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TAR - 12/2013 -
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Tribunale amministrativo regionale Piemonte Sez. I 12 dicembre 2013 n. 1336 Pres. Salamone Est. Fratamico C. (avv. Carena, D’Herin) Comune di Cumiana e altri (n.c.). (avv.
Bolley)
[1608/240] Comuni e province - Consiglieri comunali e provinciali - Consiglieri comunali - Dimissioni
- Rassegnate nelle mani del Segretario comunale - Delibera consiliare di annullamento - Illegittimità.
È illegittima la deliberazione con la quale il Consiglio comunale dichiara l’inefficacia
delle dimissioni presentate da alcuni Consiglieri comunali direttamente nelle mani del Segretario comunale invece che ad esso Consiglio comunale, atteso che l’esigenza di assicurare che
le dimissioni siano assistita da particolari cautele, anche di ordine formale, non deve travalicare il generale canone di proporzionalità.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 1168 del 2013,
proposto da: Roberto Costelli, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mauro Carena e Hebert
D’Herin, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, via Rosta, 13;
contro
Comune di Cumiana, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Paolo
Bolley, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Piemonte in Torino, corso Stati
Uniti, 45;
nei confronti di
Vittorio Grometto;
per l’annullamento
a) della deliberazione del consiglio comunale del Comune di Cumiana dell’11/9/2013 n.
42 - recante ad oggetto ″valutazione della validità/efficacia delle dimissioni dei consiglieri
Roberto Costelli, Paolo Poggio, Roberto Mollar e Luisa Ballari in funzione delle caratteristiche formali essenziali stabilite dalla legge - art. 38 del D.Lgs. n. 267/2000 e successive
modifiche e revoca delibere n.ri 24-25-26 e 27 del 24 giugno 2013 in quanto prove del
presupposto di preventiva efficacia e validità delle dimissioni″ - pubblicata all’Albo Pretorio
del Comune per 15 giorni consecutivi dal 18/9/2013;
b) di ogni altro atto alla stessa preordinato, preparatorio, propedeutico, consequenziale
o comunque connesso ed in particolare, ove occorrer possa:
b.1) della deliberazione del consiglio comunale del Comune di Cumiana del 18/7/2013
n. 29 - recante ad oggetto ″lettura ed apporovazione verbali sedute del 12 marzo 2013, del
22 maggio 2013, del 12 giugno 20134 e del 24 giugno 2013″ - pubblicata all’Albo Pretorio del
Comune per 15 giorni consecutivi dal 5/8/2013;
b.2) della deliberazione del consiglio comunale del Comune di Cumiana del 18/7/2013
n. 34 - recante ad oggetto ″surroga consigliere comunale dimissionario (sig. Luca Andreotti)
e convalida del consigliere neoeletto″ - pubblicata all’Albo Pretorio del Comune per 15
giorni consecutivi dal 5/8/2013;
b.3) della deliberazione del consiglio comunale del Comune di Cumiana del 25/7/2013
n. 40 - recante ad oggetto ″annullamento, in sede di autotutela, di tutte le dimissioni e le
rinunce, a partire da quella originaria dei consiglieri Roberto Costelli, Paolo Poggio,
Roberto Mollar e Luisa Ballari e le successive, con la revoca delle relative delibere nn. 24,
25, 26 e 27 del 24.06.2013, con le quali i predetti dimissionari sarebbero stati surrogati″;
b.4) della deliberazione del consiglio comunale del Comune di Cumiana del 10/10/2013
n. 44 - recante ad oggetto ″lettura ed approvazione verbali sedute del 15 luglio 2013, 18 luglio
2013, 24 luglio 2013, 25 luglio 2013, 10 settembre 2013 e 11 settembre 2013″.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cumiana;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2013 la dott.ssa Ofelia
Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO — Con ricorso notificato il 12.11.2013 il sig. Roberto Costelli ha
chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, la deliberazione del
Consiglio Comunale del Comune di Cumiana dell’11.09.2013 n. 42 avente ad oggetto la
“valutazione della validità/efficacia delle dimissioni dei consiglieri Roberto Costelli, Paolo
Poggio, Roberto Mollar e Luisa Ballari... e revoca delibere n.ri 24, 25, 26 e 27 del 24 giugno
2013 in quanto prive del presupposto di preventiva validità delle dimissioni”, nonché ogni
altro atto alla stessa preordinato, preparatorio, propedeutico, consequenziale o comunque
connesso.
A sostegno della sua domanda il ricorrente ha dedotto 1) violazione di legge ed eccesso
di potere, violazione o falsa interpretazione dell’art. 38 comma 8 d.lgs. n. 267/2000, violazione dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza, travisamento dei fatti, irragionevolezza e contraddittorietà manifesti; 2) eccesso di potere per disparità di trattamento e
contraddittorietà manifesti; 3) eccesso di potere per sviamento.
Si è costituito in giudizio il Comune di Cumiana eccependo, in via preliminare,
l’inammissibilità e, in ogni caso, l’infondatezza del ricorso avversario.
Alla camera di consiglio dell’11.12.2013 la causa è stata, quindi, trattenuta in decisione
ex art. 60 c.p.a., sussistendone i presupposti di legge.
Deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse.
Il ricorrente, che ha presentato le sue dimissioni il 4.06.2013, ha, infatti, un interesse
concreto ed attuale ad essere riconosciuto proprio da tale data dimissionario dalla carica di
consigliere comunale e dunque, ormai, non più componente del Consiglio Comunale e
partecipe delle decisioni di tale organo, a prescindere dalla possibilità di rassegnare nuovamente , in qualsiasi momento, le dimissioni, che decorrerebbero, però, dalla nuova presentazione.
Quanto al merito del ricorso, il sig. Roberto Costelli ha contestato, in primo luogo,
l’interpretazione data dal Consiglio Comunale all’art. 38, comma 8 d.lgs. n. 267/2000, per cui
non potevano essere considerate ritualmente proposte le dimissioni 1) che fossero state
indirizzate al Sindaco ed al Segretario Comunale, invece che al Consiglio, 2) che non
risultassero presentate o personalmente o per il tramite di persona delegata con atto
autenticato in data non anteriore a cinque giorni 3) che non apparissero assunte immediatamente al protocollo dell’Ente nell’ordine temporale di presentazione.
Alla luce degli atti di causa, dai quali emerge la avvenuta consegna da parte del
ricorrente e degli altri consiglieri Paolo Poggio, Roberto Mollar e Luisa Ballari della
dichiarazione di dimissioni direttamente nelle mani del Segretario Comunale di Cumiana
dott. Giuseppe Burrello, con contestuale assunzione al protocollo in ordine di presentazione
(cfr. documenti nn. 2, 3, 4, 5 e 10 del ricorrente), la suddetta censura è fondata e meritevole
di accoglimento.
Quanto al fatto che le dimissioni fossero rivolte non al Consiglio Comunale, come
prescritto dall’art. 38 comma 8 d.lgs. n. 267/2000, occorre, infatti, sottolineare come “ la pur
condivisibile esigenza di assicurare che la presentazione delle dimissioni dalla carica di
consigliere comunale sia assistita da particolari cautele anche di ordine formale non debba
trovare applicazioni fattuali idonee a travalicare il generale canone di proporzionalità,
ovvero tali da consentire applicazioni concrete di carattere distorto o strumentale (cfr. Cons.
St., Sez. VI, 19.08.2009 n. 4982 di riforma della sentenza del TAR Puglia citata dal Comune
nella memoria di costituzione)
Nella decisione ricordata il Consiglio di Stato, ritenendo “ necessario assicurare (al
contempo) che l’applicazione pratica delle disposizioni in tema di dimissioni dalla carica di
consigliere comunale (anche in relazione alle conseguenze per ciò che attiene all’eventuale
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scioglimento dell’Organo elettivo) non obliteri in modo ingiustificato le prerogative di altri
soggetti operanti nell’ambito dell’organizzazione dell’Ente, ovvero ne ignori in modo
indebito la sfera di competenze”, osserva che “ciò comporta l’esigenza di tenere in adeguata
considerazione l’inscindibile nesso funzionale che lega l’attività del segretario comunale a
quella dell’Organo consiliare, individuando il primo quale soggetto istituzionalmente deputato a svolgere funzioni consultive referenti e di assistenza alle riunioni dell’Organo elettivo,
curandone altresì la verbalizzazione (in tal senso: comma 4, lettera d) dell’art. 97 del
T.U.E.L.).È noto al riguardo che la riforma del 2000 abbia enfatizzato il richiamato nesso
funzionale, superando il previgente modello delineato dalla legge n. 142 del 1990 (in cui il
ruolo del segretario era limitato alla sola verbalizzazione degli atti consiliari) ed istituendo
un nuovo modello nel cui ambito il segretario si atteggia quale garante della legittimità e
della correttezza dell’azione amministrativa dell’Ente locale.Nell’ambito del modello da
ultimo delineato non solo appare indubitabile la conferma del ruolo istituzionale del
segretario comunale inteso anche quale segretario ex lege dell’Assemblea elettiva, ma
appare altresì evidente che il medesimo soggetto rivesta un innegabile ruolo di interfaccia
istituzionale dell’intera attività dell’Organo, con un’ampiezza di funzioni che non appare
passibile di interpretazioni restrittive.
Già sotto tale aspetto, quindi, appare innegabile che la presentazione degli atti di
dimissioni al segretario ex lege dell’assemblea elettiva concreti adeguatamente il requisito
formale imposto dal comma 8 dell’art. 8 del T.U.E.L., il quale impone che le dimissioni
debbano essere indirizzate al rispettivo consiglio.
Si osserva, inoltre, che la lettura qui proposta appaia altresì la più adeguata a
contemperare (secondo il richiamato canone di proporzionalità) per un verso l’esigenza a
che l’espressione della volontà del consigliere dimissionario sia assistita da particolari
formalità (anche al fine di garantire la genuinità dell’espressione di un atto dalle rilevanti
conseguenze politiche ed istituzionali), ma per altro verso anche l’esigenza a che l’applicazione della pertinente disciplina non si presti ad utilizzazioni sterilmente formalistiche
ovvero palesemente strumentali, quali quelle che potrebbero derivare da una sorta di
’monito’ politico veicolato attraverso un atto formalmente - e deliberatamente - inefficace
(le dimissioni presentate in forme non rituali), ma del pari idoneo a sortire conseguenze di
carattere politico e ad alterare gli equilibri istituzionali esistenti in seno all’Ente locale.
Si intende, in definitiva, affermare che, nell’ambito delle interpretazioni possibili circa
il pertinente quadro normativo in tema di formalità di presentazione dell’atto di dimissioni
- nonché in relazione alle relative conseguenze -, l’interprete debba (in ossequio al ripetuto
canone di proporzionalità, ma anche al canone di ragionevolezza e del buon andamento
della cosa pubblica) privilegiare una lettura la quale, pure in un necessario quadro di
garanzie, assicuri al contempo comportamenti responsabili e non vuotamente strumentali da
parte dei rappresentanti degli Organi elettivi”.
I medesimi principi conducono a reputare validamente presentate le dimissioni anche
sotto gli ulteriori punti di vista della modalità di presentazione - che il Segretario Comunale
attesta essere avvenuta direttamente a cura degli interessati nelle sue mani (cfr. doc. n. 10 del
ricorrente) - e dell’assunzione al protocollo, completa di timbro indicativo del titolo, della
classe, del numero, della data di presentazione dell’atto e dell’unità organizzativa responsabile (“segr.”, cioè segretario comunale) della ricezione a mani dagli stessi consiglieri
dimissionari.
In presenza di tali elementi, precisi ed univoci nel dimostrare una tempestiva e rituale
protocollazione, i generici dubbi sollevati dal Consiglio Comunale per fondare la delibera di
dichiarazione di invalidità delle dimissioni e di annullamento delle delibere di surroga dei
componenti dimissionari non appaiono in grado di inficiare in alcun modo la validità delle
dimissioni stesse.
Alla luce delle argomentazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, accolto,
con conseguente annullamento della delibera del Consiglio Comunale di Cumiana n. 42
dell’11.09.2013 e delle ulteriori delibere impugnate, propedeutiche e consequenziali ad essa,
ed assorbimento di ogni altra doglianza.
Per la particolarità della controversia sussistono, in ogni caso, giusti motivi per
compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando,
- accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati;
- compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Savio Picone, Primo Referendario
Ofelia Fratamico, Primo Referendario, Estensore
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Tribunale amministrativo regionale Piemonte Sez. I 28 dicembre 2013 n. 1377 Pres. Balucani
Est. Ravasio B. (avv.Furno) Ministero interno . (Avv. Stato)
[7932/374] Sicurezza pubblica - Stranieri (in particolare: extracomunitari) - Permesso di soggiorno Rinnovo - Diniego - Per mancata allegazione alla domanda del passaporto biometrico - Illegittimità - Ratio.
È illegittimo il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno a cittadino extracomunitario
che assume, come unica causa giustificativa della determinazione adottata, la mancata allegazione alla domanda del passaporto biometrico, dal 2011 divenuto obbligatorio anche in
Albania, paese d’origine dello straniero, atteso che quest’ultimo, all’atto di chiedere il rinnovo,
aveva prodotto copia del passaporto ordinario con validità fino al 2015, la cui validità non
poteva, in mancanza di prova contraria, essere venuta meno automaticamente per effetto della
entrata in vigore in Albania di una legislazione che prevede il rilascio di passaporti biometrici.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 1004 del 2013,
proposto da: Zef Bishaj, rappresentato e difeso dall’avv. Laura Furno, con domicilio eletto
presso Laura Furno in Torino, via Nino Bixio, 4;
contro
Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distr.le Torino, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45; Questore di Cuneo;
per l’annullamento
del provvedimento Cat. A12 n. 123/2013/Imm. dell’8.3.2013, notificato il 9.4.2013 e
consegnato al ricorrente in data 16.7.2013, con il quale il Questore della Provincia di Cuneo
ha disposto il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata l’11.8.2012
per motivi di lavoro;
nonchè per l’annullamento
del provvedimento Cat. A12/2013 del 20.8.2013 notificato il 29.8.2013, con il quale la
Questura di Cuneo, Dirigente dell’Ufficio Immigrazione ha comunicato il diniego dell’istanza di riesame in autotutela del succitato provvedimento Cat. A12 n. 123/2013/Imm.
dell’8.3.2013 presentata in data 31.7.2013, compresa la prescrizione di lasciare l’Italia entro
il termine di 15 giorni dalla notifica;
nonchè degli atti tutti antecedenti, preordinati, conseguenziali e comunque connessi del
relativo procedimento e per ogni ulteriore statuizione.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 la dott.ssa Roberta
Ravasio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
- Rilevato che il provvedimento impugnato, pur richiamando l’avviso ex art. 10 bis
inviato al ricorrente, indica quale unica causa del diniego la mancata produzione, in allegato
alla domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, del passaporto in corso di validità: in
particolare non sarebbe stato prodotto il passaporto biometrico che dal 2011 sarebbe
divenuto obbligatorio anche in Albania, paese d’origine del ricorrente;
- Considerato che all’atto di chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno il Zef Bishaj
ha prodotto copia di un passaporto con validità sino al 2015, e che la validità di tale
passaporto – la cui autenticità non è posta in discussione - non può ritenersi, in mancanza di
prova contraria, essere venuta meno automaticamente per effetto della entrata in vigore in
Albania di una legislazione che prevede il rilascio di passaporti biometrici;
- Ritenuto pertanto che il provvedimento impugnato si fonda su una circostanza
inesistente;
- Ritenuto infine che le spese del presente procedimento possono essere compensate in
relazione alla natura della controversia;
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per
l’effetto annulla il provvedimento del Questore della Provincia di Cuneo Cat. A12 n.
123/2013/Imm. dell’8.3.2013.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani, Presidente
Roberta Ravasio, Primo Referendario, Estensore
Paola Malanetto, Primo Referendario
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Tribunale amministrativo regionale Lombardia Milano Sez. III 3 dicembre 2013 n. 2681
Pres. Leo Est. Fornataro Consorzio P. 2 (avv. Torrani, Annoni) Autostrada P. L. s.p.a.,
AG sede secondaria italiana in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria del
R.T.I. con G.L.F. s.p.a., Impresa C.G.M. s.p.a., A. s.p.a. . (avv. Scoca, Angelini), (avv.
D’Amelio, Pellegrino, Bardelli)
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Dichiarazione ex art. 38, d.lg. n. 163 del 2006 - Relativamente ai soggetti cessati dalle
cariche sociali - Concernendo stati, fatti e qualità riguardanti terzi rispetto al dichiarante - Può
essere resa « per quanto a conoscenza » del dichiarante medesimo - Possibilità di effettuare
ulteriori verifiche nei confronti dei diretti interessati - Sussistenza per la stazione appaltante.
D.lg. 12 aprile 2006 n. 163, art. 38
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Aggiudicazione - Provvisoria - Impugnazione - È una mera facoltà per il concorrente
- Intervenuta impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria - Deve essere seguita a pena di
improcedibilità dall’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Aggiudicazione provvisoria - Impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria - Delimita le censure deducibili in sede di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva e con riferimento
alla posizione del controinteressato anche il tempo di proposizione del ricorso incidentale.
[3972/12] Giustizia amministrativa - Ricorso incidentale e domanda riconvenzionale - Impugnazione
principale - Esaurisce il novero delle questioni di legittimità proponibili avverso l’atto impugnato
e la relativa sequenza procedimentale onera l’avversario a far valere, nel termine di decadenza
l’interesse all’impugnativa incidentale.
[3972/12] Giustizia amministrativa - Ricorso incidentale e domanda riconvenzionale - Ricorso incidentale - Risente delle preclusioni che gravano sul ricorrente principale una volta che si sia avvalso
della facoltà di impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Dichiarazione riguardante la partecipazione azionaria da parte di società fiduciarie
- Autorizzate ai sensi della l. n. 1966 del 1939 - Deve essere effettuata dal concorrente aggiudicatario e a seguito di richiesta della stazione appaltante in sede di controllo dei requisiti - Ai sensi
dell’art. 38 lett. d), d.lg. n. 163 del 2006 e del combinato disposto delle norme poste dall’art. 17
comma 3, l. n. 55 del 1990 e dall’art. 1 comma 1, d.P.C.M. n. 187 del 1991.
L. 23 novembre 1939 n. 1966;
d.,lg. 12 aprile 2006 n. 163, art. 38, lett. d;
l. 19 marzo 1990 n. 55, art. 17 comma 3;
d.P.C.M. 11 maggio 1991 n. 187, art. 1 comma 1
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Principio di economicità - Esprime l’esigenza che la stazione appaltante definisca i criteri di
aggiudicazione e il relativo peso in modo da garantire il raggiungimento delle finalità perseguite
con il minore onere economico.
[5536/48] Opere pubbliche (lavori pubblici) (per i contratti pubblici di forniture e di servizi) - Appalti
per la realizzazione di opere pubbliche - In genere - Opere di interesse strategico - Applicabilità
dei principi posti dall’art. 76 del Codice degli appalti - Fattispecie.
D.lg. 12 aprile 2006 n. 163, art. 76
[5536/48] Opere pubbliche (lavori pubblici) (per i contratti pubblici di forniture e di servizi) - Appalti
per la realizzazione di opere pubbliche - Disciplina di gara - Che non consente di apportare
modifiche al progetto posto a base di gara se non in relazione alla cantierizzazione e solo per
limitarne gli impatti ambientali - Esclusione della legittimità di qualunque variante incidente sulle
opere da realizzare.
[2340/228] Danni - Risarcimento in forma specifica - È uno dei modi attraverso i quali il danno può
essere risarcito - La cui scelta spetta al creditore salva l’ipotesi di eccessiva onerosità o l’oggettiva
impossibilità.
[2340/168] Danni - Patrimoniali e non patrimoniali - In genere - Risarcimento - Per equivalente o in
forma specifica - Si caratterizza per l’imposizione al danneggiante di una prestazione diversa in
sostituzione di quella originaria.
[3972/1968] Giustizia amministrativa - Obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi al
giudicato amministrativo o ordinario (Giudizio di ottemperanza) - In genere - Completamento
della tutela offerta dal giudizio di ottemperanza con la possibilità di esperire un’azione di
condanna al rilascio del provvedimento richiesto - Ai sensi dell’art. 34 comma 1 lett. c) c.p.a. - In
sede di cognizione - A condizione che si tratti di attività vincolata o che, comunque, non residuino
ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori da
compiere ad opera dell’Amministrazione.
Art. 34 comma 1 lett. c) c.p.a).
[6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Riguardante una infrastruttura
strategica - Mancata deduzione da parte del ricorrente a sostegno della richiesta di dichiarazione
dell’inefficacia del contratto della sussistenza di una delle ipotesi delineate dall’art. 121 c.p.a. Comporta che l’unica tutela conseguibile sia quella risarcitoria per equivalente, nei limiti in cui sia
dedotto un danno subito e provato.
Art. 121 c.p.a
[6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Responsabilità extracontrattuale
- Correlata alla mancata aggiudicazione di un appalto pubblico - Ravvisabilità - In presenza di tutti
gli elementi di cui all’art. 2043 c.c. - Irrilevanza dell’elemento soggettivo dell’illecito, configurando
una responsabilità di natura oggettiva.
Art. 2043 c.c
[6328/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Responsabilità dell’Amministrazione correlata all’aggiudicazione di un appalto pubblico - È di tipo oggettivo - Secondo un
principio elaborato con riguardo agli appalti comunitari ma che è da ritenersi principio generale
di diritto da estendersi a tutto il campo degli appalti pubblici.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Aggiudicazione - Annullamento dell’aggiudicazione disposta in favore del primo classificato Comporta la spettanza al secondo classificato in graduatoria del bene della vita preteso.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto Riconduzione
dell’illecito provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale - Onere probatorio
circa l’esistenza di un pregiudizio e la sua riconducibilità eziologica all’adozione del provvedimento illegittimo, nonché la misura del danno asseritamente sofferto - Incombe sulla parte
danneggiata.
[6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Prova della responsabilità - Può
fondarsi anche su presunzioni gravi, precise e concordanti - Elementi assunti a fonte di prova non
debbono essere necessariamente più di uno.
[6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Risarcimento del danno Criterio del 10% - Applicazione automatica - Esclusione - Costituisce solo un parametro di
riferimento - Utilizzabilità come punto di partenza per l’individuazione della percentuale di utile
che l’operatore economico danneggiato avrebbe verosimilmente conseguito se fosse risultato
aggiudicatario e se avesse concretamente eseguito il contratto.
[3972/1176] Giustizia amministrativa - Giudizio amministrativo - In genere - Giudizio risarcitorio dei
danni - Che ha ad oggetto l’accertamento della pretesa al risarcimento in conseguenza di un illecito
extracontrattuale e la conseguente condanna del danneggiante - Applicabilità del principio di
acquisizione dei mezzi di prova formulato in relazione alle azioni esperibili nel processo civile.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Offerte - Giudizio di anomalia - Deve essere complessivo.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Offerte - Giudizio di anomalia - Giustificazioni - Rimodulazione delle voci di costo
senza alcuna motivazione - Preclusione in sede di giustificazioni.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Concorrenti - Offerte - Giudizio di anomalia - Giustificazioni - Serietà dell’offerta - Ravvisabilità
anche in caso di riduzione dell’utile d’impresa - Purché non risulti del tutto azzerato - Ragioni.
[6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danno consistente nella perdita
dell’utile - Ricostruito in via presuntiva, sulla base di criteri di verosimiglianza - Quantificazione
ad opera del giudice verificando se l’ipotesi formulata dal ricorrente sia coerente con il contenuto
dell’offerta economica - Possibilità.
[6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danno da mancata percezione
dell’utile - Determinazione presuntiva del danno da mancata percezione dell’utile - Deve tener
conto della sottoposizione dell’attività dell’appaltatore al rischio di impresa - Di cui l’imprenditore
normalmente tiene conto in sede di quantificazione dell’offerta economica.
[6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danni - Danno da mancato utile
- Nel caso di annullamento dell’aggiudicazione e di certezza dell’aggiudicazione in favore del
ricorrente - Risarcimento in misura integrale - Spettanza - Solo in caso di dimostrazione
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dell’impossibilità di utilizzo delle maestranze e mezzi - Risarcimento del danno in misura inferiore
- Spettanza - In caso di difetto di tale dimostrazione - In applicazione del principio di cui all’art.
1227 c.c.
Art. 1227 c.c
[3972/1176] Giustizia amministrativa - Giudizio amministrativo - In genere - Giudizio risarcitorio dei
danni - Avanzato da concorrente in un gara d’appalto - Che contesti l’esito della gara in sede
giurisdizionale - È tenuto a rispettare il canone della diligenza professionale, ai sensi dell’art. 1176
c.c.
Art. 1176 c.c
[6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danno da mancato utile Quantum cui riferire il valore percentuale ai fini del risarcimento del danno - Non è il prezzo a
base d’asta - Ma l’importo concretamente offerto dal ricorrente - Ragioni.
[6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danno curriculare - Si concretizza nella perdita di qualificazione - Risarcibilità.
[6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danni - Danno curriculare - È
il pregiudizio conseguente al mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter
indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto.
[6628/48] Responsabilità civile - Amministrazione pubblica - Appalto - Danni - Danno curriculare Debenza degli interessi compensativi - Sulla somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno
per mancato conseguimento dell’utile derivante dall’esecuzione del contratto e di pregiudizio
curriculare - Con riferimento al periodo decorrente dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione e sino al deposito della sentenza - Esclusione - Debenza degli interessi nella misura legale
- Con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza e sino al soddisfo.
La dichiarazione richiesta dall’art. 38, d.lg. n. 163 del 2006, relativamente ai soggetti
cessati dalle cariche sociali, concernendo stati, fatti e qualità riguardanti terzi e non il
dichiarante, non può che essere resa — ai sensi dell’art. 47, d.P.R. n. 445 del 2000 — « per
quanto a conoscenza » del dichiarante medesimo, il quale non è neppure tenuto a indicare le
ragioni per le quali non ha potuto produrre le dichiarazioni dei diretti interessati, fermo
restando che rientra tra i poteri della stazione appaltante la possibilità di procedere, a fronte
di una compiuta identificazione dei soggetti interessati, ad ulteriori verifiche nei loro confronti.
Ne consegue che è del tutto ragionevole ritenere che, nei confronti dei soggetti cessati dalla
carica, in quanto, in mancanza di una diversa previsione della lex specialis, tale espressa
delimitazione esprime solo il riferimento al tempo sino al quale il dichiarante assume di avere
conoscenza delle eventuali condanne pronunciate a carico di coloro che ricoprivano cariche
sociali.
L’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inidoneo a produrre
la definitiva lesione dell’interesse dell’impresa che non sia risultata vincitrice, lesione che si
verifica soltanto con l’aggiudicazione definitiva, sicché l’impresa non aggiudicataria non ha
l’onere, ma la mera facoltà di impugnare immediatamente l’aggiudicazione provvisoria.
Nondimeno, sul soggetto che, pur non essendovi tenuto, abbia impugnato immediatamente e
in via autonoma il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, grava l’onere di impugnare,
in un secondo momento, anche l’aggiudicazione definitiva, pena l’improcedibilità del primo
ricorso. L’aggiudicazione definitiva, infatti, non è un atto meramente confermativo od
esecutivo di quella provvisoria, ma un provvedimento che, anche qualora recepisca integralmente i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, postula una nuova ed autonoma valutazione,
pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale.
In occasione dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, la parte che abbia proposto ricorso contro quella provvisoria potrà inoltre dedurre anche motivi relativi agli atti già
avversati, ma alla sola condizione che siffatti ulteriori motivi trovino giustificazione e
fondamento in circostanze non precedentemente conosciute. L’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria delimita non solo le censure deducibili in sede di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, ma con riferimento alla posizione del controinteressato, anche il tempo di
proposizione del ricorso incidentale, nel senso che è inammissibile il ricorso incidentale
proposto avverso l’aggiudicazione definitiva per dedurre censure già proponibili, sempre in
via incidentale, avverso l’aggiudicazione provvisoria.
Una volta che il ricorrente principale, abbia, come nella fattispecie, scelto di impugnare
l’aggiudicazione provvisoria, così precludendosi la formulazione, in sede di impugnazione
dell’aggiudicazione definitiva, di ulteriori censure avverso gli atti inseritisi nel contesto
procedimentale che ha portato all’aggiudicazione provvisoria gravata, risulta delimitato anche
il campo e il tempo delle eccezioni e delle controdomande, volte a paralizzare l’iniziativa
avversaria e proponibili dal controinteressato, atteso che l’interesse alla loro proposizione
sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, come è proprio del ricorso
incidentale ex art. 42 c.p.a. Pertanto, l’impugnazione principale, da un lato, esaurisce il novero
delle questioni di legittimità proponibili avverso l’atto impugnato e la relativa sequenza
procedimentale, dall’altro, onera l’avversario a far valere, nel termine di decadenza previsto
all’ordinamento, l’interesse all’impugnativa incidentale, che non poteva sorgere anteriormente
alla proposizione del ricorso principale e che ricomprende l’intero arco delle eccezioni e
domande in grado di paralizzare l’iniziativa avversaria, ormai cristallizzata nel suo petitum.
Il ricorso incidentale assume un contenuto complesso sì, ma innestato nella matrice
comune della « difesa attiva » e siffatta « difesa attiva » non può non risentire, pena l’abuso
dello strumento processuale a scapito delle controparti, delle preclusioni, che gravano sul
ricorrente principale una volta che si sia avvalso della facoltà di impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria. Preclusioni queste che, in perfetta adesione al principio della parità delle
parti nel processo, si riflettono sul novero (e sui tempi di proposizione) delle ragioni deducibili
con il ricorso incidentale, l’interesse alla cui proposizione sorge allora indefettibilmente in
dipendenza della notificazione del ricorso principale (che vale a cristallizzare il thema
decidendum con riguardo non solo agli atti con lo stesso aggrediti ma anche agli atti successivi
della procedura, nei confronti dei quali potranno essere dedotti solo vizi propri) e non può
certo ritenersi posposto ad un momento successivo (quello dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva) sì che la nuova domanda concernente i nuovi atti attinenti la medesima
procedura di gara non potrà essere bloccata da eccezioni e deduzioni, che avrebbero dovuto
proporsi tempestivamente nei confronti del ricorso principale (anche a tutela dell’interesse
pubblico alla certezza dell’azione amministrativa autoritativa, cui è connaturata la previsione
di termini di decadenza per l’azione in giudizio e per ogni utile reazione ad essa), avendo in
fin dei conti le due domande oggetti diversi.
L’art. 17 comma 3, l. n. 55 del 1990 prevede due differenti situazioni: da un lato, un
divieto assoluto di intestazione fiduciaria, che comporta l’immediata esclusione dalla gara,
dall’altro, un mero obbligo comunicativo, susseguente all’aggiudicazione e da assolversi,
pertanto, a seguito di essa e prima della stipula del contratto, pur nel rispetto del termine di
legge. In altre parole, il coordinamento tra l’art. 38 lett. d), d.lg. n. 163 del 2006 e il combinato
disposto delle norme poste dall’art. 17 comma 3, l. n. 55 del 1990 e dall’art. 1 comma 1,
d.P.C.M. n. 187 del 1991, conduce a ritenere che la dichiarazione riguardante la partecipazione azionaria da parte di società fiduciarie, autorizzate ai sensi della l. n. 1966 del 1939, non
deve essere effettuata dal concorrente in sede di presentazione dell’offerta, ma dal concorrente
che abbia conseguito l’aggiudicazione e a seguito di richiesta della stazione appaltante in sede
di controllo dei requisiti.
Il principio di economicità non si sostanzia nella mera massimizzazione del risparmio di
spesa, ma esprime l’esigenza che la stazione appaltante definisca i criteri di aggiudicazione e
il relativo peso in modo da garantire il raggiungimento delle finalità perseguite con il minore
onere economico, sicché proprio in sede di applicazione di tale criterio occorre tenere conto
della natura e della dimensione delle opere da realizzare e della loro incidenza sulla realtà
sociale ed economica dell’area di intervento.
Anche in relazione alle opere di interesse strategico trovano applicazione i principi posti
dall’art. 76 del Codice degli appalti, sicché quando il criterio di aggiudicazione è quello
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le stazioni appaltanti possono autorizzare gli
offerenti a presentare varianti; le stazioni appaltanti precisano nel bando di gara se autorizzano o meno le varianti; in mancanza di indicazione, le varianti non sono autorizzate; le
stazioni appaltanti che autorizzano le varianti menzionano nel capitolato d’oneri i requisiti
minimi che le varianti devono rispettare, nonché le modalità per la loro presentazione; le
stazioni appaltanti prendono in considerazione soltanto le varianti che rispondono ai requisiti
minimi da esse prescritti (nel caso di specie, non era consentita la presentazione di offerte,
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contenenti varianti in senso proprio, ossia che modifichino profili strutturali, qualitativi,
prestazionali o funzionali dell’opera, come definiti nel progetto posto a base di gara).
In presenza di una specifica disciplina di gara che non consente di apportare modifiche
al progetto posto a base di gara se non in relazione alla cantierizzazione e solo per limitarne
gli impatti ambientali, rimane esclusa la legittimità di qualunque variante incidente sulle opere
da realizzare, sia che si tratti di una modificazione strutturale, sia che si tratti di una
modificazione funzionale, qualitativa o prestazionale delle opere medesime.
Anche nel processo amministrativo la nozione di risarcimento in forma specifica va
individuata secondo la logica civilistica, in quanto le norme di riferimento non individuano in
modo autonomo dalla disciplina civilistica la nozione dell’istituto in esame, sicché esso
consiste nella diretta rimozione delle conseguenze derivanti dall’evento lesivo tramite la
produzione di una situazione materiale corrispondente a quella che si sarebbe realizzata se
non fosse intervenuto il fatto illecito produttivo del danno. La reintegrazione in forma
specifica rimane un rimedio risarcitorio, ossia una forma di reintegrazione dell’interesse del
danneggiato realizzata attraverso una prestazione diversa e succedanea rispetto a quella
originariamente dovuta, sicché essa non può essere confusa né con l’azione di adempimento,
diretta ad ottenere la condanna del debitore all’effettuazione della prestazione dovuta, né con
il diverso rimedio dell’esecuzione in forma specifica quale strumento per l’attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle conseguenze pregiudizievoli. La forma
specifica non è né una forma eccezionale, né una forma sussidiaria di responsabilità, ma uno
dei modi attraverso i quali il danno può essere risarcito, la cui scelta spetta al creditore salva
l’ipotesi di eccessiva onerosità o l’oggettiva impossibilità.
Lo strumento risarcitorio, quale mezzo di tutela praticabile in caso di lesione di una
posizione giuridica soggettiva meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, sia esso
per equivalente o in forma specifica, si caratterizza per l’imposizione al danneggiante di una
prestazione diversa in sostituzione di quella originaria. Ne consegue che se l’Amministrazione
era tenuta, in base ai criteri di legittimità che ne governano l’azione, al rilascio di un
determinato provvedimento, l’adozione di quell’atto costituisce il contenuto primario della
prestazione cui l’Amministrazione era tenuta e non assume una funzione risarcitoria.
La tutela specifica realizzabile attraverso la proposizione del giudizio di ottemperanza, si
completa, ai sensi dell’art. 34 comma 1, lett. c, c.p.a., con la possibilità di esperire un’azione
di condanna, in sede di cognizione e non di ottemperanza, al rilascio del provvedimento
richiesto, a condizione che si tratti di attività vincolata o che, comunque, non residuino
ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori
da compiere ad opera dell’Amministrazione, con la precisazione che l’azione deve essere
esperita in modo necessariamente congiunto con quella di annullamento del diniego opposto
dall’Amministrazione, ovvero contestualmente all’azione avverso il silenzio serbato illegittimamente dall’Amministrazione medesima. Siffatti rimedi, riferibili alla tutela conseguibile in
generale tramite gli strumenti propri del processo amministrativo e non esclusivi del settore
degli appalti, sono di più agevole applicazione per il ricorrente, rispetto ai rimedi risarcitori,
giacché si tratta di istituti di applicazione oggettiva, ancorati al dato dell’illegittimità dell’azione amministrativa e della natura del potere esercitato, mentre non postulano la dimostrazione di una responsabilità dell’Amministrazione anche su base soggettiva, come è necessario
per l’azione risarcitoria, che in generale e salve le precisazioni da compiere in materia di
appalti di rilevanza comunitaria, postula la dimostrazione dell’illecito, in termini di dolo o
colpa dell’apparato amministrativo. Inoltre, i rimedi in esame non incontrano i limiti propri
del risarcimento in forma specifica che, ai sensi dell’art. 2058 comma 2, c.c., richiede una
verifica in termini do onerosità, verifica esclusa, invece, per il giudizio di ottemperanza, che
incontra solo il limite della sopravvenuta impossibilità. Tanto basta per evidenziare che la
qualificazione della domanda volta ad ottenere l’aggiudicazione e il contratto in termini di
domanda risarcitoria non è condivisibile, perché è diretta ad ottenere proprio il provvedimento
cui, in ipotesi, avrebbe condotto un agire legittimo della stazione appaltante, ossia proprio la
prestazione attesa dal ricorrente.
Nel caso in cui l’appalto riguardi una infrastruttura strategica, la mancata deduzione da
parte del ricorrente a sostegno della richiesta di dichiarazione dell’inefficacia del contratto
della sussistenza di una delle ipotesi delineate dall’art. 121 c.p.a. — relativo all’inefficacia del
contratto per gravi violazioni e rilevante anche in tema di infrastrutture strategiche, secondo la
previsione dell’art. 125 c.p.a. — comporta che l’unica tutela conseguibile sia quella risarcitoria
per equivalente, nei limiti in cui sia dedotto un danno subito e provato, con la conseguenza che
va rigettata la domanda diretta ad ottenere l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto.
L’accoglimento della domanda risarcitoria postula la dimostrazione degli elementi
costitutivi della responsabilità extracontrattuale, ai sensi degli artt. 2043 e ss. c.c., disciplina cui,
secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, deve essere ricondotta la responsabilità
risarcitoria delle Amministrazioni, comprese le stazioni appaltanti qualificabili come Amministrazioni aggiudicatrici ai sensi del d.lg. n. 163 del 2006, a prescindere, come nella fattispecie,
dalla forma giuridica da esse rivestita. Nondimeno, trattandosi di responsabilità risarcitoria
correlata alla mancata aggiudicazione di un appalto pubblico, occorre fare applicazione del
principio che esclude la rilevanza dell’elemento soggettivo dell’illecito, configurando una
responsabilità di natura oggettiva.
La regola comunitaria vigente in materia di risarcimento dei danni per illegittimità
accertate in materia di appalti pubblici, per avere assunto provvedimenti illegittimi lesivi di
interessi legittimi, configura una responsabilità di tipo oggettivo, sottratta ad ogni possibile
esimente, poiché derivante da un principio generale funzionale a garantire la piena ed effettiva
tutela degli interessi delle imprese, a protezione della concorrenza, nel settore degli appalti
pubblici. Tale regola non può essere circoscritta ai soli appalti comunitari, ma deve estendersi,
in quanto principio generale di diritto comunitario inerente all’effettività della tutela, a tutto il
campo degli appalti pubblici, nei quali i principi di diritto comunitario hanno diretta rilevanza
ed incidenza, non fosse altro che per il richiamo che ad essi viene fatto dal nostro legislatore
nel Codice degli appalti, ex art. 2, d.lg. n. 163 del 2006.
Una volta caducata l’aggiudicazione in favore del primo classificato, deve essere valutata
in termini di certezza la spettanza al secondo classificato in graduatoria del bene della vita
preteso.
La riconduzione dell’illecito provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale implica che incombe sulla parte danneggiata, che agisce per il risarcimento, l’onere di
dimostrare, oltre all’esistenza di un pregiudizio e alla sua riconducibilità eziologica all’adozione del provvedimento illegittimo, anche la misura del danno asseritamente sofferto. Si tratta
di applicare al giudizio risarcitorio, proposto davanti al giudice amministrativo mediante
l’esperimento di un’azione di accertamento e di condanna, il principio generale sulla distribuzione dell’onere della prova, sancito dall’art. 2697 c.c., secondo cui chi agisce in giudizio
deve fornire la prova dei fatti costitutivi della pretesa vantata. L’art. 64 comma 1 c.p.a., invero,
stabilisce che spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro
disponibilità e riguardanti i fatti posti a fondamento di domande e di eccezioni, ma il
riferimento ad « elementi di prova » non vale a rendere applicabile nel giudizio risarcitorio il
principio dispositivo con metodo acquisitivo, caratteristico del processo impugnatorio, perché
rispetto alla domanda risarcitoria i mezzi di prova sono nell’immediata disponibilità di colui
che ha subito il danno, sicché sarebbe priva di giustificazione l’applicazione del criterio
caratteristico del giudizio di annullamento. Ne consegue che il danneggiato non può limitarsi,
ai fini della quantificazione del danno, ad allegare un principio di prova, ma è investito in
pieno dell’onere della prova, dovendo dimostrare la consistenza del pregiudizio di cui chiede
il ristoro.
Seppure l’art. 2729 c.c. ammette solo presunzioni gravi, precise e concordanti, gli elementi
assunti a fonte di prova della responsabilità non debbono essere necessariamente più di uno,
potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento, purché grave e
preciso, dovendo il requisito della « concordanza » ritenersi menzionato dalla legge solo in
previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi.
La rigida applicazione del criterio del 10% del valore dell’appalto conduce, almeno di
regola, all’abnorme risultato per cui il risarcimento finisce per essere, per l’operatore economico danneggiato, più conveniente dell’impiego del capitale, perché gli consente di raggiungere un predeterminato risultato economico senza sopportare in concreto il rischio di impresa.
Inoltre, sul piano probatorio la rigida applicazione del criterio del 10% condurrebbe ad una
distorsione del sistema, tale per cui il ricorrente non avrebbe più interesse a provare in modo
puntuale il danno subito, perché presumibilmente otterrebbe meno di quanto potrebbe
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conseguire mediante la liquidazione forfettaria fondata sul parametro del 10%. Ne discende
che il richiamato criterio del 10% non si presta ad una applicazione automatica, ma integra
solo un parametro di riferimento, che può essere utilizzato come punto di partenza per
l’individuazione, nel quadro della liquidazione equitativa del danno, ex art. 1226 c.c., della
percentuale di utile che l’operatore economico danneggiato avrebbe verosimilmente conseguito se fosse risultato aggiudicatario e se avesse concretamente eseguito il contratto.
Nel giudizio risarcitorio, che ha ad oggetto, pur se proposto davanti al giudice amministrativo, l’accertamento della pretesa al risarcimento in conseguenza di un illecito extracontrattuale e la conseguente condanna del danneggiante, trova applicazione il principio di
acquisizione dei mezzi di prova, formulato in relazione alle azioni esperibili nel processo
civile. È pacifico che il principio relativo alla distribuzione dell’onere della prova, di cui all’art.
2697 c.c., non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa debba
ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato del relativo onere, senza
poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti nel processo, poiché nell’ordinamento
processuale vale il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate,
concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la
diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro.
In un appalto, l’offerta, una volta presentata, non è suscettibile di modificazione — pena
la violazione della par condicio tra i concorrenti — ma ciò non toglie che, siccome l’obiettivo
della verifica di anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso e nel suo
importo originario, affidabile o meno, allora anche il giudizio di anomalia deve essere
complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia di quelli che militano a favore, sia di
quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme. Di conseguenza, si ritiene
possibile che, a fronte di determinate voci di prezzo giudicate eccessivamente basse e dunque
inattendibili, l’impresa dimostri che, per converso, altre voci sono state inizialmente sopravvalutate e che in relazione alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo,
documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di altre voci.
Sono coerenti con lo scopo del giudizio di anomalia e con il rispetto dei principi di parità
di trattamento e di divieto di discriminazione la modifica delle giustificazioni delle singole voci
di costo (rispetto alle giustificazioni eventualmente fornite), lasciando però le voci di costo
invariate; un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento in sopravvenienze di fatto o normative, che comportino una riduzione dei costi, o in originari e
comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili. Il sub procedimento di giustificazione
dell’offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta in itinere, ma mira a
verificare la serietà di un’offerta consapevolmente già formulata ed immutabile. Quello che
non si può consentire è che, in sede di giustificazioni, vengano apoditticamente rimodulate le
voci di costo senza alcuna motivazione, con un’operazione di finanza creativa, priva di pezze
d’appoggio, al solo scopo di far quadrare i conti, ossia di assicurarsi che il prezzo complessivo
offerto resti immutato e si superino le contestazioni sollevate dalla stazione appaltante su
alcune voci di costo.
Nel contesto della valutazione di anomalia o, comunque, della congruità dell’offerta, si
ritiene seria l’offerta anche laddove l’utile d’impresa si riduca, purché non risulti del tutto
azzerato, ciò perché non può essere fissata a priori, ai fini del giudizio di anomalia, una quota
rigida di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua,
dovendosi, invece, avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale nel suo insieme.
Risulta, pertanto, in sé ingiustificabile solo un utile pari a zero, atteso che anche un utile
apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante, ove si tenga conto delle
ricadute positive in termini di qualificazione, pubblicità, curriculum conseguibili dall’operatore economico in forza dell’aggiudicazione e dell’esecuzione del contratto.
Il danno consistente nella perdita dell’utile, non direttamente provato nel suo concreto
ammontare dal danneggiato, ma ricostruito in via presuntiva, sulla base di criteri di verosimiglianza, deve essere quantificato dal giudice verificando se l’ipotesi formulata dal ricorrente
sia coerente con il contenuto dell’offerta economica, la quale, in ragione del suo ammontare,
assurge ad indizio dell’effettiva aderenza della perdita lamentata al valore dell’utile concretamente conseguibile. Si tratta di fare applicazione delle regole sottese all’ordinario meccani-
smo induttivo che fonda le presunzioni rimesse all’apprezzamento del giudice, il quale deve
vagliare le allegazioni formulate dalla parte, confrontarle con i relativi fatti rilevanti in
concreto e, all’esito di tale operazione, portare a conclusione il ragionamento induttivo,
individuando il ragionevole ammontare dell’utile effettivamente conseguibile, e quindi il
danno correlato alla sua mancata percezione.
Nell’ottica di determinazione presuntiva del danno da mancata percezione dell’utile,
occorre porre l’attenzione sul fatto che l’attività dell’appaltatore è sottoposta al rischio di
impresa ed è normale che l’imprenditore tenga conto di tale dato in sede di quantificazione
dell’offerta economica. Nondimeno, quando l’esecuzione del contratto comporta lo svolgimento di attività particolarmente complesse, come nella fattispecie, è ragionevole ritenere che
le previsioni in ordine al rischio di impresa non possano essere adeguatamente dettagliate,
sicché tale rischio non può essere concretamente assorbito dal valore dell’offerta economica.
Tale circostanza si verifica nel caso di specie, che è connotato dall’esecuzione di opere e di
servizi di progettazione, entrambi di spiccata complessità, in ragione della natura, delle
dimensioni e delle difficoltà tecniche dei lavori da eseguire, nonché della loro incidenza su aree
fortemente antropizzate.
Il mancato utile nella misura integrale, nel caso di annullamento dell’aggiudicazione e di
certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se quest’ultimo dimostri di
non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l’impresa possa ragionevolmente aver riutilizzato mezzi e manodopera
per altri lavori e servizi. Pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l’aiunde perceptum vel percipiendum. Si tratta in particolare di fare
applicazione del principio emergente dall’art. 1227 c.c., in forza del quale il danneggiato ha un
puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, principio ripreso ed ampliato nella
sua concreta portata applicativa dall’art. 30 c.p.a., ove si stabilisce che il giudice nella
determinazione del risarcimento valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento
complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti
evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela
previsti.
L’imprenditore che partecipa ad una gara d’appalto e che ne contesta l’esito in sede
giurisdizionale, pretendendo di ottenere l’aggiudicazione ed avanzando anche una domanda
risarcitoria, è tenuto a rispettare il canone della diligenza professionale, ai sensi dell’art. 1176
c.c., canone la cui osservanza si può da lui pretendere, in quanto esercente professionalmente
un’attività economica. Tale diligenza professionale si traduce nel dovere di attivarsi, in attesa
dell’esito del giudizio, per svolgere altre attività, utilizzando le maestranze e i mezzi predisposti per l’appalto sub iudice e, quindi, procurandosi prestazioni contrattuali ulteriori dalle
quali trarre utili, così da limitare le conseguenze dannose correlate alla mancata aggiudicazione della gara contestata. Si tratta di una presunzione di comportamento diligente che può
essere superata solo dall’operatore interessato, il quale è tenuto a dimostrare di non aver
potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, ossia la propria struttura aziendale.
Siccome il prezzo a base d’asta è oggetto di ribasso, manca qualunque correlazione tra
il suo ammontare e l’utile previsto, correlazione esistente, invece, tra il valore dell’offerta
economica complessivamente presentata dal danneggiato e l’utile che avrebbe verosimilmente
conseguito in caso di aggiudicazione del contratto in suo favore e successiva esecuzione
dell’appalto. Ne deriva che il quantum cui riferire il valore percentuale ai fini del risarcimento
del danno non è il prezzo posto a base d’asta, ma l’importo concretamente offerto dal
ricorrente.
Il danno curriculare si concretizza nella perdita di qualificazione risarcibile e per la sua
esatta delimitazione occorre muovere dalla seguente considerazione: l’interesse all’aggiudicazione di un appalto pubblico, nella vita di un operatore economico, va oltre l’esecuzione
dell’opera in sé e i relativi ricavi diretti, dato che alla mancata esecuzione di un’opera pubblica,
illegittimamente negata dall’Amministrazione, si ricollegano indiretti nocumenti all’immagine
dell’operatore economico, al suo radicamento sul mercato, all’ampliamento della qualità
industriale o commerciale dell’azienda, al suo avviamento, cui si può aggiungere la lesione al
rispetto della concorrenza, in conseguenza dell’indebito potenziamento dell’impresa concorrente, che opera sul medesimo ambito di mercato e che è stata dichiarata aggiudicataria della
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gara. Ne consegue che l’impresa ingiustamente privata dell’esecuzione di un appalto può
rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di
incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da
intendersi come afferente anche alla qualificazione professionale, al di là dell’incremento degli
eventuali specifici requisiti di qualificazione SOA e di partecipazione alle singole gare. Tale
voce di danno discende dall’impossibilità di utilizzare le referenze, derivanti dall’esecuzione
dell’appalto sub iudice, nell’ambito di future gare cui il danneggiato potrebbe partecipare,
tanto che la giurisprudenza ha pure evidenziato che il soggetto economico non può dirsi
gravato, a questo proposito, da alcun particolare onere probatorio.
Il danno curriculare è il pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale, per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione
dell’appalto. Allora è ragionevole ritenere che tale danno si riduca al crescere del livello di
qualificazione già posseduto dall’impresa, perché quanto più essa è qualificata, tanto meno la
singola gara potrà accrescere la fama, il prestigio e la qualificazione di cui essa gode
(situazione questa che si verifica nel caso concreto, che si riferisce ad una gara per l’aggiudicazione di un appalto di notevole complessità, avente ad oggetto lavori e servizi di progettazione, per la realizzazione di opere che, per difficoltà tecniche, estensione e costi, sono di non
comune realizzazione).
Sulla somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno per mancato conseguimento
dell’utile derivante dall’esecuzione del contratto e di pregiudizio curriculare, determinata ai
valori attuali e con riferimento al periodo decorrente dall’adozione del provvedimento di
aggiudicazione e sino al deposito della sentenza non spettano gli interessi compensativi, quale
criterio equitativo di liquidazione del pregiudizio subito dal creditore per il ritardo nell’utilizzazione dell’equivalente monetario, atteso che diversamente si determinerebbe un ingiusto
arricchimento, facendo conseguire al ricorrente più di quanto avrebbe ottenuto nel caso di
assegnazione dell’appalto, ciò in ragione delle voci di danno di cui è stato chiesto il ristoro.
Viceversa, considerato che con la liquidazione giudiziale il debito di valore si trasforma in
debito di valuta, sulla somma sopra individuata devono essere corrisposti gli interessi nella
misura legale, con decorrenza dalla data di pubblicazione della sentenza e fino all’effettiva
soddisfazione del credito risarcitorio.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
I) sul ricorso numero di registro generale 2775 del 2012, integrato da motivi aggiunti,
proposto da Consorzio Pedelombarda 2, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avv.ti Pier Giuseppe Torrani e Marco Annoni, con domicilio
eletto presso lo studio del primo in Milano Corso Magenta n. 63;
contro
Autostrada Pedemontana Lombarda s.p.a. in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Franco Gaetano Scoca e Fabio Giuseppe
Angelini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, via del Lauro n. 7;
nei confronti di
Strabag AG sede secondaria italiana, in persona del legale rappresentante pro tempore,
in proprio e in qualità di capogruppo mandataria del R.T.I. con Grandi Lavori Fincosit s.p.a.,
Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro s.p.a., Adanti s.p.a., ciascuna in persona del
rispettivo legale rappresentante pro tempore, tutte rappresentate e difese dagli avv.ti Piero
D’Amelio, Gianluigi Pellegrino e Guido Bardelli, con domicilio eletto presso lo studio di
quest’ultimo in Milano, via Visconti di Modrone n. 12;
per l’annullamento
previa sospensione
1) quanto al ricorso principale depositato in data 13 ottobre 2011:
- del provvedimento di aggiudicazione provvisoria adottato dalla Commissione di gara
nella seduta del 28.07.2011;
- del verbale della seconda seduta della Commissione di gara del 03.08.2010 nella parte
in cui ha ammesso alla gara il costituendo RTI Strabag;
- della nota della stazione appaltante datata 06.09.2011;
- del bando di gara e del disciplinare di gara in parte qua;
- di ogni atto connesso;
nonché per la condanna
della stazione appaltante al risarcimento del danno.
2) quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 29 dicembre 2011:
- del provvedimento con il quale la stazione appaltante ha disposto l’aggiudicazione
definitiva;
- dei verbali della Commissione giudicatrice relativi alle sedute pubbliche del 1°
febbraio 2011, del 2 febbraio 2011, dell’8 aprile 2011, del 28 luglio 2011;
- in parte qua dei verbali relativi a tutte le sedute riservate della commissione
giudicatrice;
- di ogni atto connesso;
nonché per la condanna
della stazione appaltante al risarcimento del danno.
3) quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 08 febbraio 2012:
- del silenzio a valere come diniego di autotutela opposto dalla stazione appaltante
all’informativa ex art. 243 bis del d.l.vo 2006 n. 163;
- di ogni atto connesso;
nonché per la condanna
della stazione appaltante al risarcimento del danno.
II) nonché sui ricorsi incidentali presentati da Strabag AG sede secondaria italiana, in
persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e in qualità di capogruppo
mandataria del R.T.I. con Grandi Lavori Fincosit s.p.a., Impresa Costruzioni Giuseppe
Maltauro s.p.a., Adanti s.p.a., ciascuna in persona del rispettivo legale rappresentante pro
tempore, tutte rappresentate e difese dagli avv.ti Piero D’Amelio, Gianluigi Pellegrino e
Guido Bardelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, via Visconti
di Modrone n. 12, ed in particolare:
1) ricorso incidentale depositato in data 18 novembre 2011;
2) secondo ricorso incidentale depositato in data 26 gennaio 2012;
3) ricorso per motivi aggiunti rispetto ai ricorsi incidentali depositato in data 6 febbraio
2012;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autostrada Pedemontana Lombarda S.p.A. e
di Strabag Ag;
Visto l’atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale proposto dal ricorrente
incidentale Strabag Ag Sede Secondaria Italiana, rappresentato e difeso dagli avv. Piero
D’Amelio, Gianluigi Pellegrino, Guido Bardelli, con domicilio eletto presso Guido Bardelli
in Milano, via Visconti di Modrone N. 12;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2013 il dott. Fabrizio
Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO — La ricorrente impugna, con il ricorso principale e i successivi motivi
aggiunti, i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità per violazione di
legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, chiedendone l’annullamento ed avanzando,
altresì, domanda di condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno.
Si sono costituite in giudizio la parte resistente, che ha proposto due ricorsi incidentali
e successivi motivi aggiunti, nonché le parti controinteressate, che hanno eccepito l’infondatezza del ricorso avversario, chiedendone il rigetto.
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Con ordinanza depositata in data 17 febbraio 2012, il Tribunale ha respinto la domanda
cautelare contenuta nel ricorso rilevando: a) che la maggior parte delle doglianze dedotte da
parte resistente e dal controinteressato attengono a profili afferenti ad aspetti tecnici delle
offerte presentate dai concorrenti che non possono essere apprezzati nella fase cautelare, in
quanto richiedono adeguati approfondimenti da svolgere con l’ausilio del consulente tecnico
o del verificatore; b) che l’opera di cui è causa è infrastruttura strategica di cui al decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, con conseguente prevalenza dell’interesse nazionale alla
sollecita realizzazione dell’opera, ex art. 125, comma secondo, c.p.a.; c) che non sussistono
sufficienti profili di fumus in relazione ai vizi di ordine formale sollevati dalle parti.
Con ordinanza n. 1775/2012, depositata in data 25 giugno 2012, il Tribunale ha disposto
una consulenza tecnica d’ufficio, dandone incarico, con successiva ordinanza n. 2358 del 19
settembre 2012, al prof. Carmelo Majorana dell’Università degli Studi di Padova, che ha
prodotto la relazione prevista, redatta all’esito di un ampio contraddittorio tra le parti.
Le parti hanno depositato memorie e documenti.
All’udienza del 21 maggio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO — 1) Con bando di gara pubblicato sulla G.U.R.I. n. 73, del 28 giugno
2010, Autostrada Pedemontana Lombarda s.p.a., in quanto titolare della relativa concessione autostradale, ha indetto una gara avente ad oggetto la progettazione esecutiva e
l’esecuzione dei lavori relativi alle tratte B1, B2, C e D ed opere di compensazione del
collegamento autostradale Dalmine – Como – Varese – Valico del Gaggiolo ed opere ad
esso connesse.
Il bando di gara ha stabilito che l’aggiudicazione abbia luogo secondo il metodo
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, con previsione di proposte migliorative al
progetto definitivo approvato con delibera del C.I.P.E. n. 97, del 6 novembre 2009,
pubblicata sulla G.U. n. 40, del 18 febbraio 2010, trattandosi di lavori integranti un’infrastruttura strategica ai sensi degli artt. 161 e seg. ti del d.l.vo 2006, n. 163.
Vale sin d’ora precisare che la lettera di invito ha contemplato, con riferimento ai
contenuti dell’offerta tecnica, la possibilità di presentare proposte migliorative, individuate
in una tabella compresa nel capo 3, punto 3.1, della lettera di invito, prevedendo che tali
proposte possano riguardare solo determinati elementi e sub elementi, tra i quali sono stati
indicati alla voce 2 la “Cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati”, con articolazione in “2.1 realizzazione delle opere in sotterraneo - 2.2 esecuzione di opere in trincea - 2.3
esecuzione del ponte sul fiume Adda”.
La lettera di invito ha precisato, da un lato, che le proposte migliorative devono essere
avanzate “con esclusione di qualsiasi variante plano-altimetrica dei tracciati”, dall’altro, che
“le proposte migliorative non possono interessare aree non comprese nel piano particellare
di esproprio, né contrastare con gli strumenti di pianificazione urbanistica, territoriale e
paesistica e con qualsiasi altro strumento di programmazione e pianificazione territoriale di
tipo prescrittivo, né apportare modifiche a quanto disposto nella procedura di VIA o nelle
prescrizioni dettate dal CIPE ...”. Inoltre, con riferimento alle modalità di illustrazione delle
proposte migliorative, la lettera di invito ha richiesto - punto 3.2 lett. b) - per la parte relativa
alla cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati, la presentazione di “una relazione
nella quale l’offerente dovrà fornire una descrizione dettagliata – nel rispetto dei vincoli
territoriali e ambientali esistenti – dei criteri e delle modalità di organizzazione e gestione
dei cantieri che intende adottare, con particolare riferimento alla realizzazione delle opere
in sotterraneo, all’esecuzione delle opere in trincea e all’esecuzione del ponte sul fiume
Adda. Deve inoltre illustrare le misure che si intendono adottare per la mitigazione degli
impatti correlati. L’Offerente deve formulare proposte migliorative che tengano conto di
misure, modalità organizzative e apprestamenti di cantiere che meglio consentano la
riduzione del disturbo e del disagio che può determinarsi sulle aree urbanizzate, fatta salva,
in ogni caso, ogni misura prevista nel progetto definitivo approvato...”.
All’esito delle operazioni di gara, l’appalto è stato aggiudicato, prima in via provvisoria,
poi in via definitiva, al costituendo R.T.I. Strabag AG, collocatosi al primo posto della
graduatoria, mentre il ricorrente Consorzio Pedelombarda 2 si è collocato al secondo posto.
Vale precisare, in relazione ai punteggi conseguiti, che il R.T.I. Strabag ha ottenuto
punti 41,040 per l’offerta tecnica e punti 38,864 per l’offerta economica, avendo indicato un
ribasso percentuale del 27%, con conseguente punteggio finale di 79,904 punti, mentre il
Consorzio Pedelombarda 2 ha realizzato punti 28,816 per l’offerta tecnica e punti 50 per
l’offerta economica, avendo indicato un ribasso percentuale del 32%, con conseguente
punteggio finale di 78,816 punti.
Avverso gli atti della procedura di gara ora richiamata sono stati proposti i ricorsi,
principale e incidentali, nonché i motivi aggiunti indicati in epigrafe.
2) Devono essere esaminati con precedenza i ricorsi incidentali e i motivi aggiunti sui
ricorsi incidentali, presentati dalla parte controinteressata, in quanto connotati da priorità
logica.
2.1) Con il primo motivo del ricorso incidentale, depositato in data 18.11.2011, il R.T.I.
Strabag AG (d’ora in poi anche Strabag) lamenta la violazione della lex specialis di gara e
dell’art. 38 del codice degli appalti, in quanto la Cooperativa Muratori e Cementisti (CMC)
– compresa nel consorzio ricorrente ha dichiarato, a mezzo del suo legale rappresentante,
che nei confronti del direttore tecnico, Francesco Giuffrida, cessato dalla carica il 04.01.2008,
non sussistono decisioni penali ostative ex art. 38 cod. appalti “sino alla data di cessazione
della carica”, mentre la corretta applicazione della norma e della lex specialis richiede che
la dichiarazione sia resa “sino ad oggi”, ossia sino al momento di presentazione della
dichiarazione medesima.
In identica violazione sarebbe incorsa Coopsette – consorziata del ricorrente – con
riferimento ai procuratori speciali Caggiati Dino e Bolondi Paolo.
Inoltre, per la mandante Pizzarotti – sempre compresa nel consorzio ricorrente – la
dichiarazione di cui si tratta sarebbe stata resa, rispetto alla posizione dell’ing. Pellinghelli –
cessato dalla carica – non dal legale rappresentante, ma dal procuratore speciale ing. Carlo
Salomoni.
La censura è infondata.
L’art. 38 del d.l.vo 2006 n. 163 dispone, per la parte che interessa, l’esclusione dalla
partecipazione alle procedure di affidamento di appalti di lavori, forniture e servizi, dei
soggetti nei cui confronti è stata pronunciata “sentenza di condanna passata in giudicato, o
emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione
della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati
gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è
comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più
reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali
definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18; l’esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del
titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore
tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore
tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere
di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio
di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società
o consorzio”.
La norma precisa che “in ogni caso l’esclusione e il divieto operano anche nei confronti
dei soggetti cessati dalla carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di
gara, qualora l’impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della
condotta penalmente sanzionata; l’esclusione e il divieto in ogni caso non operano quando
il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando
il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna
medesima”.
Il comma 2 dell’art. 38 aggiunge che “il candidato o il concorrente attesta il possesso dei
requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica tutte le
condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non
menzione. Ai fini del comma 1, lettera c), il concorrente non è tenuto ad indicare nella
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dichiarazione le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna
stessa, né le condanne revocate, né quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione...”
Vale precisare che tanto il bando di gara, sez. III punto 2.1, quanto il disciplinare di
gara, capo 2.1 e la lettera di invito, capo 2.2, richiamano la dichiarazione prevista dall’art. 38,
senza introdurre criteri più rigorosi in ordine al tempo fino al quale essa deve essere resa,
salvo il riferimento, per i cessati dalla carica, al triennio antecedente la data di pubblicazione
del bando di gara.
Quanto alla posizione dei soggetti cessati dalla carica, menzionati nell’art. 38, la
giurisprudenza, cui aderisce il Tribunale, ha precisato che la dichiarazione è validamente
resa anche se rilasciata dal rappresentante “per quanto di propria conoscenza”.
In particolare, l’art. 38 richiama espressamente l’art. 47, comma 2 del d.p.r. 2000 n. 445,
sicché la dichiarazione richiesta dall’art. 38, relativamente ai soggetti cessati dalle cariche
sociali, concernendo stati, fatti e qualità riguardanti terzi e non il dichiarante, non può che
essere resa - ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 445 – “per quanto a conoscenza” del dichiarante
medesimo, “il quale non è neppure tenuto a indicare le ragioni per le quali non ha potuto
produrre le dichiarazioni dei diretti interessati” (Consiglio di Stato, sez. V, 20 giugno 2011,
n. 3686; Consiglio di Stato, sez. IV, 22 marzo 2012, n. 1646; Consiglio di Stato, sez. IV, 27
giugno 2011, n. 3862; T.A.R. Genova Liguria, sez. II, 21 febbraio 2013, n. 351), fermo
restando che rientra tra i poteri della stazione appaltante la possibilità di procedere, a fronte
di una compiuta identificazione dei soggetti interessati, ad ulteriori verifiche nei loro
confronti.
Ne consegue che è del tutto ragionevole ritenere che, nei confronti dei soggetti cessati
dalla carica, la dichiarazione possa validamente essere resa con riferimento al tempo di
cessazione dalla carica, in quanto, in mancanza di una diversa previsione della lex specialis,
tale espressa delimitazione esprime solo il riferimento al tempo sino al quale il dichiarante
assume di avere conoscenza delle eventuali condanne pronunciate a carico di coloro che
ricoprivano cariche sociali.
In via di ulteriore precisazione va, comunque, osservato che la ricorrente ha prodotto
i certificati generali del casellario giudiziale, relativi ai soggetti cui si riferiscono le dichiarazioni contestate e da tali certificati non emerge l’esistenza di alcuna condanna a loro carico
sino a data successiva al tempo di presentazione della domanda.
Ne deriva che, nel caso di specie, le dichiarazioni previste dall’art. 38 del d.l.vo 2006 n.
163 – rilasciate con riferimento sia alla posizione del direttore tecnico della Cooperativa
Muratori e Cementisti, Francesco Giuffrida, sia alla posizione dei procuratori speciali
Caggiati Dino e Bolondi Paolo di Coopsette - sono state validamente rese, contrariamente
a quanto sostenuto dalla controinteressata.
Né merita condivisione la censura articolata con riferimento alla posizione della
mandante Pizzarotti, compresa nel consorzio ricorrente.
In tal caso, si lamenta che, rispetto alla posizione dell’ing. Pellinghelli - cessato dalla
carica - la dichiarazione ex art. 38 è stata resa non dal legale rappresentante, ma dal
procuratore speciale, ing. Carlo Salomoni.
Nondimeno, come condivisibilmente eccepito dalla ricorrente e dalla stazione appaltante, il disciplinare di gara prevedeva, al capo I, la possibilità che le dichiarazioni previste
dalla lex specialis fossero rilasciate, oltre che dal legale rappresentante, anche da “altro
soggetto dotato del potere di impegnare contrattualmente il candidato stesso”.
Nel caso di specie, la procura speciale rilasciata all’ing. Carlo Salomoni prevede
espressamente l’attribuzione del potere di effettuare tutto quanto necessario per la presentazione e sottoscrizione della domanda di partecipazione e richiesta di invito rispetto alla
gara di cui si tratta, sicché proprio l’ampiezza dei poteri conferiti impone di comprendere in
essi il rilascio delle dichiarazioni rilevanti ai sensi dell’art. 38 del d.l.vo 2006, n. 163.
Va, pertanto, ribadita l’infondatezza delle censure in esame
2.2) Con il secondo motivo del ricorso incidentale, depositato in data 18.11.2011, la
controinteressata lamenta la violazione del disciplinare di gara nella parte in cui prevede che
anche i consorzi – come il ricorrente – devono indicare le parti di lavoro da affidare a ciascun
operatore economico consorziato, sancendo l’esclusione in caso di mancata dichiarazione in
tal senso.
In particolare, tale lacuna emergerebbe rispetto alle opere facoltativamente subappaltabili.
Si evidenzia che gli operatori appartenenti al consorzio ricorrente hanno assunto
l’impegno ad eseguire direttamente i lavori solo nella categorie OG3, OG1, OG4, OG6,
OG11 e OS21, mentre per tre categorie, quali OS11, OS13 e OS18, hanno assunto l’obbligo
di subappaltarli per l’intero importo; viceversa, rispetto ai lavori delle categorie OS01, OS10,
OS12, OS24 e OS34 le imprese consorziate, da un lato, non hanno assunto l’obbligo di
eseguirli direttamente, neppure in parte, dall’altro, hanno manifestato l’intenzione di subappaltarli “sino al 100%”.
Quest’ultima indicazione non sarebbe sufficiente, perché non consentirebbe di determinare in modo puntuale la percentuale di lavori concretamente subappaltata o eseguita
direttamente.
La doglianza è infondata.
Il disciplinare di gara – capo 2.3 lett. b – prevede, con riferimento ai consorzi ordinari,
che ogni operatore deve essere in possesso del requisito di qualificazione in proporzione alla
quota di partecipazione, costituita dalla parte di lavori, ovvero dalle categorie di lavori per
le quali si qualifica e che intende assumere nell’ambito del raggruppamento.
Con riferimento al possesso dell’attestazione SOA, il disciplinare di gara prevede che
essa deve essere posseduta nella categoria prevalente OG3, in classifica VIII, con obbligo di
dichiarare il subappalto delle categorie scorporabili OG1, OG4, OG6, OG11, OS11, OS13,
OS18, OS21, qualora per tali categorie non sia posseduta la relativa qualificazione.
Proprio con riferimento al subappalto, il capo 2 lett. e) del disciplinare precisa che, al
di là delle categorie di lavori suindicate, per i quali il concorrente privo della relativa
qualificazione deve obbligatoriamente ricorrere al subappalto, ciascun operatore economico
che intende utilizzare il subappalto deve rendere una dichiarazione con la quale indicare
“quali ulteriori lavori intende subappaltare e, se del caso, in quale quota”.
Ecco, allora, che per le categorie di lavori scorporabili OS01, OS10, OS12, OS24 e
OS34, non comprese tra quelle a subappalto obbligatorio, il disciplinare ha imposto solo di
dichiarare al momento di presentazione dell’offerta l’intenzione di ricorrere al subappalto,
al fine di conservare la possibilità di farne concreto utilizzo in sede esecutiva, mentre non vi
è alcun obbligo di puntuale indicazione della quota di tali lavori da subappaltare.
In tal senso depone la formula utilizzata, “se del caso”, la quale non comporta la precisa
indicazione del quantum di opere da subappaltare, ma rimette a ciascun concorrente la scelta
tra l’indicazione immediata e l’indicazione successiva della percentuale di opere da subappaltare.
La tesi di Strabag AG non è condivisibile neppure nella parte in cui richiama l’art. b5
del Capo V del disciplinare di gara, ove si prevede l’esclusione dei candidati che, costituiti
o da costituirsi in forma di r.t.i. o di consorzio ordinario, “non hanno dichiarato i lavori o le
parti di lavoro da eseguirsi da parte di ciascun operatore economico raggruppato o
consorziato”.
Invero, la disposizione ora citata deve essere letta in modo coordinato con le già
richiamate norme del disciplinare relative al subappalto, sicché, con riferimento alle categorie di opere a subappalto non obbligatorio, il dovere di dichiarazione è soddisfatto anche
attraverso la mera indicazione di volere ricorrere al subappalto, senza indicare in modo
puntuale la relativa percentuale.
In definitiva, la dichiarazione di utilizzare il subappalto “sino al 100%”, per le categorie
di lavori diverse da quelle a subappalto obbligatorio, dichiarazione resa dagli operatori
componenti il consorzio ricorrente, è coerente con il disciplinare di gara, con conseguente
infondatezza della censura in esame.
2.3) Il terzo motivo di ricorso incidentale è diretto a contestare l’inammissibilità
dell’offerta presentata da Consorzio Pedelombarda 2, in quanto recante un termine di
esecuzione dei lavori che non rispetta i tempi non comprimibili di risoluzione delle
interferenze.
In particolare, Strabag AG sostiene che ciascun operatore avrebbe dovuto formulare
l’offerta in ordine ai tempi di esecuzione dei lavori rispettando quelli stabiliti dal cronoprogramma approvato dal C.I.P.E. per la risoluzione delle interferenze.
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La censura non merita condivisione.
Il punto VI. 3) lett. B) n. 7 del bando di gara prevede espressamente l’attribuzione fino
a 10 punti per l’offerta relativa al “tempo di esecuzione dei lavori rispetto a quello posto a
base di gara”, precisando, alla successiva lettera t), che il termine complessivo di durata
dell’appalto, indicato in 2180 giorni dal punto II.3) del bando, è da intendersi comprensivo
di: 1) sviluppo progettazione esecutiva: 180 giorni; 2) assistenza tecnica in sede di verifica
progetto esecutivo da parte della Stazione appaltante: 30 giorni; 3) assistenza tecnica in sede
di approvazione del progetto esecutivo da parte del Concedente: 30 giorni; 4) esecuzione dei
lavori: 1140 giorni (oggetto di ribasso); 5) collaudo e pre-esercizio dell’infrastruttura e degli
impianti: 80 giorni; 6) monitoraggio post operam: 720 giorni.
In relazione all’esistenza di un termine minimo di esecuzione dei lavori non suscettibile
di ribasso, la stazione appaltante, in coerenza con la lex specialis appena richiamata, ha
precisato (cfr. doc. 60 di parte ricorrente) che “il progetto definitivo posto a base di gara non
prevede un termine minimo per l’esecuzione dei lavori rispetto al termine massimo di 1140
giorni”.
Le norme appena richiamate rendono evidente che, in base al bando di gara, solo il
termine di esecuzione dei lavori era oggetto di offerta al ribasso e per tale offerta non era
previsto alcun limite minimo da rispettare; in particolare, non costituiva un limite al ribasso
il rispetto del termine per la risoluzione delle interferenze, trattandosi di un’attività distinta
da quella cui si riferisce il termine di esecuzione dei lavori.
Ne consegue che è destituita di fondamento la tesi secondo la quale l’offerta al ribasso
sul termine di esecuzione dei lavori doveva, comunque, rispettare i termini previsti per la
risoluzione delle interferenze, da intendere come limiti temporali minimi intangibili, perché
si tratta di termini diversi, riguardanti differenti attività, da tenere distinte in sede di offerta
sul tempo di esecuzione dei lavori.
Va, pertanto, ribadita l’infondatezza della censura in esame.
3) Con il secondo ricorso incidentale, depositato in data 26 gennaio 2012, integrato da
successivi motivi aggiunti, Strabag AG, da un lato, ha esteso all’aggiudicazione definitiva i
tre motivi di impugnazione sviluppati con il primo ricorso incidentale, dall’altro, ha articolato altri cinque nuovi motivi di gravame e, infine, ha proposto motivi aggiunti sempre in
relazione all’aggiudicazione definitiva.
Con riferimento ai primi tre motivi del secondo ricorso incidentale è sufficiente
richiamare le considerazioni già svolte al punto 2 della motivazione, ribadendo l’infondatezza di tali censure.
Quanto, invece, ai cinque nuovi motivi prospettati con il secondo ricorso incidentale e
ai successivi motivi aggiunti merita condivisione l’eccezione di inammissibilità sollevata da
Consorzio Pedelombarda 2 (cfr. in particolare memoria depositata in data 13.02.2012).
Il problema deve essere affrontato tenendo presenti tre profili: in primo luogo, le
censure sviluppate con i cinque nuovi motivi articolati con il secondo ricorso incidentale e
con i successivi motivi aggiunti sono dirette a contestare l’ammissione alla gara del Consorzio Pedelombarda 2; inoltre, il ricorso principale, cui ha fatto seguito la proposizione del
primo ricorso incidentale, ha ad oggetto l’aggiudicazione provvisoria e non l’aggiudicazione
definitiva.
Infine, solo a seguito del ricorso per motivi aggiunti presentato da Consorzio Pedelombarda 2 per contestare l’aggiudicazione definitiva, Strabag AG ha proposto un nuovo ricorso
incidentale – poi integrato da motivi aggiunti - parimenti diretto contro l’aggiudicazione
definitiva, contestando, come già evidenziato, l’ammissione alla gara del ricorrente principale.
Tanto premesso, va osservato che la tesi dominante a livello giurisprudenziale, cui
aderisce il Tribunale, considera che l’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inidoneo a produrre la definitiva lesione dell’interesse dell’impresa che non sia
risultata vincitrice, lesione, che si verifica soltanto con l’aggiudicazione definitiva, sicché
l’impresa non aggiudicataria ha non l’onere, ma la mera facoltà di impugnare immediatamente l’aggiudicazione provvisoria.
Nondimeno, sul soggetto che, pur non essendovi tenuto, abbia impugnato immediatamente ed in via autonoma il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, grava l’onere di
impugnare, in un secondo momento, anche l’aggiudicazione definitiva, pena l’improcedibilità del primo ricorso: l’aggiudicazione definitiva, infatti, non è un atto meramente confermativo od esecutivo di quella provvisoria, ma un provvedimento, che, anche qualora
recepisca integralmente i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, postula una nuova ed
autonoma valutazione, pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale (in
termini si veda, tra i molti precedenti, Consiglio di Stato, sez. V, 23 novembre 2010, n. 8153;
Consiglio di Stato, sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6539).
Va, inoltre, osservato che se la parte sceglie di contestare immediatamente l’aggiudicazione provvisoria, allora è comunque tenuta a rispettare il termine perentorio di impugnazione, pertanto ha l’onere di dedurre, nei confronti degli atti conosciuti al momento della
proposizione del ricorso diretto contro l’aggiudicazione stessa, tutti i motivi di doglianza.
Insomma, in occasione dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, la parte ricorrente non può dedurre contro gli atti di indizione o di espletamento della gara ulteriori
motivi, che avrebbe potuto proporre in precedenza, essendo suo onere, una volta che abbia
operato la scelta di impugnare l’aggiudicazione provvisoria, dedurre subito tutti i vizi, di cui
sia già a conoscenza, che a suo avviso inficiano il procedimento di gara.
Il perimetro delle censure indirizzabili contro l’aggiudicazione definitiva - quando, si
ribadisce, sia stata già impugnata quella provvisoria - si riduce, pertanto, agli eventuali vizi
propri di tale ultimo atto o, al più, ai vizi di nuovi atti del procedimento, sopravvenuti
all’aggiudicazione provvisoria.
In occasione dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, la parte che abbia già
proposto ricorso contro quella provvisoria potrà inoltre dedurre anche motivi relativi agli
atti già avversati, ma alla sola condizione che siffatti ulteriori motivi trovino giustificazione
e fondamento in circostanze non precedentemente conosciute ( C.G.A.R.S., 28 luglio 2011,
n. 519 ).
L’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria delimita non solo le censure deducibili
in sede di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, ma, con riferimento alla posizione del
controinteressato, anche il tempo di proposizione del ricorso incidentale, nel senso che è
inammissibile il ricorso incidentale proposto avverso l’aggiudicazione definitiva per dedurre
censure già proponibili, sempre in via incidentale, avverso l’aggiudicazione provvisoria.
E’ noto che il ricorso incidentale escludente - come nel caso di specie - è lo strumento
processuale attraverso il quale il controinteressato tende a paralizzare l’azione principale,
impugnando lo stesso provvedimento avverso il quale tale azione è diretta, ovvero un altro
atto non oggetto di censure, ma connesso al primo, facendo valere vizi diversi da quelli
dedotti dal ricorrente, che, ove considerati fondati, condurrebbero all’annullamento dell’atto in favore del ricorrente incidentale ed alla sopravvenuta carenza di interesse del
ricorrente principale in ordine alla originaria impugnazione, da cui quest’ultimo non
trarrebbe alcuna utilità proprio per effetto dell’accoglimento dell’impugnazione incidentale.
Nondimeno, una volta che il ricorrente principale abbia, come nel caso di specie, scelto
di impugnare l’aggiudicazione provvisoria, così precludendosi la formulazione, in sede di
impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, di ulteriori censure avverso gli atti inseritisi nel
contesto procedimentale che ha portato all’aggiudicazione provvisoria gravata, risulta delimitato anche il campo ed il tempo delle eccezioni e delle contro domande, volte a paralizzare
l’iniziativa avversaria e proponibili dal controinteressato, atteso che l’interesse alla loro
proposizione sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, come è proprio
del ricorso incidentale ex art. 42 c.p.a..
Insomma, l’impugnazione principale, da un lato, esaurisce il novero delle questioni di
legittimità proponibili avverso l’atto impugnato e la relativa sequenza procedimentale,
dall’altro, onera l’avversario a far valere, nel términe di decadenza previsto dall’ordinamento, l’interesse all’impugnativa incidentale, che non poteva sorgere anteriormente alla
proposizione del ricorso principale e che ricomprende l’intero arco delle eccezioni e
domande in grado di paralizzare l’iniziativa avversaria, ormai cristallizzata nel suo petitum.
Ciò deriva, oltre che dalla correlazione tra l’attualità dell’interesse all’impugnazione
incidentale e la proposizione dell’impugnazione principale, anche dal principio dell’effettività della tutela e del rispetto del canone della ragionevole durata del giudizio, nonché dai
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principi di correttezza e buona fede oggettiva, la cui rilevanza in ambito processuale è da
tempo riconosciuta dalla giurisprudenza.
“Nella misura in cui, dunque, il titolo di legittimazione all’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria deriva al ricorrente principale dalla sua ammissione alla gara sfociata in
quell’aggiudicazione, l’interesse del controinteressato a reagire con ricorso incidentale a
detta impugnazione per negare la sussistenza di quel titolo nasce, per effetto della scelta
difensiva operata dal ricorrente principale di impugnare appunto l’aggiudicazione provvisoria, con la notifica del ricorso principale, che vale a fissare ineluttabilmente il momento
delle scelte, utili alla tutela della sua situazione giuridica, anche per il controinteressato. Ne
deriva che quello stesso interesse del controinteressato medesimo non potrà, al momento
della successiva proposizione da parte del ricorrente principale dei motivi aggiunti diretti
contro l’aggiudicazione definitiva, che intendersi limitato al “campo” di difesa (e di reazione) alle nuove censure in quella sede proposte per lamentare i vizi propri degli atti della
serie procedimentale successiva alla aggiudicazione provvisoria. Si chiarisce in questo modo,
insomma, che il ricorso incidentale assume un contenuto complesso sì, ma innestato nella
matrice comune della “difesa attiva” ( Consiglio di Stato, A.P., 7 aprile 2011, n. 4 ) e siffatta
“difesa attiva” non può non risentire, pena l’abuso dello strumento processuale a scapito
delle controparti, delle preclusioni, che gravano sul ricorrente principale una volta che si sia
avvalso della facoltà di impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria. Preclusioni, queste,
che, in perfetta adesione al principio della parità delle parti nel processo, si riflettono sul
novero ( e sui tempi di proposizione ) delle ragioni deducibili col ricorso incidentale,
l’interesse alla cui proposizione sorge allora indefettibilmente in dipendenza della notificazione del ricorso principale ( che vale a cristallizzare il thema decidendum con riguardo non
solo agli atti con lo stesso aggrediti ma anche agli atti successivi della procedura, nei
confronti dei quali potranno essere dedotti soltanto vizi propri) e non può certo ritenersi
posposto ad un momento successivo (quello dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva), sì che la “nuova domanda concernente i nuovi atti attinenti la medesima procedura di
gara” ( art. 120, comma 7, c.p.a. ) non potrà essere “bloccata” da eccezioni e deduzioni, che
avrebbero dovuto proporsi tempestivamente nei confronti del ricorso principale (anche a
tutela dell’interesse pubblico alla certezza dell’azione amministrativa autoritativa, cui è
connaturata la previsione di termini di decadenza per l’azione in giudizio e per ogni utile
“reazione” ad essa), avendo in fin dei conti le due domande oggetti diversi” (cfr. così
espressamente Consiglio di Stato, sez. III, 7 maggio 2012, n. 2613).
L’applicazione di tali principi al caso di specie evidenzia l’inammissibilità del secondo
ricorso incidentale e dei successivi motivi aggiunti, nella parte in cui non si limitano a
riproporre le censure già introdotte con il primo ricorso incidentale, ma introducono,
avverso l’aggiudicazione definitiva, delle doglianze tese a contestare l’inammissibilità dell’offerta del Consorzio Pedelombarda 2.
L’interesse a sollevare tali contestazioni, mediante ricorso incidentale, si è cristallizzato
in capo a Strabag AG con l’impugnazione in via principale dell’aggiudicazione provvisoria,
che, siccome asseritamente fondata su un’illegittima ammissione alla gara della ricorrente
principale, ha assunto immediata attitudine lesiva per la parte controinteressata.
In definitiva, le censure di cui si tratta sono inammissibili, perché avendo portata
escludente rispetto alla posizione del ricorrente principale, dovevano essere tempestivamente proposte avverso l’aggiudicazione provvisoria, mediante il primo ricorso incidentale.
Va, pertanto, ribadita la parziale inammissibilità del secondo ricorso incidentale e dei
successivi motivi aggiunti.
4) Con il ricorso principale, il Consorzio Pedelombarda 2 sviluppa tre motivi di
impugnazione da esaminare separatamente.
4.1) Con il primo motivo si contesta il possesso della cifra d’affari richiesta dal
disciplinare di gara da parte della società Grandi Lavori Fincosit s.p.a. (GLS), partecipante
come mandante all’Ati Strabag.
In particolare, secondo la ricorrente, siccome Grandi Lavori Fincosit partecipa al
raggruppamento Strabag in misura pari al 26%, allora doveva possedere una cifra d’affari
pari a 1.763.298.065,88 euro, che però non sarebbe stata raggiunta, perché la società avrebbe
compreso in essa oltre 34 milioni di euro provenienti da “altri ricavi e proventi”, senza
limitarsi a valorizzare “l’attività diretta e indiretta”.
Ne deriverebbe la violazione del bando e del disciplinare di gara, che richiedono il
possesso di “una cifra d’affari ottenuta per lavori svolti mediante attività diretta e indiretta”,
senza consentire la valorizzazione degli importi provenienti da “altri ricavi e proventi”.
La censura è inammissibile, perché non supportata da un concreto interesse, atteso che
non tiene conto del reale ammontare della cifra d’affari che GLS doveva possedere in base
alla lex specialis della gara.
Il paragrafo III.2.3) del bando di gara richiede - alle lettere a bis) e b) – il possesso di
una capacità tecnica espressa con la realizzazione di una cifra d’affari, “ottenuta con lavori
svolti mediante attività diretta ed indiretta”, nei cinque anni antecedenti la data di pubblicazione del bando di gara e in conformità al disciplinare di gara, non inferiore a
6.781.915.638,78 euro, precisando che per i consorzi ordinari e per i raggruppamenti
temporanei restano fermi i limiti minimi di possesso del requisito pari, nei raggruppamenti
orizzontali, al 40% per la mandataria e al 10% per ciascuna mandante.
Sempre con riferimento al possesso dei requisiti di capacità tecnica, il Capo 2.2 del
disciplinare di gara richiede l’avere realizzato una cifra d’affari ottenuta con lavori svolti
mediante attività diretta ed indiretta, nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione
del bando di gara non inferiore a 6.781.915.638,78 euro.
