PSICHE-CERVELLO, IL MASTER SYSTEM

rivista della società italiana di psico - neuro - endocrino - immunologia diretta da Francesco Bottaccioli
PNEINEWS
I NUOVI SAPERI DELLA SCIENZA E DELLA SALUTE
PSICHE-CERVELLO,
IL MASTER SYSTEM
Le parole chiave del dibattito attuale:
Coscienza, epigenetica cerebrale,
classificazione dei disordini psichiatrici
Rivista bimestrale - n. 5 - anno VIII - Settembre Ottobre 2014
SOMM ARIO
www.sipnei.it
PNEINEWS - n° 5 Anno 2014
EDITORIALE
3PSICHE-CERVELLO,
IL MASTER SYSTEM DELLA SALUTE UMANA
F. Bottaccioli
INTERVISTA
4
LA COSCIENZA COME INTEGRAZIONE DI I­ NFORMAZIONE
A colloquio con il neurofisiologo Massimini
Paola Emilia Cicerone
Dalla prima teorizzazione di Edelman e Tononi sulla coscienza come processo di integrazione delle
informazioni, realizzato dal sistema talamo-corticale, si è passati alla fase della misurazione della coscienza,
con risultati sorprendenti anche per situazioni cliniche in cui si pensa che la coscienza sia minima.
PSICHE-CERVELLO EPIGENETICA
7
MALATTIE NEURODEGENERATIVE.
È POSSIBILE PROSPETTARE UNA TERAPIA EPIGENETICA? Fabio Coppedè
Si stanno sperimentando farmaci epigenetici che danno risultati molto promettenti nel modello
animale che, se da un lato non devono indurci a facili ottimismi, dall’altro ci segnalano che il
potenziale della terapia epigenetica nel trattamento della neurodegenerazione è alto e, probabilmente,
uno dei più promettenti
PNEINEWS. Rivista bimestrale della Società Italiana
di Psiconeuroendocrinoimmunologia.
PSICHE-CERVELLO PSICHIATRIA
11
IL NUOVO DSM-5.
QUANDO LE SOGLIE SONO TROPPO BASSE Paolo Migone
La quinta edizione del Manuale Diagnostico Statistico (DSM), che è molto autorevole e ha profonde
influenze sulla psichiatria, presenta un abbassamento delle soglie di molte diagnosi, col rischio che
aumentino i “falsi positivi”
MEDICINA VETERINARIA
19
Jutta Ziegler
Anche gli animali cosiddetti di compagnia s’ammalano sempre più di malattie ad insorgenza precoce
e ad andamento cronico. Un interessante libro, di cui traduciamo alcune pagine, mostra come sia
necessario un cambio di paradigma anche in medicina veterinaria
Il contributo della
Psiconeuroendocrinoimmunologia
allo studio e alla cura delle malattie
infiammatorie immuno-mediate
GIORNATA DI STUDIO
Firenze, 17 gennaio 2015
Auditorium di Sant’Apollonia
2
Hanno collaborato a questo numero
Francesco Bottaccioli, Paola Emilia Cicerone,
Fabio Coppedè, Paolo Migone, Jutta Ziegler
Illustrazione di copertina
Margherita Allegri - www.margheallegri.com
UNA NUOVA MEDICINA ANCHE PER GLI ALTRI ANIMALI
IL FILO ROSSO
DELL’INFIAMMAZIONE
Direttore Responsabile
Francesco Bottaccioli - [email protected]
Società Italiana di
Psiconeuroendocrinoimmunologia.
Formazione universitaria
MASTER IN “PNEI
E SCIENZA DELLA CURA INTEGRATA”
UNIVERSITÀ DELL’AQUILA,
UN’OCCASIONE UNICA IN ITALIA
DOPO IL SUCCESSO DELLA PRIMA
EDIZIONE DEL MASTER DI II LIVELLO
IN “PNEI E SCIENZA DELLA CURA
INTEGRATA”, SONO APERTE LE ISCRIZIONI
ALLA NUOVA EDIZIONE PER L’ANNO
ACCADEMICO 2014-2015.
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PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014
EDITORIALE
Psiche-cervello,
il master system della salute umana
Francesco Bottaccioli – Direzione Master II livello in “PNEI e Scienza della cura integrata”, Università dell’Aquila
L
o scienziato cognitivo francese Stanislas Dehaene, nel
1
suo ultimo libro appena tradotto in italiano , racconta
come lo studio della coscienza, per decenni, fosse stato
bandito dalle Università e dai laboratori di ricerca per il fatto
di essere considerato “un ambito nebuloso e mal definito”
collocandosi al di fuori dei limiti della scienza normale
(p.24). Secondo Dehaene, tutto cambia con la fine degli anni
’80 del secolo scorso, quando lo studio della coscienza e della
soggettività, progressivamente, diventa un eccitante campo
di ricerca “normale”. Effettivamente, ci sono ricercatori,
come lo stesso Dehaene e Giulio Tononi e Marcello
2
Massimini (che abbiamo intervistato in questo numero) che
hanno rotto ogni remora sullo studio della coscienza, senza
paura di addentrarsi, come neuroscienziati, nel campo della
soggettività umana. Ma non mancano scienziati e filosofi
cognitivi che ancora leggono la soggettività umana come un
mero riflesso dell’attività cerebrale.
