• Nuova disciplina del soccorso istruttorio • Soppressione dell

3/2014
• Nuova disciplina del soccorso istruttorio
• Soppressione dell’Autorità per la vigilanza
• Le novità del decreto “Sblocca Italia”
I contratti dello Stato e degli Enti pubblici
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STAMPA
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Hanno collaborato
a questo numero
Raffaella Boscolo, Funzionario di organizzazione imprenditoriale
Vittoria Bonaldo, Dottore in giurisprudenza
Franco Botteon, Avvocato
Elena Brandolini, Magistrato della Corte dei conti
Francesco Caliandro, Avvocato
Cristina De Benetti, Professore Associato di diritto pubblico
Antonio Donato Coscia, Avvocato
Maurizio Lucca, Avvocato e Segretario generale amministrazioni locali
Pietro De Franciscis, Presidente di Sezione della Corte dei conti
Arianna Fuser, Consulente
Katia Maretto, Avvocato
Emanuela Rizzi, Avvocato
Stefano Sacchetto, Avvocato
Claudio Santarelli, Avvocato
Antonio Vespignani, Responsabile servizio appaltistico A.C.E.A.
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Sommario
Contratti dello Stato e degli Enti pubblici • 3/2014
EDITORIALE
Appalti pubblici e decretazione d’urgenza ....................................................7
Antonio Vespignani
DOTTRINA
L’avvalimento di garanzia e le condizioni di ammissibilità della
prestazione di requisiti di partecipazione di tipo soggettivo e
immateriale.....................................................................................................17
Antonio Donato Coscia
Reti di imprese e appalti pubblici: dal contratto plurilaterale con
comunione di scopo all’aggregazione strutturata........................................27
Cristina De Benetti
GIURISPRUDENZA
Cottimo fiduciario, trasparenza e pubblicità ...............................................43
• CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2501
Franco Botteon
Società in house e partecipazione a gare d’appalto indette
da soggetti terzi...............................................................................................52
• CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 25 marzo 2014, n. 2362
Katia Maretto
L’ulteriore irrigidimento dell’onere dichiarativo alla vigilia
dell’introduzione del principio della “semplificazione degli oneri
formali” di cui all’articolo 39 del d.l. n. 90/2014...........................................60
• CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 29 maggio 2014, n. 2778
Francesco Caliandro
Sull’onere di specificazione delle risorse e dei mezzi prestati,
quale elemento di validità del contratto di avvalimento.............................77
• T.A.R. TOSCANA, Firenze, sez. I, 19 maggio 2014, n. 865
Vittoria Bonaldo
Illegittimità dell’aggiudicazione conseguita in violazione
del protocollo di legalità per condizionare l’esito
della procedura concorsuale.........................................................................93
• T.A.R LOMBARDIA, Milano, sez. I, 9 luglio 2014, n. 1802
Emanuela Rizzi
La stipulazione del contratto di appalto di lavori preclude alla
stazione appaltante l’esercizio di poteri autoritativi di revoca del
provvedimento di aggiudicazione...............................................................101
• CONSIGLIO DI STATO, Adunanza Plenaria, 20 giugno 2014, n. 14
Claudio Santarelli
Diritto di accesso agli atti amministrativi e contratti pubblici..................111
• T.A.R. PIEMONTE, sez. I, 23 maggio 2014, n. 932
• T.A.R. LAZIO, Roma, sez. III, 14 maggio 2014, n. 5080
Raffaella Boscolo
FORMULARIO
La centrale unica di committenza con schema negoziale.........................125
Maurizio Lucca
QUESITI
Risposte ai lettori..........................................................................................141
a cura di Antonio Vespignani, Stefano Sacchetto e Arianna Fuser
RASSEGNE
Osservatorio normativa................................................................................145
a cura di Pietro De Franciscis
Osservatorio Atti dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.......153
a cura di Elena Brandolini
Editoriale
Antonio Vespignani
È condivisa e consolidata opinione che uno dei principali mali che
affliggono il settore dei lavori pubblici – e più in generale dei contratti
pubblici – vada individuato nella presenza di una normativa quanto
mai frammentata, poco coordinata e in continuo, incessante, divenire.
Infatti, a dispetto di un testo unitario, ambiziosamente denominato “Codice degli appalti” che, unitamente al relativo regolamento di attuazione, avrebbe dovuto costituire una summa completamente esaustiva della disciplina della materia, anche negli ultimi mesi abbiamo
assistito ad un’incredibile ed esasperante sarabanda di interventi normativi che, tra gli altri effetti, hanno avuto quello di generare un vero
e proprio blocco degli appalti, quanto meno presso alcuni settori della pubblica amministrazione (si pensi alle disposizioni sulle centrali di
committenza).
La verità è che, disattendendo ogni affermazione di principio di segno opposto, il nostro legislatore continua a intervenire in questa complessa e delicata materia – oltretutto di enorme importanza per l’economia del Paese – in maniera confusa e pasticciata.
E soprattutto con lo strumento normativo meno idoneo, quale la decretazione d’urgenza.
Eppure l’esperienza anche molto recente dovrebbe aver insegnato
che, per la sua stessa natura, il decreto-legge è strumento potenzialmente destabilizzante in questo settore forse più che in altri.
Infatti la durata temporanea delle nuove norme, la loro immediata applicazione, la loro modifica spesso radicale in sede di conversione
o la loro caducazione con effetto ex tunc in caso di mancata conversione sono tutti elementi che mal si conciliano con una “normale” gestione degli appalti da parte delle pubbliche amministrazioni e delle imprese. Per non parlare della (diciamo così…) non eccelsa tecnica legislativa
che non di rado rende difficoltosa la comprensione e l’applicazione delle nuove norme.
Con buona pace delle sbandierate esigenze di semplificazione
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Appalti pubblici
e decretazione d’urgenza
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normativa e procedurale, si continua ad aggiungere norme e a modificare quelle esistenti, spesso in aperta contraddizione, anche nei contenuti, con alcuni dei principi-cardine affermati dal Governo e dall’Autorità Anticorruzione (sfavore verso deroghe emergenziali, procedure
negoziate e varianti, solo per fare alcuni esempi).
L’esame analitico della produzione normativa degli ultimi mesi rappresenta la più evidente dimostrazione di quanto si è sin qui sostenuto.
***
Nel numero precedente si è dato conto di alcune importanti disposizioni
in materia di contrattualistica pubblica contenute nel decreto-legge 22 aprile 2014, n. 66, noto anche come “decreto Irpef”. Le stesse sono state oggetto di
modifica in sede di conversione, avvenuta con legge 23 giugno 2014, n. 89.
È il caso dell’art. 8, rubricato “Trasparenza e razionalizzazione della spesa pubblica per beni e servizi”, ove si prevede la riduzione degli importi dei contratti di fornitura di beni e servizi della p.a. per la durata
residua dei contratti medesimi.
In sede di conversione la norma è stata estesa, oltre che ai contratti già conclusi, anche a quelli ancora da stipulare ma per i quali l’ente abbia comunque proceduto all’aggiudicazione dell’appalto, ancorché
in via provvisoria.
Un’altra importante precisazione introdotta con la conversione in
legge riguarda la circostanza che la riduzione degli importi contrattuali, debba avvenire nella salvaguardia delle previsioni del Codice dei
contratti relative al costo per il personale, e ciò nell’ottica di evitare che
la riduzione dell’importo contrattuale vada ad incidere su tale costo.
Sono state poi (opportunamente) soppresse in sede di conversione le
previsioni del comma 8, lett. b, e del comma 9, relative all’obbligo per le
p.a. – sanzionato da nullità dei contratti e da responsabilità dirigenziale – di assicurare che gli importi e i prezzi dei contratti di acquisto o fornitura di beni e servizi non siano superiori a quelli derivati, o derivabili, dalle riduzioni di cui alla lettera a), e comunque non siano superiori
ai prezzi di riferimento, ove esistenti, o ai prezzi dei beni e servizi previsti
nelle convenzioni quadro stipulate da Consip.
Dell’art. 9, riguardante gli acquisti in forma aggregata, si segnala la
modifica del Codice dei contratti (art. 83, comma 1), dove per i contratti
da affidarsi con l’offerta economicamente più vantaggiosa, si introduce
un ulteriore criterio di valutazione: la sicurezza di approvvigionamento e l’origine produttiva.
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Con riferimento alle nuove norme sulla pubblicazione telematica di
avvisi e bandi (art. 26 del d.l.), la legge di conversione ne ha previsto
il differimento dell’entrata in vigore al 1° gennaio 2016, nonché la salvezza degli effetti medio tempore prodotti dall’immediata applicazione delle disposizioni stesse.
Sotto il profilo dell’obbligo di fatturazione elettronica (art. 25), oltre ad
una più puntuale definizione dei casi di esonero dall’indicazione in fattura del Cig, la conversione in legge del d.l. n. 66 ha apportato la precisazione che Cig e Cup sono inseriti a cura della stazione appaltante nei contratti
relativi a lavori, servizi e forniture sottoscritti con gli appaltatori nell’ambito della clausola relativa all’assunzione dell’obbligo di tracciabilità dei flussi finanziari. La stessa clausola deve altresì riportare l’esplicito riferimento
agli obblighi che derivano alle parti dall’applicazione della norma de qua.
Sul tema si ricorda anche la circolare dell’Agenzia delle Entrate 24
giugno 2014, n. 18/E.
***
Di estrema importanza sono alcune disposizioni del decreto-legge
24 giugno 2014, n. 90, recante “Misure urgenti per la semplificazione e
la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”,
convertito con legge 11 agosto 2014, n. 114.
La legge di conversione ha anzitutto confermato l’innovativa disciplina del c.d. soccorso istruttorio per le irregolarità concernenti gli
oneri formali per la partecipazione alle gare di cui all’art. 39 del provvedimento d’urgenza.
Tale norma ha integrato la disciplina dettata dall’art. 38 del Codice
dei contratti pubblici (Requisiti di ordine generale), con l’introduzione
del nuovo comma 2-bis, stabilendo che, nel caso di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 dell’art. 38 (che elenca il contenuto delle dichiarazioni con le quali si attesta il possesso dei requisiti di
carattere generale), il concorrente è tenuto:
- al pagamento, a favore della stazione appaltante, della sanzione
pecuniaria stabilita nel bando di gara, in misura non inferiore all’1 per
1.000 e non superiore all’1 per 100 del valore della gara e comunque non
superiore a 50.000 euro, garantito dalla cauzione provvisoria;
- al rilascio, integrazione e/o regolarizzazione delle dichiarazioni
mancanti e/o incomplete e/o irregolari entro il termine assegnato dalla
stazione appaltante, comunque non superiore a 10 giorni.
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Solo se il concorrente non provvede nel termine assegnatogli, la stazione appaltante ne dispone l’esclusione dalla gara.
Al contrario, nel caso di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o di incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non può chiederne la regolarizzazione, presentazione
o integrazione né, tanto meno, può escludere il concorrente dalla gara.
Nonostante le criticità interpretative evidenziate già all’indomani
dell’entrata in vigore del d.l. n. 90/2014, in sede di conversione non sono
state introdotte le integrazioni normative volte a consentire l’univoca
individuazione delle “irregolarità essenziali” (e, per differenza, di quelle non essenziali), così come delle dichiarazioni la cui mancanza o incompletezza comporta l’applicazione della sanzione pecuniaria, l’onere
della regolarizzazione nel termine fissato dalla stazione appaltante e, in
persistente difetto, l’esclusione dalla gara.
L’unica novità apportata sul punto dalla legge di conversione è il
riferimento della mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale – oltre che alle dichiarazioni sostitutive di cui all’art. 38,
comma 2, del Codice dei contratti, com’era nel testo del d.l. n. 90/2014 –
anche agli “elementi”, espressione che, peraltro, appare anch’essa generica e, quindi, fonte di ulteriori difficoltà interpretative.
Quanto al richiamo della cauzione provvisoria, quale strumento che
garantisce la stazione appaltante del pagamento della sanzione pecuniaria applicata nel caso di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive, né
il decreto legge, né la relativa legge di conversione hanno previsto modifiche all’art. 75 del d.lgs. n. 163/2006. Ne consegue che l’importo della
cauzione provvisoria resta confermato nel 2% del prezzo base indicato
nel bando o nell’invito, con eventuale dimezzamento all’1% nel caso di
concorrente in possesso della certificazione del sistema di qualità aziendale (art. 75, comma 7).
Confermata in sede di conversione è anche la previsione contenuta
nell’ultimo periodo del nuovo comma 2-bis dell’art. 38 del Codice, in
base alla quale “Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del
calcolo delle medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia
di anomalia delle offerte”.
Pur perseguendo l’apprezzabile obiettivo di accelerare le procedure
di gara, anche quest’ultima innovazione normativa suscita forti perplessità, in quanto sembrerebbe rendere ininfluente, rispetto al calcolo della media delle offerte e della determinazione della soglia di
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anomalia, il sopravvenuto accertamento del difetto dei requisiti oggetto di dichiarazione sostitutiva (in ipotesi assente o mendace), favorendo
indirettamente la presentazione di offerte “di appoggio”, esclusivamente
finalizzate a condizionare la media delle offerte e la conseguente determinazione della soglia di anomalia.
Infine, viene confermata anche la modifica apportata all’art. 46 del
Codice dei contratti, al quale viene aggiunto il nuovo comma 1-ter.
Si tratta di una disposizione volta a raccordare il contenuto del nuovo art. 38, comma 2-bis, con la disciplina dell’art. 46, che al comma 1
configura il soccorso istruttorio della stazione appaltante in ordine alla
documentazione presentata dai concorrenti, e al comma 1-bis statuisce
il principio di “tassatività” delle cause di esclusione.
Il nuovo comma 1-ter richiama in questo contesto disciplinare le previsioni dell’art. 38, comma 2-bis, che intervengono sia in tema di “soccorso istruttorio” (presentazione, integrazione, regolarizzazione, nel
termine assegnato dalla stazione appaltante, degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2, mancanti, incomplete o interessate da altra irregolarità essenziale), sia in tema di esclusione dalla
gara (nel caso di inottemperanza nel termine assegnato).
L’art. 33, comma 3-bis, del Codice dei contratti impone ai comuni
non capoluogo di provincia di effettuare l’acquisizione di lavori, beni
e servizi in forma aggregata, attraverso le unioni di comuni, laddove
esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile, o ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province.
Come noto, la norma, in vigore dal 1° luglio 2014, ha generato una
serie di complessità sul piano operativo, causando la sostanziale stasi
delle procedure di affidamento degli enti locali, non preparati ad operare in forma aggregata.
Al fine di superare la situazione di stallo e permettere ai comuni di
organizzare la propria attività, l’art. 23-ter del d.l. n. 90/2014, ha stabilito un articolato rinvio dell’applicazione delle disposizioni di cui all’art.
33, comma 3-bis, del Codice, posticipando l’obbligo di effettuare acquisti in forma aggregata:
- al 1° gennaio 2015 per l’acquisizione di beni e servizi;
- al 1° luglio 2015 per l’acquisizione di lavori.
Sono in ogni caso fatte salve le procedure avviate a partire dal 1° luglio 2014 fino alla data di entra in vigore delle legge di conversione del
decreto (18 agosto 2014).
Infine l’art. 23-ter introduce (comma 3) una soglia di esenzione
dall’obbligo di acquisto in forma aggregata: i comuni con popolazione
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superiore a 10.000 abitanti possono, infatti, procedere autonomamente all’acquisto di beni, servizi e lavori di importo non superiore a 40.000
euro.
In sede di conversione sono stati sostanzialmente confermati i contenuti dell’art. 19 del d.l. n. 90, che aveva disposto la soppressione
dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), e il trasferimento dei relativi compiti e funzioni all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
Al riguardo, le novità di maggiore rilievo introdotte dalla legge di
conversione sono:
- la previsione in base alla quale l’ANAC riceve notizie e segnalazioni
da ciascun avvocato dello Stato che, nell’esercizio della relativa attività
di tutela legale dei diritti e degli interessi della p.a., “venga a conoscenza
di violazioni di disposizioni di legge o di regolamento o di altre anomalie o irregolarità relative ai contratti” disciplinati dal d.lgs. n. 163/2006,
fermo restando l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria ai sensi
dell’art. 331 cod. proc. pen. (comma 5, lett. a-bis);
- la precisazione che nella relazione annuale dell’ANAC al Parlamento, in merito all’attività di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella p.a., l’Autorità anticorruzione dà conto anche dell’attività svolta in
luogo della soppressa Autorità per la vigilanza, “indicando le possibili
criticità del quadro amministrativo e normativo che rendono il sistema
dell’affidamento dei lavori pubblici vulnerabile a fenomeni di corruzione” (comma 5-ter).
La legge di conversione del d.l. n. 90 non ha sostanzialmente modificato le previsioni dell’art. 29 di quest’ultimo, che aveva reso obbligatoria l’iscrizione delle imprese appartenenti ai settori a maggior rischio di
infiltrazione mafiosa nelle white list istituite presso le Prefetture, quale strumento per l’acquisizione nei loro confronti della comunicazione e
dell’informazione antimafia necessaria per la stipula, l’approvazione o
l’autorizzazione dei contratti e dei sub contratti con la pubblica amministrazione.
A norma dell’art. 1, comma 53, della c.d. legge anticorruzione (l. 6
novembre 2012, n. 190), sono considerate “ ... come maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa le seguenti attività:
a) trasporto di materiali a discarica per conto di terzi;
b) trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;
c) estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti;
d) confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume;
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e) noli a freddo di macchinari;
f ) fornitura di ferro lavorato;
g) noli a caldo;
h) autotrasporti per conto di terzi;
i) guardiania dei cantieri”.
L’art. 29 del d.l. 90/2014 rende obbligatoria – anziché facoltativa come in precedenza – per le imprese operanti nei predetti settori di attività
l’iscrizione nelle white list istituite presso ciascuna Prefettura.
Infatti, la disposizione in esame – sostituendo l’originario art. 1, comma 52, della legge n. 190/2012 – stabilisce che per tali attività imprenditoriali “la comunicazione e l’informazione antimafia liberatoria… è
obbligatoriamente acquisita attraverso la consultazione, anche in via
telematica, di apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori”.
L’iscrizione nell’elenco è disposta dalla Prefettura della provincia ove
ha sede l’impresa richiedente.
Le novità introdotte in sede di conversione riguardano:
- l’obbligatorio ricorso alla consultazione delle white list indipendentemente dalle soglie economiche stabilite dal d.lgs. n. 159/2011 (Codice
antimafia), finendo così per riguardare anche i contratti d’importo non
superiore a 150.000 euro, che l’art. 83, comma 3, di tale ultimo provvedimento considera sottratti all’obbligo della documentazione antimafia
(comunicazione e informazione antimafia);
- l’integrazione della disciplina transitoria – che già prevedeva, fino
al 25 giugno 2015 (un anno dall’entrata in vigore del d.l. n. 90/2014), la
sostituzione dell’obbligo di iscrizione nelle white list con l’avvenuta presentazione della relativa domanda – con la precisazione che “la stazione appaltante che abbia aggiudicato e stipulato il contratto o autorizzato il subappalto esclusivamente sulla base della domanda di iscrizione è
obbligata ad informare la competente prefettura-ufficio territoriale del
Governo di essere in attesa del provvedimento definitivo”.
***
Il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante “Misure urgenti per
l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del
dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive” – ma più
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noto come “Sblocca Italia” – contiene non poche disposizioni di rilevante impatto per il comparto della contrattualistica pubblica.
Segnando l’inizio di una corposa serie di modifiche al Codice dei
contratti, l’art. 2 del d.l. n. 133 interviene in tema di infrastrutture strategiche affidate in concessione introducendo nell’art. 174 un nuovo
comma in virtù del quale il bando di gara può anche prevedere, nell’ipotesi di sviluppo del progetto per stralci funzionali o, nei casi più complessi di successive articolazioni per fasi, l’integrale caducazione della
relativa concessione, con la conseguente possibilità in capo al concedente di rimettere a gara la concessione per la realizzazione dell’intera opera, qualora, entro un termine non superiore a 3 anni, da indicare nel
bando di gara stesso, dalla data di approvazione da parte del CIPE del
progetto definitivo dello stralcio funzionale immediatamente finanziabile, la sostenibilità economico-finanziaria degli stralci successivi non
sia attestata da primari istituti finanziari. La norma – che non trova
applicazione alle procedure per le quali, alla data di entrata in vigore
del decreto, sia già stato pubblicato il relativo bando – ha evidentemente la finalità di rafforzare la garanzia della reale sostenibilità economico-finanziaria del progetto e per questo motivo la sua applicazione viene espressamente estesa anche ai casi di finanza di progetto (art. 175).
Il successivo 5, in tema di concessioni autostradali, prevede la possibilità per i concessionari di proporre entro il 31 dicembre 2014 modiche
del rapporto anche mediante l’unificazione di tratte interconnesse, contigue o tra loro complementari. Il comma 3 dell’art. 5 precisa che l’affidamento dei lavori, delle forniture e dei servizi di importo superiore alla
soglia comunitaria, ulteriori rispetto a quelli previsti dalle convenzioni
vigenti, avviene nel rispetto delle procedure di evidenza pubblica disciplinate dal Codice dei contratti, con nomina delle commissioni di gara
da parte del Ministero delle infrastrutture. Argomentando a contrariis
si dovrebbe quindi desumere che per gli affidamenti pari o inferiori alla
soglia comunitaria l’obbligo di applicazione del codice non sussista con
conseguente possibilità di realizzazione in house.
In tema di ambiente e dissesto idrogeologico – uno dei temi “caldi”
del Paese – viene previsto (art. 7, comma 4) che per le attività di progettazione ed esecuzione degli interventi di mitigazione del rischio
idrogeologico di cui agli accordi di programma stipulati con le Regioni, i “governatori” regionali possono richiedere di avvalersi, sulla base
di apposite convenzioni per la disciplina dei relativi rapporti, di società in house delle amministrazioni centrali dello Stato dotate di specifica competenza tecnica, attraverso i Ministeri competenti che esercitano
il controllo analogo sulle rispettive società, ai sensi della disciplina nazionale ed europea.
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Il capo IV del decreto-legge, dedicato alle “Misure per la semplificazione burocratica”, si apre con l’art. 9, dedicato prevalentemente agli interventi di estrema urgenza in materia di vincolo idrogeologico, di normativa antisismica e di messa in sicurezza degli edifici scolastici. Vi si
prevede che, fatta salva la vigente disciplina dell’affidamento con procedura negoziata senza bando dei lavori imprevisti e di estrema urgenza,
viene considerata di estrema urgenza anche la situazione conseguente
ad apposita ricognizione da parte dell’ente interessato che certifica come indifferibili gli interventi, anche su impianti, arredi e dotazioni, funzionali:
a) alla messa in sicurezza degli edifici scolastici di ogni ordine e grado
e di quelli dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM),
comprensivi di nuove edificazioni sostitutive di manufatti non rispondenti ai requisiti di salvaguardia della incolumità e della salute della
popolazione studentesca e docente;
b) alla mitigazione dei rischi idraulici e geomorfologici del territorio;
c) all’adeguamento alla normativa antisismica;
d) alla tutela ambientale e del patrimonio culturale.
Per tali interventi, se di importo inferiore alla soglia comunitaria, si
prevede una serie di importanti deroghe alle previsioni del Codice dei
contratti, in un’ottica acceleratoria e semplificatoria delle relative procedure. Tra queste: 1) inapplicabilità del termine di stand still e di quello processuale di stipula del contratto; 2) possibilità di prescindere dalla cauzione provvisoria; 3) pubblicazione dei bandi di cui all’art. 122,
comma 5, del Codice solo sul sito della stazione appaltante; 4) dimezzamento dei termini di ricezione delle domande di partecipazione e delle
offerte; 5) possibilità di affidamento secondo la procedura di cui all’art.
57, comma 6, del Codice con invito rivolto ad almeno 3 operatori economici (in tale ipotesi la subappaltabilità dei lavori nella categoria prevalente è elevata dal 20% al 30%); 6) possibilità di affidamento diretto
da parte del RUP per i lavori di messa in sicurezza degli edifici scolastici di ogni ordine e grado e di quelli dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, nel limite di 200.000 euro, con invito di almeno 5 operatori economici e nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza
e rotazione.
L’art. 34 del d.l. n. 133, a sua volta, introduce numerose modifiche al
Codice dei contratti per i lavori di bonifica e messa in sicurezza dei siti inquinati.
La prima modifica riguarda l’art. 48, comma 1-bis, del d.lgs. n.
163, laddove si prevede che, per questa tipologia di interventi, i requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa vadano
15
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Editoriale
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verificati dalla stazione appaltante in sede di offerta (con deroga quindi
al principio della verifica a campione).
Particolarmente significativo è il divieto per legge di ricorrere all’avvalimento per l’iscrizione all’Albo dei gestori ambientali (art. 34, comma 2).
Ulteriori misure di semplificazione si trovano:
- nel comma 3, che permette il ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione di bando “nella misura strettamente necessaria” nei
casi urgenti di bonifica e/o messa in sicurezza di siti inquinati (modifica all’art. 57, comma 2, lett. c);
- nel comma 4, che prevede la possibilità di riduzione dei termini di
recezione delle domande di partecipazione e di ricezione delle offerte
(modifica all’art. 70, comma 11);
- nel comma 5, che introduce (lett. e-bis) una nuova ipotesi di variante in corso d’opera ex art. 132 del Codice considerando ammissibili
le varianti nei casi di bonifica e/o messa in sicurezza di siti contaminati;
- nello stesso comma 5 dove si prevede che, per questi interventi, non
siano considerati varianti gli interventi disposti dal direttore lavori per
risolvere aspetti di dettaglio contenuti entro un importo non superiore
al 20% (modifica all’art. 132, comma 3);
- nel comma 6. Che modificando l’art. 203 del Codice, estende ai lavori
di bonifica-messa in sicurezza le norme (attualmente vigenti per i soli lavori su beni mobili e superfici decorate di beni architettonici, nonché per
gli scavi archeologici) che prevedono che l’affidamento sulla base di progetto preliminare o definitivo possa includere, oltre all’esecuzione, anche
la progettazione successiva al livello oggetto dell’affidamento, sempre che
ciò sia richiesto dalla particolare complessità dell’intervento.
Dottrina
L’avvalimento di garanzia e le
condizioni di ammissibilità
della prestazione di requisiti
di partecipazione di tipo
soggettivo e immateriale
Antonio Donato Coscia (*)
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il quadro normativo di riferimento. – 3. Il carattere generale dell’avvalimento e la sua applicabilità ai requisiti di partecipazione di tipo soggettivo e immateriale. La legittimità dell’avvalimento di garanzia. – 4. Gli arresti giurisprudenziali che hanno negato la legittimità dell’avvalimento di garanzia avente ad
oggetto requisiti di esperienza pregressa. – 5. I possibili effetti sull’istituto derivanti
dalla novella legislativa di cui all’art. 39 del d.l. n. 90/2014.
1. Premessa
L’avvalimento avente ad oggetto i requisiti di partecipazione alla gara relativi al fatturato o all’esperienza pregressa è comunemente noto
come avvalimento di garanzia. Tale denominazione discende dalla circostanza che i requisiti appena richiamati non sono immediatamente riconducibili alla prestazione oggetto del singolo appalto e ai mezzi
necessari alla sua esecuzione, poiché adempiono la diversa funzione
principale di assicurare alla stazione appaltante un contraente affidabile dal punto di vista economico-finanziario o tecnico-professionale. In questo senso, l’avvalimento di garanzia si distingue da quello c.d.
operativo, che invece cade su requisiti agevolmente riferibili anche alla prestazione richiesta dalla stazione appaltante (come, ad esempio,
la disponibilità di particolari attrezzature o di personale specializzato).
(*) Avvocato.
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Dottrina
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La legittimità del ricorso alla tipologia di avvalimento in esame è riconosciuta da un consolidato orientamento del Consiglio di Stato, al
quale, tuttavia, si sono contrapposti alcuni arresti della giurisprudenza di merito, volti a limitarne l’ambito di operatività.
Come sarà illustrato nel prosieguo, le oscillazioni del Giudice amministrativo sono legate alla natura essenzialmente soggettiva e immateriale dei requisiti succitati, che rende particolarmente delicata la
dimostrazione della loro effettiva prestazione a favore di un soggetto
diverso dal titolare (i.e. il loro avvalimento).
2. Il quadro normativo di riferimento
Al fine di esaminare le tematiche appena accennate, può essere utile una breve ricognizione dei principi generali che informano l’istituto dell’avvalimento.
Come noto, esso consente al concorrente di soddisfare i requisiti di
partecipazione alla gara facendo ricorso alle capacità tecnico-professionali o economico-finanziarie di un soggetto diverso (1).
Sin dalla prima elaborazione dell’istituto da parte del giudice europeo (2), è stata avvertita l’esigenza di subordinare la legittimità dell’avvalimento alla condizione che il soggetto avvalso riesca a “dimostrare
di disporre effettivamente dei mezzi [dei] soggetti [ausiliari] che non le
appartengono in proprio e che sono necessari all’esecuzione dell’appalto” (3).
Si era compreso, infatti, che il ricorso incontrollato all’avvalimento avrebbe potuto prestarsi a fenomeni elusivi della disciplina dei
18
(1) La dottrina (ex multis: R. Caranta, I contratti pubblici, Torino, Giappichelli, 2012, 355356) ha chiarito che l’istituto giuridico è ispirato al principio della massima partecipazione alle
gare d’appalto; la sua ratio, infatti, è quella di adattare la disciplina dei requisiti di partecipazione
all’evoluzione dell’organizzazione produttiva, connotata sempre più dal fenomeno della esternalizzazione di funzioni aziendali diverse dal core business e dalla concomitante necessità di coordinare, al fine dell’esecuzione dell’appalto, competenze diverse, facenti capo a una molteplicità
di operatori economici. Secondo R. Garofoli – G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo,
Molfetta, Nel Diritto Editore, 2013-2014, “l’avvalimento si atteggia, sul piano funzionale, come
strumento operativo alternativo al raggruppamento temporaneo di imprese”, che con quest’ultimo condivide la finalità di consentire la partecipazione a gare d’appalto rilevanti anche ad operatori economici di piccole dimensioni.
(2) Cfr. C. giust. CE, 18 dicembre 1997 (in causa C-5/97), Bellast II, in Racc., 1997, I, 7549, in
particolare punti 12 ss. nonché C. giust. CE, 2 dicembre 1999 (in causa C-176/98), Holst Italia, in
Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2000, p. 1405; vedi anche C. giust. CE, 18 marzo 2004, (in causa
C-314/01), Siemens AG, in www.iusexplorer.it/Dejure/.
(3) C. giust. CE, Holst Italia, cit. Coerentemente, la dottrina (R. Garofoli – G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, cit.) ha ritenuto che il concorrente sia gravato da un duplice onere di prova, avente ad oggetto, da un lato, il possesso, da parte del soggetto ausiliario, dei requisiti di partecipazione dei quali il concorrente intende avvalersi e, dall’altro, l’effettiva disponibilità
dei mezzi del soggetto ausiliario, idonei a dimostrare il possesso dei suddetti requisiti anche in
capo al concorrente.
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Dottrina
requisiti di partecipazione, così comportando il rischio, per la stazione
appaltante, di selezionare contraenti incapaci e inaffidabili (4).
Coerentemente la normativa europea prescrive che “se un operatore economico vuole fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, dimostra all’amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi
necessari [all’esecuzione dell’appalto ndr], ad esempio mediante presentazione dell’impegno assunto da detti soggetti a tal fine [dei soggetti ausiliari ndr]” (5).
Al riguardo, si è osservato che “le norme soprannazionali prefigurano un regime probatorio atipico, non limitato cioè a determinati mezzi, consentendo al concorrente in ogni modo la dimostrazione
dell’esistenza delle disponibilità aziendali altrui” (6), essendo la presentazione dell’impegno del soggetto ausiliario solo uno dei modi possibili per raggiungere tale risultato.
Diversamente, la disciplina italiana dell’avvalimento (7) non appare
improntata al suddetto principio di atipicità, dal momento che la prova del possesso dei requisiti deve essere fornita tramite la specifica e
articolata documentazione di cui all’art. 49, comma 2, del Codice dei
contratti pubblici.
In primo luogo, il concorrente deve allegare “il contratto in virtù
del quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente
a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per
tutta la durata dell’appalto” (8). Quindi l’art. 49 cit. richiede “una dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui quest’ultima si
obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a
disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui
è carente il concorrente” (9).
(4) Tale preoccupazione è stata seriamente avvertita anche dalla giurisprudenza nazionale,
che in più di un’occasione ha statuito che l’ammissibilità dell’avvalimento deve tenere conto della
“necessità di non permettere – fin troppo – agevoli aggiramenti del sistema dei requisiti di ingresso alle gare pubbliche (requisiti pur solennemente prescritti e, di solito, attentamente verificati
nei confronti dei concorrenti che se ne dichiarino titolari in proprio)” (Cons. Stato, sez. V, 6 agosto 2012, n. 4510, in www.iusexplorer.it/Dejure/; in termini, Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2014, n.
2365, in www.iusexplorer.it/Dejure/).
(5) Art. 63, comma 1, Direttiva 2014/24/UE, non ancora recepita dalla legislazione nazionale. La norma sostituisce, in modo pressoché identico, l’espressione utilizzata dalla Direttiva
2004/18/CE, secondo cui il concorrente che intende ricorrere all’avvalimento “deve dimostrare
alla amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari [all’esecuzione dell’appalto ndr], ad esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine [dei soggetti ausiliari ndr]”.
(6) R. Garofoli – G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, cit.
(7) Artt. 49 e 50, d.lgs. n. 163/2006.
(8) Art. 49, comma 2, lett. g), d.lgs. n. 163/2006. La produzione del contratto è accompagnata,
tra le altre, da una dichiarazione del concorrente “attestante l’avvalimento dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara, con specifica indicazione dei requisiti stessi e dell’impresa ausiliaria” (lett. a)).
(9) Art. 49, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 163/2006. La circostanza che la normativa italiana impon-
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Dottrina
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In sintesi e salvo alcune eccezioni (10), la normativa italiana impone di fornire la prova dell’avvalimento per l’unico tramite di un’obbligazione, che il soggetto ausiliario deve assumere sia nei confronti del
concorrente – nell’ambito di un rapporto contrattuale – sia nei confronti della stazione appaltante – con un atto negoziale unilaterale (11).
In particolare, la prova del possesso dei requisiti dipende dal rispetto
di un parametro legale di determinatezza dell’oggetto del contratto di
avvalimento, che, ai sensi dell’art. 88, d.P.R. n. 207/2010, deve indicare
“le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico”.
3. Il carattere generale dell’avvalimento e la sua applicabilità ai requisiti di partecipazione di tipo soggettivo e immateriale. La legittimità dell’avvalimento di garanzia
Seppure gravato degli oneri probatori suindicati, l’avvalimento è istituto di carattere generale (12), ammesso con riferimento a tutti i requisiti
20
ga al soggetto ausiliario di assumersi un’obbligazione non solo nei confronti del concorrente, bensì anche della stessa stazione appaltante ha indotto la giurisprudenza nazionale ad affermare che
“l’impresa ausiliaria non è semplicemente un soggetto terzo rispetto alla gara” (Cons. Stato, sez. VI,
13 maggio 2010, n. 2956, in www.iusexplorer.it/Dejure/; in termini, Cons. Stato, n. 2365/2014 cit.).
Circa la ratio di siffatta previsione, la giurisprudenza citata ha rilevato che la riproduzione integrale
del contenuto del contratto di avvalimento nella dichiarazione resa alla stazione appaltante è diretta a soddisfare “esigenze di certezza dell’amministrazione”, coincidenti con “l’interesse della stazione appaltante ad evitare, dopo l’aggiudicazione, l’insorgere di contestazioni sugli obblighi dell’ausiliario” (Cons. Stato, n. 2956/2010 cit.; in termini, Cons. Stato, n. 2365/2014 cit.). Una parte della
dottrina (R. Caranta, I contratti pubblici, cit., 359) ha obiettato che siffatta previsione affievolisce la distinzione tra l’avvalimento e il subappalto e che la situazione sarebbe aggravata dalla previsione dell’art. 49, comma 10, d.lgs. n. 163/2006, che consente all’impresa ausiliaria di assumere
la veste di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati. A dire il vero, mentre con il subappalto
l’appaltatore affida l’esecuzione (parziale) dell’opera o del servizio ad un altro soggetto (il subappaltatore), tramite l’avvalimento l’impresa avvalsa non chiede all’ausiliaria di assumere l’esecuzione in capo a se stessa, bensì solo di metterle a disposizione delle risorse o dei mezzi, secondo
uno schema simile a quello dei contratti di godimento (come il noleggio o la locazione). La circostanza che l’ausiliaria si obblighi anche nei confronti della stazione appaltante non comporta alcuna assunzione dell’esecuzione in prima persona dell’appalto, sicché la differenza tra i due
modelli contrattuali permane. La previsione di cui all’art. 49, comma 10, cit. non fa altro che precisare tale distinzione.
(10) L’art. 49, comma 2, lett. g), d.lgs. n. 163/2006 stabilisce che “nel caso di avvalimento nei
confronti di un’impresa che appartiene al medesimo gruppo in luogo del contratto di cui alla lettera f ), l’impresa concorrente può presentare una dichiarazione sostitutiva attestante il legame
giuridico ed economico esistente nel gruppo […]”.
(11) Al riguardo, si segnala come parte della dottrina (R. Caranta, I contratti pubblici, cit., 359360) abbia ritenuto che il sistema italiano di rigida tipicità della prova dell’avvalimento denoti un
“accanimento regolatorio [in]compatibile con il diritto europeo, basato sulla libertà delle forme”.
(12) È interessante rilevare che la portata generale dell’avvalimento non ha impedito, come si
evince da alcune pronunce giurisprudenziali, di qualificare l’istituto alla stregua di un’eccezione al
principio generale che impone che i concorrenti ad una gara pubblica possiedano in proprio i requisiti di qualificazione, con la conseguenza di attribuire un’interpretazione restrittiva alle norme
in tema di avvalimento (cfr. T.A.R. Lombardia – Milano, sez. I, 7 maggio 2008, n. 1353, in www.iusexplorer.it/Dejure/; Cons. Stato, sez. V, 20 giugno 2011, n. 3670, in www.iusexplorer.it/Dejure/). In
senso contrario, vedi T.A.R. Puglia – Bari, sez. I, 20 maggio 2013, n. 783, in www.iusexplorer.it/Dejure/, secondo cui “L’art. 49 c. contr. pubbl., nel disciplinare l’istituto dell’avvalimento, non contiene
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Dottrina
di partecipazione comprovanti la capacità tecnico-professionale o economico-finanziaria (13), esclusi i requisiti di cui agli artt. 38 (14) e 39 del
Codice dei contratti pubblici, che in quanto “strettamente personali”, devono essere sempre posseduti in proprio dal concorrente alla gara (15).
Conseguentemente, un orientamento consolidato del Consiglio di
Stato riconosce la legittimità anche dell’avvalimento riferito ai requisiti speciali di fatturato o di esperienza pregressa (16).
In termini generali, è utile osservare che l’avvalimento può estendersi anche a requisiti che riguardano condizioni o posizioni soggettive –
quali si ritengono il fatturato e l’esperienza pregressa (17) – a patto che tali
condizioni siano comunque riferibili indirettamente all’impresa, intesa
come complesso di mezzi e di risorse strumentali all’attività produttiva,
e non invece unicamente all’imprenditore e, in particolare, alla sua idoneità morale e professionale ad essere contraente con la Pubblica Amministrazione, come accade per i requisiti strettamente personali (18).
alcuno specifico divieto in ordine ai requisiti soggettivi che possono essere comprovati mediante
tale strumento, che assume una portata generale. D’altra parte, è fuori discussione che, nell’ottica
dell’ordinamento comunitario, l’avvalimento miri ad incentivare la concorrenza, nell’interesse delle imprese, agevolando l’ingresso nel mercato di nuovi soggetti: pertanto, deve essere evitata ogni
lettura aprioristicamente restrittiva dell’ambito di operatività della nuova disciplina”.
(13) In particolare, l’avvalimento è ammesso con riferimento a tutti i requisiti speciali di partecipazione di cui agli artt. 41 e 42 del Codice dei contratti pubblici, nonché alla richiesta di attestazione SOA (per quanto riguarda gli appalti di lavori), ai sensi degli artt. 49 e 50 del Codice. L’avvalimento
avente ad oggetto la certificazione di qualità è più discusso, anche se l’orientamento maggioritario del
Consiglio di Stato tende, almeno in via di principio, ad ammetterlo (sul punto, vedi infra).
(14) In particolare, ai sensi dell’art. 49, comma 2, lett. b) e lett. c), d.lgs. n. 163/2006, sia il concorrente, sia il soggetto ausiliario devono dichiarare ciascuno di possedere in proprio i requisiti
generali ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006.
(15) Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2013, n. 911, in www.iusexplorer.it/Dejure/. Tale esclusione è peraltro confermata anche dal nuovo art. 63 della Direttiva 2014/24/CE, già citato.
(16) Cfr. Cons. Stato, n. 911/2013 cit., secondo cui “il ricorso all’avvalimento, avente ad oggetto il fatturato o l’esperienza pregressa è legittimo, atteso che la disciplina dell’art. 49 del Codice non pone alcuna limitazione, se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale, di cui agli artt. 38 e 39 del Codice stesso” (in termini, Cons. Stato, sez. III, 15 novembre 2011,
n. 6040, in www.iusexplorer.it/Dejure/ e, da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 7 giugno 2014, n. 3058 in
www.iusexplorer.it/Dejure/).
(17) Cfr. ex multis: Cons. Stato, n. 3058/2014, cit. Al riguardo, si osserva che mentre la natura
soggettiva dei requisiti di esperienza pregressa è pacifica in giurisprudenza, quella dei requisiti di
fatturato è più dibattuta, atteso che un orientamento minoritario, maturato in seno alla giurisprudenza di merito, ha affermato il carattere oggettivo degli stessi (vedi infra).
(18) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 novembre 2012, n. 5595, in www.iusexplorer.it/Dejure/, che ha
escluso la possibilità dell’avvalimento avente ad oggetto i requisiti di cui agli artt. 38 e 39 d.lgs. n.
163/2006, affermando che “il prestito dei requisiti riguarda i requisiti dell’impresa e non quelli
dell’imprenditore, che sono insuscettibili di trasferimento anche in forma simbolica, trattandosi
di requisiti soggettivamente indefettibili di cui il possessore non può, neppure in modo circostanziato ed episodico, privarsi”. In particolare, la giurisprudenza citata ha precisato che l’eventuale contratto di avvalimento di requisiti strettamente personali sarebbe connotato da un oggetto
impossibile ai sensi dell’art. 1346 c.c., “in quanto non deducibile quale prestazione ai sensi degli artt. 1173 e 1321 c.c.” (come si vedrà più avanti, l’oggetto del contratto è invece indeterminato ovvero indeterminabile, quando l’avvalimento riguardi requisiti in via di principio consentiti,
ma esso sia privo della puntuale indicazione dei mezzi e delle risorse necessari a giustificare l’attribuzione degli stessi).
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Dottrina
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Solo la prima tipologia di requisiti soggettivi è suscettibile di essere
tradotta concretamente nella messa a disposizione di mezzi e di risorse funzionali all’esecuzione dell’appalto, così integrando l’oggetto del
contratto di avvalimento e dunque la prova del possesso mediato dei
requisiti anche da parte del soggetto avvalso.
Ne consegue che affinché sia considerato legittimo, l’avvalimento
avente ad oggetto requisiti soggettivi deve recare chiara evidenza che
“l’ausiliaria presti le proprie risorse […] in tutte le parti che giustificano
l’attribuzione del requisito” (19), come, del resto, è prescritto dal citato
art. 88 d.P.R. n. 207/2010.
In caso contrario, esso si risolve nel riferimento ad “una mera condizione soggettiva […] astratt[a], cioè svincolat[a] da qualsivoglia collegamento con risorse materiali e immateriali” (20). In tale ipotesi,
l’eventuale contratto di avvalimento stipulato con l’ausiliario deve essere considerato nullo per indeterminatezza ovvero indeterminabilità dell’oggetto ai sensi dell’art. 1346 c.c. (21). La prova del possesso
del relativo requisito è dunque mancante, con la conseguenza che il
22
(19) Cons. Stato, n. 3058/2014, cit., che cita Cons. Stato, sez. III, 18 aprile 2011, n. 2344, in
www.iusexplorer.it/Dejure/; Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3310, in www.iusexplorer.it/
Dejure/; Cons. Stato, n. 2365/2014, cit. La sentenza in commento, in particolare, ha evidenziato la
necessità di esplicitare, all’interno del contratto di avvalimento, “la natura dell’impegno assunto,
la sua concreta portata e, soprattutto, il modo e il limite con i quali le risorse vengono messe a disposizione delle imprese ausiliate per effetto dell’avvalimento”.
(20) Cons. Stato, n. 294/2014, cit. In termini, vedi Cons. Stato, n. 3058/2014, cit., che ha affermato la necessità di evitare l’avvalimento avente ad oggetto unicamente un “requisito soggettivo
quale mero valore astratto”.
(21) Come sopra accennato, oggetto del contratto di avvalimento è la disponibilità di mezzi
e di risorse necessarie a soddisfare un dato requisito di partecipazione, con la conseguenza che
se queste non possono essere desunte dalle pattuizioni delle parti ausiliaria e avvalsa, il contratto è nullo per indeterminatezza ovvero indeterminabilità dell’oggetto. Sul punto vedi Cons. Stato,
n. 3058/2014, cit.; Cons. Stato n. 4510/2012, cit. e Cons. Stato, n. 2365/2014, cit., che hanno precisato che “l’esigenza di determinazione dell’oggetto del contratto di avvalimento esiste anche con
riferimento alla dichiarazione unilaterale” con la quale il soggetto ausiliario si obbliga anche nei
confronti della stazione appaltante. Entrambe le sentenze hanno altresì puntualizzato che il contratto di avvalimento (così come la dichiarazione unilaterale del soggetto unilaterale) incorre nel
vizio di nullità per indeterminatezza ovvero indeterminabilità dell’oggetto ogniqualvolta contenga “una mera riproduzione […] della formula legislativa della messa a disposizione delle ‘risorse
di cui è carente il concorrente’ (o espressioni similari)” dal momento che essa “si appalesa, oltre
che tautologica (e, come tale, indeterminata per definizione), inidonea a permettere qualsivoglia
sindacato, da parte della stazione appaltante, sull’effettività della messa a disposizione dei requisiti”. Secondo i principi generali del diritto privato, l’oggetto del contratto è determinabile quando
esso “è individuabile in base a criteri oggettivi […] o quando le parti abbiano previsto il procedimento mediante il quale pervenire alla determinazione, comunque non unilaterale” (F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014, 909; in termini, ex multis, Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2007, n. 6519, in www.iusexplorer.it/Dejure/). Invero, tali principi
non sembrano perfettamente trasponibili alla fattispecie del contratto di avvalimento, atteso che
la giurisprudenza amministrativa ritiene soddisfatto lo standard di determinatezza ovvero determinabilità dell’oggetto non tanto quando esso evita la necessità di una nuova attività negoziale
delle parti, essendo fissati criteri certi per la sua determinazione non unilaterale, bensì, in verità, quando esso consente la verifica del possesso dei requisiti da parte della stazione appaltante.
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Dottrina
concorrente dovrà essere escluso dalla gara ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici per incertezza assoluta sul
contenuto dell’offerta, nonché per violazione di norma imperativa (i.e.
l’art. 88 cit.) (22).
Le risorse che il soggetto ausiliario deve mettere a disposizione del
concorrente, al fine di rendere concreta la prestazione del requisito
soggettivo, attengono a settori specifici della propria organizzazione
aziendale.
A tal proposito, si segnala che il fatturato e l’esperienza pregressa condividono entrambi un connotato di immaterialità, imputabile al fatto che tramite il loro avvalimento, il soggetto ausiliario mette
a disposizione del concorrente degli aspetti appunto relativi alla sua
organizzazione imprenditoriale, che non sono immediatamente riconducibili alla prestazione oggetto dell’appalto e che purtuttavia dovrebbero garantirne la corretta esecuzione, sia sul fronte della solidità
economico-finanziaria (fatturato), che dell’affidabilità tecnico-professionale (esperienza pregressa) richieste all’appaltatore (23).
L’inerenza all’organizzazione aziendale ha consentito al Consiglio
di Stato di accomunare il fatturato e l’esperienza pregressa ai requisiti
soggettivi di qualità, come l’attestazione SOA o la certificazione di qualità (24), affermando, in termini pressoché analoghi a quanto sopra già
osservato, che in tutti questi casi il soggetto ausiliario deve “assume[re]
l’obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità” (25).
(22) Cfr. Cons. Stato, n. 3058/2014, cit., che ha statuito che “l’assoluta indeterminatezza
dell’avvalimento” comporta l’esclusione del concorrente “per la genericità dell’offerta”. Al riguardo, è opportuno osservare che il procedimento di esclusione potrebbe subire rilevanti modificazioni per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 39, comma 2, d.l. n. 90/2014, non ancora convertito in legge (vedi infra).
(23) Sul carattere immateriale dei requisiti di fatturato e di esperienza pregressa, vedi Cons.
Stato, n. 5595/2012, cit.
(24) Cfr. Cons. Stato, n. 6040/2011, cit., secondo cui “il requisito dell’esperienza pregressa [è]
in linea di principio, suscettibile di avvalimento al pari del fatturato, rappresentando entrambi,
nell’ambito dei servizi e delle forniture, quello che l’attestazione SOA è per gli appalti di lavori, ovvero il principale elemento di qualificazione dell’impresa”.
