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TRIMESTRALE A CARATTERE SCIENTIFICO
Anno IX - N. 3 - Settembre 2014
ISSN 2039-8344
www.riflessionipediatria.com
Vaccini e complicanze neurologiche
Con l’aumentare delle coperture vaccinali nei Paesi Occidentali si è assistito
ad un drastico decremento delle patologie prevenibili mediante vaccinazione,
e delle loro temibili complicanze. Parallelamente però, è aumentata nella
popolazione generale la percezione del rischio potenzialmente correlabile
ai vaccini, spesso alimentata da campagne antivaccinali basate sulla
disinformazione e su slogan privi di fondamento scientifico. Cerchiamo qui
di fare chiarezza sulle complicanze più temute: quelle neurologiche
Diagnosi
a colpo d’occhio
Una febbre “strana” nel lattante
La febbre è un segno comune di infezione nel lattante, frequente motivo di visita
ambulatoriale e specialistica. La maggior parte dei casi riconosce una causa virale
o batterica. Non bisogna tuttavia sottovalutare, anche nel piccolo lattante,
una febbre che persiste a lungo nonostante la terapia antibiotica, poiché può
costituire il cardine diagnostico di una pericolosa patologia
Il prurito in età pediatrica tra genetica
ed ambiente
Sebbene aspetti eziopatogenetici del prurito non siano stati ancora chiariti, è stato ipotizzato che il prurito sia il risultato finale di un’integrazione
di stimoli sensoriali periferici, mediatori chimici di specifici circuiti cerebrali ed informazioni secondarie ad esperienze pregresse. Il prurito si associa
a diverse malattie, in forma isolata o associata, rivelandosi spesso un valido (e fastidioso) campanello d’allarme
Malattie infiammatorie croniche intestinali pediatriche: update
in tema di diagnosi e terapia
Le MICI sono tra le patologie infiammatorie croniche più frequenti in età pediatrica, con un’incidenza in costante crescita ormai dagli anni ’80.
Negli ultimi anni la Comunità Scientifica Internazionale ha perfezionato i criteri diagnostici e classificativi, anche e soprattutto in considerazione
delle nuove opportunità terapeutiche, che appaiono tanto più efficaci quanto più personalizzate sul singolo paziente
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Anno IX, N. 3
Settembre 2014
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Universo P
Periodico trimestrale a carattere scientifico
Registrazione Tribunale di Milano n. 607 del 02/10/2006
Editore
SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l.
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Copyright ©2014 SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l.
Tutti i diritti sono riservati.
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Presentazione
Cari Lettori,
apriamo questo nuovo numero di Riflessioni in Pediatria affrontando il
tema dei vaccini, ed in particolare delle loro complicanze più temute:
quelle neurologiche. Anni di spietate campagne antivaccinali e cattiva
informazione, unitamente alla decadenza dell’obbligatorietà vaccinale
ed alla ridotta percezione del rischio connesso alle malattie prevenibili
con vaccino, dovuta alla riduzione della loro incidenza grazie ai vaccini stessi, hanno da qualche tempo minato il morale dei genitori riempiendoli di dubbi e paure, più o meno legittime, riguardo alle conseguenze delle vaccinazioni, portando ad una riduzione dei tassi vaccinali con conseguente riduzione della copertura di gregge.
Restiamo convinti che informare e fare chiarezza, (ri)guadagnandosi la
fiducia dei genitori, sia dovere e compito del Pediatra: troverete preziosi spunti in questo primo articolo.
Febbre e lattante costituiscono un binomio più che comune nei nostri
ambulatori, riconoscendo il più delle volte un’eziologia infettiva virale
o batterica; ciononostante, alcuni casi di febbre persistente che non
risponde ad una corretta terapia antibiotica devono allarmare e spingere il Pediatra ad ampliare le possibilità diagnostiche anche nei confronti di patologie considerate di pertinenza del bambino più grande: è il
caso della malattia Kawasaki ad esordio precoce.
E ancora in tema di patologie croniche infiammatorie: le MICI in età
pediatrica, uno spettro ampio di patologie la cui classificazione è stata
recentemente rivisitata in un’ottica di diagnosi precoce e terapia personalizzata; anche di questo tratteremo, con importanti aggiornamenti
riguardo alle ultime linee guida terapeutiche.
Per finire, facciamo chiarezza su uno dei sintomi insieme più fastidiosi,
polimorfi ed affascinanti della Medicina: il prurito. La sua eziopatogenesi
è da poco tempo stata chiarita, aiutando il Clinico in una sua corretta
classificazione e quindi presa in carico sia diagnostica che terapeutica.
Buona lettura!
La Redazione
Diagnosi a colpo d’occhio - Commento
La cisti del dotto tireoglosso rappresenta un residuo embrionale dell’omonimo dotto, lungo il quale migra la tiroide durante il I trimestre di
gravidanza, portandosi dalla base della lingua in direzione discendente
fino all’altezza del giugulo, dove si situa definitivamente. Nel 60% dei
casi è strettamente adiacente all’osso ioide, nel 24% al di sopra, nel 13%
al di sotto e nell’8% dei casi ha sede intralinguale. In assenza di fenomeni flogistici, essa è asintomatica, apprezzabile lungo la linea mediana del
collo, di consistenza duro-elastica, fissa sui piani profondi, con caratteristico spostamento verticale dopo protrusione della lingua o deglutizione.
La diagnosi è ecografica. Il trattamento è chirurgico, poiché tali cisti possono andare incontro a processi suppurativi in occasione di episodi flogistici delle vie aeree superiori, a causa della pervietà del dotto tireoglosso. In caso di infezione, la lesione appare arrossata, dolente, con linfoadenopatie consensuali, raramente possono associati a disfagia e dispnea.
Un trattamento antibiotico sistemico s’imporrà allora per velocizzare la
guarigione e prevenire complicanze, quali la fistolizzazione.
Sommario
3
Vaccini e complicanze neurologiche
10
Una febbre “strana” nel lattante
19
Il prurito in età pediatrica
tra genetica ed ambiente
22
Malattie infiammatorie croniche
intestinali pediatriche: update
in tema di diagnosi e terapia
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Vaccini e complicanze
neurologiche
Con l’aumentare delle coperture vaccinali nei Paesi Occidentali si è assistito ad un drastico
decremento delle patologie prevenibili mediante vaccinazione, e delle loro temibili
complicanze. Parallelamente però, è aumentata nella popolazione generale la percezione
del rischio potenzialmente correlabile ai vaccini, spesso alimentata da campagne
antivaccinali basate sulla disinformazione e su slogan privi di fondamento scientifico.
Cerchiamo qui di fare chiarezza sulle complicanze più temute: quelle neurologiche
Francesca Bermond, Enrica Manca, Giovanni Pieri, Thomas Foiadelli
Università degli Studi di Pavia - IRCCS Policlinico S.Matteo, Dipartimento di Scienze Cliniche, Chirurgiche,
Diagnostiche e Pediatriche - Clinica Pediatrica
La vaccinazione costituisce l’intervento preventivo più efficace a disposizione della Sanità Pubblica per il controllo e la
prevenzione delle malattie infettive. Un vaccino è un prodotto costituito da una piccolissima quantità di microrganismi
(virus o batteri) uccisi o attenuati o da una parte di essi, progettato in modo da stimolare nel corpo la naturale reazione
immunitaria e quindi sviluppare una specifica resistenza alle
infezioni.
La distinzione tra vaccini è legata al modo con cui sono ottenuti e prodotti i componenti in grado di scatenare la risposta
immunitaria: esistono quattro differenti tipi di vaccino. I vaccini interamente composti da microrganismi uccisi scatenano
una risposta anticorpale che induce una immunità transitoria
(es. poliomielite - IPV). Nell’ospite immunocompetente I vaccini a virus vivi attenuati inducono un’infezione asintomatica
producendo un’immunità simile a quella che si acquisisce in
seguito alla diretta infezione virale (es. morbillo-parotiterosolia): occasionalmente questi vaccini possono causare
sintomi e complicanze simili a quelle della stessa patologia.
I vaccini possono inoltre essere composti da componenti di
organismi o dai loro tossoidi. I vaccini coniugati vengono
Anno IX - N. 3, 2014
creati isolando antigeni polisaccaridici presenti sulla capsula
di certi organismi che vengono poi legati a proteine carrier
(es. Hemophilus influenzae tipo b), i vaccini ricombinanti
invece sono prodotti tramite l’inserzione di geni codificanti
uno specifico antigene in un vettore, di solito un virus a bassa
virulenza: tale vettore può essere usato come vaccino oppure
l’antigene selezionato può essere purificato ed iniettato come
vaccino a subunità (es. HBV).
Secondo il piano nazionale di prevenzione vaccinale 20122014 promosso dal Ministero della Salute, risultano attualmente obbligatorie per tutti i nuovi nati le vaccinazioni contro poliomielite, tetano, difterite ed epatite B. Oltre a queste
il Ministero della Salute raccomanda le vaccinazioni per prevenire morbillo, parotite, rosolia, varicella, pertosse, HPV,
Hemophilus Influenzae di tipo B (Hib), meningococco e
pneumococco.
In un'epoca nella quale le efficaci campagne vaccinali effettuate in molti Paesi hanno reso raro il riscontro delle malattie
prevenibili con i vaccini e delle loro conseguenze, l'attenzione si è spostata sugli effetti avversi correlabili ai vaccini. Il
tema non è facile: stabilire un nesso di causalità tra vaccino
3
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Piano nazionale prevenzione vaccinale 2012-2014
Vaccino
Nascita
Difterite-Tetano-Pertosse
Poliomielite
Epatite B
Haemophilus Influenzae b
HBV
3
3° mese 5° mese 6° mese 11° mese 13° mese 15° mese 5-6 anni
DTPa
DTPa
DTPa
DTPa
IPV
IPV
IPV
IPV
HBV
HBV
HBV
Hib
Hib
Hib
Morbill-Parotite-Rosoliao
Pneumococco
1
MPR
PCV
PCV
Meningococco C
MPR
11-18 anni
dTpa
Ogni 10 anni
dT2
MPR4
PCV
Men C5
Men C5
Infezione papillomavirus umano
HPV6 (3 dosi)
Varicella
Var7 (2 dosi)
Tabella 1
ed evento avverso significa considerarne la plausibilità, la
forza dell'associazione e la relazione temporale, ricordando
che ogni vaccino si compone anche di costituenti, come ad
esempio adiuvanti, potenzialmente responsabili di risposte
biologiche.
Ci soffermeremo qui in particolare sulle complicanze neurologiche dei principali vaccini ad oggi in commercio utilizzati
in età pediatrica. L’argomento è di stretta attualità sia nel
mondo scientifico sia per i non addetti ai lavori: sono proprio
i genitori a presentarsi al momento della vaccinazione, non
di rado, carichi di dubbi, spesso in seguito a campagne di
cattiva informazione. E' compito del pediatra fornire informazioni precise riguardo i benefici ed i rischi potenzialmente
correlati alla vaccinazione.
POLIOMIELITE
L'infezione da Poliovirus è soggetta ad una campagna di
vaccinazione globale partita negli anni '70, ad oggi la
malattia è endemica solo in 4 Paesi: Afghanistan, India,
Nigeria e Pakistan. Secondo i dati pubblicati nel 2011 sul
Morbidity and Mortality Weekly Report del Centro per il
controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) americano, nel 2010 sono stati riportati globalmente 1291 casi di
malattia da Poliovirus wild-type, il 19% in meno rispetto
al 2009.
Esistono due tipi di vaccino contro la Poliomielite: il vaccino di “Sabin” (OPV), costituito da virus vivi attenuati e
somministrato per via orale, e il vaccino di “Salk” (IPV),
4
costituito da virus uccisi ed è somministrato sottocute o
intramuscolo. Entrambi i vaccini sono molto efficaci nel
prevenire la malattia, ma il vaccino orale induce una
migliore immunità locale, con un conseguente minor
rischio di trasmissione per via oro-fecale; esso ha inoltre
costi inferiori e una modalità di somministrazione più
semplice, e il vantaggio di contribuire all’immunità di
gregge anche grazie a trasmissione oro-fecale del vaccino
stesso. Il vaccino Sabin è tuttavia foriero di un remoto ma
potenziale rischio di poliomielite iatrogena. Il tasso di
poliomielite paralitica associata al vaccino (VAPP) è stato
stimato essere pari a 1 caso ogni 750.000 soggetti vaccinati con OPV. L’insorgenza di VAPP è più probabile dopo
somministrazione di vaccino in soggetti adulti piuttosto
che in età pediatrica; tuttavia in una popolazione pediatrica di soggetti immunodeficienti, in particolare se con
compromissione dell’immunità umorale, il rischio di
VAPP è di quasi 1/7000 vaccinati. L’OMS ritiene comunque che i benefici della vaccinazione (per via orale o
iniettiva) superino di gran lunga il rischio di insorgenza di
effetti collaterali (1,2).
In Italia la vaccinazione antipolio è obbligatoria per tutti i
nuovi nati. Dal 2002, dopo la scomparsa della poliomielite selvaggia, la vaccinazione con il vaccino orale OPV è
stata sostituita completamente con il vaccino IPV. Il ciclo
di base è costituito da quattro dosi: tre di IPV, da praticare
entro il primo anno di vita del bambino (3°, 5°,11° mese
di vita), contemporaneamente alle altre vaccinazioni
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infantili e una quarta dose di richiamo, sempre con il vaccino IPV, nel terzo anno.
TETANO-DIFTERITE-PERTOSSE
L’introduzione del vaccino anti tetano-difterite-pertosse ha
determinato una riduzione drastica dell’incidenza di queste
tre patologie. In Italia, dove la copertura vaccinale supera il
90% della popolazione, l’ultimo caso di difterite è stato registrato nel 1996. Nel nostro paese attualmente è possibile eseguire una vaccinazione anti tetano-difterite oppure anti-tetano-difterite-pertosse. La prima è obbligatoria, mentre la vaccinazione anti-pertosse è facoltativa ma fortemente raccomandata.
Ad oggi possiamo affermare che non sono stati riportati effetti
avversi neurologici ascrivibili alla componente difterica del
vaccino. Riguardo alla vaccinazione antitetanica sono stati
pubblicati alcuni report che segnalano l'insorgenza di poliradiculopatie demielinizzanti, per quanto il nesso di causalità
tra somministrazione di vaccino e insorgenza di malattia non
sia mai stato dimostrato da studi di popolazione.
Il primo vaccino anti-pertosse, costituito da batteri interi inattivati, fu introdotto negli anni ‘40. Nei decenni seguenti ven-
nero descritti episodi di ipotonia generalizzata associata a
paralisi flaccida e alterazioni dello stato di coscienza (HHE Hypotonic Hyporesponsive Episode) a distanza di 48h dalla
vaccinazione con vaccino cellulare, con frequenza stimata in
circa un episodio ogni 1750 vaccinazioni. Oggi con l’uso dei
vaccini acellulari aP queste reazioni sono molto più rare, e
non sono più considerate controindicazioni, né precauzioni
ai successivi richiami vaccinali: pazienti che manifestano un
episodio di HHE non presentano infatti alcuna conseguenza
a lungo termine, e non sono a maggior rischio di sperimentare nuovi episodi dopo somministrazioni delle dose vaccinali
successive (3).
