rivista della società italiana di psico - neuro - endocrino - immunologia diretta da Francesco Bottaccioli PNEINEWS I NUOVI SAPERI DELLA SCIENZA E DELLA SALUTE PSICHE-CERVELLO, IL MASTER SYSTEM Le parole chiave del dibattito attuale: Coscienza, epigenetica cerebrale, classificazione dei disordini psichiatrici Rivista bimestrale - n. 5 - anno VIII - Settembre Ottobre 2014 SOMM ARIO www.sipnei.it PNEINEWS - n° 5 Anno 2014 EDITORIALE 3PSICHE-CERVELLO, IL MASTER SYSTEM DELLA SALUTE UMANA F. Bottaccioli INTERVISTA 4 LA COSCIENZA COME INTEGRAZIONE DI I NFORMAZIONE A colloquio con il neurofisiologo Massimini Paola Emilia Cicerone Dalla prima teorizzazione di Edelman e Tononi sulla coscienza come processo di integrazione delle informazioni, realizzato dal sistema talamo-corticale, si è passati alla fase della misurazione della coscienza, con risultati sorprendenti anche per situazioni cliniche in cui si pensa che la coscienza sia minima. PSICHE-CERVELLO EPIGENETICA 7 MALATTIE NEURODEGENERATIVE. È POSSIBILE PROSPETTARE UNA TERAPIA EPIGENETICA? Fabio Coppedè Si stanno sperimentando farmaci epigenetici che danno risultati molto promettenti nel modello animale che, se da un lato non devono indurci a facili ottimismi, dall’altro ci segnalano che il potenziale della terapia epigenetica nel trattamento della neurodegenerazione è alto e, probabilmente, uno dei più promettenti PNEINEWS. Rivista bimestrale della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia. PSICHE-CERVELLO PSICHIATRIA 11 IL NUOVO DSM-5. QUANDO LE SOGLIE SONO TROPPO BASSE Paolo Migone La quinta edizione del Manuale Diagnostico Statistico (DSM), che è molto autorevole e ha profonde influenze sulla psichiatria, presenta un abbassamento delle soglie di molte diagnosi, col rischio che aumentino i “falsi positivi” MEDICINA VETERINARIA 19 Jutta Ziegler Anche gli animali cosiddetti di compagnia s’ammalano sempre più di malattie ad insorgenza precoce e ad andamento cronico. Un interessante libro, di cui traduciamo alcune pagine, mostra come sia necessario un cambio di paradigma anche in medicina veterinaria Il contributo della Psiconeuroendocrinoimmunologia allo studio e alla cura delle malattie infiammatorie immuno-mediate GIORNATA DI STUDIO Firenze, 17 gennaio 2015 Auditorium di Sant’Apollonia 2 Hanno collaborato a questo numero Francesco Bottaccioli, Paola Emilia Cicerone, Fabio Coppedè, Paolo Migone, Jutta Ziegler Illustrazione di copertina Margherita Allegri - www.margheallegri.com UNA NUOVA MEDICINA ANCHE PER GLI ALTRI ANIMALI IL FILO ROSSO DELL’INFIAMMAZIONE Direttore Responsabile Francesco Bottaccioli - [email protected] Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia. Formazione universitaria MASTER IN “PNEI E SCIENZA DELLA CURA INTEGRATA” UNIVERSITÀ DELL’AQUILA, UN’OCCASIONE UNICA IN ITALIA DOPO IL SUCCESSO DELLA PRIMA EDIZIONE DEL MASTER DI II LIVELLO IN “PNEI E SCIENZA DELLA CURA INTEGRATA”, SONO APERTE LE ISCRIZIONI ALLA NUOVA EDIZIONE PER L’ANNO ACCADEMICO 2014-2015. Impaginazione e grafica Argento e China - www.argentoechina.it Stampa La Grafica Faggian - www.lagraficafaggian.it Registrazione Autorizzazione del Tribunale Bologna n° 8038 del 11/02/2010 Redazione Piazza Mincio, 1 - Roma ABBONAMENTO E INFORMAZIONI Il costo dell’abbonamento per ricevere 6 numeri di PNEINEWS è di 25 euro, in formato elettronico (Pdf) 18 euro. Per i soci SIPNEI l’abbonamento in formato elettronico è compreso nella quota annuale. L’abbonamento cartaceo per i soci SIPNEI è scontato a 20 euro. Il versamento va eseguito a favore di SIPNEI Intesa San Paolo Ag. 16 viale Parioli 16/E IBAN IT 90 B 03069 05077 100000000203 specificando la causale. 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Effettivamente, ci sono ricercatori, come lo stesso Dehaene e Giulio Tononi e Marcello 2 Massimini (che abbiamo intervistato in questo numero) che hanno rotto ogni remora sullo studio della coscienza, senza paura di addentrarsi, come neuroscienziati, nel campo della soggettività umana. Ma non mancano scienziati e filosofi cognitivi che ancora leggono la soggettività umana come un mero riflesso dell’attività cerebrale. Il nostro cervello, secondo una tesi ribadita recentemente 3 dalla filosofa Patricia Churchland , sarebbe una macchina geneticamente predeterminata e dotata di congegni che comandano le nostre attività, da quelle fisiologiche e vegetative fino a quelle comportamentali. In realtà non siamo padroni di noi stessi - scrive Churchland - ci sembra di esserlo perché abbiamo un