il caso del settore motoristico di Bologna

1
INDICE
Introduzione
9
CAPITOLO PRIMO
LE RETI DI IMPRESE
1.1 Le origini degli studi sulle reti
11
1.1.1 La scuola di Manchester
13
1.1.2 Analisi strutturale delle reti
15
1.2 Il ruolo delle reti di cooperazione tra imprese
18
nell’economia contemporanea
1.3 Reti, imprese e mercati
22
1.4 Teorie organizzative e reti tra imprese
24
1.4.1 Incertezza ambientale e la dipendenza dalle risorse
24
1.4.2 Teoria dello scambio o del potere di mercato
27
1.4.3 Homophily theory o Prospettive della prossimità
28
sociale e organizzativa
1.4.4 Reciprocità
30
1.4.5 Efficienza economica: costi di transazione e
30
costi di produzione
1.4.6 Complementarità e sviluppo delle competenze
32
1.5 La teoria dei costi di transazione
34
1.6 L’emersione della rete di imprese come forma
37
organizzativa specifica
1.7 Specializzazione produttiva, stabilizzazione delle relazioni
tra imprese e mobilità intra-rete
2
38
1.8 Sistemi di rete, modelli organizzativi ed interdipendenza dalle risorse
40
1.9 Spazi e strumenti giuridici nella definizione dei sistemi di rete
41
1.9.1 Legge su reti di imprese
44
1.9.2 Regolazione, autoregolazione e modelli di governo
46
1.9.3 I modelli di rete nella teoria dell’impresa e la loro incidenza
49
sui profili giuridico – organizzativi
CAPITOLO SECONDO
RETI DI IMPRESE TRA SVILUPPO E CRISI
2.1 Reti di imprese, nuove tecnologie ed innovazione organizzativa
51
2.2 Le componenti delle reti
53
2.3 Tipologie di reti d’impresa
54
2.3.1 Le reti burocratiche
55
2.3.2 Reti proprietarie
59
2.3.3 Reti centrate e reti simmetriche
61
2.3.4 Le reti di produzione: le relazioni di sub-fornitura
65
2.3.5 Le reti di distribuzione: il contratto di franchising
71
2.3.6 Altri modelli di classificazione delle reti tra imprese
78
2.4 La progettazione e la gestione strategica della rete
2.4.1 Le fasi della pianificazione nella gestione strategica delle reti
2.5 Il finanziamento dell’impresa nella rete ed il diverso ruolo delle banche
e degli altri intermediari
3
81
84
96
CAPITOLO TERZO
LA GOVERNANCE DELLA RETE
3.1 I sistemi di coordinamento delle imprese. Brevi riflessioni sui rapporti
99
tra reti e gruppi di imprese
3.2 Reti, gruppi e la distinzione tra coordinamento gerarchico e paritario
103
3.2.1 Unità ed autonomia nelle reti e nei gruppi
106
3.2.2 La rilevanza dell’interesse di rete e la disciplina del conflitto di interessi
108
3.3 Alla ricerca delle differenze tra rete e gruppo di imprese quali sistemi
110
di coordinamento
3.4 Il sistema di responsabilità della rete e nella rete. Analogie e differenze
con i gruppi
113
3.5 Modelli di coordinamento inter-imprenditoriale: tra contratti ed organizzazioni
115
3.5.1 Modelli contrattuali di coordinamento tra imprese
115
3.5.2 Modelli organizzativi di coordinamento tra imprese
124
3.6 Il contratto come strumento di governo delle reti: alcune fattispecie rilevanti
127
3.6.1 Reti di imprese e contratto di subfornitura
128
3.6.2 Il contratto per l’allocazione dei diritti di proprietà intellettuale
137
o altri diritti connessi all’organizzazione della conoscenza
4
CAPITOLO QUARTO
IL CONTRATTO DI RETE
4.1 Reti, distretti e politiche industriali
141
4.1.1 Reti di imprese, interdipendenze e complementarità
142
4.1.2 Reti contrattuali e contratti di rete: le ragioni e l’ambito di un
144
intervento legislativo
4.1.3 Il contratto transtipico di rete
146
4.1.4 Le caratteristiche del contratto di rete
147
4.1.5 Profili strutturali della rete
150
4.1.6 L’organo comune e la governance della rete
153
4.1.7 La responsabilità per inadempimento dei partecipanti alla rete
155
e quelle della rete verso i partecipanti ed i terzi
4.2 La governance del contratto di rete
157
4.2.1 Il governo della rete tra programmazione strategica ed esecuzione
del contratto
157
4.2.2 La natura giuridica dell’organo comune
159
4.2.2.1 La natura dell’organo comune nelle reti meramente contrattuali
159
4.2.2.2 La natura dell’organo comune nelle reti a rilevanza esterna
161
4.2.3 Poteri rappresentativi. Modelli alternativi di organo comune
161
4.2.4 Il ruolo dell’organo comune tra esecuzione del contratto di rete
162
ed esecuzione dei contratti attuativi del programma
4.2.5 Regole di funzionamento dell’organo comune tra doveri fiduciari
e responsabilità
164
4.3 Contratto di rete, fondo comune e responsabilità patrimoniale
4.3.1 La dimensione patrimoniale del contratto di rete: fondo patrimoniale comune
164
164
e patrimoni destinati
4.3.2 Il fondo patrimoniale comune e la sua formazione
5
165
4.3.3 La gestione del fondo patrimoniale comune
167
4.3.4 La destinazione del fondo e dei proventi della gestione
168
4.3.5 Fondo comune e responsabilità patrimoniale
170
4.3.6 Gli effetti patrimoniali del recesso e dello scioglimento della rete
170
4.3.7 L’istituzione di patrimoni destinati: una strada accessibile
171
4.4 Caso contratto di rete a Bologna: il caso «RaceBO»
172
4.5 Conclusioni
177
CAPITOLO QUINTO
IL SETTORE MOTORISTICO BOLOGNESE
5.1 Reti di imprese e sistema economico locale. Industria meccanica
179
e comparto motoristico a Bologna (1919-1971)
5.2 Ritmi e caratteri dell’industrializzazione a Bologna: la vocazione
alla piccola impresa
181
5.3 La formazione di una «rete di imprese»: nascita dell’industria motociclistica
a Bologna
186
5.4 Miracolo economico e motorizzazione di massa
192
5.5 L’organizzazione del sistema di imprese
196
5.6 La Ducati nel distretto meccanico bolognese
202
5.6.1 Le società proprietarie di Ducati Motor Holding S.p.A
220
5.6.2 Il Gruppo Ducati
221
5.6.3 Il marchio “Ducati” nel mondo
223
5.6.4 Imprese controllate
226
5.6.5 Strategia
228
5.6.6 L’organizzazione della produzione ed i rapporti con i fornitori
230
5.6.7 Distribuzione, i “Ducati stores”
233
6
5.6.8 Ricerca e sviluppo
237
5.6.9 Il reparto design
239
5.6.10 Marketing, Promozione e Pubblicità
240
5.6.11 Sistema informatico
242
5.6.12 Pubbliche relazioni
243
5.7 DIMOTER (Distretto Motoristico-moticiclistico Telematico Emilia Romagna)
243
5.8 Motivazioni che spingono all’acquisto di una motocicletta
246
5.9 Il mercato della moto in Italia
248
5.10 Crisi del settore motociclistico in Italia
251
5.11 Casi di rete di imprese nel settore della meccanica in Emilia Romagna
253
5.11.1 Caso CoxaNet
253
5.11.2 Caso DiCo Service
256
5.11.3 Caso Hi-Mec.it
260
5.12 Conclusioni
264
CONCLUSIONI
267
BIBLIOGRAFIA
269
SITOGRAFIA
280
7
A mia madre, a mio fratello Silvio,
A mio padre in particolare che
da pioniere ha viaggiato in tutta Europa e in America
con un ciclomotore diffondendone l’importanza
al servizio dell’uomo moderno
8
INTRODUZIONE
Il mio lavoro nasce con l’intento di approfondire il fenomeno delle reti di imprese.
Esso è suddiviso in 5 capitoli dei quali 4 teorici e 1 capitolo dedicato al settore
motoristico bolognese.
Nel primo capitolo vengono trattate le origini degli studi sulle reti con l’obiettivo di
introdurre i concetti di base all’approccio reticolare. Il metodo è quello di
ripercorrere in chiave storica alcune tappe fondamentali del processo di ibridazione
tra contributi e discipline, attraverso cui si è formato il campo di conoscenze della
prospettiva reticolare, trattando anche l’aspetto delle reti tra imprese nell’economia
contemporanea.
Il secondo capitolo tratta le reti di impresa tra sviluppo e crisi e si analizzano
analogie e differenze rispetto al distretto industriale. Inoltre, si esaminano le varie
tipologie di reti di imprese, si approfondisce il tema della progettazione e gestione
strategica delle reti, si analizzano i vantaggi e i rischi delle reti di imprese.
Il terzo capitolo tratta della governance delle reti e in particolare dei rapporti tra reti e
gruppi di imprese. Viene analizzata la differenza tra coordinamento gerarchico e
coordinamento paritario. Successivamente viene affrontato l’aspetto del sistema di
responsabilità della rete e nella rete sempre facendo la differenza con i gruppi. Nello
stesso capitolo vengono trattati i vari modelli di coordinamento inter-imprenditoriale
tenuto conto che la funzione centrale della rete è assicurare la circolazione delle
informazioni e ridurre i problemi derivanti dalle asimmetrie informative tra imprese
ma anche tra queste e i terzi.
Nel quarto capitolo viene analizzato il “contratto di rete” disciplinato dalla legge n.33
del 2009. Vengono approfondite le ragioni e l’ambito dell’intervento legislativo, le
caratteristiche del contratto e le due componenti del contratto che sono l’organo
comune e il fondo patrimoniale comune, vengono trattate le responsabilità
contrattuali in caso di inadempimento. In seguito viene analizzato un caso pratico di
contratto di rete, il caso «RaceBo».
Il quinto capitolo si concentra sul comparto motoristico bolognese. Dopo aver
trattato della nascita dell’industria motociclistica a Bologna, con la diffusione della
9
motorizzazione di massa, si esamina una delle più importanti imprese leader
nell’ambito del distretto meccanico bolognese che è la Ducati Motor Holding S.p.A.
Si traccia la storia dell’azienda partendo dal 1925, anno in cui i tre fratelli Ducati
fondarono la Società Scientifica Radio (SSR), fino al momento della formazione
della Holding. Vengono esaminate le varie aree funzionali (produzione, rete
distributiva con i cosiddetti Ducati stores, ricerca e sviluppo, reparto design,
marketing promozione e pubblicità, ecc.) e si analizzano le relazioni di
collaborazione con i fornitori. Infine, l’ultima parte del lavoro è dedicata ai casi
CoxaNet, DiCo Service e Hi-Mec.it.
10
CAPITOLO PRIMO
LE RETI DI IMPRESE
1.1
Le origini degli studi sulle reti
L’obiettivo di questo paragrafo è introdurre i concetti di base dell’approccio
reticolare. Il metodo adottato è quello di ripercorrere in chiave storica alcune tappe
fondamentali del processo di ibridazione tra contributi e discipline attraverso cui si è
1
formato il campo di conoscenze della prospettiva reticolare .
Le prime tracce degli studi sulle reti sono riconducibili a discipline considerate
distanti dall’organizzazione delle attività economiche, dall’economia e, in particolare
dall’economia d’azienda.
Lo studio dei network nasce come studio delle reti sociali, nell’ambito di contesti
extra- aziendali e, in genere, extra- organizzativi. Secondo questa accezione, le reti
sociali si riferiscono a: «Specifici insiemi di legami interpersonali caratterizzati dalla
proprietà per cui la natura delle relazioni, nel complesso, può essere utilizzata per
predire e interpretare il comportamento sociale degli individui»2.
Malgrado sia solo alla fine della Seconda guerra mondiale che lo studio delle reti
sociali assume un rilievo importante per quantità e qualità degli studi, già agli albori
del Novecento vi erano stati interessanti tentativi di ricerca sul tema. Particolare
attenzione era prestata alle reti di comunicazione e di interazione tra gli individui. I
processi di comunicazione e il trasferimento delle conoscenze, la diffusione e la
conservazione dei valori, delle culture e dei linguaggi attraverso lo scambio sociale,
erano infatti considerati elementi fondamentali per la comprensione delle dinamiche
sociali, soprattutto nelle società preindustriali. Il fondamento teorico e l’interesse
empirico per lo studio delle reti è radicato nell’osservazione delle «concentrazioni
1
GIUSEPPE SODA, Reti tra imprese Modelli e prospettive per una teoria del coordinamento tra
imprese, Carocci editore, marzo 1998
2
MITCHELL J. C. (1969), The Concept and Use of Social Networks, in Id, Social Network in Urban
Situation, Manchester University Press, Manchester p. 2
11
sociali»3 di cui si compongono le società e le organizzazioni. Si tratta, in genere, di
aggregazioni di individui che possono assumere varie configurazioni, diverso
contenuto e finalità. Ne sono esempi le ricerche condotte all’inizio del secolo in
Germania sugli intrecci nei consigli di amministrazione tra grande industria e sistema
bancario o le grandi investigations sugli effetti anticompetitivi delle pratiche
collusive tra imprese, realizzate negli Stati Uniti nella prima metà del secolo.
L’orientamento verso lo studio delle concentrazioni sociali trovò in seguito diversi
stimoli per un ulteriore rafforzamento. Un impulso rilevante venne dall’affermazione
del funzionalismo in sociologia4. I funzionalisti dedicarono grande attenzione allo
studio delle determinanti dei comportamenti individuali e di gruppo, in genere
attraverso l’osservazione delle relazioni sociali e informali. Tra i concetti centrali
della prospettiva funzionalista vi sono le linee informali di comunicazione interne
all’organizzazione
ed
esterne
verso
altre
organizzazioni
e
viceversa.
5
L’organizzazione è vista come una «struttura sociale adattabile» . Qualsiasi
comportamento di adattamento da parte di un’organizzazione deve essere posto,
sempre secondo la prospettiva funzionalista, in relazione ad un sistema
presumibilmente stabile di bisogni. Il funzionalismo presentava diversi limiti.
Anzitutto una visione statica dei confini dei sistemi sociali, assunti come ben
delimitati e immodificabili se non a seguito di grandi trasformazioni. In secondo
luogo una lettura eccessivamente deterministica dell’adattamento individuale alle
prescrizioni e alle norme. Questo approccio apparve particolarmente inadeguato in
situazioni di elevato dinamismo ambientale, e quei contesti, ad esempio le fabbriche
o le miniere, sovente caratterizzati da una forte connotazione informale e da schemi
di azione non codificati6.
Sul piano delle sviluppo teorico e della ricerca empirica, la necessita di approfondire
lo studio delle reti sociali e le prime integrazioni tra discipline – l’antropologia, la
sociologia, la psicologia sociale e alcune “scuole di stampo organizzativo come il
3
RUGIADINI A. (1979), p. 167, Organizzazione d’impresa, Giuffré, Milano
PARSONS T. (1937), The Structure of Social Action, The Free Press, New York; trad. It. La
struttura dell’azione sociale, il Mulino, Bologna 1962.
MERTON R. K. (1949), Social Theory and Social Structure, The Free Press of Glencoe, New York;
trad. It. Teoria e struttura sociale, il Mulino, Bologna 1959
5
SELZNICK P. (1949), TVA and the Grass Roots, Harper and Row, New York. Trad. It. 1974
6
MAYO E. (1945), The Social Problems of an Industrial Civilization, Routledge and Kegan Paul
Ltd., London
4
12
taylorismo, la scuola burocratica e delle relazioni umane 7 -, condussero nel tempo a
due importanti tappe:
1) la nascita della scuola di Manchester
2) la nascita e lo sviluppo dell’analisi strutturale
1.1.1. La scuola di Manchester
Negli anni quaranta e Cinquanta si afferma un’importante scuola di antropologi
inglesi8. Questi proposero quale oggetto prevalente di studio non più gli aspetti
culturali dei gruppi sociali e delle comunità ma i sistemi strutturati di relazioni sociali
tra individui, gruppi e organizzazioni 9. Molte delle intuizioni nate in questa scuola
non hanno trovato una loro sistematizzazione e non condussero all’analisi delle
proprietà globali dei reticoli. Inoltre la gran parte di queste ricerche si è focalizzata
solo sulle relazioni interpersonali informali di tipo comunitario. Le ricerche in
antropologia hanno giocato un ruolo fondamentale nell’impostazione e nel
successivo sviluppo dei metodi di analisi dei sistemi di relazione. È infatti a queste
ricerche che vanno ascritti parte dei concetti di base e dei metodi di formalizzazione
matematica e di misurazione – si pensi ad esempio alla densità di una rete -. Le
prime applicazioni di network analysis sono infatti riconducibili agli studiosi della
scuola di Manchester. Inoltre la ricerca antropologica ha messo in evidenza la
necessita di differenziare l’analisi delle relazioni nell’ambito di diversi campi: le
strutture istituzionali; le aggregazioni sociali di categoria; le relazioni interpersonali.
Le relazioni istituzionali sono quelle che derivano dall’appartenenza o dal semplice
operare all’interno di determinate strutture istituzionalizzate –Barnes10 (1969) cita ad
esempio, la borgata, il comune, la fabbrica, la società missionaria, l’equipaggio della
7
AIROLDI G., NACAMULLI R. C. D. (1979), Materiale per una teoria organizzativa d’impresa,
Etas Libri, Milano
8
Molti ricercatori che a partire dagli anni Quaranta, svolsero sotto la direzione di Gluckman le prime
ricerche in antitesi al paradigma dominante dello struttural-funzionalismo, contribuirono in seguito
alla creazione della cosiddetta “Scuola di Manchester”. Tra questi: lo stesso M. Gluckman, J. A.
Barnes, J. C. Mitchell, A. L. Epstein, W. Watson.
9
BARNES J. A. (1954), Class and Committees in a Norwegian Island Parish, in “Human Relations” ,
7, pp. 39-58
BARNES J. A. (1971), Three Styles in the Study of Kinship, Tavistock, London
10
BARNES J. A. (1969), Networks and Political Process, in J . C. Mitchell (ed.) Social Networks in
Urban Situations, Manchester University Press, Manchester, pp. 51-76.
13
nave; Mitchell11 (1973) aggiunge: la famiglia, una miniera, un’associazione di
volontariato, un sindacato, un partito politico.
Le aggregazioni sociali si riferiscono all’appartenenza dell’individuo a una data
categoria sociale – classe, famiglia professionale, etnia ecc.
Le relazioni interpersonali si riferiscono evidentemente all’insieme dei legami
interpersonali di tipo amicale, affettivo, parentale ecc.
Infine le ricerche in antropologia avevano posto in evidenza come gli individui che
agiscono all’interno di un sistema o set di relazioni ma non ne sono solo
condizionati. Essi sono infatti capaci di modificare e manipolare il proprio insieme
di relazioni per fini individuali (Banck, 1973)12. Ne deriva che la posizione occupata
all’interno di una rete di relazioni può essere modificata o utilizzata per ottenere
benefici individuali. Come l’individuo anche l’organizzazione può agire sul proprio
sistema – set – di relazioni modificando e manipolando la natura, l’intensità e la
forma delle connessioni attraverso cui si lega ad altre organizzazioni.
L’eredità che questi studi lasciano alle ricerche nel campo economico è riconducibile
a diversi piani normativi e interpretativi. Sicuramente occorre evidenziare il valore
metodologico di queste prospettive teoriche riguardo ad esempio: l’analisi della
posizione di un attore all’interno di una rete di relazioni – sia esso un individuo o
un’organizzazione
, la verifica delle opportunità di movimento degli attori
all’interno della rete; lo studio dei quasi- gruppi, dei ruoli all’interno della rete e delle
relazioni centro –periferia.
Alcune tra le principali conclusioni di questo filone di ricerca che hanno
rappresentato un patrimonio importante per lo sviluppo della ricerca sulle reti sono le
seguenti:
1) i comportamenti individuali sono condizionati dalle relazioni all’interno dei
diversi gruppi nei quali essi si trovano ad agire;
2) gli individui in accordo con i propri obiettivi possono manipolare e
modificare il proprio sistema di relazioni;
11
MITCHELL J. C. (1973), Networks, Norms and Institutions, in J. Boissevain, J. C. Mitchell (eds.),
Networks Analysis, Mouton, The Hague.
12
BANCK G. A. (1973), Network Analysis and Social Theory: Some Remarks, in J. Boissevain, J. C.
Mitchell (eds.) , Network Analysis: Studies in Human Interaction, Mouton, The Hague, Paris 1973,
pp. 37-43
14
3) questi processi di manipolazione delle relazioni possono alterare il
funzionamento stesso dei gruppi, delle organizzazioni o delle istituzioni;
4) i gruppi o le organizzazioni rappresentano dei sistemi complessi di
interdipendenze,
agire
sulle
interdipendenze
significa
agire
sull’organizzazione nel complesso.
1.1.2 Analisi strutturale delle reti.
Gli sviluppi successivi alla scuola di Manchester, in particolare i programmi di
ricerca realizzati negli Stati Uniti, portarono ulteriormente impulsi ed innovazioni al
funzionalismo. Negli anni Settanta una parte importante di questo filone di studi
prese corpo nell’analisi strutturalista. Gli antecedenti teorici ai quali può essere fatta
risalire questa scuola di pensiero sono sostanzialmente i seguenti: la sociologia
tedesca; la teoria psicologica della Gestalt e la Teoria del campo sociale di Lewin13
(1936, 1951, trad. it. 1972); tra queste la teoria dei ruoli (Merton, 1957; Parsons14,
1937, trad. it 1962); il contributo di Moreno, inventore del “sociogramma”; gli studi
di Warner e Lunt15 (1941) e di Mayo16 (1933).
Particolarmente importante è il ruolo giocato dalla teoria dei ruoli che, come
ricordano Katz e Kahn 17 (1966), associa un’organizzazione ad un fish net di uffici,
ossia un insieme di connessioni e di punti di contatto tra unità organizzative. Un
ruolo è definito come: « un modello di comportamento che soddisfa alle esigenze e
alle aspettative del gruppo nei confronti dell’individuo» (Rugiadini18, 1979, p. 182).
La dimensione prevalente nella teoria dei ruoli è quella del reticolo di relazioni che
prendono corpo, sia nelle aspettative del gruppo, sia nei processi di trasmissione
13
LEWIN K. (1936), Principles of Topological Psycology, McGraw-Hill, New York.
LEWIN K. (1951), Field Theory in Social Science, Harper & Row, New York; trad. It. Teoria e
sperimentazione in psicologia sociale, il Mulino, Bologna 1972.
14
PARSONS T. (1937), The Structure of Social Action, The Free Press, New York; trad. It. La
struttura dell’azione sociale, il Mulino, Bologna 1962.
15
WARNER W., LUNT P. S. (1941), The Social Life of a Modern Community, Yale University Press,
New Haven (CT).
16
MAYO E. (1933), The Human Problems of an Industrial Civilization, Macmillan, New York; 2a ed.
Harvard University Press, Cambridge (MA) 1945; trad. it. La civiltà industriale. Problemi umani e
socio-politici di una civiltà industriale, UTET, Torino 1969.
17
KATZ D., KAHN R. L. (1966), The Social Psychology of Organizations, Wiley, New York; trad. It.
Psicologia sociale delle organizzazioni, Etas Kompass, Milano 1968.
18
RUGIADINI A. (1979), p. 182, Organizzazione d’impresa, Giuffré, Milano
15
delle stesse e delle conoscenze legate al ruolo. Non si tratta quindi di prescrizioni o
norme. Le relazioni sono le principali determinanti dell’insieme dei diritti, dei
doveri, delle obbligazioni e aspettative che guidano lo svolgimento delle attività e i
comportamenti individuali nei contesti organizzati e non(Knoke19, 1990, pp 7 ss).
Di particolare rilievo in proposito è il concetto di role - set (Merton, 1957, pp. 36880). Il role - set è rappresentato dal complesso di relazioni di ruolo che caratterizza
una determinata posizione o lo status attribuito alla stessa. Esempio è quello di un
professore universitario il quale, in virtù della posizione e dello status ad essa
attribuito, deve necessariamente relazionarsi con allievi, colleghi, funzionari
ministeriali, commissioni, comunità professionali, ecc. (Merton, 1957, p. 369).
Ciascun ruolo esiste concretamente solo in relazione a uno o più ruoli con i quali
interagisce. In qualsiasi organizzazione, molte persone occupano ruoli di contatto
con altre organizzazioni, in genere “attraverso” altri individui – o liason function
come li definisce Evan20 (1993, p. 143) . I membri del top managment di una grande
impresa, ad esempio, interagiscono sistematicamente con il top di altre imprese, dello
stesso come di altri settori, con i membri rappresentativi dei sindacati, con le
associazioni di categoria, con le istituzioni finanziarie, con il potere politico e
istituzionale, con le associazioni di cittadini ecc. il concetto di role-set, riportato a un
livello di analisi più ampio, cioè dall’individuo all’organizzazione, è stato
ampiamente utilizzato nello studio delle relazioni tra organizzazioni attraverso l’idea
di organization-set (Barnes21, 1954). La teoria dei ruoli ha segnato un importante
punto di svolta poiché ha favorito il passaggio da una visione descrittiva delle reti
sociali e di comunicazione verso costrutti e metodi di ricerca maggiormente
esaustivi, in grado tra l’altro di cogliere le dimensioni delle molteplicità e della
varietà dei legami.
Tra i concetti legati al ruolo v’è anche quello di struttura sociale. Essa è definita
come un ordine o pattern stabile di relazioni sociali fondate su aspettative reciproche,
cioè un sistema di connessioni dirette o indirette tra attori che occupano posizioni
differenziate. La struttura sociale può essere rappresentata come network, cioè
19
KNOKE D. (1990), pp. 7 ss, Political Networks: The Structural Perspective, Cambridge University
Press, Cambridge.
20
EVAN W. M. (1993), p.143, Organization Theory: Research and Design, Macmillan, New York.
21
BARNES J. A. (1954), Class and Committees in a Norwegian Island Parish, in “Human Relations”
, 7, pp. 39-58.
16
insieme di nodi – o membri del sistema sociale – e come insiemi di legami che
indicano le loro interconnessioni.
La definizione della struttura sociale attraverso il network si basa su alcune
importanti dimensioni di analisi (Laumann, Pappi22, 1976, p. 6):
-
l’attore organizzativo
-
la posizione da questi occupata
-
la connessione o legame che connette gli attori
-
la stabilità del sistema delle connessioni
All’interno di una rete l’attore può essere rappresentato tanto da un singolo individuo
quanto da un’organizzazione o da un insieme di organizzazioni. Molte ricerche
empiriche in campo economico e in organizzazione assumono come unità di analisi
privilegiata i comportamenti, le attitudini e i valori individuali (Coleman 23, 1986).
L’avvento degli studi sulla struttura sociale dei gruppi, delle comunità e delle
organizzazioni, ha
invece
favorito la
de-contestualizzazione
dell’individuo
(Galaskiewicz, Wasserman24, 1993, p. 4). Le ricerche in campo organizzativo hanno
assunto il concetto di attore soprattutto per ragioni metodologiche. Grandori 25 (1955,
pp. 72-6) ha spiegato le ragioni che si celano dietro l’uso in organizzazione del
concetto di attore: «Persino, qualora si studino le relazioni tra imprese (per esempio
la formazione di una joint venture o di una catena di franchising) e ai soli fini di
quell’analisi le imprese possono essere definite e modelliate come attori»
(Grandori26, 1995, p. 75).
Il concetto di posizione è diverso da quello utilizzato correntemente, esso è infatti di
pura derivazione dalla teoria dei ruoli e si riferisce alla collocazione fisica o
psicologica (Krackhardt27, 1990) dell’attore all’interno della rete di relazioni. Ad
esempio, una determinata localizzazione fisica può accrescere la centralità di una
22
LAUMANN E. O., PAPPI F. (1976), Networks of Collective Action: A Perspective on Community
Influence Systems, Academic Press, New York
23
COLEMAN J. S. (1986), Social Theory, Social Research, and a Theory of Action, in “American
Journal of Sociology” , 91. Pp. 1309-35.
24
GALASKIEWICZ J., WASSERMAN S. (1993), Social Network Analysis: Concepts, Methodology
and Directions for the 1990’s , in “Sociological Methods and Research” , 22, I, August, pp. 3-22.
25
GRANDORI A. (1995), L’organizzazione delle attività economiche, il Mulino, Bologna
26
GRANDORI A. (1995), L’organizzazione delle attività economiche, il Mulino, Bologna
27
KRACKARDT D. (1990), The Political Landscape: Structure, Cognition, and Power in
Organizations, in “Administrative Science Quarterly” , 35, pp. 342-69.
17
posizione. Allo stesso modo, certe posizioni sono generalmente caratterizzate da
superiorità di status (Rugiadini28, 1979, p. 190). In altre parole, il fatto di occupare
una certa posizione strutturale costituisce di per sé una risorsa poiché determina
l’accesso ad altre risorse.
La connessione è una generica espressione che sintetizza l’esistenza di un legame tra
gli attori. La natura della connessione è fondamentale tanto per interpretare il
comportamento degli attori, quanto per predire e riflettere sugli attributi e le
caratteristiche dell’insieme delle connessioni.
Per ciò che concerne infine la stabilità, si tratta di un’eredità del funzionalismo. Ciò
che interessa sono le connessioni perduranti nel tempo, le uniche in grado di definire
una struttura. Il concetto di stabilità è riferito tanto alla permanenza delle
connessioni tra gli attori – che si potrebbe definire stabilità strutturale - , quanto alla
stabilità del contenuto della connessione. In altre parole una modifica del contenuto
potrebbe determinare un cambiamento della struttura.
1.2 Il ruolo delle reti di cooperazione tra imprese nell’economia
contemporanea
Il principale riferimento per la nascita e la diffusione degli studi sulle reti, è
rappresentato dal ruolo e dalla crescita di tutte le entità economico-istituzionali non
29
riconducibili ai confini giuridici dell’impresa . Il concetto di rete tra imprese è in tal
senso molto utile. Si può riferirlo in prima istanza, alla trama di relazioni non
competitive che connette entità istituzionalmente diverse, senza intaccarne
l’autonomia formale e in assenza di una direzione e un controllo unitario. Si parla di
forme di organizzazione basate sulla cooperazione e il coordinamento tra imprese o
altre organizzazioni che si trovano sotto condizioni di interdipendenza. Quest’ultima
può esplicarsi sia lungo la dimensione verticale in pratica lungo la catena di
generazione del valore (ad esempio un fornitore ed un cliente), sia rispetto alla
28
RUGIADINI A. (1979), Organizzazione d’impresa, Giuffré, Milano.
GIUSEPPE SODA, (marzo 1998), Reti tra imprese, Modelli e prospettive per una teoria del
coordinamento tra imprese p. 29-34.
29
18
dimensione orizzontale, ossia tra imprese che svolgono le medesime attività e
operano nello stesso ambiente (ad esempio due concorrenti).
In molti settori avanzati, il ricorso a relazioni cooperative tra imprese è un fenomeno
in grado di modificare i meccanismi di regolazione della concorrenza, i processi di
innovazione e la generazione di nuovi prodotti, le attività di ricerca, la distribuzione
commerciale, l’internazionalizzazione ecc
Anche in settori più concentrati, a struttura quasi oligopolistica come quello
dell’automobile, si rileva un forte intreccio di alleanze e relazioni cooperative
strumentali al raggiungimento di molti obiettivi per esempio accelerazione dei tempi
di sviluppo dei prodotti, condivisione dei rischi connessi all’innovazione.
La diffusione di forme di cooperazione tra imprese non interessa solo la dimensione
orizzontale ma anche quella verticale. Ricerche nel settore dell’auto hanno
dimostrato come i differenziali di performance – qualità, costi –riscontrati alla fine
degli anni Ottanta tra le auto prodotte in Giappone e quelle prodotte in Europa e
negli Stati Uniti erano riconducibili oltre che al modello di organizzazione interna, al
grado di coinvolgimento dei sub –fornitori (Womack, Jones, Ross30, 1990). In pratica
la misura in cui il costruttore d’auto si coordinava con i sub –fornitori influenzava
direttamente il numero di difetti per auto, il lead time, il livello dei magazzini, ecc.
Molta attenzione è stata poi dedicata alla diffusione delle forme di organizzazione
industriale di tipo distrettuale o all’esperienza cooperativa, entrambe realtà
fortemente radicate nel territorio e nel tessuto sociale. In alcune aree territoriali
italiane, ragioni tecnologiche, di mercato e socio istituzionali –ruolo delle
associazioni di categoria e delle istituzioni pubbliche, valori e tessuto socio-culturale
hanno determinato l’avvento di un modello di organizzazione produttiva che ricalca
alcune caratteristiche dei sistemi di putting-out (Landes31, 1969, trad. it. 1978;
Williamson32 1980, trad. it. 1985; Lazerson33, 1995). Il putting-out forma di
organizzazione immediatamente precedente alla rivoluzione industriale centrata sulla
30
WOMACK J ., JONES D., ROSS D. (1990), The Machine that Changed the World, Rawson
Associates, New York
31
LANDES D. S. (1969), The Unbound Prometeus, Cambridge University Press, Cambridge; trad. It.
Prometeo Liberato, Einaudi, Torino 1978.
32
WILLIAMSON O. E. (1980), The Organization of Work, in “Journal of Economics and Behavior”
, I; trad. It. Strutture economiche di organizzazione del lavoro ed efficienza economica, in Nacamulli,
Rugiadini (1985), pp. 513-50
33
LAZERSON M. (1995), A New Phoenix?: Modern Putting Out in the Modena Knitwear Industry,
in “Administrative Science Quarterly” , 40, pp. 34-59.
19
fabbrica, si basa sul coordinamento di artigiani indipendenti lungo tutto il processo di
produzione. Il ciclo produttivo agevolato dalle caratteristiche intrinseche del prodotto
ossia ridotti costi di trasporto, facilità di stoccaggio, non deperibilità e adattamento
alle esigenze del mercato realizzabile anche nelle ultimissime fasi di produzione ecc
è intrecciato con una vasta gamma di relazioni sociali tra gli artigiani e tra questi e le
istituzioni locali, sindacati compresi. Inoltre ciascuna impresa artigiana presenta al
proprio interno sistematicamente sovrapposizioni tra scambi economici e scambi
sociali. Il risultato è che gran parte della produzione, ad esempio del distretto della
maglieria di Modena, è realizzato attraverso imprese artigiane a carattere familiare o
cooperative (Lazerson34, 1995). Infine si può rammentare come la diffusione delle
relazioni cooperative all’interno di un settore economico può modificare le
dinamiche competitive sino a rendere inadeguata la tradizionale strumentazione di
analisi.
Ad esempio nel settore delle costruzioni in Italia diffusione e pervasività dei legami
di cooperazione e collaborazione tra le grandi imprese ha portato ad influenzare le
aree fondamentali dell’attività economica d’impresa, ossia l’allocazione e
l’organizzazione delle risorse, la suddivisione dei risultati derivanti dall’attività di
rischio imprenditoriale, l’innovazione di prodotto e di processo, la diversificazione
su base geografica e di prodotto. La fitta rete di relazioni tra imprese ha modificato la
struttura stessa del settore agendo sull’ampiezza delle barriere all’entrata nel settore e
sostituendosi per peso e intensità alle tradizionali variabili di economia di scala,
differenziazione di prodotto, fabbisogni di capitale, costi di cambiamento, accesso ai
canali di distribuzione, svantaggi di costo indipendenti dai volumi, politiche
governative.
I vantaggi per la singola impresa coinvolta connessi alle forme reticolari sono:
-
la creazione di incentivi all’apprendimento e alla diffusione delle informazioni
(Hakansson35, 1990; Powell36, 1990);
34
LAZERSON M. (1995), A New Phoenix?: Modern Putting Out in the Modena Knitwear Industry,
in “Administrative Science Quarterly” , 40, pp. 34-59.
35
HAKANSSON H. (1990), Technological Collaboration in Industrial Networks, in “European
Management Journal” , 8, 3, pp. 371-9
36
POWELL W. W. (1990), Neither Market nor Hierarchy: Network Forms of Organization, in
“Research of Organizational Behavior” , 12, pp. 295-336
20
-
lo sviluppo di nuove competenze o di nuovi prodotti (Hladik37, 1988; Hergert,
Morris38, 1988; Powell39, 1990);
-
l’utilizzo di modalità flessibili di valorizzazione delle risorse intangibili come le
conoscenze tacite e le innovazioni tecnologiche;
-
lo sviluppo della qualità dei prodotti e dei processi specie quando le risorse e
l’ambiente sono incerti (Aldrich40, 1979; Hage41, 1988; Powell42, 1990 p. 32);
-
l’ottenimento di risorse finanziarie, informazioni, materie prime, legittimazione,
status ecc in forme stabili e a minori costi di cambiamento rispetto alle forme di
integrazione (Litwak, Hylton43, 1962; Nielsen44, 1988);
-
lo sfruttamento di capacità produttiva in eccesso (Moxon45 et al., 1988);
-
il perseguimento di processi di specializzazione o di diversificazione (Alter46, 1990)
-
la condivisione dei costi di sviluppo dei prodotti e la condivisione dei rischi (47Alter,
Hage, 1993; Contractor, Lorange 48, 1988)
-
lo sfruttamento di sinergie, lo sviluppo di azioni congiunte e di relazioni fiduciarie
(Perrone49 et al., 1995)
-
la focalizzazione sulle competenze distintive e la corrispondente ricerca di efficienza
operativa attraverso gli altri attori coinvolti nelle relazioni (Jarillo, Stevenson50,
1991)
37
HLADIK K. (1988), RGD and International Joint Ventures, in Contractor, Lorange (eds.) (1988),
pp. 187-204
38
HERGERT M., MORRIS D. (1988), Trends in International Collaborative Agreements, in
Contractor, Lorange (eds.) (1988), pp. 99-109
39
POWELL W. W. (1990), Neither Market nor Hierarchy: Network Forms of Organization, in
“Research of Organizational Behavior” , 12, pp. 295-336
40
ALDRICH H. (1979), Organizations and Environment, Prentice-Hall, Englewood Cliffs (NJ).
41
HAGE J. (1988), Future of Organizations: Innovating to Adapt Strategy and Human Resources to
Rapid Technological Change, Lexington Books, Lexington (MA).
42
POWELL W. W. (1990), Neither Market nor Hierarchy: Network Forms of Organization, in
“Research of Organizational Behavior” , 12, pp. 295-336
43
LITWAK E., HYLTON L. F. (1962), Interorganizational Analysis: A Hypothesis on Coordinating
Agencies, in “Administrative Science Quarterly” , 6, 4, pp. 395-420
44
NIELSEN R. (1988), Cooperative Strategies, in “Strategies Management Journal”, 9, pp. 475-92.
45
MOXON et al. (1988), International Cooperative Ventures in the Commercial Aircraft Industry:
Gains, Sure, but What’s My Share?, in Contractor, Lorange (eds.) (1988), pp. 255-78.
46
ALTER C. (1990), An Exploratory Study of Conflict and Coordination in Interorganizational
Service Delivery System, in “Academy of Management Journal” , 33, 3, pp. 478-502
47
ALTER C., HAGE J. (1993), Organizations Working Together, Sage Publications, London.
48
CONTRACTOR F. J., LORANGE P. (1988), Cooperative Strategies in International Business,
Lexington Books, Lexington.
49
PERRONE V., ZAHEER A., MCEVILY B. (1995), The Organizational Embeddedness of Trust,
working paper
21
-
la riduzione dei costi di produzione e di transazione, rispetto ad altre forme di
organizzazione delle attività economiche (Williamson51, 1985, trad. it. 1987)
-
il controllo di alcune fonti di incertezza (Pfeffer, Salancik52, 1978)
1.3 Reti, imprese e mercati
Tra le forme di organizzazione che si sono storicamente affermate, il gruppo
reticolare è quello che più si avvicina al concetto di rete. Una delle caratteristiche
comuni tra rete e gruppo reticolare è costituita dall’eterogeneità ossia dalla
compresenza di forme di divisione del lavoro non unitarie, per principi, per contenuti
e soggetti chiamati a svolgere le attività e per natura del controllo. La rete si
configura come una modalità di organizzazione delle attività economiche in cui, è
possibile identificare simultaneamente modalità di coordinamento tra imprese di tipo
contrattuale, gerarchico, di mercato gestito o sociale. Il concetto di rete è dunque
sintesi di:
-
la presenza di almeno due entità o attori, definibili anche come nodi, che
godono di autonomia
-
l’autonomia degli attori, che deve esplicarsi non solo giuridicamente ma in
assenza di qualsiasi forma di direzione unitaria. Sono cioè esclusi i gruppi di
imprese o le situazioni nelle quali vi sia unitarietà del soggetto economico
(Airoldi53, 1989).
-
la condizione di interdipendenza sotto cui devono trovarsi le imprese
-
la presenza di meccanismi di governo delle relazioni tra imprese basati sul
collegamento, l’influenza reciproca, la cooperazione ei processi negoziali
(Grandori54, 1995, p. 430; Grandori, Soda55, 1995, p. 184; Ebers56, 1997).
50
JARILLO J. C., STEVENSON H. H. (1991), Co-Operative Strategies – The Payoffs and the
Pitfalls, in “Long Range Planning” , 24, I, pp. 64-79.
51
WILLIAMSON O. E. (1985), The Economic Institution of Capitalism: Market, Hierarchies and
Relational Contracting, Free Press, New York; trad. It. Le istituzioni economiche del capitalismo.
Imprese, mercati, rapporti contrattuali, Angeli, Milano 1987.
52
PFEFFER J., SALANCIK G. R. (1978), The External Control of Organizations: A Resource
Dependence Perspective, Harper and Row, London.
53
AIROLDI G. (1989), L’ambiente economico, in G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda Lezioni di
economia aziendale. Il Mulino. Bologna
54
GRANDORI A. (1995), L’organizzazione delle attività economiche, il Mulino, Bologna
22
La separazione dei diritti di proprietà e la ricerca della cooperazione, tramite lo
svolgimento di attività congiuntamente o tramite la molteplicità e la stabilità degli
scambi, determinano un insieme di aspettative e obbligazioni reciproche, spesso
molto ampie. Queste aspettative possono trovare una loro formalizzazione nei
contratti ma possono anche essere tacite. Ne deriva che l’orizzonte di riferimento
delle forme di cooperazione tra imprese è di solito medio-lungo. Naturalmente la
cooperazione inter-organizzativa alimenta gli scambi o le associazioni delle risorse.
In sintesi dalla definizione di rete proposta si ricavano i seguenti elementi:
1. separazione dei diritti di proprietà;
2. interdipendenza tra le parti;
3. processi decisionali congiunti;
4. coordinamento;
5. aspettative reciproche di comportamento.
L’uso del termine rete è stato intrecciato con quello di “accordo di cooperazione”.
Un esempio in proposito è la definizione proposta da Mariti e Smiley 57 (1983): «Un
accordo di collaborazione è un accordo di lungo periodo ed esplicito tra due o più
imprese. Ci può essere oppure no una remunerazione finanziaria. Ci si scambia
informazioni, merci, servizi, ecc».
In questa definizione si possono osservare diversi elementi: non si parla solo di
relazione “a due”; l’orizzonte temporale è in genere ampio, l’oggetto è lo scambio; il
vantaggio che si può trarre dalle relazioni non è espresso solamente sotto forma di
remunerazione o vantaggio economico diretto.
Le reti rappresentano aggregazioni di imprese che sono anzitutto organizzazioni
indipendenti e autonome. Esse pongono in campo strutture e processi finalizzati
all’assunzione congiunta di decisioni e all’integrazione dei propri sforzi al fine di
progettare, realizzare e produrre beni o servizi, sviluppare nuovi processi e prodotti,
accorciare i tempi di innovazione o di ingresso nei mercati, scambiare informazioni e
55
GRANDORI A., SODA G. (1995), Interfirm Networks: Antecedents, Mechanism and Forms, in
“Organization Studies” , 16, 2, pp. 183-214
56
EBERS M. (ed.) (1997), The Formation of Inter-Organizational Networks, Oxford University
Press, Oxford.
57
MARITI P., SMILEY R. H. (1983), Cooperative Agreements and the Organization of Industry, in
“Journal of Industrial Economics” , 31, pp. 437-51
23
altre risorse in forme stabili e garantite. (Alter, Hage58, 1993, p. 2). Si tratta di una
definizione molto generale che esclude alcune importanti forme di relazione tra
imprese, tra queste quelle basate sui meccanismi sociali.
Molti autori considerano le reti come forme organizzative “ibride”, ossia intermedie
tra i mercati e le gerarchie (Thorelli59, 1986; Powel60, 1990). Le forme ibride
rappresentano infatti «reti di relazioni di potere e fiducia attraverso cui le
organizzazioni possono scambiarsi influenza e risorse, o possono ottenere dei
vantaggi di efficienza economica» (Borys, Jemison61, 1989, p. 236). Anche dietro
questa definizione si celano diversi elementi. In primo luogo si parla di relazioni e se
ne identificano due grandi tipologie: le relazioni di potere e le relazioni di fiducia.
Con ciò ci si riferisce principalmente ai meccanismi di regolazione della relazione
che può assumere i più svariati contenuti, ma sostanzialmente riconducibili ai
meccanismi del coordinamento su base di asimmetria, e quindi di maggior peso di
uno degli attori. Il potere di cui si parla, può essere ricondotto tanto a uno degli attori
coinvolti nella relazione, quanto ad una “terza parte”, sia essa rappresentata da un
altro attore –arbitro, mediatore o autorità, da una norma generale, da un contratto
sottoscritto ecc. In secondo luogo, gli obiettivi; anch’essi sono esemplificati nello
scambio, tralasciando però tutte le situazioni in cui nulla è scambiato ma al contrario
le risorse fornite da ciascuna parte sono aggregate per realizzare determinati progetti
o per raggiungere determinati obiettivi.
1.4 Teorie organizzative e reti tra imprese
L’obiettivo di questo paragrafo è quello di approfondire il perché delle modalità di
organizzazione chiamate reti d’imprese.
1.4.1 Incertezza ambientale e la dipendenza dalle risorse
Le imprese costituiscono relazioni con altre organizzazioni basate sulla
cooperazione e il coordinamento al fine di controllare l’incertezza ambientale.
58
ALTER C., HAGE J. (1993), Organizations Working Together, Sage Publications, London.
THORELLI H. B. (1986), Networks: Between Markets and Hierarchies, in “Strategic Management
Journal”, 7, pp. 37-51.
60
POWELL W. W. (1990) Neither Market nor Hierarchy: Network Forms of Organization, in
“Research of Organizational Behavior” , 12, pp. 295-336.
61
BORYS B., JEMISON D.B. (1989), Hybrid Arrangements as Strategic Alliances: Theoretical
Issues in Organizational Combinations, in “Academy of Management Review”, 14, 2, pp. 234-49
59
24
(Thompson62, 1967; Aldrich, 1978, Pfeffer, Salancik63, 1978, Cook64, 1977; Evan65,
1966; Aldrich66, 1979; Benson67, 1975; Jacobs68, 1974; Alter, Hage 69 1993; Reve70,
1992).
Sebbene le radici della prospettiva della dipendenza da risorse possano essere
ritrovate nei contributi di Selznick71 (1949), di Blau72 (1964) e di Thompson73
(1967), questa teoria ha ritrovato la prima ampia applicazione al fenomeno delle reti
tra organizzazioni con il contributo di Peffer e Salancik74 (1978), che non a caso si
intitola il controllo esterno delle organizzazioni. Questo lavoro di ricerca rappresenta
ancora oggi un contributo di base negli studi di organizzazione.
Il principio di base della teoria della dipendenza da risorse è che le organizzazioni
operano all’interno di ambienti incerti e fluttuanti. L’incertezza è in genere
riconducibile a diversi fattori: la scarsità di risorse; la non predicibilità delle
variazioni ambientali; la specializzazione funzionale delle diverse organizzazioni; il
controllo delle risorse critiche da parte di altre organizzazioni. L’esigenza di
riduzione dell’incertezza attraverso il controllo delle risorse, spinge i decisori che
operano all’interno delle organizzazioni a creare ambienti esterni “negoziati” stabili e
maggiormente prevedibili. Dal punto di vista dell’organizzazione, la negoziazione
orientata alla riduzione dell’incertezza ha per oggetto i flussi di risorse critiche e, di
conseguenza, coinvolge le organizzazioni che detengono su di esse un controllo.
62
THOMPSON J. D. (1967), Organization in Action, McGraw-Hill, New York.
PFEFFER J., SALANCIK G. R. (1978), The External Control of Organizations: A Resource
Dependence Perspective, Harper and Row, London.
64
COOK K. S. (1977), Exchange and Power in Networks of Interorganizational Relations, in “The
Sociological Quarterly”, 18, pp. 62-82; trad. It. In Zan (a cura di) (1988), pp. 161-86.
65
EVAN W. M. (1966), The Organization-Set: Toward a Theory of Interorganizational Relations, in
J.D. Thompson (ed.), Approaches to Organizational Design, University of Pittsburgh Press,
Pittsburgh (PA), pp. 172-91
66
ALDRICH H. (1979), Organizations and Environment, Pretience-Hall, Englewood Cliffs (NJ).
67
BENSON J. K. (1975), The Interorganizational Network as a Political Economy, in
“Administrative Science Quarterly”, 20, pp. 229-49; trad. It. In Zan (a cura di) (1988), pp. 187-216.
68
JACOBS D. (1974), Dependence and Vulnerability: An Exchange Approach to the Control of
Organization, in “Administrative Science Quarterly” , 19, pp. 44-59.
69
ALTERC., HAGE. J. (1993), Organizations Working Together, Sage Publications, London
70
REVE T. (1992), Horizontal and Vertical Alliances in Industrial Marketing Channels, in G. Frazier
(ed.)
71
SELZINICK P. (1949), TVA and the Grass Roots, Harper and Row, New York
72
BLAU P. M. (1964), Exchange and Power in Social Life, Free Press, New York.
73
THOMPSON J. D. (1967), Organization in Action, McGraw-Hill, New York
74
PFEFFER J., SALANCIK G. R. (1978), The External Control of Organizations: A Resource
Dependence Perspective, Harper and Row, London.
63
25
Dalla misura in cui le organizzazioni esterne costruiscono dei vincoli all’azione si ha
la dimensione del controllo ambientale di cui gode un’organizzazione. I vincoli
esterni trovano origine nella dipendenza dalle risorse controllate al di fuori dei
confini istituzionali dell’organizzazione. Attraverso il concetto di dipendenza dalle
risorse si definisce la misura in cui la sopravvivenza di un’organizzazione è legata
alle risorse che non sono sotto il suo controllo diretto. La dipendenza può essere
definita come prodotto tra l’importanza di un dato input o output dell’azienda e il
grado in cui esso è controllato da un numero relativamente piccolo di aziende. Il
tentativo di ridurre la dipendenza o di rendere altre organizzazioni dipendenti dalla
propria diventa la principale preoccupazione dei decisori. Vi sono quattro condizioni
in grado di determinare la misura in cui un’impresa A dipende da un’altra impresa o
organizzazione B che detiene il controllo delle risorse:
-
l’accesso e il controllo delle risorse che possono dare all’impresa A la
possibilità di entrare in una relazione di scambio
-
l’esistenza per l’impresa A di fonti di risorse alternative e la libertà di
ricorrervi. Parlando di libertà di accesso ad altre fonti di risorse, non si fa
esplicito riferimento ai costi di uscita da una relazione, né alla presenza
eventuale di investimenti specifici in grado di generare tali costi.
-
la capacità di A di esercitare un potere coercitivo di altra natura su B
-
la capacità di A di modificare i propri obiettivi, le strategie e le attività
operative per eliminare il bisogno delle risorse controllate da B
La presenza di condizioni sfavorevoli per A determina la dipendenza da B. l’impresa
A è interessata a negoziare un meccanismo di coordinamento o collegamento con B,
poiché con la dipendenza termina la propria discrezionalità.
La prospettiva della dipendenza da risorse è costruita attorno all’ipotesi per cui la
riduzione della dipendenza può essere ottenuta attraverso strategie di regolazione
dell’ambiente.
I legami cooperativi con altre organizzazioni riducono o eliminano i vincoli esterni,
sia lungo la dimensione verticale di creazione del valore, sia lungo quella orizzontale
ossia di regolazione della concorrenza. Affinché si possano realizzare meccanismi di
coordinamento basati sulla cooperazione, le parti dovranno trovarsi sotto condizioni
di reciprocità. In pratica non vi debbono essere condizioni di dipendenza unilaterale.
26
È necessario che le parti possano ottenere attraverso il coordinamento risultati
maggiori o al limite uguali di quello che otterrebbero unilateralmente.
In sintesi, la necessità di controllare l’ambiente e di ridurre la dipendenza determina
la creazione di relazioni di cooperazione.
Joint ventures, cartelli, intreccio tra consigli di amministrazione – interlocking
directorates, associazioni e norme sociali rappresentano infatti una delle possibili
soluzioni alla necessità del coordinamento e quindi di un’alternativa percorribile per
la costruzione di un ambiente negoziato e prevedibile.
È bene ricordare infine che accanto alle relazioni cooperative la teoria della
dipendenza da risorse considera però altre opzioni legate alla modificazione degli
assetti istituzionali e giuridici. Tra queste strategie si ricordano: le fusioni, i processi
di integrazione verticale, i processi di diversificazione e le strategie di integrazione
orizzontale ossia tra settori.
In sintesi gli assunti di base della teoria della dipendenza da risorse sono i seguenti:
-
le organizzazioni preferiscono ambienti certi e prevedibili ad ambienti incerti;
-
le organizzazioni preferiscono ambienti più permissivi rispetto ad ambienti
che ne vincolano i gradi di libertà;
-
le organizzazioni adottano, ove possibile, strategie di modificazione
dell’ambiente.
1.4.2 Teoria dello scambio o del potere di mercato
Le imprese costituiscono relazioni con altre organizzazioni per acquisire risorse
indisponibili all’interno o per controllare, attraverso l’esercizio del potere o
dell’influenza, l’utilizzo di capacità produttive detenute da altre organizzazioni.
(Evan75, 1966; Benson, 1979; Rogers76, 1974; Pfeffer, Salancik77, 1978; Boje
Whetten78, 1981; Schmidt, Kochan79, 1977)
75
EVAN W. M. (1966), The Organization-Set: Toward a Theory of Interorganizational Relations, in
J.D. Thompson (ed.), Approaches to Organizational Design, University of Pittsburgh Press,
Pittsburgh (PA), pp. 172-91
76
ROGERS D. L. (1964), Towards a Scale of Interorganizational Relations among Public Agencies,
in “Sociology and Social Research”, 59, I, pp. 61-70
77
PFEFFER J., SALANCIK G. R. (1978), The External Control of Organizations: A Resource
Dependence Perspective, Harper and Row, London
78
BOJE D. M., WHETTEN D. A. (1981), Effect of Organizational Strategies and Contextual
Constraints on Centrality and Attribution on Influence in Interorganizational Networks, in
“Administrative Science Quarterly”, 26, pp. 378-95
27
La prospettiva dello scambio adotta una proposizione molto simile a quella della
dipendenza da risorse: se un’organizzazione non è in grado di generare
autonomamente tutte le risorse necessarie alla sopravvivenza sarà costretta a
negoziare risorse all’esterno e si potrà trovare in situazione di forte dipendenza
(Jacobs80, 1974). Nella teoria dello scambio i concetti di potere e dipendenza sono
espressi come discrezionalità di un’organizzazione nel modificare a proprio
vantaggio o interesse la direzione e i flussi di risorse scambiate. Sotto questa luce,
l’ambiente di un’impresa è concepito come un reticolo di altre imprese e altre
organizzazioni da cui partono diversi canali di scambio e al cui interno si muovono i
flussi di risorse.
Dal punto di vista della determinazione degli assetti organizzativi esterni, quanto
maggiore è il potere di cui dispone un’organizzazione, tanto maggiore sarà
l’influenza da essa esercitata al fine di determinare la “forma” dei canali e la natura
del rapporto di scambio. Anche nella teoria dello scambio, la presenza di una
situazione di dipendenza e asimmetria tra gli attori determina le condizioni per
l’inizio di una relazione di scambio, tuttavia questo non vuol dire necessariamente
cooperazione. In genere è la parte “dipendente” a stimolare la realizzazione di una
relazione di scambio, anche se sarebbe preferibile scambiare con attori che
dispongono dello stesso potere. In pratica usare il proprio potere in una relazione di
scambio duratura riduce l’asimmetria a favore della parte inizialmente dipendente.
1.4.3 Homophily theory o Prospettiva della prossimità sociale e
organizzativa
Le imprese costituiscono relazioni con altre organizzazioni per ragioni di prossimità
o somiglianza –nelle finalità, nei valori di fondo, nelle caratteristiche organizzative.
(Bateson81, 1989; Wilson82, 1975; Wholey, Huonker83, 1993).
79
SCHMIDT S. M., KOCHAN T. A. (1977), Interorganizational Relationships: Patterns and
Motivation, in “Administrative Science Quarterly”, 22, pp. 220-34.
80
JACOBS D. (1974), Dependence and Vulnerability: An Exchange Approach to the Control of
Organization, in “Administrative Science Quarterly” , 19, pp. 44-59.
81
BATESON P. (1989), L’evoluzione biologica della cooperazione e della fiducia, in Gambetta (a
cura di) (1989)
28
Non è tanto la ricerca di forme stabili di organizzazione dello scambio di risorse che
genera le reti tra organizzazioni, quanto piuttosto la presenza di elementi di similarità
o somiglianza tra le organizzazioni stesse. Questi elementi possono riguardare aspetti
molto diversi, e cioè i valori di fondo e le finalità, l’assetto istituzionale, le
caratteristiche dell’organizzazione, la strategia, il sistema di prodotto, le persone, ecc.