La componente anti-pertussica del DTPa è verosimilmente
responsabile anche dell’aumentata incidenza di convulsioni
febbrili post vaccinali segnalata da alcuni recenti studi: a tale
proposito le linee guida LICE sottolineano come tali convulsioni febbrili siano più probabilmente correlabili all’insorgenza di febbre nei giorni immediatamente successivi alla
vaccinazione piuttosto che a un diretto effetto neuroirritativo
del vaccino stesso, non correlando con un aumentato rischio
di sviluppare disturbi epilettici, in maniera analoga ad altri
vaccini (7).
Incidenza della difterite nel mondo nel periodo 1980-2011 (barre)
ed andamento della copertura vaccinale
120.000
100
Number of cases
80
70
80.000
60
50
60.000
40
40.000
30
20
20.000
Immunization coverage (%)
90
100.000
0
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
10
Number of cases
Official coverage
0
WHO/UNIVEF estimated coverage
Source: WHO/IVC database, 2006
Sode date: September 2006
La linea blu indica dati ufficiali riportati dai Paesi, la linea rossa le stime dell’Oms e dell’Unicef)
(www.epicentro.iss.it)
Figura 1
Anno IX - N. 3, 2014
HBV
In Italia la vaccinazione per HBV è obbligatoria dal 1991. Il vaccino viene somministrato in 3 dosi a 3, 5, 11 mesi di età, nei
nuovi nati da madre HBsAg negativa. Nel
nostro Paese l’incidenza di malattia ha evidenziato un progressivo calo nel tempo
(SEIEVA, 2002), anche se negli ultimi è
stato registrato un nuovo aumento in relazione ai flussi migratori provenienti da
regioni ad alta endemia (www.epac.it).
Dal 1983, anno nel quale venne segnalato
un episodio di poliradiculoneuropatia
infiammatoria transitoria a seguito della
somministrazione di vaccino, sono stati
pubblicati report riguardanti malattie
demielinizzanti post-vaccinali: sclerosi multipla, neurite ottica, mielite trasversa, sindrome di Guillan Barrè. Le evidenze ad oggi
disponibili sono tuttavia insufficienti per sta-
5
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L’insorgenza di atassia si verifica si solito entro 10 giorni
dopo la vaccinazione, soprattutto nei pazienti di età inferiore
a due anni: sebbene sia una delle complicanze neurologiche
più frequentemente correlabili al vaccino, la sua incidenza
VACCINO ANTI-MORBILLO-PAROTITE-ROSOLIA (MPR)
complessiva risulta attualmente essere < 1 caso per milione
Morbillo, parotite e rosolia sono virus neurotropi ubiquitadi vaccini (6).
ri. Sebbene il vaccino MPR sia efficace ed economico queDiversi studi hanno negli anni evidenziato un’aumentata
sti virus rappresentano un grave problema di salute pubbliincidenza di convulsioni febbrili in seguito alla somministraca in molti Paesi. Secondo i dati OMS, nel 2012, l'84%
zione del vaccino MPR: le recenti linee guida della LICE
della popolazione mondiale al di sotto di un anno ha rice(Italian League Against Epilepsy) sottolineano tuttavia come
vuto il vaccino contro il morbilllo, nonostante ciò il virus
l'incidenza di convulsioni febbrili dopo vaccinazione con
ha causato nello stesso anno 122.000 decessi, il 95% dei
MPR sia sovrapponibile all'incidenza di convulsioni febbrili
quali in Paesi a basso reddito economico. Nei Paesi senza
in concomitanza di rialzo febbrile, a prescindere dall'ezioloadeguate campagne vaccinali, l'incidenza della parotite è
gia. Viene inoltre evidenziato come il rischio di convulsione
di circa 100-1.000 nuovi casi per 100.000 abitanti, con
febbrile post-vaccinale non sia influenzato da un'anamnesi
picchi epidemici ogni 2-5 anni. Negli stessi Paesi si stima
positiva per pregresse convulsioni febbrili, e come un episosi verifichino circa 100.000 nuove infezioni da virus della
dio di convulsione febbrile post-vaccinale non aumenti il
rosolia ogni anno.
rischio di sviluppare epilessia successivamente (8).
Il vaccino MPR è costituito da virus attenuati. In Italia, in
Sono stati descritti casi di encefalite, encefalopatia, neurite e
seguito all'inserimento del MPR tra i vaccini facoltativi negli
sordità post vaccinale: la loro incidenza nei pazienti vaccinaanni '80, si è assistito ad una graduale diminuzione dell'inciti sembra tuttavia essere inferiore o sovrapponibile a quella in
denza di queste malattie (Fig. 1).
pazienti non vaccinati.
Sono stati descritti, in letteratura, casi di pazienti pediatrici
Il vaccino MPR è inoltre da anni al centro di un dibattito
vaccinati che hanno sviluppato effetti collaterali di tipo neuriguardo alla sua possibile associazione causale con l’autirologico: uno di questi è l’atassia cerebellare acuta.
smo, che sarebbe da correlare alla presenza di Thimerosal nel vaccino. Il Thimerosal
Andamento delle notifiche annuali di morbillo in Italia
è un composto ampiamente utilizzato daldal 1970 al 2009 e andamento delle coperture vaccinali per una dose
l'industria farmaceutica come adiuvante e
di vaccino anti antimorbillo (M) o morbillo-parotite-rosolia (MPR)
conservante, per le sue capacità antibatterientro due anni di età, dal 1985. Istituto Superiore di Sanità
che e antifungine: contiene etil-mercurio
100.000
100
Copertura vaccinale entro i due anni di età
N. casi
che, contrariamente a quanto è noto per il
90.000
90
metil-mercurio, non è neurotossico.
80.000
80
Recenti metanalisi promosse dalla AAP
70.000
70
hanno stabilito che, al momento, non esi60.000
60
stono evidenze scientifiche a favore dell'as50
50.000
sociazione tra Thimerosal e autismo
40
40.000
(9,10,11). In ogni caso, dopo la violenta
30.000
30
20.000
20
campagna anti-vaccinale che ha scosso
10
10.000
l’opinione pubblica Americana ed Europea
0
0
negli anni ’00, il Thimerosal è stato sostituito con altri conservanti ed attualmente si
Anno
trova come composto in un’esigua minoFigura 2
ranza di vaccini (es. quelli anti-influenzali).
6
2008
2006
2004
2002
2000
1998
1996
1992
1994
1990
1989
1984
1986
1982
1980
1978
1976
1974
1972
1970
N. casi
Copertura vaccinale entro due anni di età
bilire un nesso tra questi episodi e il vaccino, rendendo più
plausibile l’ipotesi che si tratti di associazioni casuali (4,5).
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E' stato ipotizzato che la somministrazione di MPR possa rappresentare un trigger per patologie autoimmuni del SNC
come la ADEM (Acute Disseminated Encephalomielitis), la
Guillain-Barré e la neurite ottica.
La ADEM viene diagnosticata in 0,1-0,2 per 100.000 casi di
pazienti vaccinati e la sua insorgenza può essere spiegata da
due teorie patogenetiche. Secondo quella più supportata, la
ADEM è legata ad una cross-reazione di antigeni di origine
virale con componenti mielinici, secondo un meccanismo di
molecular mimicry, causando l’iperattivazione del sistema
immunitario che esita in una progressiva demielinizzazione
disseminata. Tale teoria viene ampiamente supportata dai
numerosi casi di ADEM dopo somministrazione di vaccino
anti-rabbico di Sample e anti-Encefalite Giapponese, entrambi contenenti abbondanti quote antigeniche di derivazione
mielinica, scarsamente purificate durante il processo produttivo del vaccino. Non esiste tuttavia una chiara correlazione
patogenetica tra l’insorgenza di ADEM e l’esecuzione del
vaccino, nonostante la relazione temporale individuata, e
soprattutto, da quanto emerge in una recente review di
Karussis et al. (2014), il rischio di patologie demielinizzanti
sembra essere più alto in caso di infezione da morbillo-parotite-rosolia rispetto al rischio di ADEM post vaccinale. In
ogni caso, la ADEM si configura nella quasi totalità dei casi
come una malattia autorisolutiva con sequele a lungo termine minime, o assenti (12).
VARICELLA
La varicella è una malattia infettiva estremamente contagiosa che nella maggioranza dei casi colpisce i bambini tra i 5
e i 10 anni. Negli Stati Uniti, nell’era pre-vaccino, l’85%
delle infezioni interessava bambini con meno di 15 anni
(picco a 1-4 anni). Dopo l'introduzione dello stesso (1995
– virus vivo attenuato) si è assistito ad un crollo dell'incidenza pari al 83%-93%. In Italia, attualmente, il vaccino è
consigliato negli adolescenti di età compresa tra gli 11 ed i
18 anni che non abbiano contratto in passato la varicella.
Inoltre, a partire dal 2015, tale vaccino verrà inserito nel
calendario vaccinale con somministrazione per tutti a 1315 mesi di vita in associazione al vaccino MPR, come già
avviene in alcune Regioni.
Recenti studi hanno dimostrato un aumento del rischio relativo di convulsione febbrile post vaccinale dopo somminiAnno IX - N. 3, 2014
strazione di MPRV (+ 2.2) rispetto alla sola somministrazione di MPR. Questo ha recentemente condotto l’American
Academy of Pediatrics a raccomandare un utilizzo separato
dei vaccini per morbillo-parotite-rosolia e per varicella o,
alternativamente, la somministrazione di MPRV nella fascia
di età compresa tra 12 e 47 mesi.
Le complicanze neurologiche di questo vaccino sono
estremamente rare. La più comune, come già detto per il
MPR, è l’atassia cerebellare acuta post-vaccinale. Tuttavia
questa complicanza si verifica in meno di un paziente vaccinato su 106, e si autorisolve senza lasciare sequele nel
100% dei casi (poca cosa rispetto ai casi di cerebellite post
varicellare che si verificano con frequenza di 1/4000 infetti!). Più rara, e con eziopatogenesi non ancora definito, è
la sordità neurosensoriale post MPR: poiché l’interessamento neuro cocleare è una comune complicanza di morbillo e parotite, è verosimile suppore un simile meccanismo patogenetico anche per le forme post vaccinali; è
importante tuttavia sottolineare che, a fronte di 0.1-1% dei
casi post-morbillo e 1/20.000 casi post parotite, la sordità
neurosensoriale viene descritta in solo un caso/8 milioni di
bambini vaccinati.
Sono stati descritti anche casi di malattia cerebrovascolare
e meningoencefalite postvaccinali: tuttavia il nesso causale
tra questi eventi e la vaccinazione non appare chiaro, e tali
complicanze appaiono in ogni caso nettamente più rare
rispetto alle forme correlate ad infezione da VZV.
VACCINI CONIUGATI: vs-HEMOPHILUS INFLUENZAE B,
vs-MENINGOCOCCO, vs-PNEUMOCOCCO
I batteri responsabili della maggior parte delle meningiti
sono tre: Meningococco, Pneumococco ed Haemophilus
influenzae tipo B. Dagli anni Novanta è ormai comune la
vaccinazione contro l’Haemophilus influenzae B, che in
Italia rientra tra quelle previste per tutti i nuovi nati. Il vaccino anti-Hib è un vaccino inattivato (ottenuto cioè con
frammenti del batterio) e coniugato (cioè legato ad una
proteina per renderlo più efficace) che si somministra per
via intramuscolare. Sono stati descritti rari casi di sindrome
di Guillan Barrè a seguito della somministrazione di questo
vaccino, ma non vi sono evidenze scientifiche a favore di
una relazione causale
Per quanto riguarda lo pneumococco, esistono due tipi di
7
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vaccino: il polisaccaridico 23-valente, utilizzabile soltanto
nei bambini sopra i due anni e negli adulti, e quello coniugato 13-valente (PVC13) che protegge nei confronti dei 13
ceppi responsabili della maggior parte delle infezioni più
gravi nei bambini. Il PVC13 sostituisce il precedente vaccino coniugato (PVC7), che proteggeva contro 7 tipi di pneumococco e che è stato usato a partire dal 2002. Come
risultato della vaccinazione, durante questo periodo la
malattia grave da pneumococco è diminuita nei bambini al
di sotto dei 5 anni di quasi l’80%. Il PVC13 può aiutare
anche a prevenire i casi di polmonite e otite causati da
Pneumococco. Il PVC13 è un vaccino inattivato, ottenuto
cioè a partire da frammenti del batterio, e coniugato, cioè
legato ad una proteina che ne aumenta l’efficacia. Si somministra per via iniettiva ed è indicato per i lattanti e per i
bambini fino ai 5 anni, oltre che per i bambini più grandi
e per gli adulti che presentano determinate condizioni di
rischio. Il PVC13 può essere somministrato anche insieme
alle altre vaccinazioni. Negli studi effettuati, la maggior
parte delle reazioni avverse al vaccino è di modesta entità
e varia secondo dose ed età. In generale: circa la metà dei
bambini presenta sonnolenza dopo la vaccinazione, perdita temporanea dell’appetito, arrossamento e tumefazione
nella sede della puntura; circa 1 bambino su 3 presenta
gonfiore nella sede di iniezione; 1 bambino su 3 presenta
febbre moderata e 1 su 20 febbre più alta (oltre 39 °C);
circa 8 bambini su 10 mostrano irritabilità e/o nervosismo; sono stati infine riportati pochi casi di convulsioni,
meningite asettica, encefalite e polineuropatia demielinizzante a seguito della somministrazione di vaccino antipneumococcico 23-valente.
Passando invece alla vaccinazione anti-meningococcica,
in Italia ne esistono due tipi: quella con vaccino coniugato
diretto contro il sierotipo C (MenC) è la più frequentemente
utilizzata, si può somministrare a partire dal terzo mese di
vita e garantisce una protezione esclusiva nei confronti del
sierotipo C; il vaccino coniugato tetravalente (Mcv4), più
recente, protegge invece dai sierotipi A, C, W135 e Y (ne
esistono due tipi, uno somministrabile a partire dai 12 mesi
di vita, l’altro a partire dai 24 mesi). In Italia il Piano
Nazionale Vaccini prevede l'utilizzo del MenC in tutti i
bambini di età compresa tra 13 e 15 mesi, in concomitanza con il vaccino MPR. Spesso nei pazienti che ricevono il
8
vaccino antimeningococcico si verificano effetti collaterali
lievi, quali arrossamento o dolore nel punto in cui è stata
effettuata l’iniezione, malessere, nausea, cefalea, dolori
muscolari; queste complicanze di solito durano non più di
uno o due giorni e sono state più frequentemente riportate
in seguito all'utilizzo del vaccino tetravalente. Sono stati
inoltre descritti 18 casi di sindrome di Guillan Barrè conseguente alla somministrazione del vaccino anti meningococco nel 2000, tuttavia, negli ultimi 20 anni sono state
somministrate più di 55 milioni di dosi in America Latina
senza che vi siano stati descritti effetti collaterali neurologici gravi (13).
VACCINO ANTINFLUENZALE
L’influenza causa epidemie ogni inverno. Solo negli Stati
Uniti in media più di 200.000 persone vengono ricoverate per la comparsa di complicanze. Gli anziani, i bambini
e le persone con determinate comorbidità sono a maggior
rischio di insorgenza di complicanze fatali. Solo negli
Stati Uniti si stima che l’influenza causi in media 36.000
morti/anno. La vaccinazione è il mezzo principale
mediante il quale è possibile ridurre l’impatto dell’influenza sulla popolazione mondiale. L’efficacia di tale
vaccino tuttavia è legata alla somiglianza tra i genomi
virali predominanti usati per la produzione del vaccino
ed il genoma del virus influenzale che circola in quella
stagione. Quando la somiglianza è elevata, l’efficacia del
vaccino può raggiungere il 70-90% nei soggetti sotto i 65
anni di età.
