In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa all'ufficio di Varese - Via S. Luigi Gonzaga, 8 -21013 GALLARATE (VA) Spedizione: Poste Italiane SpA in abb. post. 45% art.2, comme 20/b, legge 662/96 - Autorizzazione Filiale P.T. VARESE Novembre 2014 - n° 79 Pubblicazione Trimestrale Gesuiti missionari italiani Novembre 2014 - n° 79 Pubblicazione Trimestrale Spedizione: Poste Italiane SpA - in abb. post. 45% art.2, comma 20/b, legge 662/96 Autorizzazione Filiale P.T. - VARESE PROPRIETARIO Casa di Procura dei Seminari delle Missioni Estere della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù via Donatello, 24 - 35123 Padova in persona di P. Alessandro Mattaini S.I. - Con Approv. Eccles. TIRATURA DI QUESTO NUMERO 10.000 copie Entrato in tipografia il 24 - 10 - 2014 DIRETTORE RESPONSABILE P. Giuseppe Bellucci S.I. Via Borgo S. Spirito, 4 - Tel. 06/689771288 - 00193 Roma REDAZIONE Grazia Salice STAMPA Arti Grafiche Baratelli s.n.c. - via Ca’ Bianca, 32 - Busto Arsizio - VA Autoriz. del Tribunale Civile e Penale di Milano - n. 558 del 23/12/’93 Autoriz. Dir. Prov. VARESE del 6/10/1983 2 in copertina Bangui - sguardi di bimbi Editoriale Assemblea e futuro di P. Nicola Gay SI - presidente MAGIS C ari Amici e lettori, anche quest’anno, l’Assemblea del MAGIS - 21 e 22 giugno - è stata molto partecipata e molto positiva. Come lo scorso anno si è svolta nell’arco di due giornate per dare la possibilità di avere un tempo maggiore per una conoscenza reciproca tra i vari Gruppi aderenti e, importante, anche del tempo per uno scambio proficuo sui quei temi specifici che erano stati scelti e preparati con la partecipazione di tanti: Cooperazione internazionale, Conflitti e migrazioni, Volontariato e cittadinanza. In questo modo l’assemblea sta assumendo un certo qual aspetto di seminario, con interessanti relazioni e possibilità di confronto su temi determinati, come potete già leggere, in parte, anche sul nostro sito, nell’Archivio News. C’è poi stato, la domenica mattina, un tempo dedicato agli aspetti Istituzionali della Fondazione, con il rinnovo per il prossimo triennio del Consiglio di Amministrazione. Sono state ufficializzate le nomine di competenza del p. Provinciale e sono stati eletti i membri che competono alle assemblee. La S. Messa finale, presieduta dal Provinciale P. Casalone, ha concluso in un clima gioioso e di ringraziamento l’intera assemblea. Colgo questa occasione per ringraziare, anche per scritto, il Consiglio che ha appena terminato il proprio compito, in particolare per la grande dedizione e capacità di lavorare in modo unitario di fronte al compito impegnativo di adeguare il funzionamento e il servizio del MAGIS alle situazioni attuali, che necessitano anche di una grande attenzione per crescere nella unitarietà. Sono poi sicuro che il nuovo Consiglio, in cui quattro dei sette membri ne erano già membri, saprà continuare, con l’esperienza acquisita e con nuovo slancio, sulla linea ormai intrapresa, come il primo CdA ha già fatto percepire. Ma l’assemblea ha anche dato indicazioni circa il prossimo futuro. Si sta, infatti, lavorando, come richiesto, per rendere sempre più efficace il nostro impegno alla formazione di un Tavolo sulla Cooperazione internazionale; c’è attenzione per un maggior coordinamento tra i gruppi anche per fornire loro, nei limiti della nostre possibilità e capacità, alcuni servizi richiesti; c’è impegno per crescere nella capacità di raccogliere fondi; stiamo pensando a rafforzare il nostro GMI, il sito e, in generale, la comunicazione. Questo slancio che l’Assemblea ha dato – lo abbiamo bene presente – ci aiuta e stimola a diventare come MAGIS più efficaci nell’aiuto alla Chiesa che è nel mondo e in particolare nell’Africa, perché possa diventare sempre di più luogo di salvezza e di pace vera anche in questo periodo in cui tanti estremismi, a volte anche di matrice religiosa, come dice Papa Francesco, vogliono far credere l’assurdità che Dio ci chiami alla guerra. L’attesa della venuta, ormai imminente, del Bambino Gesù ci aiuti a crescere nella fede che le nostre speranze sono fondate proprio sulla vicinanza di Dio che non ci ha lasciati soli ma è venuto nel nostro mondo e si è fatto uno di noi. Buon Natale a tutti voi. 3 Indice EDITORIALE Assemblea e futuro - di P. Nicola Gay SI presidente MAGIS 4 3 NOTIZIE MAGIS Un viaggio in verticale - di Sabrina Atturo - Benin Opere solidali - di Antonio Landolfi Educazione allo sviluppo al CEI di Palermo - di Benedetta Farina I Missionari, dei monumenti? - di P. Franco Martellozzo SI 5 9 11 12 PROGETTI MAGIS Sostegno al Centro psicosociale Kader - Siria Migliorare la qualità scolastica - di P. Renato Colizzi SI - Haiti Tutti a scuola a Bahar Dar - di P. Umberto Libralato SI - Etiopia 14 17 19 INTERVISTE a Fr. Gianfranco Zanelli SI - di Grazia Salice - Brasile a P. Daniele Ferrero SI - di Grazia Salice - Italia/Madagascar 22 27 TESTIMONIANZE La missione di P. Elio Sciuchetti SI - di Grazia Salice - Madagascar La notte del bracconiere - di P. Franco Martellozzo SI - Ciad Messaggio dei Vescovi - Repubblica Centrafricana Ritorno a Bonfim - di P. Gigi Muraro SI - Brasile 35 39 47 55 RICORDANDO P. Ermanno Giannetto SI padre per i missionari - di Grazia Salice - Italia P. Luciano Fozzer SI missionario tra 2 mondi - di Grazia Salice - Brasile - Albania P. Luigi Lomazzi SI un contemplativo nell’azione - di P. Pio Adami SI - Ciad 58 59 61 INSERZIONI Presentazione dei membri del CdA Accorciamo le distanze Il tuo lascito al MAGIS La tua festa continua... nella solidarietà Celebrazioni S. Messe per i defunti 10 31 38 54 62 LE SEDI DEL MAGIS - Elenco e Indirizzi 63 VITA MAGIS - NOTIZIE Un viaggio in verticale di Sabrina Atturo D odici persone diverse, un’unica esperienza per 24 giorni in Benin: uscire da sé per incontrare l’altro. Dal 5 al 29 agosto, Federico, Francesca, Giacomo, Mariella, Chiara, Sandro, Chiara, Alberto, Rita, Cinzia e Sabrina, guidati da padre Renato Colizzi, si sono messi in cammino per conoscere e scoprire un angolo di Africa, il Benin. Un’esperienza di solidarietà internazionale, organizzata dal MAGIS, che ha permesso piccole grandi trasformazioni personali. Accolti presso il Centro Culturale (CREC, partner locale del MAGIS) della Compagnia alla periferia di Cotonou – Godomey, i volontari hanno vissuto molteplici occasioni di contatto con la cultura africana sia nella quotidianità - vita nel quartiere, il cibo africano, la messa domenicale in parrocchia, la domenica in spiaggia - sia attraverso le diverse attività previste dal campo che miravano a favorire il libero scambio fra gli italiani e i beninesi che frequentano il centro: dibattiti su brevi filmati di sensibilizzazione sull’HIV/AIDS, realizzati da AJAN, condivisione sul Vangelo e riflessioni sull’Evangelii Gaudium, lezioni di francese. 5 Durante la settimana, i volontari erano impegnati in diverse attività di servizio: • animazione di un atelier di moda e uno di informatica con sessioni al mattino e al pomeriggio; • attività di animazione e assistenza medica realizzata presso la casa di accoglienza per persone anziane delle Piccole Sorelle; • attività di compagnia e animazione presso una casa di reinserimento professionale per malati mentali. 6 Nei fine settimana è stato possibile visitare luoghi significativi della storia africana: la spiaggia di Ouidah con la famosa Porte de non Retour (uno fra i sei posti del continente dove erano imbarcati gli schiavi per le Americhe); il sito di formazione all’eco-sviluppo di Songhai, fondato da Padre Godfry Nzamujo, un domenicano della Nigeria che ha ricevuto diversi riconoscimenti internazionali; Ganvier, città lacustre (chiamata la Venezia del Benin) fondata nel 1717 per sfuggire alla tratta e che ora ospita trentamila abitanti su palafitte; il centro Avrankou dell’associazione Saint Camille dove duecento malati mentali vivono in una struttura messa in piedi da un ex gommista beninese Gregoire Ahongbobon, premiato a Trieste col premio Basaglia per la qualità delle cure che riesce a fornire e per il livello di reinserimento sociale che ottiene dai suoi amici. Ha diverse associazioni in Canada, Francia e in Italia (http://www.gregoire.it/) che lo sostengono. Il campo ha lasciato un’eco profonda in coloro che vi hanno partecipato. Di seguito, pensieri condivisi di alcuni partecipanti. “Il viaggio è un concetto strano, molti non si fermano a riflettere sulla domanda più essenziale: “Perché mi metto in viaggio?” E allora si viaggia spesso orizzontalmente, cercando di vedere più luoghi possibili, di esplorare, conoscere, accumulare esperienze o frammenti di vita da possedere e riportare a casa. Ci si muove sulla superficie, cercando di coprirne il più possibile e crescere nelle proprie esperienze. Poi vi è un altro modo di viaggiare. Si può viaggiare verticalmente, incrociando gli occhi delle persone che ti circondano, assaporandone il sorriso, stringendo una mano, o anche semplicemente ascoltando cos’hanno da dire. Per far questo non occorre spostarsi. Non si tratta più di possedere qualcosa o qualcuno, ma di aprirsi a una relazione che richiede uno sforzo in più. Vedere il proprio sorriso non compreso, donare e donarsi senza sapere bene come. Insomma, mettersi in gioco grattando la superficie alla scoperta di una qualche gemma preziosa che è importante custodire, se pur non evidente al 7 primo sguardo. È a un viaggio del genere che si sentono chiamate quelle dodici persone” dice Alberto Patella. E Chiara e Sandro, una coppia di sposi, aggiungono: “Siamo qui, in Africa, per la seconda volta, perché toccare con mano questa realtà così diversa e distante dalla nostra ci ricorda che non siamo noi i padroni della nostra vita e tutto ciò che possediamo non è una nostra conquista bensì un dono. E allora il motore che ci spinge è, infatti, la riconoscenza”. Infine la testimonianza di Cinzia Calandriello: “Talvolta i paesaggi esterni sono in grado di creare un movimento che altrove avrebbe difficoltà a esprimersi; immagini nuove che suscitano emozioni nuove… Lasciarsi attraversare appieno da queste immagini per suscitare le reazioni più viscerali, per far vibrare le corde che riguardano anche il nostro vissuto. Ogni immagine che ci suscita un’emozione, in qualche modo evoca qualcosa di noi… E in Africa tutte le rievocazioni si avvertono all’ennesima potenza se solo ci si lascia andare, al sorriso, al pianto, allo stupore, alla rabbia… ogni emozione viene fuori al massimo per essere poi ridimensionata, placata, per reinserirsi nel flusso della realtà e della quotidianità… I momenti più difficili sono stati quelli nei quali non riuscivo ad arrivare agli altri e non li sentivo, perché concentrata sui miei bisogni e sulle mie dinamiche. Solo quando si fa il passo per uscire dal proprio egocentrismo e condividere con l’altro il lavoro che si sta facendo e l’allegria che si sta provando, ci si libera… Vorrei concludere con una frase che scrissi quando decisi di intraprendere questo viaggio: “l’illusione di poter cambiare il mondo ti spinge a muoverti, la disillusione di ciò, ti fa iniziare a costruirlo!”. 8 La gioia degli incontri e delle condivisioni fra bianchi e neri, nella povertà e nella semplicità hanno permesso di rivedere la propria vita e la propria storia personale e comunitaria su altre luci e con altre profondità, mettendo in discussione modalità di vita e attitudini sociali adottate in Italia in maniera più o meno consapevole. Italia - Ciad Opere solidali di Antonio Landolfi I l Mondo dell’Arte ha mostrato sempre una spiccata sensibilità nell’aderire alle iniziative di solidarietà e, per questo motivo, il MAGIS fa appello agli artisti per coinvolgerli nell’iniziativa a sostegno degli Orti comunitari in Ciad (referente padre Franco Martellozzo, missionario gesuita). Gli orti permettono alle famiglie l’autosufficienza alimentare ma consentono anche lo sviluppo economico di piccole attività commerciali di ortaggi nel mercato dello stesso villaggio o in quelli limitrofi. L’iniziativa vuole raccogliere fondi per finanziare il progetto, oltre che dar voce alla ricchezza e alle potenzialità delle donne, delle comunità, della natura africana. Il progetto degli orti comunitari, infatti, non si limita alla sola relazione fra sistema agricolo e alimentare dei villaggi in Ciad, ma cerca di mettere in moto il processo di crescita di un’intera comunità, incrementandone la stima di sé, l'autoefficacia e l'autodeterminazione, facendo emergere risorse locali per portare gli individui ad appropriarsi consapevolmente del loro potenziale. Le opere saranno esposte per la raccolta fondi a Roma dall’11 al 16 maggio 2015 in occasione di una serie di incontri con un rappresentante del progetto degli Orti comunitari delle donne in Ciad. Sarà presentata anche un’esposizione fotografica che documenta e racconta la vita della popolazione e dei relativi gruppi familiari dei villaggi della Regione del Guéra (Ciad). In seguito, le varie opere saranno esposte nell’ambito delle varie iniziative promosse dal MAGIS, atte a raccogliere fondi per l’iniziativa. 9 MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE Gli artisti, anche stranieri, in particolare dei Paesi del Sud del mondo, sono, dunque, invitati ad aderire all’iniziativa di solidarietà con una propria opera, attraverso qualsiasi espressione artistica, che abbia come soggetto l’orto, i suoi frutti, la comunità e le sue varie interpretazioni nei diversi luoghi della nostra madre terra. I lavori di pittura, fotografia e grafica non devono superare, cornice compresa, le dimensioni di cm 50 x 60; le sculture quelle di cm 30 x 30 x 30. Nel caso che la partecipazione sia rappresentata dalla presentazione di un video, su supporto digitale e di durata massima di 10 minuti, l’artista dovrà accompagnarlo con una relativa stampa di dimensioni di cm 30 x 40. Ciascun artista dovrà inviare una breve nota biografica, una dichiarazione di donazione, la liberatoria per la riproduzione dell’opera su un eventuale catalogo e sul sito web dell’iniziativa e segnalare il valore indicativo dell’opera. L’opera realizzata dovrà essere recapitata presso la sede MAGIS Via degli Astalli, 16 - 00186 Roma - entro il 15/2/2015. Il MAGIS assicura che tali opere saranno utilizzate esclusivamente per questa iniziativa che potrà avere anche carattere itinerante. Per contatti e informazioni: Segretario Generale MAGIS Via degli Astalli, 16 - 00186 Roma - tel. 06 69700299 - 3203337180 [email protected] Gianleonardo Latini, [email protected] PRESENTAZIONE DEI MEMBRI DEL CDA Padre Nicola Gay, Presidente della Fondazione MAGIS dal 2013. Pietro Covini,già dirigente IBM, nel MAGIS dal 2011, entra in CdA nel 2012. Vive a Milano. Suor Mariaelena Aceti, della Congregazione delle Suore di San Giuseppe di Chambèry, è responsabile di CSJ Missioni, Gruppo aderente al MAGIS dal 2011. Vive presso la comunità di Fisciano (SA). Ambrogio Bongiovanni, fondatore del Movimento San Francesco Saverio, insegna in alcune Università Pontificie ed Istituti a Roma. Domenico Cavarretta, medico pneumologo di Palermo, già consigliere MAGIS nel triennio 2008-2011. Padre Renato Colizzi, due anni di esperienza in Ciad in qualità di medico. È nel CdA MAGIS dal 2013 con responsabilità inerenti all’animazione missionaria e ai Progetti in Africa. Laura Coltrinari, avvocato, vive e lavora a Roma. Ha conosciuto il MAGIS attraverso l’esperienza dei Campi di volontariato in Perù e della Lega Missionaria Studenti-CVX. È nel CdA MAGIS dal 2013. 