CORSO DI PREPARAZIONE AL CONCORSO FUNZIONARIO MEF

CORSO DI PREPARAZIONE AL CONCORSO
FUNZIONARIO MEF 2014
La suddetta dispensa didattica è composta da materiali riservati e protetti a norma della
Legge 22 aprile 1941 n. 633.
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AVVERTENZE
La presente dispensa di studio ha valenza meramente dimostrativa ed indica nel
sommario alcuni argomenti che verranno trattati nelle successive dispense di
studio.
Ogni dispensa di studio si comporrà di una parte teorica dove verranno trattati gli
istituti ed una parte pratica dove verrà trattato lo svolgimento delle due prove del
concorso.
Si inizierà con il diritto amministrativo, civile e commerciale poi nella seconda
parte del corso si tratterà il diritto del lavoro, il diritto tributario ed il diritto
internazionale/comunitario.
SOMMARIO
AREA DIRITTO COMUNITARIO
1) I criteri di risoluzione delle antinomie: abrogazione, annullamento e disapplicazione di
norme giuridiche, anche con riferimento al rapporto tra norme interne e norme comunitarie
nel sistema delle fonti del diritto.
2) L’atto amministrativo anticomunitario
3) Il principio di leale collaborazione.
AREA DIRITTO AMMINISTRATIVO
1. L’annullamento degli atti amministrativi alla luce delle recenti riforme legislative: in
particolare si consideri il rapporto tra le ipotesi previste ai sensi dell’articolo 1, comma 136
della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) e dell’articolo 21-nonies della
legge 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15
2. Annullamento giurisdizionale e d’ufficio dell’aggiudicazione e sorte del contratto
3. Revoca del provvedimento e responsabilità precontrattuale
4. La nozione di ente appaltante con particolare riferimento alla differenza tra organismo di diritto
pubblico e società pubblica
5. Il danno all'immagine della p.a.
6. Premessi brevi cenni sulla responsabilità civile della pubblica amministrazione, illustri il
candidato i profili attinenti l’elemento soggettivo della colpa
7. Il fondamento del potere normativo della p.a. e le forme di tutela esperibili avverso l’abnorme
manifestazione di tale potere.
8. Procedimento disciplinare e rapporto di gerarchia nel T.U.P.I.
9. Le centrali di committenza pubbliche.
10. La responsabilità da performance nel pubblico impiego.
AREA DIRITTO TRIBUTARIO
1. Il principio di affidamento in materia tributaria
2. Autotutela nel diritto tributario
3. Accertamento sintetico della capacità contributiva.
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AREA DIRITTO CIVILE
1.Sopravvenienze contrattuali ed equilibrio nei contratti a prestazioni corrispettive.
2.Inadempimento e clausola risolutiva espressa.
3. Tutela del consumatore nella contrattualistica.
4. Nullità del contratto per violazione di norme imperative.
PRESENTAZIONE
LE PROVE SCRITTE
Le due prove scritte saranno volte ad accertare la preparazione del candidato sia sotto il
profilo teorico, sia sotto quello applicativo-operativo, e si svolgeranno in due diversi giorni.
Le due prove scritte avranno ad oggetto argomenti afferenti alle seguenti aree di materie:
a. per il profilo giuridico:
i. diritto costituzionale e diritto amministrativo;
ii. diritto civile e commerciale;
iii. diritto del lavoro;
iv. diritto internazionale e comunitario;
v. diritto tributario.
LA PRIMA PROVA.
La prima prova in genere consiste nella stesura di un elaborato teorico (tema) anche eventualmente
interdisciplinare (potrebbe riguardare il diritto amministrativo e quello costituzionale, il diritto
amministrativo ed il diritto comunitario, il diritto amministrativo ed il diritto tributario).
Consigli utili: è necessario soddisfare le richieste poste dalla traccia con chiarezza espositiva e
sintesi argomentativa. Svolgere soltanto breve cenni sui profili teorici dell'istituto e poi soffermarsi
sugli aspetti specifici posti dalla traccia.
La traccia estratta al precedente concorso: "I trattati comunitari e la loro influenza
sull'ordinamento italiano e sull'organizzazione amministrativa nazionale. Analizzi il candidato
alcune delle possibili articolazioni della questione (a titolo meramente esemplificativo si segnalano:
la nozione di organismo di diritto pubblico, gli affidamenti in house, le autorità indipendenti".
Tale traccia presenta profili di interdisciplinarità coniugando il diritto comunitario con quello
amministrativo.
LA SECONDA PROVA
La seconda prova può consistere in una serie di quesiti a risposta sintetica,
Consigli utili: la soluzione deve avere un taglio giuridico-organizzativo, devono essere banditi
riferimenti dottrinali o teorici: si tratta di dare una risposta precisa su una questione concreta posta
dal dirigente dell'ufficio. E' necessario illustrare il quadro normativo e poi proporre una o più
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soluzioni motivate con qualche cenno (se possibile) a supporto della soluzione proposta
dell'opinione della giurisprudenza.
La traccia estratta al precedente concorso:
a)In qualità di neofunzionario assegnato all'ufficio acquisti, indichi il candidato i criteri per
procedere all'adempimento di un'obbligazione pecuniaria da parte della PA, le verifiche da
effettuare e gli effetti giuridici in caso di verificata inadempienza del creditore.
b)E' pervenuta alla direzione del personale una segnalazione che Caio, dipendente
dell'amministrazione finanziaria, ha svolto per 1 anno attività retribuita per una società privata.
Rediga il candidato un breve appunto sulla legittimità o meno di tale condotta e sulle eventuali
conseguenze.
ESEMPIO DI SVOLGIMENTO DELLA PRIMA PROVA
AREA DIRITTO AMMINISTRATIVO
Tema svolto
1. L’annullamento degli atti amministrativi alla luce delle recenti riforme legislative: in
particolare si consideri il rapporto tra le ipotesi previste ai sensi dell’articolo 1, comma 136
della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) e dell’articolo 21-nonies della
legge 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15
Schema preliminare di svolgimento della traccia
–
-L’istituto dell’annullamento degli atti amministrativi.
–
-Le peculiarità della disciplina introdotta in materia dalla L. n. 15/2005.
–
-La disciplina speciale introdotta dalla legge finanziaria del 2005.
Giurisprudenza
T.A.R. Torino, Piemonte sez. I, 13 ottobre 2011, n. 1096.
Non sussiste alcun obbligo per l'Amministrazione di pronunciarsi su un'istanza volta ad ottenere un
provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile ab extra l'attivazione del procedimento
di riesame della legittimità dell'atto amministrativo mediante l'istituto del silenzio-rifiuto e lo
strumento di tutela offerto dall'art. 21 bis, l. 7 agosto 1990, n. 241, atteso che il potere di autotutela
si esercita d' ufficio , e non su istanza di parte, e pertanto sulle eventuali istanze di parte, aventi
valore di mera sollecitazione, non sussiste alcun obbligo giuridico per l'Amministrazione di
provvedere.
TAR Lombardia, Milano, 20 luglio 2009, n. 4398
In materia di gare pubbliche, non può essere revocata in dubbio la sussistenza, in astratto, del potere
della P.A. di annullamento d’ufficio in autotutela dell’aggiudicazione, pur se in epoca successiva
alla stipulazione del contratto di appalto con l’aggiudicatario, persino quando siano in corso i lavori.