Il nostro cervello, secondo una tesi ribadita recentemente
3
dalla filosofa Patricia Churchland , sarebbe una macchina
geneticamente predeterminata e dotata di congegni che
comandano le nostre attività, da quelle fisiologiche e
vegetative fino a quelle comportamentali. In realtà non
siamo padroni di noi stessi - scrive Churchland - ci sembra
di esserlo perché abbiamo un congegno in testa che ci dà
l’illusione di decidere ciò che in realtà ha già deciso per noi il
nostro cervello.
Altri filosofi della mente ne traggono conclusioni generali
relative all’Io, definito come “campo di effetti prodotti dal
cervello” o “l’esito dell’elaborazione di informazioni realizzate
negli eventi biochimici del cervello”: una soggettività fragile
e costruita come narrazione ex-post, posticcia, di facciata,
4
“la facciata dell’inconscio computazionale” . È questa una
visione dell’essere umano che ha il difetto, per usare le
parole di Eric Kandel, “di banalizzare sia il cervello che la
5
mente” . In realtà abbiamo prove crescenti che la relazione
PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014
psiche-cervello è talmente intrecciata e vicendevolmente
influente da disegnare un vero e proprio sistema integrato,
in cui una componente ha un vitale bisogno dell’altra.
Senza una buona psicologia degli stati di coscienza, scrive
Kandel, non possiamo fare progressi in biologia e viceversa.
Recentemente Steven W. Cole, oncologo e immunologo al
Campus di Los Angeles, ha aumentato le nostre conoscenze
descrivendo lo schema di trascrizione genica in senso
infiammatorio che viene attivato nelle cellule immunitarie
dalla percezione psichica di vari fonti stressanti: isolamento
6
sociale, paura, stress cronico, lutto e simili . Questo
“engramma” biologico infiammatorio, che può avere anche
una segnatura epigenetica, può diventare persistente e
autoalimentarsi tramite pensieri, emozioni, comportamenti e
passare così da fenomeno transitorio a disordine strutturato.
Al riguardo, sia Freud che Selye ci hanno insegnato che il
discrimine tra una condizione di salute e una di malattia
passa anche per la percezione che il soggetto ha di se stesso.
Uno degli stati psichici maggiormente patogeni è percepirsi
ed essere classificato malato. Per questo, come mostra
l’analisi di Paolo Migone in questo numero, è pericoloso
allargare le maglie della diagnosi in psichiatria.
Uno dei principali rischi della nuova edizione del Manuale
diagnostico di psichiatria ( DSM 5) è infatti quello di produrre
“falsi positivi” e cioè persone che verranno classificate malate
senza esserlo.
1. Dehaene S. (2014) Coscienza e cervello. Come i neuroni codificano il pensiero,
Milano, Cortina
2. Massimini M., Tononi G (2013) Nulla di più grande. Dalla veglia al sonno, dal
coma al sogno. Il segreto della coscienza e la sua misura, Milano, Baldini&Castoldi. Ma
di Tononi si veda anche PHI. Un viaggio dal cervello all’anima, Torino, Codice 2014
3. Churchland P. (2013) L’io come cervello, Milano, Cortina pp. 20-21
4. Marraffa M. & Paternoster A. (2013). Sentirsi esistere. Inconscio, coscienza,
autocoscienza, Bari, Laterza.
5. Kandel E. (2013). The new science of mind and the future of knowledge.
Neuron, 80, 3: 546-560. DOI: 10.1016/j.neuron.2013.10.039.
6. Cole SW (2014) Human Social Genomics, PLOS 10; e1004601
3
INTERVISTA
Psiche-cervello: la coscienza
La coscienza come integrazione
di informazione
A colloquio con il neurofisiologo Massimini
Paola Emilia Cicerone - Giornalista scientifica
Dalla prima teorizzazione di Edelman e Tononi sulla coscienza come processo di integrazione delle informazioni,
realizzato dal sistema talamo-corticale, si è passati alla fase della misurazione della coscienza, con risultati
sorprendenti anche per situazioni cliniche in cui si pensa che la coscienza sia minima.
“L
a coscienza è la cosa più preziosa che abbiamo, anche
se tendiamo a darla per scontata. Per questo è così
importante occuparcene, e capire di cosa si tratta”:
Marcello Massimini ha aperto così il suo seguitissimo
intervento a BergamoScienza, a fine ottobre.