Al vaccino influenzale sono state imputate diverse complicanze neurologiche. Un dato interessante riguarda l’alto numero di casi di sindrome di Guillain-Barre diagnosticati nella stagione invernale del 1976. Svariati casi
sono stati individuati in seguito ma non è stato possibile
individuare un’evidenza epidemiologica in grado di confermare una relazione causale tra vaccino antinfluenzale
e sindrome di Guillain-Barre. Inoltre non è stato possibile
confermare una possibile associazione tra la medesima
vaccinazione e la sclerosi multipla, la neurite ottica ed
altri disordini demielinizzanti. Al contrario, è stata osservata una riduzione nel numero di recidive di Sclerosi
Multipla in pazienti che avevano ricevuto il vaccino
antinfluenzale (14).
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CONCLUSIONI
L'invenzione del vaccino e l'attuazione di campagne vaccinali sono stati eventi che hanno cambiato la storia dell'umanità: malattie che hanno per secoli flagellato i nostri avi sono
oggi scomparse o in netta riduzione.
Tuttavia, la riduzione stessa dell’incidenza di queste patologie – con la conseguenza riduzione del rischio “percepito”,
unitamente a scellerate campagne di disinformazione in
merito ai vaccini, hanno determinato un clima di sfiducia e
paura nei confronti delle vaccinazioni, riducendo in molti
casi le coperture e minando all’efficacia degli stessi.
Dalla revisione della letteratura emerge come la maggior
parte delle complicanze neurologiche sia di lieve entità e in
massima parte completamente reversibile. L’eziopatogenesi
si basa in larga misura su meccanismi infiammatori o autoimmuni che si risolvono nella quasi totalità dei casi senza
sequele. Possiamo concludere in ultima analisi che le vaccinazioni portano ad una riduzione di tali complicanze, giocando anche in questo frangente un ruolo preventivo, poiché
le complicanze neurologiche si verificano in modo ben più
gravi e frequente dopo le singole malattie infettive piuttosto
che dopo la somministrazione dei vaccini.
Tutti i casi di grave interessamento neurologico post vaccinale si basano su sporadici case reports o piccole case series,
che sono dotati di bassissimo valore statistico e spesso inficiati da grossolani errori interpretativi o metodologici, in cui
il nesso causale tra vaccinazione e complicanza non è dimostrabile, e si configura molto spesso come una mera successione temporale.
Compito primario del Pediatra è informare i genitori sui reali
rischi e benefici delle vaccinazioni, dissipando paure immotivate e infondendo fiducia, affinché non si perda l’occasione
di proteggere la popolazione con questo potentissimo strumento preventivo
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9
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Una febbre “strana” nel lattante
La febbre è un segno comune di infezione nel lattante, frequente motivo di visita
ambulatoriale e specialistica. La maggior parte dei casi riconosce una causa virale
o batterica. Non bisogna tuttavia sottovalutare, anche nel piccolo lattante, una febbre
che persiste a lungo nonostante la terapia antibiotica, poiché può costituire il cardine
diagnostico di una pericolosa patologia
Valentina Giacchi, Pietro Sciacca, Martina Filippelli, Andrea Domenico Praticò, Giovanna Di Dio, Novella Rotolo, Salvatore Leonardi
Dipartimento di Scienze Mediche e Pediatriche dell’Università di Catania
INTRODUZIONE
nel lattante è costituita dalla malattia di Kawasaki. Si tratta
La febbre nel lattante è un problema comune nella pratica
di una vasculite acuta sistemica che colpisce i vasi di
pediatrica ed è causa di un numero rilevante di visite
medio calibro di tutti i distretti dell’organismo, autolimi-
ambulatoriali. I lattanti febbrili spesso presentano sintomi
tante, ad eziologia sconosciuta, probabilmente multifatto-
non specifici e la loro condizione clinica è solitamente
riale, che coinvolge prevalentemente lattanti e bambini
dovuta ad infezioni virali o malattie gravi batteriche. Le
nella prima infanzia. La complicanza più temibile è rap-
malattie virali costituiscono le cause più frequenti e sono
presentata dagli aneurismi coronarici, la cui incidenza
solitamente autolimitantesi. Tra le forme più gravi ricor-
viene significativamente ridotta quando i pazienti sono
diamo le infezioni invasive da Herpes Simplex quali le
trattati con immunoglobuline entro il decimo giorno dal-
meningoencefaliti, le infezioni disseminate, le infezioni
l’esordio della febbre (2,3).
della pelle, degli occhi e della bocca. Tra le cause batte-
Presentiamo due casi di lattanti febbrili affetti da malattia di
riche sono da annoverare meningiti, batteriemia, infezioni
Kawasaki, entrambi trattati con immunoglobuline, ma con
delle vie urinarie, polmoniti, infezioni delle articolazioni
diversa evoluzione clinica.
e delle ossa, infezioni della pelle e dei tessuti molli ed
enteriti batteriche. Sebbene le infezioni batteriche siano
Caso clinico 1. LF, tre mesi. Il piccolo è giunto alla nostra
rare tra i lattanti febbrili, tuttavia, se non sono diagnosti-
osservazione poichè presentava da 24 ore febbre elevata
cate e trattate tempestivamente, possono avere conse-
persistente (T max 39,5° C) non responsiva a paracetamolo.
guenze temibili. Pertanto spesso i pediatri si trovano a
Secondogenito di genitori non consanguinei, nato alla 36a
dover decidere tra, da una parte, l’evitare che sfuggano
settimana di gestazione col peso di 3.015 gr, dopo gravi-
alla diagnosi casi di infezioni batteriche gravi e, dall’altra,
danza decorsa fisiologicamente. All’ingresso in reparto le
evitare i rischi ed gli eventuali danni causati dai mezzi
sue condizioni generali erano scarse a causa della febbre
diagnostici invasivi (1).
elevata, della tachicardia e della tachipnea. All’esame
Oltre alle patologie infettive altra possibile causa di febbre
obiettivo erano presenti edema generalizzato, faringe ipe-
10
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remico ed irritabilità. I linfonodi periferici erano non palpa-
brile, eseguivamo un aspirato midollare risultato nella
bili, il tono muscolare nella norma, così come il reperto
norma ed iniziavamo la terapia con metilprednisolone (30
cardiorespiratorio e la valutazione dell’addome, i segni
mg/Kg/die) per tre giorni consecutivi associato ad acido
meningei erano assenti. Gli esami di laboratorio mostrava-
acetilsalicilico (80 mg/Kg/die). Nonostante il trattamento la
no anemia normocromica normocitica (Hb 9 g/dl, GR
febbre continuava a persistere e gli esami di laboratorio
3.180.000/mmc, MCV 80 fl) e leucocitosi neutrofila (GB
mostravano incremento della conta piastrinica (PLT da
28.800/mmc, N 69 %) con normale conta piastrinica (PLT
143.000/mmc a 298.000/mmc), leucocitosi, anemia con
200.000/mmc), oltre che aumento di γ-GT (52 U/L), iperbi-
reticolocitosi ed un ulteriore incremento della PCR. A
lirubinemia (2.98 mg/dL), ipoalbuminemia (2.5 g/dL), ipo-
causa della comparsa, una settimana dopo, di marcata iper-
proteinemia (4.3 g/dL), iponatremia (128 mEq/L); i valori
transaminasemia (AST 230 IU/L, ALT 427 IU/L), la dose di
delle transaminasi erano nella norma (AST 45 IU/L, ALT 40
aspirina era lentamente ridotta (60 mg/Kg/die). Dopo la
IU/L); livelli elevati di proteina C-reattiva
(PCR 12.39
somministrazione di metilprednisolone e.v. continuavamo
mg/dL) confermavano il significativo stato di infiammazio-
con la somministrazione di prednisone per os al dosaggio
ne. La radiografia del torace mostrava iperdiafania diffusa
di 2 mg/Kg/die e, dopo due settimane, con il miglioramento
con dimensioni cardiache nella norma. All’ecografia del-
delle condizioni generali, riducevamo il dosaggio ad 1
l’addome venivano rilevati lieve epatosplenomegalia e
mg/Kg/die. Il quindicesimo giorno di malattia iniziava la
minimo versamento peritoneale. L’ecocardiografia mostra-
desquamazione periungueale che persisteva per una setti-
va dimensioni dell’arteria coronarica destra (ACD) ai limiti
mana. Al diciannovesimo giorno di malattia si assisteva alla
massimi della norma con pareti coronariche lievemente
risoluzione della febbre ed al ritorno degli indici di flogosi
iperecogene e piccolo versamento pericardico. Il piccolo
a valori normali, mentre la conta piastrinica continuava a
veniva inizialmente trattato con terapia antibiotica per
persistere elevata. Per tale motivo veniva diminuito il
endovena (ceftriaxone) senza beneficio. Pertanto, per la
dosaggio di acido acetilsalicilico a 5 mg/kg/die, come far-
persistenza della febbre ed il sospetto di malattia di
maco antiaggregante, successivamente sostituito dal clopi-
Kawasaki veniva iniziato trattamento con immunoglobuli-
dogrel (1 mg/Kg/die) per la persistenza della dilatazione
ne (2g/Kg in singola somministrazione) ed il paracetamolo
delle arterie coronarie (diametro massimo ACD 7,1 mm,
veniva sostituito con l’ibuprofene. Tuttavia il piccolo con-
ACS 4,2 mm, discendente anteriore 4 mm).
tinuava ad essere febbrile e cominciava a presentare un
rash generalizzato a partenza dal tronco e congiuntivite
Caso clinico 2. SR, 4 mesi. Il piccolo è giunto alla nostra
bilaterale. Successivamente iniziava ad evidenziarsi turgo-
osservazione poichè presentava da 72 ore, a distanza di 13
re alle mani ed ai piedi. L’ecocardiografia effettuata a
giorni dalla somministrazione della prima dose del vaccino
distanza di 48 ore dalla prima dose di immunoglobuline
esavalente, febbre persistente (T max 38° C) non responsiva
mostrava una dilatazione dell’ACD (2,5 mm) e, per la per-
a paracetamolo ed antibioticoterapia (amoxicillina).
sistenza della febbre, effettuavamo una seconda sommi-
Terzogenito di genitori non consanguinei, nato alla 37a set-
nistrazione di immunoglobuline. Nei giorni seguenti com-
timana di gestazione col peso di 2.840 gr, dopo gravidanza
parivano fessurazione delle labbra ed idrocele ed alla valu-
decorsa con minacce di parto pretermine al sesto mese trat-
tazione ecocardiografica venivano rilevate una ectasia
tate con ritodrina cloridrato. All’ingresso in reparto le sue
dell’arteria coronarica sinistra (ACS 3.2 mm) ed un peggio-
condizioni generali erano discrete per la presenza di febbre
ramento della dilatazione dell’ACD (4.5 mm). Al decimo
e tachicardia. All’esame obiettivo erano presenti lieve rash
giorno di malattia, per la persistenza della temperatura feb-
puntiforme diffuso, labbra secche, faringe iperemico, linfa-
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denomegalia laterocervicale bilaterale ed irritabilità. Il tono
3.750.000/mmc),
risoluzione
muscolare, il reperto cardiorespiratorio e la valutazione
8.130/mmc, N 33 %), riduzione della PCR (0.91 mg/dl) ed
dell’addome risultavano nella norma ed i segni meningei
ulteriore
erano assenti. Gli esami di laboratorio mostravano lieve
1.048.000/mmc). Veniva pertanto iniziata terapia antiag-
anemia normocromica normocitica (Hb 9.7 g/dl, GR
gregante con acido acetilsalicilico al dosaggio di 4
3.870.000/mmc, MCV 77 fl), neutrofilia relativa (GB
mg/kg/die fino alla normalizzazione dei valori di piastrine.
9.160/mmc, N 52%) piastrinosi (PLT 548.000/mmc), ipoal-
Ad una settimana di distanza dalla somministrazione delle
buminemia (2,8 g/dl) ed aumento degli indici di flogosi
immunoglobuline veniva effettuata una seconda ecocardio-
(PCR 9,28 mg/dl). La radiografia del torace mostrava accen-
grafia di controllo che mostrava ulteriore riduzione dell’ipe-
tuazione diffusa della trama broncovascolare, ombra car-
recogenicità delle coronarie e regressione quasi totale del
diovascolare con salienza del II arco di dx. L’ecografia
versamento pericardico precedentemente descritto.
peggioramento
della
della
neutrofilia
piastrinosi
(GB
(PLT
dell’addome mostrava fegato iperecogeno, di forma e grandezza nella norma. L’ecocardiografia metteva in evidenza
DISCUSSIONE
un difetto interatriale ostium secundum di 7 mm con shunt
La febbre è una condizione determinata dalla elevazione
sn-dx, lieve dilatazione del ventricolo destro, coronaria
della temperatura centrale che generalmente, ma non esclu-
destra, coronaria sinistra e discendente anteriore di diame-
sivamente, è parte di una risposta difensiva di organismi mul-
tro normale con modesta iperecogenicità delle pareti e ver-
ticellulari nei confronti di microrganismi o di strutture inani-
samento pericardico in sede apicale di spessore massimo di
mate che sono riconosciute dall’ospite come patogene o
2 mm. Il piccolo veniva inizialmente trattato con terapia
comunque estranee. L’innalzamento della temperatura cor-
antibiotica (ampicillina+sulbactam) ed antivirale per endo-
porea si determina attraverso un meccanismo fisiopatologico
vena senza sostanziale miglioramento della curva termica.
mediato da citochine, molecole della fase acuta, fattori endo-
In terza giornata di ricovero, per il persistere della febbre,
crini ed immunologici (4).
per il riscontro di iperemia congiuntivale e cheilite, per il
Nei nostri due casi la febbre era dovuta alla presenza di
peggioramento
GR
malattia di Kawasaki. La malattia di Kawasaki (MK), descrit-
3.660.000/mmc), della neutrofilia (GB 10.860/mmc, N
ta per la prima volta in Giappone nel 1967 da Tomisaku
58%), della piastrinosi (PLT 662.000/mmc), dell’albumine-
Kawasaki, è una vasculite acuta sistemica che colpisce i
mia (2.3 g/dl) e l’ulteriore aumento degli indici di flogosi
vasi di medio calibro di tutti i distretti dell’organismo e la
(PCR 12.3 mg/dl), nel sospetto di malattia di Kawasaki,
complicanza più temibile è rappresentata dagli aneurismi
veniva intrapresa terapia con immunoglobuline al dosaggio
coronarici.
di 2 gr/Kg in un’unica somministrazione con successiva
L’eziologia rimane sconosciuta, sebbene si creda che contri-
defervescenza e progressivo miglioramento clinico.
buisca allo sviluppo della malattia una combinazione fra
L’ecocardiografia effettuata a distanza di 48 ore dalla som-
agenti infettivi che possano agire da trigger, come suggerito
ministrazione di immunoglobuline evidenziava lieve ridu-
anche dalle caratteristiche cliniche ed epidemiologiche della
zione dell’iperecogenicità della coronaria destra (circa
malattia, risposta immune e suscettibilità genetica (6).