10 Palermo Educazione allo sviluppo al CEI di Benedetta Farina N el trimestre marzo-maggio, anno scolastico 2013/2014, 30 alunni del liceo classico e scientifico del Centro Educativo Ignaziano hanno partecipato al progetto formativo promosso dal MAGIS in collaborazione con la scuola. Il progetto, articolato in 4 incontri pomeridiani, ha sensibilizzato gli studenti su temi di attualità quali l’immigrazione, la situazione di alcune aree critiche del mondo, la cooperazione internazionale. In particolare, sono stati presentati due tipi di intervento attualmente portati avanti dal MAGIS: le attività a sostegno dei profughi siriani in Turchia in conseguenza della situazione di conflitto ed Emergenza in Siria e le attività di Educazione e Formazione in Benin attraverso il Centro Sociale e Culturale (CREC), gestito dai Padri Gesuiti a Cotonou, in Benin. Uno degli incontri formativi con gli alunni del CEI si è svolto presso la sede del Centro Astalli: i ragazzi hanno collaborato concretamente alle attività di doposcuola rivolte ai bambini immigrati che ogni giorno si presentano al Centro per ricevere assistenza ed hanno organizzato anche un momento di festa con bibite, dolci e pacchetti regalo contenenti materiale didattico. Inoltre, i giovani volontari, coordin ati dalla prof.ssa Burgarella, si sono adoperati per promuovere i progetti di Sostegno a Distanza presso la loro scuola: 8 classi dei Licei hanno rinnovato l’impegno a favore dei bambini dell’India. Il progetto si è concluso in occasione della Giornata della Madonna della Strada annualmente organizzata dal CEI per sostenere la cooperazione e la solidarietà internazionale: gli alunni aderenti al progetto hanno gestito uno stand per la vendita di gadget MAGIS appositamente realizzati. 11 Ciad I missionari, dei monumenti? di P. Franco Martellozzo SI D OLCE-AMARA CONSTATAZIONE Negli anni 60-80 le diverse Province d’Italia hanno fornito folte schiere alle missioni dell’India, Sri Lanka, Cina, Brasile, Africa con qualche punta in Giappone e altrove. In quell’epoca, uno scambio fitto di notizie circolava tra le Province italiane e le missioni; negli scolasticati lo spirito missionario era vivissimo. In Missione (scusate il termine desueto, oggi diremmo nei paesi emergenti) quei pionieri la cui lista sarebbe troppo lunga, hanno lanciato opere a tutti i livelli, opere spesso di livello nazionale, come l’università di agraria di P. Elio Schiuchetti in Madagascar, la sola degna di tale nome nella grande isola. In tutta l’Africa i presidenti fanno a ruba per avere le opere dei gesuiti mentre in Italia… certi anziani missionari girano come fantasmi di un altro mondo nelle case della Compagnia, come monumenti, dice qualcuno. Saremmo, dunque, delle vestigia di un passato neanche tanto glorioso, completamente alieni alle opere e ai progetti della ormai unificata Provincia d’Italia? Come mai una tale frattura si è prodotta tra la nostra Provincia e le opere missionarie? Lascio ad altri un’analisi puntigliosa che mostrerà senz’altro che la responsabilità è un po’ di tutti, non esclusi i missionari che, presi dalle urgenze pecuniarie e sanitarie, non hanno curato rapporti seri con le opere qui in Italia. Quando infine la loro corsa si arresta sono ridotti a… monumenti che a malapena riescono a salire al quarto piano dell’Aloisianum, il comune porto di pace dove ogni differenza è dissolta. Penso, però, che la colpa sia anche della Provincia e dei gesuiti italiani che consideravano i partenti come soldati di ventura! Una volta partiti, facevano parte di un altro mondo, la pagina era girata, non avevano più nulla a che vedere coi progetti della Compagnia in Italia. Ma è inutile discutere, il male è fatto e questo discorso può continuare solo se c’è un barlume che rischiari una via d’uscita da questo tunnel tenebroso, una soluzione del problema per il futuro. E il barlume c’è, grazie a Dio. 12 DEI VIRGULTI ATTORNO AI MONUMENTI Certo, se si guarda all’età dei missionari italiani ancora sul campo, verrebbe da ridere: il più giovane in Ciad sono io che ricordo lucidissimamente le picchiate dei caccia inglesi sulla ferrovia del mio paese nel ‘44… Ma le opere che con la Grazia di Dio abbiamo realizzato nella diocesi di Parnel Ledaga Ngouoni è il primo giovane gabonese a diventare gesuita... frutto dell’accompagnamento spirituale di P. Gianni Zucca SI a Libreville Mongo vengono via via assunte dai confratelli africani della PAO: P. Etienne, camerunese, coadiuvato dallo scolastico Jude ha già preso in mano la grande rete delle scuole Fé y Alegria; P. Lwanga, ciadiano, sta addomesticandosi con l’immensa confederazione delle banche dei cereali che ha eliminato gli usurai da una vasta regione; e i due padri insieme già animano la parrocchia di Mongo; Fr. Seni, an ch’egli ciadiano, dirige da tempo tutti i cantieri, compreso quello della cattedrale. Come d’altronde in Madagascar l’università di agraria di P. Elio Sciuchetti è passata ormai nelle mani dei gesuiti malgasci e così in Brasile, in India, in Sri Lanka e “au diable vauvert” (modo di dire riferito a chi parte per un luogo lontano, ndr) o dove ovunque un gesuita italiano sia passato… Allora io sogno che attraverso il MAGIS la Provincia d’Italia spalanchi le finestre a queste opere che i gesuiti italiani hanno confidate ai confratelli del luogo. E, parlando di finestre, non intendo affatto parlare di portafoglio. Sono cosciente che quello è vuoto e che nei paesi emergenti ormai le risorse aumentano. Il nocciolo del problema non è la finanza, ma la comunicazione, l’apertura, l’uscire dai piccoli orizzonti nazionali o regionali per abbracciare, attraverso le opere dei missionari, l’orizzonte del mondo intero. Una strategia che P. Agide Galli, presidente uscente del MAGIS, mi sembra abbia già tracciato: il MAGIS, attraverso i viaggi e le attività di gruppo, ha cominciato ad incontrare i giovani gesuiti africani della PAO, non solo ma ha iniziato una formazione comune di giovani italiani e africani in un incontro culturale a largo respiro. Questo non è che un albore e tutta la Provincia d’Italia dovrebbe far suo questo sogno. Sarebbe bello che ogni gesuita italiano, responsabile di parrocchia, di gruppi, di movimenti, cercasse dei partner gesuiti nei paesi emergenti e lentamente le realtà disperse nei quattro continenti diventassero l’orizzonte della Provincia tutta. 13 Progetti MAGIS Siria Sostegno al Centro psicosociale Kader di Antiochia 14 È sempre più difficile conteggiare il numero delle vittime del conflitto. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha annunciato che «per il momento è impossibile aggiornare i numeri del conflitto data la difficoltà di reperire dati certi». Continuano gli appelli per fermare la violenza ma, ad oggi, la situazione in Siria e nei paesi limitrofi è sempre più tragica, complice la presenza in campo siriano di numerosi gruppi estremisti, talvolta alleati tra loro, talvolta in lotta. Le potenze internazionali, dal canto loro, oltre a non riuscire a definire una strategia diplomatica comune, si trovano di fronte migliaia di persone che fuggono dal conflitto, che cercano accoglienza soprattutto nei loro paesi e devono riuscire a gestire l’aumento di attacchi e minacce da parte degli estremisti all’interno del territorio nazionale, oltre ai massacri di connazionali rapiti e uccisi in Medio Oriente. Di fronte a tutto questo non deve essere risparmiato nessuno sforzo atto a promuovere iniziative di dialogo, confronto, azioni intraprese con coraggio e con decisione sulla via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione. È su questa linea di impegno che il MAGIS si è impegnato a sostenere le attività del CENTRO PSICOSOCIALE KADER ad Antiochia, come aiuto concreto di assistenza umanitaria ai bambini delle famiglie siriane che fuggono dalla Siria per cercare riparo e conforto al confine con la Turchia. In una prima fase abbiamo contribuito alla ristrutturazione dei locali in modo da rendere le sale luminose e attrezzate, affinché le attività offerte ai piccoli profughi e alle loro famiglie potessero svolgersi in luoghi accoglienti e funzionali. Ad oggi le attività del centro sono a regime. Ogni giorno gli operatori propongono ai bambini tra i 7 e i 13 anni attività psico-educative, ricreative e artistiche insieme a lezioni di inglese e arabo, materie scolastiche, attività finalizzate alla riabilitazione ed elaborazione delle crisi per ridurre la tensione accumulata nella situazione di conflitto che vivono e per aiutare i bambini ad inserirsi nella società turca. Il sabato le attività sono rivolte ai ragazzi tra i 13 e i 17 anni che invece, durante la settimana, sono impegnati ad aiutare le famiglie. Il Centro è davvero un luogo importante in cui i bambini e le famiglie fuggite dalla Siria e rifugiate in Turchia trovano assistenza e cure. Vorremmo così continuare, grazie a te, ad offrire il nostro contributo a sostegno delle tante attività del Centro. Sostieni con una donazione le attività a favore del Centro Psicosociale Kader ad Antiochia C/C POSTALE 909010 intestato a MAGIS, Via degli Astalli, 16 - 00186 Roma C/C BANCARIO c/o Intesa Sanpaolo, Via della Stamperia, 64 - 00187 Roma IBAN: IT 07 Y 03069 03200 100000509259 intestato a MAGIS Movimento e Azione Gesuiti Italiani per lo Sviluppo, Via degli Astalli, 16 - 00186 Roma ON LINE su www.magisital ia.org causale “Emergenza Siria” 16 HAITI MIGLIORARE LA QUALITÀ SCOLASTICA E FAVORIRE L'ACCESSO IN 6 SCUOLE di P. Renato Colizzi SI Haiti soffre di profonde disuguaglianze sociali, povertà cronica dovuta ad un contesto politico fragile, ad una rete sociale debole e quasi inesistente. Ciò pone il paese tra le nazioni più povere del pianeta. Il terremoto del 12 gennaio 2010 ha accentuato l’emergenza che il paese vive da anni. Il tasso di alfabetizzazione è del 57% tra la popolazione con più di 15 anni. Nonostante i nuovi programmi scolastici stabiliti dal governo, con la scuola gratuita per i bambini in tutto il paese, l’offerta scolastica è ancora molto debole, soprattutto nelle zone rurali. Si stima che un milione di bambini haitiani oggi non ha ancora accesso a una formazione di base. Coloro che sono scolarizzati sono ben lungi dal ricevere un'istruzione di qualità. Uno dei motivi principali è la scarsa formazione accademica dei docenti. È in questo contesto che il MAGIS, secondo gli impegni assunto nel Programma di Ricostruzione post terremoto, elaborato dal Comitato Inter- 17 18 provinciale dei Gesuiti per Haiti (CIJH), sostiene il progetto di sviluppo “MIGLIORARE LA QUALITÀ SCOLASTICA E FAVORIRE L'ACCESSO IN 6 SCUOLE DI HAITI”. Le 6 scuole destinatarie dell’intervento di sviluppo sono gestite da Fe y Alegría, Movimento di Educazione Popolare Integrale e Promozione Sociale, legato alla Compagnia di Gesù che opera ad Haiti da 6 anni: 5 scuole di trovano della zona Nord-Est del paese, la sesta scuola, nata dopo il terremoto, è quella di Canaan ubicata nella periferia di Puerto Principe. Il progetto è volto all’adeguamento degli spazi scolastici della scuola di Dilaire per consentire un migliore processo di insegnamento-apprendimento; alla costruzione di 7 nuove aule per l’insegnamento primario presso la scuola comunitaria “Santo Spirito de Bassiun Grand Chemin”; la costruzione di servizi igienici per studenti e professori nelle strutture scolastiche mancanti; la dotazione di attrezzature scolastiche e acquisto di materiale didattico per 5 scuole. Accanto alla costruzione e al completamento delle aule scolastiche per rendere i luoghi più “abitabili” e accoglienti per gli studenti, il progetto promuove la rimotivazione degli insegnanti, coinvolgendoli in una formazione continua attraverso un nuovo approccio che stabilisce: metodologia, competenze, forme di monitoraggio e valutazione. Viene proposto ai docenti di rivedere i piani di studio in particolare nei settori delle scienze, della lingua francese e sperimentali, nelle competenze generali per livello e grado, i contenuti minimi, i criteri per la valutazione continua, i criteri di organizzazione spazio-temporale e i principali materiali didattici da utilizzare. Etiopia Tutti a scuola a Bahar Dar di P. Umberto Libralato SI C arla Grossoni, Luigi Guidoni e p. Umberto Libralato: tre vite, tre mondi e modi diversi di incarnare la vitalità del MAGIS in una terra affascinante ed unica: l’Etiopia. Da strade diverse verso un unico appuntamento il 18 settembre, ad Addis Abeba, per un percorso che li chiama a seguire impegni e progetti che aspettano la loro visita costruttiva. Luigi segue il cammino nella comunità delle Orsoline di Bergamo che chiedono un occhio tecnico sulle loro costruzioni e un sostegno di esperto agronomo per ridare vita ad una campagna e ad un mega frutteto. C’è un orfanotrofio da mantenere, da nutrire e le bocche giovani mangiano e devono sprizzare vitalità e speranza… È previsto un corso per imparare a potare e a trattare le piante da frutto. Con tanto entusiasmo si presentano, già dal primo giorno, 40 allievi. Luigi non si spaventa e inizia il cammino: teorico e pratico. Solo la pioggia torrenziale lo ferma (ma sembra avere preso accordi dall’Alto perché piove solo nei giorni di festa!). Dopo un mese il miracolo è compiuto: quasi 800 piante da frutto sono state recuperate e dieci “alunni” hanno il nulla osta di potatori provetti. Il mondo là dove ha lavorato è cambiato: in un mese si è passati dalla foresta ad un paradiso terrestre! Luigi ha avuto anche lui una promozione sul campo: è stato nominato “superiore della comunità delle Suore” ed economo dell’orfanotrofio, ma deve mantenere il suo ruolo di base: volontario a tempo pieno e a proprie spese! 19 20 Carla e p. Umberto non si fermano, ma continuano a viaggiare, incontrando altre comunità di Orsoline e, soprattutto, gli attori del progetto “Tutti a scuola”: il Vescovo, mons. Mattheos Lasane, p. Atakelt Tesfaie SI, la ditta costruttrice, la fondazione danese. Certo che, in poco più di sei mesi la situazione edilizia è cambiata … ormai si guarda alla conclusione dei lavori, prevista per gennaio 2015 e si guarda all’impegno organizzativo. La Provvidenza ci ha fatto incontrare tutti, proprio tutti quelli che partecipano al lavoro di costruzione di questa scuola. La ONG danese era un po’ in crisi: non riusciva ad incontrarci, a conoscere le nostre idee, le nostre prospettive… Ci siamo trovati attorno ad un tavolo in silenzio e guardinghi … dopo quattro ore ci siamo alzati in festa, abbracciandoci e concludendo in fraternità con una tavolata sulle rive del lago Tana. Adesso sappiamo che la stima reciproca dà forza al nostro cammino non per vagheggiare un sogno ma per lavorare assieme per realizzare un luogo dove migliaia di giovani potranno andare a scuola e prepararsi ad una vita migliore. Certo, mancano ancora tante cose: i gesuiti non hanno ancora una casa dove posare il capo, i ragazzi non hanno uno spazio ricreativo adatto. Non è ancora stata avviata un’attività agricola di coltura mista che dia risorse alla scuola ma, ma… la Provvidenza ci ha sempre seguito e la Provvidenza è stata anche la CEI che ha approvato e finanziato un progetto che appoggia la fine della costruzione, la preparazione degli insegnanti, l’equipaggiamento scolastico, la realizzazione di un laboratorio. La Provincia dell’Africa Orientale si è impegnata a mandare altri due gesuiti, a costruire la casa della comunità, a guardare con più attenzione ai bisogni spirituali della popolazione che vive accanto alla scuola e a offrire a tutti un servizio religioso. Il popolo etiope è un popolo di grande fede, un popolo che prega, e certamente le preghiere arrivano in alto e scendono sulla terra, fecondandola di opere buone. Io continuo a sognare un cammino di solidarietà, di fraternità: il tempo e la pazienza ci insegneranno la via migliore per arrivare in porto: siamo solo ad un pallido inizio. Il sostegno di tanti cuori rafforzerà la fatica di chi sta lavorando e sognando un mondo più solidale. … La giornata missionaria mondiale è passata… Mi auguro che sia stata all’insegna anche della solidarietà economica che ci dia una spinta in più per finire l’opera. 21 Interviste Brasile Cambiamento o rinnovamento? a Fr. Gianfranco Zanelli SI Ci incontriamo a distanza di anni e non la trovo cambiata, anzi in perfetta forma! Eppure, di cambiamenti, anche recenti, mi sembra che ne abbia vissuti. Sì, innanzitutto con tutti i miei confratelli sto vivendo una situazione di cambiamento. Il piano già avviato dall'allora Padre Generale Peter-Hans Kolvenbach, è stato pienamente adottato dal nuovo Padre Generale Adolfo Nicolás che ha chiesto uno sforzo a tutti i Provinciali del Brasile per la ristrutturazione della Compagnia in un’unica Provincia per una pianificazione apostolica comune, seguendo le linee guida della CG 34 (1995), che aveva suggerito la creazione di nuove strutture e forme di governo, per promuovere la collaborazione interprovinciale. Il primo passo è stato la nomina, il 17 ottobre 2009, di un nuovo Provinciale, P. Alfonso Carlos Palacio Larrauri, che, assistito dai Superiori Maggiori delle Province del Brasile centroorientale, meridionale e nord-est e della regione amazzonica consentisse la transizione dal vecchio modello al nuovo, in modo “creativo”. 