(25) Cons. Stato, n. 2344/2011, cit., in materia di avvalimento avente ad oggetto la certificazione
di qualità. Al riguardo, è opportuno osservare che mentre l’avvalimento avente ad oggetto l’attestazione SOA è espressamente consentito dalla legge, quello inerente alla certificazione di qualità non
è espressamente normato, circostanza che ha dato adito a contrasti giurisprudenziali. L’avvalimento
di tale requisito deve ritenersi ammissibile nell’ipotesi in cui esso sia comprensivo dell’attestazione
SOA. Negli altri casi, come già accennato, l’orientamento maggioritario del Consiglio di Stato ammette in via di principio l’avvalimento, ma nella pratica spesso riscontra l’oggettiva impossibilità di farvi ricorso. La giurisprudenza succitata, infatti, ha rilevato “l’evidente difficoltà ‘pratica’ di dimostrare,
in concreto, l’effettiva disponibilità di un requisito che, per le sue caratteristiche, è collegato all’intera
organizzazione dell’impresa, alle sue procedure interne, al bagaglio delle conoscenze utilizzate nello
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Tali elementi caratterizzano l’avvalimento di garanzia e lo distinguono dall’avvalimento operativo, che, diversamente dal primo, ha
un preciso collegamento con la prestazione oggetto dell’appalto e in
particolare con le strutture aziendali necessarie per farvi fronte, con la
conseguenza che esso necessita di un sforzo decisamente minore nella definizione dell’oggetto del contratto e dunque nella prova del possesso dei requisiti prestati al concorrente.
4. Gli arresti giurisprudenziali che hanno negato la legittimità dell’avvalimento di garanzia avente ad oggetto requisiti
di esperienza pregressa
È opportuno segnalare che un orientamento minoritario, maturato
in seno alla giurisprudenza di merito, ha affermato la legittimità dell’avvalimento di garanzia limitatamente ai requisiti di fatturato, escludendola, invece, con riferimento ai requisiti di esperienza pregressa (26).
In particolare, si è affermato che l’esperienza pregressa integra un
requisito di tipo soggettivo, che per definizione non può tradursi mai
nella messa a disposizione di risorse e di mezzi a favore del concorrente. Diversamente, il fatturato avrebbe natura oggettiva e quindi consentirebbe una precisa individuazione delle risorse e dei mezzi necessari a soddisfare il relativo requisito di partecipazione.
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svolgimento delle attività”. Tale difficoltà ha fatto sì che in alcuni casi, recentemente, il Consiglio di Stato abbia affermato che “nelle gare pubbliche la certificazione di qualità rientra tra i requisiti soggettivi di carattere tecnico-organizzativo che in astratto possono essere oggetto di avvalimento, pur essendo in concreto difficile, se non impossibile, dimostrare l’effettiva disponibilità di un requisito che, per
le sue caratteristiche, è collegato all’intera organizzazione dell’impresa, alle sue procedure interne, al
bagaglio delle conoscenze utilizzate nello svolgimento delle attività” (Cons. Stato, sez. III, 25 febbraio 2014, n. 887, in www.iusexplorer.it/Dejure/). In altre occasioni, il Consiglio di Stato ha invece statuito, in termini più favorevoli, che “l’istituto dell’avvalimento può essere utilizzato anche per dimostrare
la disponibilità dei requisiti soggettivi di qualità, atteso che la disciplina del codice non contiene alcuno specifico divieto in ordine ai requisiti soggettivi che possono essere comprovati mediante tale
strumento, che assume una portata generale; è tuttavia onere della concorrente dimostrare che l’impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a prestare il requisito soggettivo richiesto, quale mero
valore astratto, ma assume l’obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che
giustificano l’attribuzione del requisito di qualità” (Cons. Stato, sez. III, 7 aprile 2014, n. 1636, in www.
iusexplorer.it/Dejure/). Al riguardo, mentre il riferimento all’intera organizzazione aziendale sembrerebbe distinguere la certificazione di qualità rispetto al fatturato e all’esperienza pregressa, che invece
ineriscono ad aspetti specifici della stessa, il riferimento alla non trasmissibilità del “bagaglio di conoscenze” li avvicinerebbe, mostrando quantomeno una diffidenza del Consiglio di Stato nei confronti dell’avvalimento avente ad oggetto requisiti di esperienza pregressa. Per quanto riguarda le modalità concrete con le quali effettuare l’avvalimento di requisiti di partecipazione immateriali,
merita una particolare considerazione quanto statuito da Cons. Stato n. 5595/2012, cit., secondo
cui “nell’ipotesi […] in cui si conferiscano (rectius: si prestino) requisiti immateriali, si dovrà […]
confezionare un contratto idoneo a determinare una sorta di ‘traditio simbolica’ di tali requisiti
dall’impresa ausiliaria a quella ausiliata partecipante alla gara d’appalto (ad es., ricorrendo all’affitto d’azienda o di ramo d’azienda)”.
(26) Cfr. T.A.R. Campania – Napoli, sez. I, 2 febbraio 2011, n. 644, in www.iusexplorer.it/Dejure/; T.A.R. Campania – Napoli, sez. I, 6 aprile 2011, n. 1194, in www.iusexplorer.it/Dejure/.
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Tale conclusione è stata tratta avendo riguardo alle finalità dell’istituto dell’avvalimento di garanzia, che dovrebbe essere inteso unicamente come “figura nella quale l’ausiliaria mette in campo la propria
solidità economica e finanziaria a servizio dell’aggiudicataria ausiliata, ampliando così lo spettro della responsabilità per la corretta esecuzione dell’appalto” (27). L’istituto sarebbe quindi diretto a realizzare
solo ed esclusivamente una “estensione della base patrimoniale della
responsabilità da esecuzione dell’appalto”, ragion per cui si è affermato
che esso “può essere ontologicamente ammess[o] solo in relazione alla dimostrazione del possesso di idonei requisiti economici e finanziari, come nel caso del volume di affari o del fatturato” (28).
Sennonché tale orientamento è stato espressamente smentito dal
Consiglio di Stato, secondo il quale le argomentazioni sopra riportate
in realtà si appuntano unicamente sul carattere soggettivo dei requisiti
di esperienza pregressa, così violando il principio della generale applicabilità dell’avvalimento. Ancora una volta, infatti, è stato ribadito che
gli unici requisiti di stampo soggettivo ai quali non può corrispondere
la messa a disposizione di risorse e di mezzi – e dei quali, quindi, non
è mai consentito l’avvalimento – sono i requisiti previsti dagli artt. 38 e
39 del Codice dei contratti pubblici (29).
Invero, come sopra esposto, l’avvalimento di garanzia può operare
non solo sull’affidabilità economico-finanziaria dell’appaltatore, bensì
anche su quella tecnico-professionale, soddisfando esigenze di garanzia della stazione appaltante circa la corretta esecuzione dell’appalto,
anche relativamente a tale aspetto.
5. I possibili effetti sull’istituto derivanti dalla novella legislativa di cui all’art. 39 del d.l. n. 90/2014
Da ultimo, deve segnalarsi che la recente novella legislativa di cui
all’art. 39 del d.l. n. 90/2014 (30) potrebbe produrre conseguenze rilevanti
sul procedimento di verifica, da parte della stazione appaltante, della prova del possesso dei requisiti oggetto di avvalimento.
Nello specifico, si osserva che il succitato art. 39 ha aggiunto all’art.
38 del Codice dei contratti pubblici il nuovo comma 2-bis, in virtù del
quale “la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale
(27) T.A.R. Campania – Napoli, n. 644/2011, cit.
(28) T.A.R. Campania – Napoli, n. 644/2011, cit.
(29) Cfr. Cons. Stato, n. 6040/2011, cit., che ha espressamente smentito le tesi elaborate dal
T.A.R. Campania – Napoli nelle due sentenze n. 644/2011 e n. 1194/2011, succitate.
(30) Il d.l. in esame è stato convertito con modificazioni nella l. n. 114/2014. Ai sensi dell’art.
39, comma 3, d.l. n. 90/2014, le nuove disposizioni si applicheranno alle procedure di affidamento indette successivamente al 25 giugno 2014, data di entrata in vigore del decreto.
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degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive” attestanti il possesso
dei requisiti generali di partecipazione non comporta più l’immediata
esclusione del concorrente dalla gara, bensì il suo assoggettamento ad
una sanzione pecuniaria e la contestuale assegnazione di “un termine,
non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che
le devono rendere”. Solo ed esclusivamente nel caso in cui tale termine
decorra inutilmente, il concorrente deve essere escluso dalla gara (31).
L’efficacia di tale disposizione è stata estesa, per effetto della contestuale modifica anche dell’art. 46 del Codice, “a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti
in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara” (32).
In linea teorica, le previsioni succitate sembrano potersi applicare a tutte le dichiarazioni richieste dall’art. 49 del Codice, compresi, in
particolare, sia il contratto di avvalimento – inteso quale incontro delle
volontà dei contraenti, manifestate mediante dichiarazioni – sia la dichiarazione con la quale il soggetto ausiliario si obbliga nei confronti
della stazione appaltante.
Ciò significa che dinanzi ad un contratto nullo per indeterminatezza
ovvero indeterminabilità dell’oggetto (a causa della mancata o imprecisa indicazione dei mezzi e delle risorse necessarie a soddisfare il relativo requisito), la stazione appaltante sarebbe tenuta non già ad escludere il concorrente, bensì a consentirgli di produrre un nuovo contratto e
finanche a fornire indicazioni circa il suo contenuto, affinché esso possa
superare il successivo vaglio dell’Amministrazione. Solo qualora il concorrente non si adegui, è prevista la sua esclusione dalla gara.
Se così fosse, l’applicazione delle nuove disposizioni potrebbe effettivamente ridurre le ipotesi di esclusione dalla gara imputabili alla mancata
prova dell’avvalimento dei requisiti di partecipazione, in ossequio al principio della massima partecipazione alle gare d’appalto, muovendo il relativo contenzioso dalla contestazione dell’esclusione a quella della sanzione pecuniaria, che può assumere misura anche significativa (33).
L’elaborazione giurisprudenziale chiarirà se e in quali termini la riforma sia applicabile all’istituto in commento e, soprattutto, come essa
debba coordinarsi con il principio della parità di trattamento dei concorrenti alla gara.
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(31) Art. 39 cit., comma 1.
(32) Art. 39 cit., comma 2, che ha aggiunto il nuovo comma 1-ter all’art. 46, d.lgs. n. 163/2006.
(33) Ai sensi dell’art. 39, comma 1, d.l. n. 90/2014, la sanzione pecuniaria è stabilita dal bando di
gara “in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara
e comunque non superiore a 50.000,00 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria”.
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Reti di imprese e appalti
pubblici: dal contratto
plurilaterale con comunione
di scopo all’aggregazione
strutturata
Cristina De Benetti (*)
Sommario: 1. Premessa: una poliedrica figura giuridica. – 2. Le reti di impresa: il
quadro normativo attuale. – 3. Le modifiche al Codice dei contratti pubblici: problematiche applicative. – 4. Spunti dalle nuove direttive europee in materia di appalti e
concessioni.
1. Premessa: una poliedrica figura giuridica
Nel 2008 un nuovo strumento giuridico ha fatto la sua prima, timida
ed incerta, apparizione nel panorama legislativo italiano.
In quell’anno, infatti, il legislatore ha dato autonoma dignità giuridica alle “reti di imprese”, declinandole quali “libere aggregazioni di
singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali”, aggregazioni la cui definizione veniva però rimessa a successivi decreti ministeriali.
Ciò che invece il legislatore fin dal 2008 aveva chiaro era il fine
perseguito: migliorare la presenza delle imprese italiane nei mercati internazionali, promuovendo lo sviluppo del sistema delle imprese
attraverso azioni di rete che siano in grado di rafforzare le misure organizzative, l’integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle
migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse.
(*) Professore Associato di diritto pubblico.
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L’anno successivo il legislatore, nel dettare misure urgenti a sostegno
dei settori industriali in crisi, è nuovamente e più compiutamente intervenuto in materia, questa volta disponendo che il contratto di rete, da
iscriversi nel registro delle imprese, è quel contratto con il quale due o
più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche, rientranti nei rispettivi oggetti sociali, allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato. Contestualmente nel 2009 il legislatore ha disposto altresì che il contratto di
rete deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, e deve indicare: la denominazione sociale delle imprese aderenti alla rete; le attività comuni poste a base della rete; l’individuazione di
un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascuna impresa partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo comune, da perseguirsi attraverso l’istituzione di un
fondo patrimoniale comune, in relazione al quale sono stabiliti i criteri di valutazione dei conferimenti che ciascun contraente si obbliga ad
eseguire per la sua costituzione e le relative modalità di gestione, oppure
attraverso la costituzione da parte di ciascuna impresa di un patrimonio
destinato all’affare; la durata del contratto e le relative ipotesi di recesso; l’organo comune incaricato di eseguire il programma di rete ed i suoi
poteri anche di rappresentanza, nonché le modalità di partecipazione di
ogni impresa all’attività dell’organo.
Dunque, nel 2009 il legislatore viene a dettare la disciplina di una
figura contrattuale plurilaterale con comunione di scopo, confinante
da un lato, con il consorzio – figura contrattuale a mezzo della quale
due o più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la
disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese – e, dall’altro, con le associazioni temporanee di imprese – aggregazioni a mezzo delle quali più imprese partecipano a gare d’appalto,
conferendo un mandato collettivo con rappresentanza all’impresa capogruppo.
Fulcro delle reti di imprese, così disciplinate a far data dal 2009, è la
comunione di scopo ossia la definizione e condivisione tra le imprese
partecipanti di uno specifico progetto.
Tale disciplina contrattuale, così definita nel 2009, presentava però
ancora molti limiti, che – come vedremo nel paragrafo che segue – verranno poi superati dal legislatore nel 2010 e nel 2012.
L’approdo attuale è una figura giuridica poliedrica, la cui compiuta definizione è rimessa alle imprese partecipanti alla rete, alle quali
compete la libera scelta contrattuale di dar vita ad una speciale forma
di aggregazione tra imprese piuttosto che ad una vera e propria autonoma soggettività.
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E proprio all’analisi di tale poliedrica figura, sotto il profilo specifico della partecipazione alle gare di appalto, sono dedicati i paragrafi
che seguono.
Ancora anticipiamo qui ora, in premessa, che le reti di imprese – a
seguito di apposite modifiche legislative intervenute negli artt. 34 e 37
del d.lgs. n. 163/2006 recante il Codice dei contratti pubblici – possono
partecipare alle gare pubbliche. Ebbene, tale previsione di partecipazione delle reti di imprese alle gare pubbliche ha dato vita a molteplici
problematiche interpretative, alle quali l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha dedicato una apposita determinazione, la n. 3 del 23
aprile 2013.
Infine nuove prospettive a riguardo traggono origine, come vedremo, dalle recentissime direttive comunitarie in materia di appalti e
concessioni.
A tutto ciò sono dedicate le pagine che seguono, ma procediamo
con ordine.
2. Le reti di impresa: il quadro normativo attuale
Si legge nell’Occasional Paper della Banca d’Italia, n. 152, del febbraio 2013 che “Sotto il profilo dell’intensità la rete può spaziare da un
mero accordo per lo scambio di informazioni, di prestazione o di collaborazione, all’esercizio di un’attività economica. Sotto il profilo funzionale, con il contratto di rete le parti possono realizzare obiettivi di
integrazione verticale (ad es. governare una rete di sub-fornitura condividendo standard di produzione; coordinare un sistema di distribuzione, basato su rapporti di franchising) o di cooperazione di tipo orizzontale, anche rafforzando legami già in atto (basati su Ati, consorzi,
patti parasociali, ecc.) al fine di compiere attività d’interesse comune
(ad es. istituire laboratori di ricerca comuni). … Alle diverse funzioni
che il contratto di rete può perseguire, tuttavia, non corrispondono modelli tipici di regolazione della rete sotto il profilo dell’organizzazione,
della responsabilità e degli aspetti patrimoniali. Tali profili devono essere definiti dalle parti, nel contratto e nel programma di rete ad esso allegato nel rispetto dei principi generali che il legislatore delinea”.
Dunque caratteristica innovativa delle reti di impresa è l’approccio
graduale e, volendo, progressivo che esse offrono alla libera scelta delle imprese partecipanti in tema di forme di aggregazione tra le medesime.
In particolare, la rete può assumere tre differenti forme che, per volontà dei partecipanti, possono anche succedersi nel tempo creando
una evoluzione progressiva della struttura.
E così, infatti, la rete può strutturarsi in maniera più snella per
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svolgere solo un’attività interna, senza coinvolgere nell’operatività soggetti diversi dai retisti, ed in tal caso la rete non dispone né di un fondo comune né di un organo comune con poteri di rappresentanza. Diversamente, la rete può strutturarsi per svolgere anche attività esterna,
creando una struttura già più complessa che prevede un fondo patrimoniale comune. Infine, la rete può strutturarsi quale autonomo centro di attribuzione di diritti e di obblighi ed assumere, dunque, soggettività giuridica, iscrivendosi nella sezione ordinaria del Registro delle
Imprese del luogo ove ha sede, ed in tal caso l’organo comune rappresenta la rete in quanto tale.
Peraltro questa poliedricità di forme è il risultato offerto dall’attuale quadro normativo a seguito di un articolato complesso di molteplici
interventi legislativi correttivi.
In dettaglio, come abbiamo già anticipato in premessa, questa nuova realtà giuridica costituita dalle reti di impresa ha fatto la sua prima
fugace apparizione nell’ordinamento italiano nel 2008.
Il riferimento va all’art. 6-bis, Distretti produttivi e reti di imprese,
commi 1 e 2, del decreto-legge n. 112/2008 (convertito con legge n.
133/2008), che citava le reti di imprese quali “libere aggregazioni di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali, anche al fine di migliorare la presenza nei mercati internazionali”,
finalizzate a “promuovere lo sviluppo del sistema delle imprese attraverso azioni di rete che ne rafforzino le misure organizzative, l’integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo
sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse”, demandando la definizione delle caratteristiche e le modalità di individuazione delle reti di
imprese ad un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa
intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Il tutto, peraltro, al limitato scopo di applicare alle reti di imprese le
disposizioni concernenti i distretti produttivi in materia di tassazione
consolidata distrettuale e di tassazione concordata.
Successivamente, il legislatore è più volte intervenuto, dapprima
nel 2009, ma poi ancora nel 2010 e nel 2012, disciplinando compiutamente la fattispecie contrattuale.
In dettaglio, con l’articolo 3, commi 4-ter, 4-quater e 4-quinquies, del
decreto-legge n. 5/2009, convertito in legge n. 33/2009, il legislatore ha
disciplinato i contenuti essenziali del contratto di rete tra due o più imprese, con particolare riferimento ai diritti e agli obblighi assunti dalle
imprese partecipanti ed alle modalità di esecuzione dei contratti stessi.
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Il comma 4-ter prevede, infatti, che con il contratto di rete due o più
imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nell’ambito dei rispettivi oggetti sociali, allo scopo di
accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato, mentre il successivo comma 4-quinquies prevede che alle reti di
imprese, che nascono dalla conclusione di tale contratto, si applichino le disposizioni amministrative previste per i distretti produttivi dalla legge finanziaria 2006 (ex art. 1, comma 368, lettera b), legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni).
A seguire, l’articolo 1, comma 1, della legge 23 luglio 2009, n. 99 modifica ed integra ulteriormente la disciplina sul contratto di rete, come introdotta dal decreto-legge n. 5/2009, subordinando ad apposita
autorizzazione amministrativa la suddetta applicazione alle reti di imprese nascenti dalla conclusione di contratti di rete delle disposizioni
amministrative, finanziarie e di ricerca e sviluppo previste per i distretti produttivi dalla legge finanziaria 2006.
Nel 2010 il contratto di rete viene nuovamente ed ulteriormente
ridisciplinato dal decreto-legge n. 78/2010, convertito nella legge n.
122/2010.
In particolare il precedente dettato normativo viene sostituito con
il seguente disposto: con il “nuovo” contratto di rete più imprenditori
perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente,
la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato,
obbligandosi, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme ed in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura
industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria
impresa. Il contratto può prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire,
in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di
singole parti o fasi dello stesso.
Tale contratto di rete deve essere redatto per atto pubblico o per
scrittura privata autenticata e deve indicare:
a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni
partecipante, e ciò per originaria sottoscrizione del contratto o per
adesione successiva;
b) l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti;
c) la definizione di un programma di rete che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo comune. Inoltre, qualora sia prevista
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l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, dovranno essere anche
indicati la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a
versare al fondo, nonché le regole di gestione del fondo medesimo. Se
consentito dal programma concordato, l’esecuzione del conferimento
potrà avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi dell’art. 2447-bis, lett. a), del codice civile. Al fondo patrimoniale comune si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni
di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice civile, disciplinanti, rispettivamente, il fondo consortile e la responsabilità verso i terzi;
d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori ed eventualmente le cause facoltative di recesso anticipato e le
condizioni per l’esercizio del relativo diritto, ferma l’applicazione delle
disposizioni di legge in tema di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo;
e) le generalità del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo
comune per l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso
– ovviamente solo se il contratto ne ha previsto l’istituzione – nonché i
poteri di gestione e di rappresentanza conferiti all’organo quale mandatario comune delle imprese partecipanti;
f) le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni
materia o profilo di interesse comune che non rientri, quando è stato
istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo;
g) inoltre, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza
del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione
delle decisioni di modifica del programma medesimo.
Il contratto di rete è soggetto ad iscrizione nella sezione del Registro
delle Imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante.
Ebbene, alla luce di tale quadro normativo, offerto dal legislatore
nel 2010, il contratto di rete si configurava come un nuovo tipo contrattuale, dotato di elevata flessibilità, rientrante nel novero dei contratti
plurilaterali con comunione di scopo e pertanto tale contratto non era
in grado di dare origine ad una soggettività unitaria diversa dalle singole imprese partecipanti.
Senonché tale inquadramento viene a mutare nuovamente a seguito delle ulteriori modifiche apportate al contratto di rete dai c.d.
decreti sviluppo (decreto-legge n. 83/2012, convertito con legge n.
134/2012) e sviluppo bis (decreto-legge n. 179/2012, convertito con
legge n. 221/2012).
Le novità salienti riguardano l’identificazione di reti “a regime speciale” ed il possibile riconoscimento della soggettività giuridica in capo alla rete.
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In particolare con l’istituzione di “reti a regime speciale” il legislatore incrementa la già rilevante flessibilità offerta dal contratto di rete. Infatti il regime speciale che il contratto di rete può ora assumere prevede
l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, una sede e una denominazione, l’istituzione di un organo comune, lo svolgimento, da parte
dell’organo comune, di un’attività, anche commerciale, con i terzi.
Ebbene, in presenza di tali requisiti “speciali” il contratto di rete dà
vita ad un regime di autonomia patrimoniale della rete. Di talché per
le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune.
Per le reti a regime speciale vi è, inoltre, obbligo di redazione e
deposito, entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale, di un
vero e proprio bilancio di esercizio, con riferimento al quale trovano
applicazione, ove compatibili, le disposizioni relative al bilancio delle s.p.a.
Oltre a ciò la rete può assumere soggettività giuridica, acquisendo
così una riconoscibilità da parte dei terzi quale autonomo soggetto di
imputazione di diritti e obblighi. E così, in particolare, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito ed in quelle
inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall’ordinamento, nonché
nell’utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e
marchi di qualità.
Peraltro, il riconoscimento di soggettività giuridica alla rete è, secondo la norma oggi vigente, del tutto facoltativa e comunque condizionata all’iscrizione nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese in cui la rete ha sede.
Ai fini di tale iscrizione, sono assolutamente necessarie tanto la costituzione di un fondo patrimoniale comune quanto la stipula del contratto per atto pubblico, scrittura privata autenticata o atto firmato digitalmente ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n. 82/2005.
Dunque la rete, con libera scelta contrattuale delle imprese aderenti, può strutturarsi quale rete a regime speciale e/o quale rete dotata di
soggettività (e non, si noti, di personalità giuridica).
A riguardo si specifica che, peraltro, il regime di autonomia patrimoniale è tipico solo delle reti a regime speciale e può essere facoltativamente contemplato dalle reti con soggettività. Mentre solo se la rete
gode di soggettività l’organo comune agisce in rappresentanza della rete in quanto tale, cosicché gli effetti giuridici degli atti compiuti
dall’organo comune ricadono in capo alla rete e non alle singole imprese aderenti.
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In conclusione, nella rete dotata di soggettività giuridica (c.d. rete
pesante) l’organo comune agisce nei confronti dei terzi in nome e per
conto della rete ossia di una soggettività distinta dalle singole imprese
partecipanti, impegnandone in tal modo la responsabilità. Ed il fondo
comune costituisce garanzia patrimoniale offerta ai terzi.
Invece, nella rete contratto priva di soggettività (c.d. rete leggera) i
rapporti tra l’organo comune e le imprese partecipanti sono riconducibili alla figura del mandato con rappresentanza, di talché gli atti posti
in essere dal rappresentante della rete producono effetti giuridici direttamente in capo alle singole imprese rappresentate. E delle obbligazioni così assunte rispondono tutti i singoli partecipanti alla rete, con i
loro patrimoni oltre che con il fondo comune.
Sussiste, dunque, una assoluta necessità di verifica da parte dei terzi della disciplina contrattuale delle rete sul punto.
3. Le modifiche al Codice dei contratti pubblici: problematiche applicative
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Così ricostruito il quadro normativo sulla natura giuridica delle reti di imprese, veniamo ora ad analizzare la tematica inerente la partecipazione delle medesime alle procedure di gara per l’aggiudicazione
di contratti pubblici.
A riguardo, innanzitutto, va rammentato che la legge n. 180/2011,
recante “Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese”, tra le proprie enunciate finalità ha previsto di “adeguare l’intervento pubblico e l’attività della pubblica amministrazione alle esigenze
delle micro, piccole e medie imprese nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica”, e specificatamente ha disposto che la pubblica amministrazione e le autorità competenti debbano
“semplificare l’accesso agli appalti delle aggregazioni fra micro, piccole
e medie imprese, privilegiando associazioni temporanee di imprese, forme consortili e reti di impresa, nell’ambito della disciplina che regola la
materia dei contratti pubblici”.
A fronte di tale disposto normativo, l’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici ha avviato delle consultazioni sul tema specifico e
dettato una segnalazione, la n. 2 del 27 settembre 2012.
Ne sono seguiti il decreto-legge n. 179/2012 “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, c.d. decreto sviluppo bis, convertito, con
le modificazioni che qui interessano, dalla legge 17 dicembre 2012, n.
221, la quale, oltre quanto abbiamo supra già esaminato, rivede altresì il Codice dei Contratti pubblici, consentendo la partecipazione alle
procedure di gara anche alle reti di imprese.
3/2014
Dottrina
E così infatti, al fine di permettere la partecipazione delle reti di imprese alle procedure di gara per l’aggiudicazione di contratti pubblici,
l’intervento legislativo, in sede di conversione, ha modificato gli articoli 34 e 37 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei Contratti pubblici.
In dettaglio la nuova lett. e) bis dell’art. 34, comma 1, ammette a
partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici anche “le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell’articolo 3, comma 4-ter, del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33”, inoltre afferma che a riguardo “si applicano le disposizioni dell’articolo 37”.
Una seconda modifica, inserisce un comma, il comma 15-bis,
all’art. 37 del Codice, dedicato ai raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari, in base al quale “le disposizioni di cui al presente articolo trovano applicazione, in quanto compatibili, alla partecipazione alle procedure di affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al
contratto di rete, di cui all’articolo 34, comma 1, lettera e-bis)”.
Il legislatore lascia, quindi, all’interprete il non agevole compito di
chiarire quali siano i limiti di compatibilità tra le ordinarie regole valevoli per i raggruppamenti temporanei di imprese ed i consorzi e le specificità proprie del contratto di rete di imprese.
Ne derivano rilevanti problematiche interpretative che hanno indotto l’Autorità di vigilanza ad assumere un atto a carattere generale,
la determinazione n. 3 del 23 aprile 2013, al fine di offrire chiarimento
in merito alle criticità derivanti dalle modalità di partecipazione delle
reti di impresa alle procedure di gara.
In primo luogo, va premesso che la partecipazione della rete alla procedura è subordinata al fatto che i contraenti abbiano indicato
espressamente nel programma della rete lo scopo di partecipare congiuntamente alle procedure di gara.
Ciò posto, la modalità di partecipazione della rete alle procedure di
gara si differenzia sulla base sia dei diversi gradi di strutturazione della
rete, sia degli specifici oggetti previsti dalle gare.
Le modalità di partecipazione alle gare della rete di imprese
Come supra illustrato, il novellato comma 4-ter, data la possibilità
che il contratto preveda l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune, precisa che, in detta evenienza,
il contratto di rete “non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater ultima parte».
Quest’ultimo, nel disciplinare l’iscrizione del contratto di rete nel
registro delle imprese, dispone che, se tale iscrizione è prevista nel
contratto, la rete possa iscriversi nella sezione ordinaria del registro
delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede e con tale
iscrizione “la rete acquista soggettività giuridica”.
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Dottrina
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Peraltro, lo si rammenta, ai fini dell’acquisto della soggettività giuridica “il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma
dell’articolo 25 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.
L’acquisto della soggettività giuridica è, dunque, interamente rimesso alla libera scelta dei soggetti contraenti.
Una simile opzione non è priva di conseguenze sul piano della partecipazione alle procedure di gara.
In particolare è previsto che l’organo comune agisca in rappresentanza della rete quando essa acquista soggettività giuridica ovvero, in assenza della soggettività e “salvo che sia diversamente disposto” nel contratto, in rappresentanza degli imprenditori, anche
individuali, partecipanti al contratto, “nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni…” (art. 3, comma 4-ter, lett. e).
Pertanto, in forza dell’inciso “salvo che sia diversamente disposto”,
l’organo comune, in assenza di soggettività giuridica, può essere autorizzato ad agire per conto delle imprese, ma in nome proprio.
In conclusione, l’organo comune agisce in rappresentanza della rete nel caso in cui quest’ultima acquisti soggettività giuridica, mentre,
in assenza della soggettività, agisce in rappresentanza degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, salvo che sia diversamente disposto nello stesso.
La qualificazione
Quanto alla qualificazione, è, in ogni caso, necessario che tutte le
imprese della rete che partecipano alla procedura di gara siano in possesso dei requisiti generali di cui all’art. 38 del Codice e li attestino in
conformità alla vigente normativa. E ciò a prescindere dalla tipologia e
dalla struttura della rete.
Con riguardo ai requisiti speciali di partecipazione, poiché l’aggregazione tra gli aderenti al contratto di rete è stata “strutturalmente” assimilata dal Codice al raggruppamento temporaneo di imprese (r.t.i.),
per gli appalti di lavori, servizi e forniture trovano applicazione le regole in tema di qualificazione previste dall’art. 37 del Codice e dagli
artt. 92 e 275 del Regolamento, e per i servizi di ingegneria e architettura trovano applicazione le regole previste dall’art. 90, comma 1, lett. g),
del Codice e dall’art. 261, comma 7, del Regolamento.
Le aggregazioni si dovranno strutturare secondo la tipologia dei
raggruppamenti orizzontali e verticali in conformità alle disposizioni
dell’articolo 37 del Codice.
In linea generale sussiste inoltre, ai sensi dell’art. 37, comma 7, del
Codice, il divieto di partecipazione alla gara in forma individuale delle
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Dottrina
imprese che già partecipano alla medesima per mezzo della aggregazione di imprese partecipanti alla rete.
Quindi, a seconda del grado di strutturazione della rete, è possibile distinguere tre fattispecie di partecipazione alle gare: a) la rete dotata di rappresentanza comune, ma senza soggettività giuridica; b) la rete dotata di organo comune privo di potere di rappresentanza o la rete
priva di organo di rappresentanza; c) la rete dotata di soggettività giuridica e organo di rappresentanza.
a) Rete dotata di organo comune con potere di rappresentanza,
ma priva di soggettività giuridica
L’Autorità di vigilanza, con la determinazione n. 3/2013, non ha
mancato di specificare che, nel caso di rete priva di soggettività giuridica, ma dotata di organo comune con potere di rappresentanza,
quest’ultimo può svolgere il ruolo di mandatario, ovviamente laddove sia in possesso dei necessari requisiti di qualificazione e qualora il
contratto di rete rechi il mandato allo stesso a presentare domande di
partecipazione o offerte per tutte o determinate tipologie di procedure di gara.
Tuttavia, il mandato, contenuto nel contratto di rete, è condizione
necessaria ma non sufficiente, in quanto la volontà di tutte o parte delle imprese retiste di avvalersi di una simile possibilità per una specifica gara deve essere confermata all’atto della partecipazione, mediante
la sottoscrizione della domanda o dell’offerta. Tale atto formale, unitamente alla copia autentica del contratto di rete, che già reca il mandato, integra un impegno giuridicamente vincolante nei confronti della
stazione appaltante. È, altresì, necessario che, a monte, il contratto di
rete sia stato redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell’art. 25 del Codice
dell’amministrazione digitale, al fine di fornire alla stazione appaltante idonee garanzie circa l’identità delle imprese retiste.
In altri termini, qualora il contratto di rete sia stato redatto con mera firma digitale non autenticata ai sensi dell’art. 24 del Codice dell’amministrazione digitale, il mandato nel contratto di rete non può ritenersi sufficiente e sarà obbligatorio conferire un nuovo mandato nella
forma della scrittura privata autenticata anche ai sensi dell’art. 25 del
Codice dell’amministrazione digitale.
Qualora le suesposte condizioni siano rispettate, l’organo comune
stipulerà il contratto in nome e per conto dell’aggregazione di imprese.
In ogni caso, secondo quanto previsto dall’art. 37, comma 15, del
Codice, la revoca per giusta causa del mandato non ha effetto nei confronti della stazione appaltante.
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Dottrina
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Per la qualificazione nel settore dei lavori pubblici, trovano applicazione le regole dettate dall’art. 37, commi 3 e 13, del Codice, che impongono una corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione,
quote di partecipazione e quote di esecuzione dei lavori.
In particolare, le quote di partecipazione sono da riferirsi all’“aggregazione” tra le imprese retiste che partecipa all’appalto. Ne consegue che, al fine di permettere alla stazione appaltante di verificare il
possesso dei requisiti di qualificazione, nell’offerta devono essere specificate, a pena di esclusione, le rispettive quote di partecipazione all’aggregazione, che quindi devono corrispondere alle quote di qualificazione.
Valgono, altresì, le ulteriori disposizioni in tema di ripartizione tra
mandataria e mandanti in caso di raggruppamenti di tipo verticale (art.
37, comma 6), nonché quelle in tema di opere di notevole contenuto
tecnologico o di rilevante complessità tecnica (art. 37, comma 11), così
come integrate dalle applicabili disposizioni del Regolamento.
Per i servizi e le forniture, invece, trova applicazione il comma 4
dell’art. 37, per cui nell’offerta devono essere specificate le parti del
servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori
economici retisti.
b) Rete dotata di organo comune privo di potere di rappresentanza o rete sprovvista di organo comune
Nel caso in cui il contratto di rete escluda il potere di rappresentanza, per cui l’organo comune agisce in nome proprio, l’aggregazione
delle imprese retiste partecipa nella forma del raggruppamento, costituendo o costituito, con applicazione integrale delle relative regole.
Quindi, nel caso di raggruppamento costituendo, è necessaria la sottoscrizione dell’offerta o della domanda di partecipazione da parte delle
imprese dell’aggregazione interessata all’appalto, ma altresì la sottoscrizione dell’impegno che, in caso di aggiudicazione dell’appalto, sarà conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una delle imprese retiste partecipanti alla gara, per la stipula del relativo contratto. In
alternativa, è sempre ammesso il conferimento del mandato prima della
partecipazione alla gara, alla stessa stregua di un r.t.i. costituito.
Invece, nel caso di rete priva di organo comune, sarà possibile identificare la mandataria attraverso il mandato collettivo speciale.
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c) Rete dotata di organo comune e di soggettività giuridica
In caso di rete dotata di organo comune ed altresì di soggettività
giuridica, dato il potere riconosciuto all’organo comune di agire in rappresentanza della rete, l’aggregazione tra le imprese aderenti al contratto di rete partecipa alla gara a mezzo dell’organo comune.
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Dottrina
Conseguentemente, la domanda o l’offerta presentata dall’organo
comune, assieme alla copia autentica del contratto di rete, costituisce
elemento idoneo ad impegnare tutte le imprese partecipanti al contratto di rete, salvo diversa indicazione in sede di offerta. Analogamente a quanto previsto dall’art. 37, comma 7, ultimo periodo del Codice,
con riferimento ai consorzi di cui all’art. 34, comma 1, lett. b), deve ritenersi che in sede di offerta l’organo comune possa indicare la composizione della aggregazione tra le imprese aderenti al contratto di rete che partecipa alla specifica gara.
Anche in questo caso alle singole imprese indicate è fatto divieto di
partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara.
Per quanto riguarda le formalità di partecipazione, all’atto della
partecipazione alla gara deve essere prodotto il contratto di rete, in copia autentica, in quanto da esso emergono i poteri dell’organo comune
a presentare l’offerta ed a sottoscrivere il relativo contratto.
Le quote di partecipazione, nel caso di concorso alla gara di rete dotata di organo comune e di soggettività giuridica, sono da riferirsi all’“aggregazione” tra le imprese retiste che partecipa all’appalto.
In conclusione nel caso in cui la rete sia dotata sia di soggettività giuridica sia di un organo comune che agisce in rappresentanza della rete,
le domande e le offerte di partecipazione alle gare vengono presentate da quest’ultimo. L’organo comune è, infatti, parte della rete ed agisce
in rappresentanza della stessa, impegnando tutte le imprese della rete,
salvo diversa indicazione in sede di offerta. In analogia con quanto disciplinato dall’art. dall’art. 37, comma 7, del Codice – con riferimento ai
consorzi di cui all’art. 34, comma 1, lett. b) – è previsto poi che l’organo
comune debba specificare, in sede di offerta, quali imprese aderiscono
alla rete e quali partecipano alla gara. Alle imprese indicate è vietato partecipare in altre forme, diverse dalla rete, alla medesima gara.
Tutto ciò fermo restando che nel programma della rete deve rientrare la partecipazione congiunta a procedure di gara e tutte le imprese, compreso l’organo comune, devono possedere i requisiti di qualificazione richiesti per partecipare alla specifica gara.
Le modifiche soggettive nella struttura di rete
Infine, quanto alle modifiche soggettive delle rete in fase di gara ossia all’eventuale recesso di una o più imprese dal contratto di rete ovvero alla loro estromissione dal contratto di rete in fase di partecipazione alla gara, trova applicazione la disciplina generale dettata dal
combinato disposto dei commi 9, 18 e 19 dell’art. 37.
In particolare, ai sensi del suddetto comma 9, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei
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Dottrina
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e dei consorzi ordinari di concorrenti, e dunque della composizione
delle reti di imprese rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta. Salvo, ai sensi del comma 18, il caso di fallimento del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale,
di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, casi nei quali la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario, purché abbia i requisiti di
qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire, fermo restando che non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può recedere dall’appalto.
Ed ancora salvo, ai sensi del comma 19, l’ulteriore caso di fallimento
di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, con contestuale mancata indicazione da parte del mandatario di altro operatore economico
subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, nel
qual caso il mandatario è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.
Quindi, l’eventuale uscita di un’impresa dal contratto di rete non
ha effetto ai fini dell’appalto. In altri termini, il recesso o l’estromissione dal contratto di rete non implica quella dal contratto con la stazione appaltante.
L’impresa dunque in termini generali può recedere od essere estromessa dalla rete, ma non può svincolarsi dall’impegno assunto dall’aggregazione di rete che ha siglato uno specifico contratto di appalto.
Infine, in via incidentale, si segnala che l’Autorità di vigilanza anche
nei bandi tipo attualmente in fase di consultazione, ai sensi dell’art. 64,
comma 4-bis, del d.lgs. n. 163/2006, ha equiparato ai sensi e per gli effetti dell’art. 37 del Codice i contratti di rete ai raggruppamenti temporanei di Imprese.
4. Spunti dalle nuove direttive europee in materia di appalti e concessioni
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Questo, quindi, il quadro normativo attuale in tema di partecipazione delle reti di imprese alle gare di appalto.
Diamo ora un rapido sguardo alla medesima tematica alla luce delle recentissime direttive europee in materia di appalti e concessioni,
anche se non è certo questa la sede per affrontare il complesso tema
inerente i contenuti delle direttive, né tanto meno le problematiche relative al loro recepimento.
3/2014
Dottrina
Ciò che però merita di essere sottolineato in relazione al tema oggetto di queste pagine è sicuramente il fatto che uno degli aspetti di
maggior rilievo della nuova disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici è rappresentato dall’insieme di disposizioni che esplicitano l’esigenza di favorire la partecipazione alle gare delle micro, piccole e medie imprese, individuando specifiche misure atte a realizzare
tale obiettivo.
Tali misure, da un lato si estrinsecano nel suddividere gli appalti in
lotti, nonché nell’evidenziare le possibilità di subappalto, dall’altro, e
con maggiore significatività per la tematica in esame, si estrinsecano
nella specifica previsione di misure atte a semplificare l’accesso agli
appalti delle aggregazioni tra micro, piccole e medie imprese, privilegiando tra le altre forme associative proprio le reti d’impresa.
A riguardo è particolarmente auspicabile che il legislatore italiano
nel recepire le direttive preveda specifiche e concrete misure in grado
di rendere veramente effettive le disposizioni di principio inerenti la
astratta partecipazione delle reti di imprese alle gare, ora contemplate
negli articoli 34 e 37 del Codice, disposizioni alle quali abbiamo dedicato le precedenti pagine.
In particolare il legislatore dovrà disciplinare effettive condizioni che consentano una reale partecipazione delle reti di imprese alle procedure di gara, quali a titolo esemplificativo: forme adeguate di
informazione alle imprese; la suddivisione in lotti, fermo il divieto di
frazionamento; la previsione di requisiti finanziari parametrati sui singoli lotti; specifiche norme di tutela del subappalto, quali l’obbligo di
subappaltare alle stesse condizioni economiche accordate all’impresa
appaltante... tant’è de jure condendo...
Nota bibliografica
Per una attenta analisi dei profili critici in tema di contratto di rete si vedano:
AA.VV. a cura di Iamiceli, Le reti di imprese e i contratti di rete, Torino, 2009;
AA.VV. a cura di Cafaggi, Iamiceli, Mosco, Il contratto di rete per
la crescita delle imprese, Milano, 2012;
Donativi, Le reti di imprese: natura giuridica e modelli di governance, in Le Società, 2011, 1435 ss.;
Mosco, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giur. Comm,
2010, I, 861 ss.;
Villa, Rete di impresa e contratto plurilaterale, in Giur. Comm,
2010, I, 951 ss.
41
Giurisprudenza
Cottimo fiduciario,
trasparenza e pubblicità
Franco Botteon
CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2501
Pres. Giaccardi; Cons. Russo; Est. Taormina – Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti, Dip. Trasporti, Navigazione e Sistemi Informativi e Statistici e altri
(Avv. Gen. Stato) c. Sos Genesi Net s.r.l. (Avv. Malecchi).
Contratti della p.a. – Appalti pubblici di servizi – Procedure in economia
– Cottimo fiduciario – Mancato invito del precedente affidatario – Obbligo
di motivazione – Sussiste.
Contratti della p.a. – Appalti pubblici di servizi – Procedure in economia
– Cottimo fiduciario – Obblighi di pubblicità e trasparenza – Sussistono.
Malgrado l’art. 125, comma 11, del d.lgs. n. 163/2006 – che prevede il ricorso al
cottimo fiduciario relativamente a servizi o forniture di importo pari o superiore
a 40.000 euro – non imponga di invitare il precedente affidatario del servizio, è
tuttavia incontestabile che costituisce regola di buona amministrazione quella di
prendere atto della circostanza che, laddove quest’ultimo richieda di partecipare,
non v’è ragione alcuna che legittimi l’amministrazione a non rispondere chiarendo
le ragioni del mancato invito. (1)
Il cottimo fiduciario costituisce procedura annoverabile tra gli appalti e, specificatamente, riconducibile all’ambito delle procedure negoziate. In quanto tale ad esso
si devono applicare norme e principi classici della gara, non potendosi escludere affatto l’applicazione dei principi contrattuali generali di derivazione comunitaria:
legalità, trasparenza e parità di trattamento. (2)
DIRITTO
Omissis
2. Quanto alle decisione sul merito delle censure, come già posto in luce in sede
cautelare è il caso di ribadire quanto segue:
a) pacifica giurisprudenza (ex aliis, oltre alla decisione citata nell’ordinanza cautelare si veda T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 31 gennaio 2007, n. 256, ma anche T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 9 gennaio 2009, n. 12) prevede che “devono sempre applicarsi le regole della Comunità europea sulla concorrenza e, in particolare, gli obblighi di parità di
trattamento e di trasparenza. I principi generali del Trattato valgono anche per i contratti e le fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate; quali – oltre alla
concessione di servizi e beni pubblici – gli appalti sottosoglia e i contratti diversi dagli
appalti tali da suscitare l’interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti.”);
43
Giurisprudenza
44
3/2014
b) se la questione del rispetto dei canoni di trasparenza e pubblicità negli appalti sottosoglia è jus receptum analoghe considerazioni valgono con riguardo alla specifica procedura prescelta nel caso di specie: (ex aliis T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 29
novembre 2012, n. 512): “il cottimo fiduciario costituisce procedura annoverabile tra
gli appalti e, specificatamente, riconducibile – giusta disposizione contenuta nell’art.
3, comma 4 del 163/2006 –, nell’ambito delle procedure negoziate. In quanto tale ad
esso si devono applicare norme e principi classici della gara non potendosi escludere affatto l’applicazione dei principi generali contrattuali – legalità, trasparenza e parità di trattamento – ;
c) analoghe espresse considerazioni sono state di recente autorevolmente svolte
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato pronunciandosi su vicenda logicamente
connessa a quella per cui è causa (Cons. Stato (Ad. Plen.), 31 luglio 2012, n. 31 “i principi di pubblicità e trasparenza che governano la disciplina comunitaria e nazionale
in materia di appalti pubblici comportano che, qualora all’aggiudicazione debba procedersi col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’apertura delle buste contenenti le offerte e la verifica dei documenti in esse contenuti vadano effettuate
in seduta pubblica anche laddove si tratti di procedure negoziate, con o senza previa
predisposizione di bando di gara, e di affidamenti in economia nella forma del cottimo fiduciario, in relazione sia ai settori ordinari che ai settori speciali di rilevanza comunitaria).
Nessuna deduzione contenuta nell’appello, appare poter incidere in senso negativo su detto approdo: in particolare il richiamo alla disposizione di cui al regolamento di esecuzione al T.U. appalti, art. 331 (“Le procedure di acquisto in economia di beni e servizi non sono sottoposte agli obblighi di pubblicità e di comunicazione previsti
dall’articolo 124 del codice per gli altri appalti di servizi e forniture sotto soglia. Le stazioni appaltanti assicurano comunque che le procedure in economia avvengano nel
rispetto del principio della massima trasparenza, contemperando altresì l’efficienza
dell’azione amministrativa con i principi di parità di trattamento, non discriminazione
e concorrenza tra gli operatori economici. L’esito degli affidamenti mediante cottimo
fiduciario di cui all’articolo 334 è soggetto ad avviso di post-informazione mediante
pubblicazione sul profilo del committente.”) non contraddice quanto sinora affermato, sol che si ponga mente locale al contenuto di cui al comma II.
Inoltre la disposizione di cui all’art. 125, comma 11 del T.U. n. 163/2006 (“per servizi o forniture di importo pari o superiore a quarantamila euro e fino alle soglie di cui
al comma 9, l’affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno
cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati
sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante. Per servizi o forniture inferiori a quarantamila euro, è
consentito l’affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento”) prevede il tendenziale criterio della rotazione e non impone, è vero, di invitare il precedente affidatario del servizio; è altresì incontestabile però, che costituisce regola di buona
amministrazione quella di prendere atto della circostanza che, laddove questi richieda di partecipare non v’è ragione alcuna che legittimi l’Amministrazione a non rispondere chiarendo le ragioni del mancato invito, (foss’anche richiamando la norma di legge, in teoria).
È incontestabile ben vero che, con riferimento al cottimo fiduciario, in ipotesi di
importo inferiore a 40.000 si potrebbe optare per l’affidamento diretto; ma ove ciò
l’amministrazione non faccia, esperita la procedura negoziata, essa si deve conformare ai canoni di trasparenza e pubblicità.
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Giurisprudenza
2.1. Detti canoni sono stati del tutto violati, ed è bene sottolineare che, sino alla
fase giurisdizionale, l’appellata non conosceva nella sostanza il perché la propria richiesta di essere invitata fosse stata disattesa, né in base a quali valutazioni l’Amministrazione avesse asseritamente ritenuto di applicare il principio di rotazione in tali
termini; più radicalmente: nessuno sarebbe stato in grado di comprendere che il mancato invito dell’appellata era a ciò ascrivibile.
2.2. Sostanzialmente può quindi dirsi che: non è stata data pubblicità alla procedura, seppure ristretta nell’ambito del cottimo fiduciario (rispetto del principio di trasparenza); conseguentemente, non essendovi stato avviso, non è stato ex ante esplicitato il criterio della rotazione (dando così la possibilità a chi ne avesse interesse di
contestarlo da subito e non a gara aggiudicata, come colto dal T.A.R.); neppure il detto criterio fu esternato all’appellata in sede di risposta alla richiesta di partecipazione.
2.2.1. Ciò basterebbe a disattendere l’appello, dovendosi però per incidens osservare che l’Amministrazione non ha depositato in giudizio alcun atto dal quale comprendere se il supposto criterio di rotazione, postulante il mancato invito ai precedenti affidatari del servizio fosse stato adottato in termini generali, quali applicazioni ad altre
gare avesse avuto, ecc.