0.168 cm) e sinistra (circa 0.240 cm) con diametri corona-
La diagnosi di malattia di Kawasaki è basata su criteri clini-
rici normali e versamento pericardico in risoluzione. Gli
ci diagnostici, con il contributo di esami ematochimici e
esami di laboratorio effettuati a quattro giorni di distanza
strumentali, pertanto, spesso, è una diagnosi difficile. La
dalla terapia mostravano miglioramento dell’ipoalbumine-
forma classica è caratterizzata da febbre da più di 5 giorni
mia
associata a ≥ 4 dei seguenti segni o criteri clinici: iperemia
12
(2.6
g/dl),
dell’anemia
dell’anemia
(Hb
(Hb
8.9
9,3
g/dL,
g/dl,
GR
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congiuntivale bilaterale, eritema delle labbra e della
bre ma rimane incerto il suo ruolo nel prevenire la progres-
mucosa orale, anomalie delle estremità, rash e linfoadeno-
sione delle anomalie coronariche sebbene altri autori ne
patia cervicale. La forma atipica si presenta, oltre che con
suggeriscano un ruolo preventivo se utilizzato precocemen-
la febbre caratteristica, con sintomi diversi dalle manifesta-
te (17). I casi dei due nostri pazienti sono rilevanti perché in
zioni tipiche, che in genere non si rilevano (es., un coinvol-
entrambi la febbre era dovuta alla malattia di Kawasaki, una
gimento renale, polmonite a lenta risoluzione, pancreatite
condizione patologica non comune nei primi sei mesi di
acuta, paralisi del faciale, ecc.), in associazione alle altera-
vita. Inoltre, entrambi hanno ricevuto una diagnosi ed un
zioni coronariche. Si parla, invece, di forma incompleta
trattamento con immunoglobuline tempestivi, prima del
quando, in associazione alla tipica febbre, non si ha un
decimo giorno di malattia, ma hanno mostrato un’evoluzio-
numero sufficiente di criteri diagnostici, pur essendo pre-
ne clinica diversa: uno ha presentato immediato migliora-
senti alterazioni coronariche (6). La malattia di Kawasaki è
mento clinico, mentre l’altro, nonostante la somministrazio-
stata descritta in quasi ogni gruppo etnico; essa colpisce
ne di una seconda dose di immunoglobuline ed il trattamen-
predominantemente i bambini nei primi anni di vita,
to cortisonico, non ha avuto alcun beneficio ed ha sviluppa-
nell’80% dei casi si verifica tra l’età di sei mesi ed i 4 anni
to aneurismi coronarici. La chiave per prevenire il danno
(7). I casi di MK fuori da questo range di età sono state
cardiaco è ancora sconosciuta sebbene la risoluzione della
ampiamente descritti, anche nel neonato (8) e nell’adulto
flogosi sistemica il più precocemente possibile sembra rap-
(9), particolarmente se affetto da HIV.
presentare il target principale della terapia (18). A tale
I pazienti di età uguale o inferiore a sei mesi spesso presen-
scopo, in assenza di una terapia standardizzata per le forme
tano la forma incompleta che è associata ad un più alto
resistenti con alto rischio di sviluppo di anomalie coronari-
rischio di sviluppare alterazioni coronariche (10). I nostri
che, si potrebbe suggerire di associare l’uso di corticosteroi-
due pazienti, pur avendo entrambi un’età inferiore ai sei
di per via parenterale alla somministrazione di immunoglo-
mesi, presentavano la forma completa essendo presenti in
buline anche durante la prima fase della malattia se gli indi-
uno la febbre, quattro degli altri criteri diagnostici e gli
ci di score sono predittivi di una forma ad alto rischio.
aneurismi coronarici e nell’altro la febbre e quattro degli
Inoltre, poiché i processi infiammatori ed immunologici del
altri criteri diagnostici in assenza però di alterazioni del
sistema immune innato sembrano avere un ruolo centrale
lume coronarico.
nello sviluppo della malattia di Kawasaki, anche la sommi-
L’incidenza di aneurismi coronarici viene significativamente
nistrazione di infliximab o la plasma aferesi potrebbe gioca-
ridotta quando i pazienti sono trattati con immunoglobuline
re un ruolo fondamentale nei casi di forme resistenti alle
entro il decimo giorno dall’esordio della febbre (2,3).
immunoglobuline.
Infatti, l’80-90% dei pazienti trattati mostra una risposta cli-
Nella prima infanzia la febbre è uno dei motivi più frequenti
nica e biochimica, mentre nella restante parte la persistenza
di richiesta di visita pediatrica (19) e, malgrado siano stati
della febbre è segno indicativo di mancata risposta alle
eseguiti tentativi per semplificare ed unificare l’approccio al
immunoglobuline che è un fattore di rischio per lo sviluppo
bambino febbrile, la valutazione e la gestione del segno/sin-
di alterazioni coronariche (11). Kobayashi, Egami, Sano,
tomo febbre rimane controversa (20).
Harada e Beiser (11-15) hanno proposto delle scale di valu-
La febbre nei bambini piccoli assume significato clinico
tazione per identificare i pazienti ad alto rischio. L’uso dello
quando la temperatura rettale è di almeno 38° C, mentre le
steroide per via parenterale e la sua efficacia nelle forme
misurazioni effettuate in sede ascellare o timpaniche sono
resistenti è ancora poco chiaro anche se secondo alcuni
state dimostrate essere inaffidabili.
autori sembra essere associato con una riduzione della feb-
I più comuni batteri patogeni delle infezioni batteriche gravi
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Bandiere rosse per l’identificazione di infezioni gravi nei soggetti di età superiore ad un mese
Valutazione ambientale
Apparato cardiorespiratorio
Altri fattori
Ansia genitoriale
Crepitii
Riduzione dell’elasticità cutanea
Cianosi
Ipotensione
Comportamento del bambino
Riduzione del murmure vescicolare
Irritabilità meningea
Cambiamento nel modo di piangere
Polsi periferici deboli
Rash petecchiale
Sonnolenza, letargia
Polipnea
Convulsioni
Pianto inconsolabile
Dispnea
Perdita di coscienza
Pianto lamentoso
Tabella 1
nei lattanti sono Escherichia coli, Streptococcus di gruppo B,
esami strumentali è fondamentale. (Fig. 1 Algoritmo dia-
Staphylococcus aureus, Listeria monocytogenes ed altri bat-
gnostico per il management della febbre nei bambini di età
teri enterici gram-negativi. Sebbene non comuni, fra le infe-
inferiore ai 36 mesi).
zioni virali quelle da Herpes Simplex costituiscono una delle
principali cause di morbilità e mortalità (1).
Esame delle urine ed urinocoltura
Teoricamente, un lattante febbrile dovrebbe sempre essere
Poiché le infezioni delle vie urinarie costituiscono una causa
ospedalizzato al fine di essere sottoposto ad una valutazio-
comune di infezioni batteriche gravi, l’esame delle urine e
ne completa per poter escludere una sepsi, ed eseguire la
l’urinocoltura sono necessari nella valutazione del lattante
terapia antibiotica per almeno 48 ore in attesa dei risultati
febbrile. Sebbene ottenere un campione di urine sia spesso
delle colture (21). Il razionale di questo trattamento è basa-
difficoltoso, tuttavia tali test dovrebbero sempre essere ese-
to sull’alta prevalenza di infezioni batteriche in questa
guiti in soggetti di età inferiore ai 24 mesi con febbre non
fascia di età e sulla difficoltà di diagnosi clinica dal momen-
spiegata. Colture di campioni raccolti nei sacchettini posso-
to che i segni clinici di sepsi sono spesso subdoli (22).
no avere l’85 % di falsi positivi, e l’esame con stick può dare
Sebbene tale approccio riduca il rischio di complicanze
falsi negativi nel 12% dei casi. La prevalenza delle infezioni
infettive, tuttavia porta ad effettuare ricoveri e trattamenti
delle vie urinarie varia in base all’età del paziente ed al sesso
antibiotici non necessari, causando potenziali danni iatro-
e, mentre nei primi tre mesi di vita è più alta nei maschi, suc-
geni ai lattanti. Nelle ultime decadi pertanto c’è stata mag-
cessivamente nelle femmine.
giore consapevolezza della necessità di discriminare
meglio i soggetti con febbre che necessitano di un manage-
Emocromo ed emocoltura
ment meno cruento (22).
La conta dei globuli ed il numero assoluto di neutrofili è stato
Una meta-analisi effettuata sui bambini febbrili di età supe-
largamente usato per identificare infezioni batteriche gravi,
riore ad un mese ha identificato le “bandiere rosse” associate
inclusa la batteriemia occulta. Tuttavia studi recenti mettono
con alta probabilità ad una infezione grave.
in dubbio la loro utilità dopo la prima infanzia. Sebbene que-
Tuttavia, l’anamnesi e la valutazione clinica non sono suf-
sti test posseggano alta sensibilità ed alta specificità, la rarità
ficienti ad identificare tutti i bambini con infezioni batteri-
della batteriemia in questa popolazione ne causa un basso
che gravi, pertanto un uso accorto di test di laboratorio ed
valore predittivo positivo. Le attuali linee guida raccomanda-
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Algoritmo diagnostico del bambino con febbre
No
Età < 29 giorni
Sì
No
segni di malattia grave (cianosi,
polsi periferici deboli, segni
meningei, alterazioni neurologiche,
rash petecchiali?)
se in stagione influenzale eseguire
il test rapido se età > 3 mesi. Se +
iniziare il trattamento appropriato
e uscire dall’algoritmo
Sì
Ricovero
Ricovero
Emocromo ed emocoltura
Esame delle urine
ed urino coltura
Coprocoltura se diarrea
Rx torace
Emocromo ed emocoltura
Esame delle urine ed urinocoltura
Puntura lombare
1-3 mesi: a tutti
3-36 mesi: se sono presenti
segni neurologici o meningei
Esami delle feci e coprocoltura
se diarrea
Rx torace
Se febbre > 39° C e GB ≥ 20,000/mmc
o segni respiratori
Emocromo ed emocoltura
1-3 mesi: per valutare eventuale
puntura lombare
3-36 mesi: non raccomandati
Esame delle urine ed urinocoltura
Puntura lombare 1-3 mesi:
si potrebbe evitare se
GB 5.000-15.000/mmc
e no batteriuria o piuria
3-36 mesi: non raccomandata
Esami delle feci e coprocoltura se diarrea
Rx torace
Se febbre > 39° C e GB ≥ 20,000/mmc
o segni respiratori
Iniziare la terapia antibiotica
empirica dopo aver ottenuto
i campioni per le colture:
ampicillina e gentamicina,
o ampicillina e cefotaxime
Iniziare la terapia antibiotica empirica
dopo aver ottenuto i campioni
per le colture: ceftriaxone o cefotaxime
Considerare la terapia antibiotica empirica:
ceftriaxone, cefixime (tratto urinario),
amoxicillina (tratto respiratorio),
azitromicina (tratto respiratorio)
possibile accurato follow-up
No
ricovero
Sì
follow-up ambulatoriale
Figura 1
no di eseguire l’emocromo completo con formula e l’emo-
Esami delle feci
coltura in tutti i bambini febbrili di età uguale o inferiore a tre
Nei neonati e nei lattanti, la presenza di diarrea e febbre sugge-
mesi [20] nonostante altri autori suggeriscano un approccio
risce una malattia sistemica, e pertanto la coprocoltura e la conta
più selettivo nei soggetti di età maggiore ai 28 giorni di vita,
dei globuli bianchi fecali sono raccomandati. [20] Pochi sono gli
limitando i test di laboratorio ai soggetti che presentano segni
studi che suggeriscono la necessità di eseguire gli esami delle
clinici di infezione grave.
feci in assenza di segni localizzati come la diarrea.
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Indici di flogosi
sia comune (25-50 casi su 100.000 nati vivi negli USA), la
L’utilità clinica del dosaggio della proteina C-reattiva nel
prevalenza di tale infezione nei neonati febbrili è simile a
riconoscimento delle infezioni nei neonati, lattanti e bambini
quella delle meningiti batteriche. Fattori di rischio includo-
è oggetto di studio e sembrerebbe avere una sensibilità, una
no monitoraggio invasivo durante il parto, convulsioni,
specificità ed un valore predittivo superiori alla conta dei glo-
pleiocitosi del liquor cerebrospinale e la presenza di lesio-
buli bianchi. La procalcitonina, altro marker di flogosi è più
ni. Il taglio cesareo protegge contro la trasmissione
specifico per le infezioni batteriche. Tale vantaggio teorico
dell’Herpes Simplex. Il riscontro di DNA dell’Herpes
entra però in gioco con l’alto costo, la ridotta disponibilità ed
Simplex nel liquido cerebrospinale attraverso la polymera-
il ritardo nella disponibilità dei risultati. Inoltre non è chiaro
se chain reaction è diagnostico (26). L’uso di alte dosi di
se il dosaggio della procalcitonina influenzi le decisioni nella
acyclovir (60 mg/Kg/die in tre somministrazioni) è stato
somministrazione di antibiotici o nella ospedalizzazione di
dimostrato migliorare gli outcomes.
bambini febbrili (23).
Test rapidi virali
Puntura lombare
I test rapidi per l’influenza ed altri virus stanno diventando
Il successo delle vaccinazioni per lo Streptococcus pneumo-
sempre più disponibili. I bambini che hanno positivo il test
niae ed Haemophilus influenzae ha notevolmente ridotto l’in-
per il virus dell’influenza, improbabilmente avranno contem-
cidenza delle meningiti in età pediatrica, riducendo nella
poraneamente infezioni batteriche gravi, sebbene i soggetti
pratica clinica l’esecuzione della puntura lombare. Tale test
con test positivo per virus respiratorio sinciziale potrebbero
è raccomandato per tutti i neonati febbrili e per i lattanti ed i
avere un rischio significativo di infezioni delle vie urinarie.
bambini con segni clinici di meningite, come rigidità nucale,
Tuttavia non c’è abbastanza evidenza per raccomandare i
petecchie, alterazioni neurologiche, mentre non è raccoman-
test rapidi virali nell’algoritmo della febbre nei bambini di età
data per i bambini di età superiore ai tre mesi a meno che
inferiore ai 36 mesi (27).
non siano presenti segni neurologici. Le linee guida suggeriscono che la puntura lombare debba essere omessa se le
Management
condizioni generali sono buone, non ci sono segni focali di
I farmaci antipiretici devono essere impiegati nel bambino
infezione, la conta dei globuli bianchi risulta fra 5.000 e
febbrile solo quando alla febbre si associ un quadro di
15.000/mmc, non è presente piuria o batteriuria negli esami
malessere generale. Paracetamolo e ibuprofene sono gli
delle urine (24).
unici antipiretici raccomandati in età pediatrica. L’acido
acetilsalicilico non è indicato in età pediatrica per il rischio
Radiografia del torace
di sindrome di Reye. I cortisonici non devono essere impie-
La radiografia del torace può essere eseguita in tutti i neonati
gati come antipiretici per l’elevato rapporto costi/benefici.
con febbre inspiegata, anche se l’evidenza a sostegno della
L'uso combinato o alternato di ibuprofene e paracetamolo
sua utilità è limitata (25). È anche raccomandata nei bambini
non è raccomandato sulla base delle scarse evidenze dispo-
di età superiore ad un mese in presenza di sintomi respiratori
nibili riguardo la sicurezza e l'efficacia rispetto alla terapia
e per quelli con una temperatura superiore a 39° C ed una
con un singolo farmaco.
conta di globuli bianchi maggiore di 20.000/mmc.