In tema di procedure di evidenza pubblica, non costituisce di per sé un ostacolo all’esercizio del
generale potere di riesame in un momento successivo alla conclusione del procedimento la
presenza, nel procedimento di aggiudicazione degli appalti pubblici, di strumenti tipici di verifica
immediata dell’attività compiuta dall’amministrazione, come, ad es., l’approvazione degli atti di
gara e l’eventuale controllo.
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, e non già in quella esclusiva del giudice
amministrativo, una controversia concernente l’impugnazione di un provvedimento con il quale la
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stazione appaltante, dopo aver annullato in autotutela e/o di ufficio l’aggiudicazione di una gara
pubblica, incide unilateralmente sul contratto nel frattempo stipulato, mediante un atto meramente
dichiarativo (della sopravvenuta inefficacia del contratto), sciogliendosi unilateralmente dal vincolo
negoziale, senza avvertire la necessità di una preventiva pronuncia costitutiva, in tal senso, da parte
del giudice; infatti, ogni questione sulla sorte del contratto a seguito dell’annullamento (nel caso di
specie, in autotutela) dell’aggiudicazione della procedura ad evidenza pubblica, è attualmente
devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario e sottratta alla giurisdizione, quantunque esclusiva,
del giudice amministrativo.
Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2010, n. 363
È illegittimo, per difetto di motivazione, il provvedimento di annullamento in autotutela di una
concessione edilizia, nel caso in cui la frustrazione dell’affidamento ingenerato in capo al
destinatario dell’atto di assenso edificatorio rilasciato, non risulta in alcun modo presa in
considerazione dall’Amministrazione, neanche in quelle ipotesi in cui nessuna situazione di
affidamento fosse da ponderarsi ai fini della necessaria comparazione dell’incisione delle posizioni
giuridico-soggettive in rilievo.
L’annullamento d’ufficio presuppone una congrua motivazione sull’interesse pubblico attuale e
concreto a sostegno dell’esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata
ponderazione comparativa, che consideri anche l’interesse dei destinatari dell’atto al mantenimento
delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal
comportamento seguito dall’amministrazione.
In materia di legittimo affidamento ingenerato nel destinatario del titolo abilitativo relativamente
all’esercizio del potere di autotutela da parte della P.A. occorre fare riferimento, quale momento
iniziale di tale periodo giuridicamente rilevante, alla data di rilascio dello stesso titolo abilitativo e
non alla data di inizio dei lavori.
Il ricorso in appello deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti, dell’oggetto e dello
svolgimento del processo, includendo le difese spiegate dalle parti e le posizioni dalle stesse
assunte, non potendo tali indicazioni essere sostituite dal mero richiamo alla sentenza impugnata o
agli atti e scritti difensivi della fase precedente del processo; il ricorso in appello esige una
esposizione chiara delle doglianze e delle domande rivolte al giudice del gravame ed è dunque
necessario identificare le concrete ragioni, per cui si invoca la riforma della sentenza impugnata, in
contrapposizione a quelle dalla stessa evincibili.
TAR Abruzzo, 24 luglio 2006, n. 611
La richiesta di annullamento d’ufficio di una concessione edilizia, avanzata da un confinante per
ritenute illegittimità della concessione stessa, non fa sorgere l’obbligo della P.A. di provvedere in
conformità, atteso che, a fronte di una siffatta istanza, non sussiste in capo alla P.A. medesima un
potere vincolato, bensì un potere discrezionale di valutazione della rispondenza del richiesto
annullamento con un interesse pubblico concreto e attuale. Non è infatti sufficiente l’illegittimità
dell’atto concessorio ma occorre l’ulteriore elemento motivazionale costituito dalla valutazione
dell’interesse pubblico, che non si identifica con il mero ripristino della legalità violata.
Cons. Stato, Sez. IV, 14 gennaio 2009, n. 122
È legittimo il provvedimento di autotutela che trovi causa diretta nella irrazionalità intrinseca dei
provvedimenti annullati, esponenti l’ente ad impegni di spesa del tutto sproporzionati con le
esigenze che gli stessi erano destinati a soddisfare, in spregio ai canoni di efficienza e buona
amministrazione. Tuttavia, è ravvisabile una condotta col posa nel comportamento del comune – da
valutare alla stregua della sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni unite della Corte di Cassazione –
essendo comunque stato leso l’interesse dell’aggiudicatario alla prosecuzione della gara, ancorché
la lesione trovi una parziale giustificazione nel carattere abnorme delle rinnovate condizioni di gara
rispetto alle effettive condizioni in cui il servizio avrebbe dovuto essere reso.
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TAR Lazio, Roma, 27 novembre 2008, n. 10810
La preventiva comunicazione di avvio del procedimento, di cui all’art. 7 L. 241/1990, costituisce un
principio generale dell’azione amministrativa soprattutto quando l’amministrazione esercita il
potere di autotutela, espressione della propria discrezionalità, in cui occorre dare adeguatamente
conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto o alla
cessazione dei suoi effetti.
TAR Puglia, Lecce, 10 settembre 2007, n. 3147
Quand’anche il decorso del tempo dovesse assumere decisiva rilevanza ai fini di un possibile
esercizio del potere di autotutela, tale circostanza tuttavia non potrebbe che essere valutata in
relazione al pregiudizio derivante dalla rimozione dell’atto riconosciuto illegittimo.
Qualora il soggetto interessato abbia presentato all’Autorità competente istanza di accertamento
diconformità, e cioè una domanda che, se accolta, consentirebbe di sanare o di ridimensionare
l’abuso edilizio rilevato, è illegittima per eccesso di potere l’adozione di provvedimenti repressivi,
giustificati elusivamente dall’assenza del titolo, senza che sia stata prima valutata detta domanda.
TAR Lombardia, Milano, 29 dicembre 2008, n. 6171
Sussiste in capo alla P.A. il potere di annullare l’aggiudicazione di un appalto pubblico, anche dopo
la stipulazione del contratto, qualora sussistano i presupposti del ricorso alla c.d. “autotutela”,
comunemente ravvisati nella illegittimità dell’atto annullato e nella sussistenza di un interesse
pubblico da compararsi con quello del privato che abbia riposto un legittimo affidamento sulla
stabilità dei suoi effetti.
La giurisdizione sull’annullamento in autotutela della aggiudicazione spetta al G.A., in quanto si
tratta di un provvedimento che la P.A. adotta nell’esercizio di poteri di supremazia relativi alla fase
della scelta del contraente e non nell’ambito della gestione paritetica del rapporto contrattuale.
L’accertamento della anomalia dell’offerta, ancorché possa essere effettuato in via di autotutela
anche dopo la stipulazione del contratto, deve comunque avere esclusivo riguardo agli elementi
costitutivi originari della proposta contrattuale formulata in sede di partecipazione alla gara, e
giammai può tenere in considerazione elementi di fatto successivi attinenti la fase di esecuzione del
contratto.
TAR Calabria, Reggio Calabria, 10 ottobre 2008, n. 527
È illegittimo il provvedimento di annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione nel caso in cui la sua
adozione non sia stata preceduta dalla comunicazione all’interessato della comunicazione di avvio
del relativo procedimento ex art. 7, legge n. 241/90.
