Sezione giurisdizionale per le Marche

Relazione sullo stato della giustizia
nell’anno 2013
INDICE
 Saluti iniziali ….…………………………………….………………………………..... Pag. 3
 Novità normative ………………………………………….….…………………………Pag. 4
 Tipologie di danno erariale …………………………………………………………….Pag. 13
 Danno all’immagine ………………………………....................................………..Pag. 13
 U.E. e le frodi comunitarie ……................................................................................Pag. 17
 Contributi pubblici illecitamente percepiti a danno
dello Stato ……………………………………….....…..………………….….……. Pag. 19
 Settore sanitario….…………………………………….…….………………….….. Pag. 20
 Considerazioni attinenti il giudizio relativo alla
manifestazione Mo. Mi. ………………………….………………………….... Pag. 24
 Società partecipate (in house providing)……………….….…………………………… Pag. 25
 Diffusione delle società partecipate nel territorio nazionale………………………. Pag. 34
 Dismissione e privatizzazione delle società partecipate ….………………….…….. Pag. 34
 Illegalità e corruzione ………………………………..……...………………..………...Pag. 36
 Il fenomeno dei gruppi di pressione (c.d. lobby)……………………….……..…..... Pag. 42
 Evasione fiscale ……………………………………...……...……………….……...….Pag. 43
 Risultati di polizia economico finanziaria nella tutela
delle entrate e delle uscite di bilancio .………………….………………………..... Pag. 44
 Contenimento del finanziamento pubblico ……………………………………..…. Pag. 46
 La riduzione dei costi della politica con riferimento
1
alle regioni ………………………………………………………………………… Pag. 46
 Attività della Sezione regionale di controllo svolta nel 2013……………………..….Pag. 48
 Attività della Sezione giurisdizionale svolta nel 2013 …………………………….…..Pag. 52
 Conti Giudiziali …………….……………………………………………………....Pag. 52
- La cognizione contabile sulla regolarità delle gestioni
dei gruppi consiliari…………………………………….............................................Pag. 54
- L’accentuazione del carattere collaborativo dell’attività
giurisdizionale.............................................................................................................Pag.
57
- Statistica….…………….…………………………....................................................Pag.
58

Giudizi di responsabilità e pensionistici ……...……………………………….Pag.
58

Quantificazione dell’attività giurisdizionale ………….....................................Pag.
59
 Organico Corte dei conti …………..………………………..………………………...Pag.
59
 Ringraziamenti ………………..………..………..………..……………………….…. Pag. 61
 Massime delle principali pronunce in materia di responsabilità……………………....Pag. 62
 Massime delle principali pronunce in materia pensionistica………………………..….Pag. 72
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Saluti iniziali
Desidero porgere un doveroso saluto, mio personale e della Sezione giurisdizionale, a
Sua Eccellenza Rev.ma, alle Autorità militari e civili, agli Avvocati ed ai rappresentanti delle
categorie professionali e delle associazioni qui riuniti.
Un particolare saluto rivolgo al Presidente della Sezione regionale di controllo, ai
rappresentanti del Consiglio di Presidenza e dell’Associazione magistrati della Corte dei
Conti, ai magistrati amministrativi, ordinari e contabili presenti.
Un saluto grato va a tutti i gentili ospiti intervenuti.
Premesso che già negli scorsi anni, in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario,
molti degli argomenti esposti anche in questa relazione sono stati ampiamente trattati, appare
necessario soffermarsi su taluni di essi per novità giurisprudenziali o per l’importanza che
rivestono per il bilancio dello Stato.
Devo esprimere la mia totale condivisione alle constatazioni e considerazioni
formulate dal collega Presidente della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio che si è
trovato a decidere numerosi casi di responsabilità amministrativa di rilevanza nazionale.
Sento di doverne far cenno perché, al di fuori degli stretti operatori, pochi sono a
conoscenza della configurazione e portata del processo contabile.
Sono molti gli ostacoli frapposti all’esercizio dell’azione da parte del P.M. contabile e
altresì concernenti la sottrazione alla giurisdizione della Corte dei conti della possibilità di
perseguire il danno erariale prodotto da amministratori e/o dipendenti delle società partecipate
(dei giudizi che si sono verificati sul territorio Marche se ne darà conto successivamente).
Un parziale cambiamento dell’orientamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite
della Corte di Cassazione che privilegia in detta materia la giurisdizione del giudice
ordinario, era stato auspicato da più parti.
Vi è stata una minima apertura per quanto concerne le società c.d. in house (Cass.
SS.UU. n.26283/13) subito ridimensionata dalla declaratoria di difetto di giurisdizione
sull’AMA s.p.a. (Cass. SS.UU. n.27993/13) e sulle Ferrovie s.p.a. (Cass. SS.UU. n.71/14). La
Procura Generale, attraverso proprie memorie, aveva offerto alla Suprema Corte regolatrice
chiari indici di identificazione delle società partecipate di indubbio segno pubblicistico,
quali, in primo luogo, l’esercizio di un servizio pubblico essenziale (quale ad esempio il
trasporto pubblico svolto dalle Ferrovie); la totalità o maggioranza della partecipazione stessa;
la sottoposizione al controllo del Ministero vigilante e della Corte dei conti.
Se poi il discrimen fra giurisdizione del giudice contabile e quello ordinario rimane
incentrato nel nocumento patito direttamente dal patrimonio della società (in quanto dotata di
autonoma personalità giuridica) e non da quello del socio pubblico appare, di conseguenza,
poco razionale che tale demarcazione possa valere allorché quest’ultimo detiene la totalità del
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capitale sociale.
Risultato dell’orientamento assunto dalla Cassazione, che antepone la supremazia del
regime giuridico privatistico al superiore interesse della tutela del pubblico erario, è che le
grandi società partecipate (RAI, ANAS) hanno già tentato di acquisire una pronuncia
“favorevole” sul difetto di giurisdizione della Corte dei conti, altre (Poste, AMA e Ferrovie)
l’hanno già ottenuta, altre infine, probabilmente, cercheranno di acquisirla al fine di evitare
l’accertamento di responsabilità (Fondazioni ospedaliere, Atac).
Come giustamente osservato, nella relazione già citata redatta per l’inaugurazione
della Sezione giurisdizionale per il Lazio, “gli amministratori e i dipendenti di queste grandi
società evocati in giudizio dinanzi la Corte dei conti si affrettano a correre da “mamma”
Cassazione lamentandosi che il giudice contabile vorrebbe giudicarli ma che invece loro
vogliono essere giudicati da quello ordinario, di fronte al quale sanno perfettamente che mai
nessuno li chiamerà a rispondere del danno (erariale) causato dai loro comportamenti”.
Così si è determinato l’effetto che, per esempio, circa 38,5 milioni di euro, riconosciuti
disinvoltamente da Anas s.p.a. all’appaltatore attraverso un accordo bonario sulle riserve
iscritte dall’appaltatore stesso saranno difficilmente recuperabili.
Il ricorso al predetto istituto dell’accordo bonario ex art.31bis L.109/94, dovrebbe
essere, infatti, finalizzato a risolvere criticità mentre spesso viene attivato sulla base di
richieste pretestuose ed utilizzato per ottenere maggiori compensi rispetto a quelli quantificati
in sede di formulazione dell’offerta. Pur tuttavia esso non sarà, nei casi specifici, mai oggetto
di una valutazione del giudice contabile e dell’eventuale condanna e non sarà mai perseguito.
I maggiori relativi costi operativi rimarranno sì a carico del patrimonio di Anas – come
sottolinea la Cassazione per giustificare l’attribuzione della giurisdizione all’A.G.O. – ma
solo formalmente perché sostanzialmente pregiudicano la collettività essendo socio unico il
Ministero dell’Economia e delle Finanze.
E non dimentichiamo l’entità del continuo apporto finanziario dello Stato al bilancio
Anas (così come a quello delle Ferrovie, vgs. legge di stabilità 2014).
Appare, quindi, urgente un chiarificatore intervento del legislatore che ponga la tutela
delle finanze pubbliche ed il corretto uso del denaro dei contribuenti al centro della sua
azione, non condizionabile da lobby e centri di potere, al fine di evitare lo sperpero impunito
delle risorse pubbliche.
La difficoltà principale al perseguimento delle singole responsabilità deriva proprio
dal pregiudiziale impedimento al riconoscimento della giurisdizione del giudice contabile.
Novità normative
Nel 2012 le funzioni intestate alla Corte dei conti sono state ampliate con modifiche di
notevole rilievo di cui si è fatto riferimento nella relazione dello scorso anno.
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Succintamente può essere utile citarle di nuovo, atteso che in prosieguo si farà cenno
ad alcune di esse.
L’art. 1 del D.L.5/2012 convertito in L.35/2012, ha disposto la trasmissione alla Corte
dei conti delle sentenze amministrative di accoglimento dei ricorsi contro il silenzioinadempimento dell’Amministrazione passate in giudicato, determinando un’ipotesi tipica di
responsabilità per danno erariale da ritardo.
Il comma 62 dell’art. 1 L.190/2012 (legge anticorruzione) ha disciplinato nella misura
del doppio della tangente percepita (salvo prova contraria) il danno all’immagine che deve
essere risarcito dal pubblico dipendente, qualora riconosciuto colpevole di un reato contro la
Pubblica Amministrazione.
Le attribuzioni della Corte dei conti sono state notevolmente incrementate dal
D.L.174/2012 convertito in L.213/2012, finalizzato al contenimento dei “costi della politica”.
La legge di conversione del predetto decreto ha inserito l’art.243 quater che al comma
5, dispone che le delibere della Sezione regionale di controllo, relative al piano di riequilibrio
finanziario, possano essere impugnate innanzi alle Sezioni Riunite della Corte dei conti, in
speciale composizione, che si pronunciano nell’esercizio della propria giurisdizione esclusiva
in tema di contabilità pubblica ai sensi dell’art.103, secondo comma, della Costituzione.
Sono istituite anche altre tipologie di ricorsi azionabili sempre dinanzi alle SS.RR..
Trattasi di giudizi, predeterminati in unico grado di cui il più rilevante è quello concernente
l’ammissione al fondo di rotazione per le procedure di riequilibrio, che non sono promossi
direttamente dal P.M. della Corte dei conti ma sono attivati ad istanza di parte.
Nel 2013 alcuni interventi legislativi hanno recato disposizioni che coinvolgono tanto
la giurisdizione contabile quanto le funzioni attinenti al controllo e, pertanto, appare
opportuno richiamarli dettagliatamente.
L. 243/2012, in vigore dal 30/01/2013, impartisce disposizioni per l’attuazione del
principio del pareggio di bilancio proclamato con il rinnovato art.81 della Costituzione.
D. Lgs. 33/2013 (Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità,
trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni). In
conseguenza delle specifiche norme sanzionatorie, previste dalla normativa in questione,
potranno scaturire fattispecie di responsabilità per danno all'immagine per la classe
dirigenziale.
In proposito l’art. 46 del provvedimento citato, indica le sanzioni per la violazione
degli obblighi di trasparenza, come segue: “1. L'inadempimento degli obblighi di
pubblicazione previsti dalla normativa vigente o la mancata predisposizione del Programma
triennale per la trasparenza e l'integrità costituiscono elemento di valutazione della
responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all'immagine
dell'amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione
di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei
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responsabili. 2. Il responsabile non risponde dell'inadempimento degli obblighi di cui al
comma 1 se prova che tale inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile”.
D.Lgs.39/2013 (Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi
presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico) ha previsto,
fra l’altro, casi di non conferibilità di incarichi dirigenziali per coloro che siano stati
condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati contro la Pubblica
Amministrazione (in particolare quelli previsti dal capo I, titolo II, libro secondo del codice
penale) ovvero per coloro che per un congruo periodo di tempo antecedente al conferimento
abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato sottoposti a controllo o
finanziati da parte dell'amministrazione che conferisce l'incarico. Sono inoltre stati individuati
casi di incompatibilità per gli incarichi amministrativi di vertice e dirigenziali (inclusi quelli
di direttore generale, sanitario e amministrativo delle aziende sanitarie locali e delle aziende
ospedaliere; di amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo
pubblico) che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e
gestione ed anche se conferiti a soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni.
Anche se successivamente l’art.29 ter del D.L.69/2013, come convertito con
modificazioni, in L.98/2013, ha sancito la legittimità - con riguardo ai soli casi
d’incompatibilità - degli incarichi conferiti e dei contratti stipulati prima della sua data di
entrata in vigore, è indubbio che la mancata adesione al dettato normativo da parte delle
pubbliche amministrazioni può determinare fattispecie di responsabilità amministrativa.
D.P.R.62/2013 (Regolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti
pubblici, a norma dell’art.54 D.Lgs.165/2001) che al 1° comma dell’art.16 dispone: “La
violazione degli obblighi previsti dal presente Codice integra comportamenti contrari ai
doveri d'ufficio. Ferme restando le ipotesi in cui la violazione delle disposizioni contenute nel
presente Codice, nonché dei doveri e degli obblighi previsti dal piano di prevenzione della
corruzione, da' luogo anche a responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile del
pubblico dipendente, essa è fonte di responsabilità disciplinare accertata all'esito del
procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle
sanzioni”.
Al secondo comma del predetto articolo sono individuati i criteri per la determinazione
in concreto della gravità della responsabilità disciplinare.
D.L.69/2013 convertito in L.98/2013 (Disposizioni urgenti per il rilancio
dell'economia).
Evidenzio, in particolare, alcune delle norme per la semplificazione amministrativa,
tra le quali quelle in materia di: indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento (art.
28 del provvedimento citato); incompatibilità delle cariche politiche nazionali con quelle
pubbliche elettive di natura monocratica di governo locale (art. 29 bis); misure per il
rafforzamento della spending review dirette in particolar modo al riordino della spesa
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pubblica (art. 49 bis); misure finanziarie urgenti per gli enti locali (art.49 quinquies);
compensi per gli amministratori di società controllate dalle pubbliche amministrazioni (art. 84
ter).
D.L.101/2013, convertito con modificazioni in L.125/2013 (Disposizioni urgenti per il
perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni) che
disciplina:
- la limitazione nell’affidamento di consulenze esterne, non utilizzando, invece, le
professionalità già presenti nelle pubbliche amministrazioni;
- il monitoraggio della spesa per personale sia delle pubbliche amministrazioni che delle
società da esse partecipate con l’espressa esclusione di benefit straordinari per i manager
pubblici;
- la limitazione alla prassi per le società controllate di affidare incarichi ai pubblici dirigenti
dopo la cessazione dal servizio.
Si riporta parte dell’art.1 della normativa innanzi indicata per la sua rilevanza. Comma
5: “La spesa annua per studi e incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi e
incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle amministrazioni
pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della
legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché dalle autorità indipendenti e dalla Commissione
nazionale per le società e la borsa (CONSOB), escluse le università, gli enti e le fondazioni di
ricerca e gli organismi equiparati, nonché gli istituti culturali e gli incarichi di studio e
consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore
finanziario, non può essere superiore, per l'anno 2014, all'80 per cento del limite di spesa per
l'anno 2013 e, per l'anno 2015, al 75 per cento dell'anno 2014 così come determinato
dall'applicazione della disposizione di cui al comma 7 dell'articolo 6 del decreto-legge 31
maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.122. Si
applicano le deroghe previste dall'articolo 6, comma 7, ultimo periodo, del decreto-legge 31
maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.122”.
Comma 7: “Gli atti adottati in violazione delle disposizioni di cui al comma 5 e i
relativi contratti sono nulli. L'affidamento di incarichi in violazione delle disposizioni di cui al
medesimo comma costituisce illecito disciplinare ed è, altresì, punito con una sanzione
amministrativa pecuniaria, a carico del responsabile della violazione, da mille a cinquemila
euro, alla cui irrogazione provvede l’autorità amministrativa competente in base a quanto
previsto dalla legge 24 novembre 1981, n.689, salva l'azione di responsabilità amministrativa
per danno erariale”;
Comma 9: “Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme di diretta
attuazione dell'articolo 97 della Costituzione, nonché' principi di coordinamento della finanza
pubblica ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione”.
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D.L.102/2013, convertito con modificazioni in L.124/2013 (Disposizioni urgenti in
materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza
locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici).
In particolare, l’art.14 del dettato normativo, alla rubrica “Definizione agevolata in
appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile” ha disposto che:
“1. In considerazione della particolare opportunità di addivenire in tempi rapidi
all'effettiva riparazione dei danni erariali accertati con sentenza di primo grado, le
disposizioni di cui all'articolo 1, commi da 231 a 233, della legge 23 dicembre 2005, n.266, e
successive modificazioni, si applicano anche nei giudizi su fatti avvenuti anche solo in parte
anteriormente alla data di entrata in vigore della predetta legge, indipendentemente dalla data
dell'evento dannoso nonché' a quelli inerenti danni erariali verificatisi entro la data di entrata
in vigore del presente decreto, a condizione che la richiesta di definizione sia presentata
conformemente a quanto disposto nel comma 2.
2. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, deve essere
presentata, nei venti giorni precedenti l'udienza di discussione e comunque entro il 15 ottobre
2013, specifica richiesta di definizione e la somma ivi indicata non può essere inferiore al 25
per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado; in tali casi, la sezione
d'appello delibera in camera di consiglio nel termine perentorio di 15 giorni successivi al
deposito della richiesta e, in caso di accoglimento, ai fini della definizione del giudizio ai
sensi del comma 233 dell'articolo 1 della legge 23dicembre 2005, n. 266, con decreto da
comunicare immediatamente alle parti determina la somma dovuta in misura non inferiore a
quella richiesta, stabilendo il termine perentorio per il versamento entro il 15 novembre 2013,
a pena di revoca del decreto laddove il pagamento non avvenga nel predetto termine.
2-bis. Qualora la richiesta di definizione agevolata in appello dei giudizi di
responsabilità amministrativo-contabile formulata ai sensi e nei termini di cui ai commi 1 e 2
sia accompagnata da idonea prova dell'avvenuto versamento, in unica soluzione, effettuato in
un apposito conto corrente infruttifero intestato al Ministero dell'economia e delle finanze,
che provvede al successivo versamento al bilancio dello Stato o alla diversa amministrazione
in favore della quale la sentenza di primo grado ha disposto il pagamento, di una somma non
inferiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, la sezione
d'appello, in caso di accoglimento della richiesta, determina la somma dovuta in misura pari a
quella versata.
2-ter. Le parti che abbiano già presentato istanza di definizione agevolata, ai sensi dei
commi 1 e 2, precedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto, possono modificarla in conformità alle disposizioni di cui al comma2-bis
entro il 4 novembre 2013. Entro il medesimo termine, le parti, le cui richieste di definizione
agevolata presentate ai sensi dei commi 1 e 2 abbiano già trovato accoglimento, possono
depositare presso lo stesso giudice che ha emesso il decreto istanza di riesame unitamente
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alla prova del versamento, nei termini e nelle forme di cui al comma 2- bis, di una somma non
inferiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado; la sezione
d'appello delibera in camera di consiglio, sentite le parti, nel termine perentorio di cinque
giorni successivi al deposito della richiesta e, in caso di accoglimento, ai fini della definizione
del giudizio ai sensi dell'articolo 1, comma 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con
decreto da comunicare immediatamente alle parti, determina la somma dovuta in misura pari
a quella versata.”.
La disciplina sopra citata si innesta in un intricato percorso normativo che prende le
mosse dalle specifiche norme previste dalla legge finanziaria per il 2006 (L. 266/2005) in
merito alla possibilità per i condannati in primo grado nei giudizi di responsabilità dinanzi alla
Corte dei conti di chiedere, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito
mediante il pagamento di una determinata percentuale del danno quantificato nella sentenza di
primo grado. In tale casistica, l’elaborazione giurisprudenziale aveva introdotto specifiche
clausole di esclusione per condotte particolarmente gravi ovvero connotate da dolo oppure
che avevano procurato un illecito arricchimento degli aventi causa del condannato.
Come innanzi esposto, l’istituto agevolativoè stato giustificato con la “particolare
opportunità di addivenire in tempi rapidi all'effettiva riparazione dei danni erariali accertati
con sentenza di primo grado”.
Tuttavia, l’inserimento di un provvedimento di vero e proprio “condono erariale” in
una decretazione d’urgenza in materia di fiscalità locale, immobiliare e di sostegno alle
politiche abitative, occupazionali e pensionistiche non appare attinente e coerente con gli
scopi ed i contenuti della norma.
In linea procedurale viene eliminato il preesistente obbligo per il giudice di udire
l’Organo requirente sull’opportunità di aderire all’istanza definitoria del giudizio.
Successivamente con il D.L.120/2013 convertito, con modificazioni, dalla L.137/2013
è stata disposta la modifica dell'articolo 14, comma 2, del citato D.L.102/2013, sia per quanto
riguarda il termine del 15 ottobre 2013, prorogato al 4 novembre 2013, sia con riferimento al
termine di 15 giorni entro il quale la sezione d'appello delibera in camera di consiglio, ridotto
a 7 giorni.
D.P.R. 132/2013, che approva il regolamento per le modalità di adozione del piano dei
conti integrato a carico delle Amministrazioni pubbliche.
Legge di stabilità 147/2013, sostitutiva di quella finanziaria, pur avendo carattere
prevalentemente programmatorio, introduce innovative disposizioni sostanziali come quelle
previste al comma 549 dove si ipotizza un illecito amministrativo perseguibile innanzi alla
Corte dei conti per omessa richiesta della provvista finanziaria entro i termini prestabiliti dalla
legge.
D.L.149/2013, recentemente convertito in L.13/2014 (Abolizione del finanziamento
pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della
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contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore) ha avviato il processo
di ristrutturazione del finanziamento dei partiti politici al fine di adeguarli agli standards
europei sia per la contribuzione che per la trasparenza, nonché in adesione alla volontà
popolare (90% degli italiani) che si è dichiarata avversa al finanziamento pubblico nel lontano
1993.
La questione dei rimborsi elettorali sarà risolta definitivamente solo dal 2017, mentre
dal 2013 aumentano rispetto all’anno precedente i finanziamenti dai privati ai partiti politici,
salvo ulteriori modifiche.
“Art. 1 Abolizione del finanziamento pubblico e finalità (in vigore dal 28 dicembre
2013).
1. Il rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e i contributi pubblici erogati per
l'attività politica e a titolo di cofinanziamento sono aboliti ai sensi di quanto disposto
dall'articolo 14.
2. Il presente decreto disciplina le modalità per l'accesso a forme di contribuzione volontaria
fiscalmente agevolata e di contribuzione indiretta fondate sulle scelte espresse dai cittadini
in favore dei partiti politici che rispettano i requisiti di trasparenza e democraticità da essa
stabiliti.”.
“Art.12 Destinazione volontaria del due per mille dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche (in vigore dal 27 febbraio 2014).
1. A decorrere dall'anno finanziario 2014, con riferimento al precedente periodo d'imposta,
ciascun contribuente può destinare il due per mille della propria imposta sul reddito delle
persone fisiche a favore di un partito politico iscritto nella seconda sezione del registro di
cui all'articolo 4.
2. Le destinazioni di cui al comma 1 sono stabilite esclusivamente sulla base delle scelte
effettuate dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi, ovvero da quelli
esonerati dall'obbligo di presentare la dichiarazione, mediante la compilazione di una
scheda recante l'elenco dei soggetti aventi diritto trasmesso all'Agenzia delle entrate ai
sensi dell'articolo 10, comma 3, del presente decreto. Il contribuente può indicare sulla
scheda un solo partito politico cui destinare il due per mille.
2-bis. Le risorse corrispondenti alle opzioni espresse ai sensi dei commi precedenti dai
contribuenti che hanno presentato le dichiarazioni dei redditi entro il 30 giugno di ciascun
anno o comunque nel diverso termine annualmente stabilito per la presentazione delle
dichiarazioni ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del regolamento di cui al decreto del
Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n.164, e successive modificazioni, ovvero da quelli
esonerati dall'obbligo di presentare la dichiarazione, mediante la compilazione di una
scheda recante l'elenco dei soggetti aventi diritto, sono corrisposte ai partiti a titolo di
acconto entro il successivo 31 agosto, comunque entro un limite complessivo pari al 40 per
cento della somma autorizzata per ciascun anno ai sensi del comma 4. Entro il successivo
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31 dicembre sono corrisposte ai partiti le risorse destinate dai contribuenti sulla base del
complesso delle dichiarazioni presentate entro gli ordinari termini di legge, al netto di
quanto versato ai medesimi a titolo di acconto. Ai fini della ripartizione delle risorse
destinate dai contribuenti non si tiene comunque conto delle dichiarazioni dei redditi
presentate ai sensi dell'articolo 2, commi 7, 8 e 8-bis, del regolamento di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n.322. La somma complessivamente
corrisposta ai partiti aventi diritto non può in ogni caso superare il tetto di spesa stabilito
per ciascun anno ai sensi del comma 4.
3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di natura non regolamentare, da
adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto, su proposta del Ministro per le riforme costituzionali, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti i criteri e le modalità per il riparto e la
corresponsione delle somme spettanti ai soggetti aventi diritto sulla base delle scelte
operate dai contribuenti, in modo da garantire la tempestività e l'economicità di gestione,
nonché le modalità di semplificazione degli adempimenti e di tutela della riservatezza e di
espressione delle scelte preferenziali dei contribuenti.
3-bis. In via transitoria, per il primo anno di applicazione delle disposizioni del presente
articolo, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, da adottare entro dieci
giorni dall'avvenuta ricezione dell'elenco dei soggetti aventi diritto, sono definite:
a) l'apposita scheda per la destinazione del due per mille dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche e le relative modalità di trasmissione telematica;
b) le modalità che garantiscono la semplificazione degli adempimenti a carico dei
contribuenti e la tutela della riservatezza delle scelte preferenziali, secondo quanto
disposto in materia di destinazione dell'otto e del cinque per mille.
4. Per le finalità di cui al presente articolo è autorizzata la spesa nel limite massimo di 7,75
milioni di euro per l'anno 2014, di 9,6 milioni di euro per l'anno 2015, di 27,7 milioni di
euro per l'anno 2016 e di 45,1 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017, da iscrivere in
apposito fondo da istituire nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle
finanze. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 11, commi 10 e 11.
5. Agli oneri derivanti dall'attuazione del comma 4 del presente articolo si provvede mediante
utilizzo di quota parte dei risparmi che si rendono disponibili per effetto delle disposizioni
recate dall'articolo 14, commi 1, lettera b), e 2, del presente decreto.
6. Le somme iscritte annualmente nel fondo di cui al comma 4, non utilizzate al termine
dell'esercizio, sono nuovamente riversate all'entrata del bilancio dello Stato.
6-bis. Per le spese relative alle comunicazioni individuali e al pubblico relative alle
destinazioni di cui al comma 1, il partito politico usufruisce della tariffa postale di cui
all'articolo 17 della legge 10 dicembre 1993, n.515. Tale tariffa può essere utilizzata
unicamente nel mese di aprile di ciascun anno.