L’appellata nella propria memoria – rimasta incontestata in parte qua dalla difesa erariale – ha contestato che ciò sia mai avvenuto, ed ha anzi fornito un principio di
prova per cui, in ipotesi similari, precedenti affidatari di servizi analoghi fossero stati
invitati (e si fossero anche aggiudicati i cottimi).
Pur non potendosi approfondire il tema, e non apparendo neppure necessario farlo, pare al Collegio trovarsi al cospetto di una inammissibile integrazione postuma della motivazione e che ciò evidenzi un deficit operativo in punto di trasparenza.
2.3. Le superiori valutazioni sinora esposte, neppure confutate per il vero nell’appello (che si limita a ribadire che, avuto riguardo alle norme di legge doveva applicarsi
il criterio di rotazione e poteva non darsi luogo ad alcuna forma di pubblicità) militano
per la integrale reiezione del mezzo, con portata assorbente rispetto alle ulteriori considerazioni ivi contenute. mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente
esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Omissis
Commento
Ineccepibile l’affermazione per la quale all’operatore che offre di
fare un servizio o fornitura alla p.a. deve essere data risposta anche
negativa, merita qualche riflessione l’assunto, che sembra desumersi
dalla pronuncia in commento per la quale obblighi di pubblicità sarebbero comunque imposti dall’art. 125, comma 11, d.lgs. n. 163/2006
in base al principio di trasparenza. In sostanza, trasparenza equivarrebbe a pubblicità.
Sulla prima affermazione, ci si può limitare ad osservare, a sostegno della pronuncia, che anche il cottimo fiduciario è configurabile
come procedimento amministrativo ai sensi e per gli effetti della l. n.
241/1990, come risulta chiaramente dall’art. 2, d.lgs. n. 163/2006, che
45
Giurisprudenza
46
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al comma 3 dispone che “Per quanto non espressamente previsto nel
presente codice, le procedure di affidamento e le altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si espletano nel rispetto delle disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni” e al comma
2 statuisce che “l’affidamento deve altresì rispettare i principi di libera
concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza,
proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate
nel… codice”, collocando chiaramente “l’affidamento”, in termini sistematici, nel campo dei procedimenti amministrativi.
Il procedimento finalizzato all’affidamento è teso all’individuazione del soggetto idoneo (meglio, più idoneo) alla stipula del contratto
con la p.a. e si conclude con un provvedimento (aggiudicazione ex art.
11 d.lgs. n. 163/2006) che esprime, da un lato, la dichiarazione della
p.a. della poziorità di una certa offerta o comunque di un certo fornitore ai fini della stipula di un contratto e dell’esecuzione dello stesso (che
lo scopo concreto, sostanziale e reale del procedimento), dall’altro, la
volontà della p.a. di contrarre con il soggetto prescelto nei termini di
cui alla relativa offerta o comunque nei termini indicati nel provvedimento (la determinazione dei contenuti essenziali è requisito contenutistico essenziale del provvedimento) e al contempo di non contrarre con i competitori (se vi sono: non vi sono in caso di affidamento
diretto ex art. 125, comma 11, d.lgs. n. 163/2006).
Orbene, basterà considerare che la p.a. non può ignorare, ai fini
della decisione amministrativa finale (aggiudicazione o affidamento),
nessun documento acquisito nel procedimento o che comunque pervenga all’amministrazione e che sia chiaramente collegabile per contenuto ad un procedimento in corso.
Incorrerebbe quantomeno nel vizio di difetto di istruttoria, tradizionale sintomo di eccesso di potere ed eventualmente anche di violazione di legge, ove si consideri che l’art. 10 obbliga la p.a. a valutare
memorie e documenti presentati da intervenienti ex art. 9, che sono
tutti i soggetti che per l’appunto intervengono nel procedimento in
quanto possibili danneggiati dal provvedimento finale (nel nostro caso, fornitori non invitati che vengano comunque a sapere di un procedimento in corso per l’affidamento, possono intervenire con gli effetti dell’art. 10 facendo valere il potenziale danno dell’affidamento del
contratto ad altri fornitori, invitati).
In base all’art. 10, l. 241/1990, l’offerta o la richiesta di invito non
possono essere oggetto di una mera “presa d’atto” priva di qualsiasi
contenuto giuridico (e rasente la provocazione o la beffa) ma deve “valutare” la posizione espressa dall’interveniente fornitore non invitato.
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Giurisprudenza
Il disattendimento della sua posizione inficia sul piano della completezza dell’istruttoria il provvedimento finale.
In base ai principi di economicità ed efficienza di cui all’art. 1 l. n.
241/1990 e dell’art. 2 del d.lgs. n. 163/2006, nonché di quelli di correttezza e buona fede che governano l’azione pubblica, della manifestazione del privato non invitato occorre tener conto anche se la manifestazione stessa, ove pertinente, sia stata posta in essere prima del
formale avvio del procedimento di affidamento, risultando comunque
agli atti dell’amministrazione un documento da prendere in considerazione (ove, per l’appunto, pertinente e utile rispetto al singolo contratto).
L’aggiudicazione a soggetto diverso da quello che manifesta l’interesse risulterebbe per quanto detto viziata sotto il profilo (quantomeno) del difetto di istruttoria e di motivazione.
D’altro canto, il provvedimento di aggiudicazione al soggetto non
invitato, ove l’amministrazione si convincesse della poziorità della sua
proposta, sarebbe del tutto corretto dal momento che tale provvedimento non si basa su un incontro di volontà (ciò che avviene in contratto) e quindi non richiede, per la propria validità ed efficacia una
formale o anche semplicemente sostanziale “domanda” dell’affidatario, posto che si tratta di provvedimento d’ufficio e non, per l’appunto,
a domanda, come invece avviene in caso di provvedimenti immediatamente ampliativi come la concessione di beni, i quali producono di
per sé taluni effetti (es. pagamento canoni), che presuppongono, come elementi costitutivi dello stesso potere in concreto di provvedere,
la domanda del destinatario.
L’affidamento può dar luogo a contratto se l’affidatario vi addiviene ma di per sé non produce effetti vincolanti per le parti (v. art. 11,
comma 9, d.lgs. n. 163/2006) bensì solo prodromici rispetto all’esito
sostanziale di interesse che è la stipula del contratto.
Per pervenire all’affermazione dell’obbligo di “considerazione” della posizione del privato che assume l’iniziativa di partecipare ad un
procedimento nel quale non era coinvolto, con connesso obbligo di
espressa motivazione dell’eventuale rigetto della manifestazione di interesse, non occorre nemmeno chiedersi se la manifestazione di interesse integri un’istanza che produca l’obbligo di provvedere ai sensi
dell’art. 2 della l. n. 241/1990: comunque l’amministrazione non può
ignorarla per quanto detto, come elemento di cui deve tener conto
quantomeno sul piano istruttorio e motivazionale.
I principi di correttezza, buona fede, efficacia ed efficienza impongono poi all’amministrazione di chiedere una definizione dell’offerta
se la manifestazione è solo preliminare. L’art. 1375 c.c., applicabile al
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Giurisprudenza
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procedimento amministrativo come declinazione del predetto principio di buona fede, che è unico nell’ordinamento, obbliga l’amministrazione a tutto quanto la buona fede comporta e quindi anche l’operazione attiva del coinvolgimento del privato che manifesti l’interesse.
Per non prendere in considerazione “fino in fondo” (e cioè fino
all’acquisizione di un’offerta specifica nell’ambito di un procedimento di affidamento di un contratto), una manifestazione di interesse (e
tanto più un’offerta definitiva), in primo luogo occorre “dirlo” espressamente, e cioè spiegare, ai sensi dell’art. 3, l. n. 241/1990, perché non
si ritiene di considerare la posizione dell’interessato, e in secondo luogo, occorre spiegarlo in relazione a principi di pari grado rispetto a
quelli del soggetto che ha manifestato l’interesse a formulare la propria offerta (o che l’ha formulata).
Ad esempio, potrà essere dedotto il fatto che sono pervenute troppe
manifestazioni di interesse, cosicché per il principio di efficienza non
è possibile l’esame di tutte le manifestazioni di interesse, e cioè quella
di chi si lamenta del disattendimento e le altre.
Quanto al principio di rotazione, va rilevato che esso è testualmente valorizzato in relazione agli affidamenti di contratti di valore pari o
superiore a 40.000 euro (v. art. 125, comma 11, primo periodo, d.lgs.
n. 163/2006), e che comunque la sua invocazione a fondamento della mancata considerazione di un’offerta o manifestazione di interesse non potrà, come risulta avvenuto nel caso esaminato dalla sentenza in commento, essere limitato, nello stesso lasso di tempo ad alcuni
affidamenti e non altri in corso di adozione. Il predetto principio non
può inoltre far scegliere offerte palesemente deteriori rispetto a quella del soggetto già affidatario, essendo comunque prevalente l’interesse pubblico alla prestazione più efficace ed efficiente, laddove la precedente esperienza positiva costituisce elemento favorevole rispetto al
principio di efficacia ed efficienza e non pregiudizievole.
D’altro canto, si sta parlando non di mera tutela dell’interesse (legittimo) di un soggetto ma dell’interesse pubblico primario nei procedimenti di affidamento di contratti dell’economicità ed efficienza, canonizzati dall’art. 2, d.lgs. n. 163/2006, che impongono alla p.a. il massimo
confronto, senza parlare comunque del valore della concorrenza, di certo operante anche sotto soglia e in particolare sotto la soglia dei 40.000
euro, come interesse delle imprese e della stessa collettività all’estensione della platea degli operatori economici coinvolti dalla p.a.
Anche altri principi depongono nel senso dell’obbligo della “valutazione” della posizione del soggetto che, non invitato, “si fa vivo” con
l’amministrazione ai fini di un eventuale affidamento, anche se la sua
posizione, rispetto ad esempio al principio di rotazione, porti ad una
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Giurisprudenza
esclusione dell’affidamento: il principio di parità di trattamento, positivamente statuito dall’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 163/2006, impone
di trattare allo stesso modo soggetti che hanno manifestato uguale interesse all’affidamento, laddove invece quelli che se ne sono disinteressati (o perché, pur a conoscenza dell’intenzione della p.a. o della
sua necessità di affidare contratti routinari, non hanno manifestato la
propria disponibilità, o perché non a conoscenza di tale esigenza della
p.a., il che chiama in gioco le regole della “pubblicità” di cui si parlerà
subito) non possono essere messi sullo stesso piano (e quindi correttamente ignorati) di coloro che invece si sono attivati e hanno messo a
disposizione della p.a. il proprio apporto.
In ordine alla seconda affermazione (necessità della pubblicazione
della “procedura”), si rileva, in primo luogo, che la pronuncia chiama
in gioco una disposizione – quella che impone il rispetto del principio
di trasparenza – che testualmente non si applica agli affidamenti specificamente considerati dalla pronuncia (contratti sotto 40.000 euro),
essendo – come già accennato – riferita ai contratti di valore pari o superiore a 40.000 euro.
In secondo luogo, e soprattutto, occorre notare che il principio di
trasparenza non coincide affatto con quello di pubblicità nel senso che
trasparenza non vuol dire in ogni caso pubblicità dell’azione amministrativa.
Trasparenza è concetto che sottolinea una posizione passiva della p.a.: la p.a. è aperta, permeabile, per l’appunto trasparente rispetto a qualsiasi iniziativa dei terzi interessati a capire cosa si muove o si
è mosso all’interno della p.a. medesima. Implica quindi, normalmente, un’iniziativa del terzo, che si attiva per conoscere comportamenti e
atti della p.a.
La pubblicità implica invece un’iniziativa o comportamento attivo
della p.a. medesima, la quale deve “anticipare” l’azione dell’interessato informandolo in forme di volta in volta stabilite dalla legge o determinate in modo appropriato e proporzionato, secondo i canoni generali dell’azione della p.a. medesima e quelli dell’attività contrattuale
(v. artt. 1, l. n. 241/1990; art. 2, d.lgs. n. 163/2006), per i quali principi,
a fronte dell’assenza di specifiche previsioni di legge, presenti invece
per la gran parte degli affidamenti (v. artt. 63 e ss. d.lgs. n. 163/2006), la
pubblicità deve essere per l’appunto proporzionata all’ambito di operatori economici potenzialmente interessati e non deve assumere le
stesse forme previste per le procedure più garantite a pena della violazione anche del principio di efficienza ed economicità.
È in ogni caso, la legge a stabilire la netta distinzione tra trasparenza e pubblicità.
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Giurisprudenza
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L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 163/2006 statuisce: “l’affidamento deve
altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di
pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”.
Orbene, sia che si riferisca la specificazione “con le modalità indicate nel presente codice” all’attuazione del solo principio di “pubblicità”
(come invero si ritiene, posto che, come già accennato, il concetto di
“pubblicità” evoca comportamenti materiali ai quali risulta pertinente l’espressione “modalità”, laddove tale espressione è di meno chiaro
e stretto collegamento con concetti molto eterei ed astratti quali “parità di trattamento”, proporzionalità, non discriminazione, chiamati in
gioco dalla disposizione; limitare del resto le forme di attuazione di tali principi alle “modalità indicate nel… codice” appare del resto una
contraddizione con la funzione di “respiro” di tali principi, i quali per
necessità vanno oltre le disposizioni puntuali di un testo normativo),
sia che la specificazione stessa si applichi a tutti i principi enucleati,
quel che è certo è che “trasparenza” è testualmente concetto distinto
(e giustamente) da quello di “pubblicità”.
Con riguardo al cottimo, sia per contratti di valore pari o sopra la soglia di 40.000 euro, sia sotto tale limite, quanto appena sopra osservato
vuol dire in concreto che il principio di trasparenza, non a caso enunciato espressamente nel primo periodo del comma in rilievo (comma
11 dell’art. 125) a differenza di quello di pubblicità, non menzionato
nella disposizione (v. si parla “solo” di “rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento”), non comporta un’iniziativa
di pubblicizzazione preventiva (quantomeno rispetto all’atto di aggiudicazione) della volontà di affidare i contratti oggetto della norma (art.
125, comma 11) rivolta alla collettività indeterminata (più o meno ampia, come sottolineato sopra), traducendosi al contrario, la trasparenza menzionata dalla sentenza, nella suscettibilità (ovvia) dell’azione
amministrativa all’accesso di qualsiasi soggetto interessato nei termini
di cui agli artt. 13 e 79 d.lgs. n. 163/2006. A tutto concedere, la “pubblicità” è assicurata con la modalità dell’interpello di almeno cinque operatori, prevista dal primo periodo del comma 11 per contratti pari o sopra 40.000 euro di valore. Sotto tale limite, la norma non richiede nulla,
nemmeno l’indagine di mercato, che è una operazione che può rimanere interna alla p.a. potendosi tradurre in una consultazione di pagine internet, e che peraltro è prevista testualmente, ancora una volta
solo per i contratti da 40.000 euro di valore in su: “Per servizi o forniture inferiori a quarantamila euro, è consentito l’affidamento diretto da
parte del responsabile del procedimento”, disposizione autosufficiente
rispetto a quella immediatamente precedente e relativa a contratti di
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Giurisprudenza
valore superiore (in relazione ai quali si parla di “indagine di mercato”
funzionale alla individuazione dei cinque operatori e alternativa alla
formazione di elenchi).
La disposizione relativa ai contratti sotto 40.000 euro di valore può
ritenersi integrata necessariamente da quella relativa all’obbligo di efficacia ed efficienza delle procedure di affidamento di contratti, con la
conseguenza che, nei singoli casi, è opportuna l’acquisizione di una
pluralità di “preventivi”, ossia di offerte contrattuali, ma la disposizione
è invero chiara nel ritenere che il confronto non sia necessario.
D’altro canto, la norma va ora coordinata con l’obbligo delle amministrazioni di utilizzare i sistemi di mercato elettronico forniti dai soggetti abilitati (es. Consip, che ha istituito il Mepa), l’utilizzo dei quali
integra di per sé una forma di trasparenza e “tracciabilità” della scelta,
cosicché anche la formulazione di una richiesta di offerta (RDO) ad un
solo operatore rinvenuto in Mepa soddisfa appieno tutti i principi e le
disposizioni del codice.
Ove i prodotti e gli operatori presenti in Mepa (o altra idonea piattaforma) non siano adeguati alle esigenze della p.a., quest’ultima potrà
avvalersi del mercato tradizionale nella forme appena descritte (senza
confronto necessario).
Appare conclusivamente corretta l’azione della p.a. che affida motivatamente (spiegando la bontà dell’offerta, in ossequio al disposto
dell’art. 3, l. n. 241/1990, operante anche in materia di contratti ex art.
2, comma 2, d.lgs. n. 163/2006) ad un operatore un contratto senza
previo esperimento di alcun confronto.
Vero è che sul piano della opportunità, che incide eventualmente
sulla responsabilità amministrativa del funzionario anziché sul piano della legittimità del singolo atto di affidamento, è da auspicare una
consultazione (in Mepa se ci sono prodotti e produttori pertinenti o
nel mercato tradizionale) di una proporzionata pluralità di proposte.
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Giurisprudenza
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Società in house
e partecipazione a gare
d’appalto indette
da soggetti terzi
Katia Maretto
CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 25 marzo 2014, n. 2362
Pres. Severini; Est. De Michele – Iniziative Venete soc. coop ed Eco Cel s.r.l. (Avv.
ti Marchi e Reggio D’Aci) c. Fondazione La Biennale di Venezia (Avv. Biagini) e
Open Service s.r.l. (Avv. Pettinelli), Veritas s.p.a. (Avv. Zambelli).
Contratti della p.a. – Appalti pubblici di servizi – Gara – Aggiudicazione a
società in house interamente partecipata da comuni, nonché affidataria
diretta di servizi – Illegittimità.
L’art. 13 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto
2006, n. 248, impone l’obbligo per le società in house di operare con gli enti partecipanti o affidanti disponendo una preclusione generale a carico delle stesse (che
esercitino o meno un servizio pubblico locale) a partecipare a gare indette da terzi e
ciò al fine di assicurare il corretto funzionamento del mercato nella nevralgica fase
concorrenziale, a protezione dei principi di libera concorrenza, di par condicio e di
libertà dell’iniziativa economica. (1)
52
DIRITTO
Omissis
Nel merito, quindi, fondatamente l’appellante invoca la prioritaria disamina della questione di legittimità dell’ammissione del raggruppamento controinteressato alla
gara. Non solo, infatti, tale questione si pone in rapporto di priorità logica rispetto alle
altre questioni – attenendo a una fase antecedente a quella di valutazione delle offerte – ma deve anche ammettersi, secondo il più recente indirizzo in precedenza ricordato, che il principio dispositivo, cui risponde il processo amministrativo, consenta alle parti di operare una gradazione fra le domande, imponendo il carattere prioritario
ed assorbente di quella che assicuri nel modo più soddisfacente, in rapporto agli interessi dedotti in giudizio, l’effettività della tutela richiesta, quale principio rilevante anche a livello comunitario.
Nella prospettiva indicata, il Collegio ritiene fondata ed assorbente la censura di
violazione dell’art. 13 (Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza) del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni ur-
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Giurisprudenza
genti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione
della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
Non è contestato, infatti, che la società Veritas sia una società pubblica in house,
costituita ai sensi dell’art. 113 (sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali) del
d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), integralmente partecipata da diversi comuni della regione Veneto, tra cui Venezia
(dove ha sede la Fondazione La Biennale), nonché affidataria diretta di servizi, analoghi a quelli attualmente in esame a favore dei propri soci. L’oggetto sociale della stessa, a norma dell’art. 2 del relativo statuto, concerne attività relative a servizi pubblici
locali, con obbligo di realizzare e gestire la parte prevalente della propria attività con
gli enti locali associati.
Per società di tal genere il citato art. 13, comma 1 (come modificato prima dall’art.
18, comma 4-septies, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, aggiunto dalla relativa legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2; e poi dall’art. 48, comma 1, l. 23 luglio 2009, n. 99), del
d.l. n. 223 del 2006 impone l’obbligo di “operare con gli enti partecipanti o affidanti” e
la preclusione a “svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in
affidamento diretto né con gara”.
Attraverso le predette limitazioni la norma intende evitare – in conformità ai principi comunitari – la distorsione della concorrenza che si determinerebbe in caso di
partecipazione alle gare, indette da altri soggetti pubblici o privati, di soggetti già affidatari diretti di servizi pubblici locali, che non entrerebbero nel mercato “ad armi pari”, rispetto ad altri comuni operatori del settore.
Le appellate tuttavia (tra cui la Veritas s.p.a.), sottolineano che la preclusione normativa non si estende, esplicitamente, ai servizi pubblici locali (da intendere – ai sensi
dell’art. 112 del d.lgs. n. 267 del 2000 – quali “servizi pubblici che abbiano per oggetto
produzioni di beni ed attività, rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”).
Secondo le medesime parti appellate, inoltre, gli enti locali, in quanto enti a fini generali, potrebbero autonomamente decidere quali attività di produzione di beni e di
servizi possano assumersi come doverose, purché genericamente rivolte a realizzare
fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità locale di riferimento (cfr. Cons. Stato, VI, 22 novembre 2013, n. 5532; Cons. St., sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6131). Di tale natura sarebbe il servizio oggetto di gara nel caso di specie,
che risulterebbe, pertanto, escluso dal divieto di partecipazione alla gara di cui trattasi.
Il Collegio non condivide tale prospettazione.
Il ricordato art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, infatti, è previsione di complessa formulazione, il cui contenuto precettivo va rilevato anche sotto il profilo dell’adeguatezza
costituzionale e comunitaria.
La disposizione esordisce, al comma 1, enunciando la finalità “di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale”: ragione fondante della norma è dunque quella non di limitare la concorrenza, ma di regolarla preventivamente, per evitare che nel mercato si
creino – squilibrando a priori le corrette condizioni competitive – surrettizie posizioni
di giuridico privilegio delle società pubbliche rispetto a quelle private.
L’art. 13, comma 2, del più volte citato d.l. n. 223 del 2005 dispone, a sua volta, che:
“Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in
violazione delle regole di cui al comma 1”.
La normativa in esame, dunque, introduce una preclusione generale a carico di
tutte le società in house (che esercitino o meno un servizio pubblico locale) a parteci-
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Giurisprudenza
54
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pare a gare indette da terzi, per assicurare il corretto funzionamento del mercato nella
nevralgica fase concorrenziale, a protezione dei principi di libera concorrenza, di par
condicio e di libertà dell’iniziativa economica (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2012,
n. 3668 e 3 giugno 2013, n. 3022, che estende il divieto alle c.d. società di “terzo grado”
o di “terza generazione”, cioè partecipate dalle partecipate).
Le società partecipate da enti locali a capitale pubblico o misto, per produrre servizi strumentali all’attività di quegli enti, debbono quindi operare solo con gli enti costituenti o partecipanti, senza svolgere prestazioni per altri soggetti pubblici o privati,
né con gara né per affidamento diretto, con esclusione dei servizi pubblici locali per i
quali sono state costituite.
I predetti servizi potrebbero, di conseguenza, essere svolti anche a favore di soggetti diversi da quelli “costituenti, partecipanti o affidanti”, sempre però che si tratti di
soggetti erogatori degli stessi, quali sono, appunto, i Comuni, ma non anche – come
più avanti meglio chiarito – la Fondazione Biennale di Venezia (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
15 marzo 2008, n. 946; sez. V, 7 luglio 2009, n. 4346, 5 marzo 2010, n. 1282, 10 settembre
2010, n. 6527, 1 aprile 2011, n. 2012).
Debbono essere prioritariamente considerati, pertanto, gli scopi per cui le cosiddette società in house vengono costituite, ovvero per compiere a favore dell’ente socio,
con affidamento diretto, attività strumentali a quelle di spettanza dell’ente stesso, che
viene in tal modo ad avvalersi per tali attività di propri organismi, senza necessità di
ricorrere al mercato concorrenziale (Corte di Giustizia, 18 novembre 1999, C-107/98,
Teckal e 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle).
Viene quindi compiuta da tali società, sostanzialmente, un’attività amministrativa in forma privatistica, da non confondere con l’attività di impresa svolta da enti pubblici, in regime di concorrenza: si pone solo nel primo caso infatti l’esigenza di non
consentire che un soggetto – in posizione giuridica tale da godere delle prerogative
proprie di una pubblica amministrazione – possa svolgere al tempo stesso attività imprenditoriale (cfr. Corte cost., 1 agosto 2008, n. 326 e Cons. Stato, Ad. plen., 4 agosto
2011, n. 17).
Si deve aggiungere che, nel rispetto al principio di legalità, solo una norma primaria può identificare un’attività come servizio pubblico locale: Cons. giust. am. sic.,
6 ottobre 2010, n. 1266; Cons. Stato, sez. VI, 5 aprile 2012, n. 2021; 13 settembre 2012,
n. 4870, secondo cui “per identificare giuridicamente un servizio pubblico, non è indispensabile, a livello soggettivo, la natura pubblica del gestore, mentre è necessaria
la vigenza di una previsione legislativa che, alternativamente, ne preveda l’istituzione
e la relativa disciplina, oppure che ne rimetta l’istituzione e l’organizzazione all’Amministrazione”. Sono del resto evidenti i pericoli di abuso e di disparità territoriale cui
una diversa opinione potrebbe dar luogo, in spregio non solo al principio di legalità,
ma anche ai principi di eguaglianza e di parità di trattamento, come prescritti e intesi
anche livello comunitario.
Nella situazione in esame vengono in evidenza due circostanze: la società Veritas
era interamente partecipata da enti pubblici locali ed il servizio oggetto di gara era richiesto dalla Fondazione Biennale di Venezia, così denominata a norma dell’art. 1 del
d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 1 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 19 concernente “La Biennale di Venezia”, ai sensi dell’articolo 1 della legge 6
luglio 2002, n. 137). Detta norma, riformando il precedente ente autonomo, ha testualmente attribuito allo stesso (art. 2) “personalità giuridica di diritto privato”, ma con gestione finanziaria sottoposta – data l’importanza delle funzioni espositive assegnate
(afferenti ad una tra le principali rassegne internazionali d’arte contemporanea) – al
controllo della Corte dei conti (art. 16), con prevalenza nel consiglio di amministrazio-
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Giurisprudenza
ne – nominato dal Ministro per i beni e le attività culturali – di esponenti del Comune
di Venezia e della Provincia di Venezia, nonché della Regione Veneto (art. 9).
Dal punto di vista soggettivo, la Fondazione può dunque qualificarsi come organismo di diritto pubblico, ovvero come amministrazione aggiudicatrice – ai sensi
dell’art. 3, commi 25 e 26, del d.lgs. n. 163 del 2006 – tenuto conto della ricorrenza in
essa dei requisiti al riguardo comunemente richiesti (a partire dalla sentenza Corte di
Giustizia, 10 novembre 1998, C-360/96), e così sintetizzabili: I) finalità di interesse generale, a carattere non industriale o commerciale, II) personalità giuridica, III) attività finanziata in via maggioritaria dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, “oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi
ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri, dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico” (sul carattere cumulativo di detti requisiti, salvo il carattere alternativo di quelli di cui al punto III, Cass., ss.uu., 7 aprile
2010, n. 8225).
La medesima Fondazione, in ogni caso, non è dalla legge che la regola (e che ne
stabilisce gli specifici scopi: art. 3 d.lgs. n. 19 del 1998, come mod. dall’art. 3 d.lgs. n. 1
del 2004) legittimata allo svolgimento di attività di servizio pubblico locale. Essa peraltro può, in base al criterio della strumentalità, fornire al pubblico altri servizi, purché
complementari agli eventi culturali che organizza e solo per la più agevole fruizione di
questi ultimi (non, quindi, come servizi destinati alla utilizzazione pubblica territoriale). Nell’ottica sopra indicata deve inquadrarsi il servizio di pulizia e attività connesse,
che è oggetto del presente giudizio.
Per la scelta dei soggetti cui affidare dette attività complementari, la rammentata
natura dell’ente quale organismo di diritto pubblico imponeva di ricorrere, nel caso di
specie, a procedure ad evidenza pubblica, a norma del citato d.lgs. n. 163 del 2006 e da
tale procedura, in base alla disposizione legislativa ed ai principi in precedenza richiamati, erano escluse la società in house di altre amministrazioni pubbliche.
Non appaiono idonee a confutare tale conclusione le controdeduzioni di Veritas
s.p.a. Quest’ultima sottolinea sia il carattere di servizio pubblico locale delle prestazioni richieste per la gara di appalto in esame (in quanto destinate alla collettività degli
utenti), sia la propria abilitazione a svolgere (oltre all’attività propriamente in house)
anche attività di diritto comune a beneficio di terzi privati, in regime di concorrenza,
con conseguente assenza – a detta della stessa – del carattere di società ad “oggetto sociale esclusivo”, come prescritto dall’art. 13, comma 2, per le società di cui al comma 1
della normativa in esame.
Si deve ribadire tuttavia, sotto il primo profilo, che non si tratta nella specie di un
servizio pubblico locale: detto servizio è infatti rivolto a una platea indifferenziata di
fruitori, per il soddisfacimento di bisogni diretti della collettività rimessi alla cura del
relativo ente esponenziale, mentre diverse – e propriamente culturali – sono le finalità
perseguite dalla Fondazione Biennale di Venezia. Solo in funzione delle proprie finalità istituzionali – e con le modalità prescritte per gli organismi di diritto pubblico – detta Fondazione può organizzare servizi accessori e strumentali (come quello di pulizia
e connessi) rispetto alle esposizioni programmate, come avvenuto nel caso di specie.
Quanto all’“oggetto sociale esclusivo”, non risulta smentito che Veritas sia una società a capitale interamente pubblico, costituito da diversi comuni veneti, né che la
stessa sia affidataria diretta di servizi pubblici, dal contenuto analogo a quello oggetto
della gara in esame, a favore degli enti locali soci, con allegazione dell’effettività di tali
servizi per comprovare la relativa, contestata capacità economico-finanziaria. La previsione statutaria, concernente la possibilità di fornire servizi anche a soggetti privati
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Giurisprudenza
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(non tenuti ad applicare le procedure ad evidenza pubblica), non appare circostanza
sufficiente ed idonea ad escludere l’applicazione dell’art. 13, comma 1, del d.l. n. 223
del 2006, la cui ratio è stata in precedenza illustrata.
Trattandosi di valutare un requisito di capacità piuttosto che di oggetto sociale, infatti, va rammentato che non è lo statuto a stabilire la latitudine della legittimazione
alle gare pubbliche di una persona giuridica, ma la sua effettiva configurazione correlata alle previsioni di legge.
La disposizione dell’art. 13, comma 2, secondo cui le società non ammesse alle gare sono quelle che hanno “oggetto sociale esclusivo”, non significa che le società multiutilities siano automaticamente escluse dal divieto in questione [e che dunque siano legittimate a partecipare a gare indette da terze amministrazioni]; la locuzione va
infatti riferita non alle attività nominalmente enunciate nell’oggetto sociale, ma all’effettivo rapporto instaurato con gli enti locali di riferimento: tale rapporto, se esclusivo, viene oggettivamente a ridurre l’ambito delle attività e non consente proiezioni
extra ambito; anche le società di tal tipo, se integralmente partecipate da enti locali, essendo qualificabili come società strumentali, debbono rivolgere la propria attività in via esclusiva a favore di tali enti, tenuto conto delle ragioni che hanno indotto
ad escludere dalle procedure ad evidenza pubblica le società, che possano considerarsi una derivazione, o una longa manus, dell’ente o degli enti pubblici controllanti,
dato il rapporto di strumentalità fra le attività delle imprese in questione e le esigenze di interesse generale che detti enti sono tenuti a soddisfare (Cons. St., sez. V, 3 giugno 2013, n. 3022, cit).
È vero che, in alcuni casi, è stata giustificata la partecipazione a procedure di gara
di imprese che fornivano anche servizi ad enti locali, partecipanti all’assetto societario: ma – occorre osservare – con prioritario riferimento a società a partecipazione mista, che avevano in qualche modo differenziato l’attività svolta per le amministrazioni partecipanti da quella strettamente imprenditoriale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 17
del 2011 cit.; sez. V, 7 luglio 2009, n. 4346), restando precluso l’accesso all’affidamento
diretto di società che non presentassero tutti i requisiti della situazione in house, sotto il profilo sia dell’assetto proprietario che dei controlli (Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1).
Non può quindi ritenersi configurabile, riguardo a una medesima società, la contemporanea sussistenza della legittimazione a ricevere l’affidamento diretto di servizi pubblici e della legittimazione ad agire in ambito concorrenziale, con i particolari
vantaggi derivanti da detto affidamento e conseguente elusione dei principi di effettività della concorrenza tutelati dalla normativa in esame (normativa finalizzata, come
già ricordato, ad evitare alterazioni o distorsioni del mercato, nonché ad assicurare la
parità degli operatori sul territorio nazionale).
Deve ritenersi, pertanto, che la preclusione imposta dall’art. 13, comma 1 della
norma in esame sussistesse nel caso di specie, avendo il secondo comma della stessa
carattere ulteriormente prescrittivo, indirizzato a porre in termini alternativi la possibilità delle società costituite dagli enti locali di ottenere affidamenti diretti, o di avere
oggetto sociale non esclusivo.
Ad avviso del Collegio, in altre parole, quando sia di fatto riscontrabile la presenza di affidamenti diretti – tali da porre le società interessate in condizioni di non parità
con altri operatori del settore, nei termini in precedenza evidenziati – l’eventuale non
esclusività dell’oggetto sociale, ove delineata nello statuto, recede e deve essere disattesa rispetto alla limitazione legale di legittimazione in precedenza indicata: diversamente opinando, le società in house potrebbero facilmente aggirare ogni restrizione
imposta, con vanificazione delle regole dettate a tutela della concorrenza.
3/2014
Giurisprudenza
Anche per quanto concerne il profilo oggettivo, poi, non solo mancava una norma primaria, che prevedesse il servizio pubblico locale in questione, ma la stessa rammentata limitazione delle finalità della Fondazione precludeva alla stessa di svolgere
un’attività di servizio pubblico locale.
Nel caso di specie, conclusivamente, il Collegio ritiene che non sussistessero le
condizioni di partecipazione alla gara della società Veritas.
Omissis
Commento
Con la sentenza in commento la VI Sezione del Consiglio di Stato è tornata ad occuparsi dei limiti all’operatività delle società in house, traendo spunto dalla complessa formulazione dell’art. 13 del d.l.
n. 223/2006. Precisano i giudici di Palazzo Spada che l’art. 13 del d.l.
n. 223/2006 introduce una preclusione generale a carico delle società
in house (che esercitino o meno un servizio pubblico locale) a partecipare a gare indette da terzi, per assicurare il corretto funzionamento del mercato nella nevralgica fase concorrenziale, a protezione dei
principi di libera concorrenza, di par condicio e di libertà dell’iniziativa economica. Tali società debbono pertanto operare solo con gli enti
costituenti o partecipanti, senza svolgere prestazioni per altri soggetti
pubblici o privati, né con gara né per affidamento diretto.
Con la pronuncia in commento i giudici di Palazzo Spada evidenziano che, attraverso le predette limitazioni, la norma intende evitare
– in conformità ai principi comunitari – la distorsione della concorrenza che si determinerebbe in caso di partecipazione alle gare, indette da
altri soggetti pubblici o privati, di soggetti già affidatari diretti di servizi
pubblici locali, che non entrerebbe nel mercato “ad armi pari”, rispetto
ad altri comuni operatori del settore.
Si descrivono brevemente i fatti che hanno condotto alla pronuncia in esame.
Con sentenza del T.A.R. Veneto, sez. I, n. 646/2013 veniva accolto il
ricorso promosso dalle società Iniziative Venete soc. coop ed Eco Cel
srl avverso l’affidamento dell’appalto per servizi di pulizia e presidio
delle toilettes, comprensivo di noleggio di wc chimici, per le manifestazioni organizzate dalla Fodazione La Biennale di Venezia nel biennio 2012-2013, aggiudicato a favore di una società in house, ossia al
raggruppamento temporaneo fra la Veritas s.p.a. e la Open Service s.r.l.
Avverso la detta pronuncia proponevano appello le stesse società ricorrenti per vari motivi tra cui ingiustizia manifesta, non essendo
stata rilevata la fondatezza di alcuni motivi di gravame proposti in via
principale dalla ricorrente, motivi che avrebbero imposto l’estromissione di RTI Open Service – Veritas dalla procedura di gara, in quan-
57
Giurisprudenza
3/2014
to la partecipazione di quest’ultima, trattandosi di società pubblica in
house, sarebbe stata fonte di alterazione della concorrenza.
Sulla qualificazione delle società in house, il Consiglio di Stato rileva che si tratta di società che vengono costituite “per compiere a favore dell’ente socio, con affidamento diretto, attività strumentali a quelle di spettanza dell’ente stesso, che viene in tal modo ad avvalersi per
tali attività di propri organismi, senza necessità di ricorrere al mercato
concorrenziale (Corte di Giustizia, 18 novembre 1999, C 107/98, Teckal
e 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Hall) e che svolgono, sostanzialmente, un’attività amministrativa in forma privatistica, da non confondere
con l’attività di impresa svolta da enti pubblici, in regime di concorrenza.
Ritiene il Collegio che non è assolutamente in discussione che la
società Veritas sia una società pubblica in house (1), costituita ai sensi dell’art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, conseguentemente per
tali società valgono le preclusioni di cui all’art. 13, comma 1 del d.l.
223/2006, ossia l’obbligo di operare con gli enti partecipanti o affidanti
e la preclusione a svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici
o privati, né in affidamento diretto né con gara.
Con proposizione di appello incidentale la società Veritas e Open
Service prospettavano l’inapplicabilità della preclusione normativa, di
cui al citato art. 13, comma 2, del d.l. n. 223/2006, considerato il carattere di servizio pubblico locale delle prestazioni richieste per la gara di
appalto in esame, nonché l’abilitazione della società Veritas spa a svolgere (oltre all’attività propriamente in house) anche attività di diritto
comune a beneficio di terzi, in regime di concorrenza, con conseguente assenza del carattere di società ad “oggetto sociale esclusivo”.
I giudici con la sentenza in esame precisano che la previsione statutaria contenuta nello statuto della società appellante, concernente la
possibilità di fornire servizi anche a soggetti privati (non tenuti ad applicare le procedure ad evidenzia pubblica), non appare circostanza
sufficiente ed idonea ad escludere l’applicazione dell’art. 13, comma
1, del d.l. n. 223/2006. A giudizio del Consiglio di Stato, non è quindi lo
statuto a stabilire la latitudine della legittimazione alle gare pubbliche
58
(1) Con specifico riferimento all’in house per aversi detto affidamento occorrono alcune condizioni, già evidenziate nella nota “sentenza Teckal” (Corte di Giustizia, sentenza 18 novembre
1999, causa C-107/98, Teckal) e successivamente richiamate dalla giurisprudenziale comunitaria Corte di giustizia europea, sez. V, sentenza 8 maggio 2014, C-15/13 e nazionale Cons. Stato, Ad
Plenaria, 3 marzo 2008; Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2009, n. 591; Corte Cost., 28 marzo 2013, n.
50; Corte Cass., sez. unite civili, 25 novembre 2013, n. 26893: a) presenza di capitale interamente
pubblico; b) svolgimento dell’attività prevalentemente con i soci pubblici affidanti; c) esercizio
da parte dei soci, nei confronti del soggetto stesso, di un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi. Recentemente tali condizioni sono state ribadite e tradotte in norma con alcune
novità dall’art. 12 della Direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE).
3/2014
Giurisprudenza
di una persona giuridica, ma la sua effettiva configurazione correlata
alla previsione di legge.
Avuto riguardo invece all’invocata qualificazione del servizio pubblico locale, il Consiglio di Stato ha ribadito che “nel rispetto al principio di
legalità, solo una norma primaria può identificare un’attività come servizio pubblico locale e, nel caso in esame, la medesima Fondazione non
è dalla legge che la regola (e che ne stabilisce gli scopi specifici: art. 3,
d.lgs. n. 19 del 1998, come mod. dall’art. 3, d.lgs. n. 1 del 2004) legittimata allo svolgimento di attività di servizio pubblico locale”.
Da un punto di vista soggettivo il Consiglio di Stato rileva inoltre
che la Fondazione è dotata di “personalità giuridica di diritto privato”,
ma con gestione finanziaria sottoposta al controllo della Corte dei conti con prevalenza nel consiglio di amministrazione di esponenti del
Comune di Venezia e della Provincia di Venezia, nonché della Regione
Veneto e pertanto può qualificarsi come organismo di diritto pubblico,
ovvero come amministrazione aggiudicataria ai sensi dell’art. 3, commi 25 e 26, del d.lgs. n. 163/2006.
Nella situazione in oggetto vengono pertanto in esame due circostanze: la società in house, aggiudicataria del servizio integrato di
pulizie e presidio alle toilette, per le manifestazioni organizzate dalla
fondazione La Biennale di Venezia nel biennio 2012-2013, era interamente partecipata da enti pubblici locali ed il servizio oggetto di gara
era richiesto dalla Fondazione Biennale di Venezia non legittimata allo svolgimento di attività di servizio pubblico locale.
Precisano inoltre che la stessa può in base al criterio della strumentalità, fornire al pubblico altri servizi, purché complementari agli eventi
culturali che organizza e solo per la più agevole fruizione di quest’ultimi,
ma la rammentata natura dell’ente quale organismo di diritto pubblico imponeva di ricorrere, nel caso di specie, a procedure ad evidenzia
pubblica, a norma del citato d.lgs. n. 163/2006 e da tale procedura sono
escluse la società in house di altre amministrazioni pubbliche.
Concludendo, con la pronuncia in rassegna il Consiglio di Stato richiamando ancora una volta il diritto europeo rileva che la Fondazione Biennale di Venezia quale organismo di diritto pubblico non può
affidare i servizi di pulizia e presidio delle toilettes, comprensivo di noleggio di wc chimici, per le manifestazioni organizzate dalla fondazione ad una società in house, pur partecipata dal Comune di Venezia e che qualora si accedesse ad una diversa opinione da quella sopra
esposta, si potrebbero registrare pericoli di abuso e di disparità territoriali, in spregio non solo al principio di legalità, ma anche ai principi di
eguaglianza e di parità di trattamento, come prescritti e intesi anche a
livello comunitario.
59
Giurisprudenza
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L’ulteriore irrigidimento
dell’onere dichiarativo
alla vigilia dell’introduzione
del principio della
“semplificazione degli oneri
formali” di cui all’articolo 39
del d.l. n. 90/2014
Francesco Caliandro
CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 29 maggio 2014, n. 2778
Pres. F.F. Branca; Rel. Aureli – Ditta Marcelli di Marcelli Alessandro (Avv.ti Sperduti e Takanen) c. Ministero della Difesa (Avv. Gen. St.) e Arimar s.p.a. (n.c.).
Contratti della p.a. – Appalti pubblici – Gara – Requisiti di partecipazione
– Omissione dichiarazioni specifiche – Attinenza a requisiti sostanziali di
partecipazione – Comporta l’esclusione pur in assenza di espressa previsione del bando di gara.
Deve essere esclusa da una gara d’appalto un’impresa che ha omesso di presentare
una dichiarazione attestante il possesso di alcuni requisiti di partecipazione, anche se
nel bando di gara non esisteva un’espressa comminatoria di esclusione concernente
la predetta omissione dichiarativa e anche se l’impresa risultava in possesso dei requisiti in questione (in applicazione di questo principio è stata giudicata meritevole
di esclusione un’impresa che ha genericamente dichiarato l’insussistenza nei propri
confronti delle cause di esclusione dell’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, ma ha omesso di
rendere delle dichiarazioni specifiche concernenti l’insussistenza delle cause di esclusione di cui alle lettere m-ter ed m-quater del primo comma del citato articolo 38). (1)
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FATTO e DIRITTO
Veniva pubblicato in data 11 giugno 2010 il bando di gara G291UE per la fornitura
di n. 3 battelli pneumatici con chiglia in VTR da m. 7,10, completi di motore entrofuoribordo con piede poppiero ed eliche controrotanti, codice CIG 04861439E2, per un
importo, IVA esclusa, di € 420.000.
3/2014
Giurisprudenza
Nel bando si prevedeva in particolare, all’art. III.2.1, che, “le ditte che intendono
partecipare alla gara devono presentare domanda di partecipazione unitamente ad
una dichiarazione del legale rappresentante resa ai sensi del d.P.R. 445/2000, con la
quale si attesta il possesso dei requisiti di ordine generale (art. 38 d.lgs. 163/2006”.
Veniva altresì precisato che “sono esclusi dalla partecipazione alla gara né possono stipulare i relativi contratti i soggetti concorrenti che si trovano in una delle condizioni di cui al comma 1 dell’art. 38 del d.lgs. 163/ 2006”.
La Ditta Marcelli, in data 27 luglio 2010 presentava domanda di invito alla partecipazione alla gara unitamente alla dichiarazione sostitutiva attestante il possesso
di tutti i presupposti di cui all’art. 38 d.lgs. 163/2006 per la partecipazione alla stessa.
Con verbale n. 2V/D/02/l0 la Commissione ne deliberava la decisione di esclusione, comunicata a mezzo fax il 9 agosto 2010, poiché, “la dichiarazione sostitutiva concernente i requisiti dell’articolo 38, comma 1 del decreto legislativo 163/2006 e successive modificazioni, è risultata carente, per l’omissione della dichiarazione relativa alle
lettere m-ter ed m-quater”.
Contro tale provvedimento di esclusione dalla gara la ditta Marcelli, in data 10 agosto 2010 presentava istanza di riesame, evidenziando in particolare, che era stato attestato il possesso di tutti i requisiti di cui all’art. 38 d.lgs. 163/2006 e quindi anche delle lettere m-ter ed m-quater, e, nel ribadire il possesso di tutti i requisiti generali di cui
alla detta norma, allegava alla predetta istanza l’integrazione. della dichiarazione sostitutiva nella quale si specificava la posizione della ditta in merito alle incompatibilità di cui alle già citate lettere. I
In data 25 agosto 2010, l’amministrazione procedente rispondeva confermando il
provvedimento di esclusione e rinviava al mittente la dichiarazione sostitutiva integrativa presentata, ritenendola tardiva e non richiesta.
Presentato ricorso al T.A.R. Lazio, la contestuale istanza cautelare, veniva respinta con ordinanza n. 4165/2010 nella considerazione dell’incompletezza, alla luce della
normativa del bando, della dichiarazione di partecipazione presentata.
La ditta Marcelli proponeva appello contro il provvedimento reiettivo, formulando anche istanza di emissione di misure cautelari monocratiche provvisorie ex art. 56
Cod. proc. amm.; quest’ultima richiesta veniva accolta.
Con ordinanza n. 4971/2010 questa Sezione, alla camera di consiglio del 26 ottobre 2010 respingeva l’istanza cautelare di sospensione della ordinanza di primo grado.
Nel frattempo l’Amministrazione alla luce delle concesse misure cautelari monocratiche rinviava la data di apertura delle buste contenenti le offerte all’esito della camera di consiglio del 26 ottobre 2010 e cioè al giorno 4 novembre 2010.
In data 29 ottobre 2010 la ditta Marcelli presentava offerta in busta chiusa che veniva restituita.
In data 4 novembre 2010 veniva effettuata l’apertura delle offerte delle ditte invitate
alla gara e si procedeva all’aggiudicazione provvisoria alla ditta Arimar s.p.a.; ditta che
aveva offerto un ribasso del 12,30%, pari ad un prezzo complessivo di euro 368,340,00.
Seguiva l’aggiudicazione definitiva.
In data 2 marzo 2011, all’esito dell’udienza di trattazione del ricorso, il T.A.R. Lazio sezione I bis, rigettava definitivamente il ricorso con la sentenza appellata indicata in epigrafe.
Chiede la riforma della sentenza di primo grado la parte appellante deducendo:
- l’errata interpretazione della lex specialis che non prevede espressamente l’adempimento formale della presentazione della dichiarazione sostitutiva a pena di esclusione; l’errata interpretazione dall’art. 38 d.lgs. 163/2006 che prevede come unico motivo di esclusione il mancato possesso del requisiti previsti;
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Giurisprudenza
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- l’omessa valutazione dell’ordinatorietà del termine previsto dal bando di gara
per la presentazione della dichiarazione sostitutiva ed errata interpretazione del co. 2
dell’art. 38 d.lgs. 163/2006;
- l’errata valutazione della dichiarazione sostitutiva resa dalla ditta ricorrente
avendo attestato il possesso di tutti i requisiti di cui all’art. 38 d.lgs. 163/2006 con ciò
intendendo riferirsi anche alle lettere dello stesso articolo m-ter ed m-quater pur non
richiamate espressamente;
- erronea valutazione della portata della misura cautelare monocratica concessa
in data 4 ottobre 2010.
Le censure proposte in sostanza, muovono dalla contestazione del giudizio d’incompletezza della dichiarazione resa ex art. 38, comma 1, Codice appalti, non essendo
in esso prevista l’esclusione dalla gara in caso di dichiarazione non conforme.
Unitamente all’annullamento dell’esclusione dalla gara la società ricorrente ha
avanzato richiesta di risarcimento dei danni per l’illegittima attività provvedimentale.
L’amministrazione intimata non si è costituita.
All’udienza di trattazione del 1° aprile 2014 la causa è stata introitata dal Collegio
che si è riservato di decidere.
L’appello è infondato.
L’impresa è stata esclusa dalla gara sul presupposto della mancata allegazione di
alcune dichiarazioni inerenti i requisiti soggettivi per la partecipazione, in particolare
per non aver dichiarato in ordine alle cause di esclusione previste dall’art. 38 d.lgs n.
163/2006, lettere “m-ter” ed “m-quater”.