La terapia antibiotica empirica deve essere effettuata sempre dopo la raccolta dei campioni per le rispettive colture.
Test di identificazione dell’Herpes Simplex
I più comuni agenti infettivi nei neonati sono
Sebbene le infezioni da Herpes Simplex nei neonati non
Streptococcus di gruppo B, Escherichia coli, Listeria ed
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Enterococcus, pertanto in tale fascia di età sono raccoman-
documentata, senza una causa spiegabile, al fine di attuare
date ampicillina e gentamicina (28). A causa della resisten-
tempestivamente la terapia più appropriata.
za dell’Escherichia coli all’ampicillina, alcuni autori raccomandano anche una cefalosporina di terza generazione,
Bibliografia
come cefotaxime. Per la maggior parte delle infezioni bat-
1. Hui C, Neto G, Tsertsvadze A, Yazdi F, Tricco A, Tsouros
teriche gravi nei lattanti, è efficace il ceftriaxone per via
S, Skidmore B, Daniel R. Diagnosis and Management of
parenterale, sebbene potrebbe essere aggiunta anche l’am-
Febrile Infants (0-3 months). Evidence Report/Technology
picillina nel sospetto di infezione da Listeria od
Assessment No. 205 (Prepared by the University of Ottawa
Enterococcus (20), mentre nel caso di infezioni delle vie
Evidence-based Practice Center under Contract No. HHSA
urinarie sono raccomandati cefixime o cefotaxime; e nel
290-2007-10059-I.) AHRQ Publication No. 12-E004-EF.
caso di polmonite amoxicillina o azitromicina (20).
Rockville, MD: Agency for Healthcare Research and Quality.
Nel caso di lattanti in cui sia possibile attuare un follow-up
March 2012. http://www.ahrq.gov/clinic/epcix.htm.
stretto e non ci siano segni di malattie gravi, è possibile con-
2. Kato H, Sugimura T, Akagi T, et al. Long term consequen-
siderare il trattamento domiciliare con antibiotici orali.
ces of Kawasaki disease. A 10- to 21-year follow-up study of
594 patients. Circulation 1996;94:1379-85.
CONCLUSIONI
3. Dajani AS, Tauber KA, Gerber MA, et al. Diagnosis and
La febbre nei primi mesi di vita è una condizione comune e
therapy of Kawasaki disease in children. Circulation
può potenzialmente portare a conseguenze gravi. La causa
1993;87:1776-80.
più frequente di febbre nel lattante è rappresentata dalle infe-
4. Aronoff D, Neilson EG. Antipyretics:mechanisms of action and
zioni delle vie urinarie, ma nella diagnosi differenziale rien-
clinical use in fever suppression. Am J Med 2001;111:304-15.
trano anche polmoniti, meningiti, enteriti e malattie virali.
5. Nakamura Y, Yashiro M, Uehara R, Sadakane A, Tsuboi S,
Pertanto, a causa dell’alta incidenza delle infezioni delle vie
Aoyama Y, Kotani K, Tsogzolbaatar EO, Yanagawa H:
urinarie, l’esame delle urine e l’urinocoltura, nonostante le
Epidemiologic features of Kawasaki disease in Japan: results
difficoltà nella raccolta di campioni idonei, sono sempre rac-
of the 2009-2010 nationwide survey. J Epidemiol 2012,
comandati, mentre la puntura lombare e la radiografia del
22(3):216-221.
torace, al di fuor dell’età neonatale, non dovrebbero essere
6. Marchesi A, Pongiglione G, Rimini A, Longhi R, Villani A:
eseguiti in assenza di altri segni clinici associati. In attesa dei
Malattia di Kawasaki: Linee Guida italiane. Prospettive in
risultati degli esami colturali nei casi indicati è necessaria
Pediatria 2008, 38:266-283.
una terapia antibiotica empirica, la cui scelta è correlata
7. Harnden A, Takahashi M, Burgner D. Kawasaki disease.
all’età del lattante.
BMJ 2009;338: b1514.
I nostri casi clinici suggeriscono che nel lattante la febbre
8. Nakagawa N, Yoshida M, Narahara K, Kunitomi T.
può essere associata, oltre che a cause infettive, anche ad
Kawasaki disease in an 8-day-old neonate. Pediatr. Cardiol.
altre condizioni cliniche come la malattia di Kawasaki.
2009; 30: 527-9.
Questa nei primi sei mesi di vita può avere un’evoluzione
9. Stankovic K, Miailhes P, Bessis D, Ferry T, Broussolle C,
alquanto variabile e non rispondere alla terapia convenzio-
Seve P. Kawasaki-like syndromes in HIV-infected adults. J.
nale e solitamente, contrariamente ai due casi descritti, si
Infect. 2007; 55:488-94.
presenta nelle forme incomplete. Riteniamo pertanto che la
10. Forsey J, Mertens L: Atypical Kawasaki disease-a clini-
malattia di Kawasaki vada sempre sospettata in un lattante
cal challenge. Eur J Pediatr 2012, 171(4):609-611. Epub
con febbre da più di 7 giorni ed infiammazione sistemica
2011 Nov 25.
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18
Anno IX - N. 3, 2014
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Il prurito in età pediatrica
tra genetica ed ambiente
Sebbene aspetti eziopatogenetici del prurito non siano stati ancora chiariti, è stato
ipotizzato che il prurito sia il risultato finale di un’integrazione di stimoli sensoriali
periferici, mediatori chimici di specifici circuiti cerebrali ed informazioni secondarie
ad esperienze pregresse. Il prurito si associa a diverse malattie, in forma isolata o associata,
rivelandosi spesso un valido (e fastidioso) campanello d’allarme
Sara Manti, Carmelo Salpietro, Caterina Cuppari
Dipartimento di Scienze Pediatriche, Ginecologiche, Microbiologiche e Biomediche - UOC di Genetica e Immunologia Pediatrica
Università degli Studi di Messina
Il prurito è una sensazione sgradevole che provoca il desiderio di grattarsi (1). E’ un efficace sistema d'allarme che serve a
rimuovere, grattandosi, possibili stimoli intrinseci e/o estrinseci, benigni e/o nocivi. Sebbene molti dei meccanismi alla
base del prurito non siano stati ancora scoperti, è stato ipotizzato che il prurito sia il risultato finale di un’integrazione di
stimoli sensoriali periferici, mediatori chimici di specifici circuiti cerebrali (20%) ed informazioni secondarie ad esperienze pregresse (aree della memoria: 80%).
Il sistema neuronale del prurito è costituito da fibre nervose
amieliniche (fibre C) che, tramite specifici recettori/mediatori (istamina (2), peptide intestinale vasoattivo, sostanza P,
oppioidi, proteasi, calcitonin gene-related peptide (CGRP)
riceventi stimoli sensoriali), collegano la cute/annessi cutanei (arteriole delle fibre muscolari, endotelio, follicoli piliferi, ghiandole sudoripare, cheratinociti, cellule dendritiche
e mastcellule) con il midollo spinale (3). Mishra e Hoon
hanno recentemente scoperto il ruolo critico, nell’attivazione del segnale neuronale, del transient receptor potential
cation channel subfamily V member 1 (TRPV1) [Tab.1],
nuovi recettori coinvolti nella cascata attivatoria del prurito. Questi, noti anche con il nome di “recettori vanilloidi”,
sono canali ionici non selettivi che si trovano in diversi
distretti (cutaneo e mucosale) specie nelle terminazioni nerAnno IX - N. 3, 2014
vose periferiche (nocicettori, responsabili della regolazione
della soglia individuale del dolore) comportandosi come
modulatori del sistema di trasduzione del dolore. Presenti
sulla superficie dei dendriti neuronali, TRPV1 sono attivati
da sostanze rilasciate dalla cute e dalle mucose danneggiate (capsacinoidi). Queste ultime sembrerebbero, inoltre,
agire in associazione al rilascio di polipeptide natriuretico
di tipo b (NPPB) (4).
Le fibre nervose (neuroni afferenti primari), così attivate, generano un segnale neuronale che, convogliato al sistema nervoso
Transient receptor potential cation channel
subfamily V member 1 e locus cromosomico
TRPV1
17p13.3
TRPV2
17p11.2
TRPV3
17p13.3
TRPV4
12q24.1
TRPV5
7q35
TRPV6
7q35
Tabella 1
19
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Vie di conduzione del dolore
brain
DRG
spinal
cord
Itch
Touch
Pain Temperature
Figura 1
centrale (SNC: talamo ed area sensoriale del giro post-centrale
della corteccia cerebrale), viene registrato ed elaborato come
“sensazione di prurito” [Fig.1]. I ricercatori della Washington
University School of Medicine a St Louis, hanno scoperto l’esistenza di neuroni “specifici” per la trasmissione del prurito,
dimostrando, altresì, che le vie di conduzioni del prurito e del
dolore, pur decorrendo entrambe lungo il midollo spinale,
sono differenti. È stato infatti dimostrato che un’elevata attività
della via del prurito corrisponderebbe ad un basso livello di
attività della via del dolore (5). Chen ZF e et al. hanno evidenziato neuroni critici di 2° ordine contenenti specifici recettori
e/o molecole di segnalazione. Nel 2007, gli stessi ricercatori
identificarono il primo gene del prurito, denominato GRPR
(Gastrin Releasing Peptide Receptor) espresso lungo il decorso
dei neuroni critici. Essi osservarono che topi GRPR (-/-), in
seguito a stimoli sensoriali esterni, si grattavano in misura
minore rispetto ai topi wild. Questo gene, identificato successivamente nell’uomo, codifica per recettori espressi lungo il
decorso dei neuroni della lamina 1, coinvolti esclusivamente
nella trasmissione del prurito (5). Gli stessi ricercatori evidenziarono, successivamente, l’esistenza di due tipi di prurito:
istamina-dipendente ed istamina-indipendente. Quest’ultimo
mediato verosimilmente da attività genica.
In relazione alla sede di origine del prurito, è possibile distinguere:
• prurito pruricettivo: di origine cutanea, caratterizzato dalla
stimolazione delle fibre nervose mieliniche (dermatite);
• prurito neuropatico: di origine midollare e/o dei nervi periferici (infezione da Herpes Zoster);
• prurito neurogenico: di origine centrale (tumori cerebrali),
determinato dal rilascio di mediatori specifici di patologia;
20
• prurito psicogeno: isolato, di origine psichiatrica (psicosi) (6,7);
• prurito misto: secondario alla sovrapposizione delle forme
precedentemente elencate (ad esempio la dermatite atopica
può determinare prurito di tipo pruricettivo, neuropatico e
talora anche psicogeno).
Le condizioni patologiche che possono associarsi a prurito
sono:
• malattie cutanee: psoriasi, dermatiti da contatto (irritative o
allergiche), eczema atopico, orticaria, mastocitosi, lichen,
pemfigoide bolloso, pitiriasi rosea di Gilbert e sue varianti
(emorragiche, erisipela like, etc). Il prurito può essere associato ad allodinia;
• malattie da malassorbimento e/o malnutrizione: celiachia
con dermatite erpetiforme di Duhring, scorbuto, acrodermatite enteropatica da deficit di zinco;
• malattie sistemiche: patologie renali, epatiche (colestasi)
patologie del sistema endocrino (tireopatia, diabete mellito).
In queste condizioni il prurito può precedere anche di 2-3
mesi l’esordio della malattia. È di tipo sistemico, talora localizzato agli arti; può associarsi a xerosi cutanea;
• neoplastiche: linfomi, mielomi, sindrome da carcinoide,
sindromi mielodisplastiche, policitemia vera, malattia di
Hodgkin. Il prurito può rimanere localizzato alle stazioni linfonodali locali;
• autoimmmuni: lupus eritematoso sistemico, malattia di
Behcet, orticaria autoimmune, criopirinopatie. Il prurito può
essere isolato o associarsi ad edema;
• malattie infettive: virali (Herpes Zoster, sdr mani-boccapiedi), batteriche, micotiche, parassitosi (scabbia, pidocchi),
altro (malattia di Kawasaki);
• immunodeficit: congeniti (Sdr di Omenn, Sdr da Iper-IgE)
e/o acquisiti (AIDS);
• malattie psichiatriche/psicologiche: psicosi, ipocondria,
schizofrenia, sindromi ossessivo-compulsivo, stress, ansia,
prurito senile. Il prurito può essere localizzato e/o generalizzato. Talora si accompagna ad allucinazioni tattili;
• cause fisiche: prurito acquagenico o solare. Il prurito compare o si accentua con l’esposizione al fattore scatenante
• iatrogene: indotta da aspirina, ACE inibitori, morfina,
oppiodi, medicamenti cinesi. Il prurito può insoregere anche
dopo alcuni mesi dall’assunzione del farmaco. È di tipo puntorio ed è incrementato da stimoli tattili pressori;
• genetiche: Prader-Willi; mutazioni della filaggrina; deficit di
zinco-geneticamente mediato (Tab. 2); prurito acquagenico,
secondario ad alterata conduzione nervosa simpatico-mediaAnno IX - N. 3, 2014
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Deficit di zinco geneticamente mediato (9)
Disordine da deficit di zinco
Genotipo
Fenotipo
Acro dermatite enteroepatica
Mutazione
del gene ZIP4
Normali livelli di zinco nel latte materno
Sintomi ad esordio post-svezzamento (ruolo protettivo del latte materno?)
Necessità di supplementazione di zinco a vita negli individui affetti
Difetto intestinale dell’assorbimento di zinco
Topi “Lethal milk”
Mutazione
del gene ZIP4
Bassi livelli di zinco nel latte materno
Quadro clinico ad esordio durante l’allattamento materno
Supplementazione di zinco non necessaria dopo lo svezzamento
Deficit di secrezione di zinco nel latte materno
I sintomi da deficit di zinco riappaiono in età adulta
Deficit di zinco nel lattante
Sconosciuta
Bassi livelli di zinco nel latte materno
Quadro clinico ad esordio durante l’allattamento materno
Supplementazione di zinco non necessaria dopo lo svezzamento
Tabella 2
ta; psoriasi. Recentemente, attraverso indagini microarray
(Ingenuity Pathways Analysis) (8), possono essere identificati
geni, e relativi prodotti genici, over-espressi in pazienti affetti
da psoriasi (TNF, IFNG). Inoltre, le indagini molecolari hanno
permesso di evidenziare i possibili pathways biochimici alterati: fosforilazione, defosforilazione, proteolisi, attivazione/de
attivazione, trascrizione, etc...
In relazione alla presentazione clinica è possibile distinguere:
• prurito generalizzato (affezioni ematologica o ormonale,
malassorbimento)/ localizzato (anale: emorroidi, fistola anale,
micosi, ossiuriasi, abuso; cuoio capelluto: pediculosi, psoriasi,
micosi);
• prurito isolato/associato (risposte vascolari: pallore, dermografismo bianco, dermografismo rosso; cheratosi pilare; ittiosi;
modificazioni oculari/palpebrali; lesioni periorali/periauricolari, lichenificazione, lesioni da grattamento);
• prurito unilaterale/bilaterale;
• prurito acuto (durata ≤ 6 settimane) o cronico (durata ≥ 6
settimane);
• prurito fisiologico (sensazione di lieve entità secondaria a sollecitazioni minori)/ patologico (sensazione di entità intensa in
grado di inficiare le condizioni cliniche generali del paziente);
• prurito sporadico/persistente, recidivante, serale;
• prurito simile a parestesie, urente, puntorio.