Anche la norma del disciplinare specifica che in caso di raggruppamento temporaneo di
concorrenti di tipo orizzontale, come nel caso di specie, o di consorzio ordinario orizzontale
tale requisito deve essere posseduto dalla mandataria o capogruppo nella misura minima del
40%, mentre la restante percentuale deve essere posseduta cumulativamente dalle mandanti, ciascuna nella misura minima del 10%.
Ecco, allora, che GLS – appartenente ad un raggruppamento di tipo orizzontale doveva possedere una cifra d’affari pari al solo 10% dell’importo complessivo pari a
6.781.915.638,78 euro e tale cifra, come già rilevato con l’ordinanza cautelare, risulta
effettivamente posseduta dalla società appena indicata, anche se dalla cifra d’affari dichiarata si sottraggono gli importi contestati dal Consorzio ricorrente.
Insomma, la coerente applicazione della disciplina di gara evidenzia che GLS possiede
il requisito di capacità considerato, perché può esserle richiesto solo il possesso del 10%
dell’importo complessivo pari a 6.781.915.638,78 euro e tale importo è raggiunto anche se
non si considera la voce “altri ricavi e proventi”, sicché la questione posta dal ricorrente in
ordine alla computabilità di tale voce è del tutto irrilevante ai fini della determinazione del
possesso da parte di GLS del requisito di capacità contestato.
Ne consegue che la censura in esame non è supportata da un concreto interesse e quindi
risulta inammissibile, poiché la sua eventuale fondatezza non inciderebbe sulla posizione di
GLS.
4.2) Con il secondo motivo del ricorso principale, si lamenta che GLS avrebbe violato
la disciplina in materia di intestazioni fiduciarie, nonché l’art. 38 del codice degli appalti e il
par. III.2.1 del bando, perché, pur avendo dichiarato di essere partecipata al 99% da
Itaholding s.r.l., ha omesso di dichiarare sia che quest’ultima società è controllata da due
società fiduciarie, sia l’identità dei fiducianti.
La censura non merita condivisione.
L’art. 38 lett. d) del codice degli appalti stabilisce che sono esclusi dalla partecipazione
alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi,
né possono essere affidatari di subappalti e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti
“che hanno violato il divieto di intestazione fiduciaria posto all’articolo 17 della legge 19
marzo 1990, n. 55; l’esclusione ha durata di un anno decorrente dall’accertamento definitivo
della violazione e va comunque disposta se la violazione non è stata rimossa”
Come è noto, l’art. 17, comma 3, della L. n. 55 del 1990, recante disposizioni in materia
di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di
pericolosità sociale, ha vietato la partecipazione alle gare concernenti “opere pubbliche” in
caso di intestazione fiduciaria. E’ palese la finalità della norma, che tende a prevenire
l’accesso al remunerativo meccanismo di aggiudicazioni pubbliche da parte di soggetti
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criminali, mascherati dietro un mandatario (sul punto Tribunale ordinario di Milano,
sentenza 13 febbraio 2008).
Sulla base dell’art. 17, comma 3, è stato poi emanato il d.p.c.m. 11 maggio 1997, n. 187,
il cui art. 1, comma 1, ha posto un obbligo informativo a carico delle società aggiudicatarie
di opere pubbliche, ivi comprese le concessionarie e le subappaltatrici, da assolvere prima
della stipulazione del contratto, concernente le intestazioni fiduciarie, collegato all’onere
stabilito dal successivo art. 4, comma 1, di far cessare entro 90 giorni l’intestazione fiduciaria,
al fine di poter legalmente contrarre con la pubblica amministrazione.
In seguito, l’art. 9, comma 63, della legge n. 415 del 1998 ha articolato diversamente il
divieto originario, rendendo autonoma la posizione delle fiduciarie autorizzate ai sensi della
legge n. 1966 del 1939, atteso che, in tale caso, permane il solo obbligo di comunicare
l’identità del socio fiduciario entro 30 giorni dalla richiesta a tal fine formulata dall’amministrazione.
In giurisprudenza si è perciò già rilevato che, allo stato, l’art. 17, comma 3, prevede due
differenti situazioni: da un lato, un divieto assoluto di intestazione fiduciaria, che comporta
l’immediata esclusione dalla gara, dall’altro, un mero obbligo comunicativo, susseguente
all’aggiudicazione e da assolversi, pertanto, a seguito di essa e prima della stipula del
contratto, pur nel rispetto del termine di legge (così già espressamente TAR Lombardia
Milano, sez. I, 18 novembre 2011, n. 2797, che richiama Consiglio di Stato, sez. V, n. 4010 del
2002).
In altre parole, il coordinamento tra l’art. 38, lett. d), del d.l.vo n. 163 del 2006 e il
combinato disposto delle norme poste dall’art. 17, comma 3, della legge n. 55/90 e dall’art.
1, comma primo, del d.p.c.m. n. 187/91, conduce a ritenere che la dichiarazione riguardante
la partecipazione azionaria da parte di società fiduciarie, autorizzate ai sensi della legge n.
1966/39, non deve essere effettuata dal concorrente in sede di presentazione dell’offerta, ma
dal concorrente che abbia conseguito l’aggiudicazione e a seguito di richiesta della stazione
appaltante in sede di controllo dei requisiti.
Emerge così l’infondatezza della censura in esame, in quanto la circostanza che GLS in
sede di presentazione dell’offerta abbia omesso la dichiarazione relativa all’intestazione
fiduciaria è coerente con il quadro normativo di riferimento, poiché tale dichiarazione deve
essere rilasciata, come già evidenziato, solo dopo l’aggiudicazione e a seguito di specifica
richiesta della stazione appaltante.
4.3) Con il terzo motivo del ricorso principale, il Consorzio Pedelombarda 2 contesta il
bando, il disciplinare di gara e la lettera di invito nella parte in cui prevedono l’attribuzione
fino ad un massimo di 11 punti per il criterio relativo a “cantierizzazione e mitigazione degli
impatti correlati”, compreso tra gli elementi da apprezzare per l’individuazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa.
In particolare, si evidenzia che l’attribuzione fino a 11 punti per l’elemento indicato che in concreto è risultato decisivo per l’aggiudicazione in favore dell’Ati Strabag - contrasta
con il canone di ragionevolezza e con i principi di economicità e di tempestività, in quanto
il punteggio attribuito all’elemento qualitativo in esame è di per sé superiore al punteggio
massimo attribuibile per la riduzione dei tempi di esecuzione dei lavori.
Inoltre, considerato che un solo punto percentuale di ribasso dell’offerta economica
consente un risparmio di spesa di circa 23 milioni di euro, è irragionevole attribuire fino a 11
punti per tale elemento valutativo, in rapporto al punteggio massimo, pari a 40 punti,
attribuibile per il prezzo offerto, perché ciò comporta una maggiore considerazione per i
miglioramenti relativi alla cantierizzazione e alla mitigazione degli impatti correlati rispetto
ad un risparmio di spesa di svariati milioni di euro.
La censura è infondata.
Non è contestato dalle parti che la stazione appaltante disponga di ampi poteri
discrezionali nella scelta del criterio di aggiudicazione, compresa la possibilità di determinare, in caso di applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il peso
da attribuire all’elemento prezzo e quello da assegnare al profilo tecnico qualitativo
dell’offerta.
Del resto, discende dall’art. 2 del codice degli appalti e dai presupposti precetti
comunitari che la stazione appaltante, in sede di determinazione dei punteggi da attribuire
all’elemento prezzo e agli elementi qualitativi, deve rispettare anche i principi di economicità, di efficacia, di tempestività e di correttezza, fermo restando, ai sensi del secondo comma
dell’art. 2, che “il principio di economicità può essere subordinato, entro i limiti in cui sia
espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal
bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell’ambiente e alla
promozione dello sviluppo sostenibile”.
In ogni caso, l’applicazione di siffatti principi deve essere rapportata all’oggetto
dell’appalto ed, in particolare, alla complessità delle opere da eseguire e alla loro concreta
incidenza, in termini qualitativi e quantitativi, sull’assetto territoriale, economico e sociale
dell’area interessata dall’intervento.
Inoltre, va precisato che il principio di economicità non si sostanzia nella mera
massimizzazione del risparmio di spesa, ma esprime l’esigenza che la stazione appaltante
definisca i criteri di aggiudicazione e il relativo peso in modo da garantire il raggiungimento
delle finalità perseguite con il minore onere economico, sicché proprio in sede di applicazione di tale criterio occorre tenere conto della natura e della dimensione delle opere da
realizzare e della loro incidenza sulla realtà sociale ed economica dell’area di intervento.
Nel caso di specie, la circostanza che la stazione appaltante abbia attribuito un peso
rilevante, anche in rapporto a quello assegnato all’offerta economica, alla voce relativa a
cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati risulta coerente con il principio di
economicità e di proporzionalità dell’azione amministrativa.
Difatti, non è in contestazione il fatto che l’opera di cui si tratta sia caratterizzata da
dimensioni non comuni, richiedendo anche escavazioni di notevoli dimensioni e presenti un
impatto rilevante sul territorio, sulla popolazione e sulle attività produttive localizzate
nell’area interessata dall’intervento, che, pacificamente, si connota per un’elevata antropizzazione.
Nell’esecuzione di simili opere, il profilo relativo alla cantierizzazione assume così
primaria importanza, perché proprio l’allestimento del cantiere e il suo funzionamento, con
i connessi movimenti di materiali e di residui delle opere di scavo, incide in modo rilevante
sul territorio e sulle attività umane che ivi si svolgono.
Ecco, allora, che proprio in ragione della dimensione dell’opera e della sua notevole
incidenza sull’area interessata e sulle attività umane in essa insediate, risulta del tutto
ragionevole l’attribuzione di un punteggio rilevante per l’aspetto relativo alla mitigazione
degli impatti della cantierizzazione.
Né rileva, in senso contrario, il minor peso assegnato al fattore tempo, il quale, seppure
importante nel quadro del principio di economicità, non può essere disgiunto dalla necessità
di arrecare il minor pregiudizio possibile al territorio e alle attività umane, sicché è del tutto
coerente che la stazione appaltante abbia valorizzato la mitigazione degli impatti in modo
maggiore rispetto alla riduzione dei tempi di esecuzione dei lavori.
Allo stesso modo, la corretta ricostruzione del principio di economicità evidenzia la
proporzionalità del punteggio massimo attribuibile all’elemento in esame, anche se rapportato al punteggio conseguibile per l’offerta economica, perché non si tratta di minimizzare
i costi in valore assoluto, ma di far si che le risorse disponibili siano impiegate in modo
efficiente, minimizzando le spese nel rispetto dell’obbiettivo da realizzare, che, nel caso di
specie, non è solo la costruzione dell’opera, ma la sua esecuzione mediante il minor impatto
possibile sulla popolazione, sul territorio e sulle attività produttive.
Ne consegue che il punteggio astrattamente attribuibile per la voce di offerta in
contestazione è del tutto ragionevole e coerente con i principi di economicità e di proporzionalità, sicché la censura in esame è destituita di ogni fondamento.
5) Con il quarto motivo di impugnazione, proposto mediante il primo ricorso per motivi
aggiunti, depositato in data 29.12.2011, il Consorzio Pedelombarda 2 ha dedotto, anche in
termini di violazione del bando e del disciplinare di gara, l’inammissibilità dell’offerta
presentata dall’Ati Strabag, in quanto recante delle varianti sostanziali al progetto posto a
base di gara.
In particolare, si lamenta che, mentre la lettera di invito ammetteva solo proposte
migliorative inerenti, tra l’altro, alla cantierizzazione e alla mitigazione degli impatti correlati, al contrario, il progetto presentato dall’Ati Strabag ha introdotto delle non consentite
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varianti strutturali con riferimento alle opere previste dal progetto posto a base di gara,
quali: le gallerie, i viadotti e i ponti.
Più in dettaglio, il Consorzio ricorrente sostiene che Strabag abbia introdotto quattro
varianti strutturali al progetto posto a base di gara, relativamente alla struttura delle gallerie,
del ponte sul fiume Adda, nonché delle opere in trincea e consistenti in: a) sostituzione dei
diaframmi laterali continui previsti dal progetto posto a base di gara con un sistema
alternativo di contenimento laterale del terreno mediante pali ad elica; b) eliminazione nelle
gallerie artificiali delle solette di fondo in cemento armato e conseguente modificazione
radicale della statica dei manufatti con la previsione di fondazioni soggette a cedimenti
differenziali in quanto impostate su appoggi isolati ed indipendenti anziché continui; c)
realizzazione - nelle gallerie artificiali – di un solettone di copertura alleggerito in cemento
armato precompresso; d) riduzione del 18% del peso del ponte sul fiume Adda.
5.1) Il carattere tecnico delle questioni di fatto sottese al motivo di impugnazione in
esame ha reso necessario l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, affidata al prof.
Carmelo Majorana dell’Università degli Studi di Padova, che ha prodotto una dettagliata
relazione, redatta all’esito di un ampio contraddittorio tra le parti.
Per completezza vale ricordare che il Tribunale ha delimitato l’ambito di indagine del
consulente tecnico, sottoponendogli specifici quesiti con riferimento ai temi di indagine
introdotti con il ricorso principale, fermo restando che gli ulteriori profili di indagine,
parimenti sottoposti al c.t.u., ma correlati alle censure introdotte con il secondo ricorso
incidentale e i successivi motivi aggiunti, risultano superati in ragione della già rilevata
inammissibilità di queste ultime impugnazioni.
In particolare, al c.t.u. sono stati sottoposti i seguenti quesiti: “1. Illustri il Consulente
in che cosa consistono le seguenti soluzioni progettuali proposte dall’ATI Sarbag: a)
sostituzione dei diaframmi laterali continui previsti dal progetto definitivo a base di gara
(d’ora innanzi anche “PBG”) con un sistema alternativo di contenimento laterale del terreno
mediante pali ad elica; b) eliminazione nella gallerie artificiali del solettone di fondo in
cemento armato previsto dal PBG con fondazioni soggette a cedimenti differenziali; c)
realizzazione nelle gallerie artificiali di un solettone in cemento di copertura alleggerito in
cemento armato. Effettui quindi il consulente un confronto fra le suddette soluzioni e quelle
previste nel PBG; 2. Illustri il Consulente in quale modo è stata ottenuta una riduzione del
peso del ponte sul fiume Adda pari al 18% rispetto al peso che avrebbe avuto in base alla
soluzione progettuale di cui al PBG. Effettui quindi il consulente un confronto fra le
suddette soluzioni e quelle previste nel PBG. Confronti infine il Consulente la soluzione
progettuale proposta dall’ATI Strabag (sempre relativa al suddetto ponte) con quella
proposta dal ricorrente, illustrandone affinità e differenze; 3. Dica il Consulente se le
suindicate soluzioni, ai fini della dimostrazione della loro fattibilità, necessitassero di studi e
verifiche particolari; 4. Illustri il Consulente quale sia il rapporto fra le suindicate soluzioni
progettuali e quelle previste nel PBG. 5. Confronti il consulente le soluzioni adottate
dall’ATI Strabag in ordine alla cantierizzazione delle opere (riduzione a 6 cantieri rispetto
ai 24 previsti nel PBG e previsione di due impianti di produzione di conglomerati bituminosi
non contemplati nel PBG) con le soluzioni proposte in sede di valutazione di impatto
ambientale, ed esprima il suo giudizio in merito all’impatto delle prime sull’ambiente”.
5.2) L’analisi della censura in esame presuppone la determinazione dei limiti entro i
quali la lex specialis di gara, complessivamente intesa, consentiva ai concorrenti di presentare progetti difformi da quello posto a base di gara; in particolare, si tratta di stabilire se la
disciplina di gara consentiva o meno varianti strutturali, incidenti sulla qualità dell’opera,
ossia sulla sua essenza strutturale e prestazionale.
Solo all’esito di tale indagine si potrà verificare se, sulla base delle risultanze istruttorie
ed in particolare della consulenza tecnica disposta, i profili progettuali introdotti dall’Ati
Strabag e contestati dal ricorrente sono coerenti con la disciplina di gara.
Si badi, il problema non è strettamente normativo, ma richiede che si indaghino i
contenuti del bando, del disciplinare e della lettera di invito, in quanto l’art. 169 del codice
degli appalti, applicabile nel caso in esame trattandosi di lavori relativi ad infrastrutture
strategiche, non stabilisce quali varianti siano generalmente ammesse, ma si limita a
prevedere le modalità di approvazione delle varianti medesime in base al loro contenuto,
stabilendo che: a) il soggetto aggiudicatore verifica che nello sviluppo del progetto esecutivo
sia assicurato il rispetto delle prescrizioni impartite dal CIPE in sede di approvazione del
progetto definitivo e preliminare; b) il soggetto aggiudicatore è tenuto ad apportare le
modifiche e integrazioni occorrenti, nello sviluppo del progetto esecutivo, in conseguenza
della verifica appena richiamata; c) “le varianti da apportare al progetto definitivo approvato
dal CIPE, sia in sede di redazione del progetto esecutivo sia in fase di realizzazione delle
opere, sono approvate esclusivamente dal soggetto aggiudicatore ove non assumano rilievo
sotto l’aspetto localizzativo, né comportino altre sostanziali modificazioni rispetto al progetto approvato e non richiedano la attribuzione di nuovi finanziamenti a carico dei fondi
ovvero l’utilizzo di una quota superiore al cinquanta per cento dei ribassi d’asta conseguiti;
in caso contrario sono approvate dal CIPE. Le varianti rilevanti sotto l’aspetto localizzativo
sono approvate con il consenso dei presidenti delle regioni e province autonome interessate,
espresso con la procedura di cui al comma 5 dell’articolo 165. ... Non assumono rilievo
localizzativo le varianti di tracciato delle opere lineari contenute nell’ambito del corridoio
individuato in sede di approvazione del progetto ai fini urbanistici”.
Ne consegue che anche in relazione alle opere di interesse strategico trovano applicazione i principi posti dall’art. 76 del codice degli appalti, sicché: 1) quando il criterio di
aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le stazioni appaltanti
possono autorizzare gli offerenti a presentare varianti; 2) le stazioni appaltanti precisano nel
bando di gara se autorizzano o meno le varianti; in mancanza di indicazione, le varianti non
sono autorizzate; 3) le stazioni appaltanti che autorizzano le varianti menzionano nel
capitolato d’oneri i requisiti minimi che le varianti devono rispettare, nonché le modalità per
la loro presentazione; 4) le stazioni appaltanti prendono in considerazione soltanto le
varianti che rispondono ai requisiti minimi da esse prescritti.
Proprio il dato normativo appena ricordato impone di portare l’attenzione sulla lex
specialis della gara.
Il paragrafo II.1.9 del bando di gara esclude espressamente l’ammissibilità di varianti,
mentre il disciplinare non se ne occupa, limitandosi a prevedere, tra i criteri qualitativi da
porre a base della valutazione, quello della “cantierizzazione e mitigazione degli impatti
correlati”, per il quale si consente l’attribuzione al massimo di 11 punti, articolati in 4 punti
per il sub elemento “realizzazione delle opere in sotterraneo”, 3 punti per il sub elemento
“esecuzione delle opere in trincea” e 4 punti per il sub elemento “esecuzione del ponte sul
fiume Adda”.
Sempre con riferimento ai contenuti dell’offerta tecnica, il capo III della lettera di
invito, disciplina, al punto 3.1 lett. a), la possibilità di presentare proposte migliorative,
individuate in un’apposita tabella, prevedendo che tali proposte possono riguardare solo
determinati elementi e sub elementi, tra i quali vengono indicati, alla voce 2, la “cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati”, con articolazione di tale voce in “2.1 realizzazione delle opere in sotterraneo - 2.2 esecuzione di opere in trincea - 2.3 esecuzione del
ponte sul fiume Adda”; per le singole voci vengono ribaditi i punteggi massimi già stabiliti
dal bando.
La norma in esame precisa, da un lato, che le proposte migliorative devono essere
avanzate “con esclusione di qualsiasi variante plano-altimetrica dei tracciati”, dall’altro, che
“le proposte migliorative non possono interessare aree non comprese nel piano particellare
di esproprio, né contrastare con gli strumenti di pianificazione urbanistica, territoriale e
paesistica e con qualsiasi altro strumento di programmazione e pianificazione territoriale di
tipo prescrittivo, né apportare modifiche a quanto disposto nella procedura di VIA o nelle
prescrizioni dettate dal CIPE ...”.
Inoltre, con riferimento alle modalità di illustrazione delle proposte migliorative, la
lettera di invito richiede - punto 3.2 lett. b) - per la parte relativa alla cantierizzazione e
mitigazione degli impatti correlati, la presentazione di “una relazione nella quale l’offerente
dovrà fornire una descrizione dettagliata – nel rispetto dei vincoli territoriali e ambientali
esistenti – dei criteri e delle modalità di organizzazione e gestione dei cantieri che intende
adottare, con particolare riferimento alla realizzazione delle opere in sotterraneo, all’esecuzione delle opere in trincea e all’esecuzione del ponte sul fiume Adda. Deve inoltre
illustrare le misure che si intendono adottare per la mitigazione degli impatti correlati.
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L’Offerente deve formulare proposte migliorative che tengano conto di misure, modalità
organizzative e apprestamenti di cantiere che meglio consentano la riduzione del disturbo e
del disagio che può determinarsi sulle aree urbanizzate, fatta salva, in ogni caso, ogni misura
prevista nel progetto definitivo approvato...”.
Dal complesso della disciplina ora richiamata emerge che la lex specialis di gara non
consente la proposizione di varianti, ammettendo solo proposte migliorative limitate ai
profili espressamente predefiniti dalla stazione appaltante.
Ne consegue, in primo luogo, che nella procedura di cui si tratta non è consentita la
presentazione di offerte che contengano varianti in senso proprio, ossia che modifichino
profili strutturali, qualitativi, prestazionali o funzionali dell’opera, come definiti nel progetto
posto a base di gara (cfr. in relazione al tema della consistenza delle varianti, quando
ammesse, si considerino Consiglio di Stato, sez. IV, 23 gennaio 2012, n. 285; Consiglio di
Stato sez. V, 17 settembre 2012, n. 4916).
La lettera di invito consente, per contro, la presentazione di proposte migliorative solo
con riferimento al profilo della cantierizzazione e solo in funzione della mitigazione degli
impatti ad essa correlati.
Ciò emerge in modo palese dal contenuto del richiamato paragrafo 3.2 lett. b) della
lettera di invito, ove, rispetto ai profili appena considerati, si specifica che il concorrente che
intenda avanzare proposte migliorative deve presentare una relazione contenente, da un
lato, la descrizione dettagliata “dei criteri e delle modalità di organizzazione e gestione dei
cantieri che intende adottare”, con particolare riferimento alla realizzazione delle opere in
sotterraneo, all’esecuzione delle opere in trincea e all’esecuzione del ponte sul fiume Adda,
dall’altro, l’illustrazione delle misure che si prevede di adottare per la mitigazione degli
impatti correlati alla cantierizzazione.
Ne discende che la lex specialis di gara non consente la presentazione di offerte che
modifichino il progetto posto a base di gara (d’ora in poi anche p.b.g.) in ordine a profili
strutturali o qualitativi delle opere da realizzare, perché le modificazioni consentite attengono solo alla cantierizzazione, ossia all’organizzazione e alla gestione dei cantieri, nonché
all’attenuazione degli impatti che esse comportano rispetto alle opere da realizzare in
sotterraneo (ad es. le gallerie), in trincea e rispetto alla costruzione del ponte sull’Adda.
5.3) Una volta delimitato l’ambito delle modificazioni consentite dalla legge di gara,
occorre portare l’attenzione sulla tesi del ricorrente, il quale sostiene che il R.T.I. aggiudicatario abbia apportato varianti sostanziali al progetto posto a base di gara, anziché limitarsi
ad introdurre proposte migliorative in relazione agli aspetti della cantierizzazione appena
ricordati.
Si tratta di profili di natura strettamente tecnico-ingegneristica, perché attengono alle
modalità costruttive e alle caratteristiche strutturali delle opere da realizzare emergenti
dall’offerta dell’aggiudicataria, sicché proprio in relazione ad esse il Tribunale ha disposto
una consulenza tecnica, di cui ora devono essere esaminate le conclusioni.
Con riferimento al primo dei quesiti sottopostigli, il C.T.U., dopo avere esaminato le
deduzioni delle parti, ha evidenziato che rispetto alla gallerie da realizzare con “metodo
Milano”, il progetto a base di gara prevedeva la realizzazione delle due pareti laterali
mediante diaframmi in cemento armato, “mentre la ditta Strabag ha proposto di realizzare
tali pareti mediante pali ad elica”, sicché “diversa è la tecnologia con la quale vengono
realizzate le due pareti laterali: mediante diaframmi laterali continui secondo il p.b.g.;
mediante pali ad elica secondo il progetto di Strabag”.
Sempre in relazione al primo quesito, il C.T.U. ha esaminato la soluzione progettuale
proposta da Strabag e consistente nella “eliminazione nelle gallerie artificiali del solettone
di fondo in cemento armato previsto dal p.b.g. con fondazioni soggette a cedimenti
differenziali”, precisando che si tratta di una soluzione adottata tanto per le gallerie artificiali
tipo “Milano”, quanto per quelle tipo “scatolare” con scavi non sostenuti.
Anche in tale caso il consulente ha messo in luce le difformità dal progetto posto a base
di gara, precisando che nella gallerie di tipo “scatolare” Strabag ha proposto non l’integrale
eliminazione del solettone, ma “una riduzione dello stesso”, mentre nelle gallerie tipo
“Milano” la soluzione tecnica di Strabag prevede l’eliminazione radicale del solettone.
Quanto alle conseguenze della soluzione proposta da Strabag in relazione al profilo
progettuale in esame, il consulente ha precisato, anche a fronte delle deduzioni articolate dai
consulenti di parte rispetto al tema dei possibili cedimenti correlati all’eliminazione del
solettone, che la soluzione progettuale deve essere accompagnata “da un adeguato calcolo
che tenga conto altresì delle caratteristiche del terreno e che conseguentemente permetta di
dimensionare adeguatamente la fondazione”.
Nondimeno, il C.T.U. ha osservato che “ nel caso di specie, Strabag propone una
modifica progettuale senza accompagnarla da un calcolo, che evidentemente si propone di
redigere prima della esecuzione delle opere .... Lo scrivente non può che ritenere che a
condizione di un calcolo adeguato e in assenza di eventi eccezionali ed imprevedibili (quali
ad es. la imprevedibile modifica della falda), cedimenti fondazionali non possono verificarsi
o quantomeno non possono essere significativi”.
Al di là degli aspetti ora visti, inerenti al rischio di cedimenti fondazionali e correlati
alla mancanza di un calcolo puntuale sotteso alla modifica progettuale predisposta da
Strabag e verosimilmente rinviato al momento dell’esecuzione delle opere, l’organo tecnico
ha esaminato le conseguenze intrinseche alla tecnica costruttiva utilizzata, precisando che
“cedimenti differenziali, in virtù della tecnica costruttiva utilizzata (che prevede la non
esecuzione di un adeguato solettone) possono interessare la carreggiata, in ragione della
diversa natura del materiale sottostante”.
Insomma, la modifica al progetto proposta da Strabag può non determinare cedimenti
fondazionali, a condizione che sia supportata da un calcolo adeguato in sede di realizzazione
(calcolo non predisposto in sede di progettazione), mentre evidenzia, in virtù della tecnica
utilizzata, il rischio di cedimenti differenziali della carreggiata, in dipendenza della diversa
natura del materiale adc essa sottostante (in particolare pagg. 46 e 47 della relazione redatta
dal C.T.U.).
Il terzo profilo tecnico sottoposto al C.T.U. con il primo quesito investe la realizzazione
“nelle gallerie artificiali di un solettone in cemento di copertura”.
In particolare, il progetto posto a base di gara prevede per le gallerie scatolari la
realizzazione di un solettone di copertura che, per alcune gallerie viene eseguito in getto
pieno e, per altre, è costituito da un manufatto prefabbricato con sovrastante getto di
completamento.
Sul punto, “Strabag propone per alcune gallerie di tipo scatolare un solettone di
copertura a getto pieno, mentre per altre gallerie tipo scatolare e per tutte le gallerie tipo
Milano Strabag ha optato per la realizzazione di un solettone di copertura alleggerito e
precompresso, con geometrie diverse” dal solettone previsto dal p.b.g..
Il consulente considera che “la diversità tra il solettone di copertura previsto dal p.b.g.
e quello previsto da Strabag sta nel fatto che il primo è gettato in opera, con armatura
ordinaria, mentre il secondo è gettato in opera, ma con armatura precompressa a cavi
post-tesi .... più precisamente il solettone di copertura verrebbe precompresso mediante la
tecnica della post-tensione con un numero variabile tra i 19 e 24 cavi”.
Rispetto alle criticità sollevate dai consulenti tecnici della parte ricorrente, in ordine
alla soluzione tecnica predisposta da Strabag rispetto al solettone di copertura, il consulente
d’ufficio considera che si tratta di rilievi critici derivanti dal “fatto che allo stato attuale
(trattandosi di una proposta di progetto esecutivo) manca un effettivo calcolo e progettazione dei singoli elementi della struttura”; insomma, si tratta di contestazioni che “a seguito
di un adeguato calcolo, potranno trovare soluzione dal punto di vista ingegneristico ed
esecutivo nella successiva fase di progettazione esecutiva”.
Nel rispondere al secondo e al terzo dei quesiti, relativo alle soluzioni progettuali
adottate sia da Strabag, sia dal Consorzio ricorrente, in ordine alle modalità di realizzazione
del ponte sull’Adda, il consulente tecnico evidenzia, da un lato, che le soluzioni proposte
introducono “sostanziali modifiche” rispetto alla metodologia di montaggio della struttura,
dall’altro, che entrambe le soluzioni riducono l’invasione delle zone golenali ed eliminano
l’interferenza con l’alveo.
Il quarto quesito ha richiesto al consulente di illustrare quale rapporto intercorre tra le
soluzioni progettuali sinora considerate e quelle previste nel p.b.g..
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Con riferimento alle modalità di realizzazione del ponte, il consulente ribadisce che
tanto la soluzione di Strabag, quanto quella proposta dalla parte ricorrente, sono migliorative, perché riducono “sensibilmente l’invasione delle zone golenali” ed eliminano “completamente l’interferenza con l’alveo”, fermo restando che entrambe le soluzioni implicano
l’effettuazione di calcoli e delle verifiche conseguenti in fase di redazione del progetto
esecutivo.
Rispetto alle soluzioni alternative proposte da “Strabag in ordine alle gallerie (ci si
riferisce alla sostituzione dei diaframmi con i pali ad elica, alla eliminazione del solettone di
fondo e alla sostituzione del solettone di copertura con un solettone alleggerito e precompresso)”, il consulente evidenzia che: 1) la sostituzione dei diaframmi con i pali ad elica può
inquadrarsi nell’ambito dei miglioramenti del p.b.g. in relazione alla cantierizzazione e agli
impatti correlati, in dipendenza del “non utilizzo di fanghi bentonitici; alla limitata azione di
disturbo al terreno circostante; alla mancata interruzione delle eventuali falde sospese; alla
esecuzione più rapida”; 2) anche la soluzione progettuale consistente nella eliminazione del
solettone di fondo può inquadrarsi nell’ambito dei miglioramenti del p.b.g. in relazione agli
aspetti della cantierizzazione e degli impatti correlati; “tale soluzione tuttavia si espone alla
critica dfi non offrire adeguate e sufficienti garanzie a fronte del rischio di cedimenti della
soletta costituente la carreggiata che verrebbe a poggiare su un terreno eterogeneo; 3) allo
stesso modo, la soluzione progettuale consistente nell’utilizzo di un solettone di copertura
precompresso può inquadrarsi nell’ambito dei miglioramenti al p.b.g. in relazione all’aspetto
della cantierizzazione e degli impatti correlati, “tale soluzione, tuttavia, si presenta carente
dal punto di vista della sua effettiva eseguibilità, allorquando si tratta di eseguire tale
solettone sopra le due carreggiate in tempi diversi per garantire la permanenza della
viabilità”; 4) “le soluzioni progettuali sopra descritte hanno comportato una modifica dello
schema statico della struttura (ci si riferisce sempre alle gallerie), che prevede la realizzazione di un vincolo rigido tra il solettone della copertura delle gallerie e le teste dei
paramenti verticali, in luogo degli irrigidimenti (ci si riferisce al solettone di fondo) previsti
alla base delle gallerie secondo il p.b.g.. Trattasi, comunque, di modifiche che si presentano
come consequenziali, cioè derivanti dalle scelte progettuali sopra descritte e che si presentano migliorative rispetto alla soluzione del p.b.g. in relazione alle tempistiche di esecuzione”.
Il quinto quesito ha imposto al consulente di confrontare le soluzioni adottate da
Strabag in ordine alla cantierizzazione delle opere rispetto alle soluzioni proposte in sede di
valutazione di impatto ambientale.
Sul punto il C.T.U. considera che il progetto predisposto da “Strabag concentra i
cantieri in alcuni punti, ove anche il p.b.g. prevedeva l’esistenza del cantiere; le aree previste
dal p.b.g. che non vengono più utilizzate per l’installazione dei cantieri vengono comunque
utilizzate dall’Ati Strabag come aree di stoccaggio degli inerti, l’Ati Strabag prevede, inoltre,
due cantieri ove contempla l’installazione di due impianti per la produzione di conglomerati
bituminosi che non sono previsti nel p.b.g.. E’ evidente che modificando il numero dei
cantieri, l’Ati Strabag viene a modificare la struttura dei cantieri, accorpando in alcuni più
funzioni e arrivando ad avere campi base/operativi semplici, base/operativi con impianti di
betonaggio, base/operativi con betonaggio e impianto per conglomerati bituminosi”.
Rispetto agli impianti per la produzione di conglomerati bituminosi, il consulente
evidenzia che “il p.b.g. non prevedeva tali impianti e quindi anche il provvedimento
ministeriale autorizzativo ai fini ambientali non ne ha tenuto conto”, con la precisazione che
“tutti gli impianti di cantiere dovranno essere soggetti ad adeguato dimensionamento in fase
di progettazione esecutiva e assoggettati alla procedura autorizzatoria ordinaria”, fermo
restando “che nello studio di impatto ambientale non erano previsti gli impianti di bitumazione”, sicché “non avendo il s.i.a. contemplato gli impianti di bitumazione, anche la v.i.a.
non ha avuto ad oggetto tale aspetto”.
5.4) Una volta richiamato il contenuto della relazione del consulente tecnico d’ufficio,
va ora precisato che essa si distingue per l’evidente rigore tecnico, la coerenza metodologica,
la puntuale aderenza all’oggetto dell’istruttoria, la completezza e la profondità di indagine,
sicché, da un lato, integra un rilevante supporto istruttorio, con riferimento ai profili tecnici
delle censure dedotte dal Consorzio ricorrente, dall’altro, merita piena condivisione in
ordine alle conclusioni tecniche raggiunte.
Proprio le risultanze della consulenza sinora evidenziate consentono di trattare il
motivo di impugnazione in esame, teso ad evidenziare l’inammissibilità dell’offerta presentata dall’Ati Strabag, in quanto recante delle varianti sostanziali al progetto posto a base di
gara, in violazione della lex specialis.
Il motivo è fondato.
Si è già evidenziato (retro punto 5.2 della motivazione) che la lex specialis della gara
esclude la presentazione di varianti in senso tecnico, consentendo solo proposte migliorative
con riferimento al profilo della cantierizzazione, ossia dell’organizzazione e della gestione
dei cantieri, in funzione della mitigazione degli impatti correlati alla cantierizzazione
predisposta per le opere da realizzare in sotterraneo, in trincea e rispetto alla costruzione del
ponte sull’Adda.
La circostanza che le modificazioni consentite attengano solo alla cantierizzazione,
esclude la possibilità di presentare offerte che modifichino profili strutturali, prestazionali o
funzionali delle opere, come definiti nel progetto posto a base di gara, che, pertanto, non può
essere alterato in relazione agli aspetti appena indicati.
Nondimeno, dalla relazione del consulente tecnico emerge con evidenza che l’offerta
dell’aggiudicataria introduce delle modificazioni al progetto posto a base di gara non
afferenti alla mera cantierizzazione, ma incidenti sulle caratteristiche strutturali e qualitative
delle opere da realizzare e, pertanto, eccedenti i limiti di intervento consentiti dal bando, dal
disciplinare e dalla lettera di invito, come condivisibilmente censurato con il motivo di cui si
tratta.
Vale ribadire che la specifica disciplina di gara non consente di apportare modifiche al
progetto posto a base di gara se non in relazione alla cantierizzazione e solo per limitarne
gli impatti ambientali, sicché rimane esclusa la legittimità di qualunque variante incidente
sulle opere da realizzare, sia che si tratti di una modificazione strutturale, sia che si tratti di
una modificazione funzionale, qualitativa o prestazionale delle opere medesime.
L’offerta predisposta da Strabag modifica il progetto posto a base di gara, tanto rispetto
alle modalità di realizzazione delle opere, quanto rispetto alle loro caratteristiche qualitative
o prestazionali.
Invero, dalla relazione emerge, senza alcuna contestazione sul dato oggettivo, che
rispetto alla gallerie da realizzare con “metodo Milano”, il p.b.g. prevede la esecuzione di
pareti laterali mediante diaframmi in cemento armato, mentre Strabag ne propone la
realizzazione mediante pali ad elica, utilizzando così una tecnologia diversa da quella
prevista dal p.b.g..
Sempre in relazione alle gallerie, il C.T.U. evidenzia che il p.b.g. ne prevede la
costruzione mediante la realizzazione di un solettone di fondo in cemento armato, mentre
Strabag propone, tanto per le gallerie artificiali tipo “Milano”, quanto per quelle tipo
“scatolare” con scavi non sostenuti, la sostituzione del solettone di fondo con fondazioni
soggette a cedimenti differenziali, precisando che nella gallerie di tipo “scatolare” Strabag
propone non l’integrale eliminazione del solettone, ma “una riduzione dello stesso”, mentre
nelle gallerie tipo “Milano” prevede la radicale eliminazione del solettone.
A tale cambiamento strutturale, correlato all’adozione di tecniche costruttive diverse
da quelle previste dal p.b.g., si accompagna una modificazione delle caratteristiche prestazionali delle opere.
Invero, al di là del problema relativo al pericolo di cedimenti fondazionali, allo stato
non agevolmente risolvibile, perché dipendente dalla corretta effettuazione di calcoli ingegneristici non contenuti nell’offerta Strabag, ma rinviati alla fase di esecuzione dell’opera, il
Consulente ha nitidamente messo in luce che la modificazione progettuale in esame
determina, in virtù della tecnica utilizzata, il rischio di cedimenti differenziali della carreggiata a causa della diversa natura del materiale ad essa sottostante.
Anche rispetto alle modalità di realizzazione della copertura delle gallerie artificiali, il
Consulente d’ufficio evidenzia che l’offerta di Strabag modifica il p.b.g, atteso che quest’ultimo prevede la realizzazione di un solettone, da eseguire in taluni casi in getto pieno e in
altri utilizzando un manufatto prefabbricato con sovrastante getto di completamento,
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mentre Strabag propone solo per alcune gallerie di tipo scatolare un solettone di copertura
a getto pieno, mentre per altre gallerie di tipo scatolare, nonché per tutte le gallerie tipo
Milano, Strabag prevede la realizzazione di un solettone di copertura alleggerito e precompresso, con geometrie diverse dal solettone di cui al p.b.g..
Pure in tale caso il C.T.U. evidenzia che sul piano funzionale la tecnica utilizzata può
presentare criticità superabili mediante l’effettuazione, in sede esecutiva, di un adeguato
calcolo ingegneristico, comunque non allegato all’offerta di Strabag.
Si badi, la consulenza tecnica d’ufficio sottolinea che le modifiche progettuali sinora
esaminate possono incidere positivamente sulla cantierizzazione e sugli impatti correlati,
perché la sostituzione dei diaframmi con i pali ad elica determina il non utilizzo di fanghi
bentonitici, una limitata azione di disturbo al terreno circostante, la non interruzione di
eventuali falde sospese e una più rapida esecuzione; nondimeno, si tratta di modificazioni
che incidono sullo “schema statico” delle gallerie.
Sul punto, non merita condivisione la tesi espressa dalla stazione appaltante (in
particolare nella memoria depositata il 10 maggio 2013), secondo la quale la modifica dello
schema statico non integrerebbe una variante strutturale, perché sarebbe meramente
conseguente all’adozione di modifiche migliorative della cantierizzazione e degli impatti
correlati.
Si tratta di una impostazione che, se seguita, condurrebbe a ritenere legittima qualunque modificazione che presenti un beneficio in termini di minore impatto della cantierizzazione, ma non è questa la logica che, come già evidenziato, sottende la lex specialis in tema
di proposte migliorative.
La lex specialis esclude a chiare lettere l’ammissibilità di varianti (cfr. punto II.1.9 del
bando) e consente solo proposte migliorative in ordine alla cantierizzazione funzionale alla
realizzazione delle gallerie e all’esecuzione delle opere in trincea e del ponte sul fiume Adda.
Ciò significa che l’offerta deve recare proposte migliorative in tema di “gestione e
organizzazione dei cantieri” (capo 3.2 lett. b della lettera di invito) strumentali alla
realizzazione delle opere suindicate e non che l’obiettivo della riduzione dell’impatto
ambientale dei cantieri può giustificare varianti di tipo strutturale.
Diversamente opinando si finisce col rovesciare radicalmente l’impostazione della
disciplina di gara, ammettendo modificazioni strutturali e prestazionali delle opere previste
dal p.b.g., in palese violazione del divieto di varianti posto dal bando di gara e del preciso
ambito che la lettera di invito ritaglia alle proposte migliorative.
Insomma, le innovazioni introdotte da Strabag riguardano aspetti diversi dalla mera
cantierizzazione e, pur potendo presentare risvolti positivi quanto all’incidenza ambientale
della cantierizzazione, si traducono in modificazioni delle modalità di realizzazione delle
opere tali da riflettersi sulle caratteristiche qualitative e prestazionali delle opere medesime.
Basti pensare al fatto che la tecnica di realizzazione delle gallerie incide sulle schema
statico delle medesime e determina, in ragione della radicale eliminazione o della riduzione
del solettone di fondo in cemento armato, l’emersione del rischio di cedimenti differenziali
della carreggiata.
Tanto basta per evidenziare che le modificazioni al p.b.g. predisposte da Strabag
eccedono i limiti consentiti dalla legge di gara, perché, pur presentando risvolti migliorativi
sul piano ambientale, integrano delle modificazioni strutturali delle opere, ed in particolare
delle gallerie, tali da alterarne le caratteristiche qualitative e prestazionali, perché ne
modificano lo schema statico, determinando l’emersione di un rischio di cedimenti della
carreggiata.
Ne consegue che l’offerta presentata dall’aggiudicataria non è coerente con il p.b.g.,
perché introduce delle modificazioni eccedenti l’ambito consentito dalla lex specialis, come
condivisibilmente lamentato dal Consorzio ricorrente.
Va, pertanto, ribadita la fondatezza della censura in esame.
Il carattere sostanziale della doglianza esaminata, tale da incidere in modo radicale
sulla valutazione che l’amministrazione ha fatto dell’offerta di Strabag e quindi sul provvedimento di aggiudicazione, consente di prescindere dall’esame delle ulteriori censure proposte dalla ricorrente.
6) Il Consorzio ricorrente chiede di potere conseguire l’aggiudicazione e la conseguente
stipulazione del contratto, previa dichiarazione di inefficacia del contratto medesimo,
qualificando la pretesa come risarcimento in forma specifica, mentre in via subordinata
chiede la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno per equivalente.
La domanda risarcitoria per equivalente, presentata con il ricorso principale e ribadita
nei successivi ricorsi per motivi aggiunti, è stata precisata, in relazione al quantum, con
memoria depositata in data 04 maggio 2013.
La ricorrente sostiene che lo svolgimento della specifica procedura di gara evidenzia la
spettanza del bene della vita in suo favore in termini di certezza, attesa la sua posizione di
seconda classificata all’esito delle valutazioni compiute dalla stazione appaltante.
Quanto alle voci di danno, il Consorzio Pedelombarda 2 le articola nel mancato
conseguimento dell’utile ,che avrebbe percepito in caso di aggiudicazione, quantificandolo
nella misura del 10% del valore dell’appalto, ossia in 230.000.000,00 di Euro, nonché nel
danno curriculare, quantificato nella misura del 3% del valore dell’appalto, ossia in
69.000.000,00 di Euro.
6.1) La domanda rivolta ad ottenere l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto,
qualificata in termini di pretesa al risarcimento in forma specifica, non merita accoglimento.
Per chiarezza espositiva e sistematica, il Tribunale evidenzia che la pretesa all’aggiudicazione e alla stipulazione del contratto, previa dichiarazione di inefficacia del contratto
già stipulato con l’aggiudicataria, non integra una domanda di risarcimento in forma
specifica, perché si tratta di una pretesa priva di portata risarcitoria in senso stretto.
Sul punto, merita condivisione e va ribadito l’orientamento giurisprudenziale a mente
del quale anche nel processo amministrativo la nozione di risarcimento in forma specifica va
individuata secondo la logica civilistica, in quanto le norme di riferimento (prima l’art. 35,
comma 1, del d.l.vo n. 80/98, poi l’art. 7, comma 3, della legge n. 1034/1971, come sostituito
dall’art. 35, comma 4, del d.l.vo 31 marzo 1998, n. 80, alla luce delle modifiche introdotte
dall’art. 7 della legge n. 205/2000 ed ora gli artt. 30, comma 2, e 34, comma 1 lett. c, c.p.a.,
che richiamano espressamente l’art. 2058 c.c.) non individuano in modo autonomo dalla
disciplina civilistica la nozione dell’istituto in esame, sicché esso consiste nella diretta
rimozione delle conseguenze derivanti dall’evento lesivo tramite la produzione di una
situazione materiale corrispondente a quella che si sarebbe realizzata se non fosse intervenuto il fatto illecito produttivo del danno.
La reintegrazione in forma specifica rimane un rimedio risarcitorio, ossia una forma di
reintegrazione dell’interesse del danneggiato realizzata attraverso una prestazione diversa e
succedanea rispetto a quella originariamente dovuta, sicché essa non può essere confusa né
con l’azione di adempimento, diretta ad ottenere la condanna del debitore all’effettuazione
della prestazione dovuta, né con il diverso rimedio dell’esecuzione in forma specifica quale
strumento per l’attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle
conseguenze pregiudizievoli.
La forma specifica non è né una forma eccezionale, né una forma sussidiaria di
responsabilità, ma uno dei modi attraverso i quali il danno può essere risarcito, la cui scelta
spetta al creditore salva l’ipotesi di eccessiva onerosità o l’oggettiva impossibilità.
Insomma, lo strumento risarcitorio, quale mezzo di tutela praticabile in caso di lesione
di una posizione giuridica soggettiva meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico,
sia esso per equivalente, o in forma specifica, si caratterizza per l’imposizione al danneggiante di una “prestazione” diversa in sostituzione di quella originaria.
Ne consegue che se l’amministrazione era tenuta, in base ai criteri di legittimità che ne
governano l’azione, al rilascio di un determinato provvedimento, l’adozione di quell’atto
costituisce il contenuto primario della “prestazione” cui l’amministrazione era tenuta e non
assume una funzione risarcitoria (cfr. in argomento Consiglio di Stato, sez. VI, 18 giugno
2002, n. 3338; Consiglio di Stato, sez VI, 3 aprile 2003, n. 1716; Consiglio di Stato, sez. VI,
22 maggio 2008, n. 2449; Consiglio di Stato, sez. VI, 31 maggio 2008, n. 2622).
Si badi ciò non comporta un vuoto di tutela, perché l’ordinamento predispone strumenti processuali che consentono di conseguire la prestazione ab origine dovuta in caso di
accertata illegittimità dell’azione amministrativa, in primo luogo attraverso l’attivazione,
dopo una decisione favorevole all’interessato, del giudizio di ottemperanza.
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La tutela specifica realizzabile attraverso la proposizione del giudizio di ottemperanza,
si completa, ai sensi dell’art. 34, comma 1 lett. c, c.p.a., con la possibilità di esperire un’azione
di condanna – in sede di cognizione e non di ottemperanza – al rilascio del provvedimento
richiesto, a condizione che si tratti di attività vincolata o che, comunque, non residuino
ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti
istruttori da compiere ad opera dell’amministrazione, con la precisazione che l’azione deve
essere deve essere esperita in modo necessariamente congiunto con quella di annullamento
del diniego opposto dall’amministrazione, ovvero contestualmente all’azione avverso il
silenzio serbato illegittimamente dall’amministrazione medesima.
A ben vedere siffatti rimedi, riferibili alla tutela conseguibile in generale tramite gli
strumenti propri del processo amministrativo e non esclusivi del settore degli appalti, sono
di più agevole applicazione per il ricorrente, rispetto ai rimedi risarcitori, giacché si tratta di
istituti di applicazione oggettiva, ancorati al dato dell’illegittimità dell’azione amministrativa
e della natura del potere esercitato, mentre non postulano la dimostrazione di una responsabilità dell’amministrazione anche su base soggettiva, come è necessario per l’azione
risarcitoria, che, in generale e salve le precisazione da compiere in materia di appalti di
rilevanza comunitaria, postula la dimostrazione dell’elemento soggettivo dell’illecito, in
termini di dolo o colpa dell’apparato amministrativo.
Inoltre, i rimedi in esame non incontrano i limiti propri del risarcimento in forma
specifica, che, ai sensi dell’art. 2058, comma 2, c.c., richiede una verifica in termini di
onerosità, verifica esclusa, invece, per il giudizio di ottemperanza, che incontra solo il limite
della sopravvenuta impossibilità.
Tanto basta per evidenziare che la qualificazione della domanda volta ad ottenere
l’aggiudicazione e il contratto in termini di domanda risarcitoria non è condivisibile, perché
è diretta ad ottenere proprio il provvedimento cui, in ipotesi, avrebbe condotto un agire
legittimo della stazione appaltante, ossia proprio la “prestazione” attesa dal ricorrente.
L’azione esperita deve, quindi, essere qualificata come domanda diretta ad ottenere, a
seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, la dichiarazione di inefficacia del contratto al
fine di conseguire l’aggiudicazione e il contratto, ai sensi degli artt. 121 e 124 c.p.a..
Anche così riqualificata la domanda non può essere accolta.
Si è già evidenziato che l’appalto in esame concerne un’infrastruttura strategica, ma il
ricorrente non ha dedotto, a sostegno della richiesta di dichiarazione dell’inefficacia del
contratto, la sussistenza di una delle ipotesi delineate dall’art. 121 c.p.a., relativo all’inefficacia del contratto per gravi violazioni e rilevante anche in tema di infrastrutture strategiche,
secondo la previsione dell’art. 125 c.p.a., sicché, proprio ai sensi della norma appena
richiamata, l’annullamento dell’aggiudicazione non incide sull’efficacia del contratto già
stipulato e la tutela conseguibile dal ricorrente è quella risarcitoria per equivalente, nei limiti
in cui sia dedotto un danno subito e provato.
Ne consegue il rigetto della domanda diretta ad ottenere l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto.
6.2) A questo punto, deve essere esaminata la domanda di condanna dell’amministrazione al risarcimento, per equivalente pecuniario, del danno asseritamente subito in conseguenza dell’illegittima aggiudicazione dell’appalto al raggruppamento Strabag AG e individuato nella perdita dell’utile che sarebbe derivato dall’esecuzione del contratto, quantificato
nel 10% del valore dell’appalto, ossia in 230.000.000,00 di Euro, nonché nel danno curriculare, quantificato nella misura del 3% del valore dell’appalto, ossia in 69.000.000,00 di Euro.
La domanda è parzialmente fondata.
In via generale, l’accoglimento della domanda risarcitoria postula la dimostrazione
degli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale, ai sensi degli artt. 2043 e
seg.ti del codice civile, disciplina cui, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale,
deve essere ricondotta la responsabilità risarcitoria delle amministrazioni, comprese le
stazioni appaltanti qualificabili come amministrazioni aggiudicatrici ai sensi del d.l.vo 2006
n. 163, a prescindere, come nel caso di specie, dalla forma giuridica da esse rivestita.
Nondimeno, trattandosi di responsabilità risarcitoria correlata alla mancata aggiudicazione di un appalto pubblico, occorre fare applicazione del principio comunitario che
esclude la rilevanza, in simili casi, dell’elemento soggettivo dell’illecito, configurando una
responsabilità di natura oggettiva.
In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cfr. C.G.U.E, sez. III, 30
settembre 2010, C314/09, che ribadisce principi già affermati da C.G.U.E 14 ottobre 2004,
C275/03) afferma che la vigente normativa europea, che regola le procedure di ricorso in
materia di aggiudicazione degli appalti pubblici dì lavori, di forniture e di servizi, non
consente che il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da un’amministrazione pubblica,
che abbia violato le norme sulla disciplina degli appalti, sia subordinato al carattere
colpevole di tale violazione.
Secondo la Corte, il rimedio risarcitorio previsto dall’art. 2, n. 1 lett. c), dell’originaria
direttiva 89/665/CEE può costituire una forma di tutela in materia di appalti pubblici
compatibile con il principio di effettività delle garanzie giurisdizionali solo a condizione che
il risarcimento non sia subordinato, così come non lo sono gli altri mezzi di ricorso previsti
dal citato art. 2, n. 1, alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto
dall’amministrazione aggiudicatrice.
Né rileva, in senso contrario, la circostanza che un ordinamento nazionale non faccia
gravare sul ricorrente l’onere della prova dell’esistenza della colpa dell’amministrazione
aggiudicatrice, ma la presuma a carico della stessa; infatti, dal momento in cui si consente a
quest’ultima di vincere la presunzione di colpevolezza su di essa gravante, si genera
ugualmente il rischio che il ricorrente venga comunque privato del diritto di ottenere un
risarcimento per il danno causato da tale decisione, nel caso in cui la stazione appaltante
riesca a vincere siffatta presunzione di colpevolezza.
Ne consegue che la regola comunitaria vigente in materia di risarcimento dei danno per
illegittimità accertate in materia di appalti pubblici, per avere assunto provvedimenti
illegittimi lesivi di interessi legittimi, configura una responsabilità di tipo oggettivo, sottratta
ad ogni possibile esimente, poiché derivante da un principio generale funzionale a garantire
la piena ed effettiva tutela degli interessi delle imprese, a protezione della concorrenza, nel
settore degli appalti pubblici.
Vale evidenziare che sul punto la giurisprudenza ha precisato che, intesa in questo
senso, tale regola non può essere circoscritta ai soli appalti comunitari, ma deve estendersi,
in quanto principio generale di diritto comunitario inerente all’effettività della tutela, a tutto
il campo degli appalti pubblici, nei quali i principi di diritto comunitario hanno diretta
rilevanza ed incidenza, non fosse altro che per il richiamo che ad essi viene fatto dal nostro
legislatore nel Codice appalti, ex art 2 del d.l.vo n. 163/06 (cfr., tra le più recenti, Consiglio
di Stato, sez. IV, 31 gennaio 2012, n. 482; Consiglio di Stato, sez. V, 18 febbraio 2013, n. 966;
Consiglio di Stato, sez. III, 25 giugno 2013, n. 3437; Consiglio di Stato, sez. IV, 04 settembre
2013, n. 4439).
L’applicazione di tali principi al caso in esame rende irrilevante l’analisi dell’esistenza
di colpa o dolo in capo alla stazione appaltante.
Né vi sono dubbi in ordine alla derivazione causale della lesione lamentata dall’illegittima aggiudicazione compiuta dalla stazione appaltante, atteso che il Consorzio ricorrente
all’esito delle valutazioni compiute dalla commissione giudicatrice e dalla stazione appaltante si è collocato al secondo posto della graduatoria, immediatamente dopo il raggruppamento aggiudicatario.
Piuttosto, Autostrada Pedemontana Lombarda s.p.a. dubita della possibilità di ritenere
che il bene della vita, rappresentato dall’aggiudicazione dell’appalto e dalla conseguente
stipulazione del contratto, sarebbe spettato al Consorzio ricorrente in termini di certezza,
qualora la stazione appaltante non fosse incorsa nelle illegittimità che hanno condotto
all’annullamento dell’aggiudicazione in favore di Strabag.
In particolare, si sostiene che l’offerta presentata dalla ricorrente presenta profili di
inammissibilità analoghi a quelli denunciati rispetto all’offerta di Strabag, sicché anche nei
suoi confronti sarebbe stata preclusa l’aggiudicazione.
Le contestazioni si appuntano sulle modalità di esecuzione del ponte sul fiume Adda
previste nell’offerta presentata dal Consorzio Pedelombarda 2, che secondo la stazione
appaltante (cfr. in particolare memoria depositata in data 10 maggio 2013) comporterebbero
l’introduzione di varianti non ammesse, sicché il Consorzio non poteva risultare aggiudica-
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tario dell’appalto e, quindi, non sussisterebbe alcuna certezza in ordine alla spettanza
dell’aggiudicazione e del contratto.
L’eccezione non può essere condivisa.
La deduzione coinvolge aspetti prettamente tecnici, prima che giuridici, rispetto ai quali
sono stati sottoposti specifici quesiti al C.T.U., tanto in relazione alle modalità di esecuzione
del ponte previste da Strabag, quanto rispetto a quelle proposte dal Consorzio ricorrente,
secondo quanto già evidenziato.
Il Consulente ha posto in luce che le soluzioni proposte in tema di esecuzione del ponte
da Strabag e dal Consorzio Pedelombarda 2 si diversificano, sia tra loro, sia rispetto al p.b.g.,
per le modalità di montaggio della struttura.
In particolare il p.b.g. prevede l’esecuzione mediante la predisposizione di opere
provvisorie costituite da: 1) un ponte provvisorio sul fiume Adda; 2) cinque pile provvisorie
da posizionare in alveo al corso d’acqua per il sollevamento dell’arco; 3) la creazione di
accessi alle aree golenali ed all’alveo, indispensabili per fare arrivare gli elementi dell’arco
fin sotto le strutture provvisorie indispensabili al montaggio.
La relazione tecnica evidenzia che, a fronte di tale schema operativo, Strabag “introduce sostanziali modifiche alla fase 2, riducendo sensibilmente l’invasione delle zone
golenali ed eliminando completamente l’interferenza con l’alveo”; parimenti, la soluzione
proposta dal ricorrente “porta sostanziali modifiche alla fase 2 del p.b.g. riducendo l’invasione delle zone golenali ed eliminando l’occupazione dell’alveo”, fermo restando che le
modalità che consentono di raggiungere tale risultato sono “profondamente diverse da
quelle proposte dall’Ati Strabag” (cfr. relazione tecnica pag. 60 e seg.ti).
Dopo avere descritto le diverse modalità di assemblaggio previste dai due concorrenti,
il C.T.U. precisa (pag. 73 della relazione) che “effettivamente entrambe presentano il pregio
di ridurre l’interferenza dell’alveo del fiume; quanto al c.d. “concept strutturale”, se con esso
si intende la struttura finita, è evidente che essa è uguale in tutte e tre le proposte, ciò che
varia sono le modalità costruttive che sono molto diverse le une dalle altre...”.
Proprio in relazione alla soluzione di montaggio del ponte prospettata dal Consorzio
ricorrente, il C.T.U. precisa che essa presenta “delle fasi critiche, che non escludono
comunque la loro realizzabilità ...”; inoltre, nell’esaminare i riflessi delle modalità di
montaggio del ponte previste dai due concorrenti, il consulente evidenzia che entrambe sono
migliorative con riferimento alla cantierizzazione e mitigazione degli impatti correlati,
perché le modalità di montaggio dell’arco sono tali da ridurre sensibilmente l’invasione delle
zone golenali ed eliminano completamente l’interferenza con l’alveo.
Del resto, il C.T.U. rileva che le critiche sollevate dalle parti in ordine alla fattibilità
dell’intervento, come proposto dall’una e dall’altra parte, “sono in buona sostanza legate al
fatto che le proposte non coincidono con progetti esecutivi che implicano la redazione di un
calcolo e delle verifiche conseguenti; sicché dette critiche riguardano aspetti che devono e
possono trovare risoluzione nella successiva fase di redazione del progetto esecutivo” (cfr.
pagg. 91 e 92 della relazione).
A questo punto, alla luce del dato tecnico appena richiamato, occorre verificare se le
modificazioni previste dal Consorzio Pedelombarda 2, quanto alle modalità di esecuzione
del ponte, integrino delle inammissibili varianti, oppure si collochino tra le proposte
migliorative della cantierizzazione, in quanto dirette a limitarne gli impatti rispetto all’esecuzione del ponte sull’Adda.
Il Tribunale ritiene che quest’ultima sia l’opzione che si attaglia alla fattispecie in
esame.
Si è già chiarito che la disciplina di gara non consente la presentazione di offerte che
contengano varianti, ossia che modifichino profili strutturali, qualitativi, prestazionali o
funzionali delle opere, come definiti nel progetto posto a base di gara, ammettendo solo
proposte migliorative limitate al profilo della cantierizzazione e solo in funzione della
mitigazione degli impatti ad essa correlati.
Rispetto alla proposta avanzata dal Consorzio Pedelombarda 2 in ordine alla realizzazione del ponte – così come, del resto, rispetto alla proposta avanzata da Strabag per la
medesima opera – il consulente tecnico ha chiaramente evidenziato che l’innovazione
rispetto al p.b.g. attiene alle modalità di montaggio della struttura, precisando che nessuna
modificazione attiene alla struttura finita dell’opera, atteso che essa, ossia il c.d. “concept
strutturale” è “uguale in tutte e tre le proposte”, perché ciò che varia sono solo le modalità
costruttive.
Certo, il consulente ha evidenziato che la soluzione proposta dal ricorrente presenta
“delle fasi critiche”, precisando però che esse non ne escludono comunque la realizzabilità,
atteso che si tratta di criticità dipendenti dal fatto che le proposte avanzate “non coincidono
con progetti esecutivi che implicano la redazione di un calcolo e delle verifiche conseguenti”,
sicché dette criticità “riguardano aspetti che devono e possono trovare risoluzione nella
successiva fase di redazione del progetto esecutivo”.
Per completezza vale evidenziare che analoghe valutazioni tecniche sono state formulate rispetto alle modalità di esecuzione del ponte proposte da Strabag.
Inoltre, dalla consulenza emerge che le modalità di montaggio del ponte previste dal
Consorzio Pedelombarda 2, così come, del resto, quelle previste dall’Ati Strabag, sono
migliorative degli impatti della cantierizzazione perché riducono sensibilmente l’invasione
delle zone golenali ed eliminano l’interferenza con l’alveo.
Tanto basta per evidenziare che l’innovazione proposta dal ricorrente in ordine alle
modalità di realizzazione del ponte sull’Adda non attengono alla struttura dell’opera, né alle
sue caratteristiche qualitative, funzionali o prestazionali, perché si tratta di modifiche
incidenti sulle modalità di montaggio del ponte, ossia su aspetti meramente operativi, tali da
rientrare nella nozione di cantierizzazione, in coerenza con il limite che la lex specialis pone
alla possibilità di presentare proposte migliorative.
Ne consegue l’infondatezza dell’eccezione in esame.
Del resto, nel corso della procedura la stazione appaltante non ha evidenziato altri
profili, come ad esempio il superamento della soglia di anomalia, tali da incidere sulla
valutazione di spettanza del bene della vita, valutazione da compiere ai fini risarcitori, sicché
appare decisiva la circostanza che il Consorzio ricorrente si sia definitivamente collocato in
seconda posizione nella graduatoria finale, di modo che, una volta caducata l’aggiudicazione
in favore del primo classificato, deve essere valutata in termini di certezza la spettanza al
Consorzio medesimo del bene della vita preteso (cfr. in argomento T.A.R. Lazio Roma, sez.
III, 05 marzo 2013, n. 2358).
6.3) Si tratta allora di definire le voci di danno rilevanti nel caso di specie, nei limiti della
domanda avanzata dal ricorrente, nonché di determinarne l’ammontare.
6.3.1) Il Consorzio ricorrente deduce due voci di danno, quali la mancata percezione
dell’utile e il pregiudizio curricolare, entrambi astrattamente coerenti con la lesione lamentata, ma che devono essere supportati sul piano probatorio.
Vale osservare, in linea con il dominante orientamento giurisprudenziale, che la
riconduzione dell’illecito provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale
implica che incombe sulla parte danneggiata, che agisce per il risarcimento, l’onere di
dimostrare, oltre all’esistenza di un pregiudizio e alla sua riconducibilità eziologica all’adozione del provvedimento illegittimo, anche la misura del danno asseritamente sofferto (cfr.
già Consiglio di Stato, sez. V, 25 gennaio 2002, n. 416).
Si tratta di applicare al giudizio risarcitorio, proposto davanti al giudice amministrativo
mediante l’esperimento di un’azione di accertamento e di condanna, il principio generale
sulla distribuzione dell’onere della prova, sancito dall’art. 2697 c.c., secondo cui chi agisce in
giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della pretesa vantata.
Certo, l’art. 64, comma 1, c.p.a., stabilisce che spetta alle parti l’onere di fornire gli
elementi di prova che siano nella loro disponibilità e riguardanti i fatti posti a fondamento
di domande e di eccezioni, ma il riferimento ad “elementi di prova” non vale a rendere
applicabile nel giudizio risarcitorio il principio dispositivo con metodo acquisitivo, caratteristico del processo impugnatorio, perché rispetto alla domanda risarcitoria i mezzi di prova
sono nell’immediata disponibilità di colui che ha subito il danno, sicché sarebbe priva di
giustificazione l’applicazione del criterio caratteristico del giudizio di annullamento.
Ne consegue che il danneggiato non può limitarsi, ai fini della quantificazione del
danno, ad allegare un principio di prova, ma è investito in pieno dell’onere della prova,
dovendo dimostrare la consistenza del pregiudizio di cui chiede il ristoro.
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Resta fermo che, anche ai fini della determinazione del quantum da risarcire, il
danneggiato può avvalersi di strumenti indiretti di prova ed, in particolare, di criteri
presuntivi, allegando elementi di fatto, ossia indizi idonei a porsi come base per la
determinazione in via induttiva del danno.
La disciplina di riferimento è quella in tema di prova raggiunta attraverso presunzioni,
le quali, ai sensi dell’art. 2727 c.c., sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un
fatto noto per risalire ad un fatto ignorato.
Vale precisare che, nella materia de qua, non operano presunzioni legali, capaci cioè di
dispensare da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite, ai sensi dell’art.
2728 c.c., ma solo presunzioni semplici, ai sensi dell’art. 2729 c.c., che, come tali, sono lasciate
alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e
concordanti (cfr. in linea con i principi ora enucleati si esprime Consiglio di Stato, sez. V, 21
giugno 2013, n. 3405).
In tema di struttura della prova per presunzioni semplici, vale evidenziare, in coerenza
con il dominante orientamento giurisprudenziale, che tale mezzo di prova si articola in un
ragionamento inferenziale, con la precisazione che i criteri logici, sui quali esso si basa, sono
costituiti dalle massime di esperienza.
Tale ragionamento è di tipo deduttivo, se le massime di esperienza sono leggi scientifiche o naturali, mentre è di tipo induttivo, se le massime di esperienza esprimono soltanto
una connessione probabile o verosimile fra le categorie di fatti, come nel caso di specie.
Inoltre, tra il fatto noto e quello ignoto non deve esistere un legame di assoluta ed
esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto
noto come ragionevole conseguenza, secondo un criterio di probabilità, ossia con riferimento ad una connessione verosimile di accadimenti.
In altri termini, la relazione inferenziale tra il fatto noto e quello ignoto non deve porsi
con carattere di necessità, ma di consequenzialità ragionevole e verosimile, secondo un
criterio di normalità causale.
Sotto altro profilo, è pacifico che, seppure l’art. 2729 c.c. ammette solo presunzioni
gravi, precise e concordanti, gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere
necessariamente più di uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un
solo elemento, purché grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi
menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di
più elementi presuntivi (per tali considerazioni si vedano, tra le più recenti, Cassazione
civile, sez. II, 10 aprile 2013, n. 8781; Cassazione civile, sez. trib.,15 febbraio 2013, n. 3777).
A questo punto, occorre portare l’attenzione sull’ampiezza delle valutazioni che sono
rimesse al giudice in sede di apprezzamento degli indizi dedotti dalla parte danneggiata.
In particolare, trattandosi di stabilire, mediante un giudizio ipotetico, se ed in che
misura si sarebbe incrementata la sfera giuridica del ricorrente in caso di legittimo esercizio
dei poteri della stazione appaltante e, quindi, di aggiudicazione in suo favore del contratto,
ne consegue che il giudice deve esaminare il contenuto complessivo dell’offerta del ricorrente, così da stabilire, in base alla sua concreta consistenza, quale pregiudizio egli abbia
verosimilmente sofferto.
Il Consorzio Pedelombarda 2 deduce, come prima voce di danno, la mancata percezione dell’utile che avrebbe conseguito mediante l’esecuzione del contratto; il ricorrente si
limita ad indicare nella percentuale del 10% del valore dell’appalto, ossia in 230.000.000,00
di Euro, il danno da mancata percezione dell’utile.
Tale prospettazione non può essere condivisa.
In primo luogo, va evidenziato che dalla documentazione prodotta e dal contenuto
dell’offerta presentata dal Consorzio Pedelombarda 2 non emerge una quantificazione
dell’utile nella misura appena indicata, che non è supportata da specifiche risultanze
documentali.
Ne consegue che il riferimento al parametro del 10% esprime la richiesta di applicazione di un criterio equitativo, ma su tale richiesta di applicazione automatica non è possibile
convenire.
Come è noto, il criterio equitativo del 10% è desunto in via analogica dall’art. 345 della
legge n. 2248/1865, all. F, che, però, riguarda un’ipotesi del tutto diversa da quella in esame,
perché attiene al caso del recesso “ad nutum” della stazione appaltante nella fase di
esecuzione del contratto.
Già questo profilo consente di evidenziare che il criterio forfettario ed automatico di
liquidazione del danno, previsto da una norma speciale con riferimento ad un caso particolare, non è suscettibile di essere automaticamente applicato a fattispecie diverse da quella
per la quale è espressamente contemplato.
Inoltre, questo modo di procedere comporterebbe l’introduzione di una forma di
indennizzo predeterminato, in contrasto con i principi in materia di prova del danno
effettivamente subito (cfr. al riguardo Consiglio di Stato, sez. V, 20 aprile 2012, n. 2317).
Sul punto, merita condivisione la tesi giurisprudenziale secondo la quale la rigida
applicazione del criterio del 10% conduce, almeno di regola, all’abnorme risultato per cui il
risarcimento finisce per essere, per l’operatore economico danneggiato, più conveniente
dell’impiego del capitale, perché gli consente di raggiungere un predeterminato risultato
economico, senza sopportare in concreto il rischio di impresa.
Inoltre, sul piano probatorio la rigida applicazione del criterio del 10% condurrebbe ad
una distorsione del sistema, tale per cui il ricorrente non avrebbe più interesse a provare in
modo puntuale il danno subito, perché presumibilmente otterrebbe meno di quanto potrebbe conseguire mediante la liquidazione forfettaria fondata sul parametro del 10% (sul
punto, T.A.R. Roma Lazio, sez. III, 05 marzo 2013, n. 2358; Consiglio di Stato, Sez. VI, 21
maggio 2009, n. 3144).
Ne discende che il richiamato criterio del 10% non si presta ad un’applicazione
automatica, ma integra solo un parametro di riferimento, che può essere utilizzato come
punto di partenza per l’individuazione, nel quadro della liquidazione equitativa del danno,
ex art. 1226 c.c., della percentuale di utile che l’operatore economico danneggiato avrebbe
verosimilmente conseguito se fosse risultato aggiudicatario e se avesse concretamente
eseguito il contratto.
Ciò trova conferma testuale nell’art. 124 c.p.a., ove si prevede che, in assenza di
dichiarazione di inefficacia del contratto, spetta il risarcimento per equivalente del danno
subito, a condizione, tuttavia, che lo stesso sia anche “provato”, fermo restando quanto già
evidenziato in ordine alla rilevanza del meccanismo induttivo fondato su presunzioni
semplici.
Si badi, le considerazioni sinora svolte non conducono a respingere la domanda
risarcitoria in esame in ragione del mancato assolvimento dell’onere della prova, in quanto
il Consorzio ricorrente ha, comunque, dedotto una specifica voce di danno ed ha indicato un
parametro, ritenuto di comune esperienza, tale da condurre alla quantificazione del particolare pregiudizio.
Il problema è che il criterio indicato non si presta ad un applicazione automatica, sicché
occorre verificare se, in base alla documentazione acquisita al giudizio, sia possibile una
quantificazione del danno da mancato conseguimento dell’utile aderente alla fattispecie
concreta.
Sul punto va rammentato che nel giudizio risarcitorio, che ha ad oggetto, pur se
proposto davanti al giudice amministrativo, l’accertamento della pretesa al risarcimento in
conseguenza di un illecito extracontrattuale e la conseguente condanna del danneggiante,
trova applicazione il principio di acquisizione dei mezzi di prova, formulato in relazione alle
azioni esperibili nel processo civile.
E’ pacifico che il principio relativo alla distribuzione dell’onere della prova, di cui
all’art. 2697 c.c., non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa
debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato del relativo onere,
senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poiché nell’ordinamento
processuale vale il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie,
comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono
formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice,
senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro
(cfr. Cassazione civile, sez. III, 30 gennaio 2012, n. 1303; Cassazione civile, sez. III, 26
febbraio 2013, n. 4806; Cassazione civile, sez. III, 19 gennaio 2010, n. 739).
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6.3.2) Si tratta ora di verificare quali siano, nel caso di specie, gli elementi indiziari
idonei a consentire una determinazione dell’utile prossima, secondo criteri di verosimiglianza, a quello che il ricorrente avrebbe conseguito in caso di aggiudicazione in suo favore,
pur muovendo dal criterio del 10%, da utilizzare come parametro generale di riferimento.
L’operare del meccanismo presuntivo comporta che spetti al giudice verificare, sulla
base di tutti i dati acquisiti, se l’ipotesi risarcitoria addotta dal ricorrente trovi riscontro nelle
risultanze fattuali, ossia negli indizi rilevanti ai fini della determinazione del danno; ciò
perché la prova presuntiva – presumptio hominis e non iuris - consiste nella conseguenza che
il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato, tanto che l’art. 2729 c.c.
rimette espressamente le presunzioni semplici “alla prudenza del giudice”, precisando che
non qualunque fatto dotato di forza indiziaria si presta a supportare la prova indiretta,
poiché possono assumere rilevanza solo indizi che, univocamente e concordemente, conducono ad un preciso risultato probatorio, posto che le presunzioni ammissibili sono solo
quelle gravi, precise e concordanti.
Il risultato probatorio cui tende il ricorrente è la dimostrazione di un particolare valore
economico, ossia l’utile atteso dall’esecuzione del contratto, che integra una voce di lucro
cessante e che dipende da una pluralità di fattori, connessi al concreto contenuto dell’offerta
presentata.
Esiste, però, un dato economico che esprime con immediatezza il tipo di strategia
imprenditoriale approntata dal concorrente per conseguire l’aggiudicazione e che si lega in
modo diretto all’utile atteso.
Il riferimento va all’ammontare dell’offerta economica, in quanto risponde a criteri di
ragionevolezza e al parametro dell’id quod plerumque accidit la circostanza che, a fronte di
un’offerta economica, che, pur senza superare la soglia di anomalia, si presenti come
fortemente competitiva, l’utile concretamente atteso si riduce e ciò è espressione di una
precisa scelta imprenditoriale, diretta a limitare il profitto, attraverso un’offerta economica
bassa, pur di conseguire l’appalto e di eseguirlo.
Scelta del tutto coerente con criteri di corretta gestione aziendale, perché i vantaggi
derivanti dall’esecuzione di un contratto assegnato dall’amministrazione sono molteplici e
riferibili non solo all’utile sperato, ma anche al consolidamento della presenza dell’impresa
in un determinato mercato, alla possibilità di accedere a nuovi settori di attività, magari di
rilevanza internazionale, all’incremento della qualificazione, al miglioramento del proprio
avviamento, nonché alla possibilità di accrescere la propria immagine di operatore capace di
eseguire opere e servizi di particolare complessità, qualitativa e quantitativa.
Seppure la perdita di questi vantaggi – salvo quanto si dirà in seguito sulla domanda di
danno curriculare – abbia comportato un pregiudizio economico, questo non è risarcibile in
mancanza di specifica pretesa. Su tali voci non vi è stata domanda risarcitoria, né viene
proposta una quantificazione del danno patrimoniale in ipotesi subito.
Sotto altro profilo, va precisato che concentrare l’attenzione sul concreto ammontare
dell’offerta economica non comporta una lesione dell’autonomia delle scelte imprenditoriali, espressive della libertà negoziale dell’operatore economico danneggiato, perché non si
traduce in un’alterazione dell’offerta presentata, ma nella sua analisi concreta, in sede di
esame della domanda risarcitoria, con lo scopo di accertare la consistenza della voce di
danno costituita dall’utile atteso.
In proposito, assume rilevanza la consolidata giurisprudenza in tema di valutazione di
anomalia dell’offerta.
La dominante interpretazione giurisprudenziale riconosce che, in sede di apprezzamento dell’offerta anomala, così come in sede di giudizio di congruità dell’offerta non
eccedente la soglia di anomalia, il concorrente sottoposto a valutazione non può fornire
giustificazioni tali da integrare un’operazione di “finanza creativa”, modificando, in aumento
o in diminuzione, le voci di costo e mantenendo fermo l’importo finale; nondimeno, ciò non
esclude che l’offerta possa essere modificata in taluni suoi elementi, compresi, in particolare,
quelli relativi all’utile atteso, che può essere ridotto.
Resta fermo il principio per cui in un appalto l’offerta, una volta presentata, non è
suscettibile di modificazione - pena la violazione della par condicio tra i concorrenti – ma ciò
non toglie che, siccome l’obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire se l’offerta
sia, nel suo complesso e nel suo importo originario, affidabile o meno, allora anche il giudizio
di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia di quelli che
militano a favore, sia di quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme.
Di conseguenza, si ritiene possibile che, a fronte di determinate voci di prezzo giudicate
eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa dimostri che, per converso, altre voci
sono state inizialmente sopravvalutate e che in relazione alle stesse è in grado di conseguire
un concreto, effettivo, documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di
altre voci (cfr. al riguardo: Consiglio di Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3146).
In particolare, la giurisprudenza ritiene coerenti con lo scopo del giudizio di anomalia
e con il rispetto dei principi di parità di trattamento e divieto di discriminazione: a) una
modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni eventualmente già fornite), lasciando però le voci di costo invariate; b) un aggiustamento di
singole voci di costo, che trovi il suo fondamento in sopravvenienze di fatto o normative, che
comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre
ragioni plausibili.
Il subprocedimento di giustificazione dell’offerta anomala non è volto a consentire
aggiustamenti dell’offerta “in itinere”, ma mira a verificare la serietà di un’offerta consapevolmente già formulata ed immutabile (in tal senso: Consiglio di Stato, sez. V, 12 marzo
2009, n. 1451).
Quello che non si può consentire è che in sede di giustificazioni vengano apoditticamente rimodulate le voci di costo senza alcuna motivazione, con un’operazione di “finanza
creativa”, priva di pezze d’appoggio, al solo scopo di “far quadrare i conti”, ossia di
assicurarsi che il prezzo complessivo offerto resti immutato e si superino le contestazioni
sollevate dalla stazione appaltante su alcune voci di costo (così espressamente, Consiglio di
Stato, sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 636).
Ecco allora che, nei limiti della ragionevolezza, emergente da dati variabili, tra i quali
vanno annoverati anche quelli rappresentati dalla complessità dell’appalto, dal valore del
medesimo, dal numero delle voci oggetto di rilievo e giustificazioni, non vi sono limitazioni
prefissate al potere di verifica della stazione appaltante, né è escluso che si possa procedere
in sede di verifica di anomalia ad un limitato rimaneggiamento degli elementi dell’offerta,
purché la proposta contrattuale non venga modificata o alterata ( cfr. tra le altre Consiglio
Stato, sez. VI, 7 marzo 2008, n. 1007).
Nel contesto di tale operazione si ammette pacificamente che l’impresa possa intervenire riducendo l’utile esposto, a condizione che tale voce non risulti del tutto azzerata,
perché ciò che importa è che l’offerta rimanga nel complesso seria (cfr. Consiglio di Stato,
sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 636; Consiglio di Stato, sez. IV, 23 luglio 2012, n. 4206; Consiglio
di Stato, sez. VI, 20 settembre 2013, n. 4676).
Insomma, nel contesto della valutazione dell’anomalia o, comunque, della congruità
dell’offerta, la giurisprudenza consolidata ritiene che essa sia seria anche laddove l’utile
d’impresa si riduca, purché non risulti del tutto azzerato, ciò perché non può essere fissata
a priori, ai fini del giudizio di anomalia, una quota rigida di utile al di sotto della quale
l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi, invece, avere riguardo alla
serietà della proposta contrattuale nel suo insieme.
Risulta, pertanto, in sé ingiustificabile solo un utile pari a zero, atteso che anche un utile
apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante, ove si tenga conto,
come già evidenziato, delle ricadute positive in termini di qualificazione, pubblicità, curriculum conseguibili dall’operatore economico in forza dell’aggiudicazione e dell’esecuzione
del contratto (cfr. T.A.R. Napoli Campania, sez. I, 10 settembre 2013, n. 4212; T.A.R.
Firenze Toscana, sez. I, 09 maggio 2013, n. 742; Consiglio di Stato, sez. IV, 23 luglio 2012, n.
4206; Consiglio Stato, sez. VI, 16 gennaio 2009, n. 215).
E’ pacifico che simili interventi sull’offerta non intaccano in modo lesivo le scelte
gestionali del concorrente, perché si lascia ferma l’offerta complessiva, ma, al fine di
consentirne la permanenza in gara, si ammette che una voce di costo possa essere recuperata
attraverso la riduzione dell’utile, purché lo si mantenga su una percentuale sufficientemente
remunerativa.
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Insomma, l’utile previsto si rivela una voce elastica dell’offerta, nei limiti della ragionevolezza, perché si presta ad adattamenti funzionali all’equilibrio dell’offerta complessiva,
di modo che una voce sbilanciata può essere recuperata incidendo sull’utile, senza alterare
la serietà dell’offerta complessiva.
Esigenze di coerenza e di razionalità conducono a ritenere che la relazione tra l’utile e
le altre voci dell’offerta non possa essere configurata in modo univoco, ossia solo al fine di
mantenere in equilibrio l’offerta in sede di giudizio di anomalia, ma debba essere valutata
anche al fine di stabilire, in sede di valutazione della domanda risarcitoria, la verosimile
percentuale di utile conseguibile dal concorrente.
Così come una voce di costo anormalmente bassa, o comunque incongrua, può essere
recuperata attraverso la riduzione dell’utile, perché è verosimile che l’impresa accetti una
contrazione dell’utile pur di coprire un costo esposto in modo eccessivamente basso, così da
rimanere in gara, allo stesso modo è verosimile che un’offerta economica particolarmente
bassa, tale da far conseguire al concorrente un punteggio elevato e da collocarlo ai vertici
della graduatoria, sia ragionevolmente sostenibile dall’offerente solo attraverso l’accettazione di una riduzione dell’utile effettivamente atteso, a prescindere dall’utile eventualmente esposto nell’offerta.
Si tratta di passare, ai soli fini della decisione sulla domanda risarcitoria, dall’analisi
astratta dell’offerta, all’esame concreto delle voci che la compongono, posto che il risarcimento deve ristorare tutto il danno effettivamente subito, ma non può eccederlo, perché non
può tradursi in uno strumento di arricchimento.
Ne discende che il danno consistente nella perdita dell’utile, non direttamente provato
nel suo concreto ammontare dal danneggiato, ma ricostruito in via presuntiva, sulla base di
criteri di verosimiglianza, deve essere quantificato dal giudice verificando se l’ipotesi
formulata dal ricorrente sia coerente con il contenuto dell’offerta economica, la quale, in
ragione del suo ammontare, assurge ad indizio dell’effettiva aderenza della perdita lamentata al valore dell’utile concretamente conseguibile.
A ben vedere, si tratta di fare applicazione delle regole sottese all’ordinario meccanismo induttivo che fonda le presunzioni rimesse all’apprezzamento del giudice, il quale deve
vagliare le allegazioni formulate dalla parte, confrontarle con i fatti rilevanti in concreto e,
all’esito di tale operazione, portare a conclusione il ragionamento induttivo, individuando il
ragionevole ammontare dell’utile effettivamente conseguibile e, quindi, il danno correlato
alla sua mancata percezione.
Nella fattispecie in esame, il riferimento al contenuto dell’offerta economica del
ricorrente conduce, in coerenza con i criteri sinora esaminati, ad escludere che l’utile
concretamente atteso sia pari al 10% del valore dell’offerta.
Invero, per l’esecuzione dei lavori, il Consorzio ricorrente ha offerto un prezzo pari a
1.437.094.804,14 euro, corrispondente ad un ribasso del 32% sull’importo a base d’asta
fissato in 2.132.188.136,70 euro, mentre per i servizi di progettazione ha offerto il prezzo di
26.529.619,82 euro rispetto all’importo a base d’asta di 39.361.453,74 euro.
Si tratta di ribassi particolarmente marcati, tanto che il Consorzio ricorrente ha
ottenuto il massimo punteggio previsto dal bando per l’offerta economica, pari a 50 punti,
mentre l’Ati aggiudicataria ha ottenuto, in ragione del più elevato ammontare della propria
offerta economica, solo 38,864 punti.
Insomma, tra l’offerta economica del primo e del secondo classificato vi è un divario di
circa 12 punti e complessivamente l’offerta aggiudicataria comporta una maggiore spesa per
la stazione appaltante di circa 120 milioni di euro.
Si tratta di un dato dal quale non si può prescindere nel valutare la verosimiglianza della
quantificazione del danno da mancata percezione dell’utile effettuata dal Consorzio Pedelombarda 2.
La presentazione di un’offerta connotata da un ribasso così marcato, non solo in valore
percentuale, ma anche in valore assoluto – determinando un minor costo complessivo di
circa 120.000.000,00 di euro – sottende una scelta imprenditoriale tesa a far prevalere
l’obiettivo del conseguimento dell’aggiudicazione su quello della massimizzazione dell’utile.
Il dato economico appena evidenziato conduce, secondo i criteri di verosimiglianza di
cui si è già trattato in ordine alla correlazione logica e fattuale tra l’entità dell’offerta
economica e l’utile atteso, a ritenere non ragionevole il risultato cui giunge il ricorrente in
sede di quantificazione del danno da mancata percezione dell’utile.
In particolare, corrisponde all’id quod plerumque accidit la circostanza che un’offerta
economica connotata da un ribasso così elevato, come quello esposto dal ricorrente, sia
sostenibile, nell’ottica della serietà dell’offerta – qui apprezzata solo ai fini della decisione
della domanda risarcitoria, ossia in funzione dell’accertamento della pretesa vantata, da
compiere sulla base di una piena cognizione dei fatti sui quali essa si fonda – solo attraverso
una riduzione dell’utile concretamente atteso.
In astratto è ipotizzabile che sulla consistenza dell’offerta economica abbiano inciso
anche altri fattori, come una diminuzione dei costi relativi alla realizzazione dell’opera,
nondimeno tale dato non vale ad inficiare il ragionamento presuntivo suindicato, perché
risponde a normalità che un ribasso particolarmente significativo sottenda un’erosione
dell’utile, fermo restando che nessuna spiegazione è stata fornita sul punto dal ricorrente,
che si è limitato a sottolineare la spiccata onerosità che l’offerta aggiudicataria presenta per
la stazione appaltante.
Al contrario, proprio l’ordinaria applicazione della regola della distribuzione dell’onere
della prova fa si che incomba sul danneggiato la dimostrazione, precisa e puntuale, di fatti
idonei a superare lo schema presuntivo delineato; nondimeno, le deduzioni del ricorrente
nulla evidenziano sul punto.