La questione da decidere è circoscrivibile all’applicabilità, nella fattispecie, del
principio della tassatività delle cause di esclusione nell’ambito del Codice appalti,
nonché del dovere di c.d. soccorso istruttorio in capo all’Amministrazione aggiudicatrice, in presenza di dichiarazione non conforme.
A tal riguardo pare utile anzitutto rammentare che questa Sezione confermando
l’esito di rigetto della domanda cautelare del giudice di primo grado con propria ordinanza n. 4971/2010 aveva respinto la domanda cautelare osservando: “considerato
che non appare censurabile la decisione del giudice di primo grado, atteso che la domanda di partecipazione proposta appare effettivamente mancante di alcune delle indicazioni obbligatoriamente richieste dal bando; considerato che non pare nemmeno applicabile la giurisprudenza indicata dalla parte appellante, atteso che nel caso
di specie non si tratta di un’indicazione sintetica del possesso dei requisiti, ma di una
elencazione analitica, carente di parte delle attestazioni dovute”.
Soccorre, allora sul punto, la recentissima pronuncia dell’Adunanza Plenaria del
25 febbraio 2014, n. 9, che ha ribadito:
- che, in ragione del principio di tassatività delle cause di esclusione (art. 46 comma 1-bis, Codice dei contratti), i bandi di gara possono prevedere adempimenti a pena
di esclusione, anche se di carattere formale, purché conformi ai tassativi casi contemplati dal medesimo comma, nonché dalle altre disposizioni del Codice, del regolamento di esecuzione e delle leggi statali;
- che il “potere di soccorso” sancito dall’art. 46, comma 1, del Codice, sostanziandosi
unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti
o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire
interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti – non
consente la produzione tardiva della dichiarazione o del documento mancante o la sanatoria della forma omessa, ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal
medesimo Codice, dal regolamento di esecuzione e dalle leggi statali.
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Giurisprudenza
L’Ad. Plenaria ha ribadito che il comma 1-bis dell’art. 46 è chiaramente ispirato ai
principi di massima partecipazione alle gare e al divieto di aggravio del procedimento,
mirando a correggere quelle soluzioni, diffuse nella prassi, che sfociavano in esclusioni anche per violazioni puramente formali.
Tra le cause (legittime) di esclusione, vengono annoverate quelle di carattere normativo (“violazione di prescrizioni imposte dal codice dei contratti pubblici, dal regolamento di esecuzione o da altre leggi”) e quelle direttamente previste dalla disposizione in questione (incertezza assoluta sul contenuto o provenienza dell’offerta; non
integrità dei plichi; altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi tali da dimostrare
in concreto la violazione del principio di segretezza delle offerte).
Quindi, “la disposizione deve essere intesa nel senso che l’esclusione dalla gara è
disposta sia nel caso in cui il codice, la legge statale o il regolamento attuativo la comminino espressamente, sia nell’ipotesi in cui impongano adempimenti doverosi o introducano, comunque, norme di divieto pur senza prevedere espressamente l’esclusione ma sempre nella logica del numerus clausus”.
Pertanto, la sanzione della esclusione è legittima, anche se non espressamente
prevista dalla norma di legge, allorquando sia certo il carattere imperativo del precetto
che impone un determinato adempimento ai partecipanti ad una gara (cfr. Ad. Pl., 16
ottobre 2013, n. 23 e, in particolare, 7 giugno 2012, n. 21).
La cogenza delle cause legali di esclusione disvela il carattere non solo formale del
principio di tassatività – ovvero il suo atteggiarsi a enunciato esplicito della medesima
causa di esclusione – ma anche e soprattutto la sua indole sostanziale, valorizzandosi,
per legge, solo le cause di esclusione rilevanti per gli interessi in gioco.
In ordine al c.d. “soccorso istruttorio” (art. 46, co. 1), esso consiste nella possibilità,
per le stazioni appaltanti, nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45, di invitare, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei
certificati, documenti e dichiarazioni presentati.
L’Adunanza Plenaria sopra citata, in linea con la costante giurisprudenza, e tenuto
conto che con l’introduzione del comma 1-bis si sono drasticamente diminuite le fattispecie escludenti (fra cui quelle incentrate su vizi meramente formali), ha ribadito che
le occasioni per invocare l’esercizio del c.d. “potere di soccorso” in funzione sanante si
sono ridotte, salvo i casi di mera regolarizzazione di adempimenti non più colpiti dalla sanzione dell’esclusione.
Secondo l’Adunanza Plenaria, quindi, “l’esegesi rigorosa delle disposizioni riguardanti il c.d. “potere di soccorso”, avuto riguardo ai valori in gioco, nasce dalla fondata preoccupazione che l’allargamento del suo ambito applicativo alteri la par condicio,
violi il canone di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa, incida sul divieto di disapplicazione della lex specialis contenuta nel bando, eluda la natura decadenziale dei termini cui è soggetta la procedura”, anche in considerazione del
principio generale dell’autoresponsabilità dei concorrenti, in forza del quale ciascuno di essi sopporta le conseguenze di eventuali errori commessi nella formulazione
dell’offerta e nella presentazione della documentazione.
Sotto questo profilo, quindi, una cosa è la “regolarizzazione documentale”, un’altra
è l’“integrazione documentale”; quest’ultima non è consentita ogni volta che vengano in rilievo omissioni di documenti o inadempimenti procedimentali richiesti a pena
di esclusione dalla legge di gara, onde evitare il vulnus del principio di parità di trattamento; la mera regolarizzazione, che attiene a circostanze o elementi estrinseci al contenuto della documentazione e che si traduce, di regola, nella rettifica di errori materiali e refusi, è invece sempre consentita.
Quindi, sempre secondo la citata decisione, “giusta il tenore testuale dell’incipit
63
Giurisprudenza
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del comma 1 in esame (“1. Nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45...”), il soccorso
istruttorio consente di completare dichiarazioni o documenti già presentati (ma, giova ribadirlo, non di introdurre documenti nuovi), solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione dell’impresa; esso non può essere mai utilizzato per supplire a
carenze dell’offerta sicché non può essere consentita al concorrente negligente la possibilità di completare l’offerta successivamente al termine finale stabilito dal bando,
salva la rettifica di errori materiali o refusi”.
Inoltre, “il soccorso istruttorio ricomprende la possibilità di chiedere chiarimenti,
purché il possesso del requisito sia comunque individuabile dagli atti depositati e occorra soltanto una delucidazione ovvero un aggiornamento; in tal caso non si sta discutendo della esistenza del requisito ma soltanto di una (consentita) precisazione
che non innova e non altera la par condicio e la legalità della gara, avendo ad oggetto
un fatto meramente integrativo, da un punto di vista formale, di una situazione sostanzialmente già verificatasi e acquisita”.
Esso, dunque, “si sostanzia anche nella interpretazione di clausole ambigue onde favorire la massima partecipazione alle gare e, conseguentemente, nella possibilità di consentire, unicamente per questo limitato caso e nel rispetto della par condicio, la successiva integrazione documentale”… Alla luce degli arresti sopra esposti e del
concreto contenuto della istanza di partecipazione della ditta Marcelli, le censure prospettate nel gravame non colgono nel segno.
L’Amministrazione, infatti, ha escluso la ricorrente sul presupposto dell’assenza
di dichiarazioni riguardanti alcuni requisiti facenti capo all’art. 38 del Codice appalti (mancata dichiarazione del titolare o del direttore tecnico di non aver omesso la
denuncia di essere stati vittime di concussione o estorsione art. 38, co. 1 lett. m) -ter;
mancata dichiarazione sull’esistenza di un collegamento sostanziale tra imprese partecipanti – art. 38, co. 1, lett. m) quater.
La Ditta Marcelli ha presentato una dichiarazione, resa ai sensi del d.P.R. n. 445 del
2000, in cui dichiara di non trovarsi in nessuna delle condizioni per l’esclusione di cui
all’art. 38 del codice dei contratti.
Si tratta di una dichiarazione non redatta in conformità del bando (Condizioni
di partecipazione; punto III.2.1. e che riproduce pedissequamente il contenuto del
bando.
La ditta in particolare ha effettuato una dichiarazione sostitutiva “onnicomprensiva”, che pur citando le singole lettere dell’art. 38 da a) a m), espressamente affermando di non trovarsi in alcuna delle situazioni ivi contemplate, è stata carente in ordine al
contenuto di dette dichiarazioni, (m-ter, m-quater) circostanza che, ha indotto l’Amministrazione, ha determinarne l’esclusione.
Ciò posto, alla luce dei principi dell’Adunanza Plenaria da ultimo intervenuta ritiene la Sezione che, con riferimento alle dette omissioni, l’esclusione dalla gara non venga impedita dal fatto che nel bando non fosse stata prevista l’esplicita sanzione dell’esclusione né l’Amministrazione avrebbe dovuto attivare il proprio potere di soccorso
istruttorio, evitando di comminare l’esclusione immediata, tenuto conto che si trattava
di dichiarazioni omesse afferenti a requisiti sostanziali di partecipazione alla gara, non
ricavabili da altra parte della dichiarazione effettuata e riconducibili alla qualità di non
dubbio senso della legalità del contraente (art. 38, comma 1, m-ter) ovvero di rispetto
del principio della concorrenza. (art. 38, comma 1, m-quater).
In relazione all’omissione di cui alla citata lettere m-quater è bene ricordare, a dimostrazione che si tratta di omissione non integrabile successivamente che il comma
2 dell’art. 38 precisa che “Ai fini del comma 1, lettera m-quater), il concorrente allega,
alternativamente:
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Giurisprudenza
a) la dichiarazione di non trovarsi in alcuna situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile rispetto ad alcun soggetto, e di aver formulato l’offerta autonomamente;
b) la dichiarazione di non essere a conoscenza della partecipazione alla medesima
procedura di soggetti che si trovano, rispetto al concorrente, in una delle situazioni di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile, e di aver formulato l’offerta autonomamente;
c) la dichiarazione di essere a conoscenza della partecipazione alla medesima procedura di soggetti che si trovano, rispetto al concorrente, in situazione di controllo
di cui all’articolo 2359 del codice civile, e di aver formulato l’offerta autonomamente.
Nessuna di dette dichiarazioni è stata comunque allegata dalla ditta Marcelli.
Ne deriva, ad avviso del Collegio, che la disposta esclusione è stata rispettosa dei
principi di par condicio in materia, non potendosi peraltro condividere nemmeno la
ulteriore affermazione della Ditta appellante secondo cui la clausola del bando all’uopo applicata dalla commissione non sarebbe stata assistita da espressa comminatoria di esclusione; infatti il tenore della clausola in esame è univoco nella comminatoria dell’esclusione nel caso di incompletezza sostanziale della dichiarazione ed inoltre
la stessa dichiarazione è espressamente menzionata, come già accennato, quale requisito essenziale di partecipazione nell’articolo 38, commi 1 e 2, del codice dei contratti pubblici, avente dunque rilievo fondamentale ai fini della ammissione alla gara.
Si sottolinea inoltre, come visto alla luce della riportata Adunanza Plenaria che il dovere di soccorso istruttorio previsto dall’art. 46 del relativo codice dei contratti pubblici
va ricollegato alla sola esistenza in atti di dichiarazioni che siano state già effettivamente rese, senza che con ciò sia possibile integrare elementi essenziali mancanti od omessi; sì che esso va applicato dall’amministrazione solo se gli atti tempestivamente prodotti
contribuiscano a fornire ragionevoli indizi circa il possesso del requisito di partecipazione ad una procedura, indizi addirittura fuorvianti nel caso di specie, in cui l’impresa partecipante ha anche omesso di indicare se altre imprese ad essa collegate o da essa controllate partecipassero alla medesima gara ovvero se avesse omesso di dichiarare d’aver
omessa la denuncia di cui alla lettera m-ter dell’art. 38, comma 1.
Il principio di cui sopra assume peraltro ulteriore specificità nelle gare pubbliche,
in cui l’omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione previsti non può
essere considerata alla stregua di un’irregolarità sanabile in applicazione dell’art. 46
del codice appalti e, quindi, non ne è permessa l’integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali; e ciò tanto più quando
non sussistano equivoci o incertezze generati dall’ambiguità di clausole della legge di
gara (ex plurimis, Cons. St., sez. V, 5 settembre 2011, n. 4981, nonché, da ultimo, Cons.
Stato, sez. V, n. 4842 del 30 settembre 2013).
In definitiva, in ipotesi di dichiarazione mancante ed inequivocabilmente richiesta dalla legge e dagli atti di gara, l’esercizio del c.d. potere di soccorso dell’amministrazione incontra l’invalicabile limite della par condicio, per definizione prevalente
sul favor partecipationis implicitamente invocato dall’appellata.
Quanto poi al c.d. falso innocuo pure richiamato dall’appellante, trattasi di istituto
che non può essere invocato in caso di carenza di dichiarazioni quali quelle in esame,
di assoluto valore ai fini dalla valutazione del senso di legalità dell’impresa e del rispetto del fondamentale principio della concorrenza nelle gare pubbliche la cui assenza
pregiudica la stessa possibilità di contrarre con la stazione appaltante.
Sotto altro concomitante profilo valga poi sottolineare che la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire perché consente, anche in ossequio
al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità, la celere
decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara; conseguente-
65
Giurisprudenza
3/2014
mente una dichiarazione che è inaffidabile perché, al di là dell’elemento soggettivo
sottostante, è falsa od incompleta o addirittura, come nel caso di specie, mancante,
deve ritenersi di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara (Cons. Stato, sez. V, 21.6.2013, n. 3397; sez. V, 3.6. 2013, n. 3045; 7.5.2013, n. 2462).
Ed inoltre quando una impresa ometta di dichiarare alla amministrazione l’esistenza di uno o più soggetti tenuti a comprovare l’inesistenza delle vedute condizioni
ostative non è affatto vero che non si determina alcun pregiudizio per l’amministrazione, poiché impedisce all’amministrazione di verificare se sta selezionando un contraente che, rispetto ai casi in esame, ispira la sua condotta ai principi di legalità ovvero
che potrà ottenere l’aggiudicazione violando le regole della concorrenza.
Correlativamente l’omessa produzione, in sede di gara, della dichiarazione sostituiva ex art. 47 del d.P.R. n. 445/2000, impedisce alla stazione appaltante di controllare
la veridicità di quanto attestato dall’interessato; in particolare, in assenza della dichiarazione non potrebbe controllare la dichiarazione consultando il sito dell’Osservatorio (art. 38, comma 1, lett. m-ter).
Non senza aggiungere che la mancata produzione della dichiarazione de qua (pure a fronte dell’effettivo possesso del requisito sostanziale) non è priva di conseguenze
pregiudizievoli per la stazione appaltante sott’altro profilo, venendo al contrario leso
l’interesse pubblico alla celere e corretta decisione in ordine all’ammissione dell’operatore alla gara, e quindi lesi i principi di buon andamento dell’amministrazione e di
proporzionalità (Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2013, n. 3397; 3 giugno 2013, n. 3045).
Per tale ragione le offerte carenti della documentazione necessaria in relazione ai
requisiti di onorabilità non possono essere integrate ex post, su intervento della stazione appaltante e comportano ope legis l’espulsione del concorrente inadempiente.
Nel caso di specie, in definitiva, l’omessa elencazione, fra gli amministratori dotati di
poteri di rappresentanza, del presidente del consiglio di amministrazione e la contestuale mancata produzione della relativa dichiarazione sostitutiva circa l’assenza di precedenti penali in capo al soggetto che ricopre tale carica costituiscono insanabile violazione della lex specialis ed, in particolare, della clausola che espressamente richiedeva detti
adempimenti con riferimento a “tutti gli amministratori con poteri di rappresentanza”.
Per completezza deve solo aggiungersi che la Sezione condivide gli argomenti del
primo giudice con i quali si respingono gli argomenti fondati sulla ordinarietà del termine per la presentazione della dichiarazione sostitutiva (secondo motivo) come anche
quelli volti a sostenere l’errata valutazione della dichiarazione sostitutiva (terzo motivo).
In conclusione il primo, il secondo ed il terzo motivo d’appello vanno respinti.
Omissis
Commento
66
Con la sentenza in commento, la Quarta Sezione del Consiglio di
Stato ha giudicato meritevole di esclusione un’impresa il cui legale
rappresentante ha genericamente dichiarato l’insussistenza nei confronti dell’impresa delle cause di esclusione dell’art. 38 del d.lgs. n.
163/2006, ma ha omesso di rendere delle dichiarazioni specifiche concernenti l’insussistenza delle cause di esclusione di cui alle lettere mter ed m-quater del primo comma del citato articolo 38.
3/2014
Giurisprudenza
Secondo la Quarta Sezione, vi sarebbe comunque la necessità di
escludere il concorrente che ometta di presentare una dichiarazione
sostitutiva attestante il possesso di alcuni requisiti di partecipazione,
anche in assenza di un’espressa comminatoria di esclusione concernente la predetta omissione, ed anche nel caso in cui l’impresa dimostri di essere in possesso dei requisiti in questione.
Il Consiglio di Stato fornisce un’articolata motivazione al fine di giustificare la sopraesposta conclusione, citando ampi stralci della recente sentenza n. 9/2014 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Nella parte finale della motivazione, si giustifica la doverosità dell’esclusione facendo riferimento anche all’omessa indicazione del presidente del consiglio di amministrazione e all’omessa dichiarazione circa
l’insussistenza di precedenti penali in capo a quest’ultimo. Si tratta di un
possibile refuso perché sia nelle restanti parti della sentenza del Consiglio
di Stato, sia nella sentenza di primo grado (1), si chiarisce che l’esclusione è
stata pronunciata per l’omessa presentazione delle dichiarazioni sostitutive concernenti l’insussistenza delle cause di esclusione di cui alle lettere
m-ter ed m-quater del primo comma dell’articolo 38 del d.lgs. n. 163/2006.
Poiché, a parere dello scrivente, il ragionamento del Consiglio di
Stato non risulta del tutto convincente, è possibile osservare che il predetto refuso potrebbe essere sintomatico di un’impropria assimilazione delle fattispecie concernenti l’omissione di dichiarazioni concernenti i requisiti di moralità di alcune persone fisiche facenti parte della
compagine societaria (2), con quella ora in esame, e ciò potrebbe implicare un ulteriore irrigidimento degli oneri formali, come gli oneri
dichiarativi, in linea di sostanziale continuità con l’andamento giurisprudenziale degli ultimi anni (3).
Procedendo per ordine, prima di illustrare le ragioni per le quali
non sembra possibile ricavare (quantomeno in termini univoci) dal-
(1) Si tratta della sentenza 31 maggio 2011, n. 4919 resa dalla sezione I-bis del T.A.R. Lazio,
confermata dalla sentenza n. 2778/2014 del Consiglio di Stato ora in commento.
(2) Fattispecie statisticamente più frequenti, che in alcuni casi hanno portato ad una
vera e propria “caccia all’errore” in materia di appalti, e che hanno dato origine a numerosi
pronunciamenti, anche da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. in particolare
le sentenze della Plenaria n. 10/2012, 21/2012; 23/2013).
(3) A questo proposito, sia consentito rinviare a F. Caliandro, L’estensione dell’onere dichiarativo concernente i requisiti di moralità professionale nelle gare pubbliche. Cause e possibili conseguenze, in questa Rivista, n. 3/2012, 5 e ss. In precedenza, si era (forse troppo frettolosamente) auspicato che il predetto fenomeno espansivo avrebbe potuto incominciare ad interrompersi, o quantomeno a ridimensionarsi, a seguito della sentenza 16 ottobre 2013, n. 23 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che sembrava circoscrivere l’ambito di applicazione dell’art. 38
del d.lgs. n. 163/2006 con riferimento alla problematica concernente la rilevanza ai fini della verifica dei requisiti di moralità della posizione di procuratori e institori societari, affermando la necessità di pervenire all’esclusione soltanto nell’ipotesi in cui una di queste due figure fosse effettivamente destinataria di precedenti penali.
67
Giurisprudenza
3/2014
la sentenza n. 9/2014 della Plenaria significative ragioni per giudicare
legittima l’esclusione in fattispecie come quella ora in esame, occorre
svolgere alcune precisazioni in fatto.
Infatti, sebbene la sentenza n. 2778/2014 del Consiglio di Stato non
sembri esprimersi in termini chiarissimi al riguardo, e comunque non
paia focalizzare la propria attenzione su alcuni aspetti che a parere dello scrivente sono invece da ritenersi rilevanti, sia dalla sentenza ora in
commento, sia dalla sentenza di primo grado resa dal T.A.R. Lazio, si
evince che nel caso di specie l’articolo III.2.1 del bando prevedeva che,
“le ditte che intendono partecipare alla gara devono presentare domanda di partecipazione unitamente ad una dichiarazione del legale rappresentante resa ai sensi del d.P.R. 445/2000, con la quale si attesta il possesso
dei requisiti di ordine generale (art. 38 d.lgs. 163/2006”. La lex specialis di
gara precisava altresì che “sono esclusi dalla partecipazione alla gara né
possono stipulare i relativi contratti i soggetti concorrenti che si trovano
in una delle condizioni di cui al comma 1 dell’art. 38 del d.lgs. 163/2006”.
Non soltanto, quindi, nella lex specialis non vi era un’esplicita comminatoria di esclusione riferita all’omessa dichiarazione (4) dell’assenza delle cause di esclusione di cui alle lettere m-ter ed m-quater del
primo comma dell’articolo 38 del codice dei contratti (poiché la sanzione espulsiva era ricollegata al mancato possesso in senso sostanziale dei requisiti), ma non era neppure richiesta una dichiarazione specifica concernente le singole lettere dell’articolo 38, poiché lo stesso
bando di gara faceva generico riferimento al menzionato articolo 38,
senza null’altro specificare.
Inoltre, non viene mai chiarito se la stazione appaltante abbia predisposto dei moduli contenenti l’elenco delle dichiarazioni richieste
ed idonee ad agevolare i concorrenti, ma è possibile ritenere che i predetti moduli non fossero presenti nella gara di cui si discute, perché da
altre parti della sentenza risulta che il concorrente escluso fosse comunque in possesso dei requisiti in relazione ai quali gli è stata contestata l’omessa dichiarazione, e che abbia successivamente integrato le
dichiarazioni mancanti, per cui si può ragionevolmente ritenere che lo
stesso sia incappato in un errore materiale, non sottintendendo la sua
parziale omissione alcun intento elusivo.
A parere di chi scrive, si trattava di un aspetto che avrebbe meritato
un maggior approfondimento, perché la mancata predisposizione di
68
(4) Circostanza comunque rilevante nell’ottica seguita, almeno in un primo momento dalla
giurisprudenza che ha sancito la necessità di pervenire all’esclusione in caso di omessa dichiarazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1 aprile 2011, n. 2066; sez. V, 24 marzo 2011, n. 1800; 24 marzo 2011,
n. 1790; 31 marzo 2012, n. 1896; sez. III, 13 maggio 2011, n. 2906; sez. VI, 18 gennaio 2012, n. 178.
3/2014
Giurisprudenza
moduli fac-simili contenenti l’elenco delle singole dichiarazioni sostitutive richieste dalla stazione appaltante (perché evidentemente ritenute rilevanti dalla stessa) da un lato potrebbe integrare un profilo di
illegittimità ai sensi dell’articolo 74 del d.lgs. n. 163/2006 (5), e dall’altro
lato costituisce comunque un elemento fattuale dal quale è ragionevole presumere che il concorrente non sia stato agevolato dalla stazione appaltante e che lo stesso sia incappato in un mero errore materiale
privo di offensività per la parte pubblica (6).
La sentenza ora in commento ha osservato che “la Ditta Marcelli ha
presentato una dichiarazione, resa ai sensi del d.P.R. n. 445 del 2000, in
cui dichiara di non trovarsi in nessuna delle condizioni per l’esclusione
di cui all’art. 38 del Codice dei Contratti” per poi statuire che “si tratta
di una dichiarazione non redatta in conformità del bando (Condizioni di partecipazione; punto III.2.1. e che riproduce pedissequamente il
contenuto del bando”.
La conclusione a cui arriva la Quarta Sezione, e dalla quale parte il
ragionamento giuridico svolto nei successivi punti, non risulta quindi
condivisibile, poiché in precedenza si era affermato che il bando di gara faceva generico riferimento all’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, per cui in
un simile caso ben si poteva ritenere “conforme” una dichiarazione resa
in termini generali e facente riferimento all’art. 38 nel suo complesso (7).
Il Consiglio di Stato, poi, precisa le affermazioni svolte in precedenza, rendendo noto un altro elemento fattuale ed illustrando cioè che
(5) Per la precisazione, il profilo di illegittimità consistente nella mancata predisposizione
da parte della stazione appaltante di modelli recanti l’elenco delle dichiarazioni sostitutive considerate dalla stessa rilevanti al fine di “comprovare” in gara il possesso dei requisiti, è senz’altro
configurabile a seguito dell’introduzione del comma 2-bis da parte dell’art. 4, comma 2, lett. i),
d.l. 13 maggio 2011, n. 70, e quindi a seguito dell’introduzione del principio della tassatività delle cause di esclusione, di cui il predetto comma 2-bis costituisce un corollario. Nel caso di specie,
il predetto principio e il citato comma 2-bis non trovano applicazione, poiché il bando di gara è
stato pubblicato in data 11 giugno 2010 (cfr. Consiglio di Stato, n. 6563/2012 e Cons. Stato, A.P. n.
9/2014). Tuttavia, era possibile ravvisare anche in precedenza l’esistenza di un onere per la stazione appaltante di predisporre i predetti moduli al fine di agevolare i concorrenti ed in un’ottica
di collaborazione con il privato, alla luce del combinato disposto dei commi 2 e 5 del citato articolo 74, per cui il mancato assolvimento del predetto onere consentiva comunque una maggiore
indulgenza nei confronti di quei concorrenti incappati in errori materiali.
(6) A questo proposito, si consideri ancora che le lettere m-ter ed m-quater sono state inserite
nel testo dell’articolo 38 rispettivamente dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 e dal d.l. 25 settembre 2009,
n. 135, quindi in un lasso di tempo inferiore all’anno antecedente alla pubblicazione bando di gara (avvenuta in data 11 giugno 2010). Sebbene lo scrivente ritenga che i concorrenti debbano essere tenuti ad una particolare diligenza, che comporta anche la necessità di aggiornamento, nel caso
di specie in considerazione delle continue modificazioni che caratterizzano il codice dei contratti e
del mancato “aggiornamento” del bando da parte della stazione appaltante, ben si sarebbe potuto
tenere conto di queste circostanze per qualificare l’errore come meramente materiale.
(7) In linea con quell’orientamento giurisprudenziale – pur non maggioritario – ma che,
sempre in materia di dichiarazioni concernenti la moralità professionale attribuisce rilievo
proprio al grado di genericità o di specificità della lex specialis al fine di parametrare la portata
dell’onere dichiarativo del concorrente (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1799).
69
Giurisprudenza
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“la ditta in particolare ha effettuato una dichiarazione sostitutiva “onnicomprensiva”, che pur citando le singole lettere dell’art. 38 da a) a m),
espressamente affermando di non trovarsi in alcuna delle situazioni ivi
contemplate, è stata carente in ordine al contenuto di dette dichiarazioni, (m-ter, m-quater) circostanza che, ha indotto l’Amministrazione,
ha determinarne l’esclusione”. In altra parte della sentenza, in dichiarata adesione a quanto statuito in sede cautelare dalla stessa Quarta
Sezione con l’ordinanza n. 4971/2010 e dal T.A.R. Lazio nella sentenza di primo grado, si ritiene che la dichiarazione in questione non rechi una “indicazione sintetica del possesso dei requisiti” ma “un’elencazione analitica, carente di parte delle attestazioni dovute”, e si conclude
per la necessità di escludere il concorrente che non avrebbe fornito altri indizi circa l’assenza delle cause di esclusione di cui alle lettere mter ed m-quater.
A parere di chi scrive, anche questo aspetto avrebbe meritato un
maggior approfondimento ed una maggiore esplicitazione motivazionale (8), poiché in simili casi spesso accade (9) che i concorrenti dichiarano in termini generali l’insussistenza di cause di esclusione di
cui all’art. 38 nei propri confronti, per poi meglio dettagliare la dichiarazione facendo riferimento alle singole lettere ricomprese nel primo
comma della predetta disposizione. Ove ciò si sia verificato anche nel
caso di specie, in cui, giova ripeterlo, la stazione appaltante non pare
aver fornito dei modelli di dichiarazione, ben si sarebbe potuto qualificare la dichiarazione come carente in alcuni suoi punti e non radicalmente omessa, oppure si sarebbe potuto configurare un errore
materiale, che avrebbe addirittura imposto alla stazione appaltante di
attivare il c.d. dovere di soccorso, come si ricava dalla sentenza 25 febbraio 2014, n. 9 della Plenaria (in motivazione, punto 7.2, lett. a) ed e)).
La predetta considerazione risulta rinforzata alla luce di altri pronunciamenti giurisprudenziali, anch’essi successivi alla sentenza n.
9/2014, che statuiscono ormai pacificamente che in presenza di lacune imputabili alla stazione appaltante proprio nella predisposizione
dei moduli fac-simili concernenti le dichiarazioni da rendere in sede
di gara a corredo dell’offerta o della domanda di partecipazione, non
sia possibile disporre l’esclusione del concorrente. Nella presente sede, sembra particolarmente rilevante fare riferimento alla sentenza 17
giugno 2014, n. 3093 della Quinta Sezione, attraverso la quale il Consi-
70
(8) Ed in relazione al quale non è possibile rinvenire elementi utili nella sentenza n. 4919/2011
del T.A.R. Lazio, che nulla dice al riguardo e dalla quale sembra invece evincersi che il concorrente avrebbe reso una dichiarazione volta a menzionare genericamente l’art. 38.
(9) Almeno ciò è quello che insegna la prassi.
3/2014
Giurisprudenza
glio di Stato, in applicazione del predetto principio, ha riconosciuto la
necessità di ammettere alla gara delle imprese che avevano omesso di
rendere le dichiarazioni di cui alle lettere m) e m-bis) del primo comma dell’art. 38 (10), così arrivando ad una conclusione diametralmente
opposta rispetto a quella della sentenza ora in commento.
Anche la sentenza 6 settembre 2012, n. 1536 del T.A.R. Toscana, confermata in appello dalla sentenza 13 febbraio 2013, n. 901 della Quinta
Sezione del Consiglio di Stato, e la sentenza 12 novembre 2013, n. 715
del T.A.R. Sardegna (11) escludono che possa disporsi l’esclusione di un
concorrente che ometta di rendere la sola dichiarazione di cui alla lettera m-ter), laddove siano presenti tutte le altre dichiarazioni riguardanti in termini generali l’art. 38. Si noti che le predette sentenze ragionano in termini sistematici ed alla luce del principio di tassatività delle
cause di esclusione, senza considerare la problematica concernente l’adeguatezza dei moduli-dichiarazione predisposti dalla stazione
appaltante. In particolare, la sentenza del T.A.R. di Firenze non considera la dichiarazione omessa, ma semplicemente mancante di alcuni elementi, e come tale regolarizzabile, operando quindi un giudizio
opposto rispetto a quello svolto dal Consiglio di Stato con la sentenza
n. 2778/2014 ora in commento, che considera invece la dichiarazione
omessa e quindi non integrabile alla luce del divieto di “introdurre documenti nuovi” ricavabile dalla giurisprudenza (12) che ha delimitato i
limiti ed i presupposti per l’esercizio del soccorso istruttorio nelle gare pubbliche. Il T.A.R. di Cagliari, inoltre, attribuisce rilievo alla circostanza per cui il bando di gara non facesse esplicito riferimento al requisito di cui alla lettera m-ter), come accade nella fattispecie ora in
esame.
A parere dello scrivente, questi precedenti giurisprudenziali sono
convincenti ed hanno l’effetto di ampliare la platea dei concorrenti (13)
in casi in cui alcun interesse sostanziale della stazione appaltante risulta leso.
Si noti che con la sentenza n. 2778/2014 ora in commento, il Consiglio di Stato dichiara di non condividere questa impostazione, ritenen-
(10) Si consideri che anche quella fattispecie faceva riferimento ad una gara bandita prima
dell’entrata in vigore del d.l. n. 70/2011, ed in cui non trovava applicazione il principio della tassatività delle cause di esclusione.
(11) I pronunciamenti del T.A.R. Toscana e del T.A.R. Sardegna si riferiscono a fattispecie in
cui trovava piena applicazione il principio della tassatività delle cause di esclusione.
(12) I cui approdi sono efficacemente riassunti nella sentenza n. 9/2014 dell’Adunanza Plenaria.
(13) A questo proposito, si pensi che nella fattispecie considerata nella sentenza n. 2778/2014
ora in commento, a seguito dell’esclusione della ricorrente la gara è stata aggiudicata ad un’impresa che aveva proposto un ribasso del 12,30%. Non è nota l’esistenza di altri offerenti legittimamente ammessi.
71
Giurisprudenza
3/2014
do comunque lesi i valori della completezza delle dichiarazioni e della
celerità della procedura, e considerando pregiudicata la possibilità per
la stazione appaltante di possedere sin da subito un quadro completo
del concorrente, al fine di poter verificare più agevolmente la veridicità delle dichiarazioni sostitutive (14).
A questo proposito, è possibile osservare che l’orientamento giurisprudenziale a cui si riferisce la sentenza ora in commento si è formato
con riferimento a fattispecie in cui erano riscontrabili delle omissioni
di dichiarazioni sostitutive concernenti i requisiti di moralità di alcune persone fisiche facenti parte della compagine societaria e rientranti nell’ambito applicativo dell’art. 38, primo comma, lett. c), del d.lgs.
n. 163/2006. In questo tipo di controversie (15) potrebbe essere effettivamente rilevante per la stazione appaltante acquisire delle dichiarazioni complete, nelle quali si faccia riferimento a tutte le persone che
all’interno di una compagine societaria siano titolari di poteri di rappresentanza e si attesti specificatamente l’assenza di precedenti penali
in capo a questi ultimi, al fine di effettuare quanto prima le dovute verifiche acquisendo i relativi certificati del casellario giudiziale.
L’omissione delle dichiarazioni di cui alle sole lettere m-ter ed mquater non sembra poter essere assimilabile a queste fattispecie. Per
quanto riguarda infatti l’omissione di cui alle dichiarazioni sul “controllo sostanziale” previste nella lett. m-quater del primo comma
dell’art. 38, meglio dettagliate nel secondo comma della medesima disposizione, è possibile escludere che l’omissione della dichiarazione
possa ledere in misura significativa l’interesse pubblico, almeno in casi
come quello ora in esame in cui si può pacificamente escludere la sussistenza di situazioni di controllo, ed in cui non risulta essere sorto alcun dubbio circa la sussistenza di una simile situazione tra il concorrente escluso ed altri concorrenti (16).
È possibile svolgere analoghe considerazioni con riferimento all’omissione della dichiarazione prevista nella lett. m-ter del primo comma dell’art. 38, concernente l’omessa denuncia di essere stati vittime
dei reati previsti e punti dagli artt. 317 e 629 c.p. In questi casi, infatti,
anche in presenza di una dichiarazione di insussistenza della causa di
esclusione, la stazione appaltante avrebbe quale unico strumento per
72
(14) La sentenza ora in commento a questo proposito richiama i precedenti n. 3397/2013,
3045/2013 e 2462/2013 della Quinta Sezione del Consiglio di Stato.
(15) Si utilizza il condizionale al fine di evidenziare che a volte, dietro questo lodevole intento, si è celata una vera e propria “caccia all’errore”, avallata dalla giurisprudenza amministrativa
e che non sempre ha portato benefici per l’interesse pubblico. A questo proposito, sia consentito
ancora rinviare a F. Caliandro, L’estensione dell’onere dichiarativo, cit.
(16) Come anticipato in precedenza la sentenza non chiarisce neppure se alla gara abbiano
partecipato altri concorrenti.
3/2014
Giurisprudenza
controllare la correttezza della dichiarazione, quello di verificare le risultanze in possesso dell’Osservatorio presso l’AVCP, al quale il pubblico ministero che ha accertato l’esistenza di una simile situazione ha
l’obbligo di riferire, non essendo possibile acquisire questi elementi,
ad esempio dai certificati del casellario giudiziale. Si ritiene quindi che
la stazione appaltante possa e debba comunque verificare la sussistenza del requisito presso l’Osservatorio, anche in assenza di dichiarazione sostitutiva in sede di gara, per cui non risulta condivisibile quanto
affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza ora in commento, laddove si osserva che “correlativamente l’omessa produzione, in sede di
gara, della dichiarazione sostituiva ex art. 47 del d.P.R. n. 445/2000, impedisce alla stazione appaltante di controllare la veridicità di quanto
attestato dall’interessato; in particolare, in assenza della dichiarazione
non potrebbe controllare la dichiarazione consultando il sito dell’Osservatorio (art. 38, comma 1, lett. m-ter)”.
Alla luce delle sopra indicate considerazioni, si ritiene che le conclusioni a cui perviene il Consiglio di Stato non siano condivisibili, neppure alla luce del richiamo alla sentenza n. 9/2014 dell’Adunanza Plenaria.
A questo proposito, si rileva che la sentenza n. 9/2014, a differenza di altre recenti sentenze dell’Adunanza Plenaria (17), costituisce un
pronunciamento molto rilevante, redatto secondo criteri di sistematicità ed alla luce degli orientamenti giurisprudenziali pregressi, che affronta sia la problematica della portata applicativa del soccorso istruttorio nelle gare pubbliche e del suo coordinamento con il principio
della tassatività delle cause di esclusione introdotto con il d.l. 13 maggio 2011, n. 70, sia la rilevante problematica dei rapporti tra il ricorso
principale e quello incidentale.
Per quanto rileva nella presente sede, è possibile osservare che la predetta sentenza n. 9/2014 chiarisce innanzitutto la portata del principio della tassatività delle cause di esclusione, ribadendo che lo stesso non si applica alle gare aventi ad oggetto affidamenti esclusi o parzialmente esclusi
dall’applicazione integrale del d.lgs. n. 163/2006 e non si applica alle gare indette antecedentemente all’entrata in vigore del citato d.l. n. 70/2011.
La sentenza precisa altresì che è proprio l’introduzione nel codice dei
contratti pubblici dei bandi tipo e del principio della tassatività delle cause di esclusione che “ha ridotto drasticamente la discrezionalità della stazione appaltante nella c.d. (auto)regolamentazione del soccorso istruttorio,
(17) Con riferimento a questa problematica, sia consentito rinviare a F. Caliandro, Sulla necessità di rendere le dichiarazioni di moralità, anche con riferimento agli amministratori e ai direttori tecnici facenti parte delle società cedenti il ramo d’azienda. Esercizio della funzione nomofilattica
da parte dell’Adunanza Plenaria o mera definizione del caso di specie?, in questa Rivista, n. 3/2012.
73
Giurisprudenza
3/2014
atteso che l’Amministrazione ha perso la facoltà di inserire nel bando, al di
fuori della legge, la previsione che un determinato adempimento sostanziale, formale o documentale sia richiesto a pena di esclusione” (in motivazione, punto 7.3.a). Sempre secondo la Plenaria, in un simile contesto di
semplificazione possono ritenersi legittimi degli adempimenti di carattere formale funzionali alla speditezza della procedura, purché gli stessi siano chiaramente evincibili dal d.lgs. n. 163/2006 e dalle altre disposizioni
normative disciplinanti questo settore. Ove invece non trovi applicazione il principio della tassatività delle cause di esclusione, trova massima
espansione il soccorso istruttorio, che in alcuni casi deve essere obbligatoriamente esercitato dalla stazione come accade, ad esempio, in presenza di errori materiali (in motivazione, punto 7.2 lett. a) ed e)).
Alla luce di quanto sopra, è possibile evidenziare che nel caso di
specie, in cui la gara era stata indetta prima dell’entrata in vigore del
principio di tassatività delle cause di esclusione, il Consiglio di Stato
ben avrebbe potuto considerare le limitate omissioni di cui si discute
integrabili perché frutto di un errore materiale e dare quindi ampia applicazione al principio del soccorso istruttorio.
In ogni caso, suscita qualche perplessità la decisione di motivare una
sentenza improntata ad un ampio formalismo sulla scorta di una decisione della Plenaria che sembra fissare alcuni presupposti per privilegiare invece un maggiore sostanzialismo, per di più nella consapevolezza della
necessità di superare approcci eccessivamente formalistici (si confronti in
particolare il punto 7.4.4. della motivazione, dove si anticipa il principio
sancito dall’art. 39 del d.l. n. 90/2014 di cui si parlerà tra breve).
Una simile esigenza è avvertita a livello comunitario, potendosi a
questo proposito citare l’ordinanza di rimessione 15 gennaio 2013, n.
123 alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (con cui è stato appunto contestato l’eccessivo formalismo italiano volto ad attribuire una rilevanza escludente ricollegata alla semplice carenza della dichiarazione, ed a prescindere dal possesso sostanziale del requisito) (18) e
l’articolo 56 della direttiva n. 2014/24/UE (19).
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(18) La citata ordinanza, poi, arriva ad “estremizzare” questo approccio sostanzialistico, presentando dei profili di problematicità , per i quali sia consentito rinviare a F. Caliandro, Il T.A.R. Lombardia rimette alla Corte di Giustizia alcune questioni interpretative in materia di moralità professionale
degli operatori economici, disapplicando il giudicato del Consiglio di Stato per ipotizzata contrarietà
dello stesso al diritto comunitario, ne Il nuovo diritto amministrativo, n. 3/2013.
(19) Di seguito, si riportano i commi 2 e 3 della norma citata, che sembrano rilevanti nella prospettiva ora in esame: “2. Nelle procedure aperte, le amministrazioni aggiudicatrici possono decidere di esaminare le offerte prima di verificare l’assenza di motivi di esclusione e il rispetto
dei criteri di selezione ai sensi degli articoli da 57 a 64. Se si avvalgono di tale possibilità, le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono che la verifica dell’assenza di motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato ad un offerente che avrebbe dovuto essere escluso a norma dell’artico-
3/2014
Giurisprudenza
A parere di chi scrive, simili approcci così squisitamente formalistici in materia di gare pubbliche possono avere l’effetto di condurre all’introduzione di norme o di principi diametralmente opposti,
che nel tentativo di privilegiare la “sostanza” possono dare luogo a
differenti profili di criticità o a problematiche applicative di non poco conto.
Ci si riferisce in particolar modo all’articolo 39 del d.l. 24 giugno
2014, n. 90, rubricato “semplificazione degli oneri formali nella partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici” (20), attraverso il quale il legislatore ha modificato gli articoli 38 e 46 del d.lgs. n.
163/2006, prevedendo che qualsiasi mancanza, incompletezza o irregolarità, anche essenziale delle dichiarazioni sostitutive concernente
le cause di esclusione di cui al secondo comma dell’articolo 38 debba
essere regolarizzata, mettendo sempre il concorrente nelle condizioni di provare il possesso sostanziale dei requisiti, anche previo pagamento di una somma di denaro per l’eventuale aggravamento della
procedura (si osservi a questo proposito che nella sentenza n. 9/2014
dell’Adunanza Plenaria si dà atto di questa possibile modifica nel punto 7.4.4. della motivazione).
lo 57 o che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dall’amministrazione aggiudicatrice. Gli Stati
membri possono escludere o limitare l’uso della procedura di cui al primo comma per determinati tipi di appalti o a circostanze specifiche. 3. Se le informazioni o la documentazione che gli operatori economici devono presentare sono o sembrano essere incomplete o non corrette, o se mancano
documenti specifici, le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che attua la presente direttiva, agli operatori economici interessati di presentare, integrare, chiarire o completare le informazioni o la documentazione in questione entro un
termine adeguato, a condizione che tale richiesta sia effettuata nella piena osservanza dei principi
di parità di trattamento e trasparenza”.
(20) Di seguito, si riporta il testo della norma citata:
“1. All’articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo il comma 2, è inserito il seguente: «2-bis. La mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni
sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate
o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non
indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara.
Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte.». 2. All’articolo 46 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo il comma 1-bis, è inserito il seguente:
«1-ter. Le disposizioni di cui all’articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza,
incompletezza o irregolarità delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara.». 3. Le disposizioni di cui ai
commi 1 e 2 si applicano alle procedure di affidamento indette successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
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Giurisprudenza
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Il Governo nell’adozione del predetto decreto legge è andato molto al di là del percorso tracciato dall’art. 56 della direttiva, che amplia
la portata del soccorso istruttorio (ad esempio consentendo la produzione di documenti in precedenza non esibiti), pur lasciando ampia libertà di recepimento agli Stati membri, varando una disposizione tesa a far prevalere sempre comunque (e, sia consentito dire, “a qualsiasi
costo”) la sostanza sulla forma, anche a costo di sacrificare i principi
che postulano la par condicio, la celerità della procedura di gara.
Si tratta di una disposizione che può condurre ad effetti dirompenti
nelle gare pubbliche, in relazione alla quale, però, è possibile immaginare alcune problematiche applicative, se non addirittura degli abusi,
tali da fare “rimpiangere” il precedente assetto, il cui buon funzionamento avrebbe potuto essere garantito molto più semplicemente attraverso un’oculata definizione degli obblighi dichiarativi da porre a
carico dei privati.
A questo proposito, ed a conferma di quanto evidenziato nel presente scritto, è utile osservare che la recentissima sentenza 30 luglio
2014, n. 16 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, da un lato,
prefigura delle possibili difficoltà applicative legate all’art. 39 del d.l. n.
90/2014 e, dall’altro lato, in applicazione dei principi sostanzialistici in
precedenza richiamati, si pronuncia in senso diametralmente opposto rispetto alla sentenza ora in commento, postulando la sufficienza
di una dichiarazione generica di insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 (21).
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(21) Chi scrive è venuto a conoscenza della sentenza n. 16/2014 della Plenaria nell’imminenza della pubblicazione della presente nota a sentenza. In questa sede, quindi, è possibile fare solo un breve richiamo alla sentenza n. 16/2014 della Plenaria, rinviando ad un secondo momento
una più approfondita disamina dei contenuti di questa sentenza, che sembrano estremamente rilevanti sia nella prospettiva considerata nel presente contributo, sia, più in generale, in ordine alla vexata quaestio dell’approccio più o meno sostanzialista da tenersi nelle gare pubbliche.
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Giurisprudenza
Sull’onere di specificazione
delle risorse e dei mezzi
prestati, quale elemento
di validità del contratto
di avvalimento
Vittoria Bonaldo
T.A.R. TOSCANA, Firenze, sez. I, 19 maggio 2014, n. 865
Pres. Bovino; Est. Cacciari – Zelig soc. coop. (Avv.ti Marrone e Rigacci) c. Comune di Siena (Avv. Pisillo) e Itinera Progetti e Ricerche soc. coop. (Avv.ti Dello
Sbarba e Vignolini); soc. coop. Culture e soc. Munus s.r.l. (nn.cc.).
Contratti della p.a. – Appalti pubblici – Gara – Avvalimento dei requisiti –
Contratto di avvalimento – Art. 88, comma 1, d.P.R. 207/2010 costituisce
applicazione del principio civilistico generale della determinatezza o della determinabilità dell’oggetto del contratto, a pena di nullità (artt. 1346 e
1418, comma 2, c.c.) – Obbligo di specificazione in modo esplicito ed esauriente delle risorse e dei mezzi prestati dall’ausiliaria.
Affinché l’istituto dell’avvalimento – di matrice comunitaria e diretto a garantire la
massima partecipazione delle imprese alle procedure di affidamento dei contratti
pubblici – non si trasformi in una sorta di “scatola vuota”, che consenta la partecipazione alle gare d’appalto di imprese non qualificate, senza che sussista alcuna
garanzia in ordine alla fase di esecuzione contrattuale, è necessario che l’ausiliaria
ponga seriamente a disposizione dell’ausiliata le risorse ed i mezzi idonei a giustificare il “prestito” del requisito. L’impegno in tal senso, deve, pertanto, puntualmente
risultare dal contratto di avvalimento prodotto dalla concorrente ai fini della qualificazione alla gara d’appalto, pena l’esclusione dalla stessa. (1)
FATTO E DIRITTO
Omissis
1.1 La ricorrente, classificatasi terza nella graduatoria finale, con i primi cinque
motivi di gravame censura l’aggiudicazione avvenuta a favore del raggruppamento Itinera Progetti e Ricerche-Culture.
1.1.1 Con primo motivo deduce che il r.t.i. avrebbe dichiarato di ricorrere al subappalto per una percentuale eccedente i limiti imposti dalla legge: il subappalto riguar-
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Giurisprudenza
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derebbe sei servizi rispetto agli otto nei quali si articola l’appalto, per una percentuale
pari al 55,11% del prezzo complessivamente offerto, e il raggruppamento non potrebbe eseguirli in proprio perché sfornito dei requisiti necessari.
Con secondo motivo, rilevato che l’aggiudicatario ha dichiarato di ricorrere all’avvalimento per sopperire alla carenza di un requisito di partecipazione consistente
nell’aver svolto, nell’ultimo triennio, un servizio di allestimento e gestione di manifestazioni teatrali per un importo non inferiore ad € 200.000,00, lamenta che il contratto
di avvalimento non preciserebbe nulla sulle risorse che l’impresa ausiliaria metterebbe a disposizione, violando così il principio di specificità espresso dall’art. 88, d.P.R. 5
ottobre 2010, n. 207, ed i principi in proposito affermati dalla giurisprudenza.
Con terzo motivo lamenta che anche la mandataria Itinera del raggruppamento aggiudicatario risulterebbe priva dei requisiti di capacità tecnica, economica e finanziaria
richiesti dalla legge di gara, avendo svolto le attività teatrali autodichiarate a favore della Fondazione G. Goldoni di Livorno congiuntamente ad altra cooperativa senza che sia
individuabile quali parti delle stesse sono riferibili all’una o all’altra. A questo proposito
formula istanza istruttoria per acquisire i dati relativi al servizio autodichiarato.