22 Interessante questo aggettivo “creativo” che ci rimanda al verbo creare. Ho inteso bene: una prospettiva di vita nuova per i gesuiti in Brasile? Ha parlato di un primo passo e poi… il cammino continua? Un cammino in salita? Ogni cambiamento porta in sé un po’ di fatica, ma il nuovo Provinciale ha consultato tutti, facendoci partecipi di questo cammino di cambiamento e questo ha attivato le energie migliori; in questo senso, è stato un processo creativo. Comparando la missione antica con la Provincia attuale è apparso chiaro che quest’ultima è troppo chiusa in se stessa. Adesso stiamo concludendo questa fase di cambiamento. La sfida che ci attende è di lavorare insieme al di qua e al di là delle frontiere, frontiere molto fluide, perché a segnare un confine sono spesso proprio le acque di un fiume, frontiere dove anche le altre Congregazioni religiose sono assenti. Ne consegue la collaborazione tra le Province gesuitiche anche di altri Paesi che insistono sul bacino amazzonico. La strada è stata aperta dall’équipe itinerante che ha insegnato ad attraversare le frontiere geografiche e simboliche dell’Amazzonia, dove i poteri costituiti degli stati-nazione non arrivano o sono inefficienti, lasciando la porta aperta alla mafia: traffico umano, narcotraffico, sfruttamento delle risorse naturali. Mi sembra di ricordare che l’Amazzonia fosse l’opzione prioritaria per la Compagnia, ma anche il suo grande amore! La Conferenza dei Provinciali dell'America Latina - scorso anno 2013 - ha affermato che "L'Amazzonia è una delle regioni individuate nel Piano Apo- stolico Comune come luogo di attenzione prioritaria nella nostra crescita in consapevolezza e solidarietà. La priorità ci porta subito in una regione geografica che abbraccia diversi paesi e Province della Compagnia (…): Bolivia, Guyana, Perù, Venezuela, e Brasile. Le missioni amazzoniche affrontano sfide apostoliche gravi e complesse che richiedono forza, sensibilità e saggezza da parte delle persone e delle istituzioni. Collocate in contesti culturali e religiosi diversi, in genere non cattolici, richiedono persone e istituzioni sensibili ad un dialogo rispettoso, interculturale e interreligioso che abbiano capacità di discernimento e disposizione all'analisi costante delle situazioni. Per questi motivi la Compagnia deve preparare in modo adeguato le persone destinate alle missioni amazzoniche e gestire le risorse necessarie per il suo rafforzamento e sostenibilità". Nel mio piccolo posso affermare che l’Amazzonia è diventata parte di me o, meglio, che io le appartengo. L’isola del Marajó, dove giunsi da Capim Grosso (Bahia), Belém, Manaus e adesso Marabá sono le tappe del mio Brasile. Credo che sia necessario procedere per piccoli passi per riuscire a seguire questa “piccola rivoluzione provinciale”. Il primo passo è stato quello di unificare le antiche Province – oggi chiamate Piattaforme - in un’unica Provincia proprio per superare di fatto le frontiere interne e concorrere tutti a perseguire obiettivi comuni. Per questo è stato nominato un nuovo Provinciale che non solo gestisse questo periodo di transizione, ma soprattutto che fosse responsabile in modo diretto di tutta la formazione di tutti i gesuiti, che li seguisse da vicino e, cosa importantissima, che fosse responsabile anche delle loro destinazioni per rispondere meglio alle necessità della Chiesa in Brasile e, in particolare, in Amazzonia. C’è una sottolineatura costante: rispettare le identità delle persone. È stato lo stesso Papa Francesco a sollecitare questo impegno perché, da gesuita e buon conoscitore dell’America Latina, si è accorto che in altri Paesi latino–americani ci sono già gesuiti di origine indigena; in Brasile, no! Il passo successivo sarà la nomina anticipata di un nuovo Provinciale in vista della XXXVI Congregazione generale prevista per il 2016. Forse le ragioni di quest’assenza sono da ricercare nella storia della colonizzazione e dell’esclusione degli indigeni? Mi sembra di ricordare che i conquistatori portoghesi, nonché i loro discendenti, furono particolarmente duri nei loro confronti. Considerati spesso “primitivi”, altre volte visti come ostacoli all’espansione economica, i popoli indigeni indicano, con le loro conoscenze e il loro modo di relazionarsi con l’ambiente, un cammino alternativo per il Brasile. Gli indigeni si “difendevano” atavicamente dai bianchi, oggi invece dal governo centrale per la salvaguardia dei loro territori e delle loro tradizioni. I gesuiti brasiliani sono ormai in grado di rispondere a queste urgenze e di intervenire, studiando soluzioni. Teniamo presente che la grande sfida del futuro si giocherà sull’Amazzonia con il 20% del suo territorio, costituito dalle acque! Una sfida che scatenerà la corsa… all’acqua! Perciò è richiesta la presenza dei gesuiti nel territorio Pan-amazzonico a fianco degli autoctoni, i primi difensori della loro terra. Gli indios hanno mantenuto la foresta e la biodiversità fino ad oggi, ma sono sottoposti alla gigantesca pressione dei commercianti del legname e non solo... Per soddisfare la domanda crescente di alimenti, infatti, la soluzione non è occupare nuove terre, ma piuttosto aumentarne la produttività, finora intesa soprattutto d’allevamento, che è stato e continua ad essere il responsabile dell’occupazione delle terre e causa della deforestazione. Attraverso 23 24 il CIMI le popolazioni autoctone si stanno riappropriando della loro cultura, si battono per farne riconoscere il valore, chiedono di educare le nuove generazioni secondo le loro tradizioni, di farle crescere e studiare nella loro terra - la terra è la Madre – nelle loro lingue, cosa non del tutto semplice: ci sono 305 etnie indigene in Brasile, parlanti 274 idiomi. Chiedono di riappropriarsi del loro territorio che hanno perso, di poterlo difendere, tutelati dalla legge, da intrusioni di sfruttamento. A proposito di cambiamenti mi sembra che Lei sia stato recentemente trasferito a Marabá, in un avvicendamento con P. Bruno Schizzerotto. Qual è la sua missione? Da alcuni mesi sono stato trasferito alla parrocchia, assegnata ai gesuiti, a Marabá, nel Pará, che sorge al di fuori della zona degli allagamenti. La città vecchia e la nuova, infatti, sviluppatasi all’incontro tra i due grandi fiumi, l’Itacaiunas e il Tocantins (affluente del Rio delle Amazzoni), è soggetta al fenomeno stagionale delle loro esondazioni – più di 10 mt. sopra il livello - nel periodo delle piogge. Le aree più basse della città, dette alagados, sono occupate dai migranti, persone calamitate dal forte sviluppo dell’industria siderurgica per la presenza di ricchi giacimenti minerari e da un’agricoltura fiorente, un richiamo per chi è alla ricerca di lavoro, e la città, ormai di circa 240.000 abitanti, è caratterizzata da una varietà di popoli e culture, una città dove la convivenza non è tranquilla e la violenza è di casa. L’area su cui sorge la nostra parrocchia della Sagrada Família è terra di invasioni, cioè occup ata dai migranti, ed è stata inoltrata la richiesta per la sua urbanizzazione. Quello che era il comprensorio della parrocchia è stato smembrato in due parti proprio per la crescita della popolazione: la parte più vicina alla città assegnata ad un’altra Congregazione, quella più marginale ai gesuiti, perché ritenuti “esperti” nella formazione. In un quartiere che ne era sprovvisto, è stata costruita, voluta da P. Schizzerotto prima di lasciare Marabá per Manaus, una cappella in mattoni, sufficiente ad accogliervi la popolazione e il cui progetto è stato sostenuto da Dom Alessio Saccardo SI, grazie ad un lascito ricevuto dall’Italia. Speriamo di poterla inaugurare a fine anno. Purtroppo ci è venuta a mancare la collaborazione preziosa delle Suore Dorotee, per tradizione affini alla spiritualità dei gesuiti, destinate ad un’altra comunità. Adesso c’è un’altra Congregazione, multietnica: le tre suore sono un’indiana, una brasiliana ed una belga. Lavoro in équipe con loro in due quartieri poveri, assistendo i nuovi arrivati, e con i laici che aiutano là dove i gesuiti non arrivano, in particolare in alcune comunità (Cappelle) lungo la transamazzonica, un’area rurale dove sono insediati coloro che sono dediti agli allevamenti. In piena linea con la raccomandazione di papa Francesco di abitare nelle periferie sia urbane che esistenziali! Direi di sì e mi ci trovo molto bene, perché c’è condivisione, perché trovo il senso della missione, perché l’esperienza mi ha insegnato che, nell’affrontare assieme le difficoltà della vita, ci si sente più uniti. I laici sono straordinari, sono preparati per assumere il ministero, cioè il servizio, della comunità e dell’Eucaristia. Non sono nuovo a queste esperienze, perché già a Manaus, una volta al mese, c’era un incontro guidato dai laici sotto la supervisione di un sacerdote che consacrava l’Eucaristia, poi, in sua assenza, settimanalmente erano i laici ad amministrarla. Nella Casa del Noviziato Fr. Cañas, oggi diventata Casa di Esercizi, è ormai quasi finita una cappella, a forma di croce, destinata alla comunità. La domenica, mentre un gruppo era riunito in preghiera, gli altri dell’équipe andavano a visitare le famiglie. giovani della parrocchia della Sagrada Familia all’incontro del MAGIS a Capim Grosso È là che prese vita il progetto “casa felice” che, sostenuto dalla comunità, ha provveduto alla ricostruzione delle casette che erano state dilavate dalle piogge. Un’altra esperienza missionaria è stato il progetto “la fame dei bambini”: il sabato, giorno di chiusura della scuola, perciò anche della mensa scolastica, per due anni è stata distribuita una minestra ai bambini che altrimenti sarebbero rimasti a digiuno! C’era un’équipe di laici che collaborava per la raccolta degli alimenti, il venerdì, mentre un’altra provvedeva, il sabato, alla preparazione del pasto, abbondante e nutriente; ciò che avanzava era ridistribuito per un ribattino in famiglia. Il territorio era sotto la giurisdizione dei Cappuccini e, per loro richiesta, assegnato ai Gesuiti, perché vi fondassero una comunità con dei catechisti tra la gente dei nuovi insediamenti, proveniente dall’interno. Poi, siccome da cosa nasce cosa, si pensò ai dei corsi professionalizzanti per dare un futuro a quei giovani, prese vita un gruppo musicale per i bambini che adesso, cresciuti, animano la liturgia domenicale. Accennava ad un’esperienza personale di solidarietà che nasce dal condividere le difficoltà. A che cosa si riferiva? Riguarda proprio la mia vocazione di Fratello gesuita, ma prima ancora la storia della mia famiglia, una famiglia di sette figli, molto unita, un’unione cementata dalle difficoltà. Sono nato e cresciuto in Brianza, a Cologno Monzese. Avevo dieci anni quando mio padre morì. Eravamo tre sorelle, tre fratelli – ero il quinto della serie - ed una sorellina, appena nata alla morte di mio padre. Gli anni della mia formazione furono difficili per le gravi ristrettezze della famiglia, ma fu allora che sperimentai il senso della solidarietà: la mia famiglia fu una scuola di vita! La mamma fece tutto il possibile perché le figlie maggiori avessero la loro dote e potessero così sposarsi e le mie sorelle si impegnarono a prendersi cura dei tre maschietti, in pratica ognuna “adottò” uno di noi. Questo mio rientro in Italia è un debito di riconoscenza nei confronti delle mie sorelle e dei miei fratelli che volevano che festeggiassi con le loro famiglie i miei settant’anni! 25 Se la sorgente della vocazione è il Signore, qual è stata l’occasione per incontrarla? L’incontro con i gesuiti avvenne la prima volta a Triuggio durante un ritiro di tre giorni, organizzato dall’Azione Cattolica parrocchiale, consolidato dagli incontri mensili di “perseveranza”, ma il colpo di fulmine mi colpì quando partecipai alla festa per il 40° della presenza dei gesuiti a Triuggio. Fu l’aprirsi di una dimensione di vita consacrata, inaspettata e affascinante: quella dei Fratelli coadiutori. Il loro entusiasmo, l’aspetto pratico della loro scelta di vita mi coinvolse. Non avevo mai pensato al sacerdozio: una grave otite avuta da bambino mi aveva compromesso l’udito e pertanto ritenevo che mi fosse preclusa quella possibilità benché, proprio nel corso degli incontri di “perseveranza”, avesse incominciato a profilarsi un’idea, un desiderio di missione. Chiesi di entrare in Compagnia e Lonigo mi accolse nel Noviziato. Dopo la chiusura della Casa di Lonigo andai ad Avigliana e poi a Napoli per una formazione mirata: il Papa aveva recepito le linee guida del Concilio e affidato ai gesuiti la missio di combattere l’ateismo dilagante e anche noi, fratelli coadiutori, fummo investiti di questo compito. Che ne sapevo io dell’ateismo? La mia formazione fu perciò un po’ più articolata e, al termine, fui destinato alla Segreteria della Provincia, rimanendo però in me vivo il desiderio di partire in missione, fino a che ricevetti il visto permanente per il Brasile! P. Rendina, che era stato Maestro dei Novizi, era stato nominato Provinciale ed aveva esaudito il mio voto. E, arrivato in Brasile, che cosa l’aspettava? Quell’ideale missionario che l’ha spinta ad entrare in Compagnia corrisponde alla realtà che sta vivendo? Mi aspettava l’università per una laurea in Medicina, il che mi permise di vivere ancora più profondamente e intimamente il mio servizio ai fratelli in stato di abbandono. Posso dire in tutta sincerità che le difficoltà non sono mancate, ma che per me rimane importante la condivisione di vita. Sento che il desiderio che mi ha spinto ad entrare in Compagnia si sia pienamente realizzato; l’idea che avevo della vita missionaria corrisponde alla realtà che ho vissuto e che sto vivendo, pur nelle quotidiane difficoltà. di Grazia Salice Il nostro augurio a P. João Pedro Cornado che, il 6 luglio scorso, ha assunto la sua nuova missione come Parrocco della Sagrada Família a Marabá. Con la partecipazione dei padri gesuiti Cícero Magalhães, Silvio Marques, Edson Tomé e di fr. Gianfranco Zanelli e dei rappresentanti delle diverse comunità parrocchiali, la celebrazione eucaristica è stata presieduta da Dom Vital Corbellini, vescovo di Marabá. È poi seguito il rito della consegna al nuovo parroco delle chiavi della Chiesa, del Tabernacolo e della Sacre Bibbia, per ricordargli che da quel momento era investito della responsabilità dell’annuncio del Vangelo a tutti i suoi parrocchiani. P. João Pedro ha poi lavato i piedi a due responsabili delle comunità, a significare che il nuovo parroco era là per servire. La celebrazione eucaristica con una nutrita partecipazione di giovani è stata animata da canti e, al termine, in un clima di festa, un rinfresco è stato offerto a tutti i partecipanti. 