congegno in testa che ci dà l’illusione di decidere ciò che in realtà ha già deciso per noi il nostro cervello. Altri filosofi della mente ne traggono conclusioni generali relative all’Io, definito come “campo di effetti prodotti dal cervello” o “l’esito dell’elaborazione di informazioni realizzate negli eventi biochimici del cervello”: una soggettività fragile e costruita come narrazione ex-post, posticcia, di facciata, 4 “la facciata dell’inconscio computazionale” . È questa una visione dell’essere umano che ha il difetto, per usare le parole di Eric Kandel, “di banalizzare sia il cervello che la 5 mente” . In realtà abbiamo prove crescenti che la relazione PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014 psiche-cervello è talmente intrecciata e vicendevolmente influente da disegnare un vero e proprio sistema integrato, in cui una componente ha un vitale bisogno dell’altra. Senza una buona psicologia degli stati di coscienza, scrive Kandel, non possiamo fare progressi in biologia e viceversa. Recentemente Steven W. Cole, oncologo e immunologo al Campus di Los Angeles, ha aumentato le nostre conoscenze descrivendo lo schema di trascrizione genica in senso infiammatorio che viene attivato nelle cellule immunitarie dalla percezione psichica di vari fonti stressanti: isolamento 6 sociale, paura, stress cronico, lutto e simili . Questo “engramma” biologico infiammatorio, che può avere anche una segnatura epigenetica, può diventare persistente e autoalimentarsi tramite pensieri, emozioni, comportamenti e passare così da fenomeno transitorio a disordine strutturato. Al riguardo, sia Freud che Selye ci hanno insegnato che il discrimine tra una condizione di salute e una di malattia passa anche per la percezione che il soggetto ha di se stesso. Uno degli stati psichici maggiormente patogeni è percepirsi ed essere classificato malato. Per questo, come mostra l’analisi di Paolo Migone in questo numero, è pericoloso allargare le maglie della diagnosi in psichiatria. Uno dei principali rischi della nuova edizione del Manuale diagnostico di psichiatria ( DSM 5) è infatti quello di produrre “falsi positivi” e cioè persone che verranno classificate malate senza esserlo. 1. Dehaene S. (2014) Coscienza e cervello. Come i neuroni codificano il pensiero, Milano, Cortina 2. Massimini M., Tononi G (2013) Nulla di più grande. Dalla veglia al sonno, dal coma al sogno. Il segreto della coscienza e la sua misura, Milano, Baldini&Castoldi. Ma di Tononi si veda anche PHI. Un viaggio dal cervello all’anima, Torino, Codice 2014 3. Churchland P. (2013) L’io come cervello, Milano, Cortina pp. 20-21 4. Marraffa M. & Paternoster A. (2013). Sentirsi esistere. Inconscio, coscienza, autocoscienza, Bari, Laterza. 5. Kandel E. (2013). The new science of mind and the future of knowledge. Neuron, 80, 3: 546-560. DOI: 10.1016/j.neuron.2013.10.039. 6. Cole SW (2014) Human Social Genomics, PLOS 10; e1004601 3 INTERVISTA Psiche-cervello: la coscienza La coscienza come integrazione di informazione A colloquio con il neurofisiologo Massimini Paola Emilia Cicerone - Giornalista scientifica Dalla prima teorizzazione di Edelman e Tononi sulla coscienza come processo di integrazione delle informazioni, realizzato dal sistema talamo-corticale, si è passati alla fase della misurazione della coscienza, con risultati sorprendenti anche per situazioni cliniche in cui si pensa che la coscienza sia minima. “L a coscienza è la cosa più preziosa che abbiamo, anche se tendiamo a darla per scontata. Per questo è così importante occuparcene, e capire di cosa si tratta”: Marcello Massimini ha aperto così il suo seguitissimo intervento a BergamoScienza, a fine ottobre. Neurofisiologo e docente dell’Università di Milano, Massimini è un’autorità internazionale sul tema, e con Giulio Tononi ha raccontato le sue ricerche in un saggio, Nulla di più grande. Dalla veglia al sonno, dal coma al sogno. Il segreto della coscienza e la sua misura (Baldini&Castoldi, 2013). Ricerche che gli abbiamo chiesto di descriverci. “Senza coscienza non ci sarebbe niente, ed è qualcosa di cui abbiamo diretta esperienza, a differenza di quanto avviene con soggetti di studio altrettanto misteriosi come i buchi neri o i fenomeni quantistici” spiega il ricercatore. “Ce ne rendiamo conto quando cadiamo in un sonno profondo e tutto quello che ci circonda, sparisce”. Capirlo non è solo una sfida speculativa, ma anche una necessità etica, “con ricadute importanti dal punto di vista clinico”, prosegue Massimini “perché ci permetterebbe di valutare tutte le situazioni di danno cerebrale in cui non è chiaro se la coscienza sia presente o meno”. La coscienza non deriva dal numero assoluto di neuroni coinvolti. Nel saggio, Massimini e Tononi raccontano la loro avventura, a partire da quella che gli autori definiscono un’esperienza unica, ma comune agli studenti di medicina: “Quella di soppesare sul palmo della mano un cervello 4 umano, un chilo e mezzo di materia gelatinosa, che però ha contenuto l’intero universo di una persona cosciente. Un’ esperienza che dà le vertigini, paragonabile a quella deli astronauti che hanno visto per la prima volta la terra dallo spazio”. In realtà, quello che ci interessa se ci occupiamo di coscienza è solo la parte più moderna del cervello, il sistema talamocorticale “che contiene circa il 20% dei 100 miliardi di neuroni presenti nel cervello, ma è uno straordinario sistema unitario, il più grande che esista nell’Universo ”, spiega Massimini, “mentre il cervelletto, che ne contiene il rimanente 80%, nonostante la sua complessità è una struttura modulare, tanto che non lo dovremmo neanche considerare un tutto unico”. Tanto che senza cervelletto si può vivere, mentre lesioni anche poco estese al sistema talamo corticale possono portare al coma o a gravi deficit cognitivi. Resta da capire - per citare la frase poetica del filosofo Colin Mc Ginn - “come l’acqua del cervello fisico si trasformi nel vino della coscienza”. Se mai potremmo capirlo, perché i tanti modelli proposti, sia dagli scienziati sia dai filosofi non hanno dato risultati convincenti. “Il problema”, spiega Massimini “è che si tende a ragionare in termini di input/output, identificando la coscienza con la capacità di comunicare. Ma non è sempre così: pensiamo a casi come la complete locked in syndrome in cui i pazienti sono del tutto impossibilitati a comunicare, eppure ci sono test in grado di mostrare che sono coscienti “. E sono sempre più numerose le situazioni in cui ci si trova di fronte a pazienti PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014 in quello che è recentemente stato definito “ stato di coscienza minimo”, difficile da identificare proprio perché spesso sono etichettati come “ in stato vegetativo”. Capire come nasce la coscienza nel cervello, spiega Massimini, potrebbe servire ad aiutare questi pazienti, e non solo “ Molti ricerche sulla coscienza sono state realizzate da anestesisti”, spiega Massimini “perché può succedere, in rari casi, che pazienti anestetizzati riprendano coscienza pur rimanendo paralizzati e incapaci a muoversi: però le modalità finora utilizzate per verificare se il paziente anestetizzato sia o no cosciente non hanno dato risultati soddisfacenti “. Anche per la difficoltà di trovare una modalità oggettiva ed efficace di misurazione. “Oggi esistono tecniche che permettono di misurare l’attività dei neuroni - quelle che sono servite per identificare gli stati minimi di coscienza- ma sono troppo complesse e impegnative per dare garanzie di risultato ”, spiega Massimini. “Anche il livello di attività cerebrale elettrica o metabolica non è un parametro efficace, perché quando ci si addormenta il cervello rimane attivo, e altre ipotesi, come un indice che misuri la sincronia nelle oscillazioni dei neuroni, non hanno fornito risultati convincenti “. La collaborazione con Giulio Tononi: misurare la coscienza Nasce così l’idea di fare un passo indietro, e affrontare il problema dal punto di vista teorico, partendo non dalle misurazioni ma dal tentativo di definire in cosa consista la coscienza. Una “rivoluzione copernicana”, la definisce Massimini che ne è stato protagonista a fianco del neuropsichiatra Giulio Tononi, docente all’Università del Wisconsin e già collaboratore del premio Nobel Gerald Edelman, recentemente scomparso. “Tononi ed io ci siamo resi conto che inseguivano lo stesso sogno quando ci siamo incontrati, dodici anni fa, e tutti e due avevamo in borsa un articolo apparso su una rivista poco nota che mostrava come fosse possibile registrare le risposte del cervello con la stimolazione magnetica transcranica”, racconta Massimini. E’ nata così una collaborazione che ha visto Tononi più impegnato a definire gli aspetti teorici mentre Massimini si è concentrato sulle verifiche cliniche sperimentali. “L’idea è di ripartire dalla nostra esperienza: se ci riflettiamo, vediamo che le proprietà fondamentali PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014 della coscienza sono due, la