Neurofisiologo e docente dell’Università di Milano,
Massimini è un’autorità internazionale sul tema, e con
Giulio Tononi ha raccontato le sue ricerche in un saggio,
Nulla di più grande. Dalla veglia al sonno, dal coma
al sogno. Il segreto della coscienza e la sua misura
(Baldini&Castoldi, 2013). Ricerche che gli abbiamo chiesto
di descriverci. “Senza coscienza non ci sarebbe niente, ed è
qualcosa di cui abbiamo diretta esperienza, a differenza di
quanto avviene con soggetti di studio altrettanto misteriosi
come i buchi neri o i fenomeni quantistici” spiega il
ricercatore. “Ce ne rendiamo conto quando cadiamo in un
sonno profondo e tutto quello che ci circonda, sparisce”.
Capirlo non è solo una sfida speculativa, ma anche una
necessità etica, “con ricadute importanti dal punto di vista
clinico”, prosegue Massimini “perché ci permetterebbe di
valutare tutte le situazioni di danno cerebrale in cui non è
chiaro se la coscienza sia presente o meno”.
La coscienza non deriva dal numero assoluto
di neuroni coinvolti.
Nel saggio, Massimini e Tononi raccontano la loro
avventura, a partire da quella che gli autori definiscono
un’esperienza unica, ma comune agli studenti di medicina:
“Quella di soppesare sul palmo della mano un cervello
4
umano, un chilo e mezzo di materia gelatinosa, che però
ha contenuto l’intero universo di una persona cosciente.
Un’ esperienza che dà le vertigini, paragonabile a quella
deli astronauti che hanno visto per la prima volta la terra
dallo spazio”.
In realtà, quello che ci interessa se ci occupiamo di
coscienza è solo la parte più moderna del cervello, il sistema
talamocorticale “che contiene circa il 20% dei 100 miliardi
di neuroni presenti nel cervello, ma è uno straordinario
sistema unitario, il più grande che esista nell’Universo ”,
spiega Massimini, “mentre il cervelletto, che ne contiene
il rimanente 80%, nonostante la sua complessità è una
struttura modulare, tanto che non lo dovremmo neanche
considerare un tutto unico”. Tanto che senza cervelletto
si può vivere, mentre lesioni anche poco estese al sistema
talamo corticale possono portare al coma o a gravi deficit
cognitivi.
Resta da capire - per citare la frase poetica del filosofo Colin
Mc Ginn - “come l’acqua del cervello fisico si trasformi nel
vino della coscienza”. Se mai potremmo capirlo, perché i
tanti modelli proposti, sia dagli scienziati sia dai filosofi
non hanno dato risultati convincenti. “Il problema”,
spiega Massimini “è che si tende a ragionare in termini di
input/output, identificando la coscienza con la capacità di
comunicare. Ma non è sempre così: pensiamo a casi come
la complete locked in syndrome in cui i pazienti sono del
tutto impossibilitati a comunicare, eppure ci sono test in
grado di mostrare che sono coscienti “. E sono sempre più
numerose le situazioni in cui ci si trova di fronte a pazienti
PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014
in quello che è recentemente stato definito “ stato di
coscienza minimo”, difficile da identificare proprio perché
spesso sono etichettati come “ in stato vegetativo”. Capire
come nasce la coscienza nel cervello, spiega Massimini,
potrebbe servire ad aiutare questi pazienti, e non solo “
Molti ricerche sulla coscienza sono state realizzate da
anestesisti”, spiega Massimini “perché può succedere, in
rari casi, che pazienti anestetizzati riprendano coscienza
pur rimanendo paralizzati e incapaci a muoversi: però
le modalità finora utilizzate per verificare se il paziente
anestetizzato sia o no cosciente non hanno dato risultati
soddisfacenti “.
Anche per la difficoltà di trovare una modalità oggettiva
ed efficace di misurazione. “Oggi esistono tecniche che
permettono di misurare l’attività dei neuroni - quelle
che sono servite per identificare gli stati minimi di
coscienza- ma sono troppo complesse e impegnative per
dare garanzie di risultato ”, spiega Massimini. “Anche il
livello di attività cerebrale elettrica o metabolica non è
un parametro efficace, perché quando ci si addormenta
il cervello rimane attivo, e altre ipotesi, come un indice
che misuri la sincronia nelle oscillazioni dei neuroni, non
hanno fornito risultati convincenti “.
La collaborazione con Giulio Tononi:
misurare la coscienza
Nasce così l’idea di fare un passo indietro, e affrontare il
problema dal punto di vista teorico, partendo non dalle
misurazioni ma dal tentativo di definire in cosa consista
la coscienza. Una “rivoluzione copernicana”, la definisce
Massimini che ne è stato protagonista a fianco del
neuropsichiatra Giulio Tononi, docente all’Università del
Wisconsin e già collaboratore del premio Nobel Gerald
Edelman, recentemente scomparso. “Tononi ed io ci
siamo resi conto che inseguivano lo stesso sogno quando
ci siamo incontrati, dodici anni fa, e tutti e due avevamo
in borsa un articolo apparso su una rivista poco nota che
mostrava come fosse possibile registrare le risposte del
cervello con la stimolazione magnetica transcranica”,
racconta Massimini. E’ nata così una collaborazione che
ha visto Tononi più impegnato a definire gli aspetti teorici
mentre Massimini si è concentrato sulle verifiche cliniche
sperimentali.