26 Madagascar Ricominciare... dopo 43 anni a P. Daniele Ferrero SI A metà settembre dello scorso anno, a 80 anni, dopo 43 anni di missione in Madagascar, lei è rientrato in Italia: come ha vissuto questo profondo cambiamento di vita? Direi serenamente. Credo che tutti, più o meno, passiamo per esperienze simili. Nella vita di tutti, anche di quelli che restano sempre nello stesso Paese, succede, non solo una volta, e talvolta all’improvviso, di dover affrontare situazioni del tutto nuove: pensi a chi comincia una vita matrimoniale o a chi resta vedovo all’improvviso, a chi è ordinato sacerdote e comincia una vita di grande responsabilità sociale, a chi si trova ad essere mamma per la prima volta…: ci si mette in piedi e le si affronta! Se viviamo ogni giorno non nelle nuvole, ma con i piedi per terra, abbiamo tutto il tempo, in tanti anni, di prevedere quale potrà essere il nostro futuro e prepararci ad esso. Mi sono detto che il Signore mi ha sempre aiutato in tutte le situazioni nuove precedenti e certo non mi abbandonerà adesso, alla fine del percorso! Quali difficoltà incontra un missionario a reinserirsi, se ci riesce, in un contesto sociale, culturale e anche spirituale così diverso e contrastante rispetto a quello in cui ha speso la vita? Più o meno le stesse che avevo già incontrato, cominciando a vivere nel Paese di missione, ma, evidentemente, in senso inverso. Prima ho passato anni a cercare di “inculturarmi” in una mentalità e sensibilità diverse dalle nostre, cercando di “capire”, più che di condannare, scoprendo così dei veri valori che mi erano prima sconosciuti o che avevo sottovalutato. Adesso devo ri-inculturarmi nella mia, perché, dopo più di quarant’anni di assenza da essa, la trovo parecchio cambiata, in meglio e in peggio. Per esempio, sentire parlare continuamente di “crisi” mi crea spontaneamente un senso di rifiuto. È vero che tante famiglie, nelle quali uno o più membri sono rimasti senza lavoro o con lavori saltuari, soffrono e possono cadere in stato di ansia o anche di panico. Però vedere che anche in queste famiglie sovente ci sono due o tre automobili, due o tre televisori, telefonini molto cari con internet permanente e macchina fotografica e optional più capricciosi che utili, che si spendono soldi per piercing, tatuaggi, borsette di lusso o quasi, unghie di mani e piedi super curate e capelli tinti con i colori più strambi, ... fa una certa impressione a chi per una vita ha visto centinaia di migliaia di persone che vivono senza acqua potabile, senza luce elettrica, senza mezzi di trasporto e di comunicazione facili, senza nessuna sovvenzione per le cure mediche o ospedaliere, eppure sempre pronti al riso e al sorriso… Senza dare colpa a nessuno, mi rendo conto che abbiamo una concezione molto diversa di quanto è chiamato “crisi” e “povertà”. Per ac- 27 28 cettare questa nuova realtà quotidiana ho bisogno di molta comprensione della sofferenza di chi si sente privato di un avvenire che sognava sempre più dorato, ma che per me si trova ancora in una situazione più che invidiabile rispetto alle masse dei veri poveri alle quali ho accennato prima. Faccio anche fatica ad abituarmi a una maniera ostrogota di parlare o di scrivere, parecchio diffusa, come se si facesse apposta per non farsi capire, nelle delibere, conferenze, interventi accademici, dottorati e tesi di laurea e perfino in chiesa in certe omelie; mi dico che, se Gesù avesse parlato così, non avrebbe mai avuto discepoli tra pescatori e gente “senza istruzione” come dicono gli Atti degli Apostoli (cap. 4,13). Mi ha fatto ridere, ma nello stesso tempo raccapricciare, quanto ha riferito un medico di Milano al direttore di una rivista popolare cattolica: “Pur essendo medico e come tale esente Iva, sto compilando la Comunicazione polivalente operazioni rilevanti ai fini Iva, per l’Agenzia delle Entrate. Queste le istruzioni del Quadro TA: Il Quadro Riepilogativo riporta la sintesi della numerosità del dato maggiormente significativo in funzione della natura del quadro compilato”. Non aggiungo commento. Oppure ancora frasi come questa: “ … Per questo, di esso, dobbiamo santificare l’in-visibile ma originaria incondizionatezza. Per quanto, sempre alla luce della consapevolezza (del tutto sconosciuta ai greci!) relativa al non poter essere in alcun modo definita o determinata da parte della ‘totalità’…. “. Trovo anche un grave peggioramento del senso morale nei mass-media e nel comportamento pratico: immagini quotidiane di violenza e mostruosità gratuite, nudità e atteggiamenti indecenti e osceni solo per fare pubblicità al mercato, mode e abbigliamenti palesemente provocatori, volgarità di gesti e di linguaggio come fossero segno di grandezza finalmente raggiunta, pretese appoggiate da violenza assurda di voler avere per legge diritti contrari alla legge naturale… Dappertutto nel mondo esiste il peccato; ma da noi, ormai, in molti casi, si pretende di poterlo fare a testa alta, come un diritto. Fino a che punto devo cercare di inserirmi in questa mentalità di scivolamento verso il “tutto è permesso”? D’altro canto, però, trovo aspetti positivi che non notavo 40 anni fa: i laici impegnati nelle parrocchie o nelle Associazioni di bene sociale mi pare che dimostrino più ma- turità e convinzione di prima, perché è più difficile oggi frequentare regolarmente chiese mezzo vuote, con pochi giovani e con fedeli in gran parte curvi in avanti e dai capelli bianchi, così pure tenere duro su posizioni controcorrente sull’aborto, sul gender, o sull’omosessualità. C’è molto più volontariato di una volta, anche internazionale, sia di pensionati sia di professionisti, e molti sono giovani. Trovo dei gruppi biblici di amici che si riuniscono in privato a turno in casa dell’uno o dell’altro per pregare con la Parola di Dio, anche se non trovano sacerdoti che possano aiutarli regolarmente. Cose forse non frequenti tanti anni fa. Se voglio riassumere un po’, direi che il bene sta diventando sempre più bene e il male sempre più male. Dei 43 anni in Madagascar che cosa è stato per lei più significativo? Ho scoperto che il Madagascar, come tutti i Paesi di prima evangelizzazione, aspettava Gesù, ne aveva bisogno. La Sua Rivelazione di Dio PadreAmore, che libera dalla paura della tomba e affranca dalla “vuota condotta ereditata dai padri” (I Pt 1,18), era come inconsciamente attesa, perché fin dagli inizi, i primi credenti autoctoni hanno accolto il Vangelo subito e con eroismo. Il miracolo di Gerusalemme e di Roma, e dappertutto altrove, che vediamo negli Atti degli Apostoli e nelle loro Lettere nelle quali più i discepoli erano ingiustamente eliminati e più si moltiplicavano, si è rinnovato a Tananarive e poi in tutte le altre regioni dell’Isola. Pur perseguitati in modo feroce dalla regina Ranavàluna I, tra 2.000 e 3.000 neocristiani hanno preferito morire piuttosto che rinnegare Gesù, chi precipitati da un roccione non lontano dalla reggia, chi – come la martire protestante Rasalàma - insultata come una “cagna” e poi trafitta da lance e il suo corpo lasciato in pasto ai cani. Un altro fatto che continua a colpirmi è il posto preponderante dei laici nella diffusione del Vangelo, dall’inizio e fino ad oggi. Fin dall’inizio è stato il laicato ad avere un posto privilegiato. Victoire Rasuamanarìvu (nipote del Primo Ministro dell’epoca, sposata ad un libertino di alto rango che la umilierà per anni e convertitosi poi in punto di morte); Pierre Ratsìmba, Lucien Butuvasùa sono solo tre degli innumerevoli apostoli laici che hanno permesso ai pochi missionari stranieri degli inizi di 29 annunciare la salvezza ad altre etnie importanti neal Sud e nell’Est dell’Isola. La prima è già stata beatificata da Giovanni Paolo II nel 1989. Degli altri due sembra non più lontano il momento nel quale la Chiesa li conterà tra i Beati: Pierre Ratsimba, laico, missionario con i primi missionari, che a rischio della vita e a prezzo di sacrifici senza fine, ha permesso la nascita della fede cristiana nel Centro-Sud (Fianarantsoa) e Lucien Botovasoa, laico anche lui e terziario francescano, martire della fede e della carità, decapitato nel 1947, del quale si attende la beatificazione fra non molto. L’esperienza del Centro di formazione per Catechisti nella diocesi di Fianarantsoa in cui si è calato anima e corpo per 33 anni è ancora oggi attuale e proponibile per la formazione delle nuove generazi oni? Certamente sì. Il ‘Centro Catechistico e Rurale’ di Andriamboasary (diocesi di Fianarantsoa), fondato nel 1869 dai primi gesuiti francesi, il più antico di tutta l’Africa, accoglie 18 famiglie di catechisti, già animatori di comunità cristiane da almeno due-tre anni: marito-moglie e i loro bambini con meno di sei anni. Per 33 anni ininterrottamente ho avuto sotto gli occhi questo quasi miracolo di laici che abbandonano villaggio, risaie, i loro piccoli allevamenti, affidando i figli più grandi ai parenti, e per 18 mesi seguono una formazione umana e spirituale, direi straordinaria, per migliorare la loro testimonianza di catechisti una volta rientrati a formazione terminata. Mattino: tutti in classe (anche le donne ancora analfabete!) per l’approfondimento della fede: Sacra Scrittura, i Sacramenti, la Storia della Chiesa, il Concilio Vaticano II, Pastorale, Sessioni di formazione agricola e di allevamento… Pomeriggio: formazione al lavoro manuale. Per gli uomini: falegnameria, forgia e saldatura a stagno (l’elettricità essendo ancora un lusso nella stragrande maggioranza delle campagne). Per le donne: taglio, cucito, ricamo, puericultura. Una comunità di tre-quattro Suore, residenti sul posto, gestisce l’asilo per i bambini, cura i malati, sostiene una parte dell’insegnamento quotidiano, tiene d’occhio l’igiene delle case, aiuta le donne con poca o nessuna istruzione ad imparare a leggere e a scrivere. Nei mesi di maggio, luglio e agosto, poi, tutti gli anni il Centro offre a tutti i catechisti della diocesi la possibilità di una sessione di 10 giorni (8 giorni pieni) su uno specifico tema religioso: i Sacrifici degli antenati e il Sacrificio di Cristo, le Sette religiose, l’Ecumenismo,i tabù degli antenati e la liberazione venuta da Cristo. Ogni anno ci sono tra i 250 e i 350 partecipanti! Dove mai al mondo è ancora possibile vedere grazie di questo genere? Quali ostacoli ha incontrato nel passato questa modalità di formazione e quali vede opporsi ad essa nel presente? In questi 145 anni di esistenza il Centro ha rischiato più di una volta di chiudere per le più svariate ragioni, passando anche per qualche periodo di momentanea chiusura (pochi mesi oppure, il più lungo, circa 9 anni): i cambiamenti sociali e delle mentalità, le “rivoluzioni” nella liturgia con il Concilio Vaticano II, il progresso generale dell’istruzione nelle campagne… hanno creato situazioni nuove e quindi interrogativi che richiedevano riflessione e decisioni nuove. Se il processo di urbanizzazione selvaggio, in corso da qualche anno nell’Isola e che getta nella povertà masse di contadini che vivevano dignitosamente del lavoro sulle loro terre continuerà, diventerà impossibile trovare persone capaci di affrontare una formazione così impegnativa. Ma per ora il “miracolo” dura, e ne ringrazio il Signore! 30 di Grazia Salice Testimonianze Madagascar La missione di P. Elio Sciuchetti SI di Grazia Salice D ue chiacchiere, appena il tempo di un caffè, perché P. Elio Sciuchetti è abituato a “scappar via” sempre verso altri luoghi nella sua frenetica attività di animazione missionaria in Italia e Gallarate è un nodo importante di questa rete, perché, nel magazzino delle missioni, c’è da allestire un container: destinazione Bevalala - Madagscar! Ciò nonostante, la sua attenta disponibilità ci permette – siamo ben in tre a martellarlo di domanda: P. Agide Galli, P. Franco Martellozzo e la sottoscritta - di focalizzarci sulla sua attività nell’Isola e sugli sviluppi ancora possibili di questo imponente progetto di formazione. Chi è P. Sciuchetti? Forse è necessaria una breve presentazione, perché lui, restio nello scrivere e, probabilmente in ben altre cose affaccendato, lavora tanto e rifugge dal parlare di sé. In Madagascar, dove è stato nominato Cavaliere dell’Ordine Nazionale Malgascio per il lavoro svolto a Bevalala, è il rappresentante del MAGIS, il che comporta informare le istituzioni locali, in particolare la Banca centrale malgascia, dei diversi progetti in corso nel paese, perché il MAGIS è accreditato presso il governo malgascio. P. Elio è nato a Villa di Chiavenna (SO) il 28/12/1941, ha fatto gli studi liceali al Sociale di Torino, entrando in Compagnia il 15/10/60, poi il Noviziato ad Avigliana, la Filosofia a Gallarate. Nell’ottobre del ‘66 parte per la missione 35 36 in Madagascar dove, per due anni, collabora con P. Asti a Fort Carnot. Terminato il Magistero, lo attende dal ’68 al ’72 la Teologia a Fourvière (Lione) e a Danamadgy; è ordinato sacerdote a Villa di Chiavenna il 12-06-71. Rientra in Madagascar e gli viene affidata la direzione del Centre d'Apprendissage Rural di Bevalala, vicino alla capitale Antananarivo, fondato nel '54 dal P. Jacques Tiersonner SI per dare una formazione tecnico-agricola generale e applicata ai giovani, allevamento bovini, suini e animali da cortile, contabilità e gestione, aggiornamento teorico-pratico per adulti in un ambiente adatto alla formazione. Il Governo metteva disposizione dei giovani apprendisti dei terreni incolti da far fruttare con le nuove culture che i giovani avevano imparato. In quella realtà P. Elio intuì quali fossero le linee guida da seguire. “… Era l’inizio della Rivoluzione Socialista, quando ci si chiedeva se noi Gesuiti saremmo rimasti ancora in Madagascar. L’esigenza di creare delle attività che i malgasci riuscissero a far funzionare da soli, senza bisogno dell’eterno aiuto estero, ci aguzzò l’ingegno. Non bastava insegnare, bisognava abilitare i malgasci all’autoanimazione e all’autofinanziamento. Questo voleva dire, sì, produrre sementi e animali validi a costo elevato, ma trovare anche i soldi creando mercato. È l’altra faccia della carità. Dare è facile; più difficile è farsi in quattro per stimolare a produrre. Io non mi auguravo che diminuisse il prezzo del riso, ma volevo che il malgascio capisse che doveva produrre più riso a minor costo. È forse arrivato il tempo di pensare meno all’assistenza, per entrare nel gioco economico, se si vuole che le nazioni povere trovino una loro via di sviluppo, al di là di ogni forma di neocolonialismo. In un quadro come Bevalala uomo-formazione-tecnica-capitale possono incontrarsi per creare qualche cosa di nuovo per lo sviluppo del Madagascar”. Lo sviluppo che Bevalala ha raggiunto, ed i risultati ottenuti nella fattoria sono stati la premessa per l'avvio di corsi specializzati per muratori, fabbri, falegnami, elettricisti, attraverso i quali i giovani imparassero un mestiere che consentisse loro di organizzarsi in cooperative autogestite e operare in autonomia nel territorio, sempre seguiti con aiuti e consigli dal Centro, fiorente di attrezzature anche per il contributo dell'Unione Europea. Soavina La sua missione È responsabile di 6 parrocchie, distribuite su un territorio nella periferia di Antananarivo, originariamente seguite da P. Gabriele Navone SI. La mia pastorale - dice P. Elio - nelle sei parrocchie di cui mi occupo, con un totale di oltre 150 mila abitanti, si basa molto sulle scuole. Nella periferia della capitale, infatti, l'operazione principale da fare è la scolarizzazione dei bambini, almeno fino alle elementari. Ho una scuola in ogni parrocchia, e in due di esse arrivo fino alla maturità, una classica e una scientifica. Nelle sei scuole il totale degli alunni quest'anno in corso è stato di 5.025 alunni. Il problema è che i bambini aumentano sempre più e gli spazi non bastano a contenerli. Come nella scuola di Soavina, già ampliata quattro anni fa, frequentata ormai da oltre 700 alunni dalla prima elementare alla terza media. Le aule non sono sufficienti, pur facendo delle classi mediamente di 60 alunni, per cui due classi devono studiare in chiesa, una in cima vicino al tabernacolo e una in fondo per non disturbarsi troppo. Per settembre ho dovuto bloccare le iscrizioni perché non abbiamo posto. Ogni scuola ha un comitato di gestione formato da 4 o 5 genitori, eletti dalla assemblea generale, e di cui obbligatoriamente fa parte il direttore della scuola. Ogni ragazzo all'inizio dell'anno contribuisce al pagamento dei maestri e per le infrastrutture. Ma P. Elio non vuole che nessun ragazzo sia rifiutato, se i genitori sono troppo poveri. Così ha creato una cassa di solidarietà, gestita da lui e rifornita dai benefattori che interviene caso per caso. Ed è appunto s ul mantenimento a lungo termine di questa cassa di solidarietà che il MAGIS potrebbe intervenire attraverso la rete dei suoi benefattori o la creazione di un gruppo che si impegni a tal fine. Per me le scuole sono talmente importanti - ha detto P. Sciuchetti - che uso anche una parte delle offerte in chiesa per finanziare gli alunni in difficoltà. Purtroppo, infatti, non giunge nessun aiuto statale, sono scuole interamente sostenute dai cristiani e dai genitori dei bambini scolarizzati. La classe sociale delle nostre scuole non è come in Italia, dove nelle scuole private vanno i figli delle famiglie ab- 37 bienti; in Madagascar è il contrario: sono i più poveri che cercano la scuola vicina a casa, nel quartiere popolare dove abitano... Fanno il possibile per far vivere la scuola, ma molti proprio non ci riescono. Ha dato perciò ai direttori delle sue scuole la direttiva di non lasciare a casa nessuno se non arriva a pagare la retta mensile. Bevalala La rete parrocchiale è legata al Centro per la Formazione Professionale di Bevalala nella periferia della capitale di cui p. Elio è stato direttore dal 1972 al 2004, passando il testimone a P. Raphaël Rakotondrasoa SI. L’Istituto, esteso su 104 ettari, comprende al suo interno 3 scuole e impiega in totale più di 400 dipendenti. Il motto della didattica era, è, e sempre sarà: «Insegnare per innovare». Da CFP è diventato Scuola Superiore e adesso Facoltà Universitaria con un corso triennale dopo il baccalaureato (il nostro diploma di maturità). Si tratta senz'altro della sua opera maggiore, riconosciuta dalla stato malgascio, che rilascia diplomi di agronomia e tecniche di allevamento. In particolare, cosa mirabile, con la produzione delle culture e dell'allevamento, tale scuola si autofinanziava. E sottolinea l'importanza di questo in un paese dove gli agronomi rischiano di avere semplicemente delle conoscenze teoriche che poi non sanno tradurre in pratica. Si dice: "Se un agronomo dovesse coltivare il proprio campo nel villaggio, sarebbe l'ultimo del villaggio. Insomma da professore ad asino della classe." Benché il Centro sia passato ai gesuiti malgasci, rimane per P. Elio il figlio primogenito. Insomma è l'unica Scuola di Agraria in Madagascar e perciò degna di essere conosciuta. 