ricchezza di informazioni e l’integrazione ”, sintetizza Massimini. ”Proviamo a spiegare la prima: immaginiamo di essere in una stanza vicini a un fotodiodo, una semplice resistenza che può distinguere tra luce e buio. Se la luce comincia ad accendersi e spegnere, il fotodiodo registrerà sempre e comunque solo l’alternanza tra luce e buio, mentre un essere umano vivrà esperienze diverse se la stanza cambia colore o gli vengono mostrate immagini di volti o paesaggi“. La seconda è invece l’integrazione : “Ogni esperienza cosciente è assolutamente unitaria: il nostro cervello è un tutt’uno e quando sceglie un’esperienza, lo fa in modo unitario ”, prosegue il ricercatore. “Per capirlo, pensiamo a quelle immagini ambigue che rappresentano un vaso o due profili: non possiamo vederle entrambe contemporaneamente, ma solo una per volta, in successione ”. Da queste premesse deriva l’enunciato fondamentale: “Un sistema fisico è cosciente nella misura in cui è in grado di integrare informazione”. La coscienza nasce dunque da un complesso equilibrio tra unità e differenziazione, “un equilibrio molto raro in natura” precisa Massimini. E’ questa la teoria dell’informazione integrata, prodotta inizialmente da Tononi e da Edelman e poi sviluppata insieme a Massimini. “Quello che abbiamo fatto è stato cercare di misurare questa informazione con un’approssimazione empirica”, prosegue il ricercatore. Utilizzando due tecnologie già esistenti, la stimolazione 5 INTERVISTA Psiche-cervello: la coscienza magnetica transcranica - una tecnica non invasiva vecchia di quasi un secolo, in pratica una sonda magnetica che attiva i neuroni - e l’elettroencefalografia, che registra l’eco elettrica dell’attività neuronale : “ la novità è stata usarle in combinazione, per ”bussare” sulla corteccia cerebrale e vedere se come la risposta si propaga” esemplifica Massimini. E’ come se si trattasse di esaminare il lavoro di un’orchestra in cui ogni musicista tiene conto di ciò che fanno gli altri: “ Possiamo dire che la stimolazione magnetica serve a dare il là a uno strumento, l’elettroencefalografia ad ascoltare il concerto che viene generato per vedere se arriva un eco complessa, segno che la coscienza è presente, oppure se qualcosa è andato storto”. Verifiche sperimentali Una volta formulata, l’ipotesi è stata verificata in condizioni note “Abbiamo cominciato testando questo metodo sulle diverse fasi del sonno, poi durante anestesie di diverso tipo” sintetizza Massimini “si è visto che le tracce elettriche sono diverse a seconda che il soggetto sia sveglio, in fase di sonno non rem, l’unica forma fisiologica di perdita della coscienza, o in fase di sonno Rem in cui se il paziente sogna si vede comunque l’attivazione, e ancora con pazienti anestetizzati”. In seguito sono cominciate le esperienze con i pazienti in stato vegetativo o con pazienti locked, da cui si sono avute risposte analoghe a quella dei soggetti sani: “Si è visto che anche i pazienti in stato minimo di coscienza hanno una complessità elevata, più simile alla veglia che al sonno o allo stato vegetativo. E questo ci fa ben sperare: uno degli scopi di questa ricerca è individuare pazienti che possono trarre beneficio dalla riabilitazione e individuare gli strumenti per aiutarli” osserva Massimini. Dieci anni di lavoro hanno portato a risultati più che soddisfacenti, adesso le ricerche continuano con numeri più grandi “e anche se non posso fornire ancora dettagli - si tratta di ricerche non ancora pubblicate-stiamo ottenendo risultati molto incoraggianti spiega Massimini Con quali ricadute pratiche? “Uno dei nostri obiettivi è capire cosa va storto quando la coscienza viene perduta in situazioni patologiche”, spiega il ricercatore “ci sono pazienti che hanno una porzione di cervello integra notevole e un basso livello di complessità di interazione, potremmo arrivare a capire cosa succede e come aiutarli”. Mentre dal punto di vista teorico, in qualche modo la teoria 6 dell’informazione integrata sembra rivalutare il concetto di inconscio: “ non mi occupo di psicoterapia, però è certo che queste ricerche mostrano che nel nostro cervello c’è una notevole attività che avviene sotto il livello di coscienza”, rileva Massimini. “Da questo punto di vista, parlare di inconscio ha certamente senso, anche se non sappiamo se e come questo possa condizionare il nostro comportamento cosciente”. In futuro sono previste ricerche su altri stati di coscienza, per esempio su soggetti che praticano la meditazione, mentre