“L’idea è di ripartire dalla nostra esperienza: se ci
riflettiamo, vediamo che le proprietà fondamentali
PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014
della coscienza sono due, la ricchezza di informazioni
e l’integrazione ”, sintetizza Massimini. ”Proviamo
a spiegare la prima: immaginiamo di essere in una
stanza vicini a un fotodiodo, una semplice resistenza
che può distinguere tra luce e buio. Se la luce comincia
ad accendersi e spegnere, il fotodiodo registrerà sempre
e comunque solo l’alternanza tra luce e buio, mentre
un essere umano vivrà esperienze diverse se la stanza
cambia colore o gli vengono mostrate immagini di volti
o paesaggi“. La seconda è invece l’integrazione : “Ogni
esperienza cosciente è assolutamente unitaria: il nostro
cervello è un tutt’uno e quando sceglie un’esperienza, lo
fa in modo unitario ”, prosegue il ricercatore. “Per capirlo,
pensiamo a quelle immagini ambigue che rappresentano
un vaso o due profili: non possiamo vederle entrambe
contemporaneamente, ma solo una per volta, in
successione ”. Da queste premesse deriva l’enunciato
fondamentale: “Un sistema fisico è cosciente nella misura
in cui è in grado di integrare informazione”. La coscienza
nasce dunque da un complesso equilibrio tra unità e
differenziazione, “un equilibrio molto raro in natura”
precisa Massimini. E’ questa la teoria dell’informazione
integrata, prodotta inizialmente da Tononi e da Edelman e
poi sviluppata insieme a Massimini. “Quello che abbiamo
fatto è stato cercare di misurare questa informazione con
un’approssimazione empirica”, prosegue il ricercatore.
Utilizzando due tecnologie già esistenti, la stimolazione
5
INTERVISTA
Psiche-cervello: la coscienza
magnetica transcranica - una tecnica non invasiva vecchia
di quasi un secolo, in pratica una sonda magnetica che
attiva i neuroni - e l’elettroencefalografia, che registra l’eco
elettrica dell’attività neuronale : “ la novità è stata usarle
in combinazione, per ”bussare” sulla corteccia cerebrale
e vedere se come la risposta si propaga” esemplifica
Massimini.
E’ come se si trattasse di esaminare il lavoro di un’orchestra
in cui ogni musicista tiene conto di ciò che fanno gli altri: “
Possiamo dire che la stimolazione magnetica serve a dare
il là a uno strumento, l’elettroencefalografia ad ascoltare
il concerto che viene generato per vedere se arriva un eco
complessa, segno che la coscienza è presente, oppure se
qualcosa è andato storto”.
Verifiche sperimentali
Una volta formulata, l’ipotesi è stata verificata in condizioni
note “Abbiamo cominciato testando questo metodo sulle
diverse fasi del sonno, poi durante anestesie di diverso
tipo” sintetizza Massimini “si è visto che le tracce elettriche
sono diverse a seconda che il soggetto sia sveglio, in fase
di sonno non rem, l’unica forma fisiologica di perdita della
coscienza, o in fase di sonno Rem in cui se il paziente sogna
si vede comunque l’attivazione, e ancora con pazienti
anestetizzati”. In seguito sono cominciate le esperienze con
i pazienti in stato vegetativo o con pazienti locked, da cui
si sono avute risposte analoghe a quella dei soggetti sani:
“Si è visto che anche i pazienti in stato minimo di coscienza
hanno una complessità elevata, più simile alla veglia che
al sonno o allo stato vegetativo. E questo ci fa ben sperare:
uno degli scopi di questa ricerca è individuare pazienti che
possono trarre beneficio dalla riabilitazione e individuare
gli strumenti per aiutarli” osserva Massimini.
Dieci anni di lavoro hanno portato a risultati più che
soddisfacenti, adesso le ricerche continuano con numeri
più grandi “e anche se non posso fornire ancora dettagli - si
tratta di ricerche non ancora pubblicate-stiamo ottenendo
risultati molto incoraggianti spiega Massimini
Con quali ricadute pratiche? “Uno dei nostri obiettivi è
capire cosa va storto quando la coscienza viene perduta
in situazioni patologiche”, spiega il ricercatore “ci sono
pazienti che hanno una porzione di cervello integra
notevole e un basso livello di complessità di interazione,
potremmo arrivare a capire cosa succede e come aiutarli”.
Mentre dal punto di vista teorico, in qualche modo la teoria
6
dell’informazione integrata sembra rivalutare il concetto di
inconscio: “ non mi occupo di psicoterapia, però è certo che
queste ricerche mostrano che nel nostro cervello c’è una
notevole attività che avviene sotto il livello di coscienza”,
rileva Massimini. “Da questo punto di vista, parlare di
inconscio ha certamente senso, anche se non sappiamo se e
come questo possa condizionare il nostro comportamento
cosciente”.