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6-ter. Ai maggiori oneri di cui al comma 6-bis, determinati nel limite massimo di 9 milioni di
euro nel 2014, 7,5 milioni di euro nel 2015 e 6 milioni di euro nel 2016, si provvede
mediante utilizzo di quota parte dei risparmi che si rendono disponibili per effetto delle
disposizioni recate dall'articolo 14, commi 1, lettera b), e 2, del presente decreto.”.
“Art.14 Norme transitorie e abrogazioni (In vigore dal 28 dicembre 2013).
1. I partiti e i movimenti politici ai quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, è
riconosciuto il finanziamento pubblico ai sensi della legge 6 luglio 2012, n. 96, e della
legge 3 giugno 1999, n. 157, in relazione alle elezioni svoltesi anteriormente alla data di
entrata in vigore del presente decreto, il cui termine di erogazione non è ancora scaduto
alla data medesima, continuano ad usufruirne nell'esercizio finanziario in corso e nei tre
esercizi successivi, nelle seguenti misure:
a) nell'esercizio in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, il finanziamento
è riconosciuto integralmente;
b) nel primo, nel secondo e nel terzo esercizio successivi a quello in corso alla data di
entrata in vigore del presente decreto, il finanziamento è ridotto nella misura,
rispettivamente, del 25, del 50 e del 75 per cento dell'importo spettante.
2. Il finanziamento cessa a partire dal quarto esercizio finanziario successivo a quello in corso
alla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. Nei periodi di cui alle lettere a) e b) del comma 1, ai soli fini e nei limiti di cui al medesimo
comma, continua ad applicarsi la normativa indicata al comma 4.
4. Sono abrogati:
a) gli articoli 1 e 3, commi dal secondo al sesto, della legge 18 novembre 1981, n. 659;
b) l'articolo 1 della legge 8 agosto 1985, n. 413;
c) gli articoli 9 e 9-bis, nonché l'articolo 12, comma 3, limitatamente alle parole: «dagli
aventi diritto», l'articolo 15, commi 13, 14, limitatamente alle parole: «che non abbiano
diritto ad usufruire del contributo per le spese elettorali», e 16, limitatamente al secondo
periodo, e l'articolo 16 della legge 10 dicembre 1993, n. 515;
d) l'articolo 6 della legge 23 febbraio 1995, n. 43;
e) l'articolo 1, commi 1, 1-bis, 2, 3, 5, 5-bis, 6, con esclusione del secondo periodo, 7, 8, 9
e 10, e gli articoli 2 e 3 della legge 3 giugno 1999, n. 157;
f) gli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 9, commi da 8 a 21, e 10 della legge 6 luglio 2012, n. 96.
5. A decorrere dal 1° gennaio 2014 sono abrogati l'articolo 15, comma 1-bis, e l'articolo 78,
comma 1, limitatamente alle parole: «per le erogazioni liberali in denaro in favore dei
partiti e movimenti politici di cui all'articolo 15, comma 1-bis, per importi compresi tra
51,65 euro e 103.291,38 euro, limitatamente alle società e agli enti di cui all'articolo 73,
comma 1, lettere a) e b), diversi dagli enti nei quali vi sia una partecipazione pubblica o i
cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, nonché dalle società ed
enti che controllano, direttamente o indirettamente, tali soggetti, ovvero ne siano controllati
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o siano controllati dalla stessa società o ente che controlla i soggetti medesimi, nonché
dell'onere», del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.”.
“Art.14 bis Modificazioni di norme in materia di controllo delle spese elettorali (In
vigore dal 27 febbraio 2014).
1. All'articolo 12, comma 1, della legge 10 dicembre 1993, n. 515, le parole: «ai Presidenti
delle rispettive Camere, entro quarantacinque giorni dall'insediamento, per il successivo
invio alla Corte dei conti» sono sostituite dalle seguenti: «alla Corte dei conti, entro
quarantacinque giorni dall'insediamento delle rispettive Camere».
2. All'articolo 13, comma 7, della legge 6 luglio 2012, n. 96, alle parole: «la sezione regionale
di controllo» sono premesse le seguenti: «il collegio istituito presso».”
Tipologie di danno erariale
Danno all’immagine
La natura del danno all’immagine è stata oggetto di numerosi interventi interpretativi
nel corso degli anni. Si richiama, per un excursus puntuale sul tema, la recentissima sentenza
della Sezione Terza Centrale d’appello n.781 del 4 dicembre 2013 che lo classifica come:
“danno esistenziale perché il fatto criminoso genera lesioni nell'ordine giuridico che relaziona
i soggetti di una collettività, ne mina la loro coesione, incrina il senso di appartenenza e di
partecipazione all'attuale e futura vita della collettività stessa, deteriora il carattere
esponenziale o attributivo della cura di interesse pubblico in capo al soggetto giuridico
pubblico che deve salvaguardare quel valore dell'ordine giuridico ingiustamente leso” (si cita
la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione 28 giugno 2013, n. 16413; 22 agosto
2013, n. 19402 e 3 ottobre 2013, n. 22585 che ha ripreso la nozione di danno esistenziale
conferendogli una sua autonomia)” poiché qui si tratta di lesione all’ interesse di una persona
giuridica pubblica e alla collettività (che la prima rappresenta o di cui cura un interesse). Il
danno, o il pregiudizio, è esistenziale - poiché mina la funzione stessa del pubblico ente e le
sue capacità di cura del bene pubblico, di relazione e di aggregazione della collettività.”
Nell’accezione di danno proposta: “E' non patrimoniale la perdita di
motivazione indotta dal fatto illecito nel pubblico dipendente - nella disgregazione della
capacità operativa di un'organizzazione - con le conseguenti difficoltà di porsi al servizio
della Nazione (art. 98 Cost.) del pubblico operatore, come anche la perdita di senso
aggregativo e partecipativo che tocca i singoli membri di una collettività i quali perdono un
capitale profilo dell'identità della persona e della sua esplicazione e realizzazione anche come
“essere sociale” (così come nell'associazionismo privato, negli organismi di rappresentanza o
di cura degli interessi pubblici).
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E' patrimoniale se si considera la lesione all'art.97 Cost., non disgiungibile
dall'art.81 della stessa Carta fondamentale, con il nocumento ai valori del buon andamento,
dell'imparzialità e delle pubbliche risorse finanziarie.”.
Quando si tratta la tematica del danno all’immagine della Pubblica
Amministrazione le fattispecie si imbattono, inevitabilmente, nelle note problematiche
relative all’interpretazione e dell’art. 17, comma 30 ter D.L.78/2009 (convertito con L.102/09,
modificato dal D.L.103/09, convertito con L.141/09) e infine dell’art 1 comma 62
L.190/2012.
Quest’ultima norma c.d.“legge anticorruzione” ha ampliato le attribuzioni delle
Procure regionali della Corte dei Conti quanto all’esercizio di azioni cautelari e di merito
finalizzate alla tutela del credito erariale conseguente alla lesione dell’immagine della persona
giuridica pubblica a fronte di reati commessi da parte di appartenenti alla medesima.
Il disposto di cui sopra deriva dai nuovi commi 1-sexies e 1-septies dell’art.1
L.20/1994, introdotti appunto dalla legge anticorruzione, che sanciscono: “1-sexies. Nel
giudizio di responsabilità, l'entità del danno all'immagine della pubblica amministrazione
derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato
con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della
somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal
dipendente. 1-septies. Nei giudizi di responsabilità aventi ad oggetto atti o fatti di cui al
comma 1-sexies, il sequestro conservativo di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 15
novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, è
concesso in tutti i casi di fondato timore di attenuazione della garanzia del credito erariale”.
Sono disposizioni che hanno una notevole incidenza sulla fattispecie di responsabilità
erariale in parola.
La formulazione del predetto comma 1-sexies con riferimento all’inciso “...danno
all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro
la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato”, evidenzia
innanzitutto che l’espressione “reato contro la p.a.”, a fronte del quale può derivare un
pregiudizio all’immagine pubblica dell’istituzione, è qualcosa di diverso e ulteriore rispetto ai
delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a. contemplati dal precedente lodo Bernardo. Un danno
all’immagine risulta, quindi, sussistere anche in presenza di un reato comune e non più quale
unica conseguenza di un reato proprio commesso da pubblici ufficiali. Dal dettato normativo
emerge inoltre il riferimento ad una “sentenza passata in giudicato” (e non più solo ad una
“sentenza di condanna”), dando rilevanza, ai fini della responsabilità, all’accertamento
definitivo di un reato contro la p.a..
In conclusione l’accertamento del giudice penale può essere rinvenuto anche in una
sentenza di patteggiamento o di non doversi procedere per prescrizione del reato, purché
passato in giudicato.
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La legge in questione, intervenendo sul citato comma 1 septies (art. 1 L.20/94),
disciplina i presupposti delle azioni cautelari che il P.M. contabile può proporre per la tutela
del credito erariale derivante da una lesione dell’immagine della P.A. Il sequestro
conservativo può essere azionato in tutti i casi ove sussista il fondato timore di attenuazione
della garanzia del credito erariale.
Per quanto riguarda la problematica del clamor fori (e cioè l’eco sui mass media dei
fatti di reato o della sentenza penale definitiva per un reato contro la P.A.), alcuni operatori
del diritto dibattono sul fatto se sia esso elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità
erariale per danno all’immagine della P.A..
Il clamor può essere costituito anche dalla divulgazione all’interno
dell’amministrazione del fatto di reato di cui alla condanna penale definitiva; essendo sia il
profilo interno che quello esterno dell’immagine della p.a. ugualmente degni di
considerazione.
La Sezione II d’Appello della Corte dei Conti, con sentenza n.662/2011, ha ritenuto di
poter prescindere dal clamor fori quando i fatti di reato commessi dal pubblico dipendente
sono realizzati coinvolgendo terzi estranei alla p.a. “nei casi in cui ove le modalità di
commissione degli illeciti comportano il coinvolgimento di soggetti estranei
all’amministrazione, la diffusione della notizia nei mass media non ha valenza costitutiva del
danno all’immagine, potendo solo comportare un effetto amplificativo della lesione già
prodotta; effetto di cui il giudice deve tenere conto nella valutazione della misura del danno e
del conseguente risarcimento da addebitare al dipendente infedele”.
Tutti gli elementi costitutivi della responsabilità per danno all’immagine della p.a.
sono stati quindi oggetto di disciplina legislativa ma il legislatore qualifica sempre detto
pregiudizio come un “danno” e dunque da comprovare in giudizio secondo le regole generali
sull’onere della prova.
La recente legge anticorruzione (L.190/2012), modificando i commi 1 sexies e 1
septies dell’art. 1 L.20/1994, ha indicato in via presuntiva l’entità del danno all’immagine a
fronte di reati contro la p.a. dai quali è scaturita una utilitas per il reo.
La quantificazione ex lege dell’entità del danno all’immagine, per quei reati contro la
p.a. dai quali il dipendente-reo ha tratto una utilità, sembra delineare in senso sanzionatorio
(illecito senza danno), più che risarcitorio, la responsabilità erariale. Tuttavia, il dibattito
dottrinale e giurisprudenziale circa l’interpretazione della normativa concernente il danno
all’immagine è in costante approfondimento ed evoluzione, pertanto non si è pervenuti ad una
definizione concettuale univoca.
Nella responsabilità erariale sanzionatoria il danno è “assorbito” nella sanzione; la
giurisprudenza delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti ha, infatti, altresì precisato che
“...in considerazione di ciò, questo particolare tipo di responsabilità amministrativa (quella
sanzionatoria) - al contrario della responsabilità amministrativa di tipo risarcitorio, che non
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può sussistere se non in presenza di un danno risarcibile - non implica necessariamente la
sussistenza di un danno patrimoniale, in quanto, essendo di tipo sanzionatorio e non
risarcitorio, può sussistere pur allorquando non si sia verificato alcun danno patrimonialmente
rilevante per le finanze dell'ente di appartenenza dell'amministratore o del dipendente
pubblico che abbia violato il precetto previsto dalla legge, e a cui la legge stessa riconnette
l'applicazione di una sanzione. Ciò è a dire che, ai fini della sussistenza della responsabilità
amministrativa di tipo sanzionatorio non occorre, da parte del giudice, verificare la
sussistenza di un danno ingiusto risarcibile, non essendo, appunto, una forma di responsabilità
per danno, ma è necessario che si accerti la mera violazione del precetto previsto dalla legge,
oltre, ovviamente, l'elemento psicologico” (Corte dei Conti, Sezioni Riunite, 27 dicembre
2007 n. 12/QM/2007).
Tuttavia l’eccezione è rappresentata da quei reati contro la p.a. dove non si riscontra
alcuna utilitas economicamente specificabile incamerata dal dipendente, per la quale sarà
effettuabile una determinazione equitativa del risarcimento.
In sintesi, l’unica prova contraria deducibile in giudizio potrà essere quella vertente su
una eventuale diversa quantificazione dell’utilitas percepita concretamente con la
commissione del reato contro la p.a. che, se minore o maggiore rispetto a quella di cui alla
contestazione erariale, potrà comportare una variazione dell’importo risarcitorio.
Sulla questione del danno all’immagine la Sezione si è pronunciata con la sentenza n.
129/2013 che, in tema della risarcibilità del danno di cui si discute, fa richiamo alla Suprema
Corte che ha affermato: “Poiché anche nei confronti della persona giuridica ed in genere
dell'ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il
fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia
equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione e fra tali
diritti rientra l’immagine della persona giuridica o dell'ente, allorquando si verifichi la lesione
di tale immagine, è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, il
danno non patrimoniale costituito- come danno c.d. conseguenza - dalla diminuzione della
considerazione della persona giuridica o dell'ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto
il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone
fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire
dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in
genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma
interagisca”(Sez. III n.12929/2007), principi questi confermati anche in tempi recentissimi
(Sez. III n.4542/2012).
Nella fattispecie, la lesione del prestigio dell’amministrazione è direttamente derivata
dalle condotte criminose accertate dal giudice penale e consistenti nell’avere costretto od
indotto, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, il titolare di una ditta di
Ancona a corrispondere ai due convenuti circa 50.000,00 euro ciascuno, a titolo di tangente.
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L’episodio ha assunto una vasta eco sia locale che nazionale ed il giudizio si è concluso con
una sentenza di condanna al pagamento della somma di euro 100.000, aumentata della
rivalutazione monetaria oltre gli interessi al tasso legale, a carico dei chiamati in giudizio che
rivestivano le qualifiche di Provveditore alle Opere Pubbliche e ingegnere capo del
Provveditorato per le Marche.
Questa Sezione è stata di recente investita della questione del danno all’immagine per
figure di appartenenti alle Forze dell’ordine, nei cui confronti sono state pronunciate sentenze
di condanna passate in giudicato per reati di peculato e concussione ma i relativi giudizi non
sono pervenuti alla fase decisionale.
U.E e le frodi comunitarie
Un’interessante ricerca ha monitorato recentemente tutti gli Stati europei per rilevare
per il 2013 la loro capacità di utilizzo dei fondi di coesione dell’Unione Europea, quali il
fondo europeo di sviluppo sociale (Fesr) ed il fondo sociale europeo (Fes).
Vi è da constatare che l’Italia si trova al pari della Grecia e prima della Bulgaria e
Romania e che nell’ultimo anno, comunque, è stato fatto dalle Regioni un notevole lavoro per
non perdere le risorse europee, raggiungendo i livelli minimi stabiliti da Bruxelles.
Al 31/12/2013 risulta che la spesa impegnata è poco più della metà della somma messa
a disposizione dall’Italia nel periodo 2007- 2013 e quindi non sono stati utilizzati 10 miliardi
di euro, a cui sono da aggiungere per il futuro i 29 miliardi previsti per i setti anni che vanno
dal 2014 al 2020.
Nel circuito economico finanziario sono da considerare, inoltre, i miliardi derivanti dal
co-finanziamento nazionale e tutto ciò dovrebbe essere completamente finalizzato ad
innescare crescita e posti di lavoro.
Per quanto riguarda la regione Marche è stato rilevato che l'andamento di impegni e
pagamenti relativi al programma d'impiego dei fondi europei per lo sviluppo regionale è
positivo poiché i dati emersi, dalla riunione del comitato per la verifica di gestione delle
risorse assegnate alle Marche dal Fondo europeo di sviluppo regionale, appaiono del tutto
confortanti.
Infatti è stato riscontrato che la media nazionale di Regioni e Province autonome ha
fatto segnare un 54,78% per quanto riguarda gli impegni e un 31,52% nei pagamenti mentre le
Marche hanno registrato un 74,23% negli impegni e un 35,31% nei pagamenti. Dei 288,8
milioni di euro complessivamente disponibili, oltre 214 sono quindi già stati impegnati, con
102 milioni di pagamenti già effettuati. Circa 1.600 sono stati i progetti finora ammessi a
contributo e ciò, in un momento di difficoltà economica e scarsità di risorse dedicate allo
sviluppo, diviene sempre più vitale, l'efficienza nell'utilizzo dei fondi europei disponibili.
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Per il 2014-2020 l’entità delle risorse europee che saranno assegnate alle Marche
ammonta a 566 milioni circa, per quello che riguarda i fondi strutturali (Fse-Fondo sociale
europeo e Fesr-Fondo europeo di sviluppo regionale) a cui si aggiungono 450 milioni
provenienti dal Programma di sviluppo rurale.
Premesso quanto sopra per evidenziare l’importanza e l’indispensabile necessità di
usufruire al massimo e tempestivamente dei fondi comunitari, occorre che l’impiego di tali
risorse sia corretto e lecito da parte dei beneficiari.
Nell’anno giudiziario 2013 questa Sezione si è occupata più volte delle frodi e
irregolarità consistenti nell’illecita percezione e destinazione di risorse pubbliche, erogate
nell’ambito di programmi finanziati da fondi comunitari e nazionali.
Va precisato, innanzitutto che, in base al Trattato sul funzionamento dell’Unione
Europea, il contrasto a tale forma di devianza nell’uso delle risorse comunitarie costituisce un
obbligo giuridico per ogni Stato, che è chiamato a rispondere per la omessa attuazione delle
misure di tutela, in presenza di inadeguatezza nell’azione di prevenzione, contrasto e recupero
delle somme corrispondenti agli importi frodati.
Le frodi consistono, essenzialmente nell’illecita appropriazione di contributi pubblici o
di derivazione europea oppure pubblici, per la presenza di un modus operandi finalizzato solo
ed esclusivamente a trarre un profitto illegale per interessi personali, senza raggiungere le
finalità che sono alla base della concessione dei contributi stessi, cosicché non vengono
realizzati i risultati prestabiliti in ordine allo sviluppo economico di particolari zone del paese.
Infatti il settore nel quale più frequentemente si verificano fattispecie di frodi è sia
quello concernente contributi e sovvenzioni concessi al fine di agevolare lo sviluppo agricolo
ed industriale e di favorire la formazione professionale dei giovani, sia quello delle truffe in
materia di I.V.A. con riferimento alle entrate.
Sono assoggettati alla giurisdizione della Corte dei conti i pubblici operatori e tutti
coloro che, anche occasionalmente, abbiano gestito fondi comunitari e chiunque attraverso
dati falsi ottenga indebitamente contributi, restituzioni ed altre erogazioni a carico totale o
parziale dei fondi europei.
In tale materia quest’Organo giurisdizionale si è in pronunciato nell’ambito di
procedimenti di merito, azionati dal P.M. contabile a seguito delle indagini investigative della
Guardia di Finanza di Pescara che aveva evidenziato un disegno criminoso che consentiva
l’erogazione di ingenti somme a soggetti non aventi diritto, cagionando in tal modo un
rilevante danno erariale a livello nazionale e comunitario.
In tale contesto sono coinvolti una pluralità di soggetti, dipendenti pubblici e privati:
- i primi, per avere autorizzato erogazioni illecite a favore dei beneficiari dei contributi non
spettanti, nell’ambito di procedimenti amministrativi formatisi sulla base di documenti
falsi sia materialmente, sia ideologicamente;
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-
i secondi, invece, per aver permesso la sottrazione delle somme, mettendo a disposizione
degli organizzatori della truffa, conti correnti e depositi sui quali venivano versati i
contributi, successivamente “svuotati ad arte”.
La giurisdizione e la competenza di questa Sezione per le Marche è stata affermata
sull’accertamento della prevalenza delle condotte dei privati rispetto ai comportamenti dei
funzionari pubblici nella determinazione del danno erariale, poiché non vi sarebbe stato danno
alcuno se i privati non avessero percepito o avessero restituito le somme illegittimamente loro
pervenute.
Con riferimento a quanto innanzi detto, devo segnalare la sentenza n.38/2013. Questa
Sezione, considerando che le attività illecite accertate hanno procurato un indebito
arricchimento complessivo di euro 3.554.810,09 ai sedici convenuti – sia privati che hanno
percepito i contributi sia funzionari dell’Agea che predisponendo la falsa documentazione li
hanno dolosamente erogati - ha condannato tutti i chiamati in giudizio.
In detta sentenza si è rimarcato che la Procura, all’atto del deposito dell’atto di
citazione, si è riservata un’azione successiva per danno all’immagine e da disservizio, in
ipotesi di definitiva condanna dei soggetti in sede penale, nella prospettiva anche che possa
insorgere un rischio di responsabilità dello Stato italiano nei confronti dell’Unione europea.
Contributi pubblici illecitamente percepiti a danno dello Stato
Con sentenza n. 39/2013 è stato condannato ad € 473.673,60 un chiamato in giudizio
che aveva ottenuto erogazioni pubbliche nell’ambito della legge n. 488/1992 in forza di due
Bandi “ per incentivazione delle attività produttive nelle aree depresse” e per quello
successivo relativo alle “aree disastrate dal terremoto nelle regioni Umbria e Marche”,
progetti entrambi concernenti la realizzazione di nuovi impianti. Il risarcimento del danno
erariale è derivante, in tal caso, dallo sviamento delle risorse attribuite per una finalità
predeterminata a favore della comunità.
Dagli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza e poi dalla sentenza di condanna
per truffa aggravata è risultato che, a sostegno dei costi che si affermavano sostenuti, erano
invece state presentate fatture non veritiere cioè sostanzialmente inesistenti.
Questa sezione ha, pregiudizialmente verificato la sussistenza della propria
giurisdizione in quanto il soggetto convenuto rivestiva la qualifica prima di Presidente del
consiglio di amministrazione e poi amministratore unico di una società a responsabilità
limitata (s.r.l.).
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato, in proposito, che rientrano nella
giurisdizione della Corte dei conti le fattispecie di danno erariale relative a fatti commessi
anche dall’amministratore di un ente privato, destinatario di contributi distratti illecitamente
dal fine pubblico cui sono destinati.
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Anche in tale fattispecie giudiziale è stata confermata la spettanza al giudice contabile
della giurisdizione sui soggetti privati destinatari di provvidenze pubbliche liquidate per la
realizzazione di finalità stabilite nell’atto di concessione, qualora la loro azione abbia
determinato uno sviamento degli scopi perseguiti.
Il settore sanitario
Una delle prevalenti forme di illecito registrate negli ultimi anni sul piano nazionale
deriva dalla violazione, da parte dei medici incardinati presso strutture pubbliche, delle
disposizioni concernenti il regime di esclusività. Appare, pertanto, utile richiamare alcune
sentenze nonché citare la normativa che è stata più volte modificata nel tempo.
Tale posta di danno è stata compiutamente configurata dalla sentenza n. 49 del 2005
della Sez. Giurisdizionale della Corte dei conti per l’Umbria, sentenza confermata in appello,
con la pronuncia della II Sez. Appello n. 615 del 2011.
Il medico può, infatti, rispondere del danno derivante dalla inosservanza e dalla
violazione della normativa in materia di esclusività del rapporto di lavoro, danno che consiste
nella differenza tra la retribuzione “piena” e quella da corrispondere correttamente, qualora lo
stesso medico avesse optato per il regime del tempo definito e fosse stato regolarmente
autorizzato sia a praticare quest’ultimo regime di orario di lavoro, sia ad espletare l’attività
lavorativa professionale privata al di fuori di quella già autorizzata in base alla Convenzione
all’uopo stipulata con l’Azienda sanitaria.
Numerosi medici svolgono, infatti, numerose attività in strutture private, con
conseguente danno erariale derivante dalla indebita percezione di somme in ragione della
violazione dell’obbligo di esclusività.
In tema di esclusività, giova precisare che, agli inizi degli anni 1990, il legislatore, con
L.412/1991 e con D.Lgs.502/1992, si era avviato nella direzione della erogazione delle
prestazioni ospedaliere e specialistiche in un contesto di mercato aperto caratterizzato
dall’ampio riconoscimento della libertà di scelta, con la normativa successiva - a partire dalla
L.662/1996- ha scelto la strada di intervenire profondamente nella revisione dell’assetto
organizzativo del sistema sanitario pubblico e nella revisione del rapporto di lavoro e di
servizio dei medici ospedalieri.
L’art. 1 della citata L.662/96 ha, infatti, disciplinato il regime delle incompatibilità dei
medici ospedalieri con il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) ed ha dettato una specifica
normativa in tema di attività libera professionale dei predetti medici ospedalieri, distinguendo
tra la c.d. “libera professione intramuraria o intramoenia” (svolta all’interno della struttura
dell’Ospedale da cui il personale medico dirigenziale dipende) e la c.d. “libera professione
extramuraria o extramoenia” (svolta all’esterno della struttura dell’Ospedale da cui il
personale medico dirigenziale dipende, in strutture sanitarie private non accreditate e/o
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convenzionate con il S.S.N.) e promuovendo l’esercizio negli ospedali pubblici della libera
professione intramuraria con un sistema di incentivi a favore di tale scelta. In particolare, il
comma 12 del citato art. 1 ha previsto, nei confronti dei medici che optano per la libera
professione intramoenia, l’attribuzione di un trattamento economico più favorevole ed il
riconoscimento di un titolo di preferenza per il conferimento di incarichi di direzione di
struttura e di accesso al secondo livello dirigenziale del ruolo sanitario.
Con L.448/1998 è stata, poi, definita una nuova disciplina della libera professione
intramuraria ed extramuraria, disponendo, all’art. 72, che la contrattazione collettiva deve
disciplinare il rapporto di lavoro di dirigenti del ruolo sanitario che abbiano scelto l’attività
extramoenia, prevedendo, comunque, la riduzione del trattamento economico ed il mancato
conferimento di incarichi di struttura.
Con L.419/1998 ha preso forma la tendenza verso una più accentuata esclusività del
rapporto di servizio della dirigenza del ruolo sanitario, incentivando, anche a livello
economico, la scelta per l’attività intramuraria ed allargandone la nozione con la c.d.
“intramoenia allargata”.