L’atto amministrativo non può che essere qualificato per il suo effettivo contenuto e per quanto
effettivamente dispone, e non già per la sola qualificazione che l’Autorità, nell’emanarlo,
eventualmente ed espressamente gli abbia conferito. Il nomen juris utilizzato dall’Amministrazione
è, infatti, cedevole rispetto al dato sostanziale della potestà che si è inteso effettivamente esercitare.
L’annullamento di una gara pubblica, specie se in stato avanzato di espletamento o addirittura
culminata in una pur provvisoria aggiudicazione, implica la frustrazione dell’affidamento
ingenerato in capo ai partecipanti e, segnatamente, all’aggiudicatario. Di qui la necessità, consacrata
dal disposto dell’art. 21-nonies della legge 241/1990, di una ragione di interesse pubblico tale da
giustificare comparativamente l’incisione delle posizioni in rilievo.
TAR Calabria, Catanzaro, 10 gennaio 2008, n. 4
Ai sensi dell’art. 21-nonies, co. 1, legge n. 241/90, la ragionevolezza del termine deve essere
collegata alla rilevanza degli interessi pubblici e privati coinvolti dall’esercizio delle prerogative di
autoannullamento. In particolare, gli elenchi e le graduatorie, atteso il loro carattere permanente,
sono sottoposti a continue procedure di aggiornamento e revisione, le quali rendono di per sé
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recessivo il fattore temporale rispetto all’interesse pubblico al mantenimento in posizione solo di
coloro che godono di legittimo titolo.
TAR Campania, Napoli, 25 maggio 2007, n. 5687
Il potere di annullamento d’ufficio, in autotutela, dell’aggiudicazione, anche dopo la stipula del
contratto d’appalto, è ben possibile in presenza di gravi ragioni di opportunità e di un interesse
pubblico attuale, prevalente sull’affidamento, ormai consolidato, dell’aggiudicatario.
In tema di responsabilità precontrattuale dell’amministrazione nell’ambito di una gara d’appalto per
avere annullato, in autotutela, un provvedimento di aggiudicazione, caducando il contratto già
stipulato, il danno va risarcito nei limiti del cosiddetto interesse contrattuale negativo, consistente
nel pregiudizio subito per avere ragionevolmente, ma inutilmente, confidato nella conclusione del
contratto. Pertanto, l’ammontare del risarcimento va correlato alle spese, documentate, sostenute in
seguito all’aggiudicazione per la stipula del contratto e alle spese in rapporto di consequenzialità
immediata e diretta con queste ultime.
Legislazione correlata
Legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-nonies.
Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), art. 1, co. 136.
Costituzione, art. 97.
Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica. Direttiva in materia di
annullamento d’ufficio di provvedimenti illegittimi, ai sensi dell’articolo 1, co. 136 della legge 30
dicembre 2004, n. 311 e dell’articolo 21-nonies della Legge 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto
dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15.
SVOLGIMENTO
La disciplina legislativa dell’istituto dell’annullamento d’ufficio è stata recentemente introdotta nel
nostro ordinamento dall’art. 1, co. 136, della Legge Finanziaria per il 2005 (legge 30 dicembre
2004, n. 311) e dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 (recante modifiche e integrazioni alla legge 7
agosto 1990, n. 241).
Nel corso del 2005 la materia del procedimento amministrativo è stata oggetto di significativi
interventi legislativi volti a modificare il rapporto Stato – cittadini, collocando questi ultimi al
centro dell’attività di una Pubblica Amministrazione la cui potestà risulta sempre più finalizzata alla
soddisfazione dei bisogni individuali su larga scala.
Le recenti disposizioni legislative relative all’annullamento d’ufficio vanno pertanto inquadrate nel
percorso di progressivo avvicinamento dell’amministrazione pubblica ai cittadini e, in particolare,
devono essere lette congiuntamente alle due importanti innovazioni normative relative alla
generalizzazione degli istituti della dichiarazione di inizio attività (DIA) e del silenzio-assenso,
introdotte come novella degli articoli 19 e 20 della legge n. 241/1990 dall’art. 3 del decreto legge 14
marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
Con la nuova disciplina della DIA e la generalizzazione del principio del silenzio-assenso la tutela
degli interessi dei cittadini è stata collocata tra le priorità alle quali va improntata l’attività
amministrativa, essendo compito della pubblica amministrazione migliorare la qualità della vita dei
cittadini.
La logica di fondo comune a tutti i recenti interventi è quella di considerare il cittadino centripeto
rispetto all’agire della Pubblica Amministrazione.
In questo nuovo quadro lo ius poenitendi, il potere di autotutela della pubblica amministrazione, va
interpretato come “potestà”, un potere-dovere al quale è chiamata l’amministrazione quando una
corretta valutazione dell’interesse pubblico lo richieda.
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Pur essendo temporalmente successiva all’intervento normativo operato dall’art. 1, co. 136 della
legge n. 311/2004, si ritiene opportuno chiarire preliminarmente i profili applicativi della norma
prevista dalla legge n. 15/2005, che ha introdotto nel nostro ordinamento la disciplina “generale”
dell’annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi (art. 21-nonies legge n. 241/1990).
Nel contesto normativo delineato in premessa, la nuova normativa generale sull’annullamento
d’ufficio, già soltanto per il fatto di rappresentare la legificazione di principi ricostruiti in passato
soltanto in via dottrinaria e giurisprudenziale, fornisce un quadro compiuto in ordine alla materia
dell’annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo assicurando maggiore stabilità ad un
istituto di particolare rilevanza per la cura degli interessi dei cittadini.
L’annullamento d’ufficio è un provvedimento amministrativo di secondo grado la cui emanazione
comporta la perdita di efficacia, con effetto retroattivo, di un provvedimento inficiato dalla presenza
“originaria” di uno o più vizi di legittimità.
Oggetto dell’annullamento d’ufficio è, dunque, un provvedimento che, pur constando di tutti gli
elementi essenziali per la sua giuridica esistenza, presenta uno dei tradizionali vizi di legittimità
delineati dall’articolo 26 del Testo Unico 26 giugno 1924, n. 1054 sul Consiglio di Stato.
La legge n. 15 del 2005, conformemente al predetto articolo 26 e all’unanime dottrina e
giurisprudenza, ha quindi specificato, introducendo l’articolo 21-octies nel corpo della legge n.
241/1990, che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o
viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
Il legislatore ha già da tempo previsto che la presenza di uno di tali vizi può condurre di per sé
all’annullamento dell’atto da parte dell’autorità giudiziaria e da parte della stessa Pubblica
amministrazione, anche se limitatamente ai casi in cui è chiamata a conoscere in sede giustiziale dei
ricorsi amministrativi.
Con l’articolo 21-nonies della legge n. 241/1990 trova, invece, compiuta disciplina legislativa la
potestà dell’autorità amministrativa di provvedere di propria iniziativa, nel perseguimento
dell’interesse pubblico, all’annullamento di atti che risultino inficiati da uno dei vizi di legittimità
ricordati. In particolare, l’articolo 21-nonies dispone che il provvedimento illegittimo possa essere
annullato d’ufficio dallo stesso organo che lo ha emanato, o da altro organo previsto dalla legge,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Per procedere, quindi, l’amministrazione competente all’annullamento d’ufficio ha l’obbligo di
verificare: la giuridica esistenza di un provvedimento amministrativo; la ricorrenza di uno di vizi di
legittimità del provvedimento (violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza); la sussistenza
di ragioni di interesse pubblico per l’annullamento d’ufficio.