Ecco, allora, che, in considerazione dell’entità del ribasso offerto, l’utile ragionevolmente conseguibile dalla seconda classificata non può eccedere la soglia equitativa del 5%
del valore dell’offerta.
Sempre in un’ottica di determinazione presuntiva del danno da mancata percezione
dell’utile, occorre portare l’attenzione su un ulteriore dato di comune esperienza.
L’attività dell’appaltatore è evidentemente sottoposta al rischio di impresa ed è
normale che l’imprenditore tenga conto di tale dato in sede di quantificazione dell’offerta
economica.
Nondimeno, quando l’esecuzione del contratto comporta lo svolgimento di attività
particolarmente complesse, come nel caso di specie, è ragionevole ritenere che le previsioni
in ordine al rischio di impresa non possano essere adeguatamente dettagliate, sicché tale
rischio non può essere concretamente assorbito dal valore dell’offerta economica.
Tale circostanza si verifica nel caso in esame, che è connotato dall’esecuzione di opere
e di servizi di progettazione, entrambi di spiccata complessità, in ragione della natura, delle
dimensioni e delle difficoltà tecniche dei lavori da eseguire, nonché della loro incidenza su
aree fortemente antropizzate.
Ciò nonostante, il ricorrente ha presentato un’offerta economica significativamente
ribassata e particolarmente vantaggiosa per la stazione appaltante, tanto da meritare il
massimo dei punti conseguibili; offerta che, pertanto, non risulta tale da realizzare un’adeguata copertura del rischio di impresa verosimilmente sopportato dall’appaltatore.
Tale dato conduce ad evidenziare, secondo criteri di verosimiglianza e di normale
relazione causale tra accadimenti, che il rischio di impresa finisce col gravare sull’utile atteso,
nel senso che, pur di presentare un’offerta economica “aggressiva”, il Consorzio Pedelombarda 2 ha limitato l’assorbimento in essa del rischio di impresa prevedibile, il quale finisce
col trasferirsi, dal punto di vista economico, sull’utile concretamente ritraibile dall’esecuzione del contratto.
Esigenze di coerenza e di simmetria impongono di valorizzare tale trasferimento del
rischio anche in sede di quantificazione del danno da mancata percezione dell’utile, perché
quest’ultimo deve essere determinato, seppure in via presuntiva, mediante criteri aderenti
alla realtà fattuale, che nel caso di specie esprime la tendenziale ricaduta del rischio di
impresa sull’utile effettivamente conseguibile.
Del resto, il ricorrente non ha fornito elementi che permettano di superare le considerazioni appena svolte.
Sulla base di tali circostanze, il Tribunale ritiene che la percentuale di utile individuata
nel 5% del valore dell’offerta debba essere, in sede di quantificazione equitativa del danno,
ridotta di 1 punto percentuale, in ragione dell’elevato rischio di impresa concretamente
sussistente nella fattispecie in esame, sicché il parametro di riferimento diventa del 4%.
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La determinazione equitativa del quantum risarcibile a titolo di mancata percezione
dell’utile richiede un ulteriore passaggio.
La giurisprudenza consolidata e meritevole di condivisione rileva che il mancato utile
nella misura integrale, nel caso di annullamento dell’aggiudicazione e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se quest’ultimo dimostri di non aver potuto
altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da
ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri
lavori e servizi; pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di
una misura per l’“aliunde perceptum vel percipiendum”.
Si tratta, in particolare, di fare applicazione del principio emergente dall’art. 1227 c.c.,
in forza del quale il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il
danno, principio ripreso ed ampliato nella sua concreta portata applicativa dall’art. 30 c.p.a.,
ove si stabilisce che il giudice nella determinazione del risarcimento valuta tutte le circostanze di fatto ed il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il
risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche
attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.
Con riferimento alle gare di appalto l’operatore economico non aggiudicatario, ancorché proponga un ricorso e possa ragionevolmente confidare di riuscire vittorioso, non può
mai nutrire la matematica certezza che gli verrà aggiudicato il contratto, atteso che sono
molteplici le possibili sopravvenienze ostative, compresa la possibilità per la stazione
appaltante di decidere di non aggiudicare il contratto, ai sensi e nei limiti dell’art. 81 del
d.l.vo 2006 n. 163, o di intervenire in autotutela sull’aggiudicazione già adottata.
Ne consegue che non costituisce una condotta normalmente diligente quella consistente
nella immobilizzazione di tutti i mezzi d’impresa nelle more del giudizio e in attesa
dell’eventuale aggiudicazione in proprio favore, essendo, invece, ragionevole e coerente con
criteri di corretta gestione aziendale che l’impresa si attivi per svolgere, nelle more, altre
attività, procurandosi prestazioni contrattuali alternative dalla quali trarre utili (cfr. tra le più
recenti si consideri Consiglio di Stato, sez. V, 03 settembre 2013, n. 4376).
Insomma, l’imprenditore che partecipa ad una gara d’appalto e che ne contesta l’esito
in sede giurisdizionale, pretendendo di ottenere l’aggiudicazione ed avanzando anche una
domanda risarcitoria, è tenuto a rispettare il canone della diligenza professionale, ai sensi
dell’art. 1176 c.c., canone la cui osservanza si può da lui pretendere, in quanto esercente
professionalmente un’attività economica. E tale diligenza professionale si traduce nel dovere
di attivarsi, in attesa dell’esito del giudizio, per svolgere altre attività, utilizzando le
maestranze e i mezzi predisposti per l’appalto sub iudice e, quindi, procurandosi prestazioni
contrattuali ulteriori dalle quali trarre utili, così da limitare le conseguenza dannose
correlate alla mancata aggiudicazione della gara contestata.
Si tratta di una presunzione di comportamento diligente che può essere superata solo
dall’operatore interessato, il quale è tenuto a dimostrare di non aver potuto altrimenti
utilizzare maestranze e mezzi, ossia la propria struttura aziendale.
Nel caso di specie il danneggiato non ha dimostrato l’impossibilità di utilizzare
diversamente gli strumenti d’impresa, sicché, in applicazione della presunzione appena
indicata, si deve ritenere che egli abbia potuto utilizzare altrimenti il proprio complesso
aziendale e ciò conduce, in sede di valutazione equitativa ad effettuare un’ulteriore decurtazione di 2 punti sulla percentuale del 4% come prima determinata.
Ma ciò non basta, perché il caso in esame presenta peculiarità che inducono a decurtare
ulteriormente la somma spettante a titolo di risarcimento per mancata percezione dell’utile
sperato.
Si è già evidenziato – e lo stesso ricorrente lo riconosce nella memoria depositata in
data 4 maggio 2013 – che la gara in esame riguarda l’aggiudicazione di opere di rilevanza
strategica, rispetto alle quali l’art. 124 c.p.a. esclude espressamente la possibilità per il
giudice amministrativo, salve le ipotesi previste dall’art. 121 c.p.a., non dedotte e, comunque,
non sussistenti nel caso di specie, di intervenire sull’efficacia del contratto, tanto che resta
spazio solo per il ristoro mediante equivalente monetario.
A fronte di tale situazione, non è ragionevole ritenere che il ricorrente, dopo che la
stazione appaltante ha stipulato il contratto con la controinteressata, potesse riporre
affidamento sulla possibilità di conseguire l’aggiudicazione e di eseguire il contratto, sicché
è del tutto inverosimile che abbia paralizzato il complesso aziendale di cui dispone in attesa
dell’esito del giudizio.
Tale valutazione è rafforzata dalla considerazione dell’oggettiva complessità dell’appalto, che comprende lavori e servizi di particolare difficoltà, sia per le soluzioni tecniche
richieste, sia per l’entità delle opere da realizzare.
Ecco, allora, che risponde ad equità operare un’ulteriore decurtazione sulla percentuale
prima indicata, riducendola di 1 ulteriore punto percentuale.
Ne consegue che il valore percentuale da applicare per la determinazione del danno è
pari all’ 1%.
Quanto poi alla determinazione del valore cui applicare l’indicata percentuale non è
condivisibile la tesi della ricorrente che pretende di riferirsi al prezzo posto a base di gara.
Difatti, siccome il prezzo a base di gara è oggetto di ribasso, manca qualunque
correlazione tra il suo ammontare e l’utile previsto, correlazione esistente, invece, tra il
valore dell’offerta economica complessiva presentata dal danneggiato e l’utile che avrebbe
verosimilmente conseguito in caso di aggiudicazione del contratto in suo favore e successiva
esecuzione dell’appalto.
Ne deriva che il quantum cui riferire il valore percentuale dell’ 1% non è il prezzo posto
a base di gara, pari a circa 2.300.000.000,00 euro, ma l’importo concretamente offerto dal
ricorrente, che nel caso di specie risulta pari alla somma tra 1.437.094.804,14 euro (offerta
economica per i lavori) e 26.529.619,82 euro (offerta economica per i servizi), corrispondente
a complessivi 1.463.624.423,96.
6.3.3) La parte ricorrente lamenta un’ulteriore voce di danno, individuandola nel
pregiudizio curricolare, consistente nell’impossibilità di fare valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore del contratto non eseguito e il requisito di capacità
tecnica relativo alla tipologia di lavori oggetto dell’appalto in esame.
Tale danno viene quantificato nel 3% del valore dell’appalto, ossia in complessivi
69.000.000,00 di euro.
In proposito, il Tribunale osserva che se è condivisibile la prospettazione dell’esistenza
di un danno curriculare, al contrario non lo è la quantificazione cui perviene la parte
ricorrente.
Il c.d. danno curricolare si concretizza nella “perdita di qualificazione” risarcibile e per
la sua esatta delimitazione occorre muovere da un considerazione già esposta: l’interesse
all’aggiudicazione di un appalto pubblico, nella vita di un operatore economico, va oltre
l’esecuzione dell’opera in sé e i relativi ricavi diretti, dato che alla mancata esecuzione di
un’opera pubblica, illegittimamente negata dall’amministrazione, si ricollegano indiretti
nocumenti all’immagine dell’operatore economico, al suo radicamento nel mercato, all’ampliamento della qualità industriale o commerciale dell’azienda, al suo avviamento, cui si può
aggiungere la lesione al rispetto della concorrenza, in conseguenza dell’indebito potenziamento dell’impresa concorrente, che opera sul medesimo ambito di mercato e che è stata
dichiarata aggiudicataria della gara.
Ne consegue che l’impresa ingiustamente privata dell’esecuzione di un appalto può
rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di
incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al “curriculum professionale”, da
intendersi come afferente anche alla qualificazione professionale, al di là dell’incremento
degli eventuali specifici requisiti di qualificazione SOA e di partecipazione alle singole gare
(in argomento si considerino, tra le altre: T.A.R. Roma Lazio, sez. III, 05 marzo 2013, n.
2358; Consiglio di Stato, sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1681).
Tale voce di danno discende dall’impossibilità di utilizzare le referenze, derivanti
dall’esecuzione dell’appalto sub iudice, nell’ambito di future gare cui il danneggiato potrebbe partecipare, tanto che la giurisprudenza ha pure evidenziato che il soggetto economico non può dirsi gravato, a questo proposito, da alcun particolare onere probatorio (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V, 19 novembre 2012, n. 5846, che riflette un orientamento
consolidato).
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Anche per la quantificazione di questa particolare voce di danno occorre tenere conto
delle peculiarità del caso concreto, atteso che la determinazione in via equitativa del danno
deve comunque tendere ad un risultato aderente alla specificità del singolo caso.
E’ evidente che il danno curriculare, come sopra definito, varia da un operatore
economico all’altro ed è, inoltre, correlato alle peculiarità della singola gara, nel senso che
in presenza di una gara, che richieda ai partecipanti altissimi livelli di qualificazione, il danno
curriculare si riduce necessariamente, perché l’eventuale aggiudicazione potrebbe aggiungere molto poco o addirittura nulla alla qualificazione già posseduta; viceversa, una gara che
non richiede elevati profili di qualificazione si presta ad arricchire la sfera giuridica
dell’aggiudicatario e, quindi, ad incrementare in concreto la sua capacità di partecipare ad
altre procedure.
In altre parole, se il danno curriculare è il pregiudizio subito dall’impresa a causa del
mancato arricchimento del curriculum professionale, per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto, allora è ragionevole ritenere che tale danno si riduca al
crescere del livello di qualificazione già posseduto dall’impresa, perché quanto più essa è
qualificata, tanto meno la singola gara potrà accrescere la fama, il prestigio e la qualificazione di cui essa già gode (in argomento Consiglio di Stato, sez. III, 07 marzo 2013, n. 1381).
Quest’ultima situazione si verifica nel caso concreto, che si riferisce ad una gara per
l’aggiudicazione di un appalto di notevole complessità, avente ad oggetto lavori e servizi di
progettazione, per la realizzazione di opere che, per difficoltà tecnica, estensione e costi,
sono di non comune realizzazione.
Tant’è vero che il bando di gara, al paragrafo III.2.3, richiede ai concorrenti il possesso
di una cifra d’affari non inferiore a 6.781.915.638,78 di euro, pari a triplo dell’importo posto
a base di gara.
E’ evidente che la qualificazione per partecipare ad una simile gara può essere
posseduta solo da operatori, singoli o associati, che già si collocano al vertice della
qualificazione nel particolare settore di attività, sicché l’aggiudicazione dell’appalto in esame
non presenta una particolare capacità di arricchirne il curriculum.
Insomma, è del tutto ragionevole e coerente con l’oggetto del contratto da aggiudicare,
ritenere che la mancata aggiudicazione abbia inciso in modo estremamente limitato sulla
qualificazione della ricorrente, sicché il pregiudizio curricolare sfuma e il Tribunale ritiene
coerente con criteri equitativi di quantificazione determinarlo nella percentuale dello 0,5%
dell’offerta presentata dal ricorrente.
Del resto, né le deduzioni sviluppate da Consorzio Pedelombarda 2, né gli elementi
addotti a supporto della domanda risarcitoria valgono a superare le considerazioni appena
svolte.
6.3.3) In definitiva, il danno subito dalla ricorrente, a titolo di mancato conseguimento
dell’utile derivante dall’esecuzione del contratto e di pregiudizio curriculare, deve essere
quantificato applicando la percentuale complessiva dell’1,5% all’importo offerto dal ricorrente e pari a complessivi euro 1.463.624.423,96.
Ne consegue che la stazione appaltante deve essere condannata a risarcire al ricorrente
la somma di euro 21.954.366,35, da intendersi come calcolata con riferimento ai valori
attuali, ossia tenendo conto della svalutazione intervenuta nel periodo di riferimento.
Sulla somma così determinata ai valori attuali e con riferimento al periodo decorrente
dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione e sino al deposito della presenta sentenza
non spettano gli interessi compensativi, quale criterio equitativo di liquidazione del pregiudizio subito dal creditore per il ritardo nell’utilizzazione dell’equivalente monetario, atteso
che diversamente si determinerebbe un ingiusto arricchimento, facendo conseguire al
ricorrente più di quanto avrebbe ottenuto nel caso di assegnazione dell’appalto, ciò in
ragione delle voci di danno di cui è stato chiesto il ristoro (cfr. in argomento T.A.R. Napoli
Campania, sez. VIII, 19 dicembre 2012, n. 5254).
Viceversa, considerato che con la liquidazione giudiziale il debito di valore si trasforma
in debito di valuta, sulla somma sopra individuata devono essere corrisposti gli interessi nella
misura legale, con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino
all’effettiva soddisfazione del credito risarcitorio.
6.4) In definitiva, il primo ricorso incidentale deve essere respinto, mentre il secondo
ricorso incidentale deve essere dichiarato in parte infondato e in parte inammissibile;
inammissibilità che caratterizza anche i motivi aggiunti proposti rispetto al secondo ricorso
incidentale.
Viceversa, il ricorso principale deve essere respinto, mentre deve essere accolto il primo
ricorso per motivi aggiunti presentato dal ricorrente e nei limiti di quanto esposto in
motivazione.
Deve essere dichiarata inammissibile la domanda diretta ad ottenere la dichiarazione di
inefficacia del contratto, mentre la domanda risarcitoria deve essere parzialmente accolta,
nei limiti del ristoro per equivalente pecuniario, secondo quanto indicato in motivazione.
7) Dall’esame dei ricorsi proposti è emerso che la stazione appaltante ha aggiudicato
l’appalto in esame, relativo a lavori e servizi per un importo particolarmente ingente, atteso
che il prezzo complessivo posto a base di gara ammonta a circa 2.300.000.000,00 di euro, ad
un concorrente la cui offerta, secondo quanto emerge dall’analisi compiuta dal CTU, reca
modificazioni sostanziali al progetto posto a base di gara, in palese violazione della lex
specialis, che non consente l’introduzione di varianti in senso proprio.
Inoltre, l’offerta risultata illegittimamente aggiudicataria si caratterizza per un’evidente
maggiore onerosità per la stazione appaltante, rispetto a quella presentata dalla seconda
classificata, perché eccede quest’ultima di circa 120.000.000,00 di euro.
Tali profili, correlati poi all’accertata responsabilità risarcitoria della stazione appaltante nei confronti del Consorzio ricorrente, secondo classificato, rendono doveroso disporre
la trasmissione degli atti alla Procura presso la Corte dei Conti di Milano, per quanto di
eventuale competenza.
Le medesime ragioni inducono a disporre la trasmissione degli atti alla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Milano, per quanto di eventuale competenza.
8) Ai sensi degli artt. 66, comma 4 e 67, comma 5, c.p.a. deve essere liquidato il
compenso al Consulente tecnico d’ufficio, prof. Carmelo Majorana dell’Università degli
Studi di Padova, il quale ha presentato una dettagliata nota di liquidazione di 41.904,00 euro
per onorari e 2.293,00 euro per spese oltre IVA e Cassa.
Il Tribunale reputa congruo l’importo richiesto, in considerazione dell’impegno profuso
dal consulente tecnico, della complessità dell’oggetto della consulenza, nonché dell’ampiezza ed esaustività della relazione prodotta, in cui si dà anche ampio riscontro del
contraddittorio svolto con i consulenti tecnici di parte, le cui prospettazioni sono state
diffusamente illustrate nella relazione conclusiva.
Il compenso del Consulente tecnico deve essere posto a carico sia della stazione
appaltante, sia dell’Ati controinteressata, in solido tra loro e in parti uguali.
In relazione alle spese, il Tribunale ritiene che, salvo quanto appena indicato in ordine
al compenso spettante al consulente tecnico, la spiccata complessità fattuale e giuridica della
controversia conduca a compensare tra le parti le spese della lite..
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
definitivamente pronunciando:
1) respinge il ricorso incidentale, depositato in data 18 novembre 2011;
2) dichiara inammissibile il ricorso incidentale depositato in data 26 gennaio 2012,
nonché il successivo ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 6 febbraio 2012;
3) respinge il ricorso principale, depositato in data 13 ottobre 2011;
4) accoglie in parte i ricorsi per motivi aggiunti, depositati dal ricorrente principale in
data 29 dicembre 2011 e in data 08 febbraio 2012, secondo quanto esposto in motivazione e
per l’effetto annulla il provvedimento di aggiudicazione definitiva adottato in favore della
parte controinteressata;
5) respinge la domanda diretta alla dichiarazione di inefficacia del contratto;
6) accoglie la domanda risarcitoria, per equivalente pecuniario, proposta dal ricorrente
principale e per l’effetto condanna la stazione appaltante al pagamento della somma di euro
21.954.366,35 sulla quale dovranno essere corrisposti gli interessi al saggio legale, con
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decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino all’effettiva soddisfazione del credito risarcitorio.
7) condanna la stazione appaltante e la parte controinteressata, in solido tra loro e in
parti uguali, al pagamento del compenso spettante al C.T.U., prof. Carmelo Majorana
dell’Università degli Studi di Padova, liquidato in complessivi euro 44.197,00 oltre IVA e
Cassa pari alla somma tra i valori di 41.904,00 euro per onorari e di 2.293,00 euro per spese;
8) compensa, per il resto, le spese della lite;
9) dispone la trasmissione degli atti alla Procura presso la Corte dei Conti di Milano e
alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, per quanto di eventuale
competenza.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Silvana Bini, Consigliere
Fabrizio Fornataro, Primo Referendario, Estensore
Tribunale amministrativo regionale Lombardia Brescia Sez. I *9 dicembre 2013 n. 1102 Pres.
Mosconi Est. Gambato Spisani F. Srl (avv. Luppi) Comune di Sirmione . (avv. Bertuzzi,
Sina, Cominassi)
[6972/12] Pubblica amministrazione (P.A.) - In genere - Principio di proporzionalità - Origine Ordinamento europeo - Contenuto - È quello di realizzare lo scopo prefissato senza eccedere nei
mezzi necessari per raggiungerlo.
[6972/12] Pubblica amministrazione (P.A.) - In genere - Principio di proporzionalità - Diritto degli
esercizi di somministrazione di vendere i loro prodotti per asporto - È costituzionalmente
garantito - Limitazioni - Sono possibili ai sensi dell’art. 41 della Costituzione.
Art. 41 Cost
[6972/12] Pubblica amministrazione (P.A.) - In genere - Divieto di consumare alimenti in centro storico
- Inadeguatezza della misura - Interessi in conflitto - Valore afferente all’esercizio dell’impresa
raffrontato al generico decoro urbano - Prevalenza del primo.
Il principio di proporzionalità e adeguatezza del potere amministrativo discende dall’ordinamento europeo, e implica, secondo l’enunciazione paradigmatica contenuta nella sentenza
Corte UE 22 febbraio 2002 C 390/99 Canal Satelite, che l’intervento pubblico debba essere in
grado di assicurare il raggiungimento del risultato avuto di mira e non andar oltre quanto
necessario a raggiungerlo.
Ai sensi dell’art. 9 comma 14, l. rg. Lombardia n. 30 del 2003 per tempo vigente (ora
riprodotto dall’art. 69 comma 14, l. rg. n. 6 del 2010) gli esercizi di somministrazione hanno
un diritto, non subordinato dalla norma a limiti o prescrizioni, di vendere, se credano, per
asporto i loro prodotti, diritto che pertanto potrà limitarsi, se del caso, in base a norme
generali, in sé non escluse dall’art. 41 Cost.
La norma del regolamento di polizia urbana che, nel centro storico, vieta la consumazione di alimenti, cibi precotti o pasti preparati e frutta, eccetto gelati e granite, si concreta in
una misura inadeguata: a fronte dell’interesse imprenditoriale alla sopravvivenza della propria
impresa, anche in termini di redditività positiva, che ha tutela costituzionale ed europea, è
posto infatti un interesse non ben definito, che per solito si identifica col decoro urbano, ed è
oltretutto difficile identificare con quello della maggioranza dei consociati, tenuto conto che
tale interesse attiene praticamente soltanto a profili estetici, ed è diverso da quello volto ad
evitare l’imbrattamento dei luoghi, già presidiato da norme speciali.
Brescia 1102 Omissis
1. Il ricorso principale è fondato e va accolto, nei termini di che appresso.
2. Di tale ricorso, è infondato il primo motivo. L’atto generale infatti, per ragioni
logiche prima che giuridiche non perde il suo carattere, per cui esso si rivolge a destinatari
non determinati e non determinabili a priori, per il fatto che alcuni di essi, o anche tutti
costoro, siano in concreto individuabili; esso infatti non per questo cessa di applicarsi
comunque a tutti i soggetti che si trovino in una data situazione: il principio è stato affermato
anche ai massimi livelli da Tribunale UE 10 aprile 2008 T-233/04 Commissione c. Regno di
Olanda.
3. Nel caso concreto, era ed è sicuramente possibile individuare, in un centro urbano di
modeste dimensioni come Sirmione, tutti i rivenditori in concreto toccati dall’atto impugnato; ciò non toglie però che esso sia atto generale, perché formulato in modo da
disciplinare tutti coloro i quali in quella zona intendessero vendere alimenti per asporto;
l’atto in questione quindi per essere validamente emanato non necessitava del preavviso di
cui all’art. 7 l. 241/1990, come sancisce l’art. 13 comma 1 della stessa legge.
4. Parimenti infondato il secondo motivo, che muove da un presupposto errato:
l’ordinanza impugnata, a prescindere dai suoi possibili effetti concreti, non è atto che incide
sul regime della licenza di cui è titolare il ricorrente, ma solo sulle condizioni igieniche
richieste per esercitare la relativa attività; non necessita dunque delle relative formalità
procedimentali.
5. E’invece fondato il terzo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione del principio
di proporzionalità e adeguatezza nell’esercizio del potere amministrativo. Come è noto, tale
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principio discende dall’ordinamento europeo, e implica, secondo l’enunciazione paradigmatica contenuta nella sentenza Corte UE 22 febbraio 2002 C 390/99 Canal Satelite, che
l’intervento pubblico debba essere in grado di assicurare il raggiungimento del risultato
avuto di mira e non andar oltre quanto necessario a raggiungerlo. Con formulazioni
sostanzialmente identiche, la giurisprudenza nazionale, per tutte C.d.S. sez. V 14 aprile 2006
n°2087, ma conforme, ad esempio, è anche TAR Lazio Roma 12 luglio 2006 n°10485,
afferma poi che il principio di proporzionalità e adeguatezza “obbliga la pubblica amministrazione ad adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio
possibile per gli interessi compresenti.
6. Tale principio è stato applicato in particolare a fattispecie analoghe a quella per cui
è causa, relativi a misure limitative in senso ampio, come le restrizioni al traffico automobilistico, che C.d.S. sez. V 11 dicembre 2007 n°6383 considera legittime solo ove non
eccessivamente gravose, e i vincoli per servitù militari, che TAR Puglia Lecce 6 luglio 2006
n°3841 ammette solo ove si dimostri la necessità nell’interesse della difesa nazionale della
specifica limitazione adottata.
7. Applicando tali principi al caso di specie, si deve allora partire da un duplice dato
normativo. In primo luogo, vi è la norma di legge ricordata dalla ricorrente, ovvero l’art. 9
comma 14 della l.r. Lombardia 30/2003, vigente all’epoca dei fatti ed ora riprodotto dall’art.
69 comma 14 della l.r. Lombardia 6/ 2010 n°6, per cui gli esercizi di somministrazione hanno
un diritto, non subordinato dalla norma a limiti o prescrizioni, di vendere, se credano, per
asporto i loro prodotti, diritto che pertanto potrà limitarsi, se del caso, in base a norme
generali, in sé non escluse dall’art. 41 Cost.
8. Nel Comune di Sirmione, è vigente il già ricordato art. 19 del regolamento di polizia
urbana, che come si è visto consente di dettare prescrizioni per le modalità di confezionamento per la vendita degli alimenti suddetti e per il loro consumo in area pubblica. Si tratta
di norma non di per sé contraria a legge, anche tenuto conto del sopravvenuto art. 1 del d.l.
1/2012. Nessuno dubita infatti della compatibilità con la legge, e con le fonti di rango
superiore, ovvero con la Costituzione e con il Trattato UE, di misure in concreto adeguate.
Si fa il classico esempio dell’ordinanza regolarmente riadottata ad ogni stagione estiva, che
impone ai cocomerai di adottare le misure necessarie perché il loro prodotto non sia
contaminato dalle mosche, a protezione della salute dei consumatori.
9. Nel caso concreto, peraltro, l’adeguatezza della misura non sussiste, in primo luogo
a livello di interessi coinvolti. A fronte dell’interesse imprenditoriale alla sopravvivenza
della propria impresa, anche in termini di redditività positiva, che ha tutela costituzionale ed
europea, è posto infatti un interesse non ben definito, che per solito si identifica col decoro
urbano, ed è oltretutto difficile identificare con quello della maggioranza dei consociati. Si
noti poi che tale interesse attiene praticamente soltanto a profili estetici, ed è diverso da
quello volto ad evitare l’imbrattamento dei luoghi, già presidiato da norme speciali.
10. In termini di decoro urbano, allora, la semplice vista di persone le quali consumino
in luogo pubblico alimenti -oltretutto, nella prospettazione del Comune intimato, solo se
diversi da gelati e granite- può ben essere intesa, secondo un giudizio in sé del tutto
rispettabile, come turbativa del gusto estetico, anche dato per scontato che non si traduca in
abbandono dei rifiuti relativi, ma non pare che tale giudizio sia universalmente condiviso, in
modo da giustificare un intervento radicalmente proibitivo, rivolto sia ai consumatori, col
divieto di consumo, sia ai legittimi rivenditori con l’imposizione di modalità speciali di
vendita non richieste dall’igiene.
11. In particolare sull’ultimo punto, l’ordinanza impone ai rivenditori un onere sicuramente non lieve, costituito dal confezionamento particolare –con scritta multilingue di
divieto- e dalla sigillatura, tale all’evidenza da scoraggiare in modo significativo l’acquisto
del prodotto. E’evidente infatti che il consumatore, il quale si veda in fatto proibire di
gustare la specialità preferita come fragrante e appena preparata, si orienterà ad acquistare
altrove, con pregiudizio del giro di affari di un rivenditore che la stessa amministrazione ha
in precedenza autorizzato. L’ordinanza va pertanto annullata.
12. Le considerazioni appena svolte portano invece a respingere il ricorso per motivi
aggiunti, dato che, come si è visto, il potere di disciplina di cui all’art. 19 del Regolamento
non integra una previsione di per sé illegittima.
13. La parziale soccombenza è giusto motivo per compensare le spese.
Omissis
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Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. I 4 dicembre 2013 n. 1467 Pres. Pupilella
Est. Ponte C.P. e altro (avv. Pellerano, Quaglia) Comune di Bordighera . (avv.
Piciocchi)
[3972/12] Giustizia amministrativa - Interesse a ricorrere e resistere — edilizia - Diniego di sanatoria Estinzione - Ordine demolitorio - Permane.
[2964/12] Edilizia e urbanistica - Violazione di piani regolatori e di regolamenti edilizi comunali:
sanzione amministrativa - Ordinanza demolitoria - Istanza di sanatoria - Successiva - Rideterminazione - Necessità - Individuazione.
[2964/60] Edilizia e urbanistica - Concessione edilizia e licenza di abitabilità (ora permesso di costruire)
- Sanatoria - Ulteriori lavori - Ammissibilità - Esclusione.
[2964/12] Edilizia e urbanistica - Violazione di piani regolatori e di regolamenti edilizi comunali:
sanzione amministrativa - Ordinanza demolitoria - Istanza di sanatoria - Rigetto - Conseguenze Garanzie partecipative ulteriori - Esclusione.
[2964/1392] Edilizia e urbanistica - Violazione di piani regolatori e di regolamenti edilizi comunali Diffida a demolire - Inottemperanza - Conseguenze - Acquisizione gratuita - Natura dichiarativa.
Pur in caso di estinzione del giudizio di impugnazione del diniego di sanatoria, l’ordine
sanzionatorio edilizio del medesimo intervento abusivo è autonomamente lesivo e conseguentemente autonomamente impugnabile dal soggetto passivo per vizi autonomi e propri.
La precedente ordinanza sanzionatoria edilizia recante ingiunzione a demolire è superata dall’iter di sanatoria successivamente avviato dal soggetto passivo all’esito del quale infatti
(in linea generale) fa sempre comunque capo all’amministrazione comunale la rideterminazione quantomeno circa la decorrenza dell’elemento essenziale del termine entro il quale
eseguire.
La sanabilità degli abusi edilizi è ammessa soltanto entro i limiti delineati dal legislatore,
in termini di accertamento di conformità, senza alcuna estensione discrezionale da parte della
P.A., per cui sarebbe illegittimo un provvedimento di sanatoria che, al fine di rendere
l’esistente conforme alle prescrizioni urbanistiche vigenti, preveda l’esecuzione di ulteriori
lavori.
L’ingiunzione di demolizione, emessa successivamente all’adozione di un diniego di
concessione edilizia in sanatoria, non necessita del previo avviso di avvio del procedimento
amministrativo ex art. 7, l. n. 241 del 1990, trattandosi di atto vincolato e meramente
consequenziale, nell’ambito di un procedimento sanzionatorio sostanzialmente unitario.
L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile abusivo, del sedime e della
relativa area di pertinenza costituisce effetto automatico della mancata ottemperanza alla
ordinanza di ingiunzione della demolizione, ha natura meramente dichiarativa e non implica
scelte di tipo discrezionale, con la conseguenza che, ai fini della sua adozione, una volta
avveratisi i suddetti presupposti, non incombe alla P.A. un peculiare obbligo di motivazione
in ordine alla misura della acquisizione. Ciò appare pienamente compatibile con gli obblighi
esplicativi di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 31 del testo unico edilizia in ordine al contenuto
dell’ordinanza demolitoria.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 938 del 2005, proposto da: Putrino Caterina e
Lai Luigi, rappresentato e difeso dagli avv. Mario Alberto Quaglia, Rosa Pellerano, con
domicilio eletto presso Mario Alberto Quaglia in Genova, via Roma 3/9;
contro
Comune di Bordighera, rappresentato e difeso dall’avv. Pietro Piciocchi, con domicilio
eletto presso Pietro Piciocchi in Genova, corso Torino, 30/18;
per l’annullamento
del provvvedimento del Comune di Bordighera prot. n. 9509 del 29.06.2005, avente ad
oggetto ordinanza di demolizione opere edilizie abusive art. 31 del D.P.R. 380/2001, nonchè
contro ogni altro atto presupposto, antecedente, conseguente o comunque connesso, ivi
espressamente comprendendo il provvedimento prot. n. 8492 del 15.02.2005 contenente
diniego di permesso di costruire in sanatoria
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bordighera;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2013 il dott. Davide Ponte e
uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO — Con il gravame introduttivo del giudizio l’odierna parte
ricorrente, quali proprietari dell’immobile interessato e titolari dell’attività agricola ivi
operante, impugnavano il provvedimento di cui in epigrafe, avente ad oggetto ordine di
demolizione di opere abusive asseritamente realizzate in ampliamento di magazzino agricolo, successivo a precedente ordine seguito da istanza di sanatoria (la cui impugnativa, già
proposta, è poi risultata perenta). Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, avverso
l’atto impugnato parte ricorrente muoveva le seguenti censure:
- illegittimità derivata dai vizi concernenti il diniego di sanatoria;
- illegittimità propria per: violazione degli artt. 10 ss tu edilizia, 14 nta prg vigente e 19
reg edil, 9 l. 122\89, eccesso di potere per travisamento, difetto di istruttoria, in quanto nel
caso de quo si tratterebbe di parcheggio pertinenziale; violazione degli artt. 3 ss. l. 241\1990
per mancata comunicazione avvio procedimento; violazione degli artt. 31 ss tu cit., diversi
profili di eccesso di potere, in ordine all’individuazione dell’area da acquisire in caso di
inottemperanza.
L’amministrazione intimata si costituiva in giudizio e, replicando punto per punto,
chiedeva la declaratoria di inammissibilità e\o improcedibilità ed il rigetto del gravame.
Con ordinanza n. 448\2005 veniva accolta la domanda di misura cautelare e quindi
sospesa l’esecuzione del provvedimento.
Alla pubblica udienza del 21\11\2013 la causa passava in decisione.
Preliminarmente, appare prima facie destituita di fondamento l’eccezione di improcedibilità e\o inammissibilità dedotta dalla difesa comunale in ordine ad un presunto difetto di
interesse a fronte della perenzione del giudizio proposto avverso il diniego di sanatoria.
Infatti, tale esito comporta la mera improcedibilità, invero riconosciuta dalla stessa parte
ricorrente, dei vizi di illegittimità derivata; diversamente, è principio noto e consolidato
quello per cui l’ordine sanzionatorio edilizio è autonomamente lesivo e conseguentemente
autonomamente impugnabile dal soggetto passivo per vizi autonomi e propri. Né alcun
rilievo può assurgere la pregressa ingiunzione, superata dall’iter di sanatoria, all’esito del
quale infatti (in linea generale) fa sempre comunque capo all’amministrazione comunale la
rideterminazione quantomeno circa la decorrenza dell’elemento essenziale del termine
entro il quale eseguire.
Peraltro, nel caso de quo assume rilievo dirimente la circostanza, quale che sia la
qualificazione degli effetti della perenzione del giudizio avverso l’esito della sanatoria, che
l’amministrazione si è comunque rideterminata con l’adozione di un nuovo atto sanzionatorio, rispetto al quale si concentra il presente giudizio e la controversia fra le parti, oltreché
l’interesse alla decisione.
Nel merito, rispetto ai residui vizi propri, il ricorso appare prima facie destituito di
fondamento sotto tutti e tre gli ordini di vizi dedotti.
In primo luogo, relativamente alla presunta pertinenzialità e conseguente applicazione
del regime di d.i.a., nel caso di specie risulta del tutto carente il presupposto dell’essere, il
manufatto parcheggio, realizzato al di sotto del piano di campagna; né al riguardo può
assumere rilievo il progredire della futura attività costruttiva di riempimento, trattandosi
allo stato e pacificamente di attività abusiva. Nella prima direzione, costituisce presupposto
pacifico del regime semplificato invocato il carattere interrato del parcheggio, assente nel
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caso de quo, al pari dell’alternativo presupposto del trovarsi al piano terreno del fabbricato;
infatti nella specie il manufatto in questione risulta magazzino esterno al fabbricato abitativo
cui sarebbe da ricollegare l’invocata pertinenzialità. Nella seconda direzione, va ribadito il
principio a mente del quale la sanabilità è ammessa soltanto entro i limiti delineati dal
legislatore, senza alcuna estensione discrezionale da parte della p.a., per cui sarebbe
illegittimo un provvedimento di sanatoria che, al fine di rendere l’esistente conforme alle
prescrizioni urbanistiche vigenti, preveda l’esecuzione di ulteriori lavori (cfr. ad es. Tar
Liguria n. 1377\2013); nella specie, se per un verso la non sanabilità non è più in discussione,
a maggior ragione ulteriori opere future non sono invocabili in sede sanzionatoria.
In secondo luogo, relativamente alla lesione delle garanzie partecipative, costituisce
principio consolidato nella giurisprudenza della sezione – da cui per evidenti ragioni di
certezza non vi sono ragioni per discostarsi – quello in base al quale l’ingiunzione di
demolizione, emessa successivamente all’adozione di un diniego di concessione edilizia in
sanatoria, non necessita del previo avviso di avvio del procedimento amministrativo ex art.
7, l. n. 241 del 1990, trattandosi di atto vincolato e meramente consequenziale, nell’ambito
di un procedimento sanzionatorio sostanzialmente unitario (cfr. ad es. Ta r Liguria n.
150\2011).
Infine, relativamente all’indicazione dell’area da acquisire, il provvedimento impugnato
risulta conforme ai parametri normativi, sia in relazione alla specifica indicazione dell’area
imposta dalla stessa norma di cui all’art. 31 t.u. edilizia, sia in ordine alla espressa
motivazione ivi contenuta in merito al rispetto dei limiti di estensione della stessa.
La norma in questione, come noto, prevede: “Il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in
totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi
dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la
demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del
comma 3.
3. Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato
dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché
quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere
analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune.
L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie
utile abusivamente costruita.”
Il provvedimento impugnato contiene sia l’indicazione dettagliata dell’area sia l’esplicazione dei motivi confortanti circa il rispetto dei limiti di cui al comma 3.
Ciò trova conforto nel principio conseguente per cui l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile abusivo, del sedime e della relativa area di pertinenza costituisce effetto automatico della mancata ottemperanza alla ordinanza di ingiunzione della
demolizione, ha natura meramente dichiarativa e non implica scelte di tipo discrezionale,
con la conseguenza che, ai fini della sua adozione, una volta avveratisi i suddetti presupposti,
non incombe alla P.A. un peculiare obbligo di motivazione in ordine alla misura della
acquisizione. Ciò appare pienamente compatibile con i predetti obblighi esplicativi di cui ai
commi 2 e 3, circa il contenuto dell’ordinanza demolitoria, pienamente rispettati nel caso de
quo.
Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in
parte improcedibile e nella restante parte lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Roberto Pupilella, Presidente
Paolo Peruggia, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. I 11 dicembre 2013 n. 1489 Pres. Balba Est.
Pupilella T.J. (avv. Denicolò, Spagnolo) Ministero dell’economia e delle finanze ed
altro . (Avv. Stato)
[3996/180] Guardia di finanza - Indennità - Trasferimento - Spettanza - Soppressione ufficio - Fattispecie.
[3996/180] Guardia di finanza - Indennità - Trasferimento - Spettanza - Soppressione ufficio - Limiti Nuova disciplina.
In relazione a trasferimenti anteriori all’entrata in vigore dell’art. 1 comma 163, l. n. 228
del 2012, nel caso di trasferimento a seguito della soppressione dell’ufficio presso il quale i
finanzieri svolgevano il proprio servizio comporta la spettanza per i militari dell’indennità di
trasferimento prevista dalla l. n. 86 del 2011; in proposito, la richiesta, proveniente dall’amministrazione, di avanzare apposita istanza, da parte del militare, per indicare una sede di suo
gradimento, non può eliminare la natura di trasferimento d’autorità insita nel provvedimento
posto che, origine del movimento, non è l’iniziativa dei ricorrenti dovuta a ragioni personali,
ma il trasferimento è determinato dal preminente interesse pubblico conseguente alla riorganizzazione di reparti da parte del Comando generale.
La disciplina di cui all’art. 1 comma 163, l. 24 dicembre 2012 n. 228, in tema di
soppressione della sede di servizio presso cui prestavano servizio i militari, ha carattere
innovativo e quindi non applicabile retroattivamente ai trasferimenti effettuati prima della
entrata in vigore della predetta innovazione normativa.
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Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4 del 2012, proposto da: Joannes Timurian,
rappresentato e difeso dagli avv. Michele Denicolo’, Clementina Spagnolo, con domicilio
eletto presso Clementina Spagnolo in Genova, c/o Segreteria T.A.R. Liguria;
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comando Generale Guardia di Finanza,
Comando Provinciale Guardia di Finanza di Savona, rappresentati e difesi per legge
dall’Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Genova, viale Brigate Partigiane N. 2;
per l’annullamento
provvedimento reiezione istanza tesa ad ottenere trattamenti economici
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Economia e delle Finanze e di
Comando Generale Guardia di Finanza e di Comando Provinciale Guardia di Finanza di
Savona;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 novembre 2013 il dott. Roberto Pupilella
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO — Con ricorso regolarmente notificato e depositato il ricorrente, militare
della Guardia di Finanza chiede l’accertamento del diritto alla corresponsione dell’indennità
di trasferimento ex lege 86/2001 e la conseguente condanna dell’amministrazione intimata al
pagamento di quanto dovuto a tale titolo.
La scaturigine del ricorso trova fondamento nella riorganizzazione di molti reparti
territoriali del corpo della guardia di Finanza (docc. 2 e3 ric) che hanno portato, tra l’altro,
alla soppressione del reparto presso il quale prestava servizio il ricorrente (3° squadra
operativa stanziale della compagnia di Domodossola).
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A seguito della prevista soppressione dell’ufficio di appartenenza veniva chiesto ai
militari di avanzare istanza di trasferimento con l’indicazione di eventuali incompatibilità e
destinazioni di gradimento degli attuali ricorrenti.
In data 31 luglio 2011 il militare veniva trasferito nella sede di destinazione indicata.
Il ricorso è affidato ad un’articolata censura, così rubricata:
-Violazione di legge per falsa applicazione delle norme in materia di trasferimento (art.
1 L. 29\3\2001 n.86).
Si costituiva in giudizio l’Avvocatura dello Stato per l’amministrazione resistente che
chiedeva il rigetto del ricorso.
All’udienza di merito, fissata per il 14\11\2013 la causa passava in decisione.
DIRITTO — Il ricorso è fondato.
Questo Tribunale (Tar Liguria II n. 798\2011; I sez. nn. 806 e 807\2013) si è già
pronunciato in termini in una controversia di identico tenore volta al conseguimento da
parte dei militari dell’indennità di trasferimento prevista dalla l.n.86\2001, nel caso di
trasferimento a seguito della soppressione dell’ufficio presso il quale svolgevano il proprio
servizio.
In queste ipotesi, la richiesta, proveniente dall’amministrazione, di avanzare apposita
istanza, da parte del militare, per indicare una sede di suo gradimento, non può eliminare la
natura di trasferimento d’autorità insita nel provvedimento posto che, origine del movimento, non è l’iniziativa dei ricorrenti dovuta a ragioni personali, ma il trasferimento è
determinato dal preminente interesse pubblico conseguente alla riorganizzazione di reparti
da parte del Comando generale, che, nello specifico, hanno portato alla soppressione
dell’ufficio presso il quale i militari prestavano servizio.
L’assunto del Tribunale ha trovato conferma in altre pronunce ( da ultimo CdS IV
7\6\2012 n.3383; CdS IV 6\8\2013 n.4119; Tar Calabria Cz n.884\2012; CGA reg. Sicilia n.777
del 18\9\2012), che hanno sottolineato, nel caso di soppressione dell’ufficio de quo, la
prevalenza delle esigenze dell’amministrazione rispetto all’eventuale interpello dei militari
coinvolti circa la loro futura destinazione.
Inoltre l’interpello richiesto ai militari aveva anche la precipua funzione di conoscere
eventuali cause d’incompatibilità allo svolgimento del servizio presso alcune strutture o sedi,
interesse ancora una volta di preminente carattere pubblico vista la delicata funzione svolta
dai militari della Guardia di Finanza.
Va infine ricordato che il legislatore, con norma innovativa e quindi non applicabile
retroattivamente (cfr. CdS IV n.4159\2013) ha modificato la normativa in essere a far tempo
dall’entrata in vigore della finanziaria 2013 (art. 1 comma 163, L n24\12\2012 n.228)
normando le ipotesi di soppressione della sede di servizio presso cui prestavano servizio i
militari.
Trattandosi, nel caso di specie di un trasferimento effettuato prima della entrata in
vigore della predetta innovazione normativa, la norma applicabile è quella che questo
tribunale, in sintonia con la giurisprudenza più recente del CdS ha già riconosciuto
meritevole della tutela richiesta, riconoscendo in queste ipotesi il diritto alle indennità
stabilite dall’art. 1 della l.n.86\2001).
In conclusione il ricorso va accolto risultando fondati i profili di censura posti a
fondamento del motivo d’impugnativa, riconoscendo dovuta nei limiti di legge, l’indennità
di trasferimento ex l.n.86\2001.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per
l’effetto accerta il diritto del ricorrente a percepire l’indennità di trasferimento ex l.n.86\2001
e condanna l’Amministrazione resistente a provvedere al pagamento della predetta indennità.
Condanna l’Amministrazione resistente alla rifusione delle spese di lite, che si liquidano nella misura complessiva di E.3.000 (tremila), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Santo Balba, Presidente
Roberto Pupilella, Consigliere, Estensore
Angelo Vitali, Consigliere
FORO
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59
Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. I 11 dicembre 2013 n. 1490 Pres. Balba Est.
Ponte Soc.S. (avv. Saguato) Regione Liguria . (avv. Regione)
[2964/804] Edilizia e urbanistica - Piani regolatori generali - Disciplina - Principi - Fattispecie Modifiche d’ufficio - Sub procedimento.
[2964/804] Edilizia e urbanistica - Piani regolatori generali - Disciplina - Vincolo alberghiero - Limiti Motivazione - Necessità - Individuazione.
In via generale, la legge urbanistica fondamentale, pur non assumendo la qualificazione
di legge quadro in senso proprio, contiene prescrizioni cui si deve riconoscere il carattere di
principi fondamentali (in tema di governo del territorio) nei limiti dei quali il legislatore
regionale si può muovere; in dettaglio, tale legge di principio, peraltro ripresa anche dalla
legislazione regionale, configura una inegualità della complessità del procedimento di formazione degli atti pianificatori nel senso della preminenza della posizione dell’organo approvante rispetto a quella del comune. In tale contesto assume connotati di principio, anche al fine
di dare ragionevolezza al sistema di atto complesso seppur ineguale, l’obbligo, in caso di
modifiche di ufficio, di prevedere una sub fase procedimentale di pubblicazione, acquisizione
di osservazioni e controdeduzioni, specie laddove la modifica d’ufficio porti al totale ribaltamento della previsione contestata.
In tema di destinazione urbanistiche ricettiva, oggetto di vincolo « alberghiero » possono
essere solo le strutture per le quali alla data di entrata in vigore della legge esisteva una
classificazione in corso di validità, in quanto per le altre occorre una espressa e specifica
motivazione anche in ordine alla relativa scelta urbanistica.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 219 del 2013, proposto da: Società Lido Srl,
rappresentato e difeso dall’avv. Luca Saguato, con domicilio eletto presso Luca Saguato in
Genova, via Roma 11/1;
contro
Regione Liguria, rappresentato e difeso dall’avv. Marina Crovetto, con domicilio eletto
presso Marina Crovetto in Genova, via Fieschi, 15; Comune di Diano Marina;
per l’annullamento
provvedimento avente ad oggetto approvazione variante al piano urbanistico comunale
ai sensi della l.r. 07/02/2008 n. 1
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Liguria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2013 il dott. Davide Ponte e uditi
per le parti i difensori come specificato nel verbale;
- rilevato che la presente controversia ha ad oggetto la vexata quaestio concernente la
disciplina urbanistica degli alberghi, con particolare riferimento al vincolo di destinazione
alberghiera ed alla possibilità di ottenerne il superamento da parte del privato interessato;
- che i caratteri della presente fattispecie riprendono in toto quanto posto a fondamento
di alcuni recenti precedenti resi da questa sezione (cfr. ad es. sentenze 726 e 1385\2013),
cosicchè sussistono i presupposti, già paventati in sede cautelare, per la definizione ai sensi
dell’art. 74 cod proc amm;
- che nel caso de quo come emerge dall’analisi degli atti, la proposta adottata dal
comune risulta, sul punto specifico del vincolo sull’immobile in questione (per quanto di
interesse nel caso de quo) completamente ribaltata dalla Regione, sulla scorta di una
valutazione autonoma, priva di riscontro rispetto alle ragioni comunali;
- che inoltre l’attività ricettiva risulta chiusa dal 2001;
- che, sulla scorta dell’inquadramento svolto nei precedenti richiamati anche il presente
ricorso appare fondato sotto due distinti profili;
- che, in primo luogo, assume rilievo il versante più strettamente procedimentale, in
considerazione della peculiarità del caso de quo laddove l’adozione comunale (dovendo
qualificarsi in tali termini la modifica di piano adottata, non a caso, dall’organo consiliare)
risulta del tutto ribaltata dall’approvazione (approvata peraltro dal diverso organo Giunta,
in assenza di puntuali indicazioni normative sulla competenza), risultano fondati i vizi
dedotti con il quinto ordine di rilievi;
- che, a fronte della riscontrata carenza della disciplina specifica della fase di approvazione, occorre far riferimento ai principi fondamentali di cui alla legge statale ed alla
normativa generale e di dettaglio di cui alla legislazione urbanistica regionale;
- che nella prima direzione è noto come, qualora la Regione ritenga che una qualche
modifica di qualsivoglia portata si renda all’uopo necessaria, la stessa dovrà attivarsi
necessariamente ed esclusivamente, in forza dell’inequivoca volontà espressa dal legislatore
statale nonché regionale, il procedimento di controdeduzioni previsto dal comma 4 dell’art.
10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (cfr. ad es. Tar Liguria 10393\2010, 985\2002 e CdS
7782\2003);
- che nella seconda direzione, dai medesimi precedenti si ricava come anche la
legislazione regionale urbanistica preveda in ogni caso la predetta fase procedimentale in
caso di modifiche in sede di approvazione (cfr. ad es. artt. 40, 44 e 82 l.r. 36 cit.);
- che, se in relazione al chiaro dettato legislativo (statale e regionale), come correttamente ricostruito dai precedenti richiamati, si ricavano elementi sufficienti per imporre in
termini di principio la fase omessa nella specie, la rilevanza della questione (che tanto ha
impegnato gli uffici regionali, i quali invero si sono trovati ad affrontare una non facile
opzione esegetica e applicativa, con difficoltà di cui va dato espressamente atto) impone di
svolgere alcune ulteriori considerazioni generali a fini di inquadramento della complessa
disciplina urbanistica;
- che in proposito, sono noti e consolidati i seguenti due postulati: in via generale, la
legge urbanistica fondamentale, pur non assumendo la qualificazione di legge quadro in
senso proprio, contiene prescrizioni cui si deve riconoscere il carattere di principi fondamentali (in tema di governo del territorio) nei limiti dei quali il legislatore regionale si può
muovere; in dettaglio, tale legge di principio, peraltro ripresa anche dalla legislazione
regionale, configura una inegualità della complessità del procedimento di formazione degli
atti pianificatori nel senso della preminenza della posizione dell’organo approvante rispetto
a quella del comune;
- che in tale contesto assume connotati di principio, anche al fine di dare ragionevolezza
al sistema di atto complesso seppur ineguale, l’obbligo, in caso di modifiche di ufficio, di
prevedere una sub fase procedimentale di pubblicazione, acquisizione di osservazioni e
controdeduzioni, specie laddove (come nel caso de quo) la modifica d’ufficio porti al totale
ribaltamento della previsione contestata;
- che l’interpretazione posta a fondamento della censura accolta è d’altronde l’unica che
si ponga in piena compatibilità con l’ulteriore principio fondante la natura di atto complesso
ed ineguale: quello per cui il provvedimento finale di approvazione di uno strumento
urbanistico costituisce un atto complesso alla cui formazione concorrono sia la volontà
comunale che quella regionale e la partecipazione al procedimento della Regione è giustificata dalla necessità di tutelare gli interessi pubblici affidati dall’ordinamento alla Regione
stessa e, in particolare, il paesaggio ed i complessi storici, monumentali, ambientali ed
archeologici, come recita l’art. 10 comma 2, lett. c), l. 17 agosto 1942 n. 1150, norma che
individua gli interessi che possono legittimamente giustificare prescrizioni regionali integrative dei piani urbanistici comunali, e ciò senza alcuna necessità della preesistenza di vincoli
specifici (cfr. ad es. CdS n. 1004\2010);
- che anche nel caso in cui si ritenesse di aderire ad una tesi meno estesa circa la valenza
della legge statale, come detto la stessa legislazione regionale ragionevolmente impone
passaggi procedimentali e motivazionali tali da garantire l’effettività della natura di atto
complesso delle delibere e delle scelte di valenza urbanistica;
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- che nella specie, alla modifica di ufficio non ha fatto seguito alcuna fase di pubblicazione e controdeduzione;
- che in secondo luogo, sotto il versante sostanziale, appare fondato il dedotto difetto
di motivazione in ordine agli elementi posti a base dell’istanza di svincolo, fatti propri dal
consiglio comunale con le originarie delibere, tra cui l’inadeguatezza attuale e l’inoperatività
della struttura alberghiera sin dal 2001;
- che la fondatezza emerge prima facie sulla scorta dell’orientamento più volte reiterato
da questa sezione (che parrebbe in parte ripreso dal nuovo testo dell’art. 2, così come
recentemente modificato), a mente del quale oggetto di vincolo sono solo le strutture per le
quali alla data di entrata in vigore della legge esisteva una classificazione in corso di validità:
in proposito, si è ritenuto che tali immobili siano definitivamente usciti dal circuito alberghiero e ricondurceli a forza significa non già vincolare la prosecuzione di un’attività ma
bensì imporre l’avvio di una nuova attività ovvero il mantenimento a destinazione improduttiva di un cespite idoneo a produrre reddito ove utilizzato diversamente (cfr. ad es.
sentenze 1150\2011 e 77\2013);
- che peraltro, nel caso di specie la censura appare fondata anche laddove si ritenga di
dare preminenza alla diversa conclusione (motivazionale, non di esito) che emerge da alcune
specifiche statuizioni del Giudice di appello (cfr. ex multis sent. 418\2013);
- che al riguardo, riprendendo altresì quanto sopra evidenziato circa gli obblighi
motivazionali facenti capo alle amministrazioni coinvolte dall’atto complesso di valenza
urbanistica, in specie laddove come nel caso de quo si incida su posizioni individuate ed
aspettative create anche ex lege (cfr. art. 2 comma 4 l.r. 1 cit.), assumono preminente rilievo
nel caso di specie gli specifici elementi prodotti in sede di originaria istanza del privato e la
laconicità della motivazione della diversa scelta regionale, fondata sulla mera collocazione
del bene e sulla potenzialità ricettiva e priva di qualsiasi valutazione di tutti gli ulteriori
rilevanti elementi della fattispecie, secondo quanto imposto dalla stessa legislazione regionale;
- che a quest’ultimo proposito, è noto che il vincolo in questione può essere rimosso
attraverso appunto la variante, nei modi e alle condizioni indicate nel comma 4 dell’art. 2 già
citati più volte, ossia su richiesta dei proprietari e per le strutture per le quali non sia più
esercitabile l’attività alberghiera, in relazione “...alla sopravvenuta inadeguatezza a mantenere la presenza sul mercato dell’offerta ricettiva e alla non sostenibilità economica della
stessa, motivate da almeno una delle seguenti cause: a) oggettiva impossibilità dell’immobile
ad adeguare le sue caratteristiche distributive, funzionali e dimensionali al livello degli
standard qualitativi del settore alberghiero, a causa dell’esistenza di vincoli paesaggistici,
monumentali od urbanistico-edilizi non superabili; b) collocazione della struttura in un
contesto le cui caratteristiche urbanistiche o territoriali determinino l’incompatibilità o
l’insostenibilità della funzione alberghiera”.
- che nel caso di specie, la ricorrente aveva presentato istanza con cui chiedeva che fosse
disposto il non assoggettamento al vincolo di destinazione alberghiera perché la struttura,
inoperante da diversi anni, era inadeguata sotto il profilo dimensionale, distributivo, pertinenziale, producendo complessa e dettagliata relazione tecnica sul punto;
- che a fronte della condivisione comunale di tali elementi, oltre che della specificità
degli stessi, è evidente che la deliberazione regionale avrebbe dovuto darsi carico di un
esame esaustivo dei profili segnalati, e quindi considerare partitamente sia l’aspetto dimensionale e distributivo, che quello concernente la dotazione urbanistica, anche in rapporto
all’offerta turistico-ricettiva assicurata da una struttura pacificamente non più operativa da
anni;
- che all’opposto, non può essere sufficiente la considerazione della mera collocazione
dell’immobile e delle potenzialità, anche in considerazione della illogica valutazione regionale circa l’esigenza di riqualificare l’immobile;
- che, oltre alla genericità intrinseca della motivazione appena richiamata nonché
all’illogicità della predetta esigenza indicata, nessuna valutazione risulta quindi essere stata
svolta circa i numerosi elementi specifici indicati nella relazione e nell’istanza originaria,
condivisa in sede di adozione della variante comunale;
- che alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso appare fondato nei termini
indicati; per l’effetto va disposto l’annullamento della delibera di Giunta regionale 818\2012
in parte qua, cioè nella parte in cui involge il bene immobile di parte ricorrente;
- che sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite, anche alla luce della
peculiarità della fattispecie e della laconicità della disciplina legislativa in materia, oggetto di
modifica in epoca successiva ai fatti di causa.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie e per
l’effetto annulla l’atto impugnato in parte qua, nei limiti di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Santo Balba, Presidente
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
Luca Morbelli, Consigliere
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Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. I 23 dicembre 2013 n. 1584 Pres. Balba Est.
Vitali Soc.M. ed altri (avv. Sommovigo) Regione Liguria, Provincia di La Spezia,
Comune di Brugnato, Soc.S. ed altri (n.c.). (avv. Regione), (avv. Provincia), (avv.
Gerbi, Leoni), (avv. Cocchi)
[3972/1788] Giustizia amministrativa - Legittimazione a ricorrere e a resistere - Titoli edilizi - Presupposto - Titoli commerciali - Presupposto - Individuazione - Distinzione.
[3972/1788] Giustizia amministrativa - Legittimazione a ricorrere e a resistere - Titoli edilizi - Titoli
commerciali - Concorrenza - Distinzione - Criteri.
[3972/1788] Giustizia amministrativa - Legittimazione a ricorrere e a resistere - Titoli edilizi - Operatore
commerciale - Limiti - Individuazione.
[8790/12] Unione europea - Circolazione delle persone - Diritto di stabilimento dei lavoratori autonomi
(libertà di -) - Esercizi commerciali - Legittimazione a contestare - Concorrenza - Insufficienza.
In tema di interesse e legittimazione all’impugnativa di titoli edilizi presupposto fondamentale è la vicinitas che presuppone in estrema sintesi un nesso tra l’intervento edilizio o
urbanistico e la sfera giuridica del soggetto che tale iniziativa censura in via giurisdizionale di
talché l’intervento sia in grado di incidere in maniera oggettivamente apprezzabile sulla sfera
del ricorrente. Analogo concetto è stato utilizzato per circoscrivere la legittimazione all’impugnazione dei titoli che abilitano all’esercizio del commercio, anche se in questo caso il
riferimento è all’interesse commerciale cioè all’idoneità che il titolo ha di influire sulle
posizioni di mercato del contro interessato. Si tratta all’evidenza di concetti diversi, facendo il
primo riferimento all’interesse edilizio urbanistico e alla posizione di un quisque de populo,
il secondo all’interesse commerciale al regolare svolgimento della concorrenza e alla posizione
di un operatore del settore potenzialmente in grado di subire un influsso negativo sulla propria
posizione di mercato.
Poiché il legittimo esercizio di un’attività commerciale è subordinato, sia in sede di
rilascio del titolo che durante lo svolgimento dell’attività, alla disponibilità giuridica e alla
regolarità urbanistica ed edilizia dei locali è possibile ammettere che un operatore economico
impugni un titolo edilizio avendo come sua esclusiva finalità quella di perseguire un interesse
commerciale, essendo l’iniziativa strumentale (attraverso la rimozione del titolo edilizio) alla
caducazione del titolo commerciale di cui il primo costituisce presupposto. In questo caso, pur
se nessun interesse edilizio è fatto valere dall’operatore commerciale, la legittimazione
dovrebbe essere verificata avendo come riferimento l’interesse commerciale del ricorrente.
Tale ordine di idee, tuttavia, può essere ammesso quando contestualmente al titolo edilizio è
impugnato un titolo commerciale sia in quanto i titoli, seppur formalmente distinti siano coevi,
sia in quanto gli stessi siano formalmente contenuti nello stesso documento, quale esito, ad
esempio, di una conferenza di servizi. Qualora invece i procedimenti rimangano distinti sia
giuridicamente che cronologicamente, l’impugnativa di un titolo edilizio, sia pure finalizzato
all’assentimento di un’immobile a destinazione commerciale, che non sia, tuttavia, accompagnato dal rilascio del titolo commerciale, deve sottostare agli usuali criteri di determinazione
della vicinitas espressi dalla giurisprudenza relativamente ai titoli edilizi.
Può ammettersi che il titolo edilizio sia impugnato con la legittimazione allargata
riconosciuta all’operatore commerciale concorrente solo nella ricorrenza delle seguenti ipotesi: a) presenza di un titolo commerciale; b) assenza di un titolo commerciale quando per la
particolare conformazione dell’intervento ovvero per la particolare qualificazione del soggetto
attuatore dello stesso è concretamente ipotizzabile una lesione dell’interesse commerciale del
ricorrente. In difetto la legittimazione dovrà essere verificata secondo il tradizionale indirizzo
della vicinitas usualmente impiegato per verificare l’interesse all’impugnativa dei titoli edilizi.
A seguito del recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva del parlamento
europeo e del consiglio relativa ai servizi nel mercato interno 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE
e dell’entrata in vigore dell’art. 31 comma 2, d.l. 6 dicembre 2011 n. 201 (convertito, con
modificazioni, dall’art. 1 comma 1, l. 22 dicembre 2011 n. 214), costituisce principio generale
dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio
senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli
connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e
dei beni culturali; ciò comporta che, in difetto di una legittimazione e di un interesse al ricorso
scaturenti da esigenze di tutela dell’ordinato assetto del territorio (le quali scontano però il
necessario presupposto della vicinitas in termini territoriali), l’interesse ad impedire l’esercizio
dell’attività commerciale di operatori concorrenti non è meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, posto che la concorrenza, di per sé, non è fattore legittimante quando è
invocata al fine di inibire l’esercizio della medesima attività ad altri operatori del settore.
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 638 del 2011, integrato da motivi aggiunti,
proposto da: 1) Società Melley Bozzani Calzature di Guido Melley & C. s.a.s., 2) Società S.V.
s.r.l. unipersonale, 3) Società Astrale s.a.s. di Vespa Paola & C., 4) Società Arlecchino di
Frigi Massimo & C. s.a.s., 5) Società Altamoda Bellotti di Bellotti Marinella & C. s.n.c., 6)
Impresa Individuale Graziano Battistini 1963 di Battistini Diego, 7) Impresa Individuale
Bertellotti Edoardo, 8) Società Casabella di Monteverde Gabriele s.a.s., 9) Società Eleganza
Infantile s.r.l., 10) Società Greco s.r.l., 11) Impresa Individuale La Primula di Logli
Massimiliano, 12) Impresa Individuale Le Rose di Cassinelli Elena, 13) Societa’ Lettieri s.r.l.
con unico socio, 14) Societa’ L. Vezzoni & C. s.r.l., 15) Societa’ Molinari s.r.l., 16) Societa’
M.M.I.E. s.r.l., 17) Societa’ Mazzilli Group s.r.l., 18) Societa’ Oleggini La Spezia s.r.l., 19)
Impresa Individuale Pandora’s box di Vincentelli Cristina, 20) Societa’ Pandora’s box di
Vincentelli Cristina e Petricciani Claudia s.n.c., 21) Societa’ Pellegri s.a.s. di Pellegri Elvio,
22) Impresa Individuale Vagaggini Paola, 23) Societa’ il Bazaar s.r.l., 24) Societa’ Populuxe
s.r.l., 25) Impresa Individuale Store di Gianfranchi Graziana, 26) Societa’ Stefania Ricci
s.r.l., 27) Impresa Individuale Sloop di Bruno Giovanni, 28) Societa’ The New Trend s.r.l.,
29) Societa’ Tuttomoda di Bonini Claudio e Bordigoni Francesca s.n.c., 30) Societa’ il
Principe s.r.l., 31) Societa’ Kau Kau Corer di Grassi Maurizio & C. s.n.c., 32) Societa’
A.M.R. Torre s.n.c. di Girotti e C., 33) Societa’ S.lle Torre s.r.l., 34) Societa’ Sorelle Torre
s.n.c. di Torre Alessandra & C., 35) Società Botto Elvio e Stefano Intermediari di Assicurazioni s.a.s., 36) Societa’ Delucchi Giovanni Marcello & C. s.n.c., 37) Societa’ Portobello
s.c.r.l., 38) Consorzio Portofranco, 39) Pelletteria Diana dei Fratelli Podesta’ di Podesta’
Guendalina & C. s.a.s., 40) Societa’ Fashion s.a.s. di Queirolo S. e C., 41) Societa’ Villa
Marena s.r.l., 42) Societa’ Giangreco s.a.s. di Giangreco Gaetano & C., 43) Societa’
Boutique Zia Luisa s.a.s. di Solari Emma & C., 44) Federazione provinciale di categoria
degli operatori del settore abbigliamento aderente a Confesercenti La Spezia (F.I.S.M.O.) e
45) Associazione Legambiente – Onlus, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Piera Sommovigo, con domicilio eletto presso lo studio della stessa in Genova, via Malta 4/14;
contro
- Regione Liguria, rappresentata e difesa dagli avv.ti Michela Sommariva e Gigliola
Benghi, con domicilio eletto presso l’Avvocatura regionale in Genova, via Fieschi 15; Provincia di La Spezia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Veronica Allegri e Roberto
Benvenuto, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. Liguria;- Comune di Brugnato,
rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Gerbi e Piergiorgio Leoni, con domicilio eletto
presso lo studio del primo in Genova, via Roma 11/1; - Ministero per i beni e le attivita’
culturali, non costituito in giudizio;
nei confronti di
- Società San Mauro s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Cocchi, con domicilio
eletto presso il suo studio in Genova, via Macaggi 21/5 - 8; - Società Salt s.p.a., Enel s.p.a.,
Enel Distribuzione s.p.a., Telecom s.p.a., Terna s.p.a., Anas s.p.a, non costituite in giudizio;
e con l’intervento di
ad opponendum: Onlus Associazione Verdi Ambiente e Societa’ V.A.S. e Ass. Difesa
Orientamento Consumatori A.D.O.C. Sez. La Spezia, rappresentate e difese dall’avv.
Daniele Granara, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Bartolomeo Bosco
31/4;
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per l’annullamento
di tutti gli atti di approvazione del Progetto Urbanistico Operativo per la realizzazione
di un insediamento commerciale nel Comune di Brugnato, nonché dei conseguenti permessi
di costruire.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Liguria, della Provincia di La
Spezia, del Comune di Brugnato e della Società San Mauro s.r.l.;
Visto l’atto di intervento ad opponendum della Onlus Associazione Verdi Ambiente e
Societa’ V.A.S. e dell’Associazione Difesa Orientamento Consumatori A.D.O.C. Sez. La
Spezia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2013 il dott. Angelo Vitali e uditi
per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO — Con uno smisurato ricorso di 91 pagine notificato in data 20.5.2011,
quarantatre imprese di vendita al dettaglio specializzate nel settore merceologico dell’abbigliamento, delle calzature e degli accessori di moda con sede nei comuni di La Spezia, Massa,
Sarzana, Chiavari, Tribogna e Sestri Levante, la Federazione provinciale di categoria degli
operatori del settore abbigliamento aderente a Confesercenti di La Spezia (F.I.S.M.O.) e
l’associazione Legambiente Onlus, in persona del Presidente regionale di Legambiente
Liguria Onlus, hanno impugnato gli atti del procedimento ex art. 59 della legge regionale
urbanistica 4.9.1997, n. 36, volto all’approvazione di un P.U.O. (progetto urbanistico
operativo) per la realizzazione, nel territorio del comune di Brugnato, di un insediamento
commerciale, denominato “Shopland – Brugnato 5 terre”, in variante al P.U.C., e, segnatamente: la deliberazione C.C. di Brugnato 3.7.2010, n. 27, di preventivo assenso all’indizione di conferenza di servizi; il verbale della conferenza di servizi in sede referente tenutasi
in data 26.8.2010; la deliberazione C.C. di Brugnato 24.1.2011, n. 4, di preventivo assenso
all’indizione di conferenza di servizi; il verbale della conferenza di servizi in sede referente
tenutasi in data 27.1.2011; il decreto del dirigente del Dipartimento ambiente, Settore
valutazione impatto ambientale della Regione Liguria 27.2.2011, n. 356; la deliberazione
della giunta regionale della Liguria 4.3.2011, n. 223, nonché l’allegato voto del Comitato
tecnico regionale del 24.2.2011 e del 2.3.2011; il voto 31.3.2011, n. 369 del Comitato tecnico
urbanistico della Provincia della Spezia; il verbale della conferenza di servizi in sede
deliberante tenutasi in data 11.5.2011.
A sostegno del gravame hanno dedotto una lunga serie di motivi di ricorso - non
numerati progressivamente - variamente articolati con riferimento a ciascuno dei provvedimenti oggetto di impugnazione, rubricati come segue.
A. In via preliminare.
I) Con riferimento alla legittimazione ad agire in capo ai ricorrenti.
II) Con riferimento all’associazione di categoria.
III) Con riferimento alla legittimazione dell’associazione Legambiente Onlus.
B. Nel merito.
C. Con riferimento al verbale della conferenza di servizi in sede referente del 26/8/2010.
I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 14 ter della legge 7/8/1990 n. 241 e s.m.i..
Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del D.Lgs 18/8/2000, n. 267.
D. Con riferimento alle deliberazioni del Consiglio Comunale n. 27 del 3/7/2010 e n. 4
del 24 gennaio 2011.
l) Violazione e falsa applicazione dell’art. 78 del D.Lgs. n. 267/2000.
II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 59, comma 2 della L.R. n. 36/1997.
E. Con riferimento alla deliberazione della Giunta Regionale n. 223 del 4/3/2011.
I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 69 della L.R. n. 36/1997. Incompetenza.
F. Con riferimento al decreto dirigenziale n. 356 del 17/2/2011 ed all’allegata relazione
istruttoria n. 452 del 17/2/2011.
I) Violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 4 lett. a) e b) e 5, comma 1 lett.
a) e b) del D.Lgs n. 152/2006.
Con particolare riferimento alla fase di verifica di assoggettabilità di cui all’art. 12 del
d.lgs n. 152/2006.
II) Violazione e falsa applicazione delle linee guida della UE. Difetto dei presupposti.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 46 della L.R. n. 10/2008, siccome sostituito
dall’art. 1 della L.R. n. 10/2011.
Difetto assoluto di istruttoria e di motivazione. Travisamento di fatti decisivi.
Illogicità. Contraddittorietà. Sviamento.
Con particolare riferimento alla fase di verifica-screening di cui all’art. 10 della L.R. n.
38/1998.
III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, lett. c) del d.lgs n. 152/2006.
Difetto assoluto di istruttoria e di motivazione.
Contraddittorietà. Illogicità. Sviamento.
G. Con riferimento alla deliberazione n. 4 del 24/1/2011, nonché al verbale della
conferenza di servizi in sede referente del 27/1/2011.
I) Illegittimità in via derivata dalla deliberazione del Consiglio comunale n. 27 del
3/7/2010, nonché dal verbale della conferenza di servizi del 26/8/2010.
II) Illegittimità in via propria.
Difetto assoluto di motivazione.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7/8/1990 n. 241 e s.m.
III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 14-ter della legge 7/8/1990 n. 241 e s.m.,
nonché dell’art. 59, comma 5 della L.R. n. 36/1997. Violazione e falsa applicazione dell’art.
42 del d.lgs 18/8/2000, n. 267.
H) Con riferimento a tutti gli atti impugnati e in epigrafe indicati.
I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 50 della L.R. n. 36/1997.
Violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 51 e 59 della L.R.
n. 36/1997, nonché di cui agli artt. 40 e 44 della L.R. n. 36/1997.
Eccesso di potere per travisamento di fatti decisivi.
Contraddittorietà, illogicità e sviamento.
II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 53 della L.R. n. 36/1997. Difetto assoluto di
istruttoria e di motivazione.
III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 della L.R. 2/1/2007, n. 1 (testo unico in
materia di commercio).
Violazione e falsa applicazione dell’art. 122 della L.R. 2/1/2007 n. 1 (testo unico in
materia di commercio).
Eccesso di potere per difetto dei presupposti.
Travisamento dei fatti.
Contraddittorietà ed illogicità manifeste.
IV) Difetto assoluto di istruttoria.
Eccesso di potere per difetto di presupposti.
Manifesta contraddittorietà. Illogicità.
V) Difetto assoluto di motivazione.
Travisamento dei fatti.
Manifesta Illogicità. Contraddittorietà.
VI) Violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 1 lett. d) della L.R. n. 1/2007.
Violazione e falsa applicazione degli indirizzi e criteri di programmazione commerciale
ed urbanistica del commercio al dettaglio in sede fissa, in attuazione del T.U. in materia di
commercio di cui alla deliberazione del Consiglio regionale - Assemblea Legislativa della
Liguria 8/5/2007 n. 18.
Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui alla deliberazione di Giunta
regionale n. 637 del 14/6/2007.
Travisamento di fatti decisivi.
Difetto assoluto di istruttoria e di motivazione.
Contraddittorietà. Illogicità e sviamento.
VII) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, lettera b) e n) della L.R. n. 1/2007.
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Violazione e/o mancata applicazione della L.R. 24/3/1999 n. 9.
Violazione del giusto procedimento amministrativo.
I. Con riferimento al verbale della conferenza di servizi in sede deliberante svoltasi in
data 11/5/2011.
I) Illegittimità propria e derivata dall’illegittimità dei provvedimenti precedenternente
impugnati ed in epigrafe indicati.
Con un primo atto di motivi aggiunti notificato in data 8.7.2011 e depositato in data
21.7.2011 i ricorrenti hanno esteso l’impugnazione al verbale della conferenza di servizi in
sede deliberante volta all’approvazione del P.U.O. tenutasi in data 11/5/2011, nonché alla
nota del Comune di Brugnato 27/4/2011, di convocazione di tale conferenza.
A sostegno dell’impugnazione aggiuntiva hanno dedotto ulteriori motivi di censura,
rubricati come segue.
A) Illegittimità in via derivata.
I) Illegittimità in via derivata in considerazione di tutte le censure dedotte con il ricorso
introduttivo al gravame.
B) Illegittimità in via propria.
I) Eccesso di potere per difetto di presupposti e di motivazione.
Contraddittorietà.
II) Eccesso di potere per difetto di presupposto sotto un ulteriore profilo.
III) Eccesso di potere per difetto di presupposti. Sviamento. Incompetenza.
IV) Contraddittorietà intrinseca ed estrinseca. Illogicità manifesta.
V) Violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e seguenti della legge n. 241/1990, come
richiamati dall’art. 59, comma 5, della L.R. n. 36/1997.
Violazione e falsa applicazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.
VI) Difetto di presupposto. Contraddittorietà intrinseca ed estrinseca. Difetto di
istruttoria e di motivazione.
VII) Violazione e falsa applicazione dell’art. 59, comma 2, lett. g) della L.R. n. 36/1997.
Difetto di presupposto.
VIII) Violazione e falsa applicazione dell’art. 14-ter, comma 6-bis della L. n. 241/1990,
come richiamato dall’art. 59, comma 5, della L.R. n. 36/1997.
Con un secondo atto di motivi aggiunti notificato in data 31.1.2012 e depositato in data
16.2.2012 i ricorrenti hanno esteso l’impugnazione al permesso di costruire 28.11.2011, n. 22,
rilasciato alla società San Mauro ed avente ad oggetto la realizzazione di insediamento
commerciale in attuazione del P.U.O. distretto B3/AP settore 1.
A sostegno dell’impugnazione aggiuntiva hanno dedotto ulteriori motivi di censura,
rubricati come segue.
I) In via principale.
1) Violazione e falsa applicazione delle disposizioni in materia di “idrologia idraulica”
di cui alla relazione istruttoria allegata al decreto dirigenziale n. 356/2011 anche in relazione
a quanto disposto dagli artt. 18, 23 e 24 delle norme di attuazione del PAI. Difetto di
istruttoria e motivazione. Illogicità. Contraddittorietà. Travisamento di fati decisivi. Sviamento.
II) In via derivata.
Infine, con un terzo ed ultimo atto di motivi aggiunti notificato in data 12.4.2013 e
depositato in data 18.4.2013 i ricorrenti hanno esteso l’impugnazione al permesso di
costruire 21.5.2012, n. 2/2012, rilasciato alla società San Mauro ed avente ad oggetto variante
al permesso di costruire n. 2272011.
A sostegno dell’impugnazione aggiuntiva hanno dedotto ulteriori motivi di censura,
rubricati come segue.
I) In via principale.
1) Violazione e falsa applicazione delle prescrizioni di cui al parere del Comitato
Tecnico dell’Autorità di Bacino del fiume Magra del 27.1.2012. Travisamento. Illogicità.
Contraddittorietà. Sviamento.
II) Con specifico riferimento alla nota a firma del sindaco del comune di Brugnato prot.
n. 6336 del 15.10.2012. Incompetenza. Illogicità. Travisamento. Contraddittorietà. Sviamento.
III) In via derivata.
Si sono costituiti in giudizio il comune di Brugnato, la Regione Liguria, la Provincia
della Spezia e la società controinteressata San Mauro s.r.l., preliminarmente eccependo sotto
molteplici profili l’inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti ed instando, nel merito,
per il suo rigetto.
Con atto notificato in data 30.12.2011 sono intervenute in giudizio - ad opponendum –
la Onlus Associazione verdi ambiente e società V.A.S., nonché l’Associazione per la difesa
e l’orientamento dei consumatori A.D.O.C. sezione della Spezia.
Con atti ritualmente notificati i ricorrenti società Il Bazaar s.r.l., l’impresa individuale
Store di Gianfranchi Graziana e la Federazione Provinciale di categoria degli operatori del
settore abbigliamento aderente a Confesercenti La Spezia (F.I.S.M.O.) hanno rinunciato al
ricorso.
Con ordinanza 2.5.2013, n. 741 la Sezione ha rigettato la domanda incidentale di
sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati accedente al terzo atto di motivi
aggiunti.
Previo scambio delle memorie conclusionali e di replica, alla pubblica udienza del 5
dicembre 2013 il ricorso è stato trattenuto dal collegio per la decisione.
DIRITTO — Deve innanzitutto darsi atto – ex art. 84 comma 3 c.p.a. - dell’estinzione
del processo nei confronti della società Il Bazaar s.r.l., dell’impresa individuale Store di
Gianfranchi Graziana e della Federazione Provinciale di categoria degli operatori del settore
abbigliamento aderente a Confesercenti La Spezia (F.I.S.M.O.), che hanno ritualmente
rinunciato al ricorso.
Sempre in via preliminare, occorre darsi carico delle eccezioni di inammissibilità del
ricorso sollevate dalle difese degli enti resistenti e della società controinteressata sotto
molteplici profili, distinti rispetto a ciascuna delle tre posizioni legittimanti azionate dai
ricorrenti (1: quarantatre imprese commerciali; 2: associazione di categoria; 3: associazione
di protezione ambientale riconosciuta ex artt. 13 e 18 della legge 8.7.1986, n. 349).
Quanto alla associazione di categoria F.I.S.M.O., avendo questa – come detto rinunciato al ricorso, non vi è luogo a provvedere sulla relativa eccezione.
Per quanto riguarda il grosso dei ricorrenti, cioè le quarantatre imprese commerciali
situate “a poche decine di chilometri dall’area in cui dovrebbe sorgere l’insediamento
commerciale Shopland – Brugnato 5 terre” (così il ricorso, p. 25), esse affermano la propria
legittimazione ed interesse al ricorso sulla base della circostanza che l’insediamento commerciale in progetto prevede la realizzazione di esercizi commerciali coinvolti nel settore
della moda e delle calzature, con immediate ricadute sugli interessi concorrenziali e di
mercato degli esponenti.
Orbene, proprio con riferimento alla materia della legittimazione ad impugnare titoli
edilizi da parte di chi si affermi titolare di un interesse commerciale, la Sezione ha
recentemente fatto il punto della situazione, affermando una serie di principi che il collegio
condivide a da cui non vede motivo di discostarsi neppure nella presente vicenda (T.A.R.
Liguria, I, 26.11.2012, n. 1507).
In particolare, la Sezione - vale la pena di riportare un ampio stralcio della pronuncia
in questione - ha affermato che “in tema di interesse e legittimazione all’impugnativa di titoli
edilizi la giurisprudenza si è da tempo attestata sul concetto di vicinitas idonea a circoscrivere la generalizzata legittimazione prevista dalla legge. Tale vicinitas presuppone in
estrema sintesi un nesso tra l’intervento edilizio o urbanistico e la sfera giuridica del soggetto
che tale iniziativa censura in via giurisdizionale, di talchè l’intervento sia in grado di incidere
in maniera oggettivamente apprezzabile sulla sfera del ricorrente. Analogo concetto è stato
utilizzato per circoscrivere la legittimazione all’impugnazione dei titoli che abilitano all’esercizio del commercio. Ovviamente in questo caso il riferimento è all’interesse commerciale
cioè all’idoneità che il titolo ha di influire sulle posizioni di mercato del controinteressato.
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Si tratta, tuttavia, all’evidenza di concetti diversi, facendo il primo riferimento all’interesse edilizio urbanistico e alla posizione di un quisque de populo, il secondo all’interesse
commerciale al regolare svolgimento della concorrenza e alla posizione di un operatore del
settore potenzialmente in grado di subire un influsso negativo sulla propria posizione di
mercato.
Peraltro, poiché il legittimo esercizio di un’attività commerciale è subordinato, sia in
sede di rilascio del titolo che durante lo svolgimento dell’attività, alla disponibilità giuridica
e alla regolarità urbanistica ed edilizia dei locali (sul punto cfr. Tar Napoli, III, n. 1923/2010;
Cons. St., V, n. 3262/2009; Tar Genova, II, n. 543/2008), è possibile ammettere che un
operatore economico impugni un titolo edilizio avendo come sua esclusiva finalità quella di
perseguire un interesse commerciale, essendo l’iniziativa strumentale (attraverso la rimozione del titolo edilizio) alla caducazione del titolo commerciale di cui il primo costituisce
presupposto (TAR Lazio, Roma, II 6 dicembre 2011 n. 9600). In questo caso, pur se nessun
interesse edilizio è fatto valere dall’operatore commerciale, la legittimazione dovrebbe
essere verificata avendo come riferimento l’interesse commerciale del ricorrente. Si opererebbe in tal modo un allargamento del concetto di vicinitas, posto che ad esempio è stata
riconosciuta la vicinitas “commerciale” tra grandi strutture di vendita poste a molti chilometri di distanza (C.S., V, 20 febbraio 2009, n. 1032). Per il tramite dell’allargamento del
concetto di vicinitas si opererebbe anche un allargamento dell’interesse e della legittimazione ad impugnare i titoli edilizi, riconoscendola anche ad operatori economici, per interessi
esclusivamente commerciali e posti ben oltre il concetto di vicinitas proprio delle tradizionali
impugnative edilizie.
Tale ordine di idee, tuttavia, può essere ammesso quando contestualmente al titolo
edilizio è impugnato un titolo commerciale sia in quanto i titoli, seppur formalmente distinti
siano coevi, sia in quanto gli stessi siano formalmente contenuti nello stesso documento,
quale esito, ad esempio, di una conferenza di servizi.
Qualora invece, come, nel caso di specie, i procedimenti rimangano distinti sia giuridicamente che cronologicamente, l’impugnativa di un titolo edilizio, sia pure finalizzato
all’assentimento di un immobile a destinazione commerciale, che non sia, tuttavia, accompagnato dal rilascio del titolo commerciale, deve sottostare agli usuali criteri di determinazione della vicinitas espressi dalla giurisprudenza relativamente ai titoli edilizi.
Tale conclusione si appalesa necessitata applicando alla fattispecie piani principi in
materia di interesse al ricorso e legittimazione allo stesso.
Una prima considerazione che si impone è che un operatore commerciale non ha, di
norma, alcun interesse a censurare un titolo edilizio rilasciato a terzi per ragioni strettamente
edilizie o urbanistiche. Salvo casi eccezionali e privi di rilevanza statistica (si pensi al caso di
un intervento che peggiori notevolmente la viabilità di accesso ad un esercizio commerciale
e simili), l’operatore commerciale è del tutto indifferente all’esercizio dell’attività edilizia. Il
suo interesse invece nasce e si radica su un piano squisitamente e strettamente commerciale,
inteso come settore merceologico e dimensionamento di eventuali esercizi concorrenti.
L’operatore commerciale ha interesse a censurare l’intervento edilizio solo per ragioni
commerciali. La sua iniziativa cioè mira non già alla tutela di un interesse urbanistico
edilizio, al quale è indifferente, ma alla tutela delle proprie potenzialità di guadagno per il
tramite dell’inibizione di intereventi edilizi che, potendo ospitare operatori concorrenti, su
tale capacità di guadagno possono influire. La censura del titolo edilizio quindi è strumentale
ad impedire l’insediamento di attività commerciali potenzialmente concorrenti.
Ammettere la legittimazione o l’interesse dell’operatore commerciale ad impugnare un
titolo edilizio costituisce un‘ipotesi allargata ed eccezionale di legittimazione, che supera i
tradizionali confini della vicinitas per ampliarla a tutela dell’interesse commerciale. Tale
ampliamento della legittimazione non può, tuttavia, prescindere dal rispetto degli altri
principi in tema di interesse. In altre parole l’interesse che sorregge l’impugnativa deve
essere personale, diretto e attuale.
L’attualità dell’interesse può ritenersi sussistente solo nel caso in cui l’impugnativa del
titolo edilizio è susseguente o coeva all’impugnazione del titolo commerciale.
Qualora, invece, sia stato rilasciato un titolo edilizio, ma lo stesso non sia accompagnato
da un titolo commerciale, l’impugnativa, fondata esclusivamente su un interesse commer-
ciale non declinabile in termini di vicinitas in senso tradizionale, deve ritenersi priva di
interesse attuale e come tale inammissibile.