In particolare, il D.Lgs.229/1999, all’art. 13, ha ribadito il principio di esclusività del
rapporto di lavoro del medico dipendente del S.S.N., introducendo l’art. 15-quater e l’art. 15quinquies nel D.Lgs.502/1992; con tali articoli è stato sancito il divieto di svolgere attività di
identico contenuto per soggetti terzi ed è stata privilegiata l’esclusività del rapporto dei
dirigenti sanitari con il S.S.N.. Il citato art. 15-quinquies ha, quindi, disciplinato le
caratteristiche fondamentali del rapporto esclusivo dei dirigenti sanitari, prevedendo la
possibilità di esercitare l’attività libero professionale, non solo nell’ambito della struttura
dell’Azienda ospedaliera (“intramoenia”), ma anche al di fuori della stessa (“intramoenia
allargata”).
Il D. Lgs. 517/1999, nel comma 3 dell’art. 5, ha ribadito che al personale medico
universitario “convenzionato” e “strutturato” con il S.S.N. si applica lo stesso regime delle
incompatibilità del personale medico ospedaliero, e, nel comma 12 dello stesso art. 5, ha
disposto che “lo svolgimento dell’attività professionale intramuraria comporta l'opzione per il
tempo pieno e lo svolgimento dell’attività extramuraria comporta l’opzione per il tempo
definito ex art.11 D.P.R.382/1980”.
L’inosservanza della normativa, innanzi riportata, causa un danno erariale tutte le
volte che il medico percepisce la retribuzione del rapporto di lavoro come se svolgesse
meramente attività esclusiva a tempo pieno, invece di percepire la retribuzione spettante per
un rapporto di lavoro a tempo parziale.
Il principio fondamentale che emerge in tutta evidenza dal quadro normativo in
precedenza tracciato è indubbiamente quello della esclusività del rapporto, e cioè il principio
che con il S.S.N. può intercorrere un solo rapporto di lavoro, superando così il passato regime,
in base al quale potevano sussistere anche più rapporti tra il dipendente del S.S.N. e
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quest’ultimo, ed evitando, così, situazioni di conflitto, anche potenziale, a detrimento della
trasparenza e funzionalità delle strutture sanitarie pubbliche. Lo svolgimento dell’attività
libero professionale da parte del dipendente del S.S.N. assume, perciò, natura eccezionale,
perché soggetto ad una disciplina di tipo autorizzatorio, che rende lecito e legittimo lo
svolgimento di detta attività al di fuori della struttura pubblica, nei limiti delle prescrizioni
contenute nella concessa autorizzazione, e che rende, al contrario, illecito ed illegittimo
l’esecuzione delle attività libero professionali quando esse sono svolte senza aver ottenuto la
citata autorizzazione ovvero in contrasto ed in violazione della autorizzazione ricevuta.
La Sezione giurisdizionale per il Veneto si è occupata della problematica inerente la
violazione del regime di esclusività, nella sentenza n. 221 del 2013, ed ha sancito che l’avere
optato, espressamente o tacitamente, per l’esercizio della libera professione intramuraria e
l’assoggettamento al rapporto di esclusiva, comporta una duplice conseguenza:
l’incompatibilità con lo svolgimento di attività libero professionali (art. 1, comma 5
L.662/1996) e l’attribuzione di un trattamento economico aggiuntivo, quale corrispettivo per
la limitazione intramoenia di tale attività (art. 1, comma 12 L.662/96).
L’assoggettamento al rapporto di esclusiva legittima, quindi, il conferimento, ai
medici che per esso hanno optato, della indennità di esclusiva, della retribuzione di posizione
e di risultato, mentre ai dirigenti medici a rapporto di lavoro non esclusivo oltre a non spettare
la corrispondente omonima indennità, non compete la retribuzione di risultato e spetta in
misura ridotta la retribuzione di posizione.
La violazione delle regole sul rapporto di esclusività ha reso – per la Sezione Veneto indebita la percezione di taluni emolumenti, quali quelli previsti per remunerazione
aggiuntiva alla retribuzione ed in conseguenza dell’opzione per l’attività intramuraria,
costituiti dall’indennità di esclusiva, dalla retribuzione di risultato e di parte della retribuzione
di posizione.
La ratio del rapporto di esclusiva e delle norme ad esso strumentali, in una con
l’opzione per l’esercizio della libera professione intramuraria, è individuata nel perseguimento
dell’obiettivo <<...di promuovere e qualificare il servizio pubblico nonché di favorire lo
sviluppo di un regime di concorrenza con il privato nell’erogazione dei servizi, al fine del
miglioramento della qualità delle prestazioni che contengono l’inequivocabile affermazione
dell’esclusività del rapporto di lavoro e l’imposizione del divieto, per il personale sanitario, di
svolgere attività professionale privata, incompatibile con gli interessi della struttura sanitaria
di appartenenza>> (così Corte dei conti, Sezione 1^ d’App., n.477/2010/A, del 23 luglio
2010).
In sostanza, l’indennità di esclusività <<...si distingue... poiché dovuta a
remunerazione della esclusività del rapporto di lavoro, aggiuntivamente alla retribuzione, in
conseguenza dell’opzione per l’attività intramuraria, a favore dei medici ospedalieri...>> (così
Consiglio di Stato, Sez. IV, n.7298, del 05 ottobre 2010).
22
Sul tema, giova richiamare, altresì, le recenti pronunce n. 46 e n. 145 del 2013 della
Sezione Giurisdizionale per la Sardegna.
Dalle citate sentenze emerge che l’indennità di esclusiva (o di tempo pieno),
espressamente indicata quale “indennità per l’esclusività del rapporto”, appare
inscindibilmente legata alla scelta del rapporto di lavoro esclusivo, essendo diretta a
compensare i minori guadagni derivanti dall’esercizio dell’attività libero professionale nei soli
termini e modi autorizzati dall’Ente di appartenenza, cui va, inoltre, devoluta parte degli
introiti percepiti. Logica conseguenza è che qualora un dirigente medico opti per il regime di
esclusività, ma eserciti un’attività professionale a titolo oneroso, in palese spregio alle
modalità concordate in sede di autorizzazione allo svolgimento della libera professione
intramoenia c.d. allargata, la percezione in mala fede dell’indennità di esclusività costituisce
un indebito arricchimento e contestualmente un danno per l’Amministrazione sanitaria.
In casi come quello all’esame, la giurisprudenza della Corte dei conti è pacifica nel
determinare il danno erariale nella differenza tra quanto percepito in rapporto di esclusività e
quanto, viceversa, il medico avrebbe potuto percepire in regime di non esclusività (Sez.
Toscana, sentenza n. 489 del 2009; Sez. Campania, sentenza n. 1400 del 2012; Sezione Terza
centrale d’appello, sentenza n. 432 del 2012; Sezione Appello Sicilia, sentenza n. 22 del 2012;
Sezione Emilia Romagna, sentenza n. 209 del 2012).
Sussistono, peraltro, divergenze, nella giurisprudenza contabile, in ordine ai criteri
utilizzati per la quantificazione di tale danno, talora ravvisato nel percepimento dell’indennità
di esclusività, talaltra individuato nella integrale differenza tra quanto percepito dal medico in
regime di intramoenia e quanto spettante al sanitario in regime di extramoenia (Sezione
Calabria, sentenza n. 632/2011).
Nell’ambito del diritto penale la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 19156 del 5
maggio 2013, ha precisato che non sussiste il reato di truffa (art. 640 c.cp.), nell’ipotesi del
medico che in intramoenia e senza autorizzazione della A.U.L.S.S., svolge attività libero
professionale, se si limita a percepire i compensi per l’attività privata senza compiere attività
fraudolenta, sussiste, al contrario, la truffa se il medico ha rilasciato la dichiarazione di non
aver svolto attività retribuita nei cinque anni precedenti.
La stessa Corte di Cassazione, nella sentenza n. 30798 del 2012, ha confermato che è
principio consolidato della giurisprudenza di legittimità che, in materia di truffa contrattuale,
anche il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze, da parte di chi abbia il dovere
giuridico di farle conoscere, integra l’elemento oggettivo ai fini della configurabilità dello
stesso reato, trattandosi di un raggiro idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un
consenso che altrimenti non avrebbe dato. La stessa Corte di Cassazione ha, inoltre, precisato
che il reato in esame è configurabile non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma
anche in quella dell’esecuzione allorquando una delle parti, nel contesto di un rapporto lecito,
induca in errore l’altra parte con artifizi e raggiri, omettendo intenzionalmente la
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comunicazione di circostanze rilevanti che si ha il dovere di far conoscere, conseguendo un
ingiusto profitto con altrui danno.
Da ultimo va ricordato che il D.L. 158/2012, convertito dalla L.189/2012,
all’art. 2 disciplina nuovamente l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria.
Tali tematiche sono state ripetutamente trattate da questa Sezione negli ultimi anni,
con decisioni che hanno anche riguardato medici frequentanti corsi di formazione ed
infermieri che svolgevano altre attività non autorizzate.
Considerazioni attinenti il giudizio relativo alla manifestazione “Mo. Mi.”
La sentenza n.87/2013, emessa da questa Sezione, ha suscitato talune critiche da parte
dell’opinione pubblica in merito alla dichiarazione di difetto di giurisdizione concernente la
citazione della Procura regionale nei confronti del Presidente del Consiglio di
amministrazione, di altri componenti del C.d.A. della Fiere di Pesaro Spa, società
organizzatrice della manifestazione Moto e Miti 2004 (Mo.Mi.), e di due organizzatori,
chiamati tutti a rispondere a titolo di responsabilità amministrativo contabile per l’asserito
danno erariale d’importo superiore a 450.000 euro, derivante dall’organizzazione della
predetta manifestazione.
L’accertamento del riparto di giurisdizione tra giudice contabile e ordinario è risultato
assolutamente pregiudiziale, atteso che la questione investiva la responsabilità di organi,
dipendenti o collaboratori di società di capitali a partecipazione pubblica.
Alla luce della giurisprudenza vigente, di cui in seguito si è fatto cenno all’inizio della
relazione e di cui si esporrà più diffusamente nel proseguio, il discrimen tra giurisdizione
contabile e ordinaria, stante la distinta personalità della società e della sua conseguente
autonomia patrimoniale rispetto ai soci, è determinato dal soggetto che si intende danneggiato
dal comportamento illecito dei chiamati in responsabilità.
Nel caso di specie, la società per azioni “Fiere di Pesaro” - con partecipazione
pubblica di maggioranza - certamente svolge un’attività commerciale che in nessun modo può
essere assimilata all’attività amministrativa e il danno prospettato nell’atto di citazione è stato
causato alla società e non direttamente al socio pubblico.
Il Collegio ha segnalato le implicazioni che comporta l’orientamento giurisprudenziale
in questione per l’evidente pericolo che rimangano prive di tutela le ragioni
dell’Amministrazione pubblica nei confronti della cattiva gestione da parte di amministratori
e dipendenti di società nelle quali vengono investite risorse, spesso di notevole entità; ciò per
l’assenza nella giurisdizione ordinaria civile di un pubblico ministero che agisca anche in
assenza di dolo.
In mancanza di chiare disposizioni di legge in materia, la Sezione ha dovuto
affermare la carenza di giurisdizione della Corte dei conti nel caso in argomento e la
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giurisdizione del giudice ordinario, suscitando in tal modo il dissenso della stampa e
dell’opinione pubblica, convinte che non fosse stata fatta giustizia in un episodio ove si era
verificato un notevole sperpero di denaro pubblico.
Società partecipate (in house providing)
Come accennato in precedenza, la giurisdizione della Corte dei Conti, sugli atti di
mala gestio compiuti da amministratori e dipendenti delle societa’ partecipate dagli enti
pubblici, ha mutato il proprio ambito in relazione alla strutturazione ed alla connotazione del
moderno concetto di società partecipate, comprendente una miriade di organismi variamente
configurati.
L’iter giurisprudenziale e dottrinario in materia di giurisdizione della Corte dei Conti
in merito ha manifestato - nel passato - posizioni talora alquanto diversificate. Tuttavia, dal
2009, con la sentenza n.26806/2009 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a cui si è
quasi unanimamente allineata la giurisprudenza successiva, si è imposto un filone
giurisprudenziale che prevedeva la competenza del giudice ordinario sul danno cagionato
dagli organi della società al patrimonio della società partecipata da Enti pubblici (lgs. azione
sociale di responsabilità ex artt. 2393, 2393 bis, 2394 C.C.) riservando alla giurisdizione della
Corte dei Conti unicamente l’azione di responsabilità nei confronti:
- dell’amministratore o dei componenti degli organi di controllo della partecipata quando
l’ente pubblico partecipante fosse stato danneggiato direttamente dall’azione illegittima dei
primi (e non come riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale della partecipata);
- del rappresentante dell’ente pubblico partecipante (o del titolare di poteri decisionali in esso)
che colpevolmente avesse trascurato di esercitare i diritti di quest’ultimo quale socio della
partecipata, pregiudicando in tal modo il valore della partecipazione.
Fuori da tale stretta casistica, la giurisdizione della Corte dei conti sarebbe potuta
discendere solo da un’espressa previsione normativa oppure dall’attribuzione alla società
partecipata della qualifica di ente pubblico.
Il citato orientamento giurisprudenziale faceva perno sul rigido concetto civilistico di
responsabilità patrimoniale perfetta e sulla conseguente netta distinzione tra la società di
capitali ed i propri soci, alla luce della normativa vigente in materia di cognizione del giudice
contabile: art. 103 comma 2 Cost. (al di fuori delle materie di contabilità pubblica, la
giurisdizione della Corte dei Conti deve trovare fondamento in specifiche disposizioni di
legge); art. 13 R.D. 1214/1934 (la Corte dei Conti giudica sulla responsabilità per danni
arrecati all’erario da pubblici funzionari nell’esercizio delle proprie funzioni) ed art. 1 comma
4 L.20/1994 (la Corte dei Conti giudica sulla responsabilità di amministratori e dipendenti
pubblici anche per danni cagionati ad amministrazioni e enti pubblici diversi da quelli di
appartenenza) e della corrente concezione di società partecipata da enti pubblici.
25
Con la diffusione della figura societaria “particolare” della partecipata in house
providing nell’Ordinamento Giuridico nazionale, che evidenzia sia la sua immedesimazione
organica nella struttura dell’Ente pubblico partecipante che la non netta separazione
patrimoniale da quest’ultimo, anche la giurisprudenza di legittimità si è evoluta, nel senso di
ricondurre alla giurisdizione della Corte dei Conti l’azione nei confronti degli amministratori
(o dei componenti degli organi societari ovvero dei dipendenti) che colpevolmente avessero
arrecato un danno al patrimonio della società partecipata, ravvisandone gli estremi del danno
erariale.
La cognizione dei giudici contabili si permea su due considerazioni sostanziali:
- l’equiparazione degli amministratori/dipendenti della in house a quelli pubblici, in quanto
legati da un vero e proprio rapporto di servizio di fatto con l’Ente partecipante;
- la valutazione del pregiudizio arrecato al patrimonio della società così partecipata quale
danno erariale, stante l’assenza di reale distinzione tra i patrimoni della stessa e dell’ente
pubblico partecipante, seppur formalmente separati.
Le considerazioni sopra richiamate, trovavano spunto dagli elementi costitutivi
necessari della società in house providing individuati dapprima dalla giurisprudenza europea.
La nuova figura giuridica di origine prettamente giurisprudenziale è nata come la
risposta degli Stati membri alla facoltà loro concessa dalla normativa comunitaria di decidere
liberamente le modalità organizzative della prestazione dei servizi d’interesse economico
generale nel mercato interno (Dir. 2006/123/CE); anche affidandole a società terze:
totalmente estranee alla P.A., con azionariato misto (pubblico/privato), ovvero totalmente
partecipate dallo stesso ente affidatario (in house appunto).
I principi predetti sono stati poi recepiti e rielaborati sia nella giurisprudenza che nella
legislazione nazionale di settore.
In particolare, da ultimo, la sentenza Cass., S.U., n.26283 del 25.11.2013 ha ribadito e
specificato le tre caratteristiche salienti delli dette società, nel fatto che:
1) può essere costituita anche da più soci, purchè tutti pubblici Ed a condizione che lo Statuto
sancisca che le azioni non possono essere alienate a terzi neppure parzialmente;
2) la parte più importante dell’attività sociale è svolta a favore dell’ente partecipante.
Pertanto, l’attività accessoria dev’essere marginale (in modo da non porre la soc. in house
quale concorrente con altre imprese sul mercato) ed avere una valenza meramente
strumentale rispetto alle prestazioni di servizio d’interesse generale svolte dall’ente
pubblico partecipante. In pratica, sono società di capitali non destinate a svolgere attività
imprenditoriali a fini di lucro.
3) Infine, l’Ente pubblico partecipante deve avere per statuto il potere di dettare le linee
strategiche e le scelte operative della soc. partecipata; ne deve avere il pieno controllo,
oltre a quello astrattamente consentito dal Codice Civile per i soci di maggioranza,
relegando gli organi della società in house in posizione di subordinazione gerarchica nei
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propri confronti, al pari dei propri uffici.
Di fatto la citata sentenza n.26283 della Cassazione, ha coniato una figura anomala nel
panorama del diritto societario. Una società di capitali: non destinata a svolgere attività
imprenditoriali a fini di lucro; priva di personalità giuridica autonoma e senza autonomia
decisionale, che si comporta come un’articolazione interna dell’Ente pubblico, non
collocandosi al di fuori di questo. Basti pensare che l’affidamento pubblico mediante in house
contract non permette di configurare nemmeno un rapporto contrattuale intersoggettivo. Nel
caso di detti organismi, l’uso della denominazione “società” permette unicamente di rifarsi al
modello societario in mancanza di specifiche disposizioni organizzative.
Ai fini della predetta problematica merita riportare integralmente il pregevole studio
ed approfondimento effettuato dal Presidente Onorario Antonio VETRO, il quale ha ricordato
in primis che la Cassazione a Sezioni unite, con sentenza n.26283/2013, ha cassato con rinvio
la decisione n.631/2012 della III Sezione centrale d’appello della Corte dei conti, che aveva
negato la giurisdizione del giudice contabile nei confronti degli amministratori delle società
partecipate dagli enti pubblici, c.d. in house. Ciò in accoglimento del ricorso della Procura
territoriale, condiviso dalla Procura generale.
Nel caso in questione, con sentenza n. 989/2010, la Sezione Lazio aveva condannato
alcuni amministratori al risarcimento del danno nei confronti di una società per azioni di
trasporti e mobilità, interamente partecipata da un Comune, ma la Sez. III aveva accolto
l’appello degli interessati, che avevano eccepito il difetto di giurisdizione, sulla base delle
seguenti considerazioni:
“Il Collegio deve qui porsi il problema delle società interamente partecipate e sulle
quali l’amministrazione controllante esercita il c.d. controllo analogo, una sorta di controllo
quam in suis, come se la società fosse un ramo, un ufficio della p.a.; fenomeno che si
riscontra, in particolare, con le società partecipate dagli enti locali, come avviene nel caso in
esame. Soccorre la decisione della Corte di cassazione a Sezioni unite n. 20941 del 12 ottobre
2011, secondo cui, in tema di rapporti tra giurisdizione ordinaria e contabile, nella società di
diritto privato a partecipazione pubblica, il pregiudizio patrimoniale arrecato dalla mala gestio
dei suoi organi sociali non integra il danno erariale in quanto si risolve in un vulnus gravante
in via diretta esclusivamente sul patrimonio della società stessa, soggetta alle regole di diritto
privato e dotata di autonoma e distinta personalità giuridica rispetto ai soci”.
Al contrario, la Cassazione, con sentenza n. 26283/2013, ha osservato che “le società
in house hanno della società solo la forma esteriore ma costituiscono in realtà delle
articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad
essa esterni e da essa autonomi. Ne consegue che gli organi di tali società, assoggettati come
sono a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono essere
considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a
partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente ad un rapporto di
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natura negoziale instaurato con la medesima società. Essendo essi preposti ad una struttura
corrispondente ad un'articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, è da ritenersi
che essi siano personalmente a questa legati da un vero e proprio rapporto di servizio, non
altrimenti di quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente
pubblico. L'analogia tra le due situazioni non giustificherebbe una conclusione diversa nei due
casi, né quindi un diverso trattamento in punto di responsabilità e di relativa giurisdizione”.
I caratteri salienti delle c.d. società in house.
La creazione di una società house providing legittima l’affidamento diretto senza gara
del servizio di una p.a. ad una persona giuridica distinta, qualora la prima eserciti sulla
seconda un controllo analogo a quello esercitato sui propri uffici e quest’ultima realizzi la
parte più importante della propria attività a favore della p.a. (C. giust. C.E. 18 novembre 1999
n. C-107/98). Tale persona giuridica deve presentare caratteristiche che consentano di
qualificarla come longa manus dell’ente pubblico e la relativa gestione come articolazione
dello stesso ente; si è quindi in presenza di un modello organizzativo meramente interno.
Attraverso la creazione di una tale società, vengono derogati i principi fondamentali,
in materia di gare di evidenza pubblica, dettati dal trattato istitutivo della Comunità europea,
di concorrenza, non discriminazione e trasparenza, per cui si è resa necessaria
l’individuazione di rigorosi requisiti, da interpretare in senso restrittivo (C. giust. C.E., 6
aprile 2006 n. C-410/04) da parte della giurisprudenza comunitaria e nazionale, con
particolare riguardo ad un controllo della p.a. sugli obbiettivi strategici e sulle decisioni più
importanti (C. giust. CE, 11 maggio 2006, C-340/04), nei confronti dell’impresa affidataria,
analogo a quello svolto sui propri servizi e ad un rapporto di rigida strumentalità dell’azione
dell’impresa con le esigenze pubblicistiche di competenza dell’ente controllante.
L’espressione in house providing identifica il fenomeno di “autoproduzione” di beni,
servizi o lavori da parte della p.a. senza utilizzazione dell’apporto di terzi estranei attraverso
l’indizione di gare (c.d. esternalizzazione).
La sussistenza del controllo analogo viene esclusa qualora difetti la partecipazione
pubblica totalitaria sulla società partecipata (C. giust. C.E. 19 aprile 2007 n. C-295/05).
Come rilevato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 762/2013, “stante l’abrogazione
referendaria dell’art.23-bis D.L.112/2008 e la declaratoria di incostituzionalità dell’art.4
D.L.138/2011 (sent. Corte Cost. n.199/2012), e le ragioni del quesito referendario (lasciare
maggiore scelta agli enti locali sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali, anche
mediante internalizzazione e società in house) è venuto meno il principio, con tali disposizioni
perseguito, della eccezionalità del predetto modello per la gestione dei servizi pubblici locali
di rilevanza economica. Si applica invece la disciplina comunitaria sui presupposti e
condizioni per l’utilizzo della società in house”. In conclusione, “la scelta dell’ente locale
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sulle modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali, e in particolare la opzione tra
modello in house e ricorso al mercato, deve basarsi sui consueti parametri di esercizio delle
scelte discrezionali”.
Analisi della motivazione della sentenza della Cassazione n.26283/2013 in tema
di giurisdizione.
A) Secondo la sentenza “il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio sociale,
che nel sistema del codice civile può dar vita all'azione sociale di responsabilità ed
eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a configurare anche un'ipotesi di
azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti: perché non implica alcun danno
erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società),
riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione
ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti nel patrimonio sociale
medesimo”.
Peraltro, nella stessa sentenza si afferma, per le società in house, che “la distinzione tra il
patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di separazione
patrimoniale, ma non di distinta titolarità” e ancora che “in questo caso, il danno
eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori è
arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all'ente pubblico: è
quindi un danno erariale, che giustifica l'attribuzione alla Corte dei conti della
giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità”.
Il ragionamento della Cassazione non convince in quanto, specie nei casi di
partecipazione totalitaria del patrimonio sociale da parte di enti pubblici, non si giustifica
la diversa qualificazione del patrimonio, a seconda che trattasi o meno di società in house,
individuandosi in ambedue i casi un “patrimonio separato, ma pur sempre riconducibile
all'ente pubblico”.
Come esempio può richiamarsi il caso trattato dal Consiglio di Stato nella citata sentenza
n. 762/2013 nel quale si riconosce la discrezionalità nella scelta di un Comune sulle
modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali. A prestar fede alla tesi della
Cassazione dovrebbe concludersi nel senso che l’utilizzazione dello stesso patrimonio per
il conseguimento della medesima finalità pubblicistica assumerebbe una diversa natura,
indifferentemente pubblicistica o privatistica, a seconda della scelta dell’ente pubblico di
costituire una società in house o una comune società di capitali con partecipazione
totalitaria. Ancora, in base alla scelta compiuta, l’ente interessato potrebbe determinare la
giurisdizione, ordinaria o contabile, cui dovrebbero essere attribuite le controversie sulla
responsabilità degli amministratori tenuti alla corretta utilizzazione del patrimonio per il
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conseguimento di pubblici interessi.
Non occorre spendere parole per rilevare la profonda anomalia derivante da tali
conseguenze, tanto più che nella sentenza in esame la Cassazione ammette che
“nell'attuale assetto normativo il perseguimento delle finalità istituzionali proprie della
pubblica amministrazione si realizza anche mediante attività disciplinate in tutto o in
parte dal diritto privato, onde il dato essenziale che radica la giurisdizione della Corte
contabile è rappresentato dall'evento dannoso verificatosi a carico della stessa pubblica
amministrazione e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato - nel quale si
colloca la condotta produttiva del danno”.
B) Secondo la Cassazione, “l'esattezza di tale conclusione (inidoneità alla configurazione di
un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti) trova conferma
anche nell'impossibilità di realizzare, altrimenti, un soddisfacente coordinamento
sistematico tra l'ipotizzata azione di responsabilità dinanzi al giudice contabile e l'esercizio
delle azioni di responsabilità (sociale e dei creditori sociali) contemplate dal codice civile”.
Al contrario, l’azione civile e quella contabile possono senz’altro convivere, nei rispettivi
ambiti di competenza, pur in assenza di un “soddisfacente coordinamento sistematico”, per
un duplice ordine di motivi, basati anche sulla giurisprudenza della stessa suprema Corte.
I) Come precisato dalla Cassazione con sentenze n.6581/2006 e n.27092/2009, la
previsione legislativa della possibilità di promuovere nei confronti dei componenti del
consiglio di amministrazione di una società l'ordinaria azione civilistica di
responsabilità non implica l'esclusione dell'esperibilità dell'azione di responsabilità
amministrativa davanti al giudice contabile; l'avere entrambe per oggetto il medesimo
danno non osta alla loro coesistenza, né comporta i rischi di duplicazione del
risarcimento prospettati dai ricorrenti, poiché la giurisdizione civile e quella contabile
sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, sicché il rapporto tra le
due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, dando luogo a
questioni non di giurisdizione, ma di proponibilità della domanda.