Nella valutazione della ricorrenza di ragioni di interesse pubblico all’annullamento dovrà tenersi
conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Infine, ricorrendo tutte le altre condizioni
previste dall’articolo 21-nonies, la pubblica amministrazione competente potrà procedere
all’annullamento d’ufficio entro un termine ragionevole.
Il disposto dell’articolo 21-nonies, pur consolidando normativamente principi giurisprudenziali non
controversi, deve essere in ogni caso interpretato anche in coerenza con i principi generali
dell’azione amministrativa.
Elemento necessario per poter procedere all’annullamento dell’atto illegittimo è, in primo luogo,
l’interesse pubblico.
L’interesse pubblico alla base del provvedimento di autotutela, come costantemente precisato dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato, non può esaurirsi nel mero interesse al ripristino della legalità
violata. Ai fini di una corretta valutazione dell’esistenza, nel caso concreto, dell’interesse pubblico
all’annullamento dell’atto, le Pubbliche Amministrazioni dovranno tener conto anche della
circostanza che la propria attività è costituzionalmente orientata secondo i canoni dell’imparzialità e
del buon andamento (art. 97 Cost.), ed è retta dai principi generali dell’azione amministrativa
sanciti dall’art. 1, co. 1 della legge n. 241/1990, così come modificato dall’art. 1 della legge n.
15/2005.
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Risponde all’interesse pubblico l’annullamento d’ufficio improntato a criteri di economicità, di
efficacia, di pubblicità e di trasparenza, nonché di “proporzionalità” dell’azione amministrativa.
Tale ultimo criterio, pur non essendo esplicitamente previsto dall’articolo 1 della legge n. 241/1990
tra i principi generali dell’attività amministrativa, rientra nei “principi del diritto comunitario”
assolutamente consolidati anche nella giurisprudenza italiana, di cui al medesimo articolo 1 della
legge n. 241/1990, come modificato dalla legge n. 15/2005.
Il principio di proporzionalità va inteso come dovere in capo alla Pubblica Amministrazione di non
comprimere le situazioni giuridiche soggettive dei privati, se non nei casi di stretta necessità ovvero
di indispensabilità.
In ossequio al principio di proporzionalità, che obbliga ad assicurare il minor danno possibile agli
interessi privati coinvolti e solo se strettamente necessario, l’amministrazione competente dovrà
valutare sia la sussistenza di effetti giuridici ampliativi che il provvedimento ha eventualmente
prodotto nella sfera giuridica dei privati (nei quali potrebbe essersi ingenerato un ragionevole
affidamento in ordine alla definitività dell’assetto delle posizioni di interesse o di diritto composte
con il provvedimento), sia gli eventuali effetti ampliativi conseguenti dall’annullamento d’ufficio
dell’atto.
Sempre nell’ottica della proporzionalità, inoltre, dovranno essere valutati i pregiudizi a carico dei
privati derivanti dall’atto illegittimo.
L’amministrazione, pertanto, procederà al ritiro d’ufficio dell’atto illegittimo una volta riscontrato
che l’interesse pubblico all’annullamento è prevalente rispetto a quello alla conservazione dell’atto,
alla luce degli interessi privati coinvolti, avendo riguardo, in particolare, al principio
dell’ordinamento comunitario della “proporzionalità”.
In altri termini, in considerazione del principio di proporzionalità, l’amministrazione procederà
all’annullamento d’ufficio quando ciò sia necessario al fine di evitare un danno non proporzionato
agli interessi dei privati coinvolti nel procedimento. Nella motivazione del provvedimento sarà poi
necessario esplicitare l’apprezzamento – anche sul piano comparativo – in merito al sacrificio
imposto al privato, ovvero circa la possibilità di ovviare all’errore commesso con appositi strumenti
giuridici.
Peraltro, se il vizio che inficia il provvedimento può essere rimosso senza addivenire
all’annullamento dell’atto, l’amministrazione dovrà procedere in tal senso. Nel caso di atti
endoprocedimentali illegittimi, ivi compresi gli atti che rappresentano il momento conclusivo di
subprocedimenti che afferiscono a procedimenti complessi, la potestas di adottare l’atto di ritiro è in
primo luogo in capo all’amministrazione che ha emesso l’atto endoprocedimentale.
In particolare, in fase endoprocedimentale, l’amministrazione competente valuterà la ricorrenza
dell’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio dell’atto avendo riguardo al rispetto del principio
di proporzionalità, nonché all’interesse ad evitare, in ossequio al principio di economicità
dell’azione amministrativa, che l’atto endoprocedimentale illegittimo provochi l’illegittimità
derivata del provvedimento conclusivo del procedimento principale, con le prevedibili ricadute in
termini di ampliamento del contenzioso.
Altro elemento che l’amministrazione dovrà valutare è il trascorrere del tempo, sia perché esso
tende ad attenuare progressivamente l’interesse pubblico ad annullare, riducendone l’attualità e la
concretezza, sia perché favorisce il consolidamento dell’assetto degli interessi privati creato
dall’atto annullabile.
La scelta operata in via generale dall’articolo 21-nonies è quella che consente alle pubbliche
amministrazioni di procedere all’annullamento d’ufficio “entro un termine ragionevole”.
Pertanto, più tempo sarà trascorso dall’emanazione dell’atto illegittimo, più dovrà essere
approfondita la valutazione dell’amministrazione ed intenso lo sforzo di motivazione circa
l’esistenza dell’interesse pubblico all’annullamento dell’atto.
Inoltre, la “ragionevolezza” del termine dovrà essere valutata di volta in volta, oltre che in relazione
al tempo, anche in considerazione del grado di illegittimità del provvedimento, della graduazione
degli interessi pubblici e privati in gioco, ecc.
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Ci si può chiedere quali novità siano state introdotte con questa norma, se si considera che già prima
era pacifico che si potesse procedere all’annullamento d’ufficio se l’atto da annullare risultava
illegittimo e fosse presente un interesse pubblico, idoneo a giustificare la rimozione del
provvedimento. Il presupposto della illegittimità e della presenza dell’interesse pubblico
all’annullamento costituiva, già prima dell’introduzione dell’art. 21-nonies della L. 241/90,
condizione indispensabile per l’esercizio del potere di autotutela.
L’unico elemento di novità della norma è rappresentato, quindi, dall’espressa previsione secondo
cui all’annullamento d’ufficio l’amministrazione può procedere entro un termine ragionevole
dall’emanazione dell’atto.
Va subito detto che il legislatore, pur avendone l’occasione, ha rinunziato a risolvere espressamente
altri problemi che riguardano l’annullamento d’ufficio, quale ad esempio quello relativo alla
necessità o meno che all’annullamento si pervenga attraverso lo stesso procedimento previsto per
l’emanazione dell’atto da annullare, come talvolta ha affermato la giurisprudenza (il c.d. contrarius
actus).