Con quarto motivo deduce che l’offerta vincitrice presenterebbe ingiustificati abbattimenti delle previsioni di costo per il personale, il cui costo orario sarebbe inferiore a quanto stabilito dalle tabelle ministeriali, mentre tutti gli altri costi sarebbero distribuiti in misura paritetica tra i diversi servizi senza considerare l’incidenza del costo
specifico dei materiali di consumo, dei carburanti, della messa a disposizione di automezzi e delle apparecchiature. Le giustificazioni fornite dall’Amministrazione, che ha
dato corso al procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, non avrebbero dovuto essere accettate a causa della loro genericità.
In via subordinata, la ricorrente impugna la legge di gara per violazione dell’art. 82,
comma 3-bis, d.lgs. 2 aprile 2006 n. 163, che obbliga le stazioni appaltanti a verificare
puntualmente il costo del lavoro nell’ambito delle offerte presentate nelle gare di appalto. Di tale disposizione, che ratione temporis sarebbe applicabile al caso di specie,
la stazione appaltante non avrebbe tenuto conto né nella redazione della lex specialis,
né al momento in cui ha proceduto a verificare la congruità delle offerte.
1.1.2 Con riferimento all’impresa classificatasi al secondo posto della graduatoria lamenta che dal suo certificato camerale non risulterebbero, tra le sue attività principali, quelle teatrali le quali peraltro non sono annoverate nel suo sito ufficiale. La
carenza dei requisiti di partecipazione richiesti dal bando di gara ne avrebbe dovuto
quindi comportare l’esclusione.
Con terzo motivo lamenta che abbia dichiarato di affidare in subappalto prestazioni per un ammontare pari al 30,7% del prezzo complessivamente offerto, in una percentuale quindi superiore a quella prevista dalla normativa.
Con terzo motivo deduce che anche la sua offerta risulterebbe gravemente incongrua per quanto riguarda abbattimenti ingiustificati delle previsioni di costo per il personale, sottovalutazione delle voci di costo richiamate dal bando e per avere previsto
un utile d’impresa pari a zero; per di più avrebbe dichiarato, dopo la richiesta di giustificativi da parte della stazione appaltante, che non ne avrebbe fornito alcuno. Per tali motivi, a dire della ricorrente, anche questa offerta avrebbe dovuto essere esclusa.
1.1.3 La ricorrente, conclusivamente, chiede in via principale che vengano annullati gli atti di gara e disposto il suo subentro nell’appalto da aggiudicare, eventualmente previa dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato; in subordine, previo annullamento degli atti di gara, che l’Amministrazione comunale sia condannata a
svolgere una nuova valutazione di anomalia nei confronti della prima e della seconda
classificata; in ulteriore subordine, che vengano annullati tutti gli atti di gara.
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Giurisprudenza
1.2 Il Comune di Siena eccepisce l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse. Premesso che nella gara in esame sono state ammesse offerte in numero inferiore a cinque e quindi la valutazione di anomalia non è obbligatoria, l’accoglimento del ricorso non determinerebbe immediatamente l’aggiudicazione a favore
della ricorrente, evento ipotetico che sarebbe subordinato all’attivazione della procedura di anomalia nei confronti della seconda classificata e alla valutazione negativa delle giustificazioni. Eccepisce inoltre che l’impugnazione della legge di gara sarebbe tardiva.
Nel merito replica puntualmente alle deduzioni della ricorrente rilevando, per
quanto riguarda in particolare le censure avverso il contratto di avvalimento, che l’art.
88 del d.P.R. 207/2010 non sarebbe applicabile al comparto dei servizi e che le censure rivolte avverso le conclusioni raggiunte dalla stazione appaltante nel procedimento
di verifica dell’anomalia delle offerte sarebbero inammissibili, poiché costituirebbero
espressione di discrezionalità tecnica sindacabile solo per illogicità manifesta o errori
di fatto che nel caso di specie non sussisterebbero.
1.3 La controinteressata soc. coop. eccepisce l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse poiché la ricorrente è giunta terza in graduatoria ed ha omesso di
rappresentare una lesione del suo interesse strumentale alla rinnovazione della gara,
né ha formulato istanza per il rifacimento della procedura. Sarebbe inoltre inammissibile la domanda di subentro formulata dalla ricorrente perché questa, oltre l’annullamento dell’aggiudicazione, ha chiesto anche l’annullamento delle clausole della legge
di gara dalla stessa ritenute illegittime, e parimenti inammissibile sarebbe la domanda volta a condannare l’amministrazione appaltante a svolgere una nuova valutazione
di anomalia. Sarebbe infine irricevibile per tardività l’impugnazione del bando di gara poiché la ricorrente contesterebbe tardivamente clausole immediatamente lesive.
2. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
2.1. L’interesse al ricorso costituisce una delle condizioni dell’azione e si concretizza nella duplice circostanza che il ricorrente abbia subito un’effettiva lesione in una
posizione giuridica e che dall’accoglimento del gravame possa conseguire un vantaggio che non sia meramente emulativo. Nell’ambito delle procedure selettive, ed in
particolare nelle gare di appalto per l’aggiudicazione dei contratti pubblici, l’interesse insiste di norma in capo all’impresa classificata al secondo posto nella graduatoria
finale, laddove pretende l’esclusione della prima classificata con conseguente aggiudicazione del contratto a proprio favore. L’interesse sussiste anche quando la ricorrente faccia valere vizi della procedura che condurrebbero all’integrale annullamento
della gara svolta con sua conseguente riedizione, soddisfacendo così l’interesse strumentale ad ottenere una nuova probabilità di aggiudicarsi il contratto pubblico di cui
si tratta.
Nel caso in esame, il ricorso è stato proposto dall’impresa classificatasi al terzo posto e pertanto le parti resistenti ne eccepiscono l’inammissibilità per carenza di interesse. A loro dire l’aggiudicazione alla ricorrente sarebbe evento meramente ipotetico
conseguente all’attivazione della procedura di verifica dall’anomalia dell’offerta classificatasi al secondo posto in graduatoria; la ricorrente poi non rappresenta alcun vizio tale da condurre alla rinnovazione integrale della procedura per soddisfare un interesse strumentale.
L’eccezione deve essere respinta, poiché come correttamente replica la ricorrente, il gravame contiene censure che, se accolte, condurrebbero all’esclusione sia della
prima che della seconda classificata ed alla conseguente aggiudicazione del contratto pubblico in discussione a favore della ricorrente medesima. Non può quindi essere
escluso, in linea astratta, un suo interesse all’esame delle censure poiché se venissero
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Giurisprudenza
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accolte quelle rivolte contro sia la prima che la seconda classificata, potrebbe conseguire l’aggiudicazione del contratto pubblico soddisfacendo il proprio interesse finale.
2.2 Con riguardo alla prima classificata deve essere accolto, con carattere assorbente, il secondo motivo con cui la ricorrente contesta il contratto di avvalimento stipulato fra la società cooperativa Culture e la società “La Piccionaia-I Carrara Teatro
Stabile di Innovazione” al fine di integrare i requisiti di capacità tecnica richiesti dalla legge di gara.
Questa Sezione (T.A.R. Toscana, sez. I, 11 luglio 2013, n. 1161 e 21 marzo 2013, n.
443) ha avuto modo di designare la struttura che deve possedere il contratto di avvalimento affinché l’offerta dell’impresa ausiliata possa essere ritenuta affidabile e
quindi, ammessa alla procedura di gara. L’avvalimento è stato previsto per ampliare
la partecipazione alle gare per l’affidamento dei contratti pubblici, e a differenza del
raggruppamento temporaneo di imprese, comporta unicamente l’impegno dell’impresa ausiliaria verso quella concorrente a metterle a disposizione le risorse mancanti
per partecipare alla gara e, in caso di aggiudicazione, per eseguire il contratto a regola
d’arte. Il rapporto negoziale quindi intercorre tra la concorrente e l’ausiliaria. Quest’ultima, però, assume anche una responsabilità solidale con la prima verso la stazione
appaltante per quanto attiene alla corretta esecuzione del contratto (art. 49, comma 4,
d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163).
L’avvalimento, pur essendo espressione del fondamentale principio di favore per la
massima partecipazione, non può trasformarsi in una sorta di “scatola vuota” che consenta ai concorrenti, privi di taluni requisiti di qualificazione, di ottenere un prestito
dei medesimi al fine di partecipare alle procedure di affidamento senza che sussistano adeguate garanzie in ordine all’effettivo impiego, in fase di esecuzione contrattuale, delle risorse necessarie. È quindi indispensabile che l’impresa ausiliaria metta realmente a disposizione del concorrente non solo i propri requisiti di qualificazione, ma
anche (e soprattutto) le risorse di cui lo stesso è carente per l’esecuzione del contratto. In caso contrario, ove non sussista un impegno serio ed incondizionato in tal senso, si verificherebbe il fenomeno del concorrente che partecipa con avvalimento ad
una procedura e poi, in caso di aggiudicazione, si trova privo dei mezzi per realizzare
le prestazioni dedotte in gara.
La stazione appaltante deve essere garantita in ordine all’effettiva disponibilità,
da parte del concorrente che partecipa all’avvalimento, di tutte le risorse indispensabili per eseguire il contratto oggetto di gara. È vero che l’art. 88, comma 1, del d.P.R.
207/2010 è contenuto nella parte riguardante i contratti di lavoro e non di servizi o forniture, ma il dato letterale deve essere superato poiché detta norma è espressione del
più generale principio civilistico secondo il quale ogni contratto deve avere un oggetto determinato o determinabile, a pena di nullità (artt. 1346 e 1418, comma 2, c.c.). Il
contratto di avvalimento, per soddisfare tale condizione, deve specificare sempre in
modo esplicito ed esauriente le risorse e i mezzi prestati dall’ausiliaria, o contenere
strumenti atti ad identificarli e tanto più in un contratto pubblico di servizio (o di forniture) nel cui ambito, a differenza dei contratti di lavori, manca un sistema di qualificazione delle imprese.
L’avvalimento insomma, come configurato dalla legge, deve essere reale e non formale, nel senso che non può considerarsi sufficiente “prestare” la certificazione posseduta assumendo impegni assolutamente generici, giacché in questo modo verrebbe
meno la stessa essenza dell’istituto che sarebbe utilizzato non già per arricchire la capacità tecnica ed economica del concorrente, ma per consentire a soggetti che ne siano sprovvisti di concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di terzi (T.A.R. Campania,
Napoli II, 13 settembre 2013, n. 4264).
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Giurisprudenza
È stato anche affermato, a proposito del contratto di avvalimento, che l’esigenza
di una puntuale individuazione del suo oggetto, oltre ad avere un sicuro ancoraggio
sul terreno civilistico, trova giustificazione funzionale nella necessità di impedire aggiramenti del sistema dei requisiti di ingresso alle gare pubbliche. La mera riproduzione, nel testo dei contratti di avvalimento, della formula legislativa della messa a disposizione delle “risorse necessarie di cui è carente il concorrente” si palesa, oltre che
tautologica (e, come tale, indeterminata per definizione), inidonea a permettere qualsivoglia sindacato, da parte della stazione appaltante, sull’effettività della messa a disposizione dei requisiti (C.d.S., sez. VI, 13 giugno 3013, n. 3310, conf., sez. V, 12 dicembre 2013, n. 5384).
Nel caso di specie il contratto stipulato tra l’aggiudicataria e l’ausiliaria, al punto
1), impegna quest’ultima “a mettere a disposizione dell’impresa ausiliata le seguenti
competenze di cui risulta carente il concorrente: capacità tecnica in relazione a quanto prevede l’art. 8, punto b), del bando di gara”. Tale disposizione della legge speciale richiedeva, ai fini dell’ammissione, che i concorrenti avessero effettuato nell’ultimo triennio almeno un servizio di allestimento e gestione di manifestazioni teatrali
per un importo non inferiore ad € 200.000,00. Con tale impegno contrattuale l’ausiliaria ha messo a disposizione dell’ausiliata unicamente un proprio requisito soggettivo
di capacità tecnica, ma non le risorse necessarie a eseguire regolarmente l’appalto. Il
contratto di avvalimento non può comportare la mera messa a disposizione di un requisito di fatturato poiché questo attiene in modo strettamente soggettivo all’impresa ausiliaria e rappresenta un fatto storico, che non può traslare in virtù di un impegno
contrattuale dalla stessa ad altra impresa; ciò che può traslare è una determinata capacità tecnica di cui è espressione anche quel fatto, unitamente però alle risorse che devono essere individuate o individuabili e tanto, si ripete, in base al generale principio
di determinatezza dell’oggetto dei contratti.
Il contratto di avvalimento in questione prosegue, al punto 2), specificando l’impegno dell’ausiliaria “a consentire l’utilizzo dei requisiti sopra richiamati e a mettere
a disposizione, per tutta la durata dell’appalto, le risorse necessarie di cui è carente la
concorrente”. Trattasi di clausola generica che non specifica in alcun modo, né fornisce il modo di specificare, quali siano queste risorse. L’impegno dell’ausiliaria è carente del requisito della determinatezza o determinabilità Per tale motivo il raggruppamento aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura in discussione.
L’accoglimento di questo motivo assorbe le censure rivolte avverso il medesimo
raggruppamento.
Omissis
Commento
La sentenza in commento affronta il tema dell’avvalimento, con
particolare riguardo all’onere di specificazione delle risorse necessarie a giustificare l’attribuzione dei requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici.
L’argomento è oggetto di un annoso dibattito che ha accompagnato
l’istituto sin dalla sua comparsa.
Sin dagli anni Novanta, infatti, la giurisprudenza comunitaria, for-
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Giurisprudenza
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matasi sulle direttive 71/304, 71/305, 92/50, 37/93, 36/93 (1), ha ammesso l’avvalimento dei requisiti di altre imprese, a condizione che
venga fornita la prova dell’effettiva disponibilità delle risorse e dei
mezzi messi a disposizioni da altre aziende.
L’istituto, nato in ambito europeo, “dapprima come strumento legato alle logiche ed alle strategie imprenditoriali, sempre più orientate alla creazione di gruppi societari complessi e articolati, poi, evolve in istituto autonomo finalizzato a promuovere la competizione tra le imprese,
consentendo l’accesso alle gare anche ad aziende di nuova costituzione
o, comunque, non ancora in grado di esprimere tutte le potenzialità richieste per la partecipazione a determinate procedure di affidamento di
contratti pubblici” (2).
La fattispecie, inizialmente riconosciuta solo nei confronti di società appartenenti al medesimo gruppo – ove era consentito, alla società
in posizione dominante, comprovare il possesso dei requisiti di qualificazione ad una gara d’appalto, ricorrendo alle risorse delle consociate – ha poi subito un’estensione applicativa (3).
Nel noto caso Soc. Holst Italia, il giudice CE ha ammesso il ricorso
all’avvalimento anche al di fuori dei rapporti infragruppo, consentendo
all’operatore economico di ricorrere alle referenze di un soggetto terzo,
indipendentemente dalla natura giuridica del legame con tale soggetto.
In tal senso, ha precisato la Corte di Giustizia, “qualora per dimostrare le sue capacità finanziarie, economiche e tecniche al fine di essere ammessa ad una procedura di gara d’appalto, una società faccia riferimento alle capacità di soggetti o di imprese ai quali è legata da vincoli diretti
o indiretti, di qualunque natura giuridica essi siano, spetta ad essa dimostrare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti o imprese che
non le appartengono in proprio che sono necessari all’esecuzione” (4).
82
(1) In particolare la direttiva 1971/304/CEE riguarda la soppressione delle restrizioni alla
libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici e all’aggiudicazione dei
medesimi tramite agenzie o succursali; la direttiva 1971/305/CEE coordina le procedure di
aggiudicazione degli appalti di lavori privati; la direttiva 1992/50/CEE inerisce alle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi e la direttiva 1993/37/CEE attiene alle procedure
di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori e la direttiva 1993/36/CEE relativa alle procedure
di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture.
(2) Cfr. determinazione AVCP n. 2 del 1° agosto 2012.
(3) L’origine dell’istituto in esame è ricondotta alla sentenza 14 aprile 1994, causa C-389/92,
Ballast Nedam Groep I, della Corte di Giustizia.
(4) Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 2 dicembre 1999, causa C-176/98, Soc. Holst Italia “La
direttiva del Consiglio 18 giugno 1992 n. 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici di servizi va interpretata nel senso che consente ad un prestatore, per
comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara
d’appalto ai fini dell’aggiudicazione di un appalto di servizi, di far riferimento alle capacità di altri
soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado
di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all’esecuzione dell’appalto”.
3/2014
Giurisprudenza
In altre parole, il giudice comunitario ha stabilito che, ai fini della
qualificazione ad una procedura di gara, alcun rilievo assuma il formale collegamento giuridico tra le imprese, contando, al contrario, la sussistenza di un collegamento sostanziale, ovvero che l’impresa concorrente possa concretamente usufruire dei mezzi di un’altra società, pur
non appartenendo al medesimo gruppo di quest’ultima (5).
Ciò risulta essere stato specificato dalla sentenza in oggetto con
particolare riguardo ai requisiti tecnici, economici e finanziari, in relazione ai quali si è abbandonato completamente il presupposto dell’esistenza di un rapporto di controllo tra le società interessate per focalizzare l’attenzione sul profilo sostanziale del legame fra queste (6).
Nell’ottica di promozione dei profili concorrenziali, perseguita dalla
giurisprudenza CE, alcuno spazio è riconosciuto al formalismo giuridico
tanto in relazione allo status del concorrente quanto con riguardo ai mezzi di prova, rilevando esclusivamente la reale disponibilità delle risorse,
quale garanzia di corretto adempimento delle prestazioni appaltate.
Tale è il principio recepito e codificato dalle direttive 2004/18/CE e
2004/17/CE, che hanno espressamente riconosciuto all’operatore economico la possibilità di fare affidamento sulle capacità tecnico-professionali ed economico-finanziarie di altri soggetti, prescindendo dalla
natura giuridica del legame coi medesimi, a condizione che questo dimostri all’amministrazione che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine di questi soggetti (7).
Assume, pertanto, valenza cogente il dato sostanziale della disponibilità di mezzi e di risorse da parte dell’ausiliaria, che dev’essere
adeguatamente provata al momento della partecipazione all’appalto,
(5) Cfr. M. Urbani, L’avvalimento nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Tutto
quello che Pubblica Amministrazione e operatori devono sapere sull’avvalimento: tipologie di
contratto, requisiti, documentazione, modalità operative, Roma, Legislazione Tecnica, 2014, 13.
(6) Cfr. anche Corte di Giustizia, sentenza 18 marzo 2004, C-314/01, Siemens AG c/o Arge
Telekom & Partner.
(7) La direttiva 2004/18/CE, all’art. 47, in relazione alla capacità economica e finanziaria, dispone che “un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. In tal caso deve dimostrare all’amministrazione aggiudicatrice disporrà dei mezzi necessari,
ad esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine di questi soggetti”; all’art. 48, per quanto riguarda le capacità tecniche e professionali, prevede che “un operatore economico può, se del
caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. Deve, in tal caso, provare all’amministrazione aggiudicatrice che per l’esecuzione dell’appalto disporrà delle risorse necessarie ad esempio presentando dell’impegno di tale soggetto di mettere a disposizione dell’operatore economico le
risorse necessarie”. La direttiva 2004/17/CE, con riguardo alle procedure d’appalto degli enti erogatori d’acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, stabilisce
che, l’operatore economico, sprovvisto dei requisiti relativi alla capacità economico-finanziaria,
può “se necessario e per un determinato appalto, fare valere le capacità di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica dei legami con essi. In tal caso, egli deve provare all’ente aggiudicatore di disporre dei mezzi necessari esibendo, ad esempio, l’impegno di tali soggetti a tal fine”.
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Giurisprudenza
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senza che alcun rilievo possa più attribuirsi al vincolo giuridico intercorrente tra le imprese.
L’approccio concreto, adottato in materia dal diritto comunitario,
si riscontra altresì nella normativa nazionale, anche se, in parte, mitigato da un atteggiamento di maggior rigore a tutela per la posizione
dell’amministrazione appaltante.
Nel recepire le direttive citate, infatti, il legislatore italiano ha proceduto ad un contemperamento del principio del favor partecipationis con l’esigenza di garantire l’affidabilità dei lavori, dei servizi o delle
forniture appaltati (8).
A tal fine, l’art. 49 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), fornisce una disciplina dettagliata della documentazione occorrente a comprovare l’avvalimento in sede di procedura di gara.
Ai sensi della disposizione in esame, l’istituto si presenta, infatti,
come una fattispecie complessa, composta da atti negoziali unilaterali del concorrente (comma 2, lett. a)) e dell’impresa ausiliaria (comma
2, lett. d)), indirizzati alla stazione appaltante, nonché da un contratto tipico di avvalimento (comma 2, lett. f )), stipulato tra il concorrente
e l’ausiliaria. La stessa norma prevede inoltre, al comma 4, che “il concorrente e l’impresa ausiliaria sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante in relazioni alle prestazioni oggetto del contratto” (9).
In base alla disciplina, le parti principale ed ausiliaria devono impegnarsi non solo a mettere a disposizione il requisito soggettivo, ma
anche (e soprattutto) a fornire, in relazione all’esecuzione dell’appalto,
“le proprie risorse ed il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità e quindi, a seconda dei casi, mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti” (10).
Siffatto onere è strumentale all’esigenza di tutela dell’interesse pubblico della stazione appaltante, il cui soddisfacimento richiede la sussistenza di adeguate garanzie circa l’effettivo impiego, in fase di ese-
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(8) Quanto affermato appare in linea con la giurisprudenza nazionale inizialmente formatasi
in ordine all’istituto in esame, fortemente diffidente per via dell’incompatibilità tra l’esigenza
comunitaria di favorire la massima partecipazione alle procedure di affidamento, nel tentativo
di ampliare il mercato, e la garanzia di buona esecuzione dell’appalto. Prima dell’intervento del
Codice dei contratti pubblici del 2006, maggioritario risultava un orientamento restrittivo, che,
discostandosi dalle indicazioni comunitarie, riteneva rilevante il legame formale tra le imprese.
In tal senso, si segnalano, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 3 aprile 2001, n. 1838; id., sez. V, 25 marzo
2002, n. 1695.
(9) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3310.
(10) Cfr. Cons. Stato, sez. III, 18 aprile 2011, n. 2344; id., sez. IV, 17 ottobre 2012, n. 5340; T.A.R.
Campania, sez. II, 13 settembre 2013, n. 4264.
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Giurisprudenza
cuzione del contratto oggetto di affidamento, delle risorse e dei mezzi
necessari.
Il documento maggiormente significativo in tal senso è il contratto
di avvalimento di cui alla lettera f ), attraverso il quale il legislatore ha
inteso fornire all’amministrazione un ulteriore strumento per verificare la serietà dell’impegno assunto dall’ausiliaria (11).
Ciò è altresì confermato dall’art. 88 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207,
recante il Regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice, che,
in funzione integrativa del menzionato art. 49, fornisce una dettagliata disciplina circa il contenuto del contratto di avvalimento, facendo
espresso riferimento alla necessità di riportare in modo compiuto,
specifico ed esauriente, le risorse ed i mezzi prestati.
Tanto premesso, venendo all’oggetto della trattazione, nel caso di
specie, non pare essere stato assolto, da parte del r.t.i. aggiudicatario, il
descritto obbligo di specificazione.
La sentenza in commento attiene ad una gara d’appalto indetta con
procedura aperta e criterio del prezzo più basso per l’affidamento di
un servizio di allestimento e gestione di manifestazioni teatrali, conclusasi con l’ammissione di tre offerte ed il collocamento in ultima posizione della società ricorrente.
Con i primi cinque motivi di gravame, la Zelig soc. coop. censura
l’aggiudicazione avvenuta a favore del raggruppamento Itinera-Progetti e Ricerche-Culture.
In particolare, per quanto qui di interesse, la ricorrente lamenta
che il contratto di avvalimento non preciserebbe nulla sulle risorse che
l’impresa ausiliaria metterebbe a disposizione, violando, appunto, il
menzionato principio di specificità di cui all’art. 88 del d.P.R. 207/2010.
Il raggruppamento posizionatosi al primo posto, infatti, ai fini della
partecipazione alla gara, ha dichiarato di ricorrere all’avvalimento per
sopperire alla carenza di un requisito di partecipazione consistente
nell’aver svolto, nell’ultimo triennio, un servizio analogo a quello oggetto di gara, per un importo non inferiore a € 200.00,00.
Tuttavia, circa le risorse fornite in relazione al suddetto requisito
di capacità tecnica, l’ausiliaria risulta essersi genericamente impegnata “a consentire l’utilizzo dei requisiti sopra richiamati e a mettere a disposizione, per tutta la durata dell’appalto, le risorse necessarie di cui è
carente la concorrente”.
Al riguardo, il T.A.R. Toscana, nell’accogliere la doglianza di par-
(11) Come precisa la determinazione AVCP n. 2/2012 cit., il contratto di avvalimento va
necessariamente prodotto e deve contenere la dettagliata indicazione delle risorse poste a
disposizione dell’impresa ausiliata.
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Giurisprudenza
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te ricorrente, ha osservato come il contratto di avvalimento non possa comportare la mera messa a disposizione di un astratto requisito di
qualificazione, senza individuare le risorse che ne assicurino l’effettiva
disponibilità ai fini dell’esecuzione dell’appalto; ciò, in particolare, con
riguardo al requisito del fatturato.
Quest’ultimo, spiegano i giudici fiorentini, rappresenta un “fatto
storico, che non può traslare in virtù di un impegno contrattuale dalla
stessa ad altra impresa; ciò che può traslare è una determinata capacità tecnica di cui è espressione quel fatto, unitamente però alle risorse che
devono essere individuate o individuabili […] in base al generale principio di determinatezza dell’oggetto dei contratti”.
Il contratto di avvalimento in questione, prosegue il Collegio, limitandosi a richiamare, per quanto attiene alla risorse necessarie, le generiche formule legislative di cui all’art. 49 del Codice, risulta, infatti,
“carente del requisito della determinatezza o determinabilità”.
Per tale motivo, il r.t.i. aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso
dalla procedura in questione.
Tale conclusione offre lo spunto per analizzare uno dei profili più
discussi in materia, ovvero la validità del contratto di avvalimento in
relazione alla determinazione del suo contenuto.
Giova, sul punto, operare un previo chiarimento circa la natura del
requisito in parola, la cui duplice definizione comporta la configurazione di altrettante distinte figure di avvalimento.
Da un lato, vi è il fatturato quale tipico requisito immateriale di natura finanziaria, finalizzato a garantire l’affidabilità e la solidità economica del concorrente tanto con riguardo alla realizzazione dell’opera
oggetto di appalto quanto in relazione al ristoro dell’amministrazione
in ipotesi di inadempimento.
In tale accezione inteso, il requisito in parola è strumentale alla verifica della capacità economico-finanziaria dell’impresa, comprovabile, ai sensi dell’art. 41 del Codice, sia attraverso l’indicazione del fatturato globale d’impresa sia mediante la specificazione dell’importo
maturato in relazione ad attività analoghe a quelle oggetto d’appalto (12).
In relazione a siffatta tipologia di fatturato, si concretizza il c.d. avvalimento “di garanzia”, “figura nella quale l’ausiliaria mette in campo
la propria solidità economica e finanziaria a servizio dell’aggiudicata-
86
(12) Ai sensi dell’art. 41, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, negli appalti di forniture e servizi, la dimostrazione della capacità economico-finanziaria delle imprese concorrenti possa essere fornita mediante la allegazione della “dichiarazione, […], concernente il fatturato globale d’impresa e
l’importo relativo ai servizi o forniture nel settore oggetto della gara, realizzati negli ultimi tre esercizi”.
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Giurisprudenza
ria ausiliata, ampliando così lo spettro della responsabilità per la corretta esecuzione dell’appalto” (13).
D’altro lato, si pone il fatturato in senso tecnico-organizzativo.
Secondo quanto disposto dall’art. 42 del d.lgs. n. 163/2006, infatti, la
dimostrazione della capacità tecnico-professionale dell’impresa concorrente può essere fornita mediante l’indicazione degli importi relativi ai principali servizi od alle principali forniture prestati, in settori
analoghi a quelli oggetto di gara, negli ultimi tre anni.
In tale ottica, il possesso di un fatturato specifico nel settore oggetto di gara è funzionale a garantire l’affidabilità dell’aggiudicataria circa l’esecuzione dell’appalto in affidamento, attraverso la valorizzazione dell’esperienza pregressa.
L’avvalimento, in tali ipotesi, si qualifica come “operativo”, in quanto, avente ad oggetto un requisito che, sebbene connotato da venature finanziarie, risulta funzionale ad assicurare la capacità realizzativa
dell’impresa concorrente.
Ciò premesso, alcun dubbio pare sussistere circa la natura del requisito richiesto ai fini della partecipazione alla procedura in discussione.
Con il contratto di avvalimento prodotto, l’ausiliaria si è impegnata a mettere a disposizione la propria capacità tecnica in relazione alla realizzazione, nell’ultimo triennio, di un servizio di allestimento e
gestione di manifestazioni teatrali, per un importo non inferiore ad €
200.000,00.
In altre parole, attraverso l’indicazione del fatturato, maturato in relazione ad attività analoghe a quelle appaltate, la soc. coop. Culture ha
fornito all’ausiliata le competenze tecnico-professionali necessarie ad
assicurare l’idoneità a svolgere i servizi oggetto di gara.
Ciò, tuttavia, senza fornire alcuna indicazione in ordine al tipo di
dotazioni, mezzi e personale, al contrario indispensabile a rendere
comprensibile in cosa potesse concretizzarsi il supporto offerto, tanto più che oggetto d’appalto sono servizi di allestimento e gestione di
manifestazioni teatrali, “alle cui prestazioni specifiche andava fatto un
riferimento in concreto” (14).
Si pone dunque, come su esposto, il quesito circa la validità di un
contratto di avvalimento in tal modo stipulato.
Una prima soluzione si riscontra nella sentenza oggetto di analisi.
Il T.A.R. Toscana, infatti, ponendosi in linea con un consolidato
orientamento giurisprudenziale, osserva che il contratto di avvalimen-
(13) Cfr. T.A.R. Campania, 2 febbraio 2011, n. 644.
(14) Cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 gennaio 2014, n. 294.
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to non può comportare la mera messa a disposizione di un requisito di
fatturato, se non unitamente alle risorse che devono essere individuate
o individuabili, diversamente configurandosi una violazione del generale principio di determinatezza dell’oggetto dei contratti.
Come il medesimo Collegio aveva già avuto modo di precisare in altra recente sentenza, anche il contratto di avvalimento deve rispettare
la disciplina civilistica in tema di contenuto contrattuale, richiedendosi, ai fini della qualificazione in gara, che lo stesso riporti in modo compiuto, esplicito ed esauriente le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico (15).
Sebbene, come ex adverso eccepito, l’art. 88 del d.P.R. n. 207/2010
sia collocato nella parte inerente i contratti di lavori, cionondimeno
l’obbligo di specificazione in esso contenuto risulta applicabile anche
ai comparti dei servizi e delle forniture.
Innanzitutto, si rileva che – come giustamente osservato dalla I sezione del T.A.R. Toscana – la disposizione in parola costituisce espressione del più generale principio civilistico di determinatezza dell’oggetto del contratto (artt. 1346 e 1418, comma 2, c.c.), che richiede una
puntuale indicazione del contenuto contrattuale, a pena di nullità.
Tale condizione risulta soddisfatta esclusivamente con la specificazione delle risorse e dei mezzi concretamente prestati al fine di giustificare l’attribuzione del requisito, che, nel caso di specie, come già evidenziato, consiste nell’esperienza pregressa.
Quest’ultima, inoltre, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, “rappresenta, nell’ambito dei servizi e delle forniture,
quello che l’attestazione SOA è per gli appalti di lavori, vale a dire il
principale elemento di qualificazione dell’impresa”.
Atteso siffatto parallelismo, e considerata l’applicabilità del citato
art. 88 del d.P.R. n. 207/2010 in materia di appalti di lavori, “lo stesso
principio non può che valere anche per la dimostrazione del possesso,
mediante avvalimento, dei requisiti di capacità tecnica e professionale
negli appalti di servizi, quale nel caso di specie una pregressa esperienza specifica nel settore dell’appalto per cui è causa” (16).
88
(15) Cfr. T.A.R. Toscana, sez. I, 21 marzo 2013, n. 443.
(16) Cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 novembre 2011, n. 6040; id., sez. V, 6 agosto 2012, n. 4510;
T.A.R. Campania, sez. I, 4 luglio 2012, n. 3194. Sul tema, si esprime altresì la circolare prot. n.
4536 del 30 ottobre, recante “Primi chiarimenti in ordine all’applicazione delle disposizioni di
cui al d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 in particolare alla luce delle recenti modifiche e integrazioni
intervenute in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, pubblicata in G.U.R.I.
n. 265 del 13 novembre 2012. In particolare, è stabilito che, con riferimento ai servizi ed alle
forniture, attraverso il mancato richiamo espresso all’art. 88, il legislatore “ha voluto consentire
che il contratto di avvalimento possa avere anche un oggetto determinabile ai sensi dell’art. 1346
del Codice civile. […]. Pertanto, a norma del citato art. 1346 c.c., ove un contratto abbia un oggetto
indeterminato, lo stesso sarà da reputarsi nullo e quindi “mancante” a norma dell’art. 49, comma
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Giurisprudenza
Tanto esposto è conforme, peraltro, alla stessa ratio dell’avvalimento. Non può, in tal senso, considerarsi sufficiente “prestare” la certificazione assumendo impegni assolutamente generici, se non al prezzo
di snaturare l’istituto per piegarlo ad una logica di elusione dei requisiti stabiliti nel bando di gara (17).
A scongiurare tale evenienza, risulta indispensabile che l’ausiliaria
metta concretamente a disposizione del concorrente non solo i requisiti di qualificazione ad una procedura di gara, ma anche (e soprattutto) le risorse che assicurino, in caso di aggiudicazione, la corretta esecuzione del contratto oggetto d’appalto.
Si comprende, pertanto, come il mero richiamo alle generiche formule normative, senza alcun riferimento alle effettive risorse di mezzi,
personale, organizzative e di know how fornite dall’impresa ausiliaria,
non possa ritenersi idoneo a soddisfare l’esigenza di individuazione
dell’oggetto del contratto di avvalimento.
Tale è l’iter logico che ha condotto il T.A.R. Toscana ad annullare
l’aggiudicazione del raggruppamento posizionatosi al primo posto, ritenendo l’impegno assunto dall’ausiliaria “carente del requisito di determinatezza o determinabilità” ed il relativo contratto invalido.
Esiste, tuttavia, un altro indirizzo giurisprudenziale che, configurando il requisito in esame in termini puramente monetari, offre una
prospettiva del tutto diversa sul punto.
Vi è, infatti, chi ritiene che “l’aver realizzato un determinato fatturato in relazione a servizi analoghi a quelli oggetto d’appalto nel periodo e per l’importo richiesti dal bando” costituisca oggetto di un avvalimento “di garanzia”, circa il quale non risulta necessaria alcuna
specificazione in ordine alle risorse prestate.
In quest’ottica, il possesso di un fatturato specifico in relazione a
servizi o forniture nel settore oggetto di gara, lungi dal garantire un’adeguata idoneità tecnico-professionale del concorrente, atterrebbe
piuttosto alla solidità economica di quest’ultimo.
Inteso come strumento volto a tenere indenne la stazione appaltante dai rischi connessi all’inadempimento o all’inesatto adempimento del contratto oggetto di gara, l’avvalimento non richiederebbe,
pertanto, alcuna ulteriore puntualizzazione ai fini della validità del relativo contratto (18).
In tal senso, in un primo momento, risulta essersi espresso anche
1, lett. f ) del Codice dei contratti, con la conseguenza che l’avvalimento è da ritenersi illegittimo”.
(17) Cfr., Cons. Stato, n. 3310/2013, cit.; id., sez. V, 12 dicembre 2013, n. 5384; T.A.R. Veneto,
sez. I, 11 settembre 2013, n. 1092; T.A.R. Lazio, sez. III-quater, 24 ottobre 2013, n. 9136; Cons.
Stato, sez. III, 17 giugno 2014, n. 3058.
(18) Cfr. T.A.R Friuli Venezia Giulia, sez. I, 18 aprile 2013, n. 242; id., 13 giugno 2014, n. 268.
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Giurisprudenza
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il Consiglio di Stato, III Sezione, in particolare rilevando come, attesa
la natura economico-finanziaria del requisito di fatturato, la funzione
dell’ausiliaria fosse limitata ad assicurare all’ausiliata “un partner commerciale con una solidità patrimoniale ed esperienza proporzionale alle prestazioni richieste”.
Di talché, sarebbe risultato sufficiente il mero richiamo alle dichiarazioni di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 163/2006, senza alcuna ulteriore
puntualizzazione in ordine alle risorse messe effettivamente a disposizione (19).
Recentemente, però, la stessa Terza Sezione del Consiglio di Stato,
adita in riferimento ad analoga questione, ha manifestato un radicale
mutamento di indirizzo.
Con la sentenza n. 294 del 22 gennaio 2014, i Giudici di Palazzo Spada non solo hanno espressamente riconosciuto la natura tecnico-professionale del requisito di fatturato in parola, ma hanno altresì sancito
l’essenzialità di una puntuale indicazione delle risorse e dei mezzi prestati anche con riguardo al c.d. avvalimento di garanzia.
In primo luogo, infatti, hanno osservato come, attraverso la messa a disposizione di una porzione di fatturato maturato in relazione
all’effettuazione di attività analoghe a quelle oggetto di gara, nel periodo e per l’importo richiesti dal relativo bando, l’impresa ausiliaria si impegni a fornire le specifiche competenze sviluppate nel tempo in materia.
In secondo luogo, il Supremo Collegio, ha escluso, anche con riguardo all’avvalimento di garanzia, che oggetto di “prestito” possa
essere una mera condizione soggettiva ed astratta, completamente
disancorata dalla messa a disposizione di un’adeguata porzione di risorse materiali, economiche e gestionali.
“Proprio per la sua peculiare funzione di estensione della base patrimoniale della responsabilità da esecuzione dell’appalto, l’avvalimento di garanzia può spiegare la sua funzione di assicurare alla stazione
appaltante un partner commerciale con solidità patrimoniale proporzionata ai rischi di inadempimento contrattuale, solo se rende palese la
concreta disponibilità attuale di risorse e dotazioni aziendali di cui si dà
mandato all’ausiliata di avvalersi” (20).
90
(19) Cfr. Cons. Stato, sez. III, 24 dicembre 2013, n. 6236, che aveva concluso ritenendo determinato nell’oggetto un contratto di avvalimento contenente il solo impegno dell’ausiliaria alla messa disposizione della porzione di fatturato specifico, senza alcuna indicazione in ordine ai
mezzi necessari alla concreta attuazione dei servizi oggetto di gara. Sul punto v. anche Cons. Stato, sez. V, 19 settembre 2012, n. 4970.
(20) Cfr. Consiglio di Stato, n. 2344/2011, cit.; id., sez. V, n. 4510/2012, cit.; id., sez. III, n.
294/2014, cit., secondo cui l’avvalimento di garanzia “non deve rimanere astratto, cioè svincolato
da qualsivoglia collegamento con risorse materiali o immateriali”. Nel medesimo senso si esprime
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Giurisprudenza
Il principio così enucleato è stato ulteriormente confermato dalla
medesima Sezione, che, il 17 giugno scorso, ha ribadito come l’assenza di qualsivoglia collegamento con risorse materiali od immateriali
“snaturerebbe l’istituto in elusione dei requisiti stabiliti nel bando di gara, esibiti in modo solo formale, finendo col frustrare anche la funzione
di garanzia” (21).
Qualunque configurazione assuma, pertanto, l’istituto in oggetto
deve essere “reale”, nel senso che non può considerarsi sufficiente il
mero richiamo alle generiche formule legislative previste dal codice,
se non al prezzo di un’invalidità del contratto di avvalimento per indeterminatezza del contenuto, che è causa di esclusione dalla procedura di gara (22).
Tale è dunque la conclusione maggiormente condivisibile: oltre ad
essere ormai pacificamente sostenuta in giurisprudenza, essa appare
altresì aderente al dato testuale dell’art. 49 del Codice.
Ai sensi della disposizione in questione, infatti, è onere del concorrente dimostrare che l’ausiliaria non solo si impegna a fornire il requisito soggettivo richiesto, quale mero valore astratto, ma altresì assume
l’obbligazione di mettere a disposizione, in relazione all’esecuzione
dell’appalto, le proprie risorse ed il proprio apparato organizzativo in
tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito (23).
Un eventuale impegno generico, infatti, potrebbe, al più, costituire il contenuto della dichiarazione di cui alla lettera d), comma 2, della disposizione in parola, ma “poiché viene richiesto un elemento ulteriore, all’art. 49, comma 2, lettera f ), cioè il contratto di avvalimento,
non vi è dubbio che lo stesso deve offrire un quid pluris, pena il concretizzarsi di un’inutile ripetizione di quanto già fornito alla stazione appaltante” (24).
D’altra parte, l’esigenza di una puntuale determinazione del contenuto del contratto di avvalimento è strumentale alla stessa ratio dell’istituto, volto – come più volte ribadito – non solo a favorire la massima
il T.A.R. Campania che, nella sentenza n. 644/2011, cit., osserva come la figura in questione, che
peraltro trova riscontri limitati nell’ordinamento, possa essere “ontologicamente ammessa solo in
relazione alla dimostrazione del possesso di idonei requisiti economici e finanziari”. Pertanto, proprio in ragione della peculiare funzione assolta dell’avvalimento di garanzia, “la messa a disposizione di requisiti (soggettivi e) astratti, cioè svincolata da qualsivoglia collegamento con risorse
materiali o immateriali, snatura e stravolge l’istituto”.
(21) Cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 3058/2014, cit.
(22) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 aprile 2008, n. 1856; id., sez. III, n. 2344/2011, cit.; id., sez. V,
n. 5384/2013, cit., secondo cui “non può ritenersi valido ed efficace il contratto di avvalimento da
cui non emerga un serio impegno dell’ausiliaria di mettere a disposizione dell’ausiliata le proprie
risorse per tutta la durata dell’appalto”.
(23) Cfr. Cons. Stato, n. 2344/2011, cit.
(24) Cfr. M. Urbani, op. cit., 68.
91
Giurisprudenza
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partecipazione alle gare d’appalto, ma altresì ad evitare che l’istituto in
parola diventi uno strumento per eludere il sistema di requisiti di partecipazione previsto dal Codice (25).
In definitiva, alla luce di quanto stabilito dalla disciplina comunitaria (26), dalla legislazione nazionale e del maggioritario orientamento giurisprudenziale, ai fini della legittima configurazione dell’avvalimento, occorre che l’attribuzione dei requisiti di qualificazione ad una
procedura di gara sia contrattualmente giustificata attraverso l’espressa puntualizzazione delle risorse messe a disposizione.
92
(25) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2956, secondo cui l’esigenza di cui trattasi esiste altresì con riferimento alla dichiarazione unilaterale in quanto “nell’istituto dell’avvalimento
l’impresa ausiliaria non è semplicemente un soggetto terzo rispetto alla gara, dovendosi essa impegnare non soltanto verso l’impresa concorrente ausiliata ma anche verso la stazione appaltante
a mettere a disposizione del concorrente le risorse di cui questi sia carente […]”.
Vale precisare, al riguardo, che l’impresa ausiliaria, ai sensi del comma 4, dell’art. 49 del Codice, assume una responsabilità solidale con la società concorrente, verso la stazione appaltante, in relazione alle prestazioni oggetto del contratto, “divenendo così titolare di un’obbligazione dipendente rispetto a quella principale assunta dall’ausiliata”. In tal senso, cfr. anche Cons.
Stato, sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 1858, nonché T.A.R. Toscana, sez. I, 11 luglio 2013, n. 1161, secondo cui l’ausiliaria “diviene titolare di un’obbligazione dipendente rispetto a quella principale
assunta dall’ausiliata che si perfeziona con l’aggiudicazione e la stipula del contratto pubblico con
quest’ultima”.
(26) In particolare, si ricorda la nota C (2008) 0108 del 30 gennaio 2008, con cui la Commissione
Europea ha avviato una procedura di infrazione a carico dello Stato Italiano, chiarendo come, in
materia di avvalimento, “Nessuna limitazione è prevista, e dunque consentita, da dette direttive, la
sola condizione essendo quella di permettere all’amministrazione aggiudicatrice di verificare che il
candidato/offerente disporrà delle capacità richieste per l’esecuzione dell’appalto”.
3/2014
Giurisprudenza
Illegittimità
dell’aggiudicazione
conseguita in violazione
del protocollo di legalità
per condizionare l’esito
della procedura concorsuale
Emanuela Rizzi
T.A.R LOMBARDIA, Milano, sez. I, 9 luglio 2014, n. 1802
Pres. Mariuzzo; Est. Fanizza – Costruzioni Perregrini s.r.l., Panzeri s.p.a., Milani Giovanni & C. s.r.l. (Avv.ti Colombo e Poscio) c. Expo 2015 s.p.a. (Avv.ti Greco
e Muscardini) e Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro s.p.a. (Avv. Cerami).
Contratti della p.a. – Appalti di lavori pubblici – Gara – Violazione del protocollo di legalità per condizionare l’esito della procedura – Aggiudicazione – Illegittimità e conseguente annullamento aggiudicazione per alterazione par condicio.
Nel caso di specie è attendibile ritenere che la procedura di gara, prim’ancora di
aver avuto formale avvio, sia stata falsata e distorta da una pressione corruttiva
connotata da illeciti accordi incidenti sulla sua legittimità e trasparenza, risultando incontestata l’avvenuta emersione di gravi indizi di colpevolezza circa il tentativo di condizionarne lo svolgimento e l’esito. La sensibile alterazione delle condizioni di par condicio tra i concorrenti integra quindi un motivo sufficiente per
disporre l’annullamento dell’aggiudicazione, quale rimedio finalizzato a costituire
una frontiera più avanzata di tutela dell’amministrazione contro i possibili abusi
dei partecipanti alle procedure di evidenza pubblica. (1)
DIRITTO
Omissis
Passando al secondo, e più articolato, motivo le ricorrenti hanno dedotto che la
stazione appaltante non avrebbe “posto in essere alcuna attività volta a ripristinare la
legalità palesemente violata” (cfr. pag. 8), a ciò soggiungendo che le condotte oggetto
di accertamento da parte della Procura costituirebbero – in equiparazione ai nominati “casi di gravi violazioni” di cui all’art. 121 del codice del processo amministrativo –
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Giurisprudenza
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causa di annullamento dell’aggiudicazione e caducazione del contratto, trattandosi di
“sostanziale violazione dei principi di concorrenza” (cfr. pag. 10).
La prevista risoluzione del contratto, pertanto, troverebbe fondamento in una condotta congruamente emergente dalle indagini in corso (peraltro avvalorate dalle dichiarazioni confessorie di alcuni dei soggetti direttamente coinvolti nel sodalizio illecito), integrata dal non aver denunciato, o addirittura ad aver concorso a favorire,
il condizionamento della procedura di gara, indipendentemente dalla consumazione
del reato, risultando sufficiente il mero tentativo ai fini dell’alterazione della par condicio con gli altri concorrenti.
Tale motivo è fondato, essendo l’illegittimità dell’aggiudicazione comprovata dalle condotte inveratesi nella preordinata finalità di illecitamente condizionare il procedimento di gara.
Inequivocabili riscontri provengono, in particolare, dall’analisi degli atti di indagine che le ricorrenti hanno depositato in giudizio dopo averne ottenuto copia dalla Procura della Repubblica in accoglimento di un’apposita istanza di accesso del 16.6.2014.
Ferma restando l’evoluzione delle indagini in corso e l’individuazione di ulteriori
capi di incolpazione, tale documentazione evidenzia:
a) la costituzione di una “associazione criminosa” – della quale avrebbero fatto parte, tra gli indagati, l’alto dirigente di Expo 2015 S.p.A. (e responsabile del procedimento
di gara) dott. Angelo Paris e l’amministratore unico dott. Enrico Maltauro – finalizzata
alla turbativa della procedura di gara in questione (artt. 353 e 353-bis del codice penale); e ciò mediante “corruzione, mediante promessa al pubblico ufficiale di avanzamenti in carriera” (da parte degli indagati formalmente estranei allo svolgimento della procedura) e la rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326 del codice penale);
b) un’incidenza diretta delle condotte illecite in corso di accertamento sulla procedura di gara, tenuto conto che il responsabile del procedimento, dopo essere stato
avvicinato da alcuni degli indagati, avrebbe addirittura finito “per condividere il programma criminoso “aperto” del sodalizio”, diventandone protagonista attivo; mentre,
parallelamente, “gli altri sodali Maltauro e Greganti Primo, dal canto loro, si attivavano nei confronti dei commissari “amici” che immediatamente garantiscono un precostituito giudizio di favore circa l’offerta di Maltauro” (cfr. pag. 248);
c) il tentativo di condizionare la procedura, tale da comprometterne la trasparenza e legittimità, che ad avviso del Collegio è idoneamente integrato dal fatto che, dopo l’avvenuto avvicinamento del dirigente Expo, “il 29 ottobre 2013 (…) Frigerio e Paris
Angelo hanno tra loro la prima riunione, sempre in luoghi non istituzionali bensì all’interno degli uffici della onlus “centro culturale Tommaso Moro”, e tra i due nasce immediatamente una “intesa illecita” addirittura definita da Ferigerio “strepitosa” al punto che il direttore generale chiede al sodale, prendendone nota, nominativi di imprese
“sponsorizzate” dall’associazione [criminosa] e da favorire con riferimento alle successive gare Expo S.p.A.” (cfr. pag. 249).
