Marzo - Sardinews

Mensile di informazione socio economica
diretto da Giacomo Mameli
n. 3 - anno XV - marzo 2014 - € 2
Gli editoriali di marzo
Redazione: via Paruta 4/b 09131 Cagliari . Tel e fax: 070 4524668 . www.sardinews.it . Stampa: Litotipografia Trudu, Cagliari . Reg. Trib. Cagliari 6 del 5/02/2000 . Abb. post. 45% art.2 comma 20/b L. 662/96 - Cagliari
La Grande Transumanza
di poche idee e molti uomini
La Sardegna è dei sardi
non deve essere dei cardi
Maria Letizia Pruna
Tore Corveddu
I
l costituzionalista Michele Ainis
ha proposto nei giorni scorsi, nella
sua rubrica Legge e libertà su L’Espresso, alcune soluzioni a un fenomeno di
cui non si parla abbastanza: dall’inizio
della legislatura, 11 mesi fa, “hanno
cambiato gruppo 135 parlamentari (70
a Palazzo Madama, dunque un quarto
rispetto alla composizione del Senato).”
I senatori, evidentemente, hanno in sé
una disposizione spiccata per il movimento. In media, ogni mese (compreso
agosto), una dozzina di parlamentari ha
cambiato gruppo. È la Grande Transumanza, come la definisce Ainis, che va
in scena a ogni legislatura (nella precedente pare siano stati 161 i parlamentari che hanno cambiato casacca più e
più volte). Camera e Senato sembrano corrispondere all’immagine che usiamo in sociologia per spiegare la grande mobilità
interna al mercato del lavoro: un cinema, in cui si cambia posto
frequentemente, così come si cambiano i lavori (i jobs cui fa
riferimento il piano di Matteo Renzi, e speriamo non siano gli
stessi jobs di Roberto Maroni e Maurizio Sacconi).
Nel Parlamento ci sono quelli che si spostano all’interno di
uno stesso schieramento (di centrodestra o di centrosinistra),
altri che scavalcano a piè pari il confine – forse non troppo
chiaro – tra i due. Quelli più timidi - i veri “moderati” - fanno
solo un breve passo verso il centro, da destra o da sinistra. In
questi movimenti si formano nuovi gruppi parlamentari, variamente denominati, che nascono anche grazie alle deroghe
sul numero minimo di parlamentari necessario per costituire
un gruppo autonomo (20 deputati o 10 senatori). In questa
legislatura alla Camera beneficiano di deroga (finora) il gruppo Fratelli d’Italia, che ha eletto solo 9 deputati, e il gruppo
Per l’Italia che ne ha 19 (con l’Italia nel nome non si riesce a
fare numero, a quanto pare).
Nella passata legislatura la Grande Transumanza ha avuto protagonisti di grande estro, che hanno percorso senza sforzo distanze politiche notevoli. C’è per esempio il caso del deputato Ga-
“U
n buon modo per disturbare i
manovratori che sono convinti
di poter utilizzare a proprio piacimento il territorio sardo, sarebbe quello di
chiamare le cose col proprio nome”.
Così esordisce nel suo editoriale del
16 marzo scorso il direttore dell’Unione Sarda, Anthony Muroni, dedicato
alla riconversione industriale di Porto
Torres attraverso la cosiddetta “chimica
verde”. Alla buon’ora, e spero che non si
tratti di un’iniziativa episodica, che intanto ritengo lodevole, su un tema del
quale ho parlato più volte, a partire da
una serie di incontri promossi da Sardegna Democratica nel novembre 2011,
aventi per titolo “Costruiamo il futuro
della Sardegna”. In quell’occasione ci si
interrogava su cosa dovesse diventare la Sardegna del futuro,
con la consapevolezza che non siamo solo una terra di pastori
ma che proprio la terra è il punto fermo da cui ripartire. Anche
per questo i Comuni, le scuole e l’università, in quell’occasione,
si reputarono lo snodo più importante per tentare di riflettere
insieme rispetto a una situazione di rottura delle prospettive di
sviluppo che fino a quel momento avevano interessato la Sardegna. Rottura che aveva di fronte, e ha ancora, la crisi industriale
e le scellerate decisioni delle imprese che l’hanno accompagnata.
È un compito doveroso per le classi dirigenti quello di affrontare le rotture, e i cambiamenti che esse comportano, per poter
cogliere le eventuali opportunità. Quando dico che le imprese,
specialmente i grandi gruppi (Eni, Alcoa, Eurallumina), hanno adottato scelte scellerate, lo dico a causa di comportamenti
colpevoli che hanno fatto passare molte produzioni dalla maturità all’obsolescenza e, conseguentemente, alla chiusura. Ma
il paradosso è che alcune di quelle produzioni sono cessate in
Sardegna ma sono state trasferite altrove, in Italia e soprattutto
all’estero, incluso il Regno Unito della molto conosciuta Ineos
(che ha dato origine alla crisi della Vinyls Italia e al conseguente
indebolimento del Cracker di Porto Torres).
Se a questo aggiungiamo il modo di procedere irresponsabile
segue a pagina 26
segue a pagina 27
Politica
Politica
Quelli che fanno
La prima Giunta di Francesco Pigliaru
Gianfranco Ganau presidente del Consiglio
I partiti (tutti) con le correnti in lotta
Il libro-trialogo di Pietro Soddu:
autonomia sovranismo federalismo
Il voto europeo di maggio
La lana di pecora sarda usata negli Airbus
I minatori sardi piacciono in Australia
Un’App per la parrucchiera last minute
Olio San Giuliano
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marzo 2014
Politica
Un appuntamento cruciale per la difesa di un’istituzione da rinnovare non da demolire
25 maggio: voto per l’Unione europea in 28 Paesi
Disincanto, populismi, il ruolo di Mario Draghi
Paolo Ardu
I
l 25 maggio circa 500 milioni di cittadini dei 28 Paesi membri dell’Unione Europea eleggeranno l’ottavo Parlamento e la
sua presidenza. Un esito che contribuirà,
per la prima volta dal 1979, a giocare “un
ruolo chiave” nell’elezione del presidente
della Commissione europea (organo decisionale su budget e legislazione, insieme al
Consiglio). Infatti, a giugno, il presidente del Consiglio europeo si consulterà col
Parlamento neoeletto (751 membri più il
presidente) su un possibile candidato alla
presidenza della Commissione (tenuto
conto dell’esito del voto di maggio) che
verrà eletto a luglio dalla maggioranza dei
componenti dell’assemblea (almeno 376).
In applicazione del “ruolo chiave”, stabilito dal Trattato di Lisbona, ben sei dei partiti politici europei hanno deciso di presentare un candidato alla nomina.
L’ultimo in ordine di tempo è stato il
lussemburghese Claude Juncker (popolari europei, Ppe) votato da 382 delegati
contro i 245 dell’ex vicepresidente e Commissario per il mercato interno, il francese
Michel Barnier. L’ex primo ministro di
un paradiso fiscale e “vecchio rocker del
languente progetto europeo” (El Paìs) si
scontrerà con “l’impetuoso ex libraio”,
il tedesco Martin Schultz, attualmente
presidente del Parlamento Eu e candidato socialdemocratico (Pes). Il belga Guy
Verhofstadt (Alleanza dei democratici e
dei Liberali per l’Europa, Alde), il greco
Alexis Tsipras (Sinistra Europea, El), la
tedesca Ska Keller e il francese José Bové
(entrambi dei Verdi) completano il quadro
delle candidature.
Il socialdemocratico Schultz nei sondaggi più recenti è dato in leggero vantaggio
sul conservatore Juncker. Quest’ultimo,
sostenuto da Angela Merkel, dal presidente della Commissione uscente Barroso
e da quello del Consiglio Van Rompuy,
rappresenta la difesa delle politiche economiche di questi ultimi anni, della gestione
della crisi presentata come un successo,
dopo il superamento del rischio rottura
(coi salvataggi di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna con alla presidenza dell’Eurogruppo lo stesso Juncker). Tuttavia, più
efficace nell’azione rispetto a queste politiche per salvare l’Eurozona, è stato Mario
Draghi, governatore della Bce.
L’austerità, la recessione più profonda del
previsto, la disoccupazione (soprattutto
quella giovanile) che ha raggiunto picchi
altissimi (in Spagna e Italia in particolare)
e i dubbi persistenti sia sulle banche che
sulle finanze pubbliche di alcuni paesi (tra
cui l’Italia), hanno alimentato da mesi
un’ondata di eurodisincanto crescente di
cui sta approfittando il populismo, come
stimano molti recenti sondaggi.
In Francia, membro fondatore dell’Ue
a cui spetteranno 74 seggi, danno come
primo partito col 22 per cento il Front
National, movimento nazionalista e antiimmigrati di Marine Le Pen (nel 2009 al
6,3% dei dati reali) che pare aver raggiunto un’intesa insieme all’olandese Geert
Wilders (Pvv, anti-islam) “per combattere
questo mostro chiamato Europa” in sede
di rappresentanza dei movimenti/partiti
euroscettici di tutta Europa. La sovranità
declinata in tre forme (territoriale, monetaria, di bilancio) è attualmente al centro
della loro propaganda.
Come in Italia (vedi il caso del M5S),
anche in Francia si assiste ad una crescita
del voto post-ideologico con gli elettori di
Europe Écologie (i Verdi guidati da leader
storici di sinistra quali Cohn-Bendit e
Bové ed esponenti della società civile) dati
al 7 per cento (-9,3 dal 2009) e risucchiati
dalla Le Pen, così come in parte l’Ump (la
destra europeista di Sarkozy, -6,4), mentre il partito socialista del primo ministro
Hollande, ora al governo, pare restare più
o meno stabile con un +1 rispetto al 2009.
Invece, nella Germania che eleggerà il
maggior numero di europarlamentari (96),
la Cdu-Csu della Merkel al 40 per cento
(+2,1 sul 2009) pare raccogliere i consensi di quell’economia tedesca che tanto ha
guadagnato dalla moneta unica, sebbene i
socialdemocratici appaiano in forte crescita (26, +5,2 sul 2009). Sembrerebbe senza
via d’uscita il continuo crollo dei consensi
dei liberali Fdp (già rimasti senza seggi nel
Bundestag rinnovato l’anno scorso) al 3,5
(-7,5 sui dati 2009).
Nel Regno Unito, che metterà 74 parlamentari, da una parte preoccupa la crescita
intorno al 24 per cento (+7,4 sul 2009)
dell’Ukip di Farage, partito anti-Europa,
che nel gruppo Efd (Europe for Freedom
and Democracy) ha come principale partner la Lega Nord e il partito Io Amo l’Italia
di Magdi Cristiano Allam. “La retorica
dei partiti dell’Efd (razzista e anti-Islam,
ndr) contrasta con l’enfasi di Farage che
i musulmani sono benvenuti nell’Ukip”,
scrive il Guardian. Dall’altra, si registra
una significativa ripresa dei Labour, stimati al 33 per cento (+17,2), mentre appaiono in decisa flessione i conservatori di
Cameron (23,4) e i liberali (8,9), la cui
rispettiva perdita è stimata quasi il 5 per
cento sui dati reali precedenti.
È in Italia? La novità della lista della sinistra alternativa di Tsipras, dopo un inizio
positivo, è in calo, stimato al 6,3 (sondaggio Ixé). Il roboante tamtam mediatico del
neo premier Matteo Renzi potrebbe essere
dietro la crescita del Pd al 29,1. Cresce anche Forza Italia al 24 (lontana dal 35,3 di
voti nel 2009), Lega Nord al 4,7, infine,
netto calo del M5S, probabilmente dovuto alle polemiche interne (tra espulsioni
e vari abbandoni) che, con l’attuale 21,8
otterrebbe 18-19 seggi su 73 spettanti all’Italia, ingrossando le fila anti-Euro. Se, da
una parte, l’austerità ha messo alle corde
soprattutto i più deboli, e dall’altra, “l’Unione è troppo grande per fallire”, un parlamento più polarizzato, forse, dovrà trovare nuovi equilibri. Ma i rischi sono tanti.
marzo 2014
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Politica
Quasi una schema calcistico per Francesco Pigliaru che passa dal 4-4-4 al 4-3-5
La prima giunta con l’imprimatur-bilancino
Sel spaccata dal superpotere di Maschio-alfa
Monia Melis
I
l tempo per il bilancino c’è stato: quasi un
mese. La prima giunta regionale del neo
presidente della Regione Francesco Pigliaru ha potuto essere soppesata, tastata e testata da tutte le componenti della coalizione
di centrosinistra. Dal voto alla proclamazione degli eletti in Consiglio regionale sono
passati infatti poco meno di trenta giorni.
Tutta colpa della nuova legge elettorale e
delle operazioni di scrutinio non concluse
in vari seggi, e quindi ecco che il vaglio finale è passato all’ufficio elettorale della Corte
d’Appello. Conteggio e riconteggio delle
schede annullate fatto dai tribunali. Ma
non è stato semplice: a ciò si è aggiunta la
polemica sulla distribuzione territoriale dei
seggi in Assemblea su cui pendono già tre
ricorsi al Tar. Penalizzate, secondo l’interpretazione dell’articolo 17 della nuova legge, le
province in cui c’è stata una più alta astensione. Pochi voti, pochi seggi. Il tutto in un
contesto di disaffezione generale alle urne: il
16 febbraio ha infatti votato appena il 52,2
per cento degli elettori sardi. Il piatto piange particolarmente in Gallura, Ogliastra e
Medio Campidano: le poltrone per la prima
sono più che dimezzate. Il tutto a vantaggio
di quelle storiche: Sassari e Cagliari.
La giunta dei prof. Tra lungaggini, attese e
scommesse comunque la giunta del professor
Pigliaru è stata ufficializzata il 15 marzo, al
giuramento giovedì 20. La premessa iniziale
è diventata diktat: niente indagati e scelta
per competenza. Con il contorno al vetriolo che ha visto Francesca Barracciu non
trovare spazio nell’esecutivo regionale ma
entrare direttamente nel governo di Matteo
Renzi come sottosegretario alla Cultura. Per
lei, vincitrice delle primarie del centrosinistra e candidata mancata per “opportunità
politica”, i fantasmi dell’inchiesta bis sui
fondi ai gruppi in Consiglio regionale, che
la vede indagata per peculato, sono difficili
da allontanare. Più che per altri.
Ad ogni modo la squadra è pronta all’esordio: il neo-governatore sassarese, già professore di Economia e prorettore dell’università
di Cagliari, ha attinto a piene mani dai due
atenei isolani. Tanto che gran parte dei nuovi assessori sono anche professori universitari, più della metà: 7 su 12. Proporzione che
supera il test dei test: quello sulla spinosa parità di genere: sette uomini, cinque donne.
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marzo 2014
Un buon risultato considerato che è quasi
lo stesso numero totale delle onorevoli elette
che siederanno in una delle assemblee meno
rosa d’Italia: appunto 4 su 60 consiglieri.
Le conferme e i buchi nell’acqua. Rispetto
alla girandola estenuante del toto assessori
le conferme granitiche rispetto a un mese fa
sono solo tre. Una, mai messa in dubbio, è
quella di Raffaele Paci. professore di Economia a Cagliari, già direttore del Crenos
e con ottimi rapporti di fiducia con il presidente, quindi in quota Pigliaru. E non è
un caso che a lui sia andato l’assessorato al
Bilancio e Programmazione, quello che fu a
suo tempo dell’attuale presidente della Regione quando sedeva nella giunta di Renato Soru, prima della rottura senza ritorno.
Altro nome confermato quello di Cristiano
Erriu, presidente dell’Anci Sardegna e sindaco di Santadi, ma soprattutto esponente
del Pd, di una delle tre aree di peso: quella di Paolo Fadda. A lui va un’altra delega
importante: quella all’Urbanistica che ha in
dote lo scoglio del Piano paesaggistico regionale. Con la revisione last minute della
giunta di Ugo Cappellacci approvata a due
giorni dal voto. Di certo Erriu, come tutti
i nomi scelti, gode della stima di Pigliaru.
Terza conferma, altro prof: il filologo Paolo
Maninchedda, da Macomer, sarà assessore
ai Lavori pubblici (Partito dei sardi). Il suo
nome era stato fatto più volte per l’assessorato alla Cultura. Poi il cambio in corsa.
Schemini e metafore calcistiche. Per il resto sono stati giorni di aggiustamenti continui e altrettanti spostamenti di caselle. Con
veri schemini e sprecate metafore calcistiche.
D’altronde era necessario accontentare gli
undici partiti della coalizione che hanno
contribuito al risultato finale: Rossomori,
Idv-Verdi, Upc, Sinistra sarda, Partito dei
sardi, Centro democratico, La Base, Socialisti, Irs, Sel e Pd. Ai democratici va la fetta
più importante: hanno conquistato il 22,
06 per cento e via a scendere, alcuni partiti
hanno avuto percentuali che non arrivano
nemmeno all’1 per cento. Lo schema iniziale
pare fosse 4-4-4: quattro nomi scelti dal presidente, quattro dal Pd per meriti sul campo
(più il presidente del Consiglio regionale), e
quattro da dividere tra Sel, Partito dei Sardi,
RossoMori e il Centro democratico. Insomma, uno a testa. Alla fine è stato un 4-3-5,
ma con il veto finale di Pigliaru su ogni candidatura. E quindi: quattro al Pd, cinque agli
alleati e tre scelti dal governatore. Questa la
scaletta con relative deleghe: per il Pd Gianmario Demuro agli Affari generali ( area
Renato Soru); Cristiano Erriu (area Paolo
Fadda) all’Urbanistica; Massima Deiana ai
Trasporti (area Antonello Cabras) e poi Virginia Mura, tecnico, ma che proviene dalla
minoranza ex Ds. Gli assessori del governatore, oltre a Paci, sono: Donatella Spano
all’Ambiente e il medico e dirigente nuorese
Luigi Arru alla Sanità. Programmazione e
Sanità – tra gli assessorati più importanti sono stati quindi presi in mano e decisi dal
governatore che ha fatto pesare anche il suo
nome (ha infatti preso più voti delle liste, in
virtù del voto disgiunto). E per le rivendicazioni dei piccoli – come sono stati ribattezzati - la scelta si è complicata ulteriormente
con assemblee, riunioni e progetti comuni
fino alle dimissioni dell’ultim’ora proprio per
le partite ormai chiuse.
Politica
L’unione fa la forza. È nato in questo contesto il gruppo consiliare “Sardegna vera”
che riunisce tutti i cosiddetti partiti piccoli della coalizione (Socialisti, La Base, Upc,
Idv-Verdi) che uniti arrivano al 4,9 per
cento. Insieme per ottenere un rappresentante di governo. Gli assessori sono cinque,
secondo lo schema finale: all’Industria Maria Grazia Piras (“Sardegna vera” appunto,
quota Upc), al Turismo Francesco Morandi, indicato dal Centro democratico e poi i
nomi che suscitano discordia: l’imprenditrice oristanese Elisabetta Falchi per i Rossomori all’Agricoltura e la dirigente sassarese
Claudia Firino per Sel alla Pubblica Istruzione. Resta fuori la lista Prc-Pdci-Sinistra
sarda. Per i piccoli comunque un buon risultato considerato il paradosso della nuova
legge elettorale che ha lasciato fuori “Sardegna possibile” dall’Assemblea. La candidata
alla presidenza Michela Murgia ha raccolto
70mila preferenze e il 10, 30% per cento
mentre le tre liste si sono fermate al 6,77
per cento. Non abbastanza per superare lo
sbarramento previsto. Ma le regole del gioco
si conoscevano dall’inizio. Ed è dalla scrittrice di Cabras, ormai fuori dai giochi, che
arriva una bocciatura della giunta «che puzza di vecchie logiche». Così scrive in una nota
: «Abbiamo assistito a “tutta la liturgia della
spartizione tradizionale: contraccambi romani
per poco spontanei passi indietro, settimane di
tira e molla tra le correnti Pd, veti incrociati
tra potentati del nord e del sud e persino la
scena patetica dei minuscoli alleati». E lancia
la resistenza esterna: “noi – ribadisce – siamo
fuori dal consiglio per scelta precisa di chi ha
scritto la legge elettorale».
Le dimissioni. Tutto bene, quindi? Accontentati tutti gli interni? Non proprio.
Questione di concertazione e democrazia
interna. E così succede che il segretario dei
Rossomori si dimetta, annuncio dato anche
via Facebook come vuole l’etichetta dei nostri
giorni. Salvatore Melis ha lasciato l’incarico
perché il nome dell’assessore Falchi in quota
Rossomori, già presidente di Confagricoltura
Sardegna, sarebbe stato fatto in solitaria dal
presidente Gesuino Muledda. Una candidatura non condivisa quindi, che non troverebbe riscontro neppure nel numero di voti presi
nella provincia di provenienza, Oristano.
Maschio alfa o Líder máximo. Partito che
vai, dissidio che trovi. Non va meglio a Sel,
con una direzione post giunta parecchio
contrastata. Anche in questo caso i dissidi
ruotano attorno al nome scelto, o meglio,
attorno alla componente che l’ha proposto.
Pochi dubbi su competenze e personalità di
Claudia Firino alla Pubblica istruzione ma
spunta il caso Lilli Pruna, docente universitaria di Sociologia del Lavoro e candidata alle scorse politiche. Forse il nome più
gettonato, ripetuto con insistenza e dato
quasi per certo. Ma poi, nulla da fare, come
da copione. Perché ha vinto la corrente del
senatore Luciano Uras. E da lì il caso del
“maschio alfa” all’interno del partito con
la sociologa che, in un duro intervento sul
giornale online Sardiniapost, parla di gruppi
e riproduzione del potere autoreferenziale,
in mano agli uomini che appartengono a
un «genere largamente prevalente e prevaricante». E scrive: «Accade però che nella
lotta per la propria affermazione e per la
riproduzione del proprio gruppo (che non
esclude colpi bassi e bassissimi), il maschio
alfa utilizzi individui dell’altro sesso, in forme differenti in cui però è sempre riconoscibile (a volerlo vedere) un tratto più o meno
elevato di cinismo». Questa la sua lettura di
un mancato confronto, non condivisa però
da altri esponenti. A partire dal deputato
Michele Piras. Eppure, appena due settimane fa, erano arrivate puntualizzazioni
con sfumature diverse proprio nei giorni
in cui la trattativa per la giunta era ancora
in corso. Piras aveva ribadito la necessità di
energie fresche e che «la costruzione del governo regionale non è una partita a scacchi.
Andiamo oltre il ceto politico consolidato,
abbiamo il dovere di cambiare il volto della
Sardegna», Uras – sempre a colpi di comunicato - aveva dato rassicurazioni sulla sua
permanenza a Roma, in qualità di senatore
e chiesto «collegialità nella scelta».
La sfida. Per la giunta, scelta con così tanta cura, comunque è ormai tempo di sfide.
Quelle messe sul piatto dal presidente Pigliaru
sono: semplificazione burocratica e amministrativa, edilizia scolastica, patto di stabilità,
analisi della spesa e job act. E proprio il lavoro
è la vera emergenza della Sardegna: secondo i
dati della Cisl Sardegna è al 29 per cento. Scoraggiati inclusi. Spesso distanti dalla politica,
di certo dagli schemi e dai bilancini.
Gianfranco Ganau presidente del Consiglio regionale
Gianfranco Ganau, 58 anni, medico, ex sindaco di Sassari ed esponente del Pd, è il 25.mo
presidente del Consiglio regionale della Sardegna. È stato eletto con 34 voti, due in meno
della maggioranza di centrosinistra che conta su 36 seggi dei 60 dell’assemblea di via Roma.
“Ci sarà un confronto costante tra il Consiglio regionale e la Giunta presieduta da Francesco Pigliaru, che ha già posto la questione al neo presidente Gianfranco Ganau”. Lo ha
riferito lo stesso Ganau durante un incontro con i cronisti poco dopo la sua elezione e il
passaggio di consegne con l’uscente Claudia Lombardo. Appena eletto presidente Ganau
ha fissato la prossima seduta dell’aula per giovedì 27 marzo, alle 10.30, per l’elezione dei
componenti dell’ufficio di presidenza, a partire dai due vicepresidenti dell’assemblea, i tre
questori e un segretario. Per quanto riguarda i vicepresidenti, la maggioranza di centrosinistra dovrebbe far convergere i propri voti su Eugenio Lai (Sel), sindaco di Escolca e
consigliere più giovane in questa quindicesima legislatura. La minoranza di centrodestra
potrebbe, invece, decidere di puntare su Antonello Peru (Forza Italia). “Sono consapevole
del difficile momento che sta attraversando il popolo sardo - ha detto Ganau. Mi impegno
per creare le condizioni migliori per dare risposte alle tante attese e criticità”.
Hanno collaborato a questo numero: Paolo Ardu, politologo, esperto di politiche europee, laurea in Scienze politiche a Firenze;
Emilio Bellu, critico cinematografico; Marco Bertuccelli, esperto di trasporti; Maddalena Brunetti, giornalista; Anna Maria
Capraro, insegnante di Lettere alle superiori di Oristano; Pietro Ciarlo, ordinario di Diritto costituzionale, università di Cagliari;
Pierluigi Cocco, Epidemiologo; Carla Colombi, sociologa, collaboratrice di Sardinews; Tore Corveddu, ex segretario nazionale
dei chimici della Cgil; Alesandra Corrias, sociologa; Massimo Deiana, docente di Diritto della navigazione, assessore ai Trasporti
Regione Sardegna; Mario Frongia, giornalista professionista; Francesca Lai, neolaureata in Lettere, collaboratrice di Sardinews;
Massimo Lai, avvocato, specialista in diritto amministrativo e scienza dell’amministrazione; Alessandro Lanza, economista, amministratore delegato di Eni Corporate University; Davide Madeddu, giornalista, corrispondente de L’Unità; Lorenzo Manunza, giornalista
professionista disoccupato; Pietro Maurandi, economista; Monia Melis, collaboratrice di Sardinews; Rita Melis, avvocato tributarista; Matteo
Meloni, giornalista; Micaela Morelli, ordinario di Farmacologia, università di Cagliari; Giorgio Pisano, giornalista; Giovanni Lorenzo Porrà,
giornalista; Maria Letizia Pruna, sociologa, università di Cagliari; Valentina Serra, ricercatrice di Letteratura tedesca, università di Cagliari;
Amedeo Spagnuolo, docente di Lettere e Filosofia a Nuoro, giornalista pubblicista; Uffici studi Banco di Sardegna; Arel, Aspes, Prometeia, Banca
d’Italia, Cgil, Confindustria, Crenos, Istat, Eurostat; grafica Puntotif; la vignetta della prima pagina è di Bruno Olivieri.
marzo 2014
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Politica
Il ritratto del neo presidente della Regione scritto da un autorevole economista-amico, Alessandro Lanza
Studi, amicizie, letture di Francesco Pigliaru
Cercare di capire la ricchezza delle Nazioni
Alessandro Lanza
Alessandro Lanza è un economista cagliaritano di nascita e sassarese di vita. Ha studiato
a Sassari e poi a Londra (UCL) dove ha conseguito il dottorato. Ha lavorato per oltre 20
anni all’Eni dove ha ricoperto diversi ruoli:
capo economista, direttore della Fondazione
Eni Enrico Mattei e, da ultimo, amministratore delegato di Eni Corporate University. È
un esperto di energia e ambiente in particolare sui temi del cambiamento climatico. Oggi
svolge un’intensa attività di consulenza sia in
Italia che all’estero. Tra gli amici più vicini
al nuovo presidente della Regione, Sardinews
gli ha chiesto di raccontarlo ai propri lettori.