Dal pari nella norma esaminata non si fa cenno alla protezione dell’affidamento, circostanza questa
che può avere una spiegazione.
L’unica novità significativa portata dalla nuova disciplina è rappresentata dal limite apposto
all’esercizio del potere di annullamento, che non può essere esercitato in qualunque momento ma in
un termine ragionevole. Ciò costituisce una novità in quanto, se da un lato non mancano indicazioni
giurisprudenziali che già prima circoscrivevano l’esercizio del potere considerato entro un termine
ragionevole, si rinvengono del pari decisioni dove è affermato che il potere di autotutela non si
prescrive mai e può essere esercitato anche dopo che sia trascorso moltissimo tempo
dall’emanazione del provvedimento.
Ciò posto, rimane da stabilire quando un termine possa considerarsi ragionevole ovvero quali siano
i criteri, alla stregua dei quali possa affermarsi che l’amministrazione abbia agito rispettando la
regola della ragionevolezza del termine.
Per la verità a questo poteva provvedere lo stesso legislatore, che avrebbe potuto stabilire
espressamente il termine o i termini entro cui potesse procedersi all’annullamento dei
provvedimenti illegittimi, come peraltro ha fatto nella finanziaria del 2004, dove è stato previsto un
termine entro il quale si poteva procedere all’annullamento di determinati atti e, nel caso
l’annullamento fosse intervenuto, si prevedeva anche un indennizzo. Ciò significa che rientra nel
potere del legislatore prevedere espressamente un termine o più termini entro cui debba esercitarsi il
potere di autotutela, con riferimento a determinati provvedimenti illegittimi.
Ma giacché nell’art. 21-nonies non è stato fissato nessun termine, allo stato attuale spetta
all’interprete affrontare il problema.
La prima domanda che la dottrina si è posta è se la ragionevolezza del termine debba essere valutata
solo con riferimento al tempo trascorso, in sé considerato. È ragionevole un termine di sei mesi, di
un anno, di due anni? La strada giusta non è quella di valutare la ragionevolezza del termine
considerando in sé stesso il tempo trascorso, quanto piuttosto quella di avere riguardo all’uso, per
così dire, che il beneficiario del provvedimento ha fatto del provvedimento stesso e quindi alle
conseguenze che ha prodotto in concreto il provvedimento e allo stato di fatto che si è determinato.
Solo dopo avere preso atto di tutto ciò, potrà stabilirsi se l’amministrazione abbia esercitato il suo
potere di autotutela in un termine ragionevole. Bisogna por mente al fatto che con l’art. 21-nonies si
è voluta proteggere la situazione del privato destinatario del provvedimento e non quella
dell’amministrazione, il cui potere risulta limitato: ma questa protezione è in funzione delle
modifiche che il provvedimento ha operato sulla sfera giuridica del privato, modifiche che
l’annullamento d’ufficio colpisce in maniera radicale.
Se quindi, per fare un esempio, un privato sia stato destinatario di un provvedimento di concessione
edilizia e non appena avuto comunicazione del provvedimento abbia dato avvio all’edificazione,
realizzando velocemente l’immobile assentito, mentre un altro, destinatario di un provvedimento
simile, sia rimasto inerte, la valutazione della ragionevolezza del termine non può essere uguale in
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tutti e due i casi, pur trattandosi dell’annullamento di due atti simili, ovvero due concessioni
edilizie.
Infatti, è ragionevole che l’amministrazione si concentri e dia la prevalenza all’interesse pubblico
quando, per l’inerzia del privato, non si è prodotto nessun effetto ovvero l’atto non è stato utilizzato,
non si è determinata nessuna modifica del territorio, non vi è stata spendita se non modesta di
energie fisiche e psichiche.
Nell’altro caso, invece, ci troviamo nella situazione opposta e cioè di fronte al pieno sfruttamento
delle possibili utilizzazioni del provvedimento, con la modifica dello stato di fatto.
In questo secondo caso, la ragionevolezza del termine va valutata in maniera restrittiva e con molto
rigore, perché non può considerarsi né opportuno, né ammissibile un intervento “demolitorio”
dell’amministrazione che intervenga a cose fatte, quando cioè il provvedimento è stato portato ad
esecuzione.
In conclusione, il giudizio sulla ragionevolezza del termine dipende dalle circostanze concrete e da
una valutazione di prudente bilanciamento tra la protezione degli interessi del privato, quali si sono
concretizzati a seguito dell’emanazione dell’atto, e la cura dell’interesse pubblico.
Così ricostruita la nozione di ragionevolezza del termine, si spiega perché il legislatore abbia
rinunziato a una rigida fissazione del termine stesso e si spiega altresì perché l’art. 21-nonies non
abbia fatto nessun riferimento alla tutela dell’affidamento.
La tutela dell’affidamento coincide con la tutela di ciò che si è realizzato a seguito dell’emanazione
del provvedimento e col consolidamento che nel tempo ha avuto questa realizzazione.
Non si rinvengono decisioni nelle quali l’affidamento venga preso in considerazione di per sé
stesso, cioè come atteggiamento psicologico di fiducia del privato nell’agire dell’amministrazione,
ma al quale non sia seguito né il trascorrere di un certo spazio di tempo né la modifica della sfera
giuridica del privato in conseguenza dell’utilizzazione del provvedimento emanato.
Sulla base delle superiori premesse si può, quindi, concludere che la ragionevolezza del termine va
determinata di volta in volta, prima dall’amministrazione che agisce in autotutela e poi
eventualmente dal Giudice avendo riguardo non in maniera semplicistica al tempo trascorso dal
momento dell’emanazione dell’atto, ma piuttosto considerando quali effetti si siano prodotti nel
predetto periodo, nel senso sopra chiarito.
Venendo poi alla disciplina introdotta con la finanziaria per l’anno 2005 va premesso che la portata
delle disposizioni contenute dal comma 136 dell’art. 1 della legge n. 311/2004 può essere chiarita
alla luce delle disposizioni della legge 15/2005.
Il comma 136 citato stabilisce che “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le
amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti
amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di
cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati
deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque
non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione dell’efficacia del provvedimento, anche se la
relativa esecuzione sia perdurante”.
Tali disposizioni si applicano esclusivamente ai casi in cui l’atto di annullamento rinvenga il suo
fondamento nella finalità ex lege di interesse pubblico di conseguire risparmi o minori oneri
finanziari per le amministrazioni pubbliche.
Pertanto, l’amministrazione che intenda procedere ai sensi del comma 136 deve motivare
adeguatamente, anche attraverso l’allegazione di un eventuale prospetto illustrativo, in ordine ai
risparmi che si intendono acquisire con l’annullamento dell’atto.
Inoltre, alla luce di quanto oggi disposto in via generale dal sopravvenuto art. 21-nonies sulla
necessità di un “termine ragionevole” per l’annullamento, anche l’inciso “può sempre essere
disposto” usato dal comma 136 non dovrà essere interpretato disgiuntamente dal principio di
ragionevolezza, destinato ex lege a segnare il limite temporale massimo all’annullamento d’ufficio
dell’atto. D’altro canto, poiché lo stesso comma 136, nel secondo periodo, stabilisce ipso iure la
durata del termine ragionevole (“non oltre tre anni” dall’acquisizione di efficacia del
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provvedimento, qualora questo incida su rapporti contrattuali o convenzionali), può ricavarsi che,
limitatamente alle altre ipotesi di possibile risparmio previste dal primo periodo, il termine
conforme al principio di ragionevolezza possa in taluni casi anche superare, sia pure con la
necessaria adeguata motivazione, i tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento.