Il concreto risultato delle descritte attività criminose è dunque stata l’aggiudicazione dell’appalto al RTI capeggiato dall’impresa di Costruzioni Giuseppe Maltauro,
che quindi è da ritenere illegittima sia per un manifesto abuso della funzione amministrativa da parte degli organi della stazione appaltante (sulla scorta dei gravi indizi
raccolti dalla Procura, si tratterebbe del responsabile del procedimento e dei commissari di gara), ben oltre i canoni tradizionali del vizio dell’eccesso di potere, sia in ragione dell’antigiuridica condotta imputata all’amministratore unico della società mandataria.
Quest’ultimo, secondo l’ipotesi di reato per cui sta procedendo l’organo inquirente, avrebbe intessuto dei rapporti preordinati ad ottenere l’affidamento, accettando di
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Giurisprudenza
divenire parte integrante del ridetto sodalizio criminoso, nel contempo formalmente
prestando, una volta iniziato il procedimento di gara, una infedele adesione al Protocollo di Legalità.
Il che, ad avviso del Collegio, si traduce in una condotta molto più grave rispetto
alla “semplice” omissione di denuncia prescritta dalle clausole del Protocollo, che individuano, quale contenuto minimo per sostanziare la violazione dell’obbligo informativo, l’ipotesi del concorrente che sia stato coartato alla dazione di tangenti e che,
ciononostante, si sia astenuto dal porre al corrente di tale illecita richiesta la Prefettura e l’Autorità giudiziaria.
Nel caso di specie, l’amministratore unico dell’impresa capogruppo consta, infatti, aver tenuto una condotta attiva, anzi propositiva, parimenti rilevante ai fini della
mancata osservanza delle viste clausole, posto che in tali previsioni è stato fissato un
principio volto a sanzionare lo scambio illecito di denaro, ovvero la prestazione di altre utilità (si fa espresso richiamo, ad esempio, all’assunzione di personale o al reclutamento di determinate imprese per lavorazioni, forniture e servizi) “prima della gara
e/o dell’affidamento o nel corso dell’esecuzione dei lavori”.
Del resto, un’indiretta conferma della gravità delle condotte in questione è provenuta proprio dalla controinteressata, la quale ha prodotto in giudizio due deliberazioni assunte dal consiglio di amministrazione in data 16.6.2014, con le quali ha disposto,
previo conferimento di apposito incarico professionale, di “promuovere nei confronti
del dott. Enrico Maltauro azione di responsabilità di cui agli artt. 2392 e 2393 c.c.”; e ciò
alla luce del fatto che quest’ultimo ha posto in essere una “palese violazione dei protocolli preventivi adottati dall’impresa ai sensi del d.lgs. 231/2001 ed in particolar modo del codice etico”.
È attendibile ritenere, perciò, che la procedura di gara, prim’ancora di aver avuto
formale avvio, sia stata falsata e distorta da una pressione corruttiva connotata da illeciti accordi incidenti sulla sua legittimità e trasparenza, risultando incontestata – a
prescindere dal giudizio di disvalore o di non definitivo accertamento della responsabilità penale, cui le parti hanno fatto riferimento nei loro scritti – l’avvenuta emersione di gravi indizi di colpevolezza circa il tentativo di condizionarne lo svolgimento e l’esito.
Conforta l’assunta conclusione il fatto che, a seguito di tali accertamenti, siano state emesse misure di custodia cautelare nei confronti dell’amministratore unico della
società capogruppo del RTI aggiudicatario, nonché del responsabile del procedimento (Angelo Paris), il quale avrebbe reso ammissioni confessorie circa l’esistenza di un
“sistema” di rapporti personali preordinato ad alterare la procedura di gara.
Non è, quindi, nella specie dubitabile che siano mancate le minime condizioni di
trasparenza essenziali per l’efficiente espletamento della gara in questione.
Sul punto, la Sezione, nel definire un giudizio concernente un affidamento di Expo
2015, ha rilevato che “nel “considerando” n. 39 della Direttiva 2004/18/CE sia previsto
che “la verifica dell’idoneità degli offerenti, nelle procedure aperte, e dei candidati, nelle procedure ristrette e negoziate con pubblicazione di un bando di gara nonché nel dialogo competitivo, e la loro selezione dovrebbero avvenire in condizioni di trasparenza”,
conferma che la garanzia di procedure scevre da possibili illeciti (soprattutto per l’Expo
2015) costituisca una precondizione di legittimità delle medesime”, per l’effetto statuendo l’illegittimità dell’aggiudicazione disposta in favore della concorrente aggiudicataria in violazione delle citate condizioni (cfr. sentenza 31 marzo 2014, n. 848).
Le accertate condotte – sostanziate da indizi gravi, che hanno giustificato la disposta custodia cautelare nei confronti dei soggetti più sopra indicati – non possono,
quindi, che ritenersi contrastanti sia con il diritto comunitario che con il diritto na-
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zionale, apparendo al Collegio non persuasiva la minimizzazione degli episodi opposta dalla società controinteressata sul solo presupposto che le indagini sarebbero pendenti, tenuto conto che l’efficienza causale di tali comportamenti sulla legittimità della
procedura ha trovato conferma da parte dei diretti interessati.
Non è, di conseguenza, necessario attendere gli esiti dei futuri giudizi per affermare che la sensibile alterazione delle condizioni di par condicio tra i concorrenti integri
un motivo sufficiente per disporre l’annullamento dell’aggiudicazione, quale rimedio
finalizzato a costituire una frontiera più avanzata di tutela dell’Amministrazione contro i possibili abusi dei partecipanti alle procedure di evidenza pubblica.
Sotto tale profilo, l’odierno giudizio, pur presentando – come ha eccepito la società resistente – elementi di astratta somiglianza con la vicenda di cui alla causa R.G.
2957/2011 (nell’ambito della quale la Sezione ha emesso l’ordinanza collegiale n. 1982
del 26.7.2013, con cui ha disposto la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di quattro questioni pregiudiziali circa l’interpretazione dell’art. 45 della direttiva 2004/18/CE), evidenzia, però, una sostanziale differenza quanto alla rilevanza delle
condotte oggetto di accertamento da parte della Magistratura penale.
La presente controversia pone, infatti, sul proscenio processuale la decisiva rilevanza di una preordinata attività di condizionamento della gara, non raffrontabile alla richiamata controversia, nella quale è sub judice – ai fini della pronuncia sulla legittimità dell’impugnato diniego di aggiudicazione definitiva di un appalto di servizi
– l’incidenza di un reato di falsificazione di un documento di gara, che ha determinato
il rinvio a giudizio del legale rappresentante della società ricorrente.
In ragione di quanto rilevato, merita, dunque, accoglimento la domanda di annullamento dell’impugnata aggiudicazione.
Omissis
Commento
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La sentenza in rassegna è degna di particolare nota sia per gli argomenti di estrema attualità che tratta, sia per il clamore suscitato dall’episodio di cronaca giudiziaria che ha costituito il motivo sostanziale
addotto dalla compagine ricorrente, classificatasi al secondo posto in
graduatoria nella gara, per censurare l’affidamento dell’appalto per le
architetture di servizio dell’Esposizione Universale – Expo Milano 2015.
La fattispecie sottoposta all’indagine dei giudici amministrativi prende le mosse dalla dedotta illegittimità dell’aggiudicazione della gara in predicato per violazione del Protocollo di Legalità da parte
dell’affidatario, al cui legale rappresentante viene contestata dalla Procura, una turbativa – consumata o comunque tentata – della procedura concorsuale.
Sgombrato il campo dalle respinte eccezioni di irricevibilità e tardività del ricorso, opposte dalla stazione appaltante e dalla controinteressata, il Collegio prende in esame le due principali questioni sollevate con l’atto introduttivo afferenti l’illegittimità dell’aggiudicazione e
del contratto.
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Giurisprudenza
In questa sede si esaminerà soltanto il primo dei due profili.
Preliminarmente va sottolineato che nel recente periodo si è assistito ad una significativa diffusione dei c.d. protocolli di legalità che
“sanciscono un comune impegno ad assicurare la legalità e la trasparenza nell’esecuzione di un dato contratto pubblico, in particolar modo per la prevenzione, il controllo ed il contrasto dei tentativi di infiltrazione mafiosa, nonché per la verifica e la sicurezza e della regolarità dei
luoghi di lavoro” (1).
Le singole regole introdotte nei citati protocolli rappresentano la
traduzione operativa dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione, il cui rispetto è posto a presidio del perseguimento dell’interesse dell’amministrazione a selezionare il miglior contraente,
applicando i canoni di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, sanciti dall’art. 2 del codice dei contratti (2) e garantendo la parità dei concorrenti.
Le norme pattizie in questione dovrebbero costituire uno strumento di deterrenza preventiva di comportamenti collusivi (3), la cui fonte è rinvenibile nella lex specialis di gara che le richiama, da affiancare
alle misure previste dal legislatore sia nella disciplina sugli appalti che
nella legislazione c.d. antimafia.
Nell’analisi effettuata con riferimento alla vincolatività delle previsioni contenute nei protocolli, l’Autorità sui lavori pubblici ha puntualizzato che “mediante l’accettazione delle clausole sancite nei protocolli
di legalità al momento della presentazione della domanda di partecipazione e/o dell’offerta,…, l’impresa concorrente accetta, in realtà, regole che rafforzano comportamenti già doverosi per coloro che sono ammessi a partecipare alla gara e che prevedono, in caso di violazione di
tali doveri, sanzioni di carattere patrimoniale, oltre alla conseguenza,
comune a tutte le procedure concorsuali, della estromissione dalla gara (cfr. Cons. St., sez. VI, 8 maggio 2012, n. 2657; Cons. St., 9 settembre
2011, n. 5066)” (4).
La possibilità di sanzionare la mancata o non conforme accettazione dei protocolli di legalità con l’esclusione dalla procedura concorsuale, sempre secondo l’AVCP, è consentita proprio perché “tali mez-
(1) Così l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, determinazione n. 4 del 10 ottobre
2012, Bando-tipo Indicazioni generali per la redazione dei bandi di gara ai sensi degli articoli 64,
comma 4-bis e 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici.
(2) D.lgs. n. 163/2006 e s.m.i.
(3) Finalità dichiarata dall’AVCP con la determinazione n. 14 del 15 ottobre 2013 sulle
Clausole di gradimento.
(4) V. AVCP determinazione n. 4/2012 cit. nota 1.
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zi sono posti a tutela di interessi di rango sovraordinato e gli obblighi in
tal modo assunti discendono dall’applicazione di norme imperative di
ordine pubblico, con particolare riguardo alla legislazione in materia
di prevenzione e contrasto della criminalità organizzata nel settore degli appalti” (5).
È appena il caso di sottolineare che la riferita determinazione
dell’Autorità per la vigilanza è antecedente all’entrata in vigore dell’art.
1, c. 17, l. 6 novembre 2012, n. 190 (6), norma che ha sostanzialmente
conferito una copertura legislativa alla sanzione dell’esclusione dalla
gara, in caso di mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità, disposta dalla lex specialis.
La doverosa premessa evidenzia come la questione oggetto del
presente contendere non possa contare sull’elaborazione giurisprudenziale che si è venuta affermando con esclusivo riferimento alla
problematica circa l’esclusione dalla gara per violazione del patto di
legalità (7), trattandosi, invece, nell’ambito indagato, di valutare l’effetto di una violazione scoperta successivamente alla sottoscrizione del
contratto ed all’avvio della fase esecutiva.
Tralasciando l’esame della problematica di carattere giurisdizionale sollevata e che il T.A.R. risolve statuendo la propria giurisdizione a
decidere, emerge evidente la difficoltà di affermare l’incidenza di una
violazione del patto di legalità nella fase esecutiva, che presuppone l’esaurimento della procedura concorsuale.
L’analisi affrontata dal Collegio parte dal rilievo che il Protocollo di
Legalità di cui si discute, sottoscritto dalla Prefettura di Milano e dalla
società Expo 2015 S.p.A. come stazione appaltante, “ha espressamente
richiamato, in ottica prescrittiva, alcune disposizioni legislative preordinate a garantire la “trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell’Expo Milano 2015” (8).
Lo sviluppo argomentativo svolto nella sentenza giunge ad affermare che “le dichiarazioni di impegno sottese dalle clausole del Protocollo di Legalità, sebbene integrino la lex specialis (al punto che la loro
omissione avrebbe dato luogo all’esclusione dalla gara), non riguardano, infatti, i requisiti di ordine generale di cui al citato art. 38 (9). La
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(5) Sempre AVCP determinazione n. 4/2012 cit. nota 1.
(6) La citata disposizione prevede che “Le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi,
bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di
legalità o nei patti di integrità, costituisce causa di esclusione dalla gara”.
(7) A tale proposito cfr. V. Montaruli, I protocolli di legalità: orientamenti giurisprudenziali
e problematiche interpretative, su www.diritto.it.
(8) Così la sentenza in commento in parte motiva omessa.
(9) D.lgs. n. 163/2006 e s.m.i.
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Giurisprudenza
violazione degli obblighi dichiarativi dev’essere qualificata, invece alla
stregua di una contestuale smentita dell’impegno assunto nel corso del
procedimento” (10).
Così sostanzialmente qualificato il comportamento contestato penalmente all’amministratore unico dell’impresa capogruppo del RTI
aggiudicatario, la sentenza affronta il nocciolo della questione che parte ricorrente individua nell’inerzia mantenuta dalla stazione appaltante a fronte di espressa istanza all’uopo formulata dalla ricorrente, mentre avrebbe dovuto annullare l’aggiudicazione e caducare il contratto
per la sostanziale violazione dei principi di concorrenza, considerata
l’alterazione della par condicio rispetto agli altri concorrenti.
Il Collegio accoglie la prospettazione di parte ricorrente affermando che i riscontri desunti dall’analisi degli atti di indagine prodotti
fondano “l’illegittimità dell’aggiudicazione comprovata dalle condotte inveratesi nella preordinata finalità di illecitamente condizionare il
procedimento di gara”, culminato nell’aggiudicazione dell’appalto al
RTI controinteressato.
Il provvedimento impugnato, quindi, deve ritenersi illegittimo per
un duplice ordine di considerazioni: da un lato “per un manifesto abuso della funzione amministrativa della stazione appaltante”, nelle persone del responsabile del procedimento e dei commissari di gara
coinvolti nella procedura, che addirittura supera i tradizionali canoni
dell’eccesso di potere; dall’altro per “l’antigiuridica condotta imputata
all’amministratore unico della società mandataria”, che avrebbe intessuto rapporti volti ad ottenere l’affidamento, concorrendo al sodalizio
criminoso, nel contempo prestando “una infedele adesione al Protocollo di Legalità”.
La motivazione della pronuncia sottolinea la gravità del comportamento tenuto dall’amministratore della società mandataria, sostanziandosi in “una condotta attiva, anzi propositiva”. Detta gravità risulta
vieppiù suffragata, secondo l’assunto dell’organo giudicante, dalla decisione del Consiglio di Amministrazione della società mandataria di
promuovere azione di responsabilità nei confronti dell’indagato amministratore.
Le riferite considerazioni inducono a concludere che “è attendibile
ritenere, perciò, che la procedura di gara, prim’ancora di aver avuto formale avvio, sia stata falsata e distorta da una pressione corruttiva connotata da illeciti accordi incidenti sulla sua legittimità e trasparenza,
risultando incontestata… l’avvenuta emersione di gravi indizi di colpevolezza circa il tentativo di condizionarne lo svolgimento e l’esito”, e ciò
(10) V. nota 8.
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Giurisprudenza
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indipendentemente dalla pendenza del processo finalizzato all’accertamento della responsabilità penale.
È evidente che tutte le argomentazioni vagliate dal Collegio riposano sulle ammissioni confessorie dei soggetti coinvolti circa “l’esistenza
di un “sistema” di rapporti personali preordinato ad alterare la procedura di gara”, per quanto attiene al profilo sostanziale che determina
l’assoluta carenza di “minime condizioni di trasparenza essenziali per
l’efficiente espletamento della gara in questione”.
È proprio la mancanza di condizioni di trasparenza che, in altro giudizio (11) sempre concernente un affidamento di Expo 2015, ha orientato la medesima Sezione a statuire l’illegittimità dell’aggiudicazione
disposta in violazione delle ridette condizioni che dovrebbero garantire lo svolgimento di procedure scevre da possibili illeciti, come previsto dal considerando n. 39 della Direttiva 2004/18/CE.
Il richiamo da ultimo operato consente di affermare la contrarietà delle censurate condotte non solo alla normativa nazionale, ma anche al diritto comunitario, attribuendo alle stesse, quindi, ancor maggior disvalore.
Pare evidente che la dovizia e puntualità di argomentazioni difficilmente possa essere scalzata da un’eventuale impugnativa che dovrebbe misurarsi con la confessata efficienza causale sulla legittimità della
procedura dei comportamenti illeciti tenuti dai soggetti indagati.
Il delineato profilo della vicenda culmina nella statuizione che “la
sensibile alterazione delle condizioni di par condicio tra i concorrenti
integri un motivo sufficiente per disporre l’annullamento dell’aggiudicazione, quale rimedio finalizzato a costituire una frontiera più avanzata di tutela dell’Amministrazione contro i possibili abusi dei partecipanti alle procedure di evidenza pubblica”.
È recente la notizia della sottoscrizione (12) fra il Ministro dell’Interno e il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione di un Protocollo d’Intesa per “l’avvio di un circuito stabile e collaborativo tra
ANAC-Prefetture-UTG e Enti Locali per la prevenzione dei fenomeni di
corruzione e l’attuazione della trasparenza amministrativa”, anche in
ottemperanza alla norme introdotte con il d.l. n. 90/2014, volto a garantire “un migliore livello di certezza giuridica, correttezza e trasparenza delle procedure nei lavori pubblici, anche con riferimento al completamento di lavori e delle opere necessarie a garantire lo svolgimento
dell’Expo 2015”.
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(11) Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 31 marzo 2014, n. 848.
(12) Intervenuta il 15 luglio 2014.
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Giurisprudenza
La stipulazione del contratto
di appalto di lavori
preclude alla stazione
appaltante l’esercizio
di poteri autoritativi
di revoca del provvedimento
di aggiudicazione
Claudio Santarelli
CONSIGLIO DI STATO, Adunanza Plenaria, 20 giugno 2014, n. 14
Pres. Giovannini; Est. Meschino – Azienda per la Mobilità del Comune di Roma – Atac s.p.a. (Avv.ti Iacovazzi e Mazzei) c. Consorzio Cooperative Costruzioni C.C.C. soc. coop. (Avv.ti Lotti e Carbone) e Roma Capitale (Avv. D’Ottavi).
Contratti della p.a. – Affidamento di lavori pubblici – Revoca dell’aggiudicazione – Recesso.
Nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni
se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento
pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163/2006. (1)
DIRITTO
Omissis
3.5.1. La posizione dell’amministrazione nella fase del procedimento di affidamento di lavori pubblici aperta con la stipulazione del contratto è definita dall’insieme delle norme comuni, civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei
contratti pubblici, operando l’amministrazione, in forza di quest’ultime, in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando che le sue posizioni di specialità, essendo l’amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono.
Ciò rilevato ne consegue che deve ritenersi insussistente, in tale fase, il potere di
revoca, poiché: presupposto di questo potere è la diversa valutazione dell’interesse
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Giurisprudenza
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pubblico a causa di sopravvenienze; il medesimo presupposto è alla base del recesso
in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità (Cass. n.
391 del 2011 cit.; Cons. Stato, sez. V, 18 settembre 2008, n. 4455); la specialità della previsione del recesso di cui al citato art. 134 del codice preclude, di conseguenza, l’esercizio della revoca.
Se infatti, come correttamente indicato dal giudice rimettente, nell’ambito della
normativa che regola l’attività dell’amministrazione nella fase del rapporto negoziale
di esecuzione del contratto di lavori pubblici, è stata in particolare prevista per gli appalti di lavori pubblici una norma che attribuisce il diritto di recesso, non si può ritenere che sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la revoca, basata su
presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione
ex nunc del rapporto negoziale); richiamato anche che, quando il legislatore ha ritenuto di consentire la revoca “per motivi di pubblico interesse” a contratto stipulato, lo
ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici (o la gestione di servizi pubblici; art. 158
del codice).
In caso contrario la norma sul recesso sarebbe sostanzialmente inutile, risultando
nell’ordinamento, che per definizione reca un sistema di regole destinate a operare,
una normativa priva di portata pratica, dal momento che l’amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla meno costosa revoca ovvero decidere di esercitare il diritto di
recesso secondo il proprio esclusivo giudizio, conservando in tale modo nel rapporto una posizione comunque privilegiata; fermo restando, come anche richiamato dalla V Sezione, che per l’amministrazione la maggiore onerosità del recesso è bilanciata dalla mancanza dell’obbligo di motivazione e del contraddittorio procedimentale.
Omissis
Commento
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1. La sentenza che si annota interviene a dirimere un annoso contrasto giurisprudenziale, determinatosi anche – in larga parte – tra la linea adottata dallo stesso Consiglio di Stato (in sede di giustizia amministrativa) e quella abbracciata invece dalle sezioni unite della Corte di
Cassazione (nei casi in cui sono stati chiamati a pronunciarsi su questioni di giurisdizione).
In estrema sintesi, la problematica affrontata è la seguente: posto
che la p.a. dispone di poteri autoritativi di autotutela sui propri provvedimenti (poteri che, come vedremo, sono stati concepiti espressamente dal legislatore anche come potenzialmente incidenti su rapporti contrattuali in essere proprio in forza dei medesimi provvedimenti),
ci si chiede se – in ordine ai contratti d’appalto ad evidenza pubblica,
stipulati a seguito e quale risultanza di un procedimento pubblicistico
di aggiudicazione – la stazione appaltante disponga appieno dei poteri di autotutela (in particolare di quelli che si estrinsecano nella cd. revoca). Poteri che – ovviamente – vanno ad incidere su provvedimenti
amministrativi, ma che riverberano inevitabilmente (come del resto è
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Giurisprudenza
lo stesso scopo e interesse dell’amministrazione) anche sul contratto
d’appalto stipulato con soggetti privati. Con evidente assunzione, da
parte della stazione appaltante, di una posizione ben distinta e rafforzata di quella di un qualsiasi altro contraente (che potrà agire sul contratto con i meri strumenti del diritto privato).
2. Per una corretta impostazione della problematica, è necessario
partire dal quadro normativo di riferimento.
Come noto, il legislatore è intervenuto con la l. 11 febbraio 2005,
n. 15, sulla legge che disciplina il procedimento amministrativo (l. 7
agosto 1990, n. 241) anche per codificare le varie tipologie di provvedimenti di secondo grado (già comunque pacificamente riconosciuti
dalla dottrina e dalla giurisprudenza) di cui dispone la pubblica amministrazione. Essi si estrinsecano, per lo più e per quanto qui più rileva,
nei due istituti dell’annullamento d’ufficio e della revoca. Se dunque
il legislatore è intervenuto finalmente per sancire in modo espresso la
legittimità dei predetti istituti, v’è da dire che ne ha delineato anche
l’estensione ed i limiti in maniera molto rilevante, cercando di valorizzare in modo significativo anche la tutela dell’affidamento dei privati.
Se – in linea molto sommaria – possiamo tracciare una differenza
tra l’annullamento e la revoca consistente nel fatto che il primo presuppone l’illegittimità dell’atto, laddove il secondo invece la sua mera inopportunità (sopravvenuta o emergente alla luce di un rinnovato
esame), la riforma del 2005 ha infatti inteso: quanto al primo, subordinarne l’esercizio non soltanto all’illegittimità del provvedimento e alla sussistenza di un interesse pubblico all’annullamento, ma anche al
decorso del tempo ed un contemperamento con l’interesse dei soggetti interessati e controinteressati, nonché con il decorso del tempo;
quanto al secondo, salvaguardare l’affidamento legittimo del privato
ed il suo affidamento con la previsione espressa di una forma di ristoro patrimoniale.
L’art. 21-nonies della l. n. 241/1990 stabilisce ora infatti che (comma
1): “il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo
21-octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.
L’art. 21-quinquies della medesima legge, invece, dispone che (comma 1): “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di
mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia
durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inido-
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neità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati,
l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo”.
Molto importante, per la problematica che ci occupa, è il disposto
di cui al comma 1-bis dell’art. 21-quinquies, il quale aggiunge che: “ove
la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea
incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti
della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse
pubblico”.
Deve segnalarsi, infine, anche il dettato dell’art. 1, comma 136, della l. 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), per cui “al fine
di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni
pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi
sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale
derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.
3. Se quello sopra delineato è il quadro dei poteri autoritativi di autotutela (per espressa volontà del legislatore in grado di incidere anche su rapporti contrattuali), resta il fatto che tali poteri debbano essere coordinati in modo logico con i poteri della parte contrattuale in
ambito privatistico e con quelli specifici dettati al riguardo dalla normativa di riferimento per una pubblica amministrazione contraente.
Ecco allora che, in generale, l’art. 21-sexies della l. n. 241/1990 stabilisce che “il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto”.
Più nello specifico, per i contratti di appalto (quale quello oggetto
della sentenza che si annota), ed in particolare per quelli di lavori pubblici, l’art. 134 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n.
163) stabilisce quanto segue: “la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori
eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite” (comma 1), nonché “L’esercizio del diritto di recesso è preceduto da formale comunicazione all’appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi
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Giurisprudenza
i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori ed effettua il
collaudo definitivo” (comma 3).
A questo punto emergono subito due considerazioni.
La prima è che, a fronte di un provvedimento amministrativo di affidamento dei lavori del tutto legittimo e di un contratto stipulato (ed
in tutto o in parte, o anche per nulla eseguito), la stazione appaltante
(in disparte la questione di quale dei due strumenti sia tenuta a scegliere, che poi è la problematica che ci occupa) se recede dal contratto non è tenuta a particolari oneri motivazionali (a differenza della revoca in autotutela, che invece – come abbiamo visto – presuppone una
stringente valutazione dell’interesse pubblico sotteso).
La seconda è che, in caso di recesso, la stazione appaltante è tenuta a pagare i lavori eseguiti e le spese sostenute (un risarcimento
del “danno emergente”) ed è tenuta anche a corrispondere il decimo
dell’importo delle opere non eseguite (una forma risarcitoria di parte
del “lucro cessante”). L’istituto della revoca, di contro, prevede solo un
indennizzo liquidato agli interessati, parametrato al solo danno emergente (ulteriormente riducibile, poi, in considerazione dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà
dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, nonché dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea
valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico).
Come evidente, la scelta dell’uno o dell’altro strumento da parte
della stazione appaltante non attiene solo ad un interesse dottrinale
ed accademico, ma determina importantissime conseguenze anche
sul piano pratico e patrimoniale (tanto della p.a. quanto della controparte contrattuale).
4. Ma veniamo alla fattispecie concreta giunta al vaglio della Plenaria.
ATAC spa, indiceva una gara pubblica con procedura aperta per
l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione di un deposito tranviario e delle opere
connesse. La gara veniva quindi aggiudicata ad un’a.t.i. concorrente e,
con essa, veniva stipulato il relativo contratto di appalto. Sennonché,
ATAC disponeva successivamente la revoca definitiva di tutti gli atti
della procedura di gara, incluso il provvedimento di aggiudicazione.
La revoca si fonda su diversi motivi di interesse pubblico, consistenti: nella “sostanziale non esecuzione dell’appalto; nell’aggravio dei
costi prospettati dall’appaltatrice; nelle proprie sopravvenute mutate
esigenze operative; nell’inserimento del deposito tramviario in un piano di dismissioni immobiliari deliberato dall’assemblea di Roma Capitale; nell’incertezza sulla effettiva disponibilità di risorse per finanziare
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l’opera, venendo altresì preannunciato che, con separato provvedimento, sarebbe stato corrisposto all’appaltatrice l’indennizzo di cui all’art.
21-quinquies, comma 1-bis, della legge n. 241 del 1990”.
L’a.t.i. aggiudicataria e contraente impugnava per l’annullamento
innanzi al T.A.R. Lazio, lamentando – in particolare e per quanto qui
rileva – il fatto che la stazione appaltante avrebbe esercitato un potere
di autotutela al di fuori dei presupposti di legge, sugli atti della procedura di gara, ormai privati di efficacia in conseguenza della sopravvenuta stipulazione del contratto, nonché la circostanza che – con la revoca – l’appaltante avrebbe esercitato in realtà un diritto di recesso o
di risoluzione unilaterale, finalizzato a sottrarsi alle conseguenze derivanti dall’esercizio di dette facoltà privatistiche, maggiormente onerose dal punto di vista economico, perché non limitate all’indennizzo
commisurato al solo danno emergente.
Il T.A.R. Lazio accoglieva dunque il ricorso, rilevando in particolare che la revoca era stata adottata “in assenza del suo essenziale presupposto, e cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua
ancora a spiegare effetti”, non essendo tale l’aggiudicazione della gara
in seguito alla stipulazione del contratto, cosicché, secondo il giudice
di primo grado, per sciogliersi dal vincolo discendente da quest’ultimo, l’amministrazione avrebbe dovuto ricorrere all’istituto del recesso
ai sensi dell’art. 134 del codice dei contratti pubblici.
ATAC appellava quindi la sentenza innanzi al Consiglio di Stato.
La quinta sezione di Palazzo Spada, a seguito di un’accurata ricostruzione normativa e giurisprudenziale sul punto, rimetteva alla Plenaria la questione relativa all’individuazione dello strumento – tra
quelli che l’ordinamento mette a disposizione della stazione appaltante – che l’appaltante organismo di diritto pubblico è tenuto ad adottare
laddove intenda sciogliersi da un contratto d’appalto validamente stipulato all’esito di una legittima procedura ad evidenza pubblica.
In particolare, la sezione remittente prospettava alla Plenaria l’esigenza di riconsiderare l’indirizzo prevalente nella giurisprudenza amministrativa, ritenendo che, una volta intervenuta la stipulazione del
contratto di appalto ad evidenza pubblica, l’amministrazione non possa più esercitare il potere di revoca ma debba necessariamente agire
attraverso il recesso.
5. Come detto, infatti, la giurisprudenza amministrativa aveva adottato una tesi diversa da quella che ora la quinta sezione chiedeva fosse
adottata dalla Plenaria.
È possibile citare su tutte, infatti, le sentenze del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1554 del 2010 e n. 5993 del 2012 e sez. IV, n. 156 del 2013.
In particolare, Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1554 eviden-
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Giurisprudenza
ziava che “il potere di eliminare gli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica infatti sussiste anche in caso di esistenza del contratto
(nella specie, si era tenuta una procedura negoziata da parte di Trenitalia per l’affidamento degli interventi di manutenzione incrementativi di ROC ed eventuale bonifica per 10 carrozze, con opzione per
ulteriori 5, n.d.r.), fermo restando che in tal caso sorge, per effetto della revoca legittima (art. 21-quinques della legge n. 241 del 1990) un diritto all’indennizzo derivante dai principi generali sulla tutela dell’affidamento nei rapporti di durata ed affidato alla cognizione esclusiva
del giudice amministrativo, mentre, in caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria o non approvazione della stessa (arg. ex art. 12 del d.lgs.
n. 163 del 2006), tale diritto all’indennizzo – come si vedrà – non sussiste né è configurabile”.
Per converso, la Corte di Cassazione a sezioni unite civili (chiamata a pronunciarsi su questioni di giurisdizione) aveva invece sostenuto
che tutte le vicende successive alla stipulazione del contratto darebbero luogo a questioni relative alla sua validità, ed efficacia anche se dovute all’esercizio di poteri pubblicistici in autotutela. Con la stipula del
contratto si costituisce infatti tra le parti, pubblica e privata, un rapporto giuridico paritetico intercorrente tra situazioni soggettive da qualificare in termini di diritti soggettivi e di obblighi giuridici; il riscontro di
sopravvenuti motivi di inopportunità della realizzazione dell’opera si
ricondurrebbe perciò inevitabilmente all’esercizio del potere contrattuale di recesso, previsto dalla normativa sugli appalti pubblici, con
scelta che si riverbera sul contratto in quanto potere contrattuale del
committente di recedere da esso, cosicché l’atto di revoca dell’aggiudicazione, ciò nonostante adottato, risulta lesivo del diritto soggettivo
del privato in quanto incidente sul sinallagma funzionale (sez. unite,
n. 10160 del 2003 e n. 29425 del 2008).
6. Il Supremo Consesso Amministrativo, con la sentenza che si annota, ha rivisto (sia pure solo in parte, come si spiegherà meglio di seguito) le proprie originarie posizioni, adottando la massima per cui,
nel procedimento di affidamento di lavori pubblici, le stazioni appaltanti – se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale – non
possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione, ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art.
134 del codice dei contratti.
Secondo la prospettazione della sezione remittente, il problema
avrebbe dovuto essere impostato in termini generali, per cui la scissione tra aggiudicazione (che conclude la fase pubblicistica del perseguimento dell’interesse pubblico alla selezione della migliore offerta)
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e stipulazione del contratto (che si colloca nel diverso quadro del rapporto paritetico tra i contraenti con predominanza del diritto privato) si rifletterebbe anche sul piano strutturale, poiché, ai sensi dell’art.
11 del codice dei contratti pubblici, “l’aggiudicazione definitiva non
equivale ad accettazione dell’offerta” (comma 7), essendo poi previsto
un termine per stipulare successivamente il contratto soltanto entro il
quale l’amministrazione può agire in autotutela (comma 9). In linea
generale, la distinzione fra l’atto di aggiudicazione e il consenso contrattuale dell’amministrazione porterebbe dunque a far escludere che
questo possa essere ritirato in via unilaterale, tanto meno mediante il
riesame dell’aggiudicazione in autotutela, essendo il detto consenso
confluito con quello della parte privata nell’accordo di cui all’art. 1325,
n. 1), c.c. In seguito, resterebbe soltanto il mutuo dissenso di cui all’art.
1372 c.c. o – ove prevista – la facoltà di recesso, per incidere non sull’atto contrattuale, ma sul rapporto.
L’impianto motivazionale della pronuncia della Plenaria può essere
invece riassunto, per lo più, come di seguito.
Il Supremo Consesso Amministrativo evidenzia che, nella fase privatistica della stipula del contratto e della sua esecuzione, l’amministrazione si pone con la controparte in una posizione di parità che, però, è solo “tendenziale” (Corte Cost. n. 53 e n. 43 del 2011). Ciò significa
che bisogna tener conto delle disposizioni per cui, pur nel contesto di
un rapporto paritetico, sono apprestate dall’ordinamento in favore
dell’amministrazione norme speciali, derogatorie del diritto comune,
definite di autotutela privatistica (Ad. Plen. n. 6 del 2014), in quanto
l’attività dell’amministrazione, pur se esercitata secondo moduli privatistici, resta pur sempre volta al fine primario dell’interesse pubblico,
con la conseguente previsione, su tale presupposto, di regole specifiche e distinte. Se dunque, in una prospettiva così generale, non ci sono argomenti dirimenti per giungere alla massima poi adottata, la soluzione deve invece rinvenirsi nella specifica normativa di riferimento
del contratto di appalto di lavori pubblici.
Ci si riferisce a norme collocate nella Parte II, Titolo III del codice (“disposizioni ulteriori per i contratti relativi ai lavori pubblici”) relative alla disciplina del recesso dal contratto e della sua risoluzione,
ai sensi, rispettivamente, degli articoli 134-136 del Codice (collocate
nel Capo II del Titolo III e perciò riferite agli appalti di lavori pubblici
ex art. 126 del codice), della risoluzione per inadempimento e, specificamente, della revoca delle concessioni di lavori pubblici in finanza
di progetto ai sensi dell’art. 158 del medesimo codice, ovvero della sospensione dei lavori ai sensi dell’art. 158 e seguenti del regolamento di
attuazione (d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207).
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Giurisprudenza
In questo contesto la specialità della disciplina del recesso emerge
non soltanto perché, a fronte della generale previsione civilistica (art.
1373 c.c.), il legislatore ne ha ritenuto necessaria una specifica nella
legge sul procedimento (art. 21-sexies) ma in particolare perché l’art.
134, nel concretare il caso applicativo di tale previsione, lo regola in
modo diverso rispetto all’art. 1671 c.c., prevedendo il preavviso all’appaltatore e, quanto agli oneri, la forfetizzazione del lucro cessante nel
dieci per cento delle opere non eseguite e la commisurazione del danno emergente, fermo il pagamento dei lavori eseguiti, al “valore dei
materiali utili esistenti in cantiere” mentre, per il citato art. 1671 c.c.,
il lucro cessante è dovuto per intero (“il mancato guadagno”) e per il
danno emergente vanno rimborsate tutte le spese sostenute.
È dunque la specialità della disciplina del recesso (ex art. 134 del
Codice dei contratti) a precludere la possibilità per la stazione appaltante di procedere a revoca dell’aggiudicazione. Presupposto del potere autoritativo di revoca è infatti la diversa valutazione dell’interesse pubblico a causa di sopravvenienze, ma il medesimo presupposto è
anche alla base del recesso, in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità. La specialità della previsione del recesso di cui al citato art. 134 del codice dei contratti preclude, di conseguenza, l’esercizio della revoca.
Se infatti, come correttamente indicato dal giudice rimettente,
nell’ambito della normativa che regola l’attività dell’amministrazione
nella fase del rapporto negoziale di esecuzione del contratto di lavori
pubblici, è stata in particolare prevista per gli appalti di lavori pubblici
una norma che attribuisce il diritto di recesso, non si può ritenere che
sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione ex nunc del rapporto negoziale).
In caso contrario la norma sul recesso sarebbe sostanzialmente inutile, risultando nell’ordinamento, che per definizione reca un sistema di
regole destinate a operare, una normativa priva di portata pratica, dal
momento che l’amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla meno
costosa revoca ovvero decidere di esercitare il diritto di recesso secondo il proprio esclusivo giudizio, conservando in tale modo nel rapporto una posizione comunque privilegiata.
7. Come si diceva, il Consiglio di Stato – qui in sede di Adunanza
Plenaria – ha dunque rivisto le proprie originarie posizioni, ma solo in
modo parziale.
Se le risultanze effettuali della decisione sono – per la fattispecie
concreta – le medesime cui si sarebbe pervenuti seguendo l’iter logico-
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giuridico delle sez. unite della Cassazione, un impianto motivazionale
come quello sopra descritto lascia aperto un varco per sostenere la legittimità della revoca dell’aggiudicazione nel caso di contratti di appalto di servizi e forniture (laddove non si rinvengono norme in rapporto
di specialità con il potere di revoca quale invece è l’art. 134 del Codice
dei contratti con riferimento esclusivo ai lavori pubblici).
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Giurisprudenza
Diritto di accesso agli atti
amministrativi e contratti
pubblici
Raffaella Boscolo
T.A.R. PIEMONTE, sez. I, 23 maggio 2014, n. 932
Pres. Balucani; Est. Limongelli – Dexia Crediop s.p.a. (Avv.ti Emanuele, Argeri e
Actis Perinetto) c. Regione Piemonte (Avv. Reg.) e Intesa San Paolo s.p.a. (n.c.).
Contratti della p.a. – Appalti pubblici – Diritto di accesso agli atti – Costituisce principio generale dell’attività amministrativa – Limiti – Soltanto
quelli indicati dall’art. 24, l. n. 241/1990.
L’accesso agli atti amministrativi costituisce principio generale dell’attività amministrativa e si estende in linea di principio a tutti gli atti amministrativi, indipendentemente dalla natura privatistica o pubblicistica della loro disciplina sostanziale. Pertanto sono sottratte all’accesso solo le categorie di documenti tassativamente
previste dall’art. 24 della l. n. 241/1990.
DIRITTO
1. Il collegio ritiene opportuno premettere alcune considerazioni di ordine generale.
1.1. L’accesso ai documenti amministrativi costituisce “principio generale dell’attività amministrativa”, al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’azione amministrativa (art. 22, comma 2, l. 241/1990).
Sono pertanto accessibili, in linea di principio, “tutti i documenti amministrativi”
(art. 22, comma 3) che siano detenuti da una pubblica amministrazione e che concernano attività di pubblico interesse, “indipendentemente dalla natura pubblicistica o
privatistica della loro disciplina sostanziale” (art. 22, comma 1, lett. d).
1.2. Sono sottratte all’accesso solo le categorie di documenti tassativamente previste dall’art. 24 (documenti coperti da segreto di Stato, atti del procedimento tributario,
atti prodromici all’emanazione di atti normativi, atti amministrativi generali, di pianificazione e di programmtica non vale per ciò solo a sottrarlo all’accesso, alla luce di
quanto espressamente previsto dal citato art. 22, comma 1, lett. d):
- né il contratto né gli atti amministrativi che l’hanno autorizzato rientrano in alcuna delle categorie di atti sottratti all’accesso di cui all’art. 24, comma 1;
- l’eventualità che in essi possano essere state trasfuse le “reciproche concessioni”
delle parti poste a fondamento dell’accordo transattivo non comporta che il contenuto di tali documenti possa ritenersi coperto da segreto professionale, giacché quest’ul-
111
Giurisprudenza
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timo tutela esclusivamente gli scritti defensionali e i pareri extraprocedimentali degli avvocati, a salvaguardia della strategia processuale dell’ente pubblico, ma non si
estende anche agli atti e ai contratti che l’amministrazione abbia eventualmente adottato sulla scorta di quegli scritti e di quei pareri;
- non costituisce ragione ostativa all’accesso la circostanza che la conoscenza
dei documenti richiesti possa interferire con la tutela della riservatezza (commerciale e finanziaria, in questo caso) del terzo contraente, né che quest’ultimo abbia
manifestato la propria opposizione all’accesso, dal momento che nel caso di specie
l’accesso è stato esercitato dall’interessata al fine di “curare e difendere i propri interessi giuridici” nell’ambito dei giudizi tuttora pendenti con la Regione Piemonte, ed
in particolare nel giudizio dinanzi al giudice civile inglese: finalità rispetto alla quale la tutela della riservatezza dei terzi è recessiva, secondo quanto previsto dal citato art. 24, comma 7;
- nemmeno appare ragionevole la pretesa dell’amministrazione regionale di
onerare la parte interessata della prova rigorosa della “necessarietà” della conoscenza dei documenti per curare e difendere i propri interessi giuridici, dal momento
che, inteso nel senso rigoroso preteso dall’amministrazione regionale, il requisito
della “necessarietà” della conoscenza richiesto dall’art. 24, comma 7 potrebbe essere provato dall’interessata solo nel caso in cui essa avesse già piena conoscenza dei
documenti ai quali chiede di accedere; ma si tratterebbe di una conclusione paradossale, perché è evidente che in tale eventualità essa non avrebbe più alcun interesse ad esercitare l’accesso, e di conseguenza il requisito richiesto dall’art. 24, comma
7 si svuoterebbe di ogni senso logico; per non svuotare di senso razionale il requisito in questione, addossando alla richiedente l’onere di una probatio davvero diabolica, è inevitabile ritenere che la “necessarietà” debba essere dimostrata su basi meramente presuntive, in relazione, cioè, all’“utilità” che la richiedente potrebbe
presumibilmente ricavare dalla conoscenza dei documenti richiesti, da valutarsi in
relazione alla situazione giuridica sottesa alla domanda di accesso e all’interesse dedotto dall’interessata; nel caso di specie, la ricorrente ha dedotto la titolarità di un
rapporto sostanziale connesso e speculare a quello fatto oggetto dell’accordo transattivo, in quanto correlato ad una medesima ed unitaria operazione economica, ed
ha prospettato l’eventualità che i documenti richiesti contengano informazioni utili
alla propria difesa nell’ambito dei giudizi tuttora pendenti con la stessa amministrazione detentrice; il collegio ritiene che la prospettazione di parte ricorrente sia ragionevole e plausibile, e che tanto basti a dimostrare la necessità dell’accesso, nel senso ragionevolmente evincibile dal citato art. 24, comma 7;
- sotto diverso profilo, l’accesso non può essere impedito dagli accordi convenzionali di reciproca riservatezza intercorsi tra l’amministrazione regionale e il soggetto controinteressato, dal momento che tali accordi, oltre ad avere efficacia meramente obbligatoria limitata alle parti contraenti e come tale non opponibile ai terzi aventi
diritto, nella misura in cui producono l’effetto di impedire l’esercizio di un diritto soggettivo normativamente previsto e di rilievo pubblicistico, qual è il diritto di accesso,
hanno oggetto illecito perché contrario a norme imperative;
- nemmeno vengono in rilievo, nel caso di specie, dati “sensibili” o “giudiziari” del
controinteressato, nei sensi tassativamente precisati dall’art. 4, comma 1, lettere c)-e)
del d.lgs. n. 196/2003, tali per cui l’accesso possa essere limitato allo stretto “indispensabile”, ma solo dati economici e finanziari relativi ad una transazione commerciale;
- per contro, vanno esclusi dall’accesso della società ricorrente gli “eventuali pareri legali” richiesti al punto “iii” della propria istanza, nella misura in cui gli stessi non
siano stati espressamente recepiti e richiamati in atti formali della sequenza proce-
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Giurisprudenza
dimentale e siano, come tali, coperti da segreto professionale: in questi stretti limiti, pertanto, il diniego di accesso opposto dall’amministrazione regionale è legittimo
e va confermato;
2.2. Sul piano soggettivo:
- la società ricorrente ha esercitato il diritto di accesso sul duplice presupposto di
essere titolare di un rapporto sostanziale connesso a quello oggetto dell’accordo transattivo intercorso tra la Regione Piemonte e Intesa San Paolo (in quanto correlato ad
una medesima ed unitaria operazione economica), e di avere interesse a conoscere tale accordo per trarne elementi utili alla propria difesa nel contenzioso, tuttora pendente, originato da quel rapporto sostanziale;
- si tratta, secondo il collegio, di elementi sufficienti ad attestare la titolarità in capo alla società ricorrente di una posizione giuridica:
a) differenziata, in quanto diversa da quella del comune cittadino a conoscere genericamente l’attività svolta dai pubblici poteri;
b) giuridicamente tutelata, in quanto preordinata all’esercizio, in altro giudizio già
pendente, del diritto di difesa della ricorrente, costituzionalmente tutelato;
c) collegata ai documenti richiesti, attesa l’unitarietà del rapporto economico sostanziale che ha dato origine ai cinque contratti di finanza derivata, tutti di identico
contenuto, stipulati dalla stessa Regione con i tre istituti bancari;
- la specificità della richiesta di accesso esclude, infine, che nel caso di specie l’accesso sia preordinato a realizzare un controllo generalizzato sull’operato dell’amministrazione regionale.
3. Va aggiunto che con l’entrata in vigore del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, gli obblighi
di trasparenza a carico delle pubbliche amministrazioni sono stati generalizzati e rafforzati con l’affermazione del principio di trasparenza, intesa quale “accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni”, nella prospettiva di assicurare “forme diffuse di controllo sul perseguimento
delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 1).
Nel contesto delineato dalla nuova normativa sulla trasparenza – contesto nel quale “tutti i documenti e le informazioni” concernenti l’attività delle pubbliche amministrazioni sono dichiarati “pubblici” e nel quale vige il principio secondo cui “chiunque
ha diritto di conoscerli” e di “fruirne gratuitamente” – ha ancora meno fondamento
la pretesa della Regione Piemonte di sottrarre alla conoscenza dell’intera collettività,
prima ancora che della sola società ricorrente, documenti e informazioni concernenti una delle operazioni economiche di maggior rilievo e di maggiore incidenza sulle finanze regionali poste in essere dall’amministrazione regionale nell’ultimo decennio.
Pretendere, poi, di sottrarre al pubblico dominio atti e informazioni di tale rilievo
per tutelare la riservatezza commerciale di un operatore privato – operatore, in realtà,
tanto poco interessato alla vicenda da non essersi neppure costituito nel presente giudizio – significa subordinare l’interesse pubblico a quello privato: il che, oltre a costituire violazione degli obblighi di trasparenza a carico della p.a. e a rendere illecita la
clausola di riservatezza pattuita nell’accordo transattivo, configura, ad avviso del collegio, una forma sviata di esercizio di potere, in quanto non funzionalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico.
4. Conclusivamente, alla stregua di tutte le considerazioni fin qui svolte, ritiene il
collegio che il ricorso debba essere accolto, con il conseguente annullamento dell’atto impugnato.
Omissis
***
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Giurisprudenza
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T.A.R. LAZIO, Roma, sez. III, 14 maggio 2014, n. 5080
Pres. Bianchi; Est. Dongiovanni – Edil Costruzioni Zenna Beneventana dei F.lli
Valente M. e G. s.n.c. (Avv. Prozzo) c. Anas s.p.a. (Avv. Gen. St.) e Consorzio Cooperative Costruzioni – CCC (n.c.).
Contratti della p.a. – Appalti pubblici – Diritto di accesso – Richiesta del
subappaltatore di accesso alla documentazione riguardante il contratto di
appalto – Interesse concreto e attuale all’accesso – Natura privatistica del
contratto di appalto – Irrilevanza.
L’impresa subappaltatrice che faccia richiesta di accesso alla documentazione riguardante il contratto stipulato tra l’appaltatore e la stazione appaltante vanta un
interesse concreto e attuale a conoscere i contenuti di tale contratto, atteso che la
conoscenza della documentazione richiesta consente alla società istante di decidere, con cognizione di causa, quali iniziative intraprendere sia dal punto di vista
amministrativo sia da quello giurisdizionale. (1)
114
FATTO e DIRITTO
1. La società istante rappresenta di aver stipulato un contratto di subappalto con la
INTINI Angelo srl, consorziata di Uniland scarl la quale, in Ati con Consorzio Cooperative Costruzioni – CCC e Rillo Costruzioni srl si è aggiudicata la gara indetta da Anas,
avente ad oggetto l’esecuzione dei lavori relativi alla SS 212, bivio di Pietrelcina/svincolo per San Marco dei Cavoti.