E’ evidente, infatti, che fino a che il titolo commerciale non sia stato rilasciato la lesione
della sfera giuridica dell’operatore non può dirsi sussistente.
Inoltre, poiché l’interesse commerciale è tutelato in relazione alle dimensioni e al
settore merceologico, è evidente che la mera presenza di un titolo edilizio non vale a
attribuire all’interesse il connotato dell’attualità. Infatti, non è possibile prevedere che tipo
di attività commerciale verrà insediata, né le dimensioni della stessa, onde l’interesse rimane
evanescente fino al rilascio del titolo commerciale.
Tale conclusione ovviamente non vale nel caso in cui, per la stessa tipologia dell’intervento edilizio, ovvero per la qualità del soggetto che la pone in essere, può fondatamente
ritenersi l’insediamento di una struttura commerciale idonea a porsi in concorrenza con
quella del ricorrente. Tali casi ricorrono allorchè la struttura edilizia presenza una spiccata
individualità (ad esempio cinema, distributore di carburanti) idonea a qualificarne con un
certo grado di attendibilità una specifica vocazione commerciale. Analoga situazione si
verifica quando l’intervento edilizio è posto in essere da una soggetto che ha una particolare
attività e vocazione commerciale tale da fare ritenere unitamente alla tipologia edilizia posta
in essere il futuro insediamento di una specifica attività commerciale.
Ma, in difetto di tali ultime ipotesi, ammettere l’attualità dell’interesse significherebbe
ammettere un’impugnativa non sorretta da reale interesse edilizio o urbanistico, che poi
verrebbe eventualmente dichiarata improcedibile ove fosse rilasciato un titolo commerciale
inidoneo a pregiudicare la posizione del ricorrente.
Si tratta all’evidenza di conseguenze inaccettabili.
La condanna in futuro non è ammessa che nei casi previsti dalla legge (art. 657, comma
1 c.p.c.). Prevederla per via intepretativa non appare operazione condivisibile.
In conclusione, può ammettersi che il titolo edilizio sia impugnato con la legittimazione
allargata riconosciuta all’operatore commerciale concorrente solo nella ricorrenza delle
seguenti ipotesi: a) presenza di un titolo commerciale; b) assenza di un titolo commerciale
quando per la particolare conformazione dell’intervento ovvero per la particolare qualificazione del soggetto attuatore dello stesso è concretamente ipotizzabile una lesione dell’interesse commerciale del ricorrente. In difetto la legittimazione dovrà essere verificata
secondo il tradizionale indirizzo della vicinitas usualmente impiegato per verificare l’interesse all’impugnativa dei titoli edilizi”.
Orbene, nel caso di specie allo stato non sono stati rilasciati titoli commerciali, né, per
la stessa tipologia dell’intervento edilizio (che non individua in alcun modo l’attività
merceologica degli operatori insediabili) o per la qualità del soggetto che l’ha posto in essere
(impresa di costruzioni), può – allo stato - fondatamente ritenersi l’insediamento di una
specifica struttura commerciale idonea a porsi in diretta concorrenza con quelle dei ricorrenti.
Né rileva che il provvedimento espresso di autorizzazione commerciale sia sostituito –
ex art. 19 comma 1 L. n. 241/1990 - dalla presentazione di una segnalazione certificata di
inizio attività (S.C.I.A.), trattandosi comunque di un titolo giuridico, nei confronti del quale
gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e,
in caso di inerzia, agire giudizialmente (art. 19 comma 6-ter L. n. 241/1990).
Donde il difetto di legittimazione delle quarantatre imprese commerciali ricorrenti, che
non hanno dedotto né dimostrato una situazione di stabile collegamento territoriale (vicinitas) con la zona interessata dall’attività edilizia assentita, nei termini ritenuti - da
giurisprudenza costante - necessari e sufficienti per legittimare i terzi all’impugnazione degli
strumenti urbanistici attuativi e dei titoli edilizi.
Peraltro, come bene illustrato dalle difese del comune di Brugnato e della società
controinteressata, l’inammissibilità del ricorso si coglie anche sotto un ulteriore profilo,
attinente al difetto di un interesse giuridico meritevole di tutela secondo l’ordinamento.
Difatti, a seguito del recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva del parlamento europeo e del consiglio relativa ai servizi nel mercato interno 12.12.2006, n.
2006/123/CE e dell’entrata in vigore dell’art. 31, comma 2, del D.L. 6.12.2011, n. 201
(convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22.12.2011, n. 214), costitu-
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71
isce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi
commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra
natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso
l’ambiente urbano, e dei beni culturali.
Ciò comporta che, in difetto di una legittimazione e di un interesse al ricorso scaturenti
da esigenze di tutela dell’ordinato assetto del territorio (le quali – come visto sopra, scontano
però il necessario presupposto della vicinitas in termini territoriali, nel caso di specie
palesemente insussistente), l’interesse ad impedire l’esercizio dell’attività commerciale di
operatori concorrenti non è meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, posto che
la concorrenza, di per sé, non è fattore legittimante quando - come nella specie - è invocata
al fine di inibire l’esercizio della medesima attività ad altri operatori del settore (cfr., in tal
senso, Cons. di St., V, 15.2.2013, n. 940; T.A.R. Sicilia-catania, II, 28.6.2013, n. 1887).
Donde, anche sotto tale concorrente profilo, l’inammissibilità del ricorso delle quarantatre imprese di vendita al dettaglio.
Resta da valutare l’ammissibilità del ricorso dell’associazione nazionale Legambiente
Onlus.
In proposito, le parti resistenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso, in quanto
proposto da un soggetto – il Presidente regionale dell’associazione Legambiente Liguria –
diverso dal presidente nazionale e, dunque, non legittimato a stare in giudizio per l’associazione ricorrente.
Al riguardo, la difesa dell’associazione ricorrente ha depositato in giudizio copia dello
statuto nazionale di Legambiente Onlus approvato al IX congresso nazionale di Bari del 2,
3 e 4 dicembre 2011 (doc. 20 delle produzioni 29.4.2013), il quale, all’art. 24, stabilisce che
“il Presidente nazionale ha la rappresentanza legale dell’associazione nazionale sia in
giudizio che nei confronti di terzi. La rappresentanza in giudizio dell’associazione nazionale
è altresì attribuita ai Presidenti regionali”.
Nel corso della discussione all’udienza pubblica, tuttavia, la difesa della società controinteressata ha eccepito che l’attribuzione della rappresentanza in giudizio anche ai
presidenti regionali sarebbe frutto di una modifica statutaria apportata al IX congresso
nazionale di Bari nel dicembre del 2011, e dunque dopo il rilascio della procura e
l’introduzione del giudizio, che data 19-20 maggio 2011, insistendo sull’eccezione di inammissibilità del ricorso.
Posto che, in effetti, la copia dello statuto versata in atti dall’associazione ricorrente
rimonta ad una versione approvata successivamente all’introduzione del giudizio, ai fini
della valutazione sull’ammissibilità del ricorso e del suo scrutinio nel merito (con specifico
riguardo ai motivi di interesse ambientale e tra questi, in primis, alle contestazioni sulla
mancanza della valutazione ambientale strategica e della valutazione di impatto ambientale), il collegio reputa necessario acquisire copia dello statuto dell’associazione Legambiente nazionale, nella versione in vigore alla data di notificazione del ricorso.
La statuizione sulle spese di giudizio è rinviata alla sentenza definitiva.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima)
non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
Dichiara l’estinzione del processo nei confronti della società Il Bazaar s.r.l., dell’impresa individuale Store di Gianfranchi Graziana e della Federazione Provinciale di categoria
degli operatori del settore abbigliamento aderente a Confesercenti La Spezia (F.I.S.M.O.);
Dichiara inammissibile il ricorso delle altre quarantuno imprese commerciali ricorrenti;
Ordina a Legambiente Onlus di depositare presso la Segreteria del T.A.R., entro il
31.1.2014, copia dello statuto dell’associazione nazionale, nella versione in vigore alla data
di notificazione del ricorso introduttivo.
Fissa l’udienza pubblica del 13 marzo 2014 per l’ulteriore trattazione del merito del
ricorso.
Spese al definitivo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Santo Balba, Presidente
Roberto Pupilella, Consigliere
Angelo Vitali, Consigliere, Estensore
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Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. II 10 dicembre 2013 n. 1481 Pres. Caruso
Est. Caputo D.F. (avv. Bergamaschi) Comune di Cengio ed altri (n.c.).
[3000/12] Elezioni - Impugnazioni e ricorsi — procedimento avanti al giudice amministrativo - Motivi
aggiunti - Ammissibilità - Limiti - Vizi inediti - Esclusione.
[3000/12] Elezioni - Impugnazioni e ricorsi — procedimento avanti al giudice amministrativo - Motivi
aggiunti - Ammissibilità - Limiti - Individuazione.
[3000/540] Elezioni - Voto - Strumentalità delle forme - Principio - Volontà espressa - Prevalenza.
[3000/540] Elezioni - Voto - Strumentalità delle forme - Principio - Prevalenza - Fattispecie - Voto
assistito - Verbalizzazione.
[3000/540] Elezioni - Voto - Strumentalità delle forme - Principio - Fattispecie - Schede bianche e nulle
- Verbalizzazione.
[3000/540] Elezioni - Voto - Strumentalità delle forme - Principio - Applicazione - Fattispecie - Doppia
preferenza - Equivocità.
[3000/540] Elezioni - Voto - Strumentalità delle forme - Non riconoscibilità - Principi - Applicazione Fattispecie - Segni e nomi di fantasia - Rilevanza.
Nel procedimento giurisdizionale elettorale, con i motivi aggiunti non possono dedursi,
in base alle risultanze della verificazione disposta dal Collegio, vizi inediti che non trovano
sufficiente e adeguato riscontro in quelli dedotti col ricorso introduttivo.
Nel giudizio elettorale sono ammissibili i motivi aggiunti che costituiscono svolgimento
delle censure tempestivamente proposte. Viceversa, al fine d’assicurare speditezza e celerità che
conformano il rito elettorale, non sono ammessi nuovi motivi derivanti da ulteriori vizi emersi
a seguito delle verifiche istruttorie disposte dal giudice in relazione alle originarie censure.
Le inesattezze della procedura inerenti alla disciplina normativa che disciplina le elezioni
comunali sono recessive rispetto all’esigenza di preservare la volontà espressa dal corpo
elettorale, sì da essere ascrivibili a mere irregolarità che non inficiano la validità delle
operazioni elettorali .
In applicazione del principio della strumentalità delle forme e della prevalenza della
volontà espressa dal corpo elettorale sulla forma sono irrilevanti le denunciate violazioni
dell’art. 41, t.u. n. 570 del 1960 sollevate sul rilievo che in alcuni seggi i verbali non specificano
la ragione in virtù della quale alcuni elettori sono stati assistiti all’atto di esprimere il voto; al
riguardo, la eventuale incompleta verbalizzazione è comunque supplita, ai sensi dell’art. 1
comma 2, l. 5 febbraio 2003 n. 17, dall’annotazione del diritto al voto assistito reso (graficamente) palese nelle tessera elettorale personale dell’assistito dall’apposizione del corrispondente codice o simbolo.
In applicazione del principio di strumentalità delle forme in materia elettorale, la non
corrispondenza numerica delle schede nulle e bianche fra quanto indicato nel verbale delle
operazioni elettorali e il riepilogo delle operazioni dell’ufficio elettorale della sezione non
integra ex se vizio di legittimità della procedura, non risultando alterato il numero complessivo fra schede autenticate, utilizzate e votate.
In sede di elezioni comunali, sono nulle le schede di voto che esprimono una doppia
preferenza sia all’una che all’altra lista in competizione; difetta, nei casi in esame, il presupposto intrinseco di validità del voto riassumibile nella (oggettiva) univocità della manifestazione di volontà del singolo elettore come palesata nella scheda elettorale.
In sede di elezioni comunali, sono nulle le schede di voto in cui risultino contenuti segni
e nomi di fantasia affatto estranei alle esigenze di voto e che non trovano ragionevole
spiegazione nelle modalità d’espressione del voto; in questi casi il principio del favor voti —
quale portato dell’esigenza di conservare e valorizzare la volontà espressa dall’elettore cui
obbedisce lo scrutinio dei voti — cede il passo alla norma (combinato disposto artt. 64 e 69,
t.u. n. 570 del 1960) che prescrive la « non riconoscibilità » del voto, comminandone, in caso
contrario, la nullità.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 724 del 2013, integrato da motivi aggiunti,
proposto da: Francesco Dotta, rappresentato e difeso dall’avv. Mariateresa Bergamaschi,
con domicilio eletto presso Mariateresa Bergamaschi in Genova, c/o Segreteria Tar Liguria;
contro
Comune di Cengio, non costituito;
nei confronti di
Piero Basilio Marenco, Boris Arturi, Renzo Faccio, Massimo Marazzo, Daniela Olivieri, Mauro Roveta, non costituiti;
per l’annullamento
dei verbali delle operazioni elettorali e degli atti conseguenti relativi all’elezione del
Sindaco del Comune di Cengio del 26/27 maggio 2013 e per la correzione dei risultati
elettorali.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2013 il dott. Oreste Mario
Caputo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO — Il ricorrente, candidato sindaco nelle elezioni per il rinnovo del Consiglio
comunale di Cengio nella lista n. 1 “Un futuro per Cengio- Lista civica Dotta sindaco”, in
competizione con la lista n. 2 “Lista civica- Cengio c’è” risultata vincitrice per tre voti, ha
impugnato i verbali delle operazioni elettorali tenutesi il 26-27 maggio 2013 chiedendo, oltre
l’annullamento, il riconteggio dei voti validamente espressi dagli elettori aventi diritto nelle
quattro sezioni elettorali e la correzione dei risultati mediante l’assegnazione in favore della
propria lista dei voti erroneamente non attribuitigli.
A fondamento del gravame ha analiticamente denunciato le irregolarità formali e
sostanziali nelle quali sarebbero incorsi gli scrutatori ed i presidenti dei seggi elettorali.
Segnatamente: la compilazione dei verbali del conteggio delle schede bianche e nulle
sarebbe incompleta e presenterebbe cancellature postume; alcune schede nulle sarebbero
state invece conteggiate come espressive di altrettanti voti in favore della lista avversa; alcuni
elettori avrebbero votato con l’assistenza di accompagnatore senza che sia stata specificamente indicata nel relativo verbale la ragione che aveva reso necessaria l’assistenza; alcuni
voti validi non sarebbero stati assegnati alla propria lista.
In aggiunta, nell’atto introduttivo lamenta la superficialità e la trascuratezza che
affetterebbero la gestione complessiva delle operazioni elettorali come manifestate dall’
incompleta verbalizzazione e dall’assenza di un sereno e proficuo scrutinio collegiale
nell’assegnazione dei voti controversi nei singoli seggi, sì da inficiare ab imis l’esito della
competizione elettorale.
Conseguenti le censure, compendiabili nella plurima violazione degli artt. 41, 57, 64 e
69 t.u. 16 maggio 1960 n. 570 , dell’art. 71, comma 5, d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267 e nella falsa
applicazione dei principi che governano la materia elettorale.
Il Comune di Cengio, il sindaco ed i componenti alla sua lista, risultata vincitrice,
benché ritualmente evocati, non si sono costituiti in giudizio.
Con ordinanza collegiale adottata sulla scorta delle richiamate situazioni di fatto
(specificamente denunciate nell’atto introduttivo) in grado di alterare l’esito della competizione elettorale, il TAR ha incaricato il Prefetto di Savona, o un suo delegato, di procedere
al ri-conteggio di tutte le schede dei voti validi come espressi nei quattro seggi e di quelle
nulle e bianche.
All’esito, il ricorrente ha proposto motivi aggiunti denunciando altre irregolarità oltre
quelle già indicate nel ricorso per fondare i motivi d’impugnazione.
Alla pubblica udienza del 29.11.2013 la causa, su richiesta del ricorrente, è stata
trattenuta in decisione.
FORO
AMMINISTRATIVO
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DIRITTO — Sono impugnati i verbali delle operazioni elettorali tenutesi il 26-27
maggio 2013 per le elezioni relative al rinnovo del Consiglio comunale di Cengio.
Il ricorrente, candidato sindaco nella lista n. 1 “Un futuro per Cengio- Lista civica Dotta
sindaco”, in competizione con la lista n. 2 “Lista civica- Cengio c’è” risultata vincitrice per
tre voti, oltre l’annullamento dei verbali, ha chiesto il riconteggio complessivo dei voti
validamente espressi dagli elettori aventi diritto nelle quattro sezioni elettorali e la conseguente correzione dei risultati con l’assegnazione in favore della propria lista dei voti
erroneamente non attribuiti.
All’esito della verificazione, disposta con ordinanza collegiale, dei voti validamente
espressi, delle schede bianche e nulle, il ricorrente con motivi aggiunti, oltre ad implementare gli argomenti a sostegno di quelli già dedotto nell’atto introduttivo, ha denunciando
ulteriori vizi.
A questo proposito, in limine, va richiamato l’indirizzo giurisprudenziale, cui va data
continuità non sussistendo ragioni sopravvenute per qui discostarsi, che nel procedimento
giurisdizionale, con i motivi aggiunti, non possono dedursi, in base alle risultanze della
verificazione disposta dal Collegio, vizi inediti che non trovano sufficiente e adeguato
riscontro in quelli dedotti col ricorso introduttivo.
Sicché nel giudizio elettorale sono ammissibili i motivi aggiunti che costituiscono
svolgimento delle censure tempestivamente proposte. Viceversa, al fine d’assicurare speditezza e celerità che conformano il rito elettorale, non sono ammessi nuovi motivi derivanti
da ulteriori vizi emersi a seguito delle verifiche istruttorie disposte dal giudice in relazione
alle originarie censure (cfr., fra le tante, da ultimo, Cons. St., sez. V, 22 settembre 2011 n.
5354).
A tale stregua esulano dal thema decidendi le (nuove) censure che il ricorrente ha
dedotto con i motivi aggiunti. Rilevano invece gli argomenti in fatto, ad esse sottese, che
innervano i motivi d’impugnazione già dedotti con il ricorso principale.
Il ricorso è fondato.
Prima di esaminare l’esito della verificazione, per economicità di decisione, va definita,
in simmetria alle censure dedotte, la cornice dei principi e delle norme che governano le
operazioni elettorali e lo scrutinio dei voti nelle elezioni relative agli enti locali.
Le numerose irregolarità denunciate dal ricorrente, relative al comportamento dei
presidenti e degli scrutatori delle sezioni elettorali e quelle d’ordine formale, inerenti alla
parziale verbalizzazione delle operazioni, vanno considerate irrilevanti in forza del principio
di strumentalità delle forme dal momento che non si sono tradotte in specifici vizi incidenti
sulla libera e sincera espressione del voto.
È’ principio indiscusso, qui condiviso, che le inesattezze della procedura inerenti alla
disciplina normativa che disciplina le elezioni comunali sono recessive rispetto all’esigenza
di preservare la volontà espressa dal corpo elettorale, sì da essere ascrivibili a mere
irregolarità che non inficiano la validità delle operazioni elettorali (cfr., ex multis, CGA, 7
settembre 2012 n. 733; Tar Veneto, sez. III, 4 ottobre 2012 n. 1225).
Alla medesima conclusione deve giungersi per quanto riguarda la denunciata violazione dell’art. 41 t.u. 570/1960 sollevata sul rilievo che nei seggi nn. 3 e 4 i verbali non
specificano la ragione in virtù della quale tre elettori (uno nel seggio n. 3; due nel seggio n.
4) sono stati assistiti all’atto di esprimere il voto.
La censura si risolve infatti al più in un vizio formale: nell’incompleta verbalizzazione
sulle reali condizioni d’impossibilità ad esprimere personalmente il voto, senza che sia stata
messa in discussione l’effettiva sussistenza della causa che ha reso necessaria l’assistenza né
la volontà, come espressa, dall’elettore assistito.
Senza passare sotto silenzio che la denunciata incompleta verbalizzazione è comunque
supplita, ai sensi dell’art. 1, comma 2, l. 5 febbraio 2003 n. 17, dall’annotazione del diritto al
voto assistito reso (graficamente) palese nelle tessera elettorale personale dell’assistito
dall’apposizione del corrispondente codice o simbolo.
In applicazione del medesimo principio di strumentalità delle forme, anche la non
corrispondenza numerica delle schede nulle e bianche fra quanto indicato nel verbale delle
operazioni elettorali e il riepilogo delle operazioni dell’ufficio elettorale della sezione (n. 2)
non integra ex se vizio di legittimità della procedura, non risultando alterato il numero
complessivo fra schede autenticate, utilizzate e votate (cfr., in termini, Cons. St., sez. V, 5
maggio 2008 n. 1977; Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 28 novembre 2012 n. 1163).
In esito a quanto emerso dalla verificazione, sono invece fondati i motivi d’impugnazione che denunciano la violazione degli artt. 64 e 69 t.u. 16 maggio 1960 n. 570 con riguardo
alle seguenti schede, raggruppate in ragione dei vizi omogenei che le inficiano.
In primo luogo, sono nulle le schede di voto, attribuite alla lista elettorale n. 2 “Cengio
c’è”, (sub allegati nn. 1 e 5 e 13 della verificazione rispettivamente espressive di voto nelle
sezioni nn. 1, 2 e 4) laddove esprimono una doppia preferenza sia all’una che all’altra lista
in competizione.
Difetta, nei casi in esame, il presupposto intrinseco di validità del voto riassumibile
nella (oggettiva) univocità della manifestazione di volontà del singolo elettore come palesata
nella scheda elettorale (cfr., CGA, 7 settembre 2012 n. 733; CGA., 19 giugno 2010 n. 783).
Sono altresì nulle le schede di voto, attribuite alla lista elettorale n. 2 “Cengio c’è”, (sub
allegati n. 2, 4 e 10 nelle sezioni elettorali rispettivamente n.1, 2 e 3) poiché in esse sono
contenuti segni (n. 4) e nomi di fantasia (nn. 2 e 10) affatto estranei alle esigenze di voto e
che non trovano ragionevole spiegazione nelle modalità d’espressione del voto.
In questi casi il principio del favor voti – quale portato dell’esigenza di conservare e
valorizzare la volontà espressa dall’elettore cui obbedisce lo scrutinio dei voti – cede il passo
alla norma (combinato disposto artt. 64 e 69 t.u. cit.) che prescrive la “non riconoscibilità”
del voto, comminandone, in caso contrario, la nullità (cfr., Cons. St., sez. V, 18 novembre
2011 n. 6070; Tar Puglia, Lecce, sez. I, 25 novembre 2011 n. 2049).
Principio, quello del favor voti, che, viceversa, trova puntuale applicazione con riferimento alle schede di voto sub nn. 15 e 16 dal momento che la croce apposta sulle due schede
– seppure in un caso debordi dallo spazio che graficamente contraddistingue il simbolo della
lista e, nell’altro, sia posto al fianco della lista – individua, in entrambi i casi, in modo
oggettivo ed univoco la volontà dell’elettore.
Dette schede di voto, ritenute nulle in sede di scrutinio, devono invece essere considerate come espressive di voto valido in favore della lista n. 1 “Un futuro per Cengio”.
Sicché, complessivamente considerate, sono nulle sei schede di voto attribuite alla lista
n. 2 “Lista civica- Cengio c’è” risultata vincitrice per tre voti. Sono invece valide due schede
di voto – ritenute nulle in sede di scrutinio – in favore della lista n. 1 “Un futuro per CengioLista civica Dotta sindaco”.
Pertanto, in esito al conteggio giudiziale delle schede dei voti validamente espressi,
risulta vincitrice la lista del ricorrente n. 1 “Un futuro per Cengio-Lista civica Dotta sindaco”
per cinque voti.
Consegue, sul piano processuale, ai sensi dell’art. 130, comma 9, c.p.a. che attribuisce in
materia al giudice amministrativo la giurisdizione di merito, ed in conformità al principio
d’effettività della tutela, oltre la correzione del risultato delle elezioni tenutesi il 26-27
maggio 2013 per il rinnovo del Consiglio comunale di Cengio, la sostituzione dei candidati
della lista n. 2 “Lista civica- Cengio c’è” illegittimamente proclamati con quelli della lista del
ricorrente n. 1 “Un futuro per Cengio-Lista civica Dotta sindaco”.
Sicchè deve essere proclamato sindaco del comune di Cengio Francesco Dotta.
Spese di lite irripetibili, escluse quelle relative alla verificazione che, quantificate in
500,00 euro, vanno addebitate al Comune resistente
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, integrato da
motivi aggiunti, lo accoglie ai sensi e per gli effetti della motivazione.
Spese irripetibili, fatte salve quelle di verificazione, addebitate – nella misura di euro
500,00 – al Comune di Cengio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore
Richard Goso, Consigliere
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AMMINISTRATIVO
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Tribunale amministrativo regionale Liguria Sez. II 11 dicembre 2013 n. 1510 Pres. Caruso
Est. Caputo Soc.A. (avv. Iaria, Marrone) A. e Soc.R. . (avv. Cocchi, Taccogna), (avv.
Sommazzi, Recla, Bazzani)
[3972/12] Giustizia amministrativa - Interesse a ricorrere e a resistere - Aste e appalti - Finalità - Nuova
gara - Prova di resistenza - Necessità - Esclusione.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Gara - Criteri di aggiudicazione Valutazione offerte - Scelta - Discrezionalità - Parametri - Fattispecie.
Sussiste l’interesse al ricorso da parte dell’impresa esclusa dalla gara a prescindere dal
superamento della prova di resistenza laddove l’interesse fatto valere in giudizio dalla
ricorrente sia l’annullamento della gara al fine d’indire una nuova procedura concorrenziale
con la previsione — questa volta — di criteri qualitativi coerenti con l’oggetto del contratto, sì
da (aspirare concretamente a) divenirne aggiudicataria.
Costituisce principio indefettibile dell’evidenza pubblica che la scelta dei criteri d’aggiudicazione e di valutazione delle offerte devono essere adeguati alle caratteristiche dell’oggetto
del contratto (artt. 42 comma 3, e 81 codice dei contratti pubblici), e che i principi di parità di
trattamento e libera concorrenza circoscrivano la discrezionalità della stazione appaltante
nella scelta di essi: criteri che, in aggiunta, devono obbedire ai canoni di ragionevolezza e
proporzionalità. Nella cornice definita dai principi appena richiamati, è affatto illegittimo che
nella gara per l’acquisto di dispositivi per uso ospedaliero vengano assegnati 30 punti tecnici
su 60 sulla base di requisiti riguardanti una norma ISO relativa a dispositivi per autodiagnosi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1012 del 2013, proposto da: A.Menarini
Diagnostics Srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Ivan
Marrone, Domenico Iaria, con domicilio eletto presso Alessandro Ghibellini in Genova, via
R. Ceccardi 1/15;
contro
Agenzia Regionale Sanitaria Ars Liguria, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Luigi Cocchi, Gerolamo Taccogna, con domicilio eletto presso
Luigi Cocchi in Genova, via Macaggi 21/5 - 8;
nei confronti di
Roche Diagnostics Spa, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa
dagli avv. Silvia Sommazzi, Jacopo Recla, Maria Alessandra Bazzani, con domicilio eletto
presso Maria Silvia Sommazzi in Genova, via XII Ottobre, 10/12;
per l’annullamento
del provvedimento d’esclusione (d.15 luglio 2013) dalla procedura, indetta dall’Azienda
regionale sanitaria – centrale regionale di acquisto, per l’aggiudicazione del contratto di
fornitura avente ad oggetto “sistemi diagnostici rapidi della glicemia e dispositivi correlati in
ambito ospedaliero”, nonché gli atti delle procedura compresi il bando di gara e l’aggiudicazione in favore della controinteressata Roche Diagnostics Spa.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia Regionale Sanitaria Ars Liguria e di
Roche Diagnostics Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2013 il dott. Oreste Mario
Caputo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO — La società ricorrente ha impugnato il provvedimento d’esclusione dalla
procedura aperta, indetta dall’Azienda regionale sanitaria – centrale regionale di acquisto,
per l’aggiudicazione del contratto di fornitura (lotti 1 e 2) avente ad oggetto “sistemi
diagnostici rapidi della glicemia e dispositivi correlati in ambito ospedaliero”.
Gravame esteso al bando di gara e all’aggiudicazione in favore della controinteressata
Roche Diagnostics Spa.
A fondamento dell’impugnazione ha dedotto: violazione e falsa applicazione dell’art. 2
d.lgs 12 aprile 2006 n. 163 e, in particolare, violazione dei principi di libera concorrenza e
parità di trattamento; eccesso di potere sotto vari profili.
L’esclusione impugnata, conseguente al mancato superamento della soglia di sbarramento di 36/60 prevista dal disciplinare per il merito tecnico-qualitativo dell’offerta, sarebbe
dovuta, secondo le censure, all’irragionevole ed irrazionale previsione contenuta nella lex
specialis dei criteri di valutazione che, alterando la par condicio, favorirebbe i dispositivi
medici per l’autodiagnosi rispetto ai dispositivi per il settore ospedaliero costituenti l’oggetto
specifico del contratto posto in gara.
Da cui una serie di situazioni di fatto denunciate dalla ricorrente come palese conseguenza dell’irragionevole impostazione della procedura di gara.
La stazione appaltante e la società aggiudicataria controinteressata si sono costituti in
giudizio instando per l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.
Disposta, ai sensi dell’art. 55 , comma 10, c.p.a., nella fase di cognizione della domanda
incidentale di tutela cautelare, la sollecita trattazione nel merito, alla pubblica udienza del
28.11.2013 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO — Sono impugnati dalla società ricorrente, oltre il provvedimento d’esclusione, il bando di gara e l’aggiudicazione in favore della controinteressata Roche Diagnostics
Spa del contratto di fornitura (lotti 1 e 2) avente ad oggetto “sistemi diagnostici rapidi della
glicemia e dispositivi correlati in ambito ospedaliero”. Procedura di gara indetta dall’Azienda regionale sanitaria – centrale regionale di acquisto.
I motivi di censura ruotano attorno ad un unico asse argomentativo: i criteri di
valutazione dell’offerte tecnica, come previsti nella lex specialis, favorirebbero, ingiustificatamente, i dispositivi medici per l’autodiagnosi rispetto ai dispositivi per il settore ospedaliero, nonostante che questi ultimi fossero l’oggetto specifico del contratto di fornitura.
Sicché, lamenta la ricorrente, il mancato superamento della soglia di sbarramento di
36/60 prevista dal disciplinare per il merito tecnico-qualitativo dell’offerta, sarebbe dovuta
all’irragionevole ed irrazionale previsione contenuta nella lex specialis.
Irrazionalità testimoniata dal fatto che tutte le offerte, ad eccezione di quella presentata
dalla controinteressata, unica rimasta in gara, avendo conseguito punteggi inferiori a detta
soglia, sono state escluse.
In limine sulle eccezioni d’inammissibilità sollevate dalla stazione appaltante e dalla
società controinteressata sul rilievo che, per un verso, difetterebbe l’interesse al gravame
non avendo la ricorrente assolto al superamento della c.d. prova di resistenza; e che, per
l’altro, l’impugnazione del bando, e con esso dei criteri d’aggiudicazione relativi alle offerte
tecniche, avrebbe dovuto essere immediatamente proposta prima dell’esperimento della
procedura di gara.
Entrambe le eccezioni sono infondate.
Nell’ordine.
Il gravame muove dalla radicale illegittimità dei criteri di attribuzione del punteggio per
l’offerta tecnica, denunciandone le aporie applicative: la ricorrente e tutte le altre imprese
offerenti, salvo la controinteressata, non hanno superato la soglia di sbarramento; la stessa
ricorrente, nella precedente procedura, avente medesimo oggetto ed annullata in sede
giurisdizionale perché inficiata da vizi di forma (omessa verbalizzazione in ordine alla
conservazione dei plichi contenenti le offerte e violazione del principio di continuità delle
operazioni di gara), era risultata aggiudicataria.
Sicché l’interesse fatto valere in giudizio dalla ricorrente è l’annullamento della gara al
fine d’indire una nuova procedura concorrenziale con la previsione – questa volta – di criteri
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qualitativi coerenti con l’oggetto del contratto, sì da (aspirare concretamente a) divenirne
aggiudicataria.
In altri termini non è affatto censurata la valutazione dell’offerta, e con essa il
punteggio conseguito; né la ricorrente mira alla riedizione del giudizi reso della Commissione d’esame, per i quali è in astratto ipotizzabile, al fine dello scrutinio sulla consistenza
dell’interesse al gravame, il superamento della prova di resistenza.
Ad analoga conclusione deve giungersi per l’altra eccezione d’inammissibilità o irricevibilità del ricorso.
I criteri di valutazione denunciati come illegittimi non sono affatto escludenti: solo dalla
concreta applicazione, con assegnazione dei punteggi parametrati non a valori assoluti ma
alla migliore offerta presentata, è scaturito il punteggio inferiore alla soglia di sbarramento.
La Commissione esaminatrice ha infatti valutato l’offerta tecnica della ricorrente sulla scorta
della norma ISO n. 15197 – riferentesi ai dispositivi per autodiagnosi, non a quelli ad uso
ospedaliero che secondo la ricorrente sarebbero stati pertinenti – attribuendo i punteggi via
via decrescenti sulla scorta di quello conseguito dalla migliore offerta in gara.
È, inoltre, inammissibile l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dalla società
controinteressata sul rilievo che la ricorrente avrebbe dovuto essere esclusa per non aver
assolto all’onere, previsto a pena d’esclusione, di produzione del fascicolo tecnico.
L’eccezione individua una specifica causa d’esclusione della ricorrente, non contestata
dalla stazione appaltante, tale da integrare un autonomo vizio della procedura di gara che
avrebbe dovuto essere introdotta nel giudizio con ricorso incidentale.
Nel merito il ricorso è fondato.
Costituisce principio indefettibile dell’evidenza pubblica che la scelta dei criteri d’aggiudicazione e di valutazione delle offerte devono essere adeguati alle caratteristiche
dell’oggetto del contratto (artt. 42, comma 3, e 81 cod. contr. pubbl.). E che i principi di
parità di trattamento e libera concorrenza circoscrivano la discrezionalità della stazione
appaltante nella scelta di essi. Criteri che, in aggiunta, devono obbedire ai canoni di
ragionevolezza e proporzionalità (cfr., fra le tante, Cons. St., sez.V, 5 ottobre 2005 n. 5318;
Tar Campania, Napoli, sez. I, 11 agosto 2005 n. 10716).
Nella cornice definita dai principi appena richiamati, è affatto illegittimo che nella gara
per l’acquisto di dispositivi per uso ospedaliero vengano assegnati 30 punti tecnici su 60 sulla
base di requisiti riguardanti una norma ISO relativa a dispositivi per autodiagnosi.
Irrazionalità palesata dal fatto che la ricorrente quanto ai valori “precisione ed
accuratezza dell’offerta tecnica” ha conseguito punteggi anormalmente bassi (rispettivamente, per il lotto n. 1, 2,823 su punti max 10 e 0 su punti max 20).
Nonostante che nella pregressa procedura, avente medesimo oggetto, avesse conseguito il miglior punteggio tecnico tanto da divenirne aggiudicataria proprio sulla scorta della
qualità tecnica dell’offerta, testata dalla Commissione esaminatrice con le prove effettuate
in laboratorio.
Il fatto che la sola controinteressata sia rimasta in gara avvalora, sul piano empirico, la
censura in esame.
Di fatto il bando ha operato un’indebita commistione fra sistemi per la misurazione
della glicemia in autodiagnosi e sistemi specifici per il settore ospedaliero che, in relazione
al diverso uso, presentano secondo la letteratura scientifica caratteristiche tecniche non
sovrapponibili.
Non è revocabile in dubbio che i criteri di valutazione dei valori tecnici devono essere
aderenti a ciascun sistema: ossia, è affatto irragionevole valutare i requisiti di accuratezza e
precisione del sistema ospedaliero richiamando (punto 7 disciplinare, allegato F4 ) – come
avvenuto nel caso in esame – la normativa ISO 15197 riguardante (l’altro sistema e cioè) l’
autodiagnosi.
Per comprovare la rispondenza dei prodotti offerti ai parametri della Norma ISO, il
disciplinare fa riferimento alla dichiarazione dell’Organismo autorizzato, contenente gli esiti
dei controlli di qualità e delle prove di performance analitiche previste dalla norma ISO
15197.
Che hanno ad oggetto – giova ribadire – i sistemi di autodiagnosi.
Viceversa, per i sistemi ospedalieri è previsto che il certificato di conformità è rilasciato
dal fabbricante senza l’intervento di Organismo notificato. Con la conseguenza che la
ricorrente, offrendo in simmetria all’oggetto del contratto un dispositivo per sistemi ospedalieri, non è stata messa in grado di presentare la documentazione in base alla quale la
Commissione ha valutato le offerte tecniche, sì da conseguire un punteggio insufficiente a
superare la soglia di sbarramento
Conclusivamente il ricorso deve essere accolto.
Sussistono giustificati motivi per compensare le spese di lite individuabili nella controvertibilità tecnica delle questioni dedotte in causa.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per
l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore
Richard Goso, Consigliere
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Tribunale amministrativo regionale Umbria Sez. I 20 dicembre 2013 n. 568 Pres. Lamberti
Est. Lamberti S.W. s.c. (avv. Anelli) A.P.S.P. . (avv. Calzoni)
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Preannuncio di ricorso da parte di impresa partecipante - Vincolo per la stessa - Esclusione Ratio.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Partecipanti - Requisiti di ammissione - Ingiustificatamente escludenti - Illegittimità.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara Partecipanti - Requisiti di ammissione - Fatturato aziendale - Importo minimo immotivato Illegittimità.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - In genere - Appalto - Gara - Offerta
- Valutazione mediante l’attribuzione di soli punteggi - Illegittimità - Motivazione specifica Necessità.
Ai sensi dell’art. 243 bis, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, l’informativa sull’intento dell’impresa
partecipante a gara pubblica a proporre ricorso non determina per essa alcun obbligo ad
avvalersene perché meramente sollecitatoria dell’autotutela della stazione appaltante.
A fronte dell’espressa previsione dell’art. 42 comma 1 lett. a), d.lg. 12 aprile 2006 n. 163
sulla possibilità per i partecipanti a gara pubblica di fornire dimostrazione delle capacità
tecniche mediante l’elenco dei principali servizi o delle principali forniture prestati negli ultimi
tre anni, con l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o privati, dei
servizi o forniture, la limitazione del fatturato specifico utilizzabile soltanto a quello maturato
per servizi socio sanitari svolti per conto di soggetti pubblici è illegittimo perché sicuramente
esclude la partecipazione degli operatori del settore che abbiano svolto in tutto o in parti
analoghi servizi in favore di soggetti privati.
L’art. 41 comma 2, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, nella parte in cui dichiara illegittimi i criteri
che fissano, senza congrua motivazione, limiti di accesso connessi al fatturato aziendale,
manifesta l’intenzione del legislatore di porre termine alle ingiustificate limitazioni quantitative
apposte alla partecipazione alle gare sotto l’aspetto della capacità economica e finanziaria.
Nelle gare pubbliche, in sede di valutazione delle offerte, l’assegnazione di punteggi fra
un minimo e un massimo predeterminato deve essere giustificata dalla Commissione con un
esaustivo giudizio circa la ragioni concrete dei punti attribuiti, non essendo sufficiente il solo
giudizio finale (di eccellente, buono, sufficiente, insufficiente) a rendere trasparente e conoscibile dai partecipanti alla gara la valutazione dei sub elementi dell’offerta.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 400 del 2013, proposto da: Welfare Società
Cooperativa Sociale, in persona del legale rappresentante pr o tempore, rappresentato e
difeso dall’avv. Lorenzo Anelli, con domicilio eletto presso l’avv. Daniele Spinelli in
Perugia, piazza Biordo Michelotti,1;
contro
Azienda Pubblica di servizi alla Persona Letizia Veralli, Giulio ed Angelo Cortesi, in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Lietta
Calzoni, con domicilio eletto presso la medesima in Perugia, via Bonazzi, n. 9;
per l’annullamento
- del bando di concorso pubblicato sulla G.U.R.I. in data 29 luglio 2013 e di tutti gli
ulteriori documenti di gara (Disciplinare, Schema di contratto e relativi allegati A,B,C, e D),
aventi per oggetto l’affidamento in appalto dei servizi socio sanitari della Residenza Protetta
″Letizia Veralli, Giulio ed Angelo Cortesi″;
- della nota prot. n. 1876 del 23 settembre 2013, con cui l’Azienda Pubblica resistente
ha negato l’adozione del provvedimento di annullamento in autotutela dei sopra menzionati
atti, invocato con apposito preavviso di ricorso ex art. 243-bis D.Lgs 163/2006;
- di ogni altro atto presupposto, coordinato, conseguente o comunque connesso;
- nonché per la condanna dell’Azienda Pubblica resistente al risarcimento dei danni
arrecati alla Welfare Società Cooperativa Sociale per l’eventuale perdita di chance dovuta
agli atti impugnati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Azienda Pubblica di Servizi alla Persona
Letizia Veralli, Giulio ed Angelo Cortesi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2013 il dott. Cesare Lamberti e
uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO — 1. L’Azienda Pubblica di servizi alla persona Letizia Veralli, Giulio e
Angelo Cortesi, con sede in Todi, ha indetto una procedura aperta per l’affidamento dei
servizi sociosanitari della Residenza Protetta, aventi ad oggetto la gestione di 64 unità non
autosufficienti e la gestione in avviamento di un modulo di 11 posti destinati a residenza per
anziani non autosufficienti, per un importo base d’asta di E 7.000.000,00 e la durata di cinque
anni, da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
1.1. Ai fini dell’ammissione alla procedura di gara, il bando prescrive, tra l’altro, il
possesso dei seguenti requisiti speciali “dichiarazione di aver maturato un fatturato specifico
relativo a servizi socio sanitari svolti per conto di enti pubblici di cui all’art. 1, comma 2, del
D.Lgs. 165/2001/istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza o aziende pubbliche di
servizi alla persona a favore di persone non autosufficienti conseguito nell’ultimo triennio
(2010, 2011, 2012) pari o superiori ad E 5.000.000,00, Iva esclusa”.
2. La ricorrente, Welfare società cooperativa sociale, lamenta che il bando preclude la
possibilità di dimostrare l’esistenza del requisito avvalendosi del fatturato relativo ai
medesimi servizi sociosanitari svolti per conto di istituzioni private anche convenzionate con
soggetti pubblici.
2.1. Sempre ai fini dell’ammissione, il bando dispone che i concorrenti debbano
dichiarare “di aver altresì preso conoscenza di tutte le circostanze generali e particolari che
possano influire sull’esecuzione del servizio e sulla determinazione dell’offerta e di giudicare
i prezzi offerti remunerativi”.
2.2. Dalla documentazione di gara, tuttavia, non si evincono numerosi dati particolarmente incidenti sull’esecuzione del servizio.
2.3. Relativamente all’offerta progettuale (max 70/100 punti), vengono individuati, in
particolare, i seguenti sub elementi: b1) programma di formazione e aggiornamento professionale del coordinatore e degli operatori addetti ai servizi (max punti 5/70); b2) progetto di
gestione(max punti 45/70); b3) migliorie e innovazione (max punti 10/70); b4) sistema per il
controllo e miglioramento continuo della qualità (max punti 5/70); b5) sinergie da realizzare
mediante documentati accordi in collaborazione con il tessuto sociale ispirate alla collaborazione dell’integrazione e alla messa in rete delle diverse risorse dei soggetti presenti sul
territorio(max punti 5/70).
2.4. A fronte della suddetta elencazione e fissazione di sub punteggi, il bando dispone
che relativamente a ognuno di essi (con esclusione dell’elemento b3) verrà motivatamente
attribuito da ciascun componente la commissione un coefficiente variabile da 0 a 1: il
prodotto della media dei coefficienti attribuiti da tutti i commissari moltiplicato per il
punteggio massimo assegnabile determinerà il punteggio conseguito dai singoli concorrenti
per i suddetti sotto elementi di valutazione.
2.5. Circa le modalità di attribuzione del coefficiente variabile da 0 a 1, il disciplinare
contempla una mera schematizzazione dei possibili giudizi: eccellente da 0,76 a 1,00; buono
da 0,51 a 0,75; sufficiente da 0,26a 0,50; insufficiente da 0,00 a 0,25.
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2.6. In nessuna parte del bando è dato rinvenire la linea valutativa che condurrà la
commissione a definire eccellente, buono, sufficiente, insufficiente l’offerta progettuale
presentata dalle concorrenti.
3. Assumendo l’oggettiva impossibilità di partecipare alla gara, la società Welfare
cooperativa sociale propone i seguenti motivi di censura:
I - violazione dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento e proporzionalità
di cui all’art. 2, co.1 D.Lgs. 163/2006 nonché degli artt. 41 e 42 D.Lgs. n. 163/2006: è arbitrario
limitare il fatturato specifico utilizzabile dai concorrenti per la dimostrazione del requisito
economico finanziario a quello maturato per servizi sociosanitari svolti per conto dei soli
soggetti pubblici;
II - violazione dell’art. 41, co. 2, ultimo periodo, D.Lgs. n. 163/2006: il bando limita
l’accesso alla gara fissando una soglia minima di fatturato aziendale conseguito nell’ultimo
triennio pari o superiore ad E 5.000.000,00 Iva esclusa senza fornire alcuna motivazione a
sostegno di tale scelta.;
III – violazione dell’art. 83, D.Lgs. n. 163/2006 e genericità dei criteri: sono del tutto
indeterminate le linee valutative da seguire per l’attribuzione dei punteggi nell’offerta
tecnica ed è così precluso ai concorrenti di formulare un’offerta progettuale massimizzata ad
ottenere il miglior punteggio possibile;
IV - equivocità delle previsioni negoziali: dall’esame della documentazione di gara non
è dato comprendere l’esatta determinazione degli oneri di cui l’aggiudicatario deve farsi
carico.
3.1. La ricorrente ha poi formulato domanda di risarcimento del danno per equivalente
subito dalla perdita di chances per conseguire tempestivamente l’appalto e per la perdita
della possibilità di fruire delle chances di conseguire un fatturato sui servizi utile ad
accrescere e/o confermare i requisiti di partecipazione alle gare pubbliche.
3.2. Si è costituita in giudizio l’Azienda Pubblica di servizi alla persona Letizia Veralli,
Giulio e Angelo Cortesi che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso perché proposto
individualmente dalla società Welfare cooperativa sociale e non quale mandatario o mandante di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese con la cooperativa sociale
ACTL. L’Azienda intimata ha poi richiesto il rigetto del ricorso.
3.3. In data 15 novembre 2013 la ricorrente, Welfare cooperativa sociale, ha depositato
memoria e in data 18 novembre e 23 novembre 2013 l’intimata Azienda Pubblica di servizi
alla persona Letizia Veralli, Giulio e Angelo Cortesi ha depositato memoria e memoria di
replica.
4. La causa viene in decisione alla pubblica udienza del 4 dicembre 2013.
DIRITTO — 1. È impugnato il bando di gara per l’affidamento dei servizi relativi alla
residenza protetta “Letizia Veralli, Giulio e Angelo Cortesi per n. 64 anziani non autosufficienti e per l’avviamento e la gestione di un modulo di 11 posti destinati a residenza per
anziani non autosufficienti, della durata di cinque anni da aggiudicare con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
1.1. Per i servizi inerenti alla RP/Residenza sita in Todi, il bando prevede la corresponsione di un corrispettivo annuale di E 1.400.000,00 soggetto solo ribasso, oltre annuali E
22.000,00 per oneri della sicurezza non soggetti al ribasso d’asta, oltre Iva come per legge,
riferito al nucleo avviato di n. 64 posti per soggetti non autosufficienti: il suddetto compenso
nel quinquennio di riferimento risulta pari a netti E 7.000.000,00 soggetto solo ribasso oltre
complessivi E 110.000,00 per oneri della sicurezza non soggetti al ribasso d’asta, oltre Iva
come per legge.
2. Precede la disamina del merito, l’eccezione d’inammissibilità per carenza d’interesse
e/o per omessa notifica alla controinteressata coop. ACTL, formulata dall’Azienda Pubblica
di servizi alla persona Letizia Veralli, Giulio e Angelo Cortesi nella memoria costitutiva 21
ottobre 2013: la ricorrente, Coop. Welfare, avrebbe proposto autonomo ricorso in proprio
senza esservi legittimata, data la sua posizione di mandataria o mandante del costituendo
raggruppamento con la cooperativa ACTL.
2.1. Il preavviso in data 04/09/2013, nel quale si manifestava l’intento di proporre ricorso
avverso il bando, era stato sottoscritto congiuntamente dalla ricorrente Coop. Welfare e
dalla coop. ACTL che avevano dichiarato espressamente l’interesse a partecipare alla gara
in costituendo RTI: con successiva nota 19/09/2013, inviata per conoscenza anche alla
ricorrente, la coop. ACTL ha comunicato alla stazione appaltante la decisione di non dare
seguito all’impugnazione e ha regolarmente presentato l’offerta entro il termine di ricezione
del 26 settembre 2013.
2.2. Con richiamo alla funzione deflattiva del contenzioso propria del preavviso di
ricorso, l’Azienda Pubblica intimata sostiene la sopravvenuta carenza di interesse in capo
alla Welfare coop. Sociale, ad agire in giudizio per annullare la procedura che, invece, l’altro
componente del costituendo raggruppamento temporaneo di imprese aveva interesse a
conservare.
2.3. Sempre secondo l’intimata, la Coop. ACTL rivestirebbe, nel presente giudizio la
qualifica di controinteressato in senso sostanziale perché titolare dell’opposto - e configgente
- interesse a conservare la gara e pertanto la condizione di destinatario della notificazione del
presente ricorso, da dichiarare inammissibile in difetto della relativa formalità.
2.4. Ad avviso del Collegio, dalla sottoscrizione del preavviso di ricorso da parte di due
partecipanti ad una gara che abbiano manifestato la sola volontà di costituirsi in raggruppamento temporaneo, trae origine una situazione di mero fatto, insuscettibile di produrre
conseguenze giuridicamente rilevanti e non già la contrapposizione di interessi giuridicamente rilevante che da luogo alla posizione di (e al correlativo onere di notificazione al)
controinteressato.
2.5. Data la sua estraneità al procedimento di gara (T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II,
2 marzo 2011, n. 372), l’esigenza di ridurre l’area delle controversie giudiziali con la
risoluzione anticipata della lite cui adempie, ai sensi dell’art. 243 bis, D.Lgs. 163/2006,
l’informativa sull’intento di proporre ricorso non determina alcun vincolo nei confronti delle
imprese che intendano avvalersene perché meramente sollecitatoria dell’autotutela della
stazione appaltante.
2.6. D’altra parte, è costante la giurisprudenza secondo cui ciascuna impresa, prima
dell’associazione temporanea, è legittimata a proporre ricorso contro le determinazioni
asseritamente lesive dei propri interessi: essendo riferita alla situazione soggettiva fatta
valere nella qualità di operatore del settore o di presentatore dell’offerta, la legittimazione
ad agire rappresenta un titolo specifico e differenziato, indipendente dai possibili successivi
eventi riguardanti la mancata costituzione del raggruppamento (T.A.R. Abruzzo Pescara,
sez. I, 2 novembre 2009, n. 646; Cons. St., sez. VI, 23 luglio 2008, n. 3652).
2.7. Dalla sottoscrizione congiunta dell’informativa ex art. 243-bis, D.Lgs. 163/2006 da
parte della cooperativa ricorrente e di ACTL e dalla successiva reciproca divergenza circa
la partecipazione alla gara da parte di quest’ultima non è possibile individuare alcuna
situazione di controinteresse in grado di configurare in capo ad ACTL la qualifica di
contraddittore in senso sostanziale.
2.8. L’eccezione dell’azienda pubblica di servizi alla persona Letizia Veralli, Giulio e
Angelo Cortesi va conclusivamente respinta con richiamo alla costante giurisprudenza
secondo cui nel ricorso avverso il bando di gara, che per sua natura non ha destinatari
determinati, non sono identificabili soggetti controinteressati (ex plurimis, T.A.R. Sardegna
Cagliari, sez. I, 11 luglio 2008, n. 1367).
3. Precede la trattazione dei primi due motivi di merito, appuntati nei confronti del
bando, laddove subordina l’ammissione alla gara alla “dichiarazione di aver maturato un
fatturato specifico relativo a servizi socio sanitari svolti per conto di enti pubblici di cui
all’art. 1, comma 2, D.Lgs. 165/2001/Istituzioni Pubbliche di Assistenza e beneficenza o
Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona a favore di persone non autosufficienti, conseguito
nell’ultimo triennio (2010, 2011, 2012) pari o superiore a E 5.000.000,00 Iva esclusa”.
3.1. Della clausola si afferma la contrarietà al principio di massima partecipazione alle
gare e al divieto di prescrizioni restrittive della concorrenza, nella parte in cui esclude dalla
partecipazione gli operatori che abbiano maturato lo specifico fatturato richiesto nello
svolgimento di attività socio sanitarie per conto di enti e società private e l’inosservanza del
criterio di proporzionalità laddove stabilisce la soglia minima di E 5.000.000,00 conseguito
nell’ultimo triennio nello svolgimento di servizi analoghi.
3.2. La censura è fondata sotto entrambi i profili dedotti.
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3.3. A fronte dell’espressa previsione dell’art. 42, co. 1, lett. a) D.Lgs. n. 163/2006 sulla
possibilità dei concorrenti di fornire dimostrazione delle capacità tecniche tramite la
“presentazione dell’elenco dei principali servizi o delle principali forniture prestati negli
ultimi tre anni con l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o privati,
dei servizi o forniture”, la limitazione del fatturato specifico utilizzabile a quello maturato
per servizi socio sanitari svolti per conto dei soli soggetti pubblici è sicuramente escludente
la partecipazione degli operatori del settore che abbiano svolto in tutto o in parti analoghi
servizi in favore di soggetti privati.
3.4. Avere il legislatore condizionato le possibili modalità di dimostrazione della
capacità tecnica e professionale “... a seconda della natura, della quantità o dell’importanza
e dell’uso delle forniture o dei servizi”, non implica che il carattere del servizio sia di per sé
sufficiente a offrire contezza della scelta per l’una o l’altra modalità, come si sostiene nella
memoria di costituzione, ma onera la stazione appaltante a giustificarne motivatamente la
ragione.
3.5. La libera concorrenza e la parità di trattamento nelle gare comunitarie escludono
che all’amministrazione sia data la facoltà di restringere la partecipazione con criteri
limitativi della capacità tecnica: l’aggettivazione “pubblici o privati”, contenuta nell’art. 42
del Codice a proposito degli enti presso i quali il fatturato è stato conseguito, deve essere
interpretata cumulativamente e non disgiuntamente, salve restando le particolari ragioni che
possano giustificare la discriminazione in favore dell’una o dell’altra tipologia di ente, di cui
offrire però ampia contezza in sede di motivazione.
3.6. Che nel bando sia stato riportato il solo fatturato specifico relativo a servizi socio
sanitari svolti per conto di enti pubblici di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. 165/2001/Istituzioni
Pubbliche di Assistenza e beneficenza o Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona a favore
di persone non autosufficienti è immotivatamente restrittivo ed è stato correttamente
censurato dalla ricorrente sotto l’aspetto della contrarietà con la massima partecipazione alle
gare.
4. Analoghe considerazioni sorreggono il fondamento della censura d’irrazionalità della
soglia minima di fatturato aziendale pari o superiore ad E 5.000.000,00 nell’ultimo triennio
senza alcun sostegno motivazionale.
4.1. Con l’aggiunta (ad opera dall’art. 1, c. 2-bis, lett. b), D.L. n. 95/2012) dell’ultimo
periodo all’art. 41, co. 2, del D.Lgs. n. 163/2006, secondo cui “sono illegittimi i criteri che
fissano, senza congrua motivazione, limiti di accesso connessi al fatturato aziendale” il
legislatore ha inteso porre termine alle ingiustificate limitazioni quantitative apposte alla
partecipazione alle gare sotto l’aspetto della capacità economica e finanziaria.
4.2. Tale deve considerarsi senz’altro il fatturato conseguito nell’ultimo triennio,
richiesto dalla resistente Azienda Pubblica, di servizi pari o superiore a cinque milioni di
euro, pari cioè a circa i 2/3 dell’importo totale della gara, pari a sette milioni di euro.
4.3. In mancanza di idonea motivazione che giustifichi una così elevata capacità
economica, il Collegio ritiene la clausola ingiustificatamente restrittiva e limitativa, come
tale, della più ampia partecipazione alle gare propria di quello comunitario, cui deve
conformarsi l’ordinamento interno.
4.4. Non può essere considerata idonea giustificazione quanto riportato nella memoria
di costituzione dell’Azienda Pubblica sulla particolarità del servizio costituito dai servizi
socio sanitari, assistenziali e animativi - ricreativi e di interazione con il territorio, comprensivi dei servizi di ristorazione e lavanderia da espletare ventiquattro ore al giorno e per tutto
l’anno presso la Residenza protetta Varalli-Cortesi a favore di settantacinque soggetti
anziani non autosufficienti.
4.5. A tutto volere ammettere circa la loro idoneità a costituire corretto supporto
motivazionale, siffatte giustificazioni sono state fornite in sede di difesa giudiziale (cfr. in
part. pagg. 10 e 11 della memoria 21 ottobre 2013) e non dalla Stazione appaltante nella lex
specialis della gara come necessario per la loro giuridica rilevanza.
4.6. Resta così assorbito il quarto motivo di equivocità delle previsioni negoziali per
indeterminatezza nella documentazione di gara degli oneri di cui l’aggiudicatario deve farsi
carico.
5. Va invece respinta l’altra censura di inosservanza della motivazione, in capo alla
Commissione di gara, per l’attribuzione dei coefficienti numerici ai sub elementi di cui si
compone la griglia di giudizio delle offerte progettuali dalle concorrenti.
5.1. Al proposito, il bando dispone che relativamente a ognuno di essi (con esclusione
dell’elemento b3) verrà “motivatamente attribuito” da ciascun componente la commissione
un coefficiente variabile da 0 a 1.
5.2. Consegue che la distribuzione dei punteggi fra un minimo e un massimo predeterminato: da 0,76 a 1,00 per eccellente; da 0,51 a 0,75 per buono; da 0,26 a 0,50 per sufficiente;
da 0,00 a 0,25 insufficiente debba essere giustificata dalla Commissione con un esaustivo
giudizio circa la ragioni concrete dei punti attribuiti, non essendo sufficiente il solo giudizio
finale (di eccellente, buono, sufficiente, insufficiente) a rendere trasparente e conoscibile dai
partecipanti alla gara la valutazione dei sub elementi.
6. Delle censure prospettate nel ricorso devono essere conclusivamente accolte la prima
e la seconda mentre va respinta la terza e va assorbita la quarta.
6.1. Non essendo stata ancora perfezionata la procedura di gara non c’è luogo a
determinazione del danno risarcibile.
6.2. Le spese del presente giudizio possono essere compensate per la fattualità delle
questioni trattate.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie per le ragioni e nei limiti
sopra specificati.
Annulla per l’effetto l’impugnato bando di gara.
Compensa le spese, competenze ed onorari del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Cesare Lamberti, Presidente, Estensore
Stefano Fantini, Consigliere
Paolo Amovilli, Primo Referendario
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Tribunale amministrativo regionale Lazio Roma Sez. III bis 16 dicembre 2013 n. 10863 Pres.
Calveri Est. Pisano Soc. S. (avv. Napoli, Zoppolato) IPZ e Soc. S. . (Avv. Stato), (avv.
Galli, Gentile)
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Contratti - Atto di ammissione alla
gara - Distinta e autonoma impugnativa dei partecipanti - Esame del ricorso principale e di quello
incidentale - Priorità - Irrilevanza - Esame di entrambi i ricorsi - Necessità.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Affitto d’azienda o ramo d’azienda
sottoposta a procedura fallimentare - Dichiarazione ex art. 38, da parte di amministratori o
direttori tecnici operanti nell’ultimo anno - Obbligo - Insussistenza.
D.lg. 12 aprile n. 163, art. 38
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Termine di dieci giorni ex art. 48
comma 1, d.lg. n. 163 del 1996 - Perentorietà - Solo ove riferito a verifica a campione in corso di
gara e non ad aggiudicatario provvisorio.
D.lg. 12 aprile n. 163, art. 48 comma 1
Ove due imprese partecipanti alla gara abbiano impugnato l’atto di ammissione dell’altra, il giudice, qualunque sia il ricorso che esamini per primo e che ritenga fondato, deve
esaminare anche l’altro ricorso, dando rilievo all’interesse strumentale di ciascuna impresa, sia
essa ricorrente principale o incidentale, alla ripetizione della gara.
L’applicazione dei principi affermati dalle Adunanze plenarie dl Consiglio di Stato A.P.
con decisioni 10/2012 e 21/2012, circa l’obbligo di dichiarazione di cui all’art. 38, d.lg. n. 163
del 2006 in caso di cessione o di fusione di azienda, ha portato a ritenere in via analogica che
detto obbligo si applichi anche all’ipotesi di affitto di azienda, ma non può spingersi fino a
estendere l’obbligo all’ipotesi dell’affitto d’azienda o del ramo d’azienda sottoposta a procedura fallimentare con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che avevano
operato presso l’affittuaria nell’ultimo anno, ovvero, specificatamente, nei confronti del
liquidatore della società e del curatore fallimentare.
Mentre il termine di dieci giorni previsto dall’art. 48 comma 1, d.lg. n. 163 del 2006 è
perentorio ove riferito al caso di verifica a campione in corso di gara sulla sussistenza dei
requisiti dichiarati, nel caso in cui l’amministrazione proceda a verifica ex post nei confronti
dell’aggiudicatario provvisorio e nel concorrente che segue in graduatoria il predetto termine,
salva diversa determinazione della stazione appaltante contenuta nel bando, non soltanto è da
considerato ordinatorio ma in caso di violazione implica non necessariamente l’esclusione,
bensì l’eventuale possibilità dell’applicazione delle sanzioni ivi descritte avendo il legislatore
inteso lasciare alla discrezionalità dell’Amministrazione la valutazione delle conseguenze
della mancata osservanza del termine, in relazione anche alla concreta entità del ritardo e alla
misura della sua incidenza sull’andamento della selezione.
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4006 del 2013, integrato da motivi aggiunti,
proposto da Soc Sicuritalia Spa, in persona del suo legale rappresentante, Dott. Lorenzo
Minato, rappresentata e difesa nel presente giudizio dagli Avv.ti Marco Napoli [email protected] e Maurizio Zoppolato (PEC [email protected];
telefax: 06-68134445), ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via del
Mascherino 72; e sul ricorso incidentale proposto da: Securpol Group s.r.1., in proprio e in
qualità di capogruppo mandataria del RTI con Securitas Metronotte S.r.l., in persona del
legale rappresentante Sig. Roberto Paraseandolo, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Domenico Gentile PEC (PEC [email protected], fax 06.32651711) e Domenico Galli, (PEC
[email protected]) ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via
Virginio Orsini, n. 19;
contro
Ipzs - Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, rappresentato e difeso per legge
dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ope legis in Roma, via dei Portoghesi,
12;
nei confronti di
Soc Securpol Group Srl, in proprio e in qualità di capogruppo mandataria del RTI con
Securitas Metronotte S.r.l., Soc Securitas Metronotte Srl; in persona del legale rappresentante Sig.Roberto Paraseandolo rappresentato e difeso dagli avv. Domenico Galli e Domenico Gentile, con domicilio eletto presso Domenico Galli in Roma, via Virginio Orsini N. 19;
per l’annullamento
con il ricorso principale e con i motivi aggiunti:
del provvedimento adottato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in data 22
marzo 2013 con il quale — avuto riguardo al lotto 1 (sedi IPZS di Roma) - è stata
definitivamente aggiudicata al RTI capeggiato da SECURPOL GROUP Srl, la procedura
aperta ai sensi del D.Lgs, n. 163/2006 finalizzata alla definizione di un accordo quadro con
un unico operatore per ciascun lotto per l’affidamento del servizio di vigilanza presso le sedi
IPZS;
e con il ricorso incidentale proposto da Securpol:
di tutti gli atti di gara impugnati in via principale dal ricorrente ed in particolare:
i. del provvedimento adottato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in data 22
marzo 2013 con il quale — limitatamente al lotto n. 1 — è stato definitivamente aggiudicato
al RTI Securpol Group srl l’affidamento di un ″accordo quadro con un unico operatore del
servizio di vigilanza da prestarsi presso le sedi IPZS di Roma e sono stati approvati gli atti
della procedura, nella parte in cui non è stata disposta l’esclusione della società Sicuritalia
(all. sub doc. 1 fascicolo del ricorrente principale);
ii. dei verbali di gara, nella parte in cui la commissione non ha disposto
l’esclusione di Sicuritalia;
della nota del 12 febbraio 2013 con cui l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha
concesso a Sicuritalia ulteriore termine per presentare documenti a comprova dei requisiti
dichiarati ai fini della partecipazione alla gara;
iv. di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ipzs - Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato
e di Soc Securpol Group Srl;
Visto il ricorso incidentale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2013 la dott.ssa Ines Simona
Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO — Con ricorso notificato in data 24 aprile 2013 la Sicuritalia s.r.l., in persona
del L.R. p.t., ha proposto ricorso chiedendo l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento adottato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in data 22 marzo 2013 con il
quale - avuto riguardo al lotto 1 (sedi IPZS di Roma) - è stata definitivamente aggiudicata
al R.T.I. capeggiato da Securpol Group srl, la “procedura aperta ai sensi del D.lgs.
n.163/2006 finalizzata alla definizione di un accordo quadro con un unico operatore per
ciascun lotto per l’affidamento del servizio di vigilanza presso le sedi IPZS” e, in via
subordinata, la condanna dell’Istituto al risarcimento del danno in forma specifica o, in
subordine, per equivalente economico.
Ha esposto la ricorrente che:
- con bando di gara spedito pubblicato in GUCE il 2 agosto 2012, con il numero di
riferimento 152 - 254520 - IT e sulla GURI – V Serie Speciale – n. 152 del 9 agosto 2012,
l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha indetto una procedura aperta ai sensi del D.lgs.
n.163/2006 per l’affidamento del servizio di vigilanza da prestarsi, per la durata di due anni
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(suscettibili di essere aumentati di altri dodici mesi), presso le sedi IPZS di Roma (lotto 1)
e di Foggia (lotto 2).
- La procedura veniva articolata in due lotti distinti: Lotto 1 per il servizio di vigilanza
presso le sedi IPZS di Roma; Lotto 2 per il servizio di vigilanza presso la sede IPZS di
Foggia, per un valore a base d’asta, per il lotto 1 che qui rileva, di Euro 14.306.295,00, con
la previsione di impiegare il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso ai sensi
dell’articolo 82,comma 2, lett. a), del D.lgs. 163/2006.
- Con particolare riferimento al personale da adibire ai servizi di vigilanza e pattugliamento (costituenti la parte preponderante dell’appalto con un valore di Euro 13.941.963,00
sul totale della base d’asta), IPZS, nel rispondere alle richieste di chiarimenti di alcuni
concorrenti, da un lato, ha sottolineato che la lex specialis non prevedeva ″alcun obbligo di
assunzione del personale dell’Impresa uscente″; ma, dall’altro lato, ha fatto ″comunque salvi
gli eventuali obblighi in tal senso previsti dai CCNL di riferimento e/o da accordi regionali,
territoriali, etc. applicati dall’Impresa Aggiudicataria″.
- Alla procedura prendeva parte, oltre ad altri 9 offerenti, anche SICURITALIA SpA
–ovvero, l’attuale gestore del servizio di vigilanza presso le sedi aziendali di IPZS- e il rti
capeggiato da SECURPOL GROUP, odierno controinteressato.
- Quest’ultima società - nel dichiarare (come mandataria) il possesso del requisito di
capacità tecnica del servizio cd. ″di punta″ (ossia quello di aver ″espletato a regola d’arte nel
triennio precedente la data di pubblicazione del bando presso una realtà pubblica o privata
un servizio analogo unitario per un importo complessivo non inferiore ad 6 6.000.000,00″) –
produceva alla stazione appaltante un’attestazione di servizio rilasciata dalla Base Srl.
- Detto attestato precisava che le prestazioni relative al fatturato ivi riportato (Euro
7.318.069,45 tra il l° gennaio 2009 ed il 31 dicembre 2012), pur discendendo da un solo
contratto -un accordo quadro per l’erogazione di servizi a Monte Paschi di Siena-erano state
separatamente svolte (e fatturate) da sei differenti imprese: Securpol Vigilantes Srl, Securpol Mat Vigilantes Srl, Mat Security SpA, Sicurpol Srl, Securpol Val Cecina Srl, Securpol
Srl. Tutte poi ″confluite″ — attraverso più contratti di affitto e di cessione di ramo d’azienda
stipulati tra il marzo del 2010 e l’ottobre del 2011 — in SECURPOL GROUP Srl.
- In data 5 ottobre 2012, come previsto dalla lex specialis di gara, la Commissione di
gara dava avvio, in seduta pubblica, alle relative operazioni procedendo alla rubricazione
della documentazione amministrativa pervenuta; verificata in seduta riservata - in data 24
ottobre 2012 - la regolarità della documentazione presentata, con riferimento al Lotto 1
venivano ammesse alle successive fasi le seguenti 6 concorrenti: 1) Security Service Srl; 2)
Axitea Spa; 3) Costituendo RTI Securpol Group Srl/Securitas Metronotte Srl; 4) Costituendo RTI Istituto di Vigilanza Nuova Città di Roma Soc.Coop/Città di Roma Metronotte
Srl; 5) Sicuritalia Spa; 6) Istituto di Vigilanza dell’Urbe Spa.
- In data 12 dicembre 2012, la Commissione procedeva in seduta pubblica all’apertura
delle buste “B” contenenti le offerte economiche,dando lettura delle tariffe proposte da
ciascun concorrente; in seduta riservata,procedeva alla verifica della regolarità delle offerte
medesime e, in conformità a quanto espressamente previsto al Titolo II punto 4 del
disciplinare di gara, all’applicazione della formula matematica per l’individuazione dell’importo complessivo del servizio, all’esito del quale gli importi complessivi venivano così
determinati: Security Service Srl E 8.400.842,40; Axitea Spa E 7.794.179,60; Costituendo
RTI SecurpolGroupSrl/Securitas Metronotte Srl E 7.292.608,96; Costituendo RTI istituto di
Vigilanza Nuova Città di Roma Soc.Coop/Città di Roma MetronotteSrl E 8.225.199,96;
Sicuritalia Spa E 7.656.893,46; Istituto di Vigilanza dell’Urbe Spa E 8.912.566,64. In
particolare, ad avviso della ricorrente, l’offerta della prima graduata SECURPOL appariva
da subito caratterizzata da un ribasso particolarmente significativo sulla tariffa oraria del
servizio di vigilanza (E 16,84/h contro una base d’asta di euro 22.00), mentre l’offerta della
seconda classificata SICURITALIA SpA ammontava, per il medesimo servizio, ad E
17,67/h.
- La Commissione di gara, ai sensi dell’art.86, comma 1 del D.lgs. 163/06 procedeva in
relazione alle singole tariffe (tariffa servizi di vigilanza, tariffa operatori logistici, tariffa di
pattugliamento) all’individuazione delle soglie di anomalia e trasmetteva gli atti al Respon-
sabile del Procedimento per i successivi adempimenti di competenza anche con riguardo alla
verifica dei calcoli matematici.
- Precisamente, con nota prot. n. 60412 del 14 dicembre 2012, il Responsabile del
Procedimento chiedeva al Costituendo RTI Securpol Group Srl/Securitas Metronotte Srl di
fornire le giustificazioni di cui all’art. 86 e all’art. 87 con particolare riferimento a ciascuna
delle sopra indicate tariffe.
- La SECURPOL, con atto del 2 gennaio 2013, forniva le proprie giustificazioni,
argomentando, in virtù di una rielaborazione, ″calibrata″ sulla propria realtà aziendale, delle
tabelle ministeriali approvate con DM 8 luglio 2009:
- a) di aver fondato la propria offerta sulla convinzione di non dover dare applicazione
all’istituto del cambio appalto, avendo espressamente previsto - per fruire di agevolazioni
contributive che abbatterebbero il suo costo del lavoro - di procedere per il 40% delle gpg
occorrenti (più di un centinaio) ad assumere personale o dalla liste di mobilità ovvero
attraverso l’impiego ″massivo″ di contratti di apprendistato;
- b) di aver ridotto il numero delle ore non lavorate indicate dalla tabella ministeriale,
sostenendo che il tasso di assenteismo per malattie ed infortuni della sua struttura aziendale
sarebbe di gran lunga inferiore (meno della metà: 61 giorni all’anno contro 130) rispetto a
quello rilevato dal Ministero;
- c) di aver azzerato il valore riportato nelle tabelle (per Euro 5.138,29) dei cd. ″costi
derivanti da altre disposizioni di legge″, da un lato, sostenendo che i suoi costi di gestione
della centrale operativa sarebbero già stati ammortizzati su altre commesse; e, dall’altro lato,
sottacendo che gli oneri in questione - siccome commisurati ai costo del personale presente
presso la centrale operativa possono essere (non già eliminati in toto, ma solo) ridotti perché
suddivisi in ragione del numero sia degli addetti in concreto alla centrale operativa, sia delle
gpg ″servite″ dalla centrale;
- Dall’esame della documentazione giustificativa presentata, il Responsabile del Procedimento con nota prot. n. 2536 dell’11 gennaio 2013 chiedeva al concorrente di fornire le
precisazioni di cui all’art.88 del citato decreto con riferimento alla riduzione del tasso INAIL
e dell’aliquota INPS.
A fronte dei chiarimenti forniti con l’ulteriore documentazione, l’IPZS riteneva congrua l’offerta della SECURPOL, e con nota del 22 marzo 2013 l’Istituto, ai sensi dell’art.79
comma 5 lett. a) provvedeva a dare a tutti i concorrenti comunicazione di aggiudicazione
definitiva nei confronti del costituendo RTI Securpol Group Srl/Securitas Metronotte Srl.
Avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara del 22 marzo 2013 nonché di
tutti i verbali della gara stessa la Sicuritalia s.r.l. proponeva l’odierno ricorso.
Nel merito, a fondamento del proprio ricorso, Sicuritalia deduceva:
1) violazione degli articoli 42 e 51 del D.lgs.163/06;
2) violazione dell’art. 38, comma 1, lett.c) del D.lgs. n. 163/2006;
3) violazione degli articoli 86 e 87 del D.lgs. n. 163/2006 e degli articoli 25,26,27,85,86 e
89 del CCNL del settore vigilanza;
4) violazione degli articoli 86 e 87, del D.lgs. n. 163/2006 sotto altro e diverso profilo.
Con articolata memoria si costituiva l’Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, che
deduceva la manifesta infondatezza del ricorso.
Nella camera di consiglio del 23 maggio 2013, fissata per la discussione dell’istanza
cautelare, si costituiva in giudizio Securpol Group s.r.1., in proprio e in qualità di capogruppo mandataria del RTI con Securitas Metronotte S.r.l. , che controdeduceva puntualmente sulle censure dedotte.
Con atto del 28 maggio 2013, la SECURPOL proponeva ricorso incidentale, chiedendo
l’annullamento dei verbali di gara, nella parte in cui la commissione non ha disposto
l’esclusione di Sicuritalia e della nota del 12 febbraio 2013 con cui l’Istituto Poligrafico e
Zecca dello Stato ha concesso a Sicuritalia ulteriore termine per presentare documenti a
comprova dei requisiti dichiarati ai fini della partecipazione alla gara.
In particolare, evidenziava che solo a seguito dell’accesso agli atti del procedimento,
concesso alla controinteressata in data 2 maggio 2013, sarebbero emerse gravi irregolarità
nella condotta del ricorrente principale non rilevate dalla stazione appaltante, alle quali
avrebbe dovuto conseguire l’esclusione di Sicuritalia dalla gara in quanto questa:
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- avrebbe omesso di fornire alla stazione appaltante alcuni elementi indispensabili
perché la stessa potesse valutarne l’effettiva idoneità, sotto il profilo del possesso dei
requisiti di ordine generale, non dando conto della inesistenza di sentenze penali di
condanna nei riguardi dei soggetti che avevano assolto a compiti di gestione nell’anno
antecedente la pubblicazione del bando, in una società confluita in Sicuritalia anteriormente
alla partecipazione alla gara;
- avrebbe omesso di comunicare alcune operazioni di trasformazione e riorganizzazione
societaria - attuate mediante affitti ed acquisti di rami di azienda — poste in essere nelle
more della procedura di gara; il tutto in violazione anche dell’art. 51 del d.lgs. n. 163/06 che
obbliga il candidato, i concorrenti o l’aggiudicatario ad informare la stazione appaltante
delle trasformazioni medio tempore intervenute affinché la stessa possa, tra l’altro, verificare
la inesistenza di cause ostative alla partecipazione alla gara;
- avrebbe omesso di dimostrare, in qualità di seconda classificata, ai sensi dell’art. 48 del
Codice dei Contratti, la effettiva titolarità dei requisiti di ordine tecnico-organizzativo ed
economico-finanziario, necessari per poter prendere parte alla procedura di affidamento,
entro il primo termine di dieci giorni dalla richiesta, qualificato come perentorio dalla
stazione appaltante. La ricorrente incidentale argomenta in proposito che la giurisprudenza
è costante nel riconoscere che, ove sia la stazione appaltante a qualificare come perentorio
il termine attribuito ai concorrenti, per fornire la dimostrazione dei requisiti dichiarati
all’atto della partecipazione alla gara, l’esclusione costituisce conseguenza obbligata della
mancata ottemperanza alla richiesta entro il termine prefissato (Consiglio di Stato, Sez. VI,
8 marzo 2012 n. 1321; TAR Puglia Bari, Sez. I, 14 agosto 2008 n. 1971). E, poiché, nel caso
di specie, la committente era stata assolutamente esplicita nell’indicare l’esclusione dalla
gara (nonché la segnalazione del fatto all’Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici e
la escussione della cauzione) quale sanzione della mancata dimostrazione dell’effettivo
possesso dei requisiti entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, sulla base delle regole
procedurali alle quali si era autovincolata, avrebbe dovuto disporre l’esclusione di Sicuritalia
dalla procedura in questione.
Con articolata ordinanza cautelare del 6 giugno 2013, n.2274, il Collegio, ritenuto che
il ricorso fosse privo di sufficienti profili di fondatezza, respingeva l’istanza di sospensione
del provvedimento impugnato.
Con ordinanza cautelare n 2679 del 12 luglio 2013 il Consiglio di Stato, sez.VI,
riformava la gravata decisione, sospendendo in via cautelare gli atti impugnati.
Con atto del 2 agosto 2013 la ricorrente proponeva ulteriori motivi aggiunti avverso i
medesimi atti impugnati con il ricorso principale, riproponendo nella sostanza le medesime
censure proposte con il ricorso principale circa la violazione degli artt.86 e 87 Dlgs.163/06,
con rifermento alla disciplina delle norme del cd.”Cambio appalto” nel settore della
vigilanza privata ed alla congruità dell’offerta presentata dal costituendo RTI Securpol
Group srl/Securitas Metronotte.
In particolare, la ricorrente rilevava l’inattendibilità delle le giustificazioni ex adverso
rese, in quanto:
a) fondate sul presupposto che l’aggiudicataria non sia tenuta ad assumere il personale
del gestore uscente;
b) Securpol avrebbe completamente obliterato di considerare i conseguenti maggiori
costi, connessi all’assunzione del personale di Sicuritalia;
c) l’aggiudicataria ha invocato asserite agevolazioni connesse all’assunzione di personale di cui, in nessun caso, potrebbe godere.
Pertanto, deduceva:
II. violazione della lex specialis di gara - violazione degli artt. 86 e 87 d.lgs. 163/2006 —
violazione dell’articolo 36 della legge 300/1970 - violazione degli articoli 25, 26, 27, 85, 86 e
89 del CCNL del settore vigilanza - violazione del C.C. integrativo regionale di lavoro difetto di istruttoria in merito all’incidenza del cambio appalto.
La ricorrente ha pertanto concluso per l’accoglimento dei motivi aggiunti.
Nella udienza pubblica del 2 novembre 2013, viste le memorie conclusive depositate
dalle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO — A)In via preliminare, per quanto attiene all’ordine logico di trattazione
delle domande, va evidenziato quanto segue. Come è noto, secondo il principio affermato
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con decisione del 7 aprile 2011, n. 4, il ricorso
incidentale, diretto a contestare l’ammissione alla gara del ricorrente principale, andrebbe
sempre esaminato con priorità, a prescindere dal numero dei partecipanti e dai requisiti
(siano essi soggettivi o oggettivi) di partecipazione alla gara che si assumono violati, giacché
con detto ricorso il controinteressato pone una questione pregiudiziale di rito, che, se
fondata, si riflette nella preclusione all’esame del ricorso principale per difetto di legittimazione ad agire (in questo senso la giurisprudenza dominante, ex multis Consiglio di Stato sez
III 11 febbraio 2013, n.768; id. sez. VI 18 gennaio 2012, n. 178; id. sez. V 10 novembre 2011,
n. 593; T.A.R. Friuli Venezia Giulia 10 maggio 2012, n. 165; T.A.R. Veneto sez. III 12 giugno
2012, n. 1280; T.A.R. Basilicata 11 giugno 2012, n. 269).
Tale orientamento, ultimamente rimeditato anche da due diverse Sezioni del Consiglio
di Stato (ordinanze sez. V 15 aprile 2013, n. 2059 e sez. VI 17 maggio 2013, n. 2681), è stato
più di recente oggetto di esame dalla sentenza della Corte di Giustizia U.E. (sez. X, 4 luglio
2013 causa C 100/12), che ha ritenuto la decisione n.4/11 dell’A.P. non conforme con il
principio, codificato dall’art. 1 della direttiva 89/665, di efficacia della tutela giurisdizionale
contro le decisioni delle autorità aggiudicatrici in materia di appalti contrarie al diritto
dell’Unione non discriminazione e tutela della concorrenza nei pubblici appalti di cui alla
direttiva n. 1989/665/CEE, come modificata con la direttiva 2007/66/CE.
Secondo la C.G.U.E., in particolare, l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE
del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari
e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva
2007/66/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, deve essere
interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l’aggiudicatario che ha ottenuto
l’appalto e proposto ricorso incidentale solleva un’eccezione di inammissibilità fondata sul
difetto di legittimazione a ricorrere dell’offerente che ha proposto il ricorso, con la
motivazione che l’offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall’autorità
aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni,
tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in
conseguenza dell’esame preliminare di tale eccezione di inammissibilità senza pronunciarsi
sulla conformità con le suddette specifiche tecniche sia dell’offerta dell’aggiudicatario che ha
ottenuto l’appalto, sia di quella dell’offerente che ha proposto il ricorso principale.
Ne consegue che, allo stato attuale, per la nota efficacia ultra partes delle sentenze (ex
art. 267 Trattato U.E.) della Corte di Giustizia interpretative del diritto comunitario
(Cassazione civile sez. trib.,11 dicembre 2012, n. 22577; id. sez. lav., 30 agosto 2004, n. 17350)
il ricorso incidentale proposto dall’aggiudicataria non può comportare di norma il rigetto del
ricorso di un offerente nell’ipotesi in cui la legittimità dell’offerta di entrambi gli operatori
venga contestata nell’ambito della medesima gara, essendo ciascun concorrente, in definitiva, portatore di analogo e speculare interesse legittimo all’esclusione dell’offerta dell’altro.
Tale statuizione interpretativa, come detto vincolante per gli Stati membri e per questo
giudice ed applicabile anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza
(C.G.U.E. 27 marzo 1980 causa C 61/79) comporta, di fatto, il ritorno al precedente e
superato orientamento invalso presso l’Adunanza Plenaria (11 novembre 2008 n.11) secondo il quale ove due imprese partecipanti alla gara abbiano impugnato l’atto di ammissione dell’altra, il giudice, qualunque sia il ricorso che esamini per primo e ritenga fondato,
deve esaminare anche l’altro, dando rilievo all’interesse strumentale di ciascuna impresa, sia
essa ricorrente principale o incidentale, alla ripetizione della gara.
Nel caso in esame, il Collegio ritiene di poter prescindere dall’approfondimento della
questione circa l’applicazione del principio al caso in esame - in cui le imprese partecipanti
alla gara erano nove, ma solo due hanno proposto ricorso giurisdizionale – in quanto, in ogni
caso, verranno esaminati nel merito tanto il ricorso principale che quello incidentale.
B) Il Collegio ritiene comunque, per motivi di ordine logico, di esaminare prioritariamente il ricorso incidentale proposto da Securpol.
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I. Con la prima censura, la ricorrente incidentale deduce violazione dell’art. 38, comma
1, lett. c) del d.lgs. n. 163/06, argomentando che tale obbligo derivasse dal bando di gara,
pubblicato in data 2 agosto 2012, nonché dal disciplinare di gara (art. 2.1., lett. a), il quale
prevedeva l’obbligo per i concorrenti di dichiarare l’assenza, nei confronti dell’impresa,
delle cause di esclusione dalla partecipazione alle gare di cui all’art. 38, comma 1, lett. b), c),
e m) del d. lgs. n. 163/06.
Esso stabiliva, inoltre, che:
i) nel caso di società per azioni, l’insussistenza delle summenzionate cause di esclusione
dovesse essere verificata nei confronti dei componenti il Consiglio di amministrazione muniti
di poteri di rappresentanza nonché nei confronti del direttore tecnico ove presente (lett. b);
e che
ii) l’insussistenza delle situazioni contemplate dall’art. 38, comma 1, lett. c) del d. lgs.
n. 163/06 dovesse essere verificata anche nei confronti dei soggetti cessati da tale carica
nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando (ovvero, sino a tutto il 30 luglio
2011).
Nello specifico, Securpol evidenziava che la ricorrente, nell’anno precedente alla
pubblicazione del bando, aveva posto in essere una serie di operazioni di riorganizzazione
societaria comprendenti, tra l’altro, l’affitto dell’azienda dalla società Vigili dell’Ordine
s.c.r.l.., dichiarata fallita in data 22/30 dicembre 2011 (v. atto di affitto, a firma del notaio
Regni Marco, n. rep. 213365, sottoscritto dal curatore fallimentare in data 1 agosto 2012,
ovvero il giorno prima della pubblicazione del bando di gara).
In ragione di ciò, secondo quanto stabilito dall’art. 38 del d.lgs. n.163/06 e dalla lex
specialis, ai fini della partecipazione alla gara, Sicuritalia avrebbe dovuto rendere la
dichiarazione attestante l’inesistenza della causa di esclusione non soltanto nei confronti di
coloro che avevano ricoperto un ruolo di vertice (direttore tecnico o amministratore con
poteri di rappresentanza), ma anche con riguardo a tutti i soggetti che, nel corso dell’anno
antecedente alla data di pubblicazione del bando, avevano ricoperto incarichi di gestione
presso la società affittata e, specificatamente, sia con riguardo al curatore fallimentare
dott.F.Federighi, sia con riguardo al precedente amministratore, ovvero il liquidatore
fallimentare dott.V.Baronti (in capo al quale, effettivamente, dagli accertamenti svolti da
IPZS risultava un decreto penale di condanna del 29/12/ 2008 per reato commesso nel 2006,
connesso al mancato pagamento delle ritenute previdenziali e assistenziali dei dipendenti ex
art.2, comma 1 bis, DL 463/83).
La censura non è condivisibile.
Sotto il profilo della necessità che anche l’affittuario sia soggetto agli obblighi di
dichiarazione di cui all’art. 38 del d.lgs. n.163/06, il Collegio condivide l’assunto della
ricorrente incidentale secondo cui con l’affitto di azienda “si realizza, in sostanza, una
situazione assolutamente analoga a quella della cessione di azienda, salvo per il fatto ché, nel
primo caso, gli effetti del contratto hanno natura transitoria e vi è un obbligo di restituzione
del complesso aziendale mentre nel secondo, invece, gli effetti hanno natura permanente”.