In altre parole, le pubbliche amministrazioni devono considerare il termine triennale quale termine
ragionevole massimo ex lege, nello specifico caso di annullamento d’ufficio di provvedimenti
incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati, nel presupposto che in simili ipotesi il
decorso di un lasso di tempo maggiore finirebbe per fondare legittimi affidamenti nelle parti
private. In tal senso, l’art. 1, co. 136, della legge n. 311/2004 opera, limitatamente alle particolari
fattispecie previste dal medesimo comma 136 ed esclusivamente per le ipotesi di cui al secondo
periodo, una forfetizzazione prudenziale rispetto alla misura di un termine “ragionevole”, da
ritenere possibile esclusivamente per le fattispecie di cui al primo periodo.
Nell’ipotesi di cui al primo periodo, infatti, si può ritenere sussistente la ragionevolezza del termine
fino a che, perdurando l’esecuzione del provvedimento illegittimo, l’annullamento di quest’ultimo
comporti un sicuro risparmio per la pubblica amministrazione.
Diversa è invece l’ipotesi del provvedimento illegittimo la cui esecuzione sia già terminata. In
questo caso, l’Amministrazione potrà procedere all’annullamento secondo i criteri generali validi
per tutte le altre ipotesi previste al di fuori del comma 136, quindi previamente valutando, caso per
caso, gli assetti privati consolidati, la ragionevolezza del tempo trascorso, nonché l’effettivo
interesse pubblico, attuale e concreto, all’annullamento (anche in relazione alla quantificazione
dell’effettivo possibile risparmio ed all’entità del sacrificio eventualmente richiesto ai privati).
Nell’inciso “può sempre essere disposto l’annullamento…” non è peraltro individuabile neppure un
fattore che osti alla possibilità di procedere alla sanatoria nei casi previsti dall’art. 21-nonies della
legge n. 241/90.
Per quanto riguarda gli interessi dei destinatari degli atti da annullare, il comma 136 prevede che
l’Amministrazione debba “tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale
derivante”.
Tale disposizione si applica, peraltro, solo alle fattispecie di cui al secondo periodo del comma in
esame, in quanto per tutte le altre fattispecie il legislatore si limita a richiedere che
l’amministrazione, nel valutare se procedere o meno all’annullamento dell’atto ritenuto illegittimo,
operi “tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”, senza prevedere
l’obbligo di corrispondere somme a titolo di ristoro dei pregiudizi eventualmente arrecati.
Inoltre, la formula generica “tenere indenni” utilizzata dal legislatore fa ritenere che un eventuale
indennizzo dei pregiudizi subiti non sia l’unica strada percorribile. Altri strumenti potrebbero essere
utilizzati a tal fine, quali ad esempio: la previsione di una decorrenza non retroattiva del
provvedimento, la sostituzione del provvedimento annullato con altro che, avendo come destinatari
gli stessi interessati, riduca loro l’eventuale danno patrimoniale.
Il ristoro economico dei danni subiti dovrà essere considerato quindi uno strumento residuale,
relativo a pregiudizi non riparabili altrimenti, atteso il fine, imposto dal comma 136, di conseguire
risparmi per l’Amministrazione.
Da ultimo va brevemente esaminata la questione del rapporto tra annullamento d’ufficio e
risarcimento del danno, rapporto che ben esiste tra annullamento ad opera del Giudice
amministrativo e risarcimento.
Ormai sembra pacifico l’orientamento giurisprudenziale per il quale costituisce presupposto
indispensabile per l’accoglimento di una richiesta di risarcimento del danno per lesione di interessi
legittimi il preventivo annullamento dell’atto illegittimo che ha causato il danno stesso. Questa
regola impedisce al privato di richiedere il risarcimento del danno se non ha cura di impugnare nel
termine di decadenza l’atto lesivo dei suoi interessi, consentendo in tal modo che si accerti
l’eventuale illegittimità dell’atto produttivo del danno e la sua eliminazione dal mondo giuridico
tramite l’annullamento.
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L’atto che non venga annullato non può essere posto a fondamento di una pronuncia di risarcimento
del danno per lesione di interessi legittimi.
All’interno di questo ragionamento, largamente condiviso, è ragionevole chiedersi se il privato
possa avanzare una richiesta di risarcimento del danno qualora intervenga l’annullamento dell’atto
illegittimo ad opera della stessa amministrazione.
La risposta può essere positiva, ove si osservi che viene rispettata la regola per cui la richiesta di
risarcimento deve esser preceduta dall’annullamento dell’atto impugnato, mancando serie ragioni
per distinguere, quanto agli effetti, l’annullamento dell’atto ad opera del Giudice dall’annullamento
dell’atto ad opera dell’amministrazione.
Anzi, l’autoannullamento darebbe una prova ancora più sicura dell’illegittimità dell’atto, giacché
siamo in presenza di una “confessione” della stessa amministrazione che ammette e riconosce i vizi
dell’atto e, quindi, il cattivo governo della legge.
Un fondamento della tesi qui sostenuta lo si rinviene in quell’orientamento che ritiene
espressamente che il privato possa agire per richiedere il risarcimento del danno qualora il
provvedimento illegittimo sia stato annullato dall’amministrazione entro il termine concesso al
privato per l’impugnazione.
Questo orientamento, se da un lato conferma che l’annullamento d’ufficio non si pone in contrasto
con la richiesta di risarcimento del danno, dall’altro lascia perplessi per quel che attiene alle
limitazioni più sopra accennate.
Infatti, se esaminiamo le ragioni che giustificano la cosiddetta pregiudizialità amministrativa, ci
accorgiamo che essa riposa sull’esigenza che vi sia certezza delle situazioni giuridiche e dei
rapporti, certezza che non vi sarebbe qualora un atto da un lato restasse in vita e fosse produttivo di
effetti e, dall’altro, fosse giudicato illegittimo e causa di danni. L’annullamento dell’atto – secondo
le tesi che riportiamo – elimina l’atto stesso dal mondo giuridico e assicura certezza delle situazioni
e dei rapporti.
Ebbene, se queste sono le ragioni favorevoli alla tesi della pregiudizialità amministrativa, ragioni
identiche si rinvengono nel caso dell’annullamento d’ufficio, giacché questo annullamento produce
gli stessi effetti dell’annullamento operato dal Giudice e assicura certezza delle situazioni e dei
rapporti.
Conclusivamente, non appare azzardata la tesi secondo cui il parallellismo tra tutela e autotutela si
estenda anche alle conseguenze dell’eliminazione degli atti illegittimi sia ad opera del Giudice che
dell’amministrazione e si apra la strada al cittadino di richiedere la riparazione dei danni subiti in
conseguenza dello stesso evento, quello dell’emanazione da parte dell’autorità di un atto illegittimo,
poi annullato.
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ESEMPIO DI SVOLGIMENTO DELLA SECONDA PROVA
AREA DIRITTO AMMINISTRATIVO
Elaborato sintetico.