C
onosco Francesco Pigliaru da un
quarto di secolo. È questo lo spazio di
tempo che ci ha portato ad essere da poco
più che ragazzi uomini fatti e finiti. Lo
spazio delle incertezze, delle speranze, di
grandi sofferenze e anche di gioie. Eravamo
ragazzi e figli e oggi siamo padri.
Con queste poche righe non intendo violare uno spazio personale. Non ne sarei capace e Francesco certamente non lo apprezzerebbe. Né desidero – per carità - scrivere un
pezzo che suoni come fosse un “coccodrillo”. Raccolgo invece l’invito di Giacomo
Mameli - che è peraltro un comune amico
- per raccontare in poche righe quello che a
me sembra un percorso intellettuale, civile e
politico culminato con la sua recente elezione a presidente della Regione Sardegna. Lo
faccio tuttavia dalla mia prospettiva ovvero
quella di un amico che ha condiviso parti di
questo percorso. Se faccio l’economista lo
devo a una persona e a un libro. La persona
è ovviamente Francesco che ho conosciuto
nella primavera del 1980. Io avevo appena
sostenuto l’esame di Economia presso la Facoltà di Scienze politiche a Sassari, mentre
Francesco - più grande di me di qualche
anno - era già laureato e aveva completato un anno di specializzazione presso la
Scuola Enrico Mattei di Milano. Mi ero
iscritto a quella facoltà indipendentemente
da Francesco - che non conoscevo - ma ho
trovato un ambiente che ancora risuonava
del passaggio di una generazione di studenti capaci, impegnati e svegli. Francesco, per
l’appunto, ma anche Luigi Guiso e Marco
Vannini, oggi professore presso l’università
di Sassari e molti altri ancora. Tutti aiutati e
sostenuti dal sorriso, dall’intelligenza e dalla
6
marzo 2014
tenacia dell’indimenticata Anna Maria Cecaro che voglio ricordare qui e che di questa
elezione sarebbe felicissima.
Non so perché siamo diventati amici. In
fondo la differenza d’età non giocava a
favore. Eppure ricordo una primavera di
lunghe chiacchierate notturne e gite ad Alghero. Antonello Grimaldi - altro sassarese molto noto e pronto alla diaspora che di
lì a poco ci avrebbe colpito tutti - è stato
complice e amico di sempre.
In quella primavera si sono giocati diversi
destini. Non il mio, almeno non nell’immediato, poiché avevo ancora l’università
da fare ma certamente quella dei miei sodali di gite notturne. Antonello - che attendeva l’ammissione alla Scuola di Cinema
della Gaumont a Roma, e Francesco, che
attendeva l’esito di una borsa di studio per
l’estero bandita dall’Istituto Bancario San
Paolo di Torino.
In quelle settimane sosteneva di non essere poi così interessato al mestiere di economista. Ovviamente, lo faceva per scaramanzia pura, per esorcizzare il caso in
cui non fosse riuscito ad ottenere il finanziamento. In quei mesi percorreva altri
sentieri. Con Antonello Grimaldi e altri
appassionati di cinema aveva fatto nascere
il circolo “Antoine Doinel” per portare a
Sassari film che non sarebbero mai arrivati
nei circuiti commerciali. Per queste rassegne Francesco realizzò alcuni manifesti
che mostravano qualche talento grafico.
Con precoce understatement Francesco
non li firmò mai ma ne rimangono alcune
copie a dimostrare che, chissà, nella vita
avrebbe potuto anche fare altro.
Ammissioni e borse di studio arrivarono pun-
tualmente e nel settembre di quell’anno io e
lui accompagnammo Antonello alla Stazione
di Sassari. Francesco partì dopo e fui io ad
accompagnarlo a prendere la nave. Seguirono
anni di formazione e studio molto intenso.
Nel mondo di Erasmus e di Master and Back
è difficile spiegare quanto poteva essere lontana Cambridge e non solo fisicamente.
Qualche anno dopo il rientro in Sardegna
a Cagliari presso la facoltà di Scienze politiche con Antonio Sassu ci fu l’incontro
con Raffaele Paci. Una storia che si conosce ma che vale la pena di ricordare per
sottolineare la capacità di quel gruppo di
persone, colleghi ma anche amici, di creare una cantera da far impallidire quella del
Barcellona. Iniziava in quel modo l’attività
di professore che certamente gli ha dato
molte soddisfazioni più volte richiamate
anche durante la campagna elettorale.
Seguiranno altre esperienze di studio - un
lungo periodo di permanenza negli Stati
Uniti e poi di il Consiglio di amministrazione del Banco di Sardegna con Sebastiano Brusco e infine l’impegno politico
nella giunta guidata da Renato Soru. Ma
questo è un pezzo di biografia che molti
già conoscono.
Da un punto di vista scientifico, Francesco Pigliaru si è sempre occupato in tempi
e modi diversi di temi legati allo sviluppo
economico. A partire dalla tesi di laurea, la
domanda centrale del suo percorso intellettuale e accademico ha sempre incrociato
l’analisi delle determinanti dello sviluppo
economico. Naturalmente, nel corso degli
anni, la teoria economica e la pratica statistica hanno messo in evidenza nuovi approcci e diversi modi per valutare le differenti
performance, tuttavia il tema del successo e
dell’insuccesso dei differenti modelli di sviluppo rimane una costante nel suo percorso. Capire perché due aree che sembravano
dotate delle stesse ricchezze e possibilità
hanno poi seguito un modello totalmente
divergente resta un elemento di riflessione.
E naturalmente - e non poteva essere diversamente - queste condizioni di divergenza
vanno ricercate anche in elementi istituzionali e di governo. Nelle prime pagine di
quel meraviglioso libro che è “Armi, acciaio
e malattie” l’antropologo americano Jared
Mason Diamond si accompagna con il suo
amico indigeno che con disarmante sempli-
Politica
Francesco Pigliaru e il figlio Lorenzo
al mare a Santa Margherita di Pula
Francesco Pigliaru col suo collega Sergio Paba e il
figlio Lorenzo ad Antagnod, in valle d’Aosta
Francesco Pigliaru con la mamma Rina in
vacanza ad Alghero
Francesco Pigliaru, primo a sinistra, col fratello Giovanni e i genitori Rina Fancellu e il padre Antonio il
giorno della prima Comunione a Sassari
cità gli chiede “Perché (voi bianchi) avete
tutto e noi (indigeni) non abbiamo niente”?
Se dovessi sintetizzare in due righe lo sforzo
di attività di ricerca direi che questa sia la
direzione giusta. Cercare di capire la ricchezza delle Nazioni e spiegarne le differenti dinamiche. Un tema che abbraccia certamente l’economia ma anche la politica.
In questo quadro si inserisce con coerenza
l’interesse per i temi del turismo e in particolare per il turismo che abbia nelle risorse naturali e nella loro conservazione e
valorizzazione un punto di forza. Su questi
temi abbiamo scritto insieme diversi articoli che credo abbiano contribuito a focalizzare il tema dell’economia del turismo,
un argomento fino ad allora non molto
considerato dall’accademia internazionale.
Chiudo queste poche righe facendo al mio
amico presidente e alla nostra terra un augurio di buon viaggio. Sono certo che il
futuro della Sardegna sia in buone mani e
questa è finalmente una bella notizia, una
notizia che in molti aspettavamo da tempo.
Vittoria
la mia parrucchiera
via Castiglione 57 Cagliari - tel. 070487708
marzo 2014
7
politica
Al via la quindicesima legislatura, il governo della Sardegna affidato ai cinquantenni
Sette professori nella giunta Pigliaru
Sassari fa il pieno, 5 donne e 7 uomini
Maddalena Brunetti
A
ll’indomani della proclamazione ufficiale degli eletti – arrivata a quasi un
mese dalla chiamata alle urne – il nuovo
presidente della Regione, l’economista
Francesco Pigliaru ha varato la sua giunta.
Ed è un esecutivo “sassaricentrico”, con un
età media di 53 anni, composto per metà
da professori (6 su 12 senza contare lo stesso governatore) e con cinque donne alla
guida di altrettanti assessorati.
Ma ecco, nel dettaglio, chi sono i nuovi assessori. Pigliaru ha affidato il delicato compito di gestire la Programmazione, il bilancio, il credito e l’assetto del territorio all’amico e collega Raffaele Paci, con il quale ha
fondato il CrenoS (il centro studi economici
Nord Sud), ora suo braccio destro alla guida della Sardegna. Paci ha 58 anni, è nato a
Sassari ma vive da sempre a Cagliari dove è
professore ordinario di Economia Applicata
alla facoltà di Scienze Politiche.
Agli Affari generali, personale e riforma
Regione è stato scelto il costituzionalista
sassarese Gianmario Demuro che ha 53
anni ed è professore ordinario di Diritto
costituzionale nella facoltà di Giurisprudenza dell’università di Cagliari. È inoltre
Adjunct Professor in European Governance alla John Marshall Law School di Chicago e direttore del Master su “La Governance multilivello”. È stato Componente
del direttivo della Associazione dei costituzionalisti italiani e del Comitato scientifico
del corso di Dottorato di ricerca in Diritto
costituzionale dell’università di Ferrara. È
anche componente della direzione scientifica della collana editoriale “Per una koinè
costituzionale”.
Agli Enti locali, finanze ed urbanistica ci
sarà uno dei pochi politici di questa Giunta ossia Cristiano Erriu (Pd). Sindaco di
Santadi (Sulcis) Erriu ha 50 anni, è presidente dell’Anci Sardegna oltre che direttore
generale del Centro servizi imprese dell’Azienda speciale della Camera di commercio
di Cagliari. È laureato in Giurisprudenza
con un Master in Business Administration
conseguito all’università di Bologna.
Ancora un professore,invece, per l’assessorato al Turismo, artigianato e commercio guidato da Francesco Morandi 49
anni, nato a Modena ma da anni ad Olbia. È professore ordinario di Diritto del
turismo e di Diritto della navigazione e dei
8
marzo 2014
trasporti alla facoltà di Economia dell’università di Sassari, presidente del Corso di
Laurea in Economia e Management del turismo al polo universitario di Olbia.
Sempre un docente, ma con grande dimestichezza con la politica, per i Lavori pubblici affidati a Paolo Maninchedda. Professore ordinario di Filologia Romanza alla
facoltà di Lingue dell’università di Cagliari,
Maninchedda ha 53 anni ed è originario
di Macomer (Nuoro) è stato consigliere
regionale nella XIII e XIV legislatura ed
ha presieduto le Commissioni Permanenti
Autonomia e Bilancio.
A capo dei Trasporti c’è Massimo Deiana, cagliaritano di 52 anni, è professore
ordinario di Diritto della Navigazione ed
è stato preside della Facoltà di Giurisprudenza. È stato consulente dell’assessorato
regionale dei Trasporti, componente della
Commissione paritetica Stato-Regione per
l’APQ (Accordo di Programma Quadro)
sui trasporti esterni e la continuità territoriale. Aspirava all’Autorità portuale di
Cagliari andata invece all’ex senatore del
Pdl Piergiorgio Massidda la cui nomina
ha contribuito a fare annullare con i suoi
ricorsi. Il delicato e strategico assessorato
alla Sanità è finito nelle mani dell’ematologo Luigi Arru, nuorese di 53 anni. Presidente dell’Ordine dei medici della Provincia di Nuoro è anche coordinatore Centro
studi nazionale documentazione e ricerche
della federazione nazionale ordine dei medici. Il suo nome aveva sollevato qualche
perplessità poiché suo fratello Antonello
Arru è presidente del Banco di Sardegna.
L’Agricoltura e riforma agro-pastorale
resta di competenza oristanese con la presidente regionale di Confagricoltura Elisabetta Falchi. Imprenditrice agricola di 49
anni , gestisce i terreni di famiglia coltivati
prevalentemente a riso.
Le deleghe alla Difesa dell’ambiente vanno a Donatella Spano, sassarese di 56
anni, che è professore ordinario in Scienze
e tecnologie dei sistemi arborei e forestali
del dipartimento di Scienze della natura
e del territorio dell’università di Sassari.
È presidente eletta della Società italiana per
le scienze del clima ed è stata componente
della Commissione grandi rischi della Protezione civile nazionale. L’Industria sarà
gestita da Maria Grazia Piras, anche lei di
Sassari. Piras ha 61 anni, è presidente del
Fai regionale (Fondo Ambiente Italiano)
oltre che consigliere di amministrazione
del Banco di Sardegna.
Altro assessorato di peso è quello al Lavoro, formazione professionale, cooperazione e sicurezza sociale assegnato a
Virginia Mura, cagliaritana di 64 anni, è
direttore della Direzione regionale del Lavoro per la Sardegna, già direttore reggente
delle Direzioni Provinciali del Lavoro di
Cagliari e Nuoro.
Infine l’Assessorato alla Pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport è andato alla più giovane
ricercatrice del Cnr Claudia Firino cagliaritana che ha 35 anni ed è Project Manager
al Cnr - Istituto di storia del Mediterraneo
(ISEM). È dirigente della squadra di pallacanestro Superga Cagliari ed è stata vicepresidente della Uildm (Unione italiana
lotta alla distrofiamuscolare).
Libri
A Perdasdefogu la prima presentazione pubblica del libro-tripla intervista di Pietro Soddu
Quel dilemma irrisolto dell’identità in Sardegna
con un elettore su due allergico ai seggi elettorali
Francesca Lai
Q
uanto la Sardegna pesa sul piano nazionale? E che cos’è questo dibattito
eterno fra autonomia, indipendentismo,
sovranità? Se ne è parlato ai primi di marzo a Perdasdefogu, nella biblioteca comunale “Daniele Lai”, attorno al nuovo libro
di uno degli ex presidenti della Regione,
Pietro Soddu, sempre democristiano, “La
Sardegna, il tempo non aspetta tempo dialogo tra un Autonomista, un Federalista e
un Sovranista” (Edes edizioni).
La forma dialogica proposta dall’autore
(giunto in gran forma a 85 ani) è quella
delle antiche gare poetiche. Nel dialogo
Soddu si triplica riuscendo nel compito
non semplice, di “diventare” ogni volta federalista, autonomista, sovranista, entrando appieno nella mentalità dei suoi personaggi. Con questo giovo dialogico ci si
può immedesimare nel pensiero altrui, non
per cercare un terreno di scontro ma quello
della condivisone.
I problemi affrontati sono stati molteplici, tutti attorno all’identità sarda, di cosa
occorra per far riprendere l’isola dalla crisi
che pare non allentare la sua morsa, in un’isola dove conta più l’astensionismo elettorale del voto.
L’indipendentista Franciscu Sedda ha
aperto il dibattito, moderato dal giornalista
Anthony Muroni, direttore de L’Unione
Sarda. “La sovranità - come recita la nostra
Costituzione - appartiene al popolo, ma la
sovranità in Sardegna – ha detto il semiologo (insegna a Roma alla Sapienza) - è mancata nelle scuole, dove la storia dell’ Isola
non si studia, sembra che non abbiamo i
mezzi per formare una coscienza nazionale
comune. E pur sapendo che l’isola ha avuto
un passato di nazione ci manca una memoria collettiva, è su questo punto che si crea
un nodo politico”.
I sardi si possono riconoscere come nazione? Se un catalano per esempio può sentirsi
tale ma non spagnolo, questo discorso può
valere per noi sardi? Possiamo sentirci sardi
ma non italiani? La Sardegna ha subito 500
anni di dominazione spagnola eppure nessuno di noi si sente spagnolo, fra qualche
anno potrebbe verificarsi la stessa situazione anche per l’Italia?
Se la Sardegna dovesse diventare indipendente, se scoprissimo la nostra idea di nazione l’Italia non esisterebbe più, non po-
Da destra: Anthony Muroni, Pietro Soddu, Franciscu Sedda e il sindaco di Perdasdefogu Mariano Carta.
trebbe di certo esserci una nazione Sarda e
una nazione Italiana. Il federalista ammetterebbe l’esistenza di uno stato plurinazionale, l’indipendentista no, la Sardegna non
trova accoglienza in uno Stato che si crede
mononazionale.
Il commento di Pietro Soddu ha riguardato la concezione di identità sarda, ha
ricordato al pubblico presente che la nostra concezione di tempo non differisce da
quella degli altri occidentali, siamo entrati
tutti nello stesso momento nella modernità, ma sembra che la Sardegna non abbia
un’identità comune non avendo mai avuto
un poeta cantore della nazione sarda né un
eroe sardo. In questo momento la Sardegna ha bisogno di una formula che tenga
unite modernità identità e cittadinanza,
quest’ultima che può sembrare un concetto scontato, è quella che ci garantisce tutti i
nostri diritti, la nuova questione sarda deve
partire dalla rivendicazione della triade sopracitata, una corrente di pensiero che ritiene di fare un passo avanti con cautela e
coraggio, la costituzione di autonomia speciale non è più sufficiente e non garantisce
che la triade rimanga in piedi intatta. Sarà
compito del Consiglio regionale affrontare
i grandi problemi che gli si presentano, ne
sarà in grado?
In Sardegna non è possibile fare una sintesi
dei problemi perché l’isola esige la ricostruzione dell’intero apparato socio-economico: il Consiglio regionale potrà affrontare
tutto questo?
A prendere la parola a fine serata sono
Mariano Carta e Romina Mura, sindaci
rispettivamente di Perdasdefogu e Sadali.
Carta parlando della questione drammatica in cui si trova la Sardegna, e del fatto
che ci sia una vera necessità di proposte
immediate e che le forze politiche debbano
prendersi la responsabilità di far star bene
la nostra regione, ritiene non esista indipendentismo, non esista il federalismo ma
che debba esistere solo la coesione delle
forze, “se noi stessimo bene come regione
non andremo alla ricerca di un modello, è
lo stato di necessità insomma che ci impone di cambiare”. Romina Mura – deputato
Pd - sottolinea che paradossalmente proprio perché un’isola la Sardegna potrebbe
essere vista da fuori come nazione, ma vista dall’interno assolutamente no, non è
in grado di interagire con lo Stato, a causa
di tutti i problemi che gravano sulla stabilità economica. Il cosiddetto problema
a ciambella, zone costiere popolate e meglio organizzate rispetto alle zone interne,
i problemi legati all’istruzione, non si ha il
medesimo diritto allo studio, gli ospedali
lontani dai centri interni, pongono gravi
dubbi sull’idea di indipendentismo. Che
tipo di indipendentismo vogliamo? O potremmo avere con tutti questi problemi?
Da cosa e da chi dobbiamo renderci indipendenti si chiede la Mura. “La Sardegna
può essere forse governata con la propria
autonomia, ma da sardi dobbiamo cambiare il nostro modo di essere, dobbiamo
lasciare le tare ataviche che da sempre ci
contraddistinguono, dobbiamo essere guidati dalla modernità, dobbiamo renderci
competitivi e invece la nostra regione mostra un dispersione scolastica del 27 per
cento e lo spopolamento continua a essere devastante. Per entrare nella modernità
dobbiamo essere competitivi”. Come dire
che i problemi della Sardegna non sono
legati solo alla trilogia proposta da Soddu
ma alla mancanza di formazione del singolo cittadino.
marzo 2014
9
Grandi sardi
Un secolo fa nasceva il gigante-studioso che ha rivelato al mondo la Sardegna del megalitismo
Giovanni Lilliu, un uomo, una civiltà
Storico, archeologo, poeta delle pietre
Giovanni Lorenzo Porrà
D
a “esperto di pietre vecchie”, come il padre definiva con disapprovazione la carriera del figlio, volendolo avvocato o medico,
a rivelatore di un intero mondo, la civiltà nuragica, e fondatore di
una disciplina, la Storia e Protostoria della Sardegna. La vita di Giovanni Lilliu,”Sardus Pater” nato nel 1914 e mancato nel 2012, è
simile a quella di altri uomini che sono stati pionieri. Da ragazzo
esplorava le pietre vicino alle colline della sua Barumini e da grande
avrebbe svelato quella reggia patrimonio mondiale dell’umanità; poi
ancora tante altre scoperte in tutta l’isola, la carriera come docente, la
nomina ad accademico dei Lincei.
“Ma non ha insegnato solo l’archeologia – racconta la figlia Caterina, anche lei archeologa – la sua materia è stata l’amore per la
Sardegna e la sua storia, e l’ha trasmesso a tutti, raccontandolo nei
suoi libri come un poeta”. Per il centenario della sua nascita gli viene dedicata una mostra, solo l’ultima dopo molte altre celebrazioni.
“L’isola delle torri” apre a Cagliari nei locali della Torre di San Pancrazio e raccoglie migliaia di reperti della civiltà nuragica da tutta la
Sardegna e oltre: alcuni hanno passato anni in polverosi magazzini,
altri sono stati sottratti a “collezionisti” che li tenevano nel loro
salotto. Tutto possibile grazie alla collaborazione tra varie soprintendenze, come dichiara con orgoglio Marco Minoja, dirigente di
quelle ai beni archeologici di Cagliari-Oristano e Sassari -Nuoro.
Ma soprattutto la mostra varcherà il Mediterraneo per andare a
Roma; non capitava dall’85, con “Nuraghi a Milano”. E chissà che
questa volta non scateni una nuova “nuraghe mania”, spingendo il
turismo anche nelle zone dell’interno sardo.
Tra le vetrine cammina emozionato e felice Enrico Atzeni, già
docente di Paletnologia e Antichità Sarde e per tanti anni collega
di Lilliu: ascoltarlo è come aprire un libro di storia, e basta poco
per riportargli alla mente un ricordo. Come quella volta nel 1977
vicino a Tharros: “ ci trattenemmo con Lilliu un pomeriggio e in
una pozza d’acqua avemmo la gioia e la fortuna di tirar fuori una
grande testa di una statua sicuramente nuragica”; era il primo dei
“Giganti” su cui verrà aperta a breve un’altra mostra a Cabras. Oppure quell’altra “quando trovammo prove di civiltà pre nuragiche,
che parlavano di insediamenti in Sardegna risalenti al terzo o al
quarto millennio avanti Cristo”.
Erano davvero i tempi d’oro dell’archeologia, quando quasi bastava
scavare per trovare qualche reperto straordinario. Ma l’impegno di
Lilliu fu anche politico: prima consigliere regionale e poi comunale
a Cagliari. Dieci anni di lavoro per proteggere il patrimonio della
Sardegna, ma anche chiedere infrastrutture, e maggiore autonomia. Quell’autonomia che traeva le sue fondamenta sulla “costante resistenziale sarda”, che Lilliu aveva teorizzato in un omonimo
libro; “La Sardegna, in ogni tempo, ha avuto uno strano marchio
storico: quello di essere stata sempre dominata (in qualche modo
ancora oggi), ma di avere sempre resistito (…) i Sardi hanno avuto
l’aggressione di integrazioni di ogni specie ma sono riusciti a conservarsi sempre se stessi.”
L’immagine del sardo testardo e diffidente cessava di essere uno stereotipo e acquisiva invece una dignità storica, un tratto culturale;
tuttavia Lilliu badava bene a precisare anche che l’isola fu sempre
anche aperta ai commerci. Lo provano i reperti nuragici esposti nella
mostra: come un vaso ritrovato a Montevetrano, risalente al VII se10
marzo 2014
colo avanti Cristo, o due bellissime navicelle del IV secolo scoperte
presso Tarquinia. “Ci parlano di una Sardegna viva e attiva nell’età
del ferro, più di quanto molti pensino” – racconta Minoja. Pure la
costante resistenziale sarda ha avuto grande fortuna, anche perché ha
fornito da spunto a rivendicazioni di indipendenza; chissà se questo
Lilliu l’avrebbe approvato: “forse non rimarrebbe sorpreso – riflette
Giuseppa Tanda, docente di Preistoria e Protostoria della Sardegna
e sua allieva – perché era capace di cogliere le novità: ma comunque
queste idee superano il suo pensiero. Bisogna mantenere la propria
identità, ma anche aprirsi”.
Ma com’era Lilliu come professore? “Sempre attento e preciso,
ma soprattutto teneva molto alle lezioni pratiche e a portare i suoi
studenti presso gli scavi – continua Tanda – una volta a Barumini ci invitò a casa sua e nel giardino mangiammo e discutemmo,
c’era chi suonava la chitarra e cantava…in tanti ricordano questi
momenti”. Lilliu ha saputo trasmettere la sua passione anche alla
figlia Caterina: “il mio primo ricordo è a dieci anni – racconta con
naturalezza – quando durante le vacanze estive mi portò agli scavi
di Maiorca” ; nel privato era un padre affettuoso, ma “amava avere i suoi momenti privati per pensare; e qualche volta preso dalle
sue riflessioni commetteva qualche distrazione, come dimenticare
le chiavi nella porta di casa”. Soprattutto è l’affetto il sentimento
più forte e sincero che viene fuori ascoltando il ricordo di Lilliu da
chi l’ha conosciuto: “chi lascia eredità di insegnamenti e affetti non
muore mai, ma vive del bello che ha lasciato in vita” – commenta ancora Atzeni. L’eredità di Lilliu poi si vede nell’entusiasmo di
chi gli è stato allievo, perché ancora tanto resta da scoprire: “non
conosciamo ancora le origini della civiltà nuragica, e addirittura è
incerta la vera funzione dei nuraghi – riassume Tanda; soprattutto
“non è stato ancora realizzato il suo sogno: una carta archeologica
della Sardegna. Ma per quello – conclude lanciando un appello –
avremmo davvero bisogno di uno sponsor”.
Arte
Maria Antonietta Mameli esplora il tema di “San Giorgio e il Drago” in una mostra collettiva a GovanorArt
La fotografa sarda tra New Yorker e Time
Dalla Bruce Silverstein eccola a Bonnanaro
Carla Colombi
È
un vero e proprio master and back.
Nel segno dell’arte. Che è sinonimo di
fotografia. Perché Maria Antonietta Mameli, affermata fotografa internazionale,
dal 2007 rappresentata dalla prestigiosa
galleria Bruce Silverstein gallery di New
York, parteciperà ad una mostra collettiva
intitolata ‘San Giorgio e il Drago’ negli
spazi espositivi di GovanorArt, a Bonnanaro (in provincia di Sassari), sabato 12 aprile
2014, alle ore 18.
Maria Antonietta Mameli ha visto più volte le sue opere esposte presso la galleria Silverstein in mostre personali a New York e
Miami, e in Italia al Museo Marino Marini,
nel cuore di Firenze. In occasione della mostra al museo del capoluogo toscano è stato
pubblicato un catalogo “Maria Antonietta
Mameli Free Composition”, con essay di
Alberto Salvadori, direttore del museo,
e Vicki Goldberg, importante autrice e
critica d’arte fotografica per diverse pubblicazioni tra cui il New York Times. Sin dal
2007 le opere di Mameli sono state esposte
nelle fiere d’arte più importanti in America
e in Europa.
Tra le pubblicazioni prestigiose relative
a Mameli, una bella recensione della sua
prima mostra personale a New York pubblicata dal noto New Yorker magazine e firmata dal critico Vince Aletti; una fotografia commissionata da Time magazine che
ha illustrato un lungo articolo sui soldati
americani che ritornano a casa dalla guerra
in Iraq; tante sue fotografie in un articolo pubblicato su LightBox, popolare blog
curato dalla redazione fotografica di Time,
che ogni mese, da tutto il mondo, seleziona
le immagini piu belle, capaci di definire il
mondo moderno.
Nel 2011 una opera della serie intitolata
“Human Observations - Free Composition” creata su commissione e’ diventata
l’immagine ufficiale del Festival internazionale del film del documentario di Firenze - Il festival del documentario più antico del mondo - col risultato che il centro
di Firenze per alcune settimane è stato tappezzato da enormi cartelloni con la ‘libera
composizione” di Mameli; un panorama
formato da una moltitudine di minuscoli passanti della Chinatown di New York
catturati da centinaia di scatti fotografici
di Mameli che li ha prima osservati dal
ponte di Manhattan e poi accuratamente
selezionati per poi riprodurli in scala microscopica, sospesi nello spazio vuoto, in
una composizione liberamente dettata dalla sua immaginazione. Tutti i personaggi
di Mameli sono rigorosamente accompagnati dalla loro ombra e dall’inconfondibile sacchetto rosso di plastica usato in ogni
negozio e bancarella di Chinatown.