In ragione dei lavori di subappalto eseguiti per conto della predetta Intini Angelo
srl, la società ricorrente afferma di essere creditrice dell’importo di euro 98.510,14, oltre ad euro 50.175,65 di ritenute per garanzie sui SAL; pertanto, con nota del 30 agosto 2013, ha chiesto direttamente alla società Anas, ai sensi dell’art. 118 del d.lgs. n. 163
del 2006, la corresponsione delle predette somme o, comunque, di sospendere il pagamento di pari importo in favore dell’Ati aggiudicataria.
Altresì, la ricorrente, con la stessa nota di agosto 2013, ha chiesto di accedere alla
documentazione riguardante il contratto di appalto stipulato tra l’Anas e l’Ati aggiudicataria, all’atto aggiuntivo, alle dichiarazioni presentate in sede di gara da cui risulti la
composizione dell’Ati (se orizzontale o verticale) ed al relativo atto costitutivo.
La società Anas, con nota del 10 ottobre 2013, ha negato l’accesso alla documentazione richiesta dalla ricorrente, ciò in ragione del diniego opposto dall’Ati aggiudicataria con nota del 30 settembre 2013.
Avverso tale atto, ha proposto ricorso la società istante chiedendone l’annullamento e la conseguente condanna di Anas all’ostensione della documentazione richiesta
con l’istanza di accesso del 30 agosto 2013.
Con ordinanza n. 626/2014, poi reiterata con ordinanza n. 3148/2014, è stato chiesto ad Anas spa di depositare in giudizio una dettagliata relazione sui fatti di causa, anche in ragione di quanto riferito dall’Ati aggiudicataria a supporto dell’opposizione alla richiesta di accesso presentata dalla ricorrente (cfr cit. nota del 30 settembre 2013
indirizzata ad Anas spa).
La società Anas non ha adempiuto alle predette richieste istruttorie.
Alla camera di consiglio del 7 maggio 2014, la causa è stata trattenuta dal Collegio
per la decisione.
2. Il ricorso è fondato.
Deve invero ritenersi che la ricorrente abbia un interesse meritevole di tutela in
quanto non risulta smentito (non avendo peraltro Anas corrisposto alle due richieste
3/2014
Giurisprudenza
istruttorie del Collegio) che la stessa abbia realizzato una serie di opere sulla base di un
contratto di subappalto stipulato con INTINI Angelo srl, consorziata di Uniland scarl la
quale (facente parte con Consorzio Cooperative Costruzioni – CCC e Rillo Costruzioni
srl dell’Ati aggiudicataria della gara indetta dall’Anas avente ad oggetto l’esecuzione dei
lavori relativi alla SS 212, bivio di Pietrelcina/svincolo per San Marco dei Cavoti);
- a ciò va aggiunto che non risulta altresì smentito che la ricorrente vanti un credito
nei confronti della società Intini e che, pertanto, secondo la prospettazione contenuta
nel ricorso in esame e nella stessa istanza di accesso di agosto 2013, è sua intenzione
acquisire la documentazione riguardante i rapporti economici tra l’Ati aggiudicataria
e la società Anas, nell’ottica di attivare, anche in sede giurisdizionale, i rimedi previsti dall’art. 118, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 (secondo cui la stazione appaltante
può corrispondere direttamente al subappaltatore o al cottimista l’importo dovuto per
le prestazioni dagli stessi eseguite);
- che, pertanto, vantando la ricorrente un credito nei confronti di INTINI Angelo
srl, consorziata di Uniland scarl, sussiste un interesse concreto ed attuale all’accesso
poiché la conoscenza della documentazione richiesta con l’istanza di accesso di agosto 2013 consente alla società istante di decidere, con cognizione di causa, quali iniziative intraprendere sia dal punto di vista amministrativo sia da quello giurisdizionale;
- che, infine, la documentazione richiesta, sebbene abbia natura privatistica (contratto di appalto stipulato tra l’Anas e l’Ati aggiudicataria, all’atto aggiuntivo, alle dichiarazioni presentate in sede di gara da cui risulti la composizione dell’Ati, se orizzontale o verticale, ed al relativo atto costitutivo), rientra comunque nella nozione di
“documento amministrativo” [cfr art. 22, comma 1, lett d) della legge n. 241 del 1990]
in quanto sono stati adottati da una entità che, ricompresa nell’ambito soggettivo di
cui all’art. 23 della citata legge n. 241 del 1990, persegue le proprie finalità pubblicistiche anche attraverso strumenti di diritto privato i cui atti sono soggetti all’accesso e,
quindi, ostensibili al privato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 1997, n. 82 e Cons. Stato, Adunanza Plenaria, n. 4/1999).
3. Ciò posto, il ricorso va accolto e, per l’effetto, va ordinato ad Anas spa di mettere a disposizione della società ricorrente la documentazione richiesta con l’istanza di
accesso di agosto 2013 entro 30 gg. dalla comunicazione, in via amministrativa, della
presente sentenza ovvero dalla notifica, se antecedente.
4. Le spese di giudizio, anche in ragione della condotta processuale di Anas spa, seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Commento
Le sentenze in rassegna offrono interessanti indicazioni in ordine alle modalità di effettuazione dell’accesso agli atti amministrativi nei procedimenti per aggiudicazione di appalti pubblici, con particolare riguardo alle possibilità e alle limitazioni previste della vigente normativa.
Nello specifico, le pronunce annotate consentono di formulare alcune considerazioni sul rapporto tra la tutela alla riservatezza delle informazioni contenute nei documenti forniti nelle procedure di gara e
la difesa degli interessi giuridici.
È opportuno anticipare al commento delle fattispecie sottese alle decisioni in esame un breve richiamo al quadro normativo di riferimento, evi-
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Giurisprudenza
3/2014
denziando, da subito, come esso sia sempre più rivolto a far sì che l’agire
della pubblica amministrazione sia ispirato a regole di trasparenza.
In termini generali il diritto di accesso agli atti amministrativi detenuti da amministrazioni pubbliche è esercitato dai privati sulla base
della disciplina dettata dalla legge n. 241 del 1990.
In particolare, si mette in evidenza l’articolo 22 rubricato “Definizioni e principi in materia di accesso” che definisce da subito il “diritto di accesso” come il diritto degli interessati di “prendere visione e di
estrarre copia di documenti amministrativi”.
Ai sensi del secondo comma dell’articolo richiamato “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.
Sulla base di tale principio sono, pertanto, accessibili “tutti i documenti amministrativi” (comma 3) che siano detenuti da una pubblica amministrazione e che concernano attività di pubblico interesse ad
eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6.
Sono, infatti, sottratte all’accesso solo le categorie di documenti tassativamente previste: documenti coperti da segreto di Stato, atti del
procedimento tributario, atti prodromici all’emanazione di atti normativi, atti amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, nonché, nei procedimenti selettivi, atti contenenti informazioni
di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.
La finalità delle richiamate norme sull’accesso agli atti è quella di
consentire un controllo sull’attività amministrativa da parte di quanti
abbiano un interesse diretto. Interesse che non può che essere collegato alle esigenze specifiche del richiedente.
Per tale ragione, l’accesso agli atti deve essere strettamente attinente al suddetto interesse, nei limiti, come ricordato, di quanto posto a
tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico.
Per quanto riguarda, in particolare, la disciplina sui contratti pubblici vale segnalare che il d.lgs. n. 163/2006, all’articolo 13 rubricato
“Accesso agli atti e divieti di divulgazione”, reca una disposizione specificatamente destinata a regolamentare l’esercizio del diritto di accesso
nel settore degli appalti pubblici.
Il coordinamento tra la normativa speciale del codice dei contratti
e quella generale della legge n. 241, esplicitamente fatta salva dall’art.
13, ha sovente determinato alcuni problemi interpretativi (1).
116
(1) Art. 13, comma 1: “Salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le
candidature e le offerte, è disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni”.
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Giurisprudenza
Sul punto si segnala che il Consiglio di Stato (2) ha affermato che:
“Il rapporto tra la normativa generale in tema di accesso e quella particolare dettata in materia di contratti pubblici non va posto in termini
di accentuata differenziazione, ma piuttosto di complementarietà, nel
senso che le disposizioni (di carattere generale e speciale) contenute nella disciplina della legge n. 241 del 1990 devono trovare applicazione tutte le volte in cui non si rinvengono disposizioni derogatorie (e quindi
dotate di una specialità ancor più elevata in ragione della materia) nel
Codice dei contratti, le quali trovano la propria ratio nel particolare regime giuridico di tale settore dell’ordinamento”.
Della norma in questione risulta interessante segnalare le limitazioni che pone al diritto di accesso.
Anzitutto, con il secondo comma dell’art. 13 vengono previsti i casi
in cui l’accesso deve essere differito (3), con la chiara finalità di non ingessare l’attività amministrativa.
Inoltre, il comma 5 fornisce la rassegna delle circostanze in cui è
precluso il diritto di accesso agli atti nonché ogni altra forma di divulgazione degli stessi (4).
Al seguente comma 6 inoltre viene previsto che le informazioni fornite dagli offerenti nell’ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali, nonché eventuali
ulteriori aspetti riservati delle offerte siano comunque oggetto di “accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei
(2) Cons. Stato, sez. VI, 30 luglio, 2010, n. 5062.
(3) Art. 13, comma 2: “Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti segretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, il diritto di accesso è differito: a) nelle procedure aperte, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime; b) nelle procedure ristrette e negoziate, e in
ogni ipotesi di gara informale, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, e in relazione all’elenco dei soggetti che sono stati invitati
a presentare offerte e all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è consentito l’accesso all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno
segnalato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei
nominativi dei candidati da invitare; c) in relazione alle offerte, fino all’approvazione dell’aggiudicazione; c-bis) in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell’offerta, fino all’aggiudicazione definitiva”.
(4) Art. 13, comma 5: “Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti segretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e
ogni forma di divulgazione in relazione: a) alle informazioni fornite dagli offerenti nell’ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali; b) a eventuali ulteriori aspetti riservati delle offerte, da individuarsi in sede di regolamento; c) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti
all’applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici; d) alle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto”.
117
Giurisprudenza
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propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto
nell’ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso”.
Pertanto, il legislatore del codice dei contratti ha definito le fattispecie meritevoli di ampia tutela, ossia le informazioni relative ai segreti
industriali e commerciali del concorrente, prevedendo comunque per
esse l’accesso qualora utili in vista della difesa in giudizio di interessi
rilevanti (5).
Quest’apertura alla possibilità di prendere visione dei documenti
presentati in occasione alla partecipazione alle procedure di evidenza
pubblica prevista dal codice dei contratti anticipa, come annunciato,
la volontà di trasparenza negli atti e nelle azioni della p.a. che emerge
anche in provvedimenti normativi di più recente introduzione nel nostro ordinamento (6).
Veniamo ora alle fattispecie concrete in rassegna.
La breve, quanto chiara, sentenza che per prima si annota vede i
giudici del T.A.R. Piemonte pronunciarsi su un contenzioso che trae
origine da un appalto pubblico per l’affidamento di servizi bancari.
La vicenda può essere sinteticamente riassunta come segue.
La Regione Piemonte ha sottoscritto nell’anno 2007 alcuni contratti
di finanza derivata (c.d. swap) a copertura di un ingente prestito obbligazionario con tre istituti bancari: Dexia Crediop S.p.A., Intesa Sanpaolo S.p.A. e Merril Lynch International. Nel 2012 l’amministrazione ha
annullato in autotutela le determinazioni dirigenziali con le quali aveva autorizzato la stipula dei predetti contratti, nella prospettiva di caducarne gli effetti. Ne è scaturito un rilevante contenzioso tra la stessa
Regione e i predetti istituti bancari, sia dinanzi al giudice amministrativo italiano sia dinanzi al giudice civile inglese.
Nelle more dei predetti giudizi l’amministrazione piemontese, nel
corso dell’anno 2013, ha raggiunto accordi transattivi sia con Merril
Lynch che con Intesa San Paolo, ma non con Dexia.
Quest’ultima ha chiesto alla Regione Piemonte di potere accedere
all’accordo transattivo stipulato con Intesa San Paolo, nonché agli atti
e alle delibere (inclusi “gli eventuali pareri legali”) con cui quell’accordo è stato autorizzato.
La Regione ha respinto l’istanza con articolata motivazione, rilevando, in sintesi: “1) la mancanza in capo alla società richiedente di un
interesse diretto all’accesso, chiaramente esplicitato; 2) la mancanza di
118
(5) Sul tema si rinvia all’interessante parere dell’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici del 27 maggio 2010 AGI 21-10.
(6) Da ultimo si segnala il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 recante il “Riordino della
disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”.
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Giurisprudenza
un nesso causale tra i documenti richiesti e la posizione giuridicamente tutelata dell’istante; 3) la non indispensabilità e la non necessarietà
della richiesta di accesso, e la non coerenza con analoghe situazioni; 4)
l’esigenza di tutela della riservatezza del terzo controinteressato, stante
l’opposizione manifestata da Intesa San Paolo e stante l’obbligo di reciproca riservatezza assunto dalle parti nell’atto di transazione”.
A seguito del diniego di accesso, Dexia ha proposto ricorso dinanzi al T.A.R. Piemonte, contestando la fondatezza delle ragioni opposte
dalla Regione e chiedendo conclusivamente l’annullamento dell’atto
impugnato e la condanna dell’amministrazione regionale a consentire
l’accesso della ricorrente agli atti e ai documenti richiesti.
La sentenza si segnala soprattutto per aver affermato – in linea con
la giurisprudenza maggioritaria – che le esigenze di riservatezza degli
atti prodotti nel corso di un procedimento amministrativo trovano il
loro indiscutibile limite nel diritto d’accesso finalizzato alla difesa degli interessi giuridici del richiedente l’accesso stesso (7).
I giudici piemontesi infatti – dopo aver fornito alcune considerazioni di ordine generale richiamando le vigenti disposizioni normative
in materia di accesso ai documenti amministrativi – evidenziano che
i documenti che il ricorrente chiede di poter visionare (contratto e atti amministrativi che l’hanno autorizzato) non rientrano tra quelli sottratti all’accesso dall’art. 24, comma 1, legge n. 241/1990.
In particolare, secondo il collegio giudicante, l’eventualità che questi atti possano contenere i dettagli dell’accordo transattivo non giustifica l’inserimento degli stessi tra i documenti coperti da segreto professionale, qualifica nella quale rientrano solo gli scritti defensionali e
i pareri extraprocedimentali degli avvocati, a salvaguardia della strategia processuale dell’ente pubblico (8).
A rafforzare il principio, la sentenza precisa inoltre che “non costituisce ragione ostativa all’accesso la circostanza che la conoscenza dei
documenti richiesti possa interferire con la tutela della riservatezza
(commerciale e finanziaria, in questo caso) del terzo contraente, né che
quest’ultimo abbia manifestato la propria opposizione all’accesso, dal
momento che nel caso di specie l’accesso è stato esercitato dall’interessata al fine di “curare e difendere i propri interessi giuridici”.
Come anticipato viene affermata chiaramente la prevalenza alla difesa degli interessi giuridici del terzo rispetto alla tutela alla riservatezza, in conformità a quanto previsto dall’art. 24, comma 7, cit.
(7) Da ultime: Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n. 3079; sez. V, 24 marzo 2014, n. 1446.
(8) Non si estende anche agli atti e ai contratti che l’amministrazione abbia eventualmente
adottato sulla scorta di quegli scritti e di quei pareri.
119
Giurisprudenza
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E ciò indipendentemente dalla circostanza che la parte interessata
fornisca “prova rigorosa” della necessarietà della conoscenza dei documenti per curare e difendere i propri interessi giuridici (9).
È pertanto sufficiente la mera prospettazione che i documenti richiesti contengano informazioni utili alla propria difesa a dimostrare
la necessità dell’accesso (10).
Inoltre, la sentenza afferma che gli eventuali accordi di reciproca riservatezza intercorsi tra l’amministrazione e il soggetto controinteressato e volti ad impedire l’accesso agli atti sono da considerarsi illeciti
poiché contrari a norme imperative.
Il T.A.R. piemontese riflette anche sulla circostanza che la materia
dell’accessibilità agli atti amministrativi si rapporta ora anche con la
recente disciplina sugli obblighi di trasparenza a carico delle pubbliche amministrazioni dettata dal d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Il decreto richiamato trova il suo fondamento sul principio della
“accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e
l’attività delle pubbliche amministrazioni”, nella prospettiva di assicurare “forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (11).
Ragion per cui, come opportunamente ricorda la pronuncia in esame, “ha ancora meno fondamento la pretesa della Regione Piemonte di
sottrarre alla conoscenza dell’intera collettività, prima ancora che della
sola società ricorrente, documenti e informazioni concernenti una delle
operazioni economiche di maggior rilievo e di maggiore incidenza sulle
finanze regionali poste in essere dall’amministrazione regionale nell’ultimo decennio”.
Nelle riportate parole del giudice amministrativo piemontese è rinvenibile ogni aspetto del principio di trasparenza della p.a.
Con la prima sentenza annotata, quindi, si è visto come anche documenti aventi natura privata, in quanto stipulati dalla p.a. con operatori economici privati, divengano invero accessibili, da parte di altri privati, qualora utili a curare gli interessi giuridici di questi ultimi.
In questo senso, la pronuncia del T.A.R. Lazio, che per seconda si
120
(9) L’amministrazione regionale ha infatti richiesto alla ricorrente di dimostrare la “necessarietà” della conoscenza dei documenti per tutelare i propri interessi giuridici. La sentenza precisa che “il requisito della “necessarietà” della conoscenza richiesto dall’art. 24, comma 7, potrebbe essere provato dall’interessata solo nel caso in cui essa avesse già piena conoscenza dei
documenti ai quali chiede di accedere; ma si tratterebbe di una conclusione paradossale, perché
è evidente che in tale eventualità essa non avrebbe più alcun interesse ad esercitare l’accesso, e
di conseguenza il requisito richiesto dall’art. 24, comma 7, si svuoterebbe di ogni senso logico”.
(10) Cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 24 settembre 2010, n. 3490, Cons. Stato, Ad. Plen., 4-5 febbraio 1997.
(11) Cfr. articolo 1.
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Giurisprudenza
segnala, risulta meritevole di nota poiché consente ulteriori e più approfondite riflessioni sul tema della natura degli atti amministrativi.
La sentenza permette, per prima cosa, di analizzare la specifica disciplina che interessa gli operatori del mercato degli appalti pubblici di
lavori, che, come visto in premessa, si devono confrontare con le norme specifiche di settore dettate dal codice dei contratti.
La fattispecie specifica vede il T.A.R. Lazio impegnato su una questione che trae origine dall’affidamento in subappalto di alcune lavorazioni ricomprese nell’ambito di un appalto di lavori pubblici per
conto dell’Anas.
I fatti sottoposti al giudizio della terza sezione del T.A.R. Lazio possono essere così riepilogati.
Un’impresa di costruzioni ha stipulato un contratto di subappalto
con la mandante di un’associazione temporanea di imprese aggiudicataria di una gara indetta da Anas.
In ragione dei lavori eseguiti, in virtù del predetto contratto di subappalto, l’impresa subappaltatrice asserisce di essere creditrice
dell’importo di euro 98.510,14, oltre ad euro 50.175,65 di ritenute per
garanzie sui SAL.
Pertanto, la società ha chiesto ad Anas, ai sensi dell’art. 118, comma
3 del codice dei contratti, la corresponsione diretta delle predette somme o, comunque, di sospendere il pagamento di pari importo in favore dell’Ati aggiudicataria.
Nel contempo l’impresa subappaltatrice ha chiesto di accedere alla
documentazione riguardante il contratto di appalto stipulato tra Anas
e Ati aggiudicataria, l’atto aggiuntivo, le dichiarazioni presentate in sede di gara da cui risulti la composizione dell’Ati (se orizzontale o verticale) ed il relativo atto costitutivo.
L’Anas ha negato l’accesso alla documentazione richiesta in ragione
del diniego opposto dalla stessa Ati aggiudicataria.
A seguito del rifiuto dell’amministrazione, l’impresa subappaltatrice ha proposto ricorso al T.A.R. Lazio chiedendo l’annullamento
dell’atto di diniego e la conseguente condanna di Anas all’ostensione
della documentazione richiesta (12).
I giudici amministrativi del Lazio nell’accogliere il ricorso proposto
dall’impresa subappaltatrice – affermandone in modo palese la fondatezza e riconoscendo l’interesse all’accesso alla documentazione ri-
(12) Con ordinanza n. 626/2014, poi reiterata con ordinanza n. 3148/2014, è stato chiesto
ad Anas di depositare in giudizio una dettagliata relazione sui fatti di causa, anche in ragione di
quanto riferito dall’Ati aggiudicataria a supporto dell’opposizione alla richiesta di accesso presentata dalla ricorrente. Anas non ha adempiuto alle richieste istruttorie.
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Giurisprudenza
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chiesta – hanno inteso anzitutto favorire il concetto volto ad attribuire
l’effettiva natura giuridica dell’atto amministrativo sulla base della finalità per la quale lo stesso viene adottato.
La sentenza in esame risulta meritevole di nota proprio per questo
aspetto.
Più segnatamente, viene riconosciuto l’interesse meritevole di tutela della ricorrente-subappaltatrice: “Deve invero ritenersi che la ricorrente abbia un interesse meritevole di tutela in quanto non risulta smentito… che la stessa abbia realizzato una serie di opere sulla base di un
contratto di subappalto”, tanto più che “non risulta altresì smentito che
la ricorrente vanti un credito” maturato a seguito dell’esecuzione delle
opere subappaltate.
Ragion per cui l’impresa ha necessità di attivare le misure suggerite
dall’art. 118, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006.
Giova aprire una breve parentesi.
Come noto, la norma richiamata prevede che la stazione appaltante scelga di provvedere al pagamento diretto del subappaltatore o al
cottimista (in tal caso dovrà essere previsto già nel bando di gara) oppure di verificare che l’appaltatore abbia provveduto al pagamento del
subappaltatore.
In tale ultimo caso, è fatto obbligo all’appaltatore di trasmettere,
entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei suoi
confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti corrisposti al subappaltatore.
In caso di mancata trasmissione delle fatture quietanziate del subappaltatore o del cottimista, entro il predetto termine, la stazione
appaltante sospende il successivo pagamento a favore dell’appaltatore (13).
La procedura ora ricordata ha insita in sé la segnalazione-denuncia del subappaltatore in attesa di veder soddisfatto il proprio credito.
Il subappaltatore che si trovi in tale condizione non può far altro
che segnalare alla stazione appaltante il proprio credito e auspicare
che la stessa sospenda i pagamenti all’appaltatore.
122
(13) Per connessione d’argomento giova segnalare che, in considerazione della grave crisi
che ha colpito il mercato delle opere pubbliche negli ultimi anni, il comma 3 è stato recentemente modificato ad opera della legge n. 9/2014, di conversione del d.lgs. n. 145/2013, con l’introduzione del seguente inciso: “Ove ricorrano condizioni di crisi di liquidità finanziaria dell’affidatario, comprovate da reiterati ritardi nei pagamenti dei subappaltatori o dei cottimisti, o anche dei
diversi soggetti che eventualmente lo compongono, accertate dalla stazione appaltante, per il contratto di appalto in corso può provvedersi, sentito l’affidatario, anche in deroga alle previsioni del
bando di gara, al pagamento diretto alle mandanti, alle società, anche consortili, eventualmente costituite per l’esecuzione unitaria dei lavori a norma dell’articolo 93 del regolamento di cui al
d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, nonché al subappaltatore o al cottimista dell’importo dovuto per le
prestazioni dagli stessi eseguite”.
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Giurisprudenza
E questo è quello che è accaduto all’impresa subappaltatrice ricorrente nel caso di specie.
L’intenzione dell’impresa – in considerazione della mancata risposta dell’Anas di attivarsi nei confronti dell’appaltatore – è l’acquisizione
della documentazione riguardante i rapporti economici tra l’Ati aggiudicataria e la società Anas stessa al fine della tutela delle proprie ragioni in sede giurisdizionale.
La risposta dei giudici del Lazio è volta a riconoscere pienamente
interesse meritevole di tutela della ricorrente (14).
Nessun dubbio infatti circa la sussistenza dell’effettivo credito:
“vantando la ricorrente un credito nei confronti dell’appaltatore sussiste un interesse concreto ed attuale all’accesso poiché la conoscenza
della documentazione richiesta con l’istanza di accesso di agosto 2013
consente alla società istante di decidere, con cognizione di causa, quali iniziative intraprendere sia dal punto di vista amministrativo sia da
quello giurisdizionale”.
Giova osservare, infine, come la decisione commentata affermi il
principio dell’accesso a documenti di tipo privatistico – rappresentati
dal contratto di appalto stipulato tra Anas e l’Ati aggiudicataria, dall’atto aggiuntivo, dalle dichiarazioni presentate in sede di gara da cui risulti la composizione dell’Ati, e dal relativo atto costitutivo – che assumono valenza pubblicistica per il fatto di essere stati stipulati per
finalità pubblicistiche, vale a dire, nel caso in questione, la realizzazione dell’opera pubblica.
Tanto si ricava dal seguente passaggio della sentenza: “la documentazione richiesta, sebbene abbia natura privatistica… rientra comunque nella nozione di “documento amministrativo” (15) in quanto sono
stati adottati da una entità che, ricompresa nell’ambito soggettivo di cui
all’art. 23 della… legge n. 241 del 1990, persegue le proprie finalità pubblicistiche anche attraverso strumenti di diritto privato i cui atti sono
soggetti all’accesso e, quindi, ostensibili al privato” (16).
In conclusione, le sentenze annotate consentono di affermare la
piena legittimità dell’istanza di accesso alla documentazione relativa
ai rapporti economici tra appaltatore e committente sia da parte di un
concorrente ad una procedura concorsuale che da un subappaltatore,
qualora il prendere visione dei documenti sia finalizzato alla tutela dei
propri interessi.
(14) In tal senso, cfr. anche T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 7 ottobre 2013, n. 8639.
(15) Art. 22, comma 1, lett. d) della legge n. 241/1990.
(16) Dello stesso tenore: Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 1997, n. 82 e Cons. Stato, Ad. Plen.,
n. 4/1999.
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Giurisprudenza
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E, sulla base di tale presupposto, risultano davvero pochi i documenti per i quali legittimamente può essere negato l’accesso, ad esclusione, come ricordato, delle informazioni che possono svelare segreti
industriali e commerciali nonché gli scritti defensionali e i pareri extraprocedimentali degli avvocati.
124
Formulario
La centrale unica
di committenza
con schema negoziale
Maurizio Lucca
La centrale di committenza costituisce un modulo procedimentale di concentrazione e semplificazione amministrativa, attraverso il
quale più amministrazioni pubbliche esternalizzano e centralizzano
le procedere di acquisti e/o di aggiudicazioni di appalti e/o di stipulazione di accordi quadro (1) destinati ad altre amministrazioni aggiudicatrici (2).
L’obiettivo consiste nel raggiungere soglie ottimali di risparmi di
spesa, a seguito dell’aumento del volume degli acquisti e, di converso, della concorrenza oltre che dell’efficacia della commessa pubblica;
inoltre permette di razionalizzare i lavori, forniture e servizi garantendo una coesione di tipo territoriale e la lotta alle mafie (3).
L’articolo 33, del d.lgs. n. 163 del 2006, dal titolo “Appalti pubblici e accordi quadro stipulati da centrali di committenza” prevede che
“le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori possono acquisire lavori,
servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, anche associandosi o consorziandosi” e attenendosi all’osservanza delle norme
del Codice dei contratti pubblici.
(1) L’accordo-quadro si qualifica giuridicamente come contratto normativo, pertanto, sul
piano civilistico, l’originario contratto programmatico necessita di essere via via attuato mediante ulteriori e distinti accordi negoziali mano a mano conclusi tra l’amministrazione contraente ed
il fornitore, Cons. Stato, sez. II, 26 luglio 1995, n. 1964.
(2) Cfr. punto 15 dei “Considerando” della Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 relativa
al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture
e di servizi (settori ordinari) e punto 23 dei “Considerando” della Direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli
enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali (settori speciali).
(3) L’art. 13 della legge 13 agosto 2010, n. 136 “Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”, stabiliva la promozione dell’istituzione, in
ambito regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti (SUA), al fine di assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose.
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La norma di riferimento abilita la centrale unica all’espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante, dall’individuazione di un programma di acquisizione di lavori, beni e servizi sino
all’aggiudicazione (ovvero, all’eventuale stipulazione del contratto, in
una visione evolutiva di trasferimento della competenza), delineando
l’operatività della stessa mediante la sottoscrizione di un “accordo” o
“convenzione” per disciplinare i rapporti interni delle Amministrazioni coinvolte e ripartirne i costi di servizio.
Sull’efficacia e validità del sistema di committenza unica è previsto
che i Comuni, non capoluogo di provincia, tra le modalità alternative
di acquisizione di lavori, beni e servizi, debbano servirsi della centrale
unica, costituita con apposito “accordo consortile”, al punto da impedire all’AVCP (ora ANAC) di rilasciare il codice identificativo gara (CIG)
in assenza di uno dei sistemi centralizzato di committenza (4).
La centrale unica di committenza si presenta come amministrazione agente (aggiudicatrice), mediante interposizione di altro soggetto
allo scopo espressamente istituito mediante “accordo consortile” (nelle forme di legge): la centrale adempie all’obbligo nazionale e comunitario di individuare il migliore contraente tramite procedure ad evidenza pubblica (5).
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(4) Vedi, sul punto, l’intesa Governo e Autonomie locali nella seduta della Conferenza Stato – Città ed Autonomie locali del 10 luglio 2014 per la posticipazione dell’entrata in vigore della norma (ex
art. 9, comma 4 del d.l. n. 66/2014 convertito in legge n. 89/2014). Sul punto, il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, con nota del 17 luglio 2014, ha così riferito in merito all’intesa sancita tra il Governo e le Autonomie locali: “l’Autorità è a conoscenza delle problematiche manifestate dagli Enti locali ed è consapevole che il diniego nel rilascio dei CIG potrebbe avere un effetto negativo per
l’intero comparto degli appalti pubblici; tuttavia non può esimersi dall’applicazione della disposizione vigente e, pertanto, senza un opportuno intervento normativo, deve opporre il diniego al rilascio dei
CIG nei confronti di tutti i soggetti che non agiscano in ottemperanza alla norma. Appare quindi urgente un intervento normativo che disponga la proroga dei termini così come definiti nell’intesa”; è seguita
la Comunicazione del 30 luglio 2014 dove l’Autorità, in relazione al rinvio dei termini di applicazione
della norma, “rilascerà il CIG ai comuni non capoluogo di provincia”. In effetti, la questione è stata risolta con la legge n. 114 dell’11 agosto 2014 di conversione del d.l. n. 90/2014: i termini di applicazione del comma 3-bis dell’art. 33 del d.lgs. n. 163/2006, sono stati rinviati al 1° gennaio 2015, per l’acquisizione di beni e servizi, al 1° luglio 2015, per l’acquisizione di lavori.
(5) T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 4 novembre 2010, n. 22688.
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SCHEMA DI ACCORDO CONSORTILE PER LA COSTITUZIONE
DELLA CENTRALE UNICA DI COMMITTENZA
TRA LE AMMINISTRAZIONI DI…
L’anno 20…. (…), il giorno… del mese… presso la sede del… sita a…,
in via… n. ..., si sono costituiti:
– …, nato a… il…, domiciliato per la carica presso l’Amministrazione di…, il quale dichiara di intervenire, come effettivamente interviene, nel presente accordo consortile quale responsabile… dell’Amministrazione…, C.F. … e P.I. …, e quindi esclusivamente in nome e per
conto della Amministrazione predetta, e dell’atto di... n. … del…, esecutivo, depositata presso…;
- …, nato a… il…, domiciliato per la carica presso il Consorzio di
Amministrazioni…, il quale dichiara di intervenire, come effettivamente interviene, nel presente accordo consortile quale direttore del
Consorzio di Amministrazioni…, C.F. … e P.I. …, e quindi esclusivamente in nome e per conto del Consorzio predetto, giusta deliberazione del C.d.a. n. … del…, esecutiva, depositata presso…;
- Altri…
LE PARTI PREMETTONO:
a. l’art. 33, del d.lgs. n. 163/2006, come modificato dall’articolo 9,
comma 4, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66 convertito in legge n. 89 del 23
giugno 2014, ove si stabilisce (per i comuni: l’obbligo per i Comuni, non
capoluogo di provincia, di affidare ad un’unica Centrale di committenza (CUC) l’acquisizione di lavori, servizi e forniture nell’ambito delle
Unioni dei comuni, di cui all’articolo 32 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL),
ove esistenti, ovvero costituendo un apposito “accordo consortile” tra i
Comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, con decorrenza
dal giorno 1 luglio 2014) (6) la possibilità tra appaltanti e gli enti aggiudicatori di acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, anche associandosi o consorziandosi;
b. l’art. 15 “Accordi fra pubbliche amministrazioni” della legge n. 241
del 1990 prevede che anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 14 della citata legge, le Amministrazioni pubbliche possono sempre
concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune;
c. (per i comuni: l’art. 30 del TUEL prevede il sistema del convenzionamento tra Comuni al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e
servizi determinati prevedendo i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi
(6) Cfr. nota 4.
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e garanzie, con facoltà di costituire uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, ovvero
la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all’accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti);
d. il Consorzio di Amministrazioni…, costituito con atto notaio…
rep. n. … del…, trova tra le finalità dello Statuto l’affidamento di servizi
e funzioni che le Amministrazioni aderenti vorranno attivare, singolarmente o in forma associata, sulla scorta di specifiche convenzioni, potendo pertanto addivenire ad un accordo consortile per la costituzione
della Centrale di committenza.
RAVVISATA l’opportunità di promuovere l’esercizio associato della Centrale di committenza attraverso un “accordo consortile” mediante il convenzionamento tra Amministrazioni… (indicare quali) e
il Consorzio di Amministrazioni…, essendo quest’ultimo lo strumento giuridico individuato dal Legislatore per assolvere le finalità di contenimento della spesa, di semplificazione procedimentale e di realizzazione dei fini istituzionali delle Amministrazioni aderenti.
RITENUTO che il convenzionamento consente di aumentare l’efficacia e l’efficienza delle attività di acquisizione dei beni e servizi e di
realizzazione dei lavori e di consentire un’azione più efficace di controllo e prevenzione rispetto a possibili interferenze criminali, nonché di concentrare in una struttura appositamente dedicata i compiti
di stazione appaltante e di commissione di gara sino all’individuazione del soggetto contraente con la pubblica amministrazione (o con la
gestione dell’intero contratto), manifestando l’obiettivo di scopo dell’“accordo consortile” lo svolgimento in modo coordinato di funzioni e
determinati servizi istituzionali secondo le modalità indicate dall’articolo 33 del d.lgs. n. 163/2006 e la disciplina comunitaria di riferimento.
RITENUTO, altresì, che attraverso l’“accordo consortile” si opera
con un modello a rete per potenziare la razionalizzazione e diminuzione della spesa pubblica, evitando la parcellizzazione delle gare, le
diseconomie di scala, le difficoltà di gestione in relazione agli adempimenti dei singoli procedimenti di scelta del contraente, la concentrazione della committenza.
RITENUTO di procedere a mezzo convenzionamento alla sottoscrizione di un “accordo consortile” allo scopo di ridurre le spese, concentrare le procedure di gara, adempiere ad un obbligo istituzionale comune agli Enti sottoscrittori, rispondendo alle finalità di istituire una
cooperazione proiettata ad adempiere una funzione squisitamente
pubblica e di coesione territoriale, oltre che di prevenzione della corruzione.
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TUTTO CIÒ PREMESSO LE PARTI, COME SOPRA COSTITUITE,
STIPULANO E CONVENGONO QUANTO SEGUE
Capo i – Disposizioni Generali
Art. 1 (Oggetto dell’accordo consortile)
1. Le premesse costituiscono parte integrante e sostanziale del presente accordo consortile.
2. È istituita la “Centrale unica di committenza” (di seguito denominata CUC) per le procedure di gara di appalti di lavori pubblici, servizi
e forniture per i soggetti sottoscrittori del presente accordo consortile.
3. La Centrale unica di committenza, ai sensi dell’art. 33 d.lgs. n.
163/2006, è costituita presso la sede dell’Amministrazione… (quella di
riferimento per le attività della CUC).
4. Il presente accordo consortile regola i rapporti tra i soggetti aderenti per la costituzione della CUC che opera ai sensi dell’art. 33 d.lgs.
n. 163/2006 (per i comuni: dell’articolo 30 del TUEL).
5. Le Amministrazioni aderenti individuano l’Amministrazione
di… la stazione appaltante per gli adempimenti previsti dal d.lgs. n.
163/2006, delegandone le funzioni in nome e per conto delle Amministrazioni aderenti.
Art. 2 (Enti partecipanti)
Gli Enti che aderiscono all’accordo consortile sono...
Art. 3 (Funzioni, attività e servizi svolti dalla CUC)
1. Le funzioni e i servizi oggetto del presente accordo consortile
consistono:
a. nella gestione dei rapporti con gli Enti associati e delle procedure di gara;
b. dall’assistenza nella predisposizione del bando, ivi comprese le
procedure relative al CIG;
c. predisposizione dello schema di provvedimento di aggiudicazione definitiva a cura del Responsabile del procedimento (R.u.p.) dei
singoli Enti associati;
d. cura gli adempimenti relativi allo svolgimento della procedura di
gara in tutte le sue fasi, ivi compresi gli obblighi di pubblicità e di comunicazione previsti in materia di affidamento dei contratti pubblici
e la verifica del possesso dei requisiti di ordine generale e di capacità
economico-finanziaria e tecnico-organizzativa;
e. nomina la commissione giudicatrice in caso di aggiudicazione
con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa;
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f. cura gli eventuali contenziosi insorti in relazione alla procedura
di affidamento, fornendo anche gli elementi tecnico-giuridici per la difesa in giudizio (oppure, cura le attività relative alla gestione dei ricorsi e del conseguente contenzioso connessi all’espletamento dei procedimenti di affidamento, mentre la costituzione in giudizio e la nomina del
legale sarà eseguita dall’Amministrazione aderente con proprio atto e
relativa assunzione delle spese);
g. cura, anche di propria iniziativa, ogni ulteriore attività utile per il
perseguimento degli obiettivi della CUC;
h. verifica la regolarità della documentazione successiva al verbale di aggiudicazione provvisoria, le comunicazioni di cui all’art. 79 del
d.lgs. n. 163/2006, fino alla stipulazione del contratto (assistenza);
i. effettua il monitoraggio sull’esecuzione del contratto, segnatamente per quanto concerne la redazione di eventuali varianti in corso
d’opera, ritardi sui tempi di esecuzione delle opere, formulazione di riserve e richieste di maggiori compensi da parte delle ditte aggiudicatarie degli appalti;
l. comunica, anche per via telematica, alla Prefettura gli elementi
informativi relativi ai bandi di gara, alle ditte partecipanti e alle offerte
presentate, nonché all’andamento dell’esecuzione del contratto, al fine del perseguimento degli obiettivi previsti nei “Piani Anticorruzione” delle Amministrazioni aderenti (7).
2. I singoli Enti aderenti potranno affidare alla CUC l’intera procedura di gara, dalla redazione della documentazione di gara (bando,
capitolato, modulistica), alle procedure di pubblicazione e comunicazione (anche, ai sensi del d.lgs. 33/2013 e della legge n. 190/2012),
all’aggiudicazione, alla gestione del contratto.
3. La CUC, in ogni caso, svolge le funzioni di Commissione di gara
per conto degli Enti associati.
4. L’ambito di operatività della CUC è determinato nell’apposito Disciplinare operativo (di seguito denominato D.O.), approvato con atto…
del… (indicare deliberazione o atti delle Amministrazioni aderenti).
5. Le attività della CUC saranno operative dalla data di sottoscrizione del presente accordo consortile.
6. Resta inteso che la sottoscrizione dei contratti rientra tra i compiti delle Amministrazioni aderenti, (salvo apposita delega gestionale e di rappresentanza: in questo caso, si è di fronte ad un trasferimento di competenza).
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(7) Per la definizione delle competenze, vedi l’articolo 3 “Attività e servizi della SUA”, di cui al
d.P.C.M. 30 giugno 2011 “Stazione Unica Appaltante, in attuazione dell’articolo 13 della legge 13
agosto 2010, n. 136 – Piano straordinario contro le mafie”. Cfr. la circolare del Ministero dell’interno del 5 ottobre 2011, n. 11001/119/7/22 ad oggetto “Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30 giugno 2011 sulla Stazione Unica Appaltante”.
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Capo ii – Funzionamento della Centrale Unica
di Committenza
Art. 4 (Regole di Organizzazione e Funzionamento)
1. La CUC funziona secondo le modalità di organizzazione definite nell’apposito D.O.
2. Gli Enti associati, per garantire il miglior collegamento della CUC
con le proprie strutture, provvederanno all’adozione delle modifiche
regolamentari eventualmente necessarie.
3. Il Responsabile della CUC è individuato da…
Art. 5 (Attività che restano nella competenza dell’Ente aderente)
1. Restano di competenza del singolo Ente aderente:
a. la nomina del RUP (Responsabile Unico del Procedimento), ex
art. 10 d.lgs. n. 163/2006;
b. le attività di individuazione delle opere da realizzare, servizi e
forniture;
c. la redazione e l’approvazione dei progetti e di tutti gli altri atti ed
elaborati che ne costituiscono il presupposto, ivi compresa l’attribuzione dei valori ponderali in caso di appalto da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, da riportare nel capitolato speciale d’appalto;
d. l’adozione della determina a contrarre;
e. la stipula del contratto d’appalto (salvo diversa determinazione);
f. l’affidamento della direzione dei lavori, salvo per le operazioni di
gara;
g. tutti gli adempimenti connessi alla corretta esecuzione dei lavori
ed ai pagamenti sulla base degli stati di avanzamento lavori;
h. il collaudo statico e tecnico-amministrativo delle opere;
i. la comunicazione e trasmissione all’Osservatorio dei contratti
pubblici delle informazioni previste dall’art. 7 del d.lgs. n. 163/2006;
j. ogni altra funzione non attribuita alla CUC.
Gli Enti aderenti, in relazione a singole tipologie di gara, possono
trasferire – con proprio atto e/o con proposta del R.u.p. – alla CUC ulteriori fasi del procedimento di individuazione del contraente, compresa la redazione degli atti di gara; allo scopo, in sede di individuazione
delle gara da sottoporre alla CUC, possono essere indicate fasi ulteriori rispetto alla Commissione di gara, ovvero… (indicare condizioni aggiuntive).
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Capo III – Rapporti fra Soggetti Convenzionati
Art. 6 (Decorrenza e durata della convenzione)
1. L’accordo consortile decorre dalla data della sua sottoscrizione,
ha durata… (anni…) sino al…, prorogabile per analoghi periodi mediante manifestazione di volontà espressa in forma scritta dagli Enti
aderenti.
2. Non è ammesso il recesso unilaterale dei singoli Enti partecipanti per i primi… anni.
3. Sono clausole di recesso… (indicare condizione di recesso, quali
ad es. il mancato versamento di quote nei termini).
Art. 7 (Risorse per la gestione associata,
rapporti finanziari e garanzie)
1. Le risorse finanziarie per la gestione associata delle funzioni
nell’ambito della CUC sono a carico dei rispettivi Enti aderenti, secondo le modalità previste nel D.O. e fanno riferimento ai costi generali e
procedurali della stessa CUC (oppure, la ripartizione dei costi avviene
mediante una quota fissa di € … e una parte variabile, in funzione della dimensione e numero delle procedure seguite, pari a € …; oppure, le
spese sono ripartite in funzione delle procedure di gara espletate, comprendono le spese per l’apertura del CIG, la pubblicità legale, i compensi
dovuti ai componenti esterni della commissione tecnica, i costi del personale incaricato).
2. Le somme assegnate alla CUC da parte degli Enti aderenti vengono individuate preventivamente nei quadri economici di progetto e/o
fornitura e/o servizi, alla voce “Spese Generali” e/o in sede di Bilancio
preventivo (Piano delle opere e/o dei servizi e/o forniture) e liquidate
alle seguenti scadenze... (indicare modalità di pagamento). In prima
applicazione, sono così stabilite… (indicare spese di avvio).
3. La CUC redige un rendiconto per ciascun esercizio finanziario,
che viene trasmesso agli Enti aderenti, entro il mese di… dell’anno successivo.
4. I pagamenti avvengono nel seguente conto dedicato… entro…,
con le seguenti scadenze … È garantita la tracciabilità dei pagamenti,
ai sensi dell’art. 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136.
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Art. 8 (Dotazione del personale)
1. Gli Enti associati possono mettere a disposizione, mediante gli
istituti contrattuali vigenti, propri dipendenti (8). La dotazione delle risorse umane della CUC, nonché gli ulteriori aspetti economici connessi al funzionamento della struttura stessa rientra tra le determinazioni dell’Amministrazione… (quella individuata come riferimento
operativo o sede della CUC).
2. In casi particolari la CUC, in accordo con l’Ente interessato, potrà ricorrere a consulenze esterne per un supporto tecnico giuridico legato a singole procedure. Il costo di tale supporto verrà quantificato a
parte e addebitato all’Ente richiedente.
Art. 9 (Beni e strutture)
1. La sede della CUC è individuata nella sede dell’Amministrazione di…, che provvede a mettere a disposizione tutte le attrezzature necessarie per le attività assegnate. È fatta salva la possibilità – per singoli procedimenti – di svolgere l’attività anche presso la sede individuata
da un Ente aderente.
2. In sede di prima applicazione le dotazioni sono così individuate…
Art. 10 (Strumenti di comunicazione fra i contraenti)
1. Almeno a scadenza semestrale è prevista una riunione degli Enti associati per un’analisi delle attività svolte dalla CUC; le riunioni si
svolgeranno secondo il modello della Conferenza dei servizi (ai sensi dell’articolo 14 e seguenti della legge n. 241/1990) e parteciperanno i
rappresentati legali delle Amministrazioni aderenti o delegati, con l’eventuale presenza dei responsabili degli uffici interessati e in ogni caso del Responsabile della CUC.
2. È previsto un monitoraggio dell’attività secondo il seguente calendario…
3. Le Amministrazioni aderenti comunicano ai seguenti indirizzi pec…
(8) Si tratta del comando (ex art. 56 del TU degli impiegati civili dello Stato, di cui al d.P.R.
n. 3/1957) o del distacco. Il primo, descrive il fenomeno per cui il pubblico impiegato, titolare di ruolo presso una pubblica amministrazione viene temporaneamente assegnato a prestare
servizio presso altra amministrazione o altro ente pubblico, nell’interesse dell’amministrazione di destinazione; il secondo, si presenta come un’utilizzazione temporanea del dipendente
presso un ufficio diverso da quello che costituisce la sua sede ordinaria di servizio, svolgendo la
prestazione lavorativa a beneficio dell’amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro. Il
comando o il distacco del dipendente presso altra amministrazione non incide sullo stato giuridico del pubblico dipendente, né comporta il sorgere di un nuovo rapporto di impiego con
l’ente di destinazione, ma lascia inalterato quello originario alla cui disciplina il dipendente rimane sottoposto, con la sola evidente eccezione concernente il rapporto gerarchico nel quale,
all’ente di appartenenza, si sostituisce quello di destinazione, T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-ter, 2
settembre 2008, n. 8008.
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Capo IV – Disposizioni Finali
Art. 11 (Registrazione)
1. La presente scrittura privata non autenticata sarà soggetta a registrazione solo in caso d’uso ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 26 aprile 1986,
n. 131.
Art. 12 (Contenzioso relativo all’attivazione dell’accordo consortile)
1. La gestione del contenzioso che dovesse insorgere tra la CUC e gli
Enti aderenti è devoluta alla giurisdizione del T.A.R. ...
2. In ogni caso, per qualunque controversia che dovesse insorgere
in merito all’interpretazione, esecuzione, validità o efficacia del presente accordo consortile, le Amministrazioni aderenti si obbligano ad
esperire un tentativo di conciliazione bonaria in via amministrativa.
Art. 13 (Clausole di adesione e norme di chiusura)
1. L’accordo consortile è aperto all’adesione di Soggetti pubblici diversi dai sottoscrittori, previa presa d’atto di tutte le Amministrazioni
aderenti.
2. Le Parti, nei rapporti tra loro, si comportano secondo i principi di leale collaborazione, buona fede e correttezza, per scopi di economicità, efficacia ed efficienza, mediante l’utilizzo di strumenti informatici on line.
3. Ai fini di una completa omogeneizzazione dei compiti attribuiti
gli Enti associati potranno stabilire direttive orientative e/o prescrittive che dovranno essere armonizzate in sede di Conferenza di servizi e
con l’adozione di regolamenti e/o protocolli comuni.
4. Gli Enti aderenti con la sottoscrizione del presente accordo consortile, autorizzano il trattamento dei dati personali, nei limiti degli
obblighi e delle formalità derivanti dal presente accordo consortile, ai
sensi del d.lgs. n. 196/2003 e con le finalità di gestione dell’accordo. I
titolari del trattamento sono… (indicare le Amministrazioni sottoscrittrici, ai sensi dell’articolo 28 del d.lgs. n. 196/2003) (9). Al termine del
rapporto le Parti procederanno alla cancellazione dei dati acquisiti entro… dalla scadenza del termine di durata dell’accordo.
Letto, confermato e sottoscritto con firma digitale.
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(9) Qualora sia prevista, in riferimento all’organizzazione interna, più soggetti con poteri decisionali autonomi sui dati personali a ciascuno di essi dovrà essere imputata la titolarità autonoma del trattamento, cfr. Garante, parere 9 dicembre 1997, in Bollettino, n. 2, 44, doc. web n. 30915.