In futuro sono previste ricerche su altri stati di coscienza,
per esempio su soggetti che praticano la meditazione,
mentre almeno per ora non si lavorerà su animali: “in
teoria il sistema potrebbe essere applicato a qualunque
soggetto, ma le misurazioni sono calibrate sull’esperienza
umana“, conclude Massimini, “anche se è probabile che
alcuni animali abbiano un livello di coscienza complessa,
ma non paragonabile a quella degli umani che hanno la
caratteristica unica di essere esposti a un ambiente molto
ricco e di avere delle potenzialità di crescita che altre specie
non hanno”.
UN NEUROFISIOLOGO
STUDIOSO DEL SONNO E DELLA COSCIENZA
Medico e neurofisiologo, si
è laureato all’Università di
Milano dove attualmente
insegna. È Invited Professor
presso il Coma Science Group
dell’Università di Liegi. Di
questi argomenti ha pubblicato
su importanti riviste scientifiche
internazionali, tra cui Science,
Nature, PNAS e Brain. Ha
lavorato in Canada, alla Laval University (Quebec), con
Mircea Steriade, uno dei più prestigiosi studiosi del
sonno, e, successivamente, nel dipartimento di psichiatria
dell’Università del Wisconsin, con Giulio Tononi, che ha
collaborato a lungo con il Nobel Gerald Edelman. Sempre
in collaborazione con l’Università del Wisconsin,
Massimini sta attualmente mettendo a punto, in
Italia, nuovi strumenti per lo studio del sonno, della
coscienza e delle loro alterazioni. Con Giulio Tononi ha
recentemente pubblicato Nulla di più grande. Dalla
veglia al sonno, dal coma al sogno. Il segreto della
coscienza e la sua misura (Baldini&Castoldi,2013)
PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014
PSICHE-CERVELLO Epigenetica
Malattie neurodegenerative.
È possibile prospettare una terapia
Fabio Coppedè - Ricercatore e Docente di Genetica Medica presso il Dipartimento di Ricerca Traslazionale
e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa
Si stanno sperimentando farmaci epigenetici che danno risultati molto promettenti nel modello animale che, se
da un lato non devono indurci a facili ottimismi, dall’altro ci segnalano che il potenziale della terapia epigenetica
nel trattamento della neurodegenerazione è alto e, probabilmente, uno dei più promettenti
C
on il termine “epigenetica” si intendono cambiamenti
nell’espressione genica ereditabili tramite meiosi e
mitosi che non implicano modificazioni della sequenza del
DNA. Infatti, i meccanismi epigenetici quali la metilazione
del DNA, le modificazioni delle code degli istoni, e i
processi di rimodellamento della cromatina, controllano
il rilassamento o il compattamento della cromatina lungo
l’asse del cromosoma e permettono o inibiscono l’accesso del
promotore di un gene ai macchinari di trascrizione, regolando
l’espressione genica senza comportare cambiamenti nella
sequenza del DNA. Un tempo si pensava che le modificazioni
epigenetiche fossero importanti per permettere lo sviluppo
e il differenziamento cellulare e venissero poi mantenute
stabili nell’organismo adulto per mantenere l’identità
cellulare in cellule differenziate. Tuttavia è ormai chiaro che
queste modificazioni chimiche del DNA e della cromatina
sono meno stabili di quanto originariamente creduto, poiché
possono essere indotte da fattori ambientali e occorrono
anche durante il corso della vita in tessuti sani, giocando un
ruolo fondamentale nell’insorgenza e nella progressione di
numerose malattie complesse, compresi i disturbi psichiatrici
e le malattie neurodegenerative (Coppedè, 2014a).
Per capire meglio il ruolo dell’epigenetica immaginiamo
che il DNA sia un libro che contiene le istruzioni per
assemblare i diversi componenti di un macchinario in una
fabbrica. Le mutazioni del DNA sono dei cambiamenti
stabili di queste istruzioni, in altre parole sono degli errori
di battitura nel testo del libro che comportano che l’operaio
che legge istruzioni sbagliate assembli i pezzi in maniera
PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014
non corretta. Al contrario, le modificazioni epigenetiche
sono dei meccanismi che aprono il libro a pagine diverse,
in modo che l’operaio che deve assemblare il telaio legga le
istruzioni per assemblare il telaio, mentre quello che deve
assemblare il motore trovi il libro aperto alla pagina dove
sono contenute le informazioni per assemblare il motore.
Ritornando al mondo della cellula, le mutazioni sono dei
cambiamenti che si fissano nella sequenza del DNA portando
alla produzione di proteine spesso difettose o non funzionali,
mentre le modificazioni epigenetiche sono dei meccanismi
reversibili che permettono alla cellula di esprimere e
reprimere geni diversi, e quindi di produrre o no le proteine
da questi codificate, in funzione dell’identità di quella cellula
e degli stimoli ambientali che riceve. Per quanto concerne i
neuroni è ormai assodato che le modificazioni epigenetiche
sono alla base dei processi di memoria e apprendimento.