almeno per ora non si lavorerà su animali: “in teoria il sistema potrebbe essere applicato a qualunque soggetto, ma le misurazioni sono calibrate sull’esperienza umana“, conclude Massimini, “anche se è probabile che alcuni animali abbiano un livello di coscienza complessa, ma non paragonabile a quella degli umani che hanno la caratteristica unica di essere esposti a un ambiente molto ricco e di avere delle potenzialità di crescita che altre specie non hanno”. UN NEUROFISIOLOGO STUDIOSO DEL SONNO E DELLA COSCIENZA Medico e neurofisiologo, si è laureato all’Università di Milano dove attualmente insegna. È Invited Professor presso il Coma Science Group dell’Università di Liegi. Di questi argomenti ha pubblicato su importanti riviste scientifiche internazionali, tra cui Science, Nature, PNAS e Brain. Ha lavorato in Canada, alla Laval University (Quebec), con Mircea Steriade, uno dei più prestigiosi studiosi del sonno, e, successivamente, nel dipartimento di psichiatria dell’Università del Wisconsin, con Giulio Tononi, che ha collaborato a lungo con il Nobel Gerald Edelman. Sempre in collaborazione con l’Università del Wisconsin, Massimini sta attualmente mettendo a punto, in Italia, nuovi strumenti per lo studio del sonno, della coscienza e delle loro alterazioni. Con Giulio Tononi ha recentemente pubblicato Nulla di più grande. Dalla veglia al sonno, dal coma al sogno. Il segreto della coscienza e la sua misura (Baldini&Castoldi,2013) PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014 PSICHE-CERVELLO Epigenetica Malattie neurodegenerative. È possibile prospettare una terapia Fabio Coppedè - Ricercatore e Docente di Genetica Medica presso il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa Si stanno sperimentando farmaci epigenetici che danno risultati molto promettenti nel modello animale che, se da un lato non devono indurci a facili ottimismi, dall’altro ci segnalano che il potenziale della terapia epigenetica nel trattamento della neurodegenerazione è alto e, probabilmente, uno dei più promettenti C on il termine “epigenetica” si intendono cambiamenti nell’espressione genica ereditabili tramite meiosi e mitosi che non implicano modificazioni della sequenza del DNA. Infatti, i meccanismi epigenetici quali la metilazione del DNA, le modificazioni delle code degli istoni, e i processi di rimodellamento della cromatina, controllano il rilassamento o il compattamento della cromatina lungo l’asse del cromosoma e permettono o inibiscono l’accesso del promotore di un gene ai macchinari di trascrizione, regolando l’espressione genica senza comportare cambiamenti nella sequenza del DNA. Un tempo si pensava che le modificazioni epigenetiche fossero importanti per permettere lo sviluppo e il differenziamento cellulare e venissero poi mantenute stabili nell’organismo adulto per mantenere l’identità cellulare in cellule differenziate. Tuttavia è ormai chiaro che queste modificazioni chimiche del DNA e della cromatina sono meno stabili di quanto originariamente creduto, poiché possono essere indotte da fattori ambientali e occorrono anche durante il corso della vita in tessuti sani, giocando un ruolo fondamentale nell’insorgenza e nella progressione di numerose malattie complesse, compresi i disturbi psichiatrici e le malattie neurodegenerative (Coppedè, 2014a). Per capire meglio il ruolo dell’epigenetica immaginiamo che il DNA sia un libro che contiene le istruzioni per assemblare i diversi componenti di un macchinario in una fabbrica. Le mutazioni del DNA sono dei cambiamenti stabili di queste istruzioni, in altre parole sono degli errori di battitura nel testo del libro che comportano che l’operaio che legge istruzioni sbagliate assembli i pezzi in maniera PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014 non corretta. Al contrario, le modificazioni epigenetiche sono dei meccanismi che aprono il libro a pagine diverse, in modo che l’operaio che deve assemblare il telaio legga le istruzioni per assemblare il telaio, mentre quello che deve assemblare il motore trovi il libro aperto alla pagina dove sono contenute le informazioni per assemblare il motore. Ritornando al mondo della cellula, le mutazioni sono dei cambiamenti che si fissano nella sequenza del DNA portando alla produzione di proteine spesso difettose o non funzionali, mentre le modificazioni epigenetiche sono dei meccanismi reversibili che permettono alla cellula di esprimere e reprimere geni diversi, e quindi di produrre o no le proteine da questi