Al funzionario dell'Ufficio Gare e contratti è pervenuta una dettagliata relazione tecnica da parte
dell'Ufficio competente che evidenzia come, in relazione alla procedura ristretta per l’affidamento
in appalto del servizio di Web Tv Streaming per la quale è stata già disposta 2 settimane addietro la
aggiudicazione provvisoria in favore di Alfaweb spa, sulla scorta di recenti e sopravvenute linee
guida dell'Agicom (Autorità garante per le comunicazioni) il servizio rischierebbe di essere
assegnato secondo protocolli tecnici obsoleti e per ciò solo maggiormente onerosi per le finanze
pubbliche. Il funzionario rediga un'adeguata relazione indicando le soluzioni possibili ed i
riferimenti normativi.
Svolgimento
Si propone la revoca della intera procedura di gara (a partire dal bando di gara)
Per quanto riguarda la revoca della gara bisogna fare riferimento alla disciplina contenuta nell'art.
21-quinquies della legge n. 241 del 1990 che consente il ricorso alla revoca di un provvedimento
amministrativo: "per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della
situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario". Il proposito
l'eventuale revoca della procedura dovrebbe essere congruamente motivata. Ricordo infatti che
secondo la giurisprudenza più autorevole ai sensi dell'art. 21-quinquies , l. 7 agosto 1990 n. 241 è
legittimo il provvedimento con il quale la stazione appaltante procede, in autotutela, alla revoca
dell'intera procedura di gara, dopo averne individuato i presupposti nei sopravvenuti motivi di
pubblico interesse di natura economica, derivanti da una nuova valutazione delle esigenze
nell'ambito dei bisogni da soddisfare, conseguenti al futuro assetto organizzativo, emersi a seguito
di una ponderata valutazione che ha evidenziato la non convenienza di procedere all'aggiudicazione
sulla base del capitolato predisposto in precedenza, ed all'opportunità di provvedere ad una
rinnovata procedura per un servizio avente caratteristiche differenti al fine di ottenere un risparmio
economico". Il potere-dovere dell'Amministrazione di tenere sempre conto di quale sia il superiore
interesse pubblico è talmente forte da consentire - in presenza di un robusto apparato motivazionale
- anche la revoca dell'aggiudicazione definitiva già adottata. Al riguardo recentemente è stato
ribadito "il consolidato indirizzo giurisprudenziale per il quale nei contratti pubblici, anche dopo
l'intervento dell'aggiudicazione definitiva, non è precluso all'amministrazione appaltante di revocare
l'aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, che ben può
consistere nella mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell'opera.
Quanto alle possibili conseguenze in termini di contenzioso va osservato che, in questo caso il
giudice può non soltanto annullare il provvedimento illegittimo (cioè non rispondente alle
menzionate fattispecie normative che giustificano l'adozione del provvedimento stesso), ma pure
disporre il risarcimento del danno. Peraltro anche nel caso di provvedimento legittimamente
adottato incombe comunque il rischio della responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione ai
sensi dell’art. 1337 del codice civile (per violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede
nello svolgimento delle trattative). Tale forma di responsabilità - che è stata recentemente
riconosciuta esistere anche quando l'aggiudicazione non è stata ancora disposta - si configura
qualora si sia suscitato nel concorrente un legittimo affidamento (derivante dagli atti della
procedura di evidenza pubblica poi rimossi dall'Amministrazione) di poter confidare, in buona fede,
nella possibilità di diventare affidatario del contratto. La tutela dell’incolpevole affidamento
ingenerato nei soggetti privati comporta l’obbligo dell’Amministrazione di risarcire il c.d. interesse
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negativo (pregiudizio subìto in termini di spese infruttuosamente sostenute e di vantaggi sfumati per
non aver potuto coltivare occasioni alternative) anche se il potere è stato esercitato legittimamente.
In altre parole, si aprono scenari di possibile responsabilità risarcitoria, sia (ovviamente) nel caso di
riscontro di insussistenza dei presupposti per procedere all'adozione del provvedimento, sia nel caso
di effettiva sussistenza di detti presupposti ma anche di ulteriori indici di responsabilità (ad
esempio, per la violazione dei canoni di buona fede e correttezza eventualmente addebitabile alla
stazione appaltante). E' bene inoltre tener presente che anche qualora in un ipotetico contenzioso
venisse considerato legittimo il provvedimento di revoca, l'amministrazione rimarrebbe comunque
esposta all'obbligo di pagamento di una indennità da atto lecito secondo la previsione contenuta
nell'articolo 21 quinquies della l. n. 241/1990 che stabilisce la previsione di un generale obbligo di
indennizzo a favore dei soggetti che abbiano subito un pregiudizio dall’atto di revoca1.
Tale previsione è espressione della rilevanza accordata al principio dell’affidamento.
Per quanto attiene al quantum dell’indennizzo questo è parametrato al solo danno emergente.
In merito alla valutazione dell’intensità dell’affidamento ed alla conseguente quantificazione
dell’indennizzo si deve, tuttavia, segnalare la recente novella legislativa della l. 40/07 che ha
introdotto un nuovo comma nell’art. 21 quinquies.
In base a tale novella i parametri ai quali commisurare l’indennizzo sono: la conoscenza o la
conoscibilità da parte del destinatario della inopportunità del provvedimento da revocare, la
contrarietà dell’atto all’interesse pubblico, l'eventuale concorso del contraente all’erronea
valutazione della Pa.
Ad ogni modo l’indennizzo è sempre dovuto in caso di revoca e assolve la funzione di ristoro
dell’affidamento che il privato aveva riposto sull’atto revocato.
Seconda soluzione
La non aggiudicazione - già prevista come possibilità dalla giurisprudenza antecedente all'entrata
in vigore del Codice dei contratti pubblici - è ora esplicitamente disciplinata dall' art. 81, co. 3, del
d.lgs. n. 163 del 2006: "Le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere all'aggiudicazione
se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all'oggetto del contratto".
Anche in questo caso tuttavia bisognerebbe esplicitare in una congrua motivazione le ragioni per cui
nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all'oggetto del contratto.
Anche questa soluzione esporrebbe l'amministrazione al rischio di contenzioso in quanto sarebbe
possibile l'impugnativa dinanzi al giudice della legittimità di siffatto provvedimento che potrebbe
essere contestato sotto il profilo del difetto della motivazione ove non si riesca realmente a dar
conto delle ragioni di cui sopra. Naturalmente l'impugnativa di siffatto provvedimento potrebbe
T.A.R. Lazio, Roma, 9 marzo 2009, n. 2372. Qualora l’amministrazione abbia espletato una gara
pubblica e, prima della stipula del contratto, abbia legittimamente revocato la procedura, in capo ad
essa può residuare una responsabilità a titolo precontrattuale, nel caso in cui abbia violato gli
obblighi di buona fede prima della stipulazione del contratto ovvero se il comportamento da essa
tenuto sia contrastante con le regole di correttezza e di buona fede, di cui all’art. 1337 c.c., ed abbia
prodotto un danno, del quale appunto viene chiesto il ristoro. L’art. 21-quinquies della legge
241/1990 prevede la revoca del provvedimento amministrativo durevole per sopravvenuti motivi di
pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione
dell’interesse pubblico originario. Qualora la revoca comporti pregiudizi in danno dei soggetti
direttamene interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo e, quando
essa incide su rapporti negoziali, l’indennizzo è parametrato al solo danno emergente, tenuto conto
sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto
amministrativo, oggetto di revoca, all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti
o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.
