tiziano, via Tiziano 15 Comuni sotto i 15.000 abitanti per ruolo assegnato dall’ordinamento alla Feltrinelli, via Roma 63 e Ubik, via Paoli 19 quali lo statuto preveda la nomina tra magistratura. Per il Tar Lombardia il a Carbonia i soli consiglieri eletti) di soggetti idogiudizio sulla legittimità delle nomine Libreria Lilith, Via Satta 34 Edicola Secci, piazza Italia nei, tecnicamente o dal punto di vista presuppone una valutazione caso per Edicola Il libro, piazza Matteotti della compatibilità politica, purché caso. Le linee guida di tale valutazione a Macomer tale inesistenza venga correttamente sarebbero: a) non può essere compleLibreria Emmepi, Corso Umberto 235 accertata al termine di verificabile tamente pretermesso un genere a favoa Nuoro istruttoria. re di un altro; b) il rispetto del canone Libreria Novecento, Via Manzoni 35 Una difformità di interpretazioni si delle pari opportunità non può essere a Oristano profila, però, sulla misura che possa essere solo formale essendo necessaria Libreria Mondadori, piazza Manno dirsi sufficiente a soddisfare la pari anche una valutazione sulla “qualità” a Sassari opportunità. Il Tar Lazio, nella sendell’incarico attribuito al genere sotLibreria Koinè, via Roma 137 tenza 21 gennaio 2013, n. 633, avetorappresentato; c) occorre, altresì, va dichiarato illegittimo il decreto di considerare la dimensione delle realtà nomina di una giunta comunale nella quale era prevista una sola locali prese in considerazione. In quel caso la nomina di un solo donna, affermando la necessità di assicurare ad entrambi i generi assessore di sesso femminile su sei, in un piccolo paesino, non è una rappresentanza di almeno il 40 per cento. Si trattava di un stato ritenuto illegittima. Il digitale per un teatro senza confini col portale di Tiscali Tiscali e Il Teatro Stabile della Sardegna presentano “Il digitale per un teatro senza confini”, progetto innovativo che partendo dalla platea come luogo fisico della vision e dell’espressione del gusto del pubblico, la estende in più ambienti digital interconnessi grazie alle piattaforme di streaming, alle community web e ai social network, in una strategia di diffusione spazio-temporale multipla. Forti delle rispettive competenze, Tiscali e Teatro Stabile della Sardegna realizzano un progetto di comunicazione e di digitalizzazione dell’archivio e degli eventi basato su un sistema innovativo, democratico ed economicamente sostenibile in cui il pubblico è al centro della visione progettuale. Tre le sue direttrici: Comunicazione - tiscali.it: il portale di Tiscali per diffondere le informazioni su spettacoli ed eventi, creare partecipazione attiva delle persone, raccogliere feedback, progettare insieme nuovi format. Digitalizzazione - istella.it: il motore di ricerca del web italiano per valorizzare il patrimonio del teatro, preservarne la conservazione, agevolare la condivisione e la conoscenza. Eventi - streamago.tv: per 36 marzo 2014 diffondere eventi in digitale, allargare il bacino d’utenza, agevolare la connessione e la cooperazione tra diverse strutture teatrali. “Il progetto nasce dall’esigenza dello Stabile di allargare il bacino d’utenza del pubblico teatrale andando ad abbattere i confini fisici della platea del Teatro Massimo tramite un sistema di comunicazione che crea consapevolezza, condivisione e partecipazione nell’offerta culturale – afferma Paola Masala- responsabile Comunicazione del Teatro di Sardegna - Grazie all’incontro con Tiscali abbiamo la consapevolezza di aver creato un esempio di buona pratica replicabile e auspicabile su tutto il territorio nazionale.” “Si tratta di un progetto che nasce dall’ incontro di due realtà radicate nel territorio e dalla condivisione delle rispettive competenze – afferma Marco Agosti, direttore del portale Tiscali – Un progetto che grazie a un sistema di comunicazione integrata disegna un nuovo format di interazione con un pubblico per noi nuovo, quello teatrale, e crea consapevolezza, condivisione e partecipazione dei giovani nell’offerta culturale.” Aziende, carriere, persone Carmelo Farci, Cgil, confermato segretario generale della Camera del lavoro di Cagliari L’ottavo congresso della Camera del Lavoro di Cagliari ha confermato il segretario generale Carmelo Farci dopo due giornate di lavori che hanno coinvolto oltre 160 delegati. Nel documento politico approvato, le linee guida che la Cgil ha individuato come