CORTE DEI CONTI SEZIONI RIUNITE IN SEDE DI CONTROLLO “Attuazione e prospettive del federalismo fiscale” AUDIZIONE PRESSO LA COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L’ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE 6 marzo 2014 Indice La riforma e gli enti territoriali negli anni della crisi pag. 6 “ 10 I fabbisogni e i costi standard Federalismo fiscale e assetto del prelievo: le incertezze della delega, i vincoli sopravvenuti, i nodi da sciogliere Federalismo e pressione fiscale “ 10 “ 13 “ 16 Federalismo e autonomia impositiva degli Enti locali “ 17 Federalismo, redistribuzione e distorsioni del prelievo “ 19 Il federalismo demaniale “ 26 Gli interventi per la rimozione degli squilibri economici e sociali L’armonizzazione dei sistemi contabili: l’attuazione del decreto legislativo 118/2011 Premi e sanzioni “ 29 “ 33 Il processo di attuazione del federalismo 37 Il processo di attuazione del federalismo e la funzione di controllo “ 42 Riquadri “ 45 Problematiche concernenti la riscossione nei Comuni “ 47 Società e organismi partecipati dalle amministrazioni locali “ 52 Il Patto di stabilità interno ed i principi del federalismo “ 54 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 3 “Attuazione e prospettive del federalismo fiscale” Audizione presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale Il lavoro svolto, fin dalla sua istituzione, dalla Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale è stato particolarmente prezioso. Nella scorsa legislatura la Corte ha avuto modo di rapportarsi con la Commissione in occasione della presentazione degli schemi dei decreti legislativi di attuazione della legge 42/2009. E’ stato possibile apprezzare direttamente, quindi, come l’esame svolto nel suo ambito sia stato sempre caratterizzato da un confronto aperto e costruttivo tra le forze politiche. La ripresa del lavoro della Commissione rappresenta, anche per questo aspetto, un segnale importante a favore del compimento del disegno di riforma delle autonomie territoriali. Il completamento del percorso avviato nella scorsa legislatura è oggi particolarmente urgente. Il consolidamento dei risultati ottenuti nella responsabilizzazione delle gestioni decentrate, infatti, rappresenta, ad avviso della Corte, una condizione indispensabile per il risanamento finanziario. 1. Le valutazioni espresse nel presente documento muovono da un rapido sguardo sulle attuali condizioni e sulle prospettive della finanza locale per valutare, da un lato, quanto il processo avviato abbia inciso sugli obiettivi che avevano mosso la riforma e quanto, dall’altro, le mutate condizioni economiche, rispetto al 2009, siano alla base delle difficoltà incontrate nell’attuazione. Ci si sofferma, poi, su alcune considerazioni che la Corte avanza sui principali passi finora scanditi dal susseguirsi dei decreti legislativi. Infine, si fa un breve riferimento al ruolo finora svolto dalla Corte nell’accompagnare il processo di attuazione del federalismo fiscale e a quelle che possono essere le potenzialità del controllo anche in direzione di una effettiva accountability della gestione degli enti territoriali. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 5 La riforma e gli enti territoriali negli anni della crisi 2. Il percorso prefigurato dalla legge 42/2009 accusa ritardi importanti, che riguardano quasi tutti i punti cardine del disegno normativo. Il sistema perequativo dei Comuni basato su fabbisogni e capacità fiscale standard è ancora in avvio. Il sistema di finanziamento di Enti locali e Regioni (inciso dall’emergenza finanziaria) non ha assunto un assetto stabile e la trasformazione in entrate proprie dei trasferimenti da Stato a Regioni, e di quelli regionali verso Province e Comuni, non è stata completata. Anche una buona parte delle misure volte a rafforzare l'autonomia tributaria delle Regioni è restata soltanto sulla carta. Le leggi di stabilità per il 2013 e il 2014 hanno rimandato l'attivazione di spazi di manovra sull'addizionale regionale Irpef. Il sistema di premi e sanzioni non si è tradotto ancora in procedure e atti concreti e i meccanismi posti a garanzia di un effettivo coordinamento tra livelli di governo non hanno finora funzionato. Sul processo di attuazione ha, inevitabilmente, inciso l’insorgere della crisi e il sovrapporsi di nuovi meccanismi di funzionamento delle misure assunte per garantire il contributo delle amministrazioni decentrate agli obiettivi di finanza pubblica, passati attraverso forti riduzioni di risorse. 3. Bastano pochi dati per rappresentare nella sua dimensione effettiva (in attesa al momento dell’avvio del processo di riforma) l’impatto che la crisi ha avuto sul mondo delle autonomie. Esse sono state chiamate a contribuire agli obiettivi di finanza pubblica per importi molto rilevanti: la dimensione complessiva delle misure di riduzione di spesa assunte a partire dal 2009 ha raggiunto nel 2012 i 31 miliardi, di cui 16 miliardi quale effetto di misure di inasprimento del Patto di stabilità interno e di oltre 15 miliardi di tagli nei trasferimenti. Il confronto tra quelle che erano le previsioni tendenziali all’avvio della crisi (DPEF 2009-2013) e i risultati a consuntivo dell’ultimo biennio dà una rappresentazione del rilievo delle modifiche che la crisi ha prodotto sul mondo delle autonomie locali e la pressione a cui sono stati sottoposti. A fronte di una flessione del prodotto di circa il 13 per cento in termini nominali e interventi di contenimento della spesa per 31 miliardi, nel 2012 la spesa complessiva delle amministrazioni locali è stata inferiore a quanto allora previsto negli andamenti tendenziali per oltre 35 miliardi: una riduzione sia in termini di spesa corrente, inferiore di 18,2 miliardi (ma pesa il 12,9 per cento 6 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo in termini di prodotto contro il 12,3 previsto a legislazione vigente nel giugno del 2008), sia, e soprattutto, in termini di spesa in conto capitale, in calo di poco meno di 17 miliardi (di cui 11,8 di minori investimenti fissi). Tali andamenti hanno consentito di mantenere la spesa primaria sostanzialmente in linea con il livello tendenziale pre-crisi in termini di prodotto. Di particolare rilievo in questo quadro è l’andamento della spesa sanitaria: la correzione del profilo tendenziale pre-crisi è stata di oltre 15 miliardi, riassorbendo di fatto nell’ultimo biennio la crescita di oltre 4 decimi di punto in rapporto al prodotto evidenziata nel 2010. 4. La spesa complessiva al netto degli interessi, nel biennio 2011-2012, si è ridotta del 4,6 per cento in termini nominali. Minore, ancorché significativa, è stata la flessione della spesa corrente primaria (circa il 4 per cento). Un risultato dovuto, soprattutto, alla riduzione della spesa per redditi da lavoro, a cui si accompagna nel 2012 anche una flessione di poco inferiore al punto percentuale della spesa per consumi intermedi. Una diminuzione della spesa in termini nominali che non ha precedenti negli ultimi sessant’anni. Tra il 2002 e il 2009, quando vi era comunque già una forte consapevolezza della necessità di contenere la spesa, questa è cresciuta a un ritmo del 4,4 per cento l’anno; nel periodo precedente la crescita era stata ben superiore. Nonostante la flessione del Pil, la spesa, al netto degli interessi delle amministrazioni locali in termini di prodotto, si è ridotta dal 16,1 al 14,7 per cento tra il 2009 e il 2012. Ciò è avvenuto, tuttavia, a prezzo di una forte riduzione della spesa di investimento, scesa all’1,8 per cento del prodotto a fronte di un quadro tendenziale pre-crisi che ne manteneva il livello al 2,5 per cento (tavola 1). Ma l’aggiustamento previsto nei Documenti programmatici non è finito. Dopo la manovra disposta con la legge di stabilità per il 2014, il quadro tendenziale prefigura nel prossimo triennio una riduzione della spesa primaria complessiva degli enti territoriali di oltre 2 miliardi, con l’incidenza in termini di prodotto che passa dal 14,8 per cento del 2013 al 13,3 del 2016. Un dato che va letto con attenzione: al netto della spesa per il settore sanitario (in aumento di 5,5 miliardi tra il 2013 e il 2016, anche se pressoché invariata in quota di prodotto), quella per le amministrazioni territoriali si ridurrebbe di oltre 7 miliardi, di cui 3 di parte corrente, attestandosi al 6,6 per cento del prodotto (il 7,8 nel 2013). CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 7 LA SPESA DELLE AMMINIST RAZIONI LOCALI (2009 - 2016) valori assoluti in miliardi 2011 2012 2013 2014 206,1 202,6 198,3 198,9 70,9 69,2 68,8 68,2 108,1 107,3 105,4 106,6 30,5 28,0 32,1 27,3 22,5 21,1 19,0 20,3 236,6 230,6 230,5 226,2 2009 206,1 71,8 105,2 38,1 28,1 244,2 2010 210,0 72,6 107,9 31,7 24,0 241,7 97,7 99,2 96,3 93,7 90,1 135,8 130,9 126,8 121,7 122,2 2009 13,6 4,7 6,9 2,5 1,8 16,1 2010 13,5 4,7 7,0 2,0 1,5 15,6 2011 13,1 4,5 6,8 1,9 1,4 15,0 2015 199,3 67,7 107,4 25,9 19,3 225,2 2016 201,3 67,7 109,3 26,7 19,7 228,0 88,8 87,4 87,3 116,1 113,3 114,0 2014 2015 Spe sa corre nte primaria * 12,4 12,0 Redditi da lavoro dipendente 4,3 4,1 Consumi intermedi 6,6 6,5 Spe sa in C/capitale 1,7 1,6 Investimenti fissi 1,3 1,2 Spe se primarie comple ssive * 14,1 13,6 di cui Spesa primaria corrente al netto sanità ** 6,4 6,4 6,1 6,0 5,8 5,5 5,3 Spesa primaria com plessiva al netto sanità ** 8,9 8,4 8,0 7,8 7,8 7,2 6,8 * la spesa è al netto dei trasferimenti a amministrazioni pubbliche ** spesa al netto di quella degli enti sanitari regionali (per gli anni 2013-2016 la spesa è stimata ipotizzando l'invarianza in quota della spesa sanitaria complessiva) Fonte: elaborazione su dati MEF e Istat 2016 11,7 3,9 6,4 1,6 1,1 13,3 Spe sa corre nte primaria * Redditi da lavoro dipendente Consumi intermedi Spe sa in C/capitale Investimenti fissi Spe se primarie comple ssive * di cui Spesa primaria corrente al netto sanità ** Spesa primaria com plessiva al netto sanità ** in % del Pil 2012 2013 12,9 12,7 4,4 4,4 6,8 6,8 1,8 2,1 1,3 1,2 14,7 14,8 5,1 6,6 5. La positiva risposta che le amministrazioni territoriali hanno offerto agli obiettivi di finanza pubblica si accompagna, tuttavia, all’acutizzarsi di alcune distorsioni, che erano alla base del progetto di riforma e che avevano portato l’allora Ministro dell’economia ad auspicare un percorso per “raddrizzare l’albero storto della finanza pubblica”. Tutti fenomeni che hanno comportato difficoltà nel compimento delle riforme avviate e, ad un tempo, ne sottolineano l’urgenza. Non può essere ignorato, innanzitutto, che si è venuto aggravando il fenomeno negativo di amministrazioni pubbliche che, impegnate ad esporre bilanci formalmente in ordine, hanno consentito una lievitazione anomala di debiti occulti e ritardi crescenti nella regolazione delle transazioni con le imprese fornitrici di beni e servizi. E’ il tema dei ritardi dei pagamenti affrontato con i decreti-legge 35 e 102 del 2013. 8 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo La questione dei debiti delle amministrazioni pubbliche sembra oggi avviata a una soluzione. Tuttavia, se è vero che i limiti alle erogazioni di cassa hanno costretto enti che pure disporrebbero di liquidità a rinviare i pagamenti, in molti casi, invece, siamo di fronte a somme impegnate creando spazi fittizi di competenza grazie alla sopravvalutazione delle previsioni di entrata e della abnorme dilatazione della massa dei residui attivi (si veda al riguardo il Riquadro “Problematiche concernenti la riscossione nei Comuni”). Ne sono esempi diffusi le somme relative a introiti per multe nei Comuni, o i finanziamenti che si prevede di ricevere dallo Stato o dai fondi europei nel caso delle Regioni. Il processo di armonizzazione dei bilanci e di adeguamento delle regole contabili previsto dal d.lgs. 118 è anche sotto questo profilo quanto mai urgente. I tagli alla spesa non sono stati indolori dal punto di vista della tenuta e della qualità dei servizi resi alla collettività. E’ percepito, ormai diffusamente, l’offuscamento progressivo delle caratteristiche dei servizi che il cittadino può e deve aspettarsi dall’intervento cui è chiamato a contribuire. Nella sanità, ciò ha significato, in molte Regioni, servizi di assistenza agli anziani o disabili inadeguati agli standard; qualità della offerta ospedaliera insufficiente e alla base di un incremento della mobilità sanitaria. A ciò si aggiunga (sempre per rimanere nell’ambito dei servizi essenziali) una crescente difficoltà di mantenimento dei servizi di trasporto pubblico locale. Una condizione che ha pesato sulla possibilità di pervenire alla individuazione di livelli essenziali nei settori in cui è mancata finora una definizione, indispensabile per il prosieguo del processo di attuazione. Il rilievo delle misure di controllo della spesa ha visto crescere il ricorso a forme societarie degli Enti locali quale strumento di flessibilizzazione della gestione. Si tratta di soggetti, per la maggior parte, non considerati tra le amministrazioni pubbliche e, quindi, non inclusi nel conto delle amministrazioni locali. Come è emerso dall’attività di controllo delle Sezioni regionali, di frequente il ricorso a tali soggetti ha consentito la messa in atto di forme di elusione del Patto di stabilità, l’aggiramento di vincoli all’indebitamento, comportando situazioni che pongono a rischio l’equilibrio finanziario dell’ente fino a poterne provocare il dissesto (si veda al riguardo il Riquadro “Società e organismi partecipati dalle amministrazioni locali”). CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 9 Il processo di attuazione del federalismo I fabbisogni e i costi standard 6. Uno dei temi centrali nel ridisegno del sistema di finanziamento di Regioni e Enti locali era il passaggio ai fabbisogni standard. Alla definizione dei fabbisogni standard, forse più ancora che a quella dei tributi regionali e locali, era attribuita la possibilità di riassorbimento degli squilibri e delle inefficienze alla base di un federalismo/decentramento con limitate responsabilità di entrata. I due decreti legislativi approvati sugli standard di Comuni e Province e sugli standard sanitari per le Regioni, sembravano dover seguire due impostazioni diverse. Quello degli Enti locali, una impostazione bottom-up: individuato a livello nazionale un pacchetto di prestazioni minime da garantire, sulla base del finanziamento statale, in tutto il territorio nazionale (i livelli essenziali delle prestazioni), si trattava di valorizzare tali prestazioni secondo un costo unitario efficiente (o medio) stimato mediante tecniche statistico-econometriche. Un approccio che richiedeva l’acquisizione di elementi informativi particolarmente complessi, che consentissero la determinazione endogena dell’ammontare complessivo di risorse finanziarie necessarie a garantire i livelli di assistenza. L’invarianza dell’impatto sul bilancio pubblico era garantita dal recupero di efficienza. Completamente diverso il caso dei costi standard in sanità. In questo caso l’impostazione seguita era di tipo top-down: il fabbisogno sanitario nazionale standard era definito come quello che consente di garantire l’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni in condizioni di efficienza. Esso era determinato in coerenza con gli obiettivi complessivi di finanza pubblica, venendo di fatto a corrispondere con quello che finora era stato il livello del finanziamento cui contribuisce lo Stato. Per ottenere il finanziamento della singola regione, si prevede di applicare all’ammontare di finanziamento nazionale così predeterminato il rapporto tra il fabbisogno sanitario standard della regione e la somma dei fabbisogni regionali standard risultanti dall’applicazione a tutte le Regioni dei valori di costo rilevati nelle Regioni benchmark. Per ognuno dei tre macrolivelli – assistenza collettiva in ambiente di vita e di lavoro, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera – si calcola un costo standard aggregato come media procapite pesata del costo registrato dalle Regioni benchmark (inteso come spesa sostenuta per macro livello rapportata alla popolazione pesata in funzione della struttura per età). Questo costo standard 10 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo viene poi applicato alla popolazione pesata di ognuna delle Regioni, ottenendo così il suo fabbisogno standard regionale. Il calcolo della spesa pro capite in base alla popolazione pesata (se viene utilizzata quella adottata per lo stesso anno) finisce per portare a individuare un costo standard sostanzialmente coincidente con l’importo pro capite utilizzato per la ripartizione del finanziamento sanitario. La sua applicazione alla popolazione pesata delle altre Regioni e il relativo ricalcolo della distribuzione degli importi tra Regioni, non può che riprodurre la distribuzione della popolazione pesata originariamente impiegata. Come è stato già osservato, il metodo individuato per il calcolo dei costi standard in sé, quindi, non ha effetto sul riparto. Il calcolo dei costi standard in sanità non incideva, quindi, sulla definizione del livello del finanziamento ma solo sul criterio di riparto. Nella attuazione tali differenze si sono, di fatto, annullate. Anche per i fabbisogni dei Comuni si è seguito, sulla spinta dell’emergenza finanziaria, un approccio top-down, che consente di garantire “l'invarianza dei saldi di finanza pubblica”. Come richiesto anche da questa Commissione bicamerale, l’elaborazione di indicatori dei livelli quantitativi standard dei servizi dovrebbe consentire di raffrontare per ogni ente non solo il fabbisogno standard (in termini monetari) con la spesa storica, ma anche l'output standard rispetto al livello del servizio effettivamente offerto. Ciò, consentirebbe di valutare e premiare l'efficienza nella produzione e nella fornitura dei servizi. Per alcune funzioni, poi, il riferimento a stime di costo dovrebbe consentire una misura in relazione diretta all'output fornito, offrendo uno strumento di valutazione e di decisione più incisivo rispetto alla stima di una funzione di spesa. 