Ed infatti, “anche nel contratto di affitto di azienda non soltanto l’affittuario è in condizione
di utilizzare mezzi d’opera e personale facenti capo all’azienda affittata ma, soprattutto, si
mette in condizione di avvantaggiarsi anche dei requisiti di ordine tecnico organizzativo ed
economico finanziario facenti capo a tale azienda, per quanto ciò avvenga per un periodo di
tempo determinato e malgrado la ″reversibilità″ degli effetti una volta giunto a scadenza il
contratto di affitto d’azienda, con l’obbligo di restituzione del complesso aziendale”.
Anche tale fattispecie, quindi, ad avviso del Collegio rientra per “analogia” tra quelle
che, per giurisprudenza oramai pacifica del Consiglio di Stato, soggiacciono all’obbligo di
rendere le dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. c) del Codice, riguardante anche gli
amministratori e direttori tecnici dell’impresa cedente nel caso in cui sia intervenuta
un’operazione di cessione d’azienda in favore del concorrente nell’anno anteriore alla
pubblicazione del bando (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2012 n. 10).
In tal senso, si sono del resto di recente espressi anche il T.A.R. Venezia (sez. I, n.1090
dell’11 settembre 2013) e il Tar Campania, Napoli (sez. I, 3 giugno 2013 n. 2868), ai sensi del
quale “l’esigenza di riferire le dichiarazioni anche agli amministratori dell’impresa dalla
quale la concorrente ha ottenuto la disponibilità dell’azienda è ancora più evidente nel caso
in cui si tratti di affitto e non di cessione dell’azienda, dal momento che l’influenza
dell’impresa locatrice è destinata a restare intatta per tutto lo svolgimento del rapporto e ben
potrebbe costituire un agevole mezzo per aggirare gli obblighi sanciti dal codice degli appalti
(cfr., in termini, Consiglio di Stato, Sezione III, 18 luglio 2011, n. 4354; C.G.A., 5 gennaio
2011, n.8 e 26 ottobre 2010, n. 1314; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 16 marzo 2011, n. 488).
Ciò che rileva, infatti, non è la natura reale o personale del diritto attribuito alla
concorrente sull’azienda di un altro soggetto, ma la circostanza obiettiva che questa intende
utilizzare, ai fini della partecipazione alla gara”.
Dove, tuttavia, il Collegio non concorda con la ricorrente incidentale - oltre che con le
ulteriori conclusioni del Tar Napoli n.2868/13- è che i principi affermati dall’A.P. con
decisioni 10/12 e 21/12 debbano applicarsi anche all’ipotesi dell’affitto d’azienda o del ramo
d’azienda sottoposta a procedura fallimentare -situazione che caratterizza la vicenda in
esame- con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che avevano operato presso
l’affittuaria nell’ultimo anno, ovvero, specificatamente, nei confronti del liquidatore della
società e del curatore fallimentare.
Tale interpretazione, ad avviso della ricorrente incidentale, deriverebbe dall’analisi dei
poteri loro concessi, del tutto equivalenti a quelli degli amministratori nella fase in cui la
società sia in regime di piena operatività, con particolare riguardo alla possibilità di cessione
dell’azienda sociale, di rami di essa ovvero di singoli beni o diritti o blocchi di essi, alla
possibilità di compiere tutti gli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi
compreso l’esercizio provvisorio anche di singoli rami in funzione del maggiore realizzo. Si
ravviserebbe, quindi, la stessa ratio delle fattispecie affrontate e risolte con i principi di
diritto affermati da parte dell’Adunanza Plenaria (dec. n. 10/12 e 21/12 cit.) “al fine di evitare
possibili elusioni della disciplina vigente, si che la cessione o l’affitto d’azienda possano
costituire l’ escamotage per consentire la partecipazione alla gara di operatori che non
sarebbero in condizione di partecipare uti singuli, in quanto privi dei necessari requisiti
morali”.
Le argomentazioni della ricorrente incidentale, sul punto, non possono essere condivise.
Ed invero, per rispetto del principio di tipicità e tassatività delle cause di esclusione, non
può prescindersi dalla sollecitazione, ricordata dall’A.P. 21/12, che i principi di diritto
espressi dalla plenaria n. 10/2012, siano “correttamente applicati”, esaminando ciascuna
situazione “caso per caso”.
La vicenda in esame, in cui l’affitto dell’azienda veniva disposto dal curatore della
società, si inserisce infatti tra quelle disciplinate dall’art.104-bis L.F., intitolata, appunto, “
Affitto dell’azienda o di rami dell’azienda”.
Ai sensi di tale disposizione, introdotta dall’art. 91 del D. Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5,
nell’ambito della procedura fallimentare viene assegnata un’importanza fondamentale all’affitto dell’azienda ai fini della conservazione in funzionamento dell’apparato economicoproduttivo, con l’avviamento, e del mantenimento dei livelli occupazionali, funzionali
all’ottenimento di un maggior realizzo in sede di liquidazione e, quindi, di un miglior
soddisfacimento dei creditori (vd. anche art. 105 L.F.).
Il procedimento in questione si caratterizza in quanto l’affitto dell’azienda deve essere
autorizzato dal Giudice Delegato- il quale, peraltro, ai sensi dell’art.16 L.F. nomina lo stesso
curatore- su proposta di questi e previo parere favorevole, vincolante, del Comitato di
creditori, anche prima della presentazione del programma di liquidazione.
La stessa scelta dell’affittuario peraltro, ai sensi del successivo art. 107, non solo è
affidata a procedure competitive, ma è sottoposta ad un complesso iter (proposta del
curatore, parere del Comitato dei creditori, autorizzazione del G.D.; bando di vendita; vaglio
delle offerte; in caso di aziende socialmente rilevanti, informativa alle organizzazioni
sindacali, consultazione ed eventuale accordo sindacale sul mantenimento anche parziale
della forza lavoro; informativa al G.D. e al Comitato dei creditori, con deposito in
cancelleria della documentazione, stipula del contratto, effettivo subentro nella gestione
dell’affittuario) e al rispetto di particolari criteri (venendo ex lege data prevalenza non
all’entità del canone, bensì alle garanzie circa la prosecuzione dell’attività e alla conservazione dei livelli occupazionali, nonché all’eventuale proposta, irrevocabile e garantita, da
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parte dell’affittuario di acquisto del complesso aziendale a condizioni predeterminate, come
verificatosi nel caso in esame).
Tale complesso meccanismo, ad avviso del Collegio, rende già di per sé evidente come
lo strumento descritto mal si adatti ad essere utilizzato in una fattispecie elusiva, posta in
essere al solo fine di consentire alla società posta in liquidazione o fallita di partecipare ad
una gara alla quale la stessa non potrebbe comunque partecipare.
Ciò non perché il curatore – che, lo si ricorda, viene nominato dal Giudice Delegato e,
come disposto dall’art. 31 comma 1 della legge fallimentare (legge n. 267/1942 e successive
modificazioni), è colui che “ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte
le operazioni della procedura fallimentare sotto la vigilanza del giudice delegato e del
comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite”– o il liquidatore
risultino, per ipotesi, privi dei requisiti morali di cui all’art.38, ma proprio in virtù della
preclusione direttamente derivante dall’art.38, comma 1, lettera a), secondo cui – a prescindere dal possesso dei requisiti morali- sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di
affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, e non possono
stipulare i relativi contratti i soggetti “ che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione
coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all’articolo 186-bis del regio decreto 16
marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una
di tali situazioni”. Poiché, in tali ipotesi, quindi, sarebbe del tutto irrilevante anche l’eventuale dichiarazione circa il possesso dei requisiti morali richiesti dalla disposizione, altrettanto irrilevante, ad avviso del Collegio, appare la mancata dichiarazione di cui all’art.38,
comma 1,lett.c).
Del resto, la gestione posta in essere dal liquidatore o dal curatore durante la procedura
fallimentare è dichiaratamente rivolta all’ottenimento di un maggior realizzo in sede di
liquidazione e, quindi, un miglior soddisfacimento dei creditori.
Per quanto, in particolare, riguarda invece la fase della liquidazione, essa consiste in
quel complesso di operazioni dirette a disinvestire le attività, estinguere le passività,
acquisire il residuo patrimoniale da liquidare e ripartire tra i soci. In altre parole durante la
fase della liquidazione l’azienda non è più configurabile come un complesso organizzato di
beni funzionanti, bensì un insieme di beni da cedere anche in blocco, atteso che durante la
fase finale della vita di un’impresa lo scopo di produrre profitto è sostituito con il fine della
divisione del patrimonio sociale fra i soci.
In entrambi i casi, ad avviso del Collegio, si ravvisa comunque quella “completa cesura”
tra la vecchia e la nuova gestione “tale da escludere la rilevanza della condotta dei
precedenti amministratori e direttori tecnici operanti nell’ultimo triennio e, ora, nell’ultimo
anno, presso il complesso aziendale ceduto”, al fine dell’applicazione dei principi di cui
all’A.P. n.10/12.
Correttamente, pertanto, nel caso in esame la stazione appaltante non ha disposto
l’estromissione della ricorrente principale Sicuritalia dalla gara, analogamente a quanto
avvenuto- come meglio si vedrà appresso- nei confronti della stessa ricorrente incidentale
Securpol, risultata aggiudicataria, nei confronti della quale l’IPZS ha ritenuto legittimamente di esercitare il cd. potere di soccorso, tenuto conto della non univocità delle norme
circa l’onere del cessionario e del fatto che il bando non conteneva al riguardo una espressa
comminatoria di esclusione (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 7 giugno
2012, n. 21) valutando il precedente penale riportato dal cessionario in concreto non
incidente sui requisiti di moralità professionale richiesti dall’art.38 Codice Appalti.
In ogni caso, la stazione appaltante ha evidenziato- come meglio si vedrà appresso- di
avere proceduto ad attivare il cd.”dovere di soccorso” anche con riferimento tanto alla
posizione del liquidatore che del curatore della Sicuritalia.
Ed invero, con la seconda censura la ricorrente incidentale lamenta che Sicuritalia
avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura, in ragione della violazione delle disposizioni,
oltre che dell’art.38, anche dell’art. 51 del d.lgs. n. 163/06.
Sebbene, infatti, l’art. 51 del Codice dei contratti non imponga l’obbligo dell’immediata
produzione documentale e/o della comunicazione delle intervenute modifiche soggettive
dell’impresa, la giurisprudenza è pacifica nell’affermare che la ratio del sistema configuri
l’obbligo per la stazione appaltante di verificare il possesso dei requisiti, ai fini della corretta
ammissione e aggiudicazione, avendo riguardo al momento in cui si è effettivamente
verificata la modificazione soggettiva e applicando le norme relative alla qualificazione del
concorrente e, come è noto, la mancata dichiarazione relativa all’assenza di requisiti di cui
all’art. 38 del Codice, relativamente agli organi di vertice della società. oggetto di acquisizione, deve comportare l’automatica esclusione dalla gara (Cons. Stato, Sez. III, 5 aprile
2013, n. 1894).
Orbene, poiché anche nelle more dello svolgimento delle operazioni di gara, Sicuritalia
veniva interessata da una serie di vicende di riorganizzazione societaria (avendo proceduto:
a) all’acquisizione in affitto dell’azienda Europol s.r.l. (in data 24 ottobre 2012); b) all’acquisto della società Vigili dell’Ordine Città di Pistoia s.c.r.l. , di cui aveva già affittato il ramo
di azienda in data 31 ottobre 2012); (c) all’acquisto dell’azienda Sicuritalia Siatel — Impianti
tecnologici di sicurezza s.r.l. in data 17 dicembre 2012), Sicuritalia avrebbe dovuto produrre
la dichiarazione circa l’inesistenza delle situazioni ostative di cui all’art. 38, comma 1, lett. c)
del d.lgs. n. 163/06 con riferimento all’amministratore unico dell’impresa Europol s.r.l. (Sig.
Giovannelli Giovanni Battista); al liquidatore dell’impresa Vigili dell’Ordine s.c.r.l. sig.
Valerio Baronti; nonché al Presidente con poteri di gestione dell’impresa Sicuritalia Siatel
— Impianti tecnologici di sicurezza s.r.l. Sig. Caimi Silvano.
Mancando tali dichiarazioni, l’amministrazione avrebbe dovuto disporre l’esclusione di
Sicuritalia. Interpretando diversamente, si consentirebbe infatti all’impresa che abbia acquisito un’azienda, nelle more della procedura di gara, di sottrarsi all’onere di presentare la
dichiarazione ex art. 38, comma 1, lett. c) del Codice relativamente agli amministratori
dell’azienda acquisita.
Inoltre, la ricorrente incidentale evidenzia che le suddette operazioni di acquisizione
non sono state comunicate neppure in sede di verifiche in ordine all’effettivo possesso dei
requisiti dichiarati ai fini della partecipazione alle gara, ai sensi dell’art. 48, comma 2, del
Codice, con conseguente necessità di imporre l’esclusione dalla gara della stessa anche sotto
tale profilo.
In proposito, l’amministrazione resistente ha evidenziato che – posto che la clausola del
bando non menzionava l’onere di rendere la dichiarazione con riguardo agli amministratori
delle società partecipanti a procedimenti di cessione- comunque, nel caso de quo, la Stazione
Appaltante non poteva rilevare la presunta causa di esclusione afferente all’impresa Sicuritalia, seconda in graduatoria, in quanto la verifica del possesso dei prescritti requisiti di cui
all’art. 38 è prevista solo in capo all’aggiudicatario ai fini della stipula del contratto.
In ogni caso, in ottemperanza ai principi espressi dalla Adunanza Plenaria n. 21/2012,
IPZS riteneva di esercitare il potere di soccorso istruttorio, avviando e concludendo le
verifiche di cui all’art. 38 comma 1 lett. c) nei confronti dei soggetti di seguito elencati:
Giovanelli Giovanni Battista amministratore unico e socio della Europol Srl; Campeglia
Antonio socio della medesima società, con riferimento all’acquisizione in affitto del ramo di
azienda da parte della Sicuritalia; Baronti Valerio, liquidatore della società Vigili dell’Ordine Città di Pistoia; Federighi Francesco curatore fallimentare della medesima società, con
riferimento all’acquisto dell’intera azienda da parte della Sicuritalia; Aufiero Mauro presidente C.d.A della Euro S.A.I. con riferimento alla fusione per incorporazione da parte di
Sicuritalia, tutti risultati tutti incensurati con eccezione, come già rappresentato, del sig.
Baronti Valerio, nei cui confronti risultava emesso un decreto penale del 29/12/ 2008 per
reati commessi nell’anno 2006/2007 per violazione dell’art. 2 comma 1 bis del D.L. n.463/83.
Anche in tale caso IPZS – analogamente, come si vedrà appresso, a quanto ritenuto con
riguardo all’amministratore della cessionaria di Securpol Sezione sicurezza Omar Menghini
– atteso che per costante giurisprudenza la valutazione della gravità per reati che incidano
sulla moralità professionale vada effettuata non in astratto, con riguardo al mero titolo del
reato, ma tenendo conto della peculiarità del caso concreto, riteneva irragionevole considerato l’epoca ed il tempo trascorso dalla condanna nonché l’assenza di recidive esprimere un giudizio di “gravità” tale da comportare l’esclusione dalla procedura di gara
della Sicuritalia.
Pertanto, tanto la prima che la seconda censura del ricorso incidentale devono essere
respinte perchè infondate.
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Con la terza censura, Securpol evidenzia che Securitalia avrebbe dovuto essere esclusa
dalla gara anche per violazione dell’art. 48, comma 2, del Codice, che impone, tanto al primo
quanto al secondo graduato, la dimostrazione dei requisiti stabiliti nella lex specialis ai fini
della partecipazione alla gara.
Infatti, benché la lex specialis non prevedesse alcun termine, gran parte della giurisprudenza ha ritenuto che tale disposizione comunque, a carico dell’aggiudicatario e del
concorrente un obbligo di adempimento identico a quello imposto ai sorteggiati, per
contenuto e termine, nonché di medesima natura perentoria (Consiglio di Stato, sez. VI, 8
marzo 2012, n. 1321, C.G.A., sez. giurisdizionale, 15 aprile 2009 n. 233; TAR Sicilia, Sez. III,
6 ottobre 2009, n. 1608), essendo tale natura insita nella automaticità della comminatoria
prevista per la sua inosservanza.
In ogni caso, nella stessa richiesta dell’amministrazione del 24 gennaio 2013, veniva
stabilito che alla tardiva o mancata comprova di quanto richiesto entro i successivi 10 giorni
avrebbe fatto automaticamente seguito l’esclusione dalla gara.
Ciò posto, la stazione appaltante Sicuritalia con nota del 24 gennaio 2013, veniva
chiamata, in qualità di seconda graduata, a fornire la documentazione a comprova dei
requisiti di capacità economico finanziaria e tecnico organizzativa da tale norma richiesti,
entro e non oltre il 4 febbraio 2013, con l’ulteriore precisazione che ″nel caso in cui la
documentazione richiesta non sia fornita nel termine sopra indicato ovvero delta documentazione non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione, si procederà all’esclusione dalla procedura di gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria
ed alla segnalazione del fatto all’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici di Lavori, servizi
e forniture″.
In esito a tale richiesta, Sicuritalia inviava, entro il termine previsto, una serie di
documenti, ad avviso della ricorrente incidentale “evidentemente ritenuti non esaustivi”, se
con nota del 12 febbraio 2013, la stazione appaltante — non rispettando l’autovincolo che
essa stessa si era posta - riteneva di dover richiedere al concorrente alcune integrazioni
(nello specifico, relativamente alla verifica del numero medio dei dipendenti) da rendersi
entro il 15 febbraio 2013.
In data 14 febbraio 2013, la ricorrente inviava l’integrazione richiesta e in data 25
febbraio 2013 trasmetteva ulteriore documentazione.
Pertanto, la stazione appaltante avrebbe dovuto disporne l’esclusione, entro la prima
data del 4 febbraio 2013, secondo il principio che la stessa è obbligata ad uniformarsi alle
regole che essa stessa si è data- in particolare, con riferimento alla perentorietà del termineviceversa ponendo in essere una condotta lesiva della par candido tra i concorrenti e delle
esigenze di interesse generale legate ad una tempestiva conclusione della procedura (ex
plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI, 8 marzo 2012, n. 1321, che conferma TAR Puglia, Bari,
sez. I, 14 agosto 2008, n. 1971).
Anche tale censura non può essere condivisa.
Difatti – preso atto delle repliche fornite, in punto di fatto, nella memoria difensiva di
Sicuritalia volta a dimostrare, comunque, che i documenti depositati potevano dimostrarsi
completi già “ab origine”- in punto di diritto deve ritenersi che mentre il termine di dieci
giorni previsto dall’art. 48, comma 1, del D. Lgs.163/2006 è perentorio ove riferito al caso di
verifica a campione in corso di gara sulla sussistenza dei requisiti dichiarati (ex multis: Cons.
Stato Sez. VI, 28-09-2012, n. 5138; T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 05-02-2013, n. 44), al
contrario - nel diverso caso in cui l’Amministrazione proceda a verifica ex post nei confronti
dell’aggiudicatario provvisorio e nel concorrente che segue in graduatoria - il predetto
termine, salva diversa determinazione della stazione appaltante contenuta nel bando, non
soltanto è da considerato ordinatorio (in tal senso: T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 23-06-2011,
n. 1134; T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. I, 21-04-2011, n. 422), ma in caso di violazione implica
non necessariamente l’esclusione, bensì l’eventuale possibilità dell’applicazione delle sanzioni ivi descritte (Cons. Stato Sez. VI, 16-07-2012, n. 4160), avendo il Legislatore inteso
lasciare alla discrezionalità dell’Amministrazione la valutazione delle conseguenze della
mancata osservanza del termine, in relazione anche alla concreta entità del ritardo e alla
misura della sua incidenza sull’andamento della selezione.
Nel caso in esame, peraltro, risulta che IPZS ha comunque informato la propria
condotta al rispetto del principio di par condicio concedendo ad entrambi i concorrenti la
possibilità di integrare la documentazione per la comprova dei requisiti ex art. 48 del citato
decreto (v.note prot. nn. 9950 e 9954 inviate in data 12 febbraio 2013 sia al RTI Securpol
Group/Securitas Metronotte che a Sicuritalia S.p.A.).
In conclusione, il ricorso incidentale deve essere respinto.
C) Venendo al merito del ricorso e dei motivi aggiunti, anch’essi devono essere respinti
perché infondati.
Si ritiene di dover esaminare, prioritariamente, il II motivo del ricorso principale,
perché specificatamente oggetto dell’ordinanza cautelare della IV sezione del Consiglio di
Stato, n.2679, di riforma dell’ordinanza cautelare n.2274/13 di questa Sezione.
Nella pronunzia cautelare, si afferma infatti che “l’ordinanza, fermo restando il necessario approfondimento di tutti i motivi del ricorso principale, merita riforma nella parte
concernente l’obbligo dell’offerente di rendere dichiarazione in ordine ai requisiti morali
anche dell’amministratore del cedente, essendo stata, la questione, oggetto di pronunciamento dell’Adunanza Plenaria n. 10/2012 (quanto all’estensione in via esegetica dell’obbligo
nei confronti del cedente dell’azienda o del ramo d’azienda) e n. 21/2012 (nei confronti delle
società fuse o incorporate) che hanno fatto salvo il potere di soccorso dell’amministrazione
solo ove l’omessa dichiarazione non valga a celare eventuali pregiudizi penali dell’amministratore della cedente.
Considerato che, nel caso di specie, l’amministratore della società Sicurpol Sezione
Sicurezza, ceduta alla Securpol Group (poi risultata aggiudicataria), ha pregiudizi penali
(decreto penale per reati commessi nel 2005 aventi ad oggetto violazione al TULPS 773/1931
ed al RDL 1952/1935).
Che le difese della Securpol Group e dell’amministrazione, tendenti a rimarcare la non
gravità dell’unico precedente penale, sebbene meritevoli di approfondimento in quanto
interessanti un punto non espressamente esaminato dalla Plenaria, non sono tuttavia
sufficienti ad eliminare il fumus della censura (la Plenaria 10/2012 sembra, infatti, aver
implicitamente ritenuto che la sola presenza di un pregiudizio penale, qualunque sia la sua
gravità, in uno con l’omessa dichiarazione, integri fattispecie di per sé non meritevole sul
piano dell’affidamento e conseguentemente non rilevante sul versante del potere di soccorso)”.
Ciò premesso, pur ritenendo doveroso approfondire gli spunti di cui alla richiamata
decisione della IV sezione del C.d.S, il Collegio ritiene di aderire ad una differente
interpretazione dei principi espressi nelle richiamate decisioni dell’ Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n.10/12 e n.21/2012.
Tale differente interpretazione non riguarda - evidentemente- l’incontrastata estensione in via esegetica dell’obbligo nei confronti del cedente dell’azienda o del ramo
d’azienda e nei confronti delle società fuse o incorporate, quanto ulteriori aspetti affrontati
incidentalmente dall’Adunanza Plenaria, che tuttavia rivestono un ruolo decisivo nel caso in
esame.
Si evidenzia, infatti, in primo luogo, che -come già ribadito- anche secondo l’A.P. i
principi da essa espressi devono comunque “essere affrontati caso per caso”.
Nel caso in esame, ad avviso del Collegio, non può non darsi rilievo alla particolarità
che il bando sia stato pubblicato dall’IPZS in data 2 agosto 2012, ovvero solo dopo un mese
e mezzo circa dal deposito della decisione dell’A.P. n.21/12.
Orbene, è evidente, per il Collegio, quanto precisato dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, 7 giugno 2012 n. 21) circa la necessità che l’onere per l’amministrazione
di prevedere nel Bando, a pena di esclusione, l’obbligo di rendere la dichiarazione con
riferimento alla società ceduta o oggetto di affitto operi solo per le procedure antecedenti
alla data del 7 giugno 2012 (data in cui la stessa Adunanza Plenaria n. 21/12 ha chiarito i
profili ″intertemporali″ in questione) mentre, per i casi verificatisi in precedenza, “In una
situazione siffatta, di oscillazione della giurisprudenza e di clausola del bando che non
prevede espressamente l’onere di rendere la dichiarazione relativamente agli amministratori
delle società partecipanti alla fusione o incorporate, le stazioni appaltanti sono tenute ad
esercitare un potere di soccorso nei confronti dei concorrenti, ammettendoli a fornire la
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dichiarazione mancante, sicché i concorrenti potranno essere esclusi solo se difetti il
requisito sostanziale (nel senso che vi sia la prova che gli amministratori per i quali è stata
omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali), ovvero se essi non rendano, nel termine
indicato dalla stazione appaltante, la dichiarazione mancante”.
Quindi, è ben chiaro che per l’A.P., a decorrere dalla data indicata deve escludersi un
“dovere di soccorso da parte dell’amministrazione.
Ciò tuttavia non significa, ad avviso del Collegio, che con tale decisione l’A.P. abbia
invece escluso in radice non il dovere, ma comunque la “possibilità” per l’amministrazione,
di attivare il soccorso in casi - come quello in esame- ciò assuma connotati particolari, ovvero
quando sia richiesto dal rispetto, da parte dell’amministrazione, dei principi di correttezza,
buona amministrazione e tutela dell’affidamento dei concorrenti e, naturalmente, ciò non
pregiudichi la par condicio dei concorrenti.
Nel caso specifico, premesso che si tratta di un bando pubblicato in data molto
ravvicinata alla pubblicazione della decisione n.21/12 (che ha posto fine ad un acceso
dibattito giurisprudenziale sulla necessità, o meno, che gli amministratori delle imprese
cedute possano considerarsi alla stessa stregua di un soggetto cessato dalla carica), il RTI
ricorrente si è attenuto, nel rendere le dichiarazioni di cui all’art. 38 del digs. 12 aprile 2006,n.
163, alle indicazioni contenute nel modulo predisposto dalla stazione appaltante (che,
secondo quanto previsto dall’art. 2.1. del disciplinare, doveva essere obbligatoriamente
utilizzato dai concorrenti), che non conteneva alcun riferimento alla necessità di rendere le
dichiarazioni anche con riferimento agli amministratori e direttori tecnici delle imprese
″cedenti″.
Ad avviso del Collegio, appare preferibile una diversa interpretazione dei principi
affermati dell’A.P. n.21/12.
Ed invero, ragionando in senso in senso sostanzialistico, ove l’amministrazione legittimamente attivi il dovere/potere di soccorso di fatto “rimettendo in termini” l’imprenditore
ai fini della presentazione della dichiarazione, non c’è ragione per diversificare tale situazione da quella in cui la dichiarazione medesima sia stata presentata ab origine.
Anche in tali casi, pertanto, a fronte delle dichiarazioni acquisite, il Collegio ritiene che
la stessa A.P. non sia giunta ad escludere in radice, anche dopo il 7 giugno 2012, il potere
della stazione appaltante di valutare l’incidenza in concreto dei precedenti penali eventualmente riscontrati, ovvero se essi possano assurgere al livello di “circostanze gravemente
incidenti sull’affidabilità morale e professionale”, tali da determinare l’esclusione dalla gara
(in tal senso: Cons. Stato Sez. V, 21-10-2013, n. 5122; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I,
14-06-2013, n. 1561).
E’ vero, infatti, che - per costante giurisprudenza - nelle procedure di evidenza
pubblica, qualora l’obbligo di presentare la dichiarazione di cui all’art.38 sia evidente in base
alla legge, alla lex specialis o all’orientamento giurisprudenziale radicato e consolidato, la
completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire in conformità al
principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità e, pertanto, una
dichiarazione inaffidabile (perché falsa o incompleta) deve considerarsi di per sé stessa lesiva
degli interessi tutelati dalla norma determinando l’esclusione del concorrente che non abbia
presentato tale dichiarazione persino nei casi in cui l’impresa meriti ″sostanzialmente″ di
partecipare alla gara (cfr. Cons. Stato Sez. III, 02-07-2013, n. 3550; T.A.R. Lazio Roma Sez.
III ter, 18-07-2013, n. 7303).
Tuttavia, ad avviso del Collegio, alle medesime considerazioni non può giungersi nei
casi – presi in esame dalla stessa A.P.- in cui, a fronte della incertezza giurisprudenziale circa
l’obbligo di presentare la dichiarazione e dell’assenza di una previsione ad hoc nella lex
specialis, l’amministrazione abbia comunque ritenuto di attivare il dovere/potere di soccorso.
Ed invero, la stessa A.P. n.21/12, nel richiamare i principi espressi dall’adunanza n.
10/2012, espressamente ricorda che la ratio della causa di esclusione dell’assenza del
requisito di moralità di cui all’art.38 Codice Appalti è quella di ostacolare l’elusione della
norma, in relazione a vicende in atto o prevedibili, in cui sussista anche solo la possibilità di
inquinamento dei pubblici appalti di lavori, servizi e forniture derivante dalla partecipazione
alle relative procedure di affidamento di soggetti di cui sia accertata la mancanza di rigore
comportamentale “con riguardo a circostanze gravemente incidenti sull’affidabilità morale e
professionale”.
Nel caso in esame - in cui l’amministratore della società Sicurpol Sezione Sicurezza,
ceduta alla Securpol Group (poi risultata aggiudicataria), risultava aver riportato un decreto
penale per reati commessi nel 2005 aventi ad oggetto violazione al TULPS 773/1931 ed al
RDL 1952/1935- tale incidenza veniva esclusa dall’IPZS in relazione alla natura del reato,
alla risalenza del fatto, all’assenza di recidiva e all’applicazione delle attenuanti generiche.
Del resto, il rispetto della par condicio, nel caso in esame, risulta dimostrato dalla
mancata esclusione della stessa ricorrente principale, incorsa nel medesimo errore –almeno,
secondo l’orientamento giurisprudenziale del Tar Napoli, non condiviso dal Collegio- per
non aver prestato analoga dichiarazione nei confronti della affittuaria fallita, successivamente ceduta, Vigili dell’Ordine s.c.r.l, senza che ciò ne abbia determinato l’esclusione dalla
gara.
In conclusione, la censura deve essere respinta.
Quanto ai motivi I, III e IV del ricorso principale, se ne ribadisce l’infondatezza, come
già ritenuto dal Collegio con ordinanza cautelare n.2274/2013.
In ogni caso, aderendo alle indicazioni rese nella richiamata ordinanza n.2679/13 della
IV sezione del Consiglio di Stato, si procede ad approfondire le argomentazioni ivi
sinteticamente esposte.
Con il primo motivo del ricorso principale, Securitalia sostiene che il costituendo RTI
Securpol Group Srl/Securitas Metronotte Srl non avrebbe comprovato il possesso del
requisito di capacità tecnica richiesto dalla lex specialis di gara - ovvero di avere espletato a
regola d’arte, presso una realtà pubblica o privata, un servizio analogo unitario per un
importo complessivo non inferiore a E 6.000.000,00- essendosi avvalso di sei distinti contratti
(in tal modo facendo venir meno il concetto di unitarietà del servizio).
Infatti, il bando di gara prevedeva che ai fini della partecipazione alla gara il possesso
tra gli altri, di un’adeguata capacità tecnica, da dimostrare attraverso l’espletamento, a
regola d’arte, nel triennio antecedente la pubblicazione del bando di gara, presso una realtà
pubblica o privata, di ″un servizio analogo unitario per un importo complessivo non inferiore
a euro 6.000.000 (seimilioni / 00) IVA esclusa, per la partecipazione al lotto n. 1″ .
Nel caso di partecipazione alla gara di raggruppamenti temporanei d’imprese, il
disciplinare ha specificato che tale requisito sarebbe dovuto essere dimostrato da parte
dell’impresa mandataria.
Ai fini della comprova, in sede di verifica ex art. 48, comma 2 del d.lgs 12 aprile 2006,
n. 163, Securpol ha dichiarato di essere in possesso del requisito, producendo la certificazione rilasciata dalla società di intermediazione BASE S.r.l. attestante che ″SECURPOL
GROUP S.r.l.. già Securpol Vigilantes S.r.l, Securpol Mat Vigilantes S.r.l., Mat SecuriDI S
p. a. Sicurpol S.r.l. Securpol Val di Cecina S.r.l., Securpol S.r.l. in qualità di mero esecutore
di servizi, sulla base di un accordo quadro che prevede l’espletamento di servizi a favore
dell’Istituto Bancario Monte dei Paschi di Siena (...) ha effettuato regolarmente servizi di
vigilanza fissa e ispettiva″ per un importo pari, nel triennio di riferimento ad Euro
7.089.919,99.
Ad avviso della ricorrente, la certificazione rilasciata dalla BASE S.r.l. non sarebbe
idonea a comprovare il possesso del requisito autodichiarato dall’impresa mandataria ″in
quanto le prestazioni da cui è scaturito il fatturato, pur discendendo da un solo accordo
quadro, sono state a affidate a sei differenti imprese, che le hanno separatamente svolte e
separatamente fatturate″.
Tale schema operativo sarebbe pertanto ″incompatibile″ con la stessa nozione di
″servizio unitario″ e ciò in quanto ″i servizi resi sono diversi, perché diversi sono i contratti
che li assegnano e diversi sono i loro esecutori″.
Nella richiamata ordinanza n.2274/13, con riferimento a tale censura, il Collegio ha già
osservato che:
“con riferimento alla censura di cui al punto 1) e alla asserita carenza del prescritto
requisito tecnico/economico richiesto dalla lex specialis, appare ininfluente che le prestazioni
da cui è scaturito il fatturato complessivo dichiarato dall’aggiudicataria (nella specie, E
7.318.069,45 tra il 1° gennaio 2009 ed il 31 dicembre 2012), siano state eseguite da differenti
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imprese, tutte facenti capo alla Securpol (Securpol Vigilantes Srl, Securpol Mat Vigilantes
Srl, Mat Security SpA, Sicurpol Srl, Securpol Val Cecina, in quanto esse appaiono riferibili
al medesimo soggetto (facente capo alla società Menghini and Sons. S.r.l.), per effetto di
vicende societarie cristallizzatesi in data ben anteriore al bando di cui trattasi;
invero, mentre il requisito di capacità economica deve essere posseduto dalle mandanti
(in misura non inferiore al 20% ciascuna) e dalla mandataria (in misura non inferiore al
60%), il requisito di capacità tecnica è riconducibile unitariamente alla mandataria Securpol,
trattandosi di prestazioni afferenti a un medesimo accordo quadro per l’erogazione di servizi
di vigilanza al Monte Paschi di Siena ed essendo state dettagliatamente esposte le motivazioni di carattere “storico” che avevano condotto gli operatori economici operanti nel
settore della vigilanza, fino al pieno recepimento della sentenza della Corte di Giustizia delle
Comunità Europee 13 dicembre 2007, a costituire singole società operanti in ambito
provinciale, con legali rappresentanti in possesso del relativo titolo abilitativo;
che, peraltro, deve ritenersi consentito all’impresa che abbia acquisito un ramo d’azienda di avvalersi, ai fini della qualificazione ad una gara di appalto, dei requisiti posseduti
dall’impresa cedente, atteso che l’istituto dell’avvalimento ha portata generale e l’art. 51 del
D.Lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti), nel disciplinare le vicende soggettive del candidato, consente espressamente il subentro dei soggetti risultanti da operazioni di cessione,
affitto di azienda, ovvero da trasformazione, fusione e scissione di società durante la gara,
previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale (Cons. Stato
Sez. V, 17-11-2012, n. 5803; Cons. Giust. Amm. Sic., 26-03-2012, n. 322”)
Al riguardo, occorre precisare che nel caso di specie la dedotta impossibilità di
frazionamento in relazione alla prevista partecipazione di imprese in RTI è da riferirsi al
fatto che il requisito di capacità tecnica, in quanto servizio di punta, deve essere riconducibile esclusivamente in capo alla mandataria (a differenza di quanto invece previsto in
relazione al requisito di capacità economica che, in caso di RTI costituendo, deve essere
posseduto cumulativamente dalle mandataria e dalla/e mandanti fino alla copertura totale
del requisito, in misura non inferiore al 60% dall’impresa futura mandataria e non inferiore
al 20% da ciascuna delle future mandanti), in quanto altrimenti “verrebbe meno proprio la
stessa causa giustificatrice della richiesta di un contratto di punta, inteso come esperienza di
particolare pregnanza in servizio analogo, e verrebbe altresì a concretizzarsi una disparità di
trattamento tra imprese individuali, cui viene addossato l’onere di avere svolto tali servizi,
e gli RTI che invece potrebbero ripartire tale onere tra i vari partecipanti”.
Secificatamente, nel caso in esame, il possesso del requisito di capacità tecnica è
riconducibile in capo alla mandataria Securpol Group, per effetto della già descritta
acquisizione di rami d’azienda, e del conseguente passaggio all’avente causa dell’intero
complesso dei rapporti attivi e passivi nei quali l’azienda stessa o il suo ramo si sostanzia
(Consiglio Stato, sez. V, 10 settembre 2010, n. 6550).
In particolare, come evidenziato nella memoria della controinteressata, Securpol
Group S.r.l. è un operatore economico iscrizione nel registro delle imprese soltanto dal 5
marzo 2009. Nell’anno 2010 l’impresa stipulava con le società Securpol Vigilantes S.r.1,
Securpol Val di Cecina, Securpol Mat Vigilantes, Sicurpol S.r.l., Mat Vigilantes, Mat
Security S.p.a., Securpol S.r.l. contratti di affitto/cessione di azienda acquisendo, attraverso
tale operazione societaria, la capacità tecnica maturata dalle predette imprese nel settore
della vigilanza (cfr. ex plurimis, oltre alla giurisprudenza citata nella memoria di parte, TAR
Lazio, sez. I, 10 marzo 2011, n. 2187; T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 23-09-2009, n. 4722;
T.A.R. Sicilia Catania Sez. IV Sent., 12-07-2008, n. 1404).
Sulla base del citato accordo - quadro stipulato tra la suddetta società e la BA.SE. S.r.l.,
veniva affidato a Securpol il servizio costituito dall’esercizio di servizi di vigilanza per le
diverse sedi del Monte dei Paschi di Siena. Per l’esercizio di tale servizio, la BASE S.r.l.
riteneva evidentemente di appoggiarsi alle società indicate, non già in quanto soggetti
esecutori diversi, ma in quanto componenti di un medesimo gruppo economico.
Circa il carattere “unitario” di tale servizio, benché svolto sulla base di separati
contratti, SECURPOL ha evidenziato come ciò fosse richiesto, all’epoca, dall’art. 252 del
R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (c.d. regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza) – mutato solo mutato per effetto della sentenza della Corte di Giustizia
delle Comunità Europee 13 dicembre 2007 (in causa C- 465/05), la quale ha abolito il ″limite
provinciale″ quale caratteristica indefettibile della licenza prefettizia, ritenendola incompatibile con il principio del libero mercato vigente tra i paesi dell’Unione europea recepita, sul
piano nazionale, con il d.P.R. 4 agosto 2008, n. 153 - il quale prescriveva il possesso di un
″decreto di approvazione del Prefetto per ogni Provincia in cui l’attività di vigilanza doveva
essere svolta″, e quindi, in sostanza, che gli istituti di vigilanza operanti in province diverse
dovevano essere titolari di singole licenze per ogni provincia in cui fossero chiamati ad
operare. Ciò spiega la ragione per la quale, anche nel caso di specie, un operatore economico
sostanzialmente unitario che faceva capo alla società Menghini and Sons- abbia operato sul
territorio nazionale sulla base’ di società locali, con legali rappresentanti titolari di licenze
prefettizie per le province di riferimento (come dimostrato dal fatto che tutti gli operatori
economici indicati nella certificazione rilasciata dalla BA.SE S.r.l. rientrano nel bilancio
consolidato della predetta società, in quanto, come emerge dalla nota integrativa al bilancio
erano alla stessa legate da rapporti di controllo e/o collegamento. S.r.l. nonchè dalla
attestazione di esecuzione servizi rilasciata dal Monte dei Paschi di Siena doc.n.10 allegato
memoria Securpol).
Come evidenziato dalla controinteressata, tra l’altro, “l’esistenza, tra imprese concorrenti ad una medesima gara d’appalto, di rapporti di controllo e/o di collegamento ex art.
2359 cod. civ. (o anche solo di collegamento sostanziale), integra una causa potenzialmente
ostativa rispetto alla concomitante partecipazione alla gara delle società interessate. E ciò
proprio in ragione del fatto che l’esistenza di tali rapporti costituisce indice dell’assenza di
una reale alterità soggettiva, tale da poter comportare un’alterazione del principio di libera
concorrenza a causa della possibile provenienza delle offerte da un unico centro decisionale
(ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, sentenza 28 gennaio 2011, n. 673”.
Non si ravvisa, dunque, alcuna violazione della lex specialis di gara con riferimento a
quanto previsto al Titolo III punto 2.1 del disciplinare di gara.
Con il terzo motivo di ricorso principale e con le argomentazioni dedotte con i motivi
aggiunti, parte ricorrente lamenta che la stazione appaltante avrebbe errato nel considerare
congrua l’offerta economica del RTI aggiudicatario, in quanto la commissione non avrebbe
tenuto in considerazione il fatto che l’impresa sarebbe stata obbligata ad applicare l’istituto
del c.d. cambio appalto, ossia ad assumere ″con passaggio diretto ed immediato il personale
impiegato dal precedente appaltatore (ossia la stessa Sicuritalia) per il servizio oggetto di
affidamento″.
Tale circostanza renderebbe non congrua la proposta economica del RTI Securpol
Group, in quanto non sarebbero stati considerati ″i maggiori costi derivanti dalla necessità
di retribuire n. 8 guardie particolari giurate, inquadrate al IV livello super″ né quelli
derivanti dalla necessità di ″tenere conto degli scatti di anzianità già maturati da 53 guardie
particolari giurate″, tutte impiegate dalla stessa ricorrente per l’esecuzione del contratto di
appalto ″cessato″.
Con i motivi aggiunti, in particolare, la ricorrente ha specificato, quanto alla violazione
dell’obbligo concernente il cd, cambio-appalto:
che l’aggiudicataria si è resa disponibile ad assumere soltanto 43 dipendenti di Sicuritalia (e solo a titolo conciliativo 55 unità) attualmente impiegati nel servizio, rispetto alle 91
unità rilevate dalla Direzione Territoriale del Lavoro di Roma e comunque rispetto alle 73
gpg da impiegare sulla commessa; laddove, in corretta applicazione delle disposizioni del
CCNL di riferimento e della lex specialis, Securpol avrebbe invece dovuto, prima di
qualsivoglia nuova assunzione, garantire la conservazione del posto di lavoro al personale
del gestore uscente. Ciò dimostrerebbe che l’aggiudicazione è illegittima, perché disposta in
favore di un soggetto che ha dichiarato di violare le condizioni economiche del CCNL del
settore (cfr. nota in data 3 luglio 2013 e verbale dell’incontro del 5 luglio 2013 tenutosi avanti
la Direzione Territoriale del lavoro di Roma in relazione al cd. cambio appalto relativo alla
commessa in oggetto).
Quanto alla mancata giustificazione (e verifica) dei maggiori costi del personale di
Sicuritalia:
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- che né Securpol, in sede di giustificazioni, né la Stazione appaltante,in sede di verifica
di anomalia, hanno considerato i maggiori costi che l’aggiudicataria dovrà sostenere per
effetto dell’assunzione delle unità di Sicuritalia.
I giustificativi di Securpol muovono, infatti, dal presupposto secondo cui l’aggiudicataria sarebbe libera di procedere a nuove assunzioni anziché assorbire il personale del
gestore uscente.
In particolare, l’offerta della SECURPOL non considererebbe i maggiori costi del
lavoro di 8 gpg inquadrate al IV° livello super, così come non tiene mai conto degli scatti di
anzianità (e conseguenti maggiori oneri economici) già maturati dalle già presenti sull’appalto alle dipendenze di Sicuritalia.
Ad avviso della ricorrente, stando alla stessa ricostruzione dei costi dell’odierna
controinteressata, gli extra-costi - connessi all’impiego del personale già alle dipendenze di
Sicuritalia e non considerati in sede di giudizio di congruità comprometterebbero la
remuneratività della commessa, dato che, da un lato, il costo medio annuo di ognuna delle
8 gpg al IV° livello super è pari ad E 27.990,73; e, dall’altro lato, che l’incidenza netta dei
soli scatti di anzianità già maturati dalla gpg di SICURITALIA sulla loro paga base tabellare
conglobata supera, sull’intera durata della commessa, il valore complessivo di E 100.000,00.
Quanto all’ assenza dei benefici fiscali dichiarati da Securpol:
- che, atteso l’obbligo di Securpol di asumere il personale del gestore uscente, la pretesa
di beneficiare di agevolazioni contributive risulterebbe di per sé radicalmente infondata, in
quanto l’istituto del cd. cambio appalto impone il mantenimento, in favore del personale
assunto, degli stessi livelli contributivi già garantiti dal gestore uscente.
Securpol, quindi, non potrebbe assumere il personale di Sicuritalia con contratti diversi
(ovvero, contratti di apprendistato) da quelli già in vigore tra le parti.
In ogni caso, anche laddove Securpol, anziché assumere il personale di Sicuritalia,
attingesse dalle liste di mobilità, come dichiarato nei propri giustificativi, e reimpiegasse il
proprio personale licenziato, Securpol non potrebbe comunque godere di alcun beneficio.
In tema di agevolazioni connesse all’assunzione di personale in mobilità, la Circolare
del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 13 luglio 2006 ha infatti chiarito che
″sono esclusi dalla provvidenza i datori di lavoro che, durante il periodo in cui vige tale
diritto (6 mesi dal licenziamento) procedano alla riassunzione del medesimo dipendente a
suo tempo licenziato per riduzione di personale″ . Dunque, l’azienda che ha avviato la
procedura di mobilità nei confronti dei propri dipendenti perde il diritto alle agevolazioni
qualora proceda alla riassunzione del medesimo personale entro il termine di sei mesi;
soltanto dopo che sia trascorso tale termine ″l’azienda che ha posto in mobilità i lavoratori
può riassumerli usufruendo di benefici contributivi ed economici″.
Nella specie, Securpol ha dichiarato di aver avviato la procedura di mobilità lo scorso
6 marzo 2013: sicché, assumendo — a distanza di appena 3 mesi dal licenziamento - i
lavoratori da essa stessa messi in mobilità, Securpol perde il diritto alle agevolazioni, senza
le quali il rapporto costo/ricavi dell’avversaria offerta diverrebbe ″fallimentare″: gli extra
costi non computati abbatterebbero del tutto gli utili dichiarati e la commessa sarebbe
gestita in perdita. Poiché tali considerazioni non sono state approfondite dalla Stazione
appaltante, in sede di verifica di anomalia dell’avversaria offerta, il giudizio finale di asserita
congruità risulterebbe inficiato da una assoluta carenza di istruttoria ed un evidente
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, tali da rendere illegittima l’aggiudicazione
finale a Securpol.
La ricostruzione della ricorrente muove, quindi, dall’assunto che il RTI controinteressato sarebbe stato obbligato ad applicare la disciplina del cambio appalto. E ciò sia in
ragione di previsioni contenute nella disciplina di gara, sia in quanto tale obbligo sarebbe
stato espressamente previsto dagli strumenti di contrattazione collettiva, sia nazionale che
territoriale.
Sul punto, approfondendo quanto già sinteticamente evidenziato nell’ordinanza cautelare n.2274/13 di questa Sezione (ovvero che la censura appare manifestamente infondata sia
con riferimento alle prescrizioni relative all’offerta tecnica formulate nella lex specialis, sia
tenuto conto che il CCNL per i dipendenti degli Istituti di vigilanza privata non prevede un
applicazione sic et simpliciter del c.d.“cambio appalto”, dovendo l’impresa soccombente
attivare un tavolo di confronto con le parti interessate, qualora sussistano i presupposti di cui
all’art.26 CCNL), si evidenzia che:
- quanto al profilo relativo alla violazione della disciplina di gara, non appare rinvenire
nessuna disposizione in tale senso nel bando, nel disciplinare o nel capitolato: anzi, come
riconosciuto dalla stessa ricorrente, a fronte di una specifica richiesta di chiarimenti inoltrata
da un concorrente, la stazione appaltante ha precisato testualmente che la lex specialis non
prevedeva ″alcun obbligo di assunzione del personale dell’impresa uscente″ (per quanto,
dalla documentazione agli atti, risulta che l’aggiudicataria abbia comunque autonomamente
assunto taluni obblighi in tal senso).
Né può aderirsi alla interpretazione secondo cui l’obbligo di assunzione del personale
di cui trattasi deriverebbe in ragione dell’operatività dell’istituto del cd. ″cambio appalto″,
per effetto di disposizioni contenute:
a) nel CCNL vigente alla data di presentazione dell’offerta;
b) in due contratti collettivi integrativi territoriali di Roma e Provincia, sottoscritti, tra
il Ministero del Lavoro, la Prefettura e l’ente Bilaterale ″EBITEN″, rispettivamente, il 16
luglio 2004 e il 20 luglio 2009;
c) nel CCNL attualmente vigente, rinnovato lo scorso 1 febbraio 2013.
Ed invero, ad avviso del Collegio, ai fini dell’infondatezza della censura, assume rilievo
dirimente la circostanza che il CCNL –ivi compreso quello in materia di vigilanza privatanon ha carattere normativo, bensì contrattuale, ed è pertanto inidoneo a vincolare soggetti
terzi (cfr.Cons. Stato Sez. III, 29-11-2011, n. 6301; e, proprio con riferimento alla natura del
CCNL dei dipendenti degli istituti di vigilanza, Cons. Stato Sez. VI Sent., 23-05-2008, n.
2493).
Tanto precisato, è pacifico che Securpol Group non aderisce ad alcuna delle organizzazione sindacali datoriali che hanno sottoscritto i CCNL richiamati e, pertanto, su di esso
non gravava alcun onere di applicazione delle previsioni, diverse da quelle economiche,
contenute nei predetti contratti (cfr. Cass. Civ. Sez. Unite, 13 ottobre 2009, n. 21711).
In secondo luogo, come rilevato anche dall’amministrazione resistente, mentre gli
strumenti di contrattazione collettiva vigenti al momento dell’offerta economica non appaiono stabilire una disciplina cogente in ordine all’applicazione del c.d. cambio appalto.
Il CCNL in vigore alla data dell’offerta (il cui termine era fissato alla data del 4 ottobre
2012) è, infatti, quello siglato in data 2 maggio 2006, applicabile, come riconosciuto dalla
stessa ricorrente, sino alla data del 1 febbraio 2013 (data di entrata in vigore del ″nuovo″
CCNL, stipulato in data 8 aprile 2013 con efficacia, appunto, dal mese di febbraio).
Il CCNL del 2006 disciplina infatti il ″cambio appalto″ (anche denominato ″clausola
sociale″) all’art. 26. Dopo aver premesso che ″il cambio appalto e/o affidamento del servizio″
possono determinare esuberi occupazionali, la norma prevede testualmente che ″le parti
convengono di proporre l’inserimento nei bandi di gara, a partire dagli Appalti pubblici, di
clausole che prevedano il cambio appalto (..)″.
La disposizione, quindi, contrariamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non
prevede di per sé un obbligo di applicazione, da parte dei datori di lavoro, della clausola
sociale, ma si limita ad auspicare che le parti si attivino presso le stazioni appaltanti per
ottenere l’introduzione nella disciplina di gara di una previsione in materia di cambio
appalto: disposizione che, nel caso in esame, non risulta inserita,senza che il bando sia stato
impugnato in parte qua, come del resto non risulta impugnata la richiamata nota di
chiarimento dell’amministrazione.
Tale interpretazione, peraltro - come sottolineato nelle memorie della resistente- trova
conferma nelle previsioni in materia di cambio appalto contenute nel CCNL vigente a
partire dal 1 febbraio 2013 che, all’art. 23, ha introdotto una disciplina contrattuale cogente
in materia di cambio di appalto, dettando, ″all’uopo termini e modalità di una specifica
procedura in materia″.
Per analoghi motivi, tale obbligo non può neppure desumersi dall’applicazione alla
presente fattispecie delle previsioni contenute in due contratti collettivi integrativi territoriali stipulati tra il Ministero del Lavoro, la Prefettura e l’Ente Bilaterale Territoriale di
Vigilanza Privata della Regione Lazio″ rispettivamente in data 16 luglio 2004 e 20 luglio
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2009. Infatti, anche a prescindere dalla mancata adesione di Securpol ad alcuna delle
associazioni sindacali firmatarie:
a) quanto al contratto sottoscritto in data 16 luglio 2004, il cambio appalto è disciplinato
nell’art. 4.5 – che si limita a prevedere l’istituzione di una commissione per i cambi appalto
e a disciplinarne, sotto il profilo procedurale, l’attività- da cui non è possibile dedurre, anche
indirettamente, che il contratto territoriale integrativo abbia voluto stabilire l’obbligatorietà
dell’assunzione diretta del personale in essere in capo all’impresa uscente.
b) quanto al ″contratto integrativo territoriale″ richiamato da parte ricorrente, sottoscritto in data 20 luglio 2009 si tratta in realtà di un mero ″Vademecum operativo″, del quale
va addirittura esclusa la natura negoziale, il quale nel richiamare la disciplina della proceduta di cambio appalto/affidamento nei servizi di vigilanza, fa testuale riferimento all’’art. 26
del CCNL e all’art. 4.5 del contratto provinciale, che come già detto non prevedono alcun
obbligo di assunzione diretta, bensì all’obbligatorietà di una procedura conciliativa, diretta
a verificare le condizioni per l’assunzione, meramente eventuale, da parte dell’impresa
subentrante, del personale utilizzato dall’impresa uscente, che può concludersi anche con un
″mancato accordo″ al quale consegue la trasmissione della copia del documento finale alle
Autorità preposte alla vigilanza del settore ″al fine di consentire il proseguimento presso la
DPL della procedura di ricollocazione del personale in esubero″.
Quanto, pertanto, all’incidenza dei presunti maggiori costi del “cambio appalto”
sull’offerta, la Securpol non era quindi tenuta a tenerli in considerazione, specie in ragione
della nota di chiarimento dell’amministrazione- che, lo si ricorda, non è stata impugnata –
atteso che, come già chiarito, da un lato il bando di gara non lo prevedeva, dall’altro
l’impresa non aderisce ad alcuna delle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto il
CCNL e, in ogni caso, il CCNL vigente al momento della presentazione dell’offerta non
prevedeva siffatto obbligo di assunzione del personale dipendente dall’impresa uscente.
Anche tale motivo, pertanto, deve essere respinto.
Con il quarto motivo del ricorso principale, infine, Securitalia argomenta che l’offerta
del RTI Securpol avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura in ragione della presunta
″inattendibilità″ delle giustificazioni rese dalla controinteressata in ordine al costo del lavoro.
In particolare, la ricorrente eccepisce la presunta incongruità dell’offerta in quanto
sarebbe apodittica e generica l’affermazione contenuta nei giustificativi, di ricorso, da parte
del RTI, ad agevolazioni contributive. In ogni caso, il ricorso a tali agevolazioni dovrebbe
intendersi riferito all’utilizzo di contratti di ″apprendistato″, dall’applicazione dei quali
deriverebbero costi ulteriori non presi in considerazione da Securpol. Le giustificazioni
sarebbero errate anche nella parte relativa all’abbattimento del tasso di assenteismo e ai
costi ″derivanti da altre disposizioni di legge″.
Sul punto,si è già espressa la richiamata ordinanza cautelare n.2274/13, ne senso che:
“nelle gare pubbliche per l’affidamento di un appalto di servizi, un’offerta non può
ritenersi senz’altro anomala, e comportare l’automatica esclusione dalla gara, per il solo
fatto che il costo del lavoro è stato calcolato secondo valori inferiori a quelli risultanti dalle
tabelle ministeriali o dai contratti collettivi occorrendo, perché possa dubitarsi della sua
congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata rispetto all’offerta da valutarsi nel suo complesso (T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 24-05-2012, n. 596;
T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, 27-09-2012, n. 1222; Cons. Stato Sez. IV, 23-07-2012, n. 4206);
- Che, in ogni caso, l’apprezzamento svolto in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta
è di natura tecnico discrezionale, sindacabile per manifesta illogicità, errore di fatto e
insufficiente motivazione, non risultando consentito al Giudice Amministrativo di sovrapporre la sua idea tecnica al giudizio non erroneo né illogico formulato dall’organo amministrativo e che l’esito della gara può essere travolto dalla pronuncia del Giudice Amministrativo solo quando il giudizio negativo sul piano dell’attendibilità riguarda voci che, per la
loro rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l’intera operazione economica non plausibile e insidiata da indici strutturali di carente affidabilità, a garantire l’efficace perseguimento dell’interesse pubblico (Cons. Stato Sez. V, 12-11-2012, n. 5703, conferma della
sentenza del T.a.r. Puglia - Lecce, sez. III, n. 321/2011 e Cons. Stato Sez. V, 06-07-2012, n.
3959)”.
In aggiunta, evidenzia il Collegio che tale giudizio deve essere condotto mediante una
valutazione ″globale e sintetica sulla serietà dell’offerta″, nel suo insieme, senza assestarsi su
valutazioni ″isolate″ di singole voci (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2013, n. 1815), come
invece si pretende da parte della ricorrente che, peraltro, nulla argomenta con riferimento
all’utile d’impresa, indicato dall’aggiudicataria in E 391.445,06 per il biennio di durata
naturale del contratto, incrementabile di ulteriori E 195.700,00 per il caso di esercizio
dell’opzione di proroga da parte dell’amministrazione,senza considerare; senza considerare
che - sotto l’aspetto procedurale – la stazione appaltante ha ritenuto sufficienti i secondi
chiarimenti scritti di cui all’art. 88, comma 2 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, potendo
altrimenti l’impresa comunque beneficiare dell’ulteriore fase dei terzi giustificativi e, poi, del
c.d. ″contraddittorio orale″ (ex art. 88, comma 4 del D.Igs. n. 163/2006 cit.) per rendere
eventuali, ulteriori delucidazioni e documenti.
Tali considerazioni rendono consentono al Collegio di ritenere superfluo soffermarsi,
nel dettaglio, ad esaminare le esaustive argomentazioni rese da Securpol volte a comprovare,
nel merito, la congruità dell’offerta presentata:
-con riferimento alla eccezione circa la presunta genericità del riferimento, contenuto
nei giustificativi, al ricorso, da parte di Securpol, alla “fruizione di significative agevolazioni
contributive″ (atteso che nelle giustificazioni del 2/1/2013 Securpol ha evidenziato che il 40%
delle ore di prestazione del personale di IV livello ed 1/3 delle ore di prestazione del
personale di III livello sarebbero state effettuate da personale assunto usufruendo di
agevolazioni contributive -apprendistato o liste di mobilità-sicchè in concreto il costo del
lavoro è stato calcolato dall’aggiudicataria, per la parte in discorso (40% del personale) con
riferimento alle agevolazioni ed ai conseguenti minori costi del personale proveniente dalle
liste di mobilità; sia con riferimento alle ulteriori affermazioni relative alla mancata considerazione di extra costi derivanti dall’applicazione della normativa in materia di contratti di
apprendistato (posto che Securpol non ha inteso avvalersi di tale istituto bensì delle liste di
mobilità).
- con riferimento alla eccezione circa la presunta incongruenza della durata delle
agevolazioni contributive di cui all’art. 25 comma 9 della Legge 223/1991 (18 mesi) con la
durata dell’appalto (24 mesi) (atteso che il 40% delle ore di prestazione lavorativa effettuato
dal personale assunto con le agevolazioni previste dalla normativa in materia di accesso alle
liste di mobilità ben potrebbe essere, come argomentato, effettuato nei primi 18 mesi di
durata dell’appalto, ricomprendendo le ore di prestazione effettuate nei sei mesi successivi
nel restante 60% di ore, effettuate dal personale assunto senza alcuna agevolazione).
-con riferimento alla eccezione circa la circostanza che Securpol non avrebbe potuto
eliminare integralmente il valore riportato nelle tabelle ministeriali alla voce ″costi derivanti
da altre disposizioni di legge″ atteso che, a parte i profili di genericità della censura, Securpol
nelle proprie giustificazioni del 2/1/2013, aveva già affermato che “tali costi sono stati già
ammortizzati a prescindere dall’appalto in questione, e che ogni eventuale e minima
incidenza aggiuntiva è comunque assorbita dalle spese generali”.
- con riferimento al rilievo che Securpol avrebbe immotivatamente ridotto il tasso di
assenteismo per infortuni e malattie rispetto a quello riportato dalle tabelle ministeriali.
Anche la censura in esame è inammissibile, prima ancora che infondata, poiché controparte
non allega nessun calcolo per dimostrare che un più elevato tasso di assenteismo avrebbe
compromesso la serietà dell’offerta complessivamente considerata, a fronte di un utile
dichiarato di ben 391.445,00 euro.
Per tutti questi motivi, anche il ricorso principale ed i motivi aggiunti, in conclusione,
devono essere respinti.
La legittimità dell’operato dell’Istituto esclude, pertanto, anche la fondatezza della
domanda risarcitoria.
In considerazione dei criteri di cui all’art.26 c.p.a., le spese del ricorso principale e dei
motivi aggiunti nonché del ricorso incidentale – tenuto conto delle questioni sottese che
involgono decisioni giurisprudenziali innovative- possono essere integralmente compensati
tra le parti.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis)
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definitivamente pronunciando sul ricorso principale e sui motivi aggiunti nonché sul
ricorso incidentale, come in epigrafe proposti:
respinge il ricorso incidentale;
respinge il ricorso principale e i motivi aggiunti;
Compensa integralmente tra le parti spese, diritti ed onorari.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Massimo Luciano Calveri, Presidente
Pierina Biancofiore, Consigliere
Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore
Tribunale amministrativo regionale Lazio Roma Sez. III bis 26 dicembre 2013 n. 11078 Pres.
Calveri Est. Chinè A.F. e altri (avv. Sagnibene) MIUR . (Avv. Stato)
[1680/12] Concorsi a pubblici impieghi - Concorsi per insegnanti - Cattedra indetti con d.m. n. 82 del
2012 - Partecipazione ai possessori del solo di diploma di laurea purché conseguito entro l’anno
accademico 2002/2003 - Illegittimità - Ragioni.
D.m. 24 settembre 2012 n. 82
La disposizione contenuta nell’art. 2, d.d.g. n. 82 adottato dal MIUR in data 24 settembre
2012 (« Indizione dei concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento
del personale docente nelle scuole d’infanzia, primaria, secondaria di I e II grado »),
impedendo la partecipazione al concorso ai titolari di diploma di laurea conseguito dopo
l’anno accademico 2002/2003, ha omesso di attualizzare e aggiornare al 2012 la clausola di
salvaguardia contenuta nell’art. 2 comma 2, d.m. n. 460 del 1998 ed ha creato una irragionevole disparità di trattamento tra candidati laureatisi sino al 2003 (periodo in cui erano attive
le procedure di abilitazione SSIS) e nell’arco temporale 2008-2011 (periodo in cui le procedure
SSIS sono state, per volontà legislativa, sospese).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 9860 del 2012, proposto da: Anna Fusco, Chiara
Mattei, Manuela Gaeta, Giuseppina Granato, Annarita Sorriento, Vincenzo Del Prete,
Giuseppe Del Prete, Assunta Romano, Marianna Colangelo, Fabio Nardaggio, Giacomo
Parisi, Nunzia Renza, Cinzia Coppola, Delia Errera, Anna Maria Gargiulo, Maria Stefania
Di Fiore, Sara Tornatore, Patrizia Viglietti, Olimpia Tortora, Valentina Castiello, Ilaria De
Gaetano, Silvio Ragucci, Maria Emilia Nardo, Giuliana Guariglia, Giorgio Reale, Chiara
Galante, Antonella Quaglia, Emanuela Fulchini, Antonietta Limatola, Ornella De Marco,
Giovanna Di Donna, Paolo Staiano, Loredana Migale, Maria Cristina Testa, Rossella Di
Fuorti, Giuseppe Bonifacio, Sonia Cotena, Anna Iorio, Valeria Caiazzo, Francesca Cirillo,
Ivonne Lopez, Pia Romano, Fabiana Dumont, Rosamaria Virelli, Rossana Pepe, Daniela
Cioffi, Immacolata Giugliano, Liberata Palumbo, Claudia Matrone, Elena Tubelli, Maddalena Sartore, Pasquale Danilo Mascia, Antonietta Milone, Mariarosaria Manfredonia,
Pasquale De Lucia, Carmela Ammendola, Maria Borriello, Valeria Russo, Luisa Izzo,
Francesco Alfieri, Maria Alfieri, Carmine Russo, Alessandra Tosa, Maria Antonietta Avino,
Angela Sorrentino, Mariapaola Esposito, Francesca Dell’Isola, Rosa Amoretti, Matteo
Delle Donne, Giovanna Laurenza, Rosalba D’Auria, Rosaria Marilia Russo, Vincenzo
Caccavale, Giuseppe Mascolo, Mario Isernia, Pietro Paolo Isernia, Danilo Achille Boiano,
Antonino Esposito, Domenico Mascia, Giovanna Maffettone, Giuseppe Falco, Giuseppina
Casalino, Cinzia Vinti, Arturo Gallo, Pasquale Termolini, Filomena Nisi, Francesco Del
Sorbo, Giuseppina Piglia, Mauro Di Micco, Lorenzina Razzano, Daria Menale, Palma
Romano, Lina Castaldo, Rosa Angelino, Luisa Puca, Marianna Caiazza, Vincenzo Ferraro,
Raffaele Margiotta, Giuseppina Perillo, Maria Sicignano, Rosa De Martino, Nicoletta
Pianese, Assunta Raiola e Mariangela Castiglione, tutti rappresentati e difesi dall’avv.
Leonardo Sagnibene, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Enrico Soprano, sito in
Roma, via degli Avignonesi, n. 5;
contro
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Usr - Ufficio Scolastico
Regionale del Lazio, Usr - Ufficio Scolastico Regionale della Sardegna, Usr - Ufficio
Scolastico Regionale della Toscana, Usr - Ufficio Scolastico Regionale della Calabria, Usr Ufficio Scolastico Regionale della Campania, Usr - Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia
Romagna e Usr - Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia, rappresentati e difesi
dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
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nei confronti di
Mafalda Acunzo, n.c.g.;
per l’annullamento:
- del D.D.G. n. 82 adottato in data 24 settembre 2012 dal Ministero dell’Istruzione
dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzione – Direzione Generale per il
personale della scuola, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Concorsi – IV Serie Speciale n. 75
del 25 settembre 2012, recante “Indizione dei concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami,
finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole d’infanzia, primaria, secondaria
di I e II grado”, nella parte in cui, all’articolo 2, comma 3, prevede che “Sono inoltre ammessi
a partecipare, per i posti di scuola secondaria di I e II grado, ai sensi dell’articolo 2 del decreto
interministeriale 24 novembre 1998 n. 460, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 131 del 7
giugno 1999: a) i candidati che alla data del 22 giugno 1999 (data di entrata in vigore del citato
decreto interministeriale) erano già in possesso di un titolo di laurea ovvero di un titolo di
diploma conseguito presso le accademie di belle arti e gli istituti superiori per le industrie
artistiche, i conservatori e gli istituti musicali pareggiati, gli ISEF, che alla stessa data
consentivano l’ammissione ai concorsi per titoli ed esami per il reclutamento del personale
docente; b) i candidati che abbiano conseguito i titoli di cui alla precedente lettera a) entro
l’anno accademico 2001-2002, se si tratta di corso di studi quadriennale o inferiore; entro
l’anno accademico 2002-2003, se si tratta di corso di studi quinquennale, nonché i candidati
che abbiano conseguito i diplomi di cui alla lettera a) entro l’anno in cui si sia concluso il
periodo prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall’anno accademico 1998-1999”;
- del medesimo decreto laddove all’articolo 2 non consente la partecipazione anche ai
candidati che, dopo l’anno accademico 2002-2003 ed entro la data di scadenza del termine
per la presentazione della domanda di partecipazione al concorso, abbiano acquisito un
titolo di laurea valido per l’accesso all’insegnamento nelle classi di concorso della scuola
dell’Infanzia, Primaria, Secondaria di I e II grado;
- di ogni ulteriore atto, anche endoprocedimentale, presupposto, preparatorio, connesso, conseguente e/o consequenziale, comunque lesivo degli interessi dei ricorrenti;
e per la declaratoria del diritto dei ricorrenti ad essere ammessi alle prove preselettive
per la partecipazione al concorso per il reclutamento di personale docente nelle scuole
dell’Infanzia, Primaria, Secondaria di I e II grado.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione dell’Università e
della Ricerca e degli Uffici Scolastici Regionali resistenti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2013 il dott. Giuseppe Chiné e
uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO — 1. Con l’odierno gravame, i ricorrenti hanno dedotto:
a) di essere tutti in possesso di una laurea magistrale o di una laurea prevista dal
previgente ordinamento e di avere conseguito il relativo titolo in un periodo successivo
rispetto a quello indicato nel bando impugnato;
b) con il Decreto n. 82 adottato in data 24 settembre 2012 dal Ministero dell’Istruzione
dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzione – Direzione Generale per il
personale della scuola, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Concorsi – IV Serie Speciale n. 75
del 25 settembre 2012, il Ministero resistente ha indetto i “concorsi a posti e cattedre, per titoli
ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole d’infanzia, primaria,
secondaria di I e II grado”;
c) il predetto Decreto, all’articolo 2, avente ad oggetto “Requisiti di ammissione”,
specifica che possono partecipare al concorso: coloro che, alla data del 7 novembre 2012,
sono in possesso di abilitazione all’insegnamento per la scuola dell’infanzia o primaria o
secondaria di I e/o II grado. Sono ammesse anche le abilitazioni conseguite all’estero, purché
riconosciute con apposito decreto del Ministero; per la scuola primaria, coloro che sono in
possesso del titolo di studio conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, ovvero coloro che
hanno terminato i corsi quadriennali e quinquennali sperimentali degli istituti magistrali
iniziati entro l’anno scolastico 1997/1998; per la scuola dell’infanzia, coloro che sono in
possesso del titolo di studio conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, al termine dei corsi
triennali e quinquennali sperimentali della scuola magistrale, oppure dei corsi quadriennale
o quinquennali sperimentali dell’istituto magistrale, iniziati entro l’anno scolastico
1997/1998; per la scuola secondaria di I e II grado, coloro che alla data del 22 giugno 1999
erano già in possesso di un titolo di laurea ovvero di diploma conseguito presso le accademie
di belle arti e gli istituti superiori per le industrie artistiche, i conservatori e gli istituti
musicali pareggiati, gli ISEF, che alla stessa data consentivano l’ammissione ai concorsi per
titoli ed esami per il reclutamento del personale docente. Sono ammessi anche coloro che
hanno conseguito questi titoli entro l’anno 2001/2002 (solo in merito al corso di studi
quadriennali o inferiore), oppure entro l’anno 2002/2003 (solo in merito al corso di studi
quinquennale) nonché coloro che abbiano conseguito detti diplomi entro l’anno in cui si sia
concluso il periodo prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall’anno accademico
1998/1999; per i posti di insegnante tecnico-pratico, coloro che sono in possesso del titolo di
studio di cui al decreto ministeriale n. 39 del 30 gennaio 1998; sono validi anche i titoli di
studio conseguiti all’estero, purché conseguiti nei medesimi termini e dichiarati equivalenti
a quelli italiani attraverso un apposito decreto di equipollenza; i candidati che possiedono i
requisiti generali di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni richiesti dal
decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 9 maggio 1994; i candidati che sono stati
ammessi con riserva di accertamento del possesso dei requisiti di ammissione dichiarati nella
domanda, adempimento quest’ultimo espletato dagli Uffici Scolastici Regionali solo dopo lo
svolgimento e l’eventuale superamento della prova preselettiva;
d) pertanto il bando di concorso non consente la partecipazione al concorso ai candidati
in possesso di una più recente laurea, soltanto perché conseguita in data posteriore rispetto
alle date arbitrariamente stabilite dal bando stesso.
A sostegno dell’odierno gravame hanno pertanto denunciato, in un’unica complessa
doglianza, i vizi di: violazione e mancata applicazione degli artt. 400 e 402 del decreto
legislativo 16 aprile 1994, n. 297 recante il “Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di istruzione”; violazione dell’art. 2, comma 2, del decreto interministeriale
24.11.1998, n. 460; violazione dei principi generali in materia di pubblici concorsi; eccesso di
potere per falsità dei presupposti; violazione del giusto procedimento di legge; difetto
assoluto di istruttoria; arbitrarietà; violazione del principio di imparzialità e buon andamento
dell’azione amministrativa.
2. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della
Ricerca e gli Uffici Scolastici Regionali intimati, instando per la reiezione del gravame.
3. Con decreto n. 4260 del 27 novembre 2012, il Presidente della Sezione ha accolto la
proposta domanda cautelare monocratica, ammettendo con riserva i ricorrenti a partecipare
alle prove preselettive del concorso il cui bando è oggetto di gravame, fissando per la
trattazione collegiale del ricorso la camera di consiglio del 10 gennaio 2013.
4. Con ordinanza n. 132 dell’11 gennaio 2013, resa alla camera di consiglio del 10
gennaio 2013, la Sezione ha confermato la misura cautelare già concessa con decreto
monocratico.
5. Con ordinanza n. 6867 del 10 luglio 2013, la Sezione ha disposto incombenti istruttori
al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ordinando l’acquisizione di una
relazione recante l’indicazione analitica, per ciascuno dei ricorrenti, della eventuale partecipazione alle prove preselettive del concorso e, in caso di partecipazione, dell’esito di tale
prove, entro il termine di 45 (quarantacinque) giorni dalla notifica ovvero dalla comunicazione in via amministrativa della predetta ordinanza. Con la medesima ordinanza ha altresì
fissato l’udienza pubblica di discussione del gravame del 21 novembre 2013.
6. Con distinte relazioni, gli Uffici Scolastici Regionali di Lazio, Campania, Umbria e
Sardegna hanno fatto pervenire gli elementi richiesti con l’ordinanza istruttoria n. 6867 del
2013.
7. Con memoria depositata in data 7 ottobre 2013, in vista dell’udienza pubblica del 21
novembre 2013, il difensore dei ricorrenti ha comunicato che l’interesse alla decisione
permane soltanto per sedici ricorrenti, analiticamente individuati, i quali – ammessi con
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riserva alle prove concorsuali - risultano collocati utilmente nella graduatoria finale di
merito.
7. All’udienza pubblica del 21 novembre 2013, sentiti i difensori delle parti come da
relativo verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO — 1. Rileva preliminarmente il Collegio che il difensore dei ricorrenti ha
documentato in giudizio la permanenza dell’interesse a coltivare l’odierno ricorso solo in
capo a Avino Maria Antonietta, Caiazzo Valeria, Delle Donne Matteo, Di Fiore Maria
Stefania, Fulchini Emanuela, Gallo Arturo, Granato Giuseppina, Guariglia Giuliana, Lopez
Ivonne, Mascia Domenico, Matrone Claudia, Quaglia Antonella, Reale Giorgio, Sicignano
Maria, Termolini Pasquale e Tubelli Elena, tutti risultati idonei alle prove preselettive ed i
cui nominativi risultano utilmente collocati nelle graduatorie finali di merito del concorso.
Ne discende che per i ricorrenti diversi dai predetti, i quali – pur essendo stati ammessi
con riserva alle prove concorsuali – non hanno partecipato o comunque superato le prove
preselettive, non residua alcun interesse alla decisione del proposto gravame.
Pertanto, con riferimento a questi ultimi ricorrenti, il ricorso si palesa improcedibile per
sopravvenuta carenza di interesse.
2.1 Deve invece essere esaminato nel merito, in quanto procedibile, il ricorso proposto
dai sedici ricorrenti utilmente collocatisi nelle graduatorie finali del concorso.
Con esso è stata impugnata la clausola del bando scolpita nell’art. 2 che impedisce la
partecipazione alla procedura selettiva ai possessori di laurea magistrale o di laurea prevista
dal previgente ordinamento che abbiano conseguito il relativo titolo dopo l’anno accademico
2002/2003 e che non siano muniti di abilitazione.
Ad avviso dei ricorrenti, tale discrimine temporale si palesa arbitrario nonché lesivo
delle norme e principi contenuti negli artt. 400 e 402 del d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (Testo
unico in materia di istruzione), 1 e 2 del decreto interministeriale 24 novembre 1998, n. 460
(Norme transitorie per il passaggio al sistema universitario di abilitazione all’insegnamento
nelle scuole e istituti di istruzione secondaria ed artistica), in quanto l’Amministrazione,
omettendo di introdurre una clausola di salvaguardia per ammettere al concorso tutti coloro
che avessero ottenuto una laurea valida per il conseguimento dell’abilitazione anche dopo il
2002, ma prima della data di scadenza prevista dal bando, avrebbe mancato di attualizzare
la disciplina transitoria già dettata per il primo concorso a cattedra successivo all’entrata in
vigore del sistema universitario di abilitazione all’insegnamento, concorso la cui indizione
avrebbe dovuto essere compiuta nel 2002 (alla scadenza dei tre anni dall’ultimo bandito con
D.M. 1° aprile 1999), ma che è nella realtà avvenuta dieci anni dopo con il bando oggetto
dell’odierno gravame.
2.2 Lo scrutinio della complessa doglianza impone una ricognizione del panorama
normativo in cui si iscrive la controversia.
2.3 La disciplina di rango legislativo concernente le procedure selettive in esame si
rinviene nel d. lgs. 16 aprile 1994 n. 297, il cui art. 400, comma 1, stabilisce che: “I concorsi
per titoli ed esami sono indetti su base regionale con frequenza triennale, con possibilità del
loro svolgimento in più sedi decentrate in relazione al numero dei concorrenti. L’indizione
dei concorsi è subordinata alla previsione del verificarsi nell’ambito della regione, nel
triennio di riferimento, di un’effettiva disponibilità di cattedre o di posti di insegnamento,
tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 442 per le nuove nomine e dalle disposizioni in
materia di mobilità professionale del personale docente recate dagli specifici contratti
collettivi decentrati nazionali, nonché del numero dei passaggi di cattedra o di ruolo attuati
a seguito dei corsi di riconversione professionale”.
Il successivo art. 402, relativamente ai requisiti generali di ammissione ai concorsi,
aggiunge: “Fino al termine dell’ultimo anno dei corsi di studi universitari per il rilascio dei
titoli previsti dagli articoli 3 e 4 della legge 19 novembre 1990, n. 341, ai fini dell’ammissione
ai concorsi a posti e a cattedre di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, ivi
compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, è richiesto il possesso dei seguenti titoli di studio:
a) diploma conseguito presso le scuole magistrali o presso gli istituti magistrali, od abilitazione valida, per i concorsi a posti di docente di scuola materna; b) diploma conseguito
presso gli istituti magistrali per i concorsi a posti di docente elementare; c) laurea confor-
memente a quanto stabilito con decreto del Ministro della pubblica istruzione, ed abilitazione valida per l’insegnamento della disciplina o gruppo di discipline cui il concorso si
riferisce, per i concorsi a cattedre e a posti di insegnamento nelle scuole secondarie, tranne
che per gli insegnamenti per i quali è sufficiente il diploma di istruzione secondaria
superiore”.
Con decreto del Ministro della pubblica istruzione n. 460 del 24 novembre 1998, recante
“Norme transitorie per il passaggio al sistema universitario di abilitazione all’insegnamento
nelle scuole e istituti di istruzione secondaria ed artistica” si è stabilito che: “A partire dal
primo concorso a cattedre, per titoli ed esami, nella scuola secondaria bandito successivamente al 1 maggio 2002, e fatto salvo quanto disposto in via transitoria dagli articoli 2 e 4,
il possesso della corrispondente abilitazione costituisce titolo di ammissione al concorso
stesso e cessa la possibilità di conseguire l’abilitazione all’insegnamento nei modi previsti
dall’art. 400, comma 12, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297” (art. 1).
La richiamata disciplina transitoria è contenuta nel successivo art. 2 del D.M., secondo
cui: “Possono partecipare ai concorsi a cattedre di cui all’articolo 1, anche in mancanza di
abilitazione, coloro che alla data di entrata in vigore del presente decreto siano già in
possesso di un titolo di laurea, ovvero di un titolo di diploma conseguito presso le accademie
di belle arti e gli istituti superiori per le industrie artistiche, i conservatori e gli istituti
musicali pareggiati, gli ISEF, che alla data stessa consentano l’ammissione al concorso.
Possono altresì partecipare ai concorsi di cui all’articolo 1 coloro che conseguano la laurea
entro gli anni accademici 2001-2002, 2002-2003 e 2003-2004 se si tratta di corso di studi di
durata rispettivamente quadriennale, quinquennale ed esaennale e coloro che conseguano i
diplomi indicati nel comma 1 entro l’anno in cui si conclude il periodo prescritto dal relativo
piano di studi a decorrere dall’anno accademico 1998 – 1999”.
2.4 Dalle disposizioni suesposte si desume che:
a) i concorsi per titoli ed esami per l’accesso a posti e cattedre di insegnamento nelle
scuole di ogni ordine e grado sono indetti con cadenza triennale, sulla base del fabbisogno
determinato su base regionale;
b) la disciplina di rango legislativo per l’ammissione ai concorsi a posti e a cattedre di
insegnamento nelle scuole secondarie impone il possesso del diploma di laurea e dell’abilitazione valida per l’insegnamento della disciplina o del gruppo di discipline cui il concorso
si riferisce, tranne che per gli insegnamenti per i quali è sufficiente il diploma di istruzione
secondaria superiore;
c) tenuto conto della disposizione legislativa sulla frequenza triennale e dell’avvenuta
indizione dell’ultimo concorso con D.M. 1° aprile 1999, con il D.M. n. 460 del 1998 si è
introdotta una disciplina transitoria applicabile al primo concorso a cattedre successivo al 1°
maggio 2002 (recte: il primo dopo il triennio decorrente dall’ultimo concorso), stabilendo che
possono essere ammessi a detto concorso i candidati privi di abilitazione, purché: i) già in
possesso, alla data di entrata in vigore del medesimo D.M., del titolo di laurea o del diploma
conseguito presso le accademie di belle arti e gli istituti superiori per le industrie artistiche,
i conservatori e gli istituti musicali pareggiati e gli ISEF, che alla citata data permettono
l’ammissione al concorso; ii) ovvero conseguano il titolo di laurea entro gli anni accademici
2001-2002, 2002-2003 e 2003-2004 se si tratta di corso di studi di durata rispettivamente
quadriennale, quinquennale ed esaennale o conseguano i menzionati diplomi entro l’anno in
cui si conclude il periodo prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall’anno
accademico 1998 - 1999.
2.5 La disciplina transitoria introdotta con il D.M. n. 460 del 1998, e riferita al primo
concorso a posti e cattedre successivo al 1° maggio 2002, si correla direttamente al passaggio
al sistema di formazione universitaria dei docenti della scuola secondaria di cui all’art. 4 della
legge 19 novembre 1990, n. 241. Tale sistema, il cui fulcro è costituito dalle Scuole di
specializzazione per l’insegnamento nella scuola secondaria (SSIS), avrebbe dovuto garantire, a partire dall’anno accademico 1999/2000, un’attività di formazione dei docenti finalizzata al conseguimento del titolo di abilitazione, costituente titolo di ammissione ai corrispondenti concorsi a posti di insegnamento nelle scuole secondarie (art. 4, comma 2, l. n. 341
del 1990).
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In questa ottica si giustifica la previsione contenuta nell’art. 1 del D.M. n. 460 del 1998,
secondo cui a partire dal primo concorso a cattedre, per titoli ed esami, nella scuola
secondaria bandito dopo il 1° maggio 2002, “il possesso della corrispondente abilitazione
costituisce titolo di ammissione al concorso stesso e cessa la possibilità di conseguire
l’abilitazione all’insegnamento nei modi previsti dall’art. 400, comma 12, del decreto
legislativo 16 aprile 1994, n. 297”, ovvero mediante il superamento delle prove del concorso
a cattedre.
Nel momento in cui si segnava il passaggio dal vecchio al nuovo sistema universitario
di abilitazione e si imponeva la regola di ammissione ai concorsi a cattedra fondata sul
necessario possesso dell’abilitazione, si è ovviamente tenuto conto di coloro che:
a) alla data di entrata in vigore del D.M. n. 460 del 1998 avevano già ottenuto il diploma
di laurea;
b) alla medesima data erano già iscritti ad un corso di laurea ed avrebbero pertanto
conseguito il relativo diploma negli anni accademici 2001-2002, 2002-2003 e 2003-2004, se si
tratta di corso di studi di durata rispettivamente quadriennale, quinquennale ed esaennale.
Per i candidati di cui alle precedenti lett. a) e b) si è stabilita la duplice regola che
possono essere ammessi al primo concorso a cattedre successivo al 1° maggio 2002 anche in
assenza di abilitazione (art. 2 D.M. n. 460 del 1998) e che la vincita del concorso e la
conseguente nomina a tempo indeterminato conferiscono anche il titolo di abilitazione
all’insegnamento (art. 4 D.M. n. 460 del 1998).
2.6 Il suesposto quadro normativo deve essere completato con le previsioni innovative
contenute nell’art. 64, comma 4-ter, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che ha sospeso le procedure per l’accesso alle
Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario effettivamente attivate presso le
università a partire dall’anno accademico 1999-2000, ponendo pertanto fine ai percorsi per
l’abilitazione disciplinati dal D.M. n. 460 del 1998. In conseguenza di tale intervento
legislativo, coloro che hanno conseguito la laurea a partire dall’anno 2008 non hanno più
avuto la possibilità di iscriversi alle predette Scuole di specializzazione per conseguire
l’abilitazione propedeutica alla ammissione ai concorsi a cattedre.
A ciò, per completezza, deve essere aggiunto che a partire dall’anno accademico
2011-2012, ed in ossequio alla previsioni del D.M. 10 settembre 2010, le citate Scuole di
specializzazione (SISS) sono state sostituite dai diversi percorsi formativi abilitanti costituiti
dai Tirocini Formativi Attivi (TFA), aventi durata annuale e propedeutici all’acquisizione
dell’abilitazione previo esame presso università ed istituti parificati.
I predetti tirocini sono divenuti operativi a partire dall’anno accademico 2011-2012 in
quanto le prove di accesso ai TFA sono state disciplinate soltanto con il successivo D.M. 11
novembre 2011.
2.7 Alla luce del quadro normativo così delineato può essere compiutamente scrutinata
la doglianza dei ricorrenti, secondo cui la disposizione contenuta nell’art. 2 del bando,
impedendo la partecipazione al concorso ai titolari di diploma di laurea conseguito dopo
l’anno accademico 2002/2003, ha omesso di attualizzare e aggiornare al 2012 la clausola di
salvaguardia contenuta nell’art. 2, comma 2, del D.M. n. 460 del 1998 ed ha creato una
irragionevole disparità di trattamento tra candidati laureatisi sino al 2003 (periodo in cui
erano attive le procedure di abilitazione SSIS) e nell’arco temporale 2008-2011 (periodo in
cui le procedure SSIS sono state, per volontà legislativa, sospese).
2.8 La doglianza si appalesa fondata, nei termini appresso precisati.
La disposizione della lex specialis oggetto di gravame, recante fissazione dei requisiti di
ammissione al concorso, per quanto quivi rileva si limita a riprodurre alla lettera l’art. 2 del
D.M. n. 460 del 1998 (pubblicato in G.U. 7 giugno 1999, n. 131 ed entrato in vigore il 22
giugno 1999), stabilendo che: a) possono partecipare al concorso i candidati in possesso di
titolo di abilitazione all’insegnamento conseguito entro la data di scadenza del termine per
la presentazione della domanda; b) possono altresì partecipare, anche se non abilitati, i
candidati che, alla data del 22 giugno 1999 (entrata in vigore del D.M. n. 460 del 1998) erano
già in possesso del diploma di laurea; c) ovvero che abbiano conseguito la laurea entro gli
anni accademici 2001-2002 o 2002-2003, se trattasi rispettivamente di corso di laurea
quadriennale o quinquennale, o comunque entro l’anno in cui si sia concluso il periodo
prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall’anno accademico 1998-1999.