In pratica, secondo questa prospettiva le relazioni hanno maggiori probabilità di
instaurarsi tra organizzazioni che presentino personale “socialmente” simile o tra
quelle che presentano gli stessi valori o gli stessi clienti. Esistono diversi tipi di
organizzazioni ma parlando di “tipi” si intuisce che esistono delle aggregazioni di
organizzazioni che presentano elementi di somiglianza. La similarità tra due o più
organizzazioni può essere analizzata in diversi modi. Due delle dimensioni di analisi
del grado di similarità tra organizzazioni maggiormente studiate sono costituite dal
generalismo-specialismo e dal grado di sovrapposizione della nicchia. La nicchia
definisce una combinazione di risorse disponibili e di vincoli nell’ambito delle quali
le organizzazioni che la occupano possono nascere, sopravvivere o morire. Si può
parlare di similarità tra due imprese quando queste occupano la stessa nicchia
competitiva. Le ragioni che dalla similarità possono portare alla creazione di
relazioni di cooperazione possono essere molteplici. È evidente che la condivisione
di valori e finalità di fondo genera tra organizzazioni giuridicamente separate un
terreno fertile per lo svolgimento di processi cooperativi a basso rischio di
comportamenti scorretti e di opportunismo. È altresì evidente che una relazione
cooperativa in queste condizioni richiede anche minori costi di controllo e di
adattamento alla mentalità e agli schemi operativi della controparte. A fronte di
similarità tra le organizzazioni si possono riscontrare con maggiore probabilità forme
di cooperazione meno garantite, più “sociali” e meno “burocratiche”. Si può in effetti
riconoscere che in un ambiente competitivo esistono forme di rete che
intrinsecamente si riferiscono a organizzazioni simili. Ad esempio i cartelli o le
associazioni.
82
WILSON E. O. (1975), Sociobiologia: La nuova sintesi, Zanichelli, Bologna.
WHOLEY D. R., HUONKER J. W. (1993), Effects of Generalism and Niche Overlap on Network
Linkages among Youth Service Agencies, in “Academy of Management Review”, 36, 2, pp. 349-71.
83
29
1.4.4 Reciprocità
Le imprese costituiscono relazioni con altre organizzazioni per ottenere benefici
mutui, per accrescere la forza di tutto il set verso altre organizzazioni o verso altri
set, per esercitare la cooperazione e il coordinamento (Alter, Hage84, 1993).
Rispetto alla cooperazione, la reciprocità è spesso considerata una componente di
primo piano. La reciprocità può rappresentare una dimensione di analisi delle
relazioni cooperative solo nel momento in cui l’orizzonte temporale dello scambio
non è immediato. In presenza di scambi che non possono trovare un punto di
equilibrio istantaneamente, la cooperazione è un processo di interazione più
efficiente della competizione, oltre ad essere in alcuni casi l’unica soluzione
possibile. Sotto questa luce la reciprocità rappresenta una determinante delle reti di
cooperazione poiché le parti si impegnano, ma non ne sono obbligate, per periodi
medio/lunghi.
In sintesi quando le attività presentano elevata incertezza e orizzonte temporale
ampio, due o più organizzazioni hanno maggiori probabilità di sopravvivenza se si
aiutano vicendevolmente e se cooperano (Bateson85, 1989, p. 29)
1.4.5 Efficienza economica: costi di transazione e costi di produzione
Le imprese costituiscono relazioni con altre organizzazioni al fine di ottimizzare
l’efficienza dei confini, attraverso la riduzione dei costi di transazione e di
produzione. (Williamson86, 1975, 198587; Hill88, 1990; Bradach, Eccles89, 1989;
Barney, Ouchi90, 1985; McGuire,91 1988; Davis92, 1991; Richardson93 1972; Mariti,
84
ALTERC., HAGE. J. (1993), Organizations Working Together, Sage Publications, London
BATESON P. (1989), L’evoluzione biologica della cooperazione e della fiducia, in Gambetta (a
cura di) (1989)
86
WILLIAMSON O. E. (1975), Markets and Hierarchies: Analysis and Antitrust Implication, Free
Prees, New York
87
WILLIAMSON O. E. (1985), The Economic Institution of Capitalism: Market, Hierarchies and
Relational Contracting, Free Press, New York; trad. It. Le istituzioni economiche del capitalismo.
Imprese, mercati, rapporti contrattuali, Angeli, Milano 1987
88
HILL C. W. L. (1990), Cooperation Opportunism, and Invisible Hand: Implication for Transaction
Cost Theory, in “Academy of Management Review”, 15, 3, pp. 500-13.
89
BRADACH J., ECCLES R. (1989), Market versus Hierarchies: From Ideal Types to Plural Forms,
in “Annual Review of Sociology”, 15, pp. 97-118.
90
BARNEY J. B., OUCHI W.G. (1985), Costi delle informazioni e strutture economiche di governo
delle transazioni, in Nacamulli, Rugiadini (1985), pp. 349-72
85
30
Smiley94, 1983; Blois95, 1972; Dunning96, 1982; Mariotti97, 1984; Eccles98, 1981;
Turati99, 1990; Teece100, 1980).
In un mondo senza costi di transazione non vi sarebbe spazio né per l’impresa né
tanto meno per le reti. Una delle determinanti principali delle forme di rete tra
imprese è costituita dall’efficienza organizzativa.
Con il termine economia organizzativa si fa riferimento ai contributi che sono
ricondotti di volta in volta alle seguenti matrici scientifiche: «economia dei costi di
transazione», «organizational failures frame work», «nuova economia istituzionale»,
«prospettiva mercati e gerarchia» o ancora prospettiva «contracting and
organization». L’economia dell’organizzazione è oggi un corpo eterogeneo di
conoscenze che cerca di spiegare la varietà degli assetti istituzionali e organizzativi
adottati per governare gli scambi di beni e servizi. L’economia organizzativa
identifica quindi un modello di valutazione comparativa dell’efficienza delle diverse
forme di organizzazione. Le imprese che si trovano davanti al problema di come
governare una relazione di scambio possono ricorrere alle prescrizioni dei modelli
derivati dall’economia dell’organizzazione. Questi indirizzano i decisori su quali
sono le condizioni che determinano l’efficienza delle forme organizzative e, tra
queste, le reti.
91
MCGUIRE J.B. (1988), Agency Theory and Organizational Analysis, in “Managerial Finance” , 14,
4, pp. 6-9.
92
DAVIS G.F. (1991), Agents without Principles? The Spread of Poison Pill through the
Intercorporate Network, in “Administrative Science Quarterly” , 36, pp. 583-613.
93
RICHARDSON G.B. (1972), The Organization of Industry, in “The Economic Journal” ,
September, pp. 883-96
94
MARITI P., SMILEY R. H. (1983), Cooperative Agreements and the Organization of Industry, in
“Journal of Industrial Economics” , 31, pp. 437-51
95
BLOIS K.J. (1972), Vertical Quasi Integration, in “Journal of Industrial Economics” , July, pp.
253-72.
96
DUNNING J. H. (1982), Non Equity Forms of Foreign Economic Involvement and Theory of
International Production, University of Reading Discussion Papers, Reading.
97
MARIOTTI S. (1984), Le strutture di governo delle transazioni nel processo di
internazionalizzazione delle imprese, in “Economia e Politica Industriale” , 41, pp. 65-105.
98
ECCLES R.G. (1981), The Quasi-firm in the Construction Industry, in “Journal of Economic
Behavior and Organization” , 2, pp. 335-57; trad. It. Le quasi organizzazioni nel settore edilizio, in
Nacamulli, Rugiadini (a cura di) (1985), pp. 551-74.
99
TURATI C. (1990), Economia e Organizzazione delle Joint Venture, EGEA, Milano.
100
TEECE D. J. (1980), Economies of Scope and the Scope of Enterprise, in “Journal of Economic
Behavior and Organization” , I, pp. 223-47.
31
1.4.6 Complementarità e sviluppo delle competenze
Le imprese costituiscono relazioni con altre organizzazioni per potere avere accesso
stabile a risorse o conoscenze complementari, per fini competitivi o di sviluppo di
competenze interne o per distribuire i rischi di attività innovative. (Harrigan101,
1985)
Questa riflessione parte da un presupposto di fondo, ossia l’esigenza di costruire il
vantaggio competitivo sulle risorse immateriali, sull’innovazione e sulle economie di
velocità. L’accelerazione delle dinamiche competitive porta le imprese a doversi
dotare di conoscenze, strumenti e tecnologie non sempre disponibili entro i propri
confini interni. La complessità dei prodotti, gli ingenti investimenti richiesti dalle
attività innovative e la necessità di ripartire i rischi determinano il ricorso a forme
stabili di cooperazione, sia verticali, sia orizzontali. Il contributo della strategia
d’impresa alla comprensione dei fenomeni di cooperazione parte da alcuni assunti di
fondo:
-
l’affermarsi di un contesto competitivo caratterizzato da processi di
globalizzazione sia sui mercati di sbocco, sia su quelli di approvvigionamento
dei materiali, delle tecnologie e delle conoscenze;
-
lo stemperamento, almeno per alcune conoscenze di base, dei confini intersettoriali tradizionali e l’ibridazione delle tecnologie e dei saperi;
-
la presenza di concorrenti provenienti da contesti nazionali denominati newcomers che costringono le imprese “occidentali” a produrre a costi molto
ridotti e ad elevati standard di qualità;
-
la riduzione delle distanze spazio-temporali che attraverso le tecnologie
permettono interazioni continue e in tempo reale tra organizzazioni
localizzate in luoghi distanti;
-
l’affermarsi di uno scenario competitivo dove ciò che conta non è tanto il
livello delle conoscenze accumulate in un dato momento ma la sua velocità di
accumulazione.
Sotto queste premesse le reti rappresentano un modo per acquisire o difendere
vantaggi competitivi. In questa cornice entrano in gioco quattro fattori che possono
101
HARRIGAN K. R. (1985), Strategies for Joint-Ventures, Lexington, London
32
spiegare il ricorso a forme di organizzazione reticolare: le strategie, le risorse e le
conoscenze disponibili, le controparti, le relazioni con le controparti.
Le relazioni cooperative tra un’impresa centrale e una vasta gamma di co-produttori
consentono l’ottenimento di alcune importanti finalità competitive:
-
la flessibilità produttiva
-
la riduzione dei costi
-
la valorizzazione delle competenze distintive
Per ciò che concerne le alleanze strategiche è bene sintetizzare le principali
determinanti o, in altre parole, i fattori di razionalità strategica che si celano dietro di
esse. Prima però occorre mettere in luce quali sono le tipologie di alleanze
strategiche considerate maggiormente. Possiamo identificare tre tipologie:
-
joint venture articolate in joint basate su specializzazione dei partner o su
condivisione;
-
gli accordi di licesing distinti per imprese industriali e servizi o franchising;
-
i consorzi che sono in genere considerati in modo ampio comprendendo
forme complesse di relazioni tra grandi imprese conglomerate, banche,
assicurazioni ecc.
A ciascuna tipologia di accordo corrispondono costi, benefici e fattori critici di
successo. Possiamo ora sintetizzare le determinanti in alcune categorie.
Le reti possono essere realizzate sia per ragioni interne, sia per finalità competitive.
Dal punto di vista dei vantaggi interni, la realizzazione congiunta di progetti di
innovazione favorisce la crescita individuale delle conoscenze attraverso lo scambio
di informazioni e anche del personale. Questi processi di cross-fertilization, oltre a
sostenere lo sviluppo di know-how, determinano anche la riduzione dei rischi, la
condivisione dei costi e la realizzazione di economie di scala.
Da un punto di vista competitivo si possono osservare diverse determinanti. In primo
luogo, la creazione di raggruppamenti stabili di imprese; attraverso accordi di
cooperazione longevi e legati direttamente alle attività produttive o di innovazione si
può determinare una modificazione del grado di concentrazione del settore. Si
possono cioè creare alcune condizioni per la formazione di coalizioni stabili che non
raramente possono sfociare in vere e proprie integrazioni. In secondo luogo, la scelta
della rete di cooperazione può favorire il raggiungimento di vantaggi di “prima
33
mossa”, riguardo alla velocità di generazione dei prodotti o allo sfruttamento di
innovazioni tecnologiche e di processo. Le relazioni cooperative possono in pratica
accelerare il processo di modificazione o la conservazione della propria posizione
occupata nell’arena competitiva e il cambiamento nell’orientamento strategico.
Inoltre, strategie di flessibilità produttiva basate sulla cooperazione possono
trasformare le strutture di costo e consentire una migliore capacità di gestione delle
crisi o dei periodi di stagnazione.
Infine le reti possono essere una risposta efficace per contrastare ingressi sul mercato
da parte, ad esempio di concorrenti che operano in settori contigui. Allo stesso modo,
la cooperazione può costituire una risorsa importante per superare barriere
all’entrata, sia nei settori che nei mercati-paese.
1.5 La teoria dei costi di transazione
Una delle derive più fortunate, almeno fino a pochi anni fa, dell’Economia
Industriale è stata la Nuova Economia Istituzionale, la quale si basa sull’idea che la
transazione, definita come “il trasferimento di un bene o servizio attraverso
un’interfaccia separabile tecnologicamente” (Williamson 102, 1985), sia la base degli
scambi economici, prefiggendosi, pertanto, come obiettivo lo spiegare perché e come
i rapporti tra gli agenti economici siano regolati da organizzazioni e contratti. La
Nuova Economia Istituzionale deve innegabilmente la propria fortuna ad un suo
campo di studi specifico in essa contenuto, ovvero l’economia dei costi di
transazione, il cui padre è Oliver Williamson, tanto che alcuni tendono a far
coincidere la prima con ala seconda (Mariti103, 1991); quest’ultima è collocata in
quella branca della Nuova Economia Istituzionale che principalmente s’interessa
della governante, quella branca che trova le sue origini nell’interpretazione di Ronald
Coase delle imprese e dei mercati, elaborata nel suo classico saggio del 1937 “The
Nature of the firm” (Williamson104, 1998), grazie al quale l’economista inglese
ottenne nel 1991 il premio Nobel per l’economia.
102
WILLIAMSON O.E.(1985), The Economic Institutions of Capitalism: Firms, Markets, Relational
Contracting, The Free Press, New York;
103
MARITI P. (1991), Introduzione a “L’organizzazione economica” , di O.E. Williamson, Il Mulino,
Bologna (ed. originale: 1986, Economic Organization, Brighton, Wheatsheaf Books)
104
WILLIAMSON O. E. (1998), The institutions of governance, The American Economic Review, V.
88, No.2; [75-79]
34
Prima di Williamson gli economisti di scuola neoclassica concepivano l’impresa
come una funzione della produzione, il cui scopo era quello di utilizzare al meglio la
tecnologia disponibile, adottando come unità di analisi i beni prodotti; i sociologi
invece, definivano l’azienda come una burocrazia, finalizzata alla valutazione dei
possibili effetti indesiderati da questa provocati (come ad esempio i conflitti
d’interesse, tra cui quello di classe). La TCE interpreta ora l’impresa come una
struttura di governo (governance) avente lo scopo di garantire la stipulazione di
contratti affidabili ed efficienti.
Partendo da queste premesse, la TCE si è distinta finora come un valido strumento
conoscitivo per lo studio delle dinamiche delle reti e delle relazioni tra imprese,
riuscendo a sciogliere, grazie alla sua capacità di valutare l’efficienza comparata
delle diverse opportunità per l’impresa offerte dal mercato, dalla gerarchia e dalle
varie forme ibride, i dilemmi inerenti al make or buy. Da ciò si evince la natura
maggiormente organizzativa della teoria che cerca sostanzialmente di fornire al
management degli strumenti di supporto decisionale per la definizione dei confini
d’impresa.
Le principali variabili della relazione contrattuale che la TCE analizza per calcolarne,
sebbene non sempre in modo agevole, i costi transazionali, e quindi per comprendere
l’efficienza delle diverse opzioni a disposizione dell’impresa, sono (Williamson,
1985):
-
la specificità delle risorse coinvolte nella transazione, che è connessa agli
investimenti durevoli effettuati come supporto di particolari transazioni, al
cui aumentare sono preferibili soluzioni vicine alla gerarchia;
-
l’incertezza, collegata al concetto di razionalità limitata Simoniana, la quale
non consente agli operatori economici di poter conoscere ex-ante il bene
servizio oggetto dello scambio;
-
la frequenza delle relazioni, al cui aumentare aumenta l’efficienza della
soluzione gerarchica, poiché i costi di impianto possono essere ripartiti su più
transazioni (Camuffo e Cappellari105, 1996).
105
Camuffo A. e Cappellari R. (1986), L’economia dei costi di transazione, in G.Costa,
R.C.D.Nacamulli, Manuale di organizzazione aziendale. V.1 Le teorie dell’organizzazione, Torino,
UTET.
35
Oltre a queste tre dimensioni “canoniche” ed intrinseche al singolo scambio
economico, grazie a cui si è in grado di calcolare il meccanismo di governo delle
transazioni più efficiente nelle diverse fattispecie, i teorici neo-istituzionalisti sono
soliti considerare anche altri fattori che influenzano tale valutazione, quali ad
esempio, la tecnologia e la dimensione temporale delle transazioni. In definitiva, è
qui posto l’accento sugli elementi strutturali delle alleanze e delle relazioni interfirm, come ad esempio le imperfezioni del mercato o i meccanismi di controllo.
Tuttavia mercato e gerarchia non sono le uniche opzioni a disposizione dell’impresa
per decidere l’implementazione delle proprie attività: nell’attuale ambiente
competitivo, caratterizzato da un elevatissimo grado d’incertezza ambientale, dovuto
principalmente alla globalizzazione ed alla diffusione delle nuove tecnologie della
comunicazione e dell’informazione, le transazioni non possono essere governate da
contratti completi. Per questo le parti possono ricorrere ad accordi di governance
ibrida (governo bilaterale, governo trilaterale), forme intermedie tra mercato e
gerarchia, che consentano loro di adattarsi nella migliore maniera possibile al
cambiamento ambientale.
Per governare una transazione complessa è necessario, pertanto, che le performance
dei contraenti siano adattate alle contingenze esterne; la disponibilità di una vasta
gamma di strumenti suggerisce che in ogni relazione contrattuale alcuni aspetti della
performance saranno governati da contratti espliciti, mentre altri saranno governati
con metodi alternativi e meno consolidati.
Nel corso degli anni novanta, il costrutto teorico della TCE ha mostrato dei vistosi
segnali di cedimento; infatti, la natura allocativa che contraddistingue tale
impostazione non riesce più a soddisfare il bisogno odierno di generare nuova
ricchezza. Da ciò discende principalmente lo scemare dei consensi acquisiti nel corso
del tempo da questo approccio e l’intensificarsi dell’attenzione verso nuovi punti di
partenza metodologici che molti studiosi delle problematiche d’azienda stanno
adottando per le loro ricerche.
La TCE, utilizzando esclusivamente queste menzionate variabili per la propria analisi
fornisce solo una visione parziale per la spiegazione delle relazioni tra imprese;
questo filone teorico sconta il difetto di focalizzarsi principalmente sulle
caratteristiche
strutturali
dell’attività
organizzativa
36
e
di
non
considerare
adeguatamente le risorse delle imprese che, sono alla base della stipula della
relazione contrattuale.
L’economia delle reti, distintasi per avere accentuato nelle imprese la criticità di
competenze e relazioni esterne, ha portato un incremento della problematicità
metodologica inerente tale da far ritenere che delle considerazioni esclusivamente
basate su assets specificity, frequenza ed incertezza non possano più essere
considerate come sufficienti per arrivare ad un’adeguata comprensione di questi
fenomeni sociali ed economici, in cui il ruolo rivestito dalle competenze e dalle
risorse aziendali non può essere assolutamente sottovalutato.
1.6 L’emersione della rete di imprese come forma organizzativa
specifica
A fronte di un filone che configura la rete come forma organizzativa ibrida, collocata
in posizione intermedia tra le transazioni di mercato e l’integrazione verticale
nell’ambito dell’unica impresa, lungo un continuum in cui cresce la dipendenza
bilaterale e dunque la necessità di relazioni di lungo periodo, basate su scelte
concordate e cooperative (Williamson 1996, 172), altre letture sono principalmente
volte a cogliere gli elementi di specificità delle reti, anche al di fuori di una linea di
continuità rispetto al mercato e all’impresa integrata (Powell 106 1990, 298).
L’accento è posto sulla capacità delle relazioni reticolari di realizzare efficacemente
assetti cooperativi nel lungo periodo, di creare incentivi per l’apprendimento e la
diffusione di informazioni e per la rapida traduzione delle idee in azioni (Powell
1990, 322). Tali specificità sarebbero ulteriormente valorizzate in contesti
caratterizzati da condizioni di incertezza e di variabilità delle risorse (Powell 1990,
322).
La rete è vista come un insieme di imprese, ciascuna delle quali si riconosce in una
logica di specializzazione e di apprendimento ma non di autorità (Kogut 107 2000,
409)
106
POWELL, W.W. (1990), Neither market nor hierarchy: network forms of organization, in L.L.
CUMMINGS e B. SHAW (a cura di), Research in organizational behavior, Greenwich, JAI Press.
107
KOGUT, B. (2000), The network as knowledge: Generative rules and the emergence of structure,
in <<Strategic management journal>>, vol. 21, pp. 405-425.
37
La rete è considerata come «la trama di relazioni non competitive che connettono
realtà istituzionalmente diverse, senza intaccare l’autonomia formale e in assenza di
una direzione e di un controllo unitario», relazioni altresì improntate alla
cooperazione e al coordinamento tra imprese che si trovano in condizioni di
interdipendenza (Grandori e Soda108 1995, 185; Soda109 1998, 29).
In questa prospettiva le reti di imprese costituiscono forme di coordinamento
gerarchico e/o cooperativo di attività economiche. Rispetto allo schema concettuale
che contrappone mercati ed imprese gerarchiche, si afferma che le reti consentono
forme di coordinamento organizzativo superiore, sotto il profilo dell’efficienza, a
quelle conseguibili tramite gerarchia, anche in presenza di imprese in cui rimangono
separati i diritti di proprietà, dunque in assenza di integrazione. In alcuni casi le reti
costituiscono, invece, modelli organizzativi alternativi a sistemi di gestione delle
risorse basati sul classico sistema di definizione dei diritti di proprietà e scambio
contrattuale. In realtà forme di gerarchia sono spesso presenti anche nei sistemi di
rete ma assumono caratteristiche diverse rispetto a quelle proprie dell’impresa
verticalmente integrata o del gruppo piramidale.
I vantaggi comparativi della rete rispetto ad altri modelli vengono associati a diversi
fattori: le risorse impiegate, la natura e la frequenza delle transazioni, i ridotti costi di
transazione, le esternalità positive, la qualità dei rapporti con l’ambiente istituzionale.
Una particolare attenzione viene prestata al rapporto tra specializzazione produttiva
ed economia di scala.
1.7 Specializzazione produttiva, stabilizzazione delle relazioni
tra imprese e mobilità intra- rete
Le reti permettono forme di divisione coordinata del lavoro che consentono
specializzazione flessibile, in grado di adattarsi, meglio delle grandi imprese, ai
mutamenti tecnologici e ad altri shock esterni (Brusco 1982 110; Piore e Sabel 1111984;
Becattini112 1998, Sabel113 2002; Becattini 2003; Dei Ottati114 2003).
108
GRANDORI, A. e SODA , G. (1995), Inter-firm networks: Antecedents, mechanisms and forms, in
<<Organization studies>>, vol. 16, pp. 183-214.
109
SODA, G. (1998), Reti tra imprese. Modelli e prospettive per una teoria del coordinamento,
Roma, Carocci.
110
BRUSCO, S. (1982), The emilian model: Productive decentralization and social integration, in
<<Cambridge journal of economics>>, n. 6, pp. 167-184.
38
Quando le economie di specializzazione, associabili al coordinamento tra imprese
complementari, sono molto rilevanti, esse divengono un fattore decisivo nella scelta
del modello organizzativo. L’organizzazione a rete consente alle singole imprese di
specializzarsi, muovendo la dimensione delle economie dalla singola impresa a
quelle della rete. Con specifico riferimento alle reti operanti nei distretti la
specializzazione riguarda le diverse fasi produttive e differisce nelle diverse aree
geografiche. Una funzione delle reti è quella della stabilizzazione delle relazioni,
spesso indicata anch’essa come fattore che contribuisce a favorirne la competitività
rispetto ad altri sistemi produttivi, soggetti a maggiore instabilità (Powell 1990, 322).
La stabilizzazione opera infatti sia verso l’esterno sia nelle relazioni interne tra
imprese appartenenti alla rete, sia tra queste ed altri soggetti. Verso l’esterno la
costituzione della rete consente di rispondere in modo più efficace ad incertezze della
domanda.115 La rete di imprese ha anche consentito di reagire a crisi provenienti da
shock esterni attraverso forme di coordinamento, coadiuvate in taluni casi anche
dall’intervento di attori pubblici, che né il mercato né le gerarchie sono in grado di
offrire. All’interno, la rete stabilizza le relazioni consentendo di ridurre gli effetti
negativi della instabilità delle singole relazioni contrattuali determinata da
comportamenti opportunistici, associati ad investimenti specifici asimmetrici, ma
anche dall’esigenza di assicurare una mobilità di risorse che rende le imprese più
flessibili e reattive. La stabilizzazione avviene aumentando i costi di exit
opportunistici ed assicurando l’irrogazione di sanzioni, reputazionali e non. Allo
stesso tempo la stabilizzazione riduce i costi di exit efficiente dalle singole relazioni
contrattuali che prendono luogo nella rete, consentendo una mobilità di risorse
relazionali attraverso sistemi di cooperazione che ne assicurano impieghi
tendenzialmente ottimali. Relazioni di lunga durata non vengono compromesse o
111
PIORE, M.J. e SABEL, C.F. (1984), The second industrial divide: Possibilities for prosperity,
New York, Basic Book.
112
BECATTINI, G. (1998), Distretti industriali e made in Italy. Le basi socioculturali del nostro
sviluppo economico, Torino, Bollati Boringhieri.
113
SABEL, C.F. (2002), Diversity, not specialization: The ties that bind the (new) industrial district,
reperibile sul sito www2.law.columbia.edu/sable/papers/diversit_milanF.doc.
114
DEI OTTATI, G. (2003), Local governante and industrial district competitive advantage, in G.
BECATTINI, M. BELLANDI, G. DEI OTTATI e F. SFORZI, From Industrial districts to local
development, Cheltenham, Edward Elgar, pp. 184-209.
115
Spesso le reti fungono da strumento di coordinamento nell’offerta di prodotti per i quali la
domanda sia caratterizzata da maggiore incertezza. Dai prodotti di lusso o per la persona a quelli
legati all’offerta turistica resa incerta dall’imprevedibilità del fattore meteorologico.
39
vengono compromesse in misura minore quando la loro temporanea interruzione per
la ricerca di migliori opportunità non sia correlata ad una valutazione negativa di
comportamento opportunistico di una delle parti ma ad una semplice valutazione di
opportunità. In sostanza chi esce dalla relazione lo fa perché si crea, in parte anche
per merito degli stessi contraenti, una opportunità più vantaggiosa all’interno della
rete che consente maggiori risparmi o ricavi. Tecnicamente si tratta di inadempimenti
contrattuali ma socialmente gli effetti degli stessi non pregiudicano la possibilità di
re instaurare in futuro la relazione come invece generalmente avviene in presenza di
inadempimenti dovuti a comportamento opportunistico che distruggono la fiducia ed
il capitale relazionale accumulato. In tal modo non si riduce il livello di fiducia
collettiva e, dunque, si conserva uno dei più importanti beni collettivi che sono alla
base del vantaggio comparativo della rete. La produttività della singola impresa
risulta dunque accresciuta dalla sua partecipazione alla rete anche in ragione della
maggiore stabilità ambientale di cui fruisce.
1.8 Sistemi di rete, modelli organizzativi ed interdipendenza
delle risorse
Una frequente caratteristica delle reti è generalmente quella della interdipendenza
delle risorse. Con questo termine si intendono diversi fenomeni che riflettono
sull’impiego di strumenti giuridici differenziati. Una distinzione fondamentale è
quella tra interdipendenza con separazione ed interdipendenza con condivisione delle
risorse. Il primo caso è illustrato dal concetto di complementarietà. Due imprese
possono produrre beni impiegando risorse o processi complementari e, dunque,
operare in un contesto di forte dipendenza reciproca ma conservare una proprietà
separata delle risorse medesime. In queste ipotesi la rete contrattuale è perfettamente
idonea a gestire la complementarietà e la eventuale scelta di quella societaria può
intervenire per ragioni diverse da quelle nascenti dall’esigenza di una proprietà
collettiva. Al contrario, quando la risorsa impiegata nel processo produttivo di
entrambe le imprese sia indivisibile o difficilmente divisibile, la forma organizzativa
da prescegliere sarà quella che consente la condivisione.116 La condivisione può
116
L’impiego di reti proprietarie in ipotesi di alta complessità informativa ad esempio : <<la messa in
comune di know how complementari e non trasferibili tramite mercato per la realizzazione di attività
40
essere limitata alla specifica risorsa ovvero riguardante più risorse, fino a forme di
integrazione molto intensa in cui vi sia condivisione di gran parte dei diritti di
proprietà.117 Sotto questo profilo la rete si pone come modello potenzialmente
alternativo ad un sistema produttivo di diritti sulle risorse ben definiti e scambiabili
sul mercato. Il richiamo ai vantaggi comparativi della rete viene spesso evocato in
relazione alla gestione della risorsa conoscenza, in particolare quella tacita, che
presenta caratteristiche di difficile divisibilità.118 Un profilo non irrilevante sulle
scelti concernenti i modelli organizzativi è la relazione tra sistemi di produzione
della conoscenza ed impiego delle tecnologie. Spesso l’introduzione delle tecnologie
produce codificazione e standardizzazione della conoscenza che possono aumentare
la formalizzazione e ridurre le capacità di apprendimento informale.119 Le tecnologie
potrebbero, in sostanza, creare barriere all’ingresso di conoscenza informale e
comunque al suo sviluppo. Le reti possono consentire una riduzione di tali barriere
definendo forme autoregolate di accesso.
1.9 Spazi e strumenti giuridici nella definizione dei sistemi di
rete
Il fenomeno delle reti di imprese in Italia ha assunto una consistenza numerica
rilevante, dimostrata dall’esistenza e dallo sviluppo dei distretti industriali ma anche
innovativa di rilevanza competitiva (nuovi prodotti) oppure la messa in comune di risorse produttive e
commerciali in grado di generare economie di scala o di raggio d’azione nella produzione e/o
distribuzione accompagnata da effetti di produzione di squadra; l’incontri tra risorse finanziarie
accumulate e investibili e attività ad alta innovatività ed alto rischio difficilmente finanziabili
attraverso il mercato dei capitali>>.
117
Nel primo caso vengono impiegati a seconda della risorsa condivisa joint o capital venture, nel
secondo caso le forme societarie classiche
118
La rete può costituire un modello organizzativo alternativo ad un sistema di diritti di proprietà
intellettuale ma può anche definire alternativamente al mercato uno spazio di scambio di diritti
caratterizzato ad esempio da comportamenti non competitivi.
119
La codifica delle pratiche organizzative è necessaria per poter estrarre dalle varie attività
dell’impresa l’informazione, e i flussi di trasmissione/elaborazione dell’informazione stessa. La
standardizzazione è condizione e al contempo conseguenza delle forti esternalità di rete che
caratterizzano molte applicazioni informatiche nonché del bisogno di rendere possibile lo scambio tra
i diversi processi organizzativi. Le TIC riescono sì ad innalzare il grado di integrazione di attività
complementari, ma tale integrazione viene tipicamente ottenuta sulla base di una crescente
formalizzazione dell’attività stessa anche se diverse applicazioni differiscono quanto al grado di
formalizzazione richiesto.
41
dal fatto che, accanto a questo modello, ne sono cresciuti altri con caratteristiche
diverse, ad esempio quello dell’impresa a rete
120
.
In entrambi i casi si è in presenza di un modello reticolare ma la struttura e le
modalità operative differiscono. Nell’un caso la formazione della rete avviene
attraverso l’incremento e la stabilizzazione di processi collaborativi tra piccole e
medie imprese; nel secondo caso la costituzione è spesso legata a fenomeni di
decentramento produttivo della grande impresa, connessi ad outsourcing o ad altre
forme di esternalizzazione. È opportuno distinguere nell’ambito dell’attività di
impresa tra esternalizzazione di fasi ed esternalizzazione di servizi all’impresa
perché ragioni e modalità del decentramento mutano ed in relazione ad esse possono
cambiare anche i modelli organizzativi delle reti. Dunque le reti possono
rappresentare il risultato sia di fenomeni di accentramento sia di decentramento
produttivo. Lo sviluppo delle reti di Imprese è in parte correlato alla modificazione
della funzione imprenditoriale, concernente sempre più frequentemente modalità
organizzative di competenze, dunque di lavoro e di capitale cognitivo. Sotto il profilo
dimensionale non esistono vincoli o particolari limiti alla configurabilità di una rete.
Le reti possono esser costituite sia da piccole, sia da grandi imprese, sia da entrambe
le tipologie. Il tema della natura e struttura delle reti si intreccia e spesso si
sovrappone a quello della piccola impresa e del suo sviluppo. Tuttavia la distinzione
tra piccola impresa individuale e piccole e medie imprese inserite in strutture di rete
con radicamento territoriale va tenuta ferma anche perché spesso forza e debolezza
dell’una forma non corrispondono a quella delle altre. La piccola dimensione
d’impresa si accompagna a una serie di caratteristiche di per sé sfavorevoli sotto il
profilo della crescita e della competitività del sistema produttivo: minori investimenti
fissi per addetto, minori investimenti in tecnologie informatiche ed Internet,
produttività inferiore, un livello più basso di retribuzione media (il che non attrae
lavoro qualificato) minor grado di terziarizzazione della forza lavoro, (il che
comporta di nuovo qualifiche medie lavorative di livello inferiore) minore spesa in
ricerca e sviluppo, disponibilità inferiore a integrare le esportazioni con presenza
produttiva all’estero, maggior dipendenza dal credito a breve (che comportando più
120
FABRIZIO CAFAGGI (2004), (a cura di) Reti di Imprese tra regolazione e norme sociali, Nuove
sfide per diritto ed economia, il Mulino.
42
alti oneri finanziari penalizza la redditività del capitale investito). La definizione di
rete di piccole imprese non ha ricevuto sinora definitiva consacrazione sul piano
normativo e neppure recenti tentativi di specificare le caratteristiche delle micro e
piccole imprese, specialmente per iniziativa della Commissione Europea, hanno
considerato tale profilo, riferendosi al collegamento tra imprese esclusivamente in
chiave
di
controllo
proprietario
o
contrattuale.
Si
fa
riferimento
alla
Raccomandazione della Commissione relativa alla definizione delle microimprese,
piccole e medie imprese 2003/36 del 6 maggio 2003 dove, pur mancando una
definizione di rete, si considera il tema del gruppo e si fa riferimento alla nozione di
collegamento. Si distinguono, in quest’ambito, imprese autonome, associate e
collegate. L’impresa associata viene definita in negativo come impresa non collegata
della quale si da una definizione puntuale. Si definiscono “imprese collegate” le
imprese fra le quali esiste una delle seguenti relazioni:
-
un’impresa detiene la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o dei soci
di un’altra impresa;
-
un’impresa ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri
del Consiglio di amministrazione direzione o sorveglianza di un’altra
impresa;
-
un’impresa ha il diritto di esercitare un’influenza dominante su un’altra
impresa in virtù del contratto concluso con quest’ultima oppure in virtù di
una clausola dello statuto di quest’ultima;
-
un’impresa, azionista o socia di un’altra impresa controlla da sola, in virtù di
un accordo stipulato con altri azionisti o soci dell’altra impresa, la
maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di quest’ultima.
Le imprese fra le quali sussiste una delle suddette relazioni attraverso una persona
fisica o un gruppo di persone fisiche che agiscono di concerto sono anch’esse
considerate imprese collegate a patto che esercitino la loro attività o una parte delle
loro attività sullo stesso mercato in questione o su mercati contigui.
Rispetto ai gruppi di piccole imprese la differenza principale con le reti risiede nelle
modalità organizzative in cui si traduce l’interdipendenza. Rispetto alla rete e al
gruppo emergono forme più marcate di gerarchia correlate alla prevalenza
dell’interesse della capogruppo, ma i confini tra gruppo e rete gerarchica vanno
43
ricercati nelle modalità organizzative in cui si traduce la gerarchia piuttosto che nel
livello di gerarchia presente nel coordinamento. Sotto questo profilo occorre
sottolineare che i parametri per la misura della gerarchia sono diversi a seconda della
prospettiva disciplinare in cui si opera. Ad esempio accade spesso di incontrare nella
letteratura economica, il parametro del numero dei dipendenti e dell’entità del
fatturato quali elementi per definire le diverse componenti di un sistema di rete ed
assegnare un certo livello di gerarchia. In questa prospettiva una rete composta di
imprese con un numero limitato od esiguo di dipendenti ed un fatturato relativamente
basso avrebbe natura paritaria mentre una rete in cui vi fosse compresenza di imprese
piccole e grandi, misurate in base a dipendenti e fatturato, dovrebbe far ritenere la
presenza di gerarchie. Sulla struttura gerarchica della rete incide anche la modalità
organizzativa della filiera produttiva, la sua estensione e configurazione, se a
raggiera o a catena. Tipicamente, invece, numero di dipendenti e fatturato non
costituiscono criteri per la misurazione del potere delle imprese nei sistemi di rete
nella prospettiva del giurista. Le categorie di controllo, dipendenza, gerarchia sono
correlate all’abilità di incidere sulle decisioni di impresa e dunque rilevano in quanto
correlabili ad una misura del potere direttivo. Tuttavia è opportuno riconoscere che il
confine tra dipendenza ed interdipendenza, quale criterio discretivo tra gruppi e rete
di piccole imprese, non è sempre netto, ponendo problemi complessi di definizione e
di distinzione disciplinare. Il tema della rete di imprese propone dunque, sebbene in
diversa prospettiva rispetto ai gruppi, la questione dell’allocazione del potere
decisionale, in particolare nelle ipotesi di controllo non gerarchico di attività di
impresa caratterizzate da forte interdipendenza funzionale delle risorse impiegate
(input) e, spesso, di quelle prodotte (output)
1.9.1 Legge su reti di imprese
Una prima ed in un certo senso preliminare questione riguarda lo spazio ed il ruolo
degli strumenti giuridici nella definizione dei sistemi di rete
121
.
Le ricerche più attente sottolineano l’importanza dell’aspetto istituzionale, inducendo
ad interrogarsi non sulla esistenza di una dimensione regolativa, che deve assumersi
121
FABRIZIO CAFAGGI (2004), (a cura di) Reti di Imprese tra regolazione e norme sociali, Nuove
sfide per diritto ed economia, il Mulino
44
sussistente, ma sulla qualità della stessa. Il riferimento all’ingrediente normativo
relativo ad interventi non specifici ma destinati ad avere un forte impatto sullo
sviluppo delle reti di impresa, è senza alcuna pretesa di completezza, costituito dalla
riforma del diritto societario con i d.lgs. 6/03 e d.lgs. 37/04, dalla riforma del mercato
del lavoro con legge delega 30/03 e d.lgs. 276/03, dalla «riforma» dei servizi
pubblici locali, ma anche dalla disciplina della responsabilità del produttore (art 4,
d.P.R. 224/88) e da quelle contrattuali (ad esempio quelli concernenti la subfornitura
ex l. 192/98) o quelle in materia di mezzi e termini di pagamento ex d.lgs. 231/02.
Per non parlare delle riforme in materia fallimentare. Sul piano specifico ovviamente
deve ricordarsi la l. 317/91 e la legislazione sulle agevolazioni la cui competenza,
con la riforma del titolo V della Costituzione, è stata in gran parte trasferita alle
regioni. Tutto questo per limitarsi alla dimensione nazionale. Se si vuole indagare su
quella regionale, si scopre che piuttosto che di silenzio normativo si dovrebbe parlare
di forte rumore, dato l’affastellarsi di interventi diretti a ridefinire i sistemi produttivi
locali e la dimensione di rete che spesso ne costituisce ingrediente fondamentale122.
Infine un ruolo assai rilevante viene sempre più spesso svolto dall’intervento europeo
di cui devono distinguersi gli strumenti di hard e quelli di soft law. A questo riguardo
si può citare l’impatto che l’accordo di Basilea 2 potrà avere negli interventi
legislativi aventi ad oggetto i rapporti tra banche e piccole imprese. Tra questi la
riforma dei consorzi fidi non è che un esempio. Si tratta di discipline od orientamenti
che non considerano specificatamente le reti ed anzi, talvolta colpevolmente, le
ignorano ma che, anche «involontariamente», sono destinate ad avere un forte
impatto sulla loro emersione e sviluppo ed in certa misura anche sulla loro crisi (sia
essa di crescita o di declino). Dunque uno scenario ricco di interventi normativi che
caratterizzano in chiave regolativa tali sistemi.
122
Si considerano, senza pretesa di completezza: l.r. Emilia Romagna 3/99 (riforma del sistema
regionale e locale); l.r. Toscana 35/00 (disciplina degli interventi regionali in materia di attività
produttive); l.r. Veneto 8/03 (disciplina dei distretti produttivi ed interventi di politica industriale
locale); l.r. Basilicata 1/01 (riconoscimento ed istituzione dei distretti industriali e dei sistemi
produttivi locali); l.r. Friuli Venezia Giulia 27/99 (legge per lo sviluppo dei distretti industriali); l.r.
Lazio 36/01 (norme per l’incremento dello sviluppo economico, della coesione sociale e
dell’occupazione nel Lazio: individuazione e organizzazione dei sistemi produttivi locali, dei distretti
industriali e delle aree laziali di investimento); l.r. Liguria 33/02 (interventi da realizzarsi nell’ambito
dei sistemi produttivi locali e dei distretti industriali); l.r. Puglia 33/99 (norme di attuazione della
legge 5 ottobre 1991 n. 317)
45
La dimensione giuridica delle reti di imprese si articola principalmente intorno a due
diversi tipologie di strumenti regolamentari: una è la strumentazione privatistica,
costituita dalla combinazione del diritto dell’impresa, del lavoro, dell’innovazione e
della proprietà intellettuale, del finanziamento; l’altra è la regolazione attraverso cui
si realizzano le politiche pubbliche di sviluppo locale, quelle di sostegno alle piccole
e medie imprese e quelle di coesione sociale: dalla formazione alla ricerca, dalle
infrastrutture al welfare per finire con le politiche fiscali.
1.9.2 Regolazione, autoregolazione e modelli di governo
Da un lato, dunque troviamo la regolazione «pubblicistica», concernente la
definizione normativa di distretto e le modalità di governo dello stesso insieme alla
legislazione ed alla normativa secondaria riguardante le diverse forme di
contrattazione territoriale nonché quella concernente le agevolazioni. Dall’altro,
l’auto- regolazione privata delle reti, emergente dalla scelta di forme organizzative
che si estendono dalla filiera produttiva in senso stretto fino alla gestione
dell’impatto dell’attività d’impresa sul territorio, all’interno delle quali si collocano i
modelli della rete di imprese e dell’impresa- rete, che si scompongono in numerose
variabili(Crouch123 et al. 2004). Si tratta generalmente di contratti incompleti, definiti
per generare informazioni e negoziare interventi attraverso procedure deliberative
spesso complesse. La natura incompleta dei contratti costitutivi della rete comporta
la frequente presenza in essi di norme deputate a favorire il completamento sia nelle
ipotesi di reti contrattuali che in quelle di reti societarie, associative o fondazionali.
Nel contesto della autoregolazione privata vanno senz’altro collocati almeno:
-
i contratti collettivi di lavoro, la cui funzione (auto) regolamentare nei
contesti di rete ha trovato sviluppi limitati per i vincoli
(politici) allo
sviluppo della contrattazione territoriale nonché
-
le più recenti tipologie di contrattazione collettiva locale e/o territoriale che si
traducono spesso nella definizione di codici di autoregolazione della rete,
generalmente
diretti
a
disciplinare
una
specifica
funzione,
la
commercializzazione piuttosto che il settore ricerca e sviluppo.
123
CROUCH, C., e TRIGLIA , C. (2004) Introduzione. La «governante» delle economie locali, in C.
CROUCH, LE GALES, C. TRIGLIA e H. VOELZKOW, I sistemi di produzione locale in Europa,
Bologna, Il Mulino, pp. 7-44.
46
Il sistema delle relazioni industriali è oggi definito dall’intersezione tra contratti
collettivi di lavoro e patti territoriali con diverse finalità e natura, aventi ad oggetto lo
sviluppo locale. Spesso gli strumenti di programmazione negoziata, i contratti d’area,
i patti territoriali, contengono infatti una disciplina di tali rapporti ed incidono
almeno potenzialmente sulla struttura delle relazioni tra imprese. Il sistema di
relazioni industriali costituisce una manifestazione concreta dell’intersezione tra i
due modelli regolativi che influisce sensibilmente sull’impiego degli strumenti di
governo dello sviluppo locale e di quelli della rete. L’obiettivo è quello di
comprendere adeguatamente il rapporto tra sfere regolative ed i cambiamenti che
attori, pubblici e privati, promuovono o subiscono in quest’ambito. Alcune
considerazioni sugli strumenti di regolazione dello sviluppo locale consentono di
precisare meglio gli interrogativi sulla possibile evoluzione dei sistemi di rete di
PMI. In prospettiva il problema riguarda, da un lato, il rafforzamento della
dimensione territoriale della contrattazione collettiva non solo concernente i rapporti
di lavoro, dall’altro il coordinamento di questa con altri accordi o patti che
disciplinando lo sviluppo locale incidono sulla produzione di beni locali collettivi
favorendo la produttività del territorio e accrescendo quella nazionale.
Modalità di relazioni tra imprese aventi ad oggetto la produzione di diritti di
proprietà intellettuale e la loro allocazione possono dipendere funzionalmente
dall’esistenza di patti territoriali per la promozione della ricerca e dello sviluppo o
dall’impiego di strutture consortili. Il collegamento proposto tra i patti, i contratti
(territoriali ed interimprenditoriali) e le organizzazioni sarebbe diretto a catturare le
interdipendenze funzionali tra sviluppo locale e governo di rete. Le diverse modalità
di coordinamento degli strumenti incidono sulla natura della rete e sul modello di
relazioni al suo interno.
Una differenza significativa tra le diverse tipologie di rete concerne l’esistenza di una
dimensione territoriale e la sua incidenza sull’impiego o, sulle modalità di impiego
dei diversi strumenti giuridici.
La dimensione della territorialità incide piuttosto sul modus operandi di alcune
caratteristiche organizzative delle reti che sulla loro (capacità di venire ad) esistenza.
Ad esempio l’importanza della fiducia e del capitale sociale per le reti. Ora fiducia e
formazione del capitale sociale costituiscono un ingrediente importante di tutte le
47
reti, della loro formazione e del loro consolidamento, ma la loro presenza e natura
cambia se la rete ha una specificità territoriale, viene associata ad economie di
agglomerazione, ovvero è dispersa nello spazio e non presenta particolari
connessioni con un’area geografica particolare. Come avviene ad esempio nei
modelli di rete fondati sull’impiego delle moderne tecnologie della comunicazione
(TIC), che evidentemente consentono e promuovono anche forme di coordinamento
de- territorializzate (Miceli124 1999, 233). Occorre tuttavia precisare che alcune delle
caratteristiche della territorialità sono trasferite o trasferibili in astratto a comunità
funzionalmente, anche se non territorialmente, locali. Vi sono infatti ipotesi in cui si
sviluppa una conoscenza locale pur in assenza di un territorio in senso fisico. Sotto
questo profilo il ruolo cognitivo del territorio può conservare valenze anche per
comunità locali non territoriali (Rullani125, 2004).
Ad una de- territorializzazione tecnologica si affianca poi il fenomeno della delocalizzazione spaziale, generato sia dall’esigenza di riduzione dei costi sia da quella
della conquista dei mercati esteri.126 Se si aggiunge che spesso in queste ipotesi non è
più vero ciò che in precedenza accadeva, ossia che oggetto di de- localizzazione
erano fasi di lavorazione standardizzate e relativamente marginali mentre il core
business rimaneva territorialmente circoscritto, si comprende come vi sia la necessità
di reinterpretare alcuni modelli di rete e le ragioni del loro vantaggio comparato. 127
Un secondo profilo incidente sul rapporto tra modelli di sviluppo locale e
organizzazione delle reti di imprese e, dunque, sulla formazione di un diritto privato
locale, riguarda ovviamente la «popolazione» della rete, la tipologia di soggetti che
vi operano e di quelli con cui essa interagisce. Di particolare rilevanza sono i rapporti
con altre imprese, specificatamente con le grandi imprese presenti sul territorio e con
gli attori sociali e politici che rappresentano in particolare le istituzioni locali. Le
124
MICELI, S. (1999), Comunità virtuali: apprendimento e valore nell’economia delle reti, in
«Economia e politica industriale», pp. 233-266.
125
RULLANI, E. (2004), Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti,
Roma, Carocci.
126
Secondo recenti ricerche delle circa 5200 imprese italiane che compiono operazioni all’estero
almeno 2000 hanno posto in essere operazioni di delocalizzazioni. Nell’ambito di quest’ultime si
assiste ad una modificazione delle delocalizzazioni finalizzate alla riduzione dei costi rispetto a quelle
dirette alla conquista dei mercati stranieri dovuti anche alla circostanza che le prime finiscono con
l’avere breve durata perché i produttori stranieri che de localizzano vengono spesso sostituiti da
produttori locali.
127
In molti casi l’intera lavorazione di prodotto viene de- localizzata rimanendo nel sito originale
solamente design e modelleria.
48
caratteristiche di tali <<popolazioni>> sono diverse da quelle delle reti a- territoriali,
perché vedono all’opera un nutrito gruppo di attori collettivi, pubblici, privati o misti,
tipicamente legati al territorio, le cui funzioni vanno dal coordinamento alla gestione
di alcune fasi del ciclo produttivo a seconda del modello di regolazione prescelto. La
composizione della rete non è, dunque indifferente alle strategie regolative ed alla
loro combinazione. Occorre tener presente che dimensione della regolazione
pubblica e della rete spesso non coincidono, concernendo la regolazione uno spazio
maggiore di quello della rete. Generalmente, anche nel caso di regolazione
puramente locale, i regolatori rimangono esterni alla rete pur influenzandone
notevolmente la sua estensione, le sue modalità di funzionamento.
1.9.3 I modelli di rete nella teoria dell’impresa e la loro incidenza sui
profili giuridico- organizzativi
La letteratura economica sull’impresa ha per lungo tempo presentato due modelli
alternativi di produzione e scambio, identificati, rispettivamente, nel mercato e
nell’impresa (Coase128 1937): il primo generalmente rappresentato come luogo di
scambi tra agenti impersonali in posizione sostanzialmente simmetrica, il secondo
come costruzione gerarchica. Da tempo queste rappresentazioni sono state sottoposte
a revisione critica perlomeno da tre punti di vista.
Uno interno, concernente le definizioni di mercato ed impresa (Williamson129 1985,
1996; Hart e Moore130 1990; Rajan e Zingales131 1998, 2003)
Un altro esterno, che, criticando la bipartizione, ha introdotto una terza categoria,
quella degli ibridi, all’interno della quale si riconducono le forme di cooperazione
non gerarchica tra imprese (Grandori 1995132, 1999a133). In questo ambito vengono
generalmente ricondotte le forme di coordinamento orizzontale di imprese tra cui le
128
COASE, R. (1937), The nature of the firm, in «Economica», pp. 386-405.
WILLIAMSON, O.E. (1985), The economic institutions of capitalism: Firms, markets, relational
contracting, New York, The Free Press.
130
HART, O e MOORE, J. (1990), Property rights and the nature of the firm, in «Journal of political
economy», vol. 98, pp. 1119-1158.
131
RAJAN, R. e ZINGALES, L. (2003), Saving capitalism from capitalists, New York, Crow
Business.
132
GRANDORI, A. e SODA , G. (1995), Inter-firm networks: Antecedents, mechanisms and forms, in
«Organization studies», vol. 16, pp. 183-214.
133
GRANDORI, A. (1999a), Il coordinamento organizzativo tra imprese, in «Sviluppo e
organizzazione», n. 171, pp. 75-91.
129
49
reti.134 Le reti di imprese, in particolare quelle composte da piccole e medie, non
costituiscono soltanto un modello complementare a quello di altri sistemi produttivi
ma, mettono in discussione la concettualizzazione stessa di impresa ed in particolare
l’idea che la dimensione costituisca elemento determinante per definirne la
produttività e competitività dell’impresa stessa (Rullani135 2004).
Un terzo punto di vista che invece sottolinea la relazione tra forma di impresa e
contesto ambientale in cui essa opera. Sotto questo profilo di significativo rilievo
sono quei contributi che coniugano lo studio dei networks di imprese con i sistemi di
sviluppo locale (Becattini e Rullani136 1993; Brusco e Paba 137 1997; Beccatini138
1998, Porter139 1998; Enright 1998; Signorini
140
2000; Beccatini et al. 2003;
Crouch141 et al. 2004)
134
Tali forme di coordinamento comprendono sia ipotesi di cooperazione orizzontale, tra imprese che
si situano allo stesso livello mercato e possono essere anche concorrenti, sia ipotesi di cooperazione
verticale tra imprese collocate in fasi diverse del ciclo produttivo
135
RULLANI, E. (2004), Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti,
Roma, Carocci.
136
BECATTINI, G. e RULLANI, E. (1993), Sistema locale e mercato globale, in «Economia e
politica industriale», pp. 25-48.
137
BRUSCO, S. e PABA, S. (1997), Per una storia dei distretti industriali italiani dal secondo
dopoguerra agli anni novanta, in F. BARCA (a cura di), Storia del capitalismo italiano dal
dopoguerra ad oggi, Roma, Donzelli, pp. 265-334.
138
BECATTINI, G. (1998), Distretti industriali e made in Italy. Le basi socioculturali del nostro
sviluppo economico, Torino, Bollati Boringhieri.
139
PORTER, M.E. (1998), On competition, Cambridge (Mass.), Harvard Business Press.
140
SIGNORINI, L.F. (a cura di) (2000), Lo sviluppo locale. Un’indagine della Banca d’Italia sui
distretti industriali, Roma, Donzelli.
141
CROUCH, C., e TRIGLIA , C. (2004) Introduzione. La «governante» delle economie locali, in C.
CROUCH, LE GALES, C. TRIGLIA e H. VOELZKOW, I sistemi di produzione locale in Europa,
Bologna, Il Mulino, pp. 7-44.
50
CAPITOLO SECONDO
RETI DI IMPRESE TRA SVILUPPO E CRISI
2.1 Reti di imprese, nuove tecnologie ed innovazione
organizzativa
La rete di impresa, non coincide necessariamente con il distretto industriale, perché
vengono considerate anche ipotesi in cui si prescinde dalla concentrazione territoriale
e dalla specializzazione produttiva142.
Il fenomeno delle reti di imprese è caratterizzato dalla presenza di un sistema di
interdipendenze proprietarie e/o produttive in modo stabile. Tali interdipendenze
hanno diverse caratteristiche associate a diversi sistemi di allocazione del potere
decisionale tra le imprese. Sono dunque compatibili con distribuzioni simmetriche ed
asimmetriche di tale potere ma si differenziano dai gruppi dove è presente un livello
più elevato di gerarchia correlato alla presenza di forme di controllo proprietario e/o
contrattuale.
I sistemi di interdipendenze possono operare attraverso strumenti contrattuali,
societari, o, più spesso, attraverso la loro combinazione. Talvolta il contratto può
prestarsi, meglio di modelli organizzativi più complessi, a disegnare un modello di
rete con distribuzione asimmetrica del potere decisionale e dunque con un elevato
livello di gerarchia al suo interno.
Le reti di imprese si sviluppano spesso in relazione alla produzione di servizi, di cui
le imprese partecipanti alla rete intendono servirsi, ma anche di beni quando la loro
produzione avviene in outsourcing o viene delocalizzata.
L’impiego delle reti per la produzione di servizi costituisce fenomeno diffuso,
ancorché i modelli organizzativi impiegati siano diversi. L’interrogativo più
interessante riguarda però le tipologie di servizi che la rete di imprese vuole
produrre. Rispetto ai servizi tradizionali, legati essenzialmente a funzioni
amministrative e alle infrastrutture, le reti stanno promuovendo produzione di nuovi
servizi nell’ambito del processo produttivo.
142
FABRIZIO CAFAGGI, Reti di Imprese tra sviluppo e crisi, Evoluzione del sistema produttivo
italiano, sistemi di rete e modelli di corporate governante.
51
Sotto il primo versante vi sono mutamenti legati essenzialmente all’innovazione
tecnologica ed al finanziamento.
Da un lato l’economia digitale contribuisce sensibilmente alla costituzione di
piattaforme comuni. Dall’altro l’esigenza di finanziamento promuove nuove forme di
aggregazione, favorite dal mondo bancario e da quello dei consorzi fidi.
Sul versante della ridefinizione dei confini tra prodotti e servizi i mutamenti sono
rilevanti. Il ciclo produttivo stesso si “terziarizza” ed alcune funzioni del processo
produttivo, che vengono esternalizzate, divengono servizi. Dunque il processo di
outsourcing di fasi genera un mutamento da prodotto a servizio del bene prodotto
anche in ragione della creazione di sistemi produttivi che riguardano più imprese o la
rete nel suo complesso. Questa trasformazione comporta ovviamente la necessità di
definire regole contrattuali tra il soggetto produttore di servizi e le imprese
appartenenti alla rete che salvaguardino la giusta combinazione tra cooperazione e
competizione interna alla rete e tra la rete e i terzi.
L’impiego delle nuove tecnologie nelle relazioni tra imprese propone almeno due
quesiti incidenti sull’evoluzione dei modelli organizzativi:
a) In che misura reti preesistenti siano modificate nella loro struttura e modalità
operativa dalla introduzione di piattaforme tecnologiche o di sistemi di
comunicazione informatica;
b) In quali ipotesi la riduzione dei costi di transazione produce la costituzione di
reti che in precedenza non si costituivano in ragione del livello
eccessivamente elevato degli stessi.
Entrambe le ipotesi si stanno verificando. L’introduzione di nuove tecnologie della
conoscenza produce una modifica dei rapporti intra-rete; sia di quelli contrattuali sia
di quelli societari. Sia le reti produttive di subfornitura che quelle distributive, ad
esempio di franchising, sono cambiate in ragione dell’introduzione di reti di
comunicazione.