strategiche per i prossimi quattro anni: difesa e rilancio del sistema industriale, investimenti su istruzione, ricerca e innovazione, difesa del suolo e interventi in edilizia per ristrutturare l’esistente, in particolare gli istituti scolastici. “La Cgil di Cagliari – si legge in una nota - sostiene con forza la realizzazione dell’Area Metropolitana e lavorerà per sollecitare le istituzioni, anche insieme a Cisl e Uil, dialogando con tutti soggetti del territorio, a realizzare un progetto di sviluppo equilibrato che valorizzi beni ambientali e culturali, le tradizioni agroalimentari e artigianali, i servizi e il commercio, con l’obiettivo di rilanciare i settori produttivi, potenziare il turismo”. La Cgil “porterà avanti con determinazione le battaglie in difesa del lavoro stabile, contro il sommerso e la precarietà, per creare nuove occasioni di occupazione”. Francesco Angius presidente regionale della Federnoleggio-Confesercenti All’Exmà di Cagliari Francesco Angius, da pochi mesi presidente della delegazione provinciale di Cagliari, è stato eletto all’unanimità con voto palese presidente regionale della Federnoleggio. Con la stessa modalità, i cinquanta delegati giunti da tutta la Sardegna hanno approvato la sua proposta in merito ai componenti il direttivo, che figura così composto: Pietro Rossi, Siro Pibiri, Fabrizio Pruner, Marco Lecca, Giovanni Zanda, Alberto Piludi (provincia di Cagliari); Renzo Ghia, Carlo Sardanu, Luciano Barca, Marcello Piras, Ivano Loddo (Nuoro e Ogliastra); Massimiliano Molinu, Giampaolo Occhioni (Sassari); Rosanna Fenu, Pietro Serra (Oristano). Angius, 42enne di Soleminis, esercita la professione da 18 anni (dapprima come dipendente, ora da lavoratore autonomo). Il 20 novembre 2013 è stato eletto alla guida della Federnoleggio di Cagliari. All’assemblea hanno presenziato anche il coordinatore nazionale della Federnoleggio, Mauro Maggi, e il presidente regionale della Confesercenti, Marco Sulis. Ai lavori ha partecipato anche l’assessore alle Attività produttive del Comune di Cagliari, Barbara Argiolas. Salute mentale: Gisella Trincas presidente nazionale Unasam Gisella Trincas, presidente dell’associazione sarda per l’attuazione della riforma psichiatrica è stata eletta presidente Unasm, l’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale. L’assemblea dei soci ha eletto il nuovo consiglio direttivo confermando Antonella Barbagallo vicepresidente e Giancarlo Castagnoli tesoriere e segretario. I componenti del nuovo consiglio direttivo nazionale sono Alessandro Sirolli, Pasqualino Cirino, Anna Maria De Angelis, Nicola Scola, Roberto Pezzano, Valerio Canzian, Carmela Azzano e Cosimo Venerito. I presidenti onorari sono Ernesto Muggia e Girolamo Digilio. L’assemblea dell’Unasam - si legge in una nota - denuncia la costante violazione dei diritti umani delle persone che vivono l’esperienza della sofferenza mentale e invita il mondo della politica a considerare la salute mentale come bene primario da tutelare. Unasam sollecita il superamento degli Ospedali psichiatrici iugdiziari e di tutti i luoghi di internamento. Obbiettivo principale dell’Unasam è il riconoscimento alle persone della propria dignità, libertà, e del diritto a guarire e vivere come tutti nella società. La Polifonica Santa Cecilia ha una nuova presidente con Letizia Tedde L’associazione polifonica Santa Cecilia onlus, soggetto storico del associazionismo culturale sassarese, operante sul piano nazionale e internazionale da 69 anni, ha espresso come sua nuova presidente Letizia Tedde, che si insedierà in continuità con il lavoro portato avanti dal presidente uscente, Paolo Cabula. È da ricordare il grande impegno profuso per più di 15 anni da Cabula a servizio dell’associazione, e gli importanti traguardi con lui raggiunti, solo per citare il 2013, la rappresentazione del Requiem di Verdi all’auditorium di Sassari, e l’importante premio del pubblico al concorso internazionale di Spittal an der Drau (Austria), dove la Polifonica si è distinta tra cori di livello mondiale. Letizia Tedde, che si fa carico del nuovo impegno, è socia della Polifonica dal 1996, dove ha anche ricoperto il ruolo di consigliera. È inoltre da più di venti anni attiva in diverse associazioni sassaresi, con incarichi di responsabilità. La squadra dell’università di Sassari al 2° posto nella Competizione italiana di Mediazione La squadra dell’università di Sassari ha