38 Ciad La notte del bracconiere E di P. Franco Martellozzo SI same di coscienza Come mi insegnò P. Rosa, maestro dei novizi nel 1959, l’esame di coscienza per un gesuita, mezzogiorno e sera, è essenziale come per un mussulmano i 5 pilastri dell’Islam. Anche questa sera, dunque, mentre le luci del tramonto sfumano dietro la montagna di Bokare, mi metto a gambe incrociate per rivedere la mia giornata, per poi praticare le 3 mozioni: discernimento sul vissuto, inno di lode e.... mea culpa. Mi sono alzato alle 4.30 dal letto che avevo installato all’aperto a causa della calura di marzo, mi sono bevuto un litro d acqua dell’anfora come tutti i giorni, per prevenire disidratazioni, poi sono saltato sulla Toyota carcassa che nessuno vuol più guidare e, mentre fa ancora buio, ho sfiorato la cattedrale di Mongo in massi granitici, tagliati a mano dagli scalpellini, e son salito sullo stradone, filando dritto verso la parrocchia di Dadouar a circa 30 km. Alle 5 sono davanti alla chiesa dove mi aspetta Adam, lo scalpellino, e Daggo, il muratore, con tutti gli attrezzi dei loro mestieri. Dalla casa delle suore esce la testa arruffata di suor Ximena che mi invita per un caffè, rifiuto, saluto e via, partiamo senza perdere un minuto. Oggi non è un giorno da convenevoli. Prendiamo la pista di Korlongo, la più sgangherata che esista al mondo, assolutamente consona alla Toyota più carcassa, per aggirare tutto il massiccio montagnoso e raggiungere Bara. Arrivati al famoso barrage contro gli schiavisti, all’uscita di Korlongo, Daggo vuol farmelo notare, ma gli chiudo il becco, perché la storia di questo barrage in pietre e alberi la conoscono anche i neonati. Per tutto il settecento e l’ottocento i cavalieri diabolici venivano dall’Est per razziare le popolazioni e alimentare la tratta degli schiavi che dal Sudan risaliva verso Egitto e i Paesi arabi e le popola- 39 40 zioni vivevano appollaiate sulle alte valli in luoghi impervi, dove la cavalleria diventava facile preda per i montanari, armati di fronde, sagaie e sassi enormi. Solo con l’arrivo dei francesi, nel 1906, gli schiavisti si volatizzarono e le popolazioni incominciarono a scendere nelle pianure fertili e ricche d’acqua, abbandonando così il rude altipiano agli animali selvatici che qui vivono liberi e felici. Aggiriamo lentamente il massiccio e dopo 30 minuti eccoci a Bara, vasta distesa di case in paglia e in pietre cotte, appollaiata ai piedi della scarpata che sale verso l’alta valle. Burma e Jos ci aspettano con dei fagotti di cemento che si agganciano sulle spalle, Adam e Daggo si caricano i loro attrezzi, io abbranco lo zaino con il bidone d’acqua, il riso, i fagioli, il thè, lo zucchero e il sacco a pelo e via, su per la scarpata. Salendo lentissimamente e sudando come un bue tra massi enormi lavorati dalle intemperie che hanno dato loro le più strane forme, capisco perfettamente come la cavalleria schiavista qui perdesse ogni boria. I montanari nascosti tra i dirupi potevano fare come al tiro al piccione. Cavalli e asini qui non passano e quelli che han tentato per cercare l’erba verde delle cime si sono spezzati le gambe. Per contro mucche e capre trovano il modo di salire. Questo spiega che i clan appollaiati nell’alta valle con le loro capre, mucche e culture di miglio siano rimasti indipendenti fino alla colonizzazione francese. Quaranta minuti dopo ci investe l’aria fresca del colle e ci sediamo qualche minuto a bere e ad ammirare il vasto altipiano che ci apre le braccia al primo sole. Da tutti i lati è incorniciato da montagne scoscese e nel mezzo è attraversato da un corso d’acqua, ora secco, ma ben visibile come un cordone di sabbia bianca incorniciato da grandissimi alberi che superano quelli di pianura. Infatti, il torrente, anche se è secco, conserva in profondità l’acqua necessaria a nutrire questi giganti. Il pozzo degli antenati La contemplazione non dura che un istante e poi giù, a rotta di collo, per una breve discesa per arrivare in 10 minuti al pozzo degli antenati. Sì, proprio il pozzo che gli antenati hanno abbandonato due secoli fa e che abbiamo riscoperto grazie alle indicazioni di un vecchietto centenario. Così ci è venuta l’idea di riaprirlo e strutturarlo in cemento per fare di questo sito un luogo di pellegrinaggio che ridoni l’antica unità a una regione che le religioni monoteiste provenienti dall’estero hanno spezzata. Se, infatti, fino a 40 anni fa tutti seguivano stessi riti e stesse usanze, ora che l’islam e il cristianesimo si sono installati con riti e leader diversi, la divisione più profonda minaccia l’avvenire delle giovani generazioni. Per ritrovare l’unità, i cattolici hanno perciò deciso di dar vita ad una festa nuova, sui luoghi ancestrali, per creare la comunione col passato per alimentare l’unità nel presente. È per questo che saliamo a vivificare l’antico pozzo. Lo scalpellino Adam si è già messo in mutandoni per scendere nel pozzo e tagliare una grossa roccia granitica che ci impedisce di calare gli anelli ... ma le api selvatiche hanno occupato il pozzo e lo difendono in un andirivieni indiavolato che rende avventuroso avvicinarsi anche solo ai bordi. Sporgendomi curioso per vedere la famosa pietra, mi becco subito una puntura acuta sulla mano sinistra, me la svigno all’ombra per estrarre il pungiglione, mentre Adam, innervosito, accende un grande e inutile fuoco di paglia. Le api ronzano sempre a centinaia da cima a fondo del pozzo. Allora attacca un fascio di paglia a un cavo di ferro, l’accende e fa scorrere il fuoco su e giù. Le api non si danno per vinte, talmente la sete le tortura e siamo obbligati ad attendere il calore del sole per vederle infine partire. Nel frattempo Daggo, il muratore, e i due soci manovali sono già all’opera per costruire nuovi anelli di cemento armato. Così passano le ore, ognuno intento al proprio lavoro, mentre io tiro su con la corda e un secchio i pezzi di roccia che Adam taglia con un accanimento da leone. Ogni tanto arrivano pastorelli che intendono abbeverare capre o mucche, ragazze allegre che vanno a legna e si lanciano ritornelli, qualche malato di Bokare che vuol raggiungere il dispensario di Bara. L’alta valle in questa stagione è un luogo di passaggio. Il calore aumenta e sempre più sovente vado a prendere fiato sotto un albero fronzuto, lasciando a Jos, il bracconiere, il compito di ritirare i pezzi di roccia che Adam instancabile continua a frantumare con gli scalpelli che ci hanno lasciato gli amici venuti dalla Valtellina. Jos è uno laconico, dalla faccia dura, dai tratti ben precisi del bevitore di arghi, la graspa locale, distillata sommariamente e ricca in metanolo che io definisco strizzacervelli. Lui conosce ogni anfratto dell’altopiano che percorre con le sue tagliole e lacci di ogni tipo per acchiappare i gran kudu, le gazzelle, i facoceri, le faraone selvatiche, le pernici, fino alle gallinelle delle rocce non più grandi di un piccione. Si racconta, tuttavia, che ben due volte con la sua grossa tagliola ha acchiappato Burma, salito prima dell’alba a cercar la paglia su per la montagna. Jos ubriaco si era dimenticato di aver appostata proprio sul sentiero che anche gli animali frequentano di notte. Il disgraziato Burma non era riuscito ad aprire la tagliola ed era mezzo morto di sete quando le donne che salivano a cercar legna scoprirono questa strana preda dall’aspetto diabolico. Miracolo che non fuggirono a rompicollo alle urla del malcapitato. 41 Alla ricerca del gran kudu 42 Finalmente Adam verso le 13 si decide ad uscire dal pozzo e subito Jos si dà da fare per accendere il fuoco, mentre io tiro fuori dallo zaino il riso, i fagioli, il thè e lo zucchero. Qualche minuto e siamo tutti seduti all’ombra ad aspettare il pasto e subito Daggo che non può mai tenere il becco chiuso dice a Jos: “perché non porti il Padre alla grotta dei gran kudu? A qu est’ora li troverai di sicuro”. Jos non risponde neppure, fa solo un grugnito che deve essere di assenso, perché si alza, prende la sua ascia e senza un gesto si mette in cammino. Esito un istante a causa del sole e del calore poi mi bagno il cadamoul, lunghissimo turbante dei nomadi, afferro la boraccia, un bastone e via dietro al laconico bracconiere. Ha preso la direzione Ovest verso una montagnetta assai rocciosa che intende aggirare a causa della direzione del vento. So bene che i gran kudu, grandi come i bovini, escono solo di notte a pascolare e di giorno si riposano negli anfratti rocciosi delle alture più inaccessibili da dove osservano tutto l’orizzonte. Sono talmente diffidenti che nessun fotografo riesce ad avvicinarli, che dico avvicinarli, semplicemente vederli da lontano. Vista acutissima, odorato fantastico, non bevono mai alle sorgenti, ma si accontentano di frutti selvatici e foglie degli alberi. Per questo sussistono fino ad oggi, nonostante la caccia spietata dei vari Jos della regione. Un kudu non percorre mai un sentiero umano né ritorna sulla proprie tracce. Un animale semplicemente fantastico che anelo vedere ma ... sono sicuro che, nonostante tutti i trucchi di Jos, ... non ci cascherà. Ora la salita è diventata impervia e il passo di Jos non rallenta, il calore è al suo zenit e sento l’infarto a due spanne. Decido allora di fermarmi all’ombra magra di un albero spinoso, mi bagno ancora il cadamul, il viso, bevo un goccio di liquido ormai bollente, aspetto che il cuore riprenda un battito decente. Forse l’ho scampata per un pelo e quel Jos che mi guarda, non certo con l’occhio del buon samaritano e sembra dire: allora ci muoviamo! Riprendo a seguirlo come un condannato ai bagni, raggiriamo finalmente la montagnetta e gli escrementi del kudu e le sue tracce fresche sono sempre più numerosi. Un momento, il laconico si ferma, analizza e mi dice che sono sette, due maschi, due piccoli e tre femmine. Adesso si fa guardingo, avanza a passi di lupo, siamo, infatti, a ridosso della cima e costeggiamo un gran roccione a picco, al limite del quale ci sarà senz’altro la famosa caverna. Ma ecco un labirinto spinoso, bisogna camminare a carponi e ... bruscamente la caverna, piena di escrementi, di noccioli di frutta, di tracce freschissime. I kudu ce l’hanno fatta sotto il naso ancora una volta! Mi fermo a lungo per analizzare ogni dettaglio che mi dia informazioni su questi animali straordinari, poi lentamente e penosissimamente riprendiamo il cammino di ritorno e ritorniamo sotto l’accogliente albero dove stanno già scodellando il riso mentre il thè forte bolle nel pentolino. Si mangia, si scherza e si riflette sul modo di preparare in fretta il pozzo, poiché a Pentecoste saliranno i pellegrini da tutti i villaggi della regione e bisogna dissetare una moltitudine senza contare le pecore e le mucche che richiedono la loro parte. Si riprende il lavoro ancora nel pomeriggio poi verso le 17, come il sole comincia a scendere dietro alla montagna di Bokare, si conclude la giornata lavorativa, ci si lava, Jos tira fuori il suo tabacco forte locale, si gira una sigaretta della quale approfitto anch’io qualche boccata inebriante. Poi Adam, Daggo e Burma si avviano lentamente sul sentiero di Bara. Domat- tina torneranno, portando ancora ferro e cemento per gli anelli. Io e Jos raccogliamo il massimo possibile di legna secca, poi ci sistemiamo sulla sabbia pulita del torrente e, mentre lui prepara un nuovo focolare, io finisco il mio esame di coscienza. Tutto a posto, carissimo Padre Rosa? Nulla mi rimorde, posso solo lodare il Signore per la giornata magnifica trascorsa. Nulla ti rimorde? - mi sussurra dal Paradiso il padre col suo sorrisetto malizioso - E se tu fossi morto di crisi cardiaca sulla montagnetta dei kudu? Un bel servizio avresti reso ai tuoi compagni. Adesso ti dò la penitenza! Sotto le stelle Col laconico bracconiere che butta già dentro il riso nella marmitta non tento conversazione alcuna e col gridare acuto delle gallinelle selvatiche che fan rimbombare tutta la valle bisognerebbe urlare per intendersi. Nulla di meglio che accendere la pipa e filosofare. Da quando sono arrivato in Ciad in quel mitico 1963, mi son sempre torturato per la divisione che le religioni hanno portato nel paese. I mussulmani e i protestanti erano giunti prima di noi cattolici per distruggere le religioni tradizionali in nome di un puro monoteismo che ignorava tutto delle religioni tradizionali. Ignoravano supinamente che in tutte le religioni tradizionali esiste l’idea purissima di Dio Creatore Universale a cui sono sottomesse tutte le divinità intermediarie, i Geni tutelari in particolare che formano il nocciolo sociologico delle religioni tradizionali. Ma quello che hanno ancora più supinamente ignorato è il carattere ecologico delle religioni tradizionali. L’albero era sacro e nessuno poteva tagliarlo senza la benedizione del capo della terra e lo stagno era sacro e nessuno poteva uccidere i pesci senza benedizione, né avvelenarli con prodotti chimici come succede ora che ognuno, credendosi figlio di Dio, devasta la natura e finirà 43 44 per distruggerla. Ripenso al grande stagno sacro dei Kwong, Jato Mighidum, dove era proibito pescare: uno stagno pullulante di pesci, di tartarughe, caimani e tutti gli esseri acquatici possibili. Alla stagione delle inondazioni tutto questo ben di Dio si riversava nei ruscelli e nei torrenti, portando cibo e benessere su un’infinita distesa di campagne e villaggi. Ma ecco che il sultano stesso, ridicolizzata la fede al Genio tutelare, decide di fare di questo stagno un industria privata, facendo venire dal Nigeria i pescatori con modernissime reti. In due anni lo stagno si vuota di ogni vita e di colpo migliaia di persone perdono la risorsa principale del loro sostentamento. Penso ancora ai convertiti di fresco all’Islam di Tchalo Zudu che, ferventi nel distruggere i segni pagani dei loro padri, incendiano l’immensa foresta del Bam Bam che brucia per 15 giorni, arrostendo migliaia di animali, tra i quali delle specie rarissime ormai del tutto scomparse. Non solo, ma adesso la vegetazione non frena più la corrente impetuosa del fiume e il disastro ecologico è incalcolabile per le generazioni future. Penso ... penso e mi domando perché la religione di Mosè, che poi noi abbiamo in par te adottata e che l’Islam ha ereditata, porta questo iato tra la creazione e il Creatore, a tal punto che ogni immagine è proibita, diventa un attentato alla supremazia del Dio Unico. I cieli cantano la tua gloria, o Signore ... pertanto... Però, non è ammesso intermediario alcuno tra Dio e l’uomo. Non è forse questa pretesa dell’uomo a incontrare direttamente Dio che porta alla negazione della natura come manifestazione divina e quindi porta all’assolutismo? Poiché, se io posso incontrare direttamente