7. Per la sanità se, da un lato, la scelta operata sembra ridurre l’impatto del riferimento ai costi standard nel nuovo meccanismo di definizione del finanziamento del settore, dall’altro, essa ha il pregio di semplificare la gestione del sistema, garantendo il collegamento tra la programmazione di bilancio, le compatibilità di finanza pubblica e l’analisi comparativa di quantità e qualità dei servizi erogati. Anche in questo caso, pur non essendo immediatamente rilevante ai fini della determinazione del finanziamento da riconoscere alle diverse realtà territoriali, il riferimento ai costi standard può rilevare ai fini degli indicatori di efficienza e appropriatezza ed incidere positivamente sul sistema di autovalutazione delle Regioni e sulla conseguente adozione delle best practices. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 11 L’allocazione delle risorse è destinata a mutare solo se verrà assunto un diverso metodo di ponderazione rispetto a quello utilizzato nell’anno preso a riferimento. Infatti, eventuali conseguenze redistributive dipenderanno dalla estensione dei pesi per classi di età alle varie categorie di assistenza sanitaria (oggi solo un terzo del finanziamento è ripartito sulla base della popolazione pesata, la parte restante sulla base della popolazione assoluta). Le conseguenze nella disponibilità di risorse delle singole Regioni (fermo restando l’ammontare complessivo, determinato ex ante), rispetto alla situazione attuale, potrebbero essere in questo caso anche rilevanti. Fondamentale nella gestione del sistema sono, quindi, i risultati ottenuti nell’attività di analisi dei nuovi pesi da utilizzare per il riparto tra le Regioni delle risorse finanziarie dal SSN, l’individuazione di criteri di pesatura della popolazione residente strutturati anche sull’indice di prevalenza delle malattie e su indicatori di outcome (ad esempio esiti di cura delle malattie, al fine di effettuare confronti tra le diverse Regioni ed all’interno di una stessa Regione), nonché la misurazione dei consumi sanitari da parte dei cittadini avendo, quale normativa di riferimento, sempre il decreto legislativo 68/2011. 8. Anche per gli Enti locali ciò che fa della definizione dei fabbisogni standard un processo di particolare rilievo e urgenza è la possibilità di evidenziare le differenze di spesa non giustificate dalle caratteristiche del servizi. La delicatezza e la difficoltà del lavoro sviluppato da SOSE in questi anni consigliano, tuttavia, particolare prudenza nell’utilizzo: si tratta di evitare di assumere le indicazioni che provengono dagli studi relativi alle singole funzioni per misure di taglio della spesa, o utilizzare i risultati parziali per attivare meccanismi premiali riferendoli, non al totale delle funzioni, ma solo a un sottoinsieme e senza tener conto delle capacità fiscali. La fissazione dei livelli di servizio da garantire sul territorio ai cittadini diventa decisiva non solo per la tenuta finanziaria del sistema dei fabbisogni standard, ma anche per gli effetti redistributivi tra enti, date le situazioni storiche di partenza assai differenziate nei livelli di fornitura di molti servizi comunali. Va, poi, posta particolare attenzione alle modifiche che stanno intervenendo nelle strutture di gestione dei servizi, con accorpamenti, fusioni, unioni o gestioni associate. La disponibilità dei dati relativi alle funzioni fondamentali potrà, inoltre, agevolare il completamento della normativa e la individuazione dei contenuti “sostenibili” dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep). 12 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Solo una volta che sarà possibile conoscere tale dato, oltre che la determinazione delle capacità fiscali standard, sarà infatti possibile disegnare il sistema perequativo comunale a regime che, secondo la legge delega sul federalismo fiscale, dovrebbe garantire a ciascun ente il finanziamento integrale dei fabbisogni standard delle funzioni fondamentali a partire dalle rispettive capacità fiscali standardizzate. Ad un tempo, è indispensabile che si proceda al più presto alla costruzione delle varie componenti del sistema perequativo regionale. Manca la ricognizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) che le Regioni oggi effettivamente garantiscono e dei relativi costi nei settori di intervento pubblico diversi dalla sanità. Manca una valutazione della capacità fiscale standard delle Regioni su Irap e addizionale Irpef. Manca il disegno del fondo perequativo regionale nelle sue due componenti, quella per le funzioni essenziali (basata sui fabbisogni standard) e quella per le restanti funzioni (basata invece sulle capacità fiscali). Infine, è ancora da chiarire la connessione dell’attuazione del federalismo con il processo di coordinamento dinamico della finanza pubblica previsto dalla legge di riforma della contabilità (legge 196/2009) (si veda al riguardo il Riquadro “Il Patto di stabilità interno ed i principi del federalismo”). E’, infatti, nel Patto di convergenza, nel Documento di economia e finanza, nella Legge di stabilità, nei disegni di legge collegati, che devono essere previsti la dimensione del finanziamento complessivo delle diverse funzioni decentrate e, quindi, i margini disponibili per le autonomie locali. Un approccio, al contempo, finanziariamente sostenibile e in linea con i richiami alla tutela delle prestazioni. Federalismo fiscale e assetto del prelievo: le incertezze della delega, i vincoli sopravvenuti, i nodi da sciogliere 9. Nel ridisegno dei rapporti tra Stato e autonomie territoriali, al nuovo modello di prelievo delineato dalla legge delega era riconosciuto un ruolo decisivo ai fini del superamento del sistema di finanza derivata, dell’attribuzione di una maggiore autonomia agli enti decentrati e del coordinamento della finanza pubblica. Ne erano espressione, da un lato, l’obiettivo di un aumento dell’efficienza, rendendo gli amministratori locali responsabili di fronte ai cittadini, posti nella condizione di valutare la corrispondenza fra quantità e qualità dei servizi ricevuti e imposte pagate; dall’altro, CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 13 gli strumenti su cui tale modello poggiava, incentrati sullo scambio fra taglio dei trasferimenti statali e riconoscimento agli enti decentrati di un’articolata autonomia impositiva; da un altro lato ancora, un equilibrato processo di transizione al federalismo, in un contesto garantito da un vincolo di invarianza della pressione fiscale complessiva. Si trattava – e si tratta ancora – di un processo di riforma suscettibile di ricadute positive sull’assetto economico e sociale del paese, oltreché sull’equilibrio dei conti pubblici. E su tale prospettiva concordava – e concorda ancora – anche la Corte dei conti. In occasione di precedenti audizioni sul federalismo, ha avuto fra l’altro modo di sottolineare: “i profili di positività del disegno proposto dallo schema di decreto delegato sul federalismo municipale , in particolare per quanto riguarda lo sforzo di riordino e di finalizzazione della fiscalità immobiliare …..e per il pieno coinvolgimento dei Comuni nella lotta all’evasione”. “l’ampliata strumentazione e l’arricchito quadro delle leve a disposizione delle Regioni per una effettiva gestione della politica tributaria”, nonché “l’effetto positivo sulla dinamica della spesa” sotteso al superamento della finanza derivata e la piena responsabilizzazione delle amministrazioni territoriali sul fronte delle entrate”. 10. Certo, già allora, non venivano sottovalutati i rischi e le incertezze suscettibili di condizionare il percorso verso l’attuazione del disegno riformatore. E la stessa Corte dei conti, mentre esprimeva una non rituale apertura di credito sulle linee generali del progetto, non si esimeva dal porre interrogativi e dal sottolineare talune criticità. In particolare, per quanto riguarda il versante impositivo, si evidenziava: l’incoerenza fra la scelta di puntare sulla fiscalità immobiliare come principale fonte di finanziamento del federalismo municipale e il vincolo di esentare da ogni forma di prelievo (patrimoniale e reddituale) la “prima casa”, con il duplice risultato di far venire meno la corrispondenza tra soggetti beneficiari dei servizi e contribuenti (all’insegna del “vedo, voto, pago”) e di riversare il finanziamento dei servizi comunali soprattutto sui possessori di immobili non adibiti a residenza principale e su quelli adibiti all’esercizio d’impresa; il venir meno, in sede di attuazione del decreto attuativo del federalismo regionale, del vincolo dell’invarianza della pressione fiscale complessiva, fissato dalla delega (“salvaguardare l’obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria”), e il conseguente rischio che ciò possa preludere a un’incondizionata lievitazione del prelievo locale senza alcuna forma di compensazione sul versante erariale; l’eccesso di responsabilità gravante sull’Irpef, il cui ruolo diventava rilevante a tutti i livelli di governo, in relazione all’esigenza di coordinare l’assetto dell’imposta erariale con quello delle addizionali locali e alle distorsioni distributive generabili da un tasso di compliance differenziato per tipologie reddituali. 11. Peraltro, agli originari limiti della legge delega e alle criticità affioranti nel corso dell’incerto e lento processo di attuazione se ne sono aggiunti altri, di pari passo con il 14 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo peggioramento del quadro economico e dei più stringenti vincoli di finanza pubblica. In sostanza, è avvenuto quello che nella primavera del 2009, all’atto del varo della legge delega, non era prevedibile: interventi che avrebbero dovuto scandire la transizione al federalismo sono stati adottati “fuori delega” per essere in larga parte finalizzati all’equilibrio dei conti pubblici. Così, per quanto concerne il federalismo regionale, va ricordato che: non è stato rideterminata (dal 2013, come previsto) l'aliquota base dell'addizionale regionale all'Irpef - con speculare arretramento delle aliquote statali - che avrebbe dovuto realizzare la «fiscalizzazione» dei trasferimenti statali a favore delle Regioni (ovvero la cancellazione della «finanza derivata»), garantendo un gettito equivalente ai trasferimenti cancellati. E questo perché il decreto che avrebbe dovuto individuare i trasferimenti statali da sopprimere non è stato adottato (anche a causa dei tagli apportati ai medesimi trasferimenti dal DL n. 78/2010 in poi); una buona parte delle misure volte a rafforzare l' autonomia tributaria delle Regioni è rimasta sulla carta. Prima la legge di stabilità per il 2013 e poi quella per il 2014, hanno differito al 2015 l'attivazione di alcuni spazi di manovra sull' addizionale regionale Irpef, in particolare quelli in tema di possibilità di differenziazione delle aliquote, di introduzione di detrazioni per carichi di famiglia e ad incentivo di forma di sussidiarietà orizzontale. Sul versante del federalismo comunale, è invece sufficiente ripercorrere le vicende che si sono succedute in materia di tassazione degli immobili : prima, l’anticipazione «in via sperimentale» al 2012, da parte del decreto Salva-Italia, della nuova disciplina dell'imposta municipale propria (IMU); poi, l’acceso confronto determinatosi in ordine ad alcuni caratteri distintivi dell’imposta (la reintroduzione dell'abitazione principale nell'imposizione; il forte incremento del prelievo sui patrimoni immobiliari; lo sblocco dell' autonomia tributaria con il riconoscimento di ampi margini di manovra sulle aliquote; l’attribuzione allo Stato di una quota rilevante del gettito raccolto dai Comuni, con conseguente scarsa trasparenza circa il carattere locale/centrale del tributo; la penalizzazione degli immobili residenziali locati e di quelli commerciali detenuti da imprese); infine, l’intervenuta abolizione del prelievo sulla prima casa e la proposizione, con la legge di stabilità 2014, di una riforma strutturale e complessiva di tutta l’imposizione patrimoniale sugli immobili. 12. Il quadro che si delinea a distanza di cinque anni dal varo della legge 42/2009, testimonia che l’emergenza finanziaria si è riversata soprattutto sul versante impositivo: investendo tributi che nella legge delega avevano un ruolo centrale (l’IMU, pivot della fiscalità municipale); alterando la funzionalità di altri, destinati ad incidere sul mercato del lavoro (è il caso dell’Irap e dell’Irpef con le sue addizionali); mettendo in discussione il ruolo di un intero livello di governo (quello provinciale) e lo stesso perimetro del fisco decentrato. Interrogarsi sulle prospettive del federalismo fiscale significa, dunque, chiedersi se si è in grado di superare le incertezze lasciate in eredità dalla legge delega sul versante delle CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 15 fonti di finanziamento e significa pure misurarsi con la capacità di incidere sulla portata dei vincoli sopravvenuti in ordine al livello e alla distribuzione del prelievo e alle sue ricadute sul coordinamento della politica fiscale fra livelli di governo. Si tratta di snodi che la Corte ha approfondito nell’ultimo Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica e che ora ha l’occasione di ripercorrere soffermandosi su tre tasselli principali: i) il livello della pressione fiscale; ii) i limiti all’ autonomia tributaria degli enti decentrati; iii) la distribuzione del prelievo e le sue ricadute sul coordinamento della politica fiscale. Federalismo e pressione fiscale 13. Nel percorso di attuazione del federalismo, l’esigenza di un coordinamento fra i diversi livelli di governo ha trovato una significativa espressione nel tentativo di conciliare autonomia impositiva degli enti territoriali e pressione fiscale complessiva. In tale direzione erano stati indirizzati i provvedimenti che, a partire dal 2009, hanno regolato la transizione al federalismo: dalla legge delega ai decreti legislativi attuativi del federalismo comunale e di quello regionale e provinciale. Ma i risultati conseguiti sono stati diversi: non solo non si trovano tracce di compensazione fra fisco centrale e fisco locale, ma, anzi, di pari passo con l’attuazione del federalismo fiscale, si è registrata una significativa accelerazione sia delle entrate di competenza degli enti territoriali sia di quelle dell’amministrazione centrale. Le prime, in particolare, nell’arco di un ventennio hanno consolidato una performance (Grafico 1) che si segnala per un balzo di quasi cinque punti in termini reali, con un incremento dell’ordine del 130 per cento. La forza trainante sulla pressione fiscale complessiva, cresciuta dal 38 per cento al 44 per cento, appare imputabile per oltre i 4/5 alla dinamica delle entrate locali. La quota delle entrate locali su quelle dell’intera pubblica amministrazione si è più che triplicata (dal 5,5 per cento del 1990 al 15,9 per cento del 2012). Le evidenze quantitative, insomma, sembrano testimoniare una mancanza di coordinamento fra prelievo centrale e locale, sconfinata nell’aumento della pressione fiscale complessiva a causa di una sorta di “effetto combinato”: lo Stato centrale che 16 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo taglia i trasferimenti ma lascia invariato il prelievo di sua competenza; gli enti territoriali che, per sopperire ai tagli dei trasferimenti, aumentano le aliquote dei propri tributi, a volte anche più dell’occorrente. Grafico 1 - Pressione fiscale per livelli di governo Fonte: Elaborazioni Corte dei conti su dati Istat Federalismo e autonomia impositiva degli Enti locali 14. Alla crescita delle entrate proprie ha corrisposto un ridimensionamento dei trasferimenti statali. Ciò ha comportato una significativa ricomposizione delle fonti di finanziamento degli enti territoriali (grafico 2). Ma tale forte crescita non sembra espressione di un effettivo aumento di autonomia impositiva. In proposito, risulta difficile individuare uno stretto collegamento fra l’autonomia impositiva accordata e quella concretamente esercitata; e, nell’ambito di quest’ultima, fra scelte autonome degli amministratori locali e decisioni condizionate dal legislatore nazionale. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 17 Grafico 2 – Grado di “autonomia tributaria” degli Enti locali Fonte: Elaborazioni Corte dei conti su dati Istat In effetti, le trasformazioni del federalismo non appaiono avere modificato la realtà di un’autonomia impositiva territoriale limitata e condizionata. Nulla è infatti cambiato a seguito dell’ampliamento del sistema delle compartecipazioni (l’Iva) che, risolvendosi nella mera devoluzione di quote del gettito di tributi erariali, non accorda agli enti decentrati margini di manovrabilità e, per contro, aumenta la dipendenza delle entrate locali dagli interventi centrali sui tributi statali compartecipati. E poco è cambiato (se si esclude l’introduzione dell’IMU) anche sul versante dei tributi propri. Per un verso, infatti, l’autonomia impositiva degli enti decentrati continua ad essere sostanzialmente circoscritta alla facoltà di variare, entro intervalli prefissati, le aliquote di alcuni tributi locali. Per altro verso, tale facoltà continua a subire limitazioni, dal lato della manovrabilità delle aliquote, da quello dell’integrità delle basi imponibili e da quello della stessa titolarità del gettito. Si pensi ai reiterati blocchi di aumento delle aliquote sperimentati fra il 2003 e il 2010; al ridimensionamento della base imponibile Irap, generato dai ripetuti interventi di riduzione del cuneo fiscale; alla riduzione della base imponibile delle addizionali Irpef, scaturita dall’introduzione di “regimi sostitutivi” anche dei tributi locali (il regime Iva dei “minimi”, la 18 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo cedolare secca); al “dirottamento” verso le casse erariali di quote di gettito intestate agli enti decentrati (è il caso della quota di IMU sperimentale). Infine, non possono essere ignorati gli effetti – anche essi condizionanti l’autonomia impositiva – prodotti dagli aumenti di aliquote (Irap, addizionale Irpef) posti a carico delle realtà regionali che denunciano squilibri nel settore sanitario, e che si configurano come obblighi piuttosto che come mero esercizio di autonomia impositiva. Federalismo, redistribuzione e distorsioni del prelievo 15. Differenze di pressione fiscale a livello territoriale sono nella logica del federalismo fiscale. E fin dalla predisposizione della legge delega risultava chiaro che con il federalismo si sarebbe contribuito in misura diversa e si sarebbero avuti servizi diversi a seconda della residenza e del luogo di attività dei contribuenti nonché della capacità dei cittadini di scegliere governi locali in grado di evitare sprechi ed inefficienze ed ingiustificati aumenti di prelievo. In tale contesto, le preoccupazioni per eventuali effetti distorsivi riflettevano essenzialmente il rischio che - nell’ambito del sistema di finanziamento degli enti decentrati - la mancanza di coordinamento fra la componente tributaria e quella dei trasferimenti perequativi potesse tradursi in rilevanti effetti redistributivi fra territori e fra tipologie di enti. Minore attenzione, invece, era prestata al medesimo rischio per come era concretamente “avvertito” dagli amministrati: quello di significative differenze territoriali nel prelievo a carico di famiglie e di imprese, pur in presenza di un uguale imponibile e dell’assenza di apprezzabili divari nel livello delle prestazioni. Stando ai risultati maturati, la seconda tipologia di rischio si è rivelata concreta. Una prima indicazione in tal senso si trae avendo riguardo alla struttura delle aliquote determinatasi con l’avvento del federalismo. Il quadro che emerge (tavola 2) indica che il ricorso alla leva fiscale è molto differenziato sul territorio. E questo senza considerare le ulteriori differenze che inevitabilmente emergeranno quando ogni comune si troverà a fissare per il 2014 le CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 19 aliquote e gli altri parametri relativi alla nuova costruzione del prelievo sugli immobili (IMU, Tasi, Tari). Tavola 2 - Aliquota di alcuni tributi regionali, provinciali e comunali(1) Regioni Regione IRAP ordinaria Addizionale IRPEF (2) Province Comuni Imposta RCA Addizionale IRPEF (2) Piemonte 3,9 1,69 16 0,8 Lombardia Liguria Veneto Emilia Romagna 3,9 3,9 3,9 3,9 1,38 1,23 1,23 1,63 16 16 16 16 0,8 0,8 0,8 0,7 Toscana 3,9 1,42 10,5 Umbria 3,9 1,43 16 Marche 4,73 1,32 16 Lazio 4,82 1,73 16 0,9 Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Valle d'Aosta Trentino Alto Adige (Trento) Trentino Alto Adige (Bolzano) 4,82 4,97 4,97 4,82 3,9 4,97 3,9 3,44 2,98 Friuli Venezia Giulia Sicilia Sardegna 3,9 4,82 1,17 1,73 2,03 2,03 1,36 1,23 2,03 1,23 1,23 1,23 1,23 1,73 1,23 15,5 16 16 16 16 16 9 9 9 12,5 16 12,5 0,6 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,3 0,0 0,2 0,8 0,8 0,7 (3) 0,2 0,8 (3) 0,8 Fonte: siti istituzionali delle Regioni e MEF - Dipartimento delle finanze, fiscalità locale. (1) Aliquote per l'anno d'imposta 2013 relative ai capoluoghi di Regione. (2) Per le Regioni e i Comuni che prevedono aliquote differenziate per classi o scaglioni di reddito, aliquota media relativa all'imponibile dichiarato. (3) Anno di imposta 2014. In particolare, le aliquote dell’Irap e dell’addizionale regionale all’Irpef sono mediamente più alte nel Mezzogiorno dove sono più diffuse le Regioni con disavanzi sanitari elevati, su cui incombono gli incrementi automatici di aliquota. I divari sono particolarmente pronunciati nel caso dell’Irap: quasi 2 punti, (67 per cento) fra la Calabria e la provincia autonoma di Bolzano, che diventano 3,8 punti (+325 per cento) nel confronto Calabria/Sardegna, se si considera la notevole riduzione dell’aliquota Irap deliberata dalla Sardegna e di fatto “convalidata” dall’art. 1, coma 514 dalla legge di stabilità 2014. Ma non sono meno significanti a proposito dell’addizionale regionale all’Irpef: 0,8 punti (+65 per cento) fra la Calabria e la quasi totalità delle Regioni a statuto speciale. A livello comunale, il confronto basato sugli enti capoluoghi di regione segnala, a sua volta, che le aliquote dell’addizionale all’Irpef risultano più elevate nei Comuni delle 20 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Regioni a statuto ordinario (eccezion fatta per Firenze) rispetto a quelli delle Regioni a statuto speciale. Il divario massimo è pari a 0,9 punti, ossia quello che intercorre fra la più alta aliquota vigente (Comune di Roma ) e l’assenza di prelievo (aliquota zero) nel comune di Trento. 16. Alle differenze di aliquote si aggiungono quelle, non meno rilevanti, che discendono dal modo in cui ogni governo decentrato ha utilizzato la facoltà di intervenire su altri elementi strutturali dei tributi: dalla progressività, alla determinazione della base imponibile, alle esenzioni. Emblematico risulta, in particolare, il caso delle addizionali regionali e comunali all’Irpef, per le quali la libertà di aliquota riconosciuta a ciascun ente ha condotto indifferentemente a scegliere fra: un’unica aliquota per tutti i livelli di reddito; più aliquote, improntate a progressività; sistema di progressività per classi o per scaglioni; scaglioni di reddito imponibile coincidenti con quelli Irpef ovvero fissati in totale autonomia; facoltà di introdurre forme di esenzione (Comuni); facoltà di accordare detrazioni aggiuntive per carichi di famiglia e a favore dei contribuenti “incapienti”, nonché di disporre di detrazioni dall’addizionale, in luogo di sussidi, voucher e altre misure di sostegno sociale (Regioni). Per quanto riguarda l’addizionale regionale all’Irpef, ad esempio, sono state 11 le Regioni (o Province autonome) che nel 2013 hanno adottato un’aliquota unica e delle restanti 10 che hanno optato per la progressività, 5 hanno scelto quella per “classi” (aliquota, crescente al crescere del reddito, applicata all’intero imponibile) e cinque quella per “scaglioni” (come per l’Irpef, aliquote differenziate per ciascuno degli scaglioni in cui si distribuisce l’imponibile). D’altra parte, la progressività per scaglioni è talora (Piemonte) solo apparente, in considerazione degli appena 4 centesimi di punto che differenziano l’aliquota del primo scaglione da quella del quinto. Ma ancor più significativo è il reticolo territoriale che contrassegna la struttura dell’Irap, a seguito del concorso di una serie di fattori. In proposito, vanno richiamate: i) la facoltà di variare l’aliquota base, sfruttando in tutto o in parte la “forchetta” fissata dal legislatore; b) la facoltà di variare l’aliquota anche per differenziare per settori di attività o categorie di contribuenti; c) l’obbligo di aumentare le aliquote in presenza di disavanzi di gestione del Servizio sanitario; d) la facoltà di prevedere esenzioni e forme di deduzione o detrazione. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 21 Sono diverse, insomma, le variabili fiscali che – soprattutto nel caso delle addizionali all’Irpef e dell’Irap - concorrono a determinare il livello del prelievo sul territorio e l’onere sopportato da famiglie e imprese. Il loro effetto complessivo può essere misurato guardando a come si distribuisce l’incidenza effettiva delle due imposte fra le diverse realtà regionali. Nel caso delle addizionali all’Irpef (grafico 3), tali differenze sembrano dipendere dalla collocazione territoriale (nel Nord il prelievo è generalmente più basso rispetto al Centro-Sud); dalla forma dell’ordinamento regionale (in genere, si paga di più nelle Regioni a statuto ordinario che non in quelle a statuto speciale): dall’assoggettamento (o meno) a procedura di rientro per disavanzi sanitari eccessivi (che, da sola, spiega un’aliquota più elevata). Grafico 3 – Il peso delle addizionali regionali e comunali all’Irpef Fonte: elaborazioni Corte dei conti su dati MEF – Dipartimento Finanze Sono, questi, fattori che registrano una convergenza particolare nelle realtà del Mezzogiorno, che arrivano a scontare un prelievo pari a 2,5 volte quello minimo che si registra in alcune Regioni del Nord: un rapporto destinato ad aumentare nel biennio 2014-2015, allorché le Regioni potranno esercitare la facoltà di aumentare l’aliquota di complessivi 1,6 punti (come ha già fatto la regione Lazio). 22 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Si tratta di un divario che, a fronte di un medesimo livello di reddito, comporta a carico del singolo contribuente una forte differenza di prelievo complessivo (Irpef+addizionali), soprattutto in corrispondenza dei più bassi livelli di imponibile. E’ quanto emerge confrontando due realtà territoriali che si collocano agli antipodi quanto ad incidenza delle addizionali Irpef: Catanzaro con il 2,83 per cento e Trento con l’1,23 per cento. A parità di reddito, lo stesso contribuente è assoggettato ad un maggior prelievo (Irpef + addizionali) che si commisura al 29,6 per cento, 12,5 per cento e 5,0 per cento a fronte di un imponibile pari, rispettivamente a 0,7, 1 e 3 volte il reddito medio da lavoro dipendente (circa 30 mila euro lordi). Sembra emergere, insomma, una sorta di “regola distorsiva”, in virtù della quale i territori con redditi medi più bassi, espressione di economie più in affanno, sono penalizzati da una pressione fiscale locale più elevata. 17. Analoghe sono le evidenze e le conclusioni che possono trarsi sul versante Irap, nella considerazione che la distribuzione del peso dell’imposta (grafico 4) si concentra intorno a tre diversi livelli di prelievo: quello “agevolato”, che si realizza nelle realtà a statuto speciale; quello “ordinario” che, comunque, si colloca significativamente al di sotto (fino al 10 per cento) della media nazionale; quello, infine, decisamente “maggiorato” (fino al 20 per cento del valore medio nazionale) che coinvolge le Regioni in situazione di extra deficit, collocate nel centro-sud. Si tratta di differenze importanti anche per le immediate ricadute che hanno su un’importante variabile di politica economica, come il costo del lavoro. Confrontando l’incidenza del prelievo per aree territoriali è possibile rilevare un divario che arriva ai 2,5 punti percentuali. In corrispondenza di una retribuzione lorda pari a 30 mila euro, si può agevolmente stimare che fra la realtà di Napoli, assoggettata al più alto prelievo locale (Irap + addizionali all’Irpef), e quella di Cagliari, che si colloca al livello complessivo più basso, il divario in termini di costo del lavoro si colloca a 2,5 punti ed è interamente riconducibile alla più bassa Irap deliberata dalla regione sarda. La differenza scende a 1,9 punti nel confronto provincia di Bolzano/Campania, ma in questo caso essa risulta imputabile per i tre quarti all’Irap e per il restante 25 per cento al minor peso delle addizionali Irpef. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 23 Grafico 4 – L’incidenza dell’Irap nelle diverse Regioni Fonte: elaborazioni Corte dei conti su dati MEF – Dipartimento Finanze Peraltro, si consideri che a queste differenze vanno aggiunte quelle relative all’IMU e all’Irpef gravanti sugli immobili a disposizione e sugli immobili strumentali d’impresa, nonché, dal 2014, quelle ulteriori riconducibili alle nuove forme di prelievo immobiliare disegnate dalla legge di stabilità 2014 (Tasi e Tari). E se nel primo caso (IMU e Irpef) si tratterà soprattutto di effetti, dovuti a scelte della politica fiscale nazionale, nel secondo (Tasi e Tari) si sarà invece in presenza di divari interamente riconducibili alle modalità con cui ciascuna realtà comunale utilizzerà i margini di manovra accordati per definire nuove aliquote e nuove detrazioni. Si tratta di differenze che - anche in associazione con altre variabili di natura non tributaria - possono provocare reazioni di comportamento da parte dei contribuenti. Talora potrebbe trattarsi “solo” di una “delocalizzazione”, che può riguardare sia le persone fisiche che le imprese: le prime, scegliendo di spostare la propria residenza per garantirsi un più contenuto peso delle addizionali Irpef o un abbattimento del prelievo sugli immobili; le seconde, decidendo di insediare la propria attività o di distribuire la 24 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo propria produzione sul territorio anche sulla base di convenienze fiscali (il diverso peso dell’Irap e dell’IMU sugli immobili in cui svolge la propria attività). Tali “convenienze” di natura fiscale si sommano – o si contrappongono - agli altri fattori economici che hanno un ruolo nella localizzazione di un’attività produttiva: da quelli relativi al costo del lavoro (agevolazioni contributive all’assunzione della manodopera) a quelli creditizi (accesso al credito e livello dei tassi); da quelli concernenti il diverso grado di disponibilità di finanziamenti pubblici a quelli relativi alla dotazione di infrastrutture. Altre volte potrebbero aversi ricadute negative sotto il profilo della tax compliance. E si tratta, in entrambi i casi, di reazioni che finiscono per colpire più pesantemente le realtà economiche più povere: quelle che, contando su una ridotta capacità fiscale del proprio territorio e costrette ad aumentare le aliquote per ripianare i deficit della sanità, finiscono per deprimere ulteriormente l’economia del territorio e la capacità di generare base imponibile. Un circolo vizioso, questo, che si concentra in misura particolare nel Mezzogiorno. Ma a soffrire di un sistema fiscale fortemente differenziato sul territorio – meno per scelta e più per necessità ed inevitabilità - sono anche la gestione amministrativa del prelievo e il coordinamento della complessiva politica fiscale. Regole tributarie territorialmente differenziate comportano, inevitabilmente, costi amministrativi più elevati per le imprese, soprattutto per quelle che hanno dipendenti che risiedono in Comuni e Regioni diverse e che, nella veste di sostituti d’imposta, sono chiamate ad applicare aliquote, detrazioni e deduzioni differenti. La coesistenza di livelli di tassazione significativamente differenziati finisce, d’altra parte, per introdurre elementi di incertezza e di alterazione nell’azione di redistribuzione nazionale; soprattutto quando una quota crescente del prelievo complessivo riflette l’operare di un fattore (quello territoriale) non agevolmente “saldabile” (e anzi talora in contrapposizione) con le variabili redistributive proprie della politica fiscale nazionale. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 25 Il federalismo demaniale 18. Il d.lgs. n. 85/2010 costituisce una tappa del complesso sistema di norme che a partire dal 2001, con la legge 351, hanno puntato ad avviare un processo di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico con l’obiettivo di ottenere risparmi di spesa attraverso un uso più razionale degli spazi a disposizione e, nel contempo, di rendere più redditizia la sua gestione. Come i precedenti provvedimenti, anche il decreto legislativo emanato in attuazione della legge 42 non ha finora raggiunto gli obiettivi attesi. Ci si riferisce alle leggi finanziarie per gli anni 2007, 2008 che, nell’ambito di procedure di dismissioni, hanno previsto programmi di valorizzazione degli immobili pubblici per la promozione dello sviluppo locale; all’articolo 58 del DL 112/2008 che ha disposto la predisposizione da parte delle Regioni e degli Enti locali di piani per l’alienazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare non strumentale all’esercizio di funzioni pubbliche; alla legge finanziaria 2010, art. 2, comma 222, la quale, al fine di migliorare la conoscenza del patrimonio immobiliare pubblico, ha disposto che le amministrazioni pubbliche comunichino all’Agenzia del demanio gli elenchi degli immobili pubblici a qualsiasi titolo detenuti. Le criticità manifestatesi in sede di attuazione sono da ricondurre, in massima parte, alla complessità delle procedure previste già dall’articolo 19 della legge delega. Esse richiedevano diversi passaggi, il coinvolgimento di più soggetti e l’intesa in Conferenza Unificata in merito agli elenchi dei beni da trasferire (o da escludere), approvati, infine con dPCM Il mancato conseguimento dell’intesa ha provocato il blocco dei trasferimenti. Solo per i beni di interesse storico e artistico, gestiti dal Ministero per i beni e le attività culturali, l’articolo 5, comma 5 del decreto ha previsto una procedura semplificata, non ritenendo necessaria la preventiva predisposizione di elenchi di beni da trasferire e l’intesa con la Conferenza. Per essi l’attribuzione avviene ai sensi dell’art. 54, comma 3 del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42/2004), previo accordo di valorizzazione del bene tra Ministero e ente richiedente, accordo seguito da un programma di valorizzazione e sviluppo culturale del bene medesimo. Questa procedura, che si conclude con la stipula da parte dell’Agenzia del demanio e dell’ente territoriale dell’atto di trasferimento gratuito del bene, ha fatto sì che, ad oggi, si perfezionasse l’attribuzione di 23 immobili a diversi comuni. 26 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Va osservato che, l’aver attribuito all’Agenzia del demanio la competenza al trasferimento dei questi beni comporta che i relativi provvedimenti non siano sottoposti al controllo della Corte. Ciò nonostante i riflessi sul conto del patrimonio dello Stato, soggetto, unitamente al rendiconto generale, al giudizio di parificazione da parte della Corte stessa. Non sono stati disposti i decreti di attuazione anche per i beni in parte trasferiti ope legis (demanio marittimo, demanio idrico e miniere) o a richiesta da parte degli enti interessati (aeroporti di interesse regionale o locale). Le Regioni mantengono dunque, nel settore del demanio marittimo e idrico, un ruolo determinante, pur rimanendo allo Stato la titolarità dei beni, mentre il demanio aeroportuale di interesse regionale non ha avuto avvio in attesa dell’adozione del Piano nazionale degli aeroporti. Solo di recente, per superare le difficoltà, il legislatore è intervenuto con una norma di semplificazione (articolo 56-bis del DL 69/2013), ma solo per alcuni tipi di beni. Si tratta dei trasferimenti in proprietà dei beni immobili di cui all’art. 5, comma 1, lett. e), tipologia di beni identificata con criterio residuale – tutti gli immobili dello Stato non esclusi dal trasferimento – nonché dei beni di cui al comma 4 del medesimo articolo. Sono altresì esclusi i beni in uso per finalità istituzionali e i beni per i quali siano in corso operazioni di valorizzazione o di dismissione ai sensi dell’art. 33, del DL n. 98/20111. 1 Il Dl 98/2011 (art. 33) ha previsto la costituzione di una Società Gestione Risparmio sempre con la finalità di valorizzare il patrimonio immobiliare attraverso l’istituzione di uno o più fondi di investimento, con i quali partecipare a fondi di investimento immobiliari chiusi promossi da regioni e Enti locali, ovvero da altri enti pubblici e società dai predetti enti partecipate. La SGR – InvImIt SGR S.p.A. - è stata istituita con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 19 marzo 2013. E’ in corso di perfezionamento il relativo regolamento di gestione ed è stato avviato l’iter per l’istituzione del primo Fondo immobiliare chiuso, ai sensi dell’art. 33, del DL n. 98/2011. Il Fondo dovrebbe essere ripartito in due sezioni (c.d. Comparti), la prima finalizzata alla partecipazione a fondi immobiliari chiusi promossi o partecipati dalle regioni e dagli Enti locali, o da altri enti ovvero società da questi interamente partecipati (comma 1 dell’art. 33); la seconda, alla gestione di beni immobili dello Stato, non utilizzati per finalità istituzionali (comma 8-ter) e dei beni non più utilizzati dal Ministero della Difesa (comma 8-quater). Le regioni e gli Enti locali possono conferire nel fondo di cui al comma 8-ter anche i beni del proprio patrimonio immobiliare, nonché i beni valorizzabili che l’Agenzia del demanio, ai sensi dell’ art. 5, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 85/2010, abbia loro attribuito. La SGR, inoltre, in forma separata e autonoma gestisce, ai sensi dell’art. 3, comma 2-bis del DL n. 133/2013, anche i fondi costituiti ai sensi dell’art. 33-bis del DL n. 98. Si tratta di fondi immobiliari che, ribadita la finalità della valorizzazione, trasformazione, gestione e alienazione del patrimonio pubblico di proprietà dello Stato, delle regioni e degli Enti locali, possono essere costituiti dal Ministero dell’economia – Agenzia del demanio. La riconduzione alla SGR della gestione anche di questi fondi risponde ad una finalità di semplificazione di una rete articolata di fondi immobiliari creata da norme che si sono susseguite, sovrapponendosi, nel corso di un breve arco temporale. Sono attualmente all’esame della Corte, in sede di controllo preventivo di legittimità, due decreti, del 5 febbraio u.s., del Ministro dell’economia e delle finanze di avvio delle procedure per la costituzione di uno o più fondi comuni di investimento, con l’apporto del patrimonio immobiliare dell’INPS e dell’INAIL. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 27 La procedura seguita supera la preventiva predisposizione di elenchi e l’intesa con la Conferenza Unificata. Inoltre, non è richiesta la presentazione di alcun progetto di utilizzo. La norma affida un ruolo determinante all’Agenzia del demanio, alla quale gli enti interessati dovevano presentare le richieste tra il 1° settembre e il 30 novembre 2013. Si tratta, dunque, di termini brevi e perentori, entro i quali risultano presentate, da informazioni dell’Agenzia del demanio, 9.367 istanze, di cui 2.243 esaminate e 527 accolte. Anche questi provvedimenti di trasferimento dei beni immobili statali non vengono assoggettati al controllo preventivo di legittimità. Si richiamano, pertanto, le considerazione già svolte con riferimento agli atti di attribuzione agli enti territoriali dei beni di interesse storico-artistico. Termini brevi sono previsti anche per la conclusione dell’esame delle richieste e per l’eventuale successivo trasferimento da parte dell’Agenzia, dal quale consegue l’immissione del bene, con le relative pertinenze, accessori e oneri nel patrimonio disponibile dell’ente. La funzione propositiva e di coordinamento assegnata all’Agenzia si rileva anche dal ruolo di intermediazione tra enti richiedenti l’attribuzione dei beni e le amministrazioni pubbliche cui i medesimi beni siano al momento assegnati in uso, affidato all’Agenzia stessa, la quale dovrà verificare la sussistenza del permanere del reale interesse all’uso del bene, ovvero la possibilità che lo stesso sia inserito in piani di razionalizzazione. Ove l’esito di queste attività risulti negativo, il bene verrà trasferito al patrimonio disponibile dell’ente interessato. La norma mira, infatti, ad assicurare un migliore utilizzo del bene, attraverso un suo recupero funzionale. Per tale motivo, nel caso di mancato uso per tre anni, il bene viene retrocesso allo Stato. Il legislatore ha mostrato di preferire, in caso di richieste del medesimo bene da parte di diversi livelli di governo, l’assegnazione dell’immobile ai Comuni e alle città metropolitane e solo in un secondo momento alle Province e alle Regioni. Va infine osservato che con l’art. 3, del DL n. 133/2013 è stato modificato l’11quinquies del DL n. 203/2005, prevedendo che l’Agenzia del demanio, previa autorizzazione con decreto dirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze, possa procedere alla vendita di immobili a prevalente uso abitativo, ivi compresi quelli 28 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo degli enti territoriali, a trattativa privata anche in blocco (art. 7, del DL n. 282/2002). Con decreto del 20 dicembre 2013 è stata autorizzata la vendita di beni deliberati dalla Provincia di Torino, dai Comuni di Torino, Venezia, Verona, Firenze e dalla regione Lombardia. Le operazioni di vendita dovevano essere concluse entro il 31 dicembre 2013. Gli interventi per la rimozione degli squilibri economici e sociali 19. Il quadro normativo per l’attuazione del federalismo fiscale comprende anche il decreto legislativo n. 88 del 2011 concernente modalità e procedure per gli interventi richiamati nell’articolo 119 della Costituzione volti al riequilibrio territoriale e al rafforzamento della coesione sociale, da attuare utilizzando risorse aggiuntive di derivazione comunitaria e nazionale. Nel corso dell’audizione svoltasi il 30 marzo 2011 presso questa Commissione parlamentare, la Corte sottolineava la prioritaria esigenza di invertire il declino delle politiche per le infrastrutture pubbliche e, in special modo, di quelle destinate al recupero dei divari di sviluppo fra i diversi territori. L’andamento della spesa in conto capitale, in rapporto alla popolazione residente, nel Mezzogiorno risultava, infatti, da tempo inferiore a quella relativa al Centro-Nord, nonostante l’utilizzo di risorse aggiuntive provenienti dai fondi strutturali comunitari, dal cofinanziamento nazionale delle iniziative previste e dall’utilizzo delle somme stanziate nel Fondo aree sottoutilizzate (FAS), che avrebbero dovuto garantire il principio di aggiuntività. Tali risorse per il ciclo di programmazione 2007-2013 ammontavano, complessivamente, a circa 125 miliardi di euro, di cui 32 di derivazione comunitaria. I dati relativi all’utilizzo delle risorse presenti nel FAS si attestavano, infatti nel 2011, ad un valore pari a circa un terzo del complessivo stanziamento per il settennio 2007-2013, pari originariamente 64,4 miliardi (0,6 per cento del Pil), come previsto dalla legge finanziaria per il 2007. Emergeva, inoltre, che il 40 per cento delle risorse era impegnato a fronte di interventi ancora in fase iniziale, con stati di avanzamento compresi tra 0 e 10 per cento. Frequente e reiterato era stato, inoltre, nel periodo considerato l’utilizzo di risorse presenti nel FAS a copertura di oneri previsti in successive leggi di spesa, per esigenze non sempre riconducibili a finalità di riequilibrio e sviluppo territoriale. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 29 Analoghe difficoltà si registravano nell’utilizzo dei Fondi comunitari con un rischio di definanziamento delle somme non tempestivamente impegnate. Ben lontano, osservava la Corte, era il raggiungimento dell’obiettivo di destinare a favore delle aree sottoutilizzate almeno il 45 per cento degli investimenti pubblici, attestandosi, la relativa spesa su valori di poco superiori al 35. In tale quadro, diveniva opaco, fino quasi a scomparire, il senso del principio di aggiuntività delle risorse, richiamato nell’articolo 119 della Costituzione, a fronte della debolezza delle politiche ordinarie di sviluppo e dell’utilizzo delle risorse aggiuntive per compensare, ma solo in parte, la flessione complessiva della spesa in conto capitale nel Mezzogiorno. Nel merito, il contenuto del citato schema di decreto legislativo appariva limitato. Osservava la Corte come il testo all’esame, proprio in quanto inserito all’interno del quadro del federalismo fiscale, avrebbe potuto e dovuto rappresentare la sede propria per definire in modo chiaro la distinzione tra il perimetro delle ordinarie politiche pubbliche e l’intervento straordinario per il riequilibrio, lo sviluppo e la coesione territoriale. Ciò definendo i necessari raccordi tra i diversi soggetti coinvolti, semplificando le procedure attuative e rafforzando la capacità programmatica, all’interno di un quadro che garantisse la rilevanza e la fattibilità delle iniziative da finanziare. Venivano, in particolare, ribaditi i principi della leale collaborazione tra Stato e Regioni, la necessità di un utilizzo delle risorse secondo il metodo della programmazione pluriennale, quello di aggiuntività delle risorse stanziate nei Fondi strutturali comunitari e nel Fondo aree sottoutilizzate, che veniva ridenominato Fondo per lo sviluppo e la coesione, la necessità della costruzione di un sistema di indicatori di risultato, attraverso il ricorso sistematico alla valutazione degli impatti. Incentivi e meccanismi sanzionatori avrebbero dovuto garantire la tempestiva realizzazione delle iniziative finanziarie. Il contratto istituzionale di sviluppo avrebbe dovuto rappresentare lo strumento operativo d’elezione per garantire la concentrazione delle risorse in progetti di rilevante spessore, ovvero la realizzazione di interventi settoriali, tra loro funzionalmente connessi e inseriti in un più ampio contesto programmatico. Poche le modifiche apportate al testo esaminato dalla Corte rispetto a quello definitivo contenuto nel citato decreto legislativo n. 88 del 2011. 30 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Il decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013 amplia e meglio definisce i contenuti del documento di indirizzo strategico e precisa i contenuti e le finalità del contratto istituzionale di sviluppo, prevedendo, tra l’altro, che le amministrazioni centrali e regionali possano avvalersi dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa. Di maggior rilievo la previsione contenuta nell’art. 10 del recente decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013 che istituisce l’Agenzia per la coesione territoriale, con il compito di svolgere gran parte delle attività di tipo operativo, in precedenza di competenza del Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione, collocato presso il Ministero dello Sviluppo economico. La predetta Agenzia, destinata ad essere operativa entro il 1° marzo 2014, data prevista per l’emanazione dello statuto, opererà con una dotazione organica di 200 unità di personale e con un’autonomia organizzativa, gestionale, contabile e di bilancio. Andrà chiarito, peraltro, il riparto di competenze tra l’Agenzia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ciò per evitare difficoltà al momento dell’assegnazione ai predetti Enti delle risorse umane e strumentali del soppresso Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione2. Le problematiche evidenziate dalla Corte nella citata audizione si rivelano, dunque, ancora attuali. Il quadro aggiornato relativo alla situazione degli investimenti nel Mezzogiorno e, in particolare, dell’utilizzo delle risorse aggiuntive nazionali e comunitarie è ancora permeato da forti elementi di criticità. Al 31 dicembre 2013, l’ammontare della spesa certificata a valere sulle disponibilità dei Fondi strutturali europei è pari a circa il 53 per cento delle risorse programmate per l’intero settennio 2007-2013, superando il limite previsto per il disimpegno automatico di risorse. Sarà necessario, peraltro, un ulteriore impegno sul piano organizzativo e operativo per garantire, nel prossimo biennio, una spesa pari a circa la metà delle risorse stanziate, in 2 L’autonomia organizzativa e gestionale attribuita all’Agenzia si rivela, inoltre, di difficile realizzazione, alla luce della prevista estensione al personale dipendente del contratto collettivo di lavoro relativo al comparto Ministeri. Si tratta di una previsione volta a semplificare le procedure di mobilità del personale e a garantire il principio di invarianza finanziaria che ha, peraltro, come conseguenza quella di privare l’Agenzia della possibilità di individuare uno specifico ordinamento professionale, corrispondente ai compiti attribuiti, e di individuare fabbisogni di professionalità e procedure di reclutamento, maggiormente mirate a garantire lo svolgimento di competenze di carattere tecnico-operativo. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 31 relazione anche alla sovrapposizione, a partire dal 2014, del nuovo ciclo di programmazione. L’accelerazione dell’utilizzo delle risorse comunitarie è stata favorita dalle nuove regole europee, che escludono la spesa relativa dai limiti previsti per il rispetto del patto di stabilità. A fronte di quanto sopra, nel periodo considerato si è avuta, peraltro, una riduzione del cofinanziamento nazionale e un minor utilizzo degli stanziamenti previsti per il Fondo di sviluppo e coesione, per i quali non vale la suddetta regola. I contratti istituzionali di sviluppo hanno avuto una prima parziale attuazione nel campo delle infrastrutture per i trasporti e la mobilità, attraverso convenzioni con Ferrovie dello Stato e ANAS S.p.A. E’ proseguito, peraltro, l’utilizzo delle risorse presenti nel Fondo di sviluppo e coesione per finalità non direttamente riconducibili al principio di aggiuntività, quali, ad esempio, la copertura del disavanzo sanitario in alcune Regioni. La stessa legge di stabilità per il 2014 (commi da 118 e seguenti dell’art. 1), dispone direttamente il finanziamento di una serie di iniziative microsettoriali, utilizzando somme stanziate nel Fondo di sviluppo e coesione, per importi in alcuni casi di scarso rilievo, come quelli riguardanti l’assegnazione di risorse per 2 milioni di euro all’Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli, o i 30 milioni per interventi urgenti per l’istituzione di nuove sedi degli uffici giudiziari di Napoli. Altre assegnazioni riguardano finalità emergenziali, quali le particolari esigenze dei Comuni di Lampedusa e Linosa, in relazione all’afflusso di cittadini provenienti dai paesi del Mediterraneo e gli interventi connessi con gli eventi alluvionali verificatisi in Sardegna. Anche relativamente all’ultimo biennio il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) è più volte intervenuto per ridefinire il quadro programmatico di riferimento e il quadro delle risorse disponibili nel Fondo di sviluppo e coesione. In sede di esame delle relative delibere, il competente Ufficio di controllo preventivo ha più volte sottolineato le difficoltà di lettura dei dati finanziari e la necessità di meglio chiarire i rapporti tra la nuova e la precedente programmazione, indicando con maggior chiarezza le iniziative abbandonate e quelle parzialmente definanziate. I documenti programmatici relativi al nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, per il quale è previsto uno stanziamento, pari, complessivamente, a circa 115 miliardi nel settennio (comprensivo del valore dei fondi strutturali, del cofinanziamento e dell’adeguamento del valore del Fondo di sviluppo e coesione ad opera della legge di stabilità per il 2014), partono dalla consapevolezza delle evidenziate criticità. L’Accordo di partenariato, attualmente all’esame dell’UE, individua nuovi criteri metodologici, che si dovrebbero concretizzare in una esplicitazione dei risultati attesi, misurabili attraverso indicatori d’impatto e in conseguenti azioni da indicare in termini puntuali ed operativi. 32 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Si prevede, poi, l’indicazione di una tempistica vincolante, garantita da assunzioni di precise responsabilità dei soggetti attuatori, un maggior coinvolgimento delle forze politiche e sociali, e una particolare attenzione alla trasparenza delle procedure. E’ previsto, infine, un rafforzamento del presidio nazionale del governo delle diverse iniziative finanziarie. Si tratta, come più volte osservato dalla Corte, di elementi chiave, per ora solo enunciati, che si auspica vengano declinati nella concreta prassi operativa. L’armonizzazione dei sistemi contabili: l’attuazione del decreto legislativo 118/2011 20. E’ ancora in corso la sperimentazione del processo di armonizzazione contabile per le amministrazioni territoriali (prorogata di recente al 2015), anche se, sulla base degli esiti riferiti al biennio 2012-2013, è stato recentemente approvato dal C.d.M. il primo decreto correttivo del d.lgs. 118 del 2011. Procedono poi le modifiche previste per i bilanci della sanità. L’individuazione di principi contabili e schemi di bilancio comuni tra Regioni ed Enti locali si presenta particolarmente complessa; su di essa incidono le necessità poste dalle normative europee in termini di confrontabilità dei dati contabili, le modifiche introdotte con la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e la riforma della contabilità e le diversità che caratterizzano le gestioni dei livelli di governo. Alcuni temi presentano, ad avviso della Corte, una particolare complessità: si tratta delle scelte in tema di competenza giuridica e della c.d. “competenza finanziaria potenziata”, del bilancio consolidato, della flessibilità gestionale e della classificazione delle poste di bilancio. Particolare attenzione va posta alla scelta di armonizzare l’impostazione dei bilanci al principio della competenza finanziaria potenziata. Si pongono infatti problemi: di coerenza con il bilancio dello Stato e con la legge di contabilità (legge 196/2009); di trasparenza e conoscibilità dell’intero stock di spesa di investimento e di debito; CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 33 di adeguatezza rispetto alla esigenza “di avvicinamento tra contabilità finanziaria e contabilità economico-patrimoniale”. Ciò atteso che il criterio della competenza “a scadenza” sembrerebbe più coerente con una impostazione basata sulla contabilità finanziaria di cassa; di coerenza con la legge “rinforzata” n. 243 del 2012, conseguente all’adozione del principio del pareggio di bilancio in Costituzione che ha confermato il sistema finanziario “misto”, basato sul doppio vincolo della competenza giuridica e della cassa, entrambi come limiti autorizzatori dell’operatore pubblico. Tale principio potrebbe tuttavia porsi in maggiore consonanza con il processo di potenziamento della funzione del bilancio di cassa, cui è sottoposto il bilancio dello Stato stesso, e potrebbe presentare aspetti positivi, sia in termini di maggiore attendibilità delle previsioni che di minore produzione di residui . Inoltre va considerato che, al momento, il bilancio dello Stato è escluso dalla sperimentazione del criterio della competenza “a scadenza”, mentre per tutte le altre Amministrazioni pubbliche il decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 91 (in attuazione della legge n. 196/2009) ha previsto l’avvio dell’attività di sperimentazione a partire dal 2014 per la durata di due esercizi finanziari, sulla base del principio della “competenza finanziaria potenziata”. Attenzione merita la definizione dei confini della flessibilità gestionale. Il d.lgs. 118/2011 prevede una maggiore flessibilità gestionale per gli enti territoriali rispetto a quella prevista per il bilancio dello Stato. Essa si estende in via permanente alle missioni, con riferimento sia alle spese connesse con i trasferimenti interni di personale, sia alle spese rimodulabili. La legge di contabilità (n. 196/2009) pone alla flessibilità gestionale del bilancio dello Stato diversi limiti: viene affidata alle amministrazioni la possibilità di variazioni compensative nell’ambito di ciascun programma o tra programmi della stessa missione, da proporre in sede di assestamento del bilancio ovvero con atti amministrativi e, limitatamente alla sola componente di spese rimodulabili, all’interno del programma. Tali variazioni possono coinvolgere anche autorizzazioni legislative inserite tra le spese rimodulabili, rispettando i divieti di trasferimento dal conto capitale alla parte corrente e senza incidere sugli oneri inderogabili. La flessibilità del bilancio dello Stato è stata 34 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo ulteriormente ampliata estendendola alle missioni, ma solo in via temporanea, come deroga alla riforma contabile. Per quanto riguarda i bilanci consolidati, nella attuazione andrà tenuto conto che il DL 174/2012, introducendo l’articolo 147-quater del TUEL, ha previsto che i risultati complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende partecipate siano rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la competenza economica. Ciò significa che gli enti di maggiori dimensioni (quelli immediatamente interessati dalla norma) sono tenuti fin da ora a definire criteri e metodologie per il consolidamento, senza attendere l’esercizio della riserva di legge prevista dall’art. 36, c. 5, d.lgs. n. 118/2011. L’attuazione di tale disposizione, anche a seguito dei controlli effettuati dalla Corte attraverso le linee guida di cui alla legge n. 266/2005, potrebbe consentire di acquisire ulteriori elementi di valutazione nella definizione delle nuove regole contabili e nella rispondenza di queste alla esigenza di conciliazione dei rapporti debitori e creditori tra Enti locali e organismi partecipati. Il tema del consolidamento dei bilanci infatti è particolarmente delicato. Non si può ignorare che alcuni Enti hanno rinunciato alla sperimentazione in corso3 manifestando difficoltà organizzative interne (carenze di personale, scadenza della convenzione di tesoreria, ritardi nell’aggiornamento dei sistemi informativi contabili, ecc.); tali difficoltà potrebbero in parte essere riferite a criticità derivanti dall’applicazione della disciplina della sperimentazione anche al consolidamento delle società partecipate. In relazione alla classificazione delle spese, infine, la norma vigente dispone la ripartizione in funzioni obiettivo, unità previsionali di base e capitoli. La riforma contabile estende l’innovazione intervenuta per il bilancio dello Stato, con la nuova classificazione per missioni e programmi raccordata con la codificazione COFOG di secondo livello, a tutto il comparto pubblico, compresi gli enti territoriali, incidendo su realtà regionali estremamente differenziate. Andrà inoltre verificata la rispondenza di tale classificazione funzionale con la necessità di garantire l’evidenziazione dei costi delle funzioni fondamentali 3 Si tratta della Regione Siciliana e di 13 Comuni. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 35 21. Con l’attuazione del d.lgs. 118/2011 si è avviato un processo fondamentale per il consolidamento del processo di aggiustamento dei conti della sanità e per il recupero del governo della spesa. Si tratta, tuttavia, di un percorso particolarmente complesso, che richiederà un attento monitoraggio delle gestioni regionali. L’adeguamento delle procedure amministrative, la adozione dei nuovi modelli di rilevazione del conto economico e dello stato patrimoniale delle aziende sanitarie rappresentano passi importanti per pervenire ad una certificazione dei bilanci degli enti e muovere verso un effettivo consolidamento dei risultati finora ottenuti. La valutazione straordinaria delle procedure amministrativo-contabili, prevista dal Decreto del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 18 gennaio 2011, rappresenta la prima fase del percorso delineato dall’art. 11 del Patto per la Salute 2010-2012. Le Regioni si sono impegnate a garantire l’accertamento della qualità delle procedure amministrativocontabili, sottostanti alla corretta contabilizzazione dei fatti aziendali, nonché la qualità dei dati contabili. La verifica ha riguardato gli adempimenti a cura delle aziende relativi ai sottosistemi gestionali alimentanti il sistema di contabilità generale; relazione del Collegio Sindacale, sulle procedure utilizzate per garantire la quadratura tra le risultanze della contabilità sezionale e le scritture di integrazione e rettifica) e quelli a cura della regione nella parte relativa alla verifica dell’accuratezza della documentazione trasmessa dalle aziende e alla riconciliazione tra i capitoli finanziari del bilancio regionale e le risultanze del consolidamento dei bilanci delle aziende e della gestione accentrata). Gli esiti della valutazione straordinaria rappresentano la base di partenza per la stesura, da parte di ciascuna Regione, dei piani attuativi del percorso di certificabilità dei bilanci cui è funzionale l’adozione dei nuovi modelli di rilevazione CE e SP per gli enti del SSR (decreto 15 giugno 2012) e la definizione dei principi contabili relativi all’implementazione e alla tenuta della contabilità di tipo economico-patrimoniale della gestione sanitaria accentrata (decreto 17 settembre 2012). Un processo proseguito nel 2013 con l’adozione a seguito dell’intesa della Conferenza Stato-Regioni dei decreti relativi alla revisione degli schemi di bilancio e nota integrativa di cui al decreto legislativo 118/2011 e alla adozione del percorso attuativo della certificabilità. L’esame della documentazione trasmessa dalle Regioni ha consentito di evidenziare il permanere di criticità in relazione alla mancata integrazione dei sottosistemi gestionali con la contabilità generale e la gestione informatizzata dei diversi cicli contabili aziendali; l’assenza di una struttura dedicata all’internal audit e di adeguate procedure di controllo; la disomogeneità dei sottosistemi gestionali utilizzati dalle singole aziende all’interno della Regione; l’assenza di strumenti e metodologie atte a garantire la riconciliazione dei dati della gestione accentrata con le risultanze del bilancio finanziario; la mancata riconciliazione tra i crediti verso regione rilevati nei bilanci delle aziende con le risultanze del bilancio finanziario regionale. 36 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Non si tratta solo di difficoltà che attengono a caratteristiche gestionali ma anche di criticità che richiederanno interventi particolarmente severi ed impegnativi. E’ il caso, ad esempio, delle discordanze emerse nel corso delle verifiche in alcune Regioni in Piano di rientro. Non va infine trascurato che, affinché la adozione di procedure contabili e la revisione complessiva delle norme contabili possa produrre un risultato strutturale, è necessario che alle procedure corrispondano adeguate capacità gestionali. Di qui, il rilievo della formazione professionale, nell’ambito della missione della programmazione sanitaria. Premi e sanzioni 22. Il d.lgs. 6 novembre 2011, n. 149 ha introdotto una serie di misure a carattere premiale e sanzionatorio relative a Regioni, Province e Comuni. In sede di audizione, presso la Commissione parlamentare per il federalismo, sullo schema di decreto legislativo, la Corte, nel rilevare il carattere ordinamentale di chiusura del disegno federativo, ebbe modo in particolare di evidenziare l’asimmetria tra le sanzioni negative e le misure positive (c.d. meccanismi premiali), osservando che per le sanzioni negative più gravoso sarebbe stato, da parte del legislatore, il compito di valutarne il fondamento sia sul piano dell’an sia su quello del quomodo. Due gli aspetti principali introdotti con la normativa: il dissesto finanziario derivante dal disavanzo sanitario in ambito regionale e quello relativo agli Enti locali. Dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2 relativo al dissesto finanziario regionale e alla responsabilità del Presidente della giunta regionale4, complessi si sono rilevati gli 4 Proprio con riferimento alla disciplina che si veniva ad introdurre per il dissesto finanziario derivante dal disavanzo sanitario strutturale in ambito regionale, la Corte dei conti osservò che, nel testo proposto, la disciplina prevista per il grave dissesto finanziario, qualificato come grave violazione di legge ai sensi dell’art. 126, primo comma, della Costituzione, non rendeva esplicito un momento procedimentale in contraddittorio per l’accertamento della grave violazione di legge, momento questo che invece – ad avviso della Corte – avrebbe dovuto costituire tassello necessario ai fini dell’applicazione dell’art. 126, primo comma, della Costituzione, rilevando la grave violazione di legge solo in relazione a comportamenti gravemente colpevoli. Ciò a prescindere da ogni valutazione delle perplessità sollevate dalle regioni in sede di Conferenza unificata circa gli intrecci tra la disciplina allora vigente in materia di patto per la salute, fondata sul paradigma dell’art. 120 della Costituzione con riguardo all’esercizio dei poteri sostitutivi, e quella proposta nello schema del decreto legislativo, fondata sull’art. 126 della Costituzione con riguardo alla disciplina di intervento sugli organi. Il testo approvato aveva, pertanto, attribuito alla Corte dei conti l’accertamento della sussistenza delle condizioni del verificarsi della fattispecie e la loro riconduzione alla diretta responsabilità, con dolo o colpa grave del Presidente della Giunta regionale (art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011). CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 37 sviluppi anche dell’altra fattispecie di dissesto finanziario presa in considerazione dal d.lgs. n. 149 del 2011 e cioè quella relativa agli Enti locali. Nello schema di decreto legislativo, il comma 2 dell’art. 6 collegava la dichiarazione dello stato di dissesto finanziario dell’ente locale all’ipotesi in cui la competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti avesse accertato l’inadempimento da parte dell’ente locale dell’obbligo di adozione delle necessarie misure correttive nel termine assegnato dalla Corte stessa. Un obbligo conseguente a pronunce specifiche5 nelle quali fossero stati accertati comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allargata e irregolarità o squilibri strutturali del bilancio dell’ente locale in grado di