Tale riproduzione letterale, avvenuta a fronte di un bando di concorso pubblicato dopo
circa un decennio dalla data fissata dal D.M. n. 460 del 1998 (1° maggio 2002), e pertanto in
spregio alla regola della ordinaria frequenza triennale scolpita nell’art. 400, comma 1 del d.
lgs. 16 aprile 1994 n. 297, finisce con l’eludere la ratio giustificatrice originaria delle
disposizioni transitorie e cagiona una irragionevole disparità di trattamento tra i diversi
candidati alla procedura selettiva.
Appare invero evidente che la clausola di salvaguardia prevista nel D.M. n. 460 del 1998
(art. 2, comma 2) era tarata sul primo concorso a cattedre da indire con cadenza triennale,
non certo su quello che sarebbe stato effettivamente bandito dopo circa un decennio. Ne
consegue che l’Amministrazione, all’atto di recepirne il contenuto nel bando pubblicato nel
2012, avrebbe dovuto attualizzarlo, così da lasciarne intatta la ratio giustificatrice, ovvero
permettere la partecipazione al concorso quanto meno a coloro che avessero conseguito un
diploma di laurea idoneo entro la data fissata per la presentazione delle domande di
partecipare alla procedura selettiva.
Diversamente opinando, anche in virtù di ciò che verrà di seguito evidenziato in ordine
ai percorsi abilitanti attivati nel periodo di riferimento, si è determinata una ingiustificata
disparità di trattamento tra candidati che hanno conseguito la laurea entro l’anno accademico 2002-2003, ammessi al concorso a cattedre, e candidati, come gli odierni ricorrenti, che
hanno conseguito identica laurea negli anni accademici immediatamente successivi, ma
entro la scadenza del termine per la presentazione della domande.
La già segnalata disparità di trattamento scaturisce anche dalle vicende, già sopra
sinteticamente passate in rassegna, occorse ai percorsi abilitanti nel periodo successivo al
2003.
Si è già avuto modo di evidenziare che le Scuole di specializzazione per l’insegnamento
secondario (SISS), pur concretamente attivate a partire dall’anno accademico 1999-2000,
sono state sospese in virtù di espressa previsione legislativa a partire dall’anno accademico
2008-2009, per essere sostituite, soltanto a decorrere dall’anno accademico 2011-2012, dai
Tirocini Formativi Attivi (TFA).
Pertanto, in assenza di una clausola di salvaguardia attualizzata, come quella già
prevista dall’art. 2 del D.M. n. 460 del 1998, il bando oggetto di gravame ha di fatto impedito
la partecipazione al concorso a tutti i candidati, segnatamente i più giovani di età, in possesso
di diploma di laurea acquisito a decorrere dall’anno accademico 2008-2009, per i quali è
rimasto interdetto qualsiasi percorso abilitante. Ed invero, a causa della sospensione
legislativa delle SISS ed in attesa dell’attivazione dei nuovi TFA, detti candidati non hanno
avuto possibilità alcuna di acquisire l’abilitazione necessaria per la partecipazione al concorso a cattedre.
Per le ragioni che precedono la diposizione impugnata si palesa illegittima, in quanto
affetta, oltre che da violazione di legge relativamente alla disciplina di rango primario e
secondario suesposta, da irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento.
2.9 L’accertata fondatezza del proposto gravame, nei termini sopra esposti, impone
l’annullamento della disposizione impugnata relativamente la posizione dei ricorrenti e il
conseguente scioglimento positivo della riserva posta all’atto della loro ammissione alla
procedura selettiva.
3. In forza della novità delle questioni scrutinate sussistono comunque giusti motivi per
compensare integralmente spese, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara
improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in parte lo accoglie, nei termini e limiti
meglio precisati in motivazione.
Compensa spese, diritti ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
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Massimo Luciano Calveri, Presidente
Paolo Restaino, Consigliere
Giuseppe Chine’, Consigliere, Estensore
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115
Tribunale amministrativo regionale Lazio Latina Sez. I 23 dicembre 2013 n. 1048 Pres.
Corsaro Est. Marra Z. e altro (avv. Abbate) Comune di Priverno, L. e altro . (avv.
Mignano), (avv. Grasso)
[2964/1380] Edilizia e urbanistica - Violazione di piani regolatori e di regolamenti edilizi comunali Condono edilizio - Nel caso di violazione di diritti di terzi al rispetto delle distanze legali Esclusione - Ragioni.
Non sono condonabili le opere abusive eseguite in violazione di diritti di terzi e, nella
specie, delle distanze legali; invero, in un sistema di responsabilità civile che ha ormai
riconosciuto la possibilità di convenire in giudizio l’amministrazione finanche per i danni
cagionati dall’omessa vigilanza, la condotta del comune che abbia consapevolmente agevolato
la lesione del diritto di proprietà di un terzo, sanando l’edificazione del manufatto, è
suscettibile di essere considerata fonte di danno in quanto concausa dell’illecito civile; la tesi
opposta condurrebbe infatti al paradosso che l’amministrazione, da un lato, sarebbe obbligata
dalla norma attributiva del potere al rilascio del titolo abilitativo e, dall’altro, rischierebbe di
dover rispondere di tale comportamento a titolo di responsabilità civile.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
sezione staccata di Latina (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 207 del 2009, proposto da: Massimo Zampetta
e Vincenzo Zampetta, rappresentati e difesi dall’avv. Francesco Abbate, con domicilio
eletto presso lo studio dell’avv. Alessandro Maria Scavolini in Latina, via Botticelli n.12;
contro
Comune di Priverno, in persona del Sindaco p. t., rappresentato e difeso dall’avv.
Giacomo Mignano, con domicilio eletto in Latina, via G.B. Vico, 45;
nei confronti di
Mario Lauri, Lorenzo Lauri e Ines Canori, rappresentati e difesi dall’avv. Antonio
Grasso, con il quale domiciliano, ex lege, presso la Segreteria di questa Sezione in Latina, via
A. Doria, 4;
per l’annullamento, previa sospensiva,
del permesso in sanatoria n. 90 del 13 gennaio 2009, ex L. 28.2.1985 n. 47 e art. 39 L.
23.12.1994 n. 724 per la “modifica/ampliamento abitazione al Piano Secondo di fabbricato di
maggior consistenza”, opere site in via Salvo D’Acquisto n. 71 – Mappale n. 626/sub 4 del
foglio 31, conosciuto il 10.2.2009 in seguito ad accesso agli atti ex L. 241/90;
e di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale al provvedimento impugnato;
nonché, per la condanna al risarcimento dei danni subiti e subendi dai ricorrenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Priverno e dei signori Mario
Lauri,Lorenzo Lauri e Ines Canori;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2013 il dott. Roberto Maria
Bucchi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO — 1) Con ricorso notificato a mezzo servizio postale il 17-18
marzo 2009 e depositato il giorno 18, i signori Zampetta Massimo e Zampetta Vincenzo –
proprietari dell’area distinta in Catasto al foglio 31 part. 920 e dell’immobile allo stato grezzo
totalmente interrato insistente sulla suddetta area, confinante con il fabbricato di proprietà
dei signori Lauri Lorenzo, Lauri Mario e Canori Ines distinto in Catasto al foglio n. 31 part.
626 – hanno impugnato il provvedimento descritto in epigrafe, col quale il Comune di
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117
Priverno ha accolto la domanda di condono presentata in data 28.2.1995 dal sig. Mario Lauri
per le opere consistenti nella “modifica/ampliamento dell’abitazione al piano secondo del
fabbricato di maggior consistenza” succitato.
2) A sostegno del gravame, i ricorrenti deducono le seguenti censure:
I) Nullità del permesso in sanatoria n. 90/09. Violazione e falsa applicazione dell’art. 35
comma 15 della L. 47/85.
Il provvedimento impugnato è nullo siccome non emesso dal Sindaco come prescritto
dall’art. 35 comma 15 della L. 47/85.
II) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8 e 10 della L. 241/90.
Illegittimamente il Comune di Priverno non ha comunicato ai ricorrenti l’avvio del
procedimento relativo alla domanda di condono in argomento.
III) Violazione e falsa applicazione degli artt. 9,10 bis nonché degli artt. 5,6 e 22 della
L. 241/90.
Il provvedimento è stato adottato senza tenere conto della istanza di intervento e di
accesso agli atti presentata dai ricorrenti in data 12.1.2009.
IV) Eccesso di potere. Violazione e falsa applicazione del D.M. n. 1444/1968 sulle
distanze tra fabbricati, degli strumenti urbanistici locali.
Il permesso in sanatoria n. 90/09 è stato rilasciato dall’Amministrazione Comunale in
palese violazione delle norme di cui al D.M. n. 1444/68 sulle distanze legali tra fabbricati,
come accertato dalla stessa Polizia Municipale del Comune di Priverno in data 20.2.1995, e
dallo stesso Comune nell’ordinanza di sospensione lavori n. 91 del 25.2.1995 e nell’ingiunzione di demolizione n. 102 del 15.3.1995.
V) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 comma 3, L. n. 47/85 e del DPR 380/01.
Omessa motivazione in ordine all’ingiunzione di demolizione n. 102 del 15.3.1995.
L’Amministrazione comunale ha del tutto omesso di richiamare nel permesso in
sanatoria oggetto della presente impugnazione l’ingiunzione n. 102 del 15.3.1995 di demolizione dello stesso fabbricato di proprietà dei Lauri.
VI) Eccesso di potere. Assenza e contraddittorietà della motivazione (art. 3 L. 241/90).
Contraddittorietà dell’azione amministrativa.
Il provvedimento impugnato è altresì illegittimo per violazione dell’obbligo di motivazione.
VII) Mancato adeguamento dei titoli edilizi per la concessione di un permesso in
sanatoria.
L’Amministrazione comunale, nel concedere il permesso in sanatoria, ha omesso di
considerare che l’immobile di controparte ha, di fatto, una ubicazione del tutto difforme
rispetto al suo posizionamento catastale.
3) Con atti depositati in data 9 aprile 2009 e 20 settembre 2012 si sono costituiti in
giudizio, rispettivamente, il Comune di Priverno e i signori Canori Ines, Lauri Mario e Lauri
Lorenzo.
4) Alla pubblica udienza del 21 novembre 2013, la causa è stata riservata per la
decisione.
5) Il ricorso è fondato.
6) Osserva il Collegio che nel verbale di contravvenzione elevato a carico del sig. Lauri
Ferdinando in data 20.2.1995 i Vigili Urbani del Comune di Priverno hanno rilevato – tra le
varie difformità riscontrate nel fabbricato oggetto di causa – l’inosservanza delle della
distanza tra il manufatto rispetto al lotto di proprietà degli Zampetta.
Successivamente, con atto di citazione (R.G. 8047/07), notificato il 15.11.2007, la sig.ra
Ines Canori ha convocato dinanzi al Tribunale Civile di Latina i sigg.ri Zampetta Vincenzo
e Zampetta Massimo per ivi sentire accertare la violazione delle norme sulle distanze legali
da parte degli stessi.
Da ultimo, i ricorrenti hanno depositato atto di intervento nel procedimento relativo
alla concessione edilizia in sanatoria dell’immobile dei controinteressati contestando la
violazione delle distanze legali.
7) E’ di tutta evidenza, quindi, che sussiste un contenzioso in ordine alla distanza legale
tra l’immobile oggetto del provvedimento di condono impugnato con l’odierno ricorso e la
proprietà dei ricorrenti e che di tale contenzioso il Comune era a conoscenza sin dalla data
del sopralluogo a cura dei Vigili Urbani.
8) Ciò premesso, il Collegio ritiene di condividere l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui gli abusi in materia di distanze non sono condonabili.
Secondo questa tesi, l’Amministrazione, nel concedere il titolo abilitativo in sanatoria,
può e deve considerare i limiti (per così dire, interni) rivenienti dall’esistenza di diritti
soggettivi dei terzi alla distanza legale.
Per sostenere che, all’esito di siffatta verifica, l’Amministrazione Comunale debba
negare il condono richiestole, occorre inferire che la norma attributiva di potere di sanatoria,
lungi dall’essere indifferente ai diritti dei terzi, vieti di rilasciare un titolo edilizio in contrasto
con questi ultimi.
La tesi opposta — che predica l’estraneità dei diritti dei terzi alla norma attributiva del
potere di sanatoria — vincolerebbe il Comune al rilascio del titolo edilizio pur nella
consapevolezza che la realizzazione del manufatto legittimato integra un illecito civile (per
violazione delle distanze); ma, in un sistema di responsabilità civile che ha ormai riconosciuto la possibilità di convenire in giudizio l’Amministrazione finanche per i danni cagionati
dall’omessa vigilanza, la condotta del Comune che abbia consapevolmente agevolato la
lesione del diritto di proprietà di un terzo, sanando l’edificazione del manufatto, è suscettibile di essere considerata fonte di danno in quanto concausa dell’illecito civile. Cosicché
l’Amministrazione, da un lato, sarebbe obbligata dalla norma attributiva del potere al
rilascio del titolo abilitativo e, dall’altro, rischierebbe di dover rispondere di tale comportamento a titolo di responsabilità civile (cfr. T.A.R. Napoli (Campania) sez. VIII 17 gennaio
2013 n. 369).
Da tale ragionamento deriva la ritenuta esclusione della condonabilità di opere abusive
eseguite in violazione delle distanze legali, trattandosi di ipotesi esulante dalla norma
attributiva del potere di sanatoria.
9) In conclusione, quindi, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento
del provvedimento impugnato, fatte salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione,
anche all’esito del giudizio civile sopra richiamato.
10) Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese del
giudizio.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di
Latina (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso R.G. 207/2009 lo accoglie
e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Francesco Corsaro, Presidente
Davide Soricelli, Consigliere
Roberto Maria Bucchi, Consigliere, Estensore
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Tribunale amministrativo regionale Molise Sez. I 6 dicembre 2013 n. 739 Pres. Ciliberti Est.
Monteferrante I.N.M.N. s.r.l. (avv. Di Pardo) Regione Molise e altri e altri (n.c.). (Avv.
Stato)
[3936/240] Giurisdizione civile - Giurisdizione ordinaria e amministrativa - In genere - Sanità pubblica
- Piano di rientro Governo-Regione - Controversia - Giurisdizione amministrativa esclusiva.
[7608/1128] Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Servizio sanitario regionale - Affidamento
alla legge statale o regionale materie generalmente affidate al governo della P.A. - Legittimità Tutela del cittadino - È affidata al giudice delle leggi.
[7608/1128] Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Tetti di spesa - Programmazione sanitaria Competenza regionale - Limiti alla spesa sanitaria - Mediante determinazioni di carattere
autoritativo e vincolante - Legittimità.
[7608/1128] Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Tetti di spesa - Programmazione sanitaria In coerenza con il contenimento della spesa pubblica - Legittimità.
[7608/1128] Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Tetti di spesa - Determinazione - Previo
avviso inizio procedimento - Obbligo - Esclusione.
[7608/1128] Sanità pubblica - Servizio sanitario nazionale - Prestazioni erogabili - Limite - Imposizione
- Non solo per le strutture private accreditate, ma anche per gli ospedali.
Soggiace alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la controversia avente ad
oggetto il piano Governo-Regione di rientro nel settore sanitario, appartenendo esso al genus
degli accordi di collaborazione tra Amministrazioni (nella specie Governo centrale e Regione
Molise) per lo svolgimento di attività di interesse comune, rappresentato, dalla definizione e,
successivamente, dall’attuazione degli obiettivi e delle misure necessarie al perseguimento
dell’equilibrio economico della Regione Molise; trova quindi applicazione l’art. 15, l. 7 agosto
1990 n. 241 e, con esso, la previsione che devolve le controversie in materia di accordi
collaborazione alla cognizione del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
Non può ritenersi preclusa alla legge ordinaria, né a quella di fonte regionale, la
possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina materie afferenti alla sanità pubblica e
normalmente affidati alla autorità amministrativa, né ciò determina un vulnus al diritto di
difesa del cittadino riguardo agli effetti provvedimentali dell’atto normativo, posto che la
posizione soggettiva di questo troverà la sua adeguata tutela, ovviamente non sul piano della
giurisdizione amministrativa ma, tramite questa, su quello, proprio della tipologia dell’atto in
ipotesi lesivo, della giurisdizione costituzionale.
Nell’esercizio della funzione programmatoria, le Regioni hanno un ampio potere discrezionale nello stabilire come le risorse disponibili per il sistema sanitario debbano essere
utilizzate ed esercitano tale potere tenendo conto di molteplici esigenze quali il diritto degli
assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, l’efficienza delle strutture pubbliche, le
legittime aspettative degli operatori privati che operano secondo logiche imprenditoriale,
l’interesse pubblico al contenimento della spesa.
Nel settore della sanità pubblica il principio di parificazione e di concorrenzialità tra
strutture pubbliche e strutture private deve conciliarsi con il principio di programmazione, che
persegue lo scopo di razionalizzazione del sistema sanitario nell’interesse al contenimento
della spesa pubblica.
Il provvedimento che stabilisce i tetti di spesa e il riparto del fondo sanitario è qualificabile come atto di programmazione della spesa sanitaria e, pertanto, non è soggetto a
comunicazione di avvio del procedimento.
A decorrere dal 2009, e a seguito dell’entrata in vigore del d. l. 25 giugno 2008 n. 112, tutti
gli operatori sanitari, comprese le aziende ospedaliere pubbliche, sono sottoposti ai tetti di
spesa e la remunerazione delle prestazioni extra-tetto non è dovuta neanche alle aziende
ospedaliere, se non quando e nella misura in cui (con applicazione di tagli e regressione
tariffaria) lo prevedano i criteri stabiliti dalla Regione, a titolo legale ed al di fuori degli accordi
contrattuali.
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 219 del 2007, integrato da motivi aggiunti,
proposto dall’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed I.R.C.C.S. S.r.l., in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore Di Pardo,
presso il cui studio in Campobasso, via Berlinguer, n. 1, elegge domicilio;
contro
Regione Molise, Ministero della Salute, Ministero dell’Economia e delle Finanze, in
persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge
dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Campobasso, via Garibaldi, n. 124;
A.S.Re.M. in persona del legale rappresentante p. t., non costituita in giudizio;
nei confronti di
Casa di Cura Villa Maria, in persona del legale rappresentante p. t., controinteressata,
non costituita in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 92 del 2008, proposto dall’Istituto Neurologico
Mediterraneo Neuromed I.R.C.C.S. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore Di Pardo, presso il cui studio in Campobasso, via
Berlinguer, n. 1, elegge domicilio;
contro
Regione Molise, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero della Salute, in
persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge
dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Campobasso, via Garibaldi, n. 124;
nei confronti di
Casa di Cura ″Villa Maria″, in persona del legale rappresentante p. t., controinteressata,
non costituita in giudizio;
per l’annullamento
quanto al ricorso n. 219 del 2007:
- della deliberazione di G.R. n. 362/07 avente ad oggetto “Accordo tra il Ministero della
Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Presidente della Regione Molise per
l’approvazione del Piano di rientro di individuazione degli interventi per il perseguimento
dell’equilibrio economico, ai sensi dell’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2005 n.
311. Approvazione” e dei relativi allegati;
- delle deliberazioni della G.R., richiamate nella D.G.R. 362/07, nn. 1606/05, 737/06,
919/06, 2061/06, con le quali si è provveduto a proporre e integrare il c.d. piano di rientro;
- delle deliberazioni di G.R. adottate nella seduta del 9 febbraio 2007 (richiamate nella
D.G.R. 362/07) nn. 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111 e 112;
- delle deliberazioni di G. R. adottate nella seduta del 27 febbraio 2007 (richiamate
nella DGR 362/07) nn. 163, 164, 165, 166, 167, 168, 169;
- delle deliberazioni di G.R. adottate nella seduta del 6 marzo 2007 (richiamate nella
DGR 362/07) 181, 182, 183 e 184;
- delle deliberazioni di G.R. adottate nella seduta del 13 marzo 2007 (richiamate nella
D.G.R. 362/07) nn. 243, 244, 245;
- della deliberazione di G.R. 357/07, avente ad oggetto ″Accordo tra il Ministero della
Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Regione Molise sottoscritto in data
27.03.07 P.O., di rientro 2007/2008/2009 12.3 e 18.1. Piano delle prestazioni di specialistica
ambulatoriale”;
- delle deliberazioni di G.R. 394/07 avente ad oggetto ″Programma Operativo di rientro
- Accordo tra Regione Molise - M.E.F. e Ministero della Salute del 27.3.07 - Obiettivo
specifico n. 12 e n. 18 - Obiettivo operativo n. 12.3 e 18.1. - Istituzione del Nucleo di
Controllo Regionale per l’attività privata - Fissazione budget di spesa per erogare - IRCCS
Neuromed di Pozzilli” e dei relativi allegati;
- della deliberazione di G.R. 433/07, avente ad oggetto ″Programma Operativo Accordo tra Regione Molise - M.E.F. e Ministero della Salute del 27.3.07 - Obiettivo
specifico n. 12 - Obiettivo operativo n. 12.1. - Fissazione tasso di ospedalizzazione - Triennio
2007- 2008 - 2009 Provvedimenti″ e dei relativi allegati;
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121
nonché per l’annullamento chiesto con i motivi aggiunti notificati il 14.11.07:
- della deliberazione di Giunta regionale n. 972/2007, nella parte in cui propone
illegittime limitazioni all’attività sanitaria svolta dalla struttura ricorrente;
- della deliberazione di Giunta regionale n. 1170/2007, nella parte in cui propone
illegittime limitazioni all’attività sanitaria svolta dalla struttura ricorrente;
nonché per l’annullamento, chiesto con i motivi aggiunti notificati il 14.12.07:
- della deliberazione di Giunta regionale n. 1054/2007 nella parte in cui propone
illegittime limitazioni all’attività sanitaria svolta dalla struttura ricorrente;
nonché per l’annullamento chiesto con i motivi aggiunti notificati il 10.3.08:
- delle determine del direttore generale della direzione generale V della Regione
Molise nn. 91/07, 93/07, 97/07, 98/07, 5/08 e della DGR n. 1537/07 nella parte in cui
propongono illegittime limitazioni all’attività sanitaria svolta dalla struttura ricorrente, in
particolare per ciò che attiene alla determinazione degli impugnati tetti di spesa;
nonché per l’annullamento chiesto con motivi aggiunti notificati il 19.2.2008:
- della nota della Regione Molise direzione generale V, prot. 19113 del 21.12.2007 con
cui si afferma erroneamente che i posti letto complessivamente accreditati per l’IRCCS
Neuromed sono pari a 160;
nonché per l’annullamento chiesto con motivi aggiunti notificati il 14.5.2008:
- della deliberazione di Giunta regionale n. 169/2008, recante la determinazione dei tetti
di spesa provvisori per il 2008 e la conferma dei tetti di spesa per il 2007;
nonché per l’annullamento chiesto con motivi aggiunti notificati il 14.11.2008:
- della delibera del Consiglio regionale n. 190 del 9.7.2008, recante l’approvazione del
piano sanitario regionale, nella parte in cui indica erroneamente che i posti accreditati per
l’IRCSS Neuromed sono 160, nonché nella parte in cui disciplina contraddittoriamente il
piano regionale sangue e plasma;
nonché per l’annullamento chiesto con motivi aggiunti notificati il 30.1.2009:
- del Piano Sanitario regionale - Triennio 2008-2010 adottato con deliberazione del
Consiglio Regionale n. 190 del 9.07.08 ed approvato con legge regionale del 26.11.08, n. 34,
nella parte in cui indica erroneamente che i posti accreditati per l’IRCSS Neuromed sono
160, nonché nella parte in cui disciplina contraddittoriamente il piano regionale sangue e
plasma;
nonché per l’annullamento chiesto con i motivi aggiunti notificati il 6.5.09:
- della delibera di G.R. n. 154 del 23.2.09, comunicata al ricorrente il 02.03.09
riguardante il Programma operativo di rientro 2007 - 2009 e ulteriori provvedimenti di
contenimento della spesa sanitaria;
nonché di tutti gli atti presupposti, consequenziali e/o comunque connessi.
quanto al ricorso n. 92 del 2008 notificato in data 19.2.2008, per l’annullamento:
- della nota della Regione Molise, Assessorato alla Sanità, Direzione Generale V,
Politiche per la tutela della Salute e Assistenza Socio-Sanitaria, a firma del Direttore
Generale Avv. R. Fagnano, n. prot. 19113 del 21.12.07, con cui si afferma, erroneamente, che
i posti letto complessivi, accreditati, autorizzati, contrattualizzati, per l’IRCCS Neuromed,
sono pari a 160;
nonché per l’annullamento, chiesto con motivi aggiunti notificati il 14.11.2008:
- della delibera del Consiglio regionale n. 190 del 9.7.2008, recante l’approvazione del
piano sanitario regionale, nella parte in cui indica erroneamente che i posti accreditati per
l’IRCSS Neuromed sono 160, nonché nella parte in cui disciplina contraddittoriamente il
piano regionale sangue e plasma;
Visti i ricorsi, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Molise, del Ministero della Salute
e del Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2013 il dott. Luca Monteferrante e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO — Con ricorso notificato in data 15 giugno 2007 e rubricato sub
RG 219 del 2007, successivamente integrato con sette ricorsi per motivi aggiunti, l’Istituto
Neurologico Mediterraneo Neuromed I.R.C.S.S. s.r.l. ha impugnato una serie di delibere
della Giunta Regionale della Regione Molise con le quali, in attuazione dell’art. 1, comma
174, della legge n. 311/2004, dell’intesa Stato - Regioni del 23.3.2005 e, successivamente, del
piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, siglato il 27.3.2007 ai sensi dell’art. 1,
comma 180, della legge 30 dicembre 2005, n. 311, anch’esso fatto oggetto di impugnativa,
sono stati applicati tetti di spesa nonché riduzione del budget stanziato per le prestazioni
sanitarie erogate dall’esponente ed è stata decisa la riduzione dei posti letto a 155 unità,
unitamente alla riduzione del tasso di ospedalizzazione regionale, sul presupposto – contestato dalla esponente - che la struttura sia autorizzata ed accreditata per n. 160 posti letto
anziché 308.
Con distinto ricorso notificato in data 19.2.2008 e rubricato sub RG 92 del 2008,
successivamente integrato con motivi aggiunti notificati in data 14.11.2008, ha nuovamente
impugnato in via autonoma la nota della Regione Molise, Assessorato alla Sanità, Direzione
Generale V, Politiche per la tutela della Salute e Assistenza Socio-Sanitaria, in cui si afferma
che i posti letto complessivi, accreditati, autorizzati, contrattualizzati, per l’IRCCS Neuromed, sarebbero pari a 160, anziché a 308, nonché la delibera del Consiglio regionale n. 190
del 9.7.2008, recante l’approvazione del piano sanitario regionale, nella parte in cui indica
che i posti accreditati per l’IRCSS Neuromed sarebbero pari a 160, ma anche nella parte in
cui l’atto disciplina contraddittoriamente il piano regionale sangue e plasma, escludendo
illegittimamente l’IRCCS ricorrente dalla rete di assistenza regionale, atti, entrambi, già
impugnati nell’ambito del ricorso RG 219/2007.
Con i predetti ricorsi e con i motivi aggiunti notificati, l’Istituto ricorrente lamenta che
l’approvazione del piano di rientro e l’adozione delle successive delibere attuative non
sarebbero state precedute da una ricognizione delle cause del disavanzo e della cattiva
gestione della sanità regionale, imposta, invece, dall’art. 1, comma 180, della legge 30
dicembre 2005, n. 311; sarebbe mancata la preventiva approvazione del piano sanitario
regionale, che rappresenta lo strumento programmatorio principale per assicurare una
gestione efficiente della sanità regionale, ai sensi dell’art. 55 della legge n. 833/1978, dell’art.
1, comma 13, del d. lgs. n. 502/1992 e dell’art. 2 della legge della Regione Molise n. 9/2005,
alla cui formazione, peraltro, la ricorrente avrebbe dovuto partecipare, quale polo di
eccellenza e punto di riferimento insostituibile per la sanità regionale.
Ha, altresì, dedotto l’incompetenza della Giunta regionale a provvedere, per essere
competente il Consiglio regionale che, nella specie, avrebbe omesso di adottare atti di
indirizzo.
L’istruttoria prodromica alla sottoscrizione del piano di rientro non avrebbe potuto
essere affidata alla locale A.S.Re.M., in quanto principale responsabile della situazione di
disavanzo, nonché competitor delle strutture private convenzionate, quindi operante in
palese conflitto di interessi.
Il piano di rientro e i successivi provvedimenti attuativi si porrebbero in contrasto anche
con il quadro strategico nazionale 2007-2013, finanziato dai fondi europei, che mira invece
a premiare le strutture sanitarie di eccellenza e a valenza interregionale, quale è l’Istituto
Neuromed; inoltre, sarebbero affetti da illogicità, in quanto recanti l’effetto di limitare la
mobilità attiva, generata dalle strutture virtuose come Neuromed, che assicura ricavi e non
spese per il Servizio sanitario regionale, limitandosi quest’ultimo ad anticipare in favore di
dette strutture gli oneri economici relativi alle prestazioni rese in favore dei pazienti
extraregionali, successivamente rimborsati dalle Regioni di appartenenza.
L’Istituto ricorrente ha anche impugnato la proposta di accordo contrattuale per lo
svolgimento delle prestazioni sanitarie predisposta dalla Regione Molise con DGR 394/2007
per l’anno 2007, in quanto ritenuta lesiva dei propri interessi, per averne disconosciuto la
natura di centro di eccellenza, imposto l’espressa accettazione di delibere regionali reputate
pregiudizievoli, stimato erroneamente il piano delle prestazioni erogabili, ridotto immotivatamente le prestazioni erogabili agli utenti extraregionali, in contrasto con la propria
natura di struttura a vocazione ultraregionale, introdotto degli incongrui obblighi di informazione in favore della A.S.Re.M., previsto una disciplina contraddittoria della rimborsa-
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bilità delle prestazioni extra budget, disciplinato in modo illegittimo i criteri di ripartizione
della spesa preventivata (con vincolo di non superare i limiti di spesa mensile), disciplinato
i tempi di pagamento e di finanziamento della ricerca in modo contraddittorio rispetto
all’intesa stipulata tra Neuromed, la Regione Molise e l’Università “La Sapienza” di Roma,
disciplinato in modo illegittimo il collegio arbitrale cui devolvere le eventuali controversie.
Lamenta, infine, la contraddittorietà dell’agire regionale nella misura in cui, a fronte di
una grave e risalente situazione debitoria, ha ritenuto di penalizzare le strutture virtuose,
quale quella della esponente, in violazione peraltro degli impegni reciprocamente assunti
mediante stipula, nell’ottobre 2004, di un’intesa – e di altre precedenti e successive - con la
quale Neuromed si impegnava a sviluppare l’attività di ricerca e di formazione di interesse
per il servizio sanitario regionale, anche al fine di innalzare la qualità dell’assistenza sanitaria
regionale; il dedotto vizio di eccesso di potere sarebbe confermato dalla circostanza per cui
la Regione, nel mentre riduceva i finanziamenti in favore delle strutture private di eccellenza, avrebbe investito importanti risorse finanziarie per potenziare strutture pubbliche,
quali l’ospedale Veneziale di Isernia, incrementando al contempo il numero di posti di un
nosocomio pubblico.
Rileva che i provvedimenti impugnati limiterebbero anche la libertà di scelta degli
utenti, penalizzando le strutture private virtuose.
Si duole, infine, della mancata partecipazione al procedimento di adozione degli atti
impugnati nonostante la posizione qualificata e differenziata, in ragione del protocollo di
intesa sottoscritto con la Regione Molise e con l’Università “La Sapienza” di Roma.
In entrambi i ricorsi si sono costituiti in giudizio la Regione Molise, il Ministero della
Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze per resistere alle censure articolate,
contestandone la fondatezza nel merito e, in ultimo, l’improcedibilità, stante la sopravvenuta
reiterata adozione di nuovi provvedimenti di contenuto tale da privare la ricorrente di ogni
interesse alla decisione di merito. Gli enti intimati hanno anche eccepito preliminarmente il
difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a sindacare il piano di rientro, stante la sua
natura pattizia e non provvedimentale, l’incompetenza territoriale del TAR Molise, stante
l’idoneità del piano di rientro a produrre effetti non limitati ai confini territoriali della
Regione Molise, la tardività dell’impugnazione stante l’adozione, risalente nel tempo, di atti
istruttori prodromici alla sottoscrizione del piano di rientro.
Con ordinanza n. 247/07, è stata accolta la domanda cautelare, al fine di riesaminare i
provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo (piano di rientro, piano delle prestazioni
sanitarie erogate dalla strutture private convenzionate e bozza di accordo per la contrattualizzazione delle prestazioni sanitarie erogabili dall’Istituto Neuromed nel 2007), tenendo
conto dell’effettivo utilizzo dei posti letto e “delle peculiarità della struttura ricorrente con
riguardo ai servizi sanitari offerti ai cittadini (d’eccellenza e/o assicurati in forma esclusiva
nell’ambito regionale) e correlativamente all’utenza dei servizi stessi (regionale ed extraregionale) nonché alle attività di ricerca scientifica e di formazione universitaria”.
Con sette ricorsi per motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato i successivi provvedimenti adottati dalla Giunta regionale in attuazione del piano di rientro, indicati in epigrafe,
ivi compreso il piano sanitario regionale, successivamente approvato con delibera del
Consiglio Regoinale n. 190/2008 e le ulteriori misure di contenimento della spesa deliberate
con DGR n. 154/2009, reiterando i motivi di censura articolati con il ricorso introduttivo e
lamentando altresì il mancato riesame, in ottemperanza dell’ordinanza cautelare n. 247/07,
delle delibere adottate dalla Giunta regionale e, conseguentemente, il vizio di illegittimità
derivata, da cui risulterebbero affette quelle successive di attuazione.
Alla pubblica udienza del 28.11.2013, tutti i ricorsi sono stati trattenuti in decisione,
previo deposito di memorie difensive, con le quali le parti hanno nuovamente illustrato le
rispettive tesi difensive.
Preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe, stante la loro
connessione soggettiva, trattandosi di ricorsi aventi tutti per oggetto atti contestati dall’Istituto Neuromed e adottati dalla Regione Molise, nonché dai Ministeri della Salute e
dell’Economia e delle Finanze, in attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore
sanitario sottoscritto in data 27.3.2007, in applicazione dell’art. 1, comma 180 della legge n.
311/2005 e, prim’ancora, in attuazione dell’art. 1, comma 173, della legge 30 dicembre 2004,
n. 311 e dell’intesa Stato – Regioni del 23 marzo 2005.
V’è, inoltre, continenza di cause, atteso che i provvedimenti impugnati con il ricorso
RG 92/2008 sono stati impugnati anche con il RG 219/2007.
Quanto alle eccezioni preliminari sollevate dalle Amministrazioni intimate, occorre, in
ordine, disattendere quella relativa al difetto di giurisdizione in quanto il piano di rientro
rientra nel genus degli accordi di collaborazione tra Amministrazioni (nella specie Governo
centrale e Regione Molise) per lo svolgimento di attività di interesse comune, rappresentato,
nel caso di specie, dalla definizione e, successivamente, dalla attuazione degli obiettivi e delle
misure necessarie al perseguimento dell’equilibrio economico della Regione Molise; trova,
dunque, applicazione l’art. 15 della legge n. 241 del 1990 e, con esso, la previsione che
devolve le controversie in materia di accordi collaborazione alla cognizione del giudice
amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (art. 15, comma 2, che, nella versione
all’epoca vigente, rinviava all’art. 11, comma 5 della legge n. 241 del 1990).
L’eccezione di incompetenza territoriale è, invece, inammissibile non essendo stata
veicolata attraverso lo strumento necessario del regolamento di competenza.
Le ulteriori eccezioni di tardività delle impugnazioni possono, viceversa, essere assorbite, tenuto conto che la maggior parte delle censure articolate sono improcedibili o
inammissibili e, per la parte residua, comunque infondate nel merito.
Nel merito, i ricorsi in esame vanno dichiarati improcedibili, con riguardo alla doglianza
relativa alla riduzione dei posti letto.
A tal riguardo, in sede di discussione pubblica, il Collegio ha rilevato, quanto ai posti
letto, che la delibera del Consiglio regionale n. 190 del 9.7.2008, recante l’approvazione del
piano sanitario regionale per il triennio 2008-2010, ha confermato che la dotazione dei posti
letto autorizzata in favore dell’Istituto Neuromed sarebbe pari a 160 unità anziché 308,
operando un’ulteriore riduzione a 155 e che, essendo stata tale delibera successivamente
approvata con legge regionale n. 34 del 26.11.2008, ai sensi dell’art. 6 dello Statuto regionale,
potrebbe sussistere un profilo di improcedibilità di tale capo della domanda, essendo
evidente che i vizi di legittimità articolati dalla ricorrente, in relazione agli atti della sequenza
procedimentale, non possono trovare accoglimento, una volta che il piano sanitario regionale abbia assunto la veste formale di legge regionale.
La difesa della ricorrente, in sede di discussione in udienza pubblica, con riferimento
alla sopravvenuta legificazione del piano sanitario regionale - che ha cristallizzato la
riduzione dei posti letto contestata e disciplinato il piano del sangue e del plasma, escludendo la ricorrente dalla rete di assistenza - ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art.
11 della legge regionale n. 34 del 2008, in quanto legge provvedimento, adottata proprio al
fine di limitare la tutela giurisdizionale, con conseguente lesione degli artt. 3, 24, 113, 111 e
97 Cost..
Le deduzioni difensive di parte ricorrente non sono, tuttavia, idonee a superare il
profilo di improcedibilità rilevato dal Collegio.
Si è già detto che tale riduzione, dapprima disposta e confermata con le DGR
variamente impugnate, è stata recepita nel piano sanitario regionale di cui alla delibera del
Consiglio regionale n. 190/2008, successivamente approvata con l’art. 11 della legge regionale n. 34 del 2008. Ne discende che la sopravvenuta legificazione delle previsioni ritenute
lesive degli interessi della ricorrente non consente l’esame dei motivi di doglianza indirizzati
avverso le delibere di Giunta, successivamente confluite nel piano sanitario regionale.
La ricorrente ha eccepito, da ultimo, l’illegittimità costituzionale del predetto articolo
11, sul presupposto che, trattandosi di una legge - provvedimento, vi sarebbe una lesione del
diritto di difesa, indicando come parametri di legittimità gli artt. 3, 97, 24, 111 e 113 della
Costituzione.
Il Collegio reputa la questione inammissibile e, comunque, manifestamente infondata.
Inammissibile, poiché in sede di impugnazione della delibera del Consiglio regionale n.
190/2008, recante l’adozione del piano sanitario regionale, come successivamente approvata
con l’art. 11 della legge regionale n. 34 del 2008, la ricorrente non ha articolato alcuna
tempestiva censura in ordine alla natura di legge - provvedimento, con possibili riflessi
pregiudizievoli sulla tutela giurisdizionale delle proprie ragioni. Ha, al contrario, richiamato
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l’iter di approvazione del piano sanitario regionale, rammentando espressamente e adesivamente che la competenza legislativa del Consiglio trova esplicito fondamento nell’art. 6 dello
Statuto regionale, come peraltro già precisato da questo TAR con sentenza n. 12/2009 (con
la quale è stata annullata la delibera di Consiglio regionale n. 117/2007 di approvazione del
piano sangue e plasma per il triennio 2007/2010, in quanto non approvata con legge
regionale, come prescritto dall’art. 6 dello Statuto regionale).
Ma la questione è anche manifestamente infondata, in quanto lo strumento della legge
- provvedimento non è precluso in via assoluta, essendo invece soggetto a uno stringente
controllo di costituzionalità sotto il profilo della ragionevolezza e della non manifesta
arbitrarietà, in relazione al pericolo di ingiustificate disparità di trattamento, che è insito
nella adozione di disposizioni legislative di tipo particolare; tale scrutinio deve essere tanto
più stringente quanto più marcati sono i profili provvedimentali caratteristici della legge
soggetta al controllo (così, ex plurimis, cfr. Corte Cost. n. 241 del 2008 e n. 267 del 2007).
Con specifico riferimento al profilo della possibile limitazione della tutela giurisdizionale, la Corte Costituzionale ha ripetutamente disatteso le censure di violazione degli
articoli 24 e 113 Cost. precisando “che non è preclusa alla legge ordinaria, né a quella di fonte
regionale, la possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente affidati alla autorità amministrativa (cfr. Corte Cost. n. 267 del 2007); né ciò determina
un vulnus al diritto di difesa del cittadino riguardo agli effetti provvedimentali dell’atto
normativo, posto che la posizione soggettiva di questo troverà la sua adeguata tutela,
ovviamente non sul piano della giurisdizione amministrativa ma, tramite questa, su quello,
proprio della tipologia dell’atto in ipotesi lesivo, della giurisdizione costituzionale” (così Corte
Cost. n. 289/2010 ma si veda anche Corte Cost. 94/2009).
Sulla problematica si è, peraltro, già specificamente pronunciata la Corte Costituzionale, con sentenza n. 289/2010, con la quale è stata dichiarata l’infondatezza di identica
questione sollevata dal TAR Abruzzo, in relazione all’art. 1, comma 2, della legge della
Regione Abruzzo 5 aprile 2007, n. 6 che, nell’ambito delle misure di razionalizzazione e di
contenimento della spesa sanitaria, conteneva puntuali previsioni di riduzione dei posti letto
a carico delle strutture private convenzionate.
Non v’è stato, inoltre, abuso o sviamento della funzione legislativa allo scopo specifico
di limitare la tutela giurisdizionale, in quanto l’approvazione con legge del piano sanitario
regionale è prevista dall’art. 6, comma 2, lett. b) dello Statuto della Regione Molise, che
rimette alla competenza legislativa del Consiglio l’approvazione della “organizzazione dei
servizi pubblici di interesse della Regione” tra i quali dev’essere certamente annoverato il
servizio sanitario regionale, come già chiarito da questo TAR con sentenza n. 12/2009 e
rammentato proprio dalla ricorrente richiamando nei suoi atti difensivi tale specifico
precedente (cfr., in particolare, p. 15 ss dei motivi aggiunti notificati in data 30.4.2009).
Deve, conseguentemente, concludersi nel senso che le doglianze avverso la disposta
riduzione dei posti letto e la disciplina del piano sangue e plasma che esclude la ricorrente
dalla rete di assistenza, articolate con il ricorso introduttivo, i motivi aggiunti notificati il
14.11.2008 e quelli notificati il 30.1.2009 (con i quali è stata impugnata la delibera di adozione
e, successivamente, di approvazione del piano sanitario regionale da parte del Consiglio
Regionale) sono improcedibili.
Sono, invece, inammissibili i motivi aggiunti notificati in data 19.2.2008, con i quali è
stata impugnata la nota dell’Assessorato alla Sanità, direzione generale V della Regione
Molise prot. 19113 del 21.12.2007, in cui si afferma che i posti letto complessivi accreditati,
autorizzati e contrattualizzati per l’IRCCS Neuromed sono pari a 160 (anziché 308), in
quanto si tratta di atto privo di valenza provvedimentale - peraltro indirizzato a un
Consigliere regionale e non alla struttura ricorrente - e comunque avente natura meramente
interlocutoria, come confermato dalla circostanza che nella medesima nota si specifica che
“i dati numerici sopra citati, sebbene contenuti nel P.O. di rientro e nell’emanando PSR, non
hanno comunque ancora valore di certificazione definitiva, pertanto ci si riserva di integrare
la presente all’esito del procedimento per la riconferma degli accreditamenti provvisori di cui
in premessa”.
In ogni caso, le censure relative alla riduzione dei posti letto risultano infondate anche
nel merito e ciò per ragioni estensibili alla doglianza relativa alla fissazione del tasso di
ospedalizzazione operato con DGR 433/2007, impugnata con il ricorso introduttivo, tenuto
conto che dalle verifiche istruttorie richiamate nel piano di rientro, l’offerta ospedaliera
molisana si attestava al 31.12.2006 in 1883 posti letto, pari al tasso 5,85 per mille abitanti,
laddove in sede di Intesa Stato – Regioni siglata il 23.3.2005, all’art. 4, comma 1, è previsto
entro il 2007 uno standarddi posti letto ospedalieri accreditati effettivamente a carico del
servizio sanitario regionale non superiore a 4,5 posti letto per mille abitanti, con una
variazione comunque non superiore al 5 per cento, tenuto conto di particolari situazioni
regionali, ciò in linea con le previsioni contenute nel piano sanitario nazionale, miranti al
potenziamento della assistenza territoriale, dovendo l’assistenza ospedaliera orientarsi alla
intensità di cura medio - alta.
Analogamente, anche il tasso di ospedalizzazione registrato nella Regione Molise, pari
al 250,41 per mille abitanti, rilevato nel 2005, si attesta ben oltre i limiti indicati nella
richiamata Intesa Stato – Regioni che prevedeva il raggiungimento di un tasso di ospedalizzazione per ricoveri ordinari e in regime diurno, entro il 180 per mille abitanti residenti.
A tal proposito, risulta irrilevante la censura con la quale la ricorrente ha contestato
l’inapplicabilità della riduzione del tasso di ospedalizzazione alla propria struttura, dove le
degenze sono a elevata complessità, tenuto conto che la programmazione regionale deve
necessariamente tener conto dei dati aggregati relativi alla cifra complessiva dei ricoveri su
scala regionale e raccordarli a quelle che sono le indicazioni contenute nel piano sanitario
nazionale, essendo peraltro obbligata a dare attuazione all’art. 4 dell’Intesa Stato – Regioni
23 marzo 2005.
La problematica sconta indubbiamente la difficoltà oggettiva connessa alla presenza di
una struttura ospedaliera di rilievo nazionale in una Regione con una modesta popolazione
sicché i dati previsionali rilevanti per la stima del fabbisogno delle prestazioni da erogare, in
applicazione dei parametri indicati nel piano sanitario nazionale e nelle Intese siglate in sede
di Conferenza Stato – Regioni (con particolare riferimento alla stima dei posti letto e al tasso
di ospedalizzazione per le prestazioni a intensità medio-alta), dovendo necessariamente
essere calibrati sulle caratteristiche del territorio e della popolazione residente, risultano
potenzialmente sottostimati rispetto alla rilevanza e alla capacità produttiva dell’IRCCS
ricorrente.
Cionondimeno, la Regione Molise, soprattutto nell’attuale grave situazione di disavanzo, è tenuta a dare rigorosa e puntuale applicazione ai suddetti parametri che comportano una inevitabile riduzione della capacità produttiva dell’Istituto ricorrente, anche se
compensata attraverso una ponderata disciplina della mobilità attiva.
Quanto poi alla presunta erronea indicazione nel piano di rientro e, successivamente,
nel piano sanitario regionale, del numero di posti letto autorizzati, accreditati e contrattualizzati, la documentazione versata in atti dalla ricorrente risulta tutt’altro che convincente.
In nessuno dei documenti esibiti è possibile, infatti, leggere che l’Istituto ricorrente
possa disporre di 308 posti letto in regime di accreditamento, quindi con oneri a carico del
servizio sanitario regionale.
La sentenza del TAR del Lazio n. 6142/2006 si limita a rilevare che, nell’ambito del
procedimento di riconoscimento del carattere scientifico di un istituto di ricovero e cura a
carattere scientifico (IRCCS), il Ministero non ha “alcun potere di definizione del numero dei
posti di accreditamento” e conseguentemente ha annullato il decreto ministeriale di conferma del riconoscimento del carattere scientifico dell’Istituto ricorrente nella parte in cui
aveva, in modo ultroneo, limitato a 160 posti letto, per la disciplina “neuroscenze”, il
riconoscimento del carattere scientifico. Ciò sull’evidente presupposto - debitamente evidenziato in motivazione - che tale profilo è di stretta competenza regionale.
La ricorrente, tuttavia, invece di depositare provvedimenti inequivoci relativi all’accreditamento, richiama atti del Comune di Pozzilli, decreti del Ministero della Salute, la
relazione di una Commissione parlamentare, una nota della A.S.L. “Pentria” di Isernia,
delibere di Giunta regionale di autorizzazione al trasferimento dell’attività sanitaria, altre
delibere di Giunta di autorizzazione ad attivare un servizio ai malati di Alzheimer in numero
massimo di 20 assistiti in regime residenziale che però devono ritenersi “ricompresi nei posti
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letto già autorizzati presso l’IRCCS Neuromed” (DGR 600/2006 e 123/2007), ma non
delibere di Giunta regionale, né altri atti di assenso, né convenzioni che affermino in modo
inequivoco che l’accreditamento è stato riconosciuto per 308 posti. Solo nella DGR 1376
/2003, si dice incidentalmente (senza fare riferimento ad atti presupposti) che Neuromed “è
in possesso di accreditamento per attività sanitaria per complessivi 308 posti letto”, salvo
precisare subito dopo che “attualmente eroga prestazioni in regime di SSN per un totale di 160
posti letto”, sicché deve desumersi che il numero dei posti letto che la Regione Molise si è
impegnata a remunerare è pari a 160 e non a 308.
In ogni caso, le risultanze istruttorie e le puntuali contestazioni mosse dalla difesa
regionale inducono a ritenere che non si sia trattato di un mero errore nel riportare il
numero di 160 nel testo del piano di rientro e, successivamente, nel documento contenente
il piano sanitario regionale, sicché, in questa sede, deve ritenersi inammissibile il tentativo
della ricorrente di introdurre in modo surrettizio una domanda di accertamento, non
contemplata tra le forme di azione esperibili innanzi al giudice amministrativo.
Poiché, infatti, non si tratta di un mero travisamento di un presupposto di fatto
incontestato, ma dell’accertamento di una circostanza controversa tra le parti, la ricorrente
avrebbe dovuto tempestivamente impugnare i provvedimenti regionali adottati nell’ambito
del procedimento di accreditamento laddove ritenuti lesivi dei propri interessi in ordine alla
corretta indicazione della dotazione dei posti letto ammessi in convenzione; ove non si
accedesse a tale prospettazione, il ricorso improprio all’azione di accertamento incidentale
implicherebbe l’aggiramento del termine decadenziale del provvedimento amministrativo,
rappresentato, nella specie, dalla concessione e/o conferma dell’accreditamento provvisorio.
Con i restanti motivi di censura - che investono sia la problematica dei posti letto che
quella della introduzione dei tetti di spesa - l’Istituto Neuromed ha contestato, in sintesi,
quanto segue: l’illegittima assenza del piano sanitario regionale; l’incompetenza della Giunta
regionale; la violazione dell’art. 1, comma 180 della legge n. 311/2004 e dell’Intesa Stato Regioni del 23.3.2005, per omessa valutazione analitica delle cause strutturali del disavanzo;
la contraddittorietà dell’azione amministrativa posta in essere dalle Amministrazioni intimate in contrasto con la volontà del legislatore nazionale e comunitario di incentivare le
strutture sanitarie di eccellenza e a valenza interregionale; l’illogicità della scelte compiute
con riferimento al regime della mobilità e la contraddittorietà rispetto agli impegni pattizi,
precedentemente assunti con l’istituto ricorrente, tutti orientati al potenziamento della
struttura, ciò anche con riferimento alla concomitante decisione di potenziare i posti letto in
altra struttura pubblica e di destinare importanti risorse finanziarie per ristrutturare altro
ospedale pubblico; la violazione della libertà di scelta degli utenti tra strutture pubbliche e
strutture private; l’omessa partecipazione al procedimento; l’incompatibilità della A.S.Re.M.
a svolgere l’istruttoria propedeutica alla predisposizione del piano di rientro, in quanto
competitor delle strutture private convenzionate, la mancata esecuzione dell’ordinanza
cautelare di questo TAR n. 247/2007, che avrebbe inficiato per illegittimità derivata tutte le
delibere di Giunta assunte in attuazione dei presupposti atti sospesi dal TAR.
Tutti i motivi sono infondati.
Quanto all’impugnazione, nei limiti delle previsioni allegatamente pregiudizievoli, del
piano di rientro sottoscritto in data 27.3.2007 e recepito con DGR n. 362 del 30.3.2007, la
struttura ricorrente non ha interesse al suo annullamento: con specifico riferimento alle
previsioni relative alla riduzione dei posti letto, si è già evidenziato che le stesse sono state
legificate con l’approvazione del piano sanitario regionale avvenuta con l’art. 11 della legge
n. 34 del 2008, sicché le doglianze che fanno leva sul potere di annullamento del giudice
amministrativo non possono trovare ingresso in questa sede; quanto invece alla tematica dei
tetti di spesa, come meglio si dirà nel prosieguo, il piano di rientro non contiene previsioni
immediatamente lesive per la ricorrente, bensì riporta i dati aggregati relativi al monte
complessivo delle spese per prestazioni erogabili (riportato nel modello CE programmatico
2007-2009 che stima i costi, al netto dei risparmi conseguenti alla implementazione delle
azioni positive programmate), da ripartire con i successivi provvedimenti attuativi tra tutti gli
operatori privati convenzionati.
La sua impugnazione deve, pertanto, ritenersi in parte improcedibile, in relazione ai
posti letto, e in parte inammissibile, per difetto del requisito dell’immediata lesività, con
riferimento alla disciplina dei tetti di spesa.
Le censure direttamente appuntate avverso siffatto accordo sono, comunque, infondate.
Quanto alla mancanza del piano sanitario regionale, deve rilevarsi che nessuna norma
di legge impone che il piano di rientro debba essere preceduto dall’approvazione del piano
sanitario regionale. Nella specie, una tale conclusione sarebbe, per di più, improponibile
tenuto conto che uno degli obiettivi del piano di rientro è rappresentato proprio dall’adozione del piano sanitario regionale, la cui ultima versione è stata approvata con delibera del
Consiglio regionale n. 505 del 30.12.1996, per il triennio 1997-1999: è, dunque, manifestamente contraddittorio pretendere di far discendere un vizio dalla pretesa mancanza di un
atto presupposto (il piano sanitario regionale) che è conseguenza dell’inadempimento cui si
intende porre rimedio con l’atto in contestazione (il piano di rientro).
In ogni caso, il piano sanitario regionale è stato successivamente adottato con delibera
di Consiglio regionale n. 190 del 9.7.2008 e, in tal modo, si è provveduto a coordinare gli
obiettivi del piano di rientro con lo strumento principale della programmazione sanitaria in
ambito regionale.
Quanto alla dedotta incompetenza della Giunta regionale ad adottare gli atti impugnati, è sufficiente osservare che la competenza dell’organo in questione è stata ribadita, con
riferimento a tutti gli interventi di attuazione del programma operativo di rientro, dall’art.
11, comma 4, della legge regionale n. 34 del 2008 e, per quanto concerne la competenza ad
approvare il piano di rientro, dall’art. 1, comma 2, del decreto legge 20 marzo 2007, n. 23
convertito con modificazioni dalla legge 17 maggio 2007, n. 64.
Quanto alla mancata ricognizione delle cause del disavanzo, in pretesa violazione
dell’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004, la doglianza è irrilevante ai fini di causa,
tenuto conto che l’intervento in materia di razionalizzazione della rete ospedaliera discende
dagli obblighi imposti dal piano sanitario nazionale e dall’art. 4 dell’Intesa Stato – Regioni
del 23 marzo 2005; in ogni caso, le ragioni del mancato allineamento della offerta ospedaliera
regionale agli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale risultano puntualmente
descritte a p. 34 e ss. del programma operativo allegato al piano di rientro, che comprovano
un ricorso improprio alle prestazioni ospedaliere, sia per numero dei posti letto che per tasso
di ospedalizzazione, con conseguente ingente dispendio di risorse finanziarie.
La previsione, invece, dei tetti di spesa si giustifica ex se, a causa della situazione di
gravissimo disavanzo in cui versa la Regione Molise.
In ogni caso, più in generale da un lettura complessiva del piano operativo, emerge una
puntuale ricognizione delle azioni necessarie per razionalizzare la spesa sanitaria e, soprattutto, la ricognizione delle criticità presenti nel sistema sanitario regionale - come tali causa
di un utilizzo improprio di risorse - che, una volta censite, sono state tradotte in 18 obiettivi
specifici da perseguire nell’attuazione del piano di rientro (cfr. p. 60 del piano di rientro).
Il piano, dunque, ben evidenzia le cause del disavanzo, declinandole in termini di
obiettivi programmatici, verso cui orientare le misure di risanamento e di razionalizzazione
della spesa sanitaria.
Quanto alla presunta contraddittorietà delle misure adottate rispetto all’indirizzo del
legislatore nazionale e comunitario di incentivare le strutture sanitarie di eccellenza, è
evidente che tali obiettivi devono coordinarsi con il sistema della programmazione sanitaria
regionale, atteso che spetta, comunque, alla Regione di stabilire in che misura la valorizzazione delle strutture sanitarie di eccellenza possa essere garantita senza pregiudicare i
concorrenti obiettivi della programmazione regionale, tra i quali, nell’attuale momento
storico, spicca con assoluta priorità quello di assicurare l’equilibrio economico del bilancio
regionale.
La riduzione della capacità di erogare servizi sanitari della struttura ricorrente appare,
dunque, coerente con le priorità di risanamento del bilancio regionale, imposte peraltro
dalla sovraordinata normativa nazionale e comunitaria.
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Del pari infondata è la censura con la quale il ricorrente contesta la supposta contraddittorietà della scelta di imporre tetti di spesa, riducendo al contempo i posti letto, presso la
propria struttura, di riconosciuta eccellenza, rispetto a quella concomitante con cui si
stabilisce di attribuire posti letto aggiuntivi in altra e diversa struttura ospedaliera, come
pure di investire cospicue risorse finanziarie per opere di adeguamento di altro ospedale
pubblico (il “Veneziale” di Isernia); è sufficiente, al riguardo, richiamare il consolidato
principio per cui, nell’esercizio della funzione programmatoria, le Regioni hanno un ampio
potere discrezionale nello stabilire come le risorse disponibili per il sistema sanitario
debbano essere utilizzate, ed esercitano tale potere tenendo conto di molteplici esigenze
quali il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, l’efficienza delle
strutture pubbliche, le legittime aspettative degli operatori privati che operano secondo
logiche imprenditoriale, l’interesse pubblico al contenimento della spesa (Consiglio di Stato,
Sez. III, 14 gennaio 2013 n. 134 e 9 aprile 2013, n. 1917).
Ulteriore profilo di contraddittorietà è rinvenuto dalla esponente nella applicazione di
misure penalizzanti a una struttura che genera una rilevantissima mobilità attiva, che
rappresenterebbe una risorsa finanziaria e non un costo per la sanità regionale.
La censura non merita di essere condivisa, in quanto il flusso di mobilità genera
certamente ricavi per la struttura ricorrente - che matura il diritto a vedersi compensare
direttamente dalla Regione Molise le prestazioni erogate in favore dei pazienti extraregionali - ma per la Regione Molise rappresenta, dal punto di vista contabile, una spesa, in
quanto si vede costretta ad anticipare alla struttura convenzionata il costo delle prestazioni
rese in favore di pazienti extraregionali, salvo poi attendere di poter conseguire il rimborso
nella sede istituzionale in cui si operano le compensazioni tra flussi generati dalla mobilità
attiva e passiva: i tempi per ottenere i rimborsi non sono, tuttavia, brevi e le voci di spesa
sono soggette anche a possibili contestazioni sicché, a fronte di un esborso certo e immediato
in favore della struttura ricorrente, la Regione Molise risulta titolare di un credito incerto e
futuro e si vede, pertanto, esposta al rischio di non poter recuperare integralmente quanto
anticipato.
Ne discende che la limitazione della capacità operativa dell’Istituto ricorrente, in
conseguenza dei tetti di spesa e della riduzione dei posti letto applicati, non è sintomatico di
alcun profilo di contraddittorietà, in quanto la mobilità attiva apporta risorse all’Istituto
ricorrente, ma non necessariamente alla Regione Molise.
La questione risulta, comunque, superata dall’assetto regolamentare fissato con le
DGR impugnate, essendo stata esclusa dalla inderogabilità dei tetti di spesa la rimborsabilità
delle prestazioni rese in favore di pazienti extraregionali, secondo il meccanismo disciplinato, da ultimo, con la DGR 169/2009, che condiziona il pagamento in favore della ricorrente
alla effettiva percezione dei rimborsi da parte della Regione Molise in sede di riparto del
saldo della mobilità extraregionale con approvazione dei relativi valori nella sede istituzionale della Conferenza Stato – Regioni.
Nessuna contraddittorietà può, infine, essere rinvenuta nelle decisioni assunte e qui
contestate rispetto alle scelte formalizzate in sede di Intesa sottoscritta nell’ottobre 2004 tra
la ricorrente, la Regione Molise e l’Università “La Sapienza” di Roma, finalizzate al
potenziamento della attività di ricerca, insegnamento ed assistenza, poiché i provvedimenti
impugnati, lungi dal manifestare un profilo di eccesso di potere, rappresentano la doverosa
applicazione di sopravvenute norme di legge statali e di norme pattizie, concordate in sede
di Conferenza Stato – Regioni, che rendono la loro adozione doverosa nell’an e, per certi
aspetti, (numero posti letto per abitanti e tasso di ospedalizzazione) vincolata nel quomodo.
Altra e distinta problematica concerne la possibilità che la Regione Molise, con la
adozione dei provvedimenti impugnati, possa avere disatteso obblighi contrattuali, integrando una fattispecie di inadempimento, ma la doglianza, a ben vedere, non mira a
contestare un inadempimento contrattuale bensì a evidenziare un esercizio contraddittorio
del potere di programmazione del servizio sanitario regionale che, per le ragioni esposte,
deve tuttavia ritenersi insussistente.
L’Istituto ricorrente lamenta, ancora, che l’adozione delle misure contestate, penalizzando le strutture private virtuose, comporterebbe un’indebita limitazione della libertà di
scelta dell’utenza tra strutture pubbliche e strutture private.
La doglianza è infondata.
Come è stato chiarito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 200 del 26 maggio 2005),
anche nel regime dell’accreditamento (introdotto dall’art. 8, comma 5 del D.Lgs. n. 502 del
1992), improntato alla logica della parificazione e della concorrenzialità tra strutture
pubbliche e strutture private e caratterizzato dalla facoltà di libera scelta della struttura
privata, a condizione che questa risulti in possesso dei requisiti previsti dalla normativa
vigente e accetti il sistema della remunerazione a prestazione, sussiste il limite della
fissazione del tetto massimo di spesa sostenibile, regolato nel suo esercizio dall’art. 32 della
L. n. 449 del 1997. Il principio di parificazione e di concorrenzialità tra strutture pubbliche
e strutture private deve, infatti, conciliarsi con il principio di programmazione, che persegue
lo scopo di razionalizzazione del sistema sanitario nell’interesse al contenimento della spesa
pubblica (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3374 del 6 giugno 2011; Sez. V, n. 1252 del 28
febbraio 2011).
Deve essere respinto anche il motivo con il quale l’Istituto ricorrente ha lamentato la
violazione delle norme sul procedimento dettate dall’art. 7 della L. n. 241 del 1990.
Per giurisprudenza pacifica, infatti, il provvedimento che stabilisce i tetti di spesa e il
riparto del fondo sanitario è qualificabile come atto di programmazione della spesa sanitaria
e, pertanto, non è soggetto a comunicazione di avvio del procedimento (Consiglio di Stato,
Sez. III n. 6454 del 7 dicembre 2011; n. 1917 del 9 aprile 2013; Sez. V n. 8839 del 12 maggio
2009).
In ogni caso, proprio per la particolare natura giuridica dell’Istituto ricorrente, tenuto
conto delle peculiari problematiche che comporta sul regime del convenzionamento la
presenza di un IRCCS di rilevanza nazionale, in una Regione con un modesto bacino di
utenza, la Regione Molise già con DGR 998/2006 aveva istituito un tavolo tecnico in
composizione paritetica, composto da rappresentanti della Regione e dell’Istituto Neuromed, proprio per concordare le decisioni in relazione alle molteplici problematiche insorte.
Ne discende che, nel caso di specie, la partecipazione al procedimento è stata garantita
in misura massima, proprio attraverso l’istituzione di un tavolo permanente di confronto e
discussione.
La ricorrente contesta anche che la A.S.Re.M., in quanto competitor della strutture
private convenzionate, non avrebbe potuto svolgere l’istruttoria propedeutica alla sottoscrizione del piano di rientro e che tali risultanze sarebbero state acriticamente recepite dalla
Giunta Regionale.
La doglianza è infondata in quanto la A.S.Re.M. ha svolto le verifiche e fornito i dati
istruttori necessari alla Giunta nel rispetto delle competenze affidategli dall’art. 3 della legge
regionale n. 9 del 1 aprile 2005, che ne disciplina le attribuzioni. Del tutto indimostrata è poi
l’affermazione secondo cui la Giunta le avrebbe recepite senza sottoporle ad alcun vaglio
critico; al contrario, è dimostrato che, nella fase di attuazione, ogni decisione della Giunta è
stata attentamente vagliata dal tavolo tecnico ministeriale, che ne ha sistematicamente
verificato la coerenza rispetto agli obiettivi del piano di rientro.
Sotto diversa angolazione, viene contestata la mancata esecuzione dell’ordinanza
cautelare di questo TAR n. 247 del 2007; sennonché, per acclarare l’infondatezza della
censura è sufficiente rilevare che il Collegio si era limitato a disporre un riesame degli atti
impugnati con il ricorso introduttivo, alla luce della peculiare natura e della tipologia di
prestazioni erogate dalla ricorrente. La Regione, in dichiarata esecuzione della predetta
ordinanza, ha adottato la DGR 1054/2007, sollecitando una disamina congiunta delle varie
problematiche in campo. Ed è proprio in forza del predetto riesame che è pervenuta alla
conclusione, tra l’altro, con le DGR 972/2007 e 1170/2007, di autorizzare l’Istituto ricorrente
a vedersi remunerare le prestazioni sanitarie a favore di utenti non molisani anche oltre i
tetti di spesa massima fissati in precedenza, come espressamente evidenziato con DGR
169/2008.
Né, del resto, il Collegio ha fornito indicazioni prescrittive cogenti della cui violazione,
in sede di riesame, la ricorrente abbia potuto dolersi.
Completato l’esame delle doglianze specificamente relative alla riduzione dei posti letto
e di quelle comuni alla contestata introduzione dei tetti di spesa, deve ora procedersi
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all’esame delle specifiche contestazioni indirizzate avverso la introduzione di tetti di spesa e
la riduzione del budget contrattualizzato.
Osserva, a tal riguardo, il Collegio che la DGR n. 169 del 2008, impugnata con i motivi
aggiunti notificati il 14 maggio 2008, ha ulteriormente modificato il tetto di spesa per
l’annualità 2007 introducendo, seppur in via provvisoria, il nuovo tetto di spesa per il 2008.
Tale provvedimento, in quanto innovativo della disciplina giuridica dei tetti di spesa per
gli anni 2007 (riduce ulteriormente il tetto di spesa per l’assistenza specialistica e per quella
riabilitativa, oltre a modificare il regime di rimborsabilità della mobilità attiva) e 2008 contestati dalla ricorrente con il ricorso RG 219/2007 - reca la disciplina, a regime, dei tetti
di spesa ammissibili, sicché ogni doglianza indirizzata avverso gli atti della sequenza
procedimentale a monte va dichiarata improcedibile, in quanto inidonea ad arrecare alcuna
utilità giuridica alla ricorrente.
In senso contrario, non può opporsi che avendo la ricorrente impugnato anche il piano
di rientro sottoscritto il 27.3.2007 - in attuazione del quale sono stati adottati tutti i
provvedimenti impugnati - persisterebbe l’interesse alla decisione della sua impugnazione
che, in caso di accoglimento, travolgerebbe - con effetto automaticamente caducante - tutti
gli atti a valle, ivi compresa la DGR 169/2008.
A tal proposito, deve rilevarsi che gli obiettivi di risanamento finanziario sono anteriori
alla approvazione del piano di rientro (avvenuta con delibera di Giunta Regionale n. 362 del
30 marzo 2007) e risalgono, quanto meno, all’art. 1, comma 174, della legge n. 311/2004 ed
agli artt. 4 e 6 dell’intesa Stato - Regioni del 23.3.2005: in attuazione di tali previsioni, la
Giunta aveva già adottato le delibere n. 181 del 6 marzo 2007 e n. 243 del 19 marzo 2007,
recanti l’introduzione dei tetti di spesa per il triennio 2007-2009 sicché il venire meno del
piano di rientro, successivamente sottoscritto, non può determinare alcun effetto automaticamente caducante sulla DGR n. 169 del 2008, i cui presupposti giustificativi di razionalizzazione e contenimento della spesa sanitaria sono anteriori alla predetta stipula e
rinvengono, quali primi atti attuativi, dalle DGR 181 del 6 marzo 2007 e n. 243 del 19 marzo
2007.
In ogni caso, il piano di rientro, se, da un lato, contiene prescrizioni immediatamente
lesive con riferimento alla dotazione di posti letto (di cui si prevede la riduzione a 155),
diversamente, per i tetti di spesa, si limita a elencare una serie di obiettivi specifici, tra cui
le misure di riduzione strutturale del disavanzo, con indicazione di valori aggregati (cfr.
modelli CE programmatico 2007-2009 per acquisti di servizi a p. 219), senza tuttavia
introdurre limitazioni con specifico riferimento alle strutture private convenzionante, sicché
sotto tale angolatura l’impugnazione avverso il piano di rientro è anche inammissibile per
carenza di immediata lesività dell’accordo, ferma, in ogni caso, l’infondatezza nel merito
delle censure articolate sul punto, testé passate in rassegna.
Deve, dunque, essere scrutinata la legittimità della DGR 169/2008, in quanto recante la
disciplina, a regime, dei tetti di spesa per le annualità 2007 e 2008, in applicazione di uno
degli obiettivi posti con il piano di rientro.
Il Collegio, anche a tal riguardo, deve rilevare la sostanziale improcedibilità dell’impugnazione di tutte le DGR – e da ultimo della 169/2008 - con le quali sono stati mossi rilievi
alla fissazione di tetti di spesa e, conseguentemente, limitazioni al budget contrattualizzato
per gli anni 2007 e 2008, tenuto conto che, con la memoria depositata il 7 gennaio 2009, le
Amministrazioni intimate hanno eccepito, allegando tabulati informatici non contestati dalla
ricorrente, che, in realtà, il volume di prestazioni sanitarie erogate da Neuromed ai pazienti
molisani negli anni 2007 e 2008 risulta di valore inferiore rispetto ai tetti massimi di spesa
fissati dalla Regione con i provvedimenti impugnati, per l’assistenza ospedaliera, la specialistica ambulatoriale e per le prestazioni riabilitative.
L’unico dato che evidenzia un superamento del tetto massimo di spesa è rappresentato
dal volume di prestazioni rese in favore dei pazienti extra-regionali, ma con riferimento a
tale aspetto è pacifico che le delibere di Giunta impugnate non rechino pregiudizio alla
ricorrente, atteso che la Regione Molise con le DGR 972/07 e 1170/07 ha riconosciuto la
possibilità di erogare prestazioni in favore degli utenti extraregionali oltre i tetti massimi di
spesa, seppur prescrivendo il differimento del loro pagamento e precisando, con la successiva DGR 169/2008, che tale facoltà deve ritenersi ammessa, a condizione che le prestazioni
sanitarie in parola “siano riconosciute alla Regione Molise in sede di assegnazione del saldo
di mobilità con approvazione dei relativi valori nella sede istituzionale della Conferenza Stato
– Regioni e che l’ente sino a quella data non sosterrà alcun costo per tali prestazioni”.
Ne discende che i tetti di spesa fissati nei provvedimenti di Giunta impugnati non
ledono in alcun modo l’interesse di Neuromed a erogare prestazioni ospedaliere, di specialistica ambulatoriale e riabilitative, in quanto sufficientemente capienti rispetto alla capacità
produttiva della struttura, tant’è che l’Istituto Neuromed ha anche provveduto a sottoscrivere l’accordo di budget per l’annualità 2008, senza riserva di azioni legali o contestazioni di
sorta.
Poiché, tuttavia, i provvedimenti impositivi dei tetti di spesa, in attuazione del piano di
rientro, hanno cadenza periodica, residua un interesse della ricorrente a vedere accertare,
quanto meno, se, in relazione alla propria natura di IRCCS, siffatte limitazioni possono
ritenersi legittime.
L’istituto ricorrente ha, infatti, reiteratamente eccepito l’inopponibilità dei tetti di spesa
alle luce della propria natura di IRCSS, da ritenersi equiparata alle strutture ospedaliere
pubbliche per le quali, notoriamente, non valgono i tetti di spesa.
Sul punto il Consiglio di Stato, III, con sentenza n. 697 del 6 febbraio 2013 ha precisato
che fino al decreto legge n. 112/2008, i tetti di spesa non vincolavano rigidamente la
remunerazione delle prestazioni esuberanti; quindi, l’equiparazione, sotto il profilo della
remunerazione delle prestazioni, degli ospedali ecclesiastici classificati e degli altri enti
equiparati alle aziende ospedaliere pubbliche, tra cui gli IRCCS, comportava che le prestazioni erogateextra-tetto dovessero essere comunque remunerate; con l’ulteriore conseguenza che le previsioni sui tetti di prestazioni e di spesa non potessero essere considerate
lesive (costituendo solo un’assegnazione preventiva, suscettibile di essere integrata a fine
anno, qualora le attività complessivamente svolte risultassero di valore economicamente
superiore), e perciò non sussistesse al riguardo un onere di impugnazione del provvedimento
con cui detti limiti di remunerazione erano stati stabiliti.
Per il periodo anteriore il 2009 si è, infatti, consolidato l’orientamento secondo il quale
«ai fini dell’operatività del meccanismo dei cd. tetti di spesa, da un lato stanno le strutture
pubbliche e quelle ad esse equiparate (Ospedali classificati, I.R.C.C.S., etc.), dall’altro quelle
private accreditate. Solo per le seconde, invero, ha senso parlare di imposizione di un limite
alle prestazioni erogabili; mentre per le strutture che risultano consustanziali al sistema
sanitario nazionale (Ospedali pubblici, Ospedali classificati, I.R.C.C.S., etc.) non è neppure
teorizzabile l’interruzione delle prestazioni agli assistiti al raggiungimento di un ipotetico
limite eteronomamente fissato»; infatti, la struttura ospedaliera «non può sottrarsi al dovere,
non negoziabile, di erogare il servizio pubblico a tutti gli utenti», dovendo, dunque,
ricondursi il tetto delle prestazioni erogabili al limite strutturale dell’ospedale (cfr. Cons.
Stato,V, 22 aprile 2008, n. 1858; 28 maggio 2009, n. 3263; 16 marzo 2010, n. 1514).
Con l’applicazione, a decorrere dal 2009, del decreto legge 112/2008 (novellazione degli
articoli 8-quater, 8-quinquies e 8-sexies, del d.lgs. 502/1992), tutti gli operatori sanitari,
comprese le aziende ospedaliere pubbliche, sono sottoposti ai tetti di spesa, e la remunerazione delle prestazioni extra-tetto non è dovuta neanche alle aziende ospedaliere, se non
quando e nella misura in cui (con applicazione di tagli e regressione tariffaria) lo prevedano
i criteri stabiliti dalla Regione, a titolo legale ed al di fuori degli accordi contrattuali.
Nel caso di specie, poiché vengono in rilievo delibere di Giunta regionale che hanno
fissato tetti di spesa per gli anni 2007 e 2008, determinando gli importi massimi erogabili
all’Istituto ricorrente per le prestazioni ospedaliere, di specialistica ambulatoriale e riabilitative, non rilevano le modifiche apportate dal decreto-legge n. 112/2008 bensì il regime
giuridico anteriore, come da ultimo modificato dal d. lgs. n. 229/1999.
A tal proposito, la richiamata sentenza della terza sezione del Consiglio di Stato ha
precisato che: «uno dei cardini sui quali ruota la riforma introdotta dal d.lgs. 229/1999 é
costituito dagli “accordi contrattuali”, che tutte le strutture sanitarie di cui le Regioni si
avvalgono, ai sensi dell’articolo 8-bis, per assicurare i livelli essenziali e uniformi di
assistenza prefissati (vale a dire: i presidi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie
locali, le aziende ospedaliere, le aziende universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico, nonché gli altri soggetti accreditati ai sensi dell’articolo 8-quater) devono
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stipulare, ai sensi dell’articolo 8-quinquies, per poter erogare prestazioni per conto del
Servizio sanitario nazionale.L’articolo 8-quinquies, nel testo originario, stabiliva (comma 2)
che detti “accordi contrattuali” indicassero (oltre ad obiettivi, programmi di integrazione e
requisiti dei servizi da rendere), il volume massimo delle prestazioni che le strutture si
impegnavano ad assicurare, distinto per tipologia e modalità di assistenza (lettera b) ed il
corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla
applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse
nell’accordo, da verificare comunque ″a consuntivo sulla base dei risultati raggiunti e delle
attività effettivamente svolte secondo le indicazioni regionali di cui al comma 1 lett. d)»
(lettera d). Il precedente comma 1, stabiliva, infatti, che le regioni dovessero definire lo
specifico ambito di applicazione degli accordi contrattuali, individuando i soggetti interessati
e disciplinando alcuni aspetti specifici: tra questi (lettera d) i «criteri per la determinazione
della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni
eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di
attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura».
«In sintesi, può ritenersi che, secondo la disciplina risultante dalla novella del d.lgs. n.
229/1999, gli accordi contrattuali dovessero individuare dei limiti di operatività delle strutture (un determinato volume per ogni tipologia di prestazioni, e il relativo budget); ma che,
tuttavia, detto limite non fosse invalicabile, posto che il corrispettivo indicato negli accordi
contrattuali costituiva una sorta di “preventivo”, soggetto a verifica concreta in sede di
consuntivo, in base ai risultati raggiunti e alla attività effettivamente svolta (che poteva
risultare superiore a quella massima individuata dagli accordi). La relativa “elasticità” del
corrispettivo preventivato negli accordi contrattuali a fronte delle attività concordate non
determina, tuttavia, l’automatico diritto delle strutture a essere remunerate, sempre e
incondizionatamente, per le prestazioni erogate oltre il volume massimo concordato; la
remunerabilità di tali prestazioni, infatti, è legata ai criteri che la legislazione regionale
avrebbe individuato, e quindi dipende da un presupposto frutto di una scelta legislativa, vale
a dire da un titolo (legale) diverso dall’accordo contrattuale».
«Vi era dunque, prima del decreto legge 112/2008, la possibilità che le prestazioni rese
oltre i volumi predeterminati in sede di programmazione nazionale e regionale, nonché negli
accordi contrattuali potessero essere, in qualche misura, remunerate; anche se, sotto tale
profilo, la posizione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati non risultava
formalmente privilegiata, rispetto a quella degli altri enti erogatori privati».
Dall’ampia ricostruzione sistematica offerta dalla menzionata sentenza (confermata da
successive pronunce cfr. Cons. Stato, III, n. 735/2013 e n. 2529/2013) emerge che i tetti di
spesa sino al 2008 erano ammissibili ma le prestazioni extra-budget rese dagli enti privati
equiparati alle strutture ospedaliere pubbliche, tra i quali gli IRCSS di diritto privato, erano
remunerabili secondo le condizioni fissate dal legislatore regionale, in forza cioè di un titolo
legale e non contrattuale.
Siffatta affermazione di principio, che nella sua assolutezza dovrebbe condurre a
ritenere in astratto fondato il ricorso, in parte qua limitatamente alle annualità 2007 e 2008,
deve tuttavia essere misurata con la particolare condizione giuridica in cui versa la Regione
Molise, per avere sottoscritto il 27.3.2007 il piano di rientro dai disavanzi del settore
sanitario.
Reputa il Collegio, infatti, che l’art. 8-quinquies, comma 1, (lettera d), nel testo
originario, prevedendo che le Regioni provvedono a stabilire i «criteri per la determinazione
della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti
il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del
concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura», legittimi, nelle ipotesi in cui si tratti di
Regioni sottoposte a piano di rientro, l’adozione di misure che escludono la possibilità di
remunerare prestazioni extra-budget, come accaduto nel caso di specie con la DGR 1170 del
2007 (che peraltro fa salva la disciplina specifica prevista per la mobilità extraregionale che
rappresenta circa l’80% del budget assegnato all’Istituto Neuromed).
Con la sottoscrizione del piano di rientro, la Regione Molise ha, infatti, consumato la
propria discrezionalità con riferimento alla disciplina della remunerabilità delle prestazioni
sanitarie eccedenti il volume complessivo stimato con DGR n. 357 del 30.3.2007, recante il
piano delle prestazioni ospedaliere relativo alle strutture private (allegato B), quello delle
prestazioni di specialistica ambulatoriale (allegato C), nonché quello delle prestazioni
relativo alle strutture ospedaliere pubbliche (allegato A).
E infatti, nel perseguimento degli obiettivi di risanamento di cui ai punti 12.3 3 18.1 del
piano di rientro e secondo le previsioni programmatiche fissate nel modello CE 2007-2009
(cfr. p. 201 e 219 del programma operativo relativo al triennio 2007-2009 allegato al piano
di rientro), la Regione Molise ha ritenuto di introdurre tetti di spesa anche per le strutture
private a diretta gestione regionale e cioè per l’Università Cattolica del Sacro Cuore e per
l’IRCCS Neuromed, nonostante queste ultime abbiano natura equiparata (la prima in
quanto ospedale classificato e la seconda in quanto IRCCS) alle strutture ospedaliere
pubbliche, secondo quanto chiarito dalla richiamata sentenza della terza sezione del Consiglio di Stato e già anticipato da questo Tribunale a partire dall’ordinanza cautelare n. 231
del 2010.
Le previsioni di spesa, inizialmente rappresentate come voci aggregate nel modello CE
programmatico 2007-2009, sono state successivamente specificate negli importi – riferiti alle
diverse tipologie di enti privati accreditati – e nel regime giuridico, con gli atti esecutivi e, in
particolare, con la DGR 357/2007, recante il piano delle prestazioni ospedaliere e delle
prestazioni di specialistica ambulatoriale, con la DGR 394/2007 relativa alla fissazione del
budgetdi spesa prodromica alla negoziazione con l’IRCCS Neuromed dell’accordo contrattuale per l’anno 2007; tali delibere sono state successivamente modificate, in vari aspetti
relativi al regime giuridico, con DGR nn. 972/2007, 1170/2007, e, da ultimo, con la DGR
n.169/2008, fermo restando che, al fine di perseguire gli obiettivi di risanamento finanziario,
è stata esclusa la possibilità di remunerare prestazioni sanitarie eccedenti i tetti di spesa
fissati con DGR 972/2007, come espressamente ribadito con DGR 1170/2007, salva la
disciplina speciale approvata per la mobilità extra-regionale.
Tra le varie opzioni possibili la Regione Molise, con la sottoscrizione del piano di
rientro ha, dunque, deciso di non remunerare le prestazioni eccedenti i tetti di spesa imposti
anche alle strutture private equiparate a quelle pubbliche, al dichiarato e precipuo scopo di
perseguire l’obiettivo di attuare misure di riequilibrio della gestione corrente necessarie
all’azzeramento del disavanzo.
Il Collegio, fermo il rilevato profilo di improcedibilità, reputa che tale impostazione che anticipa quanto successivamente introdotto a regime dal decreto-legge n. 112/2008 in
ordine al principio di inderogabilità dei tetti di spesa per tutte le strutture pubbliche e private
convenzionate - sia immune da censure, in quanto imposta dalla normativa speciale varata
per fronteggiare la situazione di squilibrio finanziario in cui versano le Regioni sottoposte a
piano di rientro e successivamente commissariate, come la Regione Molise. E ciò, quanto
meno, con riferimento all’IRCCS Neuromed essendo la posizione dell’Università Cattolica
diversa venendo in tal caso in rilievo la garanzia costituzionale dell’autonomia universitaria
ex art. 33 Cost., presidiata dalla strumento dell’intesa (cfr. TAR Molise 984/2011) non
derogabile dai poteri commissariali straordinari pena l’illegittimità costituzionale delle
norme di conferimento dei poteri di intervento sostitutivo (su cui di recente cfr. ordinanza
TAR Molise n. 727 del 5 dicembre 2013 con la quale analoga questione è stata rimessa alla
Corte Costituzionale venendo in rilievo la possibile lesione dell’autonomia legislativa
regionale).
Occorre premettere che, nel vigente quadro normativo, spetta alle Regioni provvedere
con atti autoritativi e vincolanti di programmazione, alla fissazione del tetto massimo
annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario regionale e di distribuire le risorse
disponibili per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché di provvedere alla
determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni, assicurando l’equilibrio complessivo
del sistema sanitario dal punto di vista organizzativo e finanziario (fra le più recenti:
Consiglio di Stato Sez. III, 30 gennaio 2013, n. 598).
Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, chiamata ad affrontare la questione
della legittimità degli atti di programmazione delle risorse, con la fissazione dei tetti di spesa,
intervenuti in corso d’anno, ha affermato che «alle Regioni è ... affidato il compito di adottare
determinazioni di natura autoritativa e vincolante in tema di limiti alla spesa sanitaria, in
coerenza con l’esigenza che l’attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga
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nell’ambito di una pianificazione finanziaria» (decisioni n. 3 e n. 4 del 12 aprile 2012),
aggiungendo che tale attività di pianificazione delle risorse, in quanto necessaria, può essere
esercitata anche nel corso dell’anno di riferimento.
E’ stato poi precisato che l’osservanza del tetto di spesa rappresenta un vincolo
ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il servizio sanitario
nazionale può erogare e può quindi permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato
(Consiglio di Stato, Sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6432).
Anche la Corte Costituzionale, nel sottolineare l’importanza del collegamento tra
responsabilità e spesa, ha evidenziato che l’autonomia dei vari soggetti ed organi che
operano nel settore, deve essere necessariamente correlata alle disponibilità finanziarie e
non può prescindere dalla limitatezza delle risorse e dalle esigenze di risanamento del
bilancio nazionale (Corte Costituzionale 28 luglio 1995, n. 416).
Con riferimento specifico al tema della remunerazione delle prestazioni extra-budget il
Consiglio di Stato (Cons. Stato, III, 9 aprile 2013, n. 1917), anche con specifico riferimento
agli IRCCS di diritto privato e alla loro peculiare natura giuridica, ha ritenuto legittimi i
meccanismi di regressione tariffaria in quanto espressione del potere autoritativo di fissazione dei tetti di spesa e di controllo pubblicistico della spesa sanitaria, giustificandoli sia con
la considerazione che, ove venisse consentito lo sforamento dei tetti complessivi di spesa
fissati, il potere di programmazione regionale ne risulterebbe vanificato, sia con l’ulteriore
considerazione che i soggetti erogatori delle prestazioni possono effettuare le opportune
programmazioni della rispettiva attività sulla base delle risorse loro assegnate (cfr.: Consiglio
di Stato, Sez. III, 5 febbraio 2013 n. 679).
Infine, con riferimento alla mancata previsione di criteri di remunerazione delle
prestazioni sanitarie rese in eccedenza rispetto al budget assegnato, in violazione di quanto
disposto dall’art. 8- quinquies, lett. d), del d.lgs. n. 502 del 1992, testé richiamato, il Consiglio
di Stato, con specifico riferimento alle Regioni sottoposte a piano di rientro e successivamente commissariate, ha ritenuto che “le deliberazioni con le quali vengono fissati i tetti di
spesa per le prestazioni dei soggetti accreditati con il servizio sanitario nazionale sono assunte
in attuazione di precisi vincoli che discendono dalla necessità di rispettare la disciplina speciale
sul rientro dai disavanzi delle regioni” (fra le tante: Consiglio di Stato, Sez. III n. 924 e n. 935
del 21 febbraio 2012).
L’osservanza del tetto di spesa rappresenta pertanto un vincolo ineludibile, che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il servizio sanitario nazionale può erogare e
può quindi permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato.