Dal 2013 diverse sue opere fanno parte
della collezione di fotografia d’arte della
Canon Corporation.
Nel giugno 2013 la sua più recente serie
di fotografie intitolata “Grand Central
Station, Continued” è stata esposta per la
prima volta al pubblico ad Art Basel, considerata la piu’ prestigiosa fiera d’arte moderna e contemporanea del pianeta. La nuova serie - una estensione concettuale delle
serie precedente di fotografie gia’ scattate
a Grand Central – è stata ispirata dalle celebrazioni per i cento anni della bellissima
stazione centrale di New York sopravvissuta, nel 1975, al rischio di essere abbattuta
grazie all’appassionata difesa da parte di
Jackie Kennedy. La stazione centrale di
New York per Mameli rappresenta il punto
di convergenza della incredibile energia e
vitalità della grande mela.
Il prossimo aprile, a GovanorArt – una
delle gallerie più innovative in Sardegna
-. sarà in mostra un’opera della Mameli,
insieme alle opere di venticinque artisti
di talento che lavorano con diversi media,
tra cui pittura, scultura, fotografia, video e
performance. Le opere sono state ispirate
dal tema di San Giorgio e il Drago; tema
tradizionale spesso esplorato in arte e letteratura e interpretato come simbolo della
lotta del bene contro il male. Il tema della
mostra è stato di ispirazione per molti artisti nel passato, ma resta di grande rilevanza
proprio in questi tempi moderni.
La mostra è stata ideata dal fondatore di
GovanorArt, splendido spazio espositivo
di Gian Carlo Marchisio, stimato artista, pittore e scultore discendente da una
nota famiglia di artisti torinesi. Marchisio contribuirà alla collettiva con una
delle sue opere.
In congiunzione alla mostra è stato pubblicato un catalogo dello storico dell’arte e
curatore Alessandro Ponzeletti, con essay
dal titolo “San Giorgio e il drago, tra mitologia agiografia e arte”.
L’inaugurazione della mostra aprirà alle ore
18 del 12 aprile 2014 a GovanorArt, via
Budroni 9, Bonnannaro, a una ventina di
chlometri da Sassari.
marzo 2014
11
Professionalità
L’ex direttore Carbosulcis Giuseppe Deriu esalta la capacità di lavoro di un mestiere archiviato in Sardegna
1914: nasceva la federazione dei minatori sardi
2014: mestiere corteggiato in Australia e Honduras
Davide Madeddu
L’
immagine romantica dell’uomo con
elmetto, candela a carburo e piccone che lavora e scava sottoterra è solo un
ricordo. L’emotività offerta da immagini
e racconti d’altri tempi è stata superata
dalla tecnologia e dalla ricerca. Una sorta
di ‘lavoro in miniera ai tempi della rete’.
Per questo motivo a cento anni dalla fondazione della prima Federazione regionale dei minatori sardi (l’atto costitutivo
venne siglato il 1 febbraio del 1914 ), la
figura del minatore «ha ancora ragione di
esistere».
Non solo nel Sulcis Iglesiente, dove è ancora aperta l’ultima miniera di carbone e
esistono ancora le altre miniere metallifere da bonificare, ma anche dove si devono
portare avanti lavori che riguardano suoli e ambiente. L’occasione per rimarcare
il concetto è stata offerta dal convegno
promosso ad Iglesias dalla Filctem Cgil
regionale in occasione dei cento anni della
costituzione della Federazione regionale
dei minatori sardi. Prima organizzazione
sindacale che ha poi visto nascere le diverse sigle sino a oggi.
Tra storia più o meno recente, dall’eccidio di Buggerru del 1904 all’ultima occupazione mineraria, c’è stato spazio anche
per ribadire l’importanza del lavoro del
minatore nel nuovo millennio. Ossia chi,
nell’era del digitale, lavora ancora a mezzo
chilometro di profondità facendo i conti
con la tecnologia ma, anche, con le avversità di un ambiente non certo confortevole. Il risultato è una «figura tutt’altro che
romantica ma super specializzata che ha
competenze tanto ambientali quanto sullo
studio delle terre e dei suoli, oltre che delle macchine operatrici». D’altronde basta
varcare l’ingresso di una galleria, a centinaia di metri di profondità, e riuscire a districarsi tra sensori, e strumenti elettronici
che popolano i cunicoli dove si può passare anche in auto, per capire che trascorrere
una giornata di lavoro in sottosuolo non è
proprio un «lavoro per tutti». Soprattutto
per chi non ha una competenza precisa in
un settore altamente tecnologico.
Lo sa bene anche Giuseppe Deriu, ingegnere con una lunga esperienza nel
settore minerario. Prima capo servizio
poi direttore nella miniera di carbone di
Seruci e Nuraxi Figus. Nella sua lunga
12
marzo 2014
carriera professionale ha visto crescere
generazioni di operai, minatori e tecnici.
«La figura romantica è un lontanissimo
ricordo - premette - da anni il minatore
è un operaio o un tecnico altamente specializzato, con una conoscenza dei mezzi,
dell’ambiente e dei suoli». Una figura specializzata e complessa, per usare le parole
dell’ingegnere, che viaggia con una marcia in più perché, chiarisce Deriu «lavora
in una condizione di disagio aggiuntivo:
quello del sottosuolo». Ma che «ha una
serie di competenze specifiche che vanno dalla conoscenza delle rocce a quella
dei suoli, indispensabili anche quando si
fanno lavori che non sono strettamente
legati a quelli in miniera».
A sostenere l’attualità di questa figura professionale, particolarmente ricercata soprattutto all’estero (dall’Honduras all’Australia), sono anche i dirigenti sindacali.
Perché nel Sulcis Iglesiente i contesti in
cui queste figure professionali diventano
indispensabili sono diversi. Da una parte ci sono le vecchie miniere metallifere
ormai chiuse ma da bonificare e risanare,
dall’altra la miniera di carbone di Nuraxi
Figus. Sito minerario che sarà dismesso
attraverso un piano decennale ma che i
sindacati e lavoratori vorrebbero trasformare in riserva strategica. «Posso dire che
la figura del minatore, almeno nel nostro
territorio è sempre attuale - spiega Francesco Garau, segretario provinciale della
Filctem Cgil - certo non stiamo parlando
dei signori col piccone ma, nella maggior
parte dei casi, di diplomati con competenza e preparazione di alto livello. Per questo motivo sono convinto che debba avere
un ruolo importante anche per il futuro».
Una convinzione che Garau, segretario
del sindacato che riunisce chimici e minatori del Sulcis Iglesiente spiega in questo
modo: «Chi lavora in miniera, e nel caso
specifico parlo di miniera di carbone, non
si occupa solo o necessariamente dell’estrazione della materia prima ma fa altro».
Tipo?«Per esempio studia e partecipa alla
ricerca per individuare sbocchi complementari alla mera estrazione del carbone».
In questo contesto non vengono poi tralasciate altre due questioni: quella energetica e quella delle bonifiche ambientali.
«In altri paesi d’Europa c’è un ritorno
all’utilizzo del carbone attraverso sistemi all’avanguardia - argomenta ancora il
sindacalista - per questo motivo sono del
parere che la miniera di carbone debba
rimanere in stand by come una riserva
strategica da riavviare in caso di necessità». Eppoi ci sono le bonifiche ambientali
che interesseranno le aree minerarie metallifere. «Solo chi ha lavorato in miniera
e ci lavora ha contezza di ciò che vuol dire
intervenire in quei luoghi ed è quindi nelle condizioni di portare avanti un’opera
di bonifica e risanamento ambientale con
competenza e professionalità».
Quelli che fanno
L’azienda di Oscar Ruggeri e Daniela Ducato di Guspini continua a innovare conquistando mercati
Lana di pecora sarda nei pannelli degli Airbus
E con la lana di mare tetti a efficienza termica
Maddalena Brunetti
D
alle stalle alle stelle e poi di nuovo
giù ma questa volta fino agli abissi
del mare. Edilana, azienda di Guspini con
stabilimenti produttivi anche a Bitt-Nule,
fucina pluri-premiata di idee rivoluzionarie
e prodotti di eccellenza, non smette di stupire con le innovazioni. Lo fa con gli ultimi due nati di casa Edilana Group: Edilana
Fly e Edimare che hanno portato la lana
di pecora sarda dagli ovili agli studi di ingegneria aerospaziale e della Conservatoria
delle coste alla prese con la posidonia.
L’industria di Guspini, ormai leader in Europa nel campo della bioedilizia e dell’efficienza energetica e acustica, è nata dalla
geniale intuizione dei coniugi Oscar Ruggeri e Daniela Ducato con la famiglia
Crabolu che per primi hanno capito e studiato le straordinarie qualità della lana di
pecora sarda trasformandola da prodotto
disprezzato sul mercato tessile, a materiale
altamente performante per la bioedilizia.
Sono così nati gli ormai famosi materassini
10 per cento lana per la coibentazione delle
abitazioni che hanno dato il via a una vasta
produzione green dalle prestazioni di altissima qualità certificata che ha reso famoso
il nome di Edilana a livello internazionale.
Ed è così che, nel 2012, è nata Edilana Fly:
un team di ingegneri italiani era alla ricerca
del materiale ideale per abbattere gli elevati
costi del precondizionamento degli aerei
in fase di scalo, quando si è imbattuto nei
prodotti di Edilana. Così dopo un lavoro
di ricerca e dialogo tra i ricercatori di Edilana e quelli aerospaziali sono nati i materassini isolanti montati sugli impianti del precondizionamento a terra degli Airbus 380.
Un risultato tecnologicamente avanzato
ottenuto con le fibre corte del vello ovino
che, grazie a una ingegneria industriale
avanzata,diventano straordinario termo-fono-coibente in grado di ridurre l’emissione
di anidride carbonica nell’atmosfera e di far
risparmiare il 30 per cento dei consumi ai
più grandi aerei del mondo. Il pannello ad
alta ingegneria industriale, è planato fino
agli States, adottato dall’Airbus Group.
Edimare. Ma dopo i cieli l’azienda ha
scrutato i mari: lavorando assieme lana di
pecora sarda con gli egagropili (conosciuti
come palle di mare) composti da fibre legnose della posidonia è stata ottenuta una
fibra intelligente: la lana di mare Edimare,
Daniela Ducato e Oscar Ruggeri
con cui si producono, ad esempio, tetti ad
alta efficienza termica che risparmiano fino
al 30 per cento in più di energia rispetto al
legno e ad altri isolanti. L’ultimo progetto
Edimare è nato dopo nove mesi di lavoro,
nel rispetto delle indicazioni e ricerca della
“linee guida per una gestione sostenibile
dei litorali” realizzato dalla Conservatoria
delle Coste, all’interno dell’assessorato per
la Difesa dell’Ambiente della Regione Sardegna, un esempio di riuscita sinergia tra
pubblico e privato. Tutto ha avuto inizio
con l’enorme problema rappresentato dai
cumuli di posidonia spiaggiata che molti
Comuni sardi si trovano ciclicamente ad
affrontare con costi elevatissimi. Perché se
è vero che la posidonia è un segno di mare
sano e pulito, è anche vero che in grosse
quantità può far scattare anche il divieto
di balneazione per le emergenze igienicosanitarie causate dalle fermentazioni e dalle
putrescenze. Emblematico il caso di Alghero: la cittadina, virtuosa nella gestione dei
suoi litorali, si era ritrovata a gestire cumuli
in eccesso con costi di smaltimento che sarebbero arrivati a un milione di euro. Per
questo la Conservatoria delle Costedella
Regione ha attivato un tavolo tecnico con
l’assessorato degli Enti Locali, e alcune aree
marine protette per la corretta gestione
della posidonia spiaggiata. Ed è stato in
quest’ottica che è nata una fruttuosa interlocuzione tra i Comuni, la Conservatoria,
guidata da Alessio Satta, e Edilana che ha
come filosofia quella di trasformare i problemi in opportunità e i rifiuti speciali in
risorse preziose. Dopo poco meno di un
anno di lavoro, in cui sono state messe in
rete le rispettive ricerche e conoscenze, è
nata Edimare lana di mare, un risultato
ottenuto con l’abbinamento dei materiali
Edilana che aiutano a superare delle criticità insite nella posidonia. “Non solo Edimare ha prestazioni migliori di materiali come
il legno ma è anche molto più green,”,
precisa Ruggeri che spiega: “Anche perché
la Sardegna importa il legno che viene trasportato sui camion che inquinano”.
L’oro del mare. In più, mentre l’azienda
lavorava per ottenere la lana di mare è incappata in un’ulteriore scoperta. Dalla posidonia si otteneva un piccola quantità di
prodotto di scarto ossia dei microfilamenti
color oro, un qualcosa di molto simile al
bisso, la preziosa seta marina. Ma anche
questo “rifiuto” è stato reinventato per ottenere delle pitture “oro di mare” che tra le
altre cose sono molto resistenti.
La denuncia. Nonostante le soddisfazioni, l’azienda deve affrontare qualche
rammarico.“Ci continuano ad arrivare proposte ‘indecenti’ di chi vuole convincerci a
tagliare la lana con i derivati del petrolio, il
mondo della ricerca per assurdo finanzia e
premia tale insostenibilità appellandola green, come se le filiere petrolchimiche, vedi
Porto Torres, non ci avessero insegnato nulla” denuncia Ducato che argomenta: “Ma
noi crediamo nell’innovazione e nella filiera
100 per cento carbon free senza contare che
con le fibre sintetiche non si migliorerebbe
la qualità o le prestazioni dei prodotti, anzi”.
marzo 2014
13
Quelli che fanno
Il progetto I’m Sardegna col Formez e l’università di Cagliari fa tappa alle vigne Surrau
Full immersione tra vini turismo e auto
New economy nella sala del vermentino
Mario Frongia
I
l territorio, l’innovazione, il futuro.
Competenze, saperi, voglia di mettersi
in gioco. Un cammino che guarda oltre i
consueti steccati. Costruito con partner
accreditati. Tra questi, ateneo di Cagliari e
Formez. Il progetto I’M Sardegna ha fatto
tappa alle Cantine Surrau. Frullate il tutto
ed ecco uno scenario che dà un po’ di salutare ottimismo.
La Gallura ospita e regala emozioni. Da
sempre. Ma se c’è da capire quali strategie
siano vincenti, in che modo si intercettano
mercati sofisticati come quelli dei vini doc,
dove passa il domani per un’impresa innovativa che non intacca i patrimoni tradizionali e naturalistici, la risposta è semplice. E
il Formez l’ha trovata andando con 24 neo
laureati in casa Surrau. Entusiasmo e determinazione. Ma anche la passione per le
cose che funzionano. Un esempio? La forza
trainante del binomio enologia e turismo.
Il gioiello della famiglia Demuro è stato al
centro della full immersion dei manager in
erba. Il “Percorso di sviluppo competenze
in innovazione di impresa” è stata la cornice azzeccata. Vigne Surrau – recente balzo
in cima al mondo con i tre calici del Gambero Rosso per il Vermentino, magnificati
a Chicago da un evento che ha avuto per
sfondo il set del film The Invisible - accelera. E per gli allievi del Formez - con L’Innovation manager Sardegna 2013/14 e il
Centro regionale di programmazione alle
spalle - è stato uno spot mica male.
L’azienda della famiglia Demuro è stata
raccontata dalle origini. Struttura, organizzazione, personale, scelte e strategie. “I
giovani hanno le chiavi del mondo, vanno
affiancati. Noi - dice Tino Demuro, l’amministratore delegato di Cantine Surrau
– dobbiamo essere bravi a trasmettere i
codici giusti, lasciandoli liberi di inventare
e di andare in cerca di nuovi confini imprenditoriali”. Un sms preciso. Tanto che
la Fondazione Giovanni Demuro onlus ha
promosso il concorso per tre borse di studio su “Tutela e valorizzazione del territorio”. In palio – per gli studenti del quarto
anno degli istituti “Falcone e Borsellino”,
Alberghiero e liceo di Arzachena e Palau –
un mese di stage all’estero. In commissione anche gli intellettuali Antonio Ligios e
Vanni Macciocco. “È basilare investire sui
nostri luoghi. I mercati chiedono esperien14
marzo 2014
za, storia, genuinità e rispetto ambientale.
Le borse servono per il confronto e le competenze linguistiche”.
Tino Demuro – in confidenza con Peter Gabriel e altre star internazionali di
musica, spettacolo e cinema – tira dritto.
I premi sui rossi e sui vermentini confermano la nobiltà del territorio gallurese. E
l’intuito degli viticoltori: una storia che
va di padre in figlio. Il set della Cantina –
acciaio, granito, sughero in salsa hi tech,
quadri e foto d’autore alle pareti per una
wine boutique senza eguali – offre sensazioni forti. Anche per i rigorosi dirigenti
della Hyundai: a Chilvagghja, sulla provinciale Arzachena-Porto Cervo, la multinazionale giapponese ha presentato in
anteprima mondiale tra torchi e pigiatrici
dei Demuro, la sua ultima utilitaria. L’applauso per la Sardegna che funziona. E salta i confini. Senza fatalismi e piagnistei. Un
altro tassello appuntato nei loro Ipad dagli
allievi del Formez. Irene Comiti (Elmas,
Ingegneria), Carla Vinci (Tuili, Biologia),
Marco Pischedda (Cagliari, Biologia), Enrica Corona (Arbus, Marketing), Marco
Avezzano (Selargius, Ingegneria), Martina
Littera (Selargius, Architettura), Stefania
Congiu (Sinnai, Governance), Battistina
Marras (Macomer, Consulenza aziendale), Simona Sestu (Muravera, Ingegneria), Francesca Sulis (San Vito, Relazioni
internazionali), Marta Musso (Oristano,
Economia), Antonio Cocco (Gadoni, Relazioni internazionali), Stefano Colombu
(Oristano, Economia), Nicola Bordi-
gnon (Carbonia, Economia), Valentina
Orecchioni (Sassari, Marketing), Luigi
Del Prete (Cagliari, Economia), Mauro
Maleddu (Cagliari, Governance), Laura
Fois (Sassari, Scienze politiche), Federica
Porcu (Buggerru, Governance), Maura
Musa (Sardara, Economia), Elisa Secci
(Ussassai, Relazioni internazionali), Giulia
Porcu (Alghero, Relazioni internazionali), Milena Atzori (Cagliari, Ingegneria) e
Laura Garau (Cagliari, Governance) hanno un’età media di 27 anni e la voglia di capovolgere il pianeta. Il nuovo che avanza.
Curioso, emancipato, pronto a mettersi in
gioco. “Diamo sostegno e coraggio ai nostri ragazzi” rimarca Tino Demuro.
Nella sala delle botti, elegante area utilizzata per meeting e congressi, si è dibattuto di
rapporti con la clientela, rete commerciale,
internazionalizzazione, ricerca e sviluppo.
Dai laboratori universitari alla pratica. Un
filo da cui traspare diversificazione, vision
aziendale, valori. La famiglia Demuro tiene
un profilo basso. Ma sulla solidarietà le azioni sono nitide. In un villaggio a 150 chilometri da Dakar la squadretta locale di calcio
indossa le maglie con il logo Surrau. Fango,
sassi, miseria. E un pallone. Che diventa
meno sgonfio con la mano d’aiuto che arriva da Arzachena. “Vi ringraziamo per quel
che fate per noi” scrive con grafia incerta
l’allenatore dei ragazzini senegalesi, Gouneye Pire. Business e attenzione a chi parte
sempre dietro. E spesso, non ha occasioni di
riscatto. Per i neo laureati, un altro squarcio
di lezione da mettere nel kit professionale.
Quelli che inventano
La tecnologia al servizio della bellezza, dalla Sardegna la prima mossa dopo un bagno a San Francisco
Parrucchiera pedicure e massaggi last minute
Ci pensa l’App di Cinzia e prenoti con Glamy
Francesca Lai
L
ei si chiama Cinzia Carta, ha 37 anni e una figlia di 3. E, come
tutti sanno, le mamme, soprattutto se alle prese con bimbi piccoli, hanno sempre pochissimo tempo da dedicare a se stesse. Così,
dopo gli studi giuridici a Cagliari, un master a Milano, tanti anni
di esperienza nelle risorse umane sia nel capoluogo lombardo che a
Cagliari, dove rientra nel 2007, Cinzia nel 2011 decide di licenziarsi
e di dedicarsi totalmente a sua figlia. Nel 2012 segue il marito con la
sua azienda a San Francisco per un’esperienza con la fondazione Mind
the Bridge: tre mesi di immersione totale nel regno dell’innovazione
durante i quali comincia ad appassionarsi a quel tipo di approccio
orientato al business, al rischio e alla sfida con se stessi. E a ritenere
che non vi sia motivo per non applicarlo anche nella propria terra.
Così, una volta rientrata in Sardegna, inizia a pensare a come usare
la tecnologia per risolvere i piccoli problemi quotidiani delle donne.
E, memore delle settimane in cui si è sentita disordinata, trascurata e
poco attenta a se stessa, pensa che sarebbe bello poter finalmente dedicare i pochi ritagli di tempo disponibili a quelle piccole coccole di
cui una donna si deve talvolta privare per fare posto alle priorità della
vita. Per intenderci, una visita dal parrucchiere, un massaggio, una
pedicure, niente di trascendentale. All’ultimo secondo, non appena
ci si rende conto di avere mezz’ora libera.
Comincia a guardarsi in giro per capire se esista già un servizio simile
ma con grande sorpresa si rende conto che no, non c’è. E perché?
“Perché chi sviluppa tecnologie solitamente è un uomo – risponde
ironicamente Cinzia – e dunque è più raro che al centro vi sia la
donna con le sue esigenze. Per cui ho deciso che l’avrei realizzato io”.
Ed è così che nel 2013 nasce Glaamy, la prima App che consente di
prenotare qualsiasi tipo di trattamento estetico last-minute dal proprio smartphone. Lanciata a fine febbraio, è già in uso in 17 saloni di
bellezza nella città di Cagliari ma l’obiettivo è quello di espandersi a
tutta la regione, in un primo momento, per poi allargarsi a tutta Italia.
“Devo ammettere che partire non è stato così semplice – continua
Cinzia – l’avvio ha richiesto consistenti energie e risorse, dalla ricerca
di un notaio competente in materia di startup innovative secondo
le ultime disposizioni di legge fino alla ricerca dei collaboratori da
inserire nel team, ma ora tutto sembra andare per il meglio”.
Il progetto infatti è piaciuto molto sia ai centri estetici che ai clienti che hanno già iniziato a usarla sia alla comunità degli innovatori
che gira intorno al mondo delle startup, fin da quando la presentò in
forma embrionale nel 2012 in occasione di una tappa di Barcamper
a Cagliari. A quello fece seguito poi lo Startup Weekend, ospitato
nell’Opencampus di Tiscali nel 2013, che le valse l’accesso all’incubatore TheNetValue di Mario Mariani, dove oggi Cinzia gestisce le
attività di Glaamy. E infine la presentazione ufficiale alla MEM, in
occasione dell’evento conclusivo del Contamination Lab di Cagliari.
“Il riscontro dei saloni a Cagliari fino a oggi è stato molto positivo
e dopo una brevissima formazione le titolari dei centri hanno già
iniziato a raccogliere le prenotazioni attraverso la App – continua
Cinzia – se pensiamo che fino a oggi tutto questo avveniva ancora
con carta, penna e telefono, con un consistente dispendio di tempo
e risorse, si può immaginare quale sia il salto tecnologico che anche
questa categoria si appresta a fare grazie a una semplice App”.
Già, perché è proprio sul fattore tempo, come dicevamo, che si gioca
la partita del successo di Glaamy, che ha stimato un volume di affari
potenziale di quasi 8 miliardi e
mezzo di euro* intorno all’invenduto dei centri estetici italiani, pari a circa il 25% della
disponibilità oraria giornaliera. Un bel mercato attorno al
quale gravitano circa 140.000
aziende con 260mila addetti
ai lavori e sul quale è possibile
intervenire cercando di offrire il servizio migliore [* dati
Confartigianato 2011-12].
Ma come si può iniziare a
usare Glaamy?
“È tutto davvero molto semplice e alla portata di chiunque sappia
usare uno smartphone – assicura Cinzia - Il proprietario di un centro
estetico o di un salone di acconciatura non deve far altro che scaricare da Google Play o App Store la App Glaamy Pro e inviare una
richiesta di registrazione con tutte le informazioni utili: una volta
confermata l’adesione da parte del team di Glaamy, potrà iniziare
a segnalare in piattaforma le disponibilità del giorno con relativo
orario, durata, tipo di trattamenti, prodotti utilizzati, metodologie
adottate. In questo modo qualsiasi utente, dopo aver scaricato la App
Glaamy, potrà visualizzare in pochi secondi i trattamenti disponibili
più vicini (attraverso la georeferenziazione) secondo i parametri che
avrà impostato (tipo di trattamento, orario, distanza) e prenotare un
trattamento.
Ma quindi un uomo non può usare Glaamy?
“Ci mancherebbe, certo che può – conclude sorridendo Cinzia –
Glaamy è pensata per chiunque abbia bisogno di un trattamento
e oggi gli uomini che frequentano i beauty salon, dai parrucchieri
sofisticati fino ai solarium, sono sempre più numerosi. Ma penso anche ai tantissimi sportivi che hanno spesso bisogno di massaggi postpartita o di un trattamento depilazione frequente, come i nuotatori.
E a loro chi pensa? Sempre Glaamy, ovviamente”.
Saloni di Cagliari aderenti:
Beauty Time di Rosalia Macrì, Via Santa Maria Chiara, 69, Pirri
Elite Hair Center di Emanuela Cuncu in Via Trincea delle frasche, Cagliari
Elite Hair Center di Andrea Mura in Via Zurita 11, Cagliari
Cristina Hair Stylist di via Capraia 12, Cagliari
Centro estetico Soleluna di via S’Arriu, Cagliari
Beauty Line di via Domenico Cimarosa, Cagliari
Hair Kaos in via Francesco Ciusa 71, Cagliari
I tre tesori, via Machiavelli, 25 Cagliari
Profilo benessere, via Giudice Chiano 21, Cagliari
Snap new hair, piazza del Carmine 23, Cagliari
Beauty way, via s’arrulloni ang. viale Poetto, Cagliari
Attilio Secchi Parrucchieri, piazza Yenne 10, Cagliari
Per lei Parrucchieri, via s. Cristoforo 88, Assemini
Egò parrucchieri, via Scano 17, Cagliari
Isacco e Alberto Parrucchieri, via Gramsci 15, Quartu S. Elena
Total Body, via Tuveri 47, Cagliari
Franco e Miranda Parrucchieri, Via Giudice Mariano 35/37 Cagliari
marzo 2014
15
I segni della crisi
Una passeggiata nei vari rioni del capoluogo tra tristezza, solitudine e disperazione
Nuoro: chiude la libreria del Corso, perché?
Chiudo anche la pizzeria. Il bar? Lo chiudo
Amedeo Spagnuolo
P
essimismo, tristezza, solitudine e,
non di rado, disperazione. Sono queste le emozioni che, in una giornata come
le altre, durante una passeggiata estemporanea per le strade di Nuoro, mi si sono
fatte incontro e hanno preteso attenzione da me, quasi a voler in qualche modo
scuotermi dal mio torpore intellettuale.