codificate, in funzione dell’identità di quella cellula e degli stimoli ambientali che riceve. Per quanto concerne i neuroni è ormai assodato che le modificazioni epigenetiche sono alla base dei processi di memoria e apprendimento. Ovvero, la reversibilità dinamica dei segnali epigenetici nei neuroni suggerisce che questi possano essere rapidamente modificati in risposta agli stimoli esterni, in modo da regolare l’espressione di geni essenziali per la formazione, il consolidamento e la conservazione della memoria (Guo et al., 2011). Queste osservazioni hanno portato i ricercatori a ipotizzare che alterazioni dei meccanismi epigenetici possano giocare un ruolo chiave nel declino cognitivo e nell’insorgenza di patologie neurodegenerative quali ad esempio la malattia di Alzheimer (MA), la malattia di Parkinson (MP), la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), la corea di Huntington (HD) e molte altre (Coppedè 2014a). 7 PSICHE-CERVELLO Epigenetica Dalla genetica all’epigenetica delle malattie complesse Se si escludono le forme familiari di MA, MP e SLA, dove mutazioni in geni causativi (ad esempio in APP, PSEN1 e PSEN2 nella MA) sono trasmesse nelle famiglie con modelli Mendeliani, oltre il 90% dei casi di queste malattie neurodegenerative sono forme sporadiche risultanti da interazioni complesse tra fattori genetici e ambientali. La possibilità di condurre studi estesi a tutto il genoma, resa possibile dagli avanzamenti tecnologici degli ultimi decenni, ha permesso di identificare molti fattori di suscettibilità genetica per le forme sporadiche delle malattie neurodegenerative, ma al tempo stesso ha rivelato che la variabilità interindividuale della sequenza del DNA, da sola, non basta per spiegare la totalità dei casi. Di pari passo si è fatta strada l’ipotesi che l’interazione tra fattori genetici e ambientali nelle malattie umane è molto più complessa di quanto si riteneva in origine. Infatti, si è capito che molti fattori ambientali sono in grado di accendere o spegnere alcuni geni all’interno delle nostre cellule interferendo con i meccanismi epigenetici di regolazione dell’espressione genica, e che questo può accadere in ogni fase della nostra vita iniziando dai primi stadi dello sviluppo embrionale fino alla fine dei nostri giorni. Queste evidenze hanno rivoluzionato il nostro modo di approcciare le malattie complesse facendoci capire che non solo la mutazione di un gene può predisporre a una malattia, ma anche la mancata espressione di quel gene in un tessuto ove dovrebbe essere espresso, o la sua espressione anomala in uno in cui dovrebbe essere silenziato. La comunità scientifica ha pertanto iniziato a spostare gli interessi della ricerca dalle variazioni della sequenza del DNA ai meccanismi che regolano l’espressione genica nei vari tessuti, cercando di capire come, dove e quando le modificazioni epigenetiche possono essere importanti per la patologia umana, quali sono i geni più suscettibili a variazioni della regolazione dell’espressione nelle varie malattie, e quali fattori ambientali possono indurre tali cambiamenti epigenetici. Al tempo stesso, data la reversibilità delle modificazioni epigenetiche, è nato l’interesse nei confronti di molecole aventi proprietà epigenetiche quali potenziali farmaci nella terapia delle malattie complesse (Coppedè, 2014b). Alterazioni epigenetiche nelle malattie neurodegenerative Le evidenze di alterazioni epigenetiche in modelli animali, cellulari, e in pazienti affetti da malattie neurodegenerative Tabella 1. Deacetilasi istoniche (HDAC) e alcuni loro inibitori (HDACi) Classe Proteine / Localizzazione sub-cellulare Inibitori (HDACi) Classe I (zinco- dipendente) HDAC 1 / nucleo HDAC 2 / nucleo HDAC 3/ shuttle tra nucleo e citoplasma HDAC 8 / nucleo Pan-inibitori: Tricostatina A, Vorinostat, Butirrato di sodio, Fenilbutirrato, Valproato Inibitori selettivi: MS-275 (HDAC1), 4b (HDAC1 e 3) Classe IIa (zinco-dipendente) HDAC 4 / nucleo-citoplasma HDAC 5 / nucleo-citoplasma HDAC 7 / nucleo-citoplasma HDAC 9 / nucleo-citoplasma Pan-inibitori: Tricostatina A, Vorinostat, Butirrato di sodio, Fenilbutirrato, Valproato Classe IIb (zinco-dipendente) HDAC 6 / citoplasma HDAC 10 / citoplasma Pan-inibitori: Tricostatina A, Vorinostat, Classe III (nicotinamide-dipendente) Sirtuina (SIRT) 1 e 6 / nucleo SIRT 2 / citosol SIRT 3, 4, 5 / mitocondri SIRT 7 / nucleolo Pan-inibitori: nicotinamide Inibitori selettivi: AK-1, AGK-2, AK-7 (sirtuina 2) Classe IV (zinco- dipendente) HDAC 