provocarne il “dissesto economico”. In tal caso, la norma, nel testo proposto, prevedeva che la Sezione regionale di controllo, accertato l’inadempimento, trasmettesse gli atti al Prefetto ai fini della deliberazione dello stato di dissesto finanziario e della procedura per lo scioglimento del Consiglio dell’ente ai sensi dell’art. 141 del d.lgs. n. 267 del 2000 e che il Prefetto, ove fosse accertata la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 244 del d.lgs. n. 267 del 2000, assegnasse al Consiglio un termine per la deliberazione del dissesto, ferma restando la possibilità per il Prefetto stesso, decorso infruttuosamente tale termine, di esercitare il potere sostitutivo con la nomina di un commissario per la deliberazione dello stato di dissesto e per dare corso alla procedura per lo scioglimento dell’ente. In sede di audizione presso la Commissione parlamentare per il federalismo, la Corte dei conti ebbe modo di osservare che la previsione, nel testo proposto, dell’attribuzione La fattispecie del grave dissesto finanziario scatterebbe, in una regione assoggettata a piano di rientro ai sensi dell'articolo 2, comma 77, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, al verificarsi congiuntamente delle seguenti condizioni: (a) gravi e immotivate violazioni degli obblighi previsti dal piano di rientro sulla sanità; (b) aumento per due esercizi consecutivi dell’addizionale regionale Irpef al livello massimo previsto dal decreto legislativo in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. La Corte costituzionale, con sentenza n. 219 del 2013, ha dichiarato tuttavia l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 sul presupposto che “il conferimento alla Corte dei conti della funzione di accertare la «diretta responsabilità, con dolo o colpa grave del Presidente della Giunta regionale» spezza indebitamente il delicato equilibrio con cui la Costituzione ha conciliato la sfera di stretta legalità propria della “violazione di legge” con la concomitante dimensione di discrezionalità politica … sottesa alla rimozione, e vertente sulla gravità della violazione”, avendo “la Costituzione … attribuito al Capo dello Stato e al Governo, l’uno rappresentante dell’unità nazionale e l’altro garante dell’indirizzo politico generale, il compito di valutare il grado di responsabilità implicato dalla violazione di legge”. Rimane, pertanto, ad oggi confinata sul piano della responsabilità politica la fattispecie di dissesto finanziario derivante dal disavanzo sanitario regionale, mentre, in mancanza di precedenti di applicazione dell’art. 126, primo comma, della Costituzione, restano attuali le considerazioni della Corte dei conti circa la necessità che siano individuati meccanismi procedimentali idonei a garantire l’effettività del contraddittorio con la regione interessata dal dissesto. 5 Redatte ai sensi dell’art. 1, comma 168, della legge n. 266 del 2005) (ai sensi dell’art. 1, comma 168, della legge n. 266 del 2005. 38 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo di peculiari poteri al Prefetto, quale organo governativo, per l’adozione della deliberazione di dissesto finanziario si collocava correttamente in un momento procedimentale completamente distinto da quello accertativo di competenza della sezione regionale in ordine alla verifica di mancata adozione delle misure correttive conseguenti a pronunce concernenti situazioni di dissesto economico, dal momento che la norma proposta prevedeva al riguardo che il Prefetto procedesse all’attivazione della procedura del dissesto finanziario solo ove, sulla base di autonomi accertamenti, sussistessero le condizioni di cui all’art. 244 del d.lgs. n. 267 del 2000. Il testo approvato con il d.lgs. n. 149 del 2011 ha optato invece per una soluzione diversa, stabilendo che l’accertamento della sussistenza delle condizioni di cui all’art. 244 del d.lgs. n. 267 del 2000 è rimesso alla competenza della sezione regionale di controllo, con la conseguenza che l’esercizio dei poteri del Prefetto che attivano il procedimento per dichiarazione del dissesto finanziario è stato letto, dalla prima giurisprudenza amministrativa, come vincolato alla pronuncia di accertamento della competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti6. Le norme sul dissesto finanziario negli Enti locali introdotte con il d.lgs. n. 149 del 2011 hanno assunto, d’altronde, da subito, carattere di particolare rilevanza anche per il ruolo più incisivo riconosciuto alla Corte dei conti nel sistema di coordinamento della finanza pubblica in relazione agli effetti che vengono fatti derivare da pronunce in sede di controllo su comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o su irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio dell’ente in grado di provocarne il dissesto economico. Alla constatazione che l’effettività delle pronunce delle Sezioni regionali era strettamente correlata alla verifica dell’adozione delle necessarie misure correttive da parte dell’ente locale nel termine fissato dalla sezione stessa faceva da corollario, infatti, 6 L’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 prevede, infatti, che “qualora dalle pronunce delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti emergano, anche a seguito delle verifiche svolte ai sensi dell'articolo 5 del presente decreto e dell'articolo 14, comma 1, lettera d), secondo periodo, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio dell'ente locale in grado di provocarne il dissesto finanziario e lo stesso ente non abbia adottato, entro il termine assegnato dalla Corte dei conti, le necessarie misure correttive previste dall'articolo 1, comma 168, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, la competente sezione regionale, accertato l'inadempimento, trasmette gli atti al Prefetto e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica” e che “nei casi previsti dal periodo precedente, ove sia accertato, entro trenta giorni dalla predetta trasmissione, da parte della competente sezione regionale della Corte dei conti, il perdurare dell'inadempimento da parte dell'ente locale delle citate misure correttive e la sussistenza delle condizioni di cui all'articolo 244 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, il Prefetto assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto”. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 39 la necessità che le misure conseguenti agli accertamenti effettuati dalle sezioni regionali si traducessero in doverosi interventi autocorrettivi della stessa amministrazione. Non a caso, in sede di prima applicazione delle nuove norme sul dissesto introdotte dal d.lgs. n. 149 del 2011, le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti avevano ritenuto, in diversi casi, di avviare la procedura di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 in presenza di situazioni di predissesto finanziario proprio al fine di individuare un percorso di accompagnamento dell’ente verso il risanamento e con ciò anticipando le linee di riforma adottate con il DL n. 174 del 2012, che a questo riguardo ha individuato appunto un percorso formalizzato in un piano di rientro pluriennale. Secondo quanto riportato dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti nella Relazione sulla gestione finanziaria degli Enti locali per gli esercizi finanziari 2011-2012 (deliberazione SEZAUT/21/2013/FRG), sarebbero soltanto 2 i Comuni per quali, nel 2012, è stata aperta la procedura di dissesto guidato (art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011) e che, nell’impossibilità di adottare provvedimenti atti a sanare le loro gravi situazioni economico-finanziarie, hanno dichiarato il dissesto finanziario, mentre più numerosi sarebbero stati i casi (10 Comuni) nei quali, aperta la procedura prevista dal d.lgs. n. 149 del 2011, si è avviato un percorso di accompagnamento degli enti nel rientro da situazioni di predissesto mediante una costante attività di monitoraggio da parte delle competenti sezioni regionali di controllo della Corte. In questo senso, la rigidità con cui il procedimento introdotto dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 conduceva alla dichiarazione del dissesto finanziario era stato rilevato, in molti casi, dalle stesse Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. Il decreto-legge n. 174 del 2012 si muove, pertanto, ora, per certi versi, lungo un percorso già tracciato dalla Corte dei conti nei primi mesi in cui si era fatta applicazione, da parte delle sezioni regionali di controllo, delle norme sulla procedura di accertamento del dissesto, individuando appunto un percorso formalizzato in un piano di rientro pluriennale7. 7 L’art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, introdotto dall'art. 3, comma 1, lett. r), del DL n. 174 del 2012, prevede che “i comuni e le province per i quali, anche in considerazione delle pronunce delle competenti sezioni regionali della Corte dei conti sui bilanci degli enti, sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario, nel caso in cui le misure di cui agli articoli 193 e 194 non siano sufficienti a superare le condizioni di squilibrio rilevate, possono ricorrere, con deliberazione consiliare alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevista dal presente articolo”. 40 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Il DL n. 174 del 2012 ha provveduto anche a risolvere potenziali conflitti tra la procedura prevista dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 e quella introdotta con l’art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 20008. Rimangono, invece, ancora irrisolte alcune questioni che attengono alla giustiziabilità delle pronunce delle Sezioni regionali di controllo rese nell’esercizio delle attribuzioni di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2001. La Corte dei conti, al riguardo, in più sedi e non solo in ambito scientifico, ha evidenziato l’insufficienza di un sistema che non sempre trova un momento di chiusura ordinamentale all’interno della stessa Corte per attribuzioni che hanno una diretta incidenza su situazioni giuridiche giustiziabili e che, per il rilievo che assumono ai fini del coordinamento della finanza pubblica, necessitano di un momento di chiusura ordinamentale sulla base di parametri condivisi in sede di controllo ed in sede giurisdizionale. Del DL 174 vanno, d’altronde, sottolineate le nuove prospettive aperte sul versante giurisdizionale della Corte dei conti con la previsione in particolare di nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva attribuita alle Sezioni riunite in composizione speciale nella materia del predissesto. Si tratta, in definitiva, di una questione, quella della giustiziabilità delle pronunce rese dalle sezioni regionali di controllo nell’esercizio dei poteri attribuiti alla Corte dal d.lgs. n. 149 del 2011 in materia di dissesto finanziario degli Enti locali, che, come recentemente rappresentato dal Presidente della Corte dei conti all’apertura dell’anno giudiziario 2014, richiederebbe un momento risolutivo a livello legislativo con “l’introduzione … di uno strumento di giustiziabilità … analogo a quello già previsto per le delibere relative ai piani di riequilibrio” con ciò “ponendo anche termine alle incertezze che attualmente è dato riscontrare in tale settore riguardo al riparto di competenze tra organi giurisdizionali di diverso ordine”. 8 Il comma 1 dell’art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000 prevede infatti, nell’ultimo periodo, che la procedura per l’adozione del piano pluriennale di riequilibrio “non può essere iniziata qualora la sezione regionale della Corte dei Conti provveda, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, ad assegnare un termine per l'adozione delle misure correttive”, mentre il comma 3 del medesimo articolo prevede che il ricorso alla procedura per l’adozione del piano pluriennale di riequilibrio “sospende temporaneamente la possibilità per la Corte dei conti di assegnare, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, il termine per l'adozione delle misure correttive”. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 41 Il processo di attuazione del federalismo e la funzione di controllo 23. Al momento del varo della legge 42/2009 la Corte si era detta pronta ad accompagnare il processo arricchendo, con i risultati tratti dalla propria attività istituzionale, il quadro informativo necessario al monitoraggio e alla gestione della riforma. Ciò nella convinzione, che la Corte oggi riconferma, che uno dei capisaldi di questo impegnativo processo di ridisegno dei rapporti tra livelli di governo consiste in un adeguato e affidabile quadro informativo da mettere a disposizione delle amministrazioni e dei cittadini. Il percorso fatto finora, e richiamato brevemente pochi giorni fa in occasione della inaugurazione dell’anno giudiziario 2014, è la riprova di tale impegno. E’ un percorso reso più impegnativo dalla crisi finanziaria intervenuta nella fase di attuazione, ma che dà conto dello sforzo operato (a parità di risorse) per accompagnare il processo ancora in corso. Negli ultimi anni, l’adeguamento delle modalità operative delle Sezioni regionali ha consentito di far fronte alle nuove forme di controllo che ci sono state affidate. Per quanto riguarda le Regioni, ciò ha condotto ad attuare, nella quasi totalità del territorio, i giudizi di parificazione e a predisporre le relazioni sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali. Si è così avviato un lavoro d’analisi destinato ad arricchire le conoscenze dei Consigli regionali al fine di garantire l’effettivo coordinamento della finanza pubblica e il rispetto del principio del pareggio di bilancio sancito dal novellato art. 81 della Costituzione. Una attività a cui vanno ad aggiungersi quelle volte alla predisposizione delle delibere sui bilanci preventivi e sui rendiconti delle Regioni, nonché sui rendiconti dei gruppi consiliari. In sanità, le analisi da sempre svolte sono state arricchite per affrontare aspetti riguardanti la rappresentazione dei flussi finanziari delle risorse destinate al settore, nonché le relazioni finanziarie fra il bilancio regionale e quelli delle aziende sanitarie. Con ciò si è mirato a verificare la corretta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al Servizio sanitario regionale nel rendiconto della regione e l’attuazione delle disposizioni sulla gestione accentrata (d.lgs. 118/2011 in materia di armonizzazione dei conti pubblici). 42 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Per gli Enti locali, alle attività basate, come negli anni precedenti, sulla funzione di controllo di regolarità contabile sui bilanci e sui rendiconti, si sono aggiunte quelle connesse ai piani di riequilibrio pluriennali (ex art. 243-bis e ss. del T.u.e.l), nonché le deliberazioni in materia di c.d. dissesto guidato (ex art. 6, co. 2, del d.lgs. 149/2011). Per ciascuna Sezione regionale di controllo è stato così possibile eseguire, su tutti gli enti della regione, un monitoraggio sull’intero ciclo di bilancio, così da constatare e valutare, in sede di analisi dei rendiconti, le misure adottate da ciascun ente per ovviare alle irregolarità, ai rischi o alle disfunzioni eventualmente segnalati nell’esame del bilancio preventivo. Le incertezze connesse al quadro normativo e le ripetute misure destinate ad incidere sulla gestione delle amministrazioni locali hanno poi accresciuto il ruolo della funzione consultiva. Essa mira a prevenire e, in un certo senso, ad anticipare le problematiche che sono destinate a emergere nell’applicazione della legislazione finanziaria di interesse regionale e locale. La gestione del personale, le società e gli organismi partecipati, le trasformazioni di consorzi, società e aziende speciali, i vincoli all’indebitamento e al ricorso agli strumenti finanziari, le operazioni di partnership tra pubblico e privato, gli affidamenti e contratti pubblici sono i temi su cui più frequente è stata la richiesta di confronto da parte delle amministrazioni decentrate. Una attività divenuta via via sempre più impegnativa a cui nel 2013 si è aggiunti quella relativa all’attuazione del DL 174/2012. L’organizzazione in articolazioni territoriali dell’Istituto e il collegamento con i controlli interni hanno permesso di svolgere l’esame di realtà amministrative molto differenziate, assicurando nel contempo la ricomposizione unitaria attraverso le analisi e le valutazioni svolte a livello centrale. Inoltre, per ricondurre l’attività ad una necessaria omogeneità, la Sezione delle Autonomie ha adottato pronunciamenti di orientamento univoco e generale. Alle Sezioni riunite in speciale composizione sono dovute, più di recente, le pronunce sulle controversie concernenti l’impugnazione delle delibere di approvazione o di diniego del piano di riequilibrio. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 43 In conclusione, con l’avvio del federalismo fiscale l’attività di controllo sulla gestione, ancor più di quanto fatto fino ad ora, dovrà consentire una verifica attenta e tempestiva, oltre che dell’efficacia ed efficienza dell’operare delle amministrazioni locali, anche della rispondenza dei servizi resi al modello di prestazioni essenziali costituzionalmente garantite. Per trasmettere al meglio i suoi effetti positivi, un sistema basato su maggiore corrispondenza tra responsabilità di entrata e di spesa deve consentire ai cittadini di avere una chiara percezione del rapporto esistente tra prelievo fiscale e servizi ottenuti. A questo fine deve essere orientato l’esame della gestione delle entrate a livello regionale e locale, con ciò consentendo di indurre, come insegnano esperienze di altri paesi, efficaci processi di emulazione e di miglioramento delle gestioni, che è il fondamento del nuovo sistema federale. Ma non solo. Il ruolo che nel nuovo disegno è riservato alla perequazione (indispensabile soprattutto a ragione del forte dualismo del Paese) attribuisce alle verifiche di regolarità contabile delle gestioni svolte dalla Corte un compito cruciale per la funzionalità e la sostenibilità del sistema. Un compito che intendiamo assolvere con rinnovato impegno. 44 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Riquadri Riquadro 1 – Problematiche concernenti la riscossione nei Comuni La gestione dei servizi di riscossione dei tributi e delle altre entrate dei comuni si caratterizza per svariate problematiche, anche a causa di un quadro legislativo mutevole e incerto. Attualmente i comuni hanno la possibilità di accedere a diverse modalità di gestione dei servizi di riscossione, sia per quanto riguarda la riscossione spontanea, che per quanto riguarda quella coattiva. Essi, infatti, possono: a) avvalersi di Equitalia; b) conferire l’incarico ad un concessionario di cui all’art. 53 del d.lgs. 446 del 1997; c) provvedere alla riscossione diretta; d) provvedere alla riscossione diretta affidando all’esterno i servizi di supporto; e) avvalersi di una società in house; f) condividere un ufficio ad hoc costituito da più comuni tra loro associati. La scelta tra i diversi modelli da parte dei comuni si presenta complessa a causa dei molteplici fattori che condizionano le scelte degli enti e, non ultima, a causa dell’incertezza degli scenari delineati sul piano normativo. Per quanto concerne il coinvolgimento di Equitalia nella riscossione degli Enti locali, va ricordato che la legislazione in vigore avrebbe rinunciato a tale eventualità per il futuro. Infatti, in base all’art. 7, comma 2, lettera gg-ter), del DL 70 del 2011, a decorrere dal 31 dicembre 2012 Equitalia S.p.A., le società per azioni dalla stessa partecipate e la società Riscossione Sicilia S.p.A. avrebbero dovuto cessare dall’effettuare attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate. L’entrata in vigore di tale disposizione è stata differita con l’art. 10, comma 2-ter, del DL n. 35 del 2013, dapprima al 31 dicembre 2013 e, successivamente, per effetto delle ulteriori modifiche apportate dall’art. 1, comma 610, della legge n. 147 del 2013, al 31 dicembre 2014. Tuttavia, va tenuto presente che il disegno di legge delega al Governo, recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, approvato in via definitiva pochi giorni fa, prevede, all’art. 109, un complesso di disposizioni per il riordino della 9 Art. 10, … “c) riordino della disciplina della riscossione delle entrate degli enti locali, nel rispetto della loro autonomia, al fine di: 1) assicurare certezza, efficienza ed efficacia nell’esercizio dei poteri di riscossione, rivedendo la normativa vigente e coordinandola in un testo unico di riferimento che recepisca, attraverso la revisione della disciplina dell’ingiunzione di pagamento prevista dal testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, le procedure e gli istituti previsti per la gestione dei ruoli di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, adattandoli alle peculiarità della riscossione locale; 2) prevedere gli adattamenti e le innovazioni normative e procedurali più idonei ad assicurare la semplificazione delle procedure di recupero dei crediti di modesta entità, nonché dispositivi, adottabili facoltativamente dagli enti locali, di definizione agevolata dei crediti già avviati alla riscossione coattiva, con particolare riguardo ai crediti di minore entità unitaria; 3) assicurare competitività, certezza e trasparenza nei casi di esternalizzazione delle funzioni in materia di accertamento e di riscossione, nonché adeguati strumenti di garanzia dell’effettività e della tempestività dell’acquisizione diretta da parte degli enti locali delle entrate riscosse, attraverso la revisione dei requisiti per l’iscrizione all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, l’emanazione di linee guida per la redazione di capitolati di gara e per la formulazione dei contratti di affidamento o di servizio, l’introduzione di adeguati strumenti di controllo, anche ispettivo, la pubblicizzazione, anche online, dei contratti stipulati e l’allineamento degli oneri e dei costi in una misura massima stabilita con riferimento all’articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, e successive modificazioni, o con riferimento ad altro congruo parametro; 4) prevedere l’affidamento dei predetti servizi nel rispetto della normativa europea, nonché l’adeguata valorizzazione e messa a disposizione delle autonomie locali delle competenze tecniche, organizzative e specialistiche in materia di entrate degli enti locali accumulate presso le società iscritte all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, nonché presso le aziende del gruppo Equitalia, anche attraverso un riassetto organizzativo del gruppo stesso che tenda ad una razionale riallocazione delle risorse umane a disposizione; 5) definire, anche con il coinvolgimento dei comuni e delle regioni, un quadro di iniziative volto a rafforzare, in termini organizzativi, all’interno degli enti locali, le strutture e le competenze specialistiche utili ad accrescere le capacità complessive di gestione dei propri tributi, nonché di accertamento e recupero delle somme evase; individuare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, idonee iniziative per rafforzare all’interno degli enti locali le strutture e le competenze specialistiche necessarie per la gestione diretta della riscossione, ovvero per il controllo delle strutture esterne affidatarie, anche CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 47 riscossione delle entrate degli Enti locali tra le quali è contemplato nuovamente il coinvolgimento di Equitalia nella gestione della riscossione degli Enti locali. Si tratta, pertanto, di una materia tutt’altro che stabilizzata e definita, che in questa sede non è possibile trattare in modo organico e compiuto. Può essere, tuttavia, utile soffermarsi su alcune problematiche che presentano una specifica rilevanza. L’anomala formazione di residui attivi nei conti dei comuni Sul piano generale non può essere ignorato come la scelta di avvalersi del sistema di riscossione mediante ruoli abbia consentito a una parte dei comuni comportamenti non in linea con i principi che devono caratterizzare la gestione contabile, quando essi hanno accertato le entrate tributarie ed extra tributarie in misura corrispondente all’ammontare dei ruoli emessi, senza tener conto della non riscuotibilità prevedibile di una parte delle somme iscritte a ruolo. Ciò ha determinato la formazione di ingenti residui attivi nei rendiconti degli enti, residui cui solo in parte ha posto argine l’istituzione obbligatoria, a decorrere dall’esercizio 2012, di un fondo svalutazione crediti non inferiore al 25 per cento dei residui attivi di cui ai titoli I e III dell’entrata, aventi anzianità superiore a 5 anni (art. 6, comma 17, DL n. 95 del 2012). Alcuni enti, invece, prudentemente hanno preferito, almeno fino all’adozione dei nuovi principi contabili, far coincidere il momento dell’accertamento dell’entrata con quello dell’effettiva riscossione. Altri enti ancora, più ortodossi sul piano delle regole contabili, hanno provveduto, contestualmente alla consegna dei ruoli all’agente della riscossione, alla creazione di un fondo svalutazione crediti. Tale fondo, calcolato sulla media della riscossione degli ultimi cinque anni, per un ammontare, cioè, congruo in relazione alla prevedibile inesigibilità che sarà constatata all’esito della procedura di riscossione coattiva, è ora espressamente previsto dai principi contabili10. Anche tale metodo, tuttavia, contabilmente corretto, non appare del tutto scevro da inconvenienti, almeno in termini di significato attribuito al maggiore avanzo di amministrazione che esso determina, potendo ingenerare nel dibattito politico e nei cittadini il convincimento errato di un prelievo eccessivo in rapporto alle esigenze di spesa dell’ente. Pur non essendo disponibili dati analitici in ordine all’ammontare dei residui attivi connessi a ruoli formati dai comuni in carico agli agenti della riscossione del Gruppo Equitalia, va tenuto presente che al 30 aprile 2013 il carico residuo, al netto delle sospensioni e dei ruoli emessi nei confronti di soggetti già falliti al momento dell’iscrizione, era di 13,5 miliardi di euro11. E’, definendo le modalità e i tempi per la gestione associata di tali funzioni; riordinare la disciplina delle aziende pubbliche locali preposte alla riscossione e alla gestione delle entrate in regime di affidamento diretto; 6) assoggettare le attività di riscossione coattiva a regole pubblicistiche, a garanzia dei contribuenti, prevedendo, in particolare, che gli enti locali possano riscuotere i tributi e le altre entrate con lo strumento del ruolo in forma diretta o con società interamente partecipate ovvero avvalendosi, in via transitoria e nelle more della riorganizzazione interna degli enti stessi, delle società del gruppo Equitalia, subordinatamente alla trasmissione a queste ultime di informazioni idonee all’identificazione della natura e delle ragioni del credito, con la relativa documentazione; 7) prevedere un codice deontologico dei soggetti affidatari dei servizi di riscossione e degli ufficiali della riscossione, da adottare con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze; 8) prevedere specifiche cause di incompatibilità per i rappresentanti legali, amministratori o componenti degli organi di controllo interni dei soggetti affidatari dei servizi”. 10 Cfr. Il dPCM 28 dicembre 2011, concernente la sperimentazione della disciplina concernente i sistemi contabili e gli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro enti ed organismi, di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 - Allegato n. 2 - Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria - punto 3.3. 11 Dato desumibile dalla Tabella 1 fornita dal Governo in sede di risposta all’interrogazione a risposta immediata in Commissione presentata dall’On.le E. Zanetti il 2 luglio 2013 (cfr. Bollettino Commissione VI dell’11 luglio 2013, pag. 122). 48 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo pertanto, lecito presumere che una parte non irrilevante di enti comunali continui a conservare tra i propri residui attivi ingenti partite ormai da considerare nella sostanza non riscuotibili, sebbene ancora formalmente non dichiarate inesigibili. Proprio in relazione all’esistenza di tali situazioni, per gli enti in sperimentazione dei nuovi principi contabili era stato previsto, con l’art. 1 del DL 126 del 2013, non convertito, che “l'eventuale disavanzo di amministrazione derivante dal riaccertamento straordinario dei residui di cui di cui all'articolo 14 del dPCM 28 dicembre 2011 e dal primo accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità” fosse ripianato in non più di dieci anni. Della materia si occupa ora lo schema di decreto legislativo correttivo del d.lgs. n. 118 del 2011, il quale, nel sostituire l’art. 3 del citato d.lgs. 118, stabilisce che “le modalità e i tempi di copertura dell’eventuale maggiore disavanzo al 1° gennaio 2015 rispetto al risultato di amministrazione al 31 dicembre 2014, derivante dall’adeguamento dei “residui attivi e passivi risultanti al 1° gennaio 2015 al principio generale della competenza finanziaria” sono definiti con dPCM (comma 15 del nuovo art. 3), prevedendo che, nelle more dell’emanazione del suddetto dPCM, l’eventuale maggiore disavanzo sia ripianato per una quota pari almeno al 15 per cento l’anno nei primi tre anni a decorrere dal 2015 (comma 16 del nuovo testo dell’art. 3). La gestione delle quote inesigibili Un altro elemento di criticità nella gestione delle entrate delle amministrazioni comunali è costituito dal controllo delle quote inesigibili. Ai sensi dell’articolo 19 del d.lgs. n. 112 del 1999, l’agente della riscossione è tenuto a trasmettere, con specifiche modalità, la comunicazione di inesigibilità entro il terzo anno successivo alla consegna del ruolo. Si tratta di un termine che è stato ripetutamente prorogato, da ultimo con l’art. 1, comma 350, della legge n. 228 del 2012, fino al 31 dicembre 2014. Tutto ciò ha determinato un sistematico slittamento dei termini entro i quali avrebbero dovuto effettuarsi i controlli da parte dei comuni e, in assenza di rilievi sull’operato dell’agente, si sarebbe dovuto procedere all’accertamento dell’inesigibilità e, come si è già accennato, alla conseguente cancellazione dell’eventuale residuo attivo ancora iscritto. La procedura prevede, infatti, che dopo il decorso di tre anni dalla comunicazione di inesigibilità, l’agente della riscossione sia automaticamente discaricato. Sulla base della normativa in vigore, il termine iniziale del triennio entro il quale effettuare i controlli relativamente ai ruoli consegnati anteriormente al 2012 dovrebbe decorrere dal 1° gennaio 2015, anche se non appare chiaro quali effetti, ai fini della decorrenza del periodo entro il quale devono essere effettuati i controlli, debbano essere attribuiti alle comunicazioni presentate prima del termine più volte prorogato, ma dopo un triennio dalla consegna del ruolo. Quanto al tipo di controlli sull’operato dell’agente delle riscossione che l’ente titolare del credito è tenuto ad effettuare, occorre distinguere quelli che riguardano gli aspetti essenzialmente procedurali, previsti nel comma 2 dell’art. 19 citato (mancata tempestiva notificazione della cartella, mancata comunicazione annuale dello stato delle procedure, mancata tempestiva comunicazione della inesigibilità, ecc.) da quelli, di carattere sostanziale, di cui alla previsione del comma 4 dello stesso art. 19, che dà la possibilità all’ente impositore di segnalare l’esistenza di nuovi beni da sottoporre ad esecuzione o di indicare la possibilità di nuove azioni a tutela del creditore. E’ indubitabile come la complessità della materia e i continui rinvii delle procedure costituiranno un notevole ostacolo alla corretta gestione delle comunicazioni di inesigibilità CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 49 negli anni a venire per enti spesso carenti di personale specializzato nella specifica attività e gravato da rilevanti carichi di lavoro. La mancata rilevazione degli oneri connessi alle quote inesigibili Un ulteriore aspetto di notevole rilievo della riscossione tramite ruolo è quello della tempestività con la quale, in caso di inesigibilità, sono rilevati nella contabilità dei comuni gli importi dovuti all’agente della riscossione per lo svolgimento delle singole procedure. Infatti, ai sensi dell’art. 17, comma 6, del d.lgs. n. 112 del 1999, “All’agente della riscossione spetta, altresì, il rimborso degli specifici oneri connessi allo svolgimento delle singole procedure…”, rimborso che è a carico dell’ente creditore “se il ruolo viene annullato per effetto di provvedimento di sgravio o in caso di inesigibilità”. Le tipologie delle spese oggetto di rimborso e la misura del rimborso, nonché le relative modalità di erogazione sono state determinate con decreto del Ministero delle finanze del 21 novembre 2000. In una logica di competenza economica si sarebbe potuto ritenere che, all’atto dell’emissione del ruolo, l’ente impositore dovesse rilevare, quale posta correttiva, l’ammontare delle spese che prevedibilmente dovrà essere rimborsato all’agente della riscossione, tenendo conto del trend di inesigibilità conosciuto e dell’entità delle spese mediamente dovute. Viceversa, in un sistema di contabilità finanziaria, quale quello adottato dagli Enti locali, e considerate le continue proroghe stabilite per la presentazione della comunicazione di inesigibilità, la generalità dei comuni non ha rilevato alcun onere per le spese da rimborsare all’agente della riscossione, restando sempre in attesa di avere formale notizia della inesigibilità e della richiesta di rimborso delle spese. Si tratta, pertanto, di un problema che assumerà non trascurabile rilievo, all’approssimarsi del termine stabilito per l’esame delle quote inesigibili (31 dicembre 2018). In proposito va, comunque, ricordato che il comma 6-bis