L’introduzione di database informativi sulla domanda ed offerta di beni e servizi
hanno altresì favorito la costituzione di nuove reti ovvero consolidato la struttura
preesistente, ampliando la concorrenza sia sul versante dei committenti che su quello
dei subfornitori.
52
La costituzione di reti produttive con supporto di reti telematiche ha dunque da un
lato ridotto i costi di transazione e dall’altro generato nuove funzioni delle reti, in
particolare quelle dirette a regolare l’accesso alla rete, i rapporti interni tra nodi ed i
rapporti con i terzi.
La diversa natura del gestore della rete, sia essa tecnologica o telematica, incide sui
modelli organizzativi dei rapporti interimprenditoriali e sulla natura inclusiva od
esclusiva della rete. In particolare rilevante sono le differenze tra reti telematiche
costituite e gestite da soggetti pubblici, reti autoregolate e reti gestite da soggetti
privati in posizione di terzietà rispetto ai partecipanti. Tali differenze si riflettono
prevalentemente sulle diverse modalità regolative.
2.2 Le componenti delle reti
Per progettare e soprattutto gestire una rete, oltre a conoscere i principi della network
analysis, è indispensabile conoscere le sue principali componenti strutturali ed in
particolare le relative caratteristiche143.
Innanzitutto i nodi, denominati anche sistemi della rete, possono essere costituiti da
entità diverse. Trattasi di unità giuridicamente autonome (aziende o altri enti
civilisticamente autonome per esempio un consorzio, una associazione di categoria,
ecc.) o di organismi interni dell’azienda (una business unit, una direzione funzionale,
un ufficio, un reparto, ecc.) o anche le singole persone. L’importante è che essi siano
soggetti capaci di una condotta autonoma, al tempo stesso auto referenziata per la
propria sopravvivenza e interattiva con gli altri sistemi per lo scambio di energia e
valori144.
Conseguentemente i rapporti che si vengono a creare tra i vari nodi vengono definiti
legami o connessioni fra i nodi. Tali possono essere suscettibili di forme varie in
riferimento all’oggetto e alla finalità della relazione stessa. Per quanto attiene
all’oggetto della relazione ci si riferisce sostanzialmente alla natura dello scambio
sintetizzabile nella realtà in quattro tipologie 145:
1) transazioni: generatrici di network per lo scambio di prodotti/servizi;
143
ROBERTA PROVASI, Il sistema evoluto delle reti d’impresa: le reti oloniche. Working Paper
elaborato nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Economia Aziendale, Università di Pavia – Italy.
144
H.R. Maturama, F. Varela, “Autopoiesis and cognition: the realization of the living” , Reidel,
Dordrecht 1980, trad. “Autopaiesi e cognizione” Marsilio, Venezia, 1985
145
G. SODA, op. cit., pag. 70.
53
2) scambi informativi: generatori di network della comunicazione;
3) scambi affettivi e normativi: generatori di network delle aspettative sociali;
4) associazioni di risorse: network di affiliazione o di “azione comune”
In base alla finalità delle relazioni si distinguono in:
1) relazioni strategiche aventi per finalità ad esempio lo sviluppo di prodotti o
l’ingresso in nuovi mercati;
2) relazioni operative che riguardano accordi di scala o attività esternalizzate per
ragioni legate alle strutture di costo.
Infine l’ultima componente si identifica con le caratteristiche operative rappresentate
da regole condivise in grado di permettere il successo alla rete: linguaggio comune,
norme di condotta, sistemi di pianificazione e controllo, sistemi di progettazione e
innovazione, sistemi di incentivazione comunemente riconosciuti e accettati.
2.3
Tipologie di Reti d’Impresa
La vasta categoria di forme organizzative riconducibili alla definizione di rete, è stata
studiata nel suo complesso ipotizzando un continuum di assetti ibridi o intermedi tra
l’impresa integrata e il mercato perfetto146. Tanto il continuum di forme ibride o
intermedie tra mercato e gerarchia quanto la categoria generale di impresa rete
comprendono in realtà una varietà di assetti istituzionali, contrattuali e organizzativi
assai diversi e spesso alternativi tra loro.
Un primo modello generale di classificazione delle diverse forme di rete si basa
sostanzialmente sulla differenziazione delle forme alla luce di alcune variabili, con
particolare enfasi all’intensità e alla forza dei legami, ai livelli di formalizzazione, al
grado di centralizzazione, alla dimensione, al tipo di interdipendenza e, infine,
aggiungendo alcune considerazioni riguardo alla natura dei meccanismi organizzativi
che sono in grado di assicurare il coordinamento.
146
SODA G. (1998), Reti tra imprese, Modelli e prospettive per una teoria del coordinamento tra
imprese, Carocci editore
54
2.3.1 Le reti burocratiche
Le forme burocratiche di rete rappresentano modalità di coordinamento tra imprese
generalmente formalizzate in contratti di scambio o di associazione (Grandori,
Soda147, 1995, pp. 201-3).
L’elemento impersonale rappresentato dal contratto o dalla norma è quello che
consente il coordinamento tra le parti. I contratti che regolano le forme di
coordinamento tra imprese di tipo burocratico sono in genere molto complessi. Essi
non si riferiscono esclusivamente agli obblighi economico-patrimoniali, ma anche ai
comportamenti, ai diritti di informazione, di decisione e di controllo (Grandori 148,
1995, p. 433). Si pensi a titolo di esempio, al contratto di franchising che include
aspetti di supervisione gerarchica da parte del franchi sor, piani formali di
programmazione e pianificazione, sistemi informativi integrati, standardizzazione dei
sistemi di contabilizzazione, formazione e socializzazione.
Le reti burocratiche di tipo associativo, dove cioè le imprese mettono in comune
un’ampia gamma di risorse o per obiettivi temporalmente definiti o per generare
coalizioni stabili, si possono formare anche per la condivisione di obiettivi e valori
generali. In questi casi i processi di ingresso nella rete assumono i caratteri delle
affiliazioni. L’ingresso di un nuovo attore nella rete è anzitutto ingresso in “sistema
di valori” , la cui tutela è affidata anche ai meccanismi burocratici di tipo associativo,
in grado di definire le regole di affiliazione e le sanzioni. Gli statuti associativi
definiscono una sorta di “diritto” interno alla rete.
Le reti burocratiche consentono la gestione di transazioni tra imprese o determinano
le regole – modalità, diritti e doveri – di associazione e di divisione del lavoro. Per
questo motivo si tratta di forme molto eterogenee, che possono, ad esempio,
presentare dimensioni ampiamente variabili. Una rete di affiliazioni in franchising
presenta dimensioni molto maggiori di un consorzio di cinque imprese per la
realizzazione di un immobile. In realtà anche all’interno della medesima tipologia si
possono riscontrare situazioni eterogenee. Allo stesso modo, anche la durata
temporale può essere variabile, dai progetti finalizzati, si pensi ai consorzi, alle
147
GRANDORI A., SODA G. (1995), Interfirm Networks: Antecedents, Mechanism and Forms, in
“Organization Studies” , 16, 2, pp. 183-214.
148
GRANDORI A. (1995), L’organizzazione delle attività economiche, Il Mulino, Bologna
55
relazioni associative che si interrompono per decisione della singola impresa o per
comportamenti sanzionati dagli statuti.
Se si escludono le associazioni di categoria, dal punto di vista strutturale le reti
burocratiche possono presentare attori centrali; è il caso del franchising, dei consorzi
che richiedono l’impresa “capofila” , delle reti di agenzia o delle forme di subcontracting. Una differenza sostanziale all’interno delle reti burocratiche è
rappresentata dalla asimmetria della relazione. In genere le relazioni simmetriche
caratterizzano le associazioni di risorse, siano esse di tipo intensivo come nel caso
dei consorzi, o semplice – pooled – nel caso delle associazioni di categoria. Le
relazioni asimmetriche caratterizzano quelle situazioni in cui un attore concede a un
altro lavori e fasi del ciclo produttivo, diritti, poteri, marchi, licenze ecc.,
conservando con questi una relazione stabile e remunerativa. In alcuni casi
l’asimmetria determina la necessità di svolgere vere e proprie attività di supervisione
assimilabili a quelle di un’impresa integrata. È anche per questa ragione che molte
forme di rete burocratica vengono assimilate all’impresa attraverso sostantivi del tipo
quasi-imprese.
Le forme di rete burocratiche
Un primo tipo di rete burocratica si ha quando una relazione di mercato presenta
elementi di complessità informativa difficilmente gestibili direttamente dalle due
controparti.
In tutte quelle situazioni nelle quali non si riesca a definire con esattezza il valore e la
qualità delle prestazioni, le parti possono decidere di attribuire volontariamente la
legittimazione ad una “gerarchia” che controlla le prestazioni di tutti i partecipanti
(Barney, Ouchi149, 1985). La gerarchia può essere rappresentata da una terza parte
che interviene nello scambio o da un contratto definito dalle parti.
Se comparata con il mercato puro, la gestione di una relazione di scambio attraverso
questi meccanismi determina una crescita del livello di cooperazione tra le parti
(Pilati150, 1990, pp. 219-73). È necessario che le parti entrino in contatto in forme
sistematiche e che accrescano il volume di informazioni scambiate. Inoltre, entrambe
149
BARNEY J. B., OUCHI W. G. (1985), Costi delle informazioni e strutture economiche di governo
delle transazioni, in Nacamulli, Rugiadini (1985), pp. 349-72.
150
PILATI M. (1990), Le politiche dei prezzi di trasferimento: organizzazione e controllo nei quasimercati, Egea, Milano.
56
le parti devono convergere sul giudizio di competenza, di esperienza, capacità o
tradizione che legittima il potere della terza parte. Sotto questa luce, l’intervento di
una terza parte può essere visto come un sostituto della fiducia.
Grandori151 (1995, pp. 433-8) distingue due diverse classi di rete burocratica:
1) le reti burocratiche in cui il coordinamento tra le parti è affidato alle regole,
alla pianificazione, alle procedure oppure, o congiuntamente, alla
supervisione e all’autorità (Grandori, 1995, p. 434);
2) le reti burocratiche in cui il coordinamento tra le parti è affidato a due forme
di contratto, entrambe incomplete, ossia i contratti di associazione e i contratti
di scambio obbligativi (Grandori, 1995, p. 435).
Coordinamento inter-organizzativo tramite autorità
Nella prima tipologia rientrano tutte le forme di scambio o associazione tra imprese
basate su “correzioni” del mercato realizzate attraverso meccanismi di tipo
burocratico, come anche l’arbitrato.
Sotto questa definizione sono anche ricomprese molte forme di reti “orizzontali” ,
ossia tra imprese che svolgono le medesime attività e in genere sono concorrenti. In
questi casi, il coordinamento può essere ottenuto attraverso regole di appartenenza e
modalità di comportamento. I regolamenti determinano anche le modalità di
composizione, in alcuni casi di “elezione” , delle rappresentanze, la scelta degli
organi decisionali e i meccanismi di allocazione delle risorse.
Le tipologie assimilabili a questa categoria sono le associazioni di categoria, alcune
forme di federazione, come i cartelli (Daems152 1985) e tutte le altre forme di
associazione orizzontale tra imprese. Queste forme di rete si basano in genere sulle
procedure e sui meccanismi di informazione ma non presentano diffusi ricorsi
all’autorità o alla supervisione. Esistono però associazioni di imprese finalizzate alla
realizzazione di progetti che possono presentare meccanismi di coordinamento basati
sia su procedure che sull’autorità. È il caso dei consorzi o delle associazioni
temporanee tra imprese. Si tratta di una forma di rete molto diffusa in Italia e
151
GRANDORI A. (1995), L’organizzazione delle attività economiche, Il Mulino, Bologna
DAEMS H. (1983), The Determinants of Hierarchical Organization of Industry, in A. Francis, J.
Turk, P. Willman (eds.), Power Efficiency and Institutions, Heinemann, London; trad. It. Dimensione
di impresa e integrazione gerarchica nell’organizzazione industriale, in Nacamulli, Rugiadini (a cura
di) (1985), pp. 427-46.
152
57
caratterizzata da diversi assetti istituzionali – consorzio con attività esterna, società
consortile ecc.
Nella progettazione e realizzazione di grandi lavori, ad esempio come nei settori
dell’impiantistica o delle costruzioni, il consorzio può dare luogo a una vera e
propria struttura organizzativa basata sulla divisione del lavoro, sulla definizione di
regole di funzionamento e sulla designazione di autorità interne con funzioni di
controllo, di supervisione e di arbitrato (Grandori, 1995, p. 435). In alcuni casi è
formalmente prevista la presenza di un’impresa capofila.
I consorzi nelle settore delle costruzioni possono presentare connotazioni molto
diverse per dimensioni, raggio d’azione, intensità del legame e livelli di reciprocità.
Molti consorzi sorgono ad hoc per singoli progetti, altri invece presentano i caratteri
di informazioni stabili con maggiori dimensioni operative e dotati di proprie capacità
progettuali e finanziarie. In genere il consorzio presenta una rete a elevato grado di
connettività, anche nei casi in cui è prevista un’impresa centrale. In alcune
esperienze italiane, in particolare nella realizzazione di progetti di ricerca e sviluppo
o grandi progetti infrastrutturali, la relazione consortile evidenzia forti caratteri di
intensità, coinvolgendo generalmente l’attività caratteristica della singola impresa;
quest’ultima finisce con il mettere in comune ad altre imprese gran parte delle
proprie competenze distintive. Naturalmente si tratta di reti ad elevato grado di
formalizzazione e generalmente paritetiche.
Coordinamento inter-organizzativo tramite contratti
Nel modello di classificazione proposto da Grandori vi sono le forme di rete basate
sui contratti associativi e scambio obbligativi. Si definiscono obbligativi poiché
contengono clausole che indirizzano formalmente i comportamenti delle parti. Un
esempio di contratto obbligativo è il contratto che lega una casa automobilistica a un
concessionario. Anche i contratti di affiliazione in franchising sono contratti
obbligativi sebbene molto più complessi delle concessioni di vendita. Attraverso un
contratto di franchising si generano tutta una vasta gamma di processi di
trasferimento di prodotti, metodi, conoscenze, formazione, assistenza, da un attore ad
un altro – dal franchi sor ai franchisees. Il pagamento di royalties è accompagnato
dall’accettazione, da parte dei franchisees, della supervisione. Questa si realizza in
genere attraverso le ispezioni. Il franchising è una forma di rete asimmetrica,
58
caratterizzata in genere da elevate dimensioni ma da una ridotta connettività. Non vi
sono infatti relazioni formalizzate tra i franchisees. Dal punto di vista del franchisor,
una rete di franchising è un vasto insieme di relazioni diadiche ed è quindi
rappresentabile come una struttura a stella. Inoltre, i legami all’interno della rete non
presentano elevato grado di intensità e non trovano spazio elementi di socialità o di
fiducia.
Una tipologia di rete poco considerata dal punto di vista degli aspetti organizzativi è
rappresentata dal licensing. Questa tipologia è stata tradizionalmente considerata
come una forma commerciale di accordo tra imprese, concernente la cessione o
l’acquisizione di licenze attraverso meccanismi di scambio basati esclusivamente
sulle architetture contrattuali. Se però si considera la forte riduzione dei meccanismi
di protezione dei brevetti e delle conoscenze in generale, gli accordi di licensing
possono celare non pochi rischi. L’affidamento ad una pura relazione “contrattuale” ,
prescindendo quindi dalla creazione di meccanismi di supporto quali lo scambio del
personale, la fiducia, la definizione di garanzie connesse alla molteplicità delle
relazioni di scambio, presenta oggi più di ieri maggiori rischi.
Anche le diverse forme di sub-contracting o di sub-appalto presentano accanto ai
meccanismi contrattuali altre modalità di coordinamento. In particolare, si osserva la
presenza di meccanismi di autorità e supervisione. Le forme di sub-contracting
costituiscono modalità di organizzazione delle relazioni tra imprese, intermedie tra la
semplice relazione contrattuale e l’organizzazione interna gerarchica (Eccles153,
1981, trad. it. 1985). Infatti si tratta di forme di rete che alimentano un sistema che
Eccles definisce «quasi organizzazione». Anche questa tipologia di rete ruota attorno
ad un’impresa centrale o impresa generale (Dioguardi154, 1987). Il grado di
connettività della rete nel complesso è relativamente modesto.
2.3.2 Reti Proprietarie
Le reti proprietarie sono quelle forme di relazione in cui le imprese partecipanti
godono congiuntamente di diritti di proprietà e/o di partecipazione ai risultati
153
ECCLES R. G. (1981), The Quasi-firm in the Construction Industry, in “Journal of Economic
Behavior and Organization” , 2, pp. 335-57; trad. It. Le quasi organizzazioni nel settore edilizio, in
Nacamulli, Rugiadini (a cura di) (1985), pp. 551-74.
154
DIOGUARDI G. (1987), L’impresa nell’era del computer, Il Sole 24 Ore, Milano.
59
dell’attività svolta. Definiamo queste forme di relazione tra imprese come reti, se non
si configura uno scambio di partecipazioni di controllo o di maggioranza tra due o
più realtà. Le reti proprietarie possono dare luogo a un’entità terza che Turati
definisce «impresa congiunta» (Turati155, 1990, p. 3). La creazione dell’impresa
congiunta e l’indipendenza delle parti che concorrono alla sua creazione, si associano
nelle reti proprietarie all’integrazione delle risorse da questi conferite (Turati, 1990).
Non è tuttavia escluso che queste forme di coordinamento tra imprese possono avere
finalità esclusivamente finanziarie. Le tipologie di reti proprietarie più note sono le
joint ventures (Killing156, 1983; Harrigan157, 1985; Turati, 1990).
Le joint ventures sono forme di coordinamento tra imprese basate sulla creazione di
una nuova impresa attraverso il conferimento dei capitali e la congiunzione delle
risorse, tangibili e non, a disposizione dei partner. Dal punto di vista strutturale, ciò
implica che almeno tre attori debbano essere coinvolti in questa forma di rete. In
pratica, ci troviamo in una situazione nella quale le relazioni tra i due attori principali
sono “mediate” dall’impresa congiunta. Quest’ultima gode generalmente di una
organizzazione propria, sebbene l’integrazione dei gruppi manageriali di diversa
provenienza rappresenti uno dei problemi principali. Le reti proprietarie sono in
genere ampiamente formalizzate e caratterizzate da dimensioni ridotte. Spesso,
l’utilizzo dei diritti di proprietà e di partecipazione agli utili si realizza quando
l’attività da gestire presenta alti livelli di incertezza e i rischi di opportunismo
divengono critici a causa della specificità degli investimenti. Infatti parliamo di reti
inter-organizzative diffuse nei settori complessi o nella gestione di attività
particolarmente rischiose e innovative. Le reti proprietarie affrontano il problema
della difficoltà di misurazione dei contributi e degli incentivi assegnando a ciascuna
parte quote di risultato, riducendo così i costi di controllo dell’elusione.
Rispetto alle reti burocratiche, i confini possono essere molto sfumati, come nel caso
dei consorzi che danno luogo alle società consortili o ai consorzi con attività esterna.
Esistono modalità di coordinamento non proprietario ma che presentano diritto agli
utili. Grandori (1995, p. 441) riporta in proposito altre tre tipologie: il contratto di
155
TURATI C. (1990), Economia e Organizzazione delle Joint Venture, EGEA, Milano.
KILLING J. P. (1983), Strategies for Joint-Ventures Success, Praeger, London, Ontario.
157
HARRIGAN K. R. (1985), Strategies for Joint-Ventures, Lexington, London.
156
60
joint venture che prevede solo la partecipazione pro-quota agli utili derivanti da
un’azione comune; l’associazione in partecipazione; alcune forme di cartello.
Vi sono poi forme di collaborazione tra imprese governate da istituti giuridici
particolari come il GIE – groupment d’intéret éeconomique. Si tratta di un istituto di
diritto francese nato nel 1967. Venne istituito con l’obiettivo di definire una cornice
giuridica della cooperazione tra imprese, al contempo più flessibile della joint
venture e più garantita della semplice associazione. Il GIE è uno strumento
intermedio destinato a «facilitare e sviluppare l’attività economica dei suoi membri,
migliorare o accrescere i risultati di questa attività, ma non a realizzare profitti per se
stesso» (art. 3, ordinanza n. 67-821 del 23 settembre 1967). In pratica si specifica
che l’attività svolta congiuntamente deve essere solo ausiliare alle attività
caratteristiche delle imprese che partecipano al GIE – questo principio è stato
riaffermato anche con una legge del 1989. Questa forma di rete può essere costituita
con o senza capitale ma le imprese partecipanti sono solidalmente responsabili per le
obbligazioni assunte dal GIE. Di fatto il GIE è una forma molto prossima al
consorzio con attività esterna regolamentato in Italia. Di conseguenza ci troviamo ai
limiti delle forme burocratiche simmetriche. In ogni caso questo tipo di contratto è
molto diffuso anche in settori complessi come l’aerospazio. Il confine tra forme
burocratiche e forme proprietarie caratterizzate da divisioni pro quota degli utili è
molto labile. Infine, se la joint venture è una forma di rete simmetrica, altrettanto non
si può dire per le relazioni di capital venture. Queste relazioni oltre a rappresentare
forme di finanziamento di progetti complessi, possono essere considerate come
modalità di coordinamento tra imprese.
2.3.3 Reti centrate e reti simmetriche
Le relazioni tra i partner di una rete non sono sempre paritetiche e in funzione della
“gerarchia” di rapporti tra le imprese si distinguono le reti centrate da quelle
simmetriche158. Quando a promuovere il network sono imprese che svolgono il ruolo
di coordinamento, assumono la funzione di coagulo degli scambi e ne rappresentano
158
Ricciardi Antonio (2003), Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica,
Franco Angeli
61
il baricentro ci troviamo di fronte a reti centrate159. In questo modello reticolare il
sistema relazionale risponde a specifici obiettivi strategici dell’impresa “centrale”,
che porta a focalizzare le risorse sulle competenze distintive e a realizzare i processi
meno critici mediante rapporti di partnership. Per rendere operativa questa scelta
strategica è necessario adottare politiche di esternalizzazione di processi che vanno al
di là del semplice trasferimento di gestione di attività a fornitori e che configurano
legami di partnership duraturi, caratterizzati in alcuni casi anche da investimenti
congiunti e condivisione dei rischi. In questa prospettiva, l’azione fondamentale
dell’impresa centrale consiste nel progettare e coordinare assetti reticolari
assegnando a ciascun partner le linee strategiche da seguire oltre che a trasmettere
agli stessi partner quella visione del network quale unità competitiva, in luogo della
singola impresa160. Quando oltre a queste funzioni l’impresa centrale svolge il ruolo
di stimolo dello sviluppo di competenze dei partner incoraggiandone l’innovatività,
essa viene definita intelligent enterprise161. In casi non rari, la stessa impresa centrale
diventa “virtuale”, assumendo solo la funzione di coordinamento e affidando alla rete
da essa creata la gestione di tutto il processo produttivo 162. A reti di imprese che
fanno perno su un’impresa leader, la quale gode di una posizione contrattualmente
159
Nella teoria organizzativa le reti centrate e simmetriche vengono individuate rispettivamente come
reti segregate e integrate. La rete “segregata”, definita anche rete “a stella” è coordinata da un’unità
centrale che sviluppa relazioni bi-direzionali con imprese che tra loro non sviluppano apprezzabili
accordi di collaborazione. Viceversa, la rete integrata si caratterizza per la presenza di intense
relazioni tra tutti i nodi della rete. Anche in questa tipologia di rete, tuttavia, non è esclusa la presenza
di un’impresa leader che, in virtù di competenze, risorse e capacità di coordinamento svolge il ruolo di
pianificatore della rete.
160
Lipparini A. (1996), “Architetture relazionali inter-impresa: promuovere l’innovazione attraverso
le reti d’impresa”, Sviluppo & Organizzazione, n. 153, gennaio-febbraio p. 38
161
Un caso emblematico di “impresa intelligente” è l’Ikea, multinazionale svedese leader nella
progettazione e realizzazione di soluzioni di arredamento. L’organizzazione della produzione,
totalmente esternalizzate, si basa sul coordinamento di circa duemila fornitori in più di cinquanta
paesi. I trenta centri di acquisto dell’Ikea hanno il compito d’integrare i diversi partner nel sistema del
valore dell’impresa con prodotti di qualità e a basso costo. Per raggiungere quest’obiettivo l’Ikea non
esita ad avere più fornitori di paesi diversi “assemblati” per la realizzazione di un unico prodotto. Le
competenze distintive dell’Ikea risiedono oltre che nel coordinamento dei fornitori anche
nell’organizzazione della logistica: ogni pezzo fabbricato dai fornitori viene convogliato in una delle
quattro grandi piattaforme (Francia, Svizzera, Austria, Germania) dove la merce è immagazzinata,
confezionata e poi spedita ai negozi che hanno dei magazzini di stoccaggio con una superficie pari ad
un terzo di quella della vendita.
Ricciardi A. (2002), “La gestione strategica dell’impresa”, in Fabbrini G. e Montrone A. (a cura di),
Economia aziendale. Fondamenti ed evoluzione della disciplina, F. Angeli, Milano, pp. 159 e ss.
162
Nel settore finanziario è emblematico il caso della società finanziaria inglese Virgin Personal
Finance direct, la cui strategia commerciale si fonda sulla vendita via telefono e via internet di
investimenti fiscalmente agevolati, tutti realizzati da altri intermediari finanziari.
Ricciardi A. (2000), L’Outsourcing Strategico. Modalità operative, tecniche di controllo ed effetti
sugli equilibri di gestione, F. Angeli, Milano.
62
favorevole su altre, in genere più piccole o comunque a questa strategicamente
subordinate, si contrappongono altre tipologie di reti dove, pur in presenza di
un’impresa guida che di solito è il promotore e svolge il ruolo di coordinamento, le
posizioni delle varie imprese coinvolte presentano un maggior grado di simmetria,
almeno ex-ante, con un’ampia autonomia strategica. In questo caso gli accordi di
collaborazione vengono stipulati al fine di sfruttare i vantaggi delle reciproche
complementarietà come, ad esempio, la leadership tecnologica delle une ed il
controllo di particolari mercati delle altre.
Le reti simmetriche si sviluppano nel tempo, attraverso fasi successive difficilmente
pianificabili. Di norma, nelle fasi iniziali non vi è sempre una percezione chiara del
processo in atto e solo in momenti successivi, di maggiore maturità, questo processo
che avanza attraverso mutamenti di accordo e di partner diversi, dà luogo ad una più
consapevole progettazione delle linee di sviluppo dell’intero network163. In questo
processo evolutivo, favorito dalla continuità delle relazioni e dallo sviluppo dei
circuiti di comunicazione e di apprendimento (social capital), si rilevano tre
tipologie di reti di imprese: le reti informali dove è preminente il ruolo di
coordinamento dell’impresa guida; le reti preordinate in cui emerge il contributo
delle varie imprese partner; le reti pianificate in cui si elaborano progetti di medio –
lungo periodo e dove si rilevano modalità organizzative permanenti164.
Le reti informali si riconoscono perché non vi è all’interno della rete la presa di
coscienza del modello che si sta adottando e, pertanto, sono assenti metodi anche
elementari di gestione e controllo della cooperazione. I legami che si instaurano tra le
imprese sono semplici, elementari e le aggregazioni nascono da situazioni
contingenti, che si traducono in breve termine in lavoro organizzato. Solitamente,
all’interno di tale modello di rete è riconoscibile un’impresa che rappresenta il punto
di riferimento e che assume il ruolo di guida, senza però svolgere alcun compito di
direzionalità165. In questo caso, la funzione dell’impresa leader si limita al
163
Sicca L. (2001), La gestione strategica dell’impresa. Concetti e strumenti, Cedam, Padova
Questo percorso evolutivo è stato riscontrato nelle reti di fornitura che «mostrano nel tempo
variazioni sostanziali nel numero dei fornitori di primo livello (che diminuiscono con lo sviluppo
dell’organizzazione), la creazione dei fornitori di secondo livello, il mutamento dei metodi di
selezione, la direzione e l’articolazione delle relazioni, che subiscono trasformazioni sostanziali in
archi di tempo lunghi».
165
Nella realtà operativa sono state individuate anche reti di imprese senza centro, cioè imprese autoorganizzate, con la completa assenza di un’impresa centrale
164
63
raggruppamento di piccole imprese per periodi limitati e per il raggiungimento di
specifici obiettivi che raramente riguardano lo sviluppo di nuovi prodotti. Di fatto è
una funzione di capofila più che di guida poiché non si riscontrano i caratteri di forte
direzionalità nei confronti delle imprese della rete. I rapporti all’interno della rete
sono di tipo univoco: l’impresa guida, caratterizzandosi sotto il profilo economicotecnico come impresa di progettazione, assemblaggio e coordinamento, richiede ai
partner prestazioni definite mediante preventivi di costo, di tempi e di qualità. Per la
mancanza di meccanismi preventivi di selezione dei partner, in questa fase evolutiva
della rete, si riscontra un’intensa rotazione dei partecipanti e, conseguentemente, una
notevole instabilità. Questa forma aggregativa è molto diffusa nelle produzioni di
ciclomotori, mobili, calzature ed articoli di abbigliamento e consente alle imprese
guida di contenere gli immobilizzi di capitale e presentare una struttura dei costi
elastica grazie alla realizzazione di una quota della produzione da parte di imprese
terze166. La rete informale tende ad evolversi in forme di collaborazione più
strutturate,
dove
il
ruolo
dell’impresa
guida,
soprattutto
nella
funzione
coordinamento, diventa più incisivo.
Le reti preordinate rappresentano l’evoluzione della rete informale mediante il
potenziamento della stabilità dei rapporti, che si realizza con una diversa modalità di
selezione dei partner ed un diverso governo delle reazioni.
Mentre nel caso delle reti informali gli attori vengono selezionati in base a criteri di
efficienza di breve periodo, nelle reti preordinate, dove l’obiettivo di fondo da
perseguire è la crescita comune, assumono rilevanza sia le condizioni economichefinanziarie delle imprese, considerate come un segnale di sopravvivenza, di stabilità
e di sviluppo, sia le condizioni tecnico-produttive, che garantiscono la qualità del
prodotto e il potenziale innovativo di tutta la rete. Inoltre, mentre negli stadi più
elementari, l’impresa guida sviluppa relazioni monodirezionali verso le unità nodali,
nella rete preordinata il senso si fa bidirezionale in quanto la relazione è influenzata
dalla reciprocità. Tuttavia, manca ancora una visione strategica dei potenziali di
sviluppo dei rapporti interaziendali.
Un’ulteriore evoluzione della rete si registra allorquando alcune imprese assumono il
ruolo di coordination agent rispetto alle imprese nodali. Ciò che muta è la funzione
166
Sancetta G. (1997), I gruppi di imprese minori, Cedam, Padova, p. 108
64
dell’impresa guida, la quale, mentre nello stadio preordinato si limitava a strutturare
e governare le relazioni tra i partner, ora punta a stimolare lo sviluppo delle
conoscenze dei partner diffondendo in rete le competenze di ciascuno e a coordinare
efficacemente i singoli apporti. L’intervento dell’impresa guida non è spontaneo ma
pianificato e orientato alla valorizzazione della formula imprenditoriale basata su
competenze e relazioni.
In questa prospettiva, la rete pianificata è capace di promuovere processi di crescita
dimensionale e di affrontare condizioni competitive anche difficili, grazie alla forte
capacità dell’impresa guida di gestire il coordinamento e la progettualità. La stabilità
di una rete pianificata è strettamente correlata alla qualità (in termini di capacità) dei
partner che la compongono. Pertanto, l’impresa centrale provvederà a selezionare i
partecipanti in base a criteri di efficienza economica e produttiva della loro gestione
ma anche tenendo conto della loro capacità di innovazione, di problem solving e di
relazione.
2.3.4 Le reti di produzione: le relazioni di sub-fornitura
I rapporti di sub-fornitura tendono ad evolversi e si basano sempre più
frequentemente
su
relazioni
fiduciarie
e
rapporti
di
collaborazione
tra
committente/committenti e reti di sub-fornitori167.
A partire dagli anni ’80, l’evoluzione dello scenario economico globale ha indotto un
decisivo processo di rinnovamento organizzativo ovvero di disintegrazione verticale
(che ha interessato tutte le imprese a prescindere dalle loro dimensioni), volto a
recuperare competitività e flessibilità nonché adeguati margini di efficienza. Tale
processo è stato alimentato dall’innovazione tecnologica e, in particolare,
dall’applicazione diffusa della telematica, che ha migliorato le modalità di
comunicazione e di coordinamento tra imprese, nonché dalla ricerca di livelli
adeguati di qualità, che ha enfatizzato il ruolo strategico della funzione
approvvigionamenti e dalla
logistica globalmente considerata.168 Entrambe le
167
Ricciardi Antonio (2003), Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica,
Franco Angeli
168
Il fenomeno ha cominciato a svilupparsi già negli anni ’60 e, in questo periodo, così come per tutti
gli anni ’70, nei rapporti di sub-fornitura domina la grande impresa che impone al sub-fornitore,
solitamente un’impresa di medie e/o piccole dimensioni, specifiche tecniche e vincoli contrattuali
(tempi di consegna, lotti minimi di produzione, prezzo di acquisto, ecc). La progettazione del prodotto
65
variabili hanno contribuito allo sviluppo ed alla stabilità dei rapporti tra committenti
e fornitori.
Nell’attuale contesto organizzativo, la tendenza più diffusa è quella di ricorrere
maggiormente all’esternalizzazione e a sviluppare intense relazioni di tipo non
competitivo e di lungo periodo, a monte e a valle, con altri attori economici 169. In
particolare, i rapporti collaborativi, magari a partire dalle prime fasi di pianificazione
di un nuovo prodotto, con pochi fornitori, qualificati e specializzati, particolarmente
attivi sul versante dell’innovazione tecnologica, assumono una valenza strategica,
potendo contribuire al conseguimento di significativi vantaggi competitivi, sia per la
singola impresa (approccio strategico) sia per il sistema di imprese di cui essa è parte
(approccio organizzativo) 170. Si assiste pertanto ad un’evoluzione del ruolo del subfornitore con caratteristiche diverse rispetto a quelle delineate in epoche passate: non
più semplice erogatore esterno di prodotti e/o servizi ma membro di un sistema
produttivo al quale fornisce contributi nella progettazione, nell’innovazione e, in
qualche caso limite, anche nelle scelte strategiche del committente. Il passaggio da
sub-fornitore normale a partner, presuppone l’evoluzione da relazioni squisitamente
commerciali, basate sul prezzo, verso relazioni partecipative di natura industriale,
improntate alla progressiva integrazione informativa e produttiva fino al mutuo
coinvolgimento nella pianificazione strategica, in un’ottica di creazione congiunta di
valore.
rimane integralmente sotto il controllo del committente mentre al sub-fornitore vengono richieste solo
capacità di produzione (tecnical skill). Inoltre, il processo di selezione dei fornitori è fortemente
condizionato dall’obiettivo di minimizzare il costo di acquisto del componente o servizio (subfornitura da costi). In questo caso la competizione tra le imprese sub-fornitrici si basa esclusivamente
sul prezzo, con la conseguenza che, da un lato, il contratto di fornitura è di tipo occasionale (legato,
cioè, ad un singolo acquisto) o di breve durata (generalmente non superiore all’anno); dall’altro lato,
anche quando il fornitore è confermato, la rinegoziazione degli accordi determina un’elevata
probabilità di sostituzione dei fornitori.
Martelli A. (1992), “I sistemi di subfornitura”, Sviluppo e Organizzazione, n. 133, settembre-ottobre
169
La telematica ha fatto sì che, in un mercato ormai globale, i limiti agli scambi commerciali siano
fissati non già dalla struttura e/o dalle modalità organizzative bensì dalla tecnologia: per esempio, un
prodotto/servizio può essere ideato in Italia, progettato in Olanda, il prototipo può essere realizzato e
costruito in Giappone, e, infine, prodotto e commercializzato in paesi diversi.
Merlino M., Testa S e Valivano A. (1997), Opportunità e limiti dei processi di outsourcing, Economia
& Managment, n.3
170
Vaccà S. (1986), “L’economia delle relazioni tra imprese”, Economia e Politica Industriale, n. 50,
p.69
66
Si delineano, pertanto, in base all’importanza che la sub-fornitura assume per il
committente, due tipologie di sub-fornitori: i sub-fornitori tattici e i sub-fornitori
strategici.
I primi sono generalmente fornitori di componenti di minore importanza, con i quali
si intrattengono rapporti contrattuali di tipo tradizionale; sono sempre sostituibili (ma
non senza costi) sia con una produzione interna dell’azienda sia con altri subfornitori. I secondi, invece, sono fornitori primari: il livello tecnologico e qualitativo
delle loro prestazioni qualifica il prodotto e l’immagine del committente; rivestono
un ruolo strategico (sono cioè sostituibili difficilmente e a costi rilevanti) non solo
per ciò che riguarda l’efficienza del processo produttivo, ma anche per ciò che
concerne qualità e innovazione; operano alla stregua di veri e propri capi commessa
e, solitamente, coordinano l’attività di sub-fornitori di secondo e terzo livello. In
quest’ultimo caso, il committente ricerca partner con competenze specialistiche
diverse dalle proprie, con i quali sviluppare rapporti di collaborazione duraturi e di
trasferimento reciproco di conoscenze. In tale direzione, lo stesso processo di
selezione è improntato su considerazioni a valenza strategica (il livello tecnologico,
gli standard di qualità, la flessibilità, l’elasticità produttiva, i tempi e la regolarità
delle consegne) ed i rapporti di collaborazione tra sub-fornitori e committenti si
orientano all’interscambio continuo di informazioni, tecnologia ed esperienze fino ad
arrivare alla progettazione congiunta di processi e prodotti. L’utilizzo di un sistema a
rete di sub-fornitori tattici e strategici si concentra frequentemente in settori
fortemente innovativi come quello aeronautico ed automobilistico. Un caso
emblematico è rappresentato dalla Fiat, che fin dagli anni Novanta, ha creato una
complessa trama di relazioni contrattuali con pochi e selezionati fornitori, in base alla
quale nel processo produttivo globale è coinvolto un network di imprese, che, da un
lato, prevede relazioni di partnership strategico - operativa e di condivisione degli
obiettivi produttivi con i fornitori primari (coinvolti non soltanto nella fase produttiva
ma anche nella fase di sviluppo, progettazione e innovazione delle vetture) mentre
rapporti contrattuali di tipo tradizionale vengono intrattenute con i fornitori di
67
componenti di minore importanza, i quali operano attenendosi scrupolosamente alle
esigenze tecniche determinate dal committente171.
A seconda del tipo di relazione (tradizionale o partecipativa) e delle aree di
collaborazione (operative o strategiche) si profilano tre diverse categorie di subfornitori: normali, integrati, partner.
I sub-fornitori «normali» (quelli più diffusi nella realtà operativa), instaurano con
l’impresa committente rapporti occasionali o operativi, posti in essere per conseguire
un risparmio nei costi di acquisto del componente o del servizio (sub-fornitura da
costi). In particolare, tali rapporti si caratterizzano per una bassa specificità delle
risorse e degli investimenti del sub-fornitore172 ed un forte grado di dipendenza
dall’impresa committente (in termine di pressione sui costi e rigida definizione di
contenuti, programmi e tempi di lavoro). In questa fattispecie, i contratti vengono
stipulati sulla base di singoli ordini e non prevedono impegni nel medio periodo.
Generalmente queste imprese completano al loro interno l’intero ciclo produttivo
della commessa assegnata e non sviluppano rapporti con altri sub-fornitori. I rapporti
tra l’azienda e i suoi sub-fornitori sono molto spesso di tipo informale (perché basati
sulla conoscenza personale e sulla fiducia nelle competenze produttive dei subfornitori), non esiste solitamente un progetto comune di crescita nel medio – lungo
periodo e, di fatto, non si riscontra una netta interdipendenza reciproca. In questa
circostanza è evidente il diverso potere contrattuale del committente rispetto al
fornitore: in molti casi l’azienda committente rappresenta l’unica possibilità di
accesso al mercato per l’impresa sub-fornitrice e questa circostanza, associata ad un
modesto grado di specificità degli investimenti del sub-fornitore e/o a vincoli
contrattuali e dimensionali molto stringenti da parte del committente, rende realistica
171
Maggi B. e Masino G. (2001), “Verso una ridefinizione del concetto di confine organizzativo:
interpretazione di alcuni casi aziendali”, in Processi di terziarizzazione dell’economia e nuove sfide al
governo delle aziende, Atti del XXIII Convegno AIDEA, Genova, Ottobre 2000, McGraw-Hill,
Milano
172
Un investimento è specifico (idiosincratico), quando è destinato in via esclusiva ad una particolare
transazione-relazione, con la conseguenza che esso subisce una diminuzione di valore se impiegato in
una relazione diversa da quella originaria, ove quest’ultima venga meno. Il che non avviene, al
contrario, nel caso di un investimento standardizzato, dal momento che sarà sempre possibile trovare
sul mercato un altro operatore disposto a sostituirsi nella relazione.
68
l’ipotesi che quest’ultimo possa far ricadere sull’altro gli effetti di un’eventuale crisi
e di eventuali errori di programmazione produttiva 173.
I sub-fornitori «integrati» si caratterizzano per la stipula di accordi di medio- lungo
termine, che prevedono un forte interscambio sui programmi operativi e, da un
punto di vista logistico, per forniture frequenti e in piccoli lotti regolate nell’ambito
di ordini aperti. Generalmente hanno rapporti di scambio con altri sub-fornitori ed
esternalizzano verso altre imprese fasi più o meno rilevanti del ciclo produttivo 174.
Questi fornitori instaurano con il committente relazioni che tendono ad un maggiore
coinvolgimento nel processo produttivo e spontaneamente offrono un contributo
continuo e sistematico per il miglioramento dei livelli di efficienza della produzione
e di qualità del prodotto: efficienza e qualità della performance accrescono le
probabilità che il fornitore sia confermato in occasione di ulteriori e successive
commesse175.
Sotto questo profilo, la relazione può divenire di lungo periodo se il fornitore offre la
migliore performance nel rispetto dei termini contrattuali. Secondo tale approccio il
prezzo diventa solo una delle variabili del rapporto mentre il valore aggiunto
generato dalle relazioni tra imprese è configurabile in ulteriori variabili, quali
l’incremento di capacità produttiva, il miglioramento delle performance tecnico173
Cappellari R. (1999), Una smagliatura nella rete?, Paper presentato al Convegno AIDEA, Parma,
ottobre.
174
Un caso emblematico di questa modalità di sub-fornitura si riscontra nel settore tessileabbigliamento, dove l’azienda che detiene il marchio generalmente si riserva le attività strategiche
della ricerca e sviluppo e della progettazione delle collezioni (a monte) e del marketing e della vendita
(a valle), mentre delega ad altre aziende l’intera produzione dei capi, con la supervisione di tecnici. Da
questo punto di vista, il modello di sviluppo dei due più importanti gruppi italiani del settore moda
(Benetton e Stefanel), sia nel comparto della maglieria che in quello del tessile- abbigliamento, si basa
su un intenso processo di decentramento produttivo, reso funzionale ed efficiente da un sistema
integrato di relazioni con sub-fornitori e fornitori di materie prime, negozi ed agenti, fondato su un
elevato consenso sociale attorno all’impresa committente e su valori e obiettivi condivisi. Nel modello
Benetton, prima, ed in quello Stefanel, poi, la strategia di esternalizzazione produttiva, attuata sin
dagli anni ’70 in un’ottica di lungo periodo, ha portato all’istituzione di una complessa architettura di
relazioni cooperative con piccole e medie imprese artigiane (localizzate prevalentemente nella
provincia di Treviso), specializzate in una fase del ciclo produttivo o in un tipo di lavorazione e
prodotto (confezione di gonne, di pantaloni, taglio di tessuti a maglia), alle quali sono decentrate le
fasi labour intensive della produzione (taglio, confezione e stiro, finissaggio, imbustaggio), che
assicurano alta qualità delle lavorazioni ed elevate economie di scala. Le attività realizzate
direttamente dale due aziende riguardano i processi che richiedono cospicui investimenti e rispetto ai
quali sia Benetton che Stefanel hanno specializzato le proprie competenze, sviluppato know-how e
vantaggi connessi ad economie di scopo (acquisto di materie prime, progettazione dei modelli,
sviluppo delle taglie, preparazione dei cartamodelli per il taglio, controllo di qualità, logistica e
commercializzazione).
175
Merli G. (1990), Comakership, Isedi, Torino
69
operative, una maggiore flessibilità ed efficienza economico-organizzativa, la
rapidità nell’esecuzione degli ordini e nell’introduzione e/o applicazione di
innovazioni di prodotto e di processo. Il rapporto giunge al livello più elevato di
partnership quando tra committente e fornitore si raggiunge una completa coerenza
strategica, nonostante le parti conservino la propria autonomia giuridica ed
economica. In questo stadio, certamente il più evoluto e pertanto meno frequente
nella realtà operativa, il sub-fornitore assume il ruolo di partner e il profilo
competitivo del committente dipende anche dal profilo competitivo del subfornitore176. Le aziende di questo tipo sono solitamente di medie-grandi dimensioni e
tendenzialmente sviluppano accordi di cooperazione più o meno formali con altre
imprese sub-fornitrici.
I fornitori «partner» sviluppano con l’impresa committente rapporti stabili e di lungo
periodo, che si estendono anche alle attività chiave dell’impresa committente, sia
quelle a contenuto progettuale, sia quelle che prevedono investimenti specifici (tipico
del settore automobilistico)177. La finalità di questo tipo di relazione non riguarda
soltanto ed esclusivamente il perseguimento dell’efficienza economico-produttiva178
176
Le relazioni che esistono tra le case costruttrici di automobili e le imprese produttrici di sistemi di
sicurezza guida rappresentano esempi di partnership continuativa a forte contenuto progettuale. Il
sistema HS della BMW a protezione della testa, ad esempio, è stato progettato in collaborazione con
un’azienda aeronautica ed è riuscito a migliorare di 7,5 punti la protezione in caso di impatto laterale.
Altri esempi di partnership tra committente e fornitore si riscontrano nella progettazione di monoposto
di Formula 1: aziende come Brembo (freni), ATL (serbatoi), AP RACING (frizioni) sono
sistematicamente coinvolte in gruppi di progettazione con le diverse case costruttrici.
177
Un caso emblematico di questa tipologia di rapporti con i fornitori è offerto dalla Chrysler, che dal
1989 ha implementato un piano strategico che in cinque anni ha trasformato radicalmente la gestione
degli approvvigionamenti:
- da fornitori scelti attraverso gare d’appalto in base al prezzo più basso si è passati a selezioni
preventive basate sulle capacità;
- da richieste di investimenti minimi da parte dei fornitori si è passati a considerevoli
investimenti soprattutto in processi di coordinamento;
- attualmente ogni fornitore è responsabile del progetto, del prototipo e della fase di
produzione;
- esiste una procedura formale per sollecitare i suggerimenti dei fornitori;
- da un punto di vista relazionale, la Chrysler tende a stipulare contratti a lungo termine
cercando di sviluppare rapporti basati sulla cooperazione e fiducia, grazie anche alla
responsabilità di garantire ai fornitori progetti soddisfacenti e prospettive di affari oltre la
scadenza del contratto.
Grazie anche all’applicazione di questa strategia, la Chrysler nel periodo 1989-1994 ha aumentato di
cinque volte il rendimento sul totale dell’attivo, pari quasi al doppio delle sue due principali
concorrenti: la Ford e GM.
178
Quest’ultima è misurata anche in termini di: minori costi di transazione e di controllo delle
performance; minori rischi di opportunismo post-contrattuale e di indebite appropriazioni delle rendite
relazionali.
70
ma, soprattutto, la condivisione ed il trasferimento di capacità e conoscenza e la
crescita imprenditoriale delle singole imprese all’interno della relazione cooperativa.
Nella misura in cui tra committente e sub-fornitore si sviluppa un mutuo
coinvolgimento sin dalle prime fasi di sviluppo del prodotto, è probabile che
relazioni di natura meramente commerciale si trasformino in relazioni basate sulla
collaborazione e l’obiettivo del rapporto diventi la creazione congiunta di valore.
Generalmente le imprese sub-fornitrici dispongono di un patrimonio tecnologico che
non è capace di garantire la realizzazione interna di tutte le fasi produttive previste
dalla commessa. Queste imprese, quindi, sono indotte ad instaurare rapporti di
collaborazione con altre imprese sub-fornitrici, finalizzati allo sfruttamento delle
reciproche complementarietà. Molto spesso le relazioni sono di tipo informale e si
sviluppano mediante una rete di scambio di materiali, risorse umane, regole
organizzative179.
2.3.5 Le reti di distribuzione: il contratto di franchising
Le sinergie e le relazioni non competitive con altre imprese oltre che alla sfera
produttiva possono estendersi anche ai processi di marketing e di distribuzione dei
prodotti180. Nell’organizzazione commerciale evoluta si assiste sempre più
frequentemente al coinvolgimento nello stesso obiettivo imprenditoriale di aziende
autonome e indipendenti, coordinate da regole di varia intensità.
Una formula molto diffusa di accordi connessi alla distribuzione ed alla vendita dei
prodotti è il franchising181, che si sostanzia in
179
un contratto tra imprese
Un esempio di questa tipologia di relazione è rappresentato dalle imprese fornitrici della Honda
Italia di Atessa, in provincia di Chieti, le quali ormai da tempo sviluppano azioni comuni di marketing
e di formazione del personale così come realizzano incontri periodici (circoli di qualità) per verificare
i programmi di produzione e avviare progetti innovativi. Grazie a questa diversa impostazione
dell’offerta da parte dei fornitori, l’Honda ha ridotto drasticamente gli approvvigionamenti dall’estero
mentre le aziende fornitrici abruzzesi hanno moltiplicato il fatturato, raggiungendo complessivamente
più di mille addetti.
180
Ricciardi Antonio (2003), Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica,
Franco Angeli
181
La formula commerciale del franchising è ormai una realtà consolidata ed in continua espansione,
le cui origini storiche si possono far risalire negli anni Trenta, in Francia e negli Stati Uniti. In
Francia, la catena di magazzini “Laines du Pingouin” specializzata nella vendita di lana da lavorare a
maglia, aggregò un certo numero di dettaglianti indipendenti cui affidare in esclusiva la distribuzione
di filati del lanificio di Roubaix, in modo da assicurarne un rapido smaltimento della produzione.
Negli stessi anni, anche l’americana General Motors, per aggirare la normativa anti-trust che
ostacolava processi di integrazione verticale nel settore automobilistico, attivò un meccanismo simile,
associando a sé con un contratto i rivenditori di auto. In Italia il fenomeno si diffonde più tardi, a
71
(giuridicamente ed economicamente autonome e indipendenti), in base al quale
l’affiliato (franchisee) entra a far parte della rete distributiva dell’affiliante (franchi
sor). Quest’ultimo, mantenendo la propria autonomia gestionale e organizzativa,
assume in proprio le attività di distribuzione e di vendita nonché l’erogazione di
servizi ad esse correlate, avvalendosi delle competenze e dei segni distintivi (marchi
e insegne) dell’affiliante e impegnandosi a condividerne la politica commerciale e
l’immagine.
In linea generale, le reti in franchising si caratterizzano per una struttura decisionale
ad elevata formalizzazione e ad alta partecipazione. In particolare, esse si qualificano
come «reti ad elevata coesione strategica (reti convergenti) e a forte
complementarietà tecnico-operativa (reti integrate)»182.
L’impresa affiliante assume un ruolo centralizzato di pianificazione e coordinamento
del network e condiziona il comportamento delle imprese affiliate sia sul piano della
strategia competitiva (differenziazione dell’assortimento, servizio e immagine o
politiche di prezzo) sia sul piano delle azioni che sottendono l’attuazione delle scelte
strategiche (selezione dell’assortimento e negoziazione sui prezzi di acquisto) 183, con
l’obiettivo di assicurare uniformità di comportamento da parte di tutti i partner
coinvolti nel progetto. Il franchisor accentra le competenze nonché i diritti per lo
sviluppo del brand ed il controllo delle politiche commerciali e ne sostiene lo
sviluppo, mediante la fornitura di servizi di supporto e assistenza manageriale
all’attività commerciale dei franchisee: selezione e localizzazione dei punti vendita e
loro percentuale di assortimento184; promozione di azioni pubblicitarie su scala
partire dagli anni 70, e progredisce a ritmi sostenuti, soprattutto negli ultimi anni (dalle 15 insegne
operanti nel 1978 si è passati a 686 insegne nel 2001). Nel 2002 risultavano operativi 709 marchi
franchisor e 35.813 punti vendita affiliati, con un giro d’affari del comparto pari a 13,9 milioni di
Euro.
182
Arcari A.M. (1996), Il coordinamento e il controllo nelle organizzazioni a rete, Giappichelli,
Torino
183
Castaldo S. (1994), Le relazioni distributive. La dimensione collaborativa nei rapporti industriadistribuzione, Egea, Milano, p. 230-231
184
Il franchising solitamente prevede un accordo di fornitura esclusiva o quasi-esclusiva. Ciò
comporta il vincolo per i franchisee di acquistare e contestualmente vendere i prodotti forniti dal
franchi sor o da fornitori da esso controllati (quando il primo non li produce direttamente). Il grado di
controllo esercitato, direttamente o indirettamente, dal franchi sor sull’assortimento dei suoi
franchisee varia a seconda dei settori di attività. Esso risulta molto elevato (90-95%) nei settori moda,
in cui l’immagine di marca è molto forte (abbigliamento, calzature e pelletteria, giocattoli, biancheria
intima, prodotti per la cura della persona) rispetto ai settori tradizionali (mobili e articoli per la casa,
telefoni e computer) mentre risulta basso (52-52%) nei settori caratterizzati da un maggior contenuto
di servizio (ristorazione, libreria, cartoleria e stampa rapida).
72
nazionale e locale; coordinamento dell’intero canale distributivo, finalizzato ad
assicurare adeguati livelli di integrazione e di adattamento nonché di uniformità nei
comportamenti dei singoli partner, strumentali al conseguimento degli obiettivi
strategici della relazione185.
L’effetto cooperazione deriva dalla convergenza delle strategie dei singoli partner
intorno ad un obiettivo comune, di lungo periodo, che, pur comportando investimenti
specifici nella relazione non esclude spazi di autonomia operativa186.
A differenza delle reti tradizionali in cui l’interdipendenza tra i diversi attori
coinvolti nella relazione può cambiare nel tempo, le reti in franchising si presentano
sostanzialmente stabili187: possono mutare l’identità di singoli membri della rete e
l’intensità delle relazioni tra franchisor e affiliati (nonché tra gli affiliati stessi) 188 ma
la posizione ed i ruoli di ciascuna organizzazione all’interno del canale, le procedure
ed i meccanismi di integrazione, in quanto predeterminati contrattualmente (e
accettati liberamente dalle parti) e coordinati dall’impresa centrale, tendono a
rimanere costanti nel tempo.
La sistematicità e la continuità della collaborazione tra le parti è assicurata dalla
presenza del franchisor in posizione di leadership che aggrega risorse e competenze
intorno ad un preciso disegno strategico e che regola i rapporti tra le imprese partner,
definendo condizioni operative, organizzative e strategiche omogenee ed uniformi
per tutte le imprese affiliate.
Manaresi A. (1995), Le relazioni interorganizzative nelle reti distributive in franchising, Giappichelli,
Torino, p. 122
185
Manaresi A. (1995), Le relazioni interorganizzative nelle reti distributive in franchising,
Giappichelli, Torino, pp.41,122
186
Nella fattispecie, tale obiettivo è rappresentato dallo sviluppo della rete verso cui convergono le
finalità specifiche del franchi sor (ad esempio, stabilire relazioni commerciali in mercati difficilmente
accessibili da un punto di vista economico, legale o politico, con un impegno finanziario ridotto
rispetto a quello richiesto da un investimento diretto) e dei franchisee (tipicamente, avviare un’attività
imprenditoriale in tempi ridotti, con un ridotto grado di investimenti e di rischio, grazie alla possibilità
di beneficiare dell’immagine, del know-how e dell’assistenza tecnico-commerciale, gestionale e
finanziaria dell’affiliante)
187
Vicari S. (1987), “Le alleanze interaziendali per l’attuazione di strategie commerciali congiunte”,
in Fiocca R. (a cura di), Le imprese senza confini, Etas Libri, Milano, p.11
188
Sotto questo profilo, il franchising rappresenta uno strumento altamente flessibile per il governo
economico dell’affiliante, dal momento che l’autonomia delle singole imprese coinvolte nella
relazione rende possibile l’uscita ovvero l’esclusione di una o di alcune imprese franchisee dalla rete,
senza che ciò ne comprometta gli obiettivi strategici.
73
I vantaggi ed i rischi dei rapporti di franchising
Nella realtà è possibile rinvenire diverse tipologie di reti in franchising 189 la cui
composizione è grosso modo simile ma non identica e gli stessi modelli contrattuali
(più o meno formalizzati)190 differiscono dando luogo a relazioni più o meno intense
tra franchisor e franchisee, a seconda della notorietà del marchio, della dimensione
della rete e dei settori di operatività191.
La formula del franchising non rappresenta soltanto una diversa modalità di gestione
della rete distributiva di un’impresa, in grado di contenere gli investimenti e, quindi,
i costi nonché il “rischio connesso all’espansione della capacità commerciale e
distributiva” quanto, piuttosto ha valenza strategica per l’intera gestione aziendale
del franchisor.