II) Inoltre, sussistono dubbi sul nesso fra premesse e conclusioni nel ragionamento della
Cassazione. Sarebbe come dire che siccome non esistono norme di coordinamento fra la
costituzione di parte civile della p.a. nei confronti di dipendenti che abbiano commesso
reati comportanti danno erariale e l’azione del p.m. contabile, quest’ultima non sarebbe
esperibile, ciò che non è affatto vero. Sul punto la Cassazione, con sentenza n.
2614/1990, ha precisato, in relazione al giudizio di responsabilità contabile, che la
circostanza che sia pendente processo penale per i medesimi fatti e che in tale processo
l'amministrazione danneggiata si sia costituita parte civile, non attiene alla sussistenza
della giurisdizione di detta Corte, ma solo alle modalità del suo concreto esercizio
(eventuale sospensione del giudizio contabile), e, pertanto, non è deducibile con istanza
di regolamento preventivo di giurisdizione.
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C) Ad avviso della Cassazione “è in questo quadro di principi generali che deve essere perciò
letta anche la disposizione dell'art. 16-bis della legge 28 febbraio 2008, n. 31 (che ha
convertito il D.L. 31 dicembre 2007, n.248), la quale ha introdotto per le società quotate
un'eccezione alla giurisdizione contabile da riferire, appunto, alla sola area in cui detta
giurisdizione risulterebbe altrimenti applicabile”.
Si ha difficoltà a comprendere l’asserita prevalenza “di principi generali”, contenuti in
norme legislative ordinarie, su una norma derogatoria di pari livello il cui significato non
lascia adito a dubbi di sorta.
Secondo i comuni canoni dell’interpretazione “a contrario” se, come testualmente recita
la norma, “per le società con azioni quotate con partecipazione pubblica, inferiore al 50 per
cento, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del
diritto civile”, può senz’altro dedursi che, in tutti gli altri casi, tale responsabilità non è
“regolata dalle norme del diritto civile” bensì dalle norme pubblicistiche sulla
responsabilità amministrativa, ovviamente quando ne ricorrano i presupposti e non si tratti
di tutelare interessi meramente privati. Ciò in quanto si rientra nell’ipotesi di carattere
generale prevista dall'art. 103, comma 2, della Costituzione, secondo cui "la Corte dei conti
ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica”, risultando anche sussistente la
“interpositio legislatoris” attuata attraverso la citata norma. D’altra parte la stessa
Cassazione ammette esplicitamente per le società quotate un'eccezione alla giurisdizione
contabile, salvo poi negarne la sussistenza, equivocando sulla latitudine della norma, con
erronea attribuzione di un ristretto campo d'applicazione.
D) La Cassazione ha giustamente osservato che “le società in house hanno della società solo
la forma esteriore”. In realtà, tale carattere è da considerare insito in tutte le società
costituite, in alternativa a quelle in house, con partecipazione totalitaria (o anche
prevalente) per il conseguimento di finalità di pubblico interesse.
Sul punto della mera formalità della veste esteriore di tali società, è opportuno citare la
delibera n. 119/2011 della Sezione del controllo per il Piemonte, riguardante alcuni
comuni, soci con partecipazione totalitaria di una società, che intendevano contrarre un
mutuo, al fine di realizzare interventi di ripristino ambientale e che si interrogavano sulla
possibilità di assumere l’onere di restituzione di tale mutuo a favore della società di cui
erano azionisti.
Orbene, la Sezione della Corte ha giustamente osservato che “l’operazione così come
prospettata, in sostanza, ai fini della contabilità pubblica, si presenta come una forma
d’indebitamento dell’ente locale, poiché il ridetto mutuo, benché formalmente contratto da
una società interamente partecipata da enti locali, viene fatto gravare sui bilanci di questi
ultimi. Vengono dunque in rilievo le norme che disciplinano e limitano l’indebitamento
degli enti locali e, in primis, l’art. 119, comma 6 della Costituzione (introdotto dalla legge
cost. n. 3/2001), che ne ammette l’indebitamento solo per finanziare spese di
31
investimento”.
E) La normativa di riferimento riguardante la materia, che milita a favore della giurisdizione
della Corte dei conti, in quanto finalizzata a tutelare esigenze chiaramente di natura
pubblicistica, è stata citata espressamente dalla Cassazione nella sentenza in esame - art. 2
D.L. 7 maggio 2010, n. 52 (convertito con modificazioni dalla legge 6 luglio 2012, n. 94);
art. 147-quater del testo unico sugli enti locali (articolo introdotto dal D.L.10 ottobre 2012,
n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213); art. 4 comma
12, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012,
n. 135), dove si parla testualmente di “danno erariale” - ma è stata ritenuta irrilevante. in
virtù della presunta e non dimostrata prevalenza di un “quadro coerente di principi
giuridici che sono a fondamento del sistema ordinamentale”, di natura privatistica, che
informano il diritto societario.
Fermo restando che, per il riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti
sarebbe di per sé sufficiente la citata disposizione contenuta nell'art. 16-bis della legge 28
febbraio 2008, n. 31, si aggiunge che anche la recentissima normativa in materia conferma
tale giurisdizione.
A tale proposito è opportuno citare la delibera n. 21/2013 della Sezione delle autonomie
della Corte dei conti, secondo cui “l’evoluzione normativa degli organismi partecipati dagli
enti locali si caratterizza per l’imposizione di vincoli sempre più stringenti al fenomeno
della esternalizzazione dei servizi pubblici locali e delle funzioni strumentali alle attività
istituzionali delle amministrazioni locali. Il legislatore nazionale ha disposto una serie di
misure che conducono a una sorta di “pubblicizzazione” delle società partecipate dagli enti
locali, che sono state assoggettate agli stessi obblighi previsti per gli enti proprietari, ad
esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati. Tali misure riguardano l’intero
universo degli organismi partecipati dagli enti locali e, in modo particolare, si
concretizzano nei vincoli alla spesa di personale e nella soggezione alle regole del patto di
stabilità interno, nell’intento di contenere i fenomeni elusivi dei vincoli di finanza
pubblica”.
Dall’analisi della più recente normativa, risulta di particolare rilievo l’art. 1 della legge n.
147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) la quale, preso atto delle forti resistenze
incontrate sul territorio in sede di attuazione dell’obbligo generalizzato di dismissione delle
società pubbliche con i conti dissestati, da parte dei comuni con meno di 30.000 abitanti,
ha disposto con art. 1, comma 561, l'abrogazione dell'art. 14, comma 32, del D.L.n.
78/2010 che prevedeva tale obbligo. La legge di stabilità 2014 ora prevede che gli enti
locali con qualsiasi numero di abitanti potranno gestire le loro partecipazioni alle società
con l’osservanza di sani criteri di discrezionalità amministrativa. Ciò vale sia per le società
affidatarie di servizi pubblici locali, sia per le società strumentali.
Per raggiungere gli improcrastinabili obiettivi di un risanamento finanziario, nell’ambito
32
della gestione di migliaia di società partecipate, di cui molte caratterizzate da una gestione
fortemente deficitaria, la legge di stabilità ha introdotto una serie di stringenti misure,
coercitive e sanzionatorie, con l’espressa previsione di ipotesi di “responsabilità erariale”
(art. 1, commi 551, 552, 554, 555).
Va sottolineato - ad ulteriore dimostrazione dell’intimo rapporto fra il patrimonio della
società partecipata e quello dell’ente pubblico azionista, totalitario o maggioritario l’immediato obbligo per tale ente pubblico, nel caso di esercizio societario deficitario, di
accantonare nel proprio bilancio un apposito fondo vincolato, d'importo pari alla perdita
d'esercizio, proporzionalmente alla quota di partecipazione.
La riflessione conclusiva del Pres. VETRO.
La problematica in esame non avrebbe un particolare rilievo se la questione si
limitasse alla mera individuazione del giudice cui attribuire la giurisdizione nei confronti di
amministratori e dipendenti di società partecipate, in maggioranza o totalmente, da enti
pubblici per il conseguimento di finalità pubbliche. Il tema assume tutt’altra consistenza se si
pone mente alla circostanza che l’impropria mescolanza delle norme, di natura pubblicistica e
privatistica, fondate su principi quanto mai diversi, sia stata non di rado utilizzata come
strumento per la consumazione di gravi abusi, di cui sono piene le cronache giudiziarie,
effettuati da soggetti prescelti dai pubblici amministratori per le cariche di amministratori,
controllori e dipendenti delle s.p.a. partecipate. Ora, sembra peccare di una certa ingenuità la
pretesa che soggetti appartenenti alla stessa “cordata” si attivino in sede giudiziaria civile, gli
uni contro gli altri, per il risarcimento di danni erariali spesso di rilevante ammontare.
Risulta pertanto assolutamente indispensabile, per una efficace tutela del pubblico
erario, specie in un periodo nel quale si comprimono per motivi di bilancio insopprimibili
esigenze di carattere sociale nei confronti dei soggetti più bisognosi, che venga mantenuta
integra la competenza del pubblico ministero contabile, caratterizzata dai fondamentali
canoni, di rilievo costituzionale, dell’indipendenza e della autonomia, ad intraprendere
l’azione di responsabilità amministrativo-contabile in materia.
In caso contrario, non rimane che prendere atto di una situazione caratterizzata dalla
sostanziale impunità dei responsabili di atti di mala gestio nell’ambito delle società
partecipate, riproducendosi la stessa situazione di impunità dei responsabili degli enti pubblici
economici che si è verificata per tutto il lunghissimo periodo di tempo durante il quale la
Cassazione ha negato la giurisdizione del giudice contabile a favore del giudice ordinario, con
la conseguenza che non risulta sia stata mai effettuata un’azione civile nei loro confronti. A
tale proposito, va ricordata l’ordinanza n.19667/2003, con la quale la suprema Corte ha
riconosciuto che “la timida” (rectius: inesistente) “attività giudiziaria dell’ente danneggiato
poteva risolversi in un sostanziale esonero da responsabilità”.
33
Diffusione delle società partecipate nel territorio nazionale
Le dimensioni del problema appaiono chiare se si considerano i dati forniti nel
recentissimo “Rapporto sulle partecipazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche” del
dicembre 2013, da parte del Ministero dell’economia e finanze, peraltro limitati al 2011 e
largamente deficitari, per la mancata trasmissione di notizie in merito da parte di circa il 60 %
dei Comuni medio-piccoli, circostanza questa di cui tenere particolare conto nella valutazione
dei dati, considerato che “le partecipazioni detenute dalle amministrazioni locali
rappresentano il 98% di quelle complessivamente rilevate per il 2011”, come precisato dallo
stesso Ministero.
Da tale rapporto, pur nella sua incompletezza, risulta di già un dato particolarmente
allarmante e cioè che “sono state censite circa 7.300 società e sono stati individuati oltre
30.100 “legami” (di cui 24.500 partecipazioni dirette e 5.500 partecipazioni indirette) tra
queste e le amministrazioni pubbliche”, con perdite di esercizio dell’ammontare di miliardi di
euro.
Il modello organizzativo civilistico-privatistico di questi enti (per lo più società per
azioni) ha fatto attribuire al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’azione di
risarcimento dei danni subiti dalle società a partecipazione pubblica. Ciò, malgrado esse
operino quasi sempre ed esclusivamente con patrimonio pubblico. La soluzione non è senza
conseguenze di rilievo: il diniego della giurisdizione contabile – a fronte dello sperpero di
denaro e beni pubblici e degli illeciti vari che causano ingenti pregiudizi al patrimonio degli
enti partecipanti – rende problematico ed incerto il ripristino delle risorse danneggiate, in
quanto viene a mancare l’iniziativa pubblica, a cura di un Pubblico Ministero neutrale ed
indipendente, posto a tutela esclusivamente degli interessi collettivi.
Pertanto, l’apertura verso la giurisdizione contabile per le c.d. società in house deve
costituire la base per successivi ulteriori aperture giurisprudenziali e normative che possano
estensivamente ammettere l’esistenza della giurisdizione speciale.
Dismissione e privatizzazione delle società partecipate.
Il Legislatore è recentemente intervenuto nella regolamentazione delle società a
partecipazione pubblica, nel senso di un ridimensionamento delle stesse sia per la riduzione
delle spese per gli amministratori, il personale ed i servizi, sia con l’attivazione di un vero e
proprio processo di dismissione o privatizzazione delle entità esistenti.
Il primo intervento di rilievo è stato operato dalla L.244/2007 (Legge Finanziaria
2008), con cui si sanciva l'obbligo di dismissione, per gli enti locali, dalle società aventi ad
“oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il
perseguimento delle proprie finalità istituzionali” che avrebbero dovuto essere cedute,
34
mediante procedure ad evidenza pubblica, entro 36 mesi (per effetto della proroga contenuta
nella L.69/2009) dall’entrata in vigore della legge, ossia entro il 31.12.2010. Il provvedimento
ebbe – sul piano sostanziale – un impatto tendenzialmente limitato, nel senso che ha
determinato la dismissione di un numero estremamente contenuto di partecipazioni, anche tra
quelle ritenute non strettamente strategiche dai rispettivi enti locali.
A dimostrare il limitato effetto prodotto dalla disposizione rileva la circostanza che,
proprio dopo la scadenza del termine originariamente previsto, il legislatore è intervenuto in
modo decisamente più drastico con l’art. 14 L.122/2010, prevedendo un obbligo di
dismissione di tutte le società (con alcune deroghe ed eccezioni) per i comuni con
popolazione inferiore a 30.000 abitanti e delle società ulteriori rispetto alla prima per i comuni
con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti.
Da ultimo, l’articolo 4 D.L.95/2012 ha sancito lo scioglimento (entro il 31 dicembre
2013) o, in alternativa, la privatizzazione (entro il 30 giugno 2013) delle società non quotate,
controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche, che prestano
servizi nei confronti della PA., contestualmente stabilendo il principio per cui dette pubbliche
amministrazioni debbano acquisire sul mercato – con procedure competitive – i beni ed i
servizi ad esse strumentali.
L’obbligo di scioglimento, ovvero di privatizzazione, è relativo alle cosiddette “società
strumentali”, diffuse anche a livello di enti territoriali; quelle società, cioè, direttamente o
indirettamente controllate dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art.1, comma 2 D.Lgs.
165/2001, qualora il loro intero fatturato sia costituito, nell’anno 2011, per oltre il 90 per
cento da prestazioni di servizi alla pubblica amministrazione. La norma (art.4 D.L.95/2012)
prevede che, nel caso in cui l’amministrazione non proceda allo scioglimento o alla
alienazione, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le società non possano ricevere ulteriori
affidamenti diretti di servizi, né rinnovi degli affidamenti in corso.
Ai precetti normativi innanzi esposti, fanno da corollario tutta una serie di eccezioni e
deroghe. In particolare, sono eccettuate dall’obbligo di dismissione/partecipazione:
- specifiche tipologie di società, elencate nel comma 3 dell’art. 4 D.L. 95/2012, tra le quali
quelle che svolgono servizi d’interesse generale, anche di rilevanza economica;
- quelle società che, per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e
geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento svolgono attività
strumentali per le quali non è possibile per l'amministrazione pubblica controllante un
efficace e utile ricorso al mercato.
Come accennato, per le società a controllo pubblico strumentali, a tale processo di
dismissione o privatizzazione, si affiancano interventi di riduzione del numero e dei compensi
dei consiglieri di amministrazione, applicazione degli specifici limiti alle assunzioni previste
per l'amministrazione controllante, possibilità di avvalersi di personale a tempo determinato o
con contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 50 per cento della
35
spesa sostenuta nell'anno 2009; applicazione delle norme sulla trasparenza nel conferimento
di incarichi pubblichi, previste per il pubblico impiego dal trattamento economico
complessivo dei singoli dipendenti; introduzione di specifici vincoli nella gestione finanziaria
e nel ricorso all’indebitamento (cfr. art.18 D.L.78/09).
In tale quadro di riferimento s’inserisce la scelta operata dalla L.147/2013 (Legge di
Stabilità 2014) che ha profondamente rinnovato la disciplina delle società partecipate dagli
enti locali, tanto dal punto di vista delle regole per il loro mantenimento (superando il
previgente obbligo di dismissione introdotto dalla L.122/2010 per gli enti di minore
dimensione) quanto dal punto di vista dei vincoli gestionali, offrendo altresì la possibilità di
uscire dalle società non strettamente necessarie per il conseguimento delle finalità
istituzionali.
In primis, viene riaperto il termine per la dismissione delle partecipazioni non
detenibili, per quanto già scaduto da 3 anni, per rendere disponibile un’ulteriore finestra
temporale al fine di garantire agli enti la possibilità di tentare di realizzare l’alienazione delle
azioni e quote non strategiche. Nell’ambito del periodo prestabilito dalla legge, gli enti locali
sono chiamati nuovamente a svolgere le procedure di dismissione delle partecipate, ricorrendo
all’evidenza pubblica.
In caso di mancata alienazione, poi, è configurato un meccanismo del tutto nuovo e
peculiare per interrompere il rapporto societario intercorrente tra l’ente e la società
partecipata. Con lo stabilire che, trascorso il termine previsto, la partecipazione non alienata
mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto e che, nei successivi 12 mesi,
la società è chiamata a liquidare in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai
criteri stabiliti all'art.2437-ter, secondo comma, del codice civile.
Di conseguenza, si determina una decadenza ope legis della partecipazione con il
conseguente obbligo, per la società, di procedere alla liquidazione all’ente del valore delle
quote o delle azioni detenute in funzione della consistenza patrimoniale della società e delle
sue prospettive reddituali nonché dell’eventuale valore di mercato.
La legge istituisce, quindi, un’opportunità a disposizione degli enti locali che
dovranno utilizzare attentamente ed applicare rigorosamente nei termini e secondo le modalità
puntualmente individuate dalla normativa in questione.
In particolare, risulta necessario evidenziare che la partecipazione, ove non necessaria
al conseguimento delle finalità istituzionali dell’ente, deve sottostare ad una procedura di
alienazione ad evidenza pubblica.
Illegalità e corruzione
E’ opinione diffusa a livello nazionale ed internazionale che l’illegalità nel Paese
raggiunge dimensioni e gravità non consoni al livello di civiltà e di prestigio riconosciuti alla
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nostra Nazione. Per quanto attiene all’attività della Corte dei Conti, il fenomeno si riflette
nelle dilaganti manifestazioni di corruzione e di evasione fiscale. Di quest’ultimo aspetto
parlerò tra breve. Mi preme ora richiamare quanto emerge dal primo rapporto sulla corruzione
in Europa, pubblicato lo scorso mese dalla Commissione Europea, ove la portata del
fenomeno corruttivo in Italia viene quantificata in un danno provocato alla spesa pubblica di
circa 60 miliardi di euro, la metà del valore delle tangenti complessivamente pagate in Europa
in un anno, incidendo negativamente su un’economia nazionale già duramente colpita dalle
conseguenze della crisi economica.
Secondo uno studio dell’Organizzazione mondiale contro la corruzione Transparency
International, considerata storicamente il punto di riferimento della comunità internazionale
sul tema, negli ultimi anni la situazione percepita della corruzione nel settore pubblico e
politico del nostro Paese è costantemente peggiorata, passando dal 55° posto del 2008 al 72°
del 2012. Solo nello scorso anno si è lievemente invertita la tendenza, tornando ai livelli del
2011 (69° posto) e migliorando lievemente la valutazione degli osservatori internazionali
(tradotta nel non confortante indice di percezione della corruzione di 42/100, lo stesso della
Romania). L’Italia, in effetti, è ancora confinata agli ultimi posti in Europa, seguita solo e da
vicino da Bulgaria e Grecia; nel mondo veniamo superati da nazioni quali Botswana, Ruanda,
Turchia, Namibia e Ghana.
I settori più a rischio di corruzione sono le gare d’appalto truccate, il settore dei corsi
di formazione fantasma ed il campo dei conflitti d’interesse.
Le cause del fenomeno sono state individuate nella gestione da parte della Pubblica
Amministrazione di strutture altamente complesse spesso con metodi non troppo trasparenti e
nella massiccia presenza in Italia sia di potenti cartelli privati che di organizzazioni criminali
altamente consolidate, strutturate ed efficienti. I motivi oggi più preoccupanti dell’ampio
fenomeno vengono evidenziati nei legami tra politici, criminalità organizzata e imprese, come
testimonia l’elevato numero di indagini per casi di corruzione, tanto a livello nazionale che
regionale. In Italia è soprattutto la corruzione diffusa nella sfera sociale, economica e politica
ad attrarre i gruppi criminali organizzati e non già la criminalità organizzata a causare la
corruzione. Negli ultimi anni sono state poste all’attenzione dell’opinione pubblica numerose
indagini per presunti casi di corruzione, finanziamento illecito ai partiti e rimborsi elettorali
indebiti, che hanno visto coinvolte personalità politiche di spicco e titolari di cariche elettive a
livello regionale. Questi scandali hanno determinato talora dimissioni, elezioni regionali
anticipate ed hanno spinto il governo a sciogliere alcuni consigli comunali per presunte
infiltrazioni mafiose. Soltanto nel 2012 sono scattate indagini penali e ordinanze di custodia
cautelare nei confronti di esponenti regionali in circa la metà delle regioni italiane. In
applicazione della L.221/1991 sono stati sciolti in Italia 201 consigli municipali, di cui 75 in
Campania, 49 in Sicilia e 34 in Calabria, per presunte infiltrazioni criminali. In alcune
situazioni i reati contestati sono caduti in prescrizione prima della conclusione del processo.
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I tentativi di definire un quadro giuridico in grado di garantire l’efficacia dei processi e
la loro conclusione nei casi complessi sono stati più volte ostacolati. In diverse occasioni il
Parlamento ha approvato o ha tentato di far passare leggi tutt’altro che incisive nel contrasto
alla corruzione. Ne è un esempio la c.d. legge ex Cirielli sulla “prescrizione breve” che ha
comportato l’elevato rischio di vedere estinguere i procedimenti a carico di indagati
incensurati.
Soltanto i numerosissimi scandali venuti alla luce in maniera massiccia, hanno indotto
il Legislatore ad emanare alcune leggi finalizzate ad arginare il fenomeno criminoso in
questione.
L’attuale quadro normativo ha origine dalla recentissima ratifica – avvenuta il
13.06.2013 - da parte dell’Italia delle convenzioni penale e civile sulla corruzione del
Consiglio d’Europa, approvate rispettivamente con L.110/2012 e con L.112/2012 che vigono
nel Paese dal 01.10.2013 e consta di diversi provvedimenti normativi anticorruzione che
vanno dal D.Lgs.150/2009 (sull’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni),
fino alla L.190/2012 - nota come legge anticorruzione - ed agli ultimi decreti sulla trasparenza
peraltro già menzionati.
La ratio del Legislatore è stata quella di guidare un vero e proprio cambiamento di
mentalità all’interno della Pubblica Amministrazione rafforzando il coordinamento delle
politiche anticorruzione a livello centrale, regionale e locale, potenziando la prevenzione,
ponendo l’obbligo per tutte le istituzioni pubbliche di adottare piani anticorruzione,
ampliando la portata delle disposizioni penali per i reati di corruzione, prevedendo regole di
integrità più stringenti per le cariche pubbliche elettive e garantendo la trasparenza della spesa
pubblica e l’accesso all’informazione.
La nuova normativa comprende disposizioni sull’etica (cioè l’adozione di un codice di
comportamento per tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, la cui violazione può
comportare procedimenti disciplinari), sui conflitti d’interesse, circa la protezione degli
informatori e sul fenomeno delle c.d. “porte girevoli” (lgs. il continuo movimento di individui
fra attività politica, attività come funzionari in enti di regolamentazione, attività economica
nelle industrie coinvolte e lobbying per le stesse industrie), circa la trasparenza dei
procedimenti della pubblica amministrazione.
In merito rappresento che la Commissione Europea ha recentemente evidenziato come
la normativa italiana non regolamenti il lobbismo, non prevedendo neanche l’obbligo di
registrazione dei lobbisti né di segnalazione dei contatti con i pubblici ufficiali. Farò cenno
più in dettaglio del fenomeno al termine di questo paragrafo.
Sul fronte della repressione, la normativa anticorruzione introduce diverse modifiche
nella criminalizzazione dei reati di corruzione (semplificando la qualificazione dei reati di
corruzione, criminalizzando il traffico di influenza, aumentando le sanzioni per la corruzione
esistenti, ampliando il termine necessario a prescrivere); potenzia il regime relativo alla
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responsabilità amministrativa dei pubblici ufficiali che hanno causato un danno all’immagine
della Pubblica Amministrazione ed amplia i casi in cui i contratti possono essere annullati se
sono stati conclusi facendo ricorso alla corruzione. Stabilisce, inoltre, ipotesi d’inconferibilità
ed incompatibilità di incarichi per i condannati per reati contro la pubblica amministrazione.
In particolare, lo scorso mese di settembre, l’autorità nazionale anticorruzione CIVIT
(Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni
pubbliche) ha approvato il piano nazionale anticorruzione predisposto per tre anni dal
Dipartimento della Funzione Pubblica, basato sulla valutazione del rischio di corruzione e che
si concentra principalmente sulle misure preventive e di trasparenza all’interno della pubblica
amministrazione, includendo anche misure volte a facilitare l’individuazione di pratiche
corruttive. L’ampio quadro preventivo definito dalla nuova normativa comporta tuttavia un
onere considerevole per le pubbliche amministrazioni e richiede notevoli sforzi per garantire
la capacità necessaria per un’attuazione efficace.
Sottolineo come la Corte dei conti abbia un ruolo attivo nell’attuazione delle politiche
di lotta alla corruzione, anche nel panorama normativo, delineato dalle ultime disposizioni
recentemente introdotte, grazie a un’efficace attività operativa di controllo associata a più
ampi poteri di esercizio dell’azione di danno erariale della Procura contabile.
La L.190/2102, tuttavia, lascia irrisolta una serie di problemi, in primis non modifica
né la disciplina della prescrizione, intervento specificatamente raccomandato anche dal
Consiglio Europeo (Raccomandazione 2010/C217/11 del 9 luglio 2013) né la
depenalizzazione del falso in bilancio e sull’autoriciclaggio e non introduce nemmeno
fattispecie di reato per il voto di scambio, per i quali - allo stato - è in corso l’iter
parlamentare.
Il testo frammenta inoltre le disposizioni di diritto penale sulla concussione e la
corruzione, rischiando di dare adito ad ambiguità nella pratica e di limitare ulteriormente la
discrezionalità dell’azione penale.
Sono inoltre ancora insufficienti le nuove disposizioni sulla corruzione nel settore
privato (ex art.2635 C.c.) e sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (il c.d.
whistleblowing).
La questione della prescrizione è un problema particolarmente serio ai fini delle
indagini e dell’accertamento nel merito dei casi di corruzione, soprattutto in Italia. Molteplici
sono gli aspetti che, sommati alla lunghezza dei processi, hanno determinato e determinano
tuttora l’estinzione di un gran numero di procedimenti penali: le regole ed i metodi di calcolo
della prescrizione estremamente a favore degli imputati (in particolare, la possibilità del
decorso dei termini di prescrizione anche dopo la sentenza di condanna di primo grado e fino
a quella definitiva); la mancanza di flessibilità circa i motivi per sospendere e interrompere la
decorrenza dei termini e l’esistenza di un termine assoluto che non può essere interrotto o
sospeso.