dell’art. 19 del d.lgs. 112 del 1999, aggiunto dall’art. 23, comma 32, lett. b), del DL 98 del 2011, stabilisce che “Il rimborso delle spese di cui al comma 6, lett. a), maturate nel corso di ciascun anno solare e richiesto entro il 30 marzo dell’anno successivo, è erogato entro il 30 giugno dello stesso anno. In caso di mancata erogazione, l’agente della riscossione è autorizzato a compensare il relativo importo con le somme da riversare”. Da quanto risulta, le prime richieste di rimborso sono arrivate ai comuni nel marzo del 2013 con riferimento agli anni 2011 e 2012. Scelte organizzative per la riscossione spontanea e per quella coattiva Pur non disponendo di dati generali, si può ritenere che per l’attività di riscossione spontanea che si sostanzia per lo più nell’emissione di avvisi di pagamento o di altre comunicazioni - si stia progressivamente affermando il modello della gestione diretta, spesso supportata da un partner esterno per le lavorazioni massive. Ciò in considerazione della progressiva riduzione dei costi che le amministrazioni stanno realizzando, anche grazie all’uso dell’informatica e della telematica. Naturalmente le scelte organizzative delle amministrazioni sono fortemente condizionate, oltre che da fattori esterni, quali la disponibilità di soggetti abilitati al servizio, da fattori organizzativi interni, soprattutto connessi alla presenza di personale idoneo allo svolgimento del servizio e all’esistenza di limitazioni normative alla possibilità di costituire nuove società. Per quanto attiene alla riscossione coattiva, essa è stata finora prevalentemente affidata ad Equitalia, almeno per quanto concerne i tributi immobiliari e la TARSU (dove non sostituita 50 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo dalla tariffa); numerosi sono pure i casi di affidamento del servizio di riscossione ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 446 del 1997, in particolare per i tributi collegati alle attività produttive. La tendenza a gestire direttamente anche la riscossione coattiva era stata in passato ostacolata dalle diverse modalità procedurali utilizzabili. In proposito va ricordato che l’evoluzione del quadro normativo (art. 7, comma 2, del DL n. 70 del 2011 e successive modificazioni) ha riconosciuto ai comuni che effettuano direttamente la riscossione coattiva delle proprie entrate la possibilità di avvalersi dell’ingiunzione di cui al testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, nella forma c.d. “rafforzata”, che consente l’utilizzazione, in quanto compatibili, di alcuni istituti previsti dal Titolo II del dPR n. 602 del 1973 per la riscossione coattiva tramite ruolo: ordine di pagamento diretto al terzo (art. 72-bis); dichiarazione stragiudiziale (art. 75-bis); ipoteca sugli immobili (art. 77); fermo amministrativo (art. 86). Una delle principali difficoltà che incontrano attualmente i comuni che intendono avvalersi della riscossione coattiva mediante ingiunzione di pagamento è costituita dall’indisponibilità di ufficiali di riscossione, a causa del mancato espletamento dei relativi concorsi (l’ultimo è stato nel 2002). Ciò costringe gli enti a ricercare partner esterni dotati della richiesta professionalità. Naturalmente, come si è rilevato all’inizio, tutta la materia è tuttora oggetto di ampia riconsiderazione nell’ambito del disegno di legge delega all’esame del Parlamento, che sembra delineare scelte in parte contrastanti con il quadro normativo in vigore. La Corte non può, tuttavia, esimersi dal rilevare con preoccupazione, come ha già fatto in passato12, il progressivo indebolimento degli strumenti di riscossione coattiva dei crediti erariali, indebolimento che non può non riflettersi anche sull’efficacia e sulla tempestività della riscossione coattiva riguardante i crediti tributari ed extra tributari delle amministrazioni locali. 12 Si richiama, in particolare, il paragrafo sull’evasione da riscossione contenuto nel documento recante considerazioni in merito alle strategie e agli strumenti per il contrasto dell’evasione fiscale, predisposto in occasione dell’audizione del Presidente della Corte presso le Commissioni Bilancio (V) e Finanze (VI) della Camera dei Deputati svoltasi il 19 giugno 2013 (pagg. 15-16). CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 51 Riquadro 2 - Società e organismi partecipati dalle amministrazioni locali In questi anni le misure assunte per riportare il fenomeno degli organismi e delle aziende partecipate dalle amministrazioni territoriali entro confini più coerenti con un assetto efficiente e concorrenziale non hanno ottenuto i risultati desiderati. Si tratta di un fenomeno di dimensioni ragguardevoli che incide sulla leggibilità dei risultati contabili e la confrontabilità delle scelte gestionali, in tal modo alterando la dimensione effettiva delle risorse gestite e, quindi, sulla funzionalità dei meccanismi perequativi. Esso condiziona anche la tenuta degli obiettivi economici e la verifica del contributo degli enti agli obiettivi nazionali. L’estensione delle analisi sui fabbisogni standard anche a tali forme organizzative non elimina completamente il velo che rende in alcuni casi meno intelligibile il risultato ottenuto con queste forme gestionali. La scelta assunta di recente di rinunciare, nella sostanza, ad un consolidamento di tali forme organizzative nei conti dell’ente anche per la verifica nel Patto di stabilità interno, richiede una attenta valutazione. Il nuovo impianto normativo dettato dalla legge di stabilità per il 2014 sembra modificare l’orientamento finora seguito: vengono infatti ridimensionati gli obiettivi di dismissione13 assunti in precedenza, come pure i tentativi di estendere alle società partecipate i vincoli del Patto14, privilegiando, invece, la strada della responsabilità e dell’autonomia decisionale dell’ente e dell’autonomia operativa della società. La nuova impostazione sembra prendere le mosse dalla consapevolezza che percorsi di forte riduzione del perimetro delle partecipazioni locali non potrebbero produrre di per sé i risultati attesi in termini di razionalizzazione delle strutture e contenimento della spesa, se non fossero risolti nel contempo nodi cruciali come quello del riassorbimento delle perdite, degli esuberi occupazionali e del debito. Società con perdite croniche, sovradimensionate nel personale e con un debito insostenibile, non troverebbero infatti acquirenti sul mercato, né potrebbero essere liquidate se non mettendo a rischio le realtà economiche locali. In particolare, il problema delle perdite riguarda circa il 33 per cento delle società partecipate da Comuni e Province, e nel 12 per cento dei casi la perdita è reiterata nell’ultimo triennio. Di 3.949 società rilevate dalla Corte di conti nel 2012, 469 hanno chiuso con segno negativo consecutivamente nel triennio, con un valore complessivo medio di 652,6 milioni di perdita. Nelle società di servizi pubblici locali (acqua e rifiuti, energia e gas, trasporti) si è concentrato il 64,6 per cento del valore totale delle perdite croniche del 2012 (625,9 milioni), così distribuito: 2,9 per cento nel settore energia e gas, 18,3 nel settore acqua e rifiuti, 43,2 nel settore trasporti. Va tenuto presente che su quest’ultimo settore ricade il risultato d’esercizio negativo dell’Azienda romana per la mobilità (ATAC) che nel solo 2011 ha rappresentato il 28,6 per cento del totale delle perdite croniche su scala nazionale (179,2 milioni). Con riferimento alle 13 Assoggettate alle regole del Patto sono, al momento, solo le aziende speciali e le istituzioni. A distanza di oltre un anno dalla modifica apportata al TUEL (art. 114, c. 5-bis) non sono ancora state definite le modalità attuative del vincolo. Mentre risultano avviate alcune sperimentazioni a livello locale come ad esempio nella regione Basilicata che con la LR n. 33/2010 ha disciplinato il concorso del sistema degli enti strumentali, delle aziende ed altri organismi sottoposti a vigilanza e tutela della Regione alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica regionale per il periodo 2011-2013. 14 La scelta di privatizzare o liquidare società partecipate risulta definitivamente abbandonata solo per le società di servizi pubblici locali. Infatti, l’obbligo di liquidazione è mantenuto per le società strumentali (oltre che per aziende speciali e istituzioni) a decorrere dal 2017, ma in caso di risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti. Mentre obblighi assoluti di dismissione sono rimasti solo per le società non inerenti agli scopi istituzionali di cui si dispone la proroga di quattro mesi (in verità quando ormai erano scaduti i termini dal dicembre 2010) fino alla fine di aprile 2014. 52 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo società che più frequentemente chiudono in perdita, e su cui l’intervento di razionalizzazione è più urgente, va considerato che il 77 per cento è rappresentato da società strumentali. La scelta strategica recentemente adottata appare quella di responsabilizzare l’ente locale in un percorso di risanamento delle sue società, strumenti individuati dalle amministrazioni per svolgere in forma economicamente più vantaggiosa ed efficiente funzioni e servizi che rimangono loro intestati. L’ente locale, infatti, dovrà costituire un accantonamento in un apposito fondo vincolato le cui modalità di quantificazione sono diverse a seconda che si tratti di performance negative ma che migliorano nel tempo, con risultato medio negativo del triennio 2011-2013 peggiore rispetto al risultato negativo dell’esercizio 2014 e successivi (comma 552, lett. a), e performance negative che peggiorano nel tempo, in cui, viceversa, il risultato 2014 è più negativo di quello medio del triennio 2011-2013. Il mancato conseguimento di tale obiettivo produce per l’ente partecipante conseguenze che potranno rivelarsi anche particolarmente onerose, con intuibili pesanti ricadute sia sulla fiscalità generale che sulla collettività di riferimento, la quale oltre al peso del risanamento, dovrà anche rinunciare alla quantità e qualità di servizi finanziabili con i fondi vincolati. Sempre in un’ottica di maggiore responsabilità di controllo dell’ente è previsto che sia quest’ultimo a governare direttamente anche il contenimento della spesa di personale delle società controllate, delle aziende e delle istituzioni e sono state conseguentemente abrogate le norme che imponevano dei limiti generalizzati per legge (commi 10 e 11 dell’art. 4 del DL 95/2012). Gli Enti locali dovranno altresì governare le procedure di mobilità (ora previste anche per le società controllate direttamente o indirettamente da pubbliche amministrazioni) attraverso la definizione di piani industriali di razionalizzazione di spesa e di risanamento che, con riguardo ai servizi pubblici locali, dovranno avere a riferimento non singole società, ma interi settori economici. Dovranno costituire strumenti di realizzazione di forme di gestione per ambiti territoriali ottimali, da tempo obbligatorie, tali da garantire dimensioni adeguate, economie di scala e massimizzazione di efficienza, anche in relazione agli standard di costo e di servizio applicati. Le disposizioni sulla mobilità possono interessare un numero molto elevato di lavoratori. Con esclusivo riguardo alle controllate da Enti locali, le rilevazioni effettuate dalla Corte nel 2012 hanno evidenziato 2653 società con partecipazione pubblica superiore al 50 per cento, presso le quali prestano servizio 241.727 unità di personale. La distribuzione del personale vede una concentrazione molto alta nel settore dei trasporti e rilevante in quello idrico e rifiuti, settori tipicamente labour intensive: il numero medio di unità di personale presso ciascuna società di trasporti controllata è di 391 e di 118 nel settore idrico e rifiuti; molto più basso il numero di occupati nel settore energia e gas, pari, in media, a 46 unità per ciascuna società e a 64 unità in settori diversi dai SPL. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 53 Riquadro 3 - Il patto di stabilità interno ed i principi del federalismo Un ruolo non secondario nel nuovo impianto federalista delineato della legge 42/2009 veniva affidato al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, naturale quindi il riferimento al Patto di stabilità interno quale strumento privilegiato di coordinamento dinamico della finanza pubblica. A distanza di quattro anni dall'entrata in vigore della legge, non è ancora stata avviata una riforma in senso federalista del patto, sottoposto invece ad una serie continua di micro interventi di revisione che non sempre hanno seguito la direzione tracciata dal legislatore del 2009. Tre aspetti vanno sottolineati, ad avviso della Corte La regionalizzazione del Patto La legge 42 apre a questa nuova prospettiva (art. 12, c. 1, lettera l) e art. 17, c. 1, lettera e)) resa poi operativa a partire dalla legge di stabilità per il 2011. Come emerso sin dalle prime sperimentazioni regionali, la differenziazione e flessibilizzazione territoriale degli obiettivi ben si inquadra nella cornice federalista, consentendo di sfruttare al meglio tutte le potenzialità finanziarie di un territorio e di soddisfare, nel contempo, i diversi fabbisogni di spesa degli enti ivi localizzati. Tuttavia proprio le differenti condizioni finanziarie delle Regioni hanno fatto emergere la necessità di interventi correttivi da gestire a livello nazionale per evitare che l'appartenenza degli Enti locali ad alcuni territori piuttosto che ad altri potesse costituire una condizione di svantaggio. Ne sono un esempio l'introduzione del patto nazionale orizzontale (art. 4-ter del DL 16/2012) e del patto nazionale verticale (legge di stabilità per il 2014, art. 1, c. 542), come pure la centralizzazione della distribuzione dei maggiori spazi finanziari da concedere per spese in conto capitale per il 2014. La via della regionalizzazione non può comunque essere abbandonata poiché costituisce giusto il paradigma della procedura di accesso all'indebitamento dei singoli enti prevista dalla legge n. 243/2012: la legge rinforzata infatti, al fine di garantire l'equilibrio complessivo a livello territoriale, promuove l'intesa tra tutti gli enti territoriali della regione per lo scambio di spazi finalizzati a spesa di investimento finanziata in debito. I principi di virtuosità e premialità Tali principi sono richiamati più volte nella legge 42. Nel percorso attuativo sono emerse, tuttavia, alcune difficoltà: numerosi sono stati i rinvii e le sospensioni; ma, soprattutto, particolare difficoltà ha incontrato la individuazione di contenuti univoci e stabili che dessero sostanza ai principi stessi. Nell'ultima versione del Patto i meccanismi di premialità - costruiti non senza fatica con il DL 98/2011 e con la legge 220/2010 - sembrano essere stati definitivamente sacrificati per rendere più sostenibili gli obiettivi di tutti gli enti ed in particolare di quelli maggiormente in difficoltà: si pensi alla copertura della clausola di salvaguardia introdotta per evitare che ci siano enti con obiettivi di saldo peggiorati di oltre il 15 per cento rispetto al previgente metodo di calcolo, alla destinazione degli effetti finanziari derivanti dall'applicazione delle sanzioni per mancato rispetto del Patto per la riduzione dell'obiettivo di saldo degli stessi enti inadempienti e, sempre a titolo esemplificativo, alla sospensione del meccanismo della virtuosità al fine di incentivare gli enti partecipanti alla sperimentazione dei nuovi sistemi contabili. 54 Audizioni 2014 CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Il superamento del riferimento alla spesa storica I molteplici interventi di manutenzione della regola fiscale sono stati caratterizzati da esigenze contingenti: correggere effetti anomali e distorsivi conseguenti all'adozione di un metodo standard per tutti gli enti territoriali, ovvero rendere coerente lo strumento con i sempre più stringenti obiettivi di finanza pubblica. Nell'attesa, quindi, della individuazione di un "nuovo patto di stabilità interno fondato, nel rispetto dei principi del federalismo fiscale, sui saldi, sulla virtuosità degli enti e sulla riferibilità delle regole a criteri europei" (art. 20 DL 98/2011), il meccanismo di calcolo dei saldi obiettivo continua a rimanere legato al criterio della spesa storica, anche se uno degli assi portanti della riforma del 2009 era proprio nel superamento di tale parametro. Di fatto la regola fiscale ancorata tuttora agli impegni effettivamente sostenuti non è riuscita ad innescare un processo diffuso di revisione strutturale e di efficientamento della spesa. Ne è dimostrazione l'andamento crescente della spesa corrente nel triennio 2009-2011 (nuova base di calcolo per il patto 2014) registrato da molte realtà comunali a fronte di obiettivi di Patto che nello stesso arco temporale risultavano sempre più ambiziosi. CORTE DEI CONTI Sezioni riunite in sede di controllo Audizioni 2014 55
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