In primo luogo, mediante il controllo della funzione di marketing, attraverso
soluzioni collaborative della gestione del canale distributivo si consente un maggior
controllo dei mercati di sbocco, si realizzano strategie di sviluppo senza irrigidire la
189
Il ricorso alla formula del franchising non è necessariamente limitata alle funzioni distributive,
sebbene sia in questo campo di attività che si riscontrano le forme più ricorrenti. In particolare, essa
può estendersi ad altri campi di attività, dando luogo a differenti classificazioni tipologiche. Ci si
riferisce, per esempio, al franchising industriale. In questa fattispecie, la relazione contrattuale
coinvolge esclusivamente imprese industriali ed il franchisee, dietro corrispettivo, ottiene il diritto di
produrre su licenza beni e servizi avvalendosi dei brevetti di fabbricazione e/o dei disegni distintivi
e/o del know-how e delle attrezzature del franchisor (quest’ultimo mette a disposizione del primo una
continua assistenza tecnica e commerciale); al franchising di servizi (dalla ristorazione al turismo,
dalla stampa all’autonoleggio, dal settore bellezza all’intermediazione immobiliare) nell’ambito del
quale le imprese affiliate erogano i medesimi servizi del franchisor attenendosi alla formula
commerciale da questi definita e perfezionata nel tempo
190
In alcuni casi è possibile rinvenire accordi di tipo equity, denominati “franchising associativi”, in
cui la relazione tra affiliante ed affiliati prevede la partecipazione del franchisor al capitale sociale del
franchisee (e/o viceversa), pur lasciando all’impresa partecipata l’autonomia economica necessaria a
qualificarla come unità indipendente. Inoltre, con riferimento all’impegno finanziario richiesto per
realizzare gli investimenti idonei a consentire lo svolgimento delle attività, è possibile distinguere tra
franchising completo, franchising in comproprietà e franchising in locazione. Nel primo caso, il
franchisee sostiene in proprio gli investimenti (fissi e in capitale circolante) necessari per dar luogo
all’attività imprenditoriale. Nel franchising in comproprietà è, invece, previsto che il franchisor
assuma a proprio carico gli investimenti più rilevanti mentre il franchisee assume esclusivamente gli
oneri di gestione del punto vendita. Infine, nel franchising in locazione gli affiliati dispongono delle
strutture e dei beni funzionali all’espletamento dell’attività che sono di proprietà dell’affiliante, dietro
pagamento di un canone periodico.
191
In particolare, rispetto alle aziende franchisor le variabili che influenzano maggiormente la
relazione sono la dimensione e il grado di notorietà del marchio. Mentre nelle reti di maggiore
dimensione il potere di controllo del franchisor sulle decisioni del franchisee sembra essere più
elevato, in quelle di minore dimensione la prossimità tra franchisor e franchisee facilita lo scambio di
informazioni e sviluppa il senso di partnership.
74
struttura (motivazione di ordine strategico) e si riduce la dipendenza dalle vendite
della grande distribuzione192.
In secondo luogo, perché consente non soltanto di accedere a nuovi mercati ma,
soprattutto, di approssimarsi ai clienti finali (con diverse modalità all’interno di ogni
mercato) e avere così accesso all’informazione necessaria per reagire più
velocemente alle sollecitazioni della domanda.
Infine, il contenuto delle relazioni che essa implica è orientato a dare riconoscibilità
alla marca (e non tanto ai prodotti, che cambiano continuamente e velocemente), in
modo che essa sia percepita come capacità dell’impresa a soddisfare i bisogni
espressi dal mercato e, per questa via, a massimizzare l’efficacia dell’attività di
vendita.
Dal punto di vista del franchisee, a fronte della oggettiva limitazione nell’autonomia
operativa e delle controprestazioni di natura prettamente finanziaria 193, l’adesione ad
una rete di franchising (di vendita, di produzione o di servizio) operante a livello
nazionale e/o internazionale presenta innanzitutto il vantaggio di ridurre i tempi
nonché l’impegno di capitale necessari a dare l’avvio all’attività imprenditoriale di
superare i limiti connessi all’insufficienza di disponibilità finanziarie e di ridurre il
rischio in caso di insuccesso. Nella fase operativa, consente di beneficiare
dell’immagine, del know-how tecnico, gestionale e commerciale e del supporto
consulenziale dell’affiliante e di sfruttare le migliori condizioni di prezzo che il
franchisor è in grado di praticare in conseguenza delle economie di scala raggiunte.
Tuttavia il principale vantaggio competitivo è rappresentato dalla costante
collaborazione tra le parti. La molteplicità delle interrelazioni tra le organizzazioni
facenti parte del canale distributivo costituiscono infatti un veicolo di apprendimento
organizzativo che consente:
-
il trasferimento del franchisor al franchisee, oltre che dell’utilizzazione della
propria formula commerciale e dei propri segni distintivi (marchio e insegna),
192
Uno dei recenti fenomeni sul fronte commerciale è l’affermarsi della grande distribuzione e delle
centrali di acquisto che hanno assunto un maggior potere contrattuale nei confronti del settore
produttivo ed una maggiore influenza nel determinare le scelte di acquisto della clientela finale.
Conseguentemente, per sostenere le vendite del proprio brand le imprese devono continuamente
“investire” sulla distribuzione «per ottenere un referenzia mento “completo”, una migliore
esposizione e comunicazione in punto vendita, la collaborazione del distributore nella
implementazione delle sue politiche di marketiong»
193
Ci si riferisce, in particolare, agli investimenti di capitale ad alle fees iniziali, al pagamento delle
royalties nel corso della durata del rapporto, al raggiungimento di definiti obiettivi di performance.
75
anche del proprio know-how tecnico, organizzativo e manageriale, necessario
a consentire all’affiliato, in via continuativa ed aggiornata, di gestire la
propria attività secondo la politica commerciale e l’immagine dell’affiliante
nell’interesse reciproco194;
-
un training continuo ed un intenso scambio di informazioni sui nuovi prodotti
e sui nuovi servizi proposti, soprattutto lungo il canale verticale tra franchisor
e franchisee (e, talvolta, lungo il canale orizzontale, tra i singoli franchisee).
In particolare, il franchisor è impegnato in diverse forme di assistenza a
favore dei franchisee, dalla formazione impartita nella fase di start-up a
quella periodica, in aula e all’interno dei singoli punti vendita, dalla
predisposizione di documentazione specifica e manuali della qualità
all’organizzazione di visite in loco e riunioni, all’assistenza contabile e
gestionale. Tale supporto, da un lato, permette l’applicazione uniforme delle
strategie e delle modalità operative dell’azienda affiliante e, dall’altro lato,
esplica ricadute positive sui singoli franchisee in termini di innovazione
commerciale, efficienza operativa e capacità competitiva.
Un aspetto critico della gestione di un sistema di distribuzione in franchising, e che
influenza la performance sia della rete sia delle singole imprese, risiede nella
selezione e nella scelta dei potenziali partner. Esiste, infatti, la concreta possibilità
che i franchisee manifestino comportamenti opportunistici o deliberatamente sleali
(assortimenti non autorizzati, approvvigionamenti da fornitori esterni oltre le
percentuali stabilite contrattualmente) e/o non conformi alla politica commerciale
comune (mancato rispetto degli obblighi contrattuali liberamente pattuiti) e/o che
non rispettino gli standard di qualità e uniformità/omogeneità del servizio desiderati.
Tale eventualità induce il franchisor ad esercitare ex-ante un’attenta selezione ed expost un’attività di monitoraggio e controllo del processo distributivo nonché di
gestione dei flussi informativi. Generalmente i criteri adottati per consentire
l’accesso alla rete sono estremamente selettivi e, per lo più, basati sulle competenze
specifiche dei potenziali partner e sulla convergenza rispetto alle finalità dell’accordo
194
L’aggiornamento nel tempo assume una valenza strategica dal momento che il franchisee
corrisponde delle royalties che, dopo l’apprendimento iniziale, possono essere percepite come costi ai
quali non corrisponde un pari beneficio. Inoltre, importante è il ruolo assolto dal franchisor nel
generare nuova imprenditorialità, trasferendo le conoscenze e le informazioni necessarie a sviluppare
un’attività indipendente nel settore del commercio al dettaglio.
76
(condivisione degli obiettivi strategici del franchisor). I meccanismi di controllo e di
coordinamento delle condizioni operative, organizzative ed economiche delle
imprese affiliate mirano ad accertare la rispondenza della gestione interna dei
franchisee agli standard operativi e procedurali e di qualità del servizio richiesti, al
corretto utilizzo del marchio. Essi si realizzano, in primo luogo, attraverso il
contratto e la definizione di obiettivi di volume/di fatturato ma anche attuando azioni
“di controllo sociale”. Nelle reti in franchising, infatti, il controllo sulle variabili
strategiche del rapporto (caratteristiche dei servizi erogati, comportamenti e
atteggiamenti del franchisee nella gestione dell’attività) si esplica anche attraverso
visite periodiche presso i punti vendita, riunioni e scambio di informazioni, manuali
di comportamento e di qualità, attività di formazione sia di breve durata che
specialistica.
In definitiva, il franchising, come le altre forme di accordo tra imprese, crea un
rapporto istituzionale di cooperazione fra le parti, le quali mantengono tuttavia la
propria autonomia giuridica ed economica ed implica una forte integrazione sia
economica che d’immagine tra i diversi soggetti coinvolti. Nasce, pertanto,
l’esigenza di definire regole certe ed un sistema di garanzie tali da limitare eventuali
condotte sleali e/o opportunistiche e consentire un corretto svolgimento della
relazione tra franchisor e franchisee a beneficio dell’efficacia complessiva della rete.
In questa direzione si colloca la recente approvazione, in Italia, della legge che
disciplina l’affiliazione commerciale con l’obiettivo di garantirne uno sviluppo
corretto, considerando la varietà dei settori coinvolti, ma soprattutto per tutelare
maggiormente il franchisee, l’anello debole del rapporto. Il principio ispiratore della
nuova normativa è quello di restringere gli obblighi alla sola informazione in fase
precontrattuale, lasciando per il resto piena autonomia alle parti 195. L’obiettivo
195
Le novità previste dalla nuova legge riguardano gli obblighi del franchisor e il testo del contratto. Il
franchisor prima di costituire una rete di franchising deve aver già testato da due anni la propria
formula commerciale con almeno due punti di vendita (art.3). inoltre, prima della sottoscrizione del
contratto deve fornire le seguenti informazioni: l’investimento totale, il costo dell’eventuale spesa
d’ingresso nella rete, le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, l’eventuale minimo di
vendite, l’ambito di un’eventuale esclusiva territoriale; la specificazione del know-how e degli altri
servizi forniti al franchisee; le condizioni per rinnovo, cessazione e cessione del contratto. Per quanto
riguarda il contratto, anche secondo I modelli francesi e spagnoli, deve essere consegnato al franchisee
almeno trenta giorni prima della stipula e deve contenere informazioni rilevanti su: franchisor; marchi
utilizzati dalla formula commerciale; lista degli affiliati e dei punti vendita; bilancio previsionale;
breve descrizione dei procedimenti giudiziali degli ultimi tre anni.
77
ultimo della nuova regolamentazione, pur non interferendo con l’autonomia delle
parti, è fare in modo che i singoli contratti siano improntati alla trasparenza e
prevedano con chiarezza tutti gli aspetti formali e sostanziali della relazione. Inoltre,
entrambe le parti devono tenere il comportamento ispirato a lealtà, correttezza e
buona fede, la cui violazione può comportare l’annullamento del contratto.
2.3.6 Altri modelli di classificazione delle reti tra imprese
Non sono stati pochi gli sforzi compiuti in letteratura nel tentativo di classificare le
numerose forme di cooperazione e collaborazione tra imprese che la realtà empirica
ha di volta in volta messo in luce.
Diverse sono state le dimensioni di analisi impiegate per descrivere le reti tra imprese
e per comparare le proprietà di ciascuna di queste rispetto all’oggetto della relazione,
al settore di appartenenza, al motivo di formazione di una particolare tipologia di
rete, ecc.
Oliver196 (1990) analizza sei diverse tipologie di rete interorganizzativa cercando di
collegare ad esse cinque diverse condizioni o “contingenze” in grado di determinare
la formazione.
Le tipologie di rete proposte da Oliver sono:
-
le associazioni di categoria;
-
gli intrecci nei consigli di amministrazione tra imprese e istituzioni
finanziarie;
-
le joint ventures;
-
i joint programs – assimilabili ai nostri consorzi nel settore pubblico;
-
le federazioni volontarie di agenzie;
-
i legami tra agenzie e sponsor.
Le prime tre tipologie di rete sono riferite alle imprese e al settore privato, le altre al
settore pubblico. Le associazioni di categoria e le federazioni di agenzie sono
considerate come reti orizzontali, mentre gli intrecci nei CdA e i legami tra agenzie e
sponsor sono reti verticali. Joint ventures e Joint programs possono essere sia
orizzontali, sia verticali.
196
OLIVER C. (1990), Determinants of Interorganizational Relationships: Integration and Future
Directions, in “Academy of Management Review”, 15, 2, pp. 241-65
78
Lei e Slocum197 (1990) propongono invece un’analisi dei costi, dei benefici, dei
fattori critici di successo e delle implicazioni per la gestione delle risorse umane di
cinque forme di rete tra imprese, denominate <<alleanze strategiche globali>>. Si
tratta di un modello di classificazione di tipo strategico e semplificato, articolato
nelle seguenti tipologie:
-
accordi di licenza nei settori industriali;
-
accordi di licenza nei servizi e per le imprese che fondano la propria
penetrazione commerciale sul franchising;
-
joint ventures specializzate, dove ciascun partner contribuisce ad una parte
della catena di generazione del valore;
-
joint ventures a condivisione del valore aggiunto, in cui non vi sono
specializzazioni particolari e i partner concorrono alla creazione del valore;
-
consorzi, definiti in modo molto ampio tanto da includere forme di
interlocking e keiretsu – queste ultime sono reti di integrazione tra imprese
industriali, banche, compagnie assicurative ecc. caratteristiche dell’economia
giapponese.
Alter e Hage 198 (1993, pp. 50-80) propongono un modello di classificazione delle
relazioni interorganizzative di cooperazione in due grandi gruppi:
1) i network a cooperazione competitiva, cioè tra le organizzazioni che
appartengono allo stesso settore (queste forme di rete sono anche definite reti
orizzontali);
2) i network a cooperazione simbiotica, cioè tra organizzazioni che sono
collocate lungo la filiére di generazione del valore o in settori competitivi
diversi.
Al loro interno queste due famiglie sono analizzate e classificate sulla base di due
dimensioni: il livello di cooperazione richiesto e la dimensione della rete.
Nel gruppo delle reti competitive si identificano tre sotto-gruppi:
1) reti competitive a cooperazione limitata;
2) reti competitive a cooperazione moderata;
3) reti competitive a cooperazione elevata.
197
LEI D., SLOCUM JR. J. W. (1990), Global Strategic Alliances: Pay-Offs and Pitfalls, in
“Organizational Dynamics” , 3, pp. 44-62.
198
ALTER C., HAGE J. (1993), Organizations Working Together, Sage Publications, London.
79
Il primo sotto-gruppo, denominato a cooperazione limitata riguarda relazioni i cui
contenuti sono lo scambio di informazioni, lo scambio di beni sociali come
l’amicizia e lo scambio di beni economici. Si tratta di forme di cooperazione che non
richiedono un grande sforzo di coordinamento e che non presentano altresì rischi di
appropriazione di rendite o di comportamenti opportunistici ad alto costo per le
controparti. Tutto sommato sono forme di cooperazione fondate sulla comunanza di
interessi generali e che non richiedono la creazione di meccanismi di tutela
particolari.
Le reti a cooperazione moderata riguardano altri contenuti delle relazioni. Questi
possono essere:
1) contenuti tecnologici;
2) contenuti economici;
3) contenuti politici.
Si tratta di forme di rete basate in alcuni casi su meccanismi burocratici e in altri
sulla condivisione di diritti di proprietà. Questo significa che le parti cercano di
tutelarsi reciprocamente oppure di ampliare e intensificare gli ambiti di
cooperazione. Come si può osservare non vi sono però coinvolte attività di
produzione ma solo, nell’idea degli autori, attività di supporto. Si tratta
evidentemente di una visione parziale poiché considera nelle forme a “moderata
cooperazione” reti che possono invece pesare fortemente sulla capacità della singola
impresa di generare valore e sulla sua identità.
Nelle forme ad elevata cooperazione sono infine incluse tutte le tipologie di relazione
interorganizzativa che presentano contenuti direttamente inerenti alla creazione di
valore e alla competitività. È evidente che trattando delle reti orizzontali, ossia tra
competitori, in questo sotto-gruppo sono compresi anche i cartelli.
Anche per il secondo gruppo di reti, quelle a cooperazione simbiotica, Alter e Hage
identificano tre sotto gruppi in funzione del livello di cooperazione e omologhi ai
precedenti.
Diversi sono invece i contenuti delle relazioni inter-organizzative. Le reti simbiotiche
a cooperazione moderata sono riservate alle relazioni tecnologiche, finanziarie e a
quelle con contenuto politico. Non vi sono grandi differenze con le reti competitive
se non per il fatto che le partnerships finanziarie richiedono in genere più attori.
80
Più interessante è il caso delle reti a cooperazione elevata tra organizzazioni che
appartengono a settori diversi, costruite per governare relazioni aventi come
contenuto attività di generazione del valore. Nel modello di Alter e Hage questo tipo
di reti richiede, coerentemente a quanto succedeva per le reti competitive, un elevato
livello di cooperazione. La ragione di questa coincidenza è riconducibile al fatto che,
pur in assenza di interdipendenze concorrenziali tra due o più organizzazioni, è
necessario per governare attività produttive un elevato livello di coordinamento e
quindi di cooperazione. Non è quindi il tipo di interdipendenza che influenza il
livello di cooperazione ma il contenuto dell’attività. In pratica indipendentemente
dalla tipologia di interdipendenza la presenza di attività di generazione del valore
richiede comunque un elevato livello di cooperazione. Ne consegue che forme di
cooperazione come i keiretsu giapponesi o le catene di produzione nei distretti siano
considerate ad alto livello di cooperazione.
2.4 La progettazione e la gestione strategica della rete
La progettazione e la gestione di una organizzazione reticolare costituiscono due fasi
delicate per il conseguimento del successo della rete 199. Dapprima si deve procedere
ad una attenta analisi dei presupposti che possono originare il sorgere di una tale
esperienza. Di solito essi si riassumono in due variabili: i fattori ambientali e il
contesto interno all’impresa.
Il paradigma che sta alla base della variabile ambientale si fonda sulla
consapevolezza per le organizzazioni aziendali di operare in ambienti incerti e
fluttuanti, per cui ne deriva l’esigenza per le aziende di ridurre tale incertezza
mediante negoziazioni con altre organizzazioni.
Tali relazioni cooperative volte a contenere i vincoli esterni risultano essere assai più
numerose in ambienti caratterizzati da trend di crescita poco lineari, spesso non
prevedibili o in fase di ridimensionamento.
La necessità di controllare l’ambiente esterno viene fatta coincidere con la teoria
della “dipendenza delle risorse”200 con cui si definisce la misura della dipendenza di
199
ROBERTA PROVASI, Il sistema evoluto delle reti d’impresa: le reti oloniche. Working Paper
elaborato nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Economia Aziendale, Università di Pavia – Italy.
200
H. Haldrich, “Resource dependance and interorganizational Relations” , in Administratio and
Society, n. 24/1976
81
una impresa A nei confronti dell’impresa B dato, che essa possiede condizioni
favorevoli tali da permettergli di esercitare un alto potere sulle altre. Similmente la
teoria dello scambio, secondo cui se un’organizzazione non è in grado di generare
autonomamente tutte le risorse necessarie alla sopravvivenza sarà costretta a
negoziare risorse all’esterno e si potrà trovare in situazioni di forte dipendenza201.
Secondo tale visione l’ambiente di un’impresa è concepito come un reticolo di
imprese ed organizzazioni dove avviene lo scambio di risorse.
L’altro presupposto idoneo per implementare una struttura reticolare identificato con
il contesto interno all’impresa suole riferirsi al ruolo svolto dal vertice strategico,
nonché alle capacità di apprendimento e disapprendi mento interno. Per attuare il
passaggio da un modello organizzativo di tipo “tradizionale” verso strutture a rete, il
vertice manageriale svolge un ruolo di assoluto rilievo.
Può esercitare una notevole influenza nel prendere iniziative di ristrutturazioni
aziendali impostate sulle “network homes” , illustrando i potenziali vantaggi
conseguibili mediante lo sviluppo delle relazioni interaziendali e conseguentemente
favorire approcci in tal senso. Tuttavia la predisposizione del management di per sé
non costituisce una condizione sufficiente per attuare le ristrutturazioni interne.
Le caratteristiche dei soggetti coinvolti, le posizioni che occupano e soprattutto le
disponibilità all’apprendimento di nuove norme di condotta e il contemporaneo
disapprendi mento di principi consolidati nel tempo, possono condizionare il
successo della progettazione e funzionamento di una struttura reticolare.
L’assunto di base che giustifica tale conclusione consiste nel ritenere che la capacità
di generare e impiegare nuovi principi di funzionamento dipenda dall’intensità con
cui sono ancora memorizzate le regole consolidate. In particolare 202 il disapprendi
mento è inteso come il processo attraverso cui l’esperienza precedente viene
accantonata: esso prende forma qualora sorgono nuovi problemi che inducono a
dubitare della validità delle norme in uso e scatenano un pericolo di turbolenza.
Secondo altra opinione, ugualmente diffusa, motivazioni che determinano la
progettazione di una struttura reticolare sono di altra natura.
201
B. Johanisson, “Beyond process and structure: social exchange Networks in International studies”
, in Management and Organization, n. 18/1987. D. Jacobs, “Dependance and vulnerability: an
exchange approach to the control of organization” , in Administrative Science avarterly, n. 19/1974.
202
B. Hedberg, P. Nystrom, W. Starbuck, “Prescription for a suf-designing organization”
Administrative Science Quarterlly, n. 21/1976
82
Innanzitutto si deve considerare la presenza di elementi di similarità o somiglianza
fra le organizzazioni a generare le reti. Secondo tale impostazione la condivisione di
valori e finalità costituisce una opportunità per instaurare relazioni di cooperazione in
grado di contenere i rischi dovuti a comportamenti scorretti o opportunistici e di
limitare i costi di controllo e di adattamento ai nuovi schemi operativi. In letteratura
tale fenomeno è conosciuto come “economia di nicchia”. La nicchia definisce una
combinazione di risorse disponibili e di vincoli nel cui ambito le organizzazioni che
le occupano possono nascere, sopravvivere o morire. Si può parlare di similarità tra
due imprese quando queste occupano la stessa nicchia competitiva203.
Per altri le imprese costituiscono relazioni con altre organizzazioni per ottenere
benefici reciproci, per accrescere le proprie forze e quelle delle altre
organizzazioni:204 in tal senso l’investimento in una relazione su basi di reciprocità è
visto come “capitale sociale”205.
Infine la determinante principale delle forme di architetture reticolari è costituita
dall’ottimizzazione dell’efficienza economica attraverso la riduzione dei costi di
transazione e di produzione secondo la nota teoria di Williamson.
Il passaggio da un tipo di impresa a struttura tradizionale, rappresentata da strutture
gerarchiche, ad un’impresa rete, si caratterizza per l’aumento di importanza dei
sistemi di coordinamento e controllo dovuti alla crescente complessità.
La trasformazione, poiché richiede la ridefinizione di tutti i componenti della
struttura organizzativa, non può semplicemente attuarsi mediante un adattamento
automatico ma richiede, dopo aver attentamente analizzato l’aspetto strategico di tale
iniziativa, una progettazione del nuovo assetto. Pertanto diventa indispensabile prima
il ruolo del manager-architetto della rete per promuovere la formazione di reti,
sviluppando l’idea e definendo i ruoli dei soggetti da coinvolgere. Successivamente il
lavoro verrà continuato da un operatore-manager che, dopo aver valutato le aziende
partners adatte, ne definisce i legami formali.
L’impostazione di una struttura reticolare in tal modo pianificata e progettata serve a
limitare i rischi dell’insuccesso. Di fatto stante all’esperienza, le cause della crisi
203
M. H. Hannan, J. Freeman, “Organizational ecology” , Harvard University Press, Cambridge,
1989, trad. “Ecologia organizzativa” , Etas, Milano 1993.
204
C. Alter, J. Hage, op. citata
205
R. Burt, “The contingent value of social capital” , in Administrative science quarterly, n. 42/1997.
83
delle reti sono riconducibili non tanto ad una inadeguatezza della forma a rete quanto
piuttosto ad oneri del managment in sede di progettazione206.
2.4.1 Le fasi della pianificazione nella gestione strategica delle reti
Le organizzazioni di tipo reticolare possono influenzare la catena del valore delle
singole imprese e rafforzare il vantaggio competitivo dell’impresa leader 207. Per
raggiungere questi obiettivi è necessario che questa organizzazione sia pianificata.
Une rete infatti che fonda la sua attività su un progetto strategico di fondo è più
consapevole delle sue potenzialità ed è capace di affrontare condizioni competitive
impegnative. Quando i “nodi” mediante un processo di pianificazione, sono capaci di
cooperare tra loro in vista di obiettivi comuni e di risultati condivisi, contribuiscono a
connotare la rete come soggetto imprenditoriale, anche allorché esso non sia
definibile attraverso un’identità giuridica e non sia strutturato su base gerarchica 208.
Nelle organizzazioni reticolari la pianificazione risulta alquanto complessa in
relazione alla necessità di gestire un elevato numero di interdipendenze con operatori
non governabili per mezzo di linee di autorità209. Le reti tra imprese rappresentano di
fatto un’alleanza strategica pro tempore, basata sulla cooperazione e sul
riconoscimento delle reciproche competenze. L’accordo, in questa forma
organizzativa, si configura come un processo di costruzione di una partnership, ossia
del rapporto fiduciario tra i partner, che si basa sulla convergenza degli obiettivi e
delle finalità.
Pertanto, per implementare con successo una pianificazione della rete è necessario, in
primo luogo, che nell’ambito del gruppo e tra i singoli partners vi sia un’adeguata
mentalità reticolare, ossia una convergenza dei comportamenti in una prospettiva
206
R. E. Miles, C. C. Snow, “Causes of failures in network organization” , in California management
review, Summer, 1992.
207
Ricciardi Antonio (2003), Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica,
Franco Angeli
208
Butera F. (2001), Il Campanile e la rete, Il Sole 24 Ore Libri, Milano, p.81
209
L’efficacia della pianificazione dipende anche dal numero di raccordi della rete e dal peso
economico dei singoli nodi: quanto più è alto il numero dei raccordi e quanto minore è il peso
economico dei partner «tanto più lo sforzo per gestire la rete distoglie l’azione di governo della stessa
dall’attenzione agli obiettivi strategici e conduce invece a focalizzare gradualmente l’attenzione verso
quei problemi operativi che vengono alimentati dalla necessità di mantenere vivi e operanti i contatti
funzionali fra tutte le realtà aziendali»
Lai A. (2003), “La centralità dell’impresa nei sistemi a rete locali”, in Atti del XXV Convegno
AIDEA Competizione globale e sviluppo locale tra etica e innovazione, Giuffrè, Milano, p.665
84
strategica comune, integrata e proiettata nel lungo periodo e non basata su
convenienze contingenti e di breve termine. Sotto questo profilo, il presupposto
fondamentale per la creazione di una solida partnership è l’assenza di asimmetrie
informative, nel senso che i partner devono poter accedere alle stesse informazioni e
devono poter condividere la stessa conoscenza, attraverso adeguati sistemi
informativi. Inoltre, è opportuno che siano trasparenti gli obiettivi di ciascun partner,
possibilmente in linea con quelli esplicitamente dichiarati nella fase di progettazione
e coordinamento della rete210. Infine, si rende necessaria un’attenta valutazione del
grado d’interdipendenza dell’alleanza con altre iniziative dei partner e la costante
verifica di centri d’interesse alternativi e/o conflittuali con gli obiettivi della
partnership. In secondo luogo, il processo di pianificazione presuppone negoziazioni
reiterate nel tempo mediante le quali i diversi interessi particolari si compongono in
un quadro strategico complessivo. In questa prospettiva, la pianificazione deve
presentare caratteristiche di flessibilità: alcune opzioni strategiche potranno essere
rimosse per i successivi processi di negoziazione, per la verifica di aspettative
dimostratesi infondate, per l’insorgere di rischi non adeguatamente previsti. Tuttavia,
le opzioni abbandonate non vengono completamente disperse e potranno essere
riprese nel processo di formulazione delle strategie, quando si verificheranno le
condizioni opportune. È necessario pertanto un processo di aggiustamento reciproco
che comporta un mutuo sforzo di adattamento delle risorse messe in comune: quanto
più elevata è la capacità di adattamento reciproco, più stabile e duratura sarà la
relazione211.
Operativamente la pianificazione di una rete avviene per fasi successive.
Nella prima fase, di natura preliminare e svolta generalmente dall’impresa leader, si
studia la fattibilità del progetto di cooperazione e si selezionano i possibili partner. In
questa fase è necessario valutare la fattibilità della scelta mediante l’utilizzo di un
approccio metodico e analitico, capace di evidenziarne i vantaggi ed i rischi. Gli
imprenditori e i manager spesso considerano la partecipazione alla rete come una
semplice soluzione per ottenere vantaggi nel breve periodo, ignorando che attraverso
210
Molto spesso negli accordi i partner perseguono obiettivi più ampi di quelli esplicitamente
dichiarati, ma necessariamente complementari a quelli ufficiali, che costituiscono “l’agenda nascosta”
211
Parente R. (1992), La gestione strategica dei rapporti di collaborazione fra imprese, Cedam,
Padova, p. 24
85
tale strategia l’impresa può incrementare la propria flessibilità in un ambiente
competitivo dinamico e, allo stesso tempo, focalizzarsi sulle proprie competenze
distintive. Questo significa che il ricorso alla rete non si configura necessariamente
come una strategia “difensiva” volta, cioè, ad acquisire competitività attraverso
risparmi di breve termine ma può divenire una strategia “offensiva”, nella misura in
cui consente di riformulare e di riqualificare le modalità di gestione e lo sviluppo
delle competenze e delle risorse aziendali.
Lo studio di fattibilità della rete
Occorre pertanto considerare nella valutazione di fattibilità del processo di
cooperazione i possibili vantaggi che ne potrebbero derivare
Vantaggi strategici
 focus sullo sviluppo delle competenze distintive;
 accumulazione di conoscenza;
 cooperazione e corresponsabilizzazione;
 condivisione di investimenti, costi e rischi
Vantaggi organizzativi
 minore rigidità della struttura;
 maggiore rendimento delle risorse interne;
 disponibilità di risorse tecniche, umane e finanziarie per lo sviluppo di
progetti innovativi
Vantaggi tecnologici
 maggiore rapidità e frequenza nell’applicazione di innovazioni organizzative
e tecnologiche, difficili da riprodurre internamente
Vantaggi finanziari
 riduzione del fabbisogno finanziario;
 ridimensionamento degli oneri relativi all’acquisizione
di fonti di
finanziamento;
 migliori rapporti con le banche
Sotto il profilo economico, l’organizzazione reticolare per le economie di scala, per
le economie di apprendimento e per la specializzazione dei processi produttivi dei
partner garantisce un incremento della produttività e, quindi, una riduzione
complessiva dei costi operativi rispetto a quelli sopportati nel caso in cui il processo
86
venisse realizzato interamente all’interno. Un’ulteriore vantaggio economico è
rappresentato dalla riduzione dei tempi di lavorazione, grazie alle economie di
apprendimento dei partner (quanto più il processo esternalizzato è specialistico, tanto
maggiori saranno gli effetti delle economie di apprendimento in termini di riduzione
dei tempi di lavorazione). Quest’ultimo aspetto consente alle aziende reticolari di
acquisire un vantaggio competitivo di importanza strategica: considerata la velocità
di cambiamento e di obsolescenza di prodotti e processi, la risposta in tempi
economicamente utili alle sollecitazioni dell’ambiente è condizione essenziale di
successo; senza trascurare il fatto che la riduzione dei tempi di trasformazione
produttiva contribuisce ad autorigenerare il capitale circolante e ridurre pertanto il
corrispondente fabbisogno finanziario con i relativi oneri.
Vantaggi economici
 economie di scala;
 economie di apprendimento;
 variabilizzazione della struttura dei costi;
 riduzione del rischio operativo
Lo studio di fattibilità va completato con la considerazione dei rischi della scelta e
degli effettivi costi sopportati.
Occorre tener conto, in primo luogo dei rischi strategici connessi agli effetti della
perdita del controllo e del coordinamento delle attività cedute ai partner. Il
decentramento di una specifica area di attività, infatti, comporta inevitabilmente una
perdita di know-how difficilmente recuperabile soprattutto quando quel processo è
interessato da intense innovazioni tecnologiche. Le conseguenze potenziali della
perdita di controllo delle attività esternalizzate sono molteplici: irreversibilità della
scelta strategica di aggregarsi in rete; riduzione dei livelli di efficienza delle aree di
gestione collegate all’attività cedute all’esterno; aumento della competitività delle
aziende concorrenti che hanno sviluppato all’interno quella determinata attività.
Relativamente ai rischi economici, occorre considerare il problema della difficile
quantificazione dei costi di transazione corrispondenti alla creazione di una struttura
di governo atta a gestire le relazioni. Si tratta in particolare di costi sopportati
dall’azienda leader e sono connessi all’attività di coordinamento e di controllo.
87
Rischi strategici
 perdita del controllo e del coordinamento dell’attività esternalizzata;
 perdita di sinergie tra processi aziendali;
 perdita di dominio della tecnologia e della conoscenza;
 difficoltà nel controllo della qualità di processo e di prodotto;
 irreversibilità della scelta (a meno di elevati oneri)
Rischi economici
 costi effettivi superiori ai costi preventivati;
 eccessivi costi di transazione non compensati necessariamente da recuperi di
efficienza del processo produttivo
Rischi operativi
 eccessiva dipendenza dal fornitore (qualità, livello del servizio, puntualità,
rapidità, flessibilità);
 probabilità di comportamenti speculativi e opportunistici
La selezione dei partner
La prima fase della pianificazione si conclude con la selezione dei partner, attività
particolarmente critica in quanto condiziona lo svolgimento di tutto il rapporto di
cooperazione.
Un’azienda che decide di realizzare insieme a terzi determinati processi di attività, in
alcuni casi anche strategici, si pone in una situazione di forte dipendenza nei rapporti
con i partners e deve quindi nutrire nei confronti di questi ultimi una profonda
fiducia. Il tipo di relazione che si viene a creare è di fatto un’alleanza strategica
basata sulla cooperazione e sul riconoscimento delle reciproche competenze. È
necessario, quindi, creare una partnership tra le aziende coinvolte che si fondi
sull’esistenza di alcuni presupposti: l’approccio fiduciario di entrambi i partners; la
convergenza degli obiettivi e delle finalità; l’effettivo impegno dedicato dai partner
nella relazione.
È importante per il successo della rete che anche le imprese nodali siano consapevoli
del progetto imprenditoriale sottostante alla costruzione della collaborazione ed
evitino di assumere un comportamento molto frequente in questo tipo di
organizzazione:
delegare,
cioè,
all’impresa
leader
la
progettazione,
l’implementazione ed il coordinamento della rete assumendo un ruolo meramente
88
passivo e associando «alla propria entrata in rete una delega a terzi a provvedere
per se stessa».
La selezione deve basarsi su specifici parametri di valutazione anche per limitare il
rischio di sopportare costi che si dovrebbero sostenere in caso di cessazione di
rapporti e di ripristino di relazioni con nuovi partner.
La prima valutazione riguarda congiuntamente la solidità finanziaria e il patrimonio
tecnologico. Le condizioni economiche-finanziarie dell’impresa assumono rilevanza
soprattutto per valutare la capacità di sopravvivenza e di sviluppo del potenziale
partner. L’analisi della posizione tecnologica dell’impresa nodale, permette di
verificare la capacità innovativa incorporata nella struttura: un giusto equilibrio tra
componenti hard (macchine disponibili) e soft (regole organizzative, skill
professionali, ecc.) consente all’impresa non solo di raggiungere elevati livelli di
performance ma anche di essere dinamica ed innovativa 212.
Ulteriori requisiti dei partner che occorre considerare per la buona riuscita
dell’accordo di collaborazione sono:
-
riconosciuta affidabilità e ottime referenze, soprattutto per quanto riguarda la
correttezza dei rapporti commerciali;
-
compatibilità dei rispettivi stili direzionali, dove per compatibilità non si
intende uguaglianza (aziende operanti in ambienti competitivi diversi sono
naturalmente diverse) ma la possibilità di realizzare un processo di
comunicazione efficace su cui progettare l’integrazione;
-
propensione ad integrare diverse culture e interessi per creare un rapporto di
partnership incentrato sulla fiducia piuttosto che sull’opportunismo;
-
reciproca conoscenza pregressa tra i partner
212
Il Turati ha proposto una sorta di elenco delle principali aree gestionali da sottoporre a valutazione
per una verifica delle potenzialità dei partner:
- struttura organizzativa (numero di livelli, grado di accentramento/decentramento, ecc.);
- gestione del personale (valutazione del merito, investimenti in formazione, ricerca dei talenti,
ecc.);
- strategie di marketing (politiche di servizio al cliente, modalità di distribuzione, marketing
mix, ecc.);
- gestione della produzione (politiche di approvvigionamento, impianti e loro obsolescenza,
grado di automazione, ecc.);
- politiche finanziarie (struttura dell’indebitamento, politiche di dividendi e di reinvestimento,
rapporto capitale proprio/capitale di terzi, ecc.);
- caratteristiche della proprietà (pubblica/privata, concentrata/frazionata, ecc.)
Turati C.(1996), “Le alleanze”, in Costa G. e Nacamulli R.C.D., Manuale di Organizzazione
aziendale, Vol.2, Utet, Torino, pp. 581-582.
89
Per quanto riguarda gli ultimi due requisiti è opportuno fare alcune considerazioni.
In primo luogo, il partner o i partner devono possedere caratteristiche rispondenti alle
finalità dell’accordo, disporre di profili di complementarietà dei ruoli e soprattutto
non avere orientamenti molto distanti in termini di cultura d’impresa, di stili di
direzione e di modelli gestionali tanto da rendere impossibile la creazione di un
processo di comunicazione efficace, fondamentale per la stabilità della rete. Sotto
questo profilo, è possibile affermare che affinché un’alleanza fra imprese apporti
realmente quei benefici ch la contraddistinguono è determinante per ciascun partner
possedere una cultura aziendale volta al cambiamento e disponibile a soluzioni più
flessibili. Si è rilevato infatti che molte alleanze, soprattutto nel settore “high tech”,
falliscono non perché i partner entrano in conflitto sulla proprietà del know-how
sviluppato in comune, quanto piuttosto perché si dimostrano incapaci di realizzare al
proprio interno e fra loro un’azione di cambiamento capace di far convergere
strutture organizzative, culture aziendali e modalità gestionali diverse.
In secondo luogo, empiricamente è stato verificato che una reciproca conoscenza
pregressa favorisce la nascita di solide relazioni fiduciarie, in quanto nelle precedenti
esperienze già si è potuto valutare l’affidabilità del/dei partner, si sono creati network
interpersonali e si è sviluppata una confidenza con le reciproche prassi organizzative.
Pertanto, al fine sia di abbattere i costi della verifica dei gradi di compatibilità e di
costruzione della fiducia sia di garantire una maggiore sopravvivenza dei rapporti di
collaborazione, si rileva opportuno sviluppare gradualmente e in progressione le aree
di cooperazione213. Inoltre, in sede di selezione è necessario evitare di inserire nella
rete aziendale che invece di instaurare relazioni fiduciarie cercano di appropriarsi del
know-how dei partner mediante comportamenti opportunistici, molto frequenti nella
fase dell’implementazione dell’alleanza. Il rischio di questi comportamenti è che le
imprese partner «contengono entro i limiti strettamente necessari i contenuti della
collaborazione, anche a costo di rinunciare ad interessanti potenziali opportunità di
coproduzione, di nuova conoscenza attraverso lo sfruttamento di specifiche
complementarietà e sinergie»214.
213
Turati C.(1996), “Le alleanze”, in Costa G. e Nacamulli R.C.D., Manuale di Organizzazione
aziendale, Vol.2, Utet, Torino, p. 344
214
Siano A. (2001), Competenze e comunicazione del sistema di impresa, Giuffrè, Milano, p. 59
90
L’elaborazione del disegno strategico
Nella seconda fase della pianificazione, svolta in stretta collaborazione con i partner
selezionati, si delinea il disegno strategico della rete. In linea generale, ogni
decisione di cooperazione deve essere considerata alla luce del disegno strategico
complessivo, in modo che ciascuna impresa sia consapevole dell’impatto che
l’accordo potrà avere sul suo posizionamento competitivo e sui risultati conseguibili,
così da rendere coerenti le scelte aziendali.
Negli accordi reticolari, in particolare, dove la complementarietà delle risorse è
l’elemento fondamentale che consente alle singole imprese del gruppo di acquisire
vantaggi competitivi rispetto alla concorrenza, risulta essenziale avere ben chiaro il
disegno strategico della collaborazione. La chiarezza del disegno strategico comporta
innanzitutto l’esplicitazione degli obiettivi comuni, che favorisce il coordinamento
delle decisioni che vengono prese all’interno di ciascuna unità della rete. Con gli
obiettivi comuni si predeterminano le sinergie a valle o a monte che si vogliono
conseguire.
I sistemi di controllo
Una volta definito il disegno strategico, occorre negoziare i contenuti ed i termini
della collaborazione con i potenziali partner nonché prevedere i sistemi di controllo
adeguati per gestire efficacemente le relazioni.
Governare questi rapporti non è semplice.
In primo luogo, perché nelle reti esistono significativi spazi per comportamenti
opportunistici in quanto non operano i forti vincoli di rapporti gerarchici puri, né
esiste la trasparenza tipica delle relazioni di puro mercato215.
In secondo luogo, poiché l’organizzazione reticolare si caratterizza per la
disomogeneità delle competenze dei partecipanti e per la difficoltà di misurare in
modo puntuale gli output e le performance, in quanto la stessa rete spesso comporta
investimenti
congiunti
e
fasi
di
co-progettazione
e
co-produzione.
Conseguentemente, per un sistema di controllo efficiente è necessario disporre di
sistemi informativi adeguati per monitorare le risorse che i singoli partner apportano
nella rete, i tempi e le performance conseguite da ciascun attore nonché i risultati
raggiunti dalla rete nel suo complesso.
215
Arcari A.M. (1997), Economia dei consorzi tra imprese, Egea, Milano, p.187
91
Per quanto riguarda il primo aspetto, con la diffusione della telematica che permette
l’integrazione dei sistemi informativi e quindi la condivisione di dati, la funzione di
controllo è resa più efficace soprattutto in riferimento al coordinamento e alla
verifica degli output dei diversi processi produttivi localizzati presso ciascun partner.
Relativamente alle risorse apportante, una pianificazione carente degli output che
ciascun partner deve apportare può condurre dopo le prime fasi operative, ad una
profonda destabilizzazione del rapporto216. Sotto questo profilo, i meccanismi di
controllo dovrebbero essere idonei a valutare gli output operativi (ad esempio, la
qualità delle prestazioni), i comportamenti (ad esempio, i processi messi in atto per
l’erogazione delle prestazioni) e le risorse critiche messe a disposizione (ad esempio,
la professionalità delle risorse umane impiegate).
Al riguardo, è opportuno rilevare che relativamente alle attività di controllo ed
eventuale applicazione di sanzioni sorgono problemi operativi di non poco conto:
«asimmetrie informative rendono difficile nel corso del progetto identificare se ed in
quale misura i partner mantengono fede agli accordi presi; l’incertezza legata ai
risultati della collaborazione rende difficile valutare se il non conseguimento dei
risultati dipenda dall’insorgere di difficoltà non previste o non sia piuttosto il frutto
di uno scarso impegno del partner»217.
L’organizzazione peculiare delle reti ed il tipo di relazioni tra i partner, basati
fondamentalmente sulla fiducia, inducono pertanto ad attivare sistemi di controllo
ex-ante piuttosto che meccanismi formali di controllo dell’attività di coesione
operativa. Un meccanismo di controllo ex-ante efficace è quello della selezione
all’ingresso «basata, quando ne esistono i presupposti, sulla fiducia relazionale»218.
La fiducia oltre a rappresentare il requisito più efficace per conseguire dagli accordi
benefici superiori ai costi, riduce i rischi delle reazioni e quindi ridimensiona
corrispondentemente i costi di transazione e di coordinamento del network. In
particolare, se manca la fiducia i partner non sono disponibili a fornire informazioni
216
Le ambiguità di fondo presenti in una collaborazione, ad esempio, circa il know-how che ciascun
partner deve mettere a disposizione, possono facilmente generare delle incomprensioni, facendo venir
meno quel rapporto di fiducia alla base della collaborazione.
Parente R. (1992), La gestione strategica dei rapporti di collaborazione fra imprese, Cedam, Padova,
Appendice.
217
Sobrero M. (1996), Innovazione tecnologica e relazioni tra imprese. La Nuova Italia Scientifica,
Roma, p.59
218
Arcari A.M. (1997), Economia dei consorzi tra imprese, Egea, Milano, p.231
92
né a mettere in comune le proprie e esperienze e competenze. Tenuto conto del
rapporto fiduciario, durante le fasi operative gli strumenti di controllo più efficaci si
rivelano quelli informali, come ad esempio incontri di progettazione, scambi di
know-how, riunioni periodiche, per verificare i margini di miglioramento della
collaborazione nella rete e gli ostacoli da superare.
Il ricorso al contratto come strumento di controllo
Quando la rete mostra segni di stabilità ed è fortemente centrata i sistemi di controllo
potrebbero essere supportati da contratti. «Questo non significa lavorare
ancorandosi al contratto, ma piuttosto dotarsi di una rete protettiva il più possibile
minuziosa, lasciandola poi cadere nel cassetto, segnalando al partner la possibilità
di una sanzione per eventuale comportamenti elusivi dell’impegno assunto»219.
Al riguardo, l’impossibilità di prevedere tutte le condizioni di svolgimento di
un’attività di collaborazione, induce a privilegiare contratti che fissano e regolano
quadri di riferimento, lasciando aperta la possibilità di regolamentare eventi e
situazioni non previste che eventualmente dovessero verificarsi. Sotto questo profilo,
è necessario prevedere il prevedibile e gestire l’imprevisto 220. In particolare, basta
stabilire delle pratiche di fatto, cioè riconoscibili e riconosciute dagli operatori e dal
mercato, così come proposto dalla categoria dei c.d. incomplete contract, già presenti
nella prassi anglosassone. Questi ultimi, una volta regolamentato ciò che è
prevedibile, inseriscono ulteriori norme di comportamento attraverso le quali i
contraenti consensualmente adeguano i rapporti alle mutate situazioni che nel corso
del tempo dovessero presentarsi221.
In linea generale, questi contratti, alla stregua di un qualsiasi altro contratto che
regoli transazioni tra controparti, devono prevedere:
-
clausole di rinuncia a continuare il rapporto di collaborazione;
-
la possibilità che si verifichino eventi estranei alla volontà delle parti (cause
di forza maggiore) e quindi specificare come affrontare tale evenienze;
219
Costa G., Nacamulli R.C.D. (1996) (a cura di), Manuale di Organizzazione aziendale, Utet, Torino,
p. 586
220
Vannutelli G. (1999), “In sede di negoziazione la partnership è la chiave”, L’impresa, n.5, p.16
221
Questa soluzione è applicabile anche in Italia, tenuto conto che alla luce dell’art. 1372 del codice
civile, il contratto è legge tra le parti, per cui le stesse nella loro autonomia stabiliscono
consensualmente un codice di comportamento su come e in quali circostanze il contratto debba essere
rinegoziato.
93
-
il rispetto di livelli minimi di prestazioni ed eventualmente l’imputazione di
una penale in caso di forte divergenza tra prestazioni prefissate e quelle
offerte.
Così come strutturato, la funzione del contratto nei rapporti di collaborazione tra
aziende è quella di una rete protettiva a disposizione dei partner da utilizzare nel caso
in cui dovessero verificarsi eventuali comportamenti elusivi degli impegni assunti e/o
eventi non previsti al momento della stipula dell’accordo. Sotto questo profilo, per
una efficace applicazione di questa tipologia di contratti è necessario programmare
check point periodici per analizzare e risolvere situazioni nuove non previste e per
dirimere potenziali conflitti.
Il ruolo dell’impresa guida nel processo di pianificazione
Nella fase evolutiva delle organizzazioni reticolari è possibile individuare al loro
interno alcune imprese che per una superiore capacità di networking, per la capacità
di sviluppare una visione strategica, assumono una posizione di guida rispetto alle
altre imprese, funzione guida che si9 sostanzia anche nel compito di elaborare e
coordinare il processo di pianificazione della rete. In tale ambito, l’azienda guida
elabora la vision strategica di rete e generalmente assume il ruolo di “agente del
cambiamento”, in grado di decentrare le decisioni operative, assicurando al tempo
stesso il controllo del sistema. La stabilità della rete è tanto maggiore quanto più il
processo di pianificazione è codificato, non lasciato alla sola volontà delle parti,
coordinato da un impresa guida che svolge il ruolo di main contractor, in virtù delle
maggiori competenze possedute e dello spirito di iniziativa dimostrato sul campo. In
questa prospettiva, l’impresa leader deve dimostrare soprattutto di possedere knowhow relazionale, di saper cioè gestire tutti quei processi che consentono alle relazioni
di funzionare efficientemente. Compito dell’impresa leader è quello di stabilire le
premesse decisionali per favorire il coordinamento, prima ancora della cooperazione,
tra entità disomogenee quanto ad assetti organizzativi ed operativi e per incentivare il
grado di commitment verso gli obiettivi comuni. In questa prospettiva, il “centro”
della rete deve avere la capacità di interpretare le dinamiche evolutive e i processi di
crescita dei “singoli nodi”: ciascuna relazione ha un proprio carattere distintivo, una
propria storia, un proprio futuro ed evolve con proprie caratteristiche specifiche ed
una propria identità.
94
Nelle reti evolute l’azienda leader integra le aziende partner sempre meno attraverso
strumenti gerarchici e sempre più attraverso sistemi operativi che focalizzano le
risorse verso strategie comuni. In tal modo, l’impresa guida riesce a consolidare il
principale fattore che garantisce la stabilità delle reti, cioè la fiducia reciproca, che
favorisce la collaborazione e limita i comportamenti opportunistici. Quando
l’impresa centrale, oltre a svolgere il ruolo di coordinamento della produzione svolge
anche la funzione di pianificazione, determina alcuni limiti nella stessa
organizzazione della rete. In questo caso, infatti, se da un lato si innescano
meccanismi gerarchici molto più rilevanti rispetto a reti di imprese che non
prevedono l’applicazione di sistemi di pianificazione, dall’altro, le aziende partner
tendono a dipendere in maniera pressante, quasi esclusiva, dall’iniziativa
dell’impresa leader e pertanto la stessa sopravvivenza della rete dipende dalle
capacità di pianificazione di quest’ultima.
Sotto questo profilo, è opportuno rilevare che un eccessivo peso dell’impresa guida
può rappresentare un fattore di instabilità della rete stessa nel caso in cui divenisse il
principale destinatario degli output delle aziende partner e/o venisse meno la sua
capacità di coordinamento. Nel primo caso, le aziende della rete rischierebbero di
perdere il riferimento con il mercato e conseguentemente una riduzione della loro
autonomia e della loro creatività: si trasformerebbero in una sorta di “dipendenti
autonomi” e la rete rischierebbe di divenire un’impresa integrata verticalmente 222.
Nel secondo caso, un’eventuale incapacità dell’impresa guida a gestire il
coordinamento non solo potrebbe pregiudicare la sopravvivenza della rete stessa ma
addirittura rischierebbe di causare situazioni di crisi nelle aziende partner, che
avrebbero difficoltà ad individuare un’alternativa all’impresa leader e/o a
riorganizzare gerarchicamente la propria attività produttiva.
222
Mustilli M. (1999), L’evoluzione del venture capital nello sviluppo delle piccole e medie imprese,
Cedam, Padova.
95
2.5 Il finanziamento dell’impresa nella rete ed il diverso
ruolo delle banche e degli altri intermediari
L’introduzione delle nuove tecnologie non costituisce l’unico motore del
cambiamento organizzativo
223
. L’evoluzione dei mercati finanziari e creditizi incide
significativamente sulla trasformazione dei modelli organizzativi delle imprese e
sugli incentivi a costituire sistemi di relazione cooperativa.
Il tema delle reti di imprese va letto ovviamente con riferimento al rapporto con le
banche e gli altri intermediari. Una sempre maggiore attenzione a questo rapporto
proviene sia dal mondo associativo che da quello istituzionale. Il processo di
disintermediazione sta conducendo ad una ridefinizione del ruolo degli intermediari
creditizi e finanziari con differenze sensibili per le piccole e medie imprese da un
lato e per le grandi dall’altro.
Due profili appaiono di rilevante importanza: la relazione proprietaria e la relazione
di finanziamento.
La differenza sotto il profilo della relazione proprietaria tra banche ed imprese
quotate, da un lato, e banche ed imprese non quotate, dall’altro, è abbastanza
significativa. Mentre nella prima ipotesi gli incroci proprietari sono la regola e
pongono importanti quesiti circa gli effetti sulle relazioni di finanziamento e sulla
generale efficienza del mercato del credito, nel secondo caso la partecipazione
proprietaria delle banche alle imprese è assai più rara. La partecipazione proprietaria
quando ricorre è generalmente indiretta, operando attraverso il veicolo della
merchant bank. Ma vi sono casi, infrequenti, di partecipazione diretta delle banche al
capitale delle piccole e medie imprese.
Diverso fenomeno è quello della partecipazione diretta delle banche a società o
consorzi che abbiano la funzione di costruire infrastrutture, di gestire servizi alle
imprese, di promuovere attività innovative. Questa attività risulta più frequente. Essa
va interpretata non tanto come una partecipazione diretta alle imprese finanziate
tramite società terze, quanto piuttosto una modalità di rafforzamento della relazione
di finanziamento attraverso la gestione collettiva di servizi che, migliorando la
223
FABRIZIO CAFAGGI, Reti di Imprese tra sviluppo e crisi, Evoluzione del sistema produttivo
italiano, sistemi di rete e modelli di corporate governante.
96
qualità dell’ambiente produttivo, aumentano l’efficienza delle imprese e riducono i
rischi associati all’erogazione del credito.
Un secondo profilo riguarda l’incidenza dei modelli di governante delle imprese e
della rete sulla disponibilità e sul costo del credito. La consapevolezza
dell’importanza del modello di governo è cresciuta sia in relazione alle società
quotate che in relazione alle piccole e medie imprese. Recenti ricerche rivelano ad
esempio la correlazione inversa tra una governante dell’impresa orientata all’apertura
della compagine sociale e del managment a membri diversi dalle famiglie ed il multi
affidamento. L’assenza o la ridotta presenza del multi affidamento costituirebbe un
sintomo della maggiore affidabilità dell’impresa in ragione del modello di
governante adottato.
Un terzo profilo riguarda il ruolo delle interdipendenze tra imprese finanziate nella
relazione banca-impresa partecipante alla rete. Si possono distinguere due aspetti che
hanno particolare rilievo anche per la definizione di una disciplina della crisi di
impresa operante in sistema di rete: le interdipendenze proprietarie e quelle
produttive tra imprese finanziate ed in ultima analisi la eventuale correlazione tra le
prime e le seconde. Con riferimento alle interdipendenze proprietarie il quesito
concerne la rilevanza che gli incroci tra assetti proprietari delle imprese finanziate ed
in particolare le diverse modalità attraverso cui questi si realizzano (costituzione di
gruppi, partecipazioni reciproche, ecc) incidono sulla definizione della relazione di
finanziamento ed in ultima analisi sul costo del credito. Con riferimento alle
interdipendenze produttive il quesito concerne la rilevanza che le banche
attribuiscono alla relazione tra le imprese nella filiera produttiva ed all’eventuale
dipendenza o interdipendenza.
Il primo dato è che difficilmente le banche impiegano la variabile del livello di
interdipendenza, sia quella proprietaria che quella produttiva, per definire il costo del
credito. Ovviamente c’è una maggiore e crescente attenzione per le interdipendenze
proprietarie ed in particolare per i fenomeni di gruppo mentre invece manca una
considerazione, perlomeno sul piano formale (ad esempio per la definizione del
rating) delle interdipendenze produttive. Questo non significa che non vi sia
acquisizione di informazioni sulla posizione che la impresa occupa nel mercato, ma
si enfatizzano maggiormente gli aspetti concorrenziali rispetto a quelli cooperativi. Si
97
indaga generalmente sulla posizione della impresa nella filiera produttiva senza
entrare nel merito del sistema di interdipendenze.
La mancanza di una considerazione diretta ed esplicita sia delle interdipendenze
produttive che di quelle proprietarie non significa tuttavia che diverse correlazioni tra
governante dell’impresa e relazione di finanziamento non sussistano. Ricerche
recenti indagano la presenza e le ragioni del multi affidamento ed il ruolo delle
garanzie.
Vi sono interessanti correlazioni tra sistemi di governo delle imprese e relazioni di
finanziamento. Come è noto la caratteristica peculiare italiana è costituita da un
elevato multi affidamento rispetto ad altri paesi.
Rispetto alla variabile dimensione il multi affidamento è più presente nelle grandi
imprese ma risulta rilevante anche nelle piccole e nelle medie.
Le spiegazioni riguardanti le ragioni del multi affidamento si riferiscono sia al
sistema di incentivi della imprese che a quello delle banche.
Il multi affidamento viene configurato come una risposta delle banche alla opacità
informativa ed alla esigenza di ridurre il rischio di default. Viene segnalato il diverso
atteggiamento verso le medie imprese rispetto alle piccole. L’avversione al rischio
delle banche associato alla opacità informativa risulterebbe dunque più elevato,
favorendo il multi affidamento, per le medie rispetto alle piccole.
Un ulteriore aspetto riguarda il sistema delle garanzie associato alla erogazione del
credito. La presenza di garanzie è molto elevata e cresce con l’aumento della
rischiosità dell’impresa. Viene rilevata una correlazione tra dimensione dell’impresa
e tipologia di garanzie. La presenza di garanzie reali cresce al crescere della
dimensione. La relazione tra piccole e medie imprese e sistema bancario sta dunque
mutando in ragione della ristrutturazione del sistema bancario, delle nuove esigenze
delle imprese, legate alla internazionalizzazione dei mercati ed alla crescente
esigenza di un ruolo consulenziale. Anche per imprese di dimensioni minori
l’erogazione del credito diventa una delle funzioni all’interno di un rapporto che
evolve rispetto alla tradizionale forma di transactional banking. Questi cambiamenti
sono destinati ovviamente a riflettersi sul ruolo delle banche nella gestione delle fasi
di crisi e ristrutturazione.