Ovvero, la reversibilità dinamica dei segnali epigenetici nei
neuroni suggerisce che questi possano essere rapidamente
modificati in risposta agli stimoli esterni, in modo da
regolare l’espressione di geni essenziali per la formazione,
il consolidamento e la conservazione della memoria (Guo et
al., 2011).
Queste osservazioni hanno portato i ricercatori a ipotizzare
che alterazioni dei meccanismi epigenetici possano giocare
un ruolo chiave nel declino cognitivo e nell’insorgenza di
patologie neurodegenerative quali ad esempio la malattia di
Alzheimer (MA), la malattia di Parkinson (MP), la sclerosi
laterale amiotrofica (SLA), la corea di Huntington (HD) e
molte altre (Coppedè 2014a).
7
PSICHE-CERVELLO Epigenetica
Dalla genetica all’epigenetica delle malattie complesse
Se si escludono le forme familiari di MA, MP e SLA,
dove mutazioni in geni causativi (ad esempio in APP,
PSEN1 e PSEN2 nella MA) sono trasmesse nelle famiglie
con modelli Mendeliani, oltre il 90% dei casi di queste
malattie neurodegenerative sono forme sporadiche
risultanti da interazioni complesse tra fattori genetici e
ambientali. La possibilità di condurre studi estesi a tutto
il genoma, resa possibile dagli avanzamenti tecnologici
degli ultimi decenni, ha permesso di identificare molti
fattori di suscettibilità genetica per le forme sporadiche
delle malattie neurodegenerative, ma al tempo stesso ha
rivelato che la variabilità interindividuale della sequenza
del DNA, da sola, non basta per spiegare la totalità dei casi.
Di pari passo si è fatta strada l’ipotesi che l’interazione
tra fattori genetici e ambientali nelle malattie umane
è molto più complessa di quanto si riteneva in origine.
Infatti, si è capito che molti fattori ambientali sono in
grado di accendere o spegnere alcuni geni all’interno delle
nostre cellule interferendo con i meccanismi epigenetici
di regolazione dell’espressione genica, e che questo
può accadere in ogni fase della nostra vita iniziando
dai primi stadi dello sviluppo embrionale fino alla fine
dei nostri giorni. Queste evidenze hanno rivoluzionato
il nostro modo di approcciare le malattie complesse
facendoci capire che non solo la mutazione di un gene
può predisporre a una malattia, ma anche la mancata
espressione di quel gene in un tessuto ove dovrebbe
essere espresso, o la sua espressione anomala in uno in
cui dovrebbe essere silenziato. La comunità scientifica
ha pertanto iniziato a spostare gli interessi della ricerca
dalle variazioni della sequenza del DNA ai meccanismi che
regolano l’espressione genica nei vari tessuti, cercando di
capire come, dove e quando le modificazioni epigenetiche
possono essere importanti per la patologia umana, quali
sono i geni più suscettibili a variazioni della regolazione
dell’espressione nelle varie malattie, e quali fattori
ambientali possono indurre tali cambiamenti epigenetici.
Al tempo stesso, data la reversibilità delle modificazioni
epigenetiche, è nato l’interesse nei confronti di molecole
aventi proprietà epigenetiche quali potenziali farmaci
nella terapia delle malattie complesse (Coppedè, 2014b).
Alterazioni epigenetiche nelle malattie neurodegenerative
Le evidenze di alterazioni epigenetiche in modelli animali,
cellulari, e in pazienti affetti da malattie neurodegenerative
Tabella 1. Deacetilasi istoniche (HDAC) e alcuni loro inibitori (HDACi)
Classe
Proteine / Localizzazione sub-cellulare
Inibitori (HDACi)
Classe I
(zinco- dipendente)
HDAC 1 / nucleo
HDAC 2 / nucleo
HDAC 3/ shuttle tra nucleo e citoplasma
HDAC 8 / nucleo
Pan-inibitori: Tricostatina A, Vorinostat,
Butirrato di sodio, Fenilbutirrato, Valproato
Inibitori selettivi:
MS-275 (HDAC1),
4b (HDAC1 e 3)
Classe IIa
(zinco-dipendente)
HDAC 4 / nucleo-citoplasma
HDAC 5 / nucleo-citoplasma
HDAC 7 / nucleo-citoplasma
HDAC 9 / nucleo-citoplasma
Pan-inibitori:
Tricostatina A, Vorinostat,
Butirrato di sodio, Fenilbutirrato, Valproato
Classe IIb
(zinco-dipendente)
HDAC 6 / citoplasma
HDAC 10 / citoplasma
Pan-inibitori:
Tricostatina A, Vorinostat,
Classe III
(nicotinamide-dipendente)
Sirtuina (SIRT) 1 e 6 / nucleo
SIRT 2 / citosol
SIRT 3, 4, 5 / mitocondri
SIRT 7 / nucleolo
Pan-inibitori:
nicotinamide
Inibitori selettivi:
AK-1, AGK-2, AK-7
(sirtuina 2)
Classe IV
(zinco- dipendente)
HDAC 11 / nucleo
Inibitori selettivi:
LAQ824
Fonte: Coppedè, 2014b
8
PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014
sono molteplici e rimando il lettore interessato a una mia