Dio senza intermediari ... il pericolo assoluto è di far dire a Dio quello che voglio io e quindi di fabbricare un Dio a mia immagine. Ma la religione tradizionale che parte dai fenomeni naturali e li divinizza, dando loro quasi un volto, delle caratteristiche? L’uomo in questo caso diventa succube della natura e perde tutte le sue qualità di fecondatore della natura. L’uomo della Bibbia, giardiniere di Dio, padrone degli animali, riflesso di Dio nel mondo? Il mio pensiero si perde, intuisco che dietro a tutto questo c’è una nuova rivelazione che integra i valori apparentemente opposti del monoteismo puro e duro e quelli naturalistici delle religioni tradizionali. Ma il sole è scomparso, le gallinelle si son fatte silenziose e il fuoco di Jos brilla nella notte, facendo danzare l’ombra degli alberi e le rocce attorno a noi. La pappa è pronta, non me ero accorto, avanti col cucchiaio. Mangiamo in fretta il riso coi fagioli, conditi con un bicchiere d’olio di arachidi poi, aspettando il thè, tento di cavare da quella faccia di sasso qualche informazione sull’unico argomento di sua comp etenza, la caccia. Sapevo anche che un bel giorno una iena aveva messo la zampa nella sua tagliola e se ne era partita trascinandosi la tagliola. Jos, come spesso accade, s’era addormentato sbronzo e la iena se ne andava lungo lo stesso sentiero dal quale arrivava dalla parte opposta il malcapitato Adam che cacciatore non è per nulla. La iena lo vide da lontano, si nascose dietro un sasso e poi ...vvvam, gli balzò addosso. Fortuna volle che un altro sasso provvidenziale, messo da un angelo custode, bloccò la tagliola e i denti del felino arrabbiato nero sbatterono nel vuoto. Chiedo a Jos come mai non avesse legato il cavo della tagliola ad un albero e, con la sua faccia da sasso, mi risponde a monosillabi che faccio fatica a collegare. Nel caso da te suggerito la iena diventa pazza e si strappa la zanna coi suoi denti aguzzi pur di fuggire. pellegrinaggio di Pentecoste al pozzo degli antenati - arrivo dei suonatori Ma come fa a fuggire e poi a nutrirsi su tre gambe? Ce la fa e come! La iena è il più furbo degli animali della savana. Il contrario di quanto narrino tutti i racconti sulla iena, animale rozzo e stolto. Beviamo anche il thè e subito Jos si butta a dormire. Per me sarebbe un peccato dormire con questo cielo e questo silenzio che solo il grido dei barbagianni in caccia rompe di tanto in tanto. È bello sentire il linguaggio della notte in un luogo dove nessun uomo ha pernottato da 200 anni. È come se lo scorrere del tempo si fosse fermato per creare un punto d’unione tra passato, presente e avvenire. Il punto d’incontro sarà forse questo pozzo? Ma qualcosa mi suona male in questo silenzio, qualcosa di anormale che si va ingrandendo. Ma certo è lo stropicciare di passi umani sulla sabbia del torrente. Mi alzo sui gomiti e scruto la notte, mi avvicino il bastone, guardo Jos che sembra dormire come un santo. Chi sarà a quest’ora, in questa solitudine? Sono inquieto e chiamo Jos. Jos Jos! Non senti i passi? Certo che li sento già da molto tempo. Ma non si muove di un palmo e non so proprio che pensare di questo animale di Jos. Il visitatore notturno Quando sto per alzarmi e scuotere di brutto il bracconiere, il visitatore notturno è già tra noi, alta siluette contro il cielo stellato. Wal cèwé! Buona sera! Riconosco la voce di Akuna, l’infermiere. Brutte notizie? - domando. No, sono venuto a farvi compagnia, perché è meglio essere in tre su questo altopiano di notte. Solo ora vedo distintamente la sua grossa lancia. Stende il suo lenzuolo sulla sabbia e ci chiede notizie della giornata, sul pozzo. Akuna è un tipo finetto; se avesse studiato, avrebbe potuto essere un professore di filosofia. 45 46 Così, lasciando dormire in pace il bruto, iniziamo una conversazione che merita di non essere dimenticata. Chiedo: “Tu che hai vissuto nella religione tradizionale e poi ti sei fatto cristiano, tu che hai tre quarti della tua famiglia mussulmana, dimmi in verità, per la gente qual è la differenza o la comunanza delle tre religioni?”. Per la religione tradizionale - risponde - è il genio della montagna BUM BARA che ci ha dato un insieme di leggi e di feste tradizionali che, fin dai tempi antichi, gli antenati hanno rispettato e Dio ha dato loro la sua benedizione. Adesso, che molti non le rispettano più, ecco la siccità e la divisione. È questo che pensano gli anziani rimasti ancora fedeli ai culti di Bum Bara. Per l’Islam tutto è nel Corano e nelle 5 preghiere della giornata, però al neoconvertito nulla è imposto ed egli può continuare a praticare i riti che vuole, nonostante siano condannati dal Corano. Poi, se vuole istruirsi, si iscrive a una scuola dal marabù o vi mette suo figlio che lentamente diventerà un fanatico intollerante e considera diabolico tutto ciò che riguarda la religione tradizionale, perfino le danze più innocenti. Non solo, ma accumunerà nella condanna ogni altra religione, la cristiana inclusa. Per il Cristianesimo è più complicato. Prima di tutto ci è apparsa come la “religione dei bianchi” e, anche se non capivamo niente, ci appariva interessante, perché faceva la scuola, il dispensario, davano aiuti, giravano in macchina. La religione della modernità e dello sviluppo socio culturale. Solo lentamente abbiamo capito che combatteva la poligamia, la consultazione degli indovini, la vendetta e tante altre pratiche della nostra cultura. Da una parte ci presenta un Gesù Cristo buono e misericordioso che ci attira, ma dall’altra è fatta di esigenze dure per noi, quindi molti hanno mollato per diventare poligami. Io stesso sono diventato poligamo e ne provo un gran disagio. Chiedo allora: “O. K. sei poligamo, ma perché resti cristiano? Non sarebbe per te più facile ritornare alla tua religione tradizionale o farti mussulmano? Akuna riflette un bel momento prima di riprendere la parola. C’è qualcosa di prezioso nella religione cristiana al quale mi sembra difficile rinunciare: porta l’amicizia, la pace, la fraternità e lo sviluppo che nessuna altra delle religioni qui presenti mi offrono. Anche questa idea di rivitalizzare il pozzo degli antenati è qualcosa che tutti gli abitanti di Bara apprezzano. Un’idea che nessun altro poteva maturare, se non uno spirito cristiano. In una parola, le altre religioni lavorano per sé stesse e si rinchiudono in un cerchio di esclusività, mentre quella cristiana apre il cerchio all’infinito. Questo pellegrinaggio, luogo di incontro e di preghiera, ciascuno secondo i suoi riti, deve diventare anche un incontro di riflessioni e di iniziative per salvare prima e poi migliorare questa terra che gli antenati ci hanno lasciato. Ha tutto detto Akuna sotto le stelle sulle alture degli antenati. Adesso tace e io rispetto il suo silenzio, un silenzio che sento pieno di speranze e di sogni. E spero che anche i sette gran kudu verranno a farci visita. Le altre religioni lavorano per se stesse e si rinchiudono in un cerchio che esclude gli altri mentre la religione cristiana apre il cerchio all’infinito. Repubblica Centrafricana Messaggio dei Vescovi ai cristiani, agli uomini e alle donne di buona volontà I "Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra" (Ap 21, 1) l Libro dell'Apocalisse annuncia la vittoria di Cristo sulle potenze del male e sulle forze demoniache. Questa vittoria permette di avere uno sguardo chiaro sul passato, sul presente e intravedere l’avverarsi di un futuro meraviglioso. (...) L’ordine nuovo trova la sua piena realizzazione nella "Città Santa, la nuova Gerusalemme" (Ap 21, 2). Questo ordine nuovo è stabilito dal Dio della vita che asciugherà ogni lacrima di coloro che ha adottato come suoi figli nel Figlio suo Gesù Cristo. Come coloro che hanno sperimentato questa grande sollecitudine di Dio, il popolo centrafricano non può sfuggire alla sua storia dolorosa né optare per lo status quo. Nonostante le molte tribolazioni cui è stato sottoposto nel corso di questa crisi politico-militare che affligge il paese da più di un anno, può ancora sperare nella vittoria finale del piano di Dio e nell'annientamento di ogni oppressione. (...). Nel nome della nostra fede che ci fa figli di Dio nella Chiesa e cittadini della nostra nazione, ognuno di noi ha il dovere di raccogliere la sfida di costruire una nuova nazione centrafricana più degna, più unita e più prospera. E noi, Past ori della Chiesa di Dio in Centrafrica, che cosa stiamo facendo a tal fine? (...) Abbiamo denunciato i mali devastanti di questa crisi la cui dimensione è incredibile ed enormi le sue ricadute. Nessun ambito della Nazione è stato risparmiato, tanto da far dire che nulla di ciò si era "mai visto...". 47 La situazione attuale Il lassismo dimostrato dal presidente di transizione e dal suo governo, gli abusi odiosi perpetrati dalla ex coalizione Seleka e le numerose violazioni dei diritti umani hanno favorito l'ascesa degli anti-Balaka, impropriamente presentati come una milizia cristiana da molti media stranieri. Il paese è precipitato in una spirale di violenza, di rappresaglie e contro rappresaglie. È la legge della giungla, dove il più forte si impone ricorrendo alle armi. L'incapacità, mostrata dai responsabili della transizione nel gestire la crisi, ha indotto la comunità internazionale a costringerli a dimettersi. Catherine Samba Panza è stata poi eletta dai membri del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) a reggere il destino del paese fino al termine della transizione. (...) La mobilitazione della Comunità internazionale a favore della risoluzione della crisi è in crescendo. Accogliamo con favore l'impegno dell'Unione Europea (UE), attraverso il dispiegamento di EUFOR-RCA a fianco del popolo centrafricano, colpito da una crisi che ha continuato a mietere vittime innocenti. Inoltre, prendiamo atto con piacere della ripresa degli aiuti umanitari e del loro dispiegamento all'interno del paese. La loro presenza contribuisce a ridare fiducia alla popolazione, abbandonata a se stessa. Nello stesso tempo, condanniamo con forza le atrocità e i crimini commessi nei confronti del personale umanitario. Le sfide in vista del cambiamento e della ricostruzione della nazione 48 Insicurezza - La legge appartiene ai detentori illegali di armi e a qualsivoglia gruppo armato. Questa violenza folle non si limita ad una singola comunità o gruppo. Uccidere, bruciare case e persino interi villaggi, braccare essere umani nella boscaglia sono diventati ormai atti banali senza una ricaduta penale. La vita non sembra avere più alcun valore. Impunità - Non c’è da stupirsi se tutti vogliono farsi giustizia da sé. Come è possibile che i gruppi armati illegali (anti-Balaka ed ex Seleka) orchestrino i n piena impunità parodie di giustizia, condannando ad una morte infame pacifici cittadini con l’accusa di essere degli stregoni o per la loro presunta appartenenza agli anti-Balaka o, viceversa, agli ex Seleka? Come spiegare il fatto che ladri, criminali e banditi di strada le cui mani sono macchiate del sangue del popolo centrafricano, per di più ben noti e identificati, godano tuttora, impunemente, d ella libertà di nuocere? Minacce alle persone impegnate nella pastorale - A parte gli atti di vandalismo e la profanazione delle nostre chiese, condanniamo con la massima fermezza gli innumerevoli attacchi ai religiosi: minacce fisiche contro i preti di Ndélé, Mala e Bozoum, il tentato rapimento del parroco di Kembé, il rapimento, il sequestro, la tortura e il tentato omicidio del vescovo di Bossangoa con tre dei suoi preti, l'assassinio abominevole e crudele di padre Christ Forman WILIBONA della diocesi di Bossangoa, la tortura psicologica inflitta ai preti e alle suore di Dekoa. Le parrocchie di Bokaranga e di Ngaoundaye sono state direttamente attaccate, mitragliate e saccheggiate. I Padri e le Suore, minacciati, hanno dovuto abbandonare la missione, rifugiandosi per qualche giorno nella boscaglia. Il massacro - 28 maggio scorso - vile e insensato, perpetrato contro coloro che avevano trovato asilo all’interno della parrocchia di Nostra Signora di esequie di padre Paul Emile Nzale Fatima, durante il quale p. Paul-Emile Nzale è stato ucciso, accresce il lungo elenco delle vittime di questa follia omicida. A questi fatti ci sono da aggiungere i crimini efferati perpetrati contro i pastori dell’Associazione delle Chiese Evangeliche in Centrafrica. Istituzioni dello Stato in panne Il vivere quotidiano del popolo centrafricano è all’insegna della precarietà. Molti cittadini hanno perso non solo i loro beni, ma anche i loro mezzi di sussistenza. Le loro case sono state saccheggiate. Costretti a vagare, alcuni vivono nella foresta come animali o in campi di fortuna. Il movimento delle popolazioni indica 542.400 sfollati interni nella Repubblica Centrafricana, di cui 117.400 dislocati in 43 “campi” a Bangui, 101.731 rifugiati centrafricani in Camerun da dicembre 2013 e 2,5 milioni di persone bisognose di assistenza. Questa situazione di nomadismo, legata all'insicurezza all’interno del Paese, impedisce l’effettiva ripresa delle attività agricole e fa paventare il crescente rischio di insicurezza alimentare. L’educazione è a rischio: un lusso per alcuni privilegiati. È evidente che una gran parte del paese sfugge completamente al controllo dello Stato. Che ne sarà della maggior parte dei bambini che non hanno accesso alla scuola, esclusi da ogni possibilità di apprendimento e d’istruzione? Il futuro di una nazione si costruisce sulla formazione intellettuale e socio-professionale dei suoi figli. Che scelta facciamo per la RCA? L'accesso all'assistenza sanitaria è reso particolarmente difficile a causa della continua mobilità della popolazione e della crescente insicurezza che l’ha costretta a cercare rifugio nella boscaglia. Esposti alle intemperie, a carenti condizioni igieniche, alla mancanza di assistenza sanitaria, molti dei nostri fratelli e sorelle muoiono nella completa indifferenza. Il futuro del nostro paese non si potrà costruire sulla tomba degli innocenti. Un’economia esangue - I prezzi sono saliti alle stelle nei nostri mercati e la borsa della spesa ne ha sofferto gravemente. Per il funzionamento e l'attuazione del suo progetto di sviluppo, la ricostruzione e la ripresa econo- 49 guerriglieri della Seleka a Bambari mica, il governo dipende dalla solidarietà internazionale. Sono state fatte molte promesse, ma le donazioni tardano a concretizzarsi. Lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie e forestali - Deploriamo il saccheggio delle nostre risorse minerarie e lo sfruttamento illegale delle nostre foreste. Il bracconaggio è stato legittimato quale risarcimento per lo sforzo bellico. Inoltre i signori della guerra si sono ripartite le zone minerarie che ognuno gestisce a proprio vantaggio ed a beneficio della causa partigiana che sostiene. Le risorse minerarie illegalmente sfruttate servono così per finanziare la ribellione e la destabilizzazione del paese. La divisione del paese in due - Alcuni membri della ex coalizione Seleka hanno annunciato pubblicamente la divisione del paese (per consentire ai musulm ani di stabilirsi al Nord, ndr). Possiamo avere due stati maggiori nello stesso paese? Cosa si nasconde dietro questa decisione? Crediamo che la soluzione al nostro problema passerà attraverso l'accettazione dell'altro. Nell’unità, scopriremo la ricchezza delle nostre differenze. Ai cristiani, ricordiamo le parole di Cristo: «Ché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.» (Gv 17, 21). Per uscire dalla crisi 50 Le sfide sono certamente reali, ma la possibilità di uscire dalla crisi è alla portata del popolo centrafricano con il sostegno della comunità internazionale. Il disarmo che non è negoziabile. Esso rientra nell’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ne chiediamo, per- milizie anti-Balaka tanto, la rigorosa osservanza e condanniamo le diverse interpretazioni che ci allontanano dallo spirito delle risoluzioni, rendendole così inefficaci. È urgente procedere senza compromessi al disarmo di chiunque detenga armi illegali da guerra. Il disarmo, infatti, è una chiave importante per disinnescare le tensioni e nel processo di risoluzione della crisi. Fratelli e