98
CAPITOLO TERZO
LA GOVERNANCE DELLA RETE
3.1 I sistemi di coordinamento delle imprese. Brevi riflessioni
sui rapporti tra reti e gruppi di imprese
Gruppi e reti costituiscono due forme di coordinamento tra imprese le cui specificità,
sul piano economico e giuridico, devono essere rivisitate anche alla luce delle più
recenti riflessioni in materia di confini dell’impresa224. In via preliminare occorre
precisare che non sempre la funzione di coordinamento è svolta direttamente dalle
imprese; talvolta accade che soggetti terzi pubblici o privati, svolgono o concorrano
allo svolgimento di tale funzione225. In taluni casi essi si limitano a promuovere il
coordinamento, in altri invece assumono direttamente il compito di coordinare. 226
Entrambe le modalità, quella del gruppo e quella della rete, sono state e possono
essere impiegate sia per assicurare forme di accentramento che di decentramento
produttivo. In taluni casi il gruppo e la rete sono il frutto di processi di aggregazione,
che non configurano integrazioni pure dell’impresa (attraverso fusioni o
trasformazioni) conservando, quantomeno sotto il profilo giuridico, una pluralità di
enti. In altri casi esse conseguono a forme di decentramento produttivo attraverso cui
la grande impresa alloca all’esterno funzioni o fasi precedentemente svolte
all’interno ovvero intorno alla media impresa leader si costituiscono costellazioni di
piccole imprese destinate al potenziamento di quella leadership ed alla sua
224
CAFAGGI F. (2004), (a cura di) Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per
diritto ed economia, il Mulino
225
I confini dell’impresa sono definibili sulla base del sistema di organizzazione delle risorse
specificamente dedicate allo svolgimento dell’attività ma anche alla struttura dei mercati entro cui le
imprese operano ed ai modelli di regolazione ed esse applicati. Un ruolo importante è ovviamente
associato allo sviluppo delle tecnologie.
226
Con riferimento ai distretti industriali si distinguono i patti di distretto dalle forme più
specificatamente privatistiche sul piano contrattuale e le società miste da quelle a composizione
puramente privata.
99
competitività sui mercati finali. Le ragioni dell’accentramento o del decentramento
possono
essere
diverse,
correlate
all’efficienza
del
modello
produttivo,
all’organizzazione del lavoro, ai sistemi di prelievo fiscale ed a molti altri fattori
ancora.227 Tali diversità incidono sul modello organizzativo adottato e sulle modalità
di relazione che si stabiliscono tra le imprese.228 Il tema del coordinamento può
declinarsi con riferimento a diverse funzioni realizzabili, con varie modalità, tramite
le reti. Vi è un coordinamento che si concretizza nella collaborazione industriale e
finanziaria, un coordinamento regolativo e un coordinamento di governo. Nel primo
caso c’è la necessità di coordinare due o più attività di impresa svolte da entità
economicamente e giuridicamente autonome. Nel secondo caso vi può essere la
necessità di regolare le attività anche senza collaborazione (si tratta in questo caso di
reti regolative spesso considerate dalla disciplina antitrust per i possibili effetti
anticoncorrenziali quando le dimensioni della rete lo giustifichino) ovvero ipotesi in
cui si sommino collaborazione e regolazione e dunque la seconda sia, almeno in
parte, strumentale alla prima.229 Infine ipotesi in cui alla collaborazione ed alla
regolazione si associ anche il coordinamento del governo delle imprese.
L’analisi economica e quella organizzativista distinguono i modelli di coordinamento
che impiegano strumenti gerarchici e quelli che, invece, utilizzano strumenti
cooperativi. Tendenzialmente queste analisi distinguono tra l’impresa verticalmente
integrata e i network, configurando questi come forme intermedie tra gerarchie e
mercati ovvero come modelli caratterizzati da loro specificità. Prospettive
transazionali sottolineano la differenza tra gruppo ed imprese multi divisionali,
puntualizzando la diversa natura delle transazioni che intercorrono all’interno del
227
È utile puntualizzare che accentramento non è sinonimo di gerarchia così come decentramento non
è sinonimo di rapporti paritari tra le imprese. Occorre dunque disarticolare nelle diverse combinazioni
decentramento, finalizzato ad aumentare la flessibilità ed accentramento, diretto a realizzare economie
di scala.
228
La valutazione della struttura di gruppo varia molto a seconda che il gruppo si sia formato per
effetto di decentramento produttivo della grande impresa o di acquisizione progressiva di imprese
precedentemente autonome. Nel primo caso il livello di autonomia degli amministratori delle
controllate cresce rispetto a quello dei managers in precedenza a capo delle divisioni interne
all’impresa. Nel secondo caso il livello di autonomia diminuisce dal momento che gli interessi
dell’impresa indipendente vengono «piegati» a quello del gruppo ed in particolare a quello della
controllante. Analogamente si può ragionare a proposito della rete e del livello di autonomia di cui le
imprese nelle reti dispongono.
229
Tipicamente questo accade con l’impiego del contratto di consorzio. È opportuno subito precisare
che la funzione regolativa può realizzarsi non solo attraverso contratti normativi e dunque, così come
quella organizzativa, essa va identificata nell’ambito di sistemi di relazione complessi.
100
gruppo rispetto a quelle che prendono luogo nell’impresa verticalmente integrata, la
cui disciplina è suddivisa tra diritto dell’impresa e diritto del lavoro. La qualità di tali
transazioni diverge rispetto a quella che prende luogo nei sistemi di rete. Ai fini di
coordinamento interimprenditoriale possono considerarsi diversi strumenti: da un
lato i contratti, dall’altro le organizzazioni, in particolare quelle che adottano il
modello societario. Tecnicamente si tratta, in entrambi i casi, di contratti che,
tuttavia, dal punto di vista funzionale e disciplinare differiscono sensibilmente. I
contratti di coordinamento interimprenditoriale, sia quelli di gruppo che quelli di
rete, sono tendenzialmente incompleti ed il completamento avviene tenendo conto
anche della loro dimensione implicita. L’approccio dell’incompletezza contrattuale è
applicabile evidentemente anche alle ipotesi di gruppi e reti in cui manca un contratto
costitutivo formale. L’incompletezza viene in entrambi i casi associata alla
discrezionalità
che
può
essere
«gestita» attraverso
strumenti
autoritativi,
traducendosi in gerarchia, ovvero alla con sensualità, traducendosi in modelli
tendenzialmente paritari e dando luogo a processi di negoziazione diretti a definire le
conseguenze derivanti da contingenze sopravvenute. L’incompletezza dei contratti di
rete e di quelli di gruppo riguarda dunque sia i contratti plurilaterali di cooperazione
(contratti) che quelli societari. Le modalità del completamento sono tuttavia diverse
nei due modelli, essendo differente la procedura decisionale concernente la soluzione
di profili lasciati insoluti al momento della loro conclusione. La differenza tra le due
«famiglie» non concerne semplicemente la contrapposizione tra modelli a
maggioranza (identificabili con quello societario od associativo) ed all’unanimità
(identificabili con quello contrattuale), ben potendosi avere anche nei contratti
bilaterali un’asimmetria del potere decisionale che si traduce in un sistema analogo a
quello della decisione a maggioranza con attribuzione del potere unilaterale di
decisione pur in un contesto in cui opera formalmente il principio consensuale; così
come può adottarsi il sistema di decisione all’unanimità nei modelli societari od
associativi. L’analisi giuridica teorica ha per lungo tempo continuato ad interrogarsi
sulle diverse forme di impresa, considerandole prevalentemente quali unità isolate.
La prassi ha invece sviluppato innovative forme di coordinamento gerarchico e
paritario di notevole rilevanza anche sotto il profilo giuridico, costringendo ad
ampliare lo spettro dei modelli di organizzazione industriale. Oggi lo scenario, anche
101
sotto il profilo giuridico, è mutato sia per l’introduzione di una disciplina dell’attività
dei gruppi, sia perché si comincia a valutare adeguatamente l’importanza della
funzione organizzativa dei contratti di cooperazione interimprenditoriale. Il problema
costruttivo del coordinamento interimprenditoriale, comune a gruppi e reti, ha
riguardato l’approccio da impiegare, in particolare la scelta tra quello più
consolidato, che privilegia la soggettività, e quello meno diffuso, che guarda
all’attività. Una seconda questione, correlata all’approccio, riguarda il rapporto tra le
imprese e la tutela della loro autonomia, specialmente nell’ipotesi in cui siano
presenti poteri gerarchici.
Il tema dei gruppi e quello delle reti in misura ancora maggiore, mostra la difficoltà
di leggere questi fenomeni esclusivamente in chiave di soggettività, correndo il
rischio di ascrivere all’irrilevante giuridico casi di coordinamento esplicito che,
tuttavia, non si traducono nella creazione di nuovi soggetti. Il problema è ancora
maggiore nel caso di coordinamento implicito. Questa è una delle ragioni per le quali
la riflessione sulle reti di imprese, risulta quasi assente tra i giuristi. Spesso infatti sia
gruppi che reti emergono in forza di interdipendenze tra imprese che si realizzano, ad
esempio, in ragione di rapporti contrattuali bilaterali tra loro collegati o in forza di
partecipazioni incrociate agli organi di governo degli enti o ancora in forme di
unione personale (interlocking directorates) senza dar luogo alla creazione di nuovi
soggetti deputati al governo dell’insieme. Le ragioni di una prevalenza
dell’approccio soggettivistico sono solo in apparenza chiare anche dal punto di vista
economico. I costi di amministrazione di un sistema di relazioni tra imprese in cui i
fenomeni di coordinamento o sono soggettivizzabili o non sono, sembrano a prima
vista inferiori a quelli di sistemi in cui si adopera il riferimento all’attività
(contrattuale) ed alle sue modalità per giuridicizzare la rete. Di fatto però la
soggettivizzazione può avere costi elevati nel lungo periodo perché costringe a
burocratizzare attraverso la costituzione di organizzazioni, elevando in tal modo i
costi di governo. Per converso è però utile rilevare che se i costi di costituzione
iniziale dell’ente sono maggiori di quelli di stipulazione di contratto, quelli relativi
alla gestione ed alla amministrazione possono essere maggiori nel caso di contratti
anche in ragione della mancanza di una struttura organizzativa adeguata.
102
Sia sul piano dell’interpretazione dell’esistente che su quello della costruzione di un
intervento normativo un approccio puramente soggettivista ai gruppi ed alle reti di
impresa non appare pertanto efficace; occorre, invece, immaginare un sistema in cui
si possa in taluni casi pervenire alla qualificazione della rete valutando l’attività delle
imprese, in particolare i contratti che strutturano l’interdipendenza, in altri, invece, in
cui si possa identificare un unico soggetto che, anche implicitamente, assolva alla
funzione di costituire o più spesso gestire la rete ed in particolare di svolgere la
funzione di coordinamento.
3.2 Reti, gruppi e la distinzione tra coordinamento gerarchico
e paritario
In prima approssimazione potrebbe associarsi al modello di coordinamento
gerarchico il gruppo ed a quello di coordinamento paritario la rete 230. In tal modo al
coordinamento gerarchico e a quello paritario corrisponderebbero, sul piano
giuridico, due categorie distinte, il gruppo e la rete. Ci sono due rilievi in tale
conclusione. Sul piano del gruppo, l’emersione del gruppo paritetico e, dunque, di
forme di contratto di collegamento non gerarchico. Sul versante delle reti la presenza
di sistemi di coordinamento con forme di etero- direzione del potere di decisione
non riconducibili ai sistemi di distribuzione del potere nelle reti paritarie. In sostanza
ipotesi di rete in cui alcune imprese esercitino un’«influenza» rilevante su altre, non
qualificabile come potere di controllo. Mentre sotto il primo profilo si può ritenere
che il gruppo paritetico sia meglio collocato nel quadro delle reti, occorre
obiettivamente riconoscere che queste comprendono al loro interno fenomeni diversi
che non consentono una semplice contrapposizione al gruppo, basata sull’assenza di
gerarchia.231 Vi sono casi in cui, pur non essendo tecnicamente in presenza di un
gruppo e non ricorrendo i requisiti del controllo interno od esterno o della direzione
230
CAFAGGI F. (2004), (a cura di) Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per
diritto ed economia, il Mulino
231
Il controllo contrattuale disciplinato dall’art. 2359, n. 3, c.c. comporta che la controllante abbia, in
forza di un esplicito contratto ovvero dell’esistenza di un vincolo contrattuale emergente sul piano
fattuale, il potere di dirigere l’impresa della controllata. Dunque è necessario che vi siano clausole
contrattuali e/o statutarie che concretizzino tali poteri. La dipendenza economica, cos’ come regolata
dall’art. 9, l. 192/98, viene definita come quella «situazione in cui un’impresa sia in grado di
determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti ed
obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte
che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti».
103
unitaria, si è di fronte a forme parziali di trasferimento contrattuale del potere di
direzione di un’impresa ad altra impresa ovvero ad un terzo soggetto, nel quadro di
un sistema coordinato di relazioni tra imprese, definibile quale rete. Tra queste
ipotesi rientra la dipendenza economica, disciplinata in sede di contratto di
subfornitura. La dipendenza economica, che diviene illecita solo in presenza di
condotte abusive, viene definita in relazione allo squilibrio di diritti ed obblighi in
contratti stipulati tra imprenditori senza tuttavia considerare gli effetti prodotti sulla
governante dell’impresa dipendente. Si tratta di uno dei tanti esempi di dissociazione
tra profilo dell’attività e profilo dell’organizzazione.
Il sistema di diritto positivo lascia vuoto uno spazio regolativo importante, costituito
dalle ipotesi in cui non vi è controllo contrattuale in senso tecnico ma vi sono effetti
rilevanti della gerarchia, sulla distribuzione del potere decisionale nella rete e sui
rapporti tra imprese e creditori. Ad esempio, nell’ipotesi di contratti di subfornitura
di lungo periodo, quando le imprese dipendenti siano una pluralità e tra loro
formalmente o informalmente coordinate è probabile che i committenti esercitino
un’influenza, quand’anche indiretta, sul governo di quelle imprese, diversamente
calibrata a seconda che vi sia mono o pluricommitenza e che i mercati dei
committenti e quelli dei fornitori siano più o meno concorrenziali.
Lo spartiacque tra liceità della dipendenza ed illiceità dell’abuso (di dipendenza
economica) impiegato dalle discipline sulla subfornitura non appare soddisfacente a
regolare gli effetti di redistribuzione del potere perché pensato non per regolare i
profili di governante delle imprese dipendenti ma soltanto quelli della disciplina
contrattuale dei singoli rapporti.
Esiste, dunque, una differenza rilevante tra controllo contrattuale che da’ luogo a
gruppo, dove le implicazioni di governo sono abbastanza bene evidenziate dalla
giurisprudenza teorica e pratica, e dipendenza economica, dove invece queste sono
insufficientemente identificate. Tale differenza si riflette sulle diverse modalità di
coordinamento delle imprese e sul diverso ruolo giocato dalla gerarchia. Emerge
l’esigenza di una disciplina coordinata, che definisca i diversi livelli di influenza
contrattuale e le loro implicazioni in chiave di governo dell’impresa e di
responsabilità, sia in contesti bilaterali che in quelli di rete.
104
In conclusione vi sono due figure chiaramente definite e distinguibili sul piano della
distribuzione del potere di governo dell’impresa nei sistemi di coordinamento
interimprenditoriale: il gruppo gerarchico e la rete paritaria. Si tratta di forme di
coordinamento
che
presentano
alcune
caratteristiche
comuni
ma
restano
profondamente distinte in ragione della assenza o presenza di gerarchia. Vi sono poi
figure intermedie, in cui vi è asimmetria di potere decisionale, non riconducibile al
controllo gerarchico in senso tecnico, che possono essere regolate sia per contratto
sia per organizzazione.
I processi evolutivi delle reti ed in particolare quelli dell’esperienza distrettuale
italiana mostrano che i livelli di gerarchia mutano in ragione sia di fattori interni che
di variabili esterne, quali la forma di mercato e la sua concorrenzialità. 232 Si deve
riscontrare che stanno mutando anche gli strumenti attraverso cui può essere
esercitata l’autorità nel governo dell’impresa. Vi è una terza ipotesi in riferimento
alla modalità di esercizio della gerarchia. Sono quelle ipotesi in cui la risorsa
conoscenza è rilevante ed essa non è (stata ancora) tradotta in diritti appropriabili di
proprietà intellettuale. Quando questa risorsa viene formalmente o informalmente
conferita, essa circola con la persona del socio, dell’amministratore o del lavoratore
che la detiene, che viene perciò a trovarsi nella condizione di esercitare un potere
molto rilevante, talvolta un controllo vero e proprio, pur non avendo la maggioranza
o addirittura alcuna delle azioni o non essendo contrattualmente configurabile come
soggetto dominante. In questi casi la minaccia di recesso del socio detentore della
conoscenza o quella di dimissioni dell’amministratore o del lavoratore può costituire
esercizio di «potere di governo» assai più effettivo di quello esercitato dal socio che
ha formalmente il controllo della società ma non quello dell’impresa perché non
dispone di risorse critiche.
A queste forme di nuova gerarchia il diritto dei contratti e quello delle società hanno
dedicato sino ad ora scarsa attenzione, relegando il tema a profili proprietari; per tale
ragione gli strumenti impiegabili per reagire a comportamenti opportunistici dei
232
I sistemi di rete operanti nell’ambito di distretti industriali rivelano infatti evoluzioni diverse. In
taluni casi da una fase iniziale, caratterizzata da elevato livello di gerarchia nelle relazioni tra imprese,
misurata con riferimento alla subfornitura, si è passati a fasi di sviluppo contraddistinte invece da un
più elevato tasso di pariteticità nei rapporti tra imprese. In altri casi il distretto è nato intorno ad
un’impresa leader che, catalizzando intorno a sé le piccole imprese, ha prodotto un sistema di rapporti
gerarchici.
105
detentori di risorse, strategiche per la rete, sono, ancora in prevalenza, le clausole
generali. Grazie ad esse, quando il potere, ad esempio quello di recesso, venga
esercitato secondo modalità abusive e contrarie a buona fede, i rimedi tradizionali
verranno garantiti. Ma questi, specialmente in contesti di rete in cui conviva una
pluralità di attori, risultano troppo deboli e dunque emerge la necessità di nuovi
interventi normativi.
La categoria di gerarchia presenta caratteristiche diverse quando dipende
dall’esistenza di un potere di controllo fondato sulla proprietà del capitale ovvero
dall’esistenza di legami contrattuali che definiscono una posizione di dipendenza di
un’impresa rispetto ad un’altra e ancora dal possesso di una risorsa come la
conoscenza, spesso difficilmente appropriabile o trasferibile via contratto. Questi due
diversi strumenti (proprietà e contratto) attraverso cui la gerarchia tra imprese può
essere esercitata riguardano l’aspetto esterno della gerarchia: quello del rapporto tra
imprese. Generalmente il tema della gerarchia viene considerato anche dal punto di
vista interno dell’impresa con riferimento alla struttura del processo decisionale, al
ruolo che managment e lavoratori svolgono ed al rapporto tra questi ed i proprietari
dell’impresa.
Le nuove forme di impresa, specialmente di carattere reticolare, si caratterizzano per
una crescita delle opzioni esterne dei lavoratori e del managment concorrendo alla de
gerarchizzazione delle imprese presenti nella rete. Occorre peraltro rilevare che,
trattandosi di piccole e medie imprese, le caratteristiche della gerarchia sono
comunque diverse rispetto a quelle proprie della grande impresa. Quando la risorsa
critica è costituita dalla conoscenza ed essa circola sia attraverso i diritti di proprietà
intellettuale sia attraverso il capitale umano, la definizione di una struttura gerarchica
riferita alla proprietà del capitale fisso ovvero l’impiego dei contratti di impresa,
attraverso cui è organizzato il processo produttivo, possono avere limiti importanti
perché non riescono a catturare il controllo della risorsa più rilevante: la conoscenza
stessa, decisiva per la produttività e l’innovazione.
3.2.1 Unità ed autonomia nelle reti e nei gruppi
Una distinzione netta tra gruppi e reti neppure può tracciarsi sul piano della
formalizzazione, contrapponendo gruppi formali e reti informali. La formazione di
106
sistemi di coordinamento tra imprese, nelle forme gerarchiche e in quelle paritarie,
possono infatti essere formalizzate attraverso la stipulazione di contratti e/o la
costituzione di nuovi soggetti di diritto o mantenersi sul piano fattuale. In entrambi i
casi, sebbene con diversa accentuazione, la creazione di sistemi di coordinamento
produce effetti giuridici sui rapporti tra imprese nonché, ad esempio, sul piano della
responsabilità delle società e dei loro amministratori e su quello della tutela dei terzi,
in particolare dei creditori delle imprese appartenenti alla rete.
In relazione alle reti si possono distinguere reti formali ed informali; nell’ambito
delle prime si possono differenziare reti formali con rilevanza puramente interna o
anche esterna. Le reti informali hanno invece prevalentemente rilevanza interna. Tali
differenze, sia all’interno delle diverse tipologie di rete che tra queste ed i gruppi,
rilevano sui profili della responsabilità sul modo di atteggiarsi del conflitto di
interessi, sulla tutela dei creditori sociali, sulle modalità di assunzione delle decisioni
interne alla rete ed alle singole imprese.
La distinzione tra dipendenza ed interdipendenza può caratterizzare alcune differenze
tra gruppo gerarchico, rete gerarchica e rete paritaria. Tuttavia non sono infrequenti
ipotesi di interdipendenza asimmetrica.233
Nella rete paritaria muta, rispetto al gruppo ed alla rete gerarchica basata sulla
107
discrezionale, se non in misura analoga a ciò che accade nel gruppo, e
l’inadempimento dell’obbligo di eseguire la decisione dà luogo a responsabilità verso
la rete così come verso le singole imprese ad essa appartenenti ed in taluni casi anche
verso la società stessa. Tale responsabilità ha natura contrattuale e come obiettivo
primario quello di assicurare l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo assunto.
Sul piano formale la responsabilità della controllata per in esecuzione dell’obbligo di
eseguire la direttiva della capogruppo non differisce in modo significativo da quella
della società appartenente alla rete per inesecuzione degli obblighi derivanti da una
deliberazione dell’organo di governo della rete, ad esempio il consorzio. Possono
ovviamente differire le condizioni operative di tale responsabilità in ragione della
diversa tutela spettante all’impresa appartenente al gruppo rispetto a quella della rete.
In conclusione la differenza tra gruppi e reti, sia nella forma gerarchica che in quella
paritaria, risiede nel diverso grado di indipendenza e nei sistemi di enforcement e di
responsabilità attraverso cui la dipendenza può essere fatta valere e parallelamente
può essere preservata.
3.2.2 La rilevanza dell’interesse di rete e la disciplina del conflitto di
interessi
La costituzione di gruppi e reti, sia che avvenga sul piano formale sia che rimanga
sul piano fattuale, comporta l’emersione di un interesse di gruppo e di rete che può
divergere da quello delle singole componenti e, talvolta, configgere con quello di
alcune imprese appartenenti al gruppo o alla rete. Una particolare attenzione merita il
conflitto di interesse tra imprese quando queste operino nel quadro di un gruppo,
nella misura in cui le modalità di soluzione debbano tener conto dell’interesse
collettivo oltre a quello dei singoli soggetti configgenti. L’esistenza di un gruppo è
stata associata alla sussistenza di un controllo ovvero di una direzione unitaria. Con
l’introduzione della nuova disciplina sui gruppi di cui all’art. 2497 c.c. la categoria
centrale è divenuta piuttosto quella dell’attività di direzione e coordinamento. In
questo quadro deve sottolinearsi, con riferimento specifico al conflitto di interesse, la
valenza sistematica dell’obbligo di motivazione delle deliberazioni assunte dalla
controllata in ottemperanza a istruzioni della controllante. Analoghi problemi
sorgono in materia di rete. Anche per la rete, al pari del gruppo, può parlarsi di un
108
interesse distinto da quello delle singole imprese. Ciò che differisce è l’equilibrio tra
interesse del gruppo e delle singole partecipanti rispetto a quello tra interesse della
rete e quello delle singole partecipanti. L’interesse di rete non coincide con la somma
più o meno aritmetica degli interessi delle imprese partecipanti ma risulta
qualitativamente e quantitativamente diverso.
Un primo profilo riguarda il conflitto di interesse quando l’interesse della singola
società o impresa possa essere sacrificato in favore di quello della rete ed in questo
caso quali strumenti di compensazione debbano predisporsi. Su questo versante
alcune delle elaborazioni compiute in materia di gruppo possono applicarsi in via
analogica anche alle reti. Un sacrificio imposto illecitamente va compensato, un
sacrificio cui si ha il potere di consentire va indennizzato. Ovviamente la distinzione
tra sacrifici imposti e consentiti dipende in larga misura dalle procedure attraverso
cui si assumono le decisioni e dai diritti di partecipazione e di opposizione spettanti
ai singoli appartenenti e questi possono differire anche sensibilmente nel gruppo e
nella rete. Un secondo profilo riguarda l’incidenza dell’interesse di rete nei rapporti
bilaterali tra imprese, in particolare quelli contrattuali.
Attribuire rilevanza all’appartenenza della singola impresa alla rete significa, dunque
non solo rafforzare gli obblighi di cooperazione diretti ad assicurare la soddisfazione
dell’interesse collettivo di appartenenza ma anche potere incidere sulle relazioni
bilaterali, incorporando la tutela dell’interesse della rete. Dare rilevanza giuridica alla
(appartenenza alla) rete significa per esempio consentire che la scelta dei rimedi per
inadempimento possa essere esplicitamente influenzata anche da una valutazione
dell’interesse di rete coinvolto e dei costi che la rete stessa può subire anche quando
manchi una legittimazione attiva. In taluni casi l’adempimento coattivo può essere
preferibile al risarcimento del danno cagionato alla singola impresa per assicurare la
tutela dell’interesse di rete. In altri casi la valutazione della prevedibilità nel
risarcimento può essere associata alla appartenenza alla rete considerando
adeguatamente le interdipendenze.
Il conflitto dell’interesse collettivo di rete rispetto a quelli individuali nei contratti
plurilaterali, in cui il processo decisionale avviene a maggioranza, presenta tuttavia
caratteristiche solo in parte analoghe a quelle del gruppo gerarchico vista la diversa
allocazione del potere decisionale nelle due ipotesi. Anche in questo caso occorrerà
109
distinguere la tutela delle singole imprese e dei loro azionisti (soci) di maggioranza,
da quella dei creditori e degli azionisti (soci) di minoranza.
In conclusione: di esistenza di un interesse di rete diverso da quello delle singole
imprese deve parlarsi in tutte le ipotesi. Ciò che muta, a seconda della modalità
organizzativa (gruppo, rete gerarchica o paritaria) è la rilevanza dell’interesse stesso
ed il modo di disciplinare il conflitto tra interesse di rete ed interesse dei singoli
appartenenti alla stessa.
3.3 Alla ricerca delle differenze tra rete e gruppo di imprese
quali sistemi di coordinamento
1)
Potere di coordinamento e di direzione.
La differenza principale tra gruppo e rete può rinvenirsi nella circostanza che, mentre
nel gruppo il potere di direzione e coordinamento rimane, perlomeno in prevalenza,
affidato ad una singola impresa, salvo l’ipotesi di controllo congiunto, nella rete il
potere decisionale viene tendenzialmente condiviso, sebbene non sempre in misura
simmetrica tra le singole imprese234. Quando la distribuzione è simmetrica si ha rete
paritaria; quando è asimmetrica, si ha rete gerarchica. Nella rete, dunque, non vi è
un’impresa controllante ed una pluralità di imprese controllate ma un soggetto
collettivo, più o meno formalizzato, che gestisce una parte del potere direttivo, in
origine spettante alle singole imprese, secondo principi di corretta gestione,
trasparenza e imparzialità. Ciò che in particolare distingue il gruppo gerarchico dalla
rete paritaria è il fatto che, mentre nel primo vi è un (trasferimento del) potere
direzionale ad un’impresa controllante, nelle reti paritarie vi è condivisione di tale
potere, restando le singole imprese titolari dello stesso o delegandolo ad un soggetto
costituito ad hoc, che opera secondo regole «democratiche». Diversamente, nel caso
di rete gerarchica, il potere può essere asimmetricamente allocato tra le imprese
appartenenti alla rete ma non si traduce mai in controllo.235 Secondo questa
234
CAFAGGI F. (2004), (a cura di) Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per
diritto ed economia, il Mulino
235
Spesso, tuttavia il suo esercizio riguarda la funzione di collaborazione industriale e non viene
valutato sul piano delle implicazioni di governo. Ove queste fossero adeguatamente considerate
comunque, esse andrebbero distinte nei contenuti dal potere di direzione e coordinamento che
caratterizza il gruppo gerarchico. Questo non significa che la rete non possa presentare caratteristiche
110
prospettiva la distinzione gruppo- rete sarebbe anche declinabile in relazione alle
modalità di attribuzione del potere direttivo. Si potrebbe parlare di rete anche in
presenza di un trasferimento totale o comunque rilevante del potere decisionale,
quando esso non sia diretto a favore di un’impresa appartenente alla rete ma di un
terzo soggetto creato ad hoc e caratterizzato da obblighi di imparzialità nei confronti
dei deleganti, ancorché operante sulla base del principio di maggioranza e non su
quello di unanimità.
2)
Ambito del coordinamento tra imprese.
Un secondo profilo, riguardante la distinzione tra gruppo e rete, concerne l’ambito
del coordinamento tra imprese. Il gruppo, nella forma gerarchica, si caratterizza per
il fatto che il potere decisionale è trasferito pressoché totalmente ad altra impresa.
Perché possa parlarsi di gruppo, alla capogruppo devono essere attribuite almeno
tutte le funzioni strategiche. Sotto il profilo del modello produttivo si distingue tra
gruppi verticali ed orizzontali in relazione alla tipologia di integrazione industriale.
Non rientrano, dunque, nella forma del gruppo ipotesi in cui vengono coordinati o
accentrati singoli servizi di carattere amministrativo, finanziario o legati, ad esempio,
allo sviluppo ed alla ricerca ancorché possano essere considerati strategici. La
nozione di rete è invece compatibile con forme di coordinamento parziale o di scopo,
in cui le imprese conservano la propria autonomia decisionale rispetto alle funzioni
strategiche ed assumono vincoli o delegano potere decisionale solo con riguardo ad
alcune specifiche, ancorché strategiche, funzioni dell’impresa (finanziamento,
esportazione, commercializzazione, marchi, ecc.). Il coordinamento tra imprese
attraverso la rete può, dunque, avere carattere generale, attenendo, in tal caso, a tutti
gli aspetti dell’organizzazione imprenditoriale, ovvero riguardare alcuni profili
specifici, quali ad esempio il finanziamento, l’esportazione o l’innovazione. In questi
casi la formazione della rete può avere come obiettivo specifico quello di garantire
un accesso più agevole al credito, una riduzione del suo costo ovvero uno sviluppo
maggiore e più rapido dell’innovazione. L’ambito del coordinamento riguarda anche
gerarchiche ma esse non coincidono con quelle proprie della gerarchia derivante dal controllo
proprietario e neppure da quello contrattuale.
111
il modo in cui le diverse opzioni organizzative vengono impiegate. 236 La presenza di
reti gerarchiche sussiste nelle ipotesi in cui vi sia dipendenza economica piuttosto
che controllo contrattuale, in presenza del quale c’è gruppo. In questo caso vi è una
dipendenza di alcune imprese da altre presenti nella rete. Questa dipendenza
comporta una distribuzione asimmetrica del potere di direzione e coordinamento, che
può essere esplicitamente regolata ovvero essere il frutto di contratti bilaterali tra
loro collegati che prevedano la presenza di un’impresa leader e di imprese minori, a
seconda dei casi, in posizione più o meno strategica. La distinzione, specialmente
con riferimento alle ipotesi di costituzione contrattuale, risiede nella differenza tra
controllo contrattuale, che configura gruppo, e dipendenza economica che, ove
operante nel quadro di una pluralità di rapporti tra imprese dominanti e dipendenti,
disegna l’allocazione del potere decisionale nell’ambito di una rete.
3)
Differenziazione tra gruppi e reti concernente il rapporto tra forme di
coordinamento, assetti proprietari e modalità di relazione tra proprietà e controllo.
Un terzo profilo di differenziazione tra gruppi e reti concerne il rapporto tra forme di
coordinamento, assetti proprietari e modalità di relazione tra proprietà e controllo.
Nel gruppo vi è una forma di separazione verticale tra proprietà e controllo.
L’azionista di controllo della controllante esercita un controllo sulle società
appartenenti al gruppo la cui proprietà può spettare parzialmente o integralmente ad
altri. Nel caso di controllo interno la separazione è generalmente parziale, dal
momento che la controllata appartiene in parte a soggetti diversi dalla controllante,
mentre nel caso di controllo contrattuale la separazione è totale, dal momento che la
controllante non possiede alcuna partecipazione nella controllata. La controllante,
nell’ipotesi di vincoli contrattuali, non detiene infatti alcuna frazione della proprietà
della controllata ma è in grado di incidere sulle decisioni imprenditoriali di
quest’ultima in modo significativo in forza dei vincoli contrattuali. Nella rete le
forme di separazione tra proprietà e controllo sono diverse. Spesso, tale diversità si
manifesta nelle reti paritarie, dove non vi è separazione tra proprietà e controllo ma
236
Più specificatamente il coordinamento può riguardare una sola fase (la produzione, la distribuzione,
la commercializzazione, l’allocazione della conoscenza) ovvero una pluralità o l’insieme delle fasi
riconducibili all’attività di impresa.
112
piuttosto la proprietà delle risorse viene condivisa (consorzi). Mentre il gruppo
costituisce uno strumento di coordinamento gerarchico, finalizzato a garantire la
direzione ad una capogruppo in cui i limiti dell’esercizio del potere gerarchico
risiedono nell’esigenza di tutela degli azionisti di minoranza e dei creditori sociali,
nelle reti l’obiettivo è quello del coordinamento delle attività in cui la condivisione di
risorse è strumentale al perseguimento di uno scopo comune. La gerarchia, ove
sussistente nella forma di dipendenza, non è generalmente associata alla proprietà ma
all’esistenza di vincoli contrattuali che si riflettono sulla distribuzione del potere. La
diversa funzione del coordinamento incide sensibilmente sul modo in cui questo
viene organizzato e sulle modalità di tutela delle imprese partecipanti e dei creditori
sociali.
3.4 Il sistema di responsabilità della rete e nella rete. Analogie
e differenze con i gruppi
L’attività della rete di imprese e quelle svolte nella rete generano responsabilità a
carico di coloro che vi operano237. Partendo dalla distinzione tra responsabilità della
rete verso i terzi e responsabilità nella rete verso gli appartenenti alla stessa, si deve
subito sottolineare che la prima sussiste nell’ipotesi di rete formalizzata, in cui
dunque vi sia una soggettività giuridica chiara, ma anche quando questa emerga sul
piano fattuale.238 Le tre ipotesi considerate sono:
-
quella della rete informale
-
quella formale contrattuale, in cui non esiste un’organizzazione deputata alla
gestione della rete
-
quella formalizzata, dotata anche di un apparato organizzativo in cui esistono
amministratori vincolati anche sul piano della responsabilità.
Nel primo caso la responsabilità sarà delle singole imprese ma potrà incorporare
anche la lesione di interessi collettivi, ovvero, quando ne esistano le condizioni, si
237
CAFAGGI F. (2004), (a cura di) Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per
diritto ed economia, il Mulino
238
Nelle ipotesi di rete esistente sul piano informale ovvero costituita sulla base della pura adesione a
regole contrattuali comuni ma in assenza di un impianto organizzativo la responsabilità può emergere
sul piano fattuale in capo a soggetti qualificabili amministratori di fatto
113
potranno considerare gli amministratori delle singole imprese come amministratori di
fatto della rete e per questo essere chiamati responsabili.239
Nel secondo caso la responsabilità avrebbe di frequente i caratteri della solidarietà.
Nel terzo caso sarebbe caratterizzata dalla responsabilità dell’ente e degli
amministratori deputati alla gestione della rete sia verso i terzi che verso le imprese e
gli altri soggetti appartenenti.240
In materia di responsabilità alcune delle caratteristiche e delle distinzioni proprie del
regime dei gruppi possono essere applicate anche alle reti. La responsabilità nel
gruppo grava sulla controllante e, in talune ipotesi, sulla controllata, nei confronti dei
soci, in particolare quelli di minoranza e dei creditori sociali.
Simmetricamente a ciò che è stato di recente statuito in materia di gruppi (art. 2497
bis c.c.) può ritenersi che anche nel caso di rete vigono principi di trasparenza e di
pubblicità attribuendo al principio una valenza sistematica. La violazione di tali
principi condurrebbe a responsabilità sia verso gli appartenenti alla rete che verso i
creditori. Discorso in parte analogo a quello del gruppo riguarda ad esempio la
responsabilità della rete verso i terzi, in particolare i creditori. La tutela dei creditori
sociali nell’ipotesi del coordinamento gerarchico attraverso gruppo, consente di
esercitare l’azione di responsabilità ex art. 2497 c.c. I creditori possono dunque agire
non solo nei confronti del proprio contraente ma verso la capogruppo quando la
violazione dipenda dalla condotta di questa. In caso di rete formalizzata, dotata di un
proprio apparato organizzativo, i creditori potranno agire verso la singola impresa ma
anche verso l’organismo di governo della rete, le cui direttive hanno inciso
(negativamente) sulla capienza patrimoniale del debitore-rete. In caso di rete
formalizzata contrattualmente ma priva di un organo di governo vi potrà essere
responsabilità solidale dei contraenti quando risulti che l’inadempimento del debitore
sia in parte riconducibile all’influenza dei suoi partner contrattuali. Infine, quando vi
è una rete informale, i creditori avranno azione solo nei confronti del proprio
239
In questa ipotesi la responsabilità emergerà in punto di attività quando, ad esempio, le scelte
imprenditoriali compiute dalle singole imprese, ma aventi un’influenza a livello di rete ed incidenti
sulle singole imprese ad essa appartenenti, finiscano con il danneggiare i creditori sociali. In questo
contesto la dimensione fattuale riguarderà sia l’esistenza della rete che quella dei suoi amministratori
(amministratori di fatto della rete).
240
Anche in questo caso, quando l’influenza della rete ecceda i poteri formalmente ad essa attribuiti,
gli amministratori della rete potranno configurarsi come amministratori di fatto delle società ad esse
appartenenti ed essere ritenuti responsabili nel caso di illeciti compiuti a danno di imprese della rete
ovvero di terzi.
114
debitore, salvo ipotesi specifiche. Dunque sarà ridotta la loro possibilità di agire nei
confronti di altri soggetti appartenenti alla rete che abbiano pregiudicato l’integrità
patrimoniale del debitore.Il criterio della corretta gestione imprenditoriale della rete
costituirà punto di riferimento per accertare che le scelte compiute non abbiano
illegittimamente penalizzato alcune imprese a vantaggio di altre senza che le
opportune compensazioni abbiano avuto luogo o siano state effettivamente
programmate. Una differenza importante con il gruppo riguarda l’applicazione ai
sistemi di rete del principio di parità di trattamento e di imparzialità correlata,
ovviamente, al diverso grado di gerarchia presente nei due sistemi. Vi sono poi
differenze sensibili dipendenti dai modelli organizzativi di rete adottati. In
particolare, quella caratterizzata da interdipendenza economica dove la distribuzione
asimmetrica del potere di direzione e coordinamento può comportare alcune
differenze in materia di responsabilità.
3.5 Modelli di coordinamento inter-imprenditoriale: tra
contratti ed organizzazioni
L’organizzazione di un sistema di reti di imprese necessita ovviamente di flussi
informativi rilevanti, determinati anche dalla particolare natura dei principali nodi 241.
Dunque funzione centrale della rete è assicurare la circolazione delle informazioni e
ridurre i problemi derivanti dalle asimmetrie informative tra imprese ma anche tra
questi e terzi. A tale profilo va associato quello relativo alla necessità di definire
strumenti organizzativi che assicurino un quadro di stabilità di rapporti e dunque la
permanenza di relazioni fiduciarie.242
3.5.1 Modelli contrattuali di coordinamento tra imprese
I modelli contrattuali di coordinamento interimprenditoriale, nell’ambito dei quali
possono comprendersi gruppi e reti di imprese, sono molteplici e caratterizzati da
diverse relazioni tra i partecipanti e tra questi ultimi e la struttura di governo della
241
CAFAGGI F. (2004), (a cura di) Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per
diritto ed economia, il Mulino
242
La fiducia è ovviamente un elemento che caratterizza tutte le strutture di gruppo ma appare
particolarmente importante nel contesto di rete sia come presupposto della loro costituzione che come
oggetto di intervento per il loro consolidamento.
115
rete. È importante precisare che il coordinamento è compatibile sia con modelli
gerarchici che paritari. Una variabile rilevante per la loro classificazione è dunque
quella del livello di gerarchia, misurata dalla concentrazione del potere direttivo,
presente all’interno del gruppo o della rete. La gerarchia viene abitualmente correlata
(inversamente) all’autonomia della singola impresa. La misura della gerarchia e
quella inversa dell’autonomia possono essere definite sulla base del potere
decisionale che residua per l’impresa contraente, una volta avvenuto il trasferimento.
L’elemento gerarchico può venire declinato almeno intorno a tre variabili:
1) la formazione del contratto
2) le parti del contratto, in particolare la circostanza che il potere di direzione e
coordinamento ovvero di influenza sia attribuito ad uno o più imprese
componenti del gruppo o della rete stessa ovvero ad un soggetto esterno,
appositamente costituito
3) il contenuto del potere di coordinamento, ed ove esista di direzione, o quello
di influenza e le responsabilità ad esso associabili
Si possono distinguere tre tipologie di coordinamento in relazione alla variabile
gerarchica relativa all’allocazione del potere nelle relazioni interimprenditoriali,
correlandole rispettivamente:
1) al controllo
2) alla dipendenza
3) alla interdipendenza
Nel caso del controllo si ha gruppo, nel caso della dipendenza si ha rete gerarchica,
nel caso dell’interdipendenza con distribuzione simmetrica di potere contrattuale si
ha rete paritaria
Ipotesi di gruppo contrattuale
1) Controllo.
La costituzione contrattuale del gruppo può presupporre una volontà dei partecipanti
di formare il gruppo. Nel caso del controllo non definito ovviamente in senso
tecnico, si presentano, dunque due diverse tipologie di relazioni tra imprese. La
prima è quella del gruppo contrattuale, in cui il contratto definisce una relazione di
116
gerarchia che può anche riflettersi nelle modalità di relazione collaborativa esistenti
tra imprese appartenenti al gruppo. Qui la causa contrattuale è la costituzione del
gruppo. La seconda ipotesi è quella che, partendo da una relazione di collaborazione
industriale definita da un «vincolo contrattuale» (art. 2359, n. 3, c.c.), ne tragga le
conseguenze sul piano del governo, definendo l’esistenza di un gruppo ed un sistema
di responsabilità ad esso conseguente. Qui la costituzione del gruppo è piuttosto
l’effetto del contratto di collaborazione. In questo ambito sono dunque identificabili i
gruppi contrattuali in cui una o più imprese controllano in modo diretto o indiretto,
attraverso contratti, altre imprese. È questa la figura del gruppo gerarchico, definito
generalmente dalla presenza del controllo contrattuale. L’ipotesi di costituzione
contrattuale si realizza con la alienazione convenzionale del potere di direzione,
grazie a cui una o più imprese trasferiscono ad altra, tendenzialmente gli
amministratori di questa, il potere di assumere decisioni strategiche. Tale
trasferimento può prescindere, anche se di fatto questo di rado avviene, da una
partecipazione della cessionaria al capitale della cedente. In questo caso il contratto
regola un trasferimento di potere di direzione e/o la creazione di un potere di
coordinamento in presenza di una situazione di asimmetria preesistente. Il contratto
di coordinamento gerarchico nelle reti di piccole e medie imprese spesso non crea la
gerarchia ma ne regola una preesistente, associata a rapporti contrattuali che già
intercorrono tra le imprese. In talune ipotesi, tuttavia, esso modifica l’equilibrio
preesistente, non solo regolando ma anche creando una gerarchia, prima inesistente.
Quando ciò accade la differenza con la rete paritaria può risiedere nel fatto che, in
quest’ultimo caso, il soggetto, destinatario del potere di direzione e coordinamento, è
«terzo» rispetto alle imprese che costituiscono la rete, sebbene ovviamente queste
concorrano alla composizione degli organi di governo. Vi sono però ipotesi in cui si
afferma la possibilità di assegnare il potere ad una o più imprese che concorrono alla
costituzione del gruppo. In questi casi la differenza tra gruppo e rete non può
ricercarsi nella relazione asimmetrica tra le sue componenti, perché, altrimenti, si
rientrerebbe nell’ipotesi di gruppo gerarchico e verrebbe meno la pariteticità, che
invece connota il tipo, ma nella (diversa) natura dei poteri di direzione e
coordinamento rispetto al gruppo gerarchico.243 Detto altrimenti, mentre nel gruppo
243
Una particolare considerazione merita a tal proposito il gruppo cooperativo paritetico la cui
117
gerarchico il potere di direzione e coordinamento viene esercitato nell’interesse di un
gruppo, perlomeno in parte identificabile con quello di chi controlla la capogruppo,
nel caso del gruppo cooperativo paritetico l’assegnazione della funzione di direzione
e controllo ad una o più delle cooperative non presuppone che queste perseguano il
proprio interesse ma semplicemente che esse, esercitando tali funzioni, vengano
delegate a perseguire l’interesse complessivo del gruppo, rimanendo uno dei soggetti
che fanno parte della rete. In verità va considerata anche una diversa possibilità,
quella in cui il controllo venga attribuito ad una terza impresa, diversa dalle imprese
contraenti ma pur sempre interna alla rete. Il caso è relativamente semplice da
configurare nell’ipotesi del contratto avente ad oggetto la cessione del potere di
direzione dell’impresa, la cosiddetta alienazione convenzionale del governo. 244 Tra le
diverse ipotesi di sicuro interesse è quella in cui il controllo venga ceduto ad una
banca in forza di un piano di ristrutturazione. In effetti questo caso può configurare
sia una cessione diretta, in cui la banca sia parte del contratto, sia una cessione
mediata, in cui l’impresa da ristrutturare ed i suoi creditori concordino la cessione di
poteri di direzione alla banca, che rimane terza rispetto all’accordo. Diverso il caso,
in cui la causa del contratto non sia la cessione del governo di alcune imprese, totale
o parziale e, tuttavia, un trasferimento dei poteri di direzione sia implicitamente
derivabile dal contratto di collaborazione, sia esso di subfornitura, di franchising o di
trasferimento di licenza o da altre tipologie. Qui la costituzione del gruppo è
piuttosto l’effetto che si verifica specialmente quando tali contratti siano
accompagnati dalla stipulazione di patti, diretti a regolare gli effetti della
collaborazione industriale e finanziaria sul piano del governo dell’impresa, di
intensità maggiore di quelli strumentali richiamati dall’art. 2341 bis, ultimo comma.;
c.c. Si tratta del controllo associato all’esistenza dei vincoli contrattuali che dà luogo
alla costituzione di un gruppo. Tale ipotesi, in cui non esiste un contratto formale,
ricorre ad esempio nel caso di una pluralità di contratti di subfornitura con
monocommittenza e clausola di esclusiva. 245 In questo caso il committente può
disciplina è stata introdotta dall’art. 2545 c.c. La costituzione di tale gruppo può avvenire attraverso
un contratto che può essere anche di natura consortile con cui le cooperative costituiscono il gruppo ed
indicano la o le cooperative cui spetta la direzione ed il coordinamento ed i relativi poteri.
244
Ovviamente questo può accadere quando esso venga ceduto ad una controllata della controllante
245
Si può pensare a clausole negoziali che vincolino una delle imprese contraenti (quella appunto
controllata) al perseguimento di determinate strategie produttive e di mercato, all’adozione di
118
vincolare contrattualmente il fornitore ad una dipendenza unilaterale e assumere, di
fatto o sulla base di patti formalizzati, il potere decisionale riguardante tale impresa.
Tale configurazione comporta la costituzione di un gruppo in cui capogruppo, dotata
di potere di direzione e coordinamento, è la mono- committente e controllante sono
le imprese subfornitrici. In conclusione è possibile definire la diversa relazione tra il
profilo della collaborazione industriale e finanziaria e il profilo del governo delle
imprese. Nella prima ipotesi, quella del gruppo gerarchico costituito per contratto, la
fonte contrattuale del controllo definisce altresì le modalità di esercizio del potere e,
dunque, l’ambito in cui la funzione di direzione e di coordinamento e la associata
responsabilità
viene esercitata, nonché
i corrispondenti
obblighi
cui gli
amministratori delle controllate sono tenuti ad adempiere. Conviene ricordare che
nella struttura di gruppo, pur mutando la fonte, la catena di comando si serve
necessariamente dell’apporto delle controllate, cui residua, pur sempre, un margine
di discrezionalità anche in un quadro caratterizzato da un sistema gerarchico. Nella
seconda ipotesi, in cui vi è un contratto di collaborazione (subfornitura, franchising,
ecc.), sussiste controllo contrattuale ma la determinazione della catena di comando
non avviene attraverso il contratto costitutivo del gruppo, che non esiste, quanto
piuttosto e desumibile dalle clausole del contratto di collaborazione. In queste ipotesi
il potere della capogruppo e gli obblighi delle controllate vengono dedotte dai vincoli
contrattuali da cui si fa derivare l’esistenza del gruppo piuttosto che essere
contrattualmente pre-definite. Qui la causa contrattuale è la collaborazione
industriale e finanziaria in forma gerarchica, alla quale vengono correlate
conseguenze di governo delle imprese ed in particolare la distribuzione del potere di
determinati procedimenti di lavorazione o di determinati materiali con esclusione di altri; a clausole
che la obblighino a produrre o a vendere una determinata quantità (minima o massima) di beni, a usare
esclusivamente determinati marchi o determinate insegne; a localizzare in determinate regioni gli
stabilimenti di produzione e i negozi o gli uffici di vendita; a clausole che istituiscano vincoli e
controlli di un’impresa controllata quanto alla selezione e formazione del personale; a clausole che
subordinino la permanenza del rapporto contrattuale al mantenimento di una determinata compagine
sociale, ovvero di una determinata composizione dell’organo amministrativo della società controllata
o che condizionino il trasferimento a terzi delle azioni o quote di gradimento del partner contrattuale
in posizione dominante; a clausole che conferiscano a quest’ultimo il diritto di designare uno o più
membri dell’organo di gestione dell’altra impresa o che vincolino l’impresa in posizione di
dipendenza a non adottare determinate decisioni (ad esempio in materia di sviluppo, di investimenti)
se non con l’assenso preventivo dell’altra o sulla base delle indicazioni e delle istruzioni di
quest’ultima.
119
decisione e la responsabilità nei confronti dei soci di minoranza e dei creditori. La
costruzione del gruppo è l’effetto dei vincoli contrattuali assunti.
2) La dipendenza.
Vi sono poi contesti in cui i rapporti tra le imprese sono caratterizzate da dipendenza
economica ma questa non si traduce in controllo contrattuale in senso tecnico. 246
Occorre puntualizzare che la presenza di rapporti di subfornitura, sebbene costituisca
un indice di dipendenza nella rete, non rappresenta un elemento decisivo per inferire
l’esistenza della gerarchia. Sarà necessario, tra l’altro, valutare il rapporto tra
committenti e subfornitori, in particolare distinguendo tra subfornitura di capacità e
di specialità, e, con riferimento a questi ultimi, la misura in cui svolgono attività per
conto terzi o per proprio conto.247 Una rete caratterizzata da un numero limitato di
committenti, le cui imprese abbiano una dimensione rilevante, a fronte di una
pluralità di subfornitori che operino attraverso piccole o micro-imprese,
prevalentemente o esclusivamente per conto del committente, presenterà un livello di
gerarchia superiore a quello di reti in cui esistano molti committenti tra loro in
concorrenza, perlomeno limitata, o ancora quello in cui le imprese per alcuni prodotti
siano committenti e per altre fornitrici. Rilevanti a tal fine saranno le diverse
tipologie di filiera produttiva ed i rapporti tra i diversi nodi, in particolare se il
collegamento avvenga attraverso strumenti contrattuali o si combini anche con
strumenti di tipo societario ad esempio gruppi che non esauriscano la filiera.
Partendo dall’analisi delle modalità della collaborazione industriale e finanziaria, si
verificheranno le implicazioni di tipo organizzativo e l’allocazione del potere
decisionale tra le imprese dominanti e quelle dipendenti. Queste tipologie
differiscono da quelle in cui esiste controllo e possono distinguersi a seconda che: (1)
246
La distinzione tra controllo contrattuale e dipendenza economica non è sempre agevole e dipende
dai confini normativi di ciascuna categoria. Si ritiene che il controllo possa comprendere la
dipendenza economica mentre si afferma che questa non comporti controllo. Dunque nelle ipotesi di
controllo contrattuale si verserebbe in una fattispecie di dipendenza economica il cui abuso non
sarebbe controllato dalla disciplina dell’art. 9, l. 192/98, ma piuttosto dai rimedi tipicamente associati
ai comportamenti abusivi della controllante rispetto alla controllata.
247
Le ricerche svolte dalla Banca d’Italia definiscono alcuni parametri interessanti per la rilevazione
del grado di autonomia delle imprese subfornitrici rispetto alle committenti, rilevando l’esistenza di
una correlazione di proporzionalità diretta tra livello di autonomia e dimensione dell’impresa
subfornitrice. Si conferma inoltre un dato di significativa differenziazione territoriale tra distretti del
centro nord e del sud dove diminuisce il grado di autonomia del subfornitore. Ovviamente il dato
potrebbe essere diverso per imprese subfornitrici che forniscano conoscenza, nelle quali la dimensione
dell’impresa può essere un rilevatore non significativo dell’autonomia rispetto ad altri fattori, quali ad
esempio la titolarità diretta di brevetti.
120
la rete emerga implicitamente da una connessione funzionale di una pluralità di
contratti tra loro collegati o (2) sia formalizzata in un contratto plurilaterale. Nel
primo caso il coordinamento non avviene attraverso un contratto ma tramite
collegamento negoziale, nel secondo caso invece viene stipulato un contratto di
coordinamento. Questo può avere diversa natura. (2.1) Una prima ipotesi è quella del
contratto di coordinamento in cui, a differenza dell’influenza dominante, vi sarebbe
un’influenza notevole. (2.2) Una seconda ipotesi concerne invece reti in cui esiste un
rapporto tra un’impresa centrale leader ed una pluralità di imprese, ciascuna in
relazione contrattuale bilaterale con essa. Qui le implicazioni di governo o sono
implicite ovvero possono essere regolate attraverso patti tra le imprese, generalmente
inclusi nei contratti che istituiscono la relazione di collaborazione, ad esempio quelli
previsti dall’art. 2341 bis ultimo comma c.c. Le modalità di regolazione differiscono
in relazione al gruppo ed alla rete gerarchica. Mentre nel primo caso l’oggetto è
quello del governo del gruppo e la funzione di coordinamento imprenditoriale è
strumentale ad assicurare l’interesse del gruppo, conferendo poteri strategici alla
capogruppo, nel caso della rete gerarchica il profilo prevalente è quello della
funzione collaborativa e le implicazioni di governo vengono considerate solo di
conseguenza. La differenza tra gruppo contrattuale e rete contrattuale gerarchica
risiede nella diversa intensità delle funzioni di direzione e coordinamento, maggiori
nel caso di gruppo rispetto a quelli di rete. Dunque si può parlare di gruppi
contrattuali gerarchici quando vi sono rapporti di controllo che vedono la presenza di
uno o più controllanti (controllo solitario o congiunto) e di più controllate. Si è in
presenza di reti gerarchiche quando non vi è controllo contrattuale in senso tecnico
ma dipendenza economica di una o più imprese da altre imprese, potendosi avere
dominanza e dipendenza individuale o congiunta. Ovviamente vi sono limiti entro
cui il trasferimento del potere decisionale può avvenire e la gerarchia operare nella
struttura di gruppo ed in quella di rete gerarchica. Il tema, sviluppatosi intorno alla
legittimità dei cosiddetti contratti di dominio, è stato oggetto di progressiva
evoluzione. I due profili più rilevanti riguardano (a) i limiti derivanti dall’autonomia
privata, concernenti la cedibilità del potere direttivo dell’impresa a terzi, e (b) la
protezione degli interessi degli azionisti di minoranza e dei creditori delle imprese in
posizione di dipendenza. La cessione del potere direttivo nel gruppo contrattuale
121
comporta ovviamente una potenziale divaricazione tra potere decisionale,
concentrato nella capogruppo, ed allocazione del rischio di impresa, distribuito tra le
controllate. Tale divaricazione può indurre ed esternalizzare costi sulle controllate ed
in particolare su soci esterni e creditori. Anche nel caso di rete gerarchica si verifica
una potenziale divergenza tra potere decisionale e allocazione del rischio di impresa
che può condurre a distorsioni. In particolare l’impresa dominante può allocare parte
del rischio di impresa che la concerne sulle imprese in posizione di dipendenza
economica, generando un risultato inefficiente prima ancora che iniquo. Le tecniche
di controllo e prevenzione dell’abuso di dipendenza economica possono servire in
parte ad impedire la produzione di tale effetto. Tuttavia, una volta che questo si
verifica, manca una efficace disciplina di tutela dei creditori analoga funzionalmente
a quella di recente introdotta per il gruppo contrattuale.
3) Interdipendenza.