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Prima dell’entrata in vigore della nuova legge anticorruzione, i termini di prescrizione
relativi (quelli, per intenderci, che possono essere sospesi o interrotti) per la maggior parte dei
reati di corruzione “classici” (lgs. corruzione e traffico d’influenze) erano di circa 6 anni
mentre il termine di prescrizione assoluto (non sospendibile) era di 7 anni e mezzo. La recente
legge anticorruzione se, come detto, ha lasciato invariata la disciplina sui termini di
prescrizione, è intervenuta incrementando la pena massima per alcuni reati specifici
(prorogandone di fatto i termini di prescrizione) ed ha previsto sanzioni minori per nuove
fattispecie di reato, come la cosiddetta “concussione per induzione” ex art.319 quater Cp
ritenuta dagli operatori più frequente di quella classica, abbreviando di fatto i termini di
prescrizione. Occorre inoltre tener presente che le nuove norme penali più favorevoli, cioè
quelle che abbreviano i termini di prescrizione, si applicano anche ai procedimenti in corso.
Se la L.190/2012 è riuscita ad inserire nel nostro ordinamento figure di reato già
utilizzate nella maggior parte dei Paesi europei e da lungo tempo richieste in adeguamento
alla normativa internazionale, per fare sì che possa finalmente rappresentare una svolta
decisiva nel contrasto alla corruzione, lo specifico quadro normativo dev’essere più incisivo e
completo, attraverso la reintroduzione nel nostro ordinamento di norme che modifichino il
reato di scambio elettorale politico-mafioso, puniscano più gravemente il reato di falso in
bilancio, rivedano la collocazione sistematica dei delitti di riciclaggio comprendendovi anche
l’autoriciclaggio. I possibili interventi suggeriti dagli addetti al settore sono:
 conferire una maggiore efficacia alle pene accessorie previste del Codice penale (art. 32 ter
e quinques cp);
 inasprire il massimo della pena per una serie di reati specifici quali: la corruzione propria
(art. 319 cp), la corruzione per induzione (319 quater cp), l’abuso di ufficio (art.323 cp);
 prevedere una diminuente della pena per chi si adopera fattivamente collaborando con
l’Autorità giudiziaria (nell’ambito dell’art.323 bis cp);
 inserire uno specifico correttivo sugli effetti dei tempi massimi di prescrizione per reati più
gravi di corruzione, che consenta di riequilibrare complessivamente il sistema come
specificatamente raccomandato dal Consiglio Europeo lo scorso luglio (art. 161 comma 2
cp);
 ripristinare, nella concussione per costrizione (ex art.317 cp), dell’equiparazione tra
pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, in quanto appare insensato punire
soltanto il primo, quando lo stesso comportamento può essere posto in essere da un
concessionario di un servizio pubblico (RAI, ENI, etc.) con effetti parimenti devastanti
sull’etica dei rapporti;
 abrogazione del secondo comma dell’art. 319 quater c.p. (corruzione per induzione) che
punisce anche il privato concusso, in quanto appare costituire un’ulteriore remora a far
emergere quelle condotte di concussione, poste in essere con minacce implicite, omissioni,
ritardi ingiustificati, ricorso alla frode, all’inganno e all’induzione in errore;
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 nel traffico di influenze illecite (ex art.346 bis cp), elevazione della pena equiparandola a
quella per il reato base di millantato credito (art.346 cp), posto che la pericolosità di chi si
avvale illecitamente dell’influenza che ha presso un funzionario pubblico o un politico, con
il quale ha un rapporto sostanziale di collegamento, è almeno pari a quella di chi vanta un
rapporto preferenziale che non ha;
 riscrittura della corruzione tra privati (art. 2635 c.c.) come reato di pericolo e non di danno,
con la conseguente eliminazione della punibilità a querela, che – di fatto – ne riduce
sensibilmente l’applicabilità;
 aggiungere la voce “altra utilità” tra le ragioni dello scambio elettorale politico-mafioso (ex
art.416 ter C.p) al fine di allargare l’applicazione della norma. La dazione di denaro,
infatti, non è l’unica controprestazione che il politico può mettere in campo nello scambio
corruttivo; può ben utilizzare promesse di informazioni su appalti permettendo
l’infiltrazione criminale nell’economia, posti di lavoro da garantire ai clan presenti sul
territorio, salvaguardia dall’azione repressiva ostacolando in diversi modi il lavoro delle
forze di polizia;
 ripristinare la punibilità del falso in bilancio. E’ appare evidente agli operatori del diritto
che le modifiche al diritto penale commerciale del 2002 hanno pregiudicato in maniera
gravissima l’affidamento dei terzi facendo venir meno la trasparenza dei bilanci delle
società e limitando la concorrenza. L’attuale crisi dei mercati internazionali impone una
rivisitazione della normativa penale in materia societaria rivolta a favorire la libera
concorrenza ed il rispetto delle regole di trasparenza che ne è il presupposto principale;
 introduzione nel nostro ordinamento di una fattispecie unificata di riciclaggio e auto
riciclaggio, al fine di accrescere l’efficacia del contrasto al crimine organizzato, come più
volte indicato in recenti direttive comunitarie in materia (in particolare, la direttiva
2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in data 26 ottobre 2005, e la direttiva
2006/70/CE della Commissione in data 4 agosto 2006) e nella Convenzione delle Nazioni
Unite contro il crimine organizzato transnazionale (adottata nel novembre 2000 e ratificata
con legge 16 marzo 2006, n. 146). Attualmente il codice penale (articolo 648-bis) punisce
il reato di riciclaggio escludendo il c.d. autoriciclaggio (il caso in cui l’autore abbia
concorso nel reato da cui il denaro, i beni e le utilità derivano ovvero ove ci sia coincidenza
tra l’autore del delitto ex art. 648-bis cp e l’autore del reato presupposto da cui provengono
il denaro, i beni e le altre utilità o gli altri vantaggi economici). Sotto il profilo
internazionale vi è un’ampia convergenza sia livello europeo che globale a favore
dell’introduzione del reato di autoriciclaggio.
Il cammino intrapreso con le recenti norme anticorruzione, come si è rilevato
evidenziandone le criticità, appare tuttavia ancora ben lontano dal risolvere la problematica
italiana per mancanza di completezza e di incisività, tali da determinare effetti realmente
deterrenti e da superare le troppe resistenze e le ambiguità presenti nel Paese.
41
Il fenomeno dei gruppi di pressione (c.d. lobby)
La situazione italiana sul tema delle lobbies e della loro regolamentazione di attività
nell’ambito politico, è attualmente ancora in fase embrionale.
Per circoscrivere il fenomeno è opportuno precisare che con la parola lobby ( dal latino
medievale lobia e, cioè loggia) si intende un gruppo di pressione dotato di un’organizzazione
formale, identificabile e riconoscibile che agisce sul sistema politico per influenzarne le
decisioni in vista dell’affermazione degli interessi particolari propri che hanno generato il
gruppo stesso.
Nel mondo il fenomeno è diffuso ma altrettanto regolamentato; basti pensare alla
tradizione nordamericana (quella statunitense è apparentemente la più radicata in quanto
definita già dall’immediato dopoguerra; quella canadese è più recente del 1995) fino
all’esame dei nostri partners europei. Il primo stato europeo a normare la materia è stata la
Germania con un processo di regolamentazione che parte dal 1951; i più recenti interventi
sono da attribuirsi ad Austria, Olanda e Francia che sono pervenuti a specifiche normative nel
2012. Da ultimo, quest’anno è stata la volta dell’Inghilterra con il “lobbyng bill”. In sostanza
ad oggi sono 26 i paesi al mondo – di cui 10 europei – ad avere norme che regolamentano le
attività delle lobbies. A questi si aggiunge l’Unione europea, ove la regolamentazione dei
gruppi di pressione è stata affrontata dapprima dalla commissione (con il libro verde sulla
governance europea del 2006 e con il successivo omologo libro bianco del 2011) che è giunta
alla creazione, nel marzo 2007, di un registro europeo dei rappresentanti di interessi
(purtroppo a iscrizione volontaria) e del relativo codice di condotta per i lobbisti; quindi dal
Parlamento europeo che nel 2011 ha creato un registro comune europeo dei rappresentanti di
interessi.
Di fronte a tutto questo fenomeno si staglia la sconsolante situazione italiana che ha
visto negli ultimi 38 anni naufragare decine di iniziative legislative sotto la forza di correnti
spesso trasversali alle forze parlamentari. Da ultimo si ricorda il tentativo dell’esecutivo Letta
di adottare, lo scorso anno, un D.D.L. per regolamentare le lobbies, riassumibile – in estrema
sintesi – in quattro punti essenziali:
- tetto di 150 euro al contributo che un lobbista può versare ai c.d. “decisori pubblici” (alias
politici, altre cariche elettive e loro staff);
obbligo per il “decisore pubblico” di pubblicare annualmente
- elenco di tutti gli incontri avuti con i lobbisti;
- necessità di investire un’autorità anticorruzione (Civit o Antitrust) dell’obbligo di gestire
l’elenco dei gruppi di pressione;
- necessità che i parlamentari, nei loro rapporti con le lobbies “stiano dentro la legge”.
Il dato più sconcertante è che anche tale tentativo di normare la materia è naufragato per
42
opera dell’opposizione interna alla stessa maggioranza.
Uno studio risalente al 2010 della Open Gate Italia - una delle aziende di “pubblic
affair” tra le più conosciute e iscritta all’apposito albo dei lobbisti del Parlamento europeo –
all’epoca ha individuato come circa il 40% dei lobbisti accreditati a Bruxelles siano italiani
(1.793 unità a fronte delle 4.352 complessive). Tali elementi pongono in evidenza l’assenza di
una specifica normativa nazionale e fa constatare la sussistenza di una diffusione capillare del
fenomeno lobby in Italia che incide sull’azione amministrativa, deviandola dall’interesse
collettivo verso una logica di interessi particolari e corporativi.
L’analisi del quadro normativo mostra la peculiare attenzione nell’individuazione di
eccezioni, deroghe, sanatorie e de-responsabilizzazioni a salvaguardia di interessi particolari e
corporativi.
Evasione fiscale
L’acuirsi della crisi economica, la caduta dei consumi, la tassazione esasperata, ha
portato sempre più in risalto un’altra patologia cronica dell’Italia, ossia quella di un’evasione
fiscale sproporzionata e abnorme, probabilmente mai decisamente combattuta dai vari
Esecutivi che si sono succeduti alla guida del Paese. Secondo uno studio della Corte dei conti,
l’Italia si colloca al primo posto in assoluto nella U.E. e ai primissimi posti della graduatoria
internazionale (alle spalle di Turchia e Messico) per evasione fiscale.
Infatti, secondo quanto affermato dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, l’importo
dei tributi evasi in Italia ammonterebbe a circa 130 miliardi di Euro, un livello “non
compatibile con la nostra economia e con nessun sistema veramente democratico”.
In forza ai ripetuti appelli di autorità ed osservatori nazionali ed esteri, l’evasione
fiscale deve essere contrastata fermamente facendo attenzione a tutelare le sane imprese,
evitando di trasformare il sistema fiscale in un ostacolo per la crescita dell’economia
nazionale. Infatti il nostro sistema fiscale, oltre ad essere oneroso, è molto complesso. La via
intrapresa, con la delega fiscale, passa attraverso il potenziamento dei sistemi di tracciabilità
dei pagamenti e dell’utilizzo di quelli elettronici. Tuttavia esso avrebbe bisogno di regole
semplici e stabili, necessarie per facilitare le incombenze di cittadini e imprese italiane ed
anche per attirare quelle straniere in Italia.
L’evasione fiscale, oltre a creare problematiche di natura finanziaria ed economica al
bilancio dello Stato, contribuisce a creare masse consistenti di “denaro sporco”, e quindi essa
rappresenta il presupposto per il riciclaggio e dunque la fonte con cui vengono finanziate
attività criminali, in particolare di tipo organizzato. Il campo dell’evasione fiscale è molto
ampio. Essa abbraccia tutte le fattispecie dell’imposizione fiscale: base imponibile sottratta a
tassazione (mancata emissione di scontrini o ricevute fiscali), evasione dell’IVA, lavoro
completamente o parzialmente in nero (pagamenti fuori busta, mancato versamento di
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contributi erariali e previdenziali).
L’evasione si spinge ormai a tutti i livelli, anche ai più marginali. Nell’ambito dello
svolgimento delle funzioni giurisdizionali, questa Sezione si è pronunciata altresì in casi di
minor rilievo ma significativi per evidenziare l’estensione del fenomeno. Cito, a titolo
esemplificativo, la sentenza n. 70/2013 con cui un soggetto privato, che in virtù di una
concessione in tema di raccolta dei proventi del gioco del Lotto riveste la qualifica di agente
contabile, è stato condannato al risarcimento del danno cagionato al Ministero dell’Economia
e delle Finanze per il mancato riversamento dei proventi del gioco per l’ammontare di oltre
17.000 euro.
Con sentenza n.109/2013, è stato condannato un titolare di una Tabaccheria
autorizzato alla riscossione delle marche da bollo, al pagamento in favore dell’Agenzia delle
Entrate di un importo di circa 1.800 euro per non aver riversato quanto incassato alla p.a.
concedente.
Con sentenza n.119/2013, è stato altresì condannato sempre un soggetto privato, anche
in questo caso, titolare di una Tabaccheria, per un importo di circa 1.100 euro per non aver
riversato nelle casse della Regione Marche i proventi del servizio di riscossione delle tasse
automobilistiche regionali.
Risultati della polizia economico finanziaria nella tutela delle entrate e delle
uscite di bilancio.
A margine di quanto esposto, mi preme sottolineare la mole dei risultati ottenuti, sia
nel contrasto all’evasione fiscale che - più in generale - a tutela delle casse dell’Erario dagli
organi preposti, con particolare riguardo alle forze di polizia.
Come ho anzidetto, i volumi dell’evasione fiscale riscontrati lo scorso anno sono
enormi nel Paese. Cito, in merito, gli esiti dell’azione del Corpo della Guardia di Finanza che
hanno portato alla scoperta - nel territorio nazionale - di oltre 12mila responsabili di reati
fiscali e di 8mila evasori totali con la constatazione di circa 52 miliardi sottratti a tassazione.
Non da meno sono stati gli effetti dell’azione contro gli altri illeciti commessi in danno
alla spesa pubblica. Anche in tale ambito, esemplificative sono le risultanze dell’attività della
Guardia di Finanza che, a livello nazionale, ha portato alla scoperta – nel 2013 - di frodi e
sprechi in danno alla spesa pubblica per circa 5 miliardi di euro con la segnalazione di oltre
19.000 responsabili. In particolare, sono state accertate frodi ai finanziamenti comunitari e
nazionali per 1,4 miliardi di euro; smascherati oltre 3.400 finti poveri e poco meno di 400
falsi invalidi e segnalati più di 1.700 dipendenti pubblici per violazioni alla normativa sul
pubblico impiego.
Oltre agli esiti dell’azione di opposizione all’evasione fiscale, l’impegno degli
organismi di tutela delle risorse pubbliche ha interessato i fenomeni illeciti che ne minacciano
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indirettamente l’integrità e, cioè, la repressione dei gravi comportamenti illeciti che attengono
all’accesso a forme di agevolazione previdenziali ed assistenziali indirizzate a sostegno delle
“fasce più deboli”.
Specifica attenzione è stata riservata ai reati contro la Pubblica Amministrazione
(corruzione, concussione, peculato, malversazione, abuso d’ufficio, etc.) caratterizzati dalle
condotte illecite di amministratori, funzionari ed impiegati pubblici infedeli che causano sia lo
sviamento delle risorse pubbliche dalle finalità cui sono destinate che la distorsione del
regolare andamento dell’azione amministrativa.
Monitorando i principali flussi di spesa pubblica: sanità, erogazioni contributive ed
assistenziali, appalti ed incentivi riservati alle imprese, prestazioni sociali agevolate, sono stati
segnalati alla magistratura ordinaria, alla Corte dei Conti ed alle competenti Autorità
amministrative oltre 19.000 responsabili. In particolare, l’attività svolta dalle Forze di Polizia
in collaborazione con la Corte dei Conti ha prodotto la rilevazione di:
- danni erariali e sprechi per oltre 3,5 miliardi di euro, di cui circa un terzo riferibile al solo
settore della sanità pubblica;
- indebite percezioni di fondi pubblici rivolti al sostegno delle imprese per 1,4 miliardi di
euro, con il sequestro, a carico dei responsabili, di beni mobili, immobili, valuta e conti
correnti per 309 milioni;
- di frodi previdenziali ed assistenziali per 82 milioni di euro, nella maggior parte relative ad
erogazioni a sostegno dell’invalidità, del lavoro agricolo ed “assegni sociali”;
- oltre 1.170 truffatori del Servizio Sanitario Nazionale;
- oltre 3.400 “falsi poveri” che hanno irregolarmente ottenuto i benefici delle prestazioni
sociali agevolate a sostegno dei meno abbienti
- oltre 1.700 tra dipendenti pubblici e committenti per casi di incompatibilità e doppio lavoro
La situazione peculiare nella regione Marche ben riflette il quadro sino ad ora
delineato. Stigmatizzanti al riguardo sono i risultati conseguiti dalla locale Guardia di Finanza
che hanno portato alla scoperta di oltre 450 responsabili di reati fiscali e di più di 420 evasori
totali con la constatazione di circa 600 milioni di euro sottratti a tassazione.
L’azione a tutela dell’economia “sana” e dei cittadini che hanno deciso di rispettare le
regole, si è concretizzata non solo attraverso il contrasto all’evasione fiscale ma anche con
incisivi interventi per reprimere gli illeciti che depauperano le risorse pubbliche. In tema di
prevenzione e repressione alle frodi comunitarie e al bilancio nazionale e/o locale, sono stati
denunciati 94 soggetti che avevano percepito indebitamente contributi per oltre 2.800.000
euro. 47 sono i soggetti denunciati per frodi a danno del servizio sanitario nazionale mentre
284 sono i soggetti verbalizzati per aver causato danni erariali per un importo complessivo
superiore a 87.000.000 di euro.
Specifica attenzione è stata riservata anche ai reati contro la Pubblica
Amministrazione che causano forti distorsioni ed ostacoli all’andamento dell’azione
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amministrativa ed alla gestione della cosa pubblica.
Mi preme sottolineare anche l’azione a tutela del patrimonio ambientale che ha portato
alla scoperta di 326 violazioni, alla denuncia di 131 persone ed al sequestro di oltre 4.600
tonnellate di rifiuti industriali stoccati in vari siti abusivi in dispregio delle norme sulla tutela
della salute.
Contenimento del finanziamento pubblico
Premesso che la vigente normativa (D.L.149/2013 convertito in l.13/2014) è stata
riportata nella precedente sezione “Novità normative”, desidero sottolineare come il
trasferimento di rilevantissime risorse pubbliche, destinate ai partiti ed ai movimenti politici,
in ambito europeo, nazionale e regionale, penalizzi pesantemente il bilancio economicofinanziario italiano, nonostante l’evidente volontà popolare contrastante tale erogazione
manifestata dalla collettività nel referendum abrogativo del 1993.
Un parziale, seppur minimo, contenimento del finanziamento pubblico è stato operato
nel 2012 con la promulgazione della L.96/2012.
Il governo, precedente a quello attuale, spinto dall’impietoso emergere di sperperi di
denaro pubblico, non utilizzato per le finalità sottese alla liquidazione di tali somme (e
dall’opposizione sempre più crescente di una parte dei parlamentari che ha rinunciato alle
prebende) ha presentato un disegno di legge in data 16/10/2013.
All’attuale quadro normativo, si è giunti sull’onda delle pressioni dell’opinione
pubblica che ha portato il Governo ad emanare il citato D.L.149/2013 con cui si è data
attuazione all’abolizione del finanziamento ai partiti, operante – a pieno regime – dal 2017.
La novella normativa viene contestata da coloro che avrebbero voluto l’immediata
abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, facendo notare, comunque, che i fondi
ricevuti dai partiti, attraverso il 2 per mille, non sono risorse finanziarie private bensì
pubbliche, in quanto sempre a carico dei contribuenti.
Infatti se una parte degli emolumenti, introitati dallo Stato attraverso le denunce dei
redditi, vengono percepiti dai partiti, essi non sono più destinati al finanziamento dei servizi
per la collettività, ed i cittadini contribuenti saranno costretti a versare più risorse per avere gli
stessi servizi.
La riduzione dei costi della politica con riferimento alle regioni ed
province.
alle
Come è ben noto, la Corte dei conti quale organo a rilevanza costituzionale concepita
inizialmente per essere presidio della raggiunta unità nazionale, è stata trasformata in struttura
regionalmente decentrata ed è stata adeguata nel tempo alle necessita funzionali della pluralità
46
degli
La riduzione dei costi della politica con riferimento alle regioni è sostanzialmente
quella stabilita dai parametri fissati dall’articolo 14 D.L.138/2011, poi riproposti dall’articolo
2 del D.L.174/2012, convertito in L.243/2012. Tali parametri vanno dalla determinazione di
un numero massimo di consiglieri regionali, in relazione alla popolazione della regione, al
numero massimo di assessori, alla riduzione dei costi dell’apparato politico regionale, come
gli emolumenti percepiti ed il passaggio ad un sistema previdenziale di tipo contributivo. Il
Decreto Legislativo prevede anche l’introduzione dell’anagrafe patrimoniale degli
amministratori regionali e la riduzione dei contributi ai gruppi consiliari.
L’adeguamento della normativa delle regioni a statuto ordinario avviene attraverso la
modifica dello Statuto regionale. Infatti con lo Statuto sono determinati la forma di governo
ed i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della regione, secondo il
disposto dell’articolo 123 della Costituzione. In quasi tutte le regioni risulta avviata la
necessaria modifica statutaria. Nella Regione Marche l’iter risulta sostanzialmente concluso.
Di particolare rilevanza per la riduzione della spesa pubblica, con riferimento agli enti
locali territoriali, sembra rientrare il progetto per l’abolizione delle province che di fatto si è
concretizzato con il Disegno di Legge 1542 approvato dalla Camera il 21 dicembre 2013.
Con il citato disegno di legge di revisione costituzionale il Governo ha ritenuto di
intervenire tempestivamente per disciplinare l’assetto costituzionale dei livelli di governo
della Repubblica a seguito della recente pronuncia della Corte Costituzionale che ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni, in materia di riordino delle
province, contenute nel D.L.201/2011, convertito con modificazioni dalla L.214/2011, nonché
nel D.L.95/2012, convertito con modificazioni, dalla L.135/2012.
Le predette disposizioni sono state censurate dalla Consulta per violazione dell’art. 77
della Costituzione, in relazione agli artt. 117, secondo comma lett. p) e 133, primo comma
Cost., in quanto il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e
urgenza, è stato ritenuto uno strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma
organica e di sistema delle province.
Nello specifico, con il disegno di legge in discussione si dispone l’abolizione delle
Province, con la soppressione della dizione “Province” dai diversi articoli della Costituzione
che disciplinano questo ente territoriale: le province, pertanto, non sarebbero più un ente
territoriale costituzionalmente necessario.
Con una norma transitoria si prevede che le Province siano soppresse entro sei mesi
dall’entrata in vigore della presente legge costituzionale, affidando alla legge statale la
funzione di definire un insieme di criteri e di requisiti generali in base ai quali lo Stato e le
Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, devono individuare le forme e le modalità di
esercizio delle funzioni che sono oggi spettanti costituzionalmente alle Province. Allo stesso
tempo, la legge di stabilità 2014 (L.147/2013, articolo 1 ,commi 325 e 441) ha riproposto – tra
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l’altro – il commissariamento delle Province i cui organi elettivi scadono entro il 30 giugno
2014, impedendo di fatto la rielezione degli organi di governo delle Province nelle elezioni
amministrative del 2014.
Il Disegno di Legge riprende l’istituto delle Città metropolitane, con l’intento di
rimettere alla legge statale la definizione delle funzioni, delle modalità di finanziamento e
dell’ordinamento, atteso che le Regioni non hanno provveduto in tal senso.
Alla legge statale viene lasciata un’ampia possibilità di strutturazione delle funzioni e
dell’ordinamento di tale ente, in modo che questo possa effettivamente essere concepito come
una moderna soluzione per il governo delle aree metropolitane, così come avviene anche
nell’ambito dell’esperienza di altri Paesi europei.
Non viene meno la garanzia costituzionale dell’autonomia finanziaria delle città
metropolitane, così come la possibilità che questi enti siano destinatari dell’assegnazione di
ulteriori funzioni amministrative da parte della legge statale e regionale in base a quanto
prevede l’art. 118 della Costituzione.
Gli esposti interventi normativi, che hanno interessato le autonomie territoriali,
rappresentano uno sforzo rivolto ad una maggiore responsabilizzazione e trasparenza delle
relative decisioni di utilizzo delle disponibilità finanziarie che, considerata la moltiplicazione
dei centri di spesa che il federalismo ha comportato, presentano un impatto considerevole
sugli equilibri complessivi nonché sulla tenuta dell’intero sistema economico e sociale.
La finalità del Legislatore per costituire un più efficace presidio per la regolarità e
trasparenza della finanza territoriale, con il coinvolgimento in primo piano della Corte dei
conti, quale custode costituzionale della finanza pubblica allargata, mostra una
consapevolezza della gravità del momento e delle drammatiche conseguenze che può avere
una ulteriore inadeguata gestione del denaro pubblico.
In proposito, non può tralasciarsi di constatare che il primo decennio di riforma del
Titolo V non sembra aver reso i risultati auspicati, né in termini di responsabilizzazione
finanziaria del governo del territorio né tanto meno in termini di riduzione e di maggiore
efficacia ed efficienza della spesa.
Alcuni aspetti dell’autonomia finanziaria non hanno forse più ragion d’essere e, da più
parti, viene ritenuta indispensabile una revisione del Titolo V della Costituzione per
recuperare il filo conduttore di una legislazione unitaria sul territorio nazionale, al fine di
realizzare gestioni economiche meno eterogenee e dispendiose sia per quanto riguarda gli
Organi Costituzionali che gli Enti pubblici territoriali con le loro “costellazioni di
partecipazioni”.
Attività della Sezione regionale di controllo svolta nel 2013
L'attività svolta dalla Sezione regionale di controllo nel 2013 è stata caratterizzata
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dalla prima attuazione degli importanti interventi normativi di cui al D.L.174/2012 convertito
nella L.213/2012 che, da un lato, hanno ampliato e arricchito le funzioni di controllo già
esistenti e, dall'altro, hanno intestato nuove funzioni alle Sezioni Regionali di controllo.
Controlli sugli enti locali. Come noto la funzione di controllo, avente ad oggetto i
bilanci di previsione ed i rendiconti degli Enti locali, intestata dall'art. 1 commi 166 e ss.