Alla luce dell’eterogeneità eziopatogenetica, appare evidente
come un’anamnesi accurata (personale, familiare, domestica,
lavorativa) ed un esame clinico approfondito costituiscano
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un momento di fondamentale importanza nella diagnosi differenziale delle patologie sottostanti il prurito. La diagnosi di
prurito psicogeno dovrà essere considerata solo dopo esclusione di ogni altra causa. La verifica di lesioni (sede, estensione) e delle caratteristiche del prurito sono altresì essenziali
per non incorrere in errore diagnostico. Le indagini ematochimiche e strumentali dovranno essere pertanto condotte in
modo mirato e ragionato. Ulteriori indagini molecolari
potranno fare luce sulla predisposizione individuale/genetica
al sintomo prurito, consentendo il ricorso a terapie individuali, specifiche ed efficaci.
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21
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Malattie infiammatorie croniche
intestinali pediatriche: update
in tema di diagnosi e terapia
Le MICI sono tra le patologie infiammatorie croniche più frequenti in età pediatrica,
con un’incidenza in costante crescita ormai dagli anni ’80. Negli ultimi anni la Comunità
Scientifica Internazionale ha perfezionato i criteri diagnostici e classificativi, anche
e soprattutto in considerazione delle nuove opportunità terapeutiche, che appaiono
tanto più efficaci quanto più personalizzate sul singolo paziente
Massimo Martinelli, Annamaria Staiano
Centro di Riferimento Regionale Campano per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali dell’Età Pediatrica,
Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Università di Napoli “Federico II”
Introduzione
Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) rappresentano un disordine dal carattere cronico-recidivante ad eziologia
non del tutto definita; vengono distinte in Malattia di Crohn
(MC), Rettocolite Ulcerosa (RCU) e Colite non classificata (IBDU), intendendo con quest’ultima una condizione patologica con
evidenza diagnostica di MICI, ma non tale da consentire una
diagnosi definitiva di MC o RCU (1). Studi retrospettivi e prospettici condotti in Europa, Australia e Stati Uniti mostrano una
variabilità di incidenza dallo 0.1 degli anni ’70 al 4.6 del 2003
ogni 100.000 bambini, per anno, per la MC e dallo 0.5 al
3.2/100.000 per la RCU (2). Il Registro Italiano per le MICI
pediatriche riporta un aumento crescente dell’incidenza, soprattutto dopo gli anni ’80, da 0.89/100.000 nel 1996 vs
1.39/100.000 nel 2003 (3). Inoltre i dati raccolti dal 1996 al
2003 dai Centri di Gastroenterologia pediatrica dimostrano
come il numero di nuove diagnosi di RCU sia superiore a quello
della MC (52% vs 40%), in contrasto con le osservazioni riportate nella letteratura anglosassone ma in accordo con i precedenti studi italiani sulla popolazione adulta; la frequenza delle
MICI è maggiore in pazienti di età compresa tra 6 e 12 anni
22
(57%); il 20% presenta sintomi prima dei 6 anni e nell’1.8% la
diagnosi viene posta prima del dodicesimo mese di vita (3).
L’eziopatogenesi delle MICI è sconosciuta, sebbene si ipotizzi
una genesi multifattoriale (fattori genetici, immunitari, ambientali). Attualmente l’ipotesi patogenetica prevalente è quella di
un’abnorme risposta immunologia mucosale nei confronti di
antigeni ubiquitari, quali la stessa flora batterica residente, in
soggetti geneticamente predisposti. Nella MC un’iperattivazione
dell’immunità cellulo-mediata mucosale svolge un ruolo importante nello sviluppo delle lesioni isto-patologiche; in particolare,
il linfocita T CD4 di tipo Th1, attraverso la produzione di IFNγ,
sembra avere una funzione centrale. Nella RCU, invece, predomina l’immunità umorale con la deposizione di immunocomplessi e la produzione di autoanticorpi come quelli rivolti verso
il citoplasma dei neutrofili (ANCA). In entrambi le condizioni è
presente un denso infiltrato di macrofagi, che producono citochine pro-infiammatorie come il TNFα.
Classificazione
Le MICI pediatriche vengono attualmente suddivise sulla base
delle classificazione di Parigi, recentemente introdotta (4).
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Classificazione di Parigi per la Malattia di Crohn
Età alla diagnosi A1a: 0-<10 anni
A1b: 10-<17 anni
A2: 17-40 anni
Localizzazione
L1: distale 1/3 ileale + interessamento cecale limitato
L2: colonico
L3: ileocolonico
L4a: interessamento del tratto gastrointestinale alto
prossimalmente al legamento di Treitz
L4b: malattia del tratto gastrointestinale alto
distalmente al legamento di Treitz
Sottotipo
B1: non stenosante non penetrante
B2: stenosante
B3: penetrante
B2 B3: sia penetrante che stenosante, nello stesso
tempo o in momenti differenti
p: malattia perianale
Crescita
G0: Nessun evidenza di ritardo dell’accrescimento
G1: Ritardo dell’accrescimento
Tabella 1
Classificazione di Parigi per la Rettocolite Ulcerosa
Estensione
E1: Proctite ulcerativa
E2: Colite sinistra (distale alla flessura splenica)
E3: Estesa (distale alla flessura epatica)
E4: Pancolite (prossimale alla flessura epatica)
Severità
S0: mai severa
S1: sempre severa
Tabella 2
Tale classificazione rappresenta una revisione della precedente di Montreal e tiene conto dell’età di insorgenza della malattia, dell’ estensione, del fenotipo di malattia e dell’eventuale
presenza ritardo di crescita per la MC (Tab. 1). Per la RCU la
Classificazione di Parigi prevede una suddivisione in base
all’estensione e alla severità di malattia (Tab. 2). Le MICI sono
patologie croniche caratterizzate da periodi di esacerbazione
della malattia intervallati da periodi di remissione; l’attività di
malattia si misura utilizzando degli indici che includono sintomatologia clinica, parametri di laboratorio ed aspetto endoscopico. Per la MC l’indice più frequentemente utilizzato per
i pazienti pediatrici è il Pediatric Crohn Disease Activity Index
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(PCDAI) che include sintomatologia clinica, complicanze MICI correlate, reperti obiettivi, indagini di
laboratorio, peso corporeo, velocità di crescita e
necessità di utilizzare farmaci anti-diarroici (5). Lo
score è compreso nel range 0-100; è pari a 10 il cutoff che separa lo stato di remissione dalla malattia attiva mentre la risposta clinica è definita come una riduzione minima pari a 12.5 punti. Per la RCU si utilizza
il Pediatric Ulcerative Colitis Activity Index (PUCAI)
che differenzia l’attività di malattia in 4 categorie:
remissione (con score <10), lieve, moderata e severa;
la risposta clinica è definita come una riduzione di
almeno 20 punti (6).
Clinica
I sintomi della MC, RCU e IBD-U esordiscono, fino al
25% dei casi, in età pediatrica. Le modalità di esordio
sono varie. In età evolutiva uno dei primi segni di
malattia è rappresentato dal rallentamento o arresto
della crescita staturo-ponderale e/o dello sviluppo
puberale. Nel 7-24% della popolazione pediatrica si
evidenziano manifestazioni extraintestinali con interessamento di cute, occhi e articolazioni. Inoltre, è
possibile che la malattia esordisca con manifestazioni
perianali quali fistole, tags, ascessi perianali ricorrenti.
In aggiunta alle manifestazioni organiche, le MICI
comportano alterazioni dello stato psicologico quali
astenia, depressione, ansia, non-compliance che si
riscontrano nel 25% dei casi che, soprattutto in età
pre-adolescenziale, possono compromettere significativamente la qualità di vita (3).
Diagnosi
I criteri diagnostici delle MICI pediatriche sono stati
recentemente revisionati nella nuova Consensus di Porto (7).
Esami di laboratorio
Nel bambino con sospetta MICI gli esami di laboratorio
hanno lo scopo di porre in evidenza uno stato infiammatorio,
verificare il possibile coinvolgimento di altri organi e apparati,
localizzare la presenza di altre patologie con un quadro clinico simile, identificare e distinguere le varie forme di MICI (7).
Gli esami di prima istanza, che inquadrano lo stato generale
del paziente, ed in particolare lo stato nutrizionale e marziale,
devono comprendere emocromo con formula leucocitaria,
almeno due indici infiammatori, albuminemia, transaminasi e
GGT. Circa 1/3 dei pazienti con diarrea ematica e sospetta
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MICI può avere una causa infettiva. Pertanto è necessario eseguire una coprocoltura allargata in tutti i bambini, per escludere infezioni batteriche quali Salmonella, Shigella, Yersina,
Campylobacter, Clostridium difficile. Lo screening per i virus
enterici raramente è di aiuto. È raccomandata l’esecuzione
del test per Giardia nella popolazione ad alto rischio o nelle
aree endemiche. L’identificazione di patogeni non esclude
necessariamente una diagnosi di MICI, poiché un primo episodio di MICI potrebbe insorgere dopo o essere scatenato da
un’infezione enterica documentata, o potrebbe aversi una
sovrainfezione sull’infiammazione intestinale. Sicuramente,
tra le indagini di I livello non invasive, la calprotectina fecale
svolge un ruolo di primo piano. La calprotectina fecale in età
pediatrica al momento della diagnosi è il miglior marker diagnostico rispetto a tutti gli altri indici infiammatori ematici (7).
Esami Strumentali
Nell’ambito della diagnostica strumentale l’ecografia occupa
un posto di primo piano grazie alla sua non invasività. Essa
permette di localizzare la malattia, stabilirne le caratteristiche
ed offrire informazioni circa le possibili complicazioni, quali
ascessi, fistole e stenosi. L’ecografia con mezzo di contrasto
anecogeno (polietilenglicole iso-osmolare) (SICUS) permette
un aumento della sensibilità della metodica e ne riduce la
variabilità legata all’esperienza. La diagnostica per immagini
del piccolo intestino deve essere effettuata in tutti i pazienti
pediatrici con MC e IBD-U o nei casi di RCU atipica (7).
Nei bambini con una chiara diagnosi endoscopica ed istologica di CU, effettuata in base ad ileocolonoscopia ed EGDS
con biopsie multiple, la diagnostica per immagini del piccolo
intestino può essere omessa. In base alle nuove linee guida il
tenue seriato è stato sostituito dalla risonanza magnetica (RM)
dell’intestino con doppio contrasto, diagnostica radiologica di
prima scelta per lo studio del piccolo intestino al momento
della diagnosi. Ci permette di visualizzare le alterazioni tipiche e valutare sia l’estensione dell’infiammazione
intestinale, che l’evoluzione delle complicanze (malattia stenosante o penetrante). La distensione delle anse del piccolo
intestino si ottiene mediante l’assunzione di una soluzione
con sostanze non assorbibili quali il polietilenglicole per os
(RM enterografia), o tramite sondino nasogastrico (RM enteroclisi) (7).
L’endoscopia gioca un ruolo di primo piano ed è tuttora considerata il gold standard nella diagnosi delle MICI. E’ attualmente l’unico mezzo diagnostico che consente di ottenere
campioni di tessuto per la valutazione istologica, fondamenta-
24
le per la diagnosi; in aggiunta ci permette di conoscere la severità e l’estensione della malattia e trattare le eventuali complicanze, quali sanguinamenti e stenosi. L’endoscopia deve essere eseguita da un gastroenterologo pediatra in un setting pediatrico e da personale con una expertise nella diagnosi e nella
gestione delle MICI in età pediatrica. La ileocolonoscopia e la
EGDS devono essere eseguite al momento della diagnosi a tutti
i pazienti e dopo appropriata preparazione in base all’età, in
anestesia generale o in sedazione profonda con analgesia (7).
Devono essere eseguite biopsie multiple (2 o più per sezione)
per ogni sezione del tratto GI visualizzato, anche in assenza di
lesioni macroscopiche. I dati endoscopici devono essere ben
documentati. La videocapsula endoscopica è indicata per
identificare lesioni della mucosa del piccolo intestino in bambini con sospetto MC, nei quali l’endoscopia convenzionale e
gli esami radiologici non sono stati diagnostici, o in caso di
impossibilità ad eseguire la entero-RM. Tale tecnica diagnostica ha un alto valore predittivo negativo per il MC attivo del
piccolo intestino. La diagnosi di MC non deve essere basata
esclusivamente sui risultati della videocapsula, a causa dell’elevato numero di falsi positivi (10-21% di persone sane) e
dell’assenza di criteri diagnostici validati (7).
Terapia
Lo scopo della terapia nelle MICI è ottenere la remissione clinica ed endoscopica e mantenerla; i farmaci vanno impiegati
in base alla gravità clinica della malattia.
Aminosalicilati
Nel trattamento della RCU gli aminosalicilati (la sulfasalazina
(SASP) e l’acido 5-aminosalicilico (5-ASA o mesalamina) rappresentano il trattamento di prima scelta sia nell’induzione
della remissione in caso di malattia lieve, sia nel mantenimento della remissione (8). Le formulazioni rettali degli aminosalicilati includono le supposte, i clismi e le schiume e si è dimostrato che l’uso topico nelle forme lievi-moderate di RCU è più
efficace dei corticosteroidi topici e della mesalamina orale.
Allo stato attuale non c’è evidenza che gli aminosalicilati
siano superiori al placebo nell’induzione e nel mantenimento
della remissione della MC (9).
Corticosteroidi
Gli steroidi (prednisone e budesonide) rappresentano il cardine della terapia medica nelle MICI. Nella RCU tali farmaci
vengono impiegati per indurre la remissione delle forme
moderato-severe, soprattutto all’esordio; nei bambini è stato
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riportato miglioramento clinico significativo in più dell’80%
dei casi trattati al primo attacco. Nelle forme di RCU sinistra
(proctosigmoidite) in cui sia fallito il trattamento locale con 5ASA, è indicata la terapia con clismi di steroidi (10).
La terapia steroidea nella MC si utilizza per le forme di malattia acuta moderata-severa e i dati mostrano remissione nel
62% dei casi, risposta parziale nel 27%, steroido resistenza ad
un mese nel 12%. Nel caso di forme di MC localizzate all’ileo
terminale o ileocoliche e in pazienti con effetti collaterali
importanti da steroidi, viene impiegata la budesonide che,
rispetto agli steroidi tradizionali, è più sicura con minore incidenza di effetti collaterali; inoltre presenta efficacia maggiore
rispetto agli amino salicilati (10).
Nutrizione enterale
Consiste nella somministrazione esclusiva di una formula
polimerica per un periodo di tempo variabile dalle 6 alle 12
settimane. La letteratura dimostra che la nutrizione enterale
rappresenta un efficace trattamento nella MC in età pediatrico-adolescenziale, paragonabile alla terapia steroidea (11). I
vantaggi di tale terapia sono i seguenti: induce la remissione
nel bambino; può indurre miglioramento/guarigione delle
lesioni mucosali, migliora la crescita lineare; la nutrizione
entrale parziale è efficace nel mantenere la remissione; è ripetibile; è priva di effetti collaterali. Attualmente vengono impiegate diete polimeriche che hanno analoga efficacia delle diete
elementari e semi-elementari; il periodo di nutrizione enterale
esclusivo, viene seguito da un periodo di nutrizione entrale
parziale dove solo in 40% del fabbisogno calorico giornaliero
è fornito dalla formula polimerica (9).