Si distinguono in questa categoria due fattispecie: (1) quelle in cui l’interdipendenza
è simmetrica e dunque le azioni di due o più imprese sono in relazione di reciproca
dipendenza e (2) quelle in cui, pur essendovi interdipendenza, e dunque reciprocità,
questa non è simmetrica. Il confine non è sempre agevole da tracciare. Per
comprendere si può fare riferimento alle diverse tipologie di subfornitura. Quella di
capacità configura generalmente un’ipotesi di dipendenza, quella di specialità di
interdipendenza, che, a seconda dei casi, può essere reciproca e caratterizzata da
abilità simmetrica ovvero asimmetrica, in cui solo una parte ovvero specialmente una
parte è in grado di comportarsi opportunisticamente. Qui il riferimento concernente
l’interdipendenza è sul piano della collaborazione finanziaria ed industriale, dunque
dell’attività. Nella fattispecie dell’interdipendenza reciproca simmetrica, vi sono
modelli contrattuali in cui la rete viene costituita attraverso un contratto con cui le
imprese attribuiscono la direzione ad una (nuova) entità, che può avere o meno
personalità giuridica. In quest’ambito le imprese contraenti si impegnano a rispettare
ed eseguire le decisioni assunte da tale organismo. È questa l’ipotesi della rete
paritaria, nella quale rientra la fattispecie del gruppo contrattuale paritetico. Una
caratteristica di queste reti è la frequente mancanza di una struttura organizzativa di
riferimento salva l’ipotesi del consorzio, spesso impiegato per il coordinamento di
singole fasi del ciclo produttivo. Tuttavia anche reti puramente contrattuali
122
impiegano strumenti di centralizzazione di funzioni o di coordinamento che
presuppongono l’impiego di mezzi organizzativi che vanno dai fondi patrimoniali
per la gestione di risorse comuni ai patti per la definizione di sistemi di
coordinamento leggero nel governo delle imprese. Tali patti, non sono riconducibili
alla categoria dei patti parasociali ma piuttosto alla categoria del <<sociale>>. Un
discorso specifico merita la possibilità di utilizzare patti e contratti, abbiano o meno
la forma dei patti parasociali opportunamente rivisitati, quali strumento di
coordinamento contrattuale nei sistemi di rete. L’esigenza si pone in molti casi: da
quello riguardante la regolazione di effetti di governo derivanti da controllo
contrattuale in cui le parti vogliono disciplinare alcuni profili del coordinamento tra
amministratori senza tuttavia una partecipazione diretta al capitale, alle ipotesi in cui,
pur non essendovi controllo, vi sia collegamento contrattuale, finalizzato ad una
collaborazione industriale e finanziaria, e ad esso vogliono affiancarsi modelli di
coordinamento leggero anche degli organi di governo. Occorre distinguere le ipotesi
in cui i patti accedano ad una forma organizzativa di coordinamento
interimprenditoriale che impiega il modello contrattuale e quelle in cui invece
accedano ad una forma organizzativa societaria. Con riferimento alla società- rete in
forma di s.p.a. ed in particolare alla società consortile può accadere che alcuni dei
soci, tra i quali ricorre una collaborazione industriale e finanziaria nell’ambito della
stessa compagine, vogliano «cementare» questa collaborazione anche con patti
relativi al governo delle imprese. In questa direzione potrebbero venire impiegati sia
i patti parasociali, possibili dal momento che intercorrono tra soci imprese
appartenenti alla stessa compagine societaria, sia i patti strumentali regolati dalla
riforma del diritto societario dal d.lgs. 6/03 per le s.p.a. all’art. 2341 bis ultimo
comma.; c.c. I patti di governo possono altresì regolare rapporti tra società facenti
parti di un gruppo che non sia stato contrattualmente costituito. Andrebbe pertanto
considerata l’ipotesi di contratto di coordinamento del governo come strumento
attraverso cui soci di imprese diverse, tra le quali esistono forme di collaborazione
industriale e finanziaria, concordino prevalentemente con efficacia obbligatoria,
l’esercizio di poteri loro spettanti in modo da realizzare il coordinamento
interimprenditoriale anche sul piano della governante. Tale contratto può avere
dimensione bilaterale o plurilaterale. Le parti dei contratti di collaborazione possono
123
peraltro non coincidere, almeno integralmente, con quelle del contratto che definisce
il coordinamento di governo. Questo è particolarmente vero in contesti in cui la
cooperazione industriale potrebbe richiedere contratti di breve periodo legati ad
esigenze produttive particolari ed a continui adattamenti mentre la collaborazione di
governo potrebbe avere orizzonti di più lunga durata, prescindendo dalla possibilità
che in ogni momento vi siano rapporti di cooperazione. Ai contratti di coordinamento
del governo si aggiungono le ipotesi di coordinamento contrattuale con finalità
regolativa. Si tratta delle ipotesi in cui la governante dell’impresa può rimanere
affidata a ciascuna entità e lo strumento contrattuale viene impiegato per definire
regole comuni che le imprese si impegnano a rispettare, per esempio concernenti
rapporti con terzi esterni alla rete compatibilmente con le regole relative alla
concorrenza ovvero regole concernenti la qualità dei prodotti legati alla reputazione
della rete perché associati ad un marchio collettivo. Sono queste le reti contrattuali
regolative. Anche in questo caso ovviamente si può distinguere a seconda che la
rilevanza di questi impegni sia solamente interna e dunque l’efficacia del contratto
puramente obbligatoria ovvero vi sia una rilevanza reale tale per cui gli obblighi
assunti valgano anche nei confronti di terzi che entrano in contatto con la rete. È
evidente poi che vi possano essere codici di autoregolazione diretti a disciplinare i
rapporti tra le imprese componenti la rete indipendentemente dalla presenza di
relazioni con terzi.
3.5.2 Modelli organizzativi di coordinamento tra imprese
I modelli di coordinamento tra imprese che impiegano strumenti organizzativi
possono impiegare moduli gerarchici, paritari o intermedi. Ciò che caratterizza questi
moduli è:
-
la presenza di una struttura organizzativa cui può corrispondere un livello
differenziato, generalmente maggiore, di conferimenti di risorse strumentali
all’attività di coordinamento rispetto a ciò che si osserva nei modelli
contrattuali
-
la presenza di una stabile funzione di governo.
In taluni casi si tratta di reti a scopo di puro coordinamento e la funzione dell’ente
costituito per la gestione della rete è puramente regolativa, mancando sia forme di
124
cooperazione industriale sia riflessi sul piano della integrazione di governo.
Tipicamente si tratta delle ipotesi di tutela di un marchio e più in generale di
certificazione di qualità diretta a creare reputazione collettiva per prodotti creati
autonomamente da ciascuna impresa ma commercializzati collettivamente. Qui
l’elemento differenziante non è dato dal livello di risorse conferite ma dalle diverse
modalità attraverso cui la regolazione si realizza quando viene impiegato un modello
organizzativo che presuppone la costituzione di un ente, in particolare quello della
società consortile.248 In altri casi il coordinamento si associa allo svolgimento in
comune di una o più attività, dando luogo a forme di integrazione industriale più
intense, che operano sul piano della collaborazione industriale e finanziaria. In altri
casi ancora l’integrazione opera sia sul piano industriale che su quello di governo e
necessita di una dimensione regolativa.
Questi modelli organizzativi sono caratterizzati dal fatto che soci sono imprese la cui
attività economica viene coordinata. Lo svolgimento delle attività di impresa rimane
perlopiù affidato alle singole società o ad aggregazioni delle stesse mentre viene
«accentrato» il coordinamento industriale o, più spesso, quello dei servizi alle
imprese, realizzando in tal modo economie di scala. Dunque, l’elemento specifico di
queste tipologie societarie è dato dal fatto che l’oggetto sociale consiste nel
coordinamento interimprenditoriale. Nella realtà spesso accade che l’accentramento
dei servizi avvenga con la costituzione di reti di scopo costituite da società o consorzi
la cui entità si riflette su quella della rete di impresa e dei nodi che ad essa
partecipano. L’impiego del modello societario per la gestione della struttura di rete
deve confrontarsi con problemi specifici di governance, legati al rapporto tra soci
delle singole società partecipanti alla rete, i loro amministratori, i soci-imprese della
società che gestisce la rete ed i suoi amministratori. Gli interessi da contemperare
sono molteplici dal momento che, pur trattandosi di piccole e medie imprese, non è
sempre possibile considerare queste come entità al loro interno omogenee, spostando
in tal modo il problema del conflitto tra proprietà e managment, tipico del modello
principale-agente, solo al rapporto tra imprese e dunque al secondo livello, quello di
rete. Quando questo è possibile i problemi di agenzia sono spostati di livello ed i
singoli nodi sono configurabili come entità essenzialmente unitarie. In tal modo
248
I consorzi per l’esportazione sono particolarmente diffusi nell’esperienza distrettuale
125
«principali» sono i soci-imprese ed «agenti» gli amministratori della società che
gestisce la rete. Le piccole e soprattutto le medie imprese non sono tuttavia sempre
entità omogenee, anche al loro interno sussistono conflitti di interesse che possono
rilevare per la definizione del governo della rete e della selezione del modello
organizzativo ottimale. In questo caso vi sarebbe una relazione principale-agente tra i
soci di minoranza della singola impresa e gli amministratori della stessa; l’interesse
sociale sarebbe in tal modo rappresentabile solo dando voce, anche nella rete, a
minoranza e maggioranza. Il problema del monitoraggio del socio di minoranza
riguarderebbe non solo la propria compagine ma anche quella della rete in cui la
società partecipa.
Ovviamente la differenziazione dei modelli s.p.a. ed s.r.l.,
introdotta dalla riforma, ha significativamente modificato le relazioni di agenzia con
l’adozione di un modello manageriale nel primo caso seppure con caratteristiche
diverse a seconda dei sistemi di controllo e contrattuale nel secondo. La circostanza
che spesso le società di gestione di reti di imprese possano rappresentare al loro
interno diversi interessi, quelli delle imprese, dei creditori ma anche dei consumatori
od interessi legati al territorio, pone interrogativi rilevanti sui diversi modelli di
governo adottabili alla luce della riforma. In particolare, con riferimento alla s.p.a., si
può pensare all’opportunità di impiegare il modello dualistico, affidando al consiglio
di sorveglianza la funzione di camera di compensazione dei diversi interessi e di
progettazione strategica della rete ed al consiglio di gestione il compito di eseguire le
attività. Meno adottato parrebbe in questo caso il modello monistico che presuppone
un livello più elevato di omogeneità. Una variabile significativa per la selezione della
forma organizzativa concerne la lucratività o l’assenza dello scopo di lucro del
soggetto che governa la rete. I vantaggi derivanti dall’adozione delle forme non
lucrative sono associabili all’obiettivo di ridurre il rischio di comportamenti abusivi
dell’ente di governo verso le singole imprese partecipanti alla rete. La non lucratività
viene percepita come presidio organizzativo più coerente con i principi di parità di
trattamento e di partecipazione. Ovviamente l’attuale regime degli enti senza scopo
di lucro non assicura sistemi di trasparenza e pubblicità analoghi a quelli delle forme
lucrative, a fortiori, dopo la riforma, presentando alcuni svantaggi. Una seconda e
non meno importante ragione dell’impiego delle forme non lucrative dipende
dall’accesso ai fondi pubblici. Quando costituzione o consolidamento della rete
126
dipendono dal finanziamento pubblico dovrebbe essere inammissibile che i
beneficiari dei sussidi possano appropriarsi degli stessi e l’adozione di forme non
lucrative protegge, perlomeno parzialmente, la tutela dell’interesse pubblico che ha
giustificato l’erogazione del contributo. Questo accade per le società consortili ex art.
17, l. 317/91 ma anche per i confidi disciplinati dall’art. 13, d.l. 269/03, convertito in
legge con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. Non sempre tuttavia
alla concessione di sussidi pubblici viene associata l’imposizione dell’adozione di
una forma non lucrativa. Ovviamente le singole imprese partecipanti, che hanno
beneficiato della partecipazione dell’ente finanziato con risorse pubbliche, possono
appropriarsi individualmente dei vantaggi derivanti dalla partecipazione e distribuire
ai propri soci gli utili conseguiti come impresa. Una terza ipotesi in cui l’adozione di
forme non lucrative appare particolarmente indicata è quella della costituzione della
rete con funzione regolativa. Tra le forme non lucrative per la gestione di reti di
imprese meno diffuso è l’uso della forma associativa, anche per i costi di governo
che essa comporta, se non, nei casi di coordinamento limitati alla funzione
regolamentare. Così assumono generalmente la forma associativa le strutture che
perseguono l’obiettivo di adottare ed implementare codici di autoregolazione.
Tuttavia non è infrequente l’impiego della forma associativa per il coordinamento di
patti distrettuali e di patti per lo sviluppo che vedano la partecipazione di reti di
imprese.
3.6 Il contratto come strumento di governo delle reti: alcune
fattispecie rilevanti
Ci sono due fattispecie contrattuali emergenti nell’area delle reti di imprese249:
1) il contratto di subfornitura
2) il contratto per allocazione dei diritti di proprietà intellettuale o altri diritti
connessi all’organizzazione della conoscenza
Con questo non si intende affatto escludere la rilevanza di altre fattispecie: dai
contratti con funzione regolativa (come quelli in cui si adottano codici di condotta o
formulari contrattuali) a contratti con funzione cooperativa (come alleanze
249
CAFAGGI F. (2004), (a cura di) Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per
diritto ed economia, il Mulino
127
strategiche, partenariati) o ancora contratti diretti a regolare la fase distributiva (dalla
concessione di vendita al franchising)
3.6.1 Reti di imprese e contratto di subfornitura
La trasformazione dei modelli economici ed aziendali ha portato ad un progressivo
aumento del decentramento produttivo e dei rapporti di subfornitura in particolare. Il
fenomeno è molto diffuso nell’ambito dei distretti industriali italiani, sebbene si
metta correttamente in luce una diversa intensità e rilevanza dello stesso a seconda
delle aree, al punto che in alcune situazioni il crescente ricorso alla subfornitura ha
determinato il nascere di nuove imprese; in altri il rafforzamento di esse è stato
possibile solo con la rottura di tali rapporti.
In taluni casi lo sviluppo della subfornitura ha rappresentato una risposta alle
esigenze della specializzazione,250nonché dei nuovi schemi della produzione
flessibile, in risposta a una domanda sempre più differenziata e variabile.251 In altri,
alla ricerca di capacità produttive specializzate da parte di imprese tendenzialmente
grandi ed accreditate sul mercato è corrisposto l’interesse di piccole e medie imprese,
per lo più distrettuali, a rendersi subfornitrici al fine di beneficiare dei marchi dei
committenti e delle loro capacità di design e marketing, in parte beneficiando del
sovrapprezzo per lo più imposto al consumatore per l’acquisto di beni di lusso o di
marca.252 Un ulteriore impulso al decentramento produttivo è inoltre impresso dalle
recenti politiche di internazionalizzazione intraprese, a diverso livello e con diversi
esiti, dalle imprese italiane, sia grandi che piccole e medie. Si tratta tuttavia di una
tendenza non facilmente generalizzabile, posto che in alcuni casi proprio la difficoltà
di controllare una manodopera scarsamente specializzata ha suggerito opposte
strategie di verticalizzazione. Del resto, fenomeni di acquisizione di partecipazioni al
capitale dei propri fornitori emergono anche al di fuori di politiche di
internazionalizzazione per ragioni analoghe di riduzione dei costi di monitoraggio.
Quanto alle ragioni che hanno favorito la diffusione della subfornitura, si richiamano
la diminuzione dei costi di trasporto o di coordinamento, nonché l’attivazione di
250
Così, ad esempio, con riferimento al distretto della sedia di Manzano o con riguardo ai distretti
pugliesi e lucani.
251
Così, ad esempio, con riguardo al distretto orafo di Arezzo o a quello dell’occhialeria nel bellunese
o della calzatura sportiva nel trevigiano.
252
Così, ad esempio, con riguardo al distretto calzaturiero del Brenta.
128
dinamiche di apprendimento tali per cui il ripetersi nel tempo di certi rapporti
aumenta la convenienza a una loro conservazione e maggiore diffusione. Lo sviluppo
delle nuove tecnologie ha determinato (e sta determinando) effetti contrastanti: per
un verso tende a ridurre il numero delle fasi produttive e dunque ad accorciare la
filiera; per l’altro favorisce la creazione di meccanismi di coordinamento anche tra
diverse reti di subfornitura che si intersecano all’interno del distretto. È utile
osservare come una recente ricerca distingua espressamente tra rapporti di
subfornitura e rapporti in cui il semilavorato o il prodotto siano realizzati «in
autonomia» da parte del fornitore (in assenza dunque di specifiche direttive del
committente in merito alle caratteristiche tecniche del prodotto o semilavorato).
L’aspetto interessante riguarda l’incidenza dei c.d. «commesse standard» vale a dire
quelle eseguite in autonomia dal fornitore, che assai meno rilevanti nei distretti
meridionali, acquistano un rilievo significativo nel Nord. Altro dato rilevante
riguarda i livelli di dipendenza dell’impresa subfornitrice da quella committente,
verificati sulla base della quota di fatturato del subfornitore riconducibile al rapporto
con il committente.253 L’integrazione di questo scenario con quello emergente da
altre ricerche conferma la coesistenza di assetti contrattuali caratterizzati da un
diverso livello di cooperazione tra subfornitore e committente e da una diversa
combinazione tra subfornitura di capacità e di specializzazione. Si tratta di indagini
svolte sia a livello nazionale254 che a livello regionale o locale.
Un’alternativa alla clausola di fornitura esclusiva è quella che prevede obblighi di
comunicazione inerenti all’instaurazione di rapporti concorrenti da parte del
subfornitore e al personale comunque disponibile per il committente. L’esperienza
registrata in alcune imprese, è quella di una riduzione dei rischi negli investimenti
253
Se si ha riguardo al committente principale, tale quota arriva al 34,9% (e al 52,6% per le imprese
meridionali); la medesima quota raggiunge il 53,2% se si fa riferimento ai primi tre clienti (il 71,7%
per le imprese meridionali) e il 78,5% se si ha riguardo ai clienti abituali (l’83,1% per le imprese
meridionali)
254
Una ricerca compiuta a livello nazionale dall’AASTER di Milano e del Laboratorio Network di
Venezia su venti distretti italiani mette in luce la presenza di tre distinti modelli di subfornitura: un
modello definito di «gerarchizzazione sostitutiva», proprio del 26% delle imprese fornitrici esaminate,
caratterizzato da un’evidente dipendenza del fornitore dal committente; un modello di subfornitura
interessato da imprese fornitrici molto dinamiche, proiettate con performance eccellenti su mercati
nazionali ed esteri e in grado di agire come leader all’interno della rete (si tratta del 18% dei casi); e
un terzo modello di tipo intermedio (corrispondente al resto dell’universo osservato), in cui sono i
committenti, già inseriti in un contesto economico più dinamico a indirizzare i fornitori verso processi
di formazione e ricambio imprenditoriale.
129
tecnologici, ma al tempo stesso di un aumento dei costi organizzativi nel
coordinamento e l’adeguamento alle diverse relazioni contrattuali. Sicuramente
degna di nota è l’esperienza di quelle reti in cui imprese leader sono state capaci di
differenziare e combinare relazioni altamente strategiche, nell’ambito delle quali è
maturata una stretta collaborazione tra committente e fornitori, e relazioni non
strategiche, prevalentemente dirette ad attribuire flessibilità e capacità competitiva
alla rete. Particolare rilievo al ruolo dei «subfornitori strategici» è dato altresì da
recenti rilevazioni compiute in tema di strategie di internazionalizzazione di imprese
distrettuali.255 L’impatto associato alle politiche di internazionalizzazione delle
piccole e medie imprese dei distretti industriali risponde a logiche differenti.
Frequente è la rilevazione secondo la quale, forte l’obiettivo di abbattere i costi della
manodopera, quando rivolta ai mercati esteri, l’esternalizzazione corrisponde a
rapporti di fornitura standard e non specializzata, laddove le relazioni collocate sul
territorio distrettuale o comunque nazionale sarebbero caratterizzate da una o più
spiccata specializzazione tecnica. Di fronte a uno scenario così diversificato sotto il
profilo dei livelli di interdipendenza e integrazione tra le imprese, il legislatore
appare combattuto tra l’esigenza di fare ordine nella definizione delle fattispecie
contrattuali, e quella di garantire livelli di protezione delle imprese e degli
investimenti da queste compiute in relazioni tipicamente esposte a rischi di
opportunismo. Di qui una definizione del contratto che fa leva sulla specificità della
fornitura rispetto al processo produttivo del committente, i cui progetti esecutivi,
conoscenze tecniche, modelli o prototipi, in quanto riferimento di direttrici
vincolante per il fornitore, determinano quella dipendenza tecnologica che, per molti,
finisce per caratterizzare il contratto di subfornitura, ponendo in primo piano
l’esigenza di salvaguardare gli investimenti specifici dell’impresa.
Coordinamento. Sul piano strutturale i modelli di coordinamento cui ci si riferisce
nell’area della subfornitura sono molteplici. In molti casi si tratta di situazioni in cui
un’impresa committente intrattiene una pluralità di rapporti con una serie di imprese
fornitrici che, a diverso titolo, contribuiscono a realizzare singole fasi del processo
255
Dall’analisi promossa da Formez e svolta dall’Osservatorio Tedis su 182 imprese presenti in 20
distretti italiani emerge che i parametri di selezione dei fornitori strategici sono, in ordine decrescente:
la qualità dell’output, i tempi di consegna, la disponibilità alla collaborazione la flessibilità, la
credibilità e affidabilità, il prezzo e, per ultimi, ma sempre con valori molto alti: il livello tecnologico,
la solidità finanziaria, la capacità di innovazione.
130
produttivo o, più in generale, a fornire beni e servizi a favore dell’impresa
committente la quale dunque assume una posizione di «centralità» nell’ambito di una
rete strutturata a raggiera. Diversamente da quanto si può osservare in altri contesti
(il franchising, ad esempio), i diversi «raggi» della rete corrispondono, almeno
tendenzialmente, a rapporti funzionalmente differenziati e non omogenei.
Un’evoluzione di questo modello è quella in cui il committente intrattiene un unico
rapporto con il primo fornitore, il quale invece assume la posizione mediana tra il
committente stesso e la serie di fornitori a lui legati da un rapporto di (sub-)
committenza. Ancora diversa è la situazione in cui i rapporti tra primo committente e
fornitori si susseguono lungo una filiera di rapporti, in cui ciascuna impresa demanda
all’esterno (una parte del)la produzione di cui è stata incaricata dal precedente
committente.
La funzione di coordinamento svolta dal contratto può riguardare almeno due profili:
quello della selezione del fornitore e quello della determinazione del contenuto
contrattuale riferibile alle diverse relazioni di subfornitura. Sotto il primo profilo la
funzione di coordinamento è molto importante in quanto favorisce la creazione di
economie di scala legate al controllo congiunto dell’informazione in ordine alle
caratteristiche della domanda e dell’offerta nell’ambito della rete. Nei modelli a
raggiera tali economie sono per lo più generate dalla centralità del committente; così
come in quelli misti dal ruolo del primo fornitore. In queste circostanze un aspetto
significativo è la capacità del contratto di riuscire ad abbinare le specifiche
competenze di chi assolve questo compito (perché maggiormente informato, perche
negozialmente più forte) e il rischio associato all’esito della relazione contrattuale
così instaurato, ove tale rischio dipenda dalla scelta iniziale.
Nei modelli a filiera o comunque là dove l’intersecarsi delle relazioni non consente
di identificare un punto focale in maniera così definita, la circolazione delle
informazioni tra le imprese e sulle imprese diventa fondamentale, lasciando
emergere un importante confronto tra dinamiche cooperative e dinamiche
competitive. La logica della rete emerge chiaramente là dove, anche avvalendosi
delle nuove tecnologie e del supporto informatico, si costituiscono una sorta di
«borse» telematiche o portali che consentono di coordinare domanda ed offerta di
131
prodotti e di servizi.256 Le due forme di coordinamento (quello tramite impresa focale
e quello tramite borse telematiche) si differenziano fortemente: la prima, più adatta a
contesti imprenditoriali circoscritti, anche se non necessariamente di modeste
dimensioni sul piano economico, lascia emergere una potenzialità strategica
dell’impresa focale; potenzialità che, nel secondo modello più adatto a contesti
relativamente più disgregati e a più alta competizione interna, rimane assegnata allo
stato diffuso alle singole imprese.
Ulteriore riflessione richiede il tema del coordinamento con riguardo alla
determinazione del contenuto del contratto e alla possibilità che, proprio in virtù del
collegamento funzionale, le parti negozino sulla base di formulari che presentano le
medesime clausole. Questo genere di vicende sono molto comuni quando si ha a che
fare con un’impresa committente che contratta direttamente con i molteplici fornitori,
ma non sono affatto escluse nella diversa ipotesi in cui i rapporti si susseguano a
filiera di impresa in impresa. Non solo le imprese possono imitare formulari altrui
per risparmiare costi amministrativi ma possono trovare conveniente (o necessario)
farlo per via di condizionamenti subiti dalla preesistente relazione. Ciò che interessa
sottolineare come anche a livello legislativo, stia emergendo un’esigenza di
coordinamento negoziale nell’ambito delle reti di subfornitura che riguardi
specificamente il profilo dell’innovazione, della formazione e dell’integrazione
produttiva. Così come occorre prestare attenzione al ruolo dell’autoregolamentazione
quale strumento destinato ad integrarsi con il contratto al fine di realizzare tale
coordinamento. L’autonomia negoziale può realizzare modi di coordinamento assai
più sofisticati, in cui la standardizzazione del contratto all’interno della rete è adatta
alla particolare natura della relazione. Da questo punto di vista l’uso di condizioni
generali di contratto, nella duplice variante del contratto unitario stipulato secondo il
modulo predisposto o nel contratto quadro cui seguano gli ordini di acquisto con le
specifiche della fornitura, ha una funzione connotativa della rete che non sempre
riesce a mettere in luce le strategie sottostanti, proprio perché i meccanismi
meramente imitativi tra imprese anche se non appartenenti alla stessa rete o allo
stesso distretto prevalgono sull’attitudine ad elaborare il contratto in ragione di quelle
256
Si consideri, ad esempio, il caso della «Borsa materie prime e filati» istituita dall’Unione
Industriale Pratese per l’inserimento e la consultazione di annunci finalizzati alla compravendita di
materie prime e filati.
132
strategie. L’esperienza di alcuni distretti rivela che in certi casi sono le stesse
imprese, spinte dalla concorrenza interna o esterna al distretto a vedere nel
coordinamento di alcune clausole contrattuali (ad esempio i sistemi tariffari) una
strategia di crescita tesa ad incentivare gli investimenti delle imprese fornitrici nella
prospettiva di un maggior profitto, nel lungo periodo, anche per le imprese
committenti. Nel tempo questi accordi paritetici diventano veri e propri gentlemen’s
agreements, volti a definire norme di comportamento, criteri di correttezza diretti a
garantire una maggiore collaborazione interaziendale nell’ambito del distretto. Al di
là di chi in concreto è deputato a gestire la funzione di coordinamento, la costruzione
di una modellistica contrattuale di rete, può diventare uno strumento di definizione
delle strategie e di gestione delle interdipendenze, che, a partire dalla creazione di un
linguaggio comune, può senz’altro promuovere la crescita della rete e delle imprese
che vi operano.
Cooperazione. Prendendo spunto da alcuni passaggi importanti della legge sulla
subfornitura, sembra utile esaminare l’assetto cooperativo avendo riguardo ai
seguenti profili:
1) il controllo sulla qualità del servizio o prodotto fornito secondo le prescrizioni
contrattuali e le regole dell’arte (art. 5, l. 192/98)
2) l’abuso di dipendenza economica nel rapporto tra le imprese (art. 9)
3) l’allocazione dei poteri di controllo sulle conoscenze tecniche impiegate nella
relazione (art. 7)
1.
Nella prospettiva della rete di imprese il tema del controllo della fornitura può essere
correlato al profilo della standardizzazione delle caratteristiche tecniche delle
prestazioni o delle regole di comportamento che presiedono alla loro esecuzione,
quali criteri che in qualche modo rappresentino un codice comune applicabile
all’intera trama dei rapporti della rete. L’esistenza di regole condivise e l’attivazione
di sistemi di misurazione della performance può facilitare infatti l’accentramento di
possibili violazioni e probabilmente ridurre i livelli di litigiosità. Il benchmarking
diventa allora uno degli strumenti del controllo interno alla rete improntati ad una
logica cooperativa e costruttiva piuttosto che sanzionatoria. Più che alla
133
responsabilità, il controllo è associato alla co- progettazione, ad una interazione tra
committente e fornitori fondata sul learning by doing together e sul learning by
monitoring, dove il monitoraggio si risolve in una attitudine ad una continua e
sistematica verifica dell’efficacia dei processi produttivi, quali essi risultano dallo
sforzo congiunto dei diversi partners. L’esigenza di una cooperazione rivolta all’uso
congiunto delle competenze del committente e del fornitore è tanto più rilevante
quanto più le conoscenze risultano disperse e complementari. Non è a caso che al
fianco di moduli strutturati di formazione si accompagnino forme di supporto e
insegnamento in loco, secondo formule che prevedono la presenza di squadre di
professionisti inviate dall’impresa committente presso quella fornitrice. Mentre
alcune clausole saranno dunque comunque contenute nel contratto (quelle
concernenti prezzi e costi, ad esempio), altre potranno essere più semplicemente
sottointese (quella relativa al trattamento confidenziale delle informazioni, ad
esempio): si tratta spesso di clausole, la cui assenza non impedisce alle parti di
contestare la violazione di obblighi negli scenari più problematici, ma la cui presenza
può generare malcontento negli stadi fisiologici del rapporto. Il vantaggio del
contratto «essenziale» è anche legato alla capacità selettiva che questo ha di
concentrare l’attenzione su aspetti davvero centrali del rapporto, divenendo così uno
strumento di comunicazione reale tra le parti.
2.
Un secondo aspetto rilevante è quello dell’abuso di dipendenza economica nel
rapporto tra le imprese. Un primo interrogativo riguarda la possibilità di collegare la
dipendenza economica a cui fa riferimento l’art. 9 a quella interdipendenza che
riguarda la nozione di rete. L’artt. 9 definisce la prima come la situazione in cui
un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra
impresa, un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi; essa è valutata tenendo conto
anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul
mercato alternative soddisfacenti. La dipendenza economica sarebbe dunque la
risultante della combinazione tra il potere di una parte di determinare uno squilibrio
nella relazione e la condizione dell’altra di non trovare vie di uscita sufficientemente
appetibili da costituire una valida «controminaccia» nei confronti del primo
contraente. Lungi dall’essere nozioni coincidenti, interdipendenza e dipendenza
134
economica sono certamente correlate. In particolare la condizione di interdipendenza
sussiste tra due imprese, tale per cui talune scelte per così dire «critiche» compiute
dall’una finiscono per interferire con quelle dell’altra in virtù della combinazione e
dell’integrazione instauratasi tra alcune tra alcune delle rispettive risorse, rende in
qualche modo «unico» il rapporto così costituito e più difficile il proficuo impiego
delle medesime risorse in rapporti alternativi. In questi termini l’art. 9 inquadra una
forma di interdipendenza di tipo asimmetrico e di particolare intensità, in quanto
connessa a concreti spazi di abuso dell’una parte ai danni dell’altra, la quale appare
priva di reali opzioni sostitutive. Da questo punto di vista è importante guardare al
reale equilibrio del rapporto, distinguendo rapporti di monocommittenza da rapporti
di pluricommittenza e dando il giusto rilievo all’eventuale presenza di clausole di
esclusiva o di clausole di salvaguardia delle parti in caso di violazioni o
sopravvenienze.
3.
Ultimo profilo è quello concernente l’uso delle informazioni riservate connesse alla
produzione di conoscenza e innovazione. La legge, per un verso, considera invalidi
gli accordi con i quali il fornitore dispone, a favore del committente e senza congruo
corrispettivo, di diritti di privativa industriale o intellettuale e, dall’altra,
riconoscendo al committente la proprietà industriale del progetto e delle prescrizioni
di carattere tecnico comunicate al fornitore, vincola quest’ultimo alla riservatezza.
Nel contesto della rete di imprese norme di questo tipo rivestono un’importanza
fondamentale ma si espongono anche a qualche difficoltà interpretativa. Quanto alla
prima norma, sembra che il legislatore ragioni nella consueta prospettiva
dell’asimmetria negoziale tra fornitore e committente e, con l’intento di prevenire un
fallimento del mercato, renda dunque relativamente inalienabili certi diritti. Quanto
al profilo della riservatezza, intesa quale vincolo del fornitore rispetto alle
informazioni ricevute in merito alle conoscenze tecniche del committente, si tratta di
un profilo senza dubbio rilevante. Rilevante soprattutto in ipotesi in cui il fornitore
intrattenga rapporti con più committenti (in concorrenza tra loro), ma anche in
situazioni nelle quali costui persegua strategie di diversificazione orizzontale, vale a
dire decida di operare in settori diversi applicando analoghe tecnologie. In termini
più generali nel contesto delle reti di imprese sembra emergere l’esigenza di allocare
135
i diritti sulla conoscenza secondo un approccio di tipo relazionale, in cui assumano
rilievo tanto l’apporto delle diverse parti al processo di produzione dell’innovazione,
quanto il tipo di relazioni che queste possono instaurare all’esterno.
Stabilità e flessibilità. Quanto alla dimensione temporale del rapporto la disciplina
della subfornitura non fissa una durata minima, mentre stabilisce la nullità del patto
che attribuisca ad una delle parti la facoltà di recesso senza congruo preavviso. È da
sottolineare che la norma si applica ai soli rapporti ad esecuzione continua o
periodica, ragion per cui, per tutti gli altri (inclusi quelli ad esecuzione differita), vale
la regola generale, secondo la quale il recesso unilaterale è ammesso se la relativa
facoltà è attribuita dal contratto e tale facoltà può essere esercitata solo se il contratto
non abbia avuto inizio di esecuzione, restando tuttavia salvo il patto contrario. Nulla
si dice in merito alle conseguenze del recesso. Il recesso è dunque uno strumento
che, in certe condizioni, può attribuire al rapporto la giusta flessibilità, consentendo
agli attori operanti nella rete di porre fine a rapporti poco funzionali al perseguimento
di certe strategie e alimentando quei meccanismi competitivi che anche nell’ambito
della rete trovano spazio. D’altra parte occorre controllare il rischio di
comportamenti opportunistici di chi recede, mediante l’applicazione dell’art. 9. Con
riferimento al contenuto del contratto, il rapporto tra stabilità e flessibilità è costruito
intorno alla centralità di talune clausole: quelle concernenti i requisiti specifici del
prodotto o servizio, anche con riferimento alle caratteristiche tecniche; le clausole sul
prezzo; le clausole sui termini e le modalità di consegna; collaudo e pagamento: è
questo il contenuto minimo del contratto ai sensi dell’art. 2, co. 5. Più
specificatamente, si richiede che il prezzo dei beni o servizi sia determinato o
determinabile in modo chiaro e preciso, tale da non ingenerare incertezze
nell’interpretazione dell’entità delle reciproche prestazioni e nell’esecuzione del
contratto (co. 4). E ancora: è nullo il patto tra subfornitore e committente che riservi
ad uno di essi la facoltà di modificare unilateralmente una o più clausole del
contratto di subfornitura. Si ammettono solo accordi contrattuali che consentano al
committente di precisare, con preavviso ed entro certi limiti contrattualmente
prefissati, la quantità da produrre e i tempi di esecuzione della fornitura (art. 6, co.
1). Esiste dunque un core del contratto corrispondente a quello che può essere
136
considerato come il contenuto rigido dell’accordo (che non può mancare al momento
della stipulazione e che non può essere modificato unilateralmente in via successiva).
Tutte le altre clausole possono essere determinate o meno al momento della
stipulazione (in particolare alcune possono essere solo determinabili, ma «precisate»
successivamente anche in via unilaterale) e poi integrate o modificate con il consenso
di entrambe le parti. Di una vera e propria modificazione unilaterale del contenuto
del contratto sembra potersi parlare solo nell’ipotesi di cui all’art. 3, co. 5, dove si
stabilisce che un’iniziativa del committente, diretta alla richiesta di modifiche e
varianti, che comportino incrementi di costi di qualsiasi livello, determina un
adeguamento del prezzo a carico del committente stesso, anche se ciò non è stato
espressamente previsto dal contratto.
3.6.2 Il contratto per l’allocazione dei diritti di proprietà
intellettuale
o
altri
diritti
connessi
all’organizzazione
della
conoscenza
In questa area si intende includere tutti gli accordi mediante i quali le imprese
operanti nella rete regolano l’esercizio di poteri di controllo sulla conoscenza,
rendendone possibile l’impiego nell’ambito del processo produttivo. Si tratta di
contratti di cessione o licenza di brevetti, di costituzione o trasferimento di diritti
personali o reali di godimento su tali diritti, di cessione o licenza di know-how, ecc.
È evidente come il diverso contesto e il diverso tipo di conoscenza presa in
considerazione incidono moltissimo sulle caratteristiche del contratto. Così, ad
esempio, avendo riguardo a licenze di marchi aventi ad oggetto prodotti di
abbigliamento e calzaturieri, si mette in luce la posizione di subalternità del licensee
rispetto al licensor, la cui facoltà di mancato rinnovo della relazione espone in
concreto a un grande rischio il licensee. Ove la licenza ha ad oggetto
prevalentemente o anche profili difficilmente standardizzabili, gli equilibri sono
molto diversi e si creano interdipendenze molto più forti.
Quanto più l’oggetto del contratto è scarsamente definibile, tanto più il contratto è
incompleto e per le parti sarà difficilmente controllare adeguatamente l’adozione di
comportamenti opportunistici. La relativa «debolezza» del diritto di proprietà
intellettuale, misurata per lo più sulla capacità di definirne l’oggetto e controllare
137
l’uso della conoscenza così veicolata, incide anche sulla scelta dei partner
contrattuali e sull’esigenza di impostare la relazione in termini di relazione
fiduciaria, così come sulla propensione delle parti a concludere contratti che hanno
ad oggetto invenzioni future.
Dalla natura della «risorsa» scambiata deriva dunque la necessità di concepire
modelli diversi di organizzazione della conoscenza che, a seconda del tipo di
copertura offerto dallo schema dei diritti di proprietà intellettuale, si estendono dal
mero trasferimento di tali diritti alla costituzione di relazioni più complesse a più
elevato livello di interdipendenza e cooperazione tra le parti.
Sotto questo profilo un recente studio distingue cinque categorie di contratti:
-
Transactional technology licensing agreements (TLAS), meri trasferimenti di
diritti, cui non si aggiunge lo scambio di risorse ulteriori;
-
One-shot complete transfer, diretti al trasferimento del diritto d’uso di un
brevetto per tutta la sua durata in cambio di un pagamento una tantum;
-
Relational commercial TLAS, accordi di breve periodo con cui un’impresa
conferisce ad un’altra il diritto di sviluppare una propria tecnologia mediante
l’uso di un brevetto; per lo più in un’area geografica determinata, a fronte del
pagamento di royalties;
-
Development TLAS, accordi diretti a trasferire ad un’impresa il diritto di
impiegare una certa tecnologia al fine di svilupparne le potenzialità e di
dividere poi con l’impresa cedente i profitti conseguiti secondo criteri
predefiniti dal contratto;
-
Relational TLAS, contratti di lungo periodo che governano lo scambio di
risorse molteplici (servizi di consulenza, prototipi e forniture, dati
commerciali, formazione, assistenza in azienda) insieme all’uso dei brevetti.
Di fronte ad una simile trama di rapporti sembra potersi osservare un incremento dei
livelli di interdipendenza tra le imprese contraenti. Un’interdipendenza, questa, che
può essere associata:
a) alla possibilità di definirne la conoscenza quale risorsa quale risorsa oggetto
di diritti in sé trasferibili e negoziabili
b) alla criticità della risorsa tecnologica rispetto al processo produttivo
138
c) al livello di complementarità di tale risorsa rispetto ad altre presenti presso
diverse imprese
Si sottolinea che risorsa complementare può essere anche quella finanziaria:
specialmente in aree in cui lo sviluppo di processi innovativi richiede ingenti capitali
iniziali e impone elevati livelli di rischio economico.
Secondo una recente ricostruzione, in questa prospettiva acquisterebbero particolare
rilievo anche la struttura del mercato e la circostanza che le parti siano concorrenti
oppure svolgano attività complementari. Nel primo caso gli accordi sarebbero
principalmente diretti a trasferire diritti definiti, opererebbero in un contesto di
maggiore standardizzazione e si avvarrebbero della maggior presenza di istituzioni
esterne alla relazione volte a semplificare la circolazione dei diritti e la loro
negoziazione: i contratti sarebbero dunque più transactional che relational.
Viceversa, nel secondo caso, vi sarebbe più spazio per accordi di tipo cooperativo,
caratterizzati da una minore completezza iniziale, da più elevati costi di negoziazione
e da un minor ruolo delle istituzioni esterne.
Un ulteriore elemento di riflessione deriva dalla distinzione tra contratti che
trasferiscono il controllo sulla conoscenza, privandone totalmente l’originario titolare
(cessione) e contratti che attribuiscono diritti d’uso soggetti a limitazioni, i quali
coesistono con la permanenza di un certo controllo da parte del titolare (licenze).
Parte della dottrina giuridica classifica i primi come contratti ad esecuzione
istantanea, destinati ad esaurirsi nel semplice trasferimento del know how. Al di là
del profilo della durata della relazione, la licenza si caratterizza per una superiore
esigenza di coordinamento tra le parti, il cui uso della conoscenza, seppure secondo
modalità diverse, produrrà una forte interferenza tra le rispettive attività, incidendo
ovviamente sulla definizione di assetti concorrenziali di un certo tipo.
Coordinamento. Sul piano strutturale ci si aspetta che, in contesti in cui la
conoscenza sia fortemente dispersa e i livelli di complementarità siano molto elevati,
le imprese cerchino un alto livello di coordinamento.
Secondo questa impostazione ne deriverebbero:
-
reti a raggiera, in cui un’impresa centrale svolge la funzione di
coordinamento intrattenendo rapporti bilaterali con tutte le altre imprese
139
-
accordi plurilaterali, in cui più imprese aderiscono ad un programma
comune, assumendo specifici obblighi, eventualmente diversificati in ragione
della natura delle competenze di ciascuno.
Cooperazione. Il livello di interdipendenza incide fortemente sull’esigenza di
realizzare all’interno della relazione assetti cooperativi più o meno importanti. Con
riguardo alle licenze di brevetto e di know how alcuni strumenti acquistano in tal
senso particolare rilievo:
-
i sistemi di pagamento: sotto il profilo considerato, il frequente impiego di
royalties (che il licensee paga al licensor in misura corrispondente agli utili
derivanti dall’uso del brevetto tende a realizzare una sorta di ripartizione del
rischio connesso all’impiego della nuova tecnologia in circostanze in cui il
suo valore economico è ex ante difficilmente stimabile; specifico strumento
di tutela per il cedente è dato dalla fissazione di un tetto minimo di
produttività, per la quale il licenziatario si obbliga a pagare una somma
prestabilita
-
la gratuità dell’accordo: l’assenza di corrispettivo può essere un segnale
importante nella prospettiva della costituzione di un rapporto di tipo
fiduciario, fondato su un impegno per questo più credibile del licensor.
-
limiti convenzionali all’uso della conoscenza in ragione dall’area geografica
di applicazione del know-how: anche regole di questo tipo sono concepite
come dirette a facilitare l’esercizio di poteri di controllo da parte del licensor,
per lo più nella prospettiva di ridurre il rischio di un uso pregiudizievole per
quest’ultimo sotto il profilo della concorrenza
-
clausole dirette ad assicurare al licensor diritti inerenti agli sviluppi ulteriori
derivanti dall’uso del brevetto da parte del licensee
-
il cross licensing agreement: è un contratto mediante il quale due o più
imprese si scambiano reciprocamente diritti di uso su brevetti, senza dunque
associarvi alcuna forma di pagamento: l’efficienza di accordi di questo tipo è
associata in particolare alla possibilità reciproca di accedere alle rispettive
invenzioni, così da eliminare il bisogno di incorrere in costi cumulativi di
ricerca e pratiche di reverse engineering.
-
140
CAPITOLO QUARTO
IL CONTRATTO DI RETE
4.1 Reti, distretti e politiche industriali
Le reti di imprese differiscono sensibilmente dai distretti ed altre forme di
aggregazione. Esse prescindono dalla territorialità e non sono dirette a realizzare
economie di agglomerazione ma piuttosto di complementarità. Si inquadrano in
sistemi organizzativi che operano anche in ambiti diversi da quello economico, ad
esempio le reti sociali, rispetto a cui sono stati compiuti tentativi di inquadramento di
carattere generale. Le reti differiscono dai distretti anche tenendo conto delle diverse
accezioni che oggi questa figura riflette nella legislazione nazionale ed in quella
regionale. I distretti produttivi sono stati disciplinati da una legislazione nazionale a
partire dal 1991 (l. 317/1991, modificata nel 1999) e da una ricca e variegata
legislazione regionale, il cui fondamento è stato rafforzato dalle attribuzioni di
competenza legislativa con al riforma del titolo V della Costituzione del 2001 257. Di
recente a partire dal 2005, paralleli interventi legislativi sono stati compiuti in
materia di distretti produttivi, suscitando non pochi dubbi e perplessità. Non solo sul
piano della equiparazione tra distretti e reti, fortunatamente non accolta, ma anche su
quello della «entificazione» o «soggettivizzazione» del distretto258. Questa è in
sostanza intervenuta non solo sul piano fiscale ma anche su quello amministrativo,
attribuendo al distretto produttivo la facoltà di negoziare con la pubblica
amministrazione. Ai distretti vengono altresì attribuite funzioni «para-pubbliche» di
accertamento e certificazione. È stata introdotta la figura del distretto funzionale
accanto a quella, già esistente, del distretto territoriale. Tale legislazione colloca i
distretti nell’ambito delle organizzazioni intermedie, stimolandone una forte
«politicizzazione». Una legislazione in apparenza diretta a favorire lo sviluppo del
sistema distrettuale rischia di avere l’effetto opposto: ingessare i distretti facendone
corpi separati della pubblica amministrazione per lo sviluppo locale. Gli strumenti
257
Corte Cost., 11 maggio 2007, n. 165
Alla equiparazione si era pervenuti con l’art. 6-bis (distretti produttivi e reti di imprese) del d.l.
112/2008 convertito nella legge 133/2008. La norma è stata poi abrogata dall’art. 1, co. 2 della l.
99/2009.
258
141
per lo sviluppo locale sono altri: i distretti sono l’obiettivo non lo strumento delle
politiche di sviluppo locale. Le reti hanno caratteristiche diverse dai distretti e dai
sistemi produttivi locali. Esse riguardano sia le grandi che le piccole imprese,
prescindono dalla territorialità, configurando forme di aggregazione puramente
funzionali. È opportuno dunque ribadire la distinzione tra reti e distretti e la necessità
di differenziarne la disciplina, conservando alla reti un profilo civilistico ed al
contratto di rete una posizione rilevante nell’ambito dei contratti di impresa.
4.1.1
Reti di imprese, interdipendenze e complementarità
Le reti di imprese costituiscono un modello organizzativo di crescita, complementare
a quello del gruppo. In ambito neo-istituzionale vengono qualificate come ibridi che
si collocano tra mercati e gerarchie. Si inquadrano nel più generale fenomeno delle
unioni o aggregazioni di imprese, autorevolmente studiato sin dall’inizio del secolo
scorso. Sul piano giuridico esse, a differenza del gruppo, conservano la piena
autonomia ed indipendenza delle imprese partecipanti ed ammettono forme
gerarchiche solo relative al potere contrattuale, non al controllo proprietario. In
ragione della diversa distribuzione di tale potere sono state distinte in reti paritarie e
gerarchiche, traendone implicazioni sul piano della disciplina concernente l’abuso di
dipendenza economica e, più in generale, della governance. La funzione delle reti
risiede principalmente nel dar luogo a forme di collaborazione concernenti attività
complementari che si svolgono in una singola fase ovvero comprendono più fasi
della filiera produttiva. La rete si costituisce quando le relazioni di mercato si
rivelano inadeguate ad organizzare le complementarità e l’impresa verticalmente
integrata richiede costi eccessivi e riduce la flessibilità. La complementarità sussiste
quando diverse imprese conferiscono beni, servizi e competenze diverse e necessarie
alla definizione di un nuovo processo produttivo ovvero alla produzione di un nuovo
bene o servizio, che assicuri competitività. Un ruolo determinante è giocato dalla
natura delle risorse conferite (inputs) e da quelle che la rete intende produrre. Le reti
tra imprese si costituiscono per produrre beni o sevizi che le imprese singolarmente
non sarebbero in grado di fare, o che farebbero a costi maggiori e con risultati meno
efficaci. Questo comporta che la selezione dei partecipanti alla rete sia fondamentale
e la governance richiede sistemi di controllo sull’ingresso e sull’uscita. Le reti
142
consentono la realizzazione sia di economie di scala che di economie di scopo a
seconda della loro composizione e dei loro obiettivi. Il perseguimento di economie
non è tuttavia l’unico obiettivo e, talvolta, neppure il principale. Le reti si
costituiscono quando vi è interdipendenza tra le attività economiche e queste
generano esternalità non «catturabili» attraverso la definizione di diritti di proprietà
scambiabili. L’interdipendenza ricorre quando vi siano elevati investimenti specifici,
dunque non reimpiegabili nell’ambito di rapporti contrattuali con terzi. Tali
investimenti possono riguardare processi produttivi, tecnologie di processo o di
prodotto, ovvero operare nel campo della distribuzione con l’associazione tra marchi,
prodotti e territori. Dando luogo a collaborazione fondata sulla complementarità,
l’interdipendenza aumenta i costi di uscita dalla relazione così riducendo i rischi di
comportamento opportunistico. L’impiego di un marchio collettivo o di strumenti
analoghi costituisce talvolta lo strumento per ridurre l’opportunismo ed aumentare
gli incentivi alla collaborazione. La funzione delle reti di imprese quale strumento
organizzativo della complementarità tra diverse attività economiche ha avuto
riconoscimento recente in Italia da parte della giurisprudenza della Suprema Corte 259.
L’interdipendenza differisce dalla dipendenza economica che è correlata al potere
contrattuale e alla posizione dell’impresa contraente sul proprio mercato. Essa può
essere associata ad una dipendenza reciproca ovvero ad una dipendenza economica
unilaterale. I due fenomeni vanno pertanto distinti: l’elevato livello di
interdipendenza può, in taluni casi, aumentare la dipendenza ed in altri casi ridurla a
seconda del livello di (a)simmetria degli investimenti specifici. La dipendenza
aumenta quando i livelli di investimenti specifici di una parte sono molto elevati
rispetto alla controparte, diminuisce quando entrambe le parti compiono un livello
elevato di investimenti specifici, configurandosi un monopolio bilaterale che riduce
la probabilità di hold-up260. Sia nel caso di contratti bilaterali collegati che in quello
di contratti plurilaterali la caratteristica principale è data dalla multilateralità
dell’interdipendenza.
259
Cass., 21 gennaio 2009, n. 1465
Con il termine hold-up in economia ci si riferisce ad una situazione nella quale due parti stiano per
effettuare una transazione che richieda investimenti specifici da una parte o dall’altra. Il problema
dell’hold-up si verifica nel momento in cui una delle due parti rischia di perdere l’investimento
effettuato per quella specifica transazione per colpa di un comportamento opportunistico dell’altra
parte in seguito alla transazione.
260
143
4.1.2
Reti contrattuali e contratto di rete: le ragioni e l’ambito di un intervento
legislativo
Le modalità di formazione di reti contrattuali si suddividono in due grandi categorie:
quelle costituite tramite contratti plurilaterali e quelle costituite attraverso contratti
bilaterali o plurilaterali collegati. Nel primo caso si ha un contratto di rete tra
imprese, nel secondo caso una rete di contratti. Sotto il profilo funzionale le
differenze sono notevoli sia sul versante della stabilità che su quello delle modalità di
coordinamento. Il consorzio, l’ATI, le joint ventures, il GEIE, rappresentano solo
alcuni dei modelli di cooperazione imprenditoriale attraverso contratti. Ovviamente
molti dei contratti di distribuzione si presentano come contratti di rete. Il compito
dell’intervento legislativo è principalmente quello di fornire un quadro di
riferimento, in questo caso composto da norme dispositive e dunque derogabili, che
predisponga il modello contrattuale e consenta di colmare le lacune lasciate
inavvertitamente o intenzionalmente dalle parti. In assenza di intervento legislativo
tale funzione spetta al giudice a complemento del controllo di meritevolezza.
Tuttavia affidare il compito di «gap filling» al giudice significa imporre dei costi
molto elevati, aumentando l’incertezza almeno sino a quando la regola
giurisprudenziale non si sia consolidata. Un modello di creazione di nuovi tipi
contrattuali affidato esclusivamente all’autoregolazione può pertanto risultare
estremamente costoso ed articolato, mentre un intervento legislativo consente alle
parti di diversificare i modelli sulla base delle esigenze concrete ma anche del tipo di
relazione che desiderano stabilire, in particolare del livello di investimenti specifici
che risulta necessario. Vi sono altre ragioni che possono condurre ad un intervento
legislativo in una materia come quella dei contratti di impresa. La legislazione,
avvalendosi prevalentemente di norme dispositive, ha il compito di disegnare
contratti che incentivino la cooperazione in contesti in cui il rischio di
comportamento opportunistico è elevato261. Tale cooperazione è diretta non solo a
261
Di recente si è proceduto ad analizzare comparativamente gli incentivi delle parti e quelli del
legislatore a disegnare contratti che favoriscano la cooperazione riducendo l’opportunismo,
pervenendo alla conclusione che il legislatore, definendo norme dispositive derogabili dalle parti,
possa raggiungere risultati superiori a quelli delle parti.
144
massimizzare il risultato economico della rete ma anche ad evitare spillover262
negativi sui terzi e sul territorio, quando le reti operino in sistemi territoriali. Spesso
le parti possono non avere abilità o incentivi sufficienti a disegnare modelli
contrattuali che incentivino la cooperazione e dunque sottoproducono il bene
pubblico (modello contrattuale). L’obiettivo di un intervento legislativo dovrebbe
essere quello di definire un quadro di riferimento, non di aggiungere ai tipi esistenti
un nuovo tipo contrattuale263. La norma introdotta con la l. 33/2009, costituisce
dunque solo un tassello di un disegno necessariamente più ampio concernente il
quadro giuridico delle reti di impresa. Un intervento legislativo integrativo, di più
ampio respiro, dovrebbe concernere le reti societarie e quelle contrattuali, rivedendo
la distinzione tra contratti di scambio e contratti associativi. Inoltre sarebbe
importante distinguere il contratto di rete da quello di gruppo, dando al gruppo
contrattuale una disciplina compiuta. Infine una disciplina ad hoc dovrebbe essere
dettata per l’abuso di dipendenza economica nella rete, valutando le modalità di
applicazione della disciplina in materia di subfornitura. L’intervento dovrebbe
interessare anche reti traseuropee, proponendo una disciplina di diritto internazionale
privato che consenta la formazione di reti tra imprese collocate o svolgenti la
principale attività in diversi Stati membri.
262
Il termine spillover sta ad indicare la situazione nella quale un ente sostiene delle spese per
realizzare dei progetti a beneficio della popolazione di un determinato ambito territoriale i cui effetti
positivi si riversano anche sulle popolazioni dei territori limitrofi. Ne è un esempio la messa in opera
di un programma di tutela ambientale, i cui effetti si dispiegano anche alle aree circostanti, senza che
queste ne abbiano sopportato i costi. In un’accezione strettamente comunitaria, il termine spillover è
stato ampiamente utilizzato negli anni ’50 con riferimento ai benefici che il processo di integrazione
settoriale esplicava anche su questi settori economici che non erano direttamente coinvolti in tale
processo. Lo spillover, che avrebbe portato alla completa integrazione dei settori economici, si
fondava su due concetti strettamente correlati:
- L’aspetto funzionale, che si basa sull’idea che l’economia moderna era formata di settori
correlati tra loro: l’integrazione di due di essi avrebbe comportato anche l’integrazione degli
altri settori inizialmente esclusi;
- L’aspetto politico, secondo il quale la creazione di istituzioni comunitarie volte a regolare
anche uno solo dei settori economici sarebbe stata considerata dai gruppi di interesse
economico come fonte di ulteriori vantaggi, e ciò avrebbe comportato una ulteriore spinta
all’integrazione settoriale.
263
Un tentativo innovativo è stato compiuto con l’Avant Projet francese Catala che propone
l’introduzione della nozione di contratti interdipendenti con ricadute sia sul piano del regime delle
invalidità che su quello delle interdipendenze.
145
4.1.3
Il contratto transtipico di rete
Con l’articolo 3, co. 4-ter, del d.l. 5/2009, convertito con l. 33/2009 è stata introdotta
la disciplina del contratto di rete. Questa è stata anticipata da disegni di legge
governativi o proposte parlamentari, segnando un percorso contrastato che riflette le
diverse filosofie concernenti le reti di imprese. Con il d.d.l. Bersani nella precedente
legislatura era stata definita una disciplina con legge delega che dava una definizione
di rete di impresa e ne individuava i caratteri distintivi nella stabilità e nel
coordinamento disegnando un ambito comprensivo delle reti transnazionali e di
quelle miste composte da imprese for profit e da imprese sociali264. Tale disciplina
veniva reintrodotta nella presente legislatura all’interno del disegno di legge
sviluppo265. Tale norma veniva poi espunta in ragione della disciplina introdotta con
il d.l. 5/2009266. Infine l’introduzione e l’approvazione dell’art. 3, co. 4-ter del d.l.
5/09, convertito in l. 33/2009267. Successivamente all’applicazione dell’art. 3, co. 4ter erano stati proposti emendamenti nel d.d.l. 1195 definitivamente approvato il 31
luglio 2009 con la legge, n. 99/2009 268. Questo percorso si è intrecciato a più riprese
con quello concernente la disciplina dei distretti269. L’intervento non riguarda la
materia delle reti di imprese, e neppure quella delle reti contrattuali ma si limita al
contratto di rete. Si tratta di una disciplina scarna la cui interpretazione non è
semplice. Un articolato fortemente incompleto che lascia all’autonomia privata,
individuale e collettiva, ed ai tipi contrattuali esistenti il compito di colmare le
lacune. La norma determina il contenuto minimo obbligatorio del contratto di rete
imponendo di indicare:
a) la denominazione delle imprese che partecipano al contratto;
264
D.d.l. Camera 2272-bis – Misure per il cittadino consumatore e per agevolare le attività produttive
e commerciali, nonché interventi in settori di rilevanza nazionale, all’art. 20-bis (Delega al Governo in
materia di configurazione giuridica delle reti di impresa).