11 / nucleo Inibitori selettivi: LAQ824 Fonte: Coppedè, 2014b 8 PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014 sono molteplici e rimando il lettore interessato a una mia recente revisione della letteratura (Coppedè 2014a). In questo articolo mi limiterò a riassumerne alcune delle più importanti. Anzitutto, nonostante i meccanismi epigenetici siano molteplici, quelli più studiati anche dal punto di vista di un potenziale intervento farmacologico sono la metilazione del DNA e l’acetilazione delle code degli istoni. La metilazione del DNA, mediata da enzimi chiamati DNA metiltransferasi (DNMT), è associata a repressione dell’espressione genica, in altre parole se il promotore è metilato il gene non può essere trascritto, mentre se il promotore è demetilato la trascrizione è possibile. L’acetilazione e la deacetilazione delle code degli istoni, mediate rispettivamente da enzimi chiamati acetiltransferasi (HAT) e deacetilasi (HDAC) istoniche, permettono rilassamento della cromatina e possibilità di trascrizione genica (acetilazione), oppure compattamento della cromatina che impedisce l’accesso al DNA dei macchinari di trascrizione (deacetilazione). Studi condotti in cervelli autoptici di pazienti MA hanno rivelato cambiamenti nei livelli di metilazione, rispetto a cervelli autoptici di individui cognitivamente sani (Mastroeni et al. 2010). In parallelo molti autori suggeriscono un ruolo delle modificazioni delle code istoniche nella patogenesi della MA e nel declino cognitivo (Gräff et al., 2012). La proteina mutata alfa-sinucleina, che causa MP, sequestra l’enzima DNMT1 nel citoplasma inducendo cambiamenti epigenetici globali nel cervello di soggetti con MP (Desplats et al., 2011). Il ruolo dell’epigenetica è emerso anche in forme monogeniche di malattie neurodegenerative. Ad esempio la proteina mutata huntingtina, che causa HD, interagisce direttamente con le proteine HAT e HDAC (Steffan et al., 2000). Queste e molte altre evidenze hanno dimostrato che numerose alterazioni epigenetiche sono riscontrabili nelle regioni affette di pazienti con malattie neurodegenerative, inducendo i ricercatori a investigare in modelli cellulari e animali il potenziale di farmaci epigenetici nel contrastarle. Tabella 2. Alcuni esempi dell’effetto del trattamento con HDACi in modelli animali di malattie neurodegenerative HDACi Modello animale* Risultati Butirrato di sodio, Valproato, Vorinostat, o Tricostatina A Topi transgenici, modello di MA Molti studi hanno dimostrato che il trattamento con uno di questi agenti comportava migliorie nella memoria e nell’apprendimento MS-275 Topi transgenici, modello di MA 10 giorni di somministrazione orale miglioravano il comportamento riducendo la neuroinfiammazione e l’amiloidosi Butirrato di sodio o Vorinostat Drosophila che sovraesprime alfa-sinucleina, modello di MP 20 giorni di trattamento riducevano la tossicità mediata da alfa-sinucleina AK-1 o AGK-2 Drosophila che sovraesprime alfa-sinucleina, modello di MP 20 giorni di trattamento riducevano la tossicità mediata da alfa-sinucleina Butirrato di sodio Ratti, modelli murini di MP 5 giorni di iniezione intra-peritoneale alleviavano il deficit cognitivo Acido valproico Topi esposti a MPTP, modello di MP 4 settiminane di somministrazione orale riducevano la tossicità mediata da alfa-sinucleina Butirrato di sodio, Tricostatina A, o Valproato Topi SOD1-G93A, modello di SLA Il trattamento con uno di questi agenti ritardava la progressione della malattia o aumentava la sopravvivenza dell’animale 4b Topi transgenici, modello di HD 10-12 settimane di trattamento miglioravano le funzioni motorie e cognitive AK-7 Topi transgenici, modello di HD 4 settimane di trattamento miglioravano le funzioni motorie e riducevano la formazione di aggregati di huntingtina mutat *Molti dei modelli animali sovra-esprimevano proteine mutate (proteina precursore della beta-amiloide “APP” e preseniline “PSEN” nei modelli di MA, alfa-sinucleina nei modelli di MP, superossido dismutasi “SOD1” nei modelli di SLA, e huntingtina nei modelli di HD) o erano indotti da esposizione a pesticidi (modelli di MP). Fonte: Coppedè, 2014b PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014 9 PSICHE-CERVELLO Epigenetica Il potenziale della terapia epigenetica nella neurodegenerazione Esistono molte molecole in grado di inibire gli enzimi responsabili della formazione e della rimozione dei segnali epigenetici. In tabella 1 sono mostrate le principali molecole in grado di inibire le