Sorelle, è nostro dovere s ostenere gli sforzi volti a questo obiettivo ed essere attori di pace, disarmando non solo le nostre mani, ma soprattutto i nostri spiriti e i nostri cuori. Riabilitazione delle Forze armate centrafricane (FACA) Che dire di questa situazione inconcepibile in cui la sicurezza e la tutela dei cittadini sono lasciati alla mercé dei gruppi armati (ex Seleka, anti-Balaka e LRA), gruppi che dovrebbero essere oggetto di un disarmo incondizionato? Mentre alcuni stabiliscono delle strutture militari parallele, impedendo ai gendarmi e alla polizia, di stanza nelle zone sotto il loro controllo, di garantire la loro missione di sicurezza e occupano indebitamente gli uffici amministrativi, si pone veramente il problema circa la sovranità del nostro paese che non ha un esercito. Fino a quando potremo rimettere il destino di un'intera nazione nelle mani delle forze straniere? Altrove, per tali missioni di pace, le forze internazionali sono a sostegno delle forze nazionali. Perché dovrebbe essere diverso per quanto riguarda il Centrafrica? Lungi dal seguire i becchini della nazione, ispirati da interessi egoistici e sordidi, si dovrebbe procedere speditamente alla giusta riforma della sicurezza, al disarmo, alla smobilitazione, al reinserimento dei combattenti centrafricani e al rimpatrio dei mercenari e, infine, senza lesinare sforzi, a riabilitare, nel 51 l’albero à la palabre 52 più breve tempo possibile, le Forze armate centrafricane (FACA), dotandole di risorse adeguate per la loro missione. Ripristinare l'autorità dello Stato su tutto il territorio richiederà necessariamente la riorganizzazione dell'amministrazione e la lotta contro l'impunità dilagante. Per evidenti motivi di insicurezza, infatti, molti posti sono ora abbandonati in balia dei gruppi armati che fanno la legge a loro uso e convenienza. Coesione sociale - La crisi che affligge il Centrafrica, da oltre un anno, è un fenomeno complesso, dalle cause molteplici e profonde. Ma per ragioni non dette, un sottile slittamento semantico ha fatto sì che si passasse dall’ambito politico-militare a quello religioso. La strumentalizzazione dell’antagonismo religioso sembra più favorevole alla esacerbazione dell’odio e delle tensioni settarie. Consapevoli di questo grave pericolo, i leader religiosi si sono mobilitati per denunciare tale manipolazione che continua a mietere vittime innocenti. Ci rivolgiamo a uomini e donne di buona volontà, amanti della coesione sociale, perché si facciano coinvolgere nelle iniziative intraprese dalla piattaforma interreligiosa per il bene comune. Dialogo - Nella nostra tradizione l'albero à la palabre era un'istituzione che serviva come regolatore sociale e che permetteva ai nostri antenati di risolvere le loro controversie. Era il luogo per eccellenza del dibattito pubblico. La comunità si incontrava solo nell'interesse di salvare la coesione sociale, ristabilendo la verità sulle offese, sulle ferite. In questa prospettiva, il dialogo è un esercizio impegnativo che mette l’accento sulla parola, richiede l'arte di ascoltare e di mettersi in discussione. Sarebbe bene che, oggi, ognuno si domandasse perché molti dibattiti e dialoghi politici e sociali, organizzati a livello nazionale, fanno fatica a raggiungere i risultati desiderati. Non tutto sta nell’eloquio fluente, bensì nel cuore. Diciamoci la verità, senza calcoli meschini: è quello cui in coscienza ciascuno è chiamato. La Pace è il primo dono che il Risorto ha fatto ai suoi discepoli: "Vi lascio la pace, vi dono la mia pace” (Gv 14, 27a). Come credenti, noi ne siamo portatori e testimoni nel mondo e tra i nostri fratelli e le nostre sorelle. La vera pace è più di una terapia che ci guarisce dalle nostre ferite, dall’odio e dal desiderio di vendetta che ci rinchiudono in noi stessi e ci tengono prigionieri. In mezzo alle sventure che affliggono il nostro popolo, continuiamo a lavorare insieme per promuovere la cultura della pace nella giustizia e nella verità: "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). Il perdono e la riconciliazione attraverso la giustizia e la riparazione (Africae Munus 155). Il perdono manifesta la misericordia e la magnanimità di Dio verso i peccatori quali noi siamo. Aprirsi all'amore di Dio che ci riconcilia con noi stessi e con i nostri fratelli e sorelle è la strada maestra per realizzarci pienamente a immagine e somiglianza del nostro Padre celeste che ci fa camminare nella sua luce. Il perdono ci libera dai rancori, dall'odio e dal desiderio di vendetta che portano alla morte. Nella situazione di crisi e di sfiducia che, oggi, ci colpiscono, perdonare vuol dire darsi la possibilità di guardare al futuro con ottimismo. Questo processo troverà un terreno fertile nel quadro di una giustizia di transizione, il che consentirà alle vittime e ai loro carnefici di impegnarsi sinceramente in un cammino di riconciliazione e, quindi, di creare spazi per la coesione sociale. È vero, le ferite ancora sanguinano, i ricordi di ciò che abbiamo sopportato sono ancora freschi. Dobbiamo, però, avere il coraggio di aprirci all'azione dello Spirito Santo, che sa ricreare le relazioni spezzate. Perché, come attesta il Santo Padre, Papa Francesco, nella sua Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (n° 178) "Lo Spirito Santo ha una fantasia infinita, in particolare il divino Spirito, che sa sciogliere anche i nodi più complessi e più inestricabili della storia umana". Fiduciosi, testimoniamo oggi l'Amore di Dio Il Vangelo ci rende testimoni e annunciatori della Buona Novella che alimenta la nostra speranza. La costruzione d’un nuovo Centrafrica non si farà senza di noi, chiamati ad essere "sale della terra e luce del mondo" (Mt 5,13 a.14a), perciò chiamati ad essere fattori di cambiamento in seno alla nostra Chiesa e al nostro paese. Abbiamo un ruolo attivo da svolgere con i nostri fratelli e sorelle per il consolidamento della pace e della coesione sociale. Già, al culmine della crisi, abbiamo saputo testimoniare il nostro impegno per Cristo e per l'uomo. Nell’angoscia e nella disperazione, quando Dio sembrava assente, paradossalmente una pietà ancora più grande è emersa tra molti di noi. Ci siamo rivolti sempre più alla preghiera, riponendo la fiducia nel Signore. Quando i villaggi bruciavano e gli spari mettevano sulla via dell’esilio migliaia dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, siamo stati molto numerosi nell’offrire loro ospitalità, condividendo la nostra povertà con chi non aveva nulla. Ci siamo protetti gli uni con gli altri, senza tener conto della regione, dell’etnia e della religione. Testimoniare l'amore di Dio, oggi, in questo tempo di crisi e di tensioni settarie, vuol dire portare il messaggio della tolleranza, della riconciliazione, del dialogo, del rispetto reciproco, della verità e della giustizia (cfr Africae Munus 163). Noi testimonieremo la maturità della nostra fede e il nostro senso di responsabilità cristiana, diventando garanti dei nostri fratelli e sorelle e creando nelle nostre regioni, città e co- 53 munità, degli organi permanenti di dialogo intercomunitario. Ciò richiede da parte di tutti e di ciascuno una grande disponibilità ad ascoltare la Parola di Dio per esserne trasformato. È un cammino di fede che proponiamo per uscire dalla crisi. Cari fratelli e sorelle, è ancora possibile uscirne. Non siamo soli. Cristo, risorto e glorioso, profonda sorgente della nostra speranza, è sempre con noi. Mai verrà meno il suo aiuto. Con Papa Francesco, crediamo che "Dove tutto sembra essere morto, dappertutto, i semi della resurrezione riappaiono ... È vero che Dio spesso sembra non esistere: vediamo che ingiustizia, malvagità, indifferenza e crudeltà non si attenuano. Ma è anche vero che al buio comincia sempre a germogliare qualcosa di nuovo, che prima o poi porterà frutto”. «Spirito Santo, fa di noi degli operatori di pace. La pace che è amore e giustizia, verità e dignità, rispetto e unità. Che questa pace sia nel nostro cuore, nelle nostre parole e nelle nostre azioni». (à la CECA, le 28 giugno 2014) Ti stai per sposare? Pensa che il giorno più bello della tua vita può essere una data importante anche per chi nel mondo combatte ogni giorno per vivere. Scegli di sostenere i progetti in Africa, quando festeggi il tuo matrimonio e tanti altri eventi speciali: c o m u n i o n i , c re s i m e , l a u r e e , b a t t e s i m i , c o m p l e a n n i ... Puoi scegliere: Bomboniera con confetti Pergamena Donazioni libere per specifici progetti Per maggiori informazioni contatta Benedetta Farina Tel 091 332213 - [email protected] Brasile Ritorno a Bonfim di P. Gigi Muraro SI D a un paio di mesi, ho lasciato Manaus per raggiungere Bonfim, all’estremo Nord del Brasile, dove tre frontiere si toccano, località che è stata conosciuta dai Gesuiti brasiliani nel 2008. Io stesso vi arrivai, quasi alla fine di quell’anno, con il solito lavoro di costruttore edile e, anche, come Missionario. Dopo tre mesi di sudore, il 30 marzo 2009, inaugurammo il nostro domicilio alla presenza del Vescovo, dei Gesuiti della Guiana e delle Suore di varie congregazioni. Sembrava che tutto andasse bene, ma il Signore mi ha dato una bella croce: tornando in motocicletta da un villaggio indigeno, proprio nel giorno di Pasqua, ho avuto l’AVC (Accidente cerebrovascolare). Otto giorni all’ospedale a Boa Vista, altri cinque mesi a Belém e, poi, sono ripartito per Manaus. Da allora sono trascorsi cinque anni e adesso sono nuovamente a Bonfim, nello stato di Roraima, di cui cercherò di descrivere non solo il paese, ma anche di raccontare la storia della regione. Bonfim, a poca distanza, un pezzo d’Inghilterra A poche centinaia di metri da Bonfim, si parla… inglese; sulle strade le auto viaggiano a sinistra, hanno il volante a destra, qua e là varie pittoresche villette a colori, le impeccabili divise oxfordiane degli alunni, le ferie in estate ... è il paese della Guiana dove, però, non si trova neppure un inglese, a eccezione di qualche raro gesuita, soltanto criouli, macuxi e wapixana. Sull’altra sponda del fiume Tacutú che segna la linea di confine, il Brasile è totalmente diverso: gli scolari frequentano le scuole fino a dicembre, la lingua è quella brasiliana, le divise sono … più o meno, i soldi sono il “real” (vale 100 volte il “dollaro” guiano), la frontiera non esiste... I Gesuiti inglesi nella Guiana arrivarono nel 1910 e posero la loro residenza nella cittadina di Lethen, sulla sponda del fiume Tacutú. I “nostri” Gesuiti, i brasiliani, invece, apparvero soltanto nel 2008, sul lato opposto, su richiesta del Vescovo di Boa Vista (Roraima). C’era una casa semidistrutta. Uno studente gesuita si incaricò della ricostruzione: i mesi passavano e non si arrivava mai alla fine. Impazienti, sia il Vescovo sia il Superiore dei gesuiti della Amazzonia, risolsero di chiamarmi da Manaus. Cosí in tre mesi si inaugurò la residenza ufficiale il 30 marzo 2009, con la numerosa partecipazione dei Gesuiti, guiani e brasiliani, Suore di Boa Vista e autorità ecclesiastiche della Diocesi. Ma torniamo ai primi tempi dell’Amazzonia, regione di milioni di indios. Purtroppo nel secolo 1600, arrivarono i Portoghesi: dapprima il Maranhão, dopo il Pará e poi avanti: le stragi furono infinite. I Gesuiti di São Luís, nel 1662, affermarono che due milioni di indios furono trucidati. La matematica era balorda - non c’erano numeri - ma senza dubbio le tribù furono spopolate. Rimanevano ancora da raggiungere le terre dell’Amazonas e del Rio Negro. 55 56 La finalità era ridurne le popolazioni in schiavitù per farle lavorare nelle fazendas, ma la violenza, lo sfruttamento e le malattie ridussero il numero degli indigeni a circa il 20% dei sopravissuti. C’era bisogno di lavoratori, ma gli indios o morivano o fuggivano. Allora, nel 1700, la caccia si spinse nei luoghi più lontani e cosí si scoprì il Rio Branco, terra di centinaia di migliaia di tribù. Quella regione oggi è Roraima. Purtoppo il grande la Raposa Serra do Sol fiume conobbe la doppia schiavitù: da una parte i coloni del Pará, dell’altra parte arrivarono gli olandesi. Un missionario gesuita italiano, Avogadri, scrisse al Superiore che il massacro degli indios era assurdo! Il Superiore – da Belém – rispose che c’erano le leggi: che si rivolgesse ai giudici. Cosí, gli indios, quando arrivavano a Belém, un quarto di loro era ancora in vita; tutti gli altri morti, di fame, gettati nel fiume. Verso la fine del 1700, il Vescovo (fratello del Marchese di Pombal), contò che nel grande Rio Branco aveva soltanto sparute centinaia di indios. Insomma, un disastro! Il futuro Stato di Roraima era, quindi, essenzialmente semideserto. Incalzati dagli spagnoli del Venezuela, per assicurare il lavoro agricolo nelle loro terre e nelle fazendas, nel secolo XIX, gli indios macuxi e wapixana cercarono rifugio a Nord delle montagne e valli della Roraima – la Raposa Serra do Sol (Terra della volpe e Montagna del Sole), nel Nord del Brasile, al confine con il Venezuela e la Guyana. È una regione di spettacolare bellezza, ammantata di montagne, foreste, savane, fiumi e cascate. Il territorio ha un’ampiezza di circa 1,7 mili oni di ettari ed è la patria di circa 18-20.000 Indios – e vi si stabilirono. Nel 1900 arrivarono i Benedettini che si dedicarono all’annuncio cristiano agli indios e aiutarono i primi nuovi coloni brasiliani nel villaggio di Boa Vista, oggi capitale dello stato. Una grande regione pressoché spopolata. Finalmente la popolazione aumentò per due motivi. Nella Guiana, tra il 1962-66, c’è stata una q uasi guerra civile, tra indiani e criouli. Questo spinse migliaia di Macuxi e Wapixana ad abbandonare il paese, attraversando il fiume Tacutú e trasferendosi così in Brasile. L’altro motivo fu la costruzione della strada Manaus-Boa Vista, che attrasse molti contadini, venuti specialmente dal Maranhão e dal Pará. Triste sfortunatamente il prezzo della strada: circa tremila indios waimiri-atroari della foresta (dati ufficiali del Governo nel 1972), nel 1980 passarono all’esiguo numero di 375 indios: sparirono! Era il tempo della Dittatura. Ancora non era permesso parlare dell’uccisione di Padre Giovanni Calleri e compagni (Sacerdote della diocesi di Mondovì, dell'Istituto Missioni Consolata, nel 1962 fu inviato nell'Amazzonia brasiliana, dove i quattro gesuiti della comunità Moscow di Bonfim, a sinistra, P. Gigi Muraro tra gli indios Yanomami precorse i tempi, iniziando e sviluppando nuovi metodi di contatto e dialogo, nel rispetto e in difesa dell'uomo, della sua identità e cultura. Morì, assassinato, nel 1968, durante una missione pacificatrice per la salvaguardia degli indios Waimiri Atroari e dei loro insediamenti, ndr). Nel 1965 arrivò un prete italiano - soltanto il suo nome, Luigi - che fondò la prima chiesetta di Bonfim. Poco tempo dopo abbandonò la vita clericale... ma, comunque, alcuni cristiani, brasiliani e ex-guiani, proseguirono la Chiesa. Vari altri sacerdoti, di Boa Vista, apparivano a celebrare Messe e battesimi. Suore si aggiunsero, saltuariamente. Infine, ormai siamo nell’anno 2000, il Vescovo Rocco decise di trovare un pastore del gregge. Cosí arrivarono i Gesuiti; i tre candidati per vari motivi, dopo pochi mesi, rinunciarono... ma, intanto, la Compagnia di Gesù restò e crebbe. Oggi sono quattro i Gesuiti a Bonfim. La Parrocchia di Bonfim si estende al di qua della Guiana per 300 km del fiume Tacutú. La maggioranza degli guiani si è insediata da circa 50 anni, ragion per cui si parla in inglese-brasilianomacuxi (o wapixana). Ma ci sono parecchi autentici brasiliani, soprattutto del Maranhão. Numericamente: la sede, Bonfim, ha 4 mila abitanti (metà guiani, metà brasiliani); sparse nella regione 18 Comunità: tre brasiliane, 6 wapixana, 4 macuxi, 5 comuni. Complessivamente, 13 mila abitanti (kmq 1,18). I Gesuiti iniziarono insieme, ma, più tardi, studiarono un nuovo sistema. La distanza che separava Bonfim dalle Comunità arrivava a più di 200 Km, obbligando a spese pesanti del combustibile, oltre ai viaggi. Decisero, perciò, che due restassero nella casa-madre, gli altri due costruirono una baracca, in legname, in mezzo ai villaggi indigeni. Scelsero per la Comunità il nome originale di Moscow (di varie etnie). Ogni mese i quattro Gesuiti si trovano per la condivisone fraterna. 