265
D.d.l. Camera 1441 – Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività,
la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, presentato il 2 luglio 2008,
all’art. 3 (distretti produttivi e reti di imprese).
266
D.d.l. 1441-ter
267
D.d.l. Camera 1195 – Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività,
la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, approvato il 14 maggio 2009
268
Art. 1, l. 99/2009 – Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in
materia di energia.
269
Art. 3 del d.l. 5/2009 convertito in l. 33/2009 che ha integrato il comma 368 dell’art. 1 l. n.
266/2005.
146
b) la definizione degli obiettivi strategici perseguiti e delle attività poste alla
base dell’attività comune;
c) l’individuazione di un programma di rete in cui siano indicati diritti e
obblighi di ciascuna impresa, tra cui gli obblighi di conferimento, e le
modalità di realizzazione dello scopo comune;
d) l’istituzione di un fondo patrimoniale comune (da destinare al perseguimento
dello scopo comune) ovvero la costituzione di patrimoni separati;
e) l’organo comune dotato di poteri gestori e di rappresentanza;
f) la durata, le modalità di adesione e le ipotesi di recesso.
L’assenza di una struttura corporativa ed il riferimento all’organo comune con
funzione esecutiva del programma di rete, il riferimento al fondo comune,
sembrerebbero indicare la natura contrattuale piuttosto che associativa del contratto
di rete. La normativa sul contratto di rete si presta ad un’interpretazione ampia, in
grado di riferirsi ad una pluralità di funzioni, configurando un contratto transtipico, la
cui disciplina sia dunque applicabile ad oggetti tra loro assai diversi e suscettibile di
un’articolazione causale concreta assai diversificata. Il contratto di rete è dunque un
contratto transtipico la cui funzione è fornire una disciplina da impiegarsi per lo
svolgimento di una o più fasi della filiera ovvero compiti più specifici quali quello
dello svolgimento di attività di ricerca e sviluppo, organizzazione del gruppo
d’acquisto o di gruppi di vendita, gestione in comune della logistica. Si andrebbe
dunque dal puro coordinamento di attività, svolte indipendentemente da ciascuna
impresa, alla collaborazione concernente una fase od un progetto, allo svolgimento in
comune di un’attività economica.
4.1.4
Le caratteristiche del contratto di rete
Sul piano causale si fa riferimento all’esercizio in comune di attività economica
diretta ad accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato
(art. 3, co. 4-ter). Il contratto di rete consente l’esercizio in comune di attività non
solo strumentali, ma aventi una importanza strategica per le imprese partecipanti,
permettendo un’alternativa all’impiego del modello societario270. La connessione con
270
Che l’esercizio in comune di attività non sia sufficiente a configurare un contratto di società è
opinione risalente. È necessario che dall’attività in comune derivi un utile comune ossia un utile che
cada in comunione e venga in seguito diviso tra i soci secondo una misura prevalentemente stabilita;
147
l’attività delle imprese partecipanti alla rete deve sussistere ma non deve essere
relegata ad una posizione di secondo piano, fermo restando la necessità che le
imprese rimangano giuridicamente indipendenti. L’esercizio in comune dell’attività
riguarda la fase di attuazione del contratto e le modalità vengono determinate sia in
sede di programmazione che attuazione da parte dell’organo comune. Si tratta di una
causa di collaborazione, nell’ambito della quale è possibile svolgere una o più attività
in comune271. Il termine va inteso, diversamente da quello impiegato nell’ambito del
contratto di società, riferendosi all’assunzione di un rischio imprenditoriale comune
associato a livelli di interdipendenza tra le attività delle singole imprese partecipanti
al contratto di rete. Il rischio, pur essendo collettivo, grava sulle singole imprese che
partecipano al contratto di rete. Il contratto di rete offre, sul piano causale, diverse
possibili combinazioni:
1) dal puro coordinamento di attività indipendenti svolte dalle singole imprese
partecipanti;
2) forme di collaborazione caratterizzate dallo svolgimento di attività
strumentali svolte direttamente dalla rete aventi ad oggetto la prestazione di
servizi alle imprese partecipanti
3) forme di attività in cui la relazione con le attività delle singole imprese può
essere meno stringente perché la rete svolge attività complementari a quelle
delle imprese partecipanti272. Dunque dal coordinamento, alla strumentalità
ed accessorietà fino alla complementarità273.
nei consorzi invece il vantaggio che si risente dall’attività consorziale, in forma di eliminazione della
concorrenza, è direttamente goduto dalle imprese consorziate in misura dipendente dalle condizioni
del mercato e dalle possibilità dell’azienda.
271
Ad esempio «con il contratto plurilaterale di rete più imprese collaborano stabilmente per
coordinare o svolgere in comune alcune attività economiche».
272
La prima ipotesi può riguardare il coordinamento di processi di controllo di qualità dei beni lungo
la filiera, la definizione entro i limiti della disciplina della concorrenza, del sistema dei prezzi e delle
clausole concernenti la responsabilità; la seconda va dai gruppi di acquisto e vendita dei beni
nell’interesse comune, alla gestione di logistica, dal magazzino fino alla condivisione di piattaforme
telematiche comuni, fino allo svolgimento di attività di promozione di beni o di marchi. La terza
ipotesi concerne ad esempio la partecipazione a commesse e ad appalti. Molto spesso la creazione
della rete avviene per rendere possibile tale partecipazione che le singole imprese non sarebbero in
grado di fare. In questo caso parlare di strumentalità sarebbe artificioso dal momento che è solo
l’alleanza e la collaborazione che rendono possibile lo svolgimento della nuova attività. In una
posizione intermedia tra la seconda e la terza ipotesi è lo svolgimento di attività di ricerca e sviluppo a
seconda che riguardino attività che vengono già svolte ovvero lo sviluppo di nuove attività.
273
La rete può dunque svolgere anche attività diretta e non limitata alla prestazione di servizi alle
imprese, come almeno formalmente si sostiene debba avvenire per il consorzio. Questa possibilità è
assicurata dal riferimento all’esercizio in comune di attività che invece manca nell’ipotesi consortile.
148
Con il contratto di rete possono svolgersi, adottando il modello organizzativo
adeguato, alcune o tutte queste attività, dando luogo ad un contratto destinato ad
essere attuato secondo modalità di volta in volta simili a quelle di contratti già
esistenti come il consorzio, la joint venture, il mandato ovvero di contratti
innominati. Deve comunque sussistere un collegamento funzionale tra l’attività della
rete e quelle delle imprese partecipanti. Ad esempio non potrà costituirsi una rete,
avvalendosi di questa disciplina, per la gestione di un patrimonio immobiliare tra
imprese che producono articoli sportivi o prodotti eno-gastronomici. Occorrerà in
questo caso utilizzare altri strumenti. Sono invece consentite ipotesi intermedie in cui
l’attività sia collegata a quella delle imprese ma abbia anche una propria autonomia.
Si pensi ad esempio alla costruzione di un laboratorio di ricerca sui materiali
impiegati da aziende produttrici di mobili per arredamento. Queste possono
effettuare tramite il laboratorio ricerche sui materiali che consentano l’innovazione di
processo e di prodotto. Il laboratorio, costituito con il contratto di rete, potrà anche
erogare servizi a favore di terzi, altre imprese che, pur non partecipando alla rete,
vogliano avvalersi dei servizi del laboratorio. Ove le imprese costituiscano il
laboratorio solo per offrire servizi a terzi il contratto di rete sarà utilizzabile solo
quando l’attività sia svolta dalle imprese stesse (società di professionisti che
svolgono attività di ricerca) non nell’ipotesi in cui le imprese svolgano attività non
funzionalmente
connesse,
ad
esempio
operando
nel
campo
immobiliare.
All’esercizio in comune delle attività va collegato il riferimento (alla lett. B, art. 3,
co. 4-ter) in cui si chiede di indicare le attività comuni poste alla base della rete. Con
un intervento successivo è stato aggiunto il riferimento alla natura strategica degli
obiettivi perseguiti dalla attività di rete274. La strategicità serve a discriminare le
diverse forme di collaborazione. Non tutte le attività comuni possono generare una
rete ma solo quelle con obiettivi strategici. Dunque il contratto di rete può essere
impiegato solo per la realizzazione di tali obiettivi. Altri strumenti andranno usati per
forme di collaborazione non strategica. Con la introduzione della norma, avvenuta
con la legge in materia di internazionalizzazione, che fa riferimento all’applicazione
degli artt. 2614 e 2615 c.c., in quanto compatibili, vi è invece la possibilità
274
La lettera b) è dunque stata integrata nel modo seguente: «l’indicazione degli obiettivi strategici
delle attività comuni poste a base della rete che dimostrino il miglioramento della capacità innovativa
e della competitività sul mercato».
149
dell’assunzione di un rischio direttamente da parte della rete 275. Quando queste
disposizioni siano incompatibili con il modello contrattuale adottato la rete non
assume autonomamente il rischio di impresa ma questo viene ripartito tra i
partecipanti. Tale rischio può essere esclusivo ovvero concorrere con quello delle
singole imprese nell’interesse delle quali la rete ha agito. Nel primo caso si
applicherà la disciplina del primo comma dell’articolo 2615 c.c., nella seconda
ipotesi quella del secondo comma dello stesso articolo. Non vi è invece menzione
della lucratività. Sembra allora che possa ammettersi, oltre alla mutualità, una causa
lucrativa indiretta in cui i benefici realizzati tramite l’attività della rete possano
essere trattenuti versandoli nel fondo. Rimane sempre possibile che i benefici siano
trasferiti ai partecipanti secondo le modalità definite nel contratto di rete in via
generale ovvero in relazione allo specifico affare. La natura transtipica del contratto
di rete si realizza dunque prevedendo diverse possibilità concernenti la ripartizione
dei benefici o il risparmio dei costi: dall’obbligo di trasferirli per intero ai
partecipanti alla rete alla possibilità di conservarne a quest’ultima una parte a titolo
di copertura dei costi, alla possibilità di immaginare che la rete stessa possa decidere
di devolvere tali benefici allo svolgimento di nuove attività. Sul piano dell’oggetto si
tratta di un contratto che deve impiegarsi per lo svolgimento di attività economica
diretta ad accrescere la competitività. Tale requisito dovrebbe escludere l’impiego
del contratto di rete per lo svolgimento di servizi ai partecipanti non qualificabili
come attività economica. Nulla vieta ovviamente che la rete contrattuale costituisca
un’associazione ovvero si avvalga di un modello societario per l’erogazione di tali
servizi. Il contratto di rete è compatibile con il requisito della mutualità anche pura.
Dunque potranno stipularsi contratti di rete diretti alla erogazione di servizi in forma
imprenditoriale anche solo a favore dei partecipanti.
4.1.5
Profili strutturali della rete
Il contratto di rete possiede una funzione programmatica legata alla complessità
dell’attività ed al livello di incompletezza contrattuale connesso all’incertezza circa
275
L’art. 1 della l. 2002 n. 99 su «Disposizioni per lo sviluppo e la internazionalizzazione delle
imprese» approvato il 31 luglio 2009 e pubblicato in G.U. n. 176 del 31 luglio 2009, aggiunge alla
lett. C dell’art. 4-ter un importante periodo «Al fondo patrimoniale di cui alla presente lettera si
applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del Codice civile».
150
le modalità di realizzazione del progetto. Esso definisce un programma di attività
economiche la cui attuazione spetta primariamente all’organo comune. Si definisce
così un modello di rete in cui appaiono distinte fase programmatica ed esecutiva
dell’attività economica. Nonostante non si faccia espressamente menzione della
durata minima (richiedendosi comunque che il contratto indichi la durata del
programma di rete), il contratto di rete si inscrive nel quadro dei contratti di durata e,
con terminologia non tecnica, di contratto relazionale. Parti del contratto di rete sono
obbligatoriamente imprese. Il requisito soggettivo dell’essere impresa è elemento
essenziale; deve ritenersi pertanto nulla la partecipazione del soggetto privo di tale
requisito. La nullità riguarderà la singola partecipazione salva l’ipotesi in cui
l’essenzialità della partecipazione travolga l’intero contratto. Il requisito soggettivo
della natura imprenditoriale dei contraenti ovviamente non preclude la possibilità che
la rete stipuli contratti con enti pubblici, compresi appalti, nella fase di attuazione del
contratto. Il contratto di rete può essere stipulato da due o più imprese gestite sia con
modelli societari sia con modelli organizzativi senza scopo di lucro. La disciplina
dunque può riguardare anche reti di imprese sociali o miste composte da imprese
sociali e da imprese gestite in forma lucrativa. Il contratto di rete può avere sia
struttura aperta che chiusa. Le parti possono pattuire condizioni di ingresso di nuovi
contraenti, definendo criteri e modalità di valutazione per deliberare sulla richiesta di
partecipazione alla rete. Il numero di parti può essere variabile, soggetto a
trasformazioni successive; dunque può nascere bilaterale e divenire plurilaterale
ovvero nascere plurilaterale e divenire bilaterale con il recesso di alcuni contraenti.
La vera distinzione è piuttosto tra contratto a numero di parti fisso e contratto a
numero di parti variabile. Le parti, stipulando il contratto o aderendovi
successivamente sottoscrivono un programma la cui modifica è soggetta alle regole
tipiche del contratto, l’unanimità, salvo che le parti dispongano diversamente. È
evidente che l’eventuale adozione di un principio di maggioranza andrà
accompagnata da misure di tutela adeguate a garantire ai singoli aderenti dissenzienti
tutela e dunque gli incentivi ex ante alla partecipazione. Lo scioglimento della rete va
comunque deciso all’unanimità. Il contratto di rete comprende due fasi: la
definizione del programma e l’attuazione del contratto. La prima viene compiuta
dalle parti in sede di stipulazione, la seconda prevalentemente dall’organo comune,
151
in sede di attuazione276. Successivamente le parti possono specificare o adattare la
programmazione. Tale separazione è il riflesso della incompletezza contrattuale che
caratterizza il contratto di rete. Il completamento contrattuale può dunque essere
realizzato dall’organo comune o, quando richieda anche la ridefinizione di elementi
strategici, dalle parti con la modifica del contratto di rete a seguito di rinegoziazione.
Visti i compiti gestionali dell’organo comune, le parti possono definire un comitato
per la programmazione al quale affidare la (ri) definizione degli obiettivi strategici.
Opportuna appare la differenziazione dei due organismi. L’esecuzione del contratto
di rete viene svolta di regola dall’organo comune. Questo dispone di un potere
discrezionale la cui ampiezza dipende dalla precisione delle regole contrattuali. La
relazione di agenzia tra partecipanti ed organo comune deve condurre ad un modello
di governo che minimizzi la somma dei costi di contrattazione di governo. L’organo
comune opera con regole diverse a seconda della forma organizzativa adottata e dei
poteri che il contratto costitutivo conferisce all’organo comune. L’esecuzione
avviene sia attraverso il coordinamento delle attività svolte dalle singole imprese,
realizzato dall’organo comune con il compimento di atti giuridici e materiali, sia di
quelle dirette alle parti sia quelle svolte con terzi, siano essi altre imprese o soggetti
pubblici. L’esempio classico è quello dell’assunzione di fornitura, attraverso contratti
di somministrazione od appalto da parte della rete che esegue il contratto,
avvalendosi del contributo dei contraenti ed eventualmente di terzi. L’adempimento
degli obblighi e la realizzazione dei diritti dei partecipanti può dunque venire
mediata dall’attività dell’organo comune. Tale attuazione non deve necessariamente
prevedere il coinvolgimento di tutte le imprese partecipanti, potendosi differenziare,
affidando a talune imprese alcuni compiti e ad altre compiti diversi, eventualmente in
rapporto con i terzi. Questo accadrà, ove voglia impiegarsi il contratto di rete come
strumento di coordinamento o più incisivamente di governo della filiera produttiva,
ad esempio coordinando, con la rete, contratti di subfornitura che continuano ad
avere struttura bilaterale277. In questo caso si realizza la rete di contratti collegati. A
seconda del modello adottato l’attività di assegnazione degli incarichi esecutivi,
276
Si coglie qui una differenza importante con il consorzio dove l’attuazione avviene essenzialmente
attraverso deliberazioni consortili a norma dell’articolo 2606 c.c.
277
Questo potrà accadere sia nell’ipotesi che la rete sia la committente sia nell’ipotesi che
committente sia un terzo che abbia incaricato la rete di produrre i beni e servizi necessari.
152
svolta dall’organo comune, avrà rilevanza puramente interna o parzialmente esterna.
Nella prima ipotesi vi sarà un solo contratto d’appalto, di fornitura o di
somministrazione con il terzo e le imprese della rete saranno configurabili quali
ausiliarie; nella seconda ipotesi all’appalto segue la stipulazione di contratti di
subfornitura e così via. Attuazione del contratto di rete potrà considerarsi, in
conformità del richiamo all’art. 2615, co. 2, c.c., anche lo svolgimento di attività per
conto dei singoli partecipanti alla rete. Un ruolo centrale concerne la produzione e lo
scambio di informazioni, specialmente nelle ipotesi in cui la rete abbia come
obiettivo quello della definizione di progetti innovativi che presuppongono
cooperazione e condivisione di conoscenza.
4.1.6
L’organo comune e la governance della rete
La composizione, i poteri e le modalità operative dell’organo comune vanno definiti
nel contratto costitutivo. L’organo potrà avere struttura monocratica o collegiale.
Tendenzialmente sarà la seconda a prevalere seguendo la indicazione normativa che
prevede la definizione delle modalità di partecipazione all’organo da parte delle
imprese partecipanti alla rete. Tuttavia potrà aversi un organo monocratico
espressione di tutte le parti, ad esempio con una regola di nomina che preveda
l’unanimità. L’attività dell’organo potrà svolgersi attraverso modelli equivalenti
all’amministrazione congiuntiva o disgiuntiva a seconda delle modalità definite dal
contratto costitutivo della rete ed in parte dalle regole di cui lo stesso organo comune
si doti, esercitando il potere di autoregolazione. Deve comunque ritenersi privilegiata
l’ipotesi in cui l’organo comune sia composto da rappresentanti delle diverse imprese
per favorire il coordinamento tra i partecipanti. Da tale impostazione emerge anche
una figura di rete essenzialmente paritaria, almeno sotto il profilo della governance,
anche se è perfettamente ammissibile che il potere contrattuale delle imprese sia
diverso e di conseguenza diversa sia l’influenza che esercitano nella attuazione del
programma di rete, inclusa la partecipazione all’organo comune. Ove l’organo operi
nell’ambito di reti aventi pura rilevanza interna, i suoi atti avranno rilevanza
giuridica vincolante per i partecipanti mentre sarà preferibile un mandato con
rappresentanza perché si producano effetti correlati ad attività esterna. L’organo
comune potrà ad esempio operare attraverso la emanazione di regolamenti che
153
avranno immediata efficacia obbligatoria per le parti. Potrà definire modalità di
circolazione dell’informazione dirette a favorire il coordinamento tra le attività,
prevedendo obblighi di informazione e controllandone, direttamente o tramite
appositi comitati, l’osservanza. L’attività dell’organo potrà avere sia natura negoziale
sia natura puramente materiale ed esecutiva, configurabile come adempimento degli
obblighi contrattuali. Quando invece l’organo comune operi nell’ambito di reti a
rilevanza esterna, dotati di soggettività ancorché privi di personalità, potrà agire con
mandato e, ove il modello organizzativo adottato lo consenta, agirà in regime di
rappresentanza organica. L’organo comune avrà il compito di promuovere e tutelare
l’interesse collettivo della rete, definendo modalità decisionali che garantiscano il
perseguimento dello scopo comune, eliminando o riducendo comportamenti abusivi
dettati da opportunismo post-contrattuale. Un ruolo centrale riguarda la produzione e
lo scambio di informazioni tra gli appartenenti alla rete. L’organo comune potrà
definire insieme alle imprese protocolli di collaborazione relativi a singoli progetti
per assicurare gli incentivi alla cooperazione e monitorare il processo di scambio.
Questo potrà avvenire anche con la costituzione di comitati ad hoc costituiti per il
singolo progetto. Le modalità di governo della rete dovranno dunque incentivare il
compimento di investimenti specifici delle parti in fase di attuazione e disincentivare
strategie di exit, specialmente quelle legate a motivazioni opportunistiche, come ad
esempio usare a vantaggio della singola impresa la conoscenza innovativa prodotta
dalla rete. A tal fine è opportuno richiamare il dovere di lealtà che l’organo comune è
tenuto a far rispettare, che si traduce nell’obbligo di contemperare gli interessi
individuali dei partecipanti con quello collettivo della rete. Esiste ovviamente anche
un dovere di lealtà dell’organo verso i singoli partecipanti che si traduce nel rispetto
del principio di parità di trattamento e nel dovere di non discriminare 278. La
definizione dei poteri di rappresentanza consentirà di definire le modalità attraverso
cui gli effetti dell’attività dell’organo comune con terzi si producono nella sfera
giuridica dei contraenti, partecipanti alla rete279. In particolare occorrerà definire,
278
Tipicamente il problema si pone quando la rete venga costituita per assumere appalti o forniture e
debbano decidersi le modalità di allocazione tra i partecipanti, assegnando i contratti e dunque
ripartendo i benefici dell’attività. L’operato dell’organo comune viene regolato da procedure fissate ex
ante e soggetto a controllo da parte dei singoli partecipanti ovvero da specifici comitati.
279
Gli effetti dell’atto stipulato dall’organo direttivo del consorzio, ad esempio, si producono
direttamente nella sfera dei consorziati senza bisogno di un atto di trasferimento, secondo quello che
154
nell’ipotesi di contratti sia con terzi privati che con la pubblica amministrazione, le
modalità con cui gli obblighi assunti dall’organo comune vengono eseguiti dalle
singole imprese e la responsabilità per inadempimento. In tal modo possono
risolversi i problemi di qualificazione che sorgono quando un componente della rete,
spesso quello dotato di maggior potere contrattuale, contrae con terzi concludendo
l’acquisto o la vendita di beni destinati ad essere impiegati nel processo produttivo.
L’organo comune potrebbe svolgere anche un a funzione di mediazione nell’ipotesi
di conflitto tra i partecipanti alla rete. Tuttavia sembrerebbe più idonea la previsione
di un organo ad hoc, caratterizzato da indipendenza ed operante secondo regole che
assicurino l’imparzialità, che si componga per ciascun conflitto, rinviando a forme
arbitrali presso le camere o arbitri privati fasi ulteriori, qualora il conflitto non venga
risolto in prima istanza.
4.1.7
La responsabilità per inadempimento dei partecipanti alla rete e quella
della rete verso i partecipanti ed i terzi
Il programma di rete deve contenere l’indicazione di diritti ed obblighi dei contraenti.
Il contratto di rete dunque definisce obblighi di ciascun partecipante verso la rete ma
può anche definire obblighi dei singoli contraenti nei confronti di altri contraenti o di
terzi. Occorre
distinguere
tra
inadempimento del
singolo contraente
ed
inadempimento degli obblighi della rete e dell’organo comune verso i partecipanti
alla rete. L’inadempimento dell’obbligo del singolo contraente può essere fatto
valere a maggioranza dagli altri contraenti ovvero dall’organo comune, tuttavia
occorre differenziare a seconda del rimedio e delle implicazioni sulla esistenza della
rete. Con riferimento alla gravità dell’inadempimento la valutazione della stessa va
effettuata rispetto alla rete. Quando questa sia costituita da un contratto plurilaterale
occorre fare riferimento alla pluralità dei contraenti e dunque all’interesse collettivo
della rete. Quando invece sia costituita con contratto bilaterale la comunione di scopo
comunque impone che venga considerato l’interesse della rete anche se maggior peso
appare lo schema della rappresentanza organica (Cass., 16 marzo 2001, n. 3829). Giurisprudenza e
dottrina maggioritarie, infatti, riconoscono ai consorzi con attività esterna (non invece ai consorzi con
attività interna) soggettività giuridica ma non personalità giuridica. In dottrina si è per altro osservato
che rappresentanza organica e mandato, essendo attinenti a due diversi piani di analisi, non siano
strumenti tra loro alternativi e contrapposti. L’organo incaricato di avere rapporti con terzi risponde
verso i consorziati secondo le norme del mandato.
155
avrà l’interesse individuale della parte non inadempiente. L’inadempimento degli
obblighi della rete e di quelli dell’organo comune può essere fatto valere dal singolo
contraente quando lede diritti individuali. Simmetricamente ciascun contraente ha
diritti nei confronti degli altri partecipanti alla rete e verso la rete in quanto tale (la
comunità dei contraenti quando questa non sia dotata di soggettività). Il problema e
la sfida principali al diritto tradizionale dei contratti proviene da quelle ipotesi di
collaborazione in cui il prodotto od il servizio (si pensi ad una rete per la produzione
di prodotti finanziari) viene co-disegnato. Questa collaborazione rende assai difficile
la definizione di responsabilità individuali per inadempimento di singole
obbligazioni e tale difficoltà si riflette anche nei rapporti con i terzi quando la
produzione del bene o servizio sia fatta per un committente come può accadere
quando un pool di banche richieda ad una rete di consulenti la produzione di un
nuovo prodotto finanziario da immettere sul mercato, un gruppo di produttori di
abbigliamento o sportivo chieda ad una rete di designers di definire nuovi progetti
ovvero un gruppo di produttori di vino chieda ad una rete di enologia la definizione
di nuovi blend per accedere a mercati stranieri. In questo caso le prestazioni non sono
facilmente divisibili e si tratterà di distinguere l’ipotesi di obbligazione
soggettivamente complessa da quella di obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni
che siano riferibili ai singoli partecipanti. La rete può intrattenere rapporti con terzi.
Talvolta questa è l’attività principale o addirittura esclusiva della rete. In taluni casi,
ad esempio le ATI, la rete si costituisce per entrare in rapporto con i terzi280. Qui la
responsabilità differisce a seconda che vi sia un’integrazione orizzontale o
verticale281. L’organo comune dotato di poteri di rappresentanza può stipulare
contratti in qualità di mandatario con rappresentanza. Con l’applicazione degli artt.
2614 e 2615 c.c., il contratto di rete riflette un modello di contratto associativo con
rilevanza esterna. Seguendo la giurisprudenza in materia di consorzio con attività
esterna, la responsabilità della rete per inadempimento sarebbe fatta valere
esclusivamente a carico del fondo in forza del primo comma del 2615 c.c., i
280
Così come definita la disciplina di rete non è direttamente applicabile alle ATI. Pertanto la
costituzione di una rete ATI richiede alcuni adattamenti.
281
La distinzione tra integrazione di tipo verticale ed integrazione di tipo orizzontale si basa su criteri
tecnici legati alla specializzazione e alla collaborazione delle imprese nel ciclo produttivo; è stata
elaborata dalla dottrina ed è stata poi recepita dalla normativa sugli appalti pubblici (art. 37, c. 5, d.lgs.
163/2006).
156
partecipanti alla rete sarebbero solidalmente responsabili ai sensi dell’art. 2615 co. 2
c.c. quando l’obbligazione sia stata assunta nell’interesse dei singoli contraenti. Oltre
alla responsabilità contrattuale della rete e dei singoli partecipanti verso i terzi deve
considerarsi l’ipotesi di responsabilità extracontrattuale della rete. L’assenza di
soggettività non esclude la possibilità che i partecipanti alla rete vengano considerati
solidalmente responsabili per fatti illeciti commessi dalla rete nell’esercizio della
propria attività. A fortiori, con l’approvazione dell’emendamento che si riferisce agli
artt. 2614 e 2615 c.c. ove compatibili, deve ritenersi applicabile la responsabilità
extracontrattuale della rete per obbligazioni sorgenti da fatto illecito. Per ciò che
attiene ai rimedi, si applicano quelli previsti per il contratto in generale con le
specificità del contratto plurilaterale in materia di invalidità e di risoluzione.
Funzione principale dei rimedi è quella di assicurare la tutela dell’interesse collettivo
della rete, contemperandolo con quello dei singoli. Particolare rilievo hanno i rimedi
relativi alla estromissione del singolo ed al recesso di una parte che si riveli
essenziale per il contratto di rete. Il contratto di rete costituisce il terreno adatto per la
definizione di nuovi rimedi da costruire in base al principio di effettività. Si pensi in
particolare alle sanzioni correlate alla mancata collaborazione che possono
comportare la esclusione della impresa da un singolo progetto non necessariamente
correlata alla espulsione dalla rete.
4.2 La governance del contratto di rete
4.2.1 Il governo della rete tra programmazione strategica ed esecuzione del
contratto
Il contratto di rete può avere diversi livelli di complessità organizzativa. Il
coordinamento tra attività compiute dalle imprese partecipanti alla rete può
richiedere una governance che, pur non giungendo alla organizzazione corporativa
propria del modello societario, comporta una procedimentalizzazione delle decisioni
ed un riparto delle competenze proprio delle organizzazioni complesse. Il dettato
normativo di cui al comma 4-ter prevede infatti una separazione tra fase costitutiva o
programmatica e fase di attuazione, quest’ultima intesa come «realizzazione del
risultato contrattuale» o «complessa attività di gestione del rapporto contrattuale».
Alla costituzione della rete, istituita mediante la stipulazione del contratto, si associa
157
la definizione degli obiettivi strategici, connessi alle attività comuni poste alla base
della rete, del programma di rete nel suo complesso, della sua durata, così come dei
diritti e degli obblighi che ad esso si accompagnano, e ancora delle modalità di
gestione del patrimonio, delle regole inerenti all’entrata e all’uscita dalla rete, della
struttura di governo della rete stessa. Diversamente, l’esecuzione del contratto è in
primo luogo ed espressamente oggetto dell’incarico affidato al c.d. organo comune.
Ciò non esclude che l’attuazione del programma di rete possa richiedere
adempimento di obblighi da parte degli stessi aderenti, pur al di fuori del
funzionamento dell’organo suddetto. Sarà l’autonomia privata, entro i confini
disegnati dal contenuto minimo del contratto, a decidere il livello di dettaglio della
programmazione e le modalità di decisione e di esercizio del potere di
completamento da parte dell’organo comune. Questo avverrà in base a
considerazioni relative al livello di incertezza iniziale circa le modalità di esecuzione
del progetto imprenditoriale ed al costo di acquisizione di informazioni. Le forme di
collaborazione reticolare rispondono generalmente all’impossibilità di una puntuale
definizione ex ante di sistemi di allocazione del rischio tra le parti. La fase
programmatica riferita al momento costitutivo della rete, prevede la partecipazione di
tutti i componenti. Coloro che aderiscono successivamente dovranno sottoscrivere il
programma definito inizialmente. Il numero dei partecipanti può variare nel tempo.
Può accadere dunque che una rete nasca bilaterale e divenga in seguito plurilaterale e
viceversa, comportando così, sotto alcuni profili, l’applicazione del regime del
contratto bilaterale o plurilaterale a seconda del numero delle parti. La modifica del
programma avviene secondo le modalità definite nel contratto e dunque sottoposta
alla regola dell’unanimità, salvo che le parti dispongano diversamente, rimettendo
alla volontà della maggioranza un eventuale adattamento del programma iniziale.
Non si tratta di un potere illimitato. Anche in tal caso il limite deve essere ravvisato
nella permanenza degli obiettivi strategici inizialmente definiti, mutando i quali non
si avrebbe mera modificazione del contratto ma estinzione della rete seguita da
nuova costituzione: in quest’ultimo caso sarebbe comunque necessaria l’unanimità
dei consensi. Deve peraltro consentirsi al contraente dissenziente la possibilità di
recedere quando la modifica del programma iniziale sia sostanziale. L’ipotesi della
modificazione del programma di rete aggiunge ulteriore complessità alla distinzione
158
tra programmazione ed attuazione con chiare conseguenze in tema di poteri e
responsabilità dell’organo comune. Tale distinzione rimane chiara nell’ipotesi in cui
le parti modifichino il contratto con propria decisione ovvero istituiscano a tal fine un
organo intermedio (una sorta di comitato di coordinamento o programmazione),
composto da tutti i membri, dotandolo di funzione deliberativa in merito alla
modificazione del programma iniziale: in tal caso, la competenza di un simile organo
rimarrebbe distinta da quella dell’organo incaricato della (sola) attuazione del
contratto di rete.
4.2.2 La natura giuridica dell’organo comune
L’organo comune è tenuto a perseguire l’interesse collettivo della rete agendo per
conto dei partecipanti. L’attività esecutiva, si concretizzi essa in atti giuridici o
materiali, deve dunque svolgersi in modo da privilegiare l’interesse collettivo della
rete su quello dei singoli partecipanti e tale finalità viene assicurata dal rispetto del
dovere di lealtà verso la collettività dei partecipanti. La discrezionalità dell’organo
comune è dunque limitata sia dall’impossibilità di modificare il contratto sia da
regole procedurali interne poste a tutela dei partecipanti alla rete. Il comma 4-ter non
detta prescrizione in merito alla struttura e alla composizione dell’organo comune e
neppure alle regole che questo debba darsi per evitare abusi e tutelare le parti. Le
parti saranno dunque libere di scegliere organi comuni ampiamente rappresentativi
(composti ad esempio da tutti i membri della rete) ovvero organi comuni composti
soltanto da una parte dei membri, eventualmente da una minoranza di essi o da un
solo componente (magari con un sistema di turnazione), così come saranno libere di
includere soggetti esterni alla rete, quali componenti esclusivi o concorrenti
dell’organo.
4.2.2.1 La natura dell’organo comune nelle reti meramente contrattuali
In caso di rete meramente contrattuale, in assenza di indicazioni specifiche, si applica
la disciplina del mandato. Nell’ambito di un simile rapporto gestorio l’organo
comune deve perseguire l’interesse collettivo della rete ed il rispetto degli interessi
individuali costituisce un vincolo all’attività. Per quanto riguarda il compimento di
atti c.d. materiali (si pensi alla elaborazione di studi, piani e strategie, alla ricerca di
159
informazioni, ad esempio in merito a nuovi sbocchi commerciali o a nuove forniture,
alla predisposizione del contenuto di proposte contrattuali, o ancora alla gestione di
magazzini, all’organizzazione di un laboratorio, ecc.), questi andranno configurati
come accessori o strumentali al medesimo rapporto di mandato, salvo che la loro
specificità non richieda di inquadrarli nella fattispecie del contratto d’opera
professionale. Sotto il profilo del potere rappresentativo, la norma si coordina con la
lett. e) del comma 4-ter in commento là dove, dopo aver già previsto che il contratto
definisca i poteri rappresentativi dell’organo comune, stabilisce in via dispositiva che
tale organo agisca in rappresentanza
delle imprese
nelle
procedure di
programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nonché nelle
procedure inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito, all’utilizzazione
di strumenti di promozione e tutela dei prodotti italiani ed allo sviluppo del sistema
imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione, previsti
dall’ordinamento. Trattandosi di norma dispositiva, le parti possono modificare tale
previsione e definire diverse modalità di rappresentanza. In quanto conferito da
almeno due soggetti (i contraenti) il mandato ha natura di mandato collettivo per ciò
che riguarda l’attuazione del programma di rete, salva la possibilità che al medesimo
organo i singoli affidino incarichi individuali e/o mandati plurimi, seppur collegati a
e parimenti attuativi del contratto di rete. In particolare, è oggetto di mandato
collettivo la funzione di regia e di coordinamento del programma di rete (che
necessariamente si accompagna all’investitura dell’organo), mentre può essere
oggetto di mandati plurimi e/o incarichi individuali il compimento di operazioni
variamente collegate alla sfera di attività del singolo aderente. In caso di organo non
monocratico troverà inoltre applicazione la disciplina inerente alla pluralità di
mandatari (ex art. 1716 c.c.), per cui si presumerà la natura disgiunta dell’esecuzione
in assenza di volontà contraria delle parti. Anche in tal caso si tratterà di mandato
unico e non di pluralità di mandati (uno per ciascun componente), posto che
l’incarico all’esecuzione del contratto di rete è inteso (dal legislatore) in senso
unitario. Ciò non esclude che, a fronte di un incarico unitario consistente nella
gestione complessiva del programma di rete, vi sia una specifica attribuzione di
compiti a ciascun mandatario. In ipotesi di esecuzione congiunta, ciascun
componente dell’organo deve operare in collaborazione con l’altro e il venir meno
160
dell’apporto di uno dei componenti impedisce l’esecuzione dell’incarico esponendo
tutti i membri dell’organo a responsabilità. Il rapporto tra i componenti è
caratterizzato da un dovere di cooperazione e di lealtà che si traduce in obblighi di
trasparenza e rendicontazione dell’operato. Se l’esecuzione congiunta non è prevista
dal contratto, allora ciascun componente può operare disgiuntamente dall’altro, salvo
l’obbligo di tenere informati gli altri membri dell’organo sul compimento dell’affare
(o sui suoi stati di avanzamento)
4.2.2.2 La natura dell’organo comune nelle reti a rilevanza esterna
Diversamente, il contratto di rete potrebbe assumere i caratteri del contratto
associativo con rilevanza esterna. Sul piano della governance ciò vuol dire che le
parti opteranno per un modello a struttura complessa, in cui il rapporto tra aderenti e
organo comune sfugge allo logica del mandato e si iscrive nell’ambito di quelle più
complesse regole organizzative che indirizzano «produzione» e «imputazione»
dell’attività nell’ente associativo. In assenza di una disciplina specifica, ancorché
dispositiva, le parti sono libere di regolare il funzionamento di tale organo optando
per un’amministrazione congiunta o disgiunta o proponendo per l’adozione del
metodo collegiale.
4.2.3 Poteri rappresentativi. Modelli alternativi di organo comune
La diversa natura della rete (meramente contrattuale o associativa a rilevanza
esterna) incide altresì sulle regole inerenti all’esercizio dei poteri rappresentativi. Si
applicherà infatti la disciplina della rappresentanza ordinaria (o del mandato senza
rappresentanza)
nell’ipotesi
di
rete
meramente
contrattuale;
quella
della
rappresentanza organica negli altri casi, con un impiego complementare degli
strumenti contrattuali di base. Avendo riguardo ad entrambe le ipotesi di rete
meramente contrattuale e di rete associativa con rilevanza esterna, ci si può chiedere
se le parti possono istituire una società da loro partecipata quale organo comune della
rete per l’attuazione del relativo programma. Ove si ammettesse una simile
soluzione, la società-organo opererebbe come mandataria degli aderenti alla rete nel
caso di rete meramente contrattuale e come amministratore unico dell’ente
associativo nel secondo caso. In entrambe le prospettive alle regole del rapporto
161
gestorio (di mandato o di amministrazione) si accompagnerebbero le regole intrasocietarie che definiscono il rapporto tra i soci (già aderenti alla rete), la società e i
suoi organi (in particolare l’organo amministrativo), il che significa, ad esempio, che,
anche in ipotesi di rete meramente contrattuale, le concrete modalità di attuazione del
programma e, in ogni caso, la nomina degli amministratori deputati alla gestione
dello stesso avrebbero luogo in seno a un vero e proprio organo assembleare. Una
variante di tale assetto potrebbe essere rappresentata dall’impiego della societàorgano per l’attuazione di uno specifico ambito del programma di rete, ad esempio
l’esecuzione di un contratto di ricerca, di appalto, di fornitura.
4.2.4 Il ruolo dell’organo comune tra esecuzione del contratto di rete ed
esecuzione dei contratti attuativi del programma
L’esecuzione del contratto di rete non può essere ridotta al solo funzionamento
dell’organo comune. Tale esecuzione riguarda infatti l’attuazione del programma di
rete nella sua interezza, nonché l’adempimento di tutti quegli obblighi che risultano
ad esso funzionali, siano questi ascrivibili ai componenti dell’organo oppure agli
aderenti, singolarmente intesi. Tra questi rivestono particolare importanza non solo
gli obblighi di esecuzione delle prestazioni per così dire «caratteristiche» (la
produzione di un prototipo, l’allestimento di un’esposizione, lo svolgimento di
attività di ricerca, ecc.), ma anche gli obblighi che, come accade per i doveri di
informazione o di confidenzialità o per il vincolo di non concorrenza, non tendono a
soddisfare direttamente l’interesse perseguito nella relazione contrattuale ma
realizzano le condizioni perché tale soddisfazione trovi spazio. La circolazione delle
informazioni riveste un’importanza strategica per la rete. Si tratta dunque di
assicurare che questa avvenga nelle forme che proteggono gli incentivi dei singoli
appartenenti, realizzando lo scopo comune. Tale attività può essere svolta
dall’organo comune definendo regole che assicurino il rispetto degli obblighi fino
alla previsione di sanzioni «private» in caso di inadempimento. Generalmente questo
accadrà attraverso l’emanazione di regolamenti o protocolli immediatamente
obbligatori nei confronti degli aderenti. Rispetto all’attuazione di simili obblighi
(tanto di prestazione quanto di protezione) all’organo comune potrebbe essere
attribuita una funzione di «garanzia», se non di controllo (sempre che le parti non
162
istituiscano un diverso organo a ciò deputato). In una accezione più ampia le parti
potrebbero attribuire all’organo comune (o a un terzo) il compito di definire
benchmark per la valutazione delle prestazioni, attivare meccanismi di scoring per le
parti aderenti, mediare possibili controversie tra le parti in merito alla qualità delle
prestazioni. Sotto un altro profilo l’organo comune può essere chiamato a
«presidiare» l’attuazione del programma di rete in cui siano coinvolte le stesse parti
aderenti. Può accadere infatti che nel corso di tale attuazione non le singole parti,
autonomamente collaborando all’attività comune, bensì l’organo, agendo in nome e
per conto degli aderenti, stipuli un contratto con un terzo, ad esempio per la
produzione di una nuova tecnologia. In ipotesi di questo tipo, nel coordinare
competenze complementari, la rete è in grado di assicurare elevata specializzazione
senza peraltro onerare il terzo contraente dei costi di coordinamento della filiera.
Tale risultato è possibile solo in quanto il contratto di rete a monte riesca a governare
la collaborazione inter-imprenditoriale e l’interdipendenza funzionale che ad essa si
accompagni. Nella stessa fase esecutiva, una volta stipulato il contratto con il terzo
avente ad oggetto la fornitura, l’appalto, la ricerca, al erogazione di servizi (es.,
produzione di software) o la gestione, l’organo della rete potrebbe procedere ad
«assegnare» compiti ai singoli aderenti in ragione delle loro competenze e della
disponibilità inizialmente data da ciascuno ai fini dell’attuazione del programma di
rete. Non necessariamente questo coordinamento interno assume rilevanza nei
rapporti con il terzo contraente, il quale potrebbe preferire interloquire con la rete nel
suo complesso per il tramite dell’organo comune, facendo affidamento proprio su
questa capacità di auto-governo dell’esecuzione. Sul piano della responsabilità verso
il terzo ne deriverebbe una responsabilità esclusiva della rete (se dotata di
soggettività) o una responsabilità solidale degli aderenti congiuntamente obbligati nei
confronti del terzo (in caso di rete meramente contrattuale). Analogamente se, a valle
di una rete meramente contrattuale, gli aderenti, già solidalmente obbligati
all’esecuzione di un contratto con il terzo, costituiscano una società per l’esecuzione
di questo, dell’operato della società continueranno a rispondere gli aderenti alla rete.
A seconda dei casi, con il contratto di rete gli aderenti potrebbero obbligarsi
preventivamente nei confronti di tutti gli altri partecipanti ad eseguire determinate
prestazioni nell’eventualità in cui la rete si obblighi verso un terzo perché assume un
163
appalto o una fornitura ovvero il compito di svolgere attività di ricerca. La
responsabilità del singolo verso la rete conseguirebbe dunque e direttamente alla
violazione del contratto di rete e non di un nuovo contratto «esecutivo».
4.2.5 Regole di funzionamento dell’organo comune tra doveri fiduciari e
responsabilità
Operando quale «agente» dei partecipanti, l’organo è tenuto al rispetto di alcuni
principi ed in primo luogo ad evitare il conflitto di interessi o a gestirne la
composizione. L’organo comune ha dunque un dovere di lealtà verso i contraenti. In
concreto tale dovere avrà sia una dimensione procedurale che una sostanziale. Sotto
il profilo procedurale il dovere di lealtà si traduce in un dovere di prendere in
considerazione il conflitto non solo tra l’organo ed i singoli partecipanti ma anche tra
questi. Il dovere di lealtà può tradursi in un obbligo di definire procedure decisionali
che rappresentino adeguatamente gli interessi ed in un dovere di informare le parti
contraenti circa le decisioni che incidono sulla loro sfera. Sotto il profilo sostanziale
l’organo comune dovrà favorire l’adozione di decisioni che contemperino gli
interessi tra le parti con quello della rete, secondo criteri che privilegino l’adeguato
perseguimento degli obiettivi strategici originariamente condivisi ed in particolare lo
scopo comune.
4.3 Contratto di rete, fondo comune e responsabilità
patrimoniale
4.3.1 La dimensione patrimoniale del contratto di rete: fondo patrimoniale
comune e patrimoni destinati
L’art. 3, co. 4-ter, d.l. 5/09, convertito con l. 33/09, prevede che lo scopo comune
della rete debba essere perseguito attraverso una di due modalità alternative:
a) L’istituzione di un fondo patrimoniale comune ovvero:
b) La costituzione da parte di ciascun contraente di un patrimonio destinato
all’affare, ai sensi dell’articolo 2447-bis, co. 1, lett. a), c.c.
La medesima norma dispone inoltre che il contratto di rete stabilisce i criteri di
valutazione dei conferimenti che ciascun contraente si obbliga ad eseguire per la
costituzione del fondo, nonché le relative modalità di gestione. Un successivo
164
emendamento dell’articolato originario, quale approvato dal Senato in data 14
maggio e successivamente dalla Camera dei Deputati in data 1° luglio, aggiunge che
la fondo patrimoniale istituito con il contratto di rete si applicano, in quanto
compatibili, le disposizioni sul fondo consortile e sulla responsabilità del consorzio e
dei consorziati verso i terzi, di cui agli articoli 2614 e 2615 c.c. solo facendo
riferimento ad esso è possibile avanzare l’ipotesi di una «rilevanza reale»
dell’autonomia patrimoniale del fondo della rete, altrimenti configurabile alla stregua
di una mera comunione di diritti. Il contratto di rete è un contratto con comunione di
scopo e che non tutti i contratti di questa natura producono tra i loro effetti quello di
dar vita ad un «fondo patrimoniale». Non tutti i contratti con comunione di scopo
istituiscono infatti una autonoma dotazione patrimoniale. L’istituzione di un c.d.
«fondo comune» o di un «patrimonio» è ad esempio prevista nella disciplina delle
associazioni (ancorché non riconosciute), dei consorzi con attività esterna, delle
società di persone, ma non in quella dell’A.T.I. o dei consorzi c.d. interni. Ciò
peraltro non esclude che, anche in questi ultimi casi, le parti possono destinare alla
collaborazione inter-imprenditoriale una specifica dotazione patrimoniale (es.
depositando denaro presso un conto corrente): simili atti di disposizione al più
concorrono a generare una comunione di diritti tra le parti contrattuali (se così esse
dispongono), ma non sono in grado di attribuire alla dotazione patrimoniale alcuna
<<autonomia>> rispetto al patrimonio dei singoli, sia nella prospettiva della
produzione degli effetti dei successivi atti di disposizione aventi ad oggetto i beni
destinati all’esecuzione del contratto, sia sotto il profilo della responsabilità
patrimoniale.
4.3.2 Il fondo patrimoniale comune e la sua formazione
Secondo una prima definizione dell’assetto patrimoniale della rete, la stipulazione
del contratto di rete (sia esso bilaterale o plurilaterale) comporta l’istituzione
necessaria di un fondo patrimoniale comune, in relazione al quale il contratto stesso
stabilisce i criteri di valutazione dei conferimenti che ciascun aderente si obbliga ad
eseguire per la sua costituzione. La legge introduce dunque un obbligo di
conferimento a carico di tutti i partecipanti, senza regolarne contenuto e modalità, ma
rimettendo tale disciplina all’autonomia delle parti. Il ricorso al temine
165
«conferimento» e l’abbinamento alla costituzione della rete rievocano il contesto
societario piuttosto che quello consortile (dove si parla di soli contributi),
sollecitando una serie di interrogativi in relazione alla natura dei conferimenti
medesimi e del patrimonio della rete. In primo luogo sembra doversi convenire che
tali conferimenti possano avere ad oggetto non solo denaro ma anche beni o servizi,
purché suscettibili di valutazione economica. La legge rimette la determinazione dei
criteri di valutazione dei conferimenti al contratto di rete. Non è escluso che il
contratto affidi tale determinazione a un terzo secondo la disciplina dell’art. 1349 c.c.
o allo stesso organo comune. Non si chiarisce neppure a quale fine sia rivolta la
valutazione dei conferimenti. Potrebbe trattarsi in primo luogo di una valutazione
strumentale alla verifica della misura dello stesso, allo scopo di rispettare un’equa
distribuzione della contribuzione economica alla costituzione della rete. Del resto
non emerge una chiara e univoca correlazione tra misura del conferimento, del potere
decisionale, del rischio e della partecipazione all’utile/vantaggio prodotto a favore
del socio282. Sembra dunque che anche in tal caso, stia al contratto determinare i
criteri di allocazione dei rischi, dei vantaggi e dei poteri all’interno della rete, senza
che la previsione dei «conferimenti» e la loro valutazione siano a tal fine
necessariamente significative. Come in altri contratti con comunione di scopo
(inclusi quelli societari), il conferimento è adempimento di un obbligo generato dal
contratto di rete ed espone il singolo alle misure di tutela contro l’inadempimento,
nonché, in caso di conferimento di beni o servizi, alla garanzia per vizi della cosa o
dell’opera, disciplina peraltro applicabile anche in ambito societario. Quesito distinto
è se i conferimenti debbano rappresentare l’unica fonte di composizione del fondo
patrimoniale comune. In primo luogo occorre verificare se il contratto possa imporre
agli aderenti ulteriori contribuzioni al di fuori dei conferimenti. Come è noto, in
assenza di (veri e propri) conferimenti iniziali, tali contributi sono normalmente
previsti negli statuti delle associazioni e dei consorzi, non invece in quelli delle
società, dove il conferimento è considerato strumento esclusivo di autofinanziamento
a titolo «gratuito», salva invece (o infatti) la sola ammissibilità dei prestiti dei soci.
282
Nell’ambito del diritto societario convivono infatti regole che abbinano l’allocazione dei poteri
decisionali alla misura dei conferimenti (società a base capitalistica), all’«unità» del socio (società
cooperative, là dove si ha riguardo al numero dei soci delle persone giuridiche), alla misura dello
scambio mutualistico (ancora società cooperative in una versione di fatto ereditata da molti consorzi e
società consortili).
166
4.3.3 La gestione del fondo patrimoniale comune
Il contratto di rete definisce le modalità di gestione del fondo patrimoniale comune,
avendo così riguardo in particolare al compimento di atti di investimento aventi ad
oggetto beni e diritti inclusi nel fondo più che i profili inerenti al comune godimento
dei beni o alla loro conservazione, aspetti comunque suscettibili di essere regolati dal
contratto di rete nell’esercizio dell’autonomia negoziale dei partecipanti, come del
resto già previsto in tema di comunione dei diritti. Nel contratto di rete la gestione
del fondo assume nuova centralità. Posto che la sua istituzione è oggetto di un vero e
proprio effetto necessario del contratto, alternativo alla sola istituzione dei patrimoni
destinati individuali, si deve ritenere che la gestione del fondo rientri nell’ambito
dell’esecuzione del contratto, il cui incarico dunque, in assenza di diverse
disposizioni, spetta di regola all’organo comune. Trattandosi di un incarico assegnato
mediante lo stesso contratto di rete, non si può escludere che il contratto attribuisca
tale funzione non all’organo ma ad un soggetto diverso, incaricato della sola gestione
patrimoniale, oppure preveda che lo stesso organo comune assegni tale compito a un
soggetto specializzato, eventualmente circoscrivendo tale «esternalizzazione» alla
gestione di una parte del fondo (es. quella destinata ad investimenti di tipo
finanziario). Nel primo caso tra partecipanti alla rete e gestore del fondo si instaura
un autonomo rapporto di mandato (speciale) parallelo ma non coincidente con quello
che intercorre tra partecipanti alla rete e organo comune; nel secondo caso, il gestore
opera quale «sostituto» del mandatario ai sensi dell’art. 1717 c.c., in quanto
previamente autorizzato dai mandanti o direttamente investito dall’organo in
presenza di una situazione di necessità dettata dalla natura della gestione 283. Nel
primo caso l’organo comune va esente da responsabilità per la gestione; nel secondo,
risponde della scelta del gestore (se a lui ascrivibile) e delle istruzioni impartite al
sostituto, salva la possibilità per i partecipanti alla rete di agire direttamente nei suoi
confronti ai sensi dell’art. 1717, ultimo comma, c.c. Nell’ambito della rete
associativa con rilevanza esterna, sarà l’organo esecutivo, e in particolare quanti in
esso abbiano la rappresentanza, a instaurare il rapporto contrattuale con il terzo
gestore del patrimonio, facendone valere eventuali responsabilità nell’interesse della
283
Si può pensare, ad esempio alla gestione di un ingente patrimonio finanziario.
167
rete. In tutti i casi previsti la responsabilità del gestore ha natura contrattuale e può
essere fatta valere nei modi ordinari esaminati in tema di responsabilità dell’organo
comune oppure mediante azione dello stesso organo comune, in quanto investito di
poteri di rappresentanza processuale, nei confronti del terzo incaricato della gestione
del fondo. Il giudizio di responsabilità terrà conto non solo dei comuni criteri di
diligenza e correttezza dettati dal diritto delle obbligazioni e dalla disciplina del
mandato, ma anche dei criteri di gestione definiti dal contratto di rete, criteri che
specificano le modalità di attuazione ad opera del gestore, del vincolo di destinazione
del fondo patrimoniale al perseguimento degli obiettivi strategici stabiliti dal
contratto.
4.3.4 La destinazione del fondo e dei proventi della gestione
Il fondo patrimoniale comune è destinato all’attuazione del programma di rete
definito nel contratto. Tale vincolo di destinazione è oggetto di specifica
obbligazione contrattuale al cui rispetto è reciprocamente tenuta ciascuna parte
aderente alla rete e, in virtù del rapporto gestorio lo stesso gestore del patrimonio
(normalmente l’organo comune). Un simile vincolo di destinazione acquista
rilevanza «esterna» solo nella misura in cui si riconosca al fondo comune natura di
patrimonio autonomo. La natura essenzialmente mutualistica di tale finalità porta a
interrogarsi sul tipo di utilità destinate ai partecipanti e, in particolare, sulla
possibilità di prevedere nell’ambito del contratto di rete una vera e propria
distribuzione di utili. Un primo ordine di ipotesi è quello in cui tali utilità abbiano ad
oggetto l’opportunità di acquisire fattori di maggiore competitività (es. informazioni,
conoscenze strategiche, contatti commerciali, ecc.), senza che per essi l’aderente
debba pagare un prezzo se non nei termini ampi del conferimento iniziale. I beni
prodotti dalla rete son in tal senso beni di natura collettiva ad accesso
tendenzialmente non escludibile all’interno del gruppo. In una seconda prospettiva,
non necessariamente alternativa alla prima, l’allocazione delle utilità potrebbe
riguardare l’economia degli scambi che gli aderenti decidano di gestire,
collettivamente o individualmente, per il tramite della rete (acquistando beni o
servizi dalla rete, ricorrendo ad essa come intermediaria o vendendo ad essa o per il
suo tramite beni o servizi prodotti). In questa ipotesi gli aderenti beneficeranno di
168
risparmi di spesa o di integrazioni dei corrispettivi rispetto alle normali condizioni di
mercato. Tali benefici potrebbero essere imputati al fondo comune e solo poi ripartiti
tra gli aderenti secondo criteri predeterminati nel contratto di rete, oppure essere
riconosciuti al singolo aderente a seguito della singola operazione, seppure
eventualmente a fronte di una parziale ritenuta a favore del fondo e a copertura dei
costi sopportati dalla rete. Si tratta di soluzioni operative già oggi conosciute nella
prassi consortile e in quella delle associazioni temporanee di imprese e delle joint
venture contrattuali. Problema distinto è se, in una terza prospettiva, il contratto di
rete possa prevedere una vera e propria distribuzione di utili, intesi non quali utilità
connesse alle singole operazioni compiute dalla o per il tramite della rete
nell’interesse degli aderenti o di alcuni di essi, ma come risultato patrimoniale della
gestione complessiva dell’attività. A tal proposito è utile ricordare che, con
riferimento al consorzio, parte della dottrina esclude tale possibilità facendo leva
proprio sulla natura della destinazione del patrimonio in quanto volta a promuovere
gli interessi patrimoniali (nonché la lucratività) delle impresse degli aderenti
nell’ambito del loro stesso patrimonio, senza che il consorzio possa realizzare utili in
senso tecnico. Alcuni indici normativi concorrerebbero a consolidare questa
posizione e in particolare l’art. 2609 c.c. là dove, secondo una certa interpretazione,
esclude che il consorziato recedente vanti diritti sulla propria quota di partecipazione.
Si tratta di argomentazioni che solo in parte possono estendersi al contratto di rete,
perché nel contratto di rete ancor più che nel consorzio, sembra difficile configurare
una vera e propria incompatibilità tra potenziamento dei fattori competitivi delle
rispettive imprese e produzione/distribuzione degli utili prodotti attraverso l’esercizio
dell’attività comune. Indubbiamente l’acquisizione del lucro non integra la causa del
contratto. Non sembra tuttavia potersi escludere che ne possa integrare un contenuto
eventuale, a discrezione delle parti, anche in ragione del programma di rete e della
natura dell’attività. Se ad esempio le parti volessero sviluppare un’attività di
sperimentazione di un nuovo materiale e tale attività portasse alla registrazione di un
brevetto, la cui commercializzazione generasse dei proventi, non si vede perché in
questa prospettiva le parti debbano costituire una società lucrativa per potersi
appropriare dei risultati dell’attività comune e non possano invece assegnare pari
diritti nell’ambito del contratto di rete. Peraltro, nulla esclude che nell’ambito del
169
contratto di rete esse preferiscano criteri di allocazione dei profitti diversi da quelli
normalmente usati in seno alle società capitalistiche.