conquistato il secondo posto nella Competizione italiana di Mediazione, giunta alla seconda edizione. La gara si è svolta presso l’università statale di Milano e ha visto gli studenti impegnati in una serie di mediazioni simulate, con lo scopo di mostrare le capacità dei partecipanti di negoziare le controversie in modo cooperativo ed efficace. La giuria ha decretato la vittoria dell’università di Trento davanti all’ateneo di Sassari e alla Statale di Milano A e B. Hanno partecipato anche Milano Bicocca, Camerino, ECampus e Firenze. Sassari è stato rappresentato dagli studenti Lorenzo Cosseddu, Alessandro Dasara, Salvatore Mistretta e Federico Ponti, iscritti al Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza e accompagnati dalle professoresse Maria Antonietta Foddai e Giuseppina Carboni, rispettivamente direttore e vice-direttore del Centro universitario di Mediazione. Il “coach” della squadra era l’avvocato Francesca Cuomo Ulloa. Francesco Angius eletto presidente regionale della Federnoleggio-Confesercenti All’Exmà di Cagliari Francesco Angius, da pochi mesi presidente della delegazione provinciale di Cagliari, è stato eletto all’unanimità presidente regionale della Federnoleggio della Confesercenti. Con la stessa modalità, i cinquanta delegati giunti da tutta la Sardegna hanno approvato la sua proposta in merito ai componenti il direttivo, che figura così composto: Pietro Rossi, Siro Pibiri, Fabrizio Pruner, Marco Lecca, Giovanni Zanda, Alberto Piludi (provincia di Cagliari); Renzo Ghia, Carlo Sardanu, Luciano Barca, Marcello Piras, Ivano Loddo (Nuoro e Ogliastra); Massimiliano Molinu, Giampaolo Occhioni (Sassari); Rosanna Fenu, Pietro Serra (Oristano). Angius, 42enne di Soleminis, esercita la professione da 18 anni (dapprima come dipendente, ora da lavoratore autonomo). Il 20 novembre 2013 è stato eletto alla guida della Federnoleggio di Cagliari. All’assemblea hanno presenziato anche il coordinatore nazionale della Federnoleggio, Mauro Maggi, e il presidente regionale della Confesercenti, Marco Sulis. Maria Lai, Il gioco dell’arte nella scuola, Nuoro, liceo Ciusa, mercoledì 2 aprile “Maria Lai: Il gioco dell’arte nella scuola” è il tema di una tavola rotonda che si terrà a Nuoro, al liceo artistico Ciusa di via Costituzione 33 mercoledì 2 aprile a partire dalle 10.30. Coordina Lisetta Bidoni presidente Associazione Ibis (Identità benessere interculturalità solidarietà). Introduce: Franco Cucca dirigente scolastico. Intervengono: studenti e docenti scuola dell’infanzia, primaria e secondaria, Ugo Collu pedagogista, Claudia Contu guida musealeFondazione “Stazione dell’arte”– Ulassai, Giacomo Mameli giornalista, Maria Sofia Pisu collaboratrice di Maria Lai. Partecipano: Gianfranca Logias assessore alla Cultura della Provincia di Nuoro, Leonardo Moro assessore alla Cultura del Comune di Nuoro. Info: [email protected], tel. 3400697710. marzo 2014 37 Civiltà mediterranea Il libro della ricercatrice Marisa Fois su un popolo nomade noto per l’artigianato e la musica Tra Su succu di Busachi e le primavere arabe Il voto in Algeria e La minoranza inesistente Pa. Ar. I l rione di Campu Maiore di Busachi, l’università di Cagliari, quella francesi di Parigi ed Aix-en Provence e gli Archives nationales di Algeri, il libro “La minoranza inesistente” edito da Carocci e scritto da Marisa Fois, ricercatrice. È questo il percorso di chi ha scritto una “storia minore”, quella di un popolo nomade, noto per l’artigianato e per la musica. No, non riguarda il popolo sardo, ma sa comunque di Mediterraneo. Nata il 2 aprile del 1981 da Giuseppina Marras, casalinga classe 1948, e da Antonio, classe 1953, pensionato ed ex dipendente del petrolchimico di Ottana, è la maggiore dei tre figli, Francesco (29 anni e preparatore atletico) e Rita (27 anni, estetista). Marisa, vissuta tra i basalti e le rosee trachiti del capoluogo del Barigadu, dove è forte il legame con le tradizioni, apprezza molto quelle culinarie. “Su succu a sa busachesa” (listarelle di pasta di semola di grano duro fatta in casa e cotta in un brodo di carni miste, condita con formaggio di pecora inacidito e zafferano sardo) è “il piatto delle feste”. Forse “la sintesi di Busachi: ingredienti semplici ma forti e caratteristici”. Dopo la maturità scientifica a Ghilarza, si iscrive a Cagliari (triennale in Scienze politiche e specialistica in Relazioni internazionali) conseguendo, infine, un dottorato