7.2.- In tale prospettiva, la mancata previsione di criteri di remunerazione delle
prestazioni extra budget può ritenersi giustificata dalla necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa (e quindi il vincolo delle risorse disponibili).
Vincolo particolarmente rigoroso per le regioni che si trovano, in materia sanitaria, in
stato di dissesto e sono state sottoposte a piani di rientro e, come poi è avvenuto per la
Regione Calabria, al commissariamento.
7.3.- Né è possibile giungere a diversa conclusione facendo riferimento a quanto
disposto dall’art. 8 - quinquies, lett. d), del d.lgs. n. 502 del 1992, che prevede la definizione
di criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano
erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato.
Infatti la citata disposizione deve essere interpretata in modo coerente con le successive
e sempre più rigorose disposizioni emanate per il contenimento dei costi del settore sanitario
e per il conseguente doveroso rispetto delle quantità di prestazioni concordate con gli
operatori e dei connessi tetti di spesa che, si ripete, hanno il fine di evitare che le strutture
sanitarie interessate possano erogare prestazioni maggiori di quelle che l’amministrazione
pubblica può pagare.
Ben può quindi escludersi la possibile remunerazione di prestazioni extrabudget che
potrebbero vanificare gli obiettivi di controllo della spesa attuati (anche) attraverso la
fissazione dei tetti di spesa.
Mentre non può ammettersi che i singoli operatori decidano autonomamente quali e
quante prestazioni (anche extrabudget) debbano essere erogate (e quindi remunerate), fatte
salve le prestazioni indifferibili (come quelle di pronto soccorso).
7.4.- Nella fattispecie, in particolare, considerato che, come si è già prima ricordato (al
punto 4.5) la Regione Calabria, in materia sanitaria, era in stato di grave squilibrio
economico già nel 2008, risulta quindi ampiamente giustificata la previsione, contenuta nella
deliberazione della G.R. n. 541 del 4 agosto 2008 (e nelle successive determinazioni della
ASP di Crotone), di non remunerare le (non autorizzate) prestazioni extrabudget di
assistenza specialistica ambulatoriale, residenziale e semiresidenziale” (così, Cons. Stato, III,
29 novembre 2012, n. 6091, confermata da Cons. Stato, 9 aprile 2013, n. 1917).
Alla luce della normativa richiamata e dell’interpretazione evolutiva della giurisprudenza formatasi in materia di regime giuridico delle strutture private equiparate a quelle
pubbliche, di tetti di spesa, di prestazioni extra-budget, con particolare riferimento alle
Regioni sottoposte a piano di rientro, emerge, pertanto, anche l’infondatezza nel merito
della censura relativa alla supposta non applicabilità dei tetti di spesa alle prestazioni
sanitarie erogate dagli IRCCS operanti in Regioni sottoposte a piano di rientro e ciò anche
con riferimento ad annualità anteriori all’entrata in vigore delle modifiche introdotte dal d.l.
112/2008, fermo restando che per le annualità successive al 2008 opererà il nuovo regime che
ha generalizzato il carattere vincolante dei tetti di spesa per tutti gli erogatori privati e
pubblici.
Osserva ancora il Collegio, con riferimento ai motivi aggiunti notificati in data 10 marzo
2008 aventi per oggetto l’impugnazione delle determinazioni direttoriali n. 91/2007, 93/2007,
97/2007, 98/2007 e 5/2008 - con le quali è stato disposto il pagamento di prestazioni sanitarie
rese dalla ricorrente con riferimento alle annualità 2006, 2007 e 2008 -, che il gravame è
inammissibile in quanto la ricorrente non ha interesse ad impugnare determine di pagamento che le arrecano un evidente vantaggio patrimoniale, tant’è che l’Istituto Neuromed
precisa che, in realtà, la loro impugnazione si giustifica per essere le stesse attuative delle
delibere di Giunta con le quali sono stati determinati i tetti di spesa e, conseguentemente, il
budget contrattualizzato (DGR 362/07, 394/07, 972/07, 1170/07, 1054/07).
Deve invece essere dichiarata improcedibile l’impugnazione avverso la DGR 394/07,
gravata con il ricorso introduttivo, in quanto le contestazioni mosse avverso il contenuto
disciplinare dell’allegato schema di accordo dibudget per il 2007 devono ritenersi superate
alla luce di quanto previsto dalla successiva DGR 1054/2007, che ha disposto la riapertura di
un tavolo tecnico di confronto in composizione paritetica, secondo quanto già previsto con
DGR 998/06, anche per discutere delle modifiche da apportare allo schema di accordo
contrattuale di cui alla DGR 394/07 secondo quanto sollecitato dalla ricorrente.
Infine, con atto di motivi aggiunti notificati il 6 maggio 2009, l’Istituto ricorrente ha
impugnato la delibera di G.R. n. 154 del 23.2.09 recante provvedimenti integrativi al
Programma operativo di rientro 2007 – 2009 con i quali sono state deliberate ulteriori
riduzioni per posti letto e budget alle strutture private.
Anche in questo caso, la ricorrente muove dal presupposto della non applicabilità agli
IRCCS di siffatte riduzioni in quanto strutture equiparate a quelle pubbliche.
E’ dunque sufficiente richiamare quanto sopra esposto in materia di generalizzazione
dei tetti di spesa anche alle strutture pubbliche, a partire dal 2009, per concludere nel senso
della infondatezza della contestazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi in epigrafe e tutti i motivi
aggiunti devono essere dichiarati improcedibili per quanto concerne la disciplina dei posti
letto, del piano sangue e plasma e dei tetti di spesa relativi alle annualità 2007 e 2008;
infondati con riferimento alla fissazione del tasso di ospedalizzazione avvenuta con DGR
433/2007 e alle ulteriori riduzioni previste con la DGR 154/2009; inammissibili per quanto
concerne l’impugnazione del piano di rientro di cui alla DGR 362/2007, delle determine
direttoriali di pagamento nn. 91/2007, 93/2007, 97/2007, 98/2007 e 5/2008, della nota regionale
prot. 19113 del 2.12.2007 e dei restanti provvedimenti variamente richiamati negli atti di
ricorso in quanto non attinti da specifici motivi di censura.
La complessità della materia del contendere induce il Collegio a ritenere sussistenti
giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, nonché sui
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connessi motivi aggiunti, li dichiara, in parte, improcedibili, in parte, inammissibili, in parte
infondati, ai sensi di cui in motivazione.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Orazio Ciliberti, Presidente
Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore
Antonio Andolfi, Primo Referendario
Tribunale amministrativo regionale Basilicata Sez. I 23 dicembre 2013 n. 810 Pres. Perrelli
Est. Mastrantuono T. s.pa. (avv. Hernandez, Buscicchio) Provincia di Potenza e altro
(n.c.). (avv. Luglio)
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Appalto - Gara - Offerte - Elementi
essenziali - Costi per la sicurezza del lavoro - Omissione - Esclusione - Condizione.
Il provvedimento di esclusione dalla gara pubblica per mancata indicazione da parte
degli offerenti dei costi relativi alla sicurezza può essere adottato soltanto se la lex specialis di
gara prevede l’obbligo, a pena di esclusione, di indicare in sede di offerta i suddetti costi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 650 del 2013,
proposto dalla Tempor S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e
difesa dagli Avv.ti Federico Hernandez, Francesco Hernandez e Giuseppe Buscicchio, come
da mandato a margine del ricorso, con domicilio eletto in Potenza Corso Garibaldi n. 32
presso lo studio dell’Avv. Gerardo Pedota;
contro
Provincia di Potenza, in persona del Presidente della Giunta Provinciale p.t. e del
Dirigente dell’Ufficio Contenzioso, rappresentata e difesa dall’Avv. Emanuela Luglio, come
da mandato in calce al controricorso di costituzione, con domicilio eletto in Potenza Piazza
delle Regioni presso l’Ufficio Legale dell’Ente;
nei confronti di
GI GROUP S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;
per l’annullamento:
-della Determinazione n. 2450 del 26.11.2013 (comunicata con nota prot. n. 41647 del
27.11.2013), con la quale il Dirigente dell’Ufficio Contratti della Provincia di Potenza ha
emanato il provvedimento di esclusione della Tempor S.p.A. dalla procedura aperta, indetta
con bando pubblicato il 19.9.2013, per l’affidamento dell’appalto del servizio di “somministrazione di lavoro a tempo determinato e pieno per la realizzazione del progetto Vie
Blu-Stralcio 2013”, provvedendo contestualmente ad annullare l’atto di aggiudicazione
provvisoria in favore della stessa Tempor S.p.A.;
-della Determinazione n. 2472 del 28.11.2013 (comunicata con nota prot. n. 42027 del
27.11.2013), con la quale il medesimo Dirigente dell’Ufficio Contratti ha emanato il
provvedimento di aggiudicazione definitiva del predetto appalto in favore della seconda
classificata GI GROUP S.p.A.;
-dei presupposti pareri del Responsabile Unico del Procedimento e dell’Avvocatura
provinciale;
del bando e del disciplinare di gara, approvati con Determinazione n. 1767 del
19.9.2013;
nonché per la declaratoria
dell’inefficacia del contratto d’appalto e l’aggiudicazione della gara e la conseguente
stipula del contratto in favore della Tempor S.p.A. e/o del diritto a subentrare nel contratto,
“dichiarandosi la Tempor disponibile fin d’ora al subentro”;
e per la condanna
della Provincia di Potenza al risarcimento del danno subito, oltre che in forma specifica,
anche per equivalente per il periodo intercorso tra la stipula dell’appalto stipulato con la GI
GROUP S.p.A. e l’effettivo subentro della Tempor S.p.A., cioè per la parte di contratto già
eseguita;
Visti il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Potenza;
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Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2013 il dott. Pasquale
Mastrantuono e uditi gli Avv.ti Giuseppe Buscicchio e Emanuela Luglio;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Con Determinazione n. 1668 del 9.9.2013 il Dirigente dell’Ufficio Protezione Civile
della Provincia di Potenza approvava il progetto “Vie Blu-Stralcio 2013”, consistente nella
prestazione del servizio di somministrazione alla Provincia di 71 lavoratori a tempo determinato e pieno (di cui: 6 aventi il VI livello funzionale del vigente CCNL degli addetti ai
lavori di sistemazione idraulico-forestale-agraria, 31 con V livello del predetto CCNL e 34
con il IV livello di tale CCNL), per l’importo complessivo di 1.204.604,01 E, di cui
1.170.809,90 E a base di gara, comprensive dell’aggio dovuto all’agenzia interinale pari a
134.019,60 E (oltre IVA nella misura del 21% pari a 28.144,12 E), e 5.650,00 E per somme
a disposizione, disponendo l’indizione di una procedura aperta con il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, che veniva effettivamente indetta dal Dirigente dell’Ufficio
Contratti con Determinazione n. 1767 del 19.9.2013, di approvazione del bando e disciplinare di gara e del Capitolato Speciale.
Il Bando (pubblicato il 19.9.2013) prevedeva che:
1) il costo dei 71 lavoratori, pari a 1.036.790,30 E, non era soggetto a ribasso, per cui la
gara sarebbe stata aggiudicata al concorrente, che aveva offerto il miglior ribasso sull’aggio
di agenzia, pari a 134.019,60 E, che praticamente consisteva nel ricarico di 2,20 E al costo
orario dei 71 lavoratori, determinato in base al vigente CCNL degli addetti ai lavori di
sistemazione idraulico-forestale-agraria;
2) le offerte dovevano essere presentate entro il termine perentorio delle ore 12,00 del
29.10.2013.
Il disciplinare di gara prevedeva che l’offerta doveva essere formulata con l’indicazione
della “percentuale di ribasso rispetto all’aggio orario di 2,20 E”, specificando che:
a) il ricarico di agenzia, soggetto a ribasso, comprendeva “tutto quanto eventualmente
non compreso nelle valutazioni di cui alla presente gara, tutti i costi di agenzia ivi compreso
l’utile di impresa”;
b) “l’offerta economica, comprensiva del costo orario più ricarico di agenzia”, doveva
“comprendere tutti i seguenti elementi: 1) ricerca, selezione e formazione del personale; 2)
retribuzione, ivi compreso il trattamento accessorio, tredicesima e quattordicesima; 3) oneri
contributivi assistenziali e previdenziali, compreso accantonamento TFR ed eventuali contributi ad enti bilaterali costituiti a norma di CCNL; 4) premio assicurativo INAIL; 5)
sostituzione del personale; 6) oneri per la sicurezza del lavoro; 7) Oneri di cui ai fondi per
la formazione; 8) assicurazione di responsabilità civile per danni causati a terzi e all’ente in
cui prestano servizio; 9) assenze legittime; 10) visite mediche ed accertamenti preliminari
all’assunzione; 11) costi amministrativi generali e specifici del personale; 12) utile di impresa;
13) addizionale ASPI (cfr. pure art. 5 del Capitolato Speciale).
Entro il predetto termine perentorio delle ore 12,00 del 29.10.2013 presentavano
l’offerta 4 concorrenti.
Nella seduta pubblica del 30.10.2013 la Commissione giudicatrice emanava l’atto di
aggiudicazione provvisoria in favore della Tempor S.p.A., in quanto aveva offerto il maggior
ribasso del 97,370% sull’aggio orario di 2,20 E, posto a base di gara.
Con nota del 5.11.2013 la seconda classificata GI GROUP S.p.A., che aveva offerto il
ribasso del 97,043%, chiedeva l’esclusione dalla gara della Tempor S.p.A., poiché quest’ultima non aveva indicato nell’offerta economica i costi della sicurezza aziendale, cioè un
adempimento previsto dalla legge come obbligatorio.
Con note del 7 e 14 novembre 2013 la Tempor S.p.A. contestava l’assunto della GI
GROUP S.p.A..
Con Determinazione n. 2450 del 26.11.2013 (comunicata con nota prot. n. 41647 del
27.11.2013) il Dirigente dell’Ufficio Contratti della Provincia di Potenza emanava il provvedimento di esclusione della Tempor S.p.A. dalla procedura aperta, provvedendo contestualmente ad annullare l’atto di aggiudicazione provvisoria, “in quanto il combinato
disposto di cui agli artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006 impone ai
concorrenti di segnalare l’incidenza dei costi aziendali di sicurezza già in sede di offerta e tali
norme hanno carattere etero integrativo del bando di gara”.
Con Determinazione n. 2472 del 28.11.2013 (comunicata con nota prot. n. 42027 del
27.11.2013) il medesimo Dirigente dell’Ufficio Contratti emanava il provvedimento di
aggiudicazione definitiva dell’appalto in esame in favore della seconda classificata GI
GROUP S.p.A..
Con istanza ex art. 243 bis D.Lg.vo n. 163/2006 del 28.11.2013 la Tempor S.p.A. ha
chiesto l’annullamento dei due predetti provvedimenti.
Le Determinazioni n. 2450 del 26.11.2013 e n. 2472 del 28.11.2013 sono state impugnate
con il presente ricorso (notificato 6.12.2013), deducendo le seguenti censure:
1) poiché l’appalto in commento si riferiva ad un servizio, elencato nell’Allegato II B
al Codice degli Appalti (cfr. punto 22 di tale Allegato), risulta disciplinato esclusivamente
dagli artt. 65, 68 e 225 D.Lg.vo n. 163/2006 e perciò non anche dagli artt. 86, comma 3 bis,
e 87, comma 4, dello stesso D.Lg.vo (sul punto viene citata la Sentenza TAR Piemonte Sez.
I n. 1376 del 21.12.2012);
2) con riferimento al costo della sicurezza dei 71 lavoratori somministrati, la mancata
indicazione del costo della sicurezza risultava irrilevante, in quanto tali lavoratori venivano
assunti e pagati, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. i), D.Lg.vo n. 276/2003, dalla stazione
appaltante e perciò i relativi oneri di sicurezza dovevano essere individuati e quantificati
dalla Provincia, per cui non potevano essere addossati ai concorrenti, in quanto il datore di
lavoro sostanziale era la Provincia, mentre l’appaltatore-somministratore si limitava a
fornire i lavoratori;
3) nel caso in cui le clausole del disciplinare e del Capitolato Speciale, che, nell’indicare
i vari elementi che dovevano essere presi in considerazione per la formulazione dell’offerta,
richiamava anche “oneri per la sicurezza del lavoro”, dovessero essere interpretate nel senso
della loro quantificazione, a pena di esclusione, in sede di offerta, la ricorrente ha chiesto
l’annullamento di tali disposizioni della lex specialis, “per la violazione della normativa in
materia di somministrazione e del D.Lg.vo n. 81/2008”;
4) per quanto riguarda il costo della sicurezza del personale cd. fisso del concorrentesomministratore, è stato rilevato: a) in via principale, che non incidono in alcun modo
sull’appalto in commento, in quanto i relativi oneri “esistono a prescindere dal singolo
appalto e vengono ordinariamente sostenuti come costi generali” dalla ricorrente, e ciò
indipendentemente dal grado di rischiosità dell’attività lavorativa che dovranno eseguire
lavoratori somministrati, poiché i dipendenti cd. fissi della ricorrente non devono essere
somministrati al soggetto utilizzatore; b) in via subordinata, che, poiché la lex specialis di
gara non prevedeva con i riferimenti ai dipendenti cd. fissi dei concorrenti un costo di
sicurezza, non soggetto a ribasso, e/o l’obbligo (anche non a pena di esclusione) di indicare
in sede di offerta i costi di sicurezza aziendali, il provvedimento di esclusione avrebbe dovuto
essere emanato soltanto dopo l’attivazione del procedimento di verifica dell’anomalia
dell’offerta oppure, ai sensi dell’art. 46, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006, avrebbe dovuto
essere consentito alla ricorrente di provare il rispetto della normativa in materia di sicurezza
ed a tali fini la ricorrente ha precisato che i costo della sicurezza dei propri dipendenti cd. fissi
era “pari a 0,0048 E per ogni ora lavorata e retribuita” ai 71 lavoratori somministrati;
5) infine, l’impugnato provvedimento di esclusione era contraddittorio, perché ammetteva che sull’interpretazione del combinato disposto di cui agli artt. 86, comma 3 bis, e 87,
comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006 vi era un contrasto giurisprudenziale, ma poi recepiva
acriticamente l’orientamento negativo.
Si è costituita in giudizio la Provincia di Potenza, che ha sostenuto l’infondatezza del
ricorso, evidenziando anche che con successiva Determinazione n. 2557 del 2.12.2013 il
Dirigente dell’Ufficio Protezione Civile aveva disposto l’esecuzione in via d’urgenza dell’appalto in esame, “determinato, oltre che dall’esigenza di concludere tute le attività
previste dal progetto entro i termini stabiliti dalla Regione Basilicata, anche dalle avverse
condizioni atmosferiche che stanno interessando con notevole intensità il territorio provinciale”, per cui “eventuali ritardi nella chiusura delle attività potrebbero determinare la
perdita dei finanziamenti destinati alla realizzazione del progetto”.
Il ricorso è fondato.
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L’impugnato provvedimento di esclusione della ricorrente dalla suindicata procedura
aperta, relativo all’appalto del servizio di reperimento di 71 lavoratori, che la Provincia di
Potenza doveva utilizzare per l’espletamento di attività lavorativa disciplinata dal CCNL
degli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale-agraria, è stato motivato con il
richiamo al combinato disposto di cui agli artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, D.Lg.vo n.
163/2006.
Il primo periodo della prima delle due norme appena citate prevede che: “nella
predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle
procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti
aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente
rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei
servizi o delle forniture”.
Il secondo periodo della seconda norma statuisce che: “nella valutazione dell’anomalia
la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere
specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche
dei servizi o delle forniture”.
In realtà, l’art. 86, comma 3 bis, D.Lg.vo n. 163/2006 prescrive anche l’obbligo delle
stazioni appaltanti di indicare nella lex specialis il costo relativo alla sicurezza, che ai sensi
del successivo comma 3 ter “non può essere comunque soggetto a ribasso d’asta”.
Ed infatti solitamente il bando di gara, nella parte relativa all’indicazione dell’importo
a base di gara, specifica anche il predetto costo di sicurezza, non soggetti a ribasso, cioè si
tratta degli oneri di sicurezza finalizzati all’eliminazione dei cd. rischi da interferenze, che
devono essere quantificati dalla stazione appaltante nel Documento di Valutazione dei
Rischi da Interferenze.
Mentre l’art. 87, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006 prevede solo l’obbligo dell’indicazione
in sede di offerta dei costi relativi alla sicurezza, cioè dei costi, connessi al rispetto della
normativa in materia di sicurezza, che dovrà sostenere l’appaltatore in quello specifico
appalto pubblico, la cui misura può variare in relazione al contenuto dell’offerta economica
(cd. rischio specifico o aziendale) e la cui congruità deve essere valutata dalla stazione
appaltante in relazione all’entità ed alle caratteristiche del relativo appalto di lavori, servizi
o fornitura.
Con riferimento ai predetti artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006
sussistono diversi orientamenti giurisprudenziali.
Secondo un orientamento (cfr. per es. C.d.S. Sez. III n. 4622 del 28.8.2012) la mancata
indicazione da parte degli offerenti dei costi relativi alla sicurezza determina l’automatica
esclusione dalla gara, anche se il predetto obbligo non viene specificato dalla lex specialis di
gara, poiché in tal caso il bando risulta eterointegrato dal citato art. 87, comma 4, D.Lg.vo
n. 163/2006.
Secondo un altro orientamento (cfr. per es. C.d.S. Sez. III n. 3706 del 10.7.2013; C.d.S.
Sez. VI n. 4999 del 20.9.2012) il provvedimento di esclusione dalla gara può essere adottato
soltanto se la lex specialis di gara prevede l’obbligo, a pena di esclusione, di indicare in sede
di offerta i costi relativi alla sicurezza.
Per completezza, va segnalato pure un orientamento intermedio (cfr. C.d.S. Sez. III n.
5070 del 18.10.2013), secondo cui il provvedimento di esclusione dalla gara può essere
disposto solo per gli appalti di lavori, “per i quali vige la norma ad hoc” dei Pani di Sicurezza
ex art. 131 D.Lg.vo n. 163/2006 e perciò l’indicazione in sede di offerta dei costi di sicurezza
costituisce un elemento essenziale dell’offerta, mentre per gli appalti di servizi e/o forniture
il costo della sicurezza risulta consustanziale al prezzo e perciò la valutazione di tale costo
va posticipata nella fase del subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta.
Secondo questo Tribunale merita adesione l’orientamento, secondo cui per l’automatica esclusione dalla gara, senza la previa verifica dell’anomalia dell’offerta, risulta necessaria
la previsione nella lex specialis della sanzione dell’esclusione in caso di violazione dell’obbligo dell’indicazione dei costi di sicurezza.
Per inciso, va precisato che tale clausola del bando di gara risulterebbe conforme all’art.
46, comma 1 bis, D.Lg.vo n. 163/2006, perché quest’ultima norma qualifica come nulli
soltanto gli obblighi a pena di esclusione, che non contemplano casi di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal Codice degli Appalti e dal suo Regolamento o da altre
vigenti disposizioni di legge, anche se non già espressamente sanzionate con l’esclusione dal
vigente ordinamento giuridico.
Ciò perché l’esclusione automatica dalla gara è una sanzione gravissima, che può essere
comminata soltanto se espressamente prevista dalla legge e/o dalla lex specialis di gara, ed
anche perché, in assenza di un’esplicita disposizione, si impedisce al concorrente di dimostrare di aver rispettato la normativa in materia di sicurezza con specifico riferimento
all’appalto da aggiudicare e perciò di aver formulato un’offerta non anomala.
Ed infatti, sia dall’art. 86, comma 3 bis, sia dall’art. 87, comma 4, del Codice degli
Appalti si evince che l’indicazione nell’offerta dei costi relativi alla sicurezza risulta finalizzata alla valutazione dell’anomalia delle offerte ed inoltre deve anche tenersi conto della
circostanza che dopo la modifica apportata dall’art. 4 quater, comma 1, lett. c), n. 1, D.L. n.
78/2009 conv. nella L. n. 102/2009 l’art. 87, comma 1, D.Lg.vo n. 163/2006 non prevede più
l’obbligo dei concorrenti di allegare all’offerta una relazione di giustificazioni dei costi,
considerati per la formulazione dell’offerta.
Né può sostenersi che l’indicazione dei costi di sicurezza sia un elemento essenziale
dell’offerta, quasi alla stregua di un requisito di ammissione, in quanto la sua omissione non
impedisce l’esame dell’offerta formulata, come per es. quando il concorrente non ha
autodichiarato tutte le sentenze di condanna penali (compreso quelle con il beneficio della
non menzione), che se non indicate nella domanda di partecipazione non consentono alla
stazione appaltante di valutare l’effettiva incidenza di tali condanne sulla moralità professionale.
Ciò perché gli oneri di sicurezza sono soltanto uno dei tanti costi, che vanno presi in
considerazione per la formulazione di una offerta congrua, anche se sono inderogabili, come
quelli relativi al costo del lavoro, che possono essere stimati soltanto nella fase successiva
della valutazione dell’eventuale anomalia dell’offerta economica.
Tanto più che, nella specie, trattandosi di un appalto di somministrazione di lavoratori,
il costo di sicurezza dei lavoratori grava esclusivamente sulla stazione appaltante ed a
riprova di ciò va rilevato che la Provincia di Potenza non redatto il suddetto Documento di
Valutazione dei Rischi da Interferenze, mentre il costo di sicurezza aziendale, relativo ai
dipendenti cd. fissi della ricorrente risulta del tutto trascurabile, essendo stato quantificato
in “0,0048 E per ogni ora lavorata e retribuita”.
Ad ulteriore riprova di quanto sopra statuito, va evidenziato che, diversamente dall’art.
17 L. n. 68/1999, il quale prevede espressamente la sanzione dell’esclusione dalla gara per le
imprese che non allegano all’offerta la dichiarazione sostitutiva, attestante il rispetto della
normativa relativo al diritto al lavoro dei disabili, l’art. 26, comma 6, D.Lg.vo n. 81/2008,
come i suddetti artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, D.Lg.vo n. 163/2006, non prevede
analoga sanzione di esclusione.
E la suddetta disposizione dell’art. 17 L. n. 68/1999 risulta logica, perché vuole impedire
alle imprese, partecipanti ad una gara di appalto pubblico, di rinviare al momento dell’aggiudicazione la regolarizzazione della loro posizione con riferimento alla L. n. 68/1999.
Invece, l’indicazione del solo costo di sicurezza in sede di offerta non consente alla
Commissione giudicatrice di valutare immediatamente la congruità dell’offerta presentata,
dopo che il Legislatore ha abolito l’obbligo di allegare all’offerta la relazione di tutti i
principali costi stimati.
Comunque, nella specie, va rilevato che l’appalto in commento si riferisce ad un servizio
di reperimento di personale, cioè ad un servizio incluso nell’Allegato II B al Codice degli
Appalti (cfr. punto 22 di tale Allegato) e che perciò, ai sensi dell’art. 20 D.Lg.vo n. 163/2006,
risulta disciplinato esclusivamente dagli artt. 65, 68 e 225 dello stesso D.Lg.vo n. 163/2006.
Pertanto, come condivisibilmente affermato dalla Sentenza TAR Piemonte Sez. I n.
1376 del 21.12.2012 (la quale, peraltro, richiama anche C.d.S. Sez. V n. 4029 del 5.7.2011),
citata dalla ricorrente, nelle gare, relative a servizi ex art. 20 D.Lg.vo n. 163/2006, anche
volendo aderire all’orientamento giurisprudenziale più rigoroso, non può essere sanzionata
con l’esclusione l’omessa specificazione dei costi di sicurezza, se il bando non prevede
espressamente tale obbligo, a pena di esclusione, come nella specie, dove la lex specialis
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richiama gli artt. 86, 87 e 88 D.Lg.vo n. 163/2006 solo ai fini della verifica di anomalia
dell’offerta.
A quanto sopra consegue l’accoglimento del ricorso in esame e l’annullamento dei
provvedimenti impugnati ed anche il subentro della ricorrente nell’appalto di cui è causa.
Tenuto conto del contrasto giurisprudenziale sulla questione, oggetto della controversia
in esame, sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di
giudizio, con la condanna della Provincia di Potenza al rimborso del solo Contributo
Unificato nella misura versata.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata accoglie il ricorso
in epigrafe nei sensi indicati in motivazione.
Spese compensate, con la condanna della Provincia di Potenza al rimborso del Contributo Unificato nella misura versata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Michele Perrelli, Presidente
Giancarlo Pennetti, Consigliere
Pasquale Mastrantuono, Consigliere, Estensore
Tribunale amministrativo regionale Sicilia Catania Sez. IV 6 dicembre 2013 n. 2924 Pres. Di
Paola Est. Savasta E. s.r.l. (avv. Vitale) Regione Sicilia . (Avv. Stato)
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Criteri per la
valutazione di proposta progettuale - Voto numerico.
In tema di voto numerico relativo ad una selezione pubblica che presuppone la valutazione di una proposta progettuale, le coordinate interpretative sono le seguenti:
1) Quando la valutazione sia relazionata a criteri predeterminati, la cui applicazione non
lasci alcun margine di discrezionalità sugli intervalli di graduazione (essendosi la stessa
consumata in sede, appunto, di predeterminazione di criteri), come nel caso in cui il punteggio
sia, a priori, graduato secondo un riferimento a « fasce » prestabilite, parametrate al diverso
grado del valore dei requisiti e delle caratteristiche ritenuto sussistente nell’offerta o del
progetto, il voto numerico è del tutto sufficiente a rappresentare il giudizio espresso dalla
commissione di valutazione e a consentire il controllo della insussistenza di macroscopiche
abnormità in esso contenuto, come tali, censurabili dal G.A..
2) Quando la valutazione sia altrettanto relazionata a criteri predeterminati secondo
quanto indicato sub 1), ma il giudizio sia stato ulteriormente rivolto a una serie di subcriteri
tra di loro autonomi, ma rivolti alla valutazione di un criterio omogeneo e complessivo,
l’espressione di un voto unico finale non appare sufficiente a esternare il concreto giudizio
della commissione di valutazione, posto che non viene esternata la sussistenza di giudizi più
o meno critici rispetto ai singoli requisiti richiesti e, quindi, non viene adeguatamente
manifestata la modalità di esercizio della discrezionalità amministrativa. In altri termini, se, ad
esempio, per la valutazione di un progetto, la griglia di punteggi definisca, all’interno di
ciascuno di essi, una serie di ulteriori diversi requisiti da valutare secondo un certo tipo di
caratteristiche (quale espressione anticipata del giudizio possibile), il punteggio, per essere
« controllabile e sufficiente », in assenza di una ponderazione espressa mediante l’uso di una
chiara espressione linguistica, deve essere riferito parzialmente a ciascuno di essi (di modo che
venga manifestata, con il voto, un giudizio per ogni sub criterio), prima che diventare sintesi
con un voto finale.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1496 del 2012, proposto da: Euss s.r.l., in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Vitale
e Antonio Francesco Vitale, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Catania,
Corso Italia n. 226;
contro
Regione Sicilia, Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale - Dip. dell’Istruzione e della Formazione Professionale, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex
lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149; Nucleo per la Valutazione dei Progetti, non
costituito in giudizio;
nei confronti di
C&B S.R.L., Euro Soluzioni 2000, Educational Center S.a.s., Strec Soc. Cons. a r.l., in
persona dei legali rappresentati pro tempore, non costituite in giudizio;
per l’annullamento
- del D.D.G. n. 1346 del 27.04.2012, a firma del Direttore Generale del Dipartimento
dell’Istruzione e della Formazione Professionale, con il quale sono state approvate le
graduatorie e gli elenchi definitivi delle proposte progettuali pervenute a valere sull’Avviso
n. 20/2011 (“Percorsi formativi per il rafforzamento dell’occupabilità della forza lavoro
siciliana periodo 2012/2014”), nella parte in cui ha inserito l’Ente ricorrente nell’Allegato 3
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tra i progetti esclusi per “punteggio insufficiente” della graduatoria “FORGIO” di Catania,
anziché includerlo nell’Allegato 1 tra gli “ammessi al finanziamento” della graduatoria
“FORGIO” di Catania, ovvero, in subordine, contemplarlo nell’Allegato 2 tra i progetti
“ammessi ma non finanziati” della graduatoria “FORGIO” di Catania;
- del D.D.G. n. 2079 del 31.05.2012 (pubblicato sulla G.U.R.S. n. 23 del 08.06.2012), a
firma del Direttore Generale del Dipartimento dell’Istruzione e della Formazione Professionale, con il quale, a parziale modifica degli Allegati al D.D.G. n. 1346, sono state
approvate le graduatorie e gli elenchi definitivi delle proposte progettuali pervenute a valere
sull’Avviso n. 20/2011 (“Percorsi formativi per il rafforzamento dell’occupabilità della forza
lavoro siciliana periodo 2012/2014”), nella parte in cui ha inserito l’Ente ricorrente nell’Allegato 3 tra i progetti esclusi per “punteggio insufficiente” della graduatoria “FORGIO” di
Catania, anziché includerlo nell’Allegato 1 tra gli “ammessi al finanziamento” della graduatoria “FORGIO” di Catania ovvero, in subordine, contemplarlo nell’Allegato 2 tra i progetti
“ammessi ma non finanziati” della graduatoria “FORGIO” di Catania;
- dell’Avviso pubblico n. 20/2011, pubblicato sulla G.U.R.S. n. 36 del 26.08.2011, nella
parte in cui, relativamente ai “Criteri di selezione” ex art. 8.2, prevede, con riferimento
all’Indicatore 1.4, un punteggio pari a 0 per quegli Enti non in possesso degli standard
minimi di competenze professionali di riferimento previsti dal D.M. 166/2001, pur consentendone la partecipazione;
- di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi
compreso, ove occorra e se del caso, il Verbale n. 1 del 26.01.2012, con il quale il Nucleo per
la Valutazione dei progetti presentati ha adottato i criteri di valutazione, nonché il Verbale
n. 14 del 15.02.2012, con annessa Scheda di Valutazione, con il quale il Nucleo ha attribuito
alla proposta progettuale presentata dalla ricorrente una valutazione di punti 41/100.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Sicilia e dell’Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale - Dip. dell’Istruzione e della Formazione Professionale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2013 il dott. Pancrazio Maria
Savasta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO — Con Avviso n. 20/2011 (“Percorsi formativi per il rafforzamento dell’occupabilità della forza lavoro siciliana periodo 2012/2014”), pubblicato sulla G.U.R.S. n. 36
del 26.08.2011, l’Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale ha
avviato un’innovazione dell’offerta formativa fondata sulla proposizione di un’ampia e
variegata dotazione di competenze utili per sostenere l’occupabilità dei soggetti disoccupati
e/o inoccupati.
Il superiore Avviso sosteneva la realizzazione di percorsi formativi ed esperienziali,
articolati in tre diversi ambiti formativi: 1) Formazione Giovani (FORGIO); 2) Formazione
Ambiti Speciali (FAS); 3) Formazione Permanente (FP), suddivisi su base provinciale.
L’odierna ricorrente, in data 28.10.2011, presentava domanda di ammissione al finanziamento (Identificata con il n. 179) per E 253.728,00 per un “Pacchetto base”, ambito
formativo FORGIO da realizzare nella provincia di Catania.
In particolare, il superiore Pacchetto prevedeva l’avvio di n. 2 corsi (“Progettista
installatore di impianti voltaici” e “Tecnico nella gestione del trattamento dei rifiuti solidi
urbani”) di 900 ore ciascuno, per un totale di 1800 ore.
Nella seduta del 15.02.2012, il Nucleo per la valutazione dei progetti presentati, nel
procedere all’attribuzione dei punteggi delle proposte progettuali ammesse – relative alla
provincia di Catania, ambito FORGIO –, assegnava alla ricorrente un punteggio pari a
41/100, inferiore al minimo (stabilito in 55/100), necessario per essere utilmente inserita in
graduatoria.
Infatti, con successivo D.D.G. n. 860 del 13.03.2012 (pubblicato sulla G.U.R.S. n. 11 del
16.03.2012) – di approvazione delle graduatorie provvisorie – l’EUSS s.r.l. veniva inserita
nell’Allegato 3 (“Esclusi per punteggio insufficiente”), con possibilità di presentare osservazioni.
La ricorrente, in data 23.03.2012, ritenendo erroneo il punteggio attribuitole, ne
chiedeva la correzione, con conseguente ammissione al finanziamento della proposta progettuale presentata.
Ciononostante, senza nulla comunicare a sostegno del rigetto delle presentate osservazioni, con D.D.G. n. 1346 del 27.04.2012 venivano approvate le graduatorie e gli elenchi
definitivi delle proposte progettuali pervenute a valere sull’Avviso n. 20/2011, all’interno
delle quali l’EUSS s.r.l., ancora una volta, veniva, con il medesimo punteggio, inserita
nell’Allegato.
Successivamente, l’Amministrazione Regionale, “al fine di garantire maggiore comprensione dell’iter procedurale, nonché dei relativi esiti del procedimento di ammissione a
finanziamento delle proposte progettuali presentate”, con D.D.G. n. 2079 del 31.05.2012
(pubblicato sulla G.U.R.S. n. 23 del 08.06.2012) procedeva, in autotutela, alla parziale
modifica degli Allegati nn. 1, 2 e 3 al D.D.G. n. 1346 del 27.04.2012, all’interno del quale
ultimo, tuttavia, l’Ente ricorrente continuava a trovarsi collocato.
Con ricorso passato per la notifica il 19.6.2012 e depositato il 20.6.2012, la ricorrente ha
impugnato siffatti provvedimenti, affidandosi alle seguenti censure:
I. Violazione e falsa applicazione art. 8.2 dell’Avviso Pubblico n. 20/2011. Violazione e
falsa applicazione artt. 3 e 10 bis Legge n. 241/1990 ss.mm.ii. Difetto assoluto di motivazione.
Eccesso di potere per errore sui presupposti in fatto ed in diritto. Difetto di istruttoria. Falsa
rappresentazione della realtà. Ingiustizia grave e manifesta. Illogicità. Disparità di trattamento. Irragionevolezza.
Asserisce la ricorrente che, in violazione dell’art. 10 bis delle Legge n. 241/1990, non ha
ricevuto alcuna comunicazione preventiva dei motivi che hanno determinato l’esclusione
della propria proposta progettuale dal finanziamento.
II) L’art. 8.2 dell’Avviso pubblico n. 20/2011, titolato “Criteri di selezione per proposte
progettuali presentate da organismi formativi”, prevedeva, ai fini della valutazione complessiva, quattro distinti <<Criteri di valutazione>> (1. Qualificazione del soggetto proponente;
2. Caratteristiche della progettazione; 3. Innovazione ed impatti; 4. Rispondenza alle priorità
trasversali) cui attribuire un punteggio massimo sulla base di determinati “Indicatori”.
Asserisce la ricorrente che il Nucleo per la valutazione (nella seduta del 26.01.2012)
avrebbe stabilito che la valorizzazione di taluni criteri di valutazione – tra cui 1.1, 1.4, 1.5, il
cui punteggio è oggetto di contestazione – sarebbero dovuti risultare “dalla mera applicazione di una formula matematica ai dati dichiarati dal soggetto proponente”, cosa nei fatti,
di poi, non avvenuta.
Con articolate motivazioni, che per economia di giudizio vengono rappresentate in
punto di diritto, la ricorrente ha impugnato le valutazioni ottenute per alcuni dei suddetti
criteri, che, se se diversamente ponderate, le avrebbero consentito di essere collocata
utilmente in graduatoria e, quindi, ottenere il finanziamento.
III. Domanda risarcitoria.
Stante l’asserita sussistenza dell’ingiustizia del danno, del comportamento colposo
dell’Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale e del nesso di
causalità, la ricorrente ha richiesto il risarcimento del danno, la cui misura è stata rilasciata
alla valutazione di questo Tribunale.
Costituitasi, l’Amministrazione intimata ha concluso per l’infondatezza del gravame.
Con Ordinanza n. 56/13 del18.1.2013, questa stessa Sezione, premesso che dall’accoglimento delle censure che appaiono, ad un primo esame, suscettibili di positivo apprezzamento (relative ai punti 2.1 e 2.1 della domanda) non consegue il raggiungimento del
punteggio minimo (55/100) richiesto per l’ammissione al progetto, ha rigettato la domanda
di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati.
Il CGA per la Sicilia, con Ordinanza n. 148/13 del 29.3.2013 ha accolto l’appello nei
confronti della predetta decisione cautelare adottata da questo Tribunale, ai soli fini di una
sollecita definizione nel merito.
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Alla pubblica udienza del 10.10.2013, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO — I. Con il ricorso in esame la ricorrente si duole del giudizio formulato
sulla proposta progettuale dalla stessa presentata nell’ambito dell’Avviso n. 20/2011 (“Percorsi formativi per il rafforzamento a complessa vicenda all’esame del Collegio riguarda le
graduatorie e gli elenchi definitivi dell’occupabilità della forza lavoro siciliana periodo
2012/2014”) e del conseguente inserimento nell’Allegato 3, relativo ai progetti esclusi per
“punteggio insufficiente”.
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente si duole dell’illegittimità dei provvedimenti
impugnati, per non essere stati preceduti dal preavviso di rigetto, ai sensi dell’art. 10 bis della
l. n. 241/90.
La censura non può essere condivisa, posto che, come rappresentato in punto di fatto,
a fronte della graduatoria provvisoria, la ricorrente è stata messa in condizione di esporre le
ragioni del proprio dissenso dalla decisione provvisoriamente adottata, di guisa che la norma
di cui si chiede l’applicazione è stata sostanzialmente osservata dall’Amministrazione.
II. E’ possibile passare all’esame del merito del ricorso.
E’ bene premettere (cfr. T.A.R. Catania, sez. I , 19/04/2010, n. 1153; TAR Catania, I,
11.9.2006, n. 1403) <<che l’esercizio del potere amministrativo involgente questioni riferite
a valutazioni di ordine tecnico, è pur sempre soggetto al giudizio del giudice amministrativo,
anche se nei limiti del c.d. ″sindacato debole″, ossia entro i consueti canoni della ragionevolezza, della assenza di evidenti e palesi contraddittorietà logiche o abnormità di fatto (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 31 gennaio 2005, n. 256; T.A.R. Valle d’Aosta, 24 settembre 2004,
n. 97; Consiglio Stato, sez. VI, 28 giugno 2004, n. 4532).
<<Da ciò discende che, ″pur se è precluso al giudice la sostituzione indiscriminata delle
proprie valutazioni tecniche a quelle dell’amministrazione, in carenza di elementi atti a
rivelare la complessiva inattendibilità del giudizio degli organi di amministrazione attiva,
ragion per cui il giudice non può valutare la opportunità delle valutazioni che l’amministrazione in proposito opera, può però apprezzarne la intrinseca coerenza e ragionevolezza;
inoltre, il sindacato del giudice non è limitato ad un controllo meramente estrinseco, che si
fidi di una mera ″apparenza di ragionevolezza″, in quanto per aversi una tutela giurisdizionale effettiva si deve esaminare se la determinazione amministrativa impugnata corrisponda
ad un canone di ragionevolezza″ effettiva e sostanziale (TAR Sicilia, Catania, II, 26 gennaio
2005, nr 113; sulla problematica della discrezionalità tecnica e dei limiti del sindacato
giurisdizionale, cfr. anche T.a.r. Palermo, n. 737/2003; C.S., VI, n. 906/2004; TAR Catania, II,
30 maggio 2005 nr. 953)>>.
I detti principi sono stati, recentemente, ulteriormente precisati dal giudice di seconde
cure (Consiglio di Stato, sez. III, 02/04/2013, n. 1856), secondo il quale <<dopo un’iniziale
autolimitazione del proprio scrutinio al solo profilo estrinseco dell’iter logico seguito dalla
p.a. nella motivazione del provvedimento (il G.A.) ha riconosciuto successivamente la
possibilità di un sindacato intrinseco sulla c.d. discrezionalità tecnica, al fine di vagliare la
correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto dall’amministrazione (Cons. St., sez. IV, 9.4.1999, n. 601).
<<A questo approdo ermeneutico la giurisprudenza è giunta sulla base del dato
obiettivo, difficilmente contestabile, che la p.a., anche nell’accertamento di fatti complessi
alla stregua di ″concetti giuridici indeterminati″ (cd. unbestimmte Rechtsbegriffe) o di
″regole tecnicoscientifiche opinabili″, debba ispirarsi ad un rigore metodologico e ad una
coerenza applicativa che non possono non essere suscettibili di verifica e di controllo da
parte del giudice amministrativo, nel loro intrinseco svolgimento, al fine di evitare che la
discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio specialistico.
<<Anche materie o discipline connotate da un forte tecnicismo settoriale, infatti, sono
rette da regole e principi che, per quanto ″elastiche″ o ″opinabili″, sono pur sempre
improntate ad una intrinseca logicità e ad un’intima coerenza, alla quale anche la p.a., al pari
e, anzi, più di ogni altro soggetto dell’ordinamento in ragione dell’interesse pubblico affidato
alla sua cura, non può sottrarsi senza sconfinare nell’errore e, per il vizio che ne consegue,
nell’eccesso di potere.
<< Il giudice amministrativo, quindi, deve poter sempre verificare, anche mediante
l’ausilio della c.t.u., se la p.a. abbia fatto buon governo delle regole tecniche e dei
procedimenti applicativi che essa ha deciso, nell’ambito della propria discrezionalità, di
adottare per l’accertamento o la disciplina di fatti complessi e se la concreta applicazione di
quelle regole a quei fatti, una volta che esse siano prescelte dalla p.a., avvenga iuxta propria
principia.
<< Fermo questo presupposto, che può dirsi ormai un dato di ius receptum, gli
interpreti si sono poi interrogati e divisi sull’intensità di questo sindacato intrinseco, se, cioè,
debba essere ″forte″, sino al punto che il giudice pervenga a sostituire la propria all’erronea
valutazione tecnica della p.a., come ha sostenuto una parte della dottrina, o sia invece
″debole″, nella misura in cui impedisca un potere sostitutivo del giudice, tale da sovrapporre
la propria valutazione tecnica opinabile o il proprio modello logico di attuazione del
″concetto indeterminato″ all’operato dell’Autorità, potendo questi solo verificare la logicità,
la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e della sua motivazione,
la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei
presupposti di fatto posti a fondamento della deliberazione, secondo un orientamento che
questo Consiglio ha avuto modo di esprimere in diversi arresti (v., ex plurimis, Cons. St., sez.
VI, 21.3.2011, n. 1712).
<< Più di recente, con riferimento, ad esempio, ai provvedimenti dell’Autorità Antitrust, la giurisprudenza di questo Consiglio, nel tentativo di superare l’angusta e, per certi
versi, riduttiva contrapposizione sindacato fortedebole, si è attestata su una linea ermeneutica secondo la quale ciò che rileva non è tanto la qualificazione del controllo come ″forte″
o ″debole″, ma ″l’esercizio di un sindacato comune a livello comunitario, in cui il principio
di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie, in cui
è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere, ma di verificare - senza alcuna
limitazione - se il potere a tal fine attribuito . . . sia stato correttamente esercitato″ (Cons. St.,
sez. VI, 20.2.2008, n. 595).
<< Questa giurisprudenza ha messo in rilievo come il sindacato giurisdizionale sulla
discrezionalità tecnica, ben al di là di viete e stereotipe formule definitorie, sia effetto e,
insieme, garanzia, a livello nazionale ed europeo, della legalità dell’azione amministrativa,
sulla quale il giudice amministrativo, come ha chiarito anche la Corte Costituzionale nella
sentenza n. 204/2004 e nella sentenza n. 191/2006, è chiamato ad esercitare il suo controllo
quale ″giudice naturale″.
<< . . . L’esigenza che questo pubblico potere, da taluni definito anche ″atipico″ o
″acefalo″, sia ricondotto e sottostia, come ogni altro, ad un principio di legalità sostanziale,
non trovando esso un’espressa copertura costituzionale e suscitando, quindi, non poche
riserve in ordine al fondamento della sua legalità formale, impone al giudice amministrativo
di assicurare che la legittimazione di tale potere rinvenga la sua fonte, al di là delle garanzie
partecipative che agli operatori del settore sono attribuite, a livello procedimentale, nella
fase della consultazione, proprio o almeno nella corretta e coerente applicazione delle regole
che informano la materia sulla quale incide.
<< La correttezza, la coerenza, l’armonia delle regole in concreto utilizzate, il loro
impiego da parte dell’Autorità iuxta propria principia, secondo, quindi, un’intrinseca
razionalità, pur sul presupposto e nel contesto di scelte ampiamente discrezionali, garantiscono e, insieme, comprovano che quel settore dell’ordinamento non sia sottoposto all’esercizio di un potere ″errante″ e sconfinante nell’abuso o nell’arbitrio, con conseguenti
squilibri, disparità di trattamento, ingiustizie sostanziali, anche e soprattutto nell’applicazione di principi o concetti che, proprio in quanto indeterminati ed elastici, in gran parte
reggono, per la loro duttilità, ma condizionano fortemente, per la loro complessità, vasti e
rilevanti settori sociali.
<< Il limite del sindacato giurisdizionale, al di là dell’ormai sclerotizzata antinomia
forte/debole, deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte
discrezionali della pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua
intrinseca coerenza, anche e, vien fatto di dire, soprattutto in materie connotate da un
elevato tecnicismo, per le quali vengano in rilievo poteri regolatori con i quali l’autorità
detta, appunto, ″le regole del gioco″>>.
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149
Le condivisibili decisioni, ad avviso del Collegio, vanno applicate anche nel caso di
formazione di graduatorie, precedute da una selezione e da una valutazione di ordine
tecnico espressa mediante un voto numerico.
Come appare ormai consolidato in giurisprudenza (cfr. T.A.R. Genova, sez. II,
18/10/2013, n. 1242) sulla questione afferente la sufficienza della motivazione espressa
mediante punteggio numerico, la stessa è possibile ove siffatta modalità di giudizio consenta
<<di ripercorrere il percorso valutativo della commissione e, quindi, assolva sufficientemente l’onere motivazionale a carico di tale organo, quando la legge di gara abbia prefissato
con adeguato grado di chiarezza e dettaglio i criteri di valutazione (cfr., fra le ultime, Cons.
Stato, sez. III, 25 febbraio 2013, n. 1169).
<<Viceversa, nelle ipotesi connotate dall’assenza di criteri o anche di sub-criteri
realmente stringenti, quindi improntati a significativi margini di discrezionalità tecnica non
compiutamente definiti, la mera attribuzione dei punteggi non è sufficiente a dar conto
dell’iter logico seguito nella scelta e a far comprendere con chiarezza le ragioni per cui sia
stato attribuito un punteggio maggiore a talune offerte e minore ad altre: in tali ipotesi,
pertanto, affinché possa ritenersi correttamente assolto il dovere di motivazione in parola, è
necessario che, oltre al punteggio numerico, sia espresso un giudizio motivato, con il quale
la commissione espliciti le ragioni del punteggio attribuito>>.
Nel caso di specie, come si vedrà, si utilizzano sistemi di ponderazione “misti”. A volte,
il giudizio
è graduato secondo una scala di requisti e/o presupposti da porre a valutazione, cui
corrisponde un valore numerico da attribuire, quale predeterminata espressione del giudizio
che la Commissione intende assegnare, altre volte, invece, è previsto un voto unico, quale
sintesi di una scala di valutazioni su elementi diversi, seppur predeterminati in maniera
precisa, per la quale non è previsto alcun subpunteggio che possa fornire contezza dei singoli
sub giudizi.
Il Collegio, pur consapevole della giurisprudenza formatasi sulla questione, ritiene in
tema di voto numerico di dover precisare quanto segue.
1) Quando la valutazione sia relazionata a criteri predeterminati, la cui applicazione
non lasci alcun margine di discrezionalità sugli intervalli di graduazione (essendosi la stessa
consumata in sede, appunto, di predeterminazione di criteri), come nel caso in cui il
punteggio sia, a priori, graduato secondo un riferimento a “fasce” prestabilite, parametrate
al diverso grado del valore dei requisiti e delle caratteristiche ritenuto sussistente nell’offerta
o del progetto, il voto numerico è del tutto sufficiente a rappresentare il giudizio espresso
dalla commissione di valutazione e a consentire il controllo della insussistenza di macroscopiche abnormità in esso contenuto, come tali, censurabili dal G.A..
Si tratta, per meglio comprendere, dei casi in cui l’Amministrazione, rispetto a una
valutazione da operare, indichi un punteggio prestabilito rispetto alla insufficienza, alla
sufficienza e alla maggiore o minore bontà del requisito progettuale proposto. In questi casi,
l’espressione del voto, aderendo alla fascia di giudizio prestabilito, fornisce una chiara
indicazione del “pensiero” dell’organo di valutazione e, pertanto, consente, per un verso, di
rendere chiara la motivazione del provvedimento, per un altro di consentire quel controllo
riconosciuto al G.A..
2) Quando la valutazione sia altrettanto relazionata a criteri predeterminati secondo
quanto indicato sub 1), ma il giudizio sia stato ulteriormente rivolto a una serie di subcriteri
tra di loro autonomi, ma rivolti alla valutazione di un criterio omogeneo e complessivo,
l’espressione di un voto unico finale non appare sufficiente a esternare il concreto giudizio
della commissione di valutazione, posto che non viene esternata la sussistenza di giudizi più
o meno critici rispetto ai singoli requisiti richiesti e, quindi, non viene adeguatamente
manifestata la modalità di esercizio della discrezionalità amministrativa.
In altri termini, se, ad esempio, per la valutazione di un progetto, la griglia di punteggi
definisca, all’interno di ciascuno di essi, una serie di ulteriori diversi requisiti da valutare
secondo un certo tipo di caratteristiche (quale espressione anticipata del giudizio possibile),
il punteggio, per essere “controllabile e sufficiente”, in assenza di una ponderazione espressa
mediante l’uso di una chiara espressione linguistica, deve essere riferito parzialmente a
ciascuno di essi (di modo che venga manifestata, con il voto, un giudizio per ogni sub
criterio), prima che diventare sintesi con un voto finale.
Esemplificando, se il bando contenga una griglia di punteggi da riferire all’apprezzamento di un requisito o di una proposta progettuale e ciascuno di essi sia concepito quale
sintesi di una serie di apprezzamenti su diversi presupposti (ad esempio, nel caso di specie,
nel medesimo indicatore sono stati previsti “la congruenza del fabbisogno territoriale, “gli
obiettivi dell’offerta formativa contemplata dal pacchetto” e “l’impianto didattico dei corsi
preposti” e, per ciascuno di essi è stata indicata la modalità con la quale la valutazione
sarebbe stata operata), ebbene, il giudizio non può ritenersi sufficiente se espresso in
maniera complessiva finale, poiché, in siffatto modo, non sarà possibile comprendere come
ciascuno di detti aspetti sia stato giudicato nel dettaglio e, quindi, abbia influito sul giudizio
finale, con l’impossibilità, si ribadisce di verifica da parte del G.A. del concreto operato
amministrativo.
In somma sintesi, manca la corrispondenza tra il giudizio predeterminato e il voto
espresso, sintesi, quest’ultimo, di elementi diversi e, come tali, non unificabili.
III. Ciò preliminarmente chiarito, vanno esaminate le singole censure.
1) La prima di esse riguarda l’indicatore di cui al punto 1.1 (“Esperienza continuativa
nel territorio regionale”).
Lo stesso ha stabilito i seguenti punteggi:
• Nessuna esperienza: 0 punti
• Da 0 a 1 anno: 3 punti
• Oltre 1 anno fino a 3 incluso: 8 punti
• Oltre 3 anni fino a 4 anni incluso: 15 punti
• Oltre 4 anni: 20 punti.
Il caso di specie rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1).
La ricorrente asserisce di aver dichiarato nella propria proposta progettuale di svolgere
l’attività, oltre che per il triennio 2008, 2009 e 2010, sin dal 2006/2007 (allorché avrebbe
asseritamente realizzato due corsi di 200 ore per “vetrinisti” in Acireale) e, conseguentemente, di avere diritto a un punteggio pari a 20 punti, mentre il Nucleo di valutazione le ha
attribuito solo 8 punti (“Oltre 1 anno fino a 3 incluso”).
Rileva il Collegio che il contenuto completo della misura riguarda l’“esperienza
maturata nell’ambito di attività di formazione/orientamento/istruzione politiche del lavoro
finanziate a valere di risorse regionali e comunitarie”.
Nella domanda della ricorrente, espressamente, sono state rappresentate attività per il
solo triennio 2008-10 e, soprattutto, solo per esse, come correttamente sostenuto dalla Difesa
Erariale, è stato indicato l’ambito formativo.
L’indicazione relativa al corso per vetrinisti in Acireale, al contrario, è contenuta nel
riquadro relativo agli anni 2008 e 2009, in ambedue i casi, sotto la voce “descrizione breve
altre esperienze (dettagli ambiti e attività)”.
In altri termini, mentre per il triennio espressamente dichiarato è possibile evincere se
le esperienze maturate siano riferibili agli ambiti espressamente indicati e richiesti nella
misura, nulla è precisato per i corsi relativi al biennio 2006-2007 (descritti a margine e
unitamente a tutta la indiscriminata pregressa attività della ricorrente), disattendendo così
quanto stabilito nell’Avviso 20/2011, che, alla pagina 19, prevede espressamente che “i
punteggi saranno attribuiti attraverso una valutazione basata sulla realizzazione continuativa
di corsi, realizzati nell’intero territorio regionale, nel corso di ciascuno degli ultimi cinque
anni precedenti alla data di pubblicazione del presente avviso a valere su risorse pubbliche
regionali, nazionali e comunitarie, congruenti con le attività proposte nel presente avviso. Ne
consegue che, ad esempio, sono esclusi dal confronto i corsi realizzati nell’ambito dell’OIF,
dell’IFTS e dell’alta formazione, dell’apprendistato, della formazione continua anche con i
fondi interprofessionali etc.”.
Non essendo possibile, si ribadisce, tale tipo di controllo per il biennio 2006-2007, ed
essendo stato dichiarato un periodo massimo di un triennio, giustamente sono stati assegnati
alla ricorrente 8 punti.
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151
2) Indicatore di cui al punto 1.4 (“Rispondenza del modello organizzativo e delle figure
professionali, con contratto a tempo indeterminato, del soggetto proponente rispetto a
quanto previsto nell’art. 10 del D.M. 166/2001”).
Punteggio previsto:
numero minimo competenze professionali di riferimento pari ad almeno cinque, punti
5;
numero minimo competenze professionali di riferimento pari a tre, punti 3;
numero minimo competenze professionali di riferimento inferiore a 3, punti zero.
Il caso di specie rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1).
Il Nucleo ha attribuito all’Ente ricorrente un punteggio pari a 0 su 5 disponibili.
Secondo tale Indicatore, l’attribuzione di un determinato punteggio dipendeva dalla
presenza o meno, all’interno dell’Ente, di talune figure lavorative (quali il Direttore, il
Responsabile gestione economica e finanziaria, il Progettista, etc...).
Asserisce la ricorrente di aver dichiarato nella propria domanda di avere, nel proprio
staff, solo un soggetto Formatore ed un Formatore Tutor: da qui l’attribuzione di un
punteggio pari a 0.
Tale assegnazione mortificherebbe, però, la partecipazione di quegli Enti, che, per
strutturazione (900 ore), non siano in possesso per intero dei requisiti di competenza
professionale richiesti. In altri termini, per un verso, sarebbe consentita la loro partecipazione, per un altro, la stessa sarebbe frustrata, con la previsione di un punteggio nullo.
Pertanto, conclude la ricorrente, il Nucleo di valutazione, considerata la struttura
dell’EUSS, avrebbe dovuto attribuirle, quantomeno, il punteggio minimo consentito.
Il superiore “Indicatore”, inoltre, se interpretato nel senso conforme a quanto ritenuto
dall’Amministrazione, renderebbe illegittimo, in parte qua, l’Avviso pubblico n. 20/2011,
sotto il profilo dell’eccesso di potere per disparità di trattamento e contraddittorietà, sicché
lo stesso, in via subordinata, è stato per tale motivo impugnato.
Il Collegio ritiene che, in disparte quanto ritenuto nell’all. 6 alla produzione allegata in
ricorso, vale a dire nella risposta (senza data) del Dipartimento della Formazione professionale alle osservazioni della ricorrente prot. n. 30873 del 27.3.2012 alla graduatoria
provvisoria (secondo la quale quanto rappresentato innoverebbe, in maniera non consentita,
rispetto a quanto dichiarato in domanda), il nucleo di valutazione abbia semplicemente
applicato la disposizione contenuta nell’atto di autolimitazione, così come sub III.1),
secondo una valutazione semplicemente matematica.
In ordine alla censura subordinata, rivolta a censurare siffatta programmazione, è da
ritenere, intanto, che il rilievo impinga sulla discrezionalità ricolta alla programmazione dei
criteri e, come tale, non possa essere oggetto di sindacato da parte di questo Tribunale.
In ogni caso, la scelta appare immune dal vizio rilevato, poiché non appare illogica
l’attribuzione di un punteggio pari a 0, a fronte di un praticamente irrilevante numero di
soggetti muniti di una specifica competenza professionale.
Né la circostanza appare contraddittoria con la possibilità di partecipazione, posto che,
comunque, la sussistenza di importanti punteggi per altre voci ben avrebbero potuto
consentire il raggiungimento del minimo richiesto per ottenere il finanziamento.
3) Indicatore di cui al punto 1.5 (“Indicatore premiale: incidenza percentuale del
personale a tempo indeterminato in organico al 30.06.2011 sul personale totale proposto per
l’attuazione delle attività presentate”).
Punteggio previsto:
da 0 a 50% = 0
da 50% a 80% = 1
oltre 80% = 3
Il caso di specie rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1).
Il Nucleo di valutazione ha attribuito alla ricorrente, ancora una volta, un punteggio
pari a 0 sui 3 disponibili.
In sostanza, secondo tale indicatore, era possibile attribuire un punteggio sulla base del
rapporto tra personale a tempo indeterminato in organico al 30.06.2011 e quello proposto
per l’attuazione delle attività prestate.
In sede di presentazione della proposta progettuale, la ricorrente ha indicato una
percentuale dell’1,00%, anziché del 100%.
Tale indicazione sarebbe il risultato di un mero errore di trascrizione, infatti, in seno
alla domanda di agevolazione, il ricorrente avrebbe espressamente reso manifesta la volontà
di servirsi, per lo svolgimento dell’attività di docenza, di tutti e tre i dipendenti (con
contratto a tempo indeterminato), con un’incidenza, appunto, pari al 100%.
Pertanto, il corretto punteggio da attribuire sarebbe stato il massimo, pari a punti 3.
Per altro, la superiore circostanza avrebbe formato oggetto di esplicita censura in seno
alle osservazioni presentate da parte ricorrente in data 27.03.2012, che, come premesso, non
sarebbero state prese in considerazione, con conseguente eccesso di potere per difetto di
istruttoria.
L’amministrazione deduce, ex adverso, che non sarebbe possibile alcun soccorso
istruttorio a fronte dell’erronea indicazione contenuta in domanda da parte del ricorrente,
al fine di non pregiudicare la par condicio tra i vari concorrenti.
Il Collegio, sul punto, osserva che, in linea di principio, l’evidente errore materiale,
purché reso tale da prevalenti diverse dichiarazioni da parte del concorrente, si presta a
essere superato e, quindi, siano possibili successive precisazioni.
Tuttavia, nel caso di specie, la ricorrente si limita a dedurre di aver altrove indicato in
domanda di volersi avvalere della professionalità di tutti e tre i propri dipendenti assunti con
contratto a tempo indeterminato e, dunque, del 100% del proprio personale.
Sfugge al ricorrente che la dichiarazione richiesta é più complessa, richiedendosi la
sussistenza del rapporto percentuale del personale a tempo indeterminato in organico al
30.6.2011 rispetto a quello proposto per l’attuazione delle attività presentate, sicché l’eventuale indicazione, così come prospettata in ricorso, appare comunque insufficiente a definire
la proporzione richiesta per l’assegnazione del punteggio. Consegue l’infondatezza della
censura.
Il Collegio, dopo avere scrutinato le censure relative alla predette misure, osserva che,
diversamente da quanto opinato in ricorso, il Nucleo per la valutazione, coerentemente con
quanto sostenuto nella seduta del 26.01.2012 ha applicato dei criteri la cui valutazione deriva
“dalla mera applicazione di una formula matematica ai dati dichiarati dal soggetto proponente”.
Deriva l’infondatezza anche di detta censura.
4) Con riferimento al secondo dei Criteri di Valutazione (“Caratteristiche della
progettazione”), il Nucleo di valutazione ha attribuito all’Ente EUSS s.r.l. un punteggio
complessivo di 22/44.
Nel particolare, con riferimento all’Indicatore di cui al punto 2.1 (“Congruenza tra
fabbisogno territoriale, obiettivi dell’offerta formativa contemplata dal pacchetto, impianto
didattico dei corsi proposti”) erano previsti i seguenti punteggi:
• Ottimo: 5 punti
• Buono: 3 punti
• Discreto: 2 punti
• Sufficiente: 1 punto
• Insufficiente: 0 punti
Asserisce la ricorrente che il Nucleo per la valutazione, senza specificarne la motivazione, ha attribuito all’Ente ricorrente un punteggio pari a 2 su 5, quindi, valutando il
progetto presentato come “Discreto”.
Il superiore punteggio non rispecchierebbe il valore del progetto proposto.
La Commissione, nell’attribuzione del punteggio, avrebbe dovuto considerare tre
aspetti fondamentali: 1) il fabbisogno territoriale; 2) l’obiettivo del corso; 3) l’impianto
didattico.
Nel particolare, con riferimento al“fabbisogno territoriale”, la valutazione avrebbe
dovuto tenere in considerazione, tra gli altri, “il livello effettivo di rispondenza della stessa
ai fabbisogni formativi reali del territorio ... omissis ...”; con riferimento, poi, all’“obiettivo
dell’offerta formativa”, avrebbe dovuto valutarsi l’“indicazione degli obiettivi perseguiti in
coerenza con i fabbisogni emersi e le prescrizioni dell’Avviso 20/2011”; con riferimento,
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153
infine, all’“impianto didattico dei corsi”, avrebbe dovuto essere valutata “la descrizione
dell’impianto didattico in termini di fasi, durata moduli, articolazione didattica”.
Asserisce la ricorrente che, considerata la natura dei Corsi dalla stessa presentati
(“Progettista installatore di Impianti Fotovoltaici” e “Tecnico della gestione del trattamento
dei rifiuti urbani”), sarebbe insufficiente la valutazione di punti 2 attribuita.
Con riferimento al “fabbisogno territoriale”, infatti, sarebbe stato espressamente
specificato come “l’intervento formativo proposto dall’ente presenta un progetto che risponde in maniera consona alla richiesta rappresentata dal fabbisogno territoriale ... omissis
... Sebbene la crisi attanagli il mondo economico è continuamente in crescita la richiesta di
personale specializzato da parte delle aziende. Il suddetto progetto nasce in risposta a tale
richiesta fornendo l’opportunità di formazione di figure professionali specializzate a) nell’ambito dell’utilizzo di energie rinnovabili; b) nell’ambito dello smaltimento rifiuti urbani e
del loro riciclo in strutture specifiche, volto alla tutela dell’ambiente”.
Con riferimento, poi, tanto all’ “obiettivo del corso” quanto all’“impianto didattico”, la
puntuale e dettagliata descrizione degli stessi renderebbe incomprensibile la valutazione
attribuita.
Anche le superiori censure sarebbero state proposte da parte ricorrente in sede di
osservazioni del 27.03.2012.
Il caso di specie, questa volta, rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.2).
Ed in effetti, come sopra chiarito, il Nucleo di valutazione, con l’indicazione di un voto
unico, non ha rappresentato il giudizio espresso per ciascuno dei diversi elementi costituenti
il giudizio finale, impedendo, così, l’esternazione di un’adeguata motivazione e, conseguentemente, il controllo di questo Giudice.
Peraltro, come parte ricorrente correttamente rappresenta, le attività proposte non
sembrano al Collegio, secondo la comune esperienza, tali da giustificare un punteggio di soli
due punti. Ne deriva che soltanto con una espressa indicazione di giudizio su ciascuno degli
aspetti che conducono al punteggio finale sarebbe stato possibile evidenziare la correttezza
dell’operato amministrativo.
In concreto, se l’utilità del progetto, così come sembra, è massima, soltanto l’indicazione di un punteggio scarso sulla progettualità espressa (eventualmente contestabile, in
quanto resi noti i motivi del giudizio sfavorevole) potrà condurre ad un corretto uso del
potere discrezionale e, comunque, alla possibilità di un controllo da parte del Giudice nei
residui margini di giudizio a questo consentiti.
Consegue la fondatezza della censura e, quindi, la possibilità di attribuire ulteriori tre
punti alla ricorrente.
5) Con riguardo, invece, all’indicatore di cui al punto 2.2 (“Grado di dettaglio nella
descrizione dei principali elementi progettuali. Contenuti/modalità formative, criteri e
modalità di selezione, qualifica rilasciata”) erano previsti i seguenti punteggi:
• Ottimo: 5 punti
• Buono: 3 punti
• Discreto: 2 punti
• Sufficiente: 1 punto
• Insufficiente: 0 punti
Il Nucleo per la valutazione, senza specificarne la motivazione, ha attribuito all’Ente
ricorrente un punteggio pari a 1 su 5, valutando, così, il progetto presentato come “Sufficiente”.
Relativamente al detto Indicatore, nell’attribuzione del punteggio, si sarebbero dovuti
tenere in considerazione tre aspetti fondamentali: 1) i contenuti formativi; 2) i criteri e le
modalità di selezione; 3) la qualifica rilasciata.
In particolare, con riferimento ai “contenuti/modalità formative” – vale a dire la
presenza di tutti i moduli che compongono l’offerta formativa e la descrizione dei contenuti,
nonché l’utilizzo di metodologie di didattica attiva, di apprendimento dall’esperienza anche
tramite stage, analisi di casi, esercitazioni – gli stessi sarebbero stati tutti puntualmente
indicati e specificati dalla ricorrente in sede di proposta progettuale presentata.
Con riferimento ai “Criteri e modalità di selezione” – vale a dire l’indicazione dei criteri
selettivi, della eventuale presenza di una commissione esaminatrice, delle caratteristiche
degli esaminatori e la presenza di una procedura di comparazione dei curriculum vitae – la
ricorrente ha indicato come questi sarebbero stati attuati tramite prove attitudinali, prove
oggettive di competenza, prove di abilità, elaborati scritti, prove pratiche, colloqui, ecc.; ha
previsto i requisiti di ingresso, la possibilità di nomina di una commissione esaminatrice,
qualora il numero delle domande fosse stato superiore al numero di allievi previsti.
Infine, con riferimento alla “Qualifica rilasciata”, si è espressamente riferito che, al
termine del corso, sarebbe stato rilasciato un Attestato di qualifica.
In definitiva, anche in questo caso, il punteggio di 1 su 5 attribuito sarebbe decisamente
insufficiente e non rispondente alla “chiarezza espositiva” ed al “grado di dettaglio” fornita
dalla ricorrente, tanto più se si consideri che il Nucleo per la Valutazione, come dallo stesso
dichiarato in seno al Verbale n. 1 del 26.01.2012, “avrebbe dovuto” prendere in esame “le
informazioni dichiarate dal soggetto proponente come contenute nella proposta progettuale
ammessa a valutazione”.
Anche le superiori censure sarebbero state sollevate da parte ricorrente in sede di
osservazioni del 23.03.2012.
Sul detto indicatore, possono ripetersi le identiche conclusioni cui è giunto il Collegio
per l’indicatore precedente 2.1, sicché anche la detta censura va accolta.
6) Con riferimento all’Indicatore 2.4 (“Descrizione qualitativa e quantitativa degli
strumenti e delle tecnologie didattiche per la realizzazione del progetto”) è stato attribuito
il punteggio di 0 su 5.
L’Ente ricorrente, in sede di domanda, asserisce di aver puntualmente specificato che
per la realizzazione del progetto corsuale avrebbe messo a disposizione “strumenti e
tecnologie specifiche, in quanto possessore di attrezzature quali pannelli fotovoltaici, inverter, kit di montaggio, sezionatori. Il personale adoperato sarà costituito da un team di
ingegneri e operai specializzati nel settore, con esperienza pluriennale. Per ciò che concerne
la realizzazione della proposta progettuale di formazione della figura di tecnico nel trattamento e riutilizzo dei rifiuti l’ente metterà a disposizione dei laboratori volti a far verificare
di presenza l’importanza della corretta gestione degli impianti di smaltimento. Saranno,
inoltre, resi disponibili materiali didattici ed attrezzature, un’aula multimediale per il
completamento delle varie fasi del progetto e la disponibilità del personale per la realizzazione di visite guidate che permetteranno agli allievi l’acquisizione di una esperienza diretta
sul campo”.
In sostanza, conclude la ricorrente, nonostante la stessa avesse specificato di avere facile
accesso ad impianti fotovoltaici – oggetto del corso proposto – dunque di possedere
“strumenti/tecnologie didattiche adeguate sia qualitativamente che quantitativamente” (in
presenza dei quali l’Avviso prevedeva l’attribuzione di 5 punti), il Nucleo ha ritenuto
opportuno attribuire un punteggio pari a 0 su 5.
In conclusione, una congrua valutazione da parte del Nucleo avrebbe consentito
all’EUSS di vedersi riconosciuto un parziale superiore al 22/44 assegnatogli.
Il caso di specie rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1).
Quindi, nell’ipotesi in esame, invece, il punteggio era stato esattamente commisurato a
diversi livelli di progettualità espressi in ordine a “strumenti/tecnologie didattiche”, da punti
5, per quelli ritenuti “significativamente rilevabili sia qualitativamente che quantitativamente” a punti 0 per quelli ritenuti inadeguati. Sicché, il giudizio era esattamente predeterminato.
La Difesa erariale, sul punto ha dedotto che dal progetto della ricorrente, stante la sua
genericità, non sarebbe stato possibile evincere l’aspetto quantitativo degli strumenti proposti “(ad esempio, 15 computer, 3 lavagne multimediali, etc.)”.
L’osservazione è pertinente. La descrizione della misura, in effetti, appare generica e
non espressiva di alcun criterio quantitativo, da valutare unitariamente a quello qualitativo,
secondo la chiara dicitura contenuta nell’atto di autoregolamentazione.
Deriva l’infondatezza della censura.
7) Con riferimento al terzo Criterio di Valutazione (“Innovazione ed Impatti”) il
Nucleo ha attribuito al ricorrente un punteggio di 5 su 9.
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155
a) In particolare, con riferimento all’Indicatore di cui al punto 3.2 (“Grado di innovazione metodologica”) il Nucleo, ai fini dell’attribuzione del punteggio, aveva a disposizione
la seguente griglia di voti:
• Innovazione metodologica elevata: 2 punti
• Innovazione metodologica discreta: 1 punto
• Innovazione metodologica non significativa: 0 punti
Senza l’indicazione di una specifica motivazione, è stato attribuito all’Ente ricorrente
un punteggio pari a 1 su 2 che, seppur “discreto”, non rispecchierebbe appieno la validità
della proposta progettuale presentata.
Nella fattispecie, il Nucleo, nell’attribuzione del punteggio, avrebbe dovuto valutare “la
descrizione della metodologia usata e la presenza di elementi innovativi che puntino al
raggiungimento di efficienza (organizzativa, cognitiva), efficacia formativa e qualità dei
processi, sia nell’attività d’aula sia nell’attività di stage, laddove prevista”.
La ricorrente, in sede di integrazione della proposta progettuale presentata, asserisce di
aver dimostrato di rispettare ampiamente il “principio dell’innovazione”, mettendo a
disposizione dei corsisti “i cantieri dove potranno sviluppare la propria esperienza sul
campo. I discenti potranno fare un’esperienza che permetterà loro di sviluppare, oltre ad una
migliore conoscenza sul lavoro, anche abilità pratiche fondamentali per l’attività e la crescita
dell’identità professionale dei medesimi. Avrà finalità di tipo applicativo, conoscitivo e di
pre-inserimento. Gli allievi infine sperimenteranno in ambiente protetto il ruolo professionale, nelle sue componenti tecniche che dovranno ricoprire”.
In sostanza, attesa la piena soddisfazione degli elementi di valutazione, il detto
indicatore avrebbee dovuto essere valutato con il massimo dei punti previsti.
Il caso di specie rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1).
Sembra da condividere, sul punto, quanto la Difesa erariale ha precisato, circa la
mancata indicazione di un “elevato” grado di innovazione tecnologica, di guisa che, sempre
nei limiti possibili di giudizio consentiti a questo Giudice, non si rileva alcuna macroscopica
incongruenza nella valutazione espressa.
8) Relativamente, poi, all’Indicatore di cui al punto 3.3 (“Grado di individuazione
quali-quantitativa (analisi dei fabbisogni di lavoro e formativa) dei destinatari”) il punteggio
da attribuire si basava sulla seguente griglia:
• Ottimo: 3 punti
• Buono: 1 punto
• Insufficiente: 0 punti
Anche in questo caso, il Nucleo per la valutazione, senza specificarne la motivazione,
ha attribuito all’Ente ricorrente un punteggio pari a 1 su 3.
Con riferimento a detto indicatore, si sarebbe dovuto valutare “la corretta individuazione dei destinatari rispetto all’azione formativa progettata”.
Il rispetto dell’elemento dei “bisogni espressi dal target di appartenenza dei destinatari” risulterebbe evidente dalla proposta progettuale presentata, nella parte in cui espressamente è stato disposto che “la procedura generale dei progetti è rivolta a proporre un
approccio imprenditoriale per tutti quei soggetti che trovano difficoltà ad inserirsi nel mondo
del lavoro...”; allo stesso modo, risulterebbe pienamente soddisfatto l’ulteriore elemento
delle “esigenze/opportunità del territorio di riferimento”, allorché la ricorrente, in seno alla
proposta progettuale, ha specificato che “le procedure formative proposte risultano coerenti
con l’intera programmazione regionale relativa allo sviluppo dell’occupazione ed al rilancio
economico della Sicilia, che passa attraverso una politica attiva per il lavoro fondata su:
formazione delle risorse umane adeguata agli standard nazionali ed europei; promozione
della partecipazione femminile al mercato del lavoro, sostegno, sviluppo e consolidamento
dell’imprenditorialità ...”.
Anche in questo caso, la griglia predispone dei punteggi progressivi ed espressivi di una
diverso grado di apprezzamento, sicché il giudizio espresso è immediatamente percettibile.
Il Nucleo di valutazione, all’evidenza, non ha ritenuto alcun elemento nel progetto tale
da poterlo, nell’ambito in questione, definire ottimo, dal che il giudizio inferiore espresso.
Ed invero, anche le argomentazioni offerte in ricorso non sembrano tali da evidenziare
l’evidente discostamento dal reale del giudizio espresso, censurabile da questo Tribunale.
9) Con riferimento, infine, al quarto Criterio di Valutazione (“Rispondenza alle priorità
trasversali”) il Nucleo, ha attribuito alla ricorrente un punteggio di 0 su 6.
a) Relativamente al primo dei due Indicatori (“Pari opportunità”) il Nucleo, dovendo
valutare la “presenza nei corsi di attività di accompagnamento e di formazione finalizzate a
favorire la partecipazione femminile ed a sostenere la diffusione del principio delle pari
opportunità di genere”, aveva a disposizione la seguente griglia dei punteggi:
• Elevata presenza di attività finalizzate al conseguimento di questo obiettivo trasversale: 3 punti
• Presenza soddisfacente di attività finalizzate al conseguimento di questo obiettivo
trasversale: 1 punto
• Nessuna presenza: 0 punti
L’Ente, in sede di domanda di finanziamento, avrebbe compiutamente salvaguardato il
principio delle pari opportunità, articolando i progetti in maniera tale da rimuovere il
maggior numero possibile di ostacoli e/o barriere al fine di consentire il più ampio accesso
al lavoro da parte delle donne.
Nella proposta presentata sarebbe stato chiarito che “il principio delle pari opportunità
e salvaguardato, in prima istanza, da un punto di vista soggettivo, in quanto l’impianto e
l’articolazione dei progetti proposti sono rivolti alla rimozione del maggior numero possibile
di barriere alla inclusione socio-lavorativa di tutte le persone ... omissis ... Nei percorsi
formativi esiste una elevata finalità al conseguimento degli obiettivi trasversali, finalizzati ad
attività di accompagnamento finalizzate a favorire la partecipazione femminile ed a sostenere la diffusione del principio delle pari opportunità”.
In ogni caso, come per tutti gli altri indicatori, il Nucleo avrebbe dovuto “prendere in
esame le informazioni dichiarate dal soggetto proponente come contenute nella proposta
progettuale ammessa a valutazione”.
La fattispecie in esame rientra nell’ipotesi sopra prospettata sub II.1).
La griglia, infatti, è predeterminata e la censura è generica, posto che tali sembrano
anche le sintetiche concrete modalità con le quali parte ricorrente ha ritenuto di poter
conseguire il detto obiettivo “trasversale”.
10) Relativamente, poi, all’Indicatore di cui al punto 4.2 (“Sviluppo sostenibile”), il
Nucleo aveva a disposizione la seguente griglia dei punteggi:
• Elevata presenza di attività che dimostrano attenzione al principio dello sviluppo
sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale: 3 punti
• Presenza soddisfacente di attività che dimostrano attenzione al principio dello
sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale: 1 punto
• Nessuna presenza di attività che dimostra attenzione al principio dello sviluppo
sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale: 0 punti
Anche in questo caso, il Nucleo ha attribuito alla ricorrente un punteggio pari a 0 su 3.
La valutazione operata dall’organo valutatore sarebbe incomprensibile, ove si consideri
la natura dei corsi presentati dell’EUSS (“Progettista installatore di impianti fotovoltaici” e
“Tecnico nella gestione del trattamento dei rifiuti urbani”), asseritamente esempio tipico di
uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi.
Come affermato nel progetto presentato dalla ricorrente, questo “rispecchia lo sviluppo
sostenibile, impone di soddisfare i bisogni fondamentali di tutti e di estendere a tutti la
possibilità di attuare le proprie aspirazioni ad una vita migliore e di migliorare la qualità
della stessa. L’obiettivo è di mantenere uno sviluppo economico compatibile con l’equità
sociale e gli ecosistemi, operante quindi un regime di equilibrio ambientale. I nostri percorsi
cercano di soddisfare i bisogni dei destinatari, le proprie aspirazioni e le proprie capacità.
L’obiettivo generale è di personalizzare l’intervento, cercando di valorizzare le esperienze di
ciascun corsista potenziandone le competenze”.
Anche per tale ultimo “Criterio di valutazione” una corretta ed adeguata istruttoria
avrebbe dovuto comportare un diverso punteggio.
In definitiva, anche in quest’ultimo caso, avrebbe dovuto essere riconosciuto un
punteggio superiore a quello assegnato.
Anche in questo caso vanno ripetute le precedenti considerazioni.
FORO
AMMINISTRATIVO
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A fronte di una griglia espressa, il giudizio riferito a una proposta assolutamente
descrittiva (vera e propria “scatola vuota”, contenente ipotesi teoriche piuttosto che proposte concrete, così come richiesto negli atti di autolimitazione) non sembra giustificare
macroscopici (invero, neanche ordinari) rilievi alla ponderazione amministrativa.
Consegue l’infondatezza della censura.
IV. Conclusivamente, il ricorso è complessivamente infondato, posto che pur ammettendo l’attribuzione massima del punteggio per le misure 2.1 e 2.2, per un totale di sette punti
(+ 3 per la prima e + 4, per la seconda), la ricorrente otterrebbe 48/100, insufficienti per
ottenere il minimo necessario (55/100) per essere inserita in graduatoria, senza considerare
che l’ultimo progetto finanziato ha conseguito 61/100.
La complessità della vicenda e la non immediata percettibilità della infondatezza delle
censure suggerisce al Collegio di disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese
di giudizio.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - sezione staccata di
Catania (Sezione Quarta) - definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Cosimo Di Paola, Presidente
Francesco Brugaletta, Consigliere
Pancrazio Maria Savasta, Consigliere, Estensore
Tribunale amministrativo regionale Sicilia Catania Sez. IV 6 dicembre 2013 n. 2929 Pres. Di
Paola Est. Savasta U. S.r.l. (avv. Arcifa, Immordino) Urega - Sezione Provinciale di
Messina . (Avv. Stato)
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Dichiarazione
del partecipante - Codice antimafia - In Sicilia - Necessità - Sussiste.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Esclusione Per parziale mancanza dichiarazione ex art. 38 del Codice - Rispetto del modello di dichiarazione
del bando - Esclusione - Legittimità - Non sussiste.
D.lg. 12 aprile 2006 n. 163, art. 38
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Offerta Apposizione di due cifre decimali, piuttosto che tre - Esclusione - Legittimità - Non sussiste.
La prescritta dichiarazione di cui all’art. 1 del Codice Antimafia e Anticorruzione della
Pubblica amministrazione, vigente nella Regione Sicilia, in sede di offerta per l’aggiudicazione
di un appalto pubblico, va resa a pena di esclusione.
È illegittima l’esclusione da una gara per l’affidamento di un appalto pubblico, ove
manchi qualcuna delle dichiarazioni di cui all’art. 38 del codice dei contratti, ma la partecipante si sia attenuta scrupolosamente al modello allegato agli atti di autoregolamentazione
della gara, la cui osservanza ha, di fatto, « spiazzato » i concorrenti (o, almeno, alcuni di essi),
ingenerando la possibile convinzione che la diligente redazione della dichiarazione, così come
confezionata dalla stazione appaltante, li avrebbe messi al riparo dall’esclusione dalla gara,
come, per altro, espressamente indicato nel disciplinare. A fronte di tale omissione, la stazione
appaltante al più deve consentire la regolarizzazione della documentazione di gara nel senso
di integrare la dichiarazione incompleta risultante dal modulo predisposto (e ciò in applicazione dei principi in materia di favor partecipationis e di tutela dell’affidamento).
Non vi è alcuna ragione logico-giuridica per disporre l’esclusione dell’offerta relativa alla
gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico, proposta con ribasso formulato con due
cifre decimali: non può ritenersi violata la lex specialis stante la perfetta equivalenza (sia ai fini
aritmetici che giuridici) dell’aver formulato il ribasso percentuale con un numero di decimali
pari a due anziché pari a tre poiché la cifra decimale (la terza) che avrebbe dovuto seguire
l’ultima indicata deve comunque ritenersi pari a zero e, dunque, tamquam non esset,
ininfluente rispetto all’esito complessivo del calcolo della media delle offerte. Né, è possibile
condividere l’osservazione prospettata in ordine alla eventualità di una strumentale (e illecita)
alterazione dell’offerta da parte di un’amministrazione « compiacente » mediante l’aggiunta
della quarta cifra all’offerta che ne presenti soltanto tre, posto che, anche dall’osservazione
diretta dell’offerta in questione, l’alterazione, certamente possibile nel numero espresso in
cifre, dovrebbe comprendere anche quella in lettere. Ed invero, nonostante l’eccessivo spazio
lasciato nello schema tipo dell’offerta non sembra proprio che ciò sia possibile anche
sintatticamente. Ciò in quanto, tenuto conto della necessità di esprimere il ribasso sia in lettere
che in cifre, l’unica possibile alterazione è quella di lasciare, dopo la virgola, tutto « in
bianco », per il semplice motivo, che l’espressione a tre cifre inizia, in lettere, con riferimento
alle centinaia, quello a quattro alle migliaia, con evidente insanabile discrepanza espressiva.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 2610 del 2013,
proposto da: Urania Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandro Arcifa e Giovanni Immordino, con domicilio
eletto presso lo studio del primo in Catania, via Gabriele D’Annunzio, n. 111;
contro
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Urega - Sezione Provinciale di Messina, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in
Catania, via Vecchia Ognina, 149; Comune di San Piero Patti, non costituito in giudizio.
nei confronti di
I.Ge.Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dagli avv.ti Dover Scalera, Gabriele Di Paolo e Valentina Magnano San Lio, con domicilio
eletto presso lo studio di quest’ultima in Catania, via Vincenzo Giuffrida, n. 37;
per l’annullamento
- della determina del responsabile dell’Area Tecnica del Comune di S. Piero Patti n. 44
del 7.10.2013, comunicata con nota prot.n. 13.345 di pari data, con la quale è stata
aggiudicata definitivamente la gara avente ad oggetto “Opere di consolidamento zona centro
abitato compresa tra la via L. da Vinci e la Via Catania” alla IGECO s.r.l.;
- del verbale di gara dei giorni 5, 6, 7, 8 e 9 agosto 2013, nella parte in cui è stata
ammessa alla gara in oggetto la I.GE.CO. s.r.l.;
- del verbale di gara dei giorni 5, 6, 7, 8 e 9 agosto 2013 nella parte in cui è stata
aggiudicata provvisoriamente la gara in oggetto alla I.GE.CO. s.r.l., invece che alla ricorrente, seconda classificata;
- nonché degli atti tutti presupposti, connessi e consequenziali.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Urega - Sezione Provinciale di Messina e di
I.Ge.Co. S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 il dott. Pancrazio Maria
Savasta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO — I. Con bando ritualmente pubblicato, il Comune di San Piero
Patti ha indetto una gara per le «opere di consolidamento zona centro abitato compresa tra
la via L. da Vinci e la Via Catania».