4.3.5 Fondo comune e responsabilità patrimoniale
È con l’emendamento approvato da ultimo dal Parlamento che al contratto di rete è
stato assegnato un diverso regime di responsabilità patrimoniale, in chiara deroga
all’art. 2740 c.c. è stata così estesa al contratto di rete la disciplina del consorzio con
attività esterna, seppure nei limiti di un non altrimenti definito giudizio di
«compatibilità». L’applicazione dell’art. 2615 c.c., ove compatibile, comporta
l’istituzione di un doppio regime di responsabilità, a seconda che le persone che
hanno la rappresentanza della rete agiscano in nome e per conto di questa oppure per
conto dei singoli partecipanti. Nel primo caso il creditore può rivalersi sui soli beni
del fondo patrimoniale comune, salvo che i partecipanti abbiano assunto autonoma
obbligazione fideiussoria (come singoli e non come membri). Nel secondo caso,
invece, oltre al fondo patrimoniale comune risponde, ex lege, anche il partecipante
nel cui interesse l’atto fonte di obbligo è stato compiuto (si pensi agli obblighi
derivanti da un contratto di distribuzione stipulato per conto di un’impresa aderente
alla rete istituita per il procacciamento di canali di esportazione in determinati
mercati). L’ultima parte del secondo comma dell’art. 2615 c.c. prevede infine che, in
caso di insolvenza del singolo partecipante, dell’obbligo assunto per conto di costui
(e neppure soddisfatto sul fondo) rispondono tutti i partecipanti pro quota. Più
specificatamente, secondo un’accreditata ricostruzione, questi sarebbero tenuti pro
quota a risanare la consistenza del fondo fino a un livello tale che consenta
l’adempimento dell’obbligo inevaso.
4.3.6 Gli effetti patrimoniali del recesso e dello scioglimento della rete
Il comma 4-ter dell’art. 3, d.l. 5/09, non si occupa degli effetti patrimoniali del
recesso e dello scioglimento della rete. Né del resto determina le cause dell’una e
dell’altra forma di scioglimento del rapporto contrattuale, affidando al contratto di
rete la determinazione della durata del contratto e delle ipotesi di recesso. In assenza
di una esplicita disposizione contrattuale, sarebbe più difficile ammettere lo
scioglimento per deliberazione assunta a maggioranza. Ancora in base ai principi
170
generali si può concludere che il recesso individuale produce lo scioglimento del
contratto solo là dove la partecipazione del singolo sia in concreto essenziale alla sua
esecuzione. Proprio per prevenire questa situazione, le parti potrebbero assoggettare
il recesso individuale a limiti stringenti. Più difficile risulta colmare il silenzio
normativo relativo agli effetti patrimoniale dello scioglimento e a quelli del recesso
dalla rete. Ove si applichi l’art. 2614 c.c., gli aderenti non possono chiedere la
divisione del fondo nel corso della durata del contratto di rete. Tale divisione può
essere invece chiesta al momento dello scioglimento della rete e ad essa si
applicheranno le norme sulla divisione della comunione (art. 1113 ss. c.c.) nel caso
di rete meramente contrattuale e quelle proprie degli enti associativi per le retisoggetto.
4.3.7 L’istituzione di patrimoni destinati: una strada accessibile
Quale unica alternativa alla costituzione del fondo patrimoniale comune, la disciplina
del contratto di rete prevede la costituzione da parte di ciascun contraente di un
patrimonio destinato all’affare ai sensi dell’art. 2447-bis, co. 1, lett. a). Si tratta di
una soluzione destinata a trovare applicazione ai soli casi di reti costituite tra società
per azioni e comunque nei limiti, qualitativi e quantitativi, già previsti nella
disciplina sopra menzionata. Il che significa, ad esempio, che la dotazione
patrimoniale della rete dovrà rispettare la percentuale massima del 10%, quale ratio
legislativamente disposta tra il valore del patrimonio destinato e quello del
patrimonio netto di ciascuna società (art. 2447-bis, co. 2). Proprio perché la
costituzione del patrimonio destinato è adempimento dell’obbligo sostitutivo a quello
del conferimento, occorre ritenere che tale costituzione sia condizione se non per il
perfezionamento del contratto di rete, quanto meno per la sua esecuzione. Da tale
premessa deriva anche che l’aderente non possa liberamente estinguere il patrimonio
destinato permanendo all’interno della rete284. L’aspetto più delicato riguarda
senz’altro la natura «reale» della separazione e della destinazione patrimoniale nei
confronti dei terzi (in particolare i creditori), nonché l’opponibilità del collegamento
funzionale che ad esse si accompagna allo scopo di realizzare il programma di rete. È
utile precisare e premettere che, diversamente dal fondo patrimoniale comune, i beni
e i diritti imputati ai patrimoni destinati restano di pertinenza e proprietà delle singole
284
In un certo senso questo limite corrisponde a quello configurato dall’art. 2614, co. 1, c.c. in tema di
divieto di divisione del fondo in costanza di contratto.
171
imprese aderenti e non configurano alcun regime di comunione. La proprietà è
dunque individuale, ma la destinazione è rivolta alla soddisfazione di interessi
collettivi su base di reciprocità. Non configurandosi alcun patrimonio comune, che
possa assurgere a patrimonio autonomo, viene meno quella minima base concettuale
su cui poter provare a costruire i diversi indici della soggettività. La rete in esame è
dunque una rete puramente contrattuale cui si accompagna un sistema di patrimoni
destinati collegati tra loro ma di proprietà individuale. In base all’art. 2447-quinques
c.c., i creditori particolari della società aderente alla rete non potranno far valere i
propri diritti sul patrimonio destinato istituito dal proprio debitore (non potranno
farlo i creditori particolari degli altri aderenti). Più complessa è invece
l’interpretazione dell’art. 2447-quinques c.c. in tema di diritti dei creditori della rete:
per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare, infatti, tali creditori
possono soddisfarsi soltanto sul patrimonio separato.
4.4 Caso contratto di rete a Bologna: il Caso «RaceBO»
Nasce a Bologna il primo “contratto di rete” finora costituito in Italia tra aziende
manifatturiere. Ne sono protagoniste 11 piccole e medie imprese, tutte subfornitrici
delle case dell’automotive ed operanti nei diversi comparti della meccanica: dai
trattamenti dei metalli alle fusioni in leghe leggere, alle lavorazioni meccaniche di
precisione, alla carpenteria metallica, alla componentistica per telai e motori, alla
verniciatura.
Le 11 imprese hanno dato vita al comune marchio RaceBO – dove le parole Race e
Bo (la sigla di Bologna) sono contraddistinte dal rosso e dal nero, colori che
tipicamente richiamano l’universo dei motori e delle competizioni – pronte a
condividere informazioni commerciali; a programmare piani di promozione e vendita
comuni sui clienti esistenti e comuni alla rete, ma non solo; ad individuare nuove
opportunità di mercato sia sul comparto dell’automotive sia in altri; a mettere a
disposizione (grazie alla rete stessa) strutture e competenze volte anche al
raggiungimento della migliore efficienza.
L’accordo, siglato in base a quanto previsto dal cosiddetto “Decreto incentivi” (il n.5
del 2009) e dalla “Legge sviluppo” (l.99 del 2009) è destinato a fare da apripista per
altre analoghe iniziative nel nostro Paese.
172
In questo caso il fatto nuovo consiste da una parte nella forma giuridica assunta
dall’aggregazione, un atto pubblico che verrà iscritto nel Registro delle imprese,
dall’altra dal tipo di organizzazione, con tanto di CDA e fondo patrimoniale comune.
Mai ci si era spinti così avanti nello stringere i legami tra aziende manifatturiere
potenzialmente concorrenti tra loro, che invece uniscono le forze pur conservando la
loro individualità.
Le aziende di RaceBo che operano per l’automotive e non solo, rappresentano
l’eccellenza della motor valley bolognese. Aggregandosi le 11 aziende bolognesi
formano un nuovo soggetto produttivo forte di 600 addetti e circa 90 milioni di
fatturato complessivo. Una realtà che dispone di tutte le competenze specialistiche al
più alto livello per fornire componenti completi, dalla fusione alla verniciatura. Con
un unico interlocutore i clienti potranno risparmiare in tempo e costi, ottenendo un
servizio di più alta qualità.
Le 11 aziende protagoniste, nelle quali giocano un ruolo importante i giovani e le
donne, sono:
-
2 A Pulitura Metalli Srl 285(di Calderino): ha deciso di entrare in rete grazie
alla spinta di Barbara Angeli, figlia del titolare.
-
Cav. Leo Balestri SpA286 (di Montefredente): il Cav. Valentini, titolare della
società, ha apprezzato la novità organizzativa della proposta rafforzando così
285
L’azienda nasce nel 1972 ed opera nel settore della Lucidatura e Satinatura di metalli come acciaio,
alluminio, ferro, ottone, ecc. L’alta automazione, garantita dalle più moderne macchine a controllo
numerico e isole robotizzate, rende ogni lavorazione professionale, rapida e completa in ogni suo
particolare. I tempi di consegna risultano pertanto assai veloci ed ogni commissione finita risulterà
pronta per una perfetta verniciatura e per ogni brillante trattamento galvanico. L’azienda si rivolge ai
costruttori di cicli e motocicli, produttori di macchine automatiche, fabbricanti di articoli casalinghi,
fabbricanti di serramenti metallici, aziende che producono rubinetteria, qualsiasi realtà produttiva che
necessita un procedimento di lucidatura o satinatura.
286
L’azienda nasce nel febbraio 1954 ad opera dell’ingegno di Leo Balestri. Dopo un brevissimo
periodo di attività, quasi artigianale nel centro di Bologna, viene edificato lo stabile delle allora
“Officine Balestri” nel piccolo centro montano di Piano del Voglio nel cuore dell’appennino ToscoEmiliano. Il lavoro iniziò un anno prima dell’apertura dei cantieri autostradali della A1 e vennero in
breve tempo già impiegate 80 maestranze, dando un determinato contributo al problema
occupazionale del piccolo paese. Leo Balestri ebbe grande soddisfazioni dalla sua innovativa attività:
venne in un primo tempo riconosciuto Cavaliere de Lavoro ed infine Commendatore. Dalla sua
officina uscirono molti operai che con il bagaglio di conoscenze acquisite durante parecchi anni di
lavoro, fondarono altre aziende operanti nel medesimo settore o settori. Nel settembre dell’anno 2000
è stata inaugurata la nuova struttura in un ampio capannone di 2.500 mq, sorta in un comprensorio
industriale nei pressi di Piano del Voglio. La progettazione della nuova sede della ditta Balestri SpA è
partita dal dato fondamentale che la produzione si articola in diverse attività e relativi reparti ben
distinti tra loro ma interconnessi nel ciclo produttivo completo. Tali attività specifiche sono:
ossidazione dell’alluminio, stampa serigrafica, lavorazione meccanica di targhe e pannelli. Il criterio
173
alcuni rapporti già esistenti e con il convincimento di svilupparsi
ulteriormente grazie all’appoggio e agli scambi di rete.
-
Fonderia Scacchetti Leghe Leggere Srl287 (di San Felice sul Panaro):
Marco Battimani, giovane imprenditore modenese, l’unico non bolognese del
gruppo, ha colto l’opportunità di entrare nella rete per sostenere progetti di
crescita e di maggior efficienza nelle relazioni committente-subfornitori.
-
FXT SpA288 (di Sala Bolognese) e Icos di Leonelli Marino SpA 289 (di Zola
Predosa): anche se in parte concorrenti sul mercato, i due giovani
basilare nella progettazione è stato quindi quello di cercare di ottenere la massima autonomia dei vari
reparti e contemporaneamente la loro totale integrazione.
287
L’azienda nasce valorizzando il patrimonio di conoscenze ed esperienza di un gruppo di tecnici
presenti nel mercato delle fusioni di leghe leggere da più di 30 anni. Nell’ultimo trentennio nella
Fonderia Scacchetti sono poi confluite culture e professionalità di diversa matrice: tecnica,
metodistica e gestionale. È appunto dall’equilibrio di caratteristiche ed elementi all’apparenza
antitetici quali esperienza e innovazione, centralità dell’uomo e utilizzo di sofisticate tecnologie, che
l’azienda ha tratto la forza propulsiva per un costante sviluppo quantitativo e un continuo
miglioramento qualitativo. I principali settori in cui opera l’azienda sono: automobilistico,
motociclistico, motoristico, aerospaziale, nautico, elettromeccanico, biomedicale, settore corse, tessile,
elettronico, packaging, ricambistica, contatori volumetrici, ricerca e sperimentazione.
288
L’azienda, attraverso a propria organizzazione e l’alta tecnologia dei propri macchinari, offre un
ciclo completo di lavorazioni per soddisfare, in tempi brevi, le esigenze della clientela. I prodotti
realizzati sono estremamente complessi e ad alto contenuto tecnologico. La qualità e la precisione
sono requisiti caratteristici del processo produttivo che comprende la costruzione di prototipi e la
fornitura completa di qualsiasi tipo di manufatto in acciaio comune, acciaio inossidabile, in lega di
alluminio, in ottone, ecc. completo di trattamenti superficiali e verniciature. Si avvale della
collaborazione di aziende esterne (per tornitura, fresatura, alesatura, trattamenti termici, galvanici,
verniciature, finiture superficiali), proponendosi nella veste di “capo commessa” sollevando l’ufficio
acquisti del cliente da oneri di gestione delle lavorazioni. Il magazzino automatico permette di
alimentare tutti gli impianti produttivi, sia con materia prima che con materiale semilavorato. Ha una
capacità di 600 postazioni con portata di kg 3.000 cad. Permette lo stoccaggio di una vasta gamma di
lamiere, di diversa qualità e dimensione, che consente di rispondere con tempestività ad ogni richiesta
del cliente. L’utilizzo della tecnologia combinata garantisce una produttività elevata per pezzi
complessi. Consente di eseguire operazioni in modo rapido e con grande precisione. È in grado di
riunire intelligentemente tecnologie diverse nella lavorazione del pezzo singolo in un’unica presa.
Permette diversi tipi di lavorazione come: contornatura, foratura, estrusione e filettatura. Le
lavorazioni sono supportate da un dispositivo automatico di alimentazione della materia prima e di
scarico dei semilavorati e degli sfridi. La presenza di tale dispositivo automatico rende l’impianto in
grado di lavorare senza presidio.
289
Presente sul mercato dal 1950, I.C.O.S. di Leonelli Marino S.p.A. fornisce la propria consolidata
esperienza come azienda di subfornitura nel settore della lavorazione delle lamiere e dei componenti
meccanici di precisione e si propone per garantire la migliore soluzione tecnico-produttiva atta a
soddisfare le più svariate ed esigenti richieste della clientela. I.C.O.S. possiede un Sistema di Gestione
della Qualità dell’Azienda certificato già dall’anno 1998, conforme alla norma UNI EN ISO
9001:2008. Ubicata nella Zona Industriale di Zola Predosa, nella prima periferia di Bologna, esercita
la propria attività su un suolo di circa 8.000 mq; di cui 4.200 mq coperti, operando in stretta
collaborazione con le ditte più qualificate dell’hinterland. Grazie all’ausilio di macchinari di avanzata
tecnologia e di personale professionalmente qualificato e aggiornato, l’Azienda fornisce un’ampia
gamma di soluzioni per la lavorazione dei laminati metallici, applicabili alla realizzazione di
molteplici particolari per i più svariati settori merceologici. Dotata di Reparto Attrezzeria interno,
offre un’approfondita competenza ed esperienza per la progettazione e realizzazione di stampi per la
174
imprenditori hanno deciso di entrare a far aprte della rete, limitandosi
contrattualmente alle rispettive produzioni e integrando le stesse.
-
Rabbi Sergio & C. Costruzione Ingranaggi Snc290 (di Zola Predosa),
S.A.I.FRA Sas291 (di Granarolo dell’Emilia), Rifimpress Srl292 (di Castel
tranciatura, stampaggio ed imbutitura delle lamiere e rappresenta una garanzia per la manutenzione ed
efficienza delle attrezzature in produzione nell’adiacente reparto Presse/Stampaggio metalli.
Avvalendosi di un organico di oltre 50 dipendenti I.C.O.S. è in grado di offrire varie tecnologie per la
realizzazione del ciclo produttivo più idoneo alle richieste di fornitura, dal prototipo alla produzione di
medie e grandi serie, con un fatturato annuo di € 6.000.000,00 ca.
290
Azienda costruttrice di ingranaggi dal 1953, specializzata in campionature prototipi piccole serie
d’ingranaggi e di viti senza fine. Costruzioni d’ingranaggi su disegno e/o campione. Costruzione e
lavorazione per conto terzi di ingranaggi a modulo, con dentature esterne diritte ed elicoidali con
profilo rasato o rettificato. Ingranaggi con dentature interne diritte. Alberi scanalati. Corone per viti
senza fine. Corone a gola. Coppie vite s.f./corona. Corone tagliate anche con ferro a mosca. Filettatura
viti trapezoidali (TPN). Ruote con dentatura per catene a rullo. Brocciatura e stozzatura. Costruzioni
di ricambio d’auto e moto d’epoca.
291
La S.A.I.FRA nata nel 1978 per opera dei soci fondatori, dispone di un background ventennale
nella costruzione a disegno di utensili speciali. Il carattere fortemente innovativo che ha sempre
contraddistinto l’azienda, ha portato un riscontro positivo anche nella costruzione di utensili standard
e di grossi lotti. La continua ricerca di nuove tecnologie, uno staff tecnico altamente qualificato, un
efficiente servizio di consulenza e l’attenta scelta dei fornitori, hanno consentito a S.A.I.FRA di
diventare un partner conosciuto ed affidabile. Grazie anche al parco macchine utensili
tecnologicamente avanzato, i suoi prodotti garantiscono performance eccezionali sia a livello di
finitura che di durata, mantenendo un rapporto qualità prezzo altamente competitivo. La produzione è
destinata a vari settori: industria, aeronautica, motoristica, meccanica di precisione, oleodinamica,
oreficeria e per tutte le lavorazioni con asportazione del trucciolo. Inoltre per la propria clientela
S.A.I.FRA ha organizzato anche il servizio Recoating.
292
La RIFIMPRESS SRL nasce il 6 marzo 1984. Azienda giovane, in decisa espansione che si impone
in poco tempo sul mercato nazionale ed estero. L’obiettivo dell’azienda è sempre stato il continuo
aggiornamento delle nuove tecnologie ed il costante miglioramento e potenziamento dei propri
impianti. Quest’aspetto tecnologico è molto avanzato e costituisce la caratteristica principale
dell’azienda. La nota di continuità rimane, infatti, una forte propensione alla versatilità che ha come
obiettivo principale la soddisfazione del cliente. La filosofia aziendale pone le sue basi su semplici ma
essenziali concetti: tecnologia, qualità e rispetto dell’ambiente in una nuova ottica che vede la
fonderia come una realtà moderna ed altamente qualificata. Attualmente RIFIMPRESS S.r.l. che
comprende una superficie di 10.000 mq di cui 7.500 coperti, è composta da 600 mq di uffici, 3.000
mq di area produttiva, 1.000 mq di magazzino, 400 mq di attrezzeria e 2.500 mq per le lavorazioni
meccaniche, assemblaggio e finitura. RIFIMPRESS S.r.l. è in grado di fornire al cliente un prodotto
completo dal progetto alla produzione attraverso i vari stadi fino alla consegna del pezzo finito
fornendo assistenza ai propri clienti per ottimizzare in termini qualitativi ed economici tutte le fasi. È
una delle pochissime fonderie italiane in grado di realizzare getti presso fusi in leghe di magnesio.
Questo particolare processo produttivo è notoriamente molto difficile e delicato ma, data la particolare
leggerezza del prodotto, si ritiene possa avere un grosso sviluppo nell’immediato futuro delle industrie
del motociclo, ciclo ed auto. È in virtù di questa particolare prerogativa che l’azienda annovera fra i
propri clienti le case BMW, MERCEDES, DUCATI e KTLM, oltre a fornire componenti d’alto
pregio ad aziende leader nei più svariati settori merceologici. La qualità è uno degli elementi
predominanti della filosofia produttiva della RIFIMPRESS S.r.l. Certificata dal 2000 la ditta lavora
costantemente per aggiornare e migliorare il suo reparto di controllo e prevenzione. Ogni fase del
processo produttivo, dall’entrata della materia prima, passando per la produzione fino alle operazioni
post-colata, è monitorata e controllata per garantire la conformità del prodotto alle esigenze del
cliente.
175
San Pietro Terme). Le imprenditrici rappresentano l’anima femminile della
rete stessa nei comparti degli ingranaggi, utensili e pressofusioni.
-
l’ing. Accorsi di Siderit Srl293 (di Zola Predosa) e Verniciatura Bolognese
Srl294 (di Zola Predosa), quest’ultima neo iscritta ad Unindustria, fortemente
hanno accettato la sfida di lavorare in gruppo anche per esplorare nuovi
mercati e nuovi clienti.
-
infine, il perno centrale, è la VRM S.p.A295 (di Zola Predosa)
293
SIDERIT opera nel campo dei servizi dei trattamenti termici e termochimici per conto terzi su
materiali metallici grezzi e lavorati. La fornitura di un servizio personalizzato alle esigenze del cliente,
l’intraprendenza, la determinazione e l’innovazione son i driver che hanno guidato l’azienda a
collocarsi come leader nel proprio settore. Oggi il consolidamento, la crescita e l’ampliamento del
servizio esistente fino al raggiungimento di livelli di eccellenza e la leadership sui mercati
rappresentano la sfida fondamentale di SIDERIT. SIDERIT opera affinché questo impegno avvenga
nel medio e lungo termine, in condizioni di armonia ed equilibrio interno ed esterno all’azienda,
attraverso la valorizzazione dei rapporti con i clienti e lo sviluppo professionale di dipendenti e
collaboratori. Nel vasto campo delle tecnologie meccaniche la parte riguardante i trattamenti termici
assume sempre un maggiore interesse per le crescenti esigenze richieste dai materiali impiegati.
Progettisti e costruttori si trovano spesso di fronte al notevole problema della scelta degli acciai dei
materiali in genere che debbono rispondere a particolari condizioni tecnologiche e di durata non
trascurando il fattore economico. È in questo contesto che dal 1964 opera la SIDERIT a fianco del
cliente fino a diventare azienda di punta del gruppo Proterm S.p.A, nel 1983. Fanno parte del gruppo
Proterm: SIDERIT di Zola Predosa, SITFA di Bologna, SET di Reggio Emilia, GENERAL
TEMPERING di Pesaro e HT di Castello d’Argile (BO).
294
Fondata nel 1960 come ditta individuale e diventata Verniciatura Bolognese S.r.l. nel 1981,
l’azienda risulta oggi una delle principali realtà aziendali del proprio settore a livello nazionale. Tale
collocazione è frutto di un’attenta combinazione di adeguamento tecnologico degli impianti, costante
ricerca di nuove soluzioni di verniciatura, crescita professionale guidata di tutto il personale. La
filosofia aziendale, rivolta a perseguire la continua soddisfazione del cliente, ha motivato la società
alla destinazione di impianti pilota, alla sperimentazione di nuove soluzioni e allo studio del costante
miglioramento dei propri processi. La grande capacità produttiva e l’elevato standard qualitativo
hanno permesso alla Verniciatura Bolognese S.r.l. di acquistare negli anni numerosi e prestigiosi
clienti fra i quali spiccano: Malaguti, Ducati Motor, Betamotor e Yamaha per il settore motociclo;
Saeco e Synudine per gli elettrodomestici. L’attuale produzione è strutturata su quattro impianti che
oltre ad essere di eccellente livello tecnologico (cabine di verniciatura pressurizzate, robots di
verniciatura…) sono diversificati in funzione del tipo di produzione: Verniciatura a polvere (corona
e tribo) e Verniciatura a liquido (anche elettrostatica). Tutte le linee di produzione, disposte in un
edificio di circa 7.300 mq, sono dotate delle strutture necessarie ai pretrattamenti superficiali di
sgrassaggio (acido o alcalino) e fosfatazione ai Sali di ferro con controllo in continuo dei parametri
chimici e fisici. Internamente vengono eseguite anche lavorazioni di sabbiatura con granigliatrice in
acciaio sferico.
295
La VRM S.p.A. nasce nel 1994 attraverso l’apporto di competenze professionali che da decenni
operavano nello specifico settore della telaistica motociclistica. Oggi si può contare su una superficie
produttiva di 18.000 mq di cui 10.000 coperti distribuiti su 2 siti a Zola Predosa (BO) e a Formigine
(MO). Le attività si sviluppano principalmente in : progettazione, costruzione, realizzazione di
prototipi; progettazione, realizzazione attrezzature di lavorazione; lavorazioni meccaniche di
precisione sia su componenti in alluminio che magnesio e acciaio; fornitura di particolari di assieme
già premontati o montati. La costanza, l’impegno e la passione per il lavoro hanno permesso
all’azienda di raggiungere ambiziosi e qualificati obiettivi. Uno dei principali punti di forza è la
conoscenza tecnologica delle lavorazioni dei materiali, dall’acciaio alle leghe leggere e al magnesio.
Ma non basta: l’azienda ha contribuito al successo di prestigiose aziende multinazionali leader di
mercato e presenti nel settore automotive. Tutto ciò grazie ad una rete di partners affidabili e
176
4.5 CONCLUSIONI
La nuova disciplina sul contratto di rete costituisce certo un passo rilevante verso un
nuovo quadro normativo, seppure con i limiti rilevati. Essa rappresenta un primo,
significativo ma incompleto riconoscimento della necessità di un intervento
legislativo di carattere civilistico in materia di reti di imprese. Il contratto di rete
innova rispetto ai modelli esistenti. Esso non aggiunge un nuovo tipo contrattuale ma
si propone di offrire una disciplina generale. Costituisce uno strumento orizzontale
rispetto alle diverse tipologie di rete che le imprese desiderano creare. Si tratta di un
contratto transtipico in grado di assolvere simultaneamente a diverse funzioni di
governo della filiera. La collaborazione tra imprese di diversa dimensione può
costituire uno strumento di crescita e competitività di un sistema produttivo
caratterizzato da un elevata frammentazione proprietaria. Una strategia di crescita
deve necessariamente contemplare sia il versante societario che quello contrattuale se
si vuole dare alle forme ibride un sistema di governance adeguato alle esigenze di
flessibilità produttive richieste dalla concorrenza internazionale. Tali modelli non
sono necessari solo allo svolgimento di attività produttiva ma consentono anche un
migliore accesso al credito e dunque migliori capacità di etero - finanziamento. La
nuova disciplina consente l’impiego di diversi modelli di contratto di rete, privi o
dotati di soggettività, almeno parziale nei limiti definiti dall’esistenza di un fondo
patrimoniale comune e di una responsabilità patrimoniale come quella designata
dall’art. 2615 c.c. in materia consortile. Le reti di impresa hanno infatti
caratteristiche molto diverse che vanno da relazioni puramente mutualistiche fino a
relazioni che si costituiscono per rispondere ad esigenze provenienti da terzi, siano
essi privati od amministrazioni pubbliche. Tali modelli contrattuali hanno diverse
caratteristiche sul piano proprietario. Il diverso rilievo dei terzi nelle motivazioni che
inducono alla costituzione della rete incide sia sul piano della governance che su
quello della responsabilità patrimoniale. Una caratteristica comune a tutti i modelli è
rappresentata dal riconoscimento di un interesse collettivo accanto agli interessi
qualificati. La filiera produttiva, interamente italiana, può contare su una serie di fornitori e aziende
collegate che, in comakership, seguono tutto il processo e garantiscono qualità di prodotto e logistica
industriale evoluta oltre a puntualità nelle consegne.
177
individuali. Sebbene questo emerga implicitamente, sarebbe opportuno esplicitarlo
nel testo legislativo con un intervento integrativo.
178
CAPITOLO QUINTO
IL SETTORE MOTORISTICO BOLOGNESE
5.1 Reti di imprese e sistema economico locale. Industria meccanica
e comparto motoristico a Bologna (1919-1971)
È ormai acquisizione consolidata della storiografia l’idea che l’industrializzazione
rappresenti il risultato finale di una molteplicità di processi di sviluppo, di forme
diverse di organizzazione produttiva, non solo in successione tra loro ma anche in
parte coesistenti
296
. Il concetto di «industrializzazione diffusa» è stato efficacemente
utilizzato per descrivere in particolare il caso emiliano - romagnolo di sviluppo
industriale, con la presenza di un vitale tessuto di piccole e medie imprese in grado di
rispondere flessibilmente alle variazioni della domanda297. Si tratta di un modello che
affonderebbe le sue radici in alcune strutture sociali o tradizioni rurali e artigianali
locali, trovando prevalentemente negli elementi endogeni alle comunità i fattori
principali del suo successo.
Il caso bolognese presenta certamente molte delle caratteristiche che normalmente
identificano la natura dei distretti industriali; tuttavia esso non può essere fatto
rientrare nell’ambito della classica definizione marshalliana, data l’estrema
diversificazione della produzione, la complessità e molteplicità di elementi che
compongono l’identità locale, le forti tradizioni cittadine preindustriali 298. Sembra
perciò più appropriato parlare, di un «percorso cittadino» all’industrializzazione
diffusa, sensibilmente differente da quelli già studiati dalla storiografia e strettamente
legati alle strutture delle comunità rurali, e che trova in alcuni fattori tipicamente
urbani le origini della proliferazione delle iniziative imprenditoriali: il ruolo delle
istituzioni locali (nella predisposizione di servizi, infrastrutture, istruzione tecnica),
296
Comunità di Imprese. Sistemi locali in Italia tra Ottocento e Novecento a cura di Franco Amatori e
Andrea Colli, Il Mulino.
297
V. Zamagni, Una vocazione industriale diffusa, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Italia ad oggi,
L’Emilia Romagna, a cura di R. Finzi, Torino, 1997.
298
G. Becattini, Riflessioni sul distretto industriale marshalliano come concetto socio-economico, in
«Stato e mercato», n. 25, aprile 1989, pp. 111-128.
179
la tradizione artigianale cittadina, la funzione delle imprese maggiori 299. Si cercherà
di avanzare alcune ipotesi sui caratteri peculiari di questa «via cittadina»
all’industrializzazione diffusa, ponendo principalmente attenzione al sistema
economico locale nel suo complesso. Viene privilegiata l’ottica delle relazioni e dei
meccanismi di «coordinamento» tra i diversi soggetti del sistema, che hanno
consentito a imprese di piccola e media dimensione di affermarsi sui mercati
nazionali e internazionali, all’interno di una struttura complessa che può essere
definita come una «rete di imprese».
L’analisi storica della formazione, sviluppo e declino dell’industria motociclistica
bolognese ha consentito di mettere a fuoco alcuni problemi di carattere generale,
relativi ai fattori antropologici, culturali e sociali che rendono possibile il
coordinamento di un sistema diffuso di piccole imprese, concernenti altresì la
presenza di grandi imprese in una comunità di natura distrettuale, o la funzione delle
crisi esterne e dei processi di deindustrializzazione nella tenuta complessiva del
sistema. Dalla ricerca è emersa una peculiare struttura del comparto studiato,
descrivibile come una rete di unità produttive di dimensioni generalmente piccole,
caratterizzata dall’esistenza di stretti rapporti informali e da processi di generazione
continua di nuove aziende da alcune imprese originarie. Il prodotto finale è il frutto
di un’organizzazione del lavoro di tipo cooperativo tra diverse aziende, che consente
anche a piccole unità artigianali ed industriali di immettersi agevolmente sul
mercato, attingendo risorse da un fitto tessuto di imprese specializzate in grado di
compiere accurate lavorazioni di precisione e di fornire prodotti di alta qualità. La
più grande impresa bolognese del settore, la Ducati, che sembra a prima vista
assumere una collocazione a parte in questo sistema per la sua dimensione e
organizzazione produttiva, in realtà rappresenta un grande snodo per tutta la
meccanica bolognese, nella formazione di competenze tecniche e nuove iniziative
imprenditoriali.
Il settore studiato appare anche un interessante caso di declino di un sistema di
piccole imprese. La «crisi» dell’industria motociclistica bolognese, dalla fine degli
anni Sessanta, sembra evidenziare i limiti dello sviluppo legato a quel particolare
modello di organizzazione produttiva, ma uno sguardo più attento al sistema
299
A. Alaimo, Small Manufacturing Firms and Local Productive Systems in Modern Italy, in Small
Firms, Large Concerns, a cura di K. Odaka e M. Sawai, Oxford, 1999.
180
economico locale nel suo complesso induce ad attenuare tale giudizio. Emerge infatti
la funzione fondamentale assunta da questo comparto, negli anni del miracolo
economico, nella diffusione di specializzazioni e nel rafforzamento di strutture
produttive del sistema locale che si renderanno poi disponibili per nuovi orientamenti
produttivi. Lo sviluppo del settore ha alimentato ulteriormente il tessuto delle piccole
e medie imprese locali, permettendo a molti soggetti coinvolti nella «rete» di
mantenersi agganciati alla domanda internazionale ed al progresso tecnologico,
favorendo la circolazione delle competenze tecniche e la crescita di nuove
professionalità imprenditoriali.
5.2 Ritmi e caratteri dell’industrializzazione a Bologna: la vocazione
alla piccola impresa.
L’analisi dei dati dei censimenti, consente di delineare un’immagine complessiva del
processo di industrializzazione a Bologna nel corso del Novecento, mettendone in
evidenza caratteristiche strutturali, momenti di accelerazione e di rallentamento
300
. Il
trend della «natalità» delle iniziative industriali e della crescita dell’occupazione
manifatturiera a Bologna conosce tre momenti di accelerazione nell’età giolittiana,
nella seconda metà degli anni Trenta, e nel decennio 1951-1961. Il decollo del
periodo giolittiano, quale emerge dal confronto tra i dati raccolti dalla Camera di
commercio sugli addetti all’industria nel 1903 (13.847) e quelli rilevati dal primo
censimento industriale del 1911 (38.631)301, riguarda soprattutto i settori
metalmeccanico (produzione di macchine per l’agricoltura, motrici, caldaie a vapore
e macchinari vari, turbine idrauliche, gabbioni in ferro), alimentare (pastifici, mulini,
brillatoi di riso, salumifici, settore dolciario e liquoristico, conserve) e chimico
(candele e saponi, prodotti chimico-farmaceutici)302. Anche in seguito a tale
accelerazione però, il volto della provincia di Bologna appariva ancora decisamente
agricolo verso la metà degli anni Venti, tale anzi da suggerire agli osservatori
economici l’esistenza di una supposta «vocazione agricola» e di insuperabili
300
Comunità di Imprese. Sistemi locali in Italia tra Ottocento e Novecento a cura di Franco Amatori e
Andrea Colli, Il Mulino.
301
V. Zamagni, L’economia, in Bologna, a cura di Renato Zangheri, Roma - Bari, 1986, pp. 258-259.
302
A. Berselli, I protagonisti dello sviluppo industriale, in Bologna 1937-1957 Cinquant’anni di vita
economica, a cura di F. Gobbo, Bologna, 1987, pp. 127-132.
181
controindicazioni allo sviluppo industriale303. Occorre ricordare che proprio in questi
anni, dopo la prima guerra mondiale, si costituisce o si rafforza un gruppo di medie
imprese che costituirà l’ossatura fondamentale della struttura industriale bolognese.
Nel contesto del mercato protetto dell’autarchia e della mobilitazione dell’industria
bellica, che pongono fine agli effetti della crisi del 1929, si colloca una nuova
consistente accelerazione del processo di creazione di nuove unità produttive e
crescita dell’occupazione industriale a Bologna.
Tra i due censimenti del 1927 e del 1938 gli addetti all’industria in provincia
aumentano del 36,2% (da 57.862 a 78.834), mentre le unità locali censite
complessivamente passano da 9.759 a 15.994304.
Ne risulta rafforzata soprattutto l’industria meccanica, che incrementa dell’83,8% la
propria occupazione (da 11.793 a 21.682 addetti) diventando il principale comparto
dell’industria bolognese (la sua quota di addetti rispetto al totale cresce dal 18,5% nel
1911 al 20,4% nel 1927, al 27,5% nel 1938). Le produzioni nelle quali si sviluppano
le iniziative più significative, in continuità con gli anni Venti, sono relative alla
motoristica (carburatori, automobili, candele, motocicli) e radioelettrica, alle
macchine industriali, alle macchine automatiche confezionatrici ed incartatrici,
all’elettromeccanica, agli infissi; al di fuori della meccanica, ai settori alimentare e
calzaturiero305.
I dati del censimento del 1951 registrano una significativa flessione rispetto alla
rilevazione precedente – le unità locali diminuiscono a 13.280 e gli addetti a 74.834
(-5,1%) - , soprattutto a causa dei problemi della ricostruzione e del
ridimensionamento degli impianti coinvolti nell’organizzazione dell’industria bellica.
Le fonti segnalano una particolare difficoltà e lentezza del sistema produttivo locale
a riprendersi dai danni e dalle conseguenze economiche del periodo bellico, che si
riflette soprattutto nell’appesantimento dei bilanci delle aziende e nella diminuzione
di addetti delle imprese maggiori, tanto da spingere gli osservatori a parlare di arresto
303
Camera di commercio e industria della provincia di Bologna, Cenno storico sulla Camera di
commercio e industria di Bologna e caratteristiche economiche del distretto camerale, Bologna,
1924.
304
Dati estratti e rielaborati da V. Zamagni, L’economia.
305
Un’analisi dettagliata della vita economica bolognese e dello sviluppo dei diversi settori produttivi
negli anni Trenta viene svolta in: Consiglio provinciale dell’economia corporativa di Bologna, Annali
di statistica 1930-1933, Bologna, 1930-1933 e Id., La provincia di Bologna nell’anno X, Bologna,
1932.
182
del processo di industrializzazione nella provincia di Bologna 306. La pesantezza
della vita economica provinciale, dal punto di vista della natalità di nuove imprese,
sembra protrarsi fino ai primi anni Cinquanta; tuttavia gli indici economici
provinciali del 1951 indicano già il raggiungimento dei livelli produttivi prebellici 307.
Il momento decisivo nel processo di industrializzazione bolognese si deve pertanto
collocare negli anni successivi. Con le rilevazioni censuarie del 1961, per la prima
volta gli addetti all’industria superano quelli dell’agricoltura (40,4% contro 23,3%,
mentre ancora nel 1951 il settore primario occupava il 38,0% della popolazione
contro il 30,9%, e nel 1936 il rapporto era nettamente favorevole all’agricoltura) 308.
Il decennio tra il 1951 ed il 1961 rappresenta il momento di massima accelerazione
dello sviluppo industriale in provincia, quando gli addetti al settore secondario
aumentano del 70,9% (passando a 127.877, mentre le unità locali passano a 21.060).
L’industria meccanica conferma il proprio ruolo trainante, aumentando la quota di
addetti sul totale della manodopera industriale dal 29,9% al 33,8%, con un
incremento assoluto del 93,1% (da 22.404 a 43.263 addetti, mentre le unità locali
passano da 3.000 a 4.813). Nel decennio 1961-1967 la struttura industriale bolognese
si rafforza ancora, con un tasso di crescita consistente ma meno elevato del decennio
precedente; gli addetti passano a 156.278 (+22,2%) mentre le unità locali a 25.501.
I comparti più dinamici del settore meccanico, negli anni del <<miracolo
economico>>, riguardano in sostanza le specializzazioni produttive che si erano già
delineate tra le due guerre, e che ora conoscono un grande sviluppo grazie
all’espansione dei consumi e all’apertura dei mercati internazionali: le macchine
automatiche incartatrici, la motoristica, le macchine utensili, l’elettronica e
l’elettromeccanica, le macchine per l’industria alimentare e per l’agricoltura 309. Ma il
grande sviluppo del sistema produttivo locale in questi anni ricopre una straordinaria
varietà di produzioni, non prive di collegamenti tra loro e soprattutto con l’asse
306
Associazione industriali della provincia di Bologna, Relazione del Consiglio direttivo
all’Assemblea generale, 1952, Bologna, 1952; E. Bassanelli, Fase di assestamento nell’industria
bolognese, in «La mercanzia», dicembre 1954, pp. 21-23 e E. Bonazzi, Prospettive dell’industria a
Bologna, in «Emilia», ottobre 1954, pp. 311-317.
307
Camera di commercio, industria e agricoltura di Bologna, Indici della ricostruzione nella provincia
di Bologna, Bologna, 1951.
308
Istat, Censimento generale della popolazione. Provincie, anni 1951 e 1961.
309
Viat, Evoluzione e validità dell’industria meccanica bolognese, in <<La mercanzia>>, n. 11, 1966;
E. Astorri Focacci, Nove anni di vita del settore metalmeccanico a Bologna e provincia, in <<La
mercanzia>>, n. 4 e n. 5, 1968.
183
portante dell’industria meccanica: si va dal calzaturiero all’alimentare (liquoristica,
conserviero, carni insaccate), dall’arredamento (metallico e in legno) alle serramenta
e infissi, dalla cartotecnica all’industria poligrafica, dalla lavorazione dei minerali
non metalliferi all’industria chimica. Alla metà degli anni Sessanta le caratteristiche
della «flessibilità» e della «specializzazione» delle piccole e medie aziende locali
apparivano come le ricette fondamentali del miracolo economico bolognese, le quali
avevano saputo assicurare solidità ed aggiornamento tecnologico alla struttura
industriale locale e, contemporaneamente, una grande facilità di adattamento alle
esigenze contingenti del mercato passando rapidamente da un tipo di produzione ad
un altro. La vocazione alla piccola industria come dato costante dello sviluppo
industriale bolognese è confermata dai dati censuari relativi alla ripartizione di
addetti tra le diverse classi di impresa. Le piccole e medie imprese occupano la quasi
totalità della manodopera industriale in provincia per tutto l’arco di tempo
considerato.
Le aziende con meno di 50 addetti occupano costantemente, tra il 1927 ed il 1971, la
maggioranza degli addetti all’industria (58% nel 1927 e 54% nel 1971), mentre la
quota occupata in unità di meno di 500 addetti rappresenta la quasi totalità della
manodopera industriale, oscillando tra l’85% e il 90%. Si può al massimo rilevare
una tendenza alla diminuzione della quota di addetti alle imprese più piccole fino a
10 dipendenti e all’aumento della fascia delle imprese medie tra 101 e 500 addetti,
che nell’arco di tempo considerato incrementano la propria quota sul totale
dell’occupazione industriale dal 17 al 25%.
Rispetto a questa tendenza, solo i dati censuari della fine degli anni Trenta sembrano
mostrare un processo di crescita della concentrazione di addetti nelle aziende
maggiori, che le rilevazioni successive non confermano.
Risulta interessante una comparazione di questi dati con quelli nazionali. Troviamo
infatti che mentre la tendenza alla creazione di sistemi di piccole imprese – quelli che
gli autori chiamano «predistretti» - conosce una significativa evoluzione sul piano
nazionale accrescendosi considerevolmente, a Bologna la struttura portante centrata
sulla piccola impresa costituisce un dato costante del sistema economico locale, già
ben definito fin dagli esordi dell’industrializzazione. Anche se si considera il settore
meccanico, i dati censuari rilevano la costante prevalenza delle piccole e medie
184
imprese sul totale dell’occupazione (fra il 60-70% in aziende con meno di 100
addetti, e attorno al 90% in aziende con meno di 500 addetti), con una identica
tendenza alla diminuzione della quota delle aziende piccolissime ed un incremento di
quelle medie. Si riscontra peraltro una tendenza lievemente più consistente alla
concentrazione nelle imprese più grandi, ed una più rimarcata accentuazione
dell’eccezionalità del dato del 1937 (con il 62% degli addetti occupati in imprese con
più di 100 dipendenti, e il 40% in imprese con più di 500 dipendenti).
Se si volge lo sguardo ad altri settori portanti del processo di industrializzazione
bolognese, si nota che la prevalente distribuzione di addetti nelle aziende piccole e
piccolissime è un dato costante del sistema economico locale, con una particolare
accentuazione nei comparti dell’abbigliamento, del tessile e del calzaturiero.
Le caratteristiche del sistema economico locale sono state descritte in termini
generali da alcuni contributi storiografici con il concetto di «specializzazione
flessibile»: un tessuto di numerose piccole e medie imprese, modernamente
attrezzate, dedicate a produzioni specializzate di beni in piccola serie o
tendenzialmente personalizzati, di alta qualità ed accuratezza di lavorazione, e con
una grande flessibilità di orientamento produttivo e di organizzazione del lavoro 310.
In questo modo le singole aziende si caratterizzano per una ampia gamma di
produzioni e per la possibilità di rispondere flessibilmente alle richieste dei clienti ed
ai mutamenti del mercato, cambiando rapidamente i propri indirizzi e sopravvivendo
alle crisi congiunturali. La mancanza di una rigida separazione tra lavoro esecutivo e
fase di progettazione favorisce questa flessibilità consentendo ampi margini di
iniziativa autonoma e di partecipazione all’organizzazione produttiva agli operai più
capaci311. Ciò facilita anche la proliferazione di nuove iniziative e i passaggi dal
lavoro dipendente alla piccola imprenditorialità. Una tale organizzazione è resa
possibile dall’esistenza di un’estesa diffusione nella comunità locale di abilità
tecniche, che attingono dalle risorse fornite dalle tradizioni artigianali e dagli istituti
di istruzione tecnica, e si traducono nella formazione di una figura operaia qualificata
310
V. Zamagni, L’economia, cit., pp. 198-301; V. Capecchi, L’industrializzazione a Bologna nel
Novecento. Dagli inizi del secolo alla fine della seconda guerra mondiale, in Storia illustrata di
Bologna, a cura di W. Tega, IV, Milano, 1990; A. Alaimo e V. Capecchi, L’industria delle macchine
automatiche a Bologna: un caso di specializzazione flessibile, cit.
311
A. Alaimo, La ricerca della specializzazione: l’industria meccanica in Emilia, in Archeologia
industriale in Emilia Romagna e Marche a cura di G. Pedrocco e P.P. D’attorre, Milano, 1991.
185
di tipo polivalente, dotata di una elevata abilità tecnica, capace di svolgere
lavorazioni di tipo differente senza rigide mansioni e lavorando su macchine utensili
multiuso312.
5.3 La formazione di una «rete di imprese»: nascita dell’industria
motociclistica a Bologna
Lo sviluppo dell’industria motociclistica bolognese in un sistema integrato di piccole
e medie imprese costituisce un esempio significativo di questo modello di
organizzazione produttiva
313
. I caratteri peculiari del comparto si delineano già nel
periodo tra le due guerre, quando si forma una rete di piccole officine meccaniche
specializzate che collaborano alla costruzione del prodotto finale. Prima del conflitto
l’organizzazione delle prime gare motociclistiche e l’importazione delle marche
straniere aveva favorito la creazione a Bologna di alcune piccole officine per la
costruzione di motocicli (Grazia e Fiorini, 1902; Bignardi, 1902), luogo di
formazione di tecnici ed artigiani come Guido Dall’Oglio, Edmondo Laurenti e
Oreste Drusiani, destinati a diventare, per la loro genialità e perizia tecnica, degli
snodi fondamentali per il funzionamento dell’intero settore 314. È su questo tronco di
competenze tecniche che si innesta la formazione vera e propria di un comparto
motociclistico bolognese subito dopo la fine della prima guerra mondiale,
sviluppandosi in relazione sia all’uso sportivo dei primi motocicli, sia all’espansione
della domanda di questo bene di consumo tra un’élite di appassionati.
Numerose piccole unità di produzione di motocicli nascono a Bologna dal 1919
(Mbr, Abra, Gd, Mm, Augusta, De Togni, Diana-Dkw, Cm) per il montaggio di
312
L’operaio bolognese è geniale, come il suo imprenditore e può anche dare un ottimo rendimento, se
viene impiegato con intelligenza e duttilità in modo da lasciargli mettere in luce le sue qualità; non è
però altrettanto adatto ai ruoli modesti, ma impegnativi, delle lavorazioni razionalizzate. Si potrebbe
dire che ogni operaio bolognese ha, o crede di avere, nella sua borsa celato il bastone di comando che
impugna l’imprenditore. Sono tutti artigiani nati che si adattano a fare gli operai (e ne restano
scontenti); che, appena possono si arrabattano per mettere su una bottega (e soffrono poi fra i rischi
delle loro avventate imprese); che riescono magari a dare impulso ad una azienda artigiana, piegando
sotto lo sforzo per dotarla di un sempre maggior prestigio.
313
Comunità di Imprese. Sistemi locali in Italia tra Ottocento e Novecento a cura di Franco Amatori e
Andrea Colli, Il Mulino.
314
E. Ruffini, Dalla bicicletta alla superbike. Artigianato ed industria della motocicletta a Bologna,
in «Scuolaofficina» n. 2, 1996, p. 8; Archivio della Camera di commercio di Bologna, Registro ditte,
posizioni n. 7.024 e n. 12.816.
186
motori su biciclette o per l’assemblaggio di parti staccate, lavorate da altre officine
meccaniche, per la costruzione di motoleggere.
Si possono individuare tre percorsi, tra loro intrecciati, all’origine della formazione
di queste prime esperienze imprenditoriali del comparto motoristico bolognese. Il
primo di essi fa capo alla struttura produttiva ed alle capacità tecniche accumulate da
piccole officine meccaniche che costruivano biciclette o parti di esse, alcune delle
quali si trasformano poi in aziende per la produzione di motocicli, mentre altre si
specializzano nella costruzione di componenti. Un secondo filone può essere
ricondotto agli effetti della mobilitazione bellica, che aveva consentito la nascita o il
rafforzamento di officine meccaniche per la produzione di proiettili o altro materiale
bellico, alcune delle quali in tempo di pace possono utilizzare la potenzialità
acquisita per la produzione di motori o di parti per motocicli. Si tratta di officine che
operano su piccola scala una vasta gamma di lavorazioni meccaniche – producendo
anche, per esempio, macchine per il settore alimentare – che consentono loro di
mantenersi in vita rispondendo ad ordinazioni di diverso tipo. Un terzo percorso ha
origine dalla costituzione, in loco, di ditte commerciali e di rappresentanza di marche
motoristiche straniere da parte di abili commercianti, che intuiscono le possibilità di
espansione del settore con il ritorno alla normalità dopo la guerra.
Il dato di fondo però, da cui provengono le risorse per la nascita di un nuovo sistema
di imprese, è costituito da una consolidata tradizione artigianale locale dell’industria
metalmeccanica, testimoniata dall’esistenza di un considerevole gruppo di piccole
aziende meccaniche evidenziata già dalle statistiche industriali del 1887 e del 1897, e
rilevata anche dal censimento del 1911 315. Tali officine avevano lavorato in
precedenza soprattutto in rapporto alla meccanizzazione della moderna agricoltura
locale o su commessa delle grandi aziende dell’Italia settentrionale 316. Va
sottolineato anche il ruolo esercitato dalla funzione commerciale di primaria
315
Maic, Dirstat. Statistica industriale. Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Bologna,
Roma, 1887 e 1899. Nel 1897 erano state rilevate a Bologna 90 officine metal meccaniche per 2898
addetti.
316
G.P. Casadio, Le vicende dell’industria meccanica a Bologna, in «La mercanzia» 1968, n. 6,
numero speciale su Mezzo secolo di economia bolognese, p.537. Casadio sottolinea come
l’importanza relativa dell’industria meccanica bolognese rispetto all’ambito regionale e nazionale
fosse già molto rilevante agli inizi del Novecento, mantenendosi pressoché costante per tutto il
periodo considerato. Sullo stesso concetto ha insistito V. Capecchi, mostrando come ciò abbia favorito
la formazione di una cultura meccanica diffusa, una circolazione di saperi grazie anche alla presenza
di alcune imprese maggiori come la Calzoni, la Barbieri, la Società italo-svizzera, il Laboratorio
pirotecnico dello Stato o le Officine per le costruzioni ferroviarie.
187
importanza assunta già allora da Bologna, in relazione alla ricchezza della sua
agricoltura e alla favorevole posizione geografica nel sistema delle comunicazioni
ferroviarie. L’abitudine ai rapporti con i mercati internazionali ha certamente favorito
il trapianto dei primi motori e motocicli stranieri e l’importazione del know.how su
cui si è innestata la competenza dei tecnici locali.
L’esperienza decisiva per la formazione di una vera e propria «rete di imprese» nel
settore motociclistico bolognese coincide con l’affermazione della Gd (GhirardiDall’Oglio) nella costruzione di motoleggere. Per tutti gli anni Venti-Trenta, la Gd
costituirà non solo il momento di coordinamento di un sistema di imprese integrato,
ma anche la principale fucina di tecnici ed imprenditori che daranno vita nei decenni
successivi alle più importanti iniziative industriali del settore.
L’azienda nasce nel 1923 dalla fusione dell’apporto delle competenze tecniche
dell’ingegner Guido dall’Oglio – che conferisce alla ditta un proprio progetto di
motore – e dell’esperienza commerciale di un rappresentante bolognese di prodotti
esteri del settore (G. Zeggio), grazie ai finanziamenti dell’avvocato Ghirardi.
L’organizzazione produttiva dell’azienda in questo periodo prefigura già la
particolare modalità con cui l’intero comparto motoristico tenderà a strutturarsi a
Bologna negli anni del miracolo economico. Si tratta infatti di una piccola officina
meccanica con 10-12 addetti, nella quale si esegue esclusivamente la lavorazione di
telai e il montaggio delle componenti lavorate e prodotte – su disegno fornito dalla
ditta – da altre unità artigianali cittadine, specializzatesi nella produzione dei
particolari: i modelli dei motori (Laurenti), le fusioni (Lelli) e i vari lavori di fonderia
(Landini), i serbatoi (Labanti), le forcelle (Stanzani), le componenti meccaniche del
motore (Cremesani, Drusiani). L’elevata qualità del prodotto finale, destinato sia alle
corse – nelle quali la Gd emerge immediatamente a livello nazionale – sia al mercato
interno, era dovuta non solo alla qualificazione dei tecnici formati nella Gd
inizialmente sotto la guida di Dall’Oglio, ma anche all’accuratezza delle lavorazioni
di queste officine specializzate ed all’abilità di alcuni artigiani, come Laurenti (per i
modelli in legno dei motori) e Drusiani (per le parti o i motori completi, in
particolare della Gd, Cm e Mondial). Questi diventeranno negli anni successivi lo
snodo obbligato per gran parte delle aziende bolognesi produttrici di motocicli.
188
Dall’esperienza della Gd si dipanano i fili di una gran parte delle più importanti
iniziative
imprenditoriali
bolognesi
nell’industria motociclistica
negli anni
successivi: al suo interno si formarono i tecnici che, attraverso un meccanismo di
«gemmazione» continua di nuove attività produttive, porranno le basi per il grande
sviluppo degli anni Cinquanta, appoggiandosi su un fitto tessuto di unità artigianali
meccaniche che hanno sviluppato una produzione specializzata e di qualità. Dalla Gd
usciranno infatti Mario Mazzetti, fondatore della Mm (1924) insieme ad Alfonso
Morini – a sua volta distaccatosi poi per dare vita alla Moto Morini (1937); Mario
Cavedagna, meccanico e poi pilota della Gd, insieme al fratello Ildebrando e Renato
Sceti (tecnici e progettisti della Gd), che nel 1929 daranno vita alla Cm; Vittorio
Minarelli, che nel secondo dopoguerra (1951) costituisce con Franco Morini (nipote
di Alfonso), la Fbm, dalla cui scissione usciranno le due più importanti industrie
italiane di motori: l’ing. Dall’Oglio che dal 1926 si mise in proprio pur con poca
fortuna. Dell’entourage che aveva fatto da incubatrice alla nascita della Gd o ne
aveva sostenuto finanziariamente l’attività, uscirono poi altri imprenditori che
ritroviamo successivamente a capo di note aziende motociclistiche bolognesi: Alfeo
Rodolfi (fondatore dell’Abra nel 1919), Bruno Cavani, i fratelli Boselli, questi ultimi
dal 1934 alla testa della Fb trasformatasi nel secondo dopoguerra nella celebre
Mondial, a sua volta capostipite di una filiera di aziende motociclistiche – bolognesi
e non – degli anni Cinquanta-Sessanta (Italmoto, Mival, Belvederi, Maserati, Ufo).
Il caso della Gd può essere assunto anche come rappresentativo dei limiti di questo
sistema produttivo, particolarmente evidenti in mancanza di una domanda di massa:
alla grande capacità tecnica e flessibilità organizzativa del sistema, corrispondeva
una notevole fragilità economica e improvvisazione finanziaria delle singole unità
produttive. Dopo una crisi finanziaria della prima metà degli anni Trenta, l’impresa
fu rilevata insieme al brevetto dapprima dal progettista e capotecnico U. Fangarezzi,
che la rifondò insieme ad altri due soci riassumendo alcuni ex operai; e poi da Enzo
Seragnoli, il quale conferì all’azienda una più solida struttura economica con un
aumento di capitale e assorbendo macchinario, attività e maestranze di un’altra
azienda meccanica che svolgeva varie lavorazioni (fonderia, galvanotecnica,
189
costruzioni meccaniche ed elettromeccaniche per industrie alimentari ed altre)317.
Tale struttura sarà rafforzata dal coinvolgimento nella produzione bellica quale
subfornitore di alcune grandi industrie del Nord, aumentando considerevolmente la
propria occupazione (da 16 dipendenti a più di 80) e sfociando nella riconversione
del secondo dopoguerra, quando l’impresa si indirizzerà al settore delle macchine
automatiche318.
In questo periodo sono già presenti altri due importanti elementi. In primo luogo
assume un ruolo fondamentale la partecipazione alle competizioni sportive. La
passione per le gare motociclistiche rappresenta un importante fattore di coesione per
l’ambiente locale, contribuendo alla conoscenza reciproca dei diversi soggetti
(tecnici, piloti, imprenditori) e alla formazione di un humus culturale e di un senso di
appartenenza comune, alla circolazione delle conoscenze e delle esperienze (non a
caso alcune iniziative imprenditoriali sono opera di ex piloti, oppure sono avviate
proprio nella prospettiva immediata di allestire veicoli per la competizione). Inoltre
le vittorie nelle competizioni assumono