recente revisione della letteratura (Coppedè 2014a). In
questo articolo mi limiterò a riassumerne alcune delle
più importanti. Anzitutto, nonostante i meccanismi
epigenetici siano molteplici, quelli più studiati anche dal
punto di vista di un potenziale intervento farmacologico
sono la metilazione del DNA e l’acetilazione delle code
degli istoni. La metilazione del DNA, mediata da enzimi
chiamati DNA metiltransferasi (DNMT), è associata a
repressione dell’espressione genica, in altre parole se il
promotore è metilato il gene non può essere trascritto,
mentre se il promotore è demetilato la trascrizione è
possibile. L’acetilazione e la deacetilazione delle code
degli istoni, mediate rispettivamente da enzimi chiamati
acetiltransferasi (HAT) e deacetilasi (HDAC) istoniche,
permettono rilassamento della cromatina e possibilità di
trascrizione genica (acetilazione), oppure compattamento
della cromatina che impedisce l’accesso al DNA dei
macchinari di trascrizione (deacetilazione). Studi condotti
in cervelli autoptici di pazienti MA hanno rivelato
cambiamenti nei livelli di metilazione, rispetto a cervelli
autoptici di individui cognitivamente sani (Mastroeni et
al. 2010). In parallelo molti autori suggeriscono un ruolo
delle modificazioni delle code istoniche nella patogenesi
della MA e nel declino cognitivo (Gräff et al., 2012). La
proteina mutata alfa-sinucleina, che causa MP, sequestra
l’enzima DNMT1 nel citoplasma inducendo cambiamenti
epigenetici globali nel cervello di soggetti con MP (Desplats
et al., 2011). Il ruolo dell’epigenetica è emerso anche in
forme monogeniche di malattie neurodegenerative. Ad
esempio la proteina mutata huntingtina, che causa HD,
interagisce direttamente con le proteine HAT e HDAC
(Steffan et al., 2000). Queste e molte altre evidenze hanno
dimostrato che numerose alterazioni epigenetiche sono
riscontrabili nelle regioni affette di pazienti con malattie
neurodegenerative, inducendo i ricercatori a investigare
in modelli cellulari e animali il potenziale di farmaci
epigenetici nel contrastarle.
Tabella 2. Alcuni esempi dell’effetto del trattamento con HDACi
in modelli animali di malattie neurodegenerative
HDACi
Modello animale*
Risultati
Butirrato di sodio, Valproato,
Vorinostat, o Tricostatina A
Topi transgenici,
modello di MA
Molti studi hanno dimostrato che il trattamento
con uno di questi agenti comportava migliorie
nella memoria e nell’apprendimento
MS-275
Topi transgenici,
modello di MA
10 giorni di somministrazione orale miglioravano il comportamento riducendo la neuroinfiammazione e l’amiloidosi
Butirrato di sodio o Vorinostat
Drosophila che sovraesprime alfa-sinucleina,
modello di MP
20 giorni di trattamento riducevano la tossicità
mediata da alfa-sinucleina
AK-1 o AGK-2
Drosophila che sovraesprime alfa-sinucleina,
modello di MP
20 giorni di trattamento riducevano la tossicità
mediata da alfa-sinucleina
Butirrato di sodio
Ratti, modelli murini di MP
5 giorni di iniezione intra-peritoneale alleviavano il deficit cognitivo
Acido valproico
Topi esposti a MPTP,
modello di MP
4 settiminane di somministrazione orale riducevano la tossicità mediata da alfa-sinucleina
Butirrato di sodio,
Tricostatina A, o Valproato
Topi SOD1-G93A,
modello di SLA
Il trattamento con uno di questi agenti ritardava la progressione della malattia o aumentava
la sopravvivenza dell’animale
4b
Topi transgenici,
modello di HD
10-12 settimane di trattamento miglioravano le
funzioni motorie e cognitive
AK-7
Topi transgenici,
modello di HD
4 settimane di trattamento miglioravano le
funzioni motorie e riducevano la formazione di
aggregati di huntingtina mutat
*Molti dei modelli animali sovra-esprimevano proteine mutate (proteina precursore della beta-amiloide “APP” e preseniline “PSEN” nei modelli di
MA, alfa-sinucleina nei modelli di MP, superossido dismutasi “SOD1” nei modelli di SLA, e huntingtina nei modelli di HD) o erano indotti
da esposizione a pesticidi (modelli di MP). Fonte: Coppedè, 2014b
PNEI NEWS | n. 5 Settembre Ottobre 2014
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PSICHE-CERVELLO Epigenetica
Il potenziale della terapia epigenetica
nella neurodegenerazione
Esistono molte molecole in grado di inibire gli enzimi
responsabili della formazione e della rimozione dei segnali
epigenetici. In tabella 1 sono mostrate le principali molecole
in grado di inibire le proteine HDAC (HDACi) ampiamente
utilizzate in modelli animali di malattie neurodegenerative.