proteine HDAC (HDACi) ampiamente utilizzate in modelli animali di malattie neurodegenerative. Farmaci inibitori delle HDAC come l’acido valproico e il suo sale, il valproato di sodio, sono comunemente utilizzati nel trattamento delle epilessie e dei disordini bipolari, mentre farmaci inibitori delle DNMT, come la 5-azacitidina e la decitabina, sono utilizzati con successo nel trattamento delle sindromi mielodisplastiche. Nessuno di questi farmaci è utilizzato per il trattamento di malattie neurodegenerative, ma molti studi condotti in modelli animali di queste malattie hanno spesso dimostrato che la somministrazione di HDACi era in grado di alleviare il deficit cognitivo e di migliorare i sintomi motori in questi animali (Tabella 2). Risultati simili sono stati ottenuti con la somministrazione di molecole in grado di donare gruppi metile per la metilazione del DNA, quali ad esempio la S-adenosilmetionina (Montgomery et al., 2014). Considerazioni e prospettive future I successi ottenuti nei modelli animali non possono ancora considerarsi sufficienti per suggerire un trattamento farmacologico delle malattie neurodegenerative con farmaci epigenetici. Motivi di preoccupazione sono che spesso questi composti inibiscono molti enzimi simultaneamente e potrebbero dar luogo a spiacevoli effetti indesiderati. Ci sono poi le differenze anatomiche e metaboliche tra animali e uomo da tenere in considerazione. Inoltre le dosi, i tempi e i modi di somministrazione erano spesso diversi negli esperimenti condotti con modelli animali, rendendo difficile la comprensione di quale potrebbe essere la strategia più idonea per gli esseri umani. A tale proposito dovremmo anche tenere in considerazione la lezione imparata con il trattamento dei tumori. Infatti, mentre il trattamento con farmaci epigenetici è efficace nel caso delle sindromi mielodisplastiche, i trials clinici nei tumori solidi non hanno dato i risultati attesi, probabilmente perché ancora non è chiaro il dosaggio e i tempi di somministrazione (Azad et al., 2013). Infine, molti autori sottolineano la necessità di avere a disposizione farmaci più selettivi in grado di inibire in maniera specifica l’uno o l’altro dei molteplici enzimi 10 che mediano la formazione e la rimozione dei segnali epigenetici, questo perché questi enzimi sono espressi in maniera differenziale nelle diverse aree cerebrali ed enzimi diversi potrebbero essere importanti nell’eziologia dell’una o dell’altra malattia neurodegenerativa. Nonostante queste considerazioni inducano a compiere altri studi prima di poter trasferire le ricerche di laboratorio al trattamento degli esseri umani, il potenziale della terapia epigenetica nel trattamento della neurodegenerazione rimane elevato e, probabilmente, uno dei più promettenti (Coppedè 2014b). A queste molecole di sintesi si aggiungono poi molte sostanze naturali con proprietà epigenetiche, quali ad esempio folati, polifenoli, flavonoidi, che potrebbero costituire validi aiuti nella prevenzione di queste patologie. Riferimenti bibliografici Azad N, et al. 2013. The future of epigenetic therapy in solid tumours-lessons from the past. Nat. Rev. Clin. Oncol. 10(5):256-66. Coppedè F (2014a). Epigenetics and Cognitive Disorders. In “Epigenetics in Psychiatry”, J. Peedicayl, D.R. Grayson, and D. Avramopoulos, Eds. Academic Press, Elsevier Inc. pp. 343-367. Coppedè F (2014b). The potential of epigenetic therapies in neurodegenerative diseases. Front. Genet. 5:220. Desplats P, et al. (2011). Alpha-synuclein sequesters Dnmt1 from the nucleus: a novel mechanism for epigenetic alterations in Lewy body diseases. J. Biol. Chem. 286, 9031–9037. Gräff J, et al. (2012). An epigenetic blockade of cognitive functions in the neurodegenerating brain. Nature 483, 222–226. Guo JU, et al. (2011a). Neuronal activity modifies the DNA methylation landscape in the adult brain. Nat. Neurosci. 14, 1345–1351. Mastroeni D, et al. (2010). Epigenetic changes in Alzheimer’s disease: decrements in DNA methy- lation. Neurobiol. Aging 31, 2025–2037. Montgomery SE, et al. (2014). The effect of s-adenosylmethionine on cognitive performance in mice: an animal model meta-analysis. PLoS One. 9, e107756. Steffan JS, et al. (2000). The Huntington’s disease protein interacts with p53 and CREB- binding protein and represses transcription. Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. 97, 6763–6768. PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014
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