Azatioprina (Aza) 6-Mercaptopurina (6-MP)
L’Aza e il suo metabolica, la 6-MP, inibiscono la proliferazione
dei T e B linfociti, riducendo il tasso di cellule T citotossiche e
di plasmacelule. Le indicazioni per l’uso di tale terapia sono:
- trattamento in bambini con MC moderata-severa all’esordio
di malattia: l’aggiunta di 6-MP agli steroidi ne diminuisce la
necessità e migliora il mantenimento della remissione
- mantenimento di MC e RCU in caso di steroido-dipendenza
o in bambini con 1-2 ricadute nell’anno con effetto steroidorisparmiatore
- profilassi dopo chirurgia in bambini con MC ad alto rischio
di ricaduta
- MC con malattia perianale
- casi lievi o moderati di MC steroidoresistente
Un effetto steroido-risparmiatore è stato dimostrato nel 70-
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75% dei pazienti con MICI (adulti e bambini); l’Aza si è dimostrata efficace nel 70% dei bambini con MICI ed inefficace nel
20%; gli steroidi sono stati interrotti o notevolmente ridotti nel
62% dei pazienti o mai assunti nel 9% (12).
Ciclosporina (CYC)
La CYC è un macrolide immunosoppressore che inibisce la
produzione di IL2 prodotta dai linfociti attivati; è indicata nel
trattamento di pazienti con RCU refrattari al trattamento di
prima linea (steroidi, aminosalicilati) o che hanno fallito la
terapia con Aza/6-MP. Esistono diversi studi sull’efficacia
della CYC nei bambini affetti da RCU severa non responsiva
ed è stato dimostrato che tale terapia svolge un ruolo importante nella prevenzione della chirurgia d’urgenza nelle coliti
severe non responsive, sebbene il tasso di colectomia ad un
anno rimanga elevato (13). La CYC si caratterizza per la rapidità del tempo di risposta e, sebbene vi siano evidenze limitate della sua maggiore efficacia rispetto alla terapia standard,
viene impiegata nel caso si ipotizzi la terapia chirurgica d’urgenza. Nella MC refrattaria o dipendente agli steroidi non vi
sono evidenze dell’efficacia di basse dosi di CYC orale sull’attività della malattia, mentre l’uso di dosaggi elevati non sembra essere utile per l’alto rischio di nefrotossicità (9).
Methotrexate (MTX)
Il MTX è un inibitore della diedro-folato redattasi ad azione
antinfiammatoria ed antimetabolca; ha azione citostatica
bloccando la replicazione dei linfociti. Il MTX è efficace sia
nell’induzione della remissione, sia come terapia di mantenimento; in pazienti con MC in fase attiva il MTX presenta efficacia simile all’Aza mentre nei pazienti con RCU l’efficacia
dell’Aza risulta maggiore rispetto al MTX (8, 9).
Biologici
Attualmente comprendono due agenti terapeutici: l’infliximab e l’adalimumab. L’infliximab è un anticorpo monoclonale chimerico (75% umano, 25% murino) anti TNF-α, una
citochina la cui concentrazione è aumentata nei pazienti
affetti da MC (14). L’IFX è efficace nell’indurre la remissione
clinica in bambini affetti da MC moderata-severa, luminale e
fistolizzante. In età pediatrica viene somministrato alla dose
di 5mg/kg al tempo 0, 2 e 6 settimane seguito da una somministrazione ogni 8 settimane in associazione ad un immunomodulatore (Aza/6-MP, MTX) in pazienti resistenti alla terapia convenzionale o cortico-resistenti. Negli ultimi anni l’IFX
è stato impiegato anche nella gestione della RCU moderata-
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severa, refrattaria alla terapia con steroidi e/o immunomodulatori con una buona efficacia nell’induzione della remissione e della risposta clinica (15). In età pediatrica la terapia con
IFX è stata associata ad un aumento dell’incidenza di linfoma
epato-splenico a cellule T (HSTCL), una rara forma di linfoma
non-Hodgkin; in tutti i casi descritti i pazienti ricevevano
terapia con IFX più un immunomodulatore (16).
L’adalimumab è un anticorpo ricombinante monoclonale
IgG1, umano, somministrabile per via sottocutanea che si
lega al TNF umano. Tale farmaco è attualmente indicato
nell’induzione e nel mantenimento della remissione dei
pazienti affetti da MC ed RCU non rispondenti o intolleranti
all’IFX (8,9).
Talidomide
La talidomide è un farmaco immunomodulante il cui principale meccanismo d’azione è l’inibizione del TNF-alpha.
L’utilizzo di tale farmaco è per ora sperimentale e può essere
impiegata in pazienti affetti da MICI, soprattutto MC anche
perianale o fistolizzante, resistenti e/o con effetti collaterali ad
altri immunosoppressori. Una recente casistica italiana ha
dimostrato l’efficacia della talidomide nell’indurre la remissione in azienti affetti da MC refrattaria alle terapie convenzionali (17). Questo studio se replicato, apre nuovi scenari per l‘utilizzo di tale agente terapeutico nel trattamento delle MICI.
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RIASSUNTO
DELLE CARATTERISTICHE
DEL PRODOTTO
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALENUROFEN FEBBRE E DOLORE Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero.
NUROFEN FEBBRE E DOLOREBambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E
QUANTITATIVAOgni ml di sospensione orale contiene: Principio attivo: ibuprofene 20 mg. Eccipienti: sciroppo di maltitolo 450 mg Per l’elenco
completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Sospensione orale. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni
terapeutiche Trattamento sintomatico della febbre e del dolore lieve o moderato. 4.2 Posologia e modo di somministrazione La dose giornaliera
e strutturata in base al peso ed all’eta del paziente. Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della dose minima efficace per la
durata di trattamento più breve possibile necessaria per controllare i sintomi (vedere paragrafo 4.4). Nei bambini di età compresa tra 3 e 6 mesi
limitare la somministrazione a quelli di peso superiore ai 5,6 kg. La somministrazione orale a lattanti e bambini di età compresa fra 3 mesi e 12
anni dovrebbe avvenire mediante siringa dosatrice o cucchiaino dosatore forniti con il prodotto. La scala graduata presente sul corpo della siringa
riporta in evidenza le tacche per i diversi dosaggi;in particolare la tacca da 2,5 ml corrispondente a 50 mg di ibuprofene e la tacca da 5 ml
corrispondente a 100 mg di ibuprofene. Il cucchiaino dosatore riporta due tacche per due diversi dosaggi: la tacca da 2,5 ml corrispondente a 50
mg di ibuprofene e la tacca da 5 ml corrispondente a 100 mg di ibuprofene. La dose giornaliera di 20-30 mg/kg di peso corporeo, suddivisa 3
volte al giorno ad intervalli di 6-8 ore, puo essere somministrata sulla base dello schema che segue.
PESO
5.6-7 Kg
7 -10 Kg
10 - 15 Kg
15 - 20 Kg
20 - 28 Kg
28 - 43 Kg
Età
3 - 6 mesi
6 - 12 mesi
1 - 3 anni
4 - 6 anni
7 - 9 anni
10 - 12 anni
DOSE singola in ml
2,5 ml
2,5 ml
5 ml
7,5 ml (5 ml + 2,5 ml)
10 ml
15 ml
n° massimo di SOMMINISTRAZIONI/giorno
3 nelle 24 ore
Nel caso di febbre post-vaccinazione riferirsi al dosaggio sopra indicato,somministrando una dose singola seguita,se necessario,da un’altra dose
dopo 6 ore. Non somministrare più di due dosi nelle 24 ore. Consultare il medico se la febbre non diminuisce. Il prodotto e inteso per trattamenti
di breve durata. Consultare il medico se i sintomi persistono per più di tre giorni. Nei bambini di età inferiore ai sei mesi consultare il medico se i
sintomi persistono dopo 24 ore di trattamento. Istruzioni per l’utilizzo della siringa dosatrice: 1 – Svitare il tappo spingendolo verso il basso e
girandolo verso sinistra. 2 – Introdurre a fondo la punta della siringa nel foro del sottotappo. 3 – Agitare bene. 4 – Capovolgere il flacone, quindi,
tenendo saldamente la siringa, tirare delicatamente lo stantuffo verso il basso facendo defluire la sospensione nella siringa fino alla tacca
corrispondente alla dose desiderata. 5 – Rimettere il flacone in posizione verticale e rimuovere la siringa ruotandola delicatamente. 6 – Introdurre
la punta della siringa nella bocca del bambino, ed esercitare una lieve pressione sullo stantuffo per far defluire la sospensione. Dopo l’uso avvitare
il tappo per chiudere il flacone e lavare la siringa con acqua calda. Lasciarla asciugare, tenendola fuori dalla portata e dalla vista dei bambini.
4.3 Controindicazioni • Ipersensibilità all’ibuprofene o ad uno qualsiasi degli eccipienti. • Bambini di età inferiore a 3 mesi o di peso inferiore a
5,6 kg. • Ipersensibilità all’acido acetilsalicilico o ad altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei (FANS), in particolare quando
l’ipersensibilità è associata a poliposi nasale e asma. • Ulcera peptica attiva. • Grave insufficienza renale o epatica. • Severa insufficienza cardiaca.
• Storia di emorragia gastrointestinale o perforazione relativa a precedenti trattamenti attivi o storia di emorragia / ulcera peptica ricorrente (due
o più episodi distinti di dimostrata ulcerazione o sanguinamento). • Uso concomitante di FANS,compresi gli inibitori specifici della COX-2. •
Gravidanza e allattamento (vedere paragrafo 4.6). 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego Dopo tre giorni di trattamento senza risultati
apprezzabili consultare il medico. Gli effetti indesiderati possono essere minimizzati con l’uso della più bassa dose efficace per la più breve durata
possibile di trattamento che occorre per controllare i sintomi (vedere i paragrafi sottostanti sui rischi gastrointestinali e cardiovascolari). L’uso di
Nurofen Febbre e Dolore deve essere evitato in concomitanza di FANS, inclusi gli inibitori selettivi della COX-2. Gli analgesici, antipiretici,
antinfiammatori nonsteroidei possono causare reazioni di ipersensibilità, potenzialmente gravi (reazioni anafilattoidi), anche in soggetti non
precedentemente esposti a questo tipo di farmaci. Il rischio di reazioni di ipersensibilità dopo assunzione di ibuprofene e maggiore nei soggetti
che abbiano presentato tali reazioni dopo l’uso di altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei e nei soggetti con iperreattività bronchiale
(asma), poliposi nasale o precedenti episodi di angioedema (vedere paragrafo 4.2 e paragrafo 4.8 ). Emorragia gastrointestinale, ulcerazione e
perforazione: durante il trattamento con tutti i FANS, in qualsiasi momento, con o senza sintomi di preavviso o precedente storia di gravi eventi
gastrointestinali, sono state riportate emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione, che possono essere fatali. Anziani: i pazienti anziani
hanno un aumento della frequenza di reazioni avverse ai FANS, specialmente emorragie e perforazioni gastrointestinali, che possono essere fatali
(vedere paragrafo4.2). Negli anziani e in pazienti con storia di ulcera, soprattutto se complicata da emorragia o perforazione (vedere paragrafo
4.3), il rischio di emorragia gastrointestinale, ulcerazione o perforazione e più alto con dosi aumentate di FANS. Questi pazienti devono iniziare il
trattamento con la più bassa dose disponibile. L’uso concomitante di agenti protettori (es. misoprostolo o inibitori di pompa protonica) deve essere
considerato per questi pazienti ed anche per pazienti che assumono basse dosi di aspirina o altri farmaci che possono aumentare il rischio di
eventi gastrointestinali (vedere paragrafo 4.5). Pazienti con storia di tossicità gastrointestinale, in particolare anziani, devono riferire qualsiasi
sintomo gastrointestinale inusuale (soprattutto emorragia gastrointestinale) in particolare nelle fasi iniziali del trattamento. Cautela deve essere
prestata ai pazienti che assumono farmaci concomitanti che potrebbero aumentare il rischio di ulcerazione o sanguinamento, come corticosteroidi
orali, anticoagulanti come warfarin, inibitori selettivi del reuptake della serotonina o agenti antiaggreganti come l’aspirina (vedere paragrafo 4.5).
Quando si verifica emorragia o ulcerazione gastrointestinale in pazienti che assumono Nurofen Febbre e Dolore, il trattamento deve essere sospeso.