Farmaci inibitori delle HDAC come l’acido valproico
e il suo sale, il valproato di sodio, sono comunemente
utilizzati nel trattamento delle epilessie e dei disordini
bipolari, mentre farmaci inibitori delle DNMT, come la
5-azacitidina e la decitabina, sono utilizzati con successo
nel trattamento delle sindromi mielodisplastiche. Nessuno
di questi farmaci è utilizzato per il trattamento di malattie
neurodegenerative, ma molti studi condotti in modelli
animali di queste malattie hanno spesso dimostrato che
la somministrazione di HDACi era in grado di alleviare il
deficit cognitivo e di migliorare i sintomi motori in questi
animali (Tabella 2). Risultati simili sono stati ottenuti con
la somministrazione di molecole in grado di donare gruppi
metile per la metilazione del DNA, quali ad esempio la
S-adenosilmetionina (Montgomery et al., 2014).
Considerazioni e prospettive future
I successi ottenuti nei modelli animali non possono ancora
considerarsi sufficienti per suggerire un trattamento
farmacologico delle malattie neurodegenerative con farmaci
epigenetici. Motivi di preoccupazione sono che spesso
questi composti inibiscono molti enzimi simultaneamente
e potrebbero dar luogo a spiacevoli effetti indesiderati. Ci
sono poi le differenze anatomiche e metaboliche tra animali
e uomo da tenere in considerazione. Inoltre le dosi, i tempi
e i modi di somministrazione erano spesso diversi negli
esperimenti condotti con modelli animali, rendendo difficile
la comprensione di quale potrebbe essere la strategia più
idonea per gli esseri umani. A tale proposito dovremmo
anche tenere in considerazione la lezione imparata con
il trattamento dei tumori. Infatti, mentre il trattamento
con farmaci epigenetici è efficace nel caso delle sindromi
mielodisplastiche, i trials clinici nei tumori solidi non hanno
dato i risultati attesi, probabilmente perché ancora non è
chiaro il dosaggio e i tempi di somministrazione (Azad et
al., 2013). Infine, molti autori sottolineano la necessità di
avere a disposizione farmaci più selettivi in grado di inibire
in maniera specifica l’uno o l’altro dei molteplici enzimi
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che mediano la formazione e la rimozione dei segnali
epigenetici, questo perché questi enzimi sono espressi in
maniera differenziale nelle diverse aree cerebrali ed enzimi
diversi potrebbero essere importanti nell’eziologia dell’una
o dell’altra malattia neurodegenerativa. Nonostante queste
considerazioni inducano a compiere altri studi prima di
poter trasferire le ricerche di laboratorio al trattamento
degli esseri umani, il potenziale della terapia epigenetica
nel trattamento della neurodegenerazione rimane elevato
e, probabilmente, uno dei più promettenti (Coppedè
2014b). A queste molecole di sintesi si aggiungono poi
molte sostanze naturali con proprietà epigenetiche, quali
ad esempio folati, polifenoli, flavonoidi, che potrebbero
costituire validi aiuti nella prevenzione di queste patologie.
Riferimenti bibliografici
Azad N, et al. 2013. The future of epigenetic therapy in
solid tumours-lessons from the past. Nat. Rev. Clin. Oncol.
10(5):256-66.
Coppedè F (2014a). Epigenetics and Cognitive Disorders.
In “Epigenetics in Psychiatry”, J. Peedicayl, D.R. Grayson,
and D. Avramopoulos, Eds. Academic Press, Elsevier Inc.
pp. 343-367.
Coppedè F (2014b). The potential of epigenetic therapies
in neurodegenerative diseases. Front. Genet. 5:220.
Desplats P, et al. (2011). Alpha-synuclein sequesters
Dnmt1 from the nucleus: a novel mechanism for epigenetic
alterations in Lewy body diseases. J. Biol. Chem. 286,
9031–9037.
Gräff J, et al. (2012). An epigenetic blockade of cognitive
functions in the neurodegenerating brain. Nature 483,
222–226.
Guo JU, et al. (2011a). Neuronal activity modifies the DNA
methylation landscape in the adult brain. Nat. Neurosci.
14, 1345–1351.
Mastroeni D, et al. (2010). Epigenetic changes in
Alzheimer’s disease: decrements in DNA methy- lation.
Neurobiol. Aging 31, 2025–2037.
Montgomery SE, et al. (2014). The effect of
s-adenosylmethionine on cognitive performance in mice:
an animal model meta-analysis. PLoS One. 9, e107756.
Steffan JS, et al. (2000). The Huntington’s disease
protein interacts with p53 and CREB- binding protein and
represses transcription. Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. 97,
6763–6768.
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