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Allegato sub. …
DISCPLINARE OPERATIVO (D.O.) PER IL FUNZIONAMENTO
DELLA CENTRALE UNICA DI COMMITTENZA (CUC) ISTITUITA
PRESSO LE AMMINISTRAZIONI DI…
Art. 1 – Oggetto, finalità, ambito applicativo
1. Il presente Disciplinare Operativo (D.O.) individua le procedure
per la costituzione, il funzionamento e il protocollo procedurale della
Centrale Unica di Committenza (CUC), istituita presso l’Amministrazione di…, come previsto dall’art. 33 del d.lgs. n. 163/2006 mediante
accordo consortile.
2. L’ambito oggettivo di operatività della CUC si riferisce alle procedure di gara per acquisizione di beni, servizi o lavori (può essere inserito un valore superiore a € …) (10) e per tutte le procedure di cottimo fiduciario (11). In ogni caso, resta inteso che la CUC opera, in nome e per
conto degli Enti aderenti, per tutte le tipologie che non rientrano tra
la disciplina normativa degli affidamenti diretti a cura dei singoli Enti
sottoscrittori dell’accordo consortile.
3. La modalità organizzativa in forma associata opera garantendo il
rispetto delle condizioni di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 163/2006 e ss.mm.
ii. (per i comuni: nonché dell’art. 30 del d.lgs. n. 267/2000), assicurando
un adeguato livello di competenze tecniche, giuridiche e amministrative, nonché di concentrazione della committenza e di semplificazione amministrativa.
Art. 2 – Composizione della CUC
1. La CUC è costituita da una Commissione tecnica, incaricata dello svolgimento degli adempimenti e delle procedure di cui all’art. 3
dell’accordo consortile secondo le modalità previste dalla normativa in materia di appalti. La Commissione tecnica viene individuata
dall’Amministrazione di… e, di norma, è assicurata la presenza di un
componente dell’Amministrazione aderente in relazione alla procedura da quest’ultimo individuata.
(10) Cfr. Corte conti, sezione regionale controllo Piemonte, deliberazione n. 144 del 2014 che
oltre a sancire l’obbligo di centralizzazione degli acquisti prevista dal d.l. 66/2014, ha sancito che,
in assenza di deroghe legislative, i Comuni non capoluogo di provincia non possano procedere ad acquisire autonomamente neppure lavori, servizi e forniture d’importo inferiore ad euro
40.000 mediante affidamento.
(11) Cfr. Corte conti, sezione regionale controllo Piemonte, deliberazione n. 271 del 2012, ove
si precisa che vengono attratte alla competenza delle centrali di committenza anche le acquisizioni in economia mediante procedura di cottimo fiduciario, mentre sono da escludere le acquisizioni in economia mediante amministrazione diretta e le ipotesi eccezionali di affidamento diretto consentite dalla legge (ex art. 125, comma 8 e comma 11 del Codice contratti).
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2. La Commissione tecnica per lo svolgimento delle sue funzioni si
avvale in via principale della struttura dell’Amministrazione di… Gli
Enti aderenti possono mettere a disposizioni locali di proprietà per l’espletamento delle attività della Commissione tecnica.
3. Il Responsabile della CUC è individuato dall’Amministrazione
di... tra i propri dipendenti.
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Art. 3 – Costituzione della Commissione tecnica
1. La nomina della Commissione tecnica avviene nel rispetto del
Codice dei contratti (d.lgs. n. 163/2006) e l’Amministrazione di… assume le funzioni di stazione appaltante in relazione all’accordo consortile.
2. Entro... dall’individuazione delle procedure di aggiudicazione
in capo agli Enti aderenti viene nominata la Commissione tecnica. In
ogni caso, dopo la scadenza del termine per la presentazione delle offerte.
3. Per ogni procedura da svolgere la Commissione tecnica può
creare una (oppure, più commissioni) commissione ristretta (CR), individuando tra i suoi componenti due membri, di cui uno con funzioni
di Presidente, cui competono le attività previste dal Disciplinare operativo e dall’accordo consortile, qui integralmente richiamate; ad essi
si aggiunge il RUP dell’Amministrazione interessata alla procedura di
aggiudicazione per le attività di coordinamento e di gara.
4. Il Responsabile della CUC potrà valutare modalità di funzionamento della Commissione tecnica e/o della Commissione ristretta allo scopo di migliorare il servizio.
Art. 4 – Competenze della Commissione Ristretta
1. Alla CR, con funzioni istruttorie, sono attribuite le seguenti competenze:
a) collabora con l’Ente aderente alla corretta individuazione dei
contenuti dello schema del contratto, tenendo conto che lo stesso deve garantire la piena rispondenza del lavoro, del servizio e della fornitura alle effettive esigenze degli Enti interessati;
b) concorda con l’Ente aderente la procedura di gara per la scelta
del contraente;
c) collabora nella redazione dei capitolati di cui all’art. 5, comma 7,
del d.lgs. n. 163/2006;
d) redige gli atti di gara, ivi incluso il bando di gara, il disciplinare di
gara e la lettera di invito;
e) cura gli adempimenti relativi allo svolgimento della procedura di
gara in tutte le sue fasi, ivi compresi gli obblighi di pubblicità e di comunicazione previsti in materia di affidamento dei contratti pubblici
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e la verifica del possesso dei requisiti di ordine generale e di capacità
economico-finanziaria e tecnico-organizzativa;
f ) provvede all’aggiudicazione provvisoria;
g) cura gli eventuali contenziosi insorti in relazione alla procedura
di affidamento, fornendo anche gli elementi tecnico-giuridici per la difesa in giudizio;
h) collabora con l’Ente aderente ai fini della stipulazione del contratto.
2. La Commissione tecnica si impegna, entro… giorni dalla ricezione degli atti di cui al successivo art. 5, comma 1, lett. a), c) e d) ad attivare la procedura di gara. Completata la procedura di aggiudicazione,
la Commissione tecnica rimette copia integrale del fascicolo relativo
alla singola procedura di gara all’Ente aderente, unitamente al verbale di aggiudicazione provvisoria, ai fini degli atti consequenziali, ovvero trasmette al Responsabile della sottoscrizione del contratto (individuare altre modalità operative).
3. Il Responsabile della CUC, o altro soggetto individuato, provvede
a trasmettere al sito informatico dell’Ente aderente i dati concernenti
gli appalti oggetto delle attività del presente accordo consortile, salvo
la pubblicazione in apposito portale dedicato alla CUC.
4. Nello svolgimento di tutte le attività di cui al presente articolo, la
Commissione tecnica o il Responsabile della CUC potranno chiedere
chiarimenti, integrazioni ed approfondimenti all’Ente aderente.
Art. 5 – Competenze dell’Amministrazione aderente
1. Restano di competenza del singolo Ente aderente:
a. la nomina del RUP (Responsabile Unico del Procedimento) ex
art. 10 del d.lgs. n. 163/2006;
b. le attività di individuazione e programmazione delle opere da realizzare;
c. la redazione e l’approvazione dei progetti e di tutti gli altri atti ed
elaborati che ne costituiscono il presupposto;
d. l’adozione della determina a contrarre con l’indicazione delle
procedure a contrarre;
e. la stipula del contratto d’appalto;
f. l’affidamento della direzione lavori (la procedura è comunque in
capo alla CUC);
g. tutti gli adempimenti connessi alla corretta esecuzione dei lavori
ed ai pagamenti sulla base degli stati di avanzamento lavori;
h. il collaudo statico e tecnico-amministrativo delle opere;
i. tutti gli adempimenti connessi alla corretta esecuzione dei lavori
ed ai pagamenti sulla base degli stati di avanzamento lavori;
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Formulario
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j. comunicazione e trasmissione all’Autorità di vigilanza (ex
AVCP) (12) delle informazioni previste dall’art. 7 del d.lgs. n. 163/2006,
dalla legge n. 190/2012 e dal d.lgs. 33/2013.
2. L’Ente aderente comunica alla CUC, entro… giorni dall’approvazione dei relativi bilanci di previsione, gli elenchi delle opere, dei servizi e delle forniture di cui prevede l’affidamento nel corso dell’anno,
indicando anche il periodo in cui l’affidamento dovrà essere effettuato.
3. L’Ente aderente potrà avvalersi del supporto della CUC per le attività inerenti le forniture, i servizi e lavori propedeutiche all’espletamento della gara.
4. L’Ente aderente fornisce tutti i chiarimenti, integrazioni ed approfondimenti necessari allo svolgimento dei compiti della CUC, così
come definiti all’art. 4.
5. In caso di appalto da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’Ente aderente assume gli oneri economici dei compensi spettanti ad eventuali componenti esperti esterni che la CUC riterrà necessario inserire nella Commissione tecnica.
6. L’atto con il quale l’Ente aderente chiede alla CUC di procedere
agli adempimenti di relativa competenza deve contenere l’indicazione del programma da cui risulta l’opera e/o il servizio e/o la fornitura
da affidare, della relativa copertura finanziaria e dei tempi entro i quali
l’opera e/o il servizio e/o la fornitura devono essere eseguiti, anche in
relazione all’esigenza di rispettare le scadenze connesse alla fruizione
di eventuali finanziamenti.
Art. 6 – Consulenze esterne
1. Per interventi di particolare interesse o complessità, la Commissione tecnica può avvalersi del parere consultivo non obbligatorio di
esperti esterni esperti nella materia previa autorizzazione dell’Amministrazione aderente; i relativi costi sono a carico dell’Ente beneficiario
nei limiti del quadro economico.
Art. 7 – Dotazione del personale e costi di gestione
1. I componenti nominati nella Commissione tecnica, se appartenenti alle Amministrazioni aderenti, svolgono la loro attività per conto
di tutti gli Enti associati, nell’ambito dell’orario di lavoro, e non percepiscono indennità di alcun tipo. L’Amministrazione di… (quella di riferimento della CUC) alla fine di ogni anno, tenuto conto dei procedimenti avviati, provvede a ripartire i costi effettivamente sostenuti per
conto dei singoli Enti aderenti e in relazione ai quadri economici.
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(12) Cfr. l’art. 19 del d.l. 90/2014 convertito in legge n. 114/2014.
3/2014
Formulario
2. A scadenza… il Responsabile della CUC redigerà apposita relazione sull’attività svolta, sulla presenza del personale coinvolto, sugli
orari effettuati, sui costi sostenuti e di quando necessario ai fini economici e della trasparenza.
Art. 8 – Efficacia del Disciplinare tecnico e norme di riferimento
1. Per quanto non previsto dal presente D.O. si rimanda all’accordo
consortile e alle disposizioni del d.lgs. n. 163/2006, alle norme del codice civile in quanto applicabili.
2. La CUC si attiene ai singoli Programmi di Prevenzione della Corruzione, di cui alla legge n. 190/2012 dei soggetti sottoscrittori.
139
Quesiti
Risposte ai lettori
a cura di Antonio Vespignani, Stefano Sacchetto
e Arianna Fuser
Subappalto
Che cosa si intende per subappalto “necessario”?
L’istituto del subappalto “necessario” è frutto di una recente elaborazione giurisprudenziale del Consiglio di Stato, che perviene ad una
interpretazione e ad una lettura “evolutiva” della normativa in materia.
Quest’ultima si rinviene nell’art. 118 del Codice dei contratti il cui
comma 2 subordina il ricorso al subappalto alla preventiva indicazione
da parte del concorrente, in sede di gara, dell’intenzione di ricorrere a
tale istituto con la contestuale indicazione delle prestazioni che si intendono subaffidare a terzi.
Sebbene la disposizione richiamata non imponga l’indicazione dei
nominativi dei subappaltatori, e ritenga sufficiente, per poter legittimamente ricorrere al subappalto, la sola dichiarazione della volontà di subappaltare nei termini sopra indicati, negli ultimi mesi si sono andati
formando sul punto due orientamenti giurisprudenziali tra loro contrastanti.
Da un lato, infatti, parte della giurisprudenza amministrativa ha
continuato ad affermare che, in sede di offerta, il concorrente è tenuto
alla sola dichiarazione di voler ricorrere al subappalto.
I lettori possono rivolgere quesiti alla Redazione della Rivista, indirizzando via
e-mail a: [email protected] o [email protected].
Il testo del quesito non potrà superare la mezza pagina a stampa corrispondente a
1.000 caratteri.
La risposta sarà pubblicata compatibilmente con le esigenze redazionali.
141
Quesiti
142
3/2014
Altra parte della giurisprudenza ha, invece, operato una distinzione
tra due ipotesi:
- subappalto “facoltativo”, che si avrebbe quando il concorrente è
autonomamente in possesso dei requisiti necessari ad eseguire direttamente tutte le prestazioni di cui si compone l’intervento, ed il subappalto rimane solo una facoltà.
In tal caso sarà sufficiente la sola dichiarazione del concorrente di
voler ricorrere al subappalto.
-
subappalto “necessario”, che ricorre invece quando il concorrente sia privo dei requisiti necessari ad eseguire in proprio alcune lavorazioni rientranti nell’appalto e sia quindi tenuto necessariamente ad
affidarle in subappalto.
In tal caso sarà necessario che la dichiarazione del concorrente contenga anche l’indicazione del nominativo del subappaltatore e la contestuale dimostrazione del possesso da parte di questo dei requisiti necessari all’esecuzione delle prestazioni da subappaltare (cfr. in tal senso:
Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 2014, n. 2675; Cons. Stato, sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1224).
Il più recente intervento giurisprudenziale sull’argomento (al momento in cui si scrive) è rappresentato dalla sentenza n. 3449 del 7 luglio
2014, con la quale la quinta sezione del Consiglio di Stato è tornata ad
occuparsi della questione.
In questa pronuncia, i giudici di Palazzo Spada hanno affermato
che, anche nelle ipotesi di c.d. subappalto necessario, deve ritenersi comunque sufficiente che il concorrente dichiari in gara la sola intenzione
di voler subappaltare parte delle prestazioni senza bisogno di indicare
anche il nominativo dell’impresa subappaltatrice e i relativi requisiti.
A sostegno di tale posizione, la sentenza non manca di segnalare
come la vigente disciplina risulti per volontà del legislatore del Codice dei contratti diversa dalla previgente normativa (l. n. 109/1994,
c.d. legge Merloni), che imponeva fin dal momento della formulazione dell’offerta l’indicazione del nominato dell’impresa subappaltatrice
(previsione peraltro soppressa già dall’art. 9 della legge n. 415/1998).
Dalle norme oggi in vigore, invece (cfr. combinato disposto degli artt.
37, comma 11, e 118, comma 2, d.lgs. n. 163/2006 e dell’art. 92 d.P.R. n.
207/2010), non emerge alcun obbligo nel senso della preventiva indicazione, già in sede di presentazione dell’offerta, del nominativo dell’impresa subappaltatrice.
Infine, affermano i giudici di Palazzo Spada, il diverso orientamento
che impone la preventiva indicazione del subappaltatore nelle ipotesi di
subappalto c.d. “necessario” non sembra tenere in debita considerazione il disposto dell’art. 92, comma 1, del d.P.R. n. 207/2010, che ammette
3/2014
Quesiti
la partecipazione alla gara sia del concorrente che possiede la qualificazione in tutte le categorie di cui si compone l’intervento (prevalente e
scorporabili anche a “qualificazione obbligatoria”), sia del concorrente
privo di alcune delle scorporabili (anche a “qualificazione obbligatoria”) che copra tale carenza con un incremento di qualificazione nella
categoria prevalente.
In conclusione, secondo il Consiglio di Stato, il concorrente che sia
sprovvisto dei requisiti relativi ad una categoria a “qualificazione obbligatoria” è tenuto a dichiarare, in sede di gara, di voler subappaltare le
relative prestazioni e non anche a dichiarare il nominativo dell’impresa
subappaltatrice.
Avvalimento e iscrizione all’Albo
dei gestori ambientali
L’iscrizione all’Albo dei gestori ambientali può formare oggetto
di avvalimento ex art. 49 del Codice dei contratti?
La questione ha di recente trovato una risposta espressa nel diritto
positivo.
Infatti l’art. 34, comma 2, del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133,
recante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle
opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle
attività produttive” (c.d. Sblocca Italia) ha modificato l’art. 49 del Codice aggiungendovi il comma 1-bis, ai sensi del quale “Il comma 1 non
è applicabile al requisito dell’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori
Ambientali di cui all’articolo 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152”.
In questo modo è stata normativamente sancita una conclusione
alla quale erano peraltro già pervenuti tanto l’Autorità per la vigilanza
sui lavori pubblici, quanto la giurisprudenza.
Secondo l’Autorità, infatti, (determinazione n. 2 del 1° agosto 2012),
i requisiti aventi una intrinseca natura soggettiva, in quanto acquisiti sulla base di elementi strettamente collegati alla capacità soggettiva
dell’operatore e non scindibili da esso, non possano formare oggetto di
avvalimento.
Muovendo proprio dalla natura strettamente personale di tali requisiti, l’Autorità ha desunto che è inammissibile il ricorso all’avvalimento
per dimostrare il possesso degli stessi, poiché tale istituto non si presta
143
Quesiti
3/2014
ad essere utilizzato per requisiti “personali”, e cioè inscindibili dal soggetto avvalso, mentre trova applicazione in rapporto ai requisiti “oggettivi” di carattere economico-finanziario e tecnico-organizzativo (tra
cui anche l’attestazione SOA), che, al contrario, possono essere messi a
disposizione dell’impresa ausiliata.
Anche la giurisprudenza è concorde nel ritenere non applicabile l’istituto dell’avvalimento in ordine ai requisiti strettamente personali.
Il Consiglio di Stato (sez. V, 5 novembre 2012, n. 5595) ha osservato
che tali requisiti “non sono attinenti all’impresa e ai mezzi di cui essa dispone e non sono intesi a garantire l’obiettiva qualità dell’adempimento; essi, invece, sono relativi alla mera e soggettiva idoneità (professionale) del concorrente (quindi non dell’impresa, ma dell’imprenditore)
a partecipare alla gara d’appalto e ad essere, quindi, contraente con la
Pubblica Amministrazione”.
È la stessa Autorità – nella richiamata determinazione n. 2/2012 – a
portare a titolo di esempio la giurisprudenza formatasi in materia di
iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali, secondo la quale non è possibile avvalersi della struttura aziendale dell’impresa ausiliaria, poiché
in tal modo non sarebbero soddisfatti i requisiti previsti dalla normativa nazionale a tutela del bene ambientale.
Secondo l’Autorità, la normativa nazionale, proprio per la delicatezza e rilevanza delle funzioni svolte da tali soggetti (dal punto di vista
ambientale ed igienico-sanitario), ritiene, infatti, necessario che i soggetti abilitati siano in possesso di caratteristiche aziendali ed organizzative tanto inscindibili, da connotare tali soggetti a livello soggettivo e
da non consentire lo svolgimento delle attività da parte di soggetti terzi
che ne siano privi (cfr. T.A.R. Lazio, sez. II-ter, sentenza n. 10080/2011).
Infine, l’Autorità non manca di sottolineare come, a conferma di tale
posizione, anche la giurisprudenza di legittimità, in sede penale, abbia
dedotto che l’iscrizione all’Albo, in quanto titolo abilitativo, ha natura
personale (cfr. Corte di Cassazione n. 38635/2005).
144
Rassegne
Osservatorio normativa
a cura di Pietro De Franciscis
LEGGI ED ALTRI ATTI NORMATIVI
• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 febbraio 2014, n. 59
Regolamento di organizzazione del Ministero della salute (G.U. n. 82 dell’8.4.2014).
• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 febbraio 2014, n. 72
Regolamento di organizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti,
ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (G.U. n. 105 dell’8.5.2014).
• Legge 7 aprile 2014, n. 56
Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (G.U. n. 81 del 7.4.2014).
• Legge 23 aprile 2014, n. 71
Ratifica ed esecuzione dell’accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il
Governo della Repubblica francese per la realizzazione e l’esercizio di una nuova
linea ferroviaria Torino-Lione, con Allegati, fatto a Roma il 30 gennaio 2012 (G.U.
n. 104 del 7.5.2014).
• Decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66
Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale (G.U. n. 95 del 24.4.2014).
• Legge 2 maggio 2014, n. 68
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 marzo 2014, n.16,
recante disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a
garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche (testo coordinato in G.U. n. 102 del 5.5.2014).
• Decreto-legge 12 maggio 2014, n. 73
Misure urgenti di proroga di Commissari per il completamento di opere pubbliche (G.U. n. 108 del 12.5.2014).
• Legge 23 maggio 2014, n. 80
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47
recante misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni
e per l’Expo 2015 (testo coordinato in G.U. n. 121 del 27.5.2014).
• Decreto-legge 31maggio 2014, n. 83
Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo (G.U. n. 125 del 31.5.2014).
• Legge 23 giugno 2014, n. 89
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66
recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato,
per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della
145
Osservatorio Normativa
3/2014
funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un testo unico in materia
di contabilità di Stato e di tesoreria (testo coordinato in G.U. n. 143 del 23.6.2014).
• Decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90
Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari (G.U. n. 144 del 24.6.2014).
DECRETI PRESIDENZIALI
• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 novembre 2013
Approvazione del “Piano stralcio per l’assetto idrogeologico dei bacini idrografici dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Piave, Brenta-Bacchiglione”. (G.U. n. 97 del
28.4.2014).
• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 gennaio 2014
Controllo della Corte dei conti sulla “Società Istituto Luce – Cinecittà S.r.l.” (G.U.
n. 82 dell’8.4.2014).
• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 gennaio 2014
Controllo della Corte dei conti sulla società “Investimenti Immobiliari Italiani Società di Gestione del Risparmio Società per Azioni – InvImIt SGR S.p.a.” (G.U. n.
82 dell’8.4.2014).
DECRETI, DELIBERE E ORDINANZE MINISTERIALI
Ministero dell’interno
• Decreto 29 aprile 2014
Ulteriore differimento dal 30 aprile al 31 luglio 2014 del termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2014 degli enti locali, ai sensi dell’art. 151, comma
1, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (G.U. n. 99 del 30.4.2014).
• Decreto 14 maggio 2014
Contributo per l’incremento della massa attiva dei comuni in dissesto finanziario
– anno 2013 (G.U. n. 141 del 20.6.2014).
• Decreto 27 maggio 2014
Certificazioni del rendiconto al bilancio 2013 delle amministrazioni provinciali,
dei comuni, delle comunità montane e delle unioni di comuni (G.U. n. 129 del
6.6.2014).
Ministero dell’economia e delle finanze
• Decreto 28 febbraio 2014
Riparto degli spazi finanziari attribuiti agli enti locali per sostenere pagamenti di
debiti in conto capitale, in attuazione dei commi 546 e seguenti dell’art. 1 della
legge 27 dicembre 2013, n. 147 (G.U. n. 81 del 7.4.2014).
146
3/2014
Osservatorio Normativa
• Decreto 30 aprile 2014
Monitoraggio e certificazione del patto di stabilità interno per il 2014 per le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (G.U. n. 109 del 13.5.2014).
• Decreto 19 maggio 2014
Determinazione del costo globale annuo massimo per le operazioni di mutuo effettuate dagli enti locali, ai sensi del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (G.U. n. 177
del 22.5.2014).
• Decreto 30 maggio 2014
Modalità di accesso alla banca dati SIOPE (Sistema Informativo delle Operazioni
degli enti pubblici (G.U. n. 133 dell’11.6.2014).
Ministero della giustizia
• Decreto 7 marzo 2014
Individuazione delle sedi degli uffici del Giudice di pace ai sensi dell’art.3 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (G.U. del 14.4.2014 – Suppl. ord. n. 36).
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
• Decreto 27 dicembre 2013
Approvazione dell’elenco degli interventi ammessi al finanziamento del primo
programma “6000 Campanili” (G.U. n. 81 del 7.4.2014).
• Decreto 13 febbraio 2014
Approvazione dell’elenco degli interventi ammessi al Primo programma “6000
Campanili” e finanziati dalla legge di stabilità del 27 dicembre 2013, n. 147 (G.U.
n. 126 del 3.6.2014).
• Decreto 19 febbraio 2014
Modifiche al decreto 3 ottobre 2012 relativo all’approvazione del programma di
edilizia scolastica in attuazione della risoluzione parlamentare 2 agosto 2012,
AC 8-00143 delle Commissioni V e VII della camera dei Deputati (G.U. n. 118 del
23.5.2014).
• Decreto 13 marzo 2014
Rettifica del decreto n. 46 del 13 febbraio 2014 di approvazione dell’elenco degli
interventi ammessi al Primo programma “6000 Campanili” e finanziati dalla legge
di stabilità del 27 dicembre 2013, n. 147 (G.U. n. 126 del 3.6.2014).
DECRETI E DELIBERE DI ALTRE AUTORITÀ
C.I.P.E.
• Delibera 9 settembre 2013
Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443/2001) – Linea M4 della Metropolitana di Milano – tratta Lorenteggio – Linate (CUP B81I06000000003,
B41I07000120005). Approvazione progetti, assegnazione definitiva finanziamento e
parere sullo schema di convenzione (Delibera n. 66/2013) – (G.U. n. 128 del 5.6.2014).
147
Osservatorio Normativa
3/2014
• Delibera 8 novembre 2013
Interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa (Delibera n. 75/2013)
– (G.U. n. 81 del 7.4.2014).
• Delibera 13 dicembre 2013
Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443/2001). Metropolitana di
Napoli – Linea 1 tratta Centro Direzionale – Capodichino (CUP B41E04000210001).
Approvazione progetto definitivo e assegnazione definitiva finanziamento (Delibera n. 88/2013). (G.U. n. 112 del 16.5.2012).
• Delibera 17 dicembre 2013
Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443/2001). Asse viario Marche-Umbria e quadrilatero di penetrazione interna. Aree leader facenti parte del
piano di area vasta: reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio (Delibera n.
89/2013) – (G.U. n. 81 del 7.4.2014).
• Delibera 17 dicembre 2013
Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443/2001). Linea ferroviaria
Bari-Taranto: raddoppio della tratta Bari S.Andrea – Bitetto; nuova approvazione del progetto definitivo ai soli fini della dichiarazione di pubblica utilità (CUP
J71H92000030008). (Delibera n. 90/2013) – (G.U. n. 81 del 7.4.2014).
• Delibera 17 dicembre 2013
Contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e il Consorzio
Programma Porto Napoli S.c.a.r.l. – Aggiornamento (Delibera n. 96/2013) – (G.U.
n. 94 del 23.4.2014).
• Delibera 17 dicembre 2013
Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443/2001). Nuova linea ferroviaria Torino-Lione: “Opere e misure compensative dell’impatto territoriale e sociale nel quadro del piano di accompagnamento dell’opera”. Modifica del soggetto
aggiudicatore delle opere nel territorio del Comune di Susa (Delibera n. 91/2013)
– (G.U. n. 115 del 20.5.2014).
• Delibera 14 febbraio 2014
Programma delle infrastrutture strategiche (Legge n. 443/2001). Linea M4 della
Metropolitana di Milano – Tratta Lorenteggio – Linate (CUP B81I06000000003,
B41I07000120005). Modifica della delibera CIPE n. 66/2013 – (Delibera n.
16/2014) – (G.U. n. 128 del 5.6.2014).
• Delibera 14 febbraio 2014
Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443/2001). Accessibilità Metropolitana Fiera di Milano (CUP F60H05000000001). Autorizzazione aggiuntiva
utilizzo contributi (Delibera n. 2/2014) – (G.U. n. 129 del 6.6.2014).
• Delibera 14 febbraio 2014
Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2014-2020, assegnazione programmatica per il completamento della Cittadella Giudiziaria di Salerno (articolo 1,
comma 181, della legge n. 147/2013). (Delibera n. 12/2014) – (G.U. n. 139 del
18.6.2014).
148
3/2014
Osservatorio Normativa
Autorità per la vigilanza sui contrati pubblici di lavori,
servizi e forniture
• Provvedimento 26 febbraio 2014
Regolamento unico in materia di esercizio del potere sanzionatorio di cui all’art.
8, comma 4, del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (G.U. n. 82 dell’8.4.2014)
• Delibera 5 marzo 2014
Attuazione dell’art. 1, commi 65 e 67, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per
l’anno 2014 (G.U. n. 113 del 17.5.2014).
• Determina 23 aprile 2014
Criteri interpretativi in ordine alle disposizioni contenute nell’art. 38, comma 1
– lett. a), del decreto legislativo n. 163/2006 afferenti alle procedure di concordato preventivo a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 186-bis della legge fallimentare (concordato con continuità aziendale) (Determina n. 3) –(G.U. n. 114 del
19.5.2014).
• Determina 23 aprile 2014
Procedure da utilizzare dalle SOA (Società Organismi di Attestazione) per l’esercizio della loro attività di attestazione (Determina n. 4) – (G.U. n. 114 del 19.5.2014).
• Determina 6 giugno 2014
Attrezzatura informatica delle SOA per la comunicazione delle informazioni
all’Osservatorio (Determina n. 5/2014) – (G.U. n. 147 del 27.6.2014).
Banca d’Italia
• Provvedimento 25 marzo 2014
Regolamento in materia di pubblicità e trasparenza dei dati e delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività della Banca d’Italia (G.U. n. 84 del
10.4.2014).
Corte dei conti
• Delibera 15 aprile 2014
Linee guida per la relazione dei collegi sindacali degli enti del Servizio sanitario
nazionale sul bilancio di esercizio 2013, ai sensi dell’art. 1, comma 170, della legge
23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) e dell’art. 1, comma 3 del d.l. 10
ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n.
213 (Delibera n. 13/SEZAUT/2014/INPR) – (G.U. n. 121 del 27.5.2014).
CIRCOLARI
Ministero dell’economia e delle finanze
• Circolare 8 aprile 2014, n. 14
Monitoraggio opere pubbliche in attuazione del decreto-legislativo del 29 dicembre 2011, n. 229: esplicazione delle modalità operative e prima rilevazione (G.U.
n. 108 del 12.5.2014).
149
Osservatorio Normativa
3/2014
ESTRATTI, SUNTI E COMUNICATI
Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture
• Comunicato n. 14A02638
Affidamento dei servizi di pulizia e igiene ambientale degli immobili nei settori
ordinari (G.U. n. 78 del 3.4.2014).
• Comunicato n. 14A03804
Indicazioni sulle comunicazioni di cui all’art. 74, comma 6, del d.P.R. n. 207/2010
recante: «Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163 recante: “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”». (G.U. n. 115 del 20.5.2014).
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere
• Comunicato n. 14A03661
Terza edizione delle linee-guida per i controlli antimafia di cui all’art. 3-quinquies del
decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 convertito dalla legge 20 novembre 2009, n.
166, inerente la realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento
dell’EXPO Milano 2015 (Delibera del 14 aprile 2014) – (G.U. n. 107 del 10.5.2014).
LEGGI REGIONALI (*)
Trentino-Alto Adige
Provincia Autonoma di Bolzano
• Legge provinciale 23 aprile 2014, n. 3
Istituzione dell’imposta municipale immobiliare (IMI) – (G.U. n. 22 del 31.5.2014).
Friuli-Venezia Giulia
• Legge regionale 26 marzo 2014, n. 3
Disposizioni in materia di organizzazione e di personale della Regione, di agenzie
regionali e di enti locali (G.U. n. 22 del 31.5.2014).
Liguria
• Legge regionale 24 febbraio 2014, n. 1
Norme in materia di individuazione degli ambiti ottimali per l’esercizio delle funzioni relative al servizio idrico integrato e alla gestione integrata dei rifiuti (G.U. n.
17 del 26.4.2014).
150
(*) N. B. - I dati relativi alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale si riferiscono alla 3a Serie
Speciale – Regioni.
3/2014
Osservatorio Normativa
• Legge regionale 13 marzo 2014, n. 5
Modifiche di normative in materia di turismo, di urbanistica ed edilizia (G.U. n.
20 del 17.5.2014).
Toscana
• Legge regionale 18 marzo 2014, n. 14
Invaso di Bilancino. Trasferimento della proprietà. Disposizioni conseguenti
(G.U. n. 18 del 3.5.2014).
Abruzzo
• Decreto del Presidente della Giunta Regionale 22 gennaio 2014, n. 1/REG
Adeguamento delle procedure per la razionalizzazione del patrimonio pubblico e la riduzione dei costi per le locazioni passive all’ordinamento della Regione
Abruzzo nel rispetto dei principi contenuti nell’art. 30 della l.r. 68/2012 (G.U. n. 15
del 12.4.2014).
Sicilia
• Legge regionale 24 marzo 2014, n. 8
Istituzione dei liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane (G.U. n. 17 del
26.4.2014).
• Legge 8 aprile 2014, n. 9
Disposizioni per la riqualificazione dei beni immobili confiscati alla criminalità
organizzata (G.U. n. 24 del 14.6.2014).
151
Rassegne
Osservatorio Atti
dell’Autorità per la vigilanza
sui contratti pubblici
Elena Brandolini
I. Il d.l. n. 90/2014
Il decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, recante: “Misure urgenti per
la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza
degli uffici giudiziari”, entrato in vigore il 25 giugno successivo, tenendo conto della necessità di riunire in un unico soggetto tutti i compiti di vigilanza sulla correttezza delle procedure di affidamento delle
opere pubbliche e di accertamento che dall’esecuzione dei contratti di
appalto non derivi alcun pregiudizio per il pubblico erario, all’art. 19,
comma 1, ha previsto la soppressione dell’Autorità per la vigilanza dei
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP), di cui all’art. 6
del d.lgs. n. 163/2006, con conseguente decadenza dei relativi organi.
Il medesimo art. 19, al comma 2, stabilisce che i compiti e le funzioni svolti dalla soppressa AVCP sono trasferiti all’Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza (ANAC), di cui
all’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, a tal fine
ridenominata “Autorità nazionale anticorruzione” (ANAC).
Viene disposto, altresì, che il Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, entro il 31 dicembre 2014, deve presentare al Presidente
del Consiglio dei Ministri un piano per il riordino dell’Autorità stessa,
nel quale deve disporsi in relazione: al trasferimento definitivo delle
risorse umane, finanziarie e strumentali, necessarie per lo svolgimento delle nuove funzioni acquisite, alla riduzione (non inferiore al venti
per cento) del trattamento economico accessorio del personale dipendente, inclusi i dirigenti, alla riduzione delle spese di funzionamento (anch’esse nella misura non inferiore al venti per cento). Il predetto piano di riordino acquista efficacia a seguito della sua approvazione
con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Fino all’approvazione di tale piano, il Presidente dell’ANAC si avvale delle risorse della
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Osservatorio AVCP
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3/2014
soppressa Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, per lo svolgimento dei compiti attribuiti.
Al Presidente viene, altresì, conferito il potere di formulare proposte al Commissario unico delegato del Governo per l’Expo Milano 2015
e alla società Expo 2015 per la corretta gestione delle procedure d’appalto per la realizzazione dell’evento.
In aggiunta alle trasferite funzioni della soppressa AVCP, l’Autorità nazionale anticorruzione riceve notizie e segnalazioni di illeciti, anche nelle forme di cui all’art. 54-bis del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165 (che dispone in materia di tutela del dipendente pubblico
che segnala illeciti) e, salvo che il fatto costituisca reato, applica, nel rispetto delle norme previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, una
sanzione amministrativa non inferiore nel minimo a euro 1.000 e non
superiore nel massimo a euro 10.000, nel caso in cui il soggetto obbligato ometta l’adozione dei piani triennali di prevenzione della corruzione, dei programmi triennali di trasparenza o dei codici di comportamento.
All’Autorità nazionale anticorruzione sono trasferite anche le funzioni del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del
Consiglio dei Ministri in materia di prevenzione della corruzione di cui
all’art. 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190.
Ne consegue, come del resto emerge dai lavori parlamentari, che
alla nuova Autorità sono conferiti tutti i poteri necessari a contrastare in via preventiva il grave fenomeno della corruzione nei lavori pubblici, con attribuzione alla stessa di un potere di intervento più ampio
e integrato per quanto concerne le funzioni finalizzate ad assicurare
un’azione coordinata dell’attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione.
Alla luce della intervenuta novella legislativa, con deliberazione n.
102/2014 l’ANAC, nella persona del Presidente, alla luce della necessità di garantire la sua immediata operatività ai fini dello svolgimento
dei compiti e delle funzioni, quali ridefiniti dal sopra richiamato art. 19
del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, ha stabilito che le comunicazioni relative alle materie trattate dalla soppressa AVCP devono continuare ad essere inviate agli uffici e ai recapiti indicati sul sito della soppressa AVCP dove verranno assunte al relativo protocollo che rimarrà
operativo e separato rispetto al protocollo utilizzato per le comunicazioni in materia di anticorruzione e trasparenza.
In attesa della conversione in legge del d.l. 90/2014 e degli ulteriori
sviluppi della procedura di passaggio delle funzioni alla nuova Autorità, si prosegue nell’analisi delle attività di interesse nel frattempo poste
in essere dall’AVCP.
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Osservatorio AVCP
II. Atto di segnalazione n. 3 del 21 maggio 2014
Con atto di segnalazione al Governo e al Parlamento n. 3 del 21
maggio 2014 l’AVCP, nell’esercizio del potere di segnalazione di cui
all’art. 6, comma 7, lett. f ), del Codice dei contratti pubblici, ha formulato al Governo ed al Parlamento le proprie osservazioni in merito alle tematiche strategiche ed ai profili innovativi contenuti nelle direttive n. 2014/24/UE sugli appalti pubblici (c.d. “direttiva Appalti”), n.
2014/25/UE, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori
dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (c.d. “direttiva
Utilities”) e n. 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (c.d. “direttiva Concessioni”).
Quanto alla Direttiva Appalti pubblici di lavori, servizi e forniture e
alla Direttiva Utilities, che inseriscono nell’ottica della semplificazione
e dello snellimento delle procedure di aggiudicazione, l’AVCP richiama l’attenzione:
a) sul nuovo impulso dato alle comunicazioni elettroniche (art. 22
dir. Appalti e 40 dir. Utilities), espressione della volontà del legislatore comunitario di creare un sistema in cui l’utilizzo di mezzi elettronici costituisce la regola, cui fanno eccezione solo i casi specificamente
disciplinati, e sull’utilizzo dei cataloghi elettronici (art. 36 dir. Appalti e art. 54 dir. Utilities) in tutte le procedure disponibili ove sia richiesto l’uso di mezzi di comunicazione elettronici. In proposito l’Autorità
sottolinea che il recepimento di tali disposizioni, stante anche la previsione di un ampio lasso di tempo per provvedervi (art. 90 dir. Appalti e
106 dir. Utilities), necessita di una forte opera di sensibilizzazione delle
diverse stazioni appaltanti e degli operatori, anche attraverso l’adozione di misure graduali volte a favorire ed incentivare il processo di informatizzazione, già in atto, per quanto riguarda la verifica dei requisiti, attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP) di
cui all’art. 6-bis del Codice, il cui ruolo centrale “acquista ancor più rilevanza se si ha riguardo, altresì, alla disciplina del documento di gara
unico europeo (DGUE) (art. 59 dir. Appalti), fornito esclusivamente in
forma elettronica, tenuto conto, in particolare, di quanto previsto dal
comma 5, del richiamato art. 59” (1);
b) sul nuovo istituto delle “consultazioni preliminari di mercato”
(1) Dispone l’art. 59 della Direttiva appalti: “In deroga al paragrafo 4, agli operatori economici
non è richiesto di presentare documenti complementari o altre prove documentali qualora e sempre che l’amministrazione aggiudicatrice abbia la possibilità di ottenere i certificati e le informazioni pertinenti direttamente accedendo a una banca dati nazionale che sia disponibile gratuitamente in un qualunque Stato membro, come un registro nazionale degli appalti, un fascicolo d’impresa virtuale (Virtual Company Dossier), un sistema elettronico di archiviazione dei documenti
o un sistema di preselezione”.
155
Osservatorio AVCP
3/2014
(art. 40 dir. Appalti, art. 58 dir. Utilities) che rappresenta una forma
di “flessibilizzazione procedurale e sostanziale”, attraverso la quale è
espressamente prevista la possibilità di richiedere consulenze oltre
che ad esperti anche ad autorità indipendenti;
c) alla nuova disciplina del soccorso istruttorio (art. 56, par. 3 dir.
Appalti), che consente alle amministrazioni aggiudicatrici, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che attua la direttiva, di richiedere agli operatori economici interessati, non solo di chiarire e
completare le informazioni o la documentazione presentata, ma anche di presentare e integrare documenti mancanti, a condizione che
tale richiesta sia effettuata nella piena osservanza dei principi di parità
di trattamento e trasparenza;
d) sulla disposizione secondo cui nelle procedure aperte, le amministrazioni aggiudicatrici possono decidere di esaminare le offerte prima di verificare l’assenza di motivi di esclusione e il rispetto dei criteri di selezione ai sensi degli articoli da 57 a 64 dir. Appalti, all’uopo
sottolineando la delicatezza della disposizione che permette agli Stati membri di escludere o limitare l’uso della predetta procedura per
determinati tipi di appalti o a circostanze specifiche (art. 56, par. 2,
commi 1 e 2, dir. Appalti; art. 76, par. 7, commi 1 e 2, dir. Utilities) in
considerazione del fatto che nell’ordinamento italiano la verifica dei
requisiti generali (ex art. 38 del Codice) avviene sui concorrenti o mediante campionatura o sulla totalità degli stessi, con un sistema a presidio della tutela di interessi che l’ordinamento considera irrinunciabili (es: regolarità contributiva e fiscale);
e) sulla nuova configurazione del criterio, prioritario, di aggiudicazione “miglior rapporto qualità/prezzo” che sostituisce quello dell’“offerta economicamente più vantaggiosa”. Nelle nuove direttive, infatti, l’offerta economicamente più vantaggiosa è il criterio generale di
aggiudicazione dell’appalto, ma secondo un diverso approccio prezzo/qualità (art. 67, par. 2, dir. Appalti e 82, par. 2, dir. Utilities) (2). Considerato che la qualità dovrebbe essere, in ogni caso, suscettibile di
valutazione sulla base di fattori diversi dal solo prezzo o dalla sola remunerazione, qualora disposizioni nazionali determinino la remunerazione di taluni servizi o impongano un prezzo fisso per determinate forniture l’AVCP osserva che “il criterio del massimo ribasso non è
156
(2) Il legislatore comunitario ritiene che gli enti aggiudicatori dovrebbero essere incoraggiati a scegliere criteri di aggiudicazione che consentano loro di ottenere lavori, forniture e servizi di
alta qualità che rispondano al meglio alle loro necessità (cons. 92 dir. Appalti, cons. 97 dir. Utilities), e dovrebbe essere consentito agli Stati membri di proibire o limitare il ricorso al solo criterio
del prezzo o del costo per valutare l’offerta economicamente più vantaggiosa qualora lo ritengano appropriato (cons. 90 dir. Appalti, cons. 95 dir. Utilities).
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Osservatorio AVCP
abolito formalmente, dal momento che la valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa potrebbe essere effettuata anche soltanto sulla base del prezzo o di un approccio costo/efficacia (cons. 90 dir.
Appalti, cons. 95 dir. Utilities), ma il suo utilizzo, in seno alle nuove direttive, ne risulta drasticamente ridimensionato. In sostanza l’unico criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che contiene sempre un riferimento al prezzo o al costo (ma
anche nel caso in cui sia utilizzato come unico elemento di valutazione
quest’ultimo, deve essere seguito da un approccio costo/efficacia nella
valutazione) e che, di regola, è accompagnato da altri elementi di valutazione che attengono alla qualità e consentono un esame delle offerte sulla base di un rapporto prezzo/qualità. Orbene, in tale nuovo contesto normativo, in fase di recepimento, non potrà non tenersi conto di
questo nuovo approccio costo/efficacia, che andrà opportunamente valorizzato in sede di disciplina dei criteri d’aggiudicazione”. In considerazione delle nuove direttive, l’Autorità richiama anche l’attenzione sui
rischi insiti nella completa abolizione del criterio del prezzo più basso
(trattandosi di disposizione a recepimento facoltativo), a tal fine evidenziando che “Se è vero, infatti, che quest’ultimo costituisce il criterio che più di ogni altro consente il buon esito di eventuali accordi collusivi tra operatori, nella singola gara, è altrettanto vero che il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa (secondo la vecchia dizione) espone al maggior rischio di accordi illeciti tra operatori e stazioni appaltanti e ne assicura il buon esito. Da tale ultima considerazione
non si potrà prescindere per una corretta valutazione dei risvolti negativi insiti nell’eventuale recepimento del divieto assoluto di utilizzare il
criterio del prezzo più basso”;
f ) sul favor per le piccole e medie imprese (PMI) perseguito attraverso specifiche previsioni contenute nelle direttive Appalti e Utilities
al fine di rafforzare la concorrenza che, da un lato, incoraggia le amministrazioni aggiudicatrici a suddividere in lotti i grandi appalti (ma gli
Stati membri possono estendere agli appalti di entità minore la portata dell’obbligo di esaminare se sia appropriato suddividerli in lotti) e
ridisciplina i requisiti di fatturato vietando, peraltro, di fissare valori di
fatturato superiori al doppio del valore dell’appalto e, dall’altro, pone
una novellata disciplina dei termini che, in ragione della complessità
dell’appalto e del tempo necessario per preparare le offerte, possono
essere più lunghi rispetto a quelli minimi previsti, per non creare, alle
medesime PMI, indebiti ostacoli all’accesso alla gara;
g) sulla tutela ambientale, sociale e del lavoro (cons. 37, dir. Appalti,
cons. 52 dir. Utilities), all’uopo auspicando che, in fase di recepimento, venga allargata la casistica delle giustificazioni inammissibili (allo
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Osservatorio AVCP
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stato limitate agli oneri per la sicurezza ed ai trattamenti salariali minimi inderogabili) inserendovi anche quegli elementi posti a tutela dei
valori illustrati nei considerando delle richiamate direttive;
h) sull’aggregazione della domanda attraverso la centralizzazione
delle committenze che consente di ottenere economie di scala, attraverso prezzi e costi delle transazioni più bassi, nonché un miglioramento e una maggior professionalità nella gestione degli appalti, in
proposito sottolineando come l’aggregazione della domanda possa,
tuttavia, essere foriera di un’eccessiva concentrazione del potere d’acquisto, con l’implicazione di un forte rischio di collusione, di riduzione della concorrenza a scapito proprio delle PMI (cons. 59, dir. Appalti,
cons. 70, dir. Utilities), per altro verso ampiamente tutelate. Ciò, soprattutto, avuto riguardo sia alla fissazione dei requisiti di gara, che necessariamente risente dei maggiori volumi di spesa che l’aggregazione
determina, sia ai maggiori importi della garanzia a corredo dell’offerta
che inevitabilmente ne derivano, in base alla legislazione domestica.
In relazione alla direttiva sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, l’Autorità pone in luce i tratti distintivi della nuova disciplina in base alla quale i due istituti giuridici della concessione di lavori
e della concessione di servizi dovranno essere assoggettati alla stessa
disciplina normativa.
La direttiva, infatti, introduce tre novità di rilievo:
1) l’esplicita previsione che l’affidamento di lavori o servizi in concessione comporta il trasferimento al concessionario del “rischio operativo” legato alla gestione dei lavori o dei servizi (di natura economica,
che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori nella gestione dei
lavori o dei servizi in condizioni operative normali, anche se una parte
del rischio resta a carico dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore);
2) la puntuale definizione di tale grandezza economica;
3) l’esatta definizione dell’assunzione di tale rischio in capo al concessionario (conss. 18, 19, 20 ed art. 5, par. 1, lett. b, dir. Concessioni).
La direttiva delinea specificamente sia il “valore della concessione”, sia le caratteristiche del metodo di calcolo di detto valore e sia le
grandezze economiche che ne debbono far parte (art. 8, dir. Concessioni). Viene inoltre prevista l’estensione alle concessioni delle vigenti
disposizioni in materia di procedure di ricorso valevoli per gli appalti
nei settori ordinari e speciali (cons. 81, dir. Concessioni) mentre lasciata libertà alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori di organizzare le procedure per la scelta del concessionario (art. 30,
par. 1, dir. Concessioni), purché entro i limiti del rispetto dei principi di
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Osservatorio AVCP
parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità (art. 3, dir. Concessioni) e nel rispetto delle garanzie procedurali
minime, di cui all’art. 37 della dir. Concessioni (3).
In relazione alla nuova disciplina l’AVCP richiama l’attenzione del
Governo e del Parlamento sul fatto che il quadro normativo, per quanto chiaro e sistematico, della sola fase di scelta del concessionario è da
ritenere strumento inefficace alla realizzazione del fine di un effettivo
controllo della spesa, di un reale incentivo alla cooperazione tra settore pubblico e settore privato nonché della maggiore certezza giuridica nel settore delle concessioni e che, pertanto, appare essenziale
«che vengano disciplinate anche le fasi a monte della procedura selettiva – programmazione e progettazione – e la fase a valle, ossia l’esecuzione del contratto. In tale ottica, risulta necessaria, altresì, una puntuale disciplina delle modalità e della tempistica del monitoraggio e dei
controlli da svolgersi durante l’intera durata del contratto nonché l’assoggettamento delle concessioni ad un efficiente sistema di raccolta ed
elaborazione dati, alla stessa stregua di quanto accade per gli appalti».
Si ricorda che le direttive appalti, utilities e concessioni sono entrate in vigore il 18 aprile 2014 e che gli Stati membri dovranno recepire
le disposizioni delle nuove norme nell’ordinamento nazionale entro il
18 aprile 2016.
(3) Tra le garanzie procedurali si evidenzia, quale espressione dell’estrema flessibilità di forma concessa dal legislatore, la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di condurre negoziazioni con candidati ed offerenti, a condizione che l’oggetto della concessione, i criteri di aggiudicazione e i requisiti minimi non siano modificati nel corso della negoziazione (art. 37, par. 6, dir. Concessioni).
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