Torpore che, purtroppo, condivido con
tanti altri che, come me, vivono in una
condizione d’indolenza mentale causata,
principalmente, dal disorientamento di
una comunità che ha perso quasi tutti i
punti di riferimento più importanti che
consentono a un individuo di condurre
una vita sufficientemente gratificante.
Durante questa passeggiata poco serena,
osservo il corso Garibaldi. Da un lato e
dall’altro della strada ormai prevalgono i
locali vuoti con le insegne di affittasi e
vendesi che marchiano in maniera indelebile la fine di un progetto commerciale
e, probabilmente, la caduta nell’inferno
della disoccupazione e, forse, della disperazione. Tra gli altri c’è un locale vuoto
che fino a qualche mese prima ospitava
una bella libreria, non molto grande,
ma piena zeppa di libri. Era piacevole
trascorrere tra tutti quei volumi un po’
di tempo, sfogliare qualche libro, acquistarne qualche altro, magari consigliato
dal libraio esperto che ti dava una mano
quando il dubbio ti assaliva sulla qualità
dell’uno o dell’altro volume. Il vuoto di
quel locale commerciale mi ha colpito
in maniera esagerata, provocandomi un
profondo malessere che si è prolungato
per tutta la giornata.
Tutto dipende, forse, dal fatto che nel
mio personalissimo modo di vedere la
chiusura di una libreria rappresenta simbolicamente il fallimento, non solo del
libraio, ma dell’intera comunità che, decidendo di ridurre o, addirittura, di non
acquistare più manco un libro aveva decretato, in maniera concreta, che la cultura non fosse più un fattore necessario
per contribuire alla crescita economica,
ma anche civile, del nostro consorzio
umano e dei tanti altri che costellano il
nostro Paese.
Certo mi verrebbe da dire che l’Italia non
è mai stato un paese che ha coinvolto
le masse nella lettura dei libri, di fatto,
16
marzo 2014
però, l’attuale crisi economica ha determinato un crollo disastroso delle vendite
in questo settore con evidenti conseguenze non solo economiche, ma anche di natura etica e culturale.
Dopo il Corso Garibaldi, continuando
la mia passeggiata triste e solitaria e con
la mente occupata da pensieri piuttosto
corrosivi, giungo senza quasi accorgermene in via Repubblica, una strada un
po’ più periferica del capoluogo barbaricino, ma che negli anni si era caratterizzata come una delle arterie più commerciali della città. Lungo questa strada,
infatti, si concentravano decine di negozi di tutti i tipi e i marciapiedi erano
sempre brulicanti di persone in cerca di
qualcosa da acquistare. Questo accadeva
solo qualche anno fa, a vederla oggi mi
assale una profonda sensazione di malinconia, eppure io abito nelle vicinanze, ma non mi ero reso conto, prima di
adesso, della desolante situazione in cui
questa strada, tanto viva un tempo, era
sprofondata. Pochissime le attività commerciali sopravvissute, tra queste vi sono
quelle che tradizionalmente rappresentano i luoghi d’incontro e di socializzazione dei nuoresi ovvero bar e pizzerie.
Ebbene, entro in una di queste pizzerie e
scambio qualche chiacchiera con il pro-
prietario che conosco da tempo, questi
mi confida che le persone oggi sono costrette a risparmiare anche sull’acquisto
di una pizza da portare a casa, per quella
al tavolo, poi, ormai i clienti si contano
sulle dita di una mano.
Mi trasferisco in un bar poco lontano.
Con la scusa di un caffè cerco di capire
se la situazione sia migliore. Macché: il
gestore mi confida a bassa voce che se le
cose continuano in questo modo chiude
tutto e torna a lavorare in nero nell’edilizia o in qualsiasi altro settore ci sia da
guadagnare qualcosa. Comunque meglio
di continuare a spaccarsi la schiena da
mattina a sera in un bar con il risultato
di riuscire, a stento, a coprire le spese.
Continuo la passeggiata, il passo diventa
sempre più lento e faticoso, sarà la depressione che mi sta assalendo, ma forse posso riprendermi un pochino con la
cultura, d’altro canto, la piccola Nuoro, nei momenti peggiori si è sempre
aggrappata ad essa. Arrivo a casa di un
noto musicista nuorese, un bicchiere di
buon vino rosso e mi sembra già di stare
meglio, poi gli faccio qualche domanda
sulle ripercussioni della crisi economica
sulla cultura, non mi risponde, prende la
chitarra e mi dice: “ ti suono qualcosa,
va’che è meglio”.
Scuola-modello
Seicento alunni, ottanta docenti, un fiore all’occhiello per l’Ogliastra e la Sardegna
L’alberghiero di Tortolì dalla teoria alla pratica
Ha la sala ristorante, gli studenti sono motivati
Francesca Lai
C’
è un consiglio autorevole per la nuova giunta regionale. Lo firma uno dei
più brillanti scrittori italiani, il sardissimo
Flavio Soriga da Uta giunto con le telecamere Rai in Ogliastra. Dice Soriga: “Bisognerebbe portare tutti gli assessori al turismo della Sardegna, ma anche gli ex assessori e gli aspiranti futuri assessori, a visitare
l’istituto alberghiero di Tortolì. Avrebbero la
possibilità di vedere da vicino un esempio
clamoroso di buona gestione di soldi pubblici accompagnata a inventiva e mancanza
assoluta di snobismo e di pregiudizi verso il
cosiddetto “mercato”, che in questo caso significa voglia di servire dei clienti e piacere
di vederli soddisfatti”. Ancora Soriga: “Visitando la scuola di Tortolì avrebbero chiaro
un paradosso tremendo del nostro tempo,
della nostra isola: preparare ottimi professionisti dell’accoglienza turistica significa
anche dare loro gli strumenti per misurarsi
nel loro lavoro alla pari con i migliori, ovunque nel mondo”. Conclusione: “Non possiamo escludere che i più appassionati tra gli
studenti, i più preparati tra i futuri cuochi,
camerieri e direttori di sala, una volta finita
la scuola vadano via, a lavorare lontano dalla
Sardegna. Questo probabilmente è giusto e
bello per ognuno di essi, ma può diventare
un gran danno per l’isola. Ecco, affrontare
questo paradosso. Cercare di risolverlo è una
delle grandi scommesse che abbiamo davanti. A risolverlo non potrà essere (purtroppo)
il solo preside dell’alberghiero di Tortolì”.
Ha ragione da vendere Flavio Soriga. Perché
l’alberghiero di Tortolì (nato nel 1988, oggi
seicento studenti divisi in 28 classi e guidati
da 82 docenti) è una scuola-modello. Il preside è Gian Battista Usai, di Jerzu, convinto che “la scuola è la principale risorsa del
Paese-Italia e della Sardegna”.
Un alberghiero con annesso ristorante didattico. Cioè teoria e pratica. Evviva. Una
delle insegnanti, Rita Useli, dice: “É nato
nel 2007 come risposta alla richiesta delle
aziende che ospitavano i nostri studenti in
stage, per supportare la preparazione teorica, con una altrettanto efficace sicurezza
nell’approccio con la clientela e le attività
pratiche. Negli anni il ristorante è diventato
una piccola realtà aziendale/lavorativa, inserita nel contesto scolastico, per simulare
una situazione di lavoro reale, nella quale
i tre indirizzi - sala, cucina, ricevimento -
convivono e interagiscono e si confrontano
con l’utenza. Si cimentano con clienti veri,
raccolgono le prenotazioni, allestiscono la
sala e il servizio, predispongono e servono
menu di qualità. È una vera impresa formativa simulata che ha il doppio pregio di far
sì che gli studenti si abituino a una clientela
vera. Il che costituisce anche una forma di
autofinanziamento per garantire le attività
pratiche dell’Istituto”.
Il ristorante didattico (oggi 50 posti in un
locale lontano dalla scuola, saliranno a 80
con sala in pieno centro storico) è diventato anche un laboratorio di sperimentazione
aperto al territorio. “Per ora – dice Useli apre su prenotazione il mercoledì, il giovedì,
il venerdì, ma quando saranno agibili i nuovi laboratori, attualmente in preparazione,
contiamo di aprirlo 5 giorni alla settimana”.
Punti di forza - L’Istituto alberghiero di
Tortolì rappresenta un importante punto di
riferimento formativo per i giovani: è un
ambiente scolastico organizzato e strutturato per erogare formazione mirata, che può
garantire la maturazione di abilità e competenze specifiche e rispondere in modo quali-
ficato alle esigenze di un mercato del lavoro
sempre più selettivo e competitivo.
Le indagini nazionali confermano che i titoli di studio a indirizzo turistico-alberghiero
sono molto richiesti: nel 2012 sono state
programmate 15000 assunzioni di diplomati nel settore ristorativo e dell’ospitalità
turistica, pari ad oltre il 10 per cento di tutte
le assunzioni, con contratto a tempo indeterminato e ampie opportunità occupazionali nei lavori stagionali.
“In questi anni – spiega Useli - ha svolto e
continua a svolgere anche un ruolo importante di promozione dei prodotti agroalimentari e della cultura enogastronomica
dell’Ogliastra anche oltre i confini dell’isola.
Scambi culturali attivati con numerosi partners europei, stage aziendali, partecipazione a
fiere e concorsi hanno sempre rappresentato
un’occasione importante per sponsorizzare,
in altri contesti territoriali, i “prodotti di nicchia” e le tipicità enogastronomiche”. Numerosi sono stati i riconoscimenti ottenuti dalla
scuola. Altro punto di forza: un convitto che
ospita 40 convittori e circa 60 semiconvittori
provenienti da tutta la Sardegna.
Criticità - Mentre la collaborazione è produttiva con le agenzie territoriali pubbliche,
permangono difficoltà con le imprese private locali. C’è poi il dramma della dispersione
scolastica. Benché in calo negli ultimi anni,
rimane alta. Useli: “Siamo passati infatti dal
23 al 18 per cento, i numeri restano alti,
nonostante si siano attuate varie strategie
didattico educative per contrastarla. Insisteremo. Vogliamo una scuola dove i ragazzi si
trovino bene. Vogliamo che i ragazzi amino
la loro scuola”.
marzo 2014
17
Il fisco a cura dell’avvocato Rita Melis
La nuova tassazione atti immobiliari
L’
imposta di registro trae la sua origine
dall’obbligo o dalla volontà, da parte
dei cittadini, di annotare ogni atto scritto
(contratti, scritture private, costituzione
di enti o di società, sentenze, decreti, ecc.)
presso un registro pubblico, allo scopo di
non poterne più modificare la data e il contenuto. Questo registro, tenuto dall’apposito Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, riporta
in ordine cronologico tutti gli atti sottoposti
a registrazione. L’imposta che deriva da queste operazioni colpisce pertanto, quali trasferimenti di ricchezza, i valori venali (ossia
i valori di mercato dei beni) o patrimoniali
contenuti negli atti, come la vendita o la locazione di un immobile.
L’imposta di registro è tributo avente natura di tassa, quando è correlata all’erogazione di un servizio da parte della pubblica
amministrazione, di imposta quando è determinata in proporzione al valore economico dell’atto o del negozio.
Essa è regolata dal Testo unico
dell’imposta
di
registro,
approvato con Dpr 26 aprile 1986, n. 131.
È importante ricordare, al fine del verificarsi di una doppia imposizione, che l’Imposta di registro è alternativa all’Iva, quale
altra imposta indiretta: gli atti soggetti a Iva
non scontano pertanto l’Imposta di Registro, infatti questa sarà versata in misura
fissa, salvo quanto previsto in materia di
locazione e cessione di fabbricati da imprese costruttrici. La circolare n. 2/E del 2014
l’Agenzia delle Entrate detta istruzioni con
riferimento alla riforma dell’imposizione
indiretta relativa agli atti, a titolo oneroso,
traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari. Le novità fiscali relative all’imposta
di registro, ipotecaria e catastale al settore
immobiliare sono state introdotte dal Decreto legislativo 23/2011, come modificato
dal Decreto legge n. 104/2013 e dalla Legge di stabilità 2014 (Legge 147/2013).
Queste novità si applicano dal 1° gennaio
di quest’anno per gli atti pubblici formati
o autenticati a partire da tale data. La disciplina entrata in vigore continua inevitabilmente ad avere interagire con la normativa
sull’imposta sul valore aggiunto (iva), ecco
la necessità di chiarimenti.
L’imposta di registro
Per quanto riguarda i trasferimenti di immobili fuori campo Iva abbiamo tre sole
aliquote dell’imposta di registro: 2 per cento per la prima casa, 9 per tutti gli altri beni
immobili, 12, a determinate condizioni,
per i terreni agricoli e relative pertinenze.
L’imposta di registro dovuta, si specifica
18
marzo 2014
nella nuova normativa, non può essere
in ogni caso di importo inferiore a 1.000
euro. Ciò significa che se dai calcoli effettuati l’imposta di registro da versare dovesse avere un importo di euro 850,00,
ebbene allo Stato dovremmo versare, comunque, euro 1000,00. Mentre le imposte
ipotecarie e catastali sono state ridotte a
50,00 ciascuna.
Quindi si come affermato nella stessa circolare si verifica “l’assorbimento” dell’imposta di bollo, delle tasse ipotecarie e dei
tributi speciali catastali dai quali tutti restano esenti dal 1 gennaio 2014, gli atti soggetti a imposta di registro con le aliquote
proporzionali al 2, 9 e al 12 per cento.
Per le cessioni di unità abitative imponibili
iva, l’imposta di registro non sarà proporzionale, in virtù dell’applicazione dell’iva,
appunto, ma sarà fissa nella nuova misura
di euro 200, in luogo dei 168. Così pure
per le imposte ipotecarie e catastali, saranno in misura fissa euro 200.
Invece, per quanto riguarda gli atti di cessione a titolo oneroso di unità immobiliari
strumentali per natura si applica l’imposta
di registro fissa a euro 200 imposta ipotecaria e catastale proporzionale rispettivamente 3 e 1 per cento, imposta di bollo e
tasse ipotecarie e tributi speciali catastali.
La prima casa
Per quanto concerne la prima casa l’imposta
di registro è più leggera (2) per i trasferimenti di case di abitazione, in cui il venditore sia un soggetto privato. Ciò a condizione che non si tratti di abitazioni di tipo
signorile (cat. A/1), abitazioni in ville (A/8),
castelli e palazzi di eminente pregio artistico
e storico (A/9). Al fine di poter beneficiare
del trattamento di favore, è fondamentale
che al momento della stipula dell’atto di
trasferimento venga indicata la classificazione dell’immobile nelle categorie catastali
da A/2 a A/7. Naturalmente occorre che
siano comunque presenti le altre condizioni
richieste dal Testo unico delle disposizioni
sull’imposta di registro (nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata
al Testo unico del registro). Le agevolazioni
prima casa, si specifica, competono inoltre,
sia in caso di trasferimento di immobile in
costruzione che per l’acquisto contemporaneo di immobili contigui, destinati a formare un’unica abitazione, o di un immobile
contiguo ad altra abitazione acquistata con i
benefici prima casa.
Cessione di aree fabbricabili
La cessione di aree edificabili da parte di
soggetti passivi iva, sarà in tal senso: l’imposta sul valore aggiunto sconterà il 22 per
cento, mentre le imposte ipotecarie e catastali ammonteranno a euro 200,00, quindi
a misura fissa e restano applicabili, comunque i tributi minori.
Conferimento di immobili ai soci e atti
giudiziari
La circolare 2/E 2014 illustra, anche, le
conseguenze della riforma sugli atti societari con riferimento al conferimento di
beni immobili e assegnazione ai soci.
Pertanto, se gli atti hanno per oggetto la
proprietà o i diritti reali di godimento su
immobili diversi dai fabbricati strumentali
per natura e dalle aree destinate ad essere
utilizzate per la costruzione dei suddetti
fabbricati o come loro pertinenze in relazione a tali atti, trovano applicazione le aliquote dell’imposta di registro del 9 o del 1,
per un importo minimo pari a 1.000 euro,
e le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro ciascuna.
Se invece gli atti hanno per oggetto la proprietà o diritti reali di godimento su immobili strumentali per natura l’imposta di
registro è del 4 per cento, ma non sono
riconosciuti i benefici per quanto concerne l’imposta ipotecaria e catastale del 2 e
dell’ 1, invece l’imposta di bollo sarà di
euro 300,00 e inoltre saranno dovuti i tributi minori.
La soppressione delle agevolazioni previste in leggi speciali
La circolare 2/E ha illustrato che la nuova
disciplina ha stabilito il taglio delle esenzioni e delle agevolazioni tanto da ricomprendere tutte le agevolazioni relative ad
atti di trasferimento immobiliare a titolo
oneroso riconducibili nell’ambito applicativo dell’art. 1 della tariffa, parte prima
allegata al testo unico del registro.
Dal primo gennaio 2014 non trovano più
applicazione quelle previsioni normative
che stabiliscono misure agevolate dell’imposta di registro, intese sia come riduzione
di aliquota di imposta di registro, sia misura fissa o esenzioni; alcuni esempi sono
le agevolazioni per i piani di recupero;
agevolazioni per l’acquisto di fondi rustici;
agevolazioni per i trasferimenti a favore di
giovani agricoltori.
Questi sono alcuni aspetti di quanto illustrato in 78 pagine di circolare dell’Agenzia
delle Entrate.
La coperta è sempre troppo corta, diminuisce l’aliquota per pochissimi atti e per tanti
altri vengono soppresse le agevolazioni.
New Economy
Un progetto tuttosardo per creare impresa ad alto contenuto tecnologico e ad alto rischio
Otto startup nell’Open Campus di Tiscali
Turismo innovativo e consulenze aziendali
Matteo Meloni
I
nnovation, coworking e community
sono le tre parole chiave che descrivono
al meglio Open Campus, progetto in divenire di Tiscali che punta a fare impresa nel
mondo delle startup. La mission di Open
Campus è lo sviluppo di programmi di accelerazione per startup digitali, ma in realtà
è l’aspetto umano che gioca un ruolo decisivo nel progetto: grazie alla condivisione
degli spazi, i partecipanti interagiscono tra
loro per la soluzione delle problematiche
che si incontrano nel corso del lavoro, dove
la competizione è finalizzata alla comune
riuscita dei singoli progetti.
“Open Campus – racconta Alice Soru, responsabile del progetto – nasce nel maggio
del 2013 con l’organizzazione del primo
Startup Weekend al quale hanno partecipato 130 persone provenienti dall’isola
e dalla penisola”. Nella sede Tiscali di Sa
Illetta Open Campus mette a disposizione
uno space di 500 metri quadrati che può
contenere fino a 50 persone. “In questo
momento – spiega la responsabile del progetto – ospitiamo otto startup selezionate
per creare le giuste condizioni di lavoro.
Puntiamo sulla creazione di nuovi progetti
e sulla partecipazione di persone appassionate e dinamiche”.
Quando si parla di startup si intende un’azienda ad alto contenuto tecnologico e ad
alto rischio, con un ciclo di vita e logiche
diverse rispetto, ad esempio, alle realtà del
settore manifatturiero o agroalimentare.
“Le startup – continua Soru – sono progetti scalabili, con un mercato di riferimento globale, vivono attraverso una vita fatta
di round di finanziamenti. Nei nostri spazi
sono presenti diverse tipologie d’aziende:
startup vere e proprie, realtà già strutturate,
e freelance”. Con Startup Weekend Tiscali
ha offerto un voucher di 50 mila euro in
servizi da utilizzare sotto forma di consulenza marketing e legale, e in parte in advertising sul portale dell’azienda.
Luca Sini è il Ceo di Guide me right, la
startup vincitrice del premio: il suo progetto integra l’offerta turistica online con
un servizio offline innovativo. “Ci sono lati
positivi e negativi nello sviluppo di un progetto legato al mondo delle startup – spiega
Sini –: si impara, si conosce, si sperimenta.
Ma è necessario capire quanto vale l’idea il
prima possibile, condizioni esterne permet-
tendo. Noi, ad esempio, saremo operativi
nel giro di poche settimane, dopo mesi di
duro lavoro. Col progetto Guide me right i
‘guests’ e i ‘local friends’ saranno messi in
contatto tramite il nostro portale: le due
categorie potranno così interagire in maniera facilitata, con gli utenti del luogo che
offriranno un’esperienza di viaggio diversa
ai visitatori. Open Campus – racconta il
Ceo – è uno spazio in continua evoluzione,
ideale per iniziare un nuovo business: stare
all’interno di un ecosistema del genere permette di rimanere costantemente in contatto con le realtà del settore, interagendo
continuamente con le varie attività”.
Il progetto di Tiscali ospita anche freelance come Alessandra Polo, Social Media
Manager che si occupa di consulenze per
aziende pubbliche e private. “Sono sempre più le realtà che hanno capito l’importanza dei canali social per mettere in
evidenza i servizi e i prodotti delle singole
aziende. Anche tramite applicazioni come
Instagram – afferma Polo – si può far rete:
ci si incontra nello spazio online, per poi
conoscersi nella vita reale e creare nuovi
business”. Instagram permette agli utenti
di scattare foto, pubblicarle e condividerle con i vari social network. “Ho fondato
Instagramers Sardegna – spiega Polo –, e
gli altri account relativi a Cagliari, Sassari,
Ogliastra e Barbagia. In questo modo
raccontiamo la nostra isola attraverso gli
scatti delle persone che ci seguono, evidenziando i tratti naturalistici, culturali
ed enogastronomici della Sardegna. Proponiamo dei contest settimanali relativi al
tema del momento, con la foto più bella
pubblicata sul nostro account”.
All’interno di Open Campus sono presenti
tre aziende già strutturate. Una di queste
è la Easy Network: fondata 12 anni fa, la
società si occupa di sviluppo software. Stefano Casu, Ceo dell’azienda, spiega: “Uno
dei valori aggiunti di Open Campus, motivo della nostra presenza all’interno del
progetto, è la dinamicità, lo sviluppo delle
collaborazioni, l’interdisciplinarietà di chi
ne fa parte. Easy Network collaborava già
con Tiscali, e ora siamo in Open Campus
così come le altre realtà”. Diversa l’esperienza di Mario Fanari, Silvia Atzeni, Marta
Cappai e Luca Migliari e del loro progetto
SnuPlace: nell’ambito del programma universitario Contamination Lab in collaborazione con InnovAction Lab e l’incubatore
The Net Value hanno vinto il premio messo
a disposizione da Open Campus, consistente in tre mesi di lavoro con tutorship più 5
mila euro di pubblicità sul portale Tiscali.
SnuPlace ha l’intento di fornire spazi in forma temporanea a chi necessita di un luogo
per svolgere un’attività: ci si potrà collegare
al sito della startup e scegliere il locale che
più si adatta alle proprie esigenze.
“L’esperienza del primo anno di Open
Campus – conclude Alice Soru – è stata
positiva, anche umanamente: Tiscali nasce come startup innovativa, e seguendo
questo esempio ci rendiamo conto che essere continuamente competitivi e al passo
con i tempi dell’innovazione è fondamentale. Aiutiamo i giovani sardi perché fa
bene anche a noi”.
marzo 2014
19
Continuità territoriale
Leggendo le statistiche ufficiali negli scali per il 2013 ma non c’è da cantar vittoria
Traffico aereo: sette milioni di passeggeri
Gli stranieri sono cresciuti del 14 per cento
Marco Bertuccelli
I
dati del traffico aereo forniti da Assaeroporti indicano che i passeggeri arrivati e partiti nel 2013, nei tre principali scali della Sardegna, sono aumentati
di circa 165 mila unità rispetto all’anno
precedente il che ha consentito di superare nuovamente i sette milioni di passeggeri
trasportati e, per la prima volta, il tetto dei
due milioni sia per l’aeroporto di Olbia
che per il movimento internazionale, come
meglio ed in dettaglio riportato nella tavola
(Tav.1). E’ una crescita molto contenuta (+
2,35% rispetto al 2012); un risultato comunque importante se si considera che, a
livello nazionale, si è invece registrato un
calo del 2% rispetto al 2012.
Il dato positivo non deve tuttavia alimentare facile ottimismo; innanzitutto perché
Cagliari, dopo anni di crescita continua, ha
perso oltre 106 mila passeggeri nel 2012 ed
ancora altri 4 mila nel 2013; una perdita,
l’ultima, contenuta per effetto dell’incremento di 108 mila nel movimento internazionale che ha consentito appunto di
ridurre la perdita sul traffico nazionale di
oltre 112 mila passeggeri che purtroppo,
seppure in misura molto ridotta, ha interessato anche lo scalo di Alghero (-5.537
passeggeri nei voli nazionali). Un dato,
quello negativo sui voli domestici, che
conferma, qualora ce ne fosse bisogno, il
permanere della crisi che ormai da qualche
anno interessa il Paese.
Un altro dato interessante è rappresentato dal “peso” del traffico dei quattro mesi
estivi (giugno/settembre) rispetto al globale
annuo : per Cagliari è passato dal 45,92%
del 2011 al 46,36% del 2012 fino al
47,71% del 2013; per Alghero dal 47,04%
del 2011, al 48,93% del 2012 e 50,83%
del 2013; per Olbia si parte addirittura dal
66,26% del 2011 per passare al 69,58%
del 2012 ed addirittura 70,25% nel 2013.
Un “peso” che preoccupa in quanto indica
una stagionalità accentuata, particolarmente per l’aeroporto di Olbia, che sicuramente non favorisce sia l’allungamento della
stagione che un efficiente utilizzo della
flotta e del personale da parte dei vettori.
Relativamente al movimento internazionale, come abbiamo già accennato, il 2013
con 2.174.923 passeggeri arrivati e partiti è positivo rispetto al 2012 (1.910.468
passeggeri) registrando una crescita di
20
marzo 2014
quasi il 14%. Crescita che, diversamente
dal traffico nazionale, interessa tutti e tre
gli scali seppure in misura diversa: Cagliari +15,67%; Alghero +9,69% e Olbia
+15,10%. Per quanto riguarda le aree geografiche del movimento internazionale
possiamo dire che circa il 90% si riferisce ai
Paesi UE, l’8-9% ai Paesi europei extra UE
e solo l’1-2%riguarda l’Africa, Oceania,
Asia, Americhe. Con riferimento ai Paesi
UE il movimento dei primi cinque (Germania 29%, Spagna 16%, Francia 14%,
Gran Bretagna 13%, Belgio 5%) supera il
75% del movimento globale.
Abbiamo esaminato alcuni dati del 2013
confrontandoli con gli anni immediatamente precedenti (2012-2011); raffrontando invece i dati del 2013 con quelli del
2003 e 2008 possiamo ricavare altri elementi di interesse. L’aeroporto di Cagliari
nel decennio (2003/2013) è cresciuto oltre
il 55%, ma solo il 22% nell’ultimo quinquennio (2008-2013); Alghero è cresciuto
addirittura del 76% nel decennio ma solo
il 13% nell’ultimo quinquennio; Olbia si
è fermato al 29% nel decennio ed al 12%
nell’ultimo quinquennio. Considerando
invece solo il movimento internazionale
la crescita nel decennio è stata del 557%
per Cagliari , 184% per Olbia e 129% per
Alghero; ma nell’ultimo quinquennio la
crescita per Cagliari é del 64%, del 34%
per Olbia e solo del 2% per Alghero il che
significa che la crisi di cui abbiamo fatto
cenno ha interessato tutta l’Europa.
Sempre nel decennio considerato i movimenti della aviazione commerciale crescono in maniera assai più contenuta ( +22%
Cagliari, +6,5% Olbia e +30% Alghero) e
registrano addirittura una flessione nell’ultimo quinquennio (Cagliari -11%, Olbia
-2,5% ed Alghero -3%); una situazione
che, dato il movimento passeggeri, evidenzia comunque un efficiente utilizzo del
mezzo aereo da parte dei vettori.