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accompagnarsi a richieste risarcitorie per lesione dell'affidamento ingenerato in ragione del tempo
trascorso tra l'approvazione della graduatoria e l'eventuale provvedimento di non aggiudicazione.
In ogni caso l'affidamento della parte privata può invocare derivante dall'approvazione della
graduatoria si rafforza con il decorso del tempo e con l'ipotesi di silenzio colpevole
dell'amministrazione. Bisogna infatti ricordare che la tutela del legittimo affidamento è riconosciuta
quale principio generale, implicito ed immanente nell’ordinamento giuridico vigente. Essa è
considerata una delle espressioni del principio generale di certezza giuridica e consiste
nell’accordare protezione a singoli o gruppi che abbiano ragionevolmente riposto aspettative nella
stabilità delle proprie situazioni giuridiche.
Conseguentemente per affidamento si intende la situazione di fiducia sulla stabilità del
provvedimento adottato, che nasce da una situazione psicologica del suo destinatario, il quale
confida sulla legittimità ed opportunità dell’atto in quanto proveniente da una P.A. ed assistito da
presunzione di legittimità.
Pur in assenza di una norma definitoria espressa, il principio di affidamento si atteggia quale regola
di civiltà giuridica discendente dai fondamenti stessi dello stato di diritto contemporaneo.
Le esigenze di sicurezza e certezza delle contrattazioni e del traffico giuridico hanno, da sempre,
imposto di assicurare rilievo al grado di consapevolezza di colui che prende parte alla
contrattazione, tutelando l’affidamento incolpevole del contraente.
La tutela dell’affidamento è stata riconosciuta ed elaborata dalla dottrina civilistica quale corollario
applicativo del più generale principio di buona fede.
La buona fede in senso oggettivo impone, infatti, al creditore e al debitore il dovere di comportarsi
lealmente nella fase delle trattative, così come nella interpretazione ed esecuzione del contratto, col
solo limite dell’apprezzabile sacrificio.
Il principio di legittimo affidamento, così come elaborato ed interpretato dalla giurisprudenza
comunitaria impone all’amministrazione, soprattutto in sede di esercizio del potere di autotutela,
l’attenta salvaguardia delle situazioni soggettive consolidatesi per effetto di atti o comportamenti
idonei ad ingenerare un ragionevole affidamento nel destinatario.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia delle comunità europee ha chiarito che tale legittimità è
presunta al ricorrere di tre requisiti. Il primo è di carattere oggettivo e consiste nella esistenza di un
provvedimento amministrativo vantaggioso per il destinatario o, secondo alcune pronunce, di un
comportamento chiaro ed univoco della P.A. In secondo luogo viene assegnato rilievo all’elemento
soggettivo della buona fede del destinatario del provvedimento o comportamento, intesa quale
assenza di dolo o colpa. Da ultimo, rilievo centrale assume il fattore temporale consistente nella
stabilizzazione del rapporto giuridico sotteso all’atto amministrativo della P.A.
Conseguentemente il principio di tutela del legittimo affidamento si pone quale obbligo generale,
discendente dal canone di buona fede, di tutelare tutte le situazioni in cui un privato abbia confidato
nella propria situazione di vantaggio, successivamente posta nel nulla per ragioni di interesse
pubblico. Il privato potrà, invece, ottenere tutela per l’aspettativa ingenerata dall’agire pubblico e
successivamente frustrata.
In conclusione si raccomanda l'adozione di una soluzione rapida per la vicenda in questione posto
che, si ripete l'affidamento incolpevole della scrivente del presso si rafforza con il decorso del
tempo e ciò rende ragionevolmente più accoglibili eventuali istanze risarcitorie.
RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI
Cons. St., Sez. III, 11 luglio 2012, n. 4116. Il soggetto, che abbia subito un pregiudizio dalla
revoca di un provvedimento amministrativo, ha titolo ad un indennizzo se il provvedimento di
revoca era legittimo, vertendosi in materia di responsabilità della Pubblica amministrazione per atti
legittimi, e al risarcimento del danno nel diverso caso di revoca illegittima.
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Cons. St., Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6. Sussiste la responsabilità della P.A. a titolo di
responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. nel caso in cui l’amministrazione, dopo avere indetto
una gara di appalto e pronunciato l’aggiudicazione, dispone la revoca dell’aggiudicazione stessa e
degli atti della relativa procedura per carenza delle risorse finanziarie occorrenti. In tale ipotesi,
infatti, la mancanza di ogni vigilanza e coordinamento sugli impegni economici che
l’amministrazione aveva assunto quando la procedura di evidenza pubblica era stata avviata, ha
finito per ingiustamente sacrificare gli “affidamenti” suscitati nell’impresa dagli atti della procedura
di evidenza pubblica poi rimossi.
Nel caso di richiesta di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale, a seguito della
revoca dell’aggiudicazione, il risarcimento va riconosciuto nei limiti dell’interesse negativo,
rappresentato dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative e dalla perdita di ulteriori
occasioni per la stipula con altri di un contratto almeno parimenti vantaggioso. In particolare, nel
caso di appalto di servizi, per ciò che concerne la perdita di altre occasioni da parte dell’impresa,
l’an del risarcimento può essere determinato in via equitativa, riconoscendo al concorrente l’utile
economico che sarebbe derivato dalla gestione del servizio messo in gara nella misura del 10%
dell’ammontare dell’offerta. Nel caso in cui il bando preveda la facoltà per l’amministrazione di
ridurre di un quinto l’importo del contratto, per determinare l’entità del risarcimento, va calcolato il
10% dei quattro quinti dell’importo della gara. Per ciò che concerne invece il rimborso delle spese
sostenute, non possono essere riconosciute le spese per la costituzione della cauzione provvisoria e
definitiva per le quali, stante la mancata stipulazione del contratto, deve presumersi l’intervenuta
restituzione.
T.A.R. Lazio, Roma, 9 marzo 2009, n. 2372. Qualora l’amministrazione abbia espletato una gara
pubblica e, prima della stipula del contratto, abbia legittimamente revocato la procedura, in capo ad
essa può residuare una responsabilità a titolo precontrattuale, nel caso in cui abbia violato gli
obblighi di buona fede prima della stipulazione del contratto ovvero se il comportamento da essa
tenuto sia contrastante con le regole di correttezza e di buona fede, di cui all’art. 1337 c.c., ed abbia
prodotto un danno, del quale appunto viene chiesto il ristoro. L’art. 21-quinquies della legge
241/1990 prevede la revoca del provvedimento amministrativo durevole per sopravvenuti motivi di
pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione
dell’interesse pubblico originario. Qualora la revoca comporti pregiudizi in danno dei soggetti
direttamene interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo e, quando
essa incide su rapporti negoziali, l’indennizzo è parametrato al solo danno emergente, tenuto conto
sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto
amministrativo, oggetto di revoca, all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti
o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.
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