L.266/2005 alle Sezioni Regionali della Corte dei conti, è stata significativamente modificata
dal recente D.L.174/2012, convertito con modificazioni dalla L.213/2012, che, in una più
generale rivisitazione del sistema dei controlli interni, ha, altresì, previsto sia un
rafforzamento di quelli esterni sulla gestione mediante l'introduzione di nuovi istituti sia
mediante il miglioramento di quelli già esistenti anche al fine di conferire una maggiore
effettività agli stessi e di potenziare la vigilanza sulla adozione delle misure correttive. Il dato
offerto dai questionari redatti dall'Organo di revisione ha rappresentato il punto di partenza
per più approfondite verifiche ed è stato integrato mediante l'acquisizione del parere
dell'organo di revisione al rendiconto ovvero al bilancio di previsione (prevista, peraltro, ora
in via generalizzata dalle linee guida relative ai questionari al rendiconto 2012) nonché da
riscontri ulteriori mediante sistema SIQUEL e SIRTEL volti ad evidenziare discrasie ed
incogruenze.
Oggetto precipuo di siffatti controlli, in sintonia con la previsione di cui all'art.148 bis
TUEL, sono state le aree tematiche individuate dalla stessa norma e, segnatamente, patto di
stabilità, indebitamento nonché tutti quei profili (debiti fuori bilancio, anticipazioni di
tesoreria) sintomatici di criticità gestionali suscettive di pregiudicare gli equilibri economicofinanziari degli enti.
Nell'ambito di tali verifiche, anche in vista del doveroso monitoraggio sulle c.d.
misure correttive, particolare attenzione è stata riservata agli enti locali già destinatari, in
occasione di precedenti controlli, di pronunce di gravi irregolarità contabili: in uno specifico
caso, a fronte del permanere di una situazione di squilibrio finanziario imputabile ad anomale
modalità di gestione dei servizi conto terzi e al ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria,
si è ritenuto di attivare le procedure di cui al comma 2 dell'art. 148 del citato TUEL
sollecitando una verifica del Ministero dell'economia e delle finanze sulla regolarità della
gestione amministrativo contabile.
Di particolare interesse ed impegno è risultata la disamina del piano di riequilibrio
presentato dalla Provincia di Ascoli Piceno attese le precipue problematiche derivanti dal
processo di divisione con la neoistituita Provincia di Fermo.
Uno degli aspetti più innovativi della novella recata dal D.L.174/2012 è la previsione
di strumenti che, con un significativo superamento della natura essenzialmente successiva dei
controlli svolti dalla Corte dei conti, hanno previsto momenti di controllo concomitante. Tra
questi di indubbio rilievo la relazione sulla regolarità della gestione nonché sul funzionamento
dei controlli interni prevista e disciplinata dall'art.148 TUEL alla cui redazione sono tenuti,
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con cadenza semestrale, il Presidente della Provincia ed i Sindaci dei Comuni con
popolazione superiore a 15.000 abitanti.
Ulteriori verifiche nel corso del 2013 hanno riguardato le spese di rappresentanza, le
relazioni di fine mandato dei Sindaci e dei Presidenti delle Province, il monitoraggio sugli
adempimenti a carico degli enti locali in tema di sistema dei controlli interni ed adozione del
relativo regolamento.
Controlli sull'ente Regione. Nel corso del 2013, a seguito dell'entrata in vigore del
D.L.174/2012 (convertito in L. 21/2012) che all'art.1 ha previsto "il rafforzamento della
partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria delle regioni", si
sono intensificati i controlli sull'ente Regione rispetto agli anni precedenti, dando luogo alle
seguenti attività:
• relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli
oneri relative alle leggi pubblicate nel semestre gennaio-giugno 2013 (art.1, co. 2, D.L.
174/2012);
• relazione concernente "Esame del bilancio preventivo 2013 della Regione Marche" (art. 1,
co. 3, D.L.174/2012);
• decisione di parifica del rendiconto generale per l'esercizio 2012 della Regione Marche,
nelle sue componenti del conto del bilancio e del conto del patrimonio, con annessa
relazione (art.1 co.5 D.L.174/2012). La decisione di parifica concerne esclusivamente i dati
contabili del rendiconto, ma l’allegata relazione ha affrontato altresì ì seguenti profili di
tipo gestionale: personale e organizzazione regionale, indebitamento regionale, spesa
sanitaria, fondi comunitari, enti strumentali, agenzie ed organismi partecipati. Indubbia la
valenza centrale, nell'ambito delle attività svolte, che hanno assunto gli adempimenti
istruttori relativi al giudizio di parificazione del rendiconto regionale, che ha visto coinvolti
tutti i magistrati in servizio presso la Sezione quali relatori delle aree tematiche oggetto di
specifico approfondimento;
• n.17 deliberazioni della Sezione, rese ai sensi dell'art. 1 comma 9 e ss.
D.L.174/2012, hanno riguardato i rendiconti dei gruppi consiliari della Regione Marche
per l'esercizio finanziario 2012 al fine di verificare la regolare tenuta della contabilità e
della documentazione a corredo.
In riferimento al rendiconto 2012 della Regione, e con riguardo alle problematiche
della spesa sanitaria, gli obiettivi del controllo effettuato dalla Sezione regionale si sono
maggiormente concentrati sugli aspetti finanziari, non solo al fine di verificare la capacità
dell'ente di raggiungere gli obiettivi programmati in ambito sanitario, analizzando la loro
coerenza con le risorse stanziate e i fatti gestionali conclusi nell'esercizio, quanto soprattutto
nel rappresentare l'evoluzione e la composizione della spesa sanitaria al fine di coglierne i
profili quantitativi. Particolare attenzione, poi, è stata dedicata alle verifiche indicate dalla
Sezione delle Autonomie della Corte dei conti in base ai questionari allegati alle linee guida al
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rendiconto regionale, tenuto conto del ruolo di indirizzo della Sezione centrale e degli
obblighi di conformazione della Sezione regionale.
Tre deliberazioni della Sezione hanno riguardato il controllo finanziario e contabile
degli enti del Servizio Sanitario Regionale ai sensi dell'art. 1, comma 170, della L.266/2005,
sulla base delle linee guida alle quali devono attenersi i Collegi Sindacali nella stesura della
relazione sui bilanci di esercizio al 31 dicembre 2010. Sono state inoltre effettuate le verifiche
in merito al bilancio 2010 dell'I.N.R.C.A. relativamente alle misure di attuazione della
precedente delibera della Sezione n.127/2012/PRSS) che ha rilevato gravi irregolarità e
criticità di gestione.
E' stata infine svolta attività istruttoria concernente le linee guida alle quali devono
attenersi i Collegi Sindacali degli enti del Servizio Sanitario Regionale nella stesura della
relazione sui bilanci di esercizio al 31 dicembre 2011.
Controllo di legittimità.
Per quanto riguarda l'attività relativa al controllo preventivo di legittimità, di cui
all'art.3 L.20/1994, nel 2013 sono stati esaminati 200 atti, di cui 129 oggetto di osservazioni.
Nella materia del conferimento di incarichi dirigenziali, per due casi specifici, i
provvedimenti non sono stati ammessi al visto.
Relativamente al controllo successivo di legittimità, introdotto dall'art. 10
D.Lgs.123/2011, che riguarda gli atti che hanno formato oggetto di rilievo da parte della
Ragioneria territoriale, sono stati esaminati 76 provvedimenti, su 29 dei quali sono stati
effettuati rilievi. In particolare è stato deferito alla Sezione regionale di controllo l'esame di 49
provvedimenti con cui i dirigenti di diversi Istituti scolastici hanno attribuito a personale
docente ore eccedenti rispetto a quelle d'obbligo contrattuale.
La norma che prevedeva il controllo preventivo di legittimità sui provvedimenti
emanati dai Commissari delegati del Governo in materia di protezione civile è stata abrogata
dall'art.10 D.L.93/2013 convertito, con modificazioni, in L.119/2013.
Attività consultiva.
L'attività consultiva di cui all'art. 7, comma 8, della L.131/2003 rappresenta una
funzione di cui gli enti territoriali si avvalgono in modo costante. Nel corso del 2013, sono
stati resi, su richiesta delle Amministrazioni locali, 45 pareri, che hanno riguardato le più
svariate materi, tra le quali si evidenziano:
- Contrattazione integrativa
- Applicazione patto di stabilità interno
- Ripiano perdite di esercizio di un organismo partecipato
- Acquisti beni e servizi in economia- utilizzo del mercato elettronico
- Corretta interpretazione gius-contabile recenti normative sulle partecipazioni societarie
degli enti locali in relazione alle norme sulla gestione delle farmacie comunali
- Possibilità di finanziare debito fuori bilancio derivante da sentenza esecutiva
51
-
Applicabilità sanzioni limitazioni connesse a mancato rispetto patto di stabilità
Interpretazione e applicazione dei commi 10, 11 e 12 dell'art. 1 D.L. 174/2012, convertito
in L.213/2012, sulle spese dei gruppi consiliari.
- Utilizzo di personale comandato.
- Acquisizione di quote societarie.
- Possibilità di finanziamento attraverso indebitamento, debito fuori bilancio e altro.
- Società partecipate e consorzi.
Onde evitare, in ossequio ad un generale principio di economicità, la proposizione di
richieste di parere inammissibili ovvero aventi ad oggetto questioni già scrutinate e decise
dalla Sezione, sono stati promossi incontri con il Consiglio delle Autonomie Locali al fine di
rendere effettiva la previsione di cui all'art. 7, comma 8, della L.131/2003 a mente del quale le
richieste di parere pervengono alla Sezione regionale per il tramite del menzionato organo di
rilievo costituzionale.
La Sezione, ritenuto non ulteriormente differibile l'adozione di opportuni interventi
organizzativi, ha assunto apposita deliberazione che definisce i principi che regolano
l'esercizio della funzione consultiva affinchè il predetto organo, istituito con L.R.4/2007,
svolga la funzione allo stesso intestata.
Attività della Sezione giurisdizionale svolta nel 2013
I conti giudiziali
L’esame delle attività svolte dagli agenti contabili operanti nelle Pubbliche
Amministrazioni della Regione ha confermato e consolidato, anche per il 2013, l’incremento
di rendimento in atto da alcuni anni, nonostante le croniche carenze del personale
amministrativo di revisione.
Il numero dei conti esaminati e definiti con decreto, costituiti da quelli prodotti dagli
Enti locali ed erariali, ha subito una crescita di circa il 30% rispetto all’analogo dato dell’anno
precedente che già aveva riscontrato un aumento più che considerevole. Analoga situazione si
riscontra per le verifiche e le attività istruttorie dei conti non ancora definiti.
Tra le attività espletate nel corso dell’anno alcune meritano di essere menzionate sia
per profili organizzativi che per chiarezza comportamentale.
Innanzitutto comunico che è proseguita l’attività di censimento dei potenziali soggetti
passivi del controllo giudiziale di questa Corte al fine di implementare l’anagrafe degli agenti
contabili operanti nel territorio regionale, al duplice scopo di evidenziarne eventuali
inadempienze e di avere un quadro esaustivo delle specifiche attività meritevoli di controllo
giurisdizionale.
52
L’iniziativa si è resa necessaria dopo aver constatato che - nell’ultimo quinquennio numerosi Enti Locali non hanno adempiuto correttamente al previsto deposito nemmeno dei
conti giudiziali dei c.d. “agenti contabili minimi” (alias Tesoriere ed Economo). La situazione
emersa, che potrei definire “sconcertante”, mostra il moltiplicarsi degli specifici
inadempimenti spostandosi dal Nord al Sud della Regione. In particolare nelle province di
Ascoli Piceno e Fermo emergono diffuse inottemperanze, non limitate ai soli comuni di
minori dimensioni ma afferenti anche gli enti più popolosi e di riferimento (quali, ad esempio,
la Provincia). In molti dei casi d’inadempienza all’obbligo di deposito si è associata l’inerzia
degli enti alle richieste di quest’Organo giurisdizionale di fornire i dati identificativi dei
propri agenti contabili. Il magistrato relatore, Cons. Teresa BICA, ha dato impulso ad una
serie di analoghe richieste agli enti inadempienti concedendo termini perentori per
ottemperare. Al verificarsi di un’ulteriore inerzia, il magistrato relatore conferirà delega ad un
team congiunto formato da un Ispettore della Guardia di Finanza e da un funzionario addetto
alla revisione dei conti giudiziali, per verificare presso gli Enti pubblici inadempienti la
condotta specificatamente tenuta dagli amministratori e dai dipendenti di questi ultimi e per
acquisire in loco dati e notizie inerenti sia il censimento degli agenti contabili che il mancato
deposito dei conti giudiziali, al fine di poter assumere una quanto più completa valutazione
delle circostanze prima di avviare l’istruzione di autonomi giudizi di resa di conto davanti a
questa Corte.
Contemporaneamente, stanno giungendo a compimento le procedure d’intimazione di
resa di conto collegate al censimento effettuato nel recente passato, per cui sono stati emanati
e pubblicati una cinquantina di decreti di fissazione dei termini di deposito dei conti giudiziali
nei confronti di Enti locali delle Marche inadempienti al previsto deposito dei conti
regolarmente resi ad essi dai rispettivi agenti contabili. Per rilevanza di trattazione, cito il
decreto n.37/2013 nei confronti all’Azienza Sanitaria Unica Regionale afferente l’intimazione
del deposito del Conto del Tesoriere, regolarmente reso all’A.S.U.R. Marche dall’agente
contabile ma dall’Azienda ingiustificatamente mai depositato. Posto che i termini perentori di
deposito sono stati fissati per aprile di quest’anno, allo stato, non è possibile relazionate
sull’efficacia dei provvedimenti; tuttavia, appare indubbio che si tratti di un ulteriore passo
nell’ottica di un controllo capillare anche di quegli Enti che fino ad ora non erano stati
sottoposti alla verifica giurisdizionale.
Nell’ambito dell’implementazione dell’anagrafe degli agenti contabili, merita di essere
menzionato il censimento delle farmacie comunali, effettuato in tre fasi:
- una “conoscitiva”, incentrata nell’inoltro di richieste informatiche certificate a tutti gli Enti
locali del territorio al fine di comprendere l’eventualità ed i termini della gestione di
rivendite di medicinali;
- una fase “di elaborazione” dei dati acquisiti, da cui è emerso che circa il 20% dei comuni
delle Marche è titolare di farmacie e le gestisce per la stragrande maggioranza tramite
53
aziende municipalizzate ovvero società di capitali, spesso con partecipazione pubblica. E’
stato appurato che solo il 15% delle rivendite di medicinali comunali è gestito in economia
direttamente dall’ente pubblico.
- Un’ultima fase “operativa”, ove è stato diretto il controllo sui conti giudiziali presentati
dalle farmacie gestite direttamente dai Comuni con i maggiori “indici di rischio”, da cui
non sono emerse irregolarità degne di rilievo. L’esame delle gestioni effettuate
indirettamente dagli enti pubblici è stato posticipato sulla base della recente evoluzione
giurisprudenziale in merito alla cognizione della Corte dei Conti sulle società partecipate,
di cui ho parlato in precedenza.
La cognizione contabile sulla regolarità delle gestioni dei gruppi consiliari
La messa a punto dell’anagrafe degli agenti contabili, ha posto in evidenza anche la
questione afferente la sottoposizione al controllo delle Sezioni Giurisdizionali della Corte dei
Conti dei gruppi consiliari delle Assemblee legislative regionali. Tale argomento è
recentemente emerso agli onori delle cronache, stante le variegate attività intraprese da
diverse Sezioni Giurisdizionali di questa Corte nel territorio nazionale tese ad ottenere la resa
dei conti giudiziali da parte dei Presidenti dei Gruppi Consiliari regionali, che hanno
ingenerato numerosi ricorsi giurisdizionali ad ogni livello.
Stigmatizzanti al riguardo sono le esperienze delle Sezioni Giurisdizionali del Lazio e
della Toscana. La prima, nel dicembre 2012, emanava il Decreto n.1/2012 in accoglimento
dell’istanza per resa di conto della locale Procura regionale nei confronti di un Gruppo
consiliare regionale, coinvolto nel recente passato in vicende di mala gestio che avevano
avuto rilevanza penale e notevole eco mediatica. In sintesi nel provvedimento, si riconosceva
implicitamente la sottoposizione al controllo giurisdizionale della Corte dei Conti per la
gestione sia finanziaria che economica del gruppo consiliare dell’Assemblee legislativa
regionale sui presupposti:
- della natura pubblica del Gruppo, in quanto composto da consiglieri eletti; in quanto organo
del Consiglio regionale il cui funzionamento è regolato da norme di diritto pubblico;
- della natura pubblica delle risorse finanziarie gestite;
- dell’effettiva disponibilità e maneggio del denaro nel Gruppo;
- dell’obbligo ex lege di destinazione dei contributi percepiti;
individuando il responsabile per la resa del relativo conto giudiziale nel Presidente del Gruppo
consiliare, investito della funzione di garanzia circa il corretto utilizzo delle risorse assegnate
al Gruppo stesso.
L’esperienza della Sezione Giurisdizionale per la Toscana ha coinvolto tutti i
Presidenti dei Gruppi consiliari regionali in procedimento per resa di conto (mi riferisco ai
Decreti 13/2013 e seguenti dell’8 agosto 2013) sulla base dei seguenti presupposti giuridici:
54
- sussistenza di un generale obbligo di rendicontazione giudiziale da parte di chi maneggia
pubblico denaro, avvalorata dalla natura pubblica sia del Gruppo consiliare (concepito
quale organo interno, necessario e strumentale, a disciplina di diritto pubblico, della
Regione) che delle risorse finanziarie e materiali da esso gestite; dall’effettiva disponibilità
e maneggio del denaro e materiali per i membri del Gruppo; nonché dall’obbligo ex lege di
destinazione dei contributi;
- assenza di una deroga espressa (interpositio legislatoris in negativo) ed insussistenza di
una deroga implicita ad opera dell’art. 1 commi 9-12 D.L.174/2012, stante la compatibilità
tra il rendiconto amministrativo ed il conto giudiziale dovuta alle notevoli differenze di
finalità e disciplina. Il rendiconto amministrativo è sottoposto alla cognizione della Corte
dei conti in funzione di controllo e può originare una responsabilità amministrativa
“speciale e tipizzata” di tipo sanzionatorio; il conto giudiziale è sottoposto alla cognizione
della Corte dei conti in funzione di giurisdizionale ed è finalizzato ad accertare il danno in
capo al soggetto passivo a cui si associa la qualifica di agente contabile, con l’eventualità
di originare una responsabilità amministrativa di tipo risarcitorio.
A sostegno della compatibilità di tale doppio controllo (amministrativo e
giurisdizionale) sui rendiconti dei Gruppi consiliari regionali, viene citato anche il testo
dell’art. 610 comma 1 R.D.827/24 (Regolamento di contabilità generale dello Stato) ove
specifica che: “Tutti gli agenti dell’amministrazione che (…) hanno maneggio qualsiasi di
pubblico denaro, ovvero debito di materie, (...) oltre alle dimostrazioni ed ai conti
amministrativi stabiliti dal presente regolamento, devono rendere ogni anno alla Corte dei
conti il conto giudiziale della loro gestione”.
La decisione della Sezione Toscana ha messo in rilievo le maggiori garanzie di tutela
per il pubblico denaro offerte dal giudizio di conto rispetto al controllo dei rendiconti
amministrativi operato ex art. 1 commi 9-12 D.L.174/2012 in merito:
- ai termini per completare l’azione (5 anni rispetto a 3 mesi);
- all’intensità dei poteri istruttori (rammento che solo nel giudizio di conto vi è la
partecipazione del Procuratore e la possibilità di esercitare la tutela cautelare);
- all’incisività delle sanzioni, posto che solo nel giudizio di conto le sanzioni vengono inflitte
con sentenze che possono essere portate ad immediata esecuzione.
L’ultima ma non meno decisiva argomentazione della Sezione Toscana afferisce
l’inapplicabilità della salvaguardia all’espressione di voti ed opinioni politiche sancita
costituzionale dall’art.122 comma 4 Cost. in materia di obbligo di resa dei conti giudiziali da
parte degli agenti contabili operanti nell’ambito dei Consiglio regionali delle Regioni
Ordinarie. Rifacendosi a precorsa giurisprudenza di legittimità - Cass. S.U., 17.07.1999, n.461
-, i giudici contabili toscani hanno affermato la sussistenza della giurisdizione contabile della
Corte dei Conti nella materia, in considerazione del fatto che l’obbligo di resa del conto
concerne semplici operazioni finanziarie e contabili che non si sostanziano nell’espressione di
55
voti e di opinioni (costituzionalmente tutelate) per cui la possibilità di esame delle attività
deliberative è unicamente un’evenienza ulteriore ed eventuale del giudizio.
Per completezza cito le vicende dell’Ordinanza n.17/2013 emessa dalla Sezione
giurisdizionale del Piemonte, con cui era stato respinto il ricorso per resa di conto nei
confronti dei locali Presidenti dei Gruppi consiliari regionali. La III Sezione Giurisdizionale
Centrale d’Appello, in riforma del citato provvedimento, con sentenza n.14 in data 8
novembre 2013, rifacendosi ai provvedimenti delle Sezioni giurisdizionali del Lazio e della
Toscana (sopra citati), ha ribadito:
- gli elementi necessari e sufficienti per ingenerare l’obbligo di un soggetto (che ben può
essere un consigliere regionale) di rendere il conto della propria gestione per ottenerne il
discarico: nella pura e semplice apprensione di denaro e/o valori pubblici; nel vincolo di
destinazione degli stessi al soddisfacimento di finalità pubbliche; nella natura pubblica
dell’Ente per il quale il soggetto agisce;
- la coesistenza non conflittuale nella sistematica generale della rendicontazione nella
contabilità pubblica dei due strumenti di riscontro contabile: giudizio di conto ed esame del
rendiconto, stante le diversità di approcci cognitivi e di esiti conclusivi.
Sotto il primo aspetto, mentre il giudizio di conto è uno strumento di controllo
esterno all’amministrazione teso all’accertamento giudiziale del danno e, pertanto,
sottoposto alla cognizione della Corte dei conti in funzione di giurisdizionale, il rendiconto
amministrativo annuale presentato dal Presidente del Gruppo consiliare all’Ufficio di
Presidenza del Consiglio Regionale, è uno strumento di riscontro esterno
all’amministrazione di regolarità amministrativa della gestione delle risorse ed è sottoposto
alla cognizione della Corte in funzione di controllo.
In base agli effetti prodotti, il giudizio di conto può originare una responsabilità
amministrativa “generale” di tipo risarcitorio (che postula l’accertamento sia dell’an che
del quantum del danno) mentre dal rendiconto amministrativo può discendere unicamente
una responsabilità amministrativa di tipo sanzionatorio (speciale e tipizzata nell’art.1
comma 12 D.L.174/12) che prescinde dalla produzione e dall’accertamento del danno.
- l’inapplicabilità della salvaguardia costituzionale all’espressione di voti ed opinioni
politiche in materia di obbligo di resa dei conti giudiziali, sull’assunto che tale obbligo
concerne semplici operazioni finanziarie e contabili che non si sostanziano nell’espressione
di voti e di opinioni (tutelate appunto dall’art.122 comma 4 Cost.) e che nel giudizio di
conto, la possibilità di esame delle attività deliberative è unicamente un’evenienza ulteriore
ed eventuale del procedimento.
Allo stato il tema non ha trovato definizione, originando divergenze e contrasti ad ogni
livello giurisdizionale (cito su tutti il ricorso alla C. Cost. da parte della Regione Toscana
avverso i Decreti n.13 e seguenti dell’8 agosto 2013 sopra citati) ed è trattenuto in decisione
dalle SS.RR. di questa Corte nella Questione di massima n.355/SR/QM sul fatto “se sia
56
attivabile, anche alla luce delle nuove disposizioni (lgs. l’art. 1 commi 9-12 D.L.174/2012 ed
annesse linee guida ex D.P.C.M. del 21.12.2012, c.d. “Decreto Monti”) il giudizio di conto
relativamente alla gestione dei fondi pubblici erogati ai Gruppi consiliari regionali (secondo
le norme regionali attuative della L.853/73) e, in caso positivo, quali siano i rapporti –
soprattutto procedimentali – intercorrenti tra il giudizio di conto dinnanzi alla Sezione
Giurisdizionale e l’esame del rendiconto innanzi alla Sezione di Controllo”. Tale situazione
ha indotto quest’Organo giurisdizionale ad adottare un atteggiamento di prudente attesa che
permetterà di non distogliere risorse dall’attività di revisione verso i numerosi settori di
competenza già definiti.
La cognizione sulla regolarità delle gestioni dei gruppi consiliari potrà essere
comunque esercitata in modo derivativo, sulla base dell’attivazione della locale Procura
regionale ove riscontrasse notitiae damni specifiche e concrete nelle eventuali deliberazioni di
non regolarità dei rendiconti dei gruppi consiliari regionali emesse dalla locale Sezione
regionale di controllo, in ossequio alla recente normativa introdotta dal c.d.“decreto Monti”
(art. 1 commi da 9 a 12 D.L.174/2012 ed annesse linee guida ex D.P.C.M. del 21.12.2012).
L’accentuazione del carattere collaborativo dell’attività giurisdizionale
Un’ulteriore attività degna di rilievo è quella realizzata dal magistrato relatore, Cons.
Teresa BICA, al fine di rafforzare il carattere collaborativo generalmente adottato da questa
Sezione Giurisdizionale nei confronti dei soggetti controllati. Sono state impartite
raccomandazioni ai funzionari revisori al fine di rendersi estremamente disponibili a chiarire
direttamente con i soggetti controllati le eventuali divergenze interpretative e procedurali, in
modo da ottenere il duplice vantaggio di snellire le lungaggini istruttorie e di discernere le
condotte produttive di responsabilità da quelle che, seppur non pienamente condivisibili in
un’ottica di chiarezza e correttezza contabile-amministrativa della gestione, non evidenziano
elementi di danno, di mala fede o di ingiustificato arricchimento. In tale evenienza, il
magistrato relatore opta per definire il giudizio con l’approvazione dei relativi conti giudiziali,
emettendo contestualmente note di osservazione nei confronti dei controllati ove indica le
prescrizioni a cui l’Ente deve conformarsi per il tratto a venire, in modo da adottare gli
accorgimenti idonei ad evitare la reiterazione dei comportamenti segnalati e da porre le basi
per una futura rendicontazione più adiacente alla chiarezza e correttezza contabile. Nella
Segreteria della Sezione giurisdizionale è stato istituito un archivio delle note d’osservazione,
ove i revisori si riferiscono per individuare eventuali reiterazioni delle condotte non
condivisibili e già segnalate che, in tal caso, saranno valutate con maggior rigidità rispetto alle
precedenti.