I FANS devono essere somministrati con cautela ai pazienti con una storia di malattia gastrointestinale (colite ulcerosa, morbo di Crohn) poiché tali
condizioni possono essere esacerbate (vedere paragrafo 4.8). Gravi reazioni cutanee alcune delle quali fatali, includenti dermatite esfoliativa,
sindrome di Stevens–Johnson e necrolisi tossica epidermica, sono state riportate molto raramente in associazione con l’uso dei FANS (vedi
paragrafo 4.8). Nelle prime fasi della terapia i pazienti sembrano essere a più alto rischio: l’insorgenza della reazione si verifica nella maggior
parte dei casi entro il primo mese di trattamento. Nurofen Febbre e Dolore deve essere interrotto alla prima comparsa di rash cutaneo, lesioni
della mucosa o qualsiasi altro segno di ipersensibilità. Cautela è richiesta prima di iniziare il trattamento nei pazienti con anamnesi positiva per
ipertensione e/o insufficienza cardiaca poiché in associazione al trattamento con i FANS sono stati riscontrati ritenzione di liquidi, ipertensione ed
edema. Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400 mg/die) e per trattamenti di
lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del miocardio o ictus). In generale,
gli studi epidemiologici non suggeriscono che basse dosi di ibuprofene (es. ≤ 1200 mg/die) siano associati ad un aumento del rischio di infarto
del miocardio. I pazienti con ipertensione non controllata, insufficienza cardiaca congestizia, cardiopatia ischemica accertata, malattia arteriosa
periferica e/o malattia cerebrovascolare devono essere trattati con ibuprofene soltanto dopo attenta considerazione. Analoghe considerazioni
devono essere effettuate prima di iniziare un trattamento di lunga durata in pazienti con fattori di rischio per eventi cardiovascolari (es. ipertensione,
iperlipidemia, diabete mellito, fumo). L’uso di ibuprofene, di acido acetilsalicilico o di altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei,
richiede particolare cautela: • in caso di asma: possibile broncocostrizione; • in presenza di difetti della coagulazione: riduzione della coagulabilità;
• in presenza di malattie renali, cardiache o di ipertensione: possibile riduzione critica della funzione renale (specialmente nei soggetti con funzione
renale o epatica compromessa, insufficienza cardiaca o in trattamento con diuretici), nefrotossicità o ritenzione di fluidi; • in presenza di malattie
epatiche: possibile epatotossicità; • reidratare il soggetto prima dell’inizio e nel corso del trattamento in caso di disidratazione (ad esempio per
febbre, vomito o diarrea); Le seguenti precauzioni assumono rilevanza nel corso di trattamenti prolungati: • sorvegliare i segni o sintomi di ulcerazioni
o sanguinamenti gastrointestinali; • sorvegliare i segni o sintomi di epatotossicità; • sorvegliare i segni o sintomi di nefrotossicità; • se insorgono
disturbi visivi (vista offuscata o ridotta, scotomi, alterazione della percezione dei colori): interrompere il trattamento e consultare l’oculista; • se
insorgono segni o sintomi di meningite: valutare la rara possibilità che essa sia dovuta all’uso di ibuprofene (meningite asettica; più frequente nei
soggetti affetti da lupus eritematoso sistemico o altre collagenopatie). Poiché Nurofen Febbre e Dolore contiene maltitolo, i pazienti affetti da rari
problemi ereditari di intolleranza al fruttosio non devono assumere questo medicinale. Nurofen Febbre e Dolore non contiene zucchero ed è pertanto
indicato per quei pazienti che devono controllare l’apporto di zuccheri e calorie. Ogni dose da 2,5 ml di sospensione contiene 4,63 mg (0,20
mmol) di sodio; ciò deve essere tenuto in considerazione nei casi sia raccomandata una dieta povera di sodio. 4.5 Interazioni con altri medicinali
ed altre forme di interazione Le seguenti interazioni sono comuni all’ibuprofene, all’acido acetilsalicilico e agli altri analgesici, antipiretici,
antinfiammatori non steroidei (FANS): • evitare l’uso contemporaneo di due o più analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei: aumento
del rischio di effetti indesiderati • corticosteroidi: aumento del rischio di ulcerazione o emorragia gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4) •
antibatterici: possibile aumento del rischio di convulsioni indotte da chinolonici • anticoagulanti: i FANS possono aumentare gli effetti degli
anticoagulanti, come il warfarin (vedereparagrafo4.4)• agenti antiaggreganti e inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs): aumento del
rischio di emorragie gastrointestinale (vedereparagrafo4.4)• antidiabetici: possibile aumento dell’effetto delle sulfaniluree • antivirali: ritonavir,
possibile aumento della concentrazione dei FANS • ciclosporina: aumentato rischio di nefrotossicità • citotossici: metotressato, riduzione
dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • litio: riduzione dell’escrezione (aumentato rischio di tossicità) • tacrolimus: aumentato rischio di
nefrotossicità • uricosurici: probenecid, rallenta l’escrezione dei FANS (aumento delle concentrazioni plasmatiche) • metotrexato: potenziale
aumento della concentrazione plasmatica di metotrexato • zidovudina: rischio aumentato di emartrosi ed ematomi in emofilici HIV (+) se trattati
contemporaneamente con zidovudina e ibuprofene • diuretici, ACE inibitori e Antagonisti dell’angiotensina II: i FANS possono ridurre l’effetto dei
diuretici e di altri farmaci antiipertensivi. In alcuni pazienti con funzione renale compromessa (per esempio pazienti disidratati o pazienti anziani
con funzione renale compromessa) la co-somministrazione di un ACE inibitore o di un antagonista dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono il
sistema della ciclo-ossigenasi può portare a un ulteriore deterioramento della funzione renale, che comprende una possibile insufficienza renale
acuta, generalmente reversibile. Queste interazioni devono essere considerate in pazienti che assumono Nurofen Febbre e Dolore in concomitanza
con ACE inibitori o antagonisti dell’angiotensina II. Quindi, la combinazione deve essere somministrata con cautela, specialmente nei pazienti
anziani. I pazienti devono essere adeguatamente idratati e deve essere preso in considerazione il monitoraggio della funzione renale dopo l’inizio
della terapia concomitante. Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire gli effetti dell’acido acetilsalicilico a basse dosi sull’aggregazione
piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla
situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni definitive per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti
clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene (vedere paragrafo 5.1). 4.6 Gravidanza e allattamento È improbabile che soggetti di
età inferiore a 12 anni vadano incontro a gravidanza, o allattino al seno. Peraltro, in tali circostanze bisogna tenere presente le seguenti
considerazioni. L’inibizione della sintesi di prostaglandine può interessare negativamente la gravidanza e/o lo sviluppo embrio/fetale. Risultati di
studi epidemiologici suggeriscono un aumentato rischio di aborto e di malformazione cardiaca e di gastroschisi dopo l’uso di un inibitore della
sintesi di prostaglandine nelle prime fasi della gravidanza. Il rischio assoluto di malformazioni cardiache aumentava da meno dell’1% fino a circa
l’1,5%. È stato ritenuto che il rischio aumenta con la dose e la durata della terapia. Negli animali, la somministrazione di inibitori della sintesi di
prostaglandine ha mostrato di provocare un aumento della perdita di pre e post-impianto e di mortalità embrione-fetale. Inoltre, un aumento di
incidenza di varie malformazioni, inclusa quella cardiovascolare, è stato riportato in animali a cui erano stati somministrati inibitori di sintesi delle
prostaglandine durante il periodo organogenetico. Durante il terzo trimestre di gravidanza, tutti gli inibitori della sintesi delle prostaglandine possono
esporre il feto a: tossicità cardiopolmonare (con chiusura prematura del dotto arterioso e ipertensione polmonare); disfunzione renale che può
progredire a insufficienza renale con oligo-idroamnios; la madre e il neonato, alla fine della gravidanza, a: possibile prolungamento del tempo di
sanguinamento, un effetto antiaggregante che può occorrere anche a dosi molto basse; inibizione delle contrazioni uterine risultanti in ritardo o
prolungamento del travaglio. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non pertinente, considerata l’età del paziente.
4.8 Effetti indesiderati Gli effetti indesiderati osservati con ibuprofene sono comuni agli altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei.
Reazioni di ipersensibilità Raramente: reazioni anafilattoidi (orticaria con o senza angioedema), dispnea (da ostruzione laringea o da broncospasmo),
shock, sindrome caratterizzata da dolore addominale, febbre, brividi, nausea e vomito; broncospasmo (vedere paragrafi4.3 e 4.4). Patologie
gastrointestinali Gli eventi avversi più comunemente osservati sono di natura gastrointestinale. Possono verificarsi ulcere peptiche, perforazione o
emorragia gastrointestinale, a volte fatale, in particolare negli anziani (vedere paragrafo4.4). Dopo somministrazione di Nurofen Febbre e Dolore
sono stati riportati: nausea, vomito, diarrea, flatulenza, costipazione, dispepsia, dolore addominale, melena, ematemesi, stomatiti ulcerative,
esacerbazione di colite e morbo di Crohn (vedere paragrafo4.4). Meno frequentemente sono state osservate gastriti. Dolore epigastrico, pirosi
gastrica. I disturbi gastrici possono essere ridotti assumendo il farmaco a stomaco pieno. Raramente: epatite, ittero, alterazione dei test della
funzione epatica, pancreatite, duodenite, esofagite, sindrome epatorenale, necrosi epatica, insufficienza epatica. Patologie del sistema nervoso e
degli organi di senso Vertigine, cefalea, irritabilità, tinnito. Raramente: depressione, insonnia, difficoltà di concentrazione, labilità emotiva, sonnolenza,
meningite asettica, convulsioni, disturbi uditivi e visivi. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche Raramente: broncospasmo, dispnea, apnea.
Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Reazioni bollose includenti sindrome di Stevens–Johnson e necrolisi tossica epidermica (molto
raramente). Eruzioni cutanee (anche di tipo maculopapulare), prurito. Raramente: eruzioni vescicolo-bollose, orticaria, eritema multiforme, alopecia,
dermatite esfoliativa, dermatite da fotosensibilità. Patologie del sistema emolinfopoietico Molto raramente: neutropenia, agranulocitosi, anemia
aplastica, anemia emolitica (possibile test di Coombs positivo), piastrinopenia (con o senza porpora), eosinofilia, riduzione di emoglobina ed
ematocrito, pancitopenia. Disturbi del metabolismo e della nutrizione Riduzione dell’appetito. Patologie cardiache e vascolari Edema, ipertensione
e insufficienza cardiaca sono stati riportati in associazione al trattamento con FANS. Ritenzione di fluidi (generalmente risponde prontamente
all’interruzione del trattamento).Molto raramente: accidenti cerebrovascolari, ipotensione, insufficienza cardiaca congestizia in soggetti con funzione
cardiaca compromessa, palpitazioni. Studi clinici e dati epidemiologici suggeriscono che l’uso di ibuprofene, specialmente ad alti dosaggi (2400
mg/die) e per trattamenti di lunga durata, può essere associato ad un modesto aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (es. infarto del
miocardio o ictus) (vedere paragrafo 4.4). Patologie renali ed urinarie Molto raramente: insufficienza renale acuta nei soggetti con preesistente
significativa compromissione della funzione renale, necrosi papillare, necrosi tubulare, glomerulonefrite, alterazione dei test della funzione renale,
poliuria, cistite, ematuria. Disturbi del sistema immunitario In pazienti con malattie auto-immuni preesistenti (ad esempio: lupus eritematoso
sistemico, malattie del sistema connettivo) sono stati segnalati casi singoli di sintomi di meningite asettica come tensione nucale, cefalea, nausea,
vomito, febbre, disorientamento (vedere paragrafo 4.4). Vari Raramente: secchezza degli occhi e della bocca, ulcere gengivali, rinite.
4.9 Sovradosaggio I sintomi di sovradosaggio si possono manifestare in bambini che abbiano assunto più di 400 mg/kg. L’emivita del farmaco
in caso di sovradosaggio e 1.5-3 ore. Sintomi La maggior parte dei pazienti che ingeriscono accidentalmente quantitativi clinicamente rilevanti di
FANS sviluppano al più nausea, vomito, dolore epigastrico o raramente diarrea. Sono possibili anche tinnito, cefalea e sanguinamento
gastrointestinale. In caso di ingestioni di quantitativi più importanti, si osserva tossicità del sistema nervoso centrale che si manifesta con sonnolenza,
occasionalmente eccitazione e disorientamento o coma, convulsioni. Nei casi più seri si può verificare acidosi metabolica, prolungamento del
tempo di protrombina (INR). Si possono manifestare anche insufficienza renale e danni epatici. Nei soggetti asmatici si può verificare
un’esacerbazione dei sintomi della malattia. Trattamento Non esiste alcun antidoto dell’ibuprofene. Il trattamento è sintomatico e consiste negli
idonei interventi di supporto. Mantenimento della pervietà delle vie aeree e monitoraggio di funzione cardiaca e segni vitali. Particolare attenzione
è dovuta al controllo della pressione arteriosa, dell’equilibrio acido-base e di eventuali sanguinamenti gastrointestinali. In caso di sovradosaggio
acuto lo svuotamento gastrico (vomito o lavanda gastrica) è tanto più efficace quanto più precocemente è attuato; può inoltre essere utile la
somministrazione di alcali e l’induzione della diuresi; l’ingestione di carbone attivo può contribuire a ridurre l’assorbimento del farmaco.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: farmaci antinfiammatori/ antireumatici non
steroidei, derivati dell’acido propionico. Codice ATC: M01AE01 Ibuprofene è un analgesico-antiinfiammatorio di sintesi, dotato di spiccata attività
antipiretica. Chimicamente è il capostipite dei derivati fenil-propionici. L’attività analgesica è di tipo non narcotico. Ibuprofene è un potente inibitore
della sintesi prostaglandinica ed esercita la sua attività inibendone la sintesi perifericamente. Dati sperimentali indicano che l’ibuprofene può inibire
gli effetti dell’acido acetilsalicilico a basse dosi sull’aggregazione piastrinica quando i farmaci sono somministrati in concomitanza. In uno studio,
dopo la somministrazione di una singola dose di 400 mg di ibuprofene, assunto entro 8 ore prima o dopo 30 minuti dalla somministrazione di
acido acetilsalicilico (81 mg), si è verificata una diminuzione dell’effetto dell’acido acetilsalicilico sulla formazione di trombossano e sull’aggregazione
piastrinica. Tuttavia, l’esiguità dei dati e le incertezze relative alla loro applicazione alla situazione clinica non permettono di trarre delle conclusioni
definitive per l’uso continuativo di ibuprofene; sembra che non vi siano effetti clinicamente rilevanti dall’uso occasionale dell’ibuprofene.
5.2 Proprietà farmacocinetiche Ibuprofene è ben assorbito dopo somministrazione orale ed è distribuito in tutto l’organismo rapidamente. Se
assunto a stomaco vuoto, i livelli serici massimi sono raggiunti dopo circa 45 minuti. Quando assunto in concomitanza a cibo, i livelli massimi nel
sangue si raggiungono tra un’ora e mezzo e 3 ore. L’ibuprofene si lega in larga misura alle proteine plasmatiche, si distribuisce a livello tissutale
e nel liquido sinoviale. L’emivita plasmatica della molecola è di circa due ore. L’ibuprofene è metabolizzato nel fegato in due metaboliti inattivi e
questi, unitamente all’ibuprofene immodificato, vengono escreti dal rene sia come tali che coniugati. L’eliminazione dal rene è rapida e completa.
L’ibuprofene viene escreto nel latte in concentrazioni molto basse. 5.3 Dati preclinici di sicurezza Non vi sono ulteriori informazioni su dati
preclinici oltre a quelle già riportate in altre parti di questo Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (vedere paragrafo 4.6). 6. INFORMAZIONI
FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero
Polisorbato 80, glicerina, sciroppo di maltitolo, saccarina sodica, acido citrico, sodio citrato, gomma di xanthan, sodio cloruro, aroma arancia,
bromuro di domifene, acqua depurata. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero Polisorbato
80, glicerina, sciroppo di maltitolo, saccarina sodica, acido citrico, sodio citrato, gomma di xanthan, sodio cloruro, aroma fragola, bromuro di
domifene, acqua depurata. 6.2 Incompatibilità Non pertinente. 6.3 Periodo di validità 3 anni Periodo di validità dopo la prima apertura: 6 mesi.
6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Nessuna particolare. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Nurofen Febbre e Dolore
Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto arancia senza zucchero Flacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo
in polietilene con chiusura a prova di bambino. Siringa dosatrice con corpo in polipropilene e stantuffo in polietilene. Nurofen Febbre e Dolore
Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero Flacone color ambra in polietilene tereftalato (PET) con tappo e sottotappo
in polietilene con chiusura a prova di bambino. Siringa dosatrice con corpo in polipropilene e stantuffo in polietilene o cucchiaino dosatore in
polipropilene. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione
Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Reckitt Benckiser Healthcare International
Ltd – 103-105 Bath Road, Slough, Berkshire, SL1 3UH (UK) Rappresentante per l’Italia: Reckitt Benckiser Healthcare (Italia) S.p.A. – via G. Spadolini,
7 – 20141 Milano. 8. NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml
sospensione orale gusto arancia senza zucchero, flacone da 100 ml: AIC n. 034102018. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione
orale gusto arancia senza zucchero, flacone da 150 ml: AIC n. 034102020. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale
gusto fragola senza zucchero, flacone da 100 ml con siringa dosatrice: AIC n. 034102259. Nurofen Febbre e Dolore Bambini
100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero, flacone da 100 ml con cucchiaino dosatore: AIC n. 034102246.
Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero, flacone da 150 ml con siringa
dosatrice: AIC n. 034102261. Nurofen Febbre e Dolore Bambini 100mg/5ml sospensione orale gusto fragola senza zucchero,
flacone da 150 ml con cucchiaino dosatore: AIC n. 034102273. 9. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO
DELL’AUTORIZZAZIONE Agosto 2000 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO Luglio 2009.
Depositato presso AIFA in data 03/08/2011
NUMERO 3-2014.qxp_Layout 1 17/07/14 19:55 Pagina 27
PUBBLNRF27
NUMERO 3-2014.qxp_Layout 1 17/07/14 19:55 Pagina 28
1, 2
* limitare la somministrazione a bambini
di peso superiore a 5,6 kg
1. Bertin L. et al. J Pediatr 1991; 119(5): 811-814 2. Bertin L. et al. Fundam Clin Pharmacol 1996; 10: 387-392
SOP