Il disciplinare di gara, all’art. 3 dei documenti da contenere a pena di esclusione nella
busta “A”, richiedeva “una dichiarazione sostitutiva ai sensi del DPR 445/00 ... con la quale
il concorrente...assumendosene la piena responsabilità ...” avrebbe dovuto dichiarare “indicandole specificamente di non trovarsi in alcuna delle condizioni previste dall’art. 38 ... e
dell’art. 1, comma 1, del Codice Antimafia”.
Sempre il disciplinare di gara prevedeva che “la domanda, le dichiarazioni e le
documentazioni di cui ai punti 1), 2), 3), 4), 5), 6) 7), 8), a pena d’esclusione salvo ove
diversamente specificato, devono contenere quanto previsto nei predetti punti”.
Il bando di gara, all’art. 14, rubricato “Criteri di aggiudicazione”, precisava inoltre che
“il prezzo offerto deve essere determinato, ai sensi dell’art, 1 comma 89 l.r. n. 20/2007,
mediante offerta espressa in una cifra percentuale di ribasso, con quattro cifre decimali,
sull’importo complessivo a base d’asta, applicabile uniformemente a tutto l’elenco prezzi
posto a base di gara secondo le norme e con le modalità previste nel disciplinare di gara. Si
precisa che non si terrà conto delle eventuali cifre oltre la quarta”.
La gara si concludeva con l’aggiudicazione in favore della I.GE.CO. s.r.l..
Con ricorso passato per la notifica il 17.10.2013 e depositato il 29.10.2013, la ricorrente
ha impugnato siffatta aggiudicazione, premettendo che la suddetta Impresa avrebbe dovuto
essere esclusa: a) avendo omesso il legale rappresentante Giulio Toppetta di rendere
compiutamente la dichiarazione di cui all’art. 3, lett. a), del disciplinare di gara non avendo
in particolare dichiarato “di non trovarsi in alcuna delle condizioni previste dall’art. 1,
comma 1 del Codice Antimafia”; b) avendo presentato un’offerta recante solo tre cifre
decimali in luogo delle quattro prescritte dal bando di gara, nonché dall’art. 1, comma 9,
della l.r. 20/2007.
Qualora la suddetta Impresa fosse stata esclusa dalla gara, la ricorrente, seconda
classificata, sarebbe risulta aggiudicataria.
Quindi, ha così esposto le proprie censure:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, lett. a), del disciplinare di gara in relazione
all’art. 1, comma 1, del Codice Regionale Antimafia.
L’aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa per non avere reso, come necessario e
a pena di esclusione, la dichiarazione di cui all’art. 1, comma 1, del Codice Regionale
Antimafia.
La stessa, infatti, avrebbe non solo omesso di dichiarare l’assenza della suddetta
condizione, ma, di più, avrebbe, altresì, depennato quella a tal fine predisposta dalla stazione
appaltante nel modello di partecipazione alla gara, aggiungendo, poi, soltanto la dichiarazione relativa all’art. 38 del codice degli appalti.
Tale previsione omessa e prevista dal bando di gara, inoltre, sarebbe coerente con l’art.
46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163/2006, così come chiarito dalla AVCP con determinazione
n. 4/2012.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 9, della l.r. n. 20/2007, nonché
dell’art. 3 della l.r. n.16/2003, in relazione all’art. 14 del bando di gara.
Asserisce la ricorrente che il bando di gara, all’art. 14, in coerenza con la normativa
sopra calendata, imponeva ai concorrenti di formulare l’offerta con l’utilizzo di quattro cifre
decimali che avrebbero dovuto tutte essere indicate.
La I.GE.CO. s.r.l. ha formulato la propria offerta, consistente nel ribasso del 30,655%,
utilizzando soltanto tre cifre decimali e il seggio di gara l’ha ritenuta legittima, limitandosi
ad aggiungere, autonomamente, uno zero finale a detta cifra.
Anche tale incompletezza avrebbe dovuto, invece, essere sanzionata con l’esclusione
dalla gara.
La suddetta previsione del bando sarebbe coerente con l’art. 11, co. 6, del D.P.R.S.
31/1/2012 n. 13, le cui previsioni, per espressa previsione della l. r. n.12/2011, costituirebbero
altrettanti motivi di esclusione ai sensi dell’art. 46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163/2006.
Costituitesi, sia l’Urega che la controinteressata hanno concluso per l’infondatezza del
ricorso.
Alla Camera di Consiglio del 21.11.2013, i difensori delle parti sono stati avvisati che il
Collegio, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., avrebbe potuto definire il giudizio con sentenza in forma
semplificata.
Indi, la causa è stata trattenuta per la decisione.
II. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente sostiene l’illegittimità dell’ammissione alla gara della aggiudicataria controinteressata, nonostante la stessa non abbia reso la
prescritta dichiarazione di cui all’art. 1 del Codice Antimafia e Anticorruzione della Pubblica
Amministrazione, vigente nella Regione Sicilia.
Il Collegio concorda con la ricostruzione di parte ricorrente, secondo la quale la detta
prescrizione avrebbe dovuto essere resa a pena di esclusione.
In disparte, infatti, l’espressa comminatoria contenuta nel bando, il predetto art. 1 così
recita: “1. Al fine di prevenire infiltrazioni di tipo mafioso o comunque riconducibili alla
criminalità organizzata nelle pubbliche amministrazioni della Regione Siciliana e fermo
restando quanto previsto dall’art. 38 D.Igs. n°163/2006 e successive modifiche e integrazioni,
sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento, delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti e non possono
stipulare i relativi contratti i soggetti:
a) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna definitiva, oppure
sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura
penale, per reati di criminalità di tipo mafioso o comunque riconducibili ad organizzazioni
criminali, nonché per reati di concussione (art. 317 c.p.), corruzione (artt. da 318 a 322 c.p.),
scambio elettorale politico mafioso (art. 416 ter c.p.), rapina (art. 628 c.p.), estorsione
(art.629 c.p.), usura (ad. 644 c.p.), ricettazione (art.648 c.p. esclusa l’ipotesi prevista dal cpv.
di tale articolo), riciclaggio (art. 648-bis c.p), impiego di denaro, beni o altri utilità di
provenienza illecita (art.648 ter c.p.), trasferimento fraudolento di valori (art. 12 quinques
Legge n. 356/92), reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla
moralità professionale, fra cui quelli di truffa aggravata ai danni dello Stato ( ad. 640 cpv. 1
c.p.), turbata libertà degli incanti (ad. 353 c.p.), frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.).
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L’esclusione e il divieto operano se la sentenza è stata emessa nei confronti: del titolare o del
direttore tecnico se si tratta di imprese individuali; del socio o del direttore tecnico, se si
tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari se si tratta di società accomandita
semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se
si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l’esclusione e il divieto operano
anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di
pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri di avere adottato atti o
misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata”.
Così come condivisibilmente chiarito dalla AVCP, con determinazione n. 4/2012, la
dichiarazione è coerente con l’art. 46, comma 1 bis, del Codice dei contratti, che, come
meglio sarà precisato, ha tipizzato le cause di esclusione delle partecipanti alle selezioni ad
evidenza pubblica.
La detta decisione dell’Autorità di Vigilanza si è, infatti, così espressa: <<si ritiene
legittimo prescrivere, a pena di esclusione, l’accettazione delle condizioni contrattuali
contenute nella documentazione di gara.
<<Ciò avviene, di norma, mediante una espressa dichiarazione con la quale il concorrente dichiara di aver esatta cognizione del contenuto delle stesse, fatta comunque salva la
facoltà dell’esecutore di apporre eventuali riserve in fase di esecuzione nei modi ed entro i
limiti consentiti dalla normativa vigente.
<<Più in dettaglio, a titolo esemplificativo, possono citarsi:
omissis
<<(v) l’accettazione degli obblighi in materia di contrasto delle infiltrazioni criminali
negli appalti previsti nell’ambito di protocolli di legalità/patti di integrità..
<<Alcune puntualizzazioni si rendono necessarie con riguardo a tale ultima fattispecie.
<<I cd. protocolli di legalità/patti di integrità sanciscono un comune impegno ad
assicurare la legalità e la trasparenza nell’esecuzione di un dato contratto pubblico, in
particolar modo per la prevenzione, il controllo ed il contrasto dei tentativi di infiltrazione
mafiosa, nonché per la verifica della sicurezza e della regolarità dei luoghi di lavoro. Nei
protocolli le amministrazioni assumono, di regola, l’obbligo di inserire nei bandi di gara,
quale condizione per la partecipazione, l’accettazione preventiva, da parte degli operatori
economici, di determinate clausole che rispecchiano le finalità di prevenzione indicate.
<<Deve ritenersi che la previsione dell’accettazione dei protocolli di legalità e dei patti
di integrità quale possibile causa di esclusione sia tuttora consentita, in quanto tali mezzi
sono posti a tutela di interessi di rango sovraordinato e gli obblighi in tal modo assunti
discendono dall’applicazione di norme imperative di ordine pubblico, con particolare
riguardo alla legislazione in materia di prevenzione e contrasto della criminalità organizzata
nel settore degli appalti.
<<Mediante l’accettazione delle clausole sancite nei protocolli di legalità al momento
della presentazione della domanda di partecipazione e/o dell’offerta, infatti, l’impresa
concorrente accetta, in realtà, regole che rafforzano comportamenti già doverosi per coloro
che sono ammessi a partecipare alla gara e che prevedono, in caso di violazione di tali doveri,
sanzioni di carattere patrimoniale, oltre alla conseguenza, comune a tutte le procedure
concorsuali, della estromissione dalla gara (cfr. Cons. St., sez. VI, 8 maggio 2012, n. 2657;
Cons. St., 9 settembre 2011, n. 5066)>>.
Tuttavia, ritiene il Collegio che colga nel segno la difesa della controinteressata, nella
misura in cui ha sostenuto che l’allegato all’offerta, predisposto dalla stessa Amministrazione al fine di rendere una compiuta dichiarazione, prevedendo l’esclusione dalla gara
soltanto nel caso di mancata barratura di una delle due ipotesi previste in ordine alla
dichiarazione da rendere in riferimento all’art. 38, lett. c), codice degli appalti (per come si
evince, ulteriormente, dalla dicitura “oppure in alternativa”, ivi apposta), ha potuto ingenerare l’errore nel concorrente chiamato a rendere la dichiarazione ritenuta insussistente.
Ed invero, la ricorrente non ha omesso di rendere la seconda delle due dichiarazioni
espressamente previste e di indicare, così come richiesto, la condanna di primo grado subita,
ritenendo, così, di aver compiutamente assolto all’onere procedimentale imposto dall’Amministrazione.
Sulla questione della “scusabilità dell’errore” nelle ipotesi analoghe a quella in esame,
questa Sezione, rivedendo un precedente orientamento, ha già avuto modo di pronunziarsi
(cfr. T.A.R. Catania. IV, 5.4.2013, n. 988).
La detta decisione ha, preliminarmente, dato atto del revirement della stessa Sezione,
rammentando che con precedente sentenza (cfr. TAR Catania, IV, 22.11.2012, n. 2638),
secondo la quale, in caso del tutto analogo, era stato ritenuto inapplicabile <<il principio del
legittimo affidamento,. . . non invocabile, atteso che, diversamente, l’applicazione di norme
imperative, quale quella di cui si discute>>, vale a dire l’art. 38 del codice dei contratti,
<<sarebbe subordinata al comportamento più o meno diligente, o, finanche, compiacente,
dell’Amministrazione appaltante, che avrebbe così il potere, inserendo o meno una certa
dichiarazione nel modello all’uopo predisposto, o omettendo di richiamare una certa
disposizione nel bando di gara, di condizionare l’esito di una gara, ammettendo imprese che
potenzialmente non hanno uno o più requisiti fondamentali>>.
In quest’ottica, continua la sentenza n. 2638/12, <<non può quindi pensarsi ad un
dovere di “soccorso” dell’Amministrazione appaltante, al fine di consentire eventuali
integrazioni postume, e diventa irrilevante che l’impresa poi illegittimamente ammessa si
riveli in possesso del requisito che ha omesso di dichiarare, perché altrimenti, così ragionando, tale soluzione dovrebbe essere ammessa sempre, o per lo meno ogniqualvolta
l’Amministrazione abbia commesso errori di qualsiasi tipo, creando un inammissibile caos,
e vanificando così tutto il sistema delle previste dichiarazioni, finalizzato a consentire un
controllo delle dichiarazioni rese solo per i soggetti aggiudicatari>>.
Come premesso, con la citata sentenza n. 988/13, la Sezione ha rivisto il proprio
convincimento, che il Collegio ora non ha motivo di disattendere.
La decisione ha chiarito che, anche in ossequio al rigore introdotto da comma 1 bis
dell’art. 46 del Codice dei contratti, sia preferibile in termini generali una diversa impostazione della questione.
<<E’ da premettere che nel caso in esame, non si versa nella diversa ipotesi di
eterointegrazione del bando, posto che la disposizione poi non trasfusa nel modello di
dichiarazione predisposto dalla stessa Amministrazione, è espressamente prevista nel disciplinare di gara.
<<In quel caso (cfr. T.A.R. Catania Sicilia sez. III, 25 luglio 2012, n. 1930) << i principi
. . . in tema di eterointegrazione del bando, coerenti anche con la giurisprudenza più datata
di questo stesso Tribunale (cfr. TAR Catania, I, 16.12.2010, n. 4747; 9.9.2008, n. 1632),
consentono di poter concludere che . . . deriva l’esclusione dalla gara ove sia stata omessa
la dichiarazione, seppur non prevista dagli atti di autoregolamentazione a pena di esclusione,
relativa alla sussistenza dei requisiti generali soggettivi di cui all’art. 38 del Codice dei
contratti, essendo possibile, ai sensi dell’art. 46 del medesimo Testo legislativo, integrare o
completare soltanto le dichiarazioni presenti, intendendo per tali quelle contenenti i necessari elementi soggettivi ed oggettivi.
<<Il problema, come sopra chiarito, nel caso di specie, è diverso, poiché la richiesta di
compilazione di un modello privo del riferimento alla norma, invece prevista sia dall’art. 38
Codice dei contratti che dall’atto di autoregolamentazione della gara, ha, di fatto, “spiazzato” i concorrenti (o, almeno, alcuni di essi), ingenerando la possibile convinzione che la
diligente redazione della dichiarazione, così come confezionata dalla stazione appaltante, li
avrebbe messi al riparo dall’esclusione dalla gara, come, per altro, espressamente indicato
nel disciplinare>>.
Ed invero, osserva il Collegio che nel caso di specie, il disciplinare di gara, a pag. 6, in
grassetto e preceduto da un “nota bene”, così si esprime: “N.B.: I concorrenti, al fine di
agevolare le operazioni di gara, sono invitati ad utilizzare i modelli di istanza e dichiarazione
predisposti dalla stazione appaltante e disponibili sul sito . . .”.
Tanto precisato, la predetta decisione ha ulteriormente chiarito <<che “in applicazione
dei principi di favor partecipationis e di tutela dell’affidamento, non sia possibile che vada
sanzionata con l’esclusione dalla gara la condotta del concorrente che abbia fedelmente
ricalcato le indicazioni contenute nello schema di domanda predisposto dalla stazione
appaltante” (cfr. T.A.R. Genova Liguria sez. II, 11 gennaio 2013, n. 69).
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<< “L’eventuale incongruenza tra il modello di domanda e gli obblighi dichiarativi posti
dalla legge a carico dei concorrenti”, continua il giudice ligure, avrebbe dovuto essere
imputato <<“alla pubblica amministrazione che aveva messo a disposizione detto modello e
non certo dell’impresa che, facendo affidamento sulla correttezza del medesimo, si era
limitata alla sua puntuale compilazione>>.
<<In altri termini, così come ritenuto in una situazione praticamente sovrapponibile
dalla Giurisprudenza richiamata dalla controinteressata . . . (cfr. Cons. Stato, III, 30.1.2012,
n. 447), ove i concorrenti abbiano “reso una dichiarazione del tutto conforme a quella
risultante dal modulo predisposto dall’Amministrazione (che faceva supporre la sua piena
completezza rispetto alle dichiarazioni da rendersi ai sensi della legge di gara), sì che
l’omissione della dichiarazione concernente l’assenza delle cause di esclusione di cui alla
lettera m- ter) del citato comma 1, se pure prevista come causa di esclusione dalla legge di
gara, non può in ogni caso portare alla esclusione del concorrente incorso nell’omissione,
vertendosi in ipotesi di clausole della lex specialis contraddittorie, equivoche ed ambigue, tali
da ingenerare l’errore in cui è caduto il concorrente nel rendere le dichiarazioni richieste dal
bando a pena di esclusione (v., proprio per l’ipotesi di modulistica non conforme al
disciplinare, Cons. St., IV, 5 luglio 2011, n. 4029)”.
<< Ne deriva che, a fronte di tale omissione, la stazione appaltante al più avrebbe
dovuto consentire la regolarizzazione della documentazione di gara nel senso di integrare la
dichiarazione incompleta risultante dal modulo predisposto (e ciò in applicazione dei
principi in materia di favor partecipationis e di tutela dell’affidamento), ma in ogni caso non
avrebbe potuto procedere all’esclusione, come invece pretendono le appellanti incidentali”.
<<Né appare, ad avviso del Collegio, dirimente quanto sostenuto ex adverso dalla citata
giurisprudenza di questa stessa Sezione circa la possibilità, consentita dalla interpretazione
ritenuta corretta dal Collegio, di giustificare l’errore, e non solo, dell’Amministrazione,
posto che l’omissione che ha determinato la “confusione” nelle dichiarazioni costituisce un
fatto generalizzato e, come tale, non volto a “favorire” posizioni individuali.
<<In ordine, poi, alla possibilità di concreta aggiudicazione a concorrente privo dei
necessari requisiti, è appena il caso di osservare che quanto oggetto di dichiarazione, al
momento dell’effettivo affidamento dell’appalto, va verificato e, quindi, non sembra potersi
ipotizzare una sorta di “collusione” con imprese di dubbia moralità>>.
Tanto appare sufficiente, per ritenere infondata la censura.
III. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente ha sostenuto che la controinteressata
avrebbe dovuto essere esclusa, poiché ha presentato, diversamente da quanto prescritto
dall’art. 14 bando, un’offerta contenente soltanto tre cifre decimali (30,655%), piuttosto che
le quattro ivi stabilite.
La controinteressata controdeduce che la disposizione non è prevista a pena di
esclusione dagli atti di autoregolamentazione della gara e che, comunque, la norma (che
siffatto modo di presentazione dell’offerta ha stabilito) sarebbe stata superata in sede di
recepimento del codice degli appalti in Sicilia.
Premette il Collegio che la questione, a fronte della non assoluta chiarezza dell’intervento legislativo, merita di essere approfondita.
La disposizione in questione è stata introdotta in Sicilia dall’art. 1, comma 9, della L.R.
21.8.2007 n. 20, volto a regolare “modifiche ed integrazioni alla legge 11 febbraio 1994, n.
109, come introdotta dalla legge regionale 2 agosto 2002, n. 7 e successive modifiche ed
integrazioni”.
La stessa così espressamente recitava:
<< 9. Il comma 1 dell’articolo 21 della legge n. 109/1994, come introdotto dall’articolo
17 della legge regionale n. 7/2002 e successive modifiche e integrazioni, è sostituito dal
seguente:
“1. L’aggiudicazione degli appalti mediante pubblico incanto è effettuata di norma con
il criterio del prezzo più basso inferiore a quello posto a base di gara o con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il criterio del prezzo più basso inferiore a
quello posto a base di gara è determinato, per tutti i contratti, sia a corpo che a misura, che
a corpo e misura, mediante offerta espressa in cifra percentuale di ribasso, con 4 cifre decimali,
sull’importo complessivo a base d’asta, da applicare uniformemente a tutto l’elenco prezzi
posto a base di gara. Non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta.″>>.
La disposizione è stata ulteriormente modificata dalla L.R. 3.8.2010 n. 16, avente ad
oggetto, “modifiche ed integrazioni alla normativa regionale in materia di appalti”, il cui art.
3, così recita:
<<1. All’articolo 21 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, come introdotto dall’articolo
17 della legge regionale 2 agosto 2002, n. 7 e successive modifiche e integrazioni, sono
apportate le seguenti modifiche:
a) Il comma 1 è sostituito dal seguente:
“1. Per i criteri di selezione delle offerte e verifica delle offerte anormalmente basse si
applicano le disposizioni degli articoli 81, 86 commi 1, 3, 3-bis, 3-ter e 4, 87 commi 2, 3, 4-bis
e 5, 88 commi 1, 1-bis, 2, 3, 4 e 5 nonché il comma 9 dell’articolo 122 del decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche e integrazioni. Il criterio del prezzo più basso
inferiore a quello a base d’asta è determinato, per tutti i contratti, sia a corpo che a misura,
che a corpo e misura, mediante offerta espressa in cifra percentuale di ribasso, con quattro
cifre decimali, sull’importo complessivo a base d’asta, da applicare uniformemente all’elenco
prezzi posto a base di gara. Non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta”>>.
Quindi, la previsione relativa alle quattro cifre decimali è rimasta identica, mentre è
cambiata soltanto la premessa della norma, con il rinvio, da parte della disposizione più
recente, a quelle contenute nel codice degli appalti.
L’art. 1 della L.R. 12.7.2011 n. 12, volta, appunto a regolare il “recepimento del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche ed integrazioni e del D.P.R. 5 ottobre
2010, n. 207 e successive modifiche ed integrazioni”, così recita:
<<Art. 1 Applicazione della normativa nazionale.
1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modifiche dalla
stessa introdotte, si applicano nel territorio della Regione il decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione della direttiva 2004/17/CE e della direttiva 2004/18/CE” e le sue successive
modifiche ed integrazioni ed i regolamenti in esso richiamati e successive modifiche, fatta
eccezione dell’articolo 7, commi 8 e 9, dell’articolo 84, commi 1, 2, 3, 4, 8, 9, 10, 11 e 12,
dell’articolo 128 e dell’articolo 133, comma 8. In particolare, si applica il decreto del
Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 e le successive modifiche ed integrazioni,
con esclusione delle parti riferibili alle norme del decreto legislativo 163/2006 espressamente
dichiarate non applicabili in forza della presente legge. Entro il 31 dicembre 2011, con
regolamento adottato ai sensi dell’articolo 12 dello Statuto regionale, saranno definite le
modalità di applicazione delle disposizioni di cui al presente capo.
2. I riferimenti al “Bollettino Ufficiale della Regione” e alla “Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana” contenuti nel decreto legislativo n. 163/2006 devono intendersi riferiti
alla “Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana”; nel caso di riferimenti ad organi ed
istituzioni statali deve farsi riferimento ai corrispondenti organi ed istituzioni regionali.
3. Sono fatti salvi l’articolo 3 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 20, e l’articolo 7
della legge regionale 3 agosto 2010, n. 16>>.
L’impianto generale è confermato dall’art. 1 del D.P.Reg. 31.1.2012, n. 13, “Regolamento di esecuzione ed attuazione della legge regionale 12 luglio 2011, n. 12”, che, nella
parte di interesse, così stabilisce:
<<Art. 1 Disposizioni generali.
1. Ai sensi dell’articolo 1 della legge regionale n. 12/2011, gli appalti di lavori, servizi e
forniture sono disciplinati nella Regione siciliana nel rispetto delle prescrizioni poste dal
decreto legislativo n. 163/2006 ed in specie degli articoli 4 e 5 dello stesso, nonché dal D.P.R.
n. 207/2010, fatto salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento.
2. Tutte le disposizioni del presente regolamento trovano applicazione, salvo diversa
previsione espressa, nei confronti della Regione siciliana e di tutti gli altri soggetti indicati
all’articolo 2 della legge regionale n. 12/2011>>.
Da una prima lettura, così come sostenuto dalla controinteressata, sembra emergere
che le uniche norme “salvate” dalla novella della l.r. 12/2011 sono l’articolo 3 della legge
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regionale 21 agosto 2007, n. 20 (e, quindi, non l’art. 1) e il solo articolo 7 della legge regionale
3 agosto 2010, n. 16 (e, quindi, non l’art. 3).
Tuttavia, l’art. 32 della medesima l.r. 12/2011, dispone, per quanto di interesse, che <<
con l’entrata in vigore della presente legge sono abrogati:
omissis
g) la legge regionale 2 agosto 2002, n. 7, con esclusione dell’articolo 42, comma 1;
omissis
m) l’articolo 1, commi 1, 2 e 7 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 20;
omissis
o) gli articoli 1, comma 1, 2 e 3 della legge regionale 3 agosto 2010, n. 16>>.
Quindi, sia pure nella non assoluta chiarezza dell’intenzione del Legislatore regionale,
è da ritenere che l’art. 3 della l.r. 16/2010, che contiene, in termini di decimali nell’offerta, la
precedente previsione di cui all’art. 1, comma 9, della l.r. 20/2007, sia rimasto in vigore, non
potendosi sostenere la sua abrogazione implicita, per altro, a fronte dell’inesistenza di una
norma nel codice degli appalti dello stesso segno con esso contrastante (ed, invero, l’art. 74,
nella qualificazione dell’offerta, nulla dice in merito ai decimali da apporre all’offerta,
rilasciati, pertanto, alla previsione contenuta negli atti di autoregolamentazione).
E’ da dire, però, che la norma, non essendo stata richiamata espressamente (ma
neanche abrogata) dalla l.r. 12/2011, non rientra nella previsione di cui al comma 6, dell’art.
11 del D.P.Reg. 31.1.2012, n. 13, secondo il quale << ai sensi dell’articolo 46, comma 1-bis,
del decreto legislativo n. 163/2006, la violazione delle prescrizioni scaturenti dalla legge
regionale n. 12/2011 e dalle correlate norme del presente regolamento costituisce causa di
esclusione>>.
Resta da verificare se comunque lo sia, posto che, in effetti, il bando di gara, pur
richiamando nel criterio di aggiudicazione espressamente l’art. 1, comma 9, della l.r. n.
20/2007, riproducendone il contenuto, nulla dice in merito alla sanzione per il mancato
rispetto di detta modalità di offerta.
Sul punto, questa Sezione (cfr. T.A.R. Catania, sez. IV, 16/12/2011, n. 3039), dopo aver
premesso di ben conoscere <<quella giurisprudenza, . . . secondo la quale la mancanza di una
o più cifre decimali non altererebbe il computo aritmetico, dovendo ritenersi sottintesa
l’aggiunta di due zeri dopo le prime due cifre decimali>>, ha già avuto modo di chiarire che
<<tuttavia, bisogna considerare che la richiamata disposizione interviene, tra l’altro, a
modificare una norma precedente, che richiedeva invece l’indicazione di tre cifre decimali,
potendo ben ritenersi che la disposizione in esame abbia voluto porre rimedio alla creazione
di ″cordate″ di imprese che offrono tutte il medesimo ribasso. Ed infatti, la necessità di dover
indicare una cifra di ribasso con ben quattro decimali renderebbe estremamente difficile
sostenere che la eventuale coincidenza di più offerte sia dovuta a un caso fortuito.
Tale tesi è poi rafforzata anche dalla precisazione finale contenuta nella stessa disposizione, secondo la quale ″non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta″,
inducendo a ritenere che nessuna deroga sia consentita al suo tenore letterale, che impone
l’indicazione di quattro cifre decimali>>.
Aggiunge il Collegio che proprio tale tipo di indicazione, espressamente richiamata nel
bando di gara, non solo qualificava l’offerta in maniera omogenea in Sicilia, ma, a fronte
delle predette corrette considerazioni, era sorta proprio per evitare il fenomeno, estremamente ricorrente, delle “cordate” caratterizzate dalla medesima offerta di ribasso (ed
oggetto di particolare interesse del Giudice di seconde cure, che, spesso, ha ritenuto di
stigmatizzare in sede di decisione il fenomeno, investendo della questione il competente
Giudice penale).
Tuttavia, il nuovo sistema di aggiudicazione delle gare introdotto dalla l.r. 12/2011 di
recepimento della normativa nazionale, mutuato direttamente dal codice degli appalti,
impedisce naturaliter che si raggiunga un parametro di ribasso sempre più “incomprimibile”
come nel passato.
Ed infatti, mentre la L.R. n. 20/2007, prevedeva l’applicazione di un meccanismo
matematico il cui inevitabile effetto era quello di determinare un restringimento sempre
maggiore dell’arco delle offerte valide, sino a giungere - come è avvenuto nell’ultimo
periodo - ad una assoluta identicità delle offerte di ribasso proposte dai partecipanti alle
procedure di aggiudicazione, la disciplina nazionale, semmai, sembra orientare al continuo
innalzamento della percentuale di ribasso.
Più analiticamente, il precedente criterio di aggiudicazione siciliano prevedeva, in
somma sintesi, il c.d. “taglio delle ali”, pari al 50% delle offerte ammesse, una particolare
procedura con l’estrazione di un numero compreso tra 11 e 40, che rappresentava la
percentuale delle offerte di minor ribasso che ricadevano nel taglio delle ali.
Tale numero, poi, veniva sottratto al numero 50 e il risultato indicava la percentuale di
offerte di maggior ribasso dei eliminare dal calcolo della media di aggiudicazione.
Il procedimento descritto, a tutta evidenza, mirava a rendere assolutamente casuale la
distribuzione del taglio delle ali, al fine di scoraggiare eventuali “cordate” tendenti a
condizionare il calcolo della media finale. Seguiva tutta una procedura improntata a
impedire una preventiva conoscenza dell’incidenza dello scarto medio aritmetico nel calcolo
della media di aggiudicazione al fine di rendere ulteriormente difficoltoso il condizionamento della media di aggiudicazione.
È da ritenere che siffatto meccanismo sia stato la causa di quel particolare fenomeno
per il quale le offerte di ribasso presentare delle imprese siciliane si sono sempre più
ravvicinate, sino a raggiungere un risultato finale, presente praticamente in tutte le gare.
In quest’ottica, risulta comprensibile, altresì, l’indicazione di ben quattro decimali nel
ribasso, rivolta alla medesima finalità.
Venuto meno, si ribadisce, siffatto complesso sistema di aggiudicazione delle gare,
anche quest’ultima finalità sembra non essere più necessaria.
Sicché, ad avviso del Collegio, pur non essendo stata, come chiarito, espressamente
abrogata la norma che quest’ultimo obbligo sancisce, a fronte, per altro, del recepimento
della diversa normativa nazionale, non può dirsi che la stessa costituisca un preciso obbligo
nella formulazione dei bandi di gara e, conseguentemente, delle offerte.
Resta da verificare, se una volta che sia comunque inserita negli atti di autoregolamentazione, così come nel caso di specie, costituisca prescrizione imprescindibile, la cui inosservanza debba comportare l’esclusione dell’offerta, ovvero possa ritenersi possibile l’integrazione, non dell’offerta in sé, ma del ribasso considerando gli ulteriori decimali pari a zero.
Premesse le superiori considerazioni, ritiene il Collegio di dover aderire a quella
Giurisprudenza (cfr. T.A.R. Palermo, sez. III, 24 luglio 2009, n. 1342), secondo la quale non
vi sia <<alcuna ragione logico-giuridica per disporre l’esclusione dell’offerta, proposta con
ribasso formulato con due cifre decimali: non può ritenersi violata la lex specialis stante la
perfetta equivalenza (sia ai fini aritmetici che giuridici) dell’aver formulato il ribasso
percentuale con un numero di decimali pari a due anziché pari a tre poiché la cifra decimale
(la terza) che avrebbe dovuto seguire l’ultima indicata deve comunque ritenersi pari a zero
e, dunque, tamquam non esset, ininfluente rispetto all’esito complessivo del calcolo della
media delle offerte>>.
Il medesimo principio, sia pure nella sinteticità della motivazione, può trarsi dalle
indicazioni del Giudice di seconde cure (CGA per la Sicilia, Ord. 30.9.2013, n. 743).
Conclusivamente, ritiene il Collegio che l’integrazione da parte del seggio di gara del
ribasso contenuto in un’offerta, con l’aggiunta di uno zero finale, possa essere utilizzato sia
per “sanare” un’offerta prevista da un atto di autolimitazione con un certo numero di
decimali, purché, come nel caso di specie, tale ribasso sia concordemente (sia in lettere che
in cifre) rappresentato con una quantità di decimali inferiore, sia per uniformare l’una
all’altra (ad esempio, rispettivamente, 20,927% in ambedue i ribassi ove fosse stata prevista
un offerta con quattro decimali, ovvero, nel secondo caso, 20,927 in cifre e 20, 9270% in
lettere o viceversa).
Altrimenti, si verserebbe in un’ipotesi di indebita alterazione della volontà dell’offerente da parte dell’Amministrazione e, comunque, la fattispecie troverebbe regole e principi
diversi per dirimere la questione.
Né, infine, è possibile condividere l’osservazione prospettata dalla ricorrente in ordine
alla eventualità di una strumentale (e illecita) alterazione dell’offerta da parte di un’amministrazione “compiacente” mediante l’aggiunta della quarta cifra all’offerta che ne presenti
soltanto tre, posto che, anche dall’osservazione diretta dell’offerta in questione, l’altera-
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zione, certamente possibile nel numero espresso in cifre, dovrebbe comprendere anche
quella in lettere.
Ed invero, nonostante l’eccessivo spazio lasciato nello schema tipo dell’offerta non
sembra proprio che ciò sia possibile anche sintatticamente. L’offerta in questione, è pari a
30,655%, sicché, riportandola in lettere, non è possibile aggiungere alcun corrispondente
numero; in lettere, infatti, da seicentocinquantacinque, dovrebbe diventare seimilacinquecentocinquanta (...), con chiara disarmonia dei dati.
Non cambia il ragionamento se si accede a un’ipotesi astratta.
Ciò in quanto, tenuto conto della necessità di esprimere il ribasso sia in lettere che in
cifre, l’unica possibile alterazione è quella di lasciare, dopo la virgola, tutto “in bianco”, per
il semplice motivo, si ribadisce, che l’espressione a tre cifre inizia, in lettere, con riferimento
alle centinaia, quello a quattro alle migliaia, con evidente insanabile discrepanza espressiva.
Per completezza, l’unica possibilità di alterazione sembra quella di aggiungere non la
quarta cifra, ma la prima dei decimali. La soluzione appare, però, improbabile a causa della
necessaria continuità della scrittura.
Tanto é sufficiente per ritenere infondata anche la detta censura e, conseguentemente,
per rigettare il ricorso.
La non assoluta pacificità delle questioni sollevate suggerisce al Collegio di disporre
l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di giudizio.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di
Catania (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nelle camere di consiglio del giorno 21 novembre e 5 dicembre
2013 con l’intervento dei magistrati:
Cosimo Di Paola, Presidente
Francesco Brugaletta, Consigliere
Pancrazio Maria Savasta, Consigliere, Estensore
Tribunale amministrativo regionale Sicilia Catania Sez. IV *7 dicembre 2013 n. 3178 Pres. Di
Paola Est. Savasta R. Srl (avv. Carrubba, Bertino) Comune di Pagliara . (avv. Monforte)
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Offerta - In
Sicilia - Necessità di quattro cifre decimali a pena di nullità - Non sussiste.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Offerta Discordanza e differenza numero decimali - Applicabilità dell’offerta più vantaggiosa per l’Amministrazione - Non sussiste - Motivi.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Offerta Discordanza e differenza numero decimali - Applicabilità dell’offerta più vantaggiosa per l’Amministrazione - Non sussiste - Motivi.
[6972/228] Pubblica amministrazione (P.A.) - Contratti della P.A. - Procedura di Gara - Offerta Discordanza tra prezzo in cifra e in lettere - Applicabilità dell’offerta più vantaggiosa per
l’Amministrazione - Limiti.
In Sicilia, anche dopo il recepimento del Codice degli appalti e del connesso Regolamento, è da ritenere che l’art. 3, l. rg. n. 16 del 2010, che contiene in termini di decimali
nell’offerta per l’aggiudicazione di un appalto pubblico la prescrizione che la stessa deve
essere a quattro cifre, e la connessa precedente previsione di cui all’art. 1 comma 9, l. rg. n. 20
del 2007, sia rimasto in vigore, non potendosi sostenere la sua abrogazione implicita, per altro,
a fronte dell’inesistenza di una norma nel codice degli appalti dello stesso segno con esso
contrastante (ed, invero, l’art. 74, nella qualificazione dell’offerta, nulla dice in merito ai
decimali da apporre all’offerta, rilasciati, pertanto, alla previsione contenuta negli atti di
autoregolamentazione). La norma, però, non essendo stata richiamata espressamente (ma
neanche abrogata) dalla l. rg. n. 12 del 2011, non rientra nella previsione di cui al comma 6,
dell’art. 11, d.P.Rg. 31 gennaio 2012 n. 13, secondo il quale « ai sensi dell’art. 46 comma 1-bis,
d.lg. n. 163 del 2006, la violazione delle prescrizioni scaturenti dalla l. rg. n. 12 del 2011 e dalle
correlate norme del presente regolamento costituisce causa di esclusione ».
Nell’ipotesi in cui vi sia discordanza nei decimali espressi in cifre e in lettere in un’offerta
volta all’aggiudicazione di un appalto pubblico non può applicarsi l’art. 72 comma 2, r.d. n.
827 del 1924, anche nell’ipotesi in cui, una delle due cifre risulti rappresentata in un numero
di decimali inferiori a quello previsto (offerta espressa in lettere con sole tre cifre, nella quale
é stato omesso lo zero quale prima cifra decimale, invece presente in quella espressa
numericamente), poiché non è possibile, come è ordinariamente consentito, in quanto evidentemente ininfluente ai fini matematici, aggiungere lo zero quale quarta cifra. Tale espediente,
stante l’equivalenza matematica, può essere utilizzato per « sanare » un’offerta prevista da un
atto di autolimitazione con un certo numero di decimali, ma concordemente rappresentata con
una quantità inferiore ovvero per uniformare l’una all’altra. Altrimenti si verserebbe in
un’ipotesi di indebita alterazione della volontà dell’offerente da parte dell’Amministrazione.
Ne deriva che l’intervento correttivo dell’Amministrazione non può essere utilizzato né per
« parificare » due offerte evidentemente difformi, né qualora la differenza sia il frutto di un
mero evidente errore nella rappresentazione di una di esse e ciò neanche all’ulteriore fine di
rendere applicabile l’art. 72, r.d. del 23 maggio 1924 n. 827, ai sensi del quale « quando in una
offerta all’asta vi sia discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifre, è
valida l’indicazione più vantaggiosa per l’amministrazione.
L’art. 72, r.d. del 23 maggio 1924 n. 827, ai sensi del quale « quando in una offerta all’asta
vi sia discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifre, è valida
l’indicazione più vantaggiosa per l’amministrazione, per come si evince dal suo chiaro tenore
letterale, trova applicazione proprio nelle ipotesi di discordanza di prezzo fra lettere e cifre in
due offerte compiutamente formulate e non, automaticamente, nel caso di « differenza » tra di
esse determinata, quest’ultima, dall’evidente errore nella compilazione dei ribassi e per la
quale, stante l’assoluta evidenza, è possibile risalire alla effettiva (manifesta) volontà della
parte.
REPUBBLICA ITALIANA
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1340 del 2013, proposto da: Romeo Costruzioni
Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti
Alessandro Carrubba e Gregorio Bertino, con domicilio eletto presso lo studio del primo in
Catania, via Umberto, 303;
contro
Comune di Pagliara, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dall’avv. Giovanni Monforte, con domicilio ex lege presso la Segreteria del Tribunale, in
Catania, via Milano 42/b;
nei confronti di
Medi Appalti Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dall’avv. Silvano Martella, con domicilio ex lege presso la Segreteria del Tribunale;
per l’annullamento
- dell’aggiudicazione definitiva dei lavori di ″consolidamento e regimentazione delle
acque centro abitato – linea d’intervento 2.3.1.1.A, assunta con determinazione n. 31 del
29.4.2013;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi incluso il verbale di
aggiudicazione provvisoria n. 3 del 7.3.2013.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pagliara e di Medi Appalti Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2013 il dott. Pancrazio Maria
Savasta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO — Connota del 27.11.2012 prot. n. 6290, il Comune di Pagliara ha invitato la
società ricorrente a partecipare alla gara di appalto a procedura negoziata da espletarsi ai
sensi dell’art. 57, comma 6, D.lgs 163/2006 s.m.i., relativa all’affidamento dei lavori di
“consolidamento e regimentazione delle acque – centro abitato”.
La ricorrente formulava la propria offerta economica e, all’esito della procedura
selettiva, unitamente all’aggiudicataria Medi Appalti s.r.l., veniva ammessa alla successiva
fase di apertura delle offerte economiche fissata per il 19.12.2012.
Dopo aver proceduto al calcolo della soglia di anomalia, risultata pari a 33,2589 %,
nonché all’esclusione automatica delle offerte aventi una percentuale di ribasso maggiore, la
Commissione di gara aggiudicava provvisoriamente i lavori alla partecipante Impresa Medi
Appalti s.r.l. in virtù dell’offerta di ribasso di quest’ultima pari al 33,0927 %.
Indi, disponeva la trasmissione del verbale di aggiudicazione provvisoria e di tutta la
documentazione di gara al R.U.P. designato per l’adozione dei provvedimenti consequenziali ai sensi e per gli effetti degli art.li 11 e 12 D.lgs 163/2006.
A seguito di richiesta di visione degli atti di gara formulata dai rappresentanti della
società ricorrente ed accordata dalla Stazione appaltante nella successiva data del
20.12.2012, emergeva, dall’esame dell’offerta economica formulata dall’aggiudicataria provvisoria dei lavori Medi Appalti s.r.l., una discordanza tra l’offerta di ribasso formulata in
cifre (33,0927) e l’offerta formulata in lettere cosi indicata: trentatrevirgolanovecentoventisettepercento, come tale nettamente più favorevole per la stazione appaltante.
Pertanto, la ricorrente, in data 21.01.2013, inoltrava formale reclamo ex art. 243 bis
D.lgs 163/2006, con il quale sottoponeva all’attenzione del R.U.P. la rilevata discordanza
contenuta nell’offerta dell’aggiudicataria provvisoria dei lavori.
A tal fine, evidenziava come l’errore commesso dalla Commissione di gara avesse
altresì determinato un errato calcolo della media delle offerte, all’esito del quale la Medi
Appalti s.r.l. sarebbe stata, illegittimamente, individuata come aggiudicataria provvisoria dei
lavori.
Diversamente, asserisce la ricorrente, laddove la Commissione di gara avesse preso a
riferimento l’offerta più vantaggiosa tra quelle formulate dall’impresa aggiudicataria, e nella
fattispecie l’offerta indicata in lettere (trentatrevirgolanovencentoventisettepercento), le
operazioni di gara sarebbero culminate con l’aggiudicazione in suo favore.
Pertanto, invitava la Stazione appaltante, previa verifica di quanto denunciato in seno
al reclamo proposto, a procedere all’applicazione della norma di carattere generale contenuta nell’art. 72, comma 2, R.D. 23.05.1924 n. 827 e, conseguentemente, ad effettuare un
nuovo calcolo della media delle offerte, utilizzando l’offerta più vantaggiosa tra le due
formulate dalla Medi Appalti s.r.l., ossia quella espressa in lettere.
Il R.U.P. della stazione appaltante, con nota prot. n. 458 del 25.01.2013, dava atto che
“dall’esame dell’offerta presentata dall’Impresa Medi Appalti s.r.l., si è riscontrata una
discordanza fra il prezzo indicato in cifre e quello espresso in lettere, ossia in cifre 33,0927%
ed in lettere Trentatrevirgolanovecentoventisettepercento”.
In ragione di ciò, riteneva di non poter procedere all’aggiudicazione definitiva a favore
della Medi Appalti s.r.l., rimettendo gli atti al Presidente della Commissione di Gara per la
rinnovazione della procedura.
Quest’ultima, con verbale di aggiudicazione provvisoria n. 3 del 07.03.2013, riteneva,
tuttavia, di non accogliere i rilievi mossi dal R.U.P. circa la regolarità dell’aggiudicazione
provvisoria a favore della Medi Appalti s.r.l. “in quanto a parere della commissione, la
lamentata discordanza tra il prezzo indicato in cifre e quello indicato in lettere da parte
dell’impresa Medi Appalti s.r.l., nella fattispecie non determina una effettiva discrasia fra le
due indicazioni, constatandosi, di contro, un mero errore di scritturazione in lettere nella
parte decimale dell’offerta indicata in cifre” e, per l’effetto, confermava l’aggiudicazione
provvisoria a favore della Medi Appalti S.r.l..
Anche il predetto verbale veniva contestato con reclamo ex art. 243 bis D.lgs. 163/2006
formulato dalla Romeo Costruzioni s.r.l. in data 11.03.2013.
Con nota prot. 1452 del 21.03.2013, a firma del Presidente della Commissione di gara,
la Stazione Appaltante confermava quanto deciso con il verbale di aggiudicazione provvisoria n. 3 del 07.03.2013 e, infine, con determinazione n. 31 del 29.04.2013, aggiudicava
definitivamente i lavori alla Medi Appalti s.r.l. con provvedimento assunto dal responsabile
dell’area tecnica, in luogo del R.U.P., che, in detta qualità, aveva ritenuto fondate le
doglianze formulate dalla ricorrente.
Con ricorso passato per la notifica il 24.5.2013 e depositato il 31.5.2013, la ricorrente ha
impugnato siffatti provvedimenti, affidandosi ai seguenti motivi di ricorso:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 72 del r.d. 827/1924. Erroneo calcolo della
media delle offerte economiche ammesse alla gara. Abnormità e illogicità delle motivazioni.
Violazione e falsa applicazione del principio di buona amministrazione ed economicità.
La Commissione di gara avrebbe errato nel procedere all’aggiudicazione definitiva dei
lavori a favore della Medi Appalti s.r.l., nonostante la discordanza tra l’offerta espressa in
cifre (più sfavorevole per l’amministrazione) rispetto a quella indicata in lettere.
Nel caso di specie, la commissione di gara avrebbe dovuto applicare la norma di
carattere generale espressa dall’art 72, comma secondo, del R.D. 23.05.1924 n. 827, secondo
cui “ Quando in un’offerta all’asta vi sia discordanza tra il prezzo indicato in lettere e quello
indicato in cifre, è valida l’indicazione più vantaggiosa per l’Amministrazione”.
Ed invero, l’errore materiale, che avrebbe potuto giustificare l’operato dell’Amministrazione, si realizzerebbe solo laddove la difformità tra i due prezzi sia talmente evidente da
rendere palesemente inattendibile e fuori mercato l’importo indicato in una delle due
formulazioni
La discordanza rilevata tra l’offerta in cifre (33,0927%) e l’offerta in lettere (trentatrevirgolanovecentoventisettepercento) non potrebbe certo definirsi vistosa, né palesemente
abnorme, di guisa il seggio di gara non ne avrebbe dovuto tenere conto.
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Costituitesi, sia l’Amministrazione intimata che la controinteressata hanno concluso
per l’infondatezza del gravame.
Con Ordinanza n. 601/2013, del 28.6.2013, questa stessa Sezione ha rigettato la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati, ritenendo, nella fattispecie in esame la
sussistenza dell’errore materiale.
Con Ordinanza n. 743/2013 del 30.9.2013, il C.G.A. per la Sicilia, accogliendo l’appello
cautelare ai fini dell’esame della questione nel merito e stante la già intervenuta sospensione
dei provvedimenti impugnati con Ordinanza n. 618/13 di questa Sezione, riferita a connesso
ricorso, ha chiarito che “nella fattispecie, diversamente da quanto opinato dal Primo
Giudice, debba trovare applicazione l’art. 72, comma 2 del R.D. n. 827/1924 e che, quindi,
l’offerta di ribasso formulata da Medi Appalti s.r.l. sia da intendersi effettuata nella misura
di 33,9270%”.
All’udienza pubblica del 21.11.2013, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO — La questione posta all’esame del Collegio è se nell’ipotesi in cui vi sia
discordanza nei decimali espressi in cifre e in lettere in un’offerta volta all’aggiudicazione di
un appalto pubblico debba applicarsi l’art. 72, comma 2 del R.D. n. 827/1924, anche
nell’ipotesi in cui, una delle due cifre risulti rappresentata in un numero di decimali inferiori
a quello previsto.
In altri termini, la questione è se, in caso di difformità tra le due offerte, di cui una con
un numero di decimali inferiori a quanto previsto, debba essere comunque applicata la
suddetta normativa che impone la valutazione dell’offerta più favorevole all’Amministrazione.
Sostiene, in tal senso, la ricorrente che ove fosse stata presa in considerazione l’offerta
espressa in lettere (pari a 33,927%) piuttosto che quella in cifre (pari a 33,0927%), la media
sarebbe cambiata a suo favore, determinandone l’aggiudicazione.
Sostengono le parti resistenti che, trattandosi di un mero errore materiale e che
dall’allegato 6 al bando di gara risulterebbe determinante l’indicazione delle offerte in cifre,
posto che quella in lettere sarebbe preceduta dalla dicitura “dicasi”, ad indicare che
quest’ultima sarebbe una mera specificazione della reale offerta già numericamente
espressa, bene avrebbe fatto il seggio di gara a considerare come valida quest’ultima.
In particolare, secondo la controinteressata, per effetto dell’articolo 3 legge regionale n.
16/2010, tutte le offerte sarebbero state presentate, appunto, con quattro cifre decimali, così
come quella correttamente utilizzata dal seggio di gara.
Il Collegio premette che in nessuna parte degli atti di autoregolamentazione, ivi
compreso l’allegato 6, é prevista la modalità di espressione dell’offerta con quattro cifre
decimali.
Resta da considerare se l’articolo 3 della l.r. n. 16/2010 trovi comunque applicazione, di
guisa che sarebbe possibile sostenere la correttezza dell’applicazione del ribasso effettuato
secondo le prescrizioni della predetta norma.
La tesi non può essere condivisa.
La disposizione in questione è stata introdotta in Sicilia dall’art. 1, comma 9, della L.R.
21.8.2007 n. 20, volto a regolare “modifiche ed integrazioni alla legge 11 febbraio 1994, n.
109, come introdotta dalla legge regionale 2 agosto 2002, n. 7 e successive modifiche ed
integrazioni”.
La stessa così espressamente recitava:
<< 9. Il comma 1 dell’articolo 21 della legge n. 109/1994, come introdotto dall’articolo
17 della legge regionale n. 7/2002 e successive modifiche e integrazioni, è sostituito dal
seguente:
“1. L’aggiudicazione degli appalti mediante pubblico incanto è effettuata di norma con
il criterio del prezzo più basso inferiore a quello posto a base di gara o con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il criterio del prezzo più basso inferiore a
quello posto a base di gara è determinato, per tutti i contratti, sia a corpo che a misura, che
a corpo e misura, mediante offerta espressa in cifra percentuale di ribasso, con 4 cifre
decimali, sull’importo complessivo a base d’asta, da applicare uniformemente a tutto
l’elenco prezzi posto a base di gara. Non si tiene conto delle cifre decimali successive alla
quarta.″>>.
La disposizione è stata ulteriormente modificata dalla L.R. 3.8.2010 n. 16, avente ad
oggetto, “modifiche ed integrazioni alla normativa regionale in materia di appalti”, il cui art.
3, così recita:
<<1. All’articolo 21 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, come introdotto dall’articolo
17 della legge regionale 2 agosto 2002, n. 7 e successive modifiche e integrazioni, sono
apportate le seguenti modifiche:
a) Il comma 1 è sostituito dal seguente:
“1. Per i criteri di selezione delle offerte e verifica delle offerte anormalmente basse si
applicano le disposizioni degli articoli 81, 86 commi 1, 3, 3-bis, 3-ter e 4, 87 commi 2, 3, 4-bis
e 5, 88 commi 1, 1-bis, 2, 3, 4 e 5 nonché il comma 9 dell’articolo 122 del decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche e integrazioni. Il criterio del prezzo più basso
inferiore a quello a base d’asta è determinato, per tutti i contratti, sia a corpo che a misura,
che a corpo e misura, mediante offerta espressa in cifra percentuale di ribasso, con quattro
cifre decimali, sull’importo complessivo a base d’asta, da applicare uniformemente all’elenco
prezzi posto a base di gara. Non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta”>>.
Quindi, la previsione relativa alle quattro cifre decimali è rimasta identica, mentre è
cambiata soltanto la premessa della norma, con il rinvio, da parte della disposizione più
recente, alle norme contenute nel codice degli appalti.
L’art. 1 della L.R. 12.7.2011 n. 12, volta a regolare il “recepimento del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche ed integrazioni e del D.P.R. 5 ottobre
2010, n. 207 e successive modifiche ed integrazioni”, così recita:
<<Art. 1 Applicazione della normativa nazionale.
1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modifiche dalla
stessa introdotte, si applicano nel territorio della Regione il decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione della direttiva 2004/17/CE e della direttiva 2004/18/CE” e le sue successive
modifiche ed integrazioni ed i regolamenti in esso richiamati e successive modifiche, fatta
eccezione dell’articolo 7, commi 8 e 9, dell’articolo 84, commi 1, 2, 3, 4, 8, 9, 10, 11 e 12,
dell’articolo 128 e dell’articolo 133, comma 8. In particolare, si applica il decreto del
Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 e le successive modifiche ed integrazioni,
con esclusione delle parti riferibili alle norme del decreto legislativo 163/2006 espressamente
dichiarate non applicabili in forza della presente legge. Entro il 31 dicembre 2011, con
regolamento adottato ai sensi dell’articolo 12 dello Statuto regionale, saranno definite le
modalità di applicazione delle disposizioni di cui al presente capo.
2. I riferimenti al “Bollettino Ufficiale della Regione” e alla “Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana” contenuti nel decreto legislativo n. 163/2006 devono intendersi riferiti
alla “Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana”; nel caso di riferimenti ad organi ed
istituzioni statali deve farsi riferimento ai corrispondenti organi ed istituzioni regionali.
3. Sono fatti salvi l’articolo 3 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 20, e l’articolo 7
della legge regionale 3 agosto 2010, n. 16>>.
L’impianto generale è confermato dall’art. 1 del D.P.Reg. 31.1.2012, n. 13, “Regolamento di esecuzione ed attuazione della legge regionale 12 luglio 2011, n. 12”, che, nella
parte di interesse, così stabilisce:
<<Art. 1 Disposizioni generali.
1. Ai sensi dell’articolo 1 della legge regionale n. 12/2011, gli appalti di lavori, servizi e
forniture sono disciplinati nella Regione siciliana nel rispetto delle prescrizioni poste dal
decreto legislativo n. 163/2006 ed in specie degli articoli 4 e 5 dello stesso, nonché dal D.P.R.
n. 207/2010, fatto salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento.
2. Tutte le disposizioni del presente regolamento trovano applicazione, salvo diversa
previsione espressa, nei confronti della Regione siciliana e di tutti gli altri soggetti indicati
all’articolo 2 della legge regionale n. 12/2011>>.
Da una prima lettura sembra emergere che le uniche norme “salvate” dalla novella
della l.r. 12/2011 sono l’articolo 3 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 20 (e, quindi, non
l’art. 1) e il solo articolo 7 della legge regionale 3 agosto 2010, n. 16 (e, quindi, non l’art. 3).
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Tuttavia, l’art. 32 della medesima l.r. 12/2011, dispone, per quanto di interesse, che <<
con l’entrata in vigore della presente legge sono abrogati:
omissis
g) la legge regionale 2 agosto 2002, n. 7, con esclusione dell’articolo 42, comma 1;
omissis
m) l’articolo 1, commi 1, 2 e 7 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 20;
omissis
o) gli articoli 1, comma 1, 2 e 3 della legge regionale 3 agosto 2010, n. 16>>.
Quindi, sia pure nella non assoluta chiarezza dell’intenzione del Legislatore regionale,
è da ritenere che l’art. 3 della l.r. 16/2010, che contiene in termini di decimali nell’offerta, la
precedente previsione di cui all’art. 1, comma 9, della l.r. 20/2007, sia rimasto in vigore, non
potendosi sostenere la sua abrogazione implicita, per altro, a fronte dell’inesistenza di una
norma nel codice degli appalti dello stesso segno con esso contrastante (ed, invero, l’art. 74,
nella qualificazione dell’offerta, nulla dice in merito ai decimali da apporre all’offerta,
rilasciati, pertanto, alla previsione contenuta negli atti di autoregolamentazione).
E’ da dire, però, che la norma, non essendo stata richiamata espressamente (ma
neanche abrogata) dalla l.r. 12/2011, non rientra nella previsione di cui al comma 6, dell’art.
11 del D.P.Reg. 31.1.2012, n. 13, secondo il quale << ai sensi dell’articolo 46, comma 1-bis,
del decreto legislativo n. 163/2006, la violazione delle prescrizioni scaturenti dalla legge
regionale n. 12/2011 e dalle correlate norme del presente regolamento costituisce causa di
esclusione>>.
Resta da verificare se possa entrarvi in sede di eterointegrazione del bando, che, si
ribadisce, nulla dispone in tal senso.
Sul punto, questa Sezione (cfr. T.A.R. Catania, sez. IV, 16/12/2011, n. 3039), dopo aver
premesso di ben conoscere <<quella giurisprudenza, . . . secondo la quale la mancanza di una
o più cifre decimali non altererebbe il computo aritmetico, dovendo ritenersi sottintesa
l’aggiunta di due zeri dopo le prime due cifre decimali>>, ha già avuto modo di chiarire che
<<tuttavia, bisogna considerare che la richiamata disposizione interviene, tra l’altro, a
modificare una norma precedente, che richiedeva invece l’indicazione di tre cifre decimali,
potendo ben ritenersi che la disposizione in esame abbia voluto porre rimedio alla creazione
di ″cordate″ di imprese che offrono tutte il medesimo ribasso. Ed infatti, la necessità di dover
indicare una cifra di ribasso con ben quattro decimali renderebbe estremamente difficile
sostenere che la eventuale coincidenza di più offerte sia dovuta a un caso fortuito.
Tale tesi è poi rafforzata anche dalla precisazione finale contenuta nella stessa disposizione, secondo la quale ″non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta″,
inducendo a ritenere che nessuna deroga sia consentita al suo tenore letterale, che impone
l’indicazione di quattro cifre decimali>>.
Aggiunge il Collegio che proprio tale tipo di indicazione non solo qualificava l’offerta
in maniera omogenea in Sicilia, ma, a fronte delle predette corrette considerazioni, era sorta
proprio per evitare il fenomeno, estremamente ricorrente, delle “cordate” caratterizzate
dalla medesima offerta di ribasso (ed oggetto di particolare interesse del Giudice di seconde
cure, che, spesso, ha ritenuto di stigmatizzare in sede di decisione il fenomeno, investendo
della questione il competente Giudice penale).
Tuttavia, il nuovo sistema di aggiudicazione delle gare introdotto dalla l.r. 12/2011 di
recepimento della normativa nazionale, mutuato direttamente dal codice degli appalti,
impedisce naturaliter che si raggiunga un parametro di ribasso sempre più “incomprimibile”
come nel passato.
Ed infatti, mentre la L.R. n. 20/2007, prevedeva l’applicazione di un meccanismo
matematico il cui inevitabile effetto era quello di determinare un restringimento sempre
maggiore dell’intervallo delle offerte valide, sino a giungere - come è avvenuto nell’ultimo
periodo - ad una assoluta identicità delle offerte di ribasso proposte dai partecipanti alle
procedure di aggiudicazione, la disciplina nazionale, semmai, sembra orientare al continuo
innalzamento della percentuale di ribasso.
Più analiticamente, il precedente criterio di aggiudicazione siciliano prevedeva, in
somma sintesi, il c.d. “taglio delle ali”, pari al 50% delle offerte ammesse, una particolare
procedura con l’estrazione di un numero compreso tra 11 e 40, che rappresentava la
percentuale delle offerte di minor ribasso che ricadevano nel taglio delle ali.
Tale numero, poi, veniva sottratto al numero 50 e il risultato indicava la percentuale di
offerte di maggior ribasso da eliminare dal calcolo della media di aggiudicazione.
Il procedimento descritto, a tutta evidenza, mirava a rendere assolutamente casuale la
distribuzione del taglio delle ali, al fine di scoraggiare eventuali “cordate” tendenti a
condizionare il calcolo della media finale. Seguiva tutta una procedura improntata a
impedire una preventiva conoscenza dell’incidenza dello scarto medio aritmetico nel calcolo
della media di aggiudicazione al fine di rendere ulteriormente difficoltoso il condizionamento della media di aggiudicazione.
È da ritenere che siffatto meccanismo sia stato la causa di quel particolare fenomeno
per il quale le offerte di ribasso presentate dalle imprese siciliane si sono sempre più
ravvicinate, sino a raggiungere un risultato finale, presente praticamente in tutte le gare.
In quest’ottica, risulta, altresì, comprensibile la previsione da parte del Legislatore
regionale di ben quattro decimali nel ribasso, rivolta alla medesima finalità.
Venuto meno, si ribadisce, siffatto complesso sistema di aggiudicazione delle gare, per
essere stato adottato quello nazionale, anche le ragioni del predetto sistema sono cessate.
Sicché, ad avviso del Collegio, pur non essendo stata, come chiarito, espressamente
abrogata la norma che sancisce la previsione di quattro decimali nell’offerta, non può dirsi
che la stessa costituisca un preciso obbligo nella formulazione dei bandi di gara e, conseguentemente, delle offerte.
E in effetti, come chiarito, la disposizione non è stata prevista nel bando, sicché nessun
obbligo vi era di redigere l’offerta con quattro decimali, di guisa che non è possibile
affermare che il ribasso in tal modo espresso, in quanto conforme a legge, avrebbe dovuto,
così come è avvenuto, essere preferito.
Il Giudice di seconde cure, in sede cautelare, ha affermato che, al contrario, sarebbe
stata corretta la valutazione dell’offerta espressa in lettere con sole tre cifre (nella quale é
stato omesso lo zero quale prima cifra decimale, invece presente in quella espressa numericamente), essendo sufficiente aggiungere, in quanto evidentemente ininfluente ai fini
matematici, lo zero quale quarta cifra e, dal raffronto delle percentuali così ottenute, in
applicazione dell’art. 72 R.D. 23.5.1924, n. 827, avrebbe dovuto essere preferita quella più
favorevole all’Amministrazione (e, quindi, quella così corretta).
Ritiene il Collegio che sia condivisibile, così come altrimenti ritenuto da altra Giurisprudenza (cfr. T.A.R. Palermo, sez. III, 24 luglio 2009, n. 1342), che non vi sia <<alcuna
ragione logico-giuridica per disporre l’esclusione dell’offerta, proposta con ribasso formulato con due cifre decimali: non può ritenersi violata la lex specialis stante la perfetta
equivalenza (sia ai fini aritmetici che giuridici) dell’aver formulato il ribasso percentuale con
un numero di decimali pari a due anziché pari a tre poiché la cifra decimale (la terza) che
avrebbe dovuto seguire l’ultima indicata deve comunque ritenersi pari a zero e, dunque,
tamquam non esset, ininfluente rispetto all’esito complessivo del calcolo della media delle
offerte>>.
Tuttavia, il principio non sembra potersi applicare al caso in esame, posto che ad avviso
del Collegio, tale espediente, stante l’equivalenza matematica, può essere utilizzato per
“sanare” un’offerta prevista da un atto di autolimitazione con un certo numero di decimali,
ma concordemente rappresentata con una quantità inferiore ovvero per uniformare l’una
all’altra (ad esempio, rispettivamente 33,927%. in ambedue i ribassi ove fosse stata prevista
un’offerta con quattro decimali, ovvero, nel secondo caso, 33,927 in cifre e 33,9270% in
lettere o viceversa).
Altrimenti si verserebbe in un’ipotesi di indebita alterazione della volontà dell’offerente da parte dell’Amministrazione.
Ne deriva che l’intervento correttivo dell’Amministrazione non può essere utilizzato né
per “parificare” due offerte evidentemente difformi, né qualora la differenza sia il frutto di
un mero evidente errore nella rappresentazione di una di esse e ciò neanche all’ulteriore fine
di rendere applicabile l’art. 72 R.D. 72 del 23 maggio 1924 numero 827, ai sensi del quale
“quando in una offerta all’asta vi sia discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello
indicato in cifre, è valida l’indicazione più vantaggiosa per l’amministrazione”.
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E infatti, la norma, per come si evince dal suo chiaro tenore letterale, trova applicazione
proprio nelle ipotesi di discordanza di prezzo fra lettere e cifre in due offerte compiutamente
formulate e non, automaticamente, nel caso di “differenza” tra di esse determinata,
quest’ultima, dall’evidente errore nella compilazione dei ribassi e per la quale, stante
l’assoluta evidenza, è possibile risalire alla effettiva (manifesta) volontà della parte.
Si vuole, in altri termini, dire che la norma é posta proprio a presidio della conservazione dell’offerta, che, a tutta evidenza, risultando discordante, dovrebbe essere causa di
esclusione dell’offerente. Il Legislatore, proprio al fine di evitare l’incertezza determinata dal
fatto del concorrente, ha ammesso la possibilità della sua permanenza nella gara, a
condizione di considerare come valida l’offerta più vantaggiosa per l’amministrazione.
Il principio, in altri termini, non può trovare applicazione quando la differenza tra
percentuale in lettere e in cifre sia il frutto, però, di un errore materiale in cui è incorsa la
concorrente talmente evidentemente da consentire di risalire immediatamente e in maniera
inequivoca alla reale volontà espressa nell’offerta.
Soccorre, in tal senso, la condivisibile giurisprudenza anche del Giudice di seconde cure
(cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 9 ottobre 2003, n. 6070), secondo la quale “Secondo
orientamento giurisprudenziale costante (cfr., per tutte, Con. Stato, Sez. V, 6 maggio 1997 n.
466; id. 21 ottobre 1995 n. 1467), nella valutazione delle offerte in una gara d’appalto
pubblico non sussiste discordanza d’espressione tra offerta in cifre ed offerta in lettere, tale
da dover giustificare la prevalenza di quest’ultima ai sensi dell’art. 72 reg. cont. (r.d. 23
maggio 1924 n. 827), nel caso in cui l’offerta in cifre sia erroneamente formulata, con tre cifre
decimali, in centesimi, anziché in millesimi, stante l’immediata riconoscibilità dell’errore in
cui l’offerente è incorso)”.
Appare condivisibile, quindi, quanto affermato anche da questo stesso Tribunale (cfr.
T.A.R. sez. IV Catania , Sicilia 11/01/2007 n. 48), secondo il quale, <<ai sensi dell’art. 72,
comma 2 del regolamento di contabilità generale dello Stato, quando in un’offerta per una
gara d’appalto pubblico vi è discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello espresso in
cifre, è valida l’indicazione più vantaggiosa per la p.a. appaltante e tale soluzione può essere
adottata legittimamente quando si verifichi un’oggettiva divergenza tra le due indicazioni del
prezzo, non importa se determinata da un errore ostativo o da altra ragione, ma non anche
quando la discordanza scaturisca da un mero ed evidente errore materiale, nel qual caso si
deve dare esclusivo rilievo al prezzo espresso in maniera esatta (CFR: Consiglio di Stato, sez.
V, 28.2.02 n. 1228 e 6 maggio 1997, n. 466; Cons. giu. Amm. Sicilia, sez. consult. 5 maggio
1999, n. 170; TAR CATANIA, I, n. 227 de 1.2.01; Tar Sardegna, I, n. 1911/05 del
7/9/2005)>>.
Ed ancora (cfr. T.A.R. Torino, II, 27/12/2006, n. 4721) <<L’incongruenza nell’offerta
presentata in gara. . . deve essere risolta alla luce dei principi dettati dal codice civile in
materia di annullamento del contratto quando il consenso sia viziato da errore essenziale e
riconoscibile, applicabili - per il rinvio contenuto nell’art. 1324 del cod. civ. - anche agli atti
unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, qual è l’offerta economica della gara (sul
punto si veda Consiglio Stato, sez. V, 23 gennaio 2000, n. 327). Più correttamente, sotto il
profilo civilistico, il fatto deve essere inquadrato tra le ipotesi di errore ostativo, cioè di
errore sulla formulazione della dichiarazione.
Secondo l’art. 1431 cod. civ. ″l’errore si considera riconoscibile quando in relazione al
contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di
normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo″. La riconoscibilità, come noto, indica una
situazione potenziale: la possibilità per una persona di media diligenza di accorgersi del
divario tra il contenuto della dichiarazione negoziale e quanto effettivamente voluto dal
dichiarante>>
Nel caso di specie, che non si tratti di discordanza, presupposto della norma in
commento, ma di mero errore risulta palese per il fatto che una delle due percentuali, quella
numerica, è espressa chiaramente e per esteso con quattro cifre decimali, mentre in quella
accanto riprodotta in lettere è stato omesso, come chiarito, lo zero iniziale.
Così come nel caso scrutinato dalla appena citata decisione del Tribunale piemontese,
<<l’errore macroscopico commesso . . .non solo era facilmente riconoscibile da una persona
in possesso delle ordinarie conoscenze professionali . . . , ma è stato effettivamente
riconosciuto dalla destinataria della dichiarazione errata, cioè la stazione appaltante>>.
Conclusivamente, l’errore in cui è incorsa parte controinteressata appare del tutto
evidente e, anche alla luce dei principi privatistici (art. 1366 c.c., che impone l’interpretazione secondo buona fede, art. 1367, c.c., nel dubbio il contratto o le singole clausole vanno
interpretate nel senso in cui possono avere effetto, anziché in quello dove tale effetto
verrebbe meno, art.1369 c.c., le espressioni suscettibili di più letture, nel dubbio, vanno
interpretate nel senso più conveniente rispetto alla natura e all’oggetto del contratto e 1371
c.c., permanendo ancora dei dubbi, le clausole vanno interpretate nel senso che si realizzi
l’equo contemperamento degli interessi delle parti), appare emendabile, così come è
avvenuto, mediante il riferimento al ribasso completo di quattro cifre decimali, contenete,
all’evidenza, quello zero omesso nella rappresentazione in lettere.
Deriva che l’attività amministrativa è da ritenere priva di mende e, come tale, legittima.
Consegue il rigetto del ricorso.
La non immediata percettibilità dei principi in questione, avvalorata anche dalla diversa
conclusione cui il Giudice d’appello è giunto nella fase cautelare, suggeriscono di compensare integralmente tra le parti, le spese di giudizio.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - sezione staccata di
Catania (Sezione Quarta) - definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Cosimo Di Paola, Presidente
Francesco Brugaletta, Consigliere
Pancrazio Maria Savasta, Consigliere, Estensore
FORO
AMMINISTRATIVO
TAR - 12/2013 -
ADDENDA ONLINE
© GIUFFRÈ EDITORE
177
Tribunale amministrativo regionale Sardegna Sez. II 4 dicembre 2013 n. 815 Pres. Scano Est.
Plaisant M. B. (avv. Tavolacci) Comune di Cagliari, R. M. e altri, A. S. P. e altri, altri
(n.c.). (avv. Curreli), (avv. Barberio, Porcu), (avv. Massa, Vignolo)
[1680/12] Concorsi a pubblici impieghi - Pprocedimento di concorso - Graduatoria e scorrimento - Per
posti vacanti già alla data di indizione del concorso - Illegittimità - Ragioni.
[1680/12] Concorsi a pubblici impieghi - Pprocedimento di concorso - Graduatoria e scorrimento - Per
posti vacanti già alla data di indizione del concorso - Illegittimità - Successiva vacanza di ulteriori
posti - Irrilevanza - Ragioni.
Ai sensi dall’art. 91 comma 4, d.lg. n. 267 del 18 agosto 2000 (in base al quale, per gli enti
locali, le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di
pubblicazione per l’eventuale copertura dei posti che si venissero a rendere successivamente
vacanti e disponibili, fatta eccezione per i posti istituiti o trasformati successivamente all’indizione del concorso medesimo), è illegittimo lo scorrimento in graduatoria per dei posti già
vacanti alla data di indizione del concorso; tale norma, infatti, ha la finalità di evitare che
l’amministrazione indica concorsi per un numero di posti inferiore alle proprie reali necessità,
in tal modo disincentivando la partecipazione al concorso, per poi successivamente ampliare
i posti messi a concorso mediante scorrimento della graduatoria.
La ratio dall’art. 91 comma 4, d.lg. n. 267 del 18 agosto 2000 (evitare che l’amministrazione indica concorsi per un numero di posti inferiore alle proprie reali necessità, in tal modo
disincentivando la partecipazione al concorso, per poi successivamente ampliare i posti messi
a concorso mediante scorrimento della graduatoria) non viene meno nell’ipotesi in cui, dopo
l’indizione del concorso, si rendano vacanti posti ulteriori, essendo il rischio direttamente
collegato all’esistenza, o meno, dei posti vacanti al momento della pubblicazione del bando,
giacché è proprio in relazione all’organico a quell’epoca vigente, che il legislatore impone
all’amministrazione di predeterminare il numero dei posti da mettere a concorso.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 137 del 2011, integrato da motivi aggiunti,
proposto da: Mario Bandel, rappresentato e difeso dall’avv. Gianmarco Tavolacci, con
domicilio eletto presso il suo studio, in Cagliari, via Carbonia n. 22;
contro
Comune di Cagliari, rappresentato e difeso dall’avv. Carla Curreli, con domicilio eletto
presso l’Ufficio legale del’Ente, in Cagliari, via Roma n. 145;
nei confronti di
- Roberto Montixi, Claudia Madeddu, Teresa Carboni e Francesca Brundu, rappresentati e difesi dagli avv.ti Mauro Barberio, Stefano Porcu, con domicilio eletto presso il loro
studio, in Cagliari, via Garibaldi n. 105; - Alessandra Serenella Piras, Manuela Atzeni e
Gianbattista Marotto, rappresentati e difesi dagli avv.ti Massimo Massa e Marcello Vignolo,
con domicilio eletto presso il loro studio, in Cagliari, piazza del Carmine n. 22; - Teresa
Carboni, non costituita in giudizio.
per l’annullamento:
col ricorso introduttivo:
- della determinazione del Direttore Generale del Comune di Cagliari 2010/12135 del
17/11/2010, con la quale si è dato corso alla copertura di 4 posti di Dirigente Amministrativo
Contabile a tempo indeterminato mediante scorrimento della graduatoria degli idonei di un
concorso per la copertura di n. 1 posto di Dirigente Amministrativo Contabile, precedentemente espletato;
- della determinazione del Dirigente dello Sviluppo Organizzativo e Gestione del
Personale del Comune di Cagliari 2010/14387 del 31/12/2010, con la quale si è dato corso alla
copertura di ulteriori 2 posti;
- della deliberazione della Giunta Comunale del Comune di Cagliari n. 203 del 4/8/2010,
avente ad oggetto “rideterminazione provvisoria della dotazione organica nelle more della
definizione delle procedura di revisione della macrostruttura, della mappatura dei processi
e della revisione dei profili professionali - aggiornamento fabbisogno di personale per il
triennio 2010/2012”;
- del regolamento per l’accesso agli impieghi del Comune di Cagliari approvato con
deliberazione della Giunta Municipale n. 939 del 20/12/2001 e ss. mod.;
con i motivi aggiunti depositati in data 23/12/2011:
- della determinazione del Dirigente dello Sviluppo Organizzativo e Gestione del
Personale del Comune di Cagliari 10363/2011 del 24/10/2001, con la quale si è dato corso alla
copertura di 1 posto di Dirigente Amministrativo Contabile, a tempo indeterminato mediante scorrimento della graduatoria degli idonei;
- della deliberazione della Giunta del Comune di Cagliari n. 105/2011 del 20/4/2011
avente ad oggetto “Approvazione piano fabbisogno di personale per il triennio 2011/2013”.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati.
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Cagliari e di Francesca Brundu e
di Alessandra Serenella Piras. Manuela Atzeni e di Gianbattista Marotto.
Viste le memorie difensive.
Visti tutti gli atti della causa.
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 novembre 2013 il dott. Antonio Plaisant
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO — Con determinazione dirigenziale 5 ottobre 2009, n. 4791, il Comune di
Cagliari aveva indetto una procedura concorsuale per la copertura di un posto di “Dirigente
amministrativo contabile” a tempo indeterminato, in esito alla quale, con determinazione
dirigenziale 10 agosto 2010, n. 8520, è stato nominato vincitore il dott. Alessandro Cossa e
altri 7 partecipanti sono stati dichiarati idonei non vincitori.
Con successiva determinazione dirigenziale 17 novembre 2010, n. 12135 -sul presupposto che “con deliberazione G.C. n. 203 del 04.08.2010 è stato approvato il Piano triennale del
fabbisogno di personale per il triennio 2010/2012”, che “in tale atto, per l’anno 2010, è
prevista la copertura di n. 12 posti di categoria dirigenziale mediante ricorso a concorsi
pubblici/o procedure di mobilità” e che “dalla data di pubblicazione del bando si sono resi
vacanti n. 4 posizioni dirigenziali”- lo stesso Comune ha disposto lo scorrimento della
graduatoria sino al quarto idoneo (senza considerare il vincitore), così attribuendo l’incarico
di dirigente amministrativo contabile ai dott.ri Francesca Brundu, Roberto Montixi, Alessandra Serenella Piras e Claudia Madeddu.
Inoltre, con successiva determinazione dirigenziale 31 dicembre 2010, n. 14387, il
Comune –sulla base di motivazioni analoghe e osservando, altresì, che “successivamente alla
data di approvazione della su citata determinazione n. 12135 del 17.11.2010 si sono rese
vacanti ulteriori n. 2 posizioni dirigenziali”- ha disposto l’ulteriore scorrimento della graduatoria sino al settimo idoneo (senza considerare il vincitore), così attribuendo l’incarico di
dirigente amministrativo contabile anche ai dott.ri Manuela Atzeni e Giambattista Marotto.
Essendo in possesso di tutti i requisiti richiesti per proporre domanda di mobilità, il
dott. Mario Bandel ha proposto il ricorso in esame, deducendo due distinte censure, aventi
-in sintesi- il seguente contenuto:
- ai sensi dell’art. 30, comma 2 bis, del d. l.gs. 30 marzo 2001, n. 165, il Comune -prima
di procedere allo scorrimento della graduatoria- avrebbe dovuto avviare la procedura di
mobilità;
- ai sensi degli artt. 91 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e della deliberazione della Giunta
comunale di Cagliari 20 dicembre 2001, n. 939, di tenore sostanzialmente identico, lo
scorrimento della graduatoria è legittimamente attivabile solo per coprire posti resisi
disponibili successivamente all’indizione del concorso cui si riferisce la graduatoria interes-
FORO
AMMINISTRATIVO
TAR - 12/2013 -
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179
sata, mentre nel caso di specie alla data di indizione del concorso sarebbero già risultati
vacanti n. 11 posti dirigenziali, dei quali n. 4 relativi alle funzioni di dirigente amministrativo
contabile.
Nelle more del giudizio il Comune di Cagliari ha adottato l’ulteriore determinazione 24
ottobre 2011, n. 10636, con cui ha nominato anche l’ottavo idoneo della graduatoria in
questione, cioè la dott.ssa Teresa Carboni.
Con ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 23 dicembre 2011, il ricorrente ha
quindi esteso l’impugnazione anche a quest’ultima determinazione, denunciando i medesimi
vizi già dedotti col ricorso introduttivo del giudizio.
Si sono costituiti in giudizio sia l’amministrazione intimata, che i controinteressati
Francesca Brundu, Alessandra Serenella Piras, Manuela Atzeni e Gianbattista Marotto, che,
con separate memorie, si sono opposti all’accoglimento del ricorso, eccependone in via
preliminare l’inammissibilità per difetto di giurisdizione del T.A.R. e per carenza di interesse
del ricorrente, in quanto privo dei requisiti per partecipare ad un’eventuale procedura di
mobilità.
Alla pubblica udienza del 27 marzo 2013, la causa, su richiesta delle parti, è stata posta
in decisione.
Con sentenza non definitiva 27 marzo 2013, n. 330, questa Sezione ha affermato la
propria giurisdizione sulla controversia, ritenuto irrilevante (perché riferibile solo al primo
motivo di ricorso) l’eccezione di difetto di interesse del ricorrente, respinto il primo motivo
di ricorso e disposto incombenti istruttori necessari ai fini della decisione della seconda
censura. In particolare è stato disposto, a cura del Comune di Cagliari, il deposito di copia
della “pianta organica del ruolo dirigenziale vigente alla data di indizione del concorso a cui
si riferisce la graduatoria utilizzata con i provvedimenti impugnati, in cui siano specificati i
posti relativi a ciascun profilo professionale”, nonché di un “prospetto da cui risulti, per il
profilo di dirigente amministrativo contabile, quanti posti erano coperti da personale assunto
a tempo indeterminato alla data di indizione del medesimo concorso”.
Con nota 17 maggio 2013 dell’Avvocatura comunale sono stati depositati in giudizio gli
atti richiesti con la sopra descritta sentenza non definitiva.
Con ulteriori memorie difensive ciascuna delle parti ha ulteriormente argomentato le
proprie tesi.
Alla pubblica udienza del 13 novembre 2013 la causa è stata trattenuta a decisione.
DIRITTO — Si osserva, in primo luogo che l’eccezione di difetto di interesse ribadita
dalla difesa comunale anche nelle memorie da ultimo depositate -sul presupposto che alla
data di indizione del concorso (5 ottobre 2009) il dott. Bandel sarebbe stato privo dei
requisiti per accedere ad una eventuale procedura di mobilità- è stata già ritenuta irrilevante
con la sentenza non definitiva di questa Sezione n. 330/2013, con cui si è ritenuto di
prescindere dalle “eccezioni di rito prospettate dalle controparti” in quanto “ove accolte,
pregiudicherebbero unicamente l’esame del primo motivo di gravame, il quale, però,
essendo da respingere, può essere affrontato nel merito”.
Ciò posto resta da decidere la seconda censura dedotta dal ricorrente, secondo cui n. 4
dei n. 7 posti di dirigente amministrativo contabile coperti mediante scorrimento della
graduatoria concorsuale sarebbero stati già vacanti prima dell’indizione del concorso, per
cui, almeno per questa parte, la procedura di scorrimento si porrebbe in contrasto con gli
artt. 91, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000 e con la deliberazione della Giunta comunale di
Cagliari n. 939/2001, che ciò consentirebbero solo per la copertura dei posti resisi vacanti
dopo l’indizione del concorso.
Osserva il Collegio che dagli atti versati in giudizio a seguito dell’istruttoria processuale
emerge quanto segue:
- alla data di indizione del concorso (5 ottobre 2009) risultavano coperti nel profilo di
dirigente amministrativo contabile a tempo determinato n. 11 posti (cfr. il doc. 1 prodotto dal
Comune in data 17 maggio 2013, denominato nella nota di accompagnamento “prospetto
relativo ai posti coperti come Dirigente amministrativo contabile”);
- l’organico comunale per questo profilo professionale era di n. 15 posti in tutto (cfr. il
prospetto di “individuazione dei profili professionali” prodotto dal Comune quale doc. 2).
Tale documentazione, pertanto, conferma e avvalora l’esattezza della tesi sostenuta dal
ricorrente.
Sul punto sia la difesa del Comune che quella dei controinteressati eccepiscono che
dopo l’indizione del concorso si sono resi disponibili ulteriori n. 7 posti di dirigente, a causa
di altrettanti collocamenti a riposo e che tali sopravvenienze comunque giustificherebbero la
decisione di far scorrere la graduatoria.
La difesa della controinteressata dott. Brundu eccepisce, inoltre, che la pianta organica
del Comune è stata in seguito modificata, riducendo da n. 15 a n. 13 i posti di dirigente
amministrativo contabile.
Secondo la difesa del Comune si dovrebbe tenere conto -nel novero dei posti già coperti
alla data di indizione del concorso- anche dei tre posti all’epoca occupati da dirigenti di
ragioneria, in quanto tale figura dirigenziale è stata poi “accorpata” a quella di dirigente
amministrativo contabile.
Il Collegio non condivide tali eccezioni e reputa fondato il secondo motivo di ricorso.
Giova ricordare che, ai sensi dell’art. 91, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, “Per gli enti
locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di
pubblicazione per l’eventuale copertura dei posti che si venissero a rendere successivamente
vacanti e disponibili, fatta eccezione per i posti istituiti o trasformati successivamente
all’indizione del concorso medesimo”.
È pacifico in causa, a seguito della documentazione acquista a seguito di istruttoria, che
prima dell’indizione del concorso fossero già disponibili in pianta organica n. 4 posti di
dirigente amministrativo contabile e ciò comporta l’illegittimità della procedura di scorrimento per violazione della norma dianzi richiamata, quanto meno in relazione ai n. 4 posti
già vacanti alla data di indizione del concorso.
Né assume rilievo il fatto che dopo l’indizione dello stesso si fossero liberati ulteriori
posti di dirigente amministrativo contabile, in quanto:
- non è oggettivamente possibile distinguere, ai fini dello scorrimento della graduatoria,
tra l’una e l’altra tipologia di posti;
- soprattutto, la ratio dell’art. 91, comma 4, è quella di evitare che l’amministrazione
indica concorsi per un numero di posti inferiore alle proprie reali necessità, in tal modo
disincentivando la partecipazione al concorso, per poi successivamente ampliare i posti
messi a concorso mediante scorrimento della graduatoria;
- questo rischio non è scongiurato neppure laddove, dopo l’indizione del concorso, si
rendano vacanti posti ulteriori, essendo quel rischio direttamente correlato all’esistenza o
meno di posti vacanti al momento della pubblicazione del bando, giacché è proprio
sull’organico a quell’epoca vigente che il legislatore impone all’amministrazione di predeterminare il numero dei posti da mettere a concorso.
Ugualmente irrilevanti sono le circostanze del successivo accorpamento di alcune figure
dirigenziali e della successiva riduzione dei posti di dirigente amministrativo contabile
previsti in pianta organica, posto che l’art. 91, comma 4, vieta di tenere conto -ai fini dello
scorrimento della graduatoria- anche dei “posti trasformati” dopo l’indizione del concorso,
il che è proprio quanto accaduto in tali ipotesi.
Pertanto il ricorso ed i motivi aggiunti sono fondati e ciò implica l’annullamento degli
atti impugnati limitatamente alla parte in cui hanno previsto lo scorrimento della graduatoria a favore degli ultimi quattro dei sette candidati risultati idonei alla procedura concorsuale (dott.ssa Claudia Madeddu, dott.ssa Manuela Atzeni, dott. Giambattista Marotto e
dott.ssa Teresa Carboni).
Sussistono comunque giusti motivi per un’integrale compensazione delle spese di
giudizio.
P.Q.M. — Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe proposto nei termini
descritti in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
FORO
AMMINISTRATIVO
TAR - 12/2013 -
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Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Francesco Scano, Presidente
Alessandro Maggio, Consigliere
Antonio Plaisant, Consigliere, Estensore