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Corte dei Conti - Sezione Marche
Ufficio di statistica
Anno 2013
Conti giudiziali
erariali
Conti degli
enti locali
Conti pervenuti
148
2819
Conti esaminati e
approvati
con decreto
128
282
Conti dichiarati estinti
150
1947
Totale conti definiti
278
2229
I giudizi di responsabilità e pensionistici
Le principali tematiche, attinenti ai giudizi di responsabilità amministrativa, sono state
ampiamente trattate nelle precedente sezioni relative alle tipologie di danno erariale.
Un più completo panorama delle specifiche attività svolte da quest’Organo
giurisdizionale nel corso dell’anno 2013, può essere desunto dall’analisi delle massime
riportate al termine della presente relazione.
Relativamente ai copiosi giudizi pensionistici, trattati nell'anno 2013, dal Giudice
unico Cons. Giuseppe De Rosa, rimandando per completezza all’analisi delle massime
riportate al termine della presente relazione, desidero evidenziare che:
- sono proseguiti i giudizi su fattispecie di recupero di somme - azionati dall'INPDAP e,
quindi, dall'INPS succeduto al primo - a seguito delle decisioni d'appello annullanti quelle
di primo grado, favorevoli ai pensionati, poste in "provvisoria" esecuzione. Quanto sopra a
seguito della sentenza n.17/2011/QM delle Sezioni Riunite, dichiarante l’inammissibilità
della specifica questione di massima formulata con ordinanza n.35/2011. Le decisioni dei
giudizi in questione sono improntate all’accoglimento parziale dei ricorsi nella
58
considerazione che i recuperi vanno svolti non nell’importo integrale richiesto
dall’amministrazione ma al netto delle ritenute fiscali e nel limite massimo di un decimo a
valere sui ratei pensionistici erogati mensilmente;
- sono continuati altresì i giudizi sulla peculiare fattispecie ex art.80, co.3 L.388/2000
consistente nel beneficio, a richiesta, per ogni anno di servizio presso pubbliche
amministrazioni, di due mesi di contribuzione figurativa ai soli fini del diritto alla pensione
e dell’anzianità contributiva, fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione
figurativa. La Giurisprudenza di legittimità (vgs., per tutte, le sentenze C.Cass., S.U., n. 20,
n.79, n.124 e n.125 del 2013) ha recentemente ritenuto assoggettabile al sindacato della
Corte dei conti i casi afferenti la problematica esposta;
- sono state assunte decisioni su ricorsi attivati da pensionati ex Segretari comunali per
l'affermazione del diritto al computo in quota A delle pensioni della maggiorazione della
retribuzione di posizione (prevista dall'art.41, co.4 C.C.N.L. 1998/2001 ed art.1 Accordo
n.2 Contratto Collettivo Integrato di livello nazionale dei Segretari comunali e provinciali
del 22 dicembre 2002). A fronte dello scenario nazionale generalmente favorevole
all'accoglimento dei ricorsi, le decisioni del Giudice monocratico sono state,
motivatamente, di rigetto (sentenze n.2 - 14 gennaio 2013; nn.35 e 36 - 26 marzo 2013).
Quantificazione dell’attività giurisdizionale
Nell’anno 2013 sono stati pubblicati n. 302 provvedimenti di cui 87 decreti, n. 81
ordinanze e n. 134 sentenze e sono stati definiti n. 162 giudizi.
In materia di responsabilità sono state emesse n. 21 sentenze, n. 68 decreti e n. 3
sentenze per resa di conto.
In materia pensionistica sono state emesse n. 113 sentenze e n. 78 ordinanze.
Le pronunce di condanna ammontano a € 5.780.926,20.
Sono state tenute n. 51 udienze.
Sono pervenuti n. 2967 conti giudiziali e ne sono stati definiti n. 2507 di cui n. 410
approvati con discarico degli agenti contabili e n. 2097 dichiarati estinti e restituiti alle
amministrazioni.
Organico Corte dei conti
L’avviata politica di contenimento dei costi e di riduzione della spesa non poteva non
coinvolgere, la magistratura contabile, quale garante terzo e imparziale, secondo la Carta
costituzionale, degli equilibri di finanza pubblica, sia nell’esercizio delle funzioni di controllo
sugli atti e sulle gestioni pubbliche, sia in quelle giurisdizionali, per il corretto utilizzo delle
risorse finanziarie.
59
La Corte dei conti è, infatti, organo a servizio dello Stato- comunità ed ha il compito di
verificare e tutelare il corretto utilizzo delle risorse coattivamente prelevate dai redditi dei
cittadini, coniugando legittimità ed efficienza, per pervenire ad una più efficace azione
amministrativa e sanzionando condotte determinanti sprechi o, ancor peggio, condotte illecite.
Proprio per questo si pone al servizio dei contribuenti e di tutta la collettività amministrata:
“dando voce al cittadino che non ha voce”, “trasformando i soldi pubblici da soldi di nessuno
a soldi di tutti”.
L’esigenza del cittadino non può essere disattesa e l’attività della Corte deve
raggiungere lo scopo di tutelare al meglio il denaro pubblico.
La funzione giurisdizionale – congiuntamente alla funzione di controllo – svolge un
ruolo essenziale per contrastare, alla luce del dettato costituzionale, la cattiva gestione delle
pubbliche risorse.
I compiti, sin dall’origine attribuiti alla Corte dei conti, sono stati notevolmente
ampliati a seguito delle numerosissime leggi entrate in vigore negli ultimi anni. Lo
svolgimento di tali funzioni, talora di estrema delicatezza, richiede la previsione della
possibilità di colmare la scopertura nel ruolo magistratuale, attualmente pari ad oltre il 30 %
dei posti in organico, circa 180 posti su 614 previsti, situazione inimmaginabile nelle altre
magistrature e nelle articolazioni dello Stato e degli enti territoriali.
Il Parlamento ha anche riconosciuto, con un proprio ordine del giorno, la necessità di
attribuire all’Istituto maggiori risorse colmando i rilevanti vuoti d’organico determinati dalla
mancata indizione con regolarità annuale dei concorsi per referendario.
L’impegno derivante dalle funzioni attribuite dalla nuova normativa è pesante per i
400 magistrati contabili in servizio, come sottolineato dal Presidente Giuliano Amato, durante
la celebrazione dei 150 anni svolta a Roma presso il Quirinale.
Infatti, va osservato in proposito, che l’organico dei magistrati contabili, rimasto sempre
immutato, è di 614 unità (senza, peraltro, soffermarsi sulla grave insufficienza del personale
amministrativo).
Tale carenza è l'effetto, in particolare negli ultimi 10 anni, di una visione dei vertici
della Corte dei conti, non in sintonia con le attribuzioni di funzioni via via crescenti nel tempo
che determinano maggiori esigenze, soprattutto nelle Procure le quali costituiscono il motore
dell’attività giurisdizionale.
Appare incredibile che, mentre molti enti, società partecipate o municipalizzate, hanno
proceduto senza remore, ad assunzioni illecite e clientelari e al conferimento di consulenze
inutili, aumentando così le loro esposizioni finanziarie, la Corte dei conti non ha provveduto,
quando legittimamente poteva, a ripianare le vacanze organiche con l’indizione dei necessari
concorsi.
60
È indubitabile che l’operatività di 200 magistrati in più avrebbe potuto dare,
nell'interesse generale della Repubblica, un migliore contributo ed, inoltre, oggi sarebbe stato
più agevole svolgere le complesse funzioni recentemente attribuite.
Tante altre sono le questioni che riguardano la Corte dei conti sottolineando che
l’obiettivo prioritario della magistratura contabile è quello di contribuire al migliore
svolgimento sia delle funzioni istituzionali consolidate nel tempo, sia di quelle recentemente
attribuite, per rispondere alle esigenze di legalità e di corretto utilizzo delle risorse pubbliche
che la collettività, specie in un periodo difficile per il Paese, reclama.
Nonostante le carenze di organico citate, la magistratura contabile continuerà a
perseguire con il massimo impegno e la più profonda dedizione ai proprio compiti d’istituto,
in fedeltà agli impegni presi con la Repubblica e nell’interesse esclusivo della collettività.
Ringraziamenti
Un doveroso apprezzamento rivolgo alle forze, militari e civili, che operano insieme
alle magistrature tutte, per il rispetto della legalità il cui valore dev’essere tenuto nella giusta
considerazione dall’intera collettività.
Devo altresì esprimere un sentito ringraziamento ai colleghi magistrati ed al personale
amministrativo tutto.
Concludo ricordando con grandissimo affetto e stima la collaboratrice Patrizia Di
Cesare, fulgido esempio di dedizione, intelligenza e cuore, ed altresì il dipendente Ferruccio
Marini, entrambi venuti recentemente a mancare.
61
MASSIME DELLE PRINCIPALI PRONUNCE EMESSE DALLA SEZIONE
GIURISDIZIONALE REGIONALE MARCHE NELL’ANNO 2013 IN MATERIA di
RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVO CONTABILE
1. Sentenze n. 28 del 20 marzo 2013, n. 32 del 26 marzo 2013 e n. 65 del 27 maggio 2013 Pres. Di Luca e Giorgione – Est. De Rosa - P.M. Mirabella - P.R. c/ V.S (costituito
personalmente), B.M. (Avv.to Riccardo Leonardi) e C.G. (Avv. Maurizio Miranda).
Condanna i convenuti
a. Responsabilità amministrativa - Attività libero professionale non autorizzata –
Danno - Natura sanzionatoria ex art. 53 commi 7 e 7 bis D.L.vo 165 del 2001.
b. Responsabilità amministrativa - Disutilità delle prestazioni rese per l’Ente
pubblico – Quantificazione del danno.
a.
Con riferimento a vicende di svolgimento di attività libero-professionale non
autorizzata presso Enti privati, da parte di pubblici dipendenti, i convenuti sono stati giudicati
e condannati considerando l'accentuazione del profilo sanzionatorio del danno erariale,
sicuramente determinato dalla riforma degli anni 1994 e 1996, che non ha fatto venir meno il
presupposto fondamentale della responsabilità amministrativa e cioè la sussistenza di un
danno ma la fattispecie prevista e sanzionata dall'articolo 53, commi 7 e 7-bis del decreto
legislativo n. 165 del 2001, è di natura esclusivamente sanzionatoria e non risarcitoria,
pertanto, - escludendosi segnatamente ogni considerazione circa il "danno" la risultante è
espressamente devoluta al sindacato del Giudice contabile sulla base d'una espressa
disposizione di legge (il precitato comma 7-bis).
b.
Nei casi all'esame, a seguito della fondamentale distinzione delle due fattispecie, si è
innanzitutto pervenuti a decisioni di condanna (con le sentenze n. 28 del 20 marzo 2013 e n.
65 del 27 maggio 2013) nelle sole ipotesi di comprovata disutilità della prestazione di servizio
con l'Ente pubblico, in particolare esc1udendosi la sussistenza di pregiudizio alcuno con
riferimento alle prestazioni professionali svolte durante periodi di congedo per ferie;
conformemente (con la sentenza n. 32 del 26 marzo 2013) è stato assolto un convenuto
prestante attività libero professionale non autorizzata durante periodi di ferie non risultando al
riguardo comprovati eventuali pregiudizi e/o disservizi che il dipendente avrebbe arrecato all'
Amministrazione di appartenenza per l'effetto del "mero" svolgimento dell'attività vietata.
Sempre nei casi all'esame, tutti i convenuti sono stati condannati al versamento - in favore
dell'Ente pubblico di appartenenza - delle somme percepite .per lo svolgimento delle attività
62
libero professionali in favore di privati, individuandosi la ratio dell'articolo 53, commi 7 e
7bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, nell'intento "repressivo-preventivo" della
normativa, diretta a scoraggiare un fenomeno illegittimo dilagante, mediante la "sanzione"
della sostanziale disutilità della prestazione del dipendente pubblico così effettuata in favore
di terzi, nel senso della vanificazione dell'impegno dal medesimo profuso, in ragione della
previsione della spogliazione dei proventi relativi, integrata dall' obbligo di destinazione dei
compensi percepiti all' Amministrazione di appartenenza (il tutto a prescindere, quindi, da
eventuali ed effettivi nocumenti arrecati, con tale condotta, all’interesse "patrimoniale" stricto
sensu della P.A.).
2. Sentenza n. 38 del 29 marzo 2013 - Pres. Giorgione – Est. Di Luca - P.M. Grossi - P.R.
c/ F.G. e altri diciannove convenuti (Avv.to Andrea Rossi – Prof. Paolo Dell’Anno – Prof.
Gennaro Terracciano)
Condanna i convenuti
a) Contributi all’agricoltura – Erogazione illecita a soggetti non aventi titolo
mediante la predisposizione di falsa documentazione - Competenza territoriale.
b) Contributi all’agricoltura – Erogazione a soggetti non aventi titolo mediante la
predisposizione di falsa documentazione - Sospensione processuale ex art. 295
c.p.c.
c) Contributi all’agricoltura – Erogazione illecita a soggetti non aventi titolo
mediante la predisposizione di falsa documentazione - Responsabilità
amministrativa a vario titolo.
a
La competenza territoriale in materia di responsabilità amministrativo-contabile si
ricava dall’art. 1, terzo comma, del d.l. 15 novembre 1993 n. 453, convertito nella legge 14
gennaio 1994, n. 19 che, a sua volta, rinvia alla legge 8 ottobre 1984 n. 658, il cui art. 2, alla
lettera b) dà rilievo all’ambito territoriale nel quale sono avvenuti i fatti causativi del danno.
Nel caso in cui il fatto dannoso si identifica in una fattispecie a formazione progressiva
attuatasi attraverso condotte interattive di più soggetti, detta fattispecie deve ritenersi integrata
nel tempo e nello spazio in cui si è compiuto l’ultimo atto della serie delittuosa, quale
l’acquisizione di illeciti benefici da parte dei percipienti di contributi pubblici.
La competenza territoriale relativa ai soggetti percettori privati attrae quella degli autori
dell’erogazione pubblica.
b.
Alla luce della nuova disciplina processualistica penale non sussiste più alcun obbligo
per il giudice della responsabilità amministrativa di disporre la sospensione del giudizio in
63
attesa della definizione del processo penale.
Ciò per effetto sia dell’art. 651 del rinnovato codice penale, per il quale la sentenza
irrevocabile di condanna, pronunciata con le garanzie del contraddittorio, riveste efficacia di
giudicato limitatamente all’accertamento della sussistenza del fatto, all’affermazione che
l’imputato lo ha commesso ed alla illiceità penale, sia dell’art. 7 della legge 27 marzo 2001 n.
97 la quale prescrive che “la sentenza irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti
(pubblici) per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del
libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore della Corte dei conti
affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno
erariale nei confronti del condannato”.
Nel processo contabile i fatti vagliati, comuni a quelli esaminati in sede penale, assumono
rilievo esclusivamente sotto l’aspetto di condotte che si prospettano meramente illecite e che
si assumono causative di danno erariale, a prescindere dalla loro qualificazione penale.
c.
Sono responsabili a titolo di dolo sia i dipendenti della struttura pubblica che,
giovandosi di una particolare metodologia utilizzata nell’ambito della strumentazione
informatica, creano falsi documenti al fine di rendere possibile la erogazione di contributi
pubblici in favore di soggetti non aventi titolo, sia questi ultimi, per aver contributo alla
riuscita della truffa incassando i contributi in modo tale da farne perdere ogni successiva
rintracciabilità.
È responsabile per culpa in vigilando il funzionario sopraelevato per non essersi avveduto
della sussistenza di numerosi abnormi elementi su quali si era fondato il positivo riscontro dei
verificatori.
È responsabile a titolo di colpa grave il funzionario di vertice della struttura, il quale, benché
reso partecipe di fatti irregolari tali da far supporre la loro probabile origine interna, omette di
avviare tempestivamente le necessarie indagini e di procedere ad un tempestivo cautelare
blocco dei pagamenti dei contributi.
3. Sentenze n. 70 del 6 giugno 2013, n.81 del 15 luglio 2013 e n.119 del 15 novembre 2013
- Pres. Giorgione – Est. De Rosa - P.M. Mirabella - P.R. c/ S.G., B.F., B.C. ( non costituiti
né comparsi).
Condanna i convenuti
a. Responsabilità amministrativa – Concessionari gioco del lotto mancato
riversamento proventi – Danno.
a.
Le vicende riguardano il mancato riversamento di proventi relativi al gioco del lotto da
64
parte di concessionari e nel merito si è affermato che le fattispecie costituivano tipiche ipotesi
di responsabilità amministrativa contabile configurandosi detta responsabilità nell'obbligo di
restituzione delle somme gestite dall'agente, sul quale gravava pertanto l'onere di
dimostrazione che la mancata restituzione si collegava ad una situazione non imputabile al
medesimo a titolo di dolo o colpa grave; nei casi di specie, mancando tale dimostrazione, non
essendosi costituiti i convenuti, i giudizi esitavano tutti in sentenze di condanna.
4. Sentenza n. 71 del 6 giugno 2013 - Pres. Giorgione – Est. De Rosa - P.M. Mirabella P.R. c/ S.L. srl Uninominale (non costuita né comparsa)
Condanna il convenuto
a. Responsabilità amministrativa - Sviamento di contributi in violazione di
normative comunitarie e regionali - Giurisdizione
b. Responsabilità amministrativa - Rapporto di servizio con la Società e non con
l’unico socio persona fisica.
a.
Sussiste la giurisdizione dalla Corte dei conti con riferimento al rapporto instaurato si
tra l'Ente pubblico e l'Ente privato per l'effetto dell'obbligo, assunto dal privato, di destinare le
somme concernenti il finanziamento pubblico allo scopo predeterminato dalla P.A.
b.
Nell'ottica già indicata, correttamente la Procura regionale ha convenuto in giudizio la
Società privata (S.r.l. uninominale) posto che era con la medesima - e non con l'unico socio
persona fisica - che si era instaurato, con la presentazione dell'istanza di ammissione al
contributo, il rapporto di servizio con l'Ente pubblico. Nel merito, la pretesa della Procura
regionale si è manifestata fondata sol considerando che la Società otteneva i contributi in base
a falsi investimenti ovvero, comunque, attuando irregolarità direttamente finalizzate a
suffragare l'esistenza di spese ammissibili al finanziamento pubblico.
5 Sentenza n. 76 del 26 giugno 2013 - Pres. ed Est. Di Luca - P.M. Grossi - P.R. c/ M.U. e
altri sette convenuti (Avv. Andrea Galvani – Avv. Paolo Pauri – Avv. Valeria Mancinelli –
Avv. Rosella Pepa –Avv. Michele Brunetti – Avv. Paolo Coppari)
Condanna i convenuti
a. Danno arrecato a società partecipata dal Comune di Ancona - Acquisto di area
inidonea alle finalità della società ed a prezzo superiore al suo valore –
Giurisdizione.
65
b. Danno arrecato a società partecipata dal Comune di Ancona - Acquisto di area
inidonea alle finalità della società ed a prezzo superiore al suo valore –
Prescrizione.
c. Danno arrecato a società partecipata dal Comune di Ancona - Acquisto di area
inidonea alle finalità della società ed a prezzo superiore al suo valore – Scelta
discrezionale.
d. Danno arrecato a società partecipata dal Comune di Ancona - Acquisto di area
inidonea alle finalità della società e a prezzo superiore al suo valore –
Responsabilità amministrativa a vario titolo.
a.
Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nei riguardi di soggetti convenuti in
giudizio successivamente ad una pronuncia della Sezione che aveva riconosciuto la
giurisdizione nei confronti di altri soggetti precedentemente convenuti nello stesso giudizio,
allorquando via sia sostanziale identità tra le argomentazioni addotte dai primi e le
motivazioni esposte nella pronuncia stessa.
b.
Nel caso di soggetti chiamati in giudizio per disposizione del giudice, l’avvenuta
integrazione processuale produce effetti di ordine sia processuale che sostanziale, nel senso
che essa interviene a sanare, integrandole, le carenze dell’atto introduttivo laddove lo stesso
abbia mancato di rivolgersi a tutte le parti necessarie, ed è pertanto idonea ad interrompere la
prescrizione anche nei confronti dei soggetti originariamente non convenuti.
c.
Sussiste danno erariale perseguibile dinanzi alla Corte dei conti, sotto il duplice
aspetto della non necessità e dell’eccessiva onerosità di un acquisto, quello derivante da scelta
discrezionale operata dai vertici di una società partecipata da una pubblica amministrazione,
quando tale scelta risulti assolutamente ingiustificata sia in termini di sostanziale utilità che di
congruità finanziaria, in ragione sia dei limiti delle disponibilità finanziarie che delle esigenze
operative dell’acquirente, essendo irrilevante l’eventuale successivo aumento di valore degli
immobili acquisiti.
d.
Risponde a titolo di dolo contabile il presidente del C.d.A. di società partecipata da
ente pubblico, che ha gestito in prima persona una vicenda foriera di danno erariale senza
svolgere la dovuta attività istruttoria, al di fuori delle comuni regole di gestione e contro ogni
logica prudenza imprenditoriale, conseguentemente condizionando e orientando la volontà
degli amministratori.
Risponde a titolo di colpa grave il professionista incaricato da società partecipata da ente
pubblico di redigere una perizia sul valore di un’area da acquisire, allorché tale perizia
66
contenga macroscopici errori in ordine all’individuazione dei beni da valutare, non faccia
alcun cenno ai possibili sviluppi che la destinazione dell’area avrebbe potuto avere nel tempo
ed è priva di ogni necessario riferimento allo scopo cui avrebbe dovuto tendere l’acquisto.
Rispondono a titolo di colpa grave i componenti del C.d.A. di società partecipata da ente
pubblico, i quali abbiano espresso la loro volontà senza pretendere di conoscere, attraverso
un’integrazione dell’attività istruttoria, gli elementi minimi necessari per esprimere una scelta
razionale ed amministrativamente corretta.
Rispondono a titolo di colpa grave i sindaci del Comune i quali, in ragione della loro carica
politica, avrebbero dovuto vigilare sulla gestione di una società partecipata, impedendo quelle
operazioni che potevano risultare altamente rischiose a causa dei provvedimenti che essi
sapevano che l’Amministrazione comunale si accingeva ad assumere.
6. Sentenza n. 88 del 7 agosto 2013 - Pres. Giorgione – Est. De Rosa - P.M. Grossi –
B.V.E., C.C.M., G.C., P.G., C.G. (Avv.Giuseppe Morbidelli e Avv.Giuseppe Giuffrè,
Avv.Massimo Canonico, Avv.Enrico Maria Stramigioli, Avv.Luca Di Lazzaro).
Condanna i convenuti
a. Responsabilità amministrativa – Sanità pubblica - Stazione Appaltante –
Compartecipazione alla causazione del danno – non sussiste.
b. Responsabilità amministrativa – In tema di prescrizione.
c. Responsabilità amministrativa – Danno - “spese di guardiania” e “mancato
guadagno” contestualità – Insussistenza.
d. Contratto d'appalto stipulato a "corpo" – Progetto di dettaglio e onere di verifica
delle lavorazioni - Direttore dei lavori – Responsabilità.
e. Responsabilità amministrativa - Responsabile del Procedimento - Funzione di
"sorveglianza" solo in caso di lavori in concessione – Esclusione.
f. Responsabilità amministrativa - Somme associate ai pagamenti effettuati per
lavori - Imposta incamerata dall'Erario – Non è danno erariale.
g. Responsabilità amministrativa - Rapporto tra la responsabilità riconosciuta in
capo al Direttore dei lavori e quella in capo al RUP.
h. Responsabilità amministrativa - Commissione di collaudo – Spese risarcibili e
spese conseguenti a sequestro penale - Delega di funzioni.
a.
Insussistenza di ipotesi di compartecipazione nella causazione del danno azionato
dalla Procura regionale in capo alla Stazione appaltante ovvero all'Ente committente, posto
67
che la titolarità delle azioni concernenti la risoluzione del contratto di appalto competeva, in
prima battuta, al Direttore dei lavori e al Responsabile unico del procedimento.
b.
In tema di prescrizione dell'azione del Procuratore regionale, il dies a quo dell'illecito
contabile - diversamente da quello concernente l'illecito civile - si ricollega ad una fattispecie
complessa che diviene compiuta allorquando la condotta giuridica trova riscontro sia in
un'obbligazione risarcitoria, sia in un danno concreto e attuale, trovando esclusivo
fondamento in ipotesi di responsabilità amministrativa e non dunque nella mera integrazione
(rectius: conoscibilità) d'un presunto danno erariale. Nel caso, pertanto, allorquando
l'Amministrazione sia stata in grado di conoscere sia il comportamento illecito del soggetto in
rapporto di servizio con la medesima, sia il danno antigiuridico da questi causato, che deve
risultare certo e attuale; irrilevante è il fatto che una fattispecie di responsabilità patrimoniale
si fosse già evidenziata in corso d'opera. Tale evidenza non poteva che riferirsi all'impresa
concernendo un rapporto contrattuale sottostante del tutto esulante dalla sfera d'influenza
della Procura regionale.
c.
La richiesta di risarcimento formulata contestualmente dalla Procura regionale sia per
il "mancato guadagno", correlato all'opera incompiuta, sia alle "spese di guardiania",
concernenti il cantiere, deve essere disattesa, nella considerazione che le precitate tipologie di
pregiudizio attengono a profili risarcitori tra loro incompatibili, e che la presunzione di attività
giustificante il computo del "mancato guadagno" importa altresì la presunzione della
legittima imputazione, in capo all'Ente committente, degli onere concernenti la vigilanza
dell'immobile utilizzato per l'attività medesima.
d.
Nel contratto d'appalto stipulato a "corpo" il prezzo viene determinato in una somma
fissa ed invariabile per la realizzazione d'una opera tecnicamente rappresentata negli elaborati
progettuali, ragione per la quale l'intervento deve essere descritto in modo estremamente
preciso per mezzo di un progetto di dettaglio assumendo conseguentemente l' appaltatore il
rischio di eseguire l'opera senza poter invocare alcuna verificazione sulla misura, sulla qualità
e sul valore dei singoli lavori eseguiti ai sensi del contratto. Nel caso, sussiste un onere ancora
più stringente di verifica delle lavorazioni eseguite, da parte del Direttore dei lavori in sede di
liquidazione dei compensi, in particolare laddove - a fronte delle attestazioni dell'impresa
d'aver raggiunto le aliquote degli interventi per le quali era previsto il pagamento degli
acconti, la reale situazione del cantiere, documentata nei verbali delle numerose visite
effettuate, deponeva per il mancato conseguimento delle finalità realizzative sottese
dall'appalto.
68
e.
Non fondata si prospetta la tesi secondo la quale il Responsabile del Procedimento
risulterebbe altresì affidatario della funzione di "sorveglianza" nei soli casi di lavori in
concessione poiché solo in tal caso la "sorveglianza" risulta espressamente attribuita al RUP.