di ricerca in Storia, istituzioni e relazioni internazionali dell’Asia e dell’Africa moderna e contemporanea, occupandosi soprattutto di Nord Africa, identità e minoranze. Una di queste, oggetto di studio del bel libro, è la minoranza berbera. Nella copertina una lettera dell’alfabeto berbero (tifinagh), che nella bandiera del popolo berbero simboleggia la vita e la resistenza. “Resistenza è davvero la parola d’ordine, insieme a riconoscimento: in Algeria come nel resto del Nord Africa il dibattito sulla questione linguistica è onnipresente ed è spesso visto dai governi come una sfida all’unità del popolo e del Paese”. I berberi, considerati dai francesi dei “rudi” abitanti della “Terra dei Cabili”, ovvero la Cabilia, regione prevalentemente montuosa a nord dell’Algeria, dominata dal Mons Ferratus (odierno Djurdjura), noti già “per l’insofferenza al potere di Roma” e poi a quello francese. Essi definiscono loro stessi come “uomini liberi” (sing. amazigh,pl. imazighen). Un concetto, quello di amazi38 marzo 2014 ghité, che unisce la popolazione autoctona dei berberi dei vari Paesi del Nord Africa (Algeria, Libia, Tunisia, Marocco). Uomini liberi e donne libere? Si. Parrebbe che i conflitti identitari abbiano influito relativamente poco sulla questione femminile. “Donne arabe e berbere hanno sempre manifestato e fatto tante lotte. Quelle algerine, in generale, sono state combattenti durante la guerra di liberazione nazionale nel FLN (Front de Libération nationale)”. Di recente, nel 1984, tutte le donne algerine, arabe e berbere, giovani e vecchie combattenti si sono unite per dire no al codice della famiglia, poi definito codice dell’infamia, perché istituiva la sottomissione femminile all’uomo e definiva la donna in quanto “moglie di”, “figlia di”, “madre di”. Quasi una proprietà privata. Tra queste, Khalida Messaoudi, di origine cabila, che nel 2002 è diventata ministro della Comunicazione e della cultura. La storia algerina è sempre stata raccontata dal punto di vista dei “grandi” protagonisti. Il suo libro intende “restituire, in un certo qual modo, una legittimità storica e scientifica a una parte della società che ha avuto un ruolo importante, spesso dimenticato e che, nonostante sia una minoranza numerica, non può essere considerata una minoranza culturale: la lingua e la cultura restano ancora vive”. E l’Algeria è stata avanguardia delle primavere arabe. Sono state “almeno due le primavere prima di quelle arabe avvenute negli altri paesi del Nord Africa. Ed entrambe sono state in Cabilia”. La primavera berbera del 1980, scoppiata nell’università di Tizi Ouzou (capoluogo cabilo) in seguito al di- vieto da parte del governo di una conferenza sulla poesia cabila, tenuta da Mouloud Mammeri, uno tra i maggiori intellettuali e poeti berberi, e la primavera nera del 2001, seguita all’uccisione di un giovane da parte della polizia durante le celebrazioni dell’anniversario di quella berbera. Nel 2010, poi, “ci sono state tantissime manifestazioni per le strade, di cui si è saputo poco o niente” e anche nel 2011 si è manifestato. “Ma la primavera non ha aderito, sia perché il paese conserva ancora le profonde ferite della guerra civile degli anni Novanta, sia perché il controllo, in particolar modo da parte dell’esercito, è costante e soffocante. Si vive in una calma apparente, uno stato di polizia perpetuo”. Il messaggio che il governo vuole lanciare è quello di una situazione “pacifica”. Un esempio emblematico sta nel fatto che, nel febbraio 2011 mentre Tunisia, Egitto e Libia erano in piena rivoluzione, il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, ha sospeso lo stato d’emergenza proclamato dal decreto presidenziale nel 1992 e già prorogato al 1993 durante la guerra civile. “È stato un gesto di alto valore simbolico: numerose organizzazioni si riunivano e manifestavano ogni settimana e lui, invece, ha inteso così dare una parvenza di calma.” A che punto è oggi la “primavera algerina”? “Il 17 aprile, ci saranno le elezioni presidenziali. Bouteflika, in carica dal 1999, corre per un quarto mandato. È stato ampiamente criticato, anche perché da anni, avendo problemi di salute, è quasi un burattino in mano a poteri più forti. Un’altra primavera algerina potrebbe concretizzarsi con questo appuntamento elettorale? Chissà.” Latte Arborea marzo 2014 39 Banca di Sassari 40 marzo 2014
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