57 Ricordando Italia P. Ermanno Giannetto SI un padre per i missionari di Grazia Salice I 58 l Signore ha chiamato a Sé P. Ermanno Giannetto SI, mercoledì 16 giugno 2014 dall’infermeria dell’Aloisianum di Gallarate dove era stato recentemente trasferito per problemi cardiaci. Era nel suo 91° anno di età e 72° di Compagnia. I funerali sono stati celebrati martedì 17 giugno alle ore 11.00 presso la Chiesa del S. Cuore di Gallarate. P. Giannetto era nato a Torino il 20 aprile 1924. Entrato nella Compagnia il 3 settembre 1942 a Cuneo, dopo il Noviziato vi fece anche tre anni di ‘Carissimato’. Tra il 1947 e il 1950 studiò la Filosofia all’Aloisianum di Gallarate, cui seguirono due anni di ‘Magistero’ all’Arecco di Genova e un altro anno a Cuneo; si trasferì a Messina per la Teologia dal 1953 al ‘57. Ricevette l’ordinazione presbiterale il 15 luglio 1956, a Chieri. Dopo il Terz’anno a Fiesole, la prima destinazione, dal 1958 al ’61, fu ad Arona (NO), come assistente alle opere giovanili e direttore delle Leghe di Perseveranza. Seguì il trasferimento a Torino, all’Istituto Sociale, con l’incarico di ministro e vicerettore, per essere inviato nuovamente ad Arona come superiore e direttore delle Leghe di Perseveranza. Dal 1966 al ’69 fu destinato a Genova all’Istituto Arecco dove svolse gli incarichi di ministro, vicerettore e docente di religione; di là a Chieri, dal 1969 al 1982, dove insegnò religione e diresse la rivista ‘La Fiamma’. Iniziò poi una lunga permanenza al Gesù di Genova (1982-2014) con l’incarico di docente di religione all’Istituto Ravasco, operando, contemporaneamente, in ambito pastorale con Esercizi, Confessioni. Uomo battagliero, il suo grande impegno lo riversò alla Procura delle Missioni per il Madagascar e l’Estremo Oriente. Si calò in questa esperienza, scoprì da fratello la sofferenza della povera gente e, mosso da un amore sincero per Dio Padre e per i suoi figli, era solito dire: “Fai tutto per amore, abbandonati alla volontà di Dio con amore”. Dotato di senso pratico, colse i segni dei tempi e avvertì l’urgenza di trovare nuove strade per il sostegno delle missioni nei paesi in via di sviluppo. Non risparmiò energie e non si diede per vinto fino a che il 4 gennaio 1988 fu costituita l’Associazione MAGIS per coordinare e realizzare i progetti di cooperazione allo sviluppo umano, culturale e socioeconomico in collegamento alle attività dei Missionari gesuiti. Dal 1988 al ’93 ne fu presidente e, al termine del mandato, vicepresidente. Quella di P. Giannetto è un po’ anche la storia della nostra rivista, perché fu tra i fondatori e per anni tra i più assidui collaboratori. Vent’anni fa - perché proprio quest’anno ricorre il 20° di questo notiziario – scriveva: “La Procura di Genova ha un debito di ringraziamento verso tutti quei lettori del primo numero di GMI che a voce o per iscritto hanno espresso apprezzamento per la pubblicazione delle foto dei singoli missionari con il relativo curriculum vitae e luogo di lavoro…”. La nota missionaria è certamente stata quella che più ha caratterizzato la sua vita e con gratitudine e affetto lo ricordano i padri e i fratelli gesuiti italiani in Madagascar che in lui trovavano l’attenzione di un “padre” sollecito alle loro necessità non solo in occasione dei loro rientri periodici in Italia, ma che anche li visitava nella loro terra di missione, condividendone le preoccupazioni, le fatiche e le speranze. Sensibilissimo alle sofferenze dell’uomo - chi lo ha conosciuto lo ha visto piangere di compassione - si chinava con amore rispettoso della dignità altrui e non desisteva fino a che non aveva trovato chi potesse dare una mano per alleviare queste sofferenze. Non risparmiava energie nel sollecitare i benefattori ad accompagnare nel loro impervio cammino i missionari che spronava nel contempo a scrivere per condividere la ricchezza della loro esperienza: “È innegabile che il lavoro vi assorba ma nella quasi totalità rimane sommerso o almeno non comunicato a coloro che da queste testimonianze sarebbero infervorati”. Ricordava le parole del Vangelo: “Operate alla luce del sole, perché si vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre che è nei cieli”. Generoso ma anche irruente nei rimproveri quando dei silenzi un po’ troppo prolungati facevano tardare le notizie dalla grande Isola - scriveva - “…gli unici che dovrebbero sentire l’impegno di comunicare i particolari del loro lavoro missionario e di promozione sociale, sono quanto mai latitanti… La rivista è loro, è loro questo campo di evangelizzazione scritta, molto superiore al ristretto entourage in cui si svolge il loro lavoro”. Brasile - Albania P. Luciano Fozzer SI missionario tra 2 mondi di Grazia Salice P adre Luciano Fozzer, “decano” dei gesuiti italiani, ci ha lasciato alla vigilia dei suoi 102 anni, che avrebbe compiuto il primo settembre. Il Signore l’ha chiamato il 25 luglio scorso alle ore 22, dall’infermeria dell’Aloisianum di Gallarate. Nato a Trento il 1° settembre 1912 da due genitori la cui prima preoccupazione era la formazione cristiana dei figli: “quasi non si riesce a capire - ricordava - come mio padre, con tutto quel l avoro sulle spalle, con la numerosa famiglia da sostenere anche nelle difficoltà della prima guerra mondiale e tanti problemi extra, trovasse ogni mattina il tempo per un’ora di adorazione in ginocchio in chiesa e la sera, in casa, sempre in ginocchio sul pavimento, per il rosario e altre orazioni (non certo affrettate!) assieme a tutta 59 la torma dei 10 figli! Quando chiesi di farmi gesuita, il papà insisteva perché almeno entrassi in seminario. Tagliai corto: o gesuita o niente.” Entrò a vent’anni nella Compagnia a Gorizia il 12 novembre 1932. Nel 1934 a Lonigo per il ‘carissimato’, l’anno dopo a Gorizia per la Filosofia e di là il trasferimento, per il secondo anno nel risorto Aloisianum nella nuova sede di Gallarate assieme a tanti altri nuovi arrivati dalla provincia Torinese, dalla Napoletana e parecchi anche da fuori d’Italia. E mentre studiava, il maturare della vocazione: “Grazia di Dio, certo, e immensa! – così scriveva - Sognavo anch’io, come un po’ tutti, le missioni. Così nel 1938, a conclusione del terzo anno accademico, sulla scalinata dell’Aloisianum, davanti a professori, alunni e ad una discreta folla, tra i tre con la veste bianca che partivano per l’India, c’era la pecora nera (ero l’unico in talare nera) che andava a fare il magistero a Scutari”. Dopo due anni di magistero a Scutari, già iniziata la guerra - era il 1940 - per la Teologia fu diretto a Chieri (TO) dove, il 15 luglio del 1943, fu ordinato dal Card. Fossati. Nel ‘44 ricevette la sua prima missio a Trento come ‘sottoministro’ e confessore, poi due anni come ministro a Padova. Nel ‘47, il Terz’anno di probazione a Firenze con P. Bianchini come istruttore. Nel ‘48 tornò ancora per un anno a Padova come direttore della scuola di religione e, il 2 febbraio 1949, vi fece gli Ultimi Voti. Tra il 1949 e il ‘53 fu ministro nelle comunità di Bassano e Bergamo. Nel 1953 fu destinato alla missione nel grande Brasile dove operò per 38 anni da Salvador Bahia, a Sao Luis, poi a Belém come ministro, parroco, economo e padre spirituale e, come lui stesso ricordava, con gli ultimi 11 a Manaus, veramente splendidi, vivendo con e per i poveri. Scriveva in occasione del Natale 1988: “Ma noi missionari che facciamo? … è certo che, grazie a Dio, ci si sforza per inserirci nei problemi di questo povero popolo. L’opzione preferenziale per i poveri non è rimasta teoria. C’è una gran bella differenza tra ieri e oggi. Almeno si comincia a capire che i poveri non possono essere soltanto l’oggetto di un’elemosina, né basta l’assistenzialismo o solo insegnare “a pescare”. Non nascondono forse il Cristo vivo? (Mt 25, 40). Dobbiamo proprio convincerci che loro sono non solo l’oggetto, ma proprio anche il soggetto dell’evangelizzazione di questo povero mondo pagano. È la rivoluzione cristiana dei concetti e della vita”. Era il 1991 e aveva ormai a 79 anni quando giunsero notizie dei grandi cambiamenti in Albania, la sua Albania. Chiese di ritornarvi, lo accettarono … e la grande avventura continuò, per altri 22: l’Albania, la sua patria d’adozione, una scuola di resistenza non da poco. A Scutari rimase fino al 2011, svolgendo compiti di ministro, economo , confessore e mettendo a frutto quel suo geniaccio tecnico-pratico. Nel 2011, a 99 anni, il suo rientro definitivo in Italia, a Gallarate, impegnato presso l’Associazione degli albanesi in Italia e senza mai interrompere il ministero delle confessioni. 60 Gesuita di grandissima generosità apostolica e di fede solidissima, come testimoniano le sue parole: l’augurio infinitamente più bello è augurarmi un a buona morte nella grazia di Dio, senza fare tanta “contabilità” sul tempo. Io sono sempre pronto a partire. Fatemi questo bel regalo: di pregare per questo vecchiaccio missionariello gesuita trentino che aspetta con ansia “la casa del Padre”. Anch’io non so augurarvi cosa migliore, perché proprio non c’è. E ti ringrazio, mio Dio, che le cose non vanno a modo mio! Ciad P. Luigi Lomazzi SI un contemplativo nell’azione di P. Pio Adami SI P ère Lo-magi - così era pronunciato il suo nome in Ciad dove “Lo-magi” significa luogo/momento buono, opportuno - ci ha lasciato mercoledì 24 settembre alle 21.40, nell’infermeria dell’Aloisianum di Gallarate, assistito da Fr. Alberto Chiappa, per tanti anni compagno in missione. Era ormai prossimo ai 91 anni. Le esequie sono state celebrate nella chiesa del S. Cuore, alla presenza del fratello Luciano, della sorella Giuseppina, di due nipoti, due Padri e un Fratello Comboniani, i confratelli gesuiti, amici che gli sono stati vicini sempre, altri amici trovati a Gallarate, laici che hanno collaborato con lui in Ciad, il personale che l'ha assistito... Nato a Concadirame (Ro) il 25 novembre 1923 da Francesco e Teresa Boscolo, P. Luigi era entrato in Seminario, ma con un'idea chiara: essere accolto in Compagnia, dove approdò all’età di 18 anni, con già nel cuore il desiderio della missione in Giappone o in India o in Brasile. Dopo l’ordinazione fu invece destinato come assistente alla Lega Missionaria Studenti della Provincia veneto-milanese e a lavorare a Venezia con P. Zarattini alla rivista “Popoli e Missioni” per la propaganda missionaria nei Collegi. Ricordo che aveva organizzato un campo estivo in Val di Fassa per ragazzi come me - avevo 15 anni - campo nel quale ci mise in mano microfoni, proiettore, diapositive, magnetofono, fili d'ogni genere. Diceva: per un montaggio e delle proiezioni. Lo stile suo c'era già. Sempre è stato interessato agli strumenti audiovisivi, perché gli operai apostolici se ne servissero per il Vangelo e per permettere ai giovani di impratichirsene, uno stile che poté mettere a frutto nel 1983 quando fu chiamato a Sarh (Ciad) dove incominciò la grande e affascinante avventura con la nascita del SAVE (Servizio Audio-Visivo per l’Educazione) per sostenere le attività della Chiesa locale in collaborazione con il BELACD (Bureau d’Etudes et Liaisons des Actions Caritatives Diocésains). Qualche ora prima della sua morte era ancora al computer, intento ad un articolo al quale lavorava. Alla sua insistente richiesta di partire missionario, il P. Provinciale rispose che di fatto lavorava già per le missioni, destinandolo al Ciad, quando ormai P. Luigi era prossimo ai 36 anni. Arrivò a Koumra il giorno dell'Annunciazione, era il 25 marzo 1959, per assumere, il 15 agosto di quell’anno, ufficialmente l’incarico della sua nuova parrocchia: 6 cantoni, ciascuno formato da un insieme di villaggi. Ogni giorno cambiava villaggio, il pasto lo consumava in una famiglia e nel cammino di annuncio del Vangelo non mancava mai di somministrare medicine che portava con sé per la cura degli ammalati a lui segnalati. Lasciò definitivamente il Ciad nel maggio 2012. 61 Proprio lui nel 1965 mi accolse per il Magistero, nella parrocchia di Goundi, che aveva fondato col nome dell'Annunciazione, e dove F. Maffioletti aveva costruito la bella casa. Dare testimonianza di Cristo e fondare comunità di credenti è quanto ha fatto P. Luigi nella sua attività apostolica e questo non solo in Ciad. P. Luigi percorreva la regione vivendo alla maniera degli apostoli inviati da Gesù; andava verso i villaggi più importanti, dove c'era già una piccola comunità di battezzati, con una chiesetta di paglia e un gruppo di catecumeni. Ma la gente d'altri villaggi lo fermava lungo la strada, gli impediva di proseguire, bloccava la 2CV, domandava che si fermasse anche da loro a incominciare lì con loro qualcosa, disposti a fare quanto chiedeva. Gli straziava il cuore non poterli accontentare, ma da solo poteva fare poco. Bisognava farsi aiutare. Eccolo allora pensare ai catechisti, ad una scuola permanente per catechisti, alloggiati là dove s'era stabilizzato. Ha ripetuto spesso e con insistenza che se è stato fatto qualcosa per il Vangelo in quelle contrade è sempre stato fatto dai catechisti. I catechisti africani, guidati dai missionari, sono stati l’ossatura di quella Chiesa e della sua vitalità, ne hanno portato tutta la fatica e quindi meritano il riconoscimento. Dai laici africani ai laici europei: ha sempre favorito l'arrivo di laici volontari, cercando, soprattutto, delle coppie di sposi che potessero mostrare un esempio di lavoro e di vita di famiglia cristiana; non potevano essere i soli religiosi, sacerdoti e suore a dare esempio valido di come si può vivere il Vangelo agli sposi, ai genitori, ai figli delle famiglie tradizionali. Così a Goundi, così in seguito a Bedaya, così ancora a Béboro, tutte parrocchie situate in zona rurale. Di pari passo con l'impegno apostolico, la sua attenzione al problema della salute. Fu lui che fece arrivare a Goundi le suore della Carità di Brescia a fondare una Maternità e una Pediatria. Ormai anziano, gli fu chiesto di svolgere attività di cappellano dell'ospedale di Sarh, il capoluogo. Negli ultimi anni poté solo avere un'attenzione particolare e generosa per le giovani mamme colpite dall'AIDS. A vederlo così minuto, uomo buono, schivo di pretese, sempre sorridente e accogliente non lo si immaginava forte di carattere, di grandi idee, capace di impegno e costanza nel tempo. È stato un gran lavoratore, sempre occupato fino a tarda notte, incurante del cibo e del sonno, uomo di preghiera e di mortificazione, e di grandi ideali. Il suo interesse: il Vangelo e le persone nelle loro sofferenze. A volte sembrava utopico e un po' ingenuo, lontano dalla realtà. Col tempo s'è visto che dov'è passato, ha molto inciso nelle persone. Ha lasciato una traccia indelebile di Vangelo. Da parte nostra conserviamo di P. Luigi il ricordo di una vita umana, religiosa e sacerdotale riuscita e esemplare, una vita spesa per Gesù, il Cristo di Dio e il Vangelo. un aiuto concreto? un segno di fraternità? un modo vero per sostenere i missionari nella loro vita di tutti i giorni? FAR CELEBRARE UNA MESSA PER I DEFUNTI! tra le causali del bollettino aggiungere nella casella vuota “Messa” ccp 909010 Le sedi del MAGIS ROMA Via degli Astalli, 16 - 00186 Roma - tel. 06 69700327 - fax 06 69700315 e-mail: [email protected] MILANO Piazza San Fedele, 4 - 20121 Milano - tel. 02 863521 e-mail: [email protected] PALERMO Piazza Casa Professa, 21 - 90134 Palermo - tel. 091 332213 - fax 091 6111549 e-mail: [email protected] GALLARATE Via Gonzaga, 8 - 21013 Gallarate (VA) - tel. 0331 714833 - fax 0331 775589 e-mail: [email protected] Come sostenere i nostri progetti CONTO CORRENTE POSTALE n° 909010 - intestato a MAGIS - Via degli Astalli, 16 - 00186 Roma CONTI CORRENTI BANCARI SANPAOLO IMI SPA - Via della Stamperia, 64 - 00187 Roma MAGIS IT 07 Y 03069 03200 1000 0050 9259 SANPAOLO IMI SPA - Via Roma 405 - 90133 Palermo MAGIS IT 91 X 03069 04600 1000 0000 2339 BANCA POPOLARE DI BERGAMO - Via Manzoni 12 - 21013 Gallarate (VA) MAGIS IT 23 W 05428 50240 0000 0002 7366 Con una donazione on line www.magisitalia.org “come partecipare” CON UN LASCITO TESTAMENTARIO Le donazioni sono deducibili dalle imposte
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