Tale tesi difensiva non tiene conto del fatto che, in mancanza dell'espressa proposizione
normativa, tale funzione non sarebbe rimasta nell' ambito della sfera dei poteri esercitabili
dall’Amministrazione, in ragione della traslazione in capo al concessionario delle prerogative
pubblicistiche, caratterizzante il peculiare sistema di realizzazione dei lavori.
f.
Nella visione di finanza pubblica allargata, cui risulta vincolata la giurisdizione
contabile, non possono costituire danno erariale le somme IV A, associate ai pagamenti
effettuati per lavori, considerato che l'imposta deve ritenersi essere stata incamerata
dall'Erario e i convenuti, in quanto non soggetti della relativa imposizione tributaria, non
potrebbero vantare, nell'ipotesi di condanna al risarcimento delle somme ammontanti ai
pagamenti per acconti lavori, alcun titolo di rimborso nei confronti dell' Amministrazione
finanziaria.
g.
Con riferimento al riparto del danno per la mancata realizzazione dell'opera pubblica
tra il direttore dei lavori e il RUP, di maggior peso specifico si configura la
compartecipazione alla causazione del pregiudizio da parte del primo, mentre più attenuata
deve considerarsi quella associata alla funzione di vigilanza assegnata al RUP.
h.
Sussiste la responsabilità dei membri della Commissione di collaudo con riferimento
al pregiudizio concernente le "spese di guardiania" considerato che l'anticipata consegna
dell'immobile autorizzata dalla Commissione, in violazione delle cautele al riguardo previste
dalla legge, ha avuto quale conseguenza l’accollo di tali spese da parte dell'Ente committente
allorquando sarebbero dovute gravare, diversamente, sull'impresa inadempiente. Irrilevante,
nel caso, l'atteggiamento dell'impresa appaltatrice, che di fatto ha abbandonato il cantiere
dopo la certificazione dell'ultimazione dei lavori, considerato che l'eventuale diritto di credito
che l'Ente committente avrebbe potuto vantare, in tale ipotesi nei confronti dell'impresa
stessa, non si è potuto concretizzare proprio in ragione dell'avvenuta consegna anticipata
dell'immobile. Il pregiudizio associabile alle condotte dei collaudatori deve essere depurato
delle somme relative al periodo di sequestro penale dell'immobile, considerato che col
sequestro è stato modificato il titolo giuridico alla base del possesso del bene in capo all'Ente
committente, per l'effetto venendo meno il nesso di causalità tra l'anticipata consegna
dell'immobile (fatto addebitabile ai collaudatori) e gli oneri connessi-alla relativa vigilanza,
per tutta la durata del sequestro stesso. La delega, attribuita dalla Commissione ad un membro
della stessa al fine della verifica dei presupposti alla base dell’anticipata consegna
dell'immobile, non esime gli altri collaudatori dal rispondere a titolo di responsabilità
amministrativa del danno correlato all'anticipata consegna, dovendo comunque rispondere
69
l’intera Commissione con riferimento all'adozione di un atto intestato alla competenza
collegiale. La fattispecie può essere equitativamente valutata dal Giudice al fine d'una
eventuale riduzione dell’addebito in favore dei collaudatori deleganti.
7. Sentenza n.109 del 31 ottobre 2013 – Pres. Giorgione – Est. Bica – P.M. Mirabella –
P.R. c/ L.F. (Avv.to Luca Sartini)
Condanna il convenuto
Agente contabile - Responsabilità per riscossione illecita
È responsabile a titolo di dolo il titolare della tabaccheria, autorizzato alla riscossione delle
marche da bollo e del contributo unificato, per aver trattenuto per sé la somma illecitamente
riscossa per l’emissione di contrassegni contraffatti sostitutivi di marche da bollo e del
contributo unificato per conto dell’Agenzia delle Entrate.
Per gli specifici compiti svolti quale concessionario per la riscossione delle somme relative
alla vendita delle marche da bollo telematiche previo rilascio di contrassegno sostitutivo, egli
riveste la qualità e la responsabilità proprie dell’agente contabile ed in particolare l’obbligo di
versare all’Agenzia delle Entrate le somme ricevute in conseguenza dell’incarico svolto.
8. Sentenza n.120 del 15 novembre 2013 - Pres. Giorgione – Est. De Rosa - P.M. Grossi –
T.D (costituito personalmente)
Dichiara inammissibile l’azione.
Responsabilità amministrativa – Difetto di notifica - Invito a dedurre notificato a
dipendente militare presso l’ufficio di appartenenza - Inammissibilità dell’atto di
citazione.
Ipotesi di responsabilità amministrativa commessa da un Ufficiale. La decisione ha dichiarato
l'inammissibilità dell’atto di citazione per il difetto di notifica dell'invito a dedurre nei
confronti di un dipendente militare dell'Amministrazione della Difesa (rif.: articolo 146 del
codice di procedura civile avente ad oggetto la notificazione a militare in attività di servizio).
9. Sentenza n. 129 del 3 dicembre 2013 – Pres. Giorgione – Est. Bica – P.M. Grossi – P.R.
c/ M.G. (Avv.to Alberto Cucchieri ) e M.V. (Avv.ti Orlando Sivieri e Claudia Cardenà)
Condanna i convenuti
70
Danno all’immagine della Pubblica Amministrazione – Percezione somma illecita –
Reato di concussione – Clamor fori sul web.
Sono responsabili a titolo di dolo per danno all’immagine della Pubblica Amministrazione per
aver, abusando dei poteri e della qualifica ricoperta nell’amministrazione, indotto un
imprenditore a corrispondere a ciascuno di loro una somma di denaro.
Nei giudizi di responsabilità innanzi alla Corte dei conti la sentenza penale di condanna,
pronunciata a seguito di dibattimento e a norma dell’art. 442 c.p.p. ha efficacia di giudicato
nei confronti dei convenuti, quanto all’accertamento del fatto, della sua illeceità penale ed alla
affermazione che l’imputato lo ha commesso: i convenuti sono stati condannati, con sentenza
definitiva, per il reato di concussione.
La diffusione della notizia sui mass-media, e comunque risonanza dell’evento, che porta
discredito all’immagine della pubblica amministrazione, clamor fori, può avvenire non
solo con articoli su giornali stampati, ma anche, come nel caso in esame, o solo da articoli
presenti sul web.
10. Sentenza n. 134 del16 dicembre 2013 – Pres. Giorgione – Est. Bica – P.M. Grossi –
P.R. c/ T.A (Avv.to Valeria Mancinelli), C.D. (Avv.ti Antonio Lori e Paolo Lori) e T.M.T.
(Avv.ti Giorgio G. Grisolia e Anna Grisolia)
Assolve T.A. e condanna gli altri convenuti
a. Giurisdizione della Corte dei conti sui dipendenti di società a totale capitale
pubblico.
b. Responsabilità dei dipendenti di società a totale capitale pubblico per mancata
applicazione della penale per ritardo nell’adempimento contrattuale.
a.
È confermata la giurisdizione della Corte dei conti sulle fattispecie di responsabilità
concernenti dipendenti di società privata a partecipazione pubblica quando sussistono, nella
società, i seguenti elementi:
- la proprietà pubblica (capitale interamente pubblico);
- la sussistenza del controllo analogo;
- lo svolgimento della prevalente attività in favore degli Enti pubblici titolari del capitale
sociale.
Tali elementi rendono la società funzionalmente inserita nell’apparato organizzativo delle
Amministrazioni locali che ne detengono la proprietà e delle quali rappresenta una vera e
71
propria articolazione operativa.
b.
Sono responsabili per danno da mala gestio, i Dirigenti, che agendo con colpa grave,
prima con condotte omissive, connotate da cosciente violazione degli obblighi di servizio, non
applicano la penale contrattuale, a fronte di uno smisurato e perdurante ritardo nella consegna
del progetto definitivo e del progetto esecutivo; e poi, attraverso la formulazione del parere
favorevole, in qualità di Dirigenti, inducono il CdA della società a deliberare la sospensione,
sine die, dell’applicazione della penale stessa.
MASSIME DELLE PRINCIPALI PRONUNCE EMESSE DALLA SEZIONE
GIURISDIZIONALE REGIONALE MARCHE NELL’ANNO 2013 IN MATERIA
PENSIONISTICA
Giudice unico: Consigliere Giuseppe de Rosa
1. Sentenze n. 18 del 18 febbraio 2013 – S.M.G. (Avv.to Giuditta Pietrella), n. 22 del 4
marzo 2013 - B.V. (Avv. Angelo Raffaele Villani), n.48 del 29 aprile 2013 - V.N. (Avv.
Angelo Raffaele Villani), n. 63 G.L. (Avv.ti Paolo e Maurizio Guerra) e n. 64 T.A.M.
(Avv.ti Angelo Borrelli e Paolo Coppari) del 21 maggio 2013, n. 78 del 1° luglio 2013 F.G. (Avv. ti Leonardo e Daniela Carbone), n.113 del 8 novembre 2013- G.G. (Avv.ti
Nicola Sbano e Camilla Lanza) – c/ INPS ex gestione INPDAP (Avv.t Roberto Annovazzi).
Accoglimento parziale dei ricorsi
a. Giudizi in materia di pensioni civili – Giudizi di primo grado favorevoli ai
ricorrenti – Provvisoria esecuzione – Giudizi di secondo grado di annullamento
della sentenza appellata – Recupero somme al netto delle ritenute fiscali –
Parziale accoglimento.
a.
Giudizi su fattispecie di recupero di somme – a favore dell’INPDAP e, quindi,
dell’INPS succeduto al primo - a seguito delle decisioni d’appello annullanti quelle di primo
grado, favorevoli ai pensionati, poste in “provvisoria” esecuzione; ciò, a seguito della
sentenza n. 17/2011/QM delle Sezioni Riunite, dichiarante l’inammissibilità della specifica
questione di massima formulata da questo Giudice con ordinanza n. 35 del 20 giugno 2011;
nello scenario estremamente differenziato della giurisprudenza delle Corti territoriali e,
recentemente, della ondivaga Sezione Prima d’appello. Le decisioni di questo Giudice si sono
ulteriormente caratterizzate per gli accoglimenti parziali dei ricorsi, disponenti che i recuperi
72
vanno svolti al netto delle ritenute fiscali nonché mediante le (sole) ritenute finanche di un
decimo a valere sui ratei pensionistici erogati mensilmente; fermi, in ogni caso, gli effetti dei
giudizi cautelari favorevoli ai pensionati, sino all’emanazione dei nuovi provvedimenti di
recupero, conformi alle decisioni giurisdizionali, da parte dell’Istituto previdenziale.
2. Sentenze n. 20 del 4 marzo 2013 – F.A.M. (Avv. Gino Miconi) di accoglimento, n. 79 del
3 luglio 2013 - B.N. (Avv. Margherita Albani) non definitiva, n. 124 - M.D. (Avv.
Margherita Albani) di rigetto e 125 – R.F. (Avv. Margherita Albani) di accoglimento del 25
novembre 2013 - c/ INPS ex gestione INPDAP ( Avv.ti Roberto Annovazzi e Italo
Pierdominici).
Giudizi sulla peculiare fattispecie ex articolo 80, comma 3, della legge n. 388 del 2000
(beneficio, a richiesta, per ogni anno di servizio presso pubbliche amministrazioni, di due
mesi di contribuzione figurativa ai soli fini del diritto alla pensione e dell’anzianità
contributiva, fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione figurativa), recentemente
ritenuta assoggettata al sindacato della Corte dei conti (rif.: Cass. SS.UU. 11 settembre 2009,
n. 19614 e 30 ottobre 2010, n. 21490).
3. Sentenze n. 2 del 14 gennaio 2013 – S.A. (Avv.Massimo Spinozzi), n. 35 - G.G.
(Avv.Valeria Mancinelli e Francesco Dal Piaz) e n. 36 – C.D. (Avv.Gino Miconi) del 26
marzo 2013 c/ INPS ex gestione INPDAP ( Avv. Roberto Annovazzi).
Rigetto dei ricorsi
a. Giudizi in materia di pensioni civili – Segretari comunali – Valorizzazione in
quota “A” - Retribuzione di posizione CCNL 1998/2001 - Rigetto.
a.
Giudizi su ricorsi attivati da pensionati ex Segretari comunali per l’affermazione del
diritto al computo in quota A delle pensioni della maggiorazione della retribuzione di
posizione prevista dall’articolo 41, comma 4, del C.C.N.L. 1998/2001 e articolo 1 accordo n.
2 del contratto collettivo integrato di livello nazionale dei Segretari comunali e provinciali del
22 dicembre 2002; a fronte dello scenario nazionale generalmente favorevole
all’accoglimento dei ricorsi, le decisioni di questo Giudice unico sono state, motivatamente,
di rigetto.
4. Sentenza n. 26 del 19 marzo 2013 – B.N. ed A. (Avv.Roberto Gasparrini) e n. 64 del 21
maggio 2013 – T.A.M. (Avv. ti Paolo Coppari ed Angelo Borrelli) c/ INPS ex gestione
INPDAP; e ordinanze nn.ri 67 e 68 del 7 novembre 2013 – M.D. e C.E – (Avv.ti Paolo
Angelici , Leonardo e Daniela Carbone) c/ INPS ex gestione INPDAP ( Avv.ti Salvatore
Carolla e Roberto Annovazzi).
Accoglimento parziale dei ricorsi
73
a. Giudizi in materia di pensioni civili – Pensioni di reversibilità ed altri redditi Limiti di cumulo a.
I giudizi hanno riguardato recuperi attivati dall’Istituto previdenziale in applicazione
dei limiti di cumulo previsti tra le pensioni di reversibilità e altri redditi (articolo 1, comma
41, della legge n. 335 del 1995). Nel merito, la difficoltà delle decisioni della specie, originata
dalle modalità non chiare di determinazione degli indebiti, ha costretto il Giudice a verifiche e
conteggi oltremodo rari ed inconsueti per sentenze pensionistiche.
5. Sentenze n. 27 del 19 marzo 2013 – V.A. più altri ventiquattro 8 Avv.ti Giuseppe
Camaioni e Domenico Naso) e n. 106 del 22 ottobre 2013 – P.S. (Avv. Alessandro Bargoni)
c/ Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica.
Rigetto dei ricorsi
a. Giudizi in materia di pensioni civili – Ammissione alla quiescenza sulla base dei
requisiti previgenti alla legeg n. 214 del 2011 c.d. “riforma Fornero” – Rigetto.
a.
Giudizi concernenti la c.d. Riforma Fornero con riferimento alle richieste di docenti
della Scuola pubblica di ottenere l’ammissione alla pensione sulla base del previgente
ordinamento (ante 31 dicembre 2011); le decisioni di questo Giudice unico sono state di
rigetto, previa dichiarazione di manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità
sollevate coi gravami.
6. Sentenza n. 115 dell’8 novembre 2013 – C.D. (Avv.ti Giuseppe Ciancia e Giovanni C.
Sciacca) c/ INPS ex gestione INPDAP (Avv.ti Salvatore Carolla e Roberto Annovazzi).
 Giudizio in materia di pensione civile – “Contributo di perequazione” Restituzione delle somme trattenute - Rivalutazione automatica.
Accoglie il ricorso
a.
Giudizio su ricorso concernente il contributo di perequazione per le pensioni
d’importo superiore ai 300.000,00 euro (nelle more decisa sostanzialmente dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 116 del 2013) e il blocco della rivalutazione automatica per
gli anni 2012 e 2013 delle pensioni d’importo superiore a tre volte il c.d. minimo INPS.
7. Ricorsi particolari in tema di ricongiunzione o riscatto di servizi si segnalano:
 Sentenza n. 49 del 29 aprile 2013 – C.G. (Avv. Paolo Angelici) c/ INPS ex gestione
INPDAP (Avv. Roberto Annovazzi).
74
Rigetto del ricorso.
Giudizio in materia di pensione civile - ricongiunzione di servizi ex lege n. 29 del 1979 Contributi agricoli - non equivalenza dei “ragazzi”, di cui alla specifica normativa, ai
“minorenni”.
Il giudizio ha riguardato la ricongiunzione di periodi prestati con versamento di contributi
agricoli e relativamente alla valutazione dei benefici spettanti ai “ragazzi”.
 Sentenza n. 102 dell’8 ottobre 2013 – F.F. (Avv. Vitaliana Vitaletti Bianchini e
Guido Bianchini) c/ INPS ex gestione INPDAP.
Rigetta il ricorso
Giudizio in materia di pensione civile – Ricongiunzione servizi – non sussistenza della
domanda anche se attestata in atti.
La ricongiunzione di periodi di servizi prestati presso un disciolto Ente pubblico ex articolo 2
della legge n. 29 del 1979, in ragione dell’insussistenza della specifica domanda nonostante
questa risultasse “attestata” in atti dell’Istituto previdenziale, non può essere accolta.
 Sentenza n. 105 del 22 ottobre 2013 - M.C. (Avv. Giuseppe Leotta) c/ INPS ex
gestione INPDAP (Avv.to Italo Pierdominici)
Rigetta il ricorso
Giudizio in materia di pensione civile - Diploma di pianoforte - Riscatto del periodo di
studi a fini previdenziali.
Il giudizio, previa dichiarazione di irrilevanza delle questioni di legittimità costituzionale
sollevate, si è concluso con un rigetto atteso che nello specifico ordinamento richiamato, il
diploma di pianoforte veniva conseguito in difetto d’un titolo di istruzione secondaria di
secondo grado.
8. Giudizi che hanno riguardato trattamenti privilegiati particolarmente complessi.
 Sentenze n. 83 del 22 luglio 2013 – C.L. (Avv. Paolo e Maurizio Guerra) c/
Ministero della Difesa.
Accoglie il ricorso
 Sentenza n. 101 dell’8 ottobre 2013 B.G. (Avv.ti Domenico e Paolo Bonaiuti) c/
Ministero della Difesa.
Accoglie il ricorso
 Sentenze nn.ri 121 e 122 del 18 novembre 2013 V.D. e R.R. (Avv.ti Stefano
Migliorelli, Paolo e Maurizio Guerra) c/ Ministero della Difesa.
Rigetta i ricorsi
 Sentenza n. 130 del 6 dicembre 2013 – D.S.R. (Avv. Alessandro Bargoni) c/
Ministero della Difesa.
Rigetta il ricorso
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9. Sentenza n. 68 del 3 giugno 2013 – D.D.A. (Avv.ti Daniela e Leonardo Carbone) c/ INPS
ex gestione INPDAP (Avv. Roberto Annovazzi)
Accoglie il ricorso
a. Giudizio in materia di pensione civile – Indennità di mobilità e pensione
privilegiata - Cumulo – Sussiste.
a.
Giudizio particolare relativo a un pensionato pubblico che, ottenuto innanzi al Giudice
ordinario, dopo tre gradi di giudizio, il diritto all’indennità di mobilità in cumulo con il
trattamento di pensione privilegiata, si è visto sospendere dall’INPDAP la pensione di
privilegio per il periodo di riconoscimento dell’indennità di mobilità precitata, sulla base della
stessa disposizione (n.d.r. dettata nell’ordinamento AGO) in relazione alla quale la Corte di
Cassazione gli aveva definitivamente riconosciuto il diritto all’indennità medesima. Con la
decisione all’esame l’Istituto previdenziale è stato altresì condannato, ai sensi dell’atr. 96,
comma 3, del C.p.c., al pagamento della somma di € 1000.
Giudice unico: Consigliere Maria Nicoletta Quarato
10. Sentenza n. 59/2013 – del 20 maggio 2013 - Giudice unico Quarato – INPDAP ora
INPS ex gestione INPDAP (Avv.ti S. Carolla e R. Annovazzi) c/ Comune di Corridonia
(Avv. G.M. Perri) e I.A. ( Avv. G. Bommarito e S. Maroni) e Comune di Corridonia (Avv.
G.M. Perri) contro I.A. ( Avv. G. Bommarito e S. Maroni) GIUDIZI RIUNITI
Accoglie il ricorso dell’INPS ex gestione INPDAP.
a. Giudizio in materia di pensioni civili – Condanna del Comune datore di lavoro
per errore imputabile all’Ente alla restituzione delle maggiori somme erogate
dall’ INPDAP - ora INPS gestione ex INPDAP .
a.
In materia di condanna del Comune, datore di lavoro, alla restituzione delle maggiori
somme corrisposte dall’Istituto previdenziale al pensionato per errore imputabile all’Ente
nella liquidazione del trattamento pensionistico la disciplina applicabile al caso di specie è
quella recata dall'art. 8, comma 2 del D.P.R. 8 agosto 1986, n. 538, per le pensioni liquidate in
favore degli iscritti alle soppresse Casse Pensioni della Direzione Generale degli Istituti di
Previdenza. Detta disposizione prevede infatti che “qualora per errore contenuto nella
comunicazione dell'Ente di appartenenza del dipendente, venga indebitamente liquidato un
trattamento pensionistico definitivo o provvisorio, diretto, indiretto o di reversibilità, ovvero
un trattamento in misura superiore a quella dovuta e l'errore non sia da attribuire a fatto
doloso dell'interessato, l'Ente è tenuto a rifondere le somme indebitamente corrisposte, salvo
rivalsa verso l'interessato medesimo”. Con tale disposizione il legislatore ha inteso
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salvaguardare l'esattezza della liquidazione della pensione provvisoria da parte dell'Ente ex
datore di lavoro, introducendo un elemento di responsabilizzazione nella gestione delle
liquidazioni pensionistiche. Lo scopo dichiarato è quello di consentire all'ente previdenziale di
recuperare il proprio credito mediante azione diretta verso l'Amministrazione datrice di
lavoro. L'orientamento giurisprudenziale prevalente interpreta il meccanismo previsto dall'art.
8, D.P.R. n. 538 del 1986 come un ampliamento delle facoltà di recupero intestate all'Istituto
Previdenziale. Nella fattispecie de qua non può non osservarsi che il Comune dopo aver
liquidato una prima volta il trattamento provvisorio alla sua dipendente ha successivamente
rideterminato gli importi raddoppiandoli. L’Istituto previdenziale quale mero ordinatore
secondario di spesa non ha concorso – né poteva concorrere – alla determinazione
dell’indebito che, pertanto, deve attribuirsi alla esclusiva responsabilità dell’ente locale. Deve
essere dichiarato il diritto dell’INPS alla restituzione delle maggiori somme erogate alla
pensionata e non dovute, oltre interessi legali decorrenti dalle singole rate di pagamento fino
al soddisfo.
11. Sentenza n. 92 del 30.09.2013 - Giudice unico Quarato – (Avv. R. Verticelli – Avv.
C.M.D. Centonza – Avv.C.Fasciano) c/ Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca ed INPS gestione ex INPDAP.
Rigetta il ricorso
a. Questione pregiudiziale – Giurisdizione - Sentenza che tenga luogo del decreto di
collocamento a riposo.
b. Giudizio in materia di pensioni civili – Pensionamento anticipato alla data del
31.12.2011 – Clausola di salvaguardia c.d. “quota 96” – Lavoratori della scuola –
Rapporto di specialità tra leggi – Non sussiste.
a.
Vari sono stati i giudizi introdotti da ricorrenti – operatori scolastici – per
l’accertamento del diritto al collocamento a riposo, con i requisiti di anzianità anagrafica e di
servizio di cui alla legge n. 247 del 2007 (c.d. “quota 96”), con conseguente disapplicazione
della disciplina recata dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 che ha elevato i requisiti sia dell’età
anagrafica sia degli anni di contribuzione per l’accesso alla pensione. Pregiudizialmente è
stata affermata la giurisdizione della Corte dei conti in materia. Al riguardo è stato rilevato
che, l’art. 62, comma 21, del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 (T.U. delle leggi sulla Corte dei
conti) attribuisce alla Corte tale competenza a decidere sulle “istanze dirette ad ottenere la
sentenza che tenga luogo del decreto di collocamento a riposo o in riforma e dichiari essersi
verificate nell’impiegato dello Stato o nel militare le condizioni dalle quali, secondo le leggi
vigenti, sorge il diritto a pensione, assegno o indennità” (ex plurimis Corte di Cassazione Sez.
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Unite, ord. n. 2298 del 2008, n. 10131 del 2012, e n. 573 del 2003, Corte dei conti Sez. II
Centrale d’Appello n. 142 del 2005). Ciò in quanto, il petitum sostanziale è il conseguimento
del diritto a pensione e l’erogazione del relativo trattamento. Del resto, l’art. 154 del d.P.R. 23
dicembre 1973, n. 1092, testualmente dispone “... nei casi di cessazione dal servizio per causa
diversa dal raggiungimento del limite d’età, il trattamento di quiescenza normale è liquidato
dall’ufficio precedentemente indicato in base al provvedimento di cessazione dal servizio...
ovvero in base a una sentenza della Corte dei conti che dichiari essersi verificate le condizioni
previste per il diritto a detto trattamento”.
b.
Nel merito, i ricorsi sono stati respinti. Infatti, la riforma previdenziale (c.d. legge
Fornero, dal nome del proponente) - nel disporre nuove e più restrittive regole per la
maturazione dei requisiti per l’accesso al pensionamento – ha espressamente limitato (art. 24)
la invocata “clausola di salvaguardia” ai “lavoratori che avrebbero maturato i requisiti per il
pensionamento nel corrente anno solare di servizio, ovvero entro la data del 31 dicembre
2011”. Pertanto, tutti i lavoratori (pubblici e privati) che hanno avuto diritto al pensionamento
anticipato - alla data indicata (31 dicembre 2011) - avevano maturato la c.d. “quota 96”, quale
somma di età anagrafica e anzianità contributiva. Nelle fattispecie in questione sono gli stessi
ricorrenti che hanno affermato di non aver maturato i predetti requisiti entro il termine
stabilito dalla legge (n. 241 del 2011). Non vi è rapporto di specialità tra le leggi succedutesi
nel tempo in materia. Il d.l. n. 201 del 2011 ha introdotto la generale novella dell’intera
disciplina previdenziale per evidenti - e notorie - ragioni di contenimento della spesa pubblica
di Settore, anche in considerazione della grave crisi economica in cui versava – e versa tuttora
- il Paese. Più in generale, le disposizioni derogatorie - tassativamente previste dallo stesso
testo normativo (all’art. 24 citato) - non prevedono i lavoratori del comparto scuola ai quali,
pertanto, deve essere applicata la normativa generale. Infine, sono state dichiarate
manifestamente infondate le censure di legittimità costituzionale avanzate da parte attrice. Il
Giudice delle leggi si è più volte espresso sull’ammissibilità dell’intervento discrezionale del
legislatore nella materia previdenziale – fatto salvo il rispetto del principio di ragionevolezza
– escludendo profili di illegittimità costituzionale negli interventi restrittivi dell’accesso ai
c.d. “trattamenti pensionistici di anzianità” qualora inseriti in un processo di stabilizzazione e
contenimento della spesa pubblica – di cui quella previdenziale è una voce essenziale – entro
determinati livelli di rapporto con il prodotto interno lordo (sentenze n. 245 del 1997, n. 417
del 1996, n. 439 del 1994, ord. n. 10 del 2011, n. 319 del 2001, n. 18 del 2001, n. 318 del
1997).
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