Altro dato interessante riguarda la ripartizione del mercato aereo tra le compagnie
tradizionali e low cost; queste ultime rappresentano ad Alghero il vettore preponderante con una quota di traffico attorno
al 65%, quota che scende a circa il 50% a
Cagliari per divenire minoritaria ad Olbia
dove non raggiunge il 35%.
Per quanto riguarda l’aviazione generale, Olbia, nel 2013 (9.710 movimenti e
21.596 passeggeri), si conferma ancora una
volta polo di eccellenza legato al turismo
di elite; comparto che interessa comunque
anche Cagliari (4.678 movimenti e 6.323
passeggeri) e, in misura minore, Alghero
(686 movimenti e 888 passeggeri).
Relativamente al servizio cargo, rispetto al
quale è opportuno evidenziarlo esiste una
debolezza strutturale del sistema Paese, le
previsioni di crescita al 2030 più favorevoli
prevedono a livello nazionale un raddoppio del totale trasportato che per la Sardegna potrebbe significare, nella migliore
dell’ipotesi, 10.000 tonnellate; una quantità trascurabile rispetto alle merci trasportate per via marittima ma interessante per
quanto riguarda il valore economico ed in
ogni caso poiché un incremento delle merci trasportate concorre ad abbassare il costo
medio di produzione per unità trasportata.
Nella tavola (Tav.2) si riportano le merci
trasportate nell’ultimo quinquennio evidenziando che per Cagliari il 40% circa del
trasportato si riferisce alla posta.
Accenniamo infine alla continuità territoriale, ricordando che il meccanismo
di imposizione degli obblighi di servizio
pubblico (OSP) è senz’altro il più efficace
per migliorare la mobilità delle persone e
delle merci in quanto interviene a governare il servizio nel suo complesso (frequenza voli, capacità, orari, tariffe, eccetera).
Non disponiamo di dati di dettaglio per
una analisi circa l’efficacia dei nuovi one-
Continuità territoriale
ri entrati in vigore il 27 ottobre 2013 sui
collegamenti con Roma Fiumicino e Milano Linate; tuttavia l’imposizione di una
tariffa unica per nove mesi che per gli altri
tre (dal 15 giugno al 15 settembre) resta
scontata per i residenti ed altre particolari categorie di utenti divenendo variabile
per i non residenti, seppure con un tetto
massimo stabilito, meriterebbe comunque
qualche riflessione. Infatti, lo ricordiamo,
la mobilità deve essere sicuramente efficiente, efficace, sicura e sostenibile ma anche economicamente accessibile; applicare
perciò per nove mesi una tariffa unica per
tutti gli utenti sembra troppo penalizzante
per i Sardi il cui tenore di vita (Pil pro capite, risparmio, importo medio pensione,
consumi, inflazione, costo della casa) non
risulta certo ai primi posti a livello nazionale ed è comunque nettamente inferiore a
quello della Lombardia e del Lazio.
Relativamente alla continuità aerea minore (CT2), considerato che nessun vettore,
entro l’11 novembre 2013, ha accettato di
operare sulle singole rotte senza compensazione, la Regione ha individuati i nuovi
oneri (Delibera Giunta 2/20 del 22 gennaio
2014) per chiudere la nuova procedura onerata che non interessa più le dieci rotte iniziali ma solo sei (Cagliari-Bologna, Cagliari
Torino, Cagliari-Verona, Cagliari- Napoli,
Olbia-Bologna ed Olbia-Verona). Al riguardo, mentre l’individuazione dei collegamenti con Roma Fiumicino e Milano Linate risponde senz’altro alla domanda di mobilità
(nel 2013 il movimento complessivo con
gli aeroporti sardi ha sfiorato i 2 milioni
di passeggeri), così non sembra per quanto
riguarda le tratte riferite alla continuità minore (CT2), almeno stando alle percentuali
di traffico sui collegamenti con la Sardegna
delle varie Regioni italiane (TAV.3)
Concludendo, si ricorda che la Commissione Europea, relativamente alle sovvenzioni concesse agli aeroporti dalla Regione, ha avviato il procedimento (ex art.108
§2 del TFUE) per valutare se gli aiuti a
favore degli operatori aeroportuali o delle
compagnie siano compatibili col mercato
(GUUE Serie C n.152 del 30.05.2013).
Al riguardo risulta interessante la normativa di cui al DL n.145/2013, articolo 13
comma 14, convertito con L.n.9/2014,
che prevede che i gestori degli aeroporti che erogano contributi, sussidi o ogni
altra forma di contributo ai vettori aerei
in funzione dell’avviamento e sviluppo
delle rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini
di utenza, debbano esperire procedure di
scelta del beneficiario che siano concorrenziali, trasparenti e tali da garantire la
più ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati.
Tav.1 Sardegna: movimento (arrivi e partenze) della navigazione aerea
(I numeri tra parentesi si riferiscono al traffico internazionale già compreso nel totale)
Descrizione
Anno 2003
passeggeri
Anno 2008
passeggeri
Anno 2011
passeggeri
Anno 2012
passeggeri
Anno 2013
passeggeri
Anno 2003
Movimenti
Anno 2008
Movimenti
Anno 2013
Movimenti
Cagliari
2.307.035
(121.714)
2.929.870
(487.761)
3.698.883
(772.259)
3.592.020
(690.833)
3.587.713
(799.116)
24.119
(2.338)
33.123
(5.028)
29.501
(6.842)
Olbia
1.554.254
(284.150)
1.803.324
(604.323)
1.874.696
(623.707)
1.887.641
(700.930)
2.011.720
(806.808)
16.779
(3.515)
18.323
(5.761)
17.866
(6.899)
Alghero
888.369
(248.686)
1.380.762
(559.935)
1.514.254
(487.979)
1.519.111
(518.705)
1.563.868
(568.999)
10.084
(1.918)
13.490
(4.264)
13.096
(4.340)
Totali
4.749.658
(654.550)
6.113.956
(1.652.019)
7.087.833
(1.883.945)
6.998.772
(1.910.468)
7.163.306
(2.174.923)
50.982
(7.771)
64.936
(15.053)
60.463
(18.081)
Tav.2 Sardegna: tonnellate di merci trasportate via aerea
Aeroporto
Anno 2009
Anno 2010
Anno 2011
Anno 2012
Anno 2013
3.973
3.612
3.115
3.052
3.361
220
221
203
136
284
Alghero
1.702
1.445
1.580
1.637
33,6
Totale
5.895
5.278
4.898
4.825
3.678,6
Cagliari
Olbia
Tav.3 Sardegna: analisi traffico aereo domestico con le altre Regioni
Anno 2013
Δ% traffico
passeggeri
sul totale
traffico
Δ% movimento
estivo
(giu-set)
Lombardia
36,22
51,16
Bergamo, Milano L., Milano M.
Lazio
33,06
41,92
Roma C., Roma F.
Veneto
6,93
78,37
Treviso, Venezia, Verona
Toscana
6,37
47,24
Pisa, Firenze
Emilia Romagna
6,20
52,45
Bologna, Parma, Rimini
Piemonte
4,15
57,86
Torino, Cuneo
Campania
2,14
61,35
Napoli
Sicilia
1,48
61,85
Trapani, Catania, Palermo
Liguria
1,27
60,50
Genova
Friuli Venezia Giulia
0,81
66,53
Trieste
Abruzzo
0,48
66,92
Pescara
Marche
0,38
81,69
Ancona
Umbria
0,36
65,85
Perugia
Puglia
0,13
100,00
Bari
Trentino Alto Adige
0,02
100,00
Bolzano
100,00
51,04
26 aeroporti
Regione
Totale
marzo 2014
Aeroporti utilizzati
21
FotoNews
Oristano: la prima stella d’argento al filosofo Paolo Mancosu
La prima stella d’argento “Oristanesi nel mondo” è
stata consegnata, dal sindaco Guido Tendas, al filosofo oristanese Paolo Mancosu docente all’università di Berkeley. Presente alla cerimonia (venerdì 27
febbraio) l’editore Carlo Feltrinelli che ha parlato
del libro-annale di Mancosu sul carteggio segreto
fra Giangiacomo Feltrinelli e Boris Pasternak per
la pubblicazione del capolavoro Dottor Zivago.
Durante la manifestazione, al Teatro Garau, hanno
cantato i tenores di Neoneli. Dopo Oristano, nei
prossimi mesi il professor Mancosu parlerà del caso
Feltrinelli-Pasternak al The Center for Advanced
Studies di Monaco, all’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco e nelle università di Berkeley
e Stanford. In aprile è atteso all’università di Pisa.
Mamoiada legge “L’Italia migliore” di Vladimir Luxuria
Il libro di Vladimir Luxuria “L’Italia miglioire” (edizioni Bompiani) è stato presentato
lunedì 3 marzo nella sala del Consiglio comunale di Mamoiada su iniziativa dell’Università della terza età presieduta da Nina Trivero e da Donatella Cau, direttrice
dei corsi. Presenti oltre trecento persone, decisamente entusiaste. Ha chiuso, tra gli
applausi, il sindaco Graziano Deiana. Molti gli interventi dal pubblico.
22
marzo 2014
Dibattiti/4
Dopo gli articoli di Amedeo Spagnuolo, Graziano Pintori e Natalino Piras interviene Alessandra Corrias
Altro che Atene Sarda, Cagliari dà l’esempio
A Nuoro la cultura è attitudine un po’ bohéme
Alessandra Corrias
N
on c’è dibattito più appassionante,
in Sardegna, di quello che riguarda
Nuoro e il suo rapporto con la cultura.
Infatti va avanti più o meno da un secolo. È un dibattito molto più coinvolgente,
molto più melodrammatico di quello sui
chioschi del Poetto, per dire. Ma mentre
Nuoro continua a dibattere, Cagliari riesce
a pensare anche ad altro, oltre ai chioschi,
e si candida Capitale Europea della Cultura per il 2019, con buone possibilità di
farcela. Alla faccia dell’Atene Sarda.
I nuoresi si sono sempre consolati, rispetto alle
proprie sfortune (non avere un porto, un aeroporto, un treno che porti da qualche parte
in tempi decenti, delle spiagge, un clima mite,
spettacolari monumenti costruiti da popoli
invasori da cui guardare il tramonto), cullandosi nella certezza di essere perlomeno i sardi
più acculturati di tutti.Lo siamo.
Non fosse altro che abbiamo poche distrazioni materiali, e adoperiamo gran parte
del nostro tempo libero per leggere e rimuginare. Lo siamo.
Non fosse che per quel continuo senso di
colpa, di inquietudine che non ci fa mai essere soddisfatti. L’arte non va d’accordo con
la felicità né con la soddisfazione. I nuoresi
sono malinconici e problematici come lo
sono stati i più grandi artisti della storia.
A Nuoro si respira cultura come attitudine
naturale un po’ bohème, come fosse roba
con cui non bisogna fare soldi. Come fosse
ancora prerogativa dell’èlite da una parte o
dei sognatori diseredati e avvinazzati dall’altra. Le immagini sattiane del Tettamanzi e
dei poveri geni incompresi che barattavano la loro opera con un po’ di vino come
Francesco Congiu- Pes (noto ai più come
Conzu Mandrone, non a caso) incombono
come una condanna perenne sugli artisti
nuoresi, che sono stati e sono moltissimi,
più che in qualsiasi altro luogo della Sardegna. Provate a pensare a un altro posto come
il Tettamanzi del “Giorno del Giudizio”. Vi
verrebbero in mente i caffè di Montmartre e
L’absinthe di Degas, mica il Poetto.
Eppure oggi è Cagliari a essere candidata
Capitale Europea della Cultura. E lo è grazie a un progetto. Fatto bene, per tempo.
Un progetto bellissimo.
La progettualità e la visione d’insieme: è
proprio ciò che a Nuoro manca. Ci sono
musei straordinari, dove il biglietto costa
una miseria (ma perché?). C’è un seminario jazz importantissimo. Ci sono festival
internazionali di cinema ed etnografia, che
saltano se la politica si distrae e non arrivano i finanziamenti necessari. Ci sono fior
di professionisti e tecnici in grado di organizzare e supportare qualsiasi tipo di spettacolo, ai massimi livelli. C’è chi gestisce
il Teatro Eliseo egregiamente, senza avere
pomposi Cda dietro. C’è un patrimonio di
tradizioni popolari mai messo a sistema, affidato alla costanza di centinaia di volontari
che altro non sono che i membri dei gruppi
folk. Qua è stato inventato il canto corale a
quattro voci pari.
E c’è un’incredibile avanguardia di pittori,
scultori, fotografi, poeti, attori, musicisti
che affolla i circoli e le cantine. Quando a
Nuoro si prova a riunire il talento di tutti gli
artisti che la abitano, non c’è un posto abbastanza grande, non c’è abbastanza meraviglia per affrontare ciò che si pone davanti
agli occhi. I pittori di Nuoro espongono le
proprie opere alle pareti dei bar, quando
sono fortunati. Non c’è più neanche la galleria comunale. Quando si mettono in testa
di organizzare qualcosa, spendono infinite
energie nella realizzazione di eventi eccezionali: nel senso di eccellenza, ma anche di eccezione. Nascono e muoiono in un battito
d’ali senza essere inseriti in una prospettiva,
in un contesto organizzato, riconoscibile e
pertanto vendibile e fonte di profitti.
Se a Nuoro a parlare ossessivamente di cultura sono la Confindustria e la Camera di
Commercio, e non il Comune o la Provincia, qualche domanda bisognerà pur farsela.
Gli attori economici più importanti del territorio dimostrano di essere più consapevoli
di quelli politici della risorsa cultura come
chiave dello sviluppo. Mentre gli amministratori titubano, balbettano, si accodano
alle iniziative altrui senza troppa convinzione, ammettendo implicitamente di non
avere ben chiaro cosa fare e come farlo.
Il caso della candidatura a “Capitale Europea della cultura” è emblematico.
Nel 2019 sarà il turno dell’Italia. Dalla
pubblicazione da parte del Mibac dell’invito a presentare le candidature, fino alla
scadenza per le candidature stesse, c’erano
dieci mesi di tempo per elaborare un progetto. Ci si poteva provare. Con un milione
di euro e una visibilità internazionale assicurata in palio, ci si poteva provare. Sarebbe stata l’occasione giusta per mettersi in
gioco. Immaginare un futuro, organizzare
una rete, costruire un’idea di Nuoro città
di cultura. Coinvolgere la cittadinanza,
stimolare la conoscenza fra popoli diversi,
valorizzare la ricchezza della diversità culturale in Europa: il bando diceva con chiarezza che lo sviluppo di questi punti sarebbe
stato premiante, perfino a fronte di carenze
infrastrutturali. Certo, c’è anche la parte
economica, un bilancio da costruire, fondi da reperire, spese da fare. E Nuoro, ogni
estate, non riesce nemmeno a essere sicura
di avere i soldi per il Redentore.
Ma anche solo provarci, ambire a un risultato così clamoroso, non sarebbe stato esercizio inutile. Sarebbe stato misurarsi con le
proprie capacità e capire finalmente dove
stanno le falle. O forse, lo si è già capito.
marzo 2014
23
Analisi
Il disordine istituzionale e il declino italiano nelle classifiche europee nel campo della cultura
Tra demagogia populistica del No a tutti
e il ruolo delle professionalità femminili
Pietro Ciarlo
I
l problema dell’equilibrio dei bilanci
pubblici è assillante. Molto dipende per
cosa e come si spende. In Italia alla ricerca
pubblica sono assegnati pochissimi fondi,
ma il loro rendimento è elevato. I ricercatori italiani si arrangiano con poco, l’efficienza della spesa è alta. Questo dato è confortante, ma non può essere un alibi. Così
non dura ancora a lungo. Alla fine senza
soldi non si dicono neanche le messe. Sono
evidenze che rinviano immediatamente al
nodo focale della cultura in Italia: il declino.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una
straordinaria redistribuzione della ricchezza
tra diverse aree mondiali. Tanta manifattura
ha lasciato l’Europa occidentale, ma adesso
gli scambi internazionali sembrano aver trovato un loro nuovo equilibrio. Negli States
e in alcuni Stati europei si vede la ripresa,
in Italia no. La nostra economia e la nostra
psiche continuano a essere depresse. Se una
società è in declino economico fatalmente
è anche in declino culturale. Non credo che
nella storia sia dato riscontrare società in
crisi economica e in fioritura culturale.
Dal rapporto 2013 di Federcultura si evince
che in Italia esistono oltre 12.000 biblioteche, ma i lettori calano in continuazione e
il 57 per cento degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno. Abbiamo 3.609
musei, il triplo della Francia, 5.000 siti
culturali, 46.000 beni architettonici vincolati, 34.000 luoghi di spettacolo. L’industria
culturale vale circa 76 miliardi di euro, dà
lavoro a quasi un milione e mezzo di persone eppure le risorse destinate alla cultura
si riducono implacabilmente. Oggi il budget del ministero dei Beni culturali è di un
miliardo e mezzo, appena lo 0,20 per cento del bilancio dello Stato. Per il triennio
2014-2016 si prevede un’ulteriore riduzione di circa 100 milioni. Alla fine lo stanziamento sarà di 1 miliardo e 400 milioni,
esattamente come quello della Danimarca,
meno di 6 milioni di abitanti, meno di un
decimo della popolazione italiana. Sempre
secondo Federcultura siamo al 26° posto
sui 28 Paesi dell’Ue per spesa pubblica pro
capite in istruzione e formazione con un’incidenza del 4,2 per cento sul Pil, contro
una media europea del 5,3. Negli ultimi
dieci anni gli iscritti alle università italiane
sono scesi da 338 mila a 280 mila con un
calo del 15 per cento. Europa 2020 ipotiz24
marzo 2014
za il 40 per cento di laureati tra i 30 e i 40
anni: la media Ue è di circa il 35 mentre in
Italia siamo soltanto al 20. Anche nel 2013
nessun ateneo italiano viene classificato tra
i primi 100, anzi Bologna, la prima delle
università italiane, perde 11 posizioni scendendo al 194° posto. Negli ultimi 10 anni
68.000 neolaureati hanno lasciato l’Italia,
una vera e propria desertificazione.
Non deve meravigliare, dunque, se per Erobarometro, cioè le indagini demoscopiche
del Parlamento Ue, il nostro indice di partecipazione culturale nazionale sia appena
dell’8 per cento, contro una media europea
del 18, e una percentuale che arriva al 43
della Svezia, il Paese europeo con la più
alta partecipazione dei cittadini ad attività
culturali. Le classifiche di questo tipo sono
opinabili, ma pur sempre indicative.
I dati riportati sono ben noti, ma leggendoli tutti di fila colpiscono al cuore e fanno
veramente male. Sono univocamente orientati, l’immagine di insieme è deprimente e
nonostante il gran parlare, restiamo tra gli
ultimi, anzi continuiamo a regredire.
Uno degli epicentri del nostro declino culturale riguarda il disordine istituzionale.
Giuristi ed economisti si occupano della
organizzazione e della gestione delle nostre
società. In Italia il sapere giuridico e quello
economico vivono una profondissima crisi
per il deperimento dell’oggetto della loro
conoscenza. Questo aspetto va sottolineato perché è uno dei profili che distingue
le scienze della natura da quelle umane.
Economisti e giuristi, questi ultimi in particolare, devono contribuire ad edificare un
ordine, un ordinamento, ma la loro capaci-
tà di dare certezze e costruire prevedibilità
viene vanificata dall’irrimettibile disordine
istituzionale e politico. Sulla crisi della cultura economica e giuridica si dicono molte
cose inesatte, spesso volutamente inesatte.
Da parte della politica esiste una vera e
propria astuzia dell’inesattezza finalizzata
a minimizzare le proprie responsabilità e a
scaricare tutte le colpe su altri. Se le cose
non funzionano è colpa dei giudici, della
burocrazia, mai del legislatore, cioè della
politica. Giudici e burocrazia possono avere
anche tutte le colpe del mondo, ma non si
può trascurare di osservare che essi alla fin
fine sono chiamati ad applicare le leggi. Se
per anni e anni si fanno leggi confuse e contraddittorie non si può immaginare che esse
vengano raddrizzate in sede applicativa. Accadrà il contrario, i difetti degli esecutori si
sommeranno a quelli dei decisori.
Come gruppo dei costituzionalisti di Cagliari da circa dieci anni curiamo per una
delle maggiori riviste specialistiche del settore una rassegna della legislazione pubblicistica più importante segnalandone i contenuti salienti, ma ormai siamo sommersi
da una marea di legislazione di pessima
qualità, non so se riusciremo a continuare
questo lavoro. Del resto non bisogna essere
specialisti per sapere queste cose. Basti pensare a che cosa sta succedendo per la tassazione sugli immobili, con i commercialisti
che inevitabilmente sbaglieranno, ma poi
a pagare i loro sia pur scusabili errori saranno i contribuenti. O ancora al caso Stamina dove l’amministrazione competente
dal primo momento assume una posizione
negativa, ma viene delegittimata da un giudice, un altro giudice obbliga una struttura
sanitaria ad erogare il trattamento ed infine
un altro giudice ancora, giustamente, mette
tutti i protagonisti sotto procedimento penale. Per non parlare della valutazione dei
curricula per l’ accesso a medicina cambiata
il giorno delle prove. Con gli esempi si potrebbe continuare praticamente all’infinito.
Le leggi sono divenuti dei testi esoterici. Le
ultime trenta pagine della relazione annuale
della Corte dei Conti al Parlamento sono
l’elenco degli acronimi. Finanche l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta ha ritenuto di lamentare l’uso eccessivo di quelle
che una volta si chiamavano abbreviazioni.
I testi giuridici sono diventati sempre più
Analisi
complessi perché più complesse sono divenute le nostre società, ma la loro decadenza
contenutistica e linguistica, e in ambito giuridico le parole sono tutto, è ormai un fattore disfunzionale autonomo, nel senso che
in Italia è molto più accentuato che altrove.
Incertezza, imprevedibilità e lentezza ci
stanno distruggendo.
Il nostro Paese è sicuramente ammalato di
burocrazia, ma l’insistenza che la politica
pone sui mali della burocrazia configurano
un vero e proprio alibi burocratico.
Il disordine legislativo apre spazi vertiginosi alla discrezionalità dei giudici, fino
a configurare dei veri e propri abusi del
diritto. L’incertezza normativa e la conseguente mancanza di prevedibilità sono il
peggior nemico del futuro. Oltre al passato
e al presente, anche il futuro è gravido di
conseguenze perché noi regoliamo i nostri
comportamenti a seconda delle aspettative che nutriamo. Se l’immaginazione non
riesce a vedere il futuro il danno è enorme
soprattutto per le imprese e per i giovani.
Incertezza, mancanza di fiducia, diffidenza, sospetto ci hanno spinto ad assume
una psicologia recessiva sul piano personale, collettivo, politico. Spesso, quando
ascoltiamo una posizione espressa da altri,
automaticamente la nostra mente si ritrova impegnata a selezionare gli argomenti
più efficaci per poter dire no. Consapevolmente o inconsciamente siamo diventati
tutti un po’ dei veto player. Ma poi ci
sono i veto player professionisti, quelli che
costruiscono loro posizioni di forza esercitando il ricatto del no.
Quando nel gennaio scorso si pose il problema del transito delle sostanze chimiche
derivanti dal disarmo siriano e il porto di
destinazione fu individuato in quello di
Gioia Tauro, subito scesero in campo i
professionisti del no. I tre sindaci della zona
dichiararono che avrebbero dovuto passare
sul loro cadavere. Il presidente della Regione disse che sarebbe scoppiata la guerra
civile. Per fortuna la Filt-Cgil tempestivamente ha segnalato che nel porto transitano 600.000 tonnellate all’anno di quella
merce e che dunque le 600 siriane erano
un’inezia, ma soprattutto che non si poteva inviare al mondo il messaggio che quel
lavoro a Gioia Tauro non si sarebbe potuto
fare. Fortunatamente Confindustria, Autorità portuale e finanche il Vescovo hanno
condiviso la posizione del sindacato. Così
la spregiudicata politica locale che con il
suo no sperava di intercettare i sentimenti
e il consenso più ingenui della popolazione è rimasta, una volta tanto delusa. Ha
sfiorato il ridicolo una certa politica sarda,
amministrazione regionale in testa, che voleva anch’essa dichiarare una guerra civile
per una cosa che nessuno le aveva chiesto,
essendo sin dall’inizio Gioia Tauro la destinazione dei materiali siriani. C’è stato
un tempo in cui investitori esteri volevano
realizzare una decina di rigassificatori in
Italia, i NO localistici hanno prevalso, non
se ne è fatto neanche uno. Finanche in Sardegna, nonostante sia assieme alla Corsica,
l’unica regione europea a non poter disporre
del metano, quando si parlava operativamente del metanodotto Galsi, spuntarono
dei politicanti del no. Poi nel grande risico
dell’energia questo metanodotto è sfumato,
sarebbe interessante sapere chi oggi volesse
cavalcare il diniego ad un rigassificatore.
Bisogna pensare positivo, avere proposte,
una cultura propositiva. Solo ragionando in
termini propositivi ci si può riscattare dalla
demagogia del no. Ma le proposte devono
avere credibilità, devono esprimere una
loro funzionalità, non essere a loro volta
espressione della demagogia populistica.
Ad esempio, il solo accennare ad una moneta sarda nel resto del mondo suscita un’
immediata incredulità e una più meditata
ilarità quando e se riusciamo a spiegare di
cosa si tratterebbe. Fare buona politica
mai come adesso significa avere una genuina capacità propositiva, ma non c’è buona
politica senza cultura.
Detta in modo un po’ brutale la parola “declino” dal punto di vista culturale vuol dire
che stiamo diventando più ignoranti. Le
abilità aumentano, ma all’incremento delle abilità non necessariamente corrisponde
una crescita culturale, intesa come capacità
di comprendere il mondo e di rapportarsi
ad esso, agli altri. In un universo plurimo
solo la cultura, la mediazione culturale, può
costruire una prospettiva di pace tra diversi
che hanno o vogliono avere per destino l’integrazione e l’elevazione della loro qualità
della vita. Bisogna tener conto criticamente di alcuni sviluppi recenti. Innanzitutto la
perniciosa rinascita del populismo identitario che si salda con il cinismo dei veto player, dei professionisti del no. Le narrazioni
identitarie non sono neutre. Possono servire
a costruire la consapevolezza di noi stessi e
della nostra naturale plurima e concentri-
ca cittadinanza locale, regionale, europea,
mondiale. Oppure a fondare i miti populistici del sangue e della terra, della diffidenza
e dell’odio verso l’altro. Dell’isolamento e
dunque del declino economico e culturale.
Quando sentiamo risuonare un no localistico non dobbiamo porci solo domande di
carattere economico o ambientale, ma soprattutto culturali. Ad esempio dovremmo
chiederci che tipo di cultura esprime chi
pensa di poter derivare le sorti del mondo
da sessanta chilometri di ferrovia.
La nostra cultura deve essere più coraggiosa, misurarsi senza esitazioni con le nuove
separazioni, i nuovi stridori. Le donne prevalgono negli studi e nei lavori qualificati.
Il 60 per cento dei diplomati e dei laureati sono donne. Il 60 per cento dei medici, dei magistrati, dei funzionari pubblici
sono donne. Come mostrano recenti studi
dell’Ocap (Osservatorio sul cambiamento delle amministrazioni pubbliche) della
Bocconi e dell’Inps, anche per i dirigenti
pubblici e privati ci si avvia a grande velocità verso percentuali di questo tipo. Si deve
essere lieti che cadano antiche discriminazioni, ma vuol dire anche che il versante
maschile delle nostre società vive una grande crisi culturale. I ragazzi tra calcio, fantacalcio, videogiochi, ludopatie, pornopatie e
altre dipendenze, di cui le ragazze fortunatamente soffrono molto meno, sono in piena fase involutiva. La deculturalizzazione
delle nostre società si addensa soprattutto
sul versante maschile. Esse, anche per questa ragione, stanno diventando sempre più
rozze, violente e pericolose soprattutto per
le donne. Ci sono troppe ipertrofie e troppe
atrofie. Oggi il lassismo, i vincoli del politicamente corretto, i veto player, la mancanza di selettività sono amici degli squilibri e
nemici della cultura. Senza originalità non
c’è cultura e senza cultura non c’è originalità, innovazione genuina, buona politica e
non si arresta il declino. La rete nel bene e
nel male cambia la nostra antropologia, ma
non è scritto da alcuna parte che in nome
del bene dobbiamo prenderci anche il male
senza neanche provare a reagire.
marzo 2014
25
dalla prima pagina
Maria Letizia Pruna / La Grande Transumanza di poche idee e molti uomini
glione Antonio, eletto nel Pd, passato al
gruppo Misto, poi Misto-Noi Sud, poi di
nuovo Misto (vengono in mente antipasti
di terra o di mare o misti, appunto), infine
Misto-Iniziativa liberale. In questo ultimo
gruppo il Gaglione si è ritrovato con il deputato Guzzanti Paolo, eletto invece nel
Pdl, passato anche lui per il gruppo Misto,
poi Misto-Noi Sud, di nuovo al gruppo
Misto, poi al gruppo Popolo e Territorio,
ancora una volta al gruppo Misto (doveva essere irresistibile), e finalmente anche
lui al gruppo Misto-Iniziativa liberale, che
con la sua denominazione giustifica l’intero percorso compiuto per raggiungerlo.
“Cambiare casacca” è il termine usato
più frequentemente per indicare questo genere di movimenti, e la dice lunga
sulla scarsa rilevanza che giocano le idee
nell’incessante cammino dei politici erranti. Se le idee avessero un peso, se questi uomini fossero stati eletti sulla base
di qualche idea (almeno dei loro partiti,
visto che sono i partiti a scegliere i propri
candidati), sarebbe interessante chiedersi
che fine fanno queste idee nel passaggio
da un gruppo all’altro, da una posizione
all’altra nell’emiciclo: le portano con sé o
le lasciano dove le hanno trovate? Sarebbe
interessante, anche opportuno, capire in
quale misura i posizionamenti mutevoli di
un numero non irrilevante di deputati e
senatori incidono sulla produzione legislativa, sulla intensità e la qualità del lavoro
svolto nelle aule parlamentari.
Anche nel contesto regionale si annoverano casi di salto plurimo da un partito
e gruppo consiliare all’altro, con passaggi
acrobatici da centrodestra a centrosinistra e viceversa, e persino con sorprendenti ritorni al punto di partenza. Alcuni
saltatori - quasi degli artisti, nel loro genere - riescono a posizionarsi sempre nella maggioranza ad ogni legislatura, nonostante l’alternanza del centrodestra e del
centrosinistra al governo della Regione.
Quasi sempre i transumanti non cambiano le loro idee, la transumanza non si accompagna a una seria evoluzione del pensiero: le idee non sono mai nette e chiare,
restano le stesse quando stanno a destra
e quando stanno a sinistra, anche perché
i partiti – si sa – sono interessati ai portatori di voti e li accolgono senza riserve,
non stanno a sottilizzare sulle loro idee
e a fare le pulci al loro pedigree politico.
I voti sono come il denaro, non hanno
odore, le idee sono come le piume, non
hanno peso.
Il senso della riflessione di Ainis è molto
serio: è vero che l’art. 67 della Costituzione protegge la libertà dei parlamentari
26
marzo 2014
(che rappresentano la Nazione ed esercitano le loro funzioni senza vincolo di
mandato), ma anche le scelte degli elettori
meriterebbero un po’ di rispetto. Come si
può pensare che il fregolismo (dal nome di
Leopoldo Fregoli, il più famoso trasformista e illusionista) non danneggi l’opinione e l’atteggiamento dei cittadini nei
confronti della politica? Lo si dice troppo
poco, e nulla - veramente nulla - è stato
fatto per richiamare la politica al rispetto
degli elettori, nelle diverse forme in cui
il rispetto delle scelte espresse con il voto
dovrebbe essere esercitato.
A ogni tornata elettorale, per esempio, assistiamo a una gara ad abbandonare ruoli
istituzionali di vario livello, occupati da
poco tempo (negli enti locali e perfino in
Parlamento), per avere un posto tra i candidati al Consiglio regionale o un incarico
nella nuova Giunta, interrompendo per
ambizione personale il mandato ricevuto
dagli elettori, dopo averlo chiesto e sollecitato in campagna elettorale. Si potrebbe
suggerire che i candidati dichiarino in anticipo per quanto tempo sono disponibili
a portare avanti il proprio mandato in caso
di elezione; così, giusto per informare chi
intende votarli che potrebbero stancarsi
presto della responsabilità politica che si
stanno assumendo nei loro confronti. Altrimenti, a distanza di poco tempo, le parole spese e gli impegni assunti appaiono
miseramente per ciò che sono: inaffidabili, inconsistenti.
Veniamo da un periodo che forse non
ha precedenti in termini di tradimento
sistematico delle scelte degli elettori, da
qualsiasi prospettiva democratica si voglia
osservare; non c’è quindi da stupirsi se l’astensionismo è diventato una gigantesca e
terribile rinuncia all’esercizio del diritto
di voto, un rifiuto collettivo della rappresentanza politica. Tale rifiuto è legittimo
e purtroppo del tutto comprensibile; verosimilmente aumenterà, in assenza di
comportamenti differenti, di gesti diversi
da parte della classe politica. Non bastano
le parole, servono comportamenti esemplari. Non si può continuare a evocare
un generico cambiamento, c’è bisogno di
una rottura netta, di un distacco brusco
ed esplicito dalle consuete pratiche politiche, dalle logiche spartitorie che sempre
prescindono dall’interesse pubblico, dalla
bulimia di potere, dall’opportunismo e
dall’arroganza, che accorciano la vista e
allungano le mani.
Mentre a troppe persone manca un reddito sufficiente, un lavoro dignitoso e
l’istruzione necessaria, si è formata una
categoria di ingordi che cumula incarichi
e retribuzioni smisurate rispetto alle capacità, ha sempre il piede in qualche staffa (spesso più di una) e gode di favori e
rendite, accaparra e consuma risorse e opportunità che spetterebbero a molti e non
a pochi. I nomi sono sempre gli stessi, e
quando sembrano diversi sono comunque
legati ai soliti truffatori di bell’aspetto, che
la politica coltiva. Tutto questo è ormai
evidente, si vede e si conosce, ma soprattutto si capisce che nulla cambia: è chiarissimo che non esiste la minima volontà
di cambiare le cose. Nel frattempo, però,
si è accresciuto il divario spaventoso tra
chi dispone del necessario e del superfluo
e chi è ormai alla deriva.
Mai come in quest’ultima campagna elettorale, in Sardegna, la cosiddetta società
civile, impoverita e scoraggiata, è rimasta
attonita davanti allo spettacolo della classe
politica occupata nelle sue guerre e a fare i
conti con la giustizia. Abbiamo visto cose
che non avremmo mai immaginato, e che
i futuri trasformismi e le prossime transumanze della classe politica non dovrebbero farci dimenticare.
dalla prima pagina
Tore Corveddu / La Sardegna è dei sardi non deve essere dei cardi
che ha adottato e perpetuato il Governatore Ugo Cappellacci nella gestione
delle “politiche energetiche” il quadro si
mostrava (e si mostra ancora) molto più
drammatico: totale assenza di una strategia consapevole proprio nel settore che
– per dirla come Jeremy Rifkin – potrà
rappresentare la porta di una terza rivoluzione industriale.
È evidente, quindi, che negli incontri
prima richiamati si apriva uno spazio di
riflessione al servizio della politica sarda
e, principalmente, del centrosinistra, del
sardismo e dell’indipendentismo, per tentare di cambiare una Sardegna sempre più
infeudata e negata.
Tutto quello che è successo in questi ultimi anni è solo colpa di Cappellacci, o anche della negligenza dell’intero Consiglio
regionale? Credo di si, ma non solo.
Non solo, perché l’università, giustamente e oggettivamente considerata come uno
snodo fondamentale nella progettazione
del futuro, ad esempio, si è mostrata altrettanto negligente proprio sul tema che
oggi ritorna all’attenzione dell’opinione
pubblica (quanta?) grazie alla denuncia
del direttore Anthony Muroni. Negligente quanto e più della politica, di certa
politica, perché l’interrogativo che pone la
modalità di produzione e di approvvigionamento delle specie cereali che dovrebbero alimentare una colossale centrale a
biomasse, è un interrogativo di carattere
scientifico.Se a questo si aggiunge che
con deliberazione 1/44 del 17.01.2014,
sempre la Giunta Cappellacci e in piena
campagna elettorale, ha concesso ad Eni
Power l’approvazione della Valutazione di
impatto ambientale (Via) relativa al progetto della “Centrale a biomassa di Porto
Torres”, e che nella stessa deliberazione
sono evidenti e macroscopiche le criticità
(testualmente) “riguardanti principalmente gli aspetti legati allo sviluppo della filiera
agricola. . .” per una serie di particolari e
interessanti complicanze, si capisce meglio
perché occorreva, e occorre, fare chiarezza
prima che si capisca tardivamente che è
stata imposta alla Sardegna una prospettiva che di futuro ha solo l’inganno.
È gravemente colpevole non rispondere in anticipo a questi quesiti, e non si
tratta di sola miopia. Si tratta di gravi
responsabilità sociali perché si gioca,
sempre e soltanto, sulla pelle di donne e
uomini che vengono sottoposti al ricatto del posto di lavoro, con miraggi che
non dovrebbero appartenere a questa
epoca, se è vero che non siamo più nel
tempo delle colonizzazioni.
Giusta o sbagliata che fosse, la scelta
dell’industrializzazione adottata con il
“Piano di Rinascita” aveva mobilitato intelligenza e cultura, classe politica e dirigente e popolazioni, mentre ora pare che
tutto ciò sia scomparso dall’agenda e, sia
la classe dirigente sia la politica accettano passivamente (e inconsapevolmente)
scelte che oltre a bruciare cardi bruciano
anche una prospettiva migliore.
E in tutto questo che ruolo gioca la programmazione? Quale considerazione verso il territorio (inteso in senso lato e non
come campanili) dopo la cancellazione
delle Province, o con le Comunità montane che anche se esistono nessuno se ne
accorge? La crisi delle aree industriali, il
progressivo svuotamento delle zone interne da cui i giovani si allontanano perché
si è totalmente persa la speranza di uno
sviluppo sociale ed economico, impongono ben altri atteggiamenti, troppo superficiali, rispetto a chi afferma che tanto
nella centrale a biomasse si brucerà solo
paglia. Posso capire, ma non condividere,
il sindacalista che nella disperata ricerca di
tutela dei posti di lavoro fa queste povere affermazioni, senza però avere idea di
dove e chi produrrebbe la povera paglia,
ma la responsabilità passiva della politica,
quella no, perché questa porta in sé una
scelta fallimentare per il futuro della Sardegna, e imposta senza che abbia attinenza con una visione programmatica di ciò
che vogliamo essere.
Costruire una coscienza popolare affidataria, quindi non assistenzialistica e clientelare, dovrebbe essere interesse individuale
e collettivo. Parlare di politica narrativa
significa (ri)partire dalla (ri)costruzione di
una propria storia, e nella poesia sarda –
nei secoli – il contenuto non era il “dire”
ma l’indicazione di ciò che era necessario
“fare”. Questo immaginario collettivo, da
ricostruire, deve rendere i sardi protago-
nisti di una loro “cittadinanza attiva” che
oggi è affidata alla delega e, per il 50 per
cento alla disaffezione al voto. Per tentare una nuova strada nella recente tornata
elettorale, Sardegna Possibile ha messo in
campo un metodo che, attraverso l’ascolto, il coinvolgimento, la riflessione collettiva, affida ai processi partecipativi (e responsabili) le azioni necessarie alla costruzione di una progettualità che fa perno
sulla realtà che vivono quotidianamente i
diversi portatori di interesse: che si tratti
della singola persona o dell’impresa. Non
in alternativa, ma contro una politica che,
per scelta, ha abbandonato la capacità di
ascolto e di rappresentanza degli interessi
e delle esigenze reali, praticando la strada
della politica affaristica e degli affari attraverso la politica.
Nel frattempo che tutti i livelli istituzionali hanno lasciato fare all’Eni le scelte
delle chiusure e delle presunte reindustrializzazioni, solo a titolo informativo in
Italia e in Europa succede quanto segue:
la produzione della sola chimica in Italia
(esclusa la farmaceutica) si attesta su circa
53 miliardi, mentre la domanda intera supera i 63 mld, con un deficit sulla bilancia commerciale di oltre 10 mld, dato che
si conferma oramai da oltre 10 anni con
piccole oscillazioni. Nello stesso periodo
di tempo l’Ue registra un fatturato di 558
mld con un surplus a favore della bilancia
commerciale di 50 mld e, per fare un confronto, la Germania è il primo produttore
con 162 mld di fatturato, e il più importante fornitore di chimica secondaria e
specialistica per il nostro Paese. E le campagne tedesche non sono invase di cardi.
No. Sono circondate da competenze. I tedeschi sanno che cos’è la chimica fine, la
farmaceutica, eccetera. Sanno che cosa è la
politica industriale. Innovazione compresa. Merce rara in Italia (Isole comprese).
marzo 2014
27
Teatro
Spettacolo di successo al Civico di Sinnai con la compagnia “ParoleRivelate” di Carla Calò
Metti il tradimento sul palcoscenico
rileggendo Cechov Molnàr e Buzzati
Francesca Lai
M
etti sul palcoscenico tre eccellenze
del teatro, trova un tema intrigante (quello del tradimento di coppia), aggiungici un cast motivato e decisamente
professionale. E Lo spettacolo è garantito.
Proprio come è successo lo scorso sabato 15 febbraio al Teatro Civico di Sinnai
dove è stato rappresentato l’atto unico
“Tra dire e non dire… meglio tradire”, per
la regia di Marco Nateri, che ha curato
anche i costumi e la scenografia della rappresentazione e con musiche originali di
Gianni Piludu. Nella locandina si legge:
“Tradiscono più gli uomini o le donne?
Ed è più grave il tradimento mentale o il
tradimento fisico? Da sempre queste domande affollano conversazioni, programmi televisivi, film perché il tradimento è
parte integrante della vita”.
Davanti a un pubblico attento e divertito la compagnia “ParoleRivelate Teatro”
ha così proposto uno spettacolo molto
originale, che affronta il tema del tradimento - non come una fiction televisiva
da bolso programma post-prandium –
ma attraverso la rilettura, la radiografia
dell’animo umano con alcuni atti unici
di grandi autori: “La Corista” di Anton Čechov, “L’Imperdonabile peccato”
di Ferenc Molnár e “I Suggeritori” di
Dino Buzzati.
Il tema del tradimento di coppia è esplorato attraverso le differenze culturali,
sociali e di pensiero che hanno caratterizzato quasi un secolo di storia paneuropea con i lavori di uno scrittore russo,
un ungherese e un italiano di Belluno.
Nateri unisce, senza sforzo apparente,
queste tre diverse scuole di teatro in un
atto unico che ammalia e stupisce lo
spettatore. Il passaggio dal dramma alla
commedia brillante è, insieme, indolore
e piacevole grazie al contributo di attori
che possiedono un’ideale flessibilità per
interpretare ruoli così distanti tra loro.
Interessante, non da meno, la scenografia minimalista, generata con sedie di
ogni foggia: diventa essa stessa protagonista dello spettacolo, con il contributo
degli attori, che la costruiscono, tra una
storia e l’altra, in sincrono con le musiche. Nateri arreda il palcoscenico ora
con sedie vestite a lutto, per Čechov, ora
con sedie impilate che simboleggiano al28
marzo 2014
beri, per Molnár, ora con sedie bianche
e diversamente allineate, per descrivere
ambienti diversi di una garçonnière anni
sessanta, nel “I Suggeritori” di Buzzati.
Gli attori in scena (Rebecca Anichini,
Maurizio Da Comeana, Luigi Ibba,
Nino Mameli, Gianni Piludu, Manuela Pini, Elisa Zedda e Corinne Vigo)
salutano, infine, il pubblico cantando
e danzando sulle note di una canzone,
anch’essa con musica e testo originale,
che intende ricordarci quanto il tradimento sia parte integrante della vita e
per questo motivo ci invita a “lasciarci
andare”: perché “il tradimento non è
volgare!”.
Ma come è nata l’idea di questa produzione? Nateri risponde: “Sono state fondamentali mie collaborazioni passate con
la compagnia, in veste di costumista.
Quando Carla Calò, la presidente di ParoleRivelate, mi ha proposto questa sinergia ho risposto subito con entusiasmo. Ho
impiegato alcune settimane a scegliere con
attenzione i testi da impiegare e per un’attenta selezione degli attori e delle musiche
di Gianni. Mi sono divertito, infine, a disegnare i costumi, in particolare quelli per
“La Corista” di Anton Čechov, e a inventarmi queste scenografie molto particolari
realizzate interamente con le sedie”.
Quando avete debuttato?
“La nuova produzione di “ParoleRivela-
te Teatro” aveva debuttato lo scorso 14
maggio al MiniMax, il Ridotto del Teatro Massimo di Cagliari, ottenendo un
tutto esaurito anche nella serata di replica. Poi alcune belle esperienze in provincia e nelle scuole”.
Progetti futuri?
“Più di uno. Alcuni molto interessanti,
ma preferisco non parlarne, lasciamo che
sia una sorpresa. Per ora godiamoci “Tra
dire e non dire… meglio tradire”, insieme ai nostri scatenati attori che cantano
e danzano divertendosi allegramente.
Questo è il gioco del teatro che raccontiamo. Divertitevi e mi raccomando tradite per amore!”.
Il pubblico ha apprezzato. E si è convinto che Nateri convince con la sua lettura
psicologica nel rapporto di coppia e che,
alla fine, vince una scommessa molto
difficile ricordandoci, una volta di più,
che il teatro è vivo e ha tanto da raccontarci ancora.
Per gli appassionati di teatro – sempre
a Sinnai – segnaliamo che sabato 22
marzo alle 21 dalla compagnia B Viamentano Teatro verrà proposto “Lunga
è la notte-Peppino Impastato” con Giuliano Pornasio, Davide Sanna, Enrico Incani, Marcello Armellino per la
regia di Giuliano Pornasio. (Peppino
Impastato fu ucciso dalla mafia il 9
maggio del 1978).
Teatro
Un grande che la Sardegna e il suo capoluogo non hanno saputo capire e apprezzare
Pierzappa, genio irregolare della bellezza
Portò a Cagliari Artaud Osborne e Kantor
Giorgio Pisano
A
vesse fatto il contabile, magari dietro
uno sportello e in mezzemaniche scure, lo avrebbero licenziato per incolpevole e
manifesta incapacità a far quadrare i conti
(manco quelli della sua vita riusciva a far
quadrare). Fosse stato architetto, si sarebbe
certamente ispirato a Dalì e ai suoi orologi
in decomposizione, cadaveri dimenticati.
Pierfranco Zappareddu sapeva molto
bene che il tempo non è uguale per tutti.
“Se dovessi costruire un progetto di vita scriveva a un amico - sceglierei il comandamento “Non ammazzare” a suo fondamento. Non ammazzare. Altrimenti sarebbe la
negazione assoluta di quel breve frammento di tempo che è stato concesso all’uomo e
che l’uomo chiama vita”.
Cagliari (la Sardegna, anzi) deve a Pierfranco Zappareddu un momento magico della
sua asfittica attività culturale, un momento
affollato da giganti planetari. Trasformare
quest’isola, periferia dell’impero e angolo
morto d’Europa, in un centro di richiamo
internazionale era un sogno impossibile. E
manco quello, visto che nessuno aveva mai
provato neppure a sognarlo.
Pierzappa, come lo chiamavano gli amici, è
sempre stato un irregolare. Viveva con tre
donne (mamma, zia e nonna) che l’hanno
fatto crescere libero, a briglia sciolta fin da
piccolo. Al liceo classico Dettori, mescolato ai figli della buona borghesia cagliaritana, ha dato subito segni d’allergia. Era
la fine degli anni sessanta e in giro tirava
un’arietta di rivolta che sarebbe inevitabilmente passata anche attraverso il portone
dell’austero ginnasio dove, a suo tempo,
studiò Antonio Gramsci. Il preside d’allora, quel professor Rachel che gli studenti
chiamavano Pampurio, lo cacciò perché
aveva allestito in aula magna un singolare
spettacolo teatrale che faceva a fette l’America di Lyndon Johnson, quella dell’invasione in Vietnam. In più c’erano molte
aggravanti: portava i capelli lunghi e non
era sufficientemente ossequioso coi prof.
Eppure proprio quei prof gli facevano fare
tournée fra le classi dell’istituto per ascoltarlo declamare Dante. Voce profonda,
mai trombonesca, mai impostata.
È stato unico, indimenticabile: tanti che
oggi hanno i capelli bianchi ricordano
quelle performance non previste dal rigido protocollo del ministero della pubblica
Pierfranco Zappareddu
istruzione. In pieno Sessantotto, facoltà
occupate cortei botte arresti, Pierzappa ha
svelato l’anima più intima: non era affatto
comunista, come qualcuno aveva creduto. Andava oltre. Sognava l’armonia più
che la perfezione o una repubblica felice.
Considerava l’ideologia un optional non
richiesto e, tutto sommato, inutile. Meglio, come faceva lui, avere occhi visionari,
sognare una città un’isola un mondo abbagliati dall’incanto della bellezza. Già,
ma cos’era la bellezza? Era, per esempio,
il teatro di Artaud e quello del Living, gli
“arrabbiati” inglesi (Osborne) e i pifferai
polacchi (Kantor).
Regista di spessore, respiro corto e delirante in allestimenti diventati memorabili, ha
portato in scena piéces che erano mezzo
secolo più avanti della cultura stretta e provinciale d’una città come Cagliari. Pierzappa, insomma, ci ha provato e riprovato fino
a quando si è reso conto di essere clamorosamente fuori gioco. Allora è partito con
lo spirito del crociato: prima in Danimarca
(per incontrare e conoscere Eugenio Barba, regista-guru dell’Odin), poi in Spagna
(per contattare gli Els Comediants).
Il suo, direbbero adesso i sacerdoti del nuovo linguaggio, è stato un master & back in
piena regola. Rientrato a Cagliari, ha deciso
che c’era bisogno d’un elettroshock. Così, a
cominciare dal 1981, ha varato una rassegna con un cartellone siderale: il pubblico
di quella ultra-periferia d’Europa, ha potuto
vedere La classe morta (uno dei capolavori assoluti della drammaturgia universale),
Lindsay Kemp in Sogno di una notte di mezza estate, la Carmen diretta da Peter Brook,
il tango celestiale di Antonio Gades.
Pierzappa non era affatto un organizzatore
teatrale ma la cosa non l’ha affatto intimidito. La mancanza di finanziamenti, ancora meno. Alle perdite di tempo nelle anticamere di assessori a cui quei nomi si sarebbero potuti snocciolare come una squadra
di calcio (tanto non cambiava niente), era
abituato. Abituato a vedere sguardi sorpresi e analfabeti, di sola andata e di ritorno.
Tutto questo però non l’ha fermato. I legami stabiliti durante la permanenza all’estero hanno convinto l’aristocrazia teatrale
europea ad accettare l’invito in una città
minuscola e sconosciuta come Cagliari.
Nessun problema per i cachet, tanto Pierzappa non possedeva che se stesso e dunque non si spaventava di fronte a richieste
alte, altissime, vertiginose.
Molti di quei conti sono rimasti in sospeso
e poi dimenticati: impossibile litigare con
un innocente incapace di mettersi una lira
in tasca, un uomo che viveva (da francescano) per la cultura e solo per la cultura.
L’importante era non tradire quel principio
(non ammazzare) e cercare fino all’ultimo
respiro un’idea di armonia, un’immagine di
bellezza che ogni giorno ci aiutasse a vivere.
Cammino accidentato da sogni infranti, il
suo. Ma questo non lo ha mai scoraggiato.
Era abituato a confrontarsi con la miseria
culturale, con l’indifferenza, col disinteresse. A metterlo al tappeto - nel silenzio generale d’una città narcotizzata - è stata una
leucemia che l’ha ucciso ai primi dell’anno.
A noi, che abbiamo avuto il privilegio di
conoscerlo, lasciatecelo piangere. Cagliari
continui pure a dormire.
marzo 2014
29
Economisti a cura di Pietro Maurandi
Pierre Joseph Proudhon (1809-1865):
la passione senza l’analisi
L
e varie correnti dei socialisti utopisti, che si diffusero in Europa
nella seconda metà dell’Ottocento, comprendono pensatori di
diversa estrazione, che hanno sollevato il problema del rapporto
fra libertà individuale e giustizia sociale ma non sono mai riusciti
a risolverlo in modo soddisfacente. Comprendono anche scrittori
che, pur essendo vicini ai problemi e agli interessi del proletariato,
con qualche difficoltà si possono collocare fra i pensatori socialisti,
presentando proprie originalità e anomalie. L’anomalia di Pierre
Joseph Proudhon sta nel fatto che le soluzioni da lui offerte per
il dilemma libertà individuale/giustizia sociale non si propongono
affatto di risolverlo. La società futura da lui disegnata non sistema
una volta per tutte i due aspetti ma si dà strumenti per affrontarli
continuamente e permanentemente, in quanto essi rientrano nella
natura contraddittoria di ogni società.
Proudhon era nato a Besançon in una famiglia povera di artigiani.
Si era formato inizialmente da autodidatta. A ventinove anni aveva
ottenuto una borsa di studio per il collegio reale di Besançon, dove
aveva completato gli studi. Aveva studiato l’ebraico e la Bibbia per
essere in grado di attaccare meglio la religione. Un’altra borsa di
studio gli aveva permesso di vivere e di aiutare la sua famiglia. Si
stabilì poi a Parigi dove collaborò con diversi giornali. Nel 1840
pubblicò la sua opera più nota Che cos’è la proprietà? che contiene
la celebre affermazione “la proprietà è un furto”. Nel 1843 pubblicò
Sulla creazione dell’ordine nell’umanità, dove espone le proprie concezioni filosofiche. Nel 1846 pubblicò la sua opera più importante,
Il sistema delle contraddizioni economiche o La filosofia della miseria.
Durante la rivoluzione del 1848 fu eletto deputato e i suoi interventi in assemblea fecero scandalo. Nel 1849 venne condannato a
tre anni di carcere per aver scritto articoli contro Luigi Napoleone.
In carcere pubblicò Confessioni di un rivoluzionario e L’idea generale
della rivoluzione nel XIX secolo.
Liberato nel 1852, aderì sostanzialmente al nuovo regime bonapartista pubblicando L’idea generale della rivoluzione dimostrata attraverso il colpo di Stato. Ma alla pubblicazione dell’opera Sulla giustizia sociale nella rivoluzione e nella chiesa, nel 1858, fu perseguito
per oltraggio alla morale e alla religione e fu costretto a rifugiarsi
a Bruxelles, dove pubblicò La guerra e la pace nel 1861. Nel 1862
riuscì a tornare a Parigi dove morì povero tre anni dopo.
Polemista instancabile, Proudhon ebbe grande notorietà, non tanto per le sue idee quanto per lo stile duro e caustico. I suoi scritti
suscitarono interesse, discussioni e polemiche. Per questo Marx ne
fece oggetto delle sue critiche nei confronti della filosofia idealistica. La libertà e l’uguaglianza sono per Proudhon diritti assoluti e
sacri. In particolare sull’uguaglianza afferma che tutte le funzioni
sociali sono interdipendenti e quindi è impossibile mantenere una
superiorità dell’una sull’altra.
L’antinomia è la categoria che viene da lui utilizzata per definire
le contraddizioni che caratterizzano la società. Le realtà antinomiche sono situazioni che continuamente sono fonti sia di libertà che
di dispotismo: così è per la proprietà, lo scambio, le macchine, il
mercato. Si tratta tuttavia di condizioni naturali e ineliminabili, e
quando si cerca di eliminarle si finisce per sopprimere la libertà.
Così le macchine, sono fonte di libertà perché riducono la fatica dei
lavoratori e sono fonte di dispotismo perché assoggettano l’operaio
al lavoro salariato. Così lo scambio è fonte di libertà perché ogni
soggetto può contrattare secondo le sue convenienze ma è anche un
sistema che sottopone i più deboli al potere dei più forti. Anche la
proprietà è una realtà antinomica, in quanto garantisce all’indivi30
marzo 2014
duo la libertà da ogni coazione da parte della società, ma consente
anche ad alcuni individui di impadronirsi di gran parte delle ricchezze della società. Dunque “la proprietà è un furto” nel senso che
non si fonda sulle condizioni naturali dell’uomo, non si tratta di un
diritto naturale; ma non va soppressa perché, come tutte le realtà
antinomiche, è anche fonte di libertà.
Per queste ragioni Proudhon è contrario a molte idee delle correnti
socialiste, si tratta secondo lui di proposte che provocano autoritarismo nell’economia. Si oppone non solo ai progetti di città futura
avanzati da scrittori socialisti, che comportano la comunità dei beni
e una forte preminenza della collettività sull’individuo. Si oppone
anche a numerose proposte del movimento socialista, come il diritto di sciopero, il diritto di associazione fra gli operai, il suffragio
universale; perché ritiene che la libera concorrenza sia la migliore
garanzia per un equo salario. Posizioni che lo portano a scontrarsi
con il movimento e i pensatori socialisti e a trovare maggiore accordo con i liberali. Ma si allontana anche da essi allorché sostiene che
lo Stato è destinato a estinguersi in ragione della sua inutilità, per
essere sostituito da un sistema di rapporti contrattuali fra uomini
eguali. Per questa ragione egli si considera una anarchico.
La soluzione che avanza è di sottoporre i rapporti sociali ad un
“principio etico”, che rispetti integralmente l’autonomia dell’individuo, attraverso forme contrattuali, di mutualità e di libera associazione fra i lavoratori, quella che Proudhon chiama la “democrazia
economica”. Sostiene l’eliminazione dei redditi non da lavoro, come
le rendite e i profitti, assicurando ai capitalisti una remunerazione
per il lavoro di organizzazione della produzione. In quest’ambito
rientra la sua proposta della banca senza interessi, che effettivamente fondò nel 1849, la banque du peuple, e che fallì rapidamente.
Proudhon si considera erede delle idee della rivoluzione dell’89,
di cui respinge gli aspetti degenerati e violenti. Nonostante la sua
avversione per le lotte del movimento socialista, Proudhon fu indubbiamente vicino ai problemi del proletariato e li interpretò alla
luce della sua idea di mantenere in equilibrio libertà individuale
e giustizia sociale.
Nonostante l’assenza di categorie analitiche
sull’economia capitalistica, Proudhon ne mette in discussione alcuni caratteri fondamentali. Una passione senza analisi, da cui derivano proposte e atteggiamenti contraddittori, che tuttavia rendono
conto delle difficoltà di misurarsi, senza l’elaborazione di adeguati
strumenti analitici, con un sistema capitalistico in forte crescita e
in rapida diffusione.
Episodi a cura di Pierluigi Cocco
Morte apparente a Maimagattas
L
’ingresso di J.J. negli uffici di Stato Civile era spesso accompagnato da movimenti strani, appena percepibili, degli impiegati.
La mani sparivano dai tavoli di lavoro, le attività di scrittura, digitazione o ricerca manuale si interrompevano: ormai era risaputo che il
suo arrivo era motivato dalla ricerca di certificati di morte avvenuti
decenni prima, sepolti in archivi polverosi, che gli stessi impiegati
comunali non frequentavano più da decenni o di cui i più giovani
non avevano mai varcato la soglia. Che quella cartaccia semi-divorata
dai topi potesse interessare qualcuno era per loro motivo di grande
meraviglia e di conferma della stranezza dei ricercatori.
Gli studi di mortalità sono la base della ricerca epidemiologica soprattutto in ambito lavorativo: in primo luogo si raccoglie la coorte
(sì, certo, proprio il termine utilizzato da Giulio Cesare nel De Bello
Gallico), ossia l’elenco completo dei dipendenti di una fabbrica o di
una azienda, esposti ad uno o più agenti potenzialmente in grado di
provocare conseguenze a lungo termine sulla loro salute. Si ricerca
quindi l’esistenza in vita di ciascun membro della coorte negli uffici
d’anagrafe dell’ultimo comune di residenza e, per i deceduti, si cercano le cause del decesso riportate nei certificati di morte Istat o nei
certificati necroscopici, conservati presso gli uffici di Igiene Pubblica della Asl, o nei cartellini dell’eliminazione anagrafica, conservati
negli uffici di Stato Civile dei comuni, nei quali avvenne il decesso,
se questo dovesse risalire ad epoca pre riforma sanitaria del 1978.
Esistono molti problemi nella definizione delle cause di morte riportate nella scheda Istat, ma, al tempo stesso, esiste la possibilità
di confronto con i dati statistici della mortalità per cause in ambito
nazionale, che sugli stessi certificati Istat sono costruiti. Questi dati
statistici permettono di calcolare quanti decessi sarebbero attesi nella
coorte oggetto dello studio, se la mortalità dei lavoratori che la compongono fosse analoga a quella della popolazione generale, ossia se le
esposizioni lavorative non avessero dato luogo ad alcuna conseguenza sulla loro salute. Il rapporto tra decessi osservati e decessi attesi
rivela, quindi, se la mortalità dei membri della coorte è aumentata,
invariata o diminuita rispetto a quella della popolazione generale.
Nel caso che si osservi un aumento non spiegabile quale effetto del
caso, è ipotizzabile che le esposizioni subite nel luogo di lavoro abbiano determinato o comunque contribuito ad una o più cause di
morte. Il tutto si basa chiaramente sulla coscienza che la morte è un
evento che naturalmente si verifica nella popolazione.
Alcuni episodi suggeriscono tuttavia che l’allungamento delle aspettative di vita, verificatosi dagli anni 50 in poi, abbia mutato il concetto della morte come evento ineludibile della vita, anzi come suo
presupposto. Se fosse possibile estendere la vita in maniera indefinita
l’unica soluzione sarebbe quella di bloccare le nuove nascite, altrimenti il nostro stesso pianeta non potrebbe più contenere la popolazione umana: l’umanità invecchierebbe ed andrebbe incontro ad una
rapidissima decadenza, non solo fisica, ma anche intellettuale. E’
una legge biologica, come quella che determina la morte dei muggini
nello stagno di Marceddì: troppi individui, poco ossigeno a disposizione di ciascuno, morte collettiva. Tuttavia, se fosse possibile generalizzare a partire da singoli eventi, sembrerebbe che il decadimento
intellettuale dell’umanità si stia verificando più velocemente rispetto
all’avanzamento dell’età media.
Nonostante il funerale della loro madre fosse già stato celebrato da
oltre un mese, i figli di una donna di 68 anni, malata terminale di
carcinoma del pancreas, hanno presentato formale denuncia per riaprire la bara della donna perché potrebbe essere viva ed essersi risvegliata. I figli avevano rifiutato l’autorizzazione al seppellimento,
perché, secondo loro, si trattava di “morte apparente”, non avendo
notato segni di decomposizione, né di abbassamento della tempera-
tura o di irrigidimento del cadavere. Nonostante queste prove, diversi medici ne avevano dichiarato il decesso, e pertanto il sindaco
ordinò il seppellimento. I quattro figli pare che abbiano ottenuto
dal procuratore competente la riapertura della bara. La Procura ha
aperto un fascicolo a carico di ignoti (quasi certamente i medici necroscopi) e ha sequestrato le cartelle cliniche della donna.
Quasi negli stessi giorni, i seguaci del guru indiano Ashutosh Maharaj, morto a 70 anni in una cittadina del Punjab, hanno conservato il
suo corpo in un congelatore per “favorire la sua meditazione”, sostenendo che il loro maestro in realtà non fosse morto, ma in uno stato
di “samadhi”, il livello più alto di meditazione, pronto a risvegliarsi
per portare tutti i suoi seguaci in un luogo bellissimo. Pare che il
guru fosse la guida spirituale della Divya Jyoti Jagrati Sansthan (Missione per il risveglio della luce divina), che avrebbe seguaci in tutto il
mondo. Tuttavia, le persone convinte che il suo stato di morte fosse
solo apparente, sarebbero quelle che gli stavano più vicine. Il suo
ex autista, ritenendo che i seguaci si opponessero al seppellimento
per non perdere la disponibilità dei suoi beni immobili, ha chiesto
l’intervento del tribunale: i periti hanno accertato che il guru era effettivamente deceduto, pare a seguito di un infarto, ma che spettava
ai suoi seguaci decidere cosa fare del corpo. Pertanto, il cadavere di
Ashutosh Maharaj rimane nel freezer ed i suoi adepti aspettano che si
risvegli nella sua abitazione. Non è dato sapere se i quattro figli della
signora Italiana o i seguaci del guru del Punjab continuino anche a
riscuotere la pensione in vece dei loro rispettivi cari, momentaneamente impossibilitati.
Durante la presentazione pubblica di un progetto di ricerca sulla
mortalità dei dipendenti militari e civili della base militare di Maimagattas, MAG, una modenese laureata in Ingegneria dei materiali,
capace in trovare nanoparticelle ovunque ed osannata per questo dai
quotidiani e dai politicanti locali, notando in una diapositiva il calcolo dei decessi attesi nella coorte, si scandalizzò e sibilò inviperita
che nessun decesso si sarebbe dovuto verificare e tutti quelli osservati sarebbero stati da attribuirsi alle esposizioni lavorative, anche se
queste fossero tutte da dimostrarsi. Un tempo J.J., da ambientalista convinto, riteneva che l’uso del piombo come antidetonante dei
carburanti delle automobili e la sua conseguente diffusione nell’ambiente potesse essere responsabile del decadimento intellettuale degli
Italiani, data la sua azione di rallentamento dei processi cognitivi e le
conseguenti alterazioni comportamentali, anche a basse concentrazioni nel sangue. Come alcuni storici avevano attribuito all’uso del
piombo nelle intercapedini delle botti del vino la caduta dell’Impero
Romano, così J.J. ipotizzava che il comportamento elettorale degli
Italiani potesse essere spiegato dal loro ritardo nell’abolire la benzina
additivata con il piombo. Sono passati molti anni dall’uso della benzina senza piombo; il piombo nel sangue della popolazione generale
si è ovunque ridotto a livelli estremamente bassi, se paragonati agli
anni 80 e 90, eppure i comportamenti sono rimasti invariati. Avevi
torto J.J., torto marcio.
marzo 2014
31
Libri
Il volume miscellaneo della germanista Lia Secci presentato alla libreria delle donne di Cagliari
Il mondo “nepotistico” dell’editoria
e l’opera della Nobel Elfriede Jelinek
Valentina Serra
G
iovedì 6 marzo il Centro di documentazione e studi delle donne di
Cagliari ha ospitato la presentazione del
volume miscellaneo curato dalla germanista Lia Secci, Il teatro di Elfriede Jelinek in
Italia che ha sollecitato diverse riflessioni
sulla figura della scrittrice austriaca, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 2004. L’evento, organizzato con il
patrocinio del Dipartimento di Filologia,
Letteratura e Linguistica dell’università di
Cagliari, dell’Associazione culturale italotedesca (Acit-Cagliari), del Circolo nel Cinema Alice Guy e del Comune di Cagliari,
si è concluso con la proiezione del film La
pianista (regia di Michael Haneke, 2001,
Grand Prix Speciale della Giuria al 54° Festival del Cinema di Cannes) e ha visto la
partecipazione di un vivace pubblico incuriosito dall’opera di questa autrice purtroppo ancora poco conosciuta in Italia.
Elfriede Jelinek è scrittrice complessa e
controversa che si oppone alle strategie
commerciali dell’editoria di lingua tedesca
e ormai da anni pubblica gratuitamente
le sue opere in rete (www.elfriedejelinek.
com). La coraggiosa scelta è tuttavia non
solo il frutto di un’accesa polemica con
mondo dell’editoria e della distribuzione
libraria, che l’autrice non esita a definire
«nepotistico» ed «estremamente corrotto»
(«nepotisch», «extrem korrupt», intervista
rilasciata a «Der Spiegel», 27.02.2014),
ma anche un preciso modo di comunicare
direttamente con il pubblico interessato
alla sua opera. È soprattutto l’espressione
di un forte attaccamento ai testi, espresso metaforicamente con l’opportunità di
«mangiare la torta serbandola allo stesso
tempo» («ich kann den Kuchen essen und
ihm gleichzeitig behalten», idem).
La Jelinek è autrice di opere liriche, narrative e teatrali che, non sempre tradotte
in lingua italiana, presentano complessità
sotto i diversi profili tematico e linguistico. L’autrice attua, a diversi livelli, una
critica dissacrante e demistificatoria della
sua patria, colta negli aspetti controversi del collaborazionismo con la dittatura
hitleriana e nelle intricate scelte politiche della contemporaneità. L’arte della
scrittura diviene qui forma di attenzione
a temi di responsabilità civile, morale ed
etica (Inversi, p. 74), svisceramento di
32
marzo 2014
complessi temi femminili e dialogo complicato con la tradizione in una puntuale
e ironica ricerca di riferimenti intertestuali e intermediali. La Jelinek, soprattutto, opera un lavoro minuzioso sulla
lingua che diviene materia «scolpita (...)
come altri scolpiscono la pietra» (Waas, p.
12) e che è necessario imparare a leggere
e a interpretare perché non funzionale a
qualcosa ma esistente di per sé.
Il volume presentato a Cagliari raccoglie
i contributi di registi, attori ed esperti
teatrali (Pia Janke, Werner Waas, Roberta Cortese, Maria Inversi e Federica
Santoro) che per anni si sono cimentati
nell’arduo compito di rappresentare testi che si rivelano sfide e «provocazioni
permanenti»(Janke, p. 7) e che richiedono uno sforzo ingegnosamente traduttivo
affinché una cultura possa «illuminare e
riconcepire un’altra» (Waas, p. 21).
Tradurre e rappresentare il teatro della Jelinek significa perciò scontrarsi con esso, cimentarsi in poliedriche forme di riscrittura e in continui rimandi intertestuali, sciogliere innumerevoli aspetti autoreferenziali
con l’ausilio di ingegnosi stratagemmi.
I casi descritti in quest’opera collettanea
confortano la tesi di una “rappresentabilità” delle opere della Jelinek anche a fronte
di oscurità testuali e riferimenti culturali
“altri”, laddove il/la regista diviene necessariamente co-autore o co-autrice di un teatro “aperto”, «ove ognuno può “giocare”
cosa e come vuole e fino al più alto e (...)
nobile tradimento» (Inversi, p. 66).
La riflessione conclusiva della germanista Lia Secci si fonda sulle ricerche svolte
nell’ambito di due convegni scientifici
legati all’argomento (il convegno internazionale La ricezione del teatro di lingua
tedesca in Italia, Roma, 30 marzo-1 aprile 1998 e l’incontro di studi Elfriede Jelinek in Italia, aprile 2007). Secci segnala
le innumerevoli difficoltà traduttive,
strutturali e linguistiche che scaturiscono dal tentativo di rappresentare l’opera
jelinekiana ma riconosce al contempo
il caparbio impegno di registe e registi
attivi in ambito germanofono (Werner
Waas, Roberta Cortese), di artiste impegnate in lavori sperimentali (Inversi,
Santoro, Merloni) e di giovani e volenterosi attori (Valentina Martino Ghiglia,
Barbara Mazzi, Marco Lorenzi, Maddalena Monti, Luca Di Prospero, Yuri
D’Agostino e Fabrizio Bordigon) che
hanno fatto delle messe in scena italiane un esperimento di successo. La crisi
del teatro, particolarmente virulenta nei
confronti di chi si occupa di testi lontani dalla routine del consumo, ha sfortunatamente causato la sospensione delle
fruttuose collaborazioni che hanno portato sulle scene i lavori di Elfriede Jelinek e li hanno fatti conoscere anche nel
nostro paese.
Lia Secci (a cura di), Il teatro di Elfriede
Jelinek in Italia, Aracne, 2011
Cineteca a cura di Emilio Bellu
Dodici anni schiavo
L’orrore della Storia con gli occhi di Steve Mc Queen
S
olomon Northup, a New York, era un
uomo di colore, un uomo educato, e un
uomo libero. Per quanto nel 1841 anche
le zone degli Stati Uniti dove la schiavitù
era abolita non fossero immuni dal razzismo, la sua vita procedeva bene: aveva una
moglie, due figlie, una brillante carriera
da violinista e artigiano. Dopo un concerto, due uomini lo invitarono a unirsi alla
loro compagnia circense, con la promessa
di un’ottima paga. Era una trappola: Northup, dopo essere stato drogato, si svegliò
in Luisiana, a New Orleans, insieme ad
altri afroamericani in attesa di essere venduti al migliore offerente per lavorare nelle
piantagioni di ricchi proprietari terrieri.
Incapace di contattare la sua famiglia, Solomon si rese conto che non c’era modo di
chiedere libertà senza attirare ancora più
violenza verso di lui. Anche solo rivelare di
sapere leggere e scrivere era un pericolo: i
suoi proprietari volevano una servitù docile
e facilmente manipolabile.
Il suo racconto di dodici anni di cattività,
di un’esperienza che poche persone educate
e capaci di raccontare la loro storia furono
in grado di mettere su carta, diventò nel
1853 un libro fondamentale per la lotta
contro la schiavitù negli Stati Uniti, Dodici
anni schiavo. In un periodo dove la pratica della tratta degli uomini era ancora un
elemento portante dell’economia di interi
stati, ed era ancora diffusa l’idea che le persone di colore fossero fondamentalmente
inferiori ai bianchi, il racconto di Northup
descriveva in dettaglio gli abusi dei proprietari terrieri, lo stato di degrado in cui
vivevano gli schiavi, e la mancanza di umanità di un’istituzione che per molti americani era ancora considerata fondamentale e
giusta. Dodici anni dopo la schiavitù venne abolita negli Stati Uniti, e testimonianze
come quella di Northup furono fondamentali per sensibilizzare l’opinione pubblica e
provocare un cambiamento.
L’anno scorso 12 anni schiavo è diventato
un film diretto da Steve McQueen, regista
inglese già celebrato per i suoi film Hunger
e Shame, opere intense e forti, che hanno cementato la reputazione del regista
e lanciato la carriera dell’attore Michael
Fassbender. Prodotto dalla Plan B di Brad
Pitt, che ha un piccolo ma importante ruolo nel film, e interpretato da ottimi attori
come Chiwetel Ejiofor, Benedict Cumberbach, Lupita Nyong’o, Paul Dano e
lo stesso Fassbender, la versione cinematografica di 12 anni schiavo è un tour de
force nell’odissea di Northup, raccontato
senza compromessi, mostrando tutto l’orrore della sua esperienza, la disperazione di
chi lo ha circondato, e la brutalità di un
sistema costruito sul sopruso. McQueen
ha cominciato la sua carriera come artista
visuale, prima di cominciare a dirigere cortometraggi, e l’aspetto visivo è fondamentale nel film. Lo sguardo di McQueen non
permette di ignorare l’orrore dell’esperienza di Northup, non ha paura di mostrare
sangue, ferite, lacrime e morte, e fotografa
questa violenza con grande abilità: sono
bellissime immagini orribili, un contrasto
che amplifica la violenta dissonanza tra la
gloria della natura che circonda gli schiavi
nel film e la loro condizione. 12 anni schiavo è un film pesante, difficile da guardare
dall’inizio alla fine.
Non pochi hanno criticato McQueen descrivendo la sua opera come un esercizio
nel descrivere con sadismo quasi compiaciuto una storia agghiacciante, utilizzando
definizioni come “pornografia della tortura”, solitamente riservate a film horror di
serie C. E quando la macchina da presa
si ferma su scene particolarmente violente, molto dopo che i contorni dell’orrore
sono diventati chiari, ci si può chiedere se
la scelta di costringere di guardare gli abusi
subiti dagli schiavi sia un modo per cercare di arrivare ad un’espiazione attraverso il
film, o se sia un modo per rendere giustizia
alla realtà storia raccontata da Northup: se
il disagio creato allo spettatore sia giustificato da un’idea forte, o se sia un modo pigro e manipolatore per creare un’esperienza
memorabile. Non è una domanda a cui è
facile rispondere, ma quello che è certo è
che il film è difficile da ignorare.
È interpretato da attori straordinari, realizzato con grande maestria, e racconta una
storia importante. La grande quantità di
premi vinti quest’anno, compreso l’Oscar
per il miglior film dell’anno (ma non per il
miglior regista, andato ad Alfonso Cuaròn
per Gravity), dimostrano che Hollywood
ha un debole per le storie che mischiano
forte impatto emotivo con un messaggio
socialmente impegnato. 12 anni schiavo
è un film che mette all’angolo, difficile da
criticare senza sentirsi in colpa di attaccare
una visione insindacabilmente giusta del
mondo, nonostante, con un po’ di freddezza e lucidità, si potrebbe dire che Frozen e
The Wolf of Wall Street raccontino storie
forse ancora più profonde e importanti per
il nostro quotidiano, ma senza cercare di
apparire a tutti i costi “serie” ed “importanti”, forse un segno di maggiore maturità, a
discapito delle apparenze. Ma comunque la
si possa pensare, questo è un ottimo film,
che può aiutare a ricordare l’orrore di una
pratica ancora molto diffusa, per quanto
non più comune nel mondo occidentale.
L’idea che alcuni uomini abbiano meno
valore degli altri è sempre presente, pericolosa, e pronta a catturare intere nazioni.
Ricordarsi di quanto sia agghiacciante non
è mai una cattiva cosa.
marzo 2014
33
Dalla Valle del Tirso, a cura di Anna Maria Capraro
Oristano scopre le sue vere eccellenze nel mondo
Paolo Mancosu in cattedra tra Berkeley e Mosca
Con questo articolo Anna Maria Capraro,
professoressa di Lettere nei licei e nelle scuole
superiori di Oristano, inizia la sua collaborazione con questo giornale occupandosi degli
aspetti sociali dell’Oristanese. Sardinews è
orgoglioso di annoverarla fra i collaboratori.
I
suoni della lingua sarda si incrociano
con quelli dell’inglese e del russo nella
valle del Tirso, e raccontano la possibilità
di imboccare strade che non siano unicamente quelle della deriva e del ripiegamento nei miasmi asfittici dell’inerzia. Ci
parlano di radici aeree, capaci di allargare
smisuratamente la nostra piccola isola attraverso confini intesi come soglia aperta a
culture differenti. E di sfide, rischi, sacrifici
e sogni che si realizzano altrove disegnando
i contorni di una nuova emigrazione.
Tutto questo nel riconoscimento conferito
il 28 febbraio al teatro Garau di Oristano
dal sindaco Guido Tendas al concittadino
Paolo Mancosu, professore ordinario di
filosofia presso l’università di Berkeley.
Laurea in logica matematica alla Cattolica
di Milano, dottorato di ricerca a Stanford
e un’intensa attività svolta in Accademie e
Università di tutto il mondo, Paolo Mancosu ha oggi aggiunto allo sterminato
elenco delle sue pubblicazioni scientifiche
un’interessantissima opera sulla misteriosa storia della pubblicazione de Il dottor
Zivago di Boris Pasternak mettendo in
luce, attraverso il rapporto e il carteggio di
quest’ultimo con Giangiacomo Feltrinelli, il caso politico-letterario più importante
del ventesimo secolo.
E così, dopo l’attribuzione, nel 2009, della prestigiosa “Navicella d’argento”, riceve
dalle mani del sindaco Tendas una Stella
d’argento, simbolo del legame con una città della quale continua a sentirsi figlio.
La serata vuole essere, secondo le affermazioni dello stesso Tendas, una sorta di
edizione zero, di prova battesimo di una
manifestazione,“Oristanesi nel mondo”, “…
con cui dall’anno prossimo il Comune di Oristano premierà chi si è distinto - per capacità,
qualità e impegno - nei campi dell’economia,
della politica, dello sport e del sociale, nell’ambito delle arti, della musica e della cultura, nel
settore scientifico e della ricerca, con opere di
ingegno, nei lavori manuali o intellettuali, valorizzando l’identità della nostra città.”
Una manifestazione destinata ad essere istituita formalmente nel prossimo anno in
34
marzo 2014
concomitanza con una sorta di piazza virtuale che su un sito del Comune permetterà agli oristanesi “di dentro” di incontrarsi
con quelli “di fuori”, ben 1300 secondo il
registro delle duplici iscrizioni.
Si creerà dunque uno spazio per la formazione e il confronto, lo scambio e la
capitalizzazione condivisa delle diverse
esperienze, mentre attraverso assegnazioni
di premi, videointerviste e iniziative particolari si valorizzeranno le specifiche competenze dei nostri concittadini in una sorta
di centro di propulsione per l’innovazione
culturale. Ci ritroviamo così a riflettere su
una“distrazione storica”che ci vede riconoscere tardivamente le nostre eccellenze,
già affermate in Paesi lontani, verso i quali
sono state spinte da una terra che, come
si afferma nella prefazione all’opera Sardo
sono di Giacomo Mameli, “delle private
virtù non riesce a far sistema”. Problema
scottante in un momento in cui le attese
comuni si concentrano sulla necessità di
una rivoluzione copernicana che riporti alla necessaria centralità il ruolo della
cultura nel superamento dell’attuale crisi
economica.
Ma è proprio Paolo Mancosu che, eclettico
e versatile più di un intellettuale del Rinascimento, postura esistenziale da autentico
globetrotter, offre, nella sua condizione di
“cervello in fuga”, ottimi spunti di riflessione su una grande contraddizione da
sanare al più presto: le qualità della scuola
italiana e la sua incapacità di offrire sbocchi concreti per via di scelte politiche che
l’hanno trascinata, nelle statistiche Ocse,
agli ultimi posti per percentuale di Pil ad
essa destinata. Nel suo breve discorso di
ringraziamento, nel sottolineare le potenzialità che anche una piccola città può offrire a chi rifiuta di farsi risucchiare dalla
palude, Mancosu ricorda l’importanza della scuola. Dove anche un solo insegnante
motivato può sopperire ad oggettive deficienze strutturali, contribuire a creare un
immaginario positivo, diventare sponda di
avvio per un cammino di determinazione
capace di cercare nella propria interiorità,
quando niente è scontato, la spinta propulsiva a dare il meglio di sé. Ed è appunto da
un liceo privo di aule di fisica ma ricco di
buoni maestri che Mancosu fa derivare la
propria specificità nel campo della cultura
degli States: un approccio insieme storico
ed analitico nei confronti dei problemi tecnici e scientifici.
È il paradosso di un Paese che non riesce a
riappropriarsi di un senso da troppo tempo
perduto, quello della consapevolezza di una
straordinaria creatività negli ambiti più diversi del fare e del sapere.
Sinora gli scarsi investimenti nel campo culturale hanno riguardato soltanto le
tecnologie, e così, mentre attendiamo che
finalmente si ponga l’accento sul talento,
il merito, l’intraprendenza e il dinamismo,
l’America , scrive a caratteri cubitali il quotidiano “Repubblica”, scopre il manager italiano e su”La voce di New York” compare
un entusiastico articolo su Marco Arconte,
giovane di Cabras che, dopo aver studiato
management a Londra e in Svizzera, approda venticinquenne a New York diventando prima manager da Cipriani, ed ora,
dopo appena un anno, General Manager al
ricercatissimo Brynwood Private Golf &
Country Club della stessa città.
Con gli occhi di Micaela
Il difficile compito
di divulgare la scienza
Questa pagina da questo numero è battezzata
“Con gli occhi di Micaela”. La titolare della
rubrica non è più la giornalista Paola Pilia
ma Micaela Morelli, ordinario di Farmacologia all’università di Cagliari. Sardinews
ringrazia Paola Pilia che dal 10 febbraio ha
assunto la condirezione della trasmissione
“L’Unione in diretta” su Radiolina dove sta
dimostrando la professionalità con la quale ha
raccontato per due anni, su questo giornale,
l’universo femminile. Raccoglie il testimone
Micaela Morelli che Sardinews è felice di inserire tra i collaboratori più autorevoli.
A
ll’università di Cagliari e Sassari, così
come in altri 36 atenei italiani, il 14
marzo si è svolta la 6° edizione della manifestazione UniStem day, un affascinante
viaggio finalizzato alla divulgazione scientifica, durante il quale docenti e ricercatori hanno mostrato tutta la bellezza della
ricerca agli studenti delle scuole superiori
della Sardegna. Partendo dai temi affrontati nell’ambito degli studi sulle cellule
staminali, i ragazzi hanno scoperto durante la giornata quanto la ricerca scientifica
sia coinvolgente e favorisca relazioni personali e sociali costruite sulle prove, sul
coraggio e sull’integrità.
I numeri di questa edizione sono stati
davvero importanti: 36 atenei italiani e
9 europei tra Irlanda, Regno Unito, Spagna e Svezia, 20mila studenti di oltre 350
scuole superiori.
Sulla scia delle vicende mediatiche legate
al caso Stamina, si è discusso quest’anno a
Cagliari di come comunicare la scienza e
delle questioni etiche legate all’utilizzo delle cellule staminali.
Partendo da questa giornata che si ripete
da sei anni, vorrei condividere alcune riflessioni sulla comunicazione della scienza
e riflettere sul perché questa comunicazione sia molto carente in Italia. Un primo motivo è il poco interesse a conoscere
tutto quello che ci circonda frutto della
ricerca scientifica, dall’accensione di una
lampadina all’energia nucleare fino a
comprendere perché dormiamo o perché
proviamo piacere. Questo poco interesse
non è una tara genetica italiana, ma considerato che negli altri paesi europei le cose
stanno in maniera diversa, certamente
devono esistere motivazioni che non favoriscono la consuetudine nei confronti dei
temi della scienza nel nostro paese.
È un distacco che deriva da una educazione
disattenta verso la scienza, da una sua poco
frequente e poco corretta divulgazione
attraverso i media, da una incapacità delle istituzioni, a tutti i livelli, di governare
situazioni complesse, ed anche da una responsabilità dei ricercatori.
In questo contesto prende le mosse il metodo Stamina, che non è il primo caso,
né sarà l’ultimo, di un approccio fondato
sulla emotività e sulla manipolazione mediatica. Il dibattito scientifico sviluppatosi
intorno all’utilizzo del metodo Stamina,
per trattare patologie senza cura, si è trasformato in un caso mediatico, giuridico,
politico ed è diventato lo specchio della
società italiana contemporanea in cui è
emersa profonda sfiducia nei confronti
delle istituzioni ed una ribellione rituale
nei loro confronti. Sono nate manifestazioni di piazza per rivendicare il diritto a
essere curati gratuitamente anche in assenza di evidenze sulla attendibilità del
metodo, che additavano la medicina ufficiale come portatrice di reti di clientele
governate da aggregazioni di interessi non
legittimi. L’opinione pubblica anche senza
sostegno di elementi di prova e di controllo, si è sostituita alle autorità sociali (religiose, scientifiche, professionali) esistenti.
L’opinione pubblica creata dai media attribuisce, in generale, riconoscimenti
pubblici che vanno al di là di quelli tradizionalmente legati alle competenze scientifiche e professionali, ma che sono basati
solo sulla quantità di esposizione mediatica. Le decisioni provenienti dalle istituzioni vengono quindi passate al vaglio
di una critica pubblica incompetente che
determina le scelte di chi non è attrezzato
culturalmente. Ci si chiede come possano
i media ingaggiare una guerra aperta contro la scienza e il modo di procedere scientifico. In Italia sembra proprio si possa.
E quindi in Italia il metodo Stamina, mai
pubblicato, è stato accettato in un Ospedale di Brescia mentre sulle riviste scientifiche internazionali si scriveva che nessuno
era mai riuscito a fare sviluppare cellule
staminali nelle modalità cosi approssimativamente descritte da Vannoni il ‘padre’
di Stamina. Iniziali errori delle istituzioni
preposte al controllo ed una comunicazione distorta poi, hanno fatto si che attraverso i media, la gente abbia creduto alla trovata fulminea e al colpo di genio che avrebbe permesso di superare anni di faticose
ricerche svolte dai ricercatori riconosciuti
dalla comunità scientifica internazionale.
L’attesa dei miracoli in Italia sostituisce le
limitate capacità, e chi li promette diventa
l’eroe capace di opporsi alle istituzioni e ai
loro ‘oscuri interessi’ indicando una nuova
strada acritica e facile, attraverso la quale
la gente comune cerca risultati senza fatica.
Dobbiamo quindi perdere le speranze di
avere nel nostro paese una informazione
meno emotiva e più competente? Cosa
può fare la comunità scientifica per competere contro proposte che poco hanno
di rigore ed efficacia, ma che per la loro
semplicità riescono a toccare la sensibilità
e l’emotività dell’opinione pubblica? Alla
scienza si chiede lo sforzo creativo di saper
rappresentare i modelli sempre più complessi che va elaborando in una maniera
semplificata e accessibile, senza rinunciare
al rigore che le è proprio. Un compito difficile in cui i ricercatori devono imparare
ad essere i protagonisti. L’UniStem day
è un esempio, e guardando i ragazzi che
hanno partecipato a questa manifestazione, è sembrato che l’esigenza dei giovani
di comprendere maggiormente la scienza
e di difendersi da chi distorce la realtà e
l’informazione scientifica a scopo di lucro
o di visibilità, stia crescendo. Questa giornata di informazione è forse il caso più visibile e meglio organizzato, bisogna però
cercare di soddisfare questa esigenza.
marzo 2014
35
Amministratori e amministrati a cura di Massimo Lai
Le pari opportunità (?) donne-uomini nei parlamenti
Si sta rapidamente consolidando una
grosso Comune. Di recente, in senso diverso si è pronunciato il Tar
univoca giurisprudenza sulla legge
Lombardia nella sentenza n. 482 dello scorso 14 febbraio 2014. La
23 novembre 2012 n. 215 che detta
pronuncia si allinea con il pacifico orientamento della sicura immedisposizioni per promuovere il riequidiata applicabilità e operatività della disciplina che prevede la prelibrio delle rappresentanze di genere
senza di entrambi i generi nelle giunte. Precisa anche che l’art. 23
nei Consigli e nelle giunte degli enti
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea impone
locali e nei Consigli regionali. In pardi assicurare la parità formale tra uomini e donne in tutti i campi e
ticolare, con riferimento alla compostabilisce che il principio della parità non osta al mantenimento o
sizione delle giunte degli enti locali,
all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del
costituisce approdo unanimemente
genere sottorappresentato.
condiviso la natura cogente e non
Il Giudice lombardo chiarisce, però, che l’immediata precettività
meramente programmatica della previsione dell’art. 51 della Codella disciplina, di varia fonte, sulle pari opportunità non comporta
stituzione, cristallizzato nella versiouna riserva ai soggetti appartenenti al
ne vigente dell’art. 46 del testo unico
genere sottorappresentato del 50 per
Sardinews viene inviato per posta agli abbonati
degli enti locali, secondo il quale le
cento dei posti e nemmeno comporgiunte sono nominate nel rispetto
ta la determinazione in via astratta di
Può essere acquistato presso le librerie di Cagliari
del principio di pari opportunità tra
una soglia minima di rappresentanza
Cuec, Facoltà di Lettere, via is Mirrionis
Dettori, via Cugia 3
donne e uomini, garantendo la preal di sotto della quale il principio delle
Edicola Meloni, D. I. Via Basilicata, 69
senza di entrambi i sessi. La necessità
pari opportunità possa dirsi violato;
Edicola Piazza Yenne, lato Corso Vittorio
della presenza di entrambi i sessi non
anzi arriva ad affermare a chiare letteFahrenheit 451, Via Basilicata, 57
è più messa in dubbio. Resta salvo
re che la determinazione per via giudiMiele Amaro, via Manno 88
solo il limite della reale inesistenza
ziale di una soglia astratta sarebbe del
Murru, via San Benedetto 12/c
(verosimilmente verificabile solo in
tutto arbitraria ed esorbiterebbe dal
Tiziano, via Tiziano 15
Comuni sotto i 15.000 abitanti per
ruolo assegnato dall’ordinamento alla
Feltrinelli, via Roma 63 e Ubik, via Paoli 19
quali lo statuto preveda la nomina tra
magistratura. Per il Tar Lombardia il
a Carbonia
i soli consiglieri eletti) di soggetti idogiudizio sulla legittimità delle nomine
Libreria Lilith, Via Satta 34
Edicola Secci, piazza Italia
nei, tecnicamente o dal punto di vista
presuppone una valutazione caso per
Edicola Il libro, piazza Matteotti
della compatibilità politica, purché
caso. Le linee guida di tale valutazione
a Macomer
tale inesistenza venga correttamente
sarebbero: a) non può essere compleLibreria Emmepi, Corso Umberto 235
accertata al termine di verificabile
tamente pretermesso un genere a favoa Nuoro
istruttoria.
re di un altro; b) il rispetto del canone
Libreria Novecento, Via Manzoni 35
Una difformità di interpretazioni si
delle pari opportunità non può essere
a Oristano
profila, però, sulla misura che possa
essere solo formale essendo necessaria
Libreria Mondadori, piazza Manno
dirsi sufficiente a soddisfare la pari
anche una valutazione sulla “qualità”
a Sassari
opportunità. Il Tar Lazio, nella sendell’incarico attribuito al genere sotLibreria Koinè, via Roma 137
tenza 21 gennaio 2013, n. 633, avetorappresentato; c) occorre, altresì,
va dichiarato illegittimo il decreto di
considerare la dimensione delle realtà
nomina di una giunta comunale nella quale era prevista una sola
locali prese in considerazione. In quel caso la nomina di un solo
donna, affermando la necessità di assicurare ad entrambi i generi
assessore di sesso femminile su sei, in un piccolo paesino, non è
una rappresentanza di almeno il 40 per cento. Si trattava di un
stato ritenuto illegittima.
Il digitale per un teatro senza confini col portale di Tiscali
Tiscali e Il Teatro Stabile della Sardegna presentano “Il digitale
per un teatro senza confini”, progetto innovativo che partendo
dalla platea come luogo fisico della vision e dell’espressione del gusto del pubblico, la estende in più ambienti digital interconnessi
grazie alle piattaforme di streaming, alle community web e ai social
network, in una strategia di diffusione spazio-temporale multipla.
Forti delle rispettive competenze, Tiscali e Teatro Stabile della
Sardegna realizzano un progetto di comunicazione e di digitalizzazione dell’archivio e degli eventi basato su un sistema innovativo,
democratico ed economicamente sostenibile in cui il pubblico è al
centro della visione progettuale. Tre le sue direttrici: Comunicazione - tiscali.it: il portale di Tiscali per diffondere le informazioni
su spettacoli ed eventi, creare partecipazione attiva delle persone,
raccogliere feedback, progettare insieme nuovi format. Digitalizzazione - istella.it: il motore di ricerca del web italiano per valorizzare il patrimonio del teatro, preservarne la conservazione, agevolare la condivisione e la conoscenza. Eventi - streamago.tv: per
36
marzo 2014
diffondere eventi in digitale, allargare il bacino d’utenza, agevolare
la connessione e la cooperazione tra diverse strutture teatrali.
“Il progetto nasce dall’esigenza dello Stabile di allargare il bacino
d’utenza del pubblico teatrale andando ad abbattere i confini fisici della platea del Teatro Massimo tramite un sistema di comunicazione che crea consapevolezza, condivisione e partecipazione
nell’offerta culturale – afferma Paola Masala- responsabile Comunicazione del Teatro di Sardegna - Grazie all’incontro con Tiscali
abbiamo la consapevolezza di aver creato un esempio di buona pratica replicabile e auspicabile su tutto il territorio nazionale.”
“Si tratta di un progetto che nasce dall’ incontro di due realtà radicate nel territorio e dalla condivisione delle rispettive competenze
– afferma Marco Agosti, direttore del portale Tiscali – Un progetto che grazie a un sistema di comunicazione integrata disegna un
nuovo format di interazione con un pubblico per noi nuovo, quello teatrale, e crea consapevolezza, condivisione e partecipazione dei
giovani nell’offerta culturale.”
Aziende, carriere, persone
Carmelo Farci, Cgil, confermato segretario generale della Camera del lavoro di Cagliari
L’ottavo congresso della Camera del Lavoro di Cagliari ha confermato il segretario generale Carmelo Farci dopo due
giornate di lavori che hanno coinvolto oltre 160 delegati. Nel documento politico approvato, le linee guida che la Cgil
ha individuato come strategiche per i prossimi quattro anni: difesa e rilancio del sistema industriale, investimenti su
istruzione, ricerca e innovazione, difesa del suolo e interventi in edilizia per ristrutturare l’esistente, in particolare gli
istituti scolastici. “La Cgil di Cagliari – si legge in una nota - sostiene con forza la realizzazione dell’Area Metropolitana
e lavorerà per sollecitare le istituzioni, anche insieme a Cisl e Uil, dialogando con tutti soggetti del territorio, a realizzare un progetto di sviluppo equilibrato che valorizzi beni ambientali e culturali, le tradizioni agroalimentari e artigianali, i servizi e il commercio, con l’obiettivo di rilanciare i settori produttivi, potenziare il turismo”. La Cgil “porterà
avanti con determinazione le battaglie in difesa del lavoro stabile, contro il sommerso e la precarietà, per creare nuove occasioni di occupazione”.
Francesco Angius presidente regionale della Federnoleggio-Confesercenti
All’Exmà di Cagliari Francesco Angius, da pochi mesi presidente della delegazione provinciale di Cagliari, è stato eletto all’unanimità con voto
palese presidente regionale della Federnoleggio. Con la stessa modalità, i cinquanta delegati giunti da tutta la Sardegna hanno approvato la sua
proposta in merito ai componenti il direttivo, che figura così composto: Pietro Rossi, Siro Pibiri, Fabrizio Pruner, Marco Lecca, Giovanni
Zanda, Alberto Piludi (provincia di Cagliari); Renzo Ghia, Carlo Sardanu, Luciano Barca, Marcello Piras, Ivano Loddo (Nuoro e Ogliastra);
Massimiliano Molinu, Giampaolo Occhioni (Sassari); Rosanna Fenu, Pietro Serra (Oristano). Angius, 42enne di Soleminis, esercita la professione da 18 anni (dapprima come dipendente, ora da lavoratore autonomo). Il 20 novembre 2013 è stato eletto alla guida della Federnoleggio
di Cagliari. All’assemblea hanno presenziato anche il coordinatore nazionale della Federnoleggio, Mauro Maggi, e il presidente regionale della
Confesercenti, Marco Sulis. Ai lavori ha partecipato anche l’assessore alle Attività produttive del Comune di Cagliari, Barbara Argiolas.
Salute mentale: Gisella Trincas presidente nazionale Unasam
Gisella Trincas, presidente dell’associazione sarda per l’attuazione della riforma psichiatrica è stata eletta presidente Unasm, l’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale. L’assemblea dei soci ha eletto il nuovo consiglio direttivo confermando Antonella Barbagallo
vicepresidente e Giancarlo Castagnoli tesoriere e segretario. I componenti del nuovo consiglio direttivo nazionale sono Alessandro Sirolli,
Pasqualino Cirino, Anna Maria De Angelis, Nicola Scola, Roberto Pezzano, Valerio Canzian, Carmela Azzano e Cosimo Venerito. I presidenti onorari sono Ernesto Muggia e Girolamo Digilio. L’assemblea dell’Unasam - si legge in una nota - denuncia la costante violazione dei
diritti umani delle persone che vivono l’esperienza della sofferenza mentale e invita il mondo della politica a considerare la salute mentale come
bene primario da tutelare. Unasam sollecita il superamento degli Ospedali psichiatrici iugdiziari e di tutti i luoghi di internamento. Obbiettivo
principale dell’Unasam è il riconoscimento alle persone della propria dignità, libertà, e del diritto a guarire e vivere come tutti nella società.
La Polifonica Santa Cecilia ha una nuova presidente con Letizia Tedde
L’associazione polifonica Santa Cecilia onlus, soggetto storico del associazionismo culturale sassarese, operante sul piano nazionale e internazionale da 69 anni, ha espresso come sua nuova presidente Letizia Tedde, che si insedierà in continuità con il lavoro portato avanti dal
presidente uscente, Paolo Cabula. È da ricordare il grande impegno profuso per più di 15 anni da Cabula a servizio dell’associazione, e gli
importanti traguardi con lui raggiunti, solo per citare il 2013, la rappresentazione del Requiem di Verdi all’auditorium di Sassari, e l’importante premio del pubblico al concorso internazionale di Spittal an der Drau (Austria), dove la Polifonica si è distinta tra cori di livello mondiale.
Letizia Tedde, che si fa carico del nuovo impegno, è socia della Polifonica dal 1996, dove ha anche ricoperto il ruolo di consigliera. È inoltre
da più di venti anni attiva in diverse associazioni sassaresi, con incarichi di responsabilità.
La squadra dell’università di Sassari al 2° posto nella Competizione italiana di Mediazione
La squadra dell’università di Sassari ha conquistato il secondo posto nella Competizione italiana di Mediazione, giunta alla seconda edizione.
La gara si è svolta presso l’università statale di Milano e ha visto gli studenti impegnati in una serie di mediazioni simulate, con lo scopo di
mostrare le capacità dei partecipanti di negoziare le controversie in modo cooperativo ed efficace. La giuria ha decretato la vittoria dell’università di Trento davanti all’ateneo di Sassari e alla Statale di Milano A e B. Hanno partecipato anche Milano Bicocca, Camerino, ECampus
e Firenze. Sassari è stato rappresentato dagli studenti Lorenzo Cosseddu, Alessandro Dasara, Salvatore Mistretta e Federico Ponti, iscritti
al Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza e accompagnati dalle professoresse Maria Antonietta Foddai e Giuseppina Carboni, rispettivamente direttore e vice-direttore del Centro universitario di Mediazione. Il “coach” della squadra era l’avvocato Francesca Cuomo Ulloa.
Francesco Angius eletto presidente regionale della Federnoleggio-Confesercenti
All’Exmà di Cagliari Francesco Angius, da pochi mesi presidente della delegazione provinciale di Cagliari, è stato eletto all’unanimità presidente regionale della Federnoleggio della Confesercenti. Con la stessa modalità, i cinquanta delegati giunti da tutta la Sardegna hanno approvato la sua proposta
in merito ai componenti il direttivo, che figura così composto: Pietro Rossi, Siro Pibiri, Fabrizio Pruner, Marco Lecca, Giovanni Zanda, Alberto
Piludi (provincia di Cagliari); Renzo Ghia, Carlo Sardanu, Luciano Barca, Marcello Piras, Ivano Loddo (Nuoro e Ogliastra); Massimiliano
Molinu, Giampaolo Occhioni (Sassari); Rosanna Fenu, Pietro Serra (Oristano). Angius, 42enne di Soleminis, esercita la professione da 18 anni
(dapprima come dipendente, ora da lavoratore autonomo). Il 20 novembre 2013 è stato eletto alla guida della Federnoleggio di Cagliari. All’assemblea
hanno presenziato anche il coordinatore nazionale della Federnoleggio, Mauro Maggi, e il presidente regionale della Confesercenti, Marco Sulis.
Maria Lai, Il gioco dell’arte nella scuola, Nuoro, liceo Ciusa, mercoledì 2 aprile
“Maria Lai: Il gioco dell’arte nella scuola” è il tema di una tavola rotonda che si terrà a Nuoro, al liceo artistico Ciusa di via Costituzione 33 mercoledì 2
aprile a partire dalle 10.30. Coordina Lisetta Bidoni presidente Associazione Ibis (Identità benessere interculturalità solidarietà). Introduce: Franco Cucca
dirigente scolastico. Intervengono: studenti e docenti scuola dell’infanzia, primaria e secondaria, Ugo Collu pedagogista, Claudia Contu guida musealeFondazione “Stazione dell’arte”– Ulassai, Giacomo Mameli giornalista, Maria Sofia Pisu collaboratrice di Maria Lai. Partecipano: Gianfranca Logias assessore alla Cultura della Provincia di Nuoro, Leonardo Moro assessore alla Cultura del Comune di Nuoro. Info: [email protected], tel. 3400697710.
marzo 2014
37
Civiltà mediterranea
Il libro della ricercatrice Marisa Fois su un popolo nomade noto per l’artigianato e la musica
Tra Su succu di Busachi e le primavere arabe
Il voto in Algeria e La minoranza inesistente
Pa. Ar.
I
l rione di Campu Maiore di Busachi, l’università di Cagliari, quella francesi di Parigi ed Aix-en Provence e gli Archives nationales di Algeri, il libro “La minoranza inesistente” edito da Carocci e scritto da Marisa
Fois, ricercatrice. È questo il percorso di chi
ha scritto una “storia minore”, quella di un
popolo nomade, noto per l’artigianato e per
la musica. No, non riguarda il popolo sardo, ma sa comunque di Mediterraneo.
Nata il 2 aprile del 1981 da Giuseppina
Marras, casalinga classe 1948, e da Antonio, classe 1953, pensionato ed ex dipendente del petrolchimico di Ottana, è la
maggiore dei tre figli, Francesco (29 anni
e preparatore atletico) e Rita (27 anni, estetista). Marisa, vissuta tra i basalti e le rosee
trachiti del capoluogo del Barigadu, dove è
forte il legame con le tradizioni, apprezza
molto quelle culinarie. “Su succu a sa busachesa” (listarelle di pasta di semola di grano
duro fatta in casa e cotta in un brodo di carni miste, condita con formaggio di pecora
inacidito e zafferano sardo) è “il piatto delle
feste”. Forse “la sintesi di Busachi: ingredienti semplici ma forti e caratteristici”.
Dopo la maturità scientifica a Ghilarza, si
iscrive a Cagliari (triennale in Scienze politiche e specialistica in Relazioni internazionali) conseguendo, infine, un dottorato di
ricerca in Storia, istituzioni e relazioni internazionali dell’Asia e dell’Africa moderna
e contemporanea, occupandosi soprattutto
di Nord Africa, identità e minoranze.
Una di queste, oggetto di studio del bel libro, è la minoranza berbera. Nella copertina una lettera dell’alfabeto berbero (tifinagh), che nella bandiera del popolo berbero
simboleggia la vita e la resistenza. “Resistenza è davvero la parola d’ordine, insieme a
riconoscimento: in Algeria come nel resto
del Nord Africa il dibattito sulla questione
linguistica è onnipresente ed è spesso visto
dai governi come una sfida all’unità del popolo e del Paese”.
I berberi, considerati dai francesi dei “rudi”
abitanti della “Terra dei Cabili”, ovvero la
Cabilia, regione prevalentemente montuosa a nord dell’Algeria, dominata dal Mons
Ferratus (odierno Djurdjura), noti già “per
l’insofferenza al potere di Roma” e poi a
quello francese. Essi definiscono loro stessi come “uomini liberi” (sing. amazigh,pl.
imazighen). Un concetto, quello di amazi38
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ghité, che unisce la popolazione autoctona
dei berberi dei vari Paesi del Nord Africa
(Algeria, Libia, Tunisia, Marocco).
Uomini liberi e donne libere? Si. Parrebbe
che i conflitti identitari abbiano influito relativamente poco sulla questione femminile. “Donne arabe e berbere hanno sempre
manifestato e fatto tante lotte. Quelle algerine, in generale, sono state combattenti
durante la guerra di liberazione nazionale
nel FLN (Front de Libération nationale)”.
Di recente, nel 1984, tutte le donne algerine, arabe e berbere, giovani e vecchie
combattenti si sono unite per dire no al
codice della famiglia, poi definito codice
dell’infamia, perché istituiva la sottomissione femminile all’uomo e definiva la donna
in quanto “moglie di”, “figlia di”, “madre
di”. Quasi una proprietà privata. Tra queste,
Khalida Messaoudi, di origine cabila, che
nel 2002 è diventata ministro della Comunicazione e della cultura.
La storia algerina è sempre stata raccontata
dal punto di vista dei “grandi” protagonisti. Il suo libro intende “restituire, in un
certo qual modo, una legittimità storica e
scientifica a una parte della società che ha
avuto un ruolo importante, spesso dimenticato e che, nonostante sia una minoranza
numerica, non può essere considerata una
minoranza culturale: la lingua e la cultura
restano ancora vive”.
E l’Algeria è stata avanguardia delle primavere arabe. Sono state “almeno due le primavere prima di quelle arabe avvenute negli altri paesi del Nord Africa. Ed entrambe
sono state in Cabilia”. La primavera berbera
del 1980, scoppiata nell’università di Tizi
Ouzou (capoluogo cabilo) in seguito al di-
vieto da parte del governo di una conferenza sulla poesia cabila, tenuta da Mouloud
Mammeri, uno tra i maggiori intellettuali e
poeti berberi, e la primavera nera del 2001,
seguita all’uccisione di un giovane da parte
della polizia durante le celebrazioni dell’anniversario di quella berbera.
Nel 2010, poi, “ci sono state tantissime
manifestazioni per le strade, di cui si è saputo poco o niente” e anche nel 2011 si è
manifestato. “Ma la primavera non ha aderito, sia perché il paese conserva ancora le
profonde ferite della guerra civile degli anni
Novanta, sia perché il controllo, in particolar modo da parte dell’esercito, è costante e
soffocante. Si vive in una calma apparente,
uno stato di polizia perpetuo”. Il messaggio
che il governo vuole lanciare è quello di una
situazione “pacifica”.
Un esempio emblematico sta nel fatto che,
nel febbraio 2011 mentre Tunisia, Egitto
e Libia erano in piena rivoluzione, il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, ha
sospeso lo stato d’emergenza proclamato
dal decreto presidenziale nel 1992 e già
prorogato al 1993 durante la guerra civile.
“È stato un gesto di alto valore simbolico:
numerose organizzazioni si riunivano e manifestavano ogni settimana e lui, invece, ha
inteso così dare una parvenza di calma.”
A che punto è oggi la “primavera algerina”?
“Il 17 aprile, ci saranno le elezioni presidenziali. Bouteflika, in carica dal 1999, corre
per un quarto mandato. È stato ampiamente criticato, anche perché da anni, avendo
problemi di salute, è quasi un burattino in
mano a poteri più forti. Un’altra primavera
algerina potrebbe concretizzarsi con questo
appuntamento elettorale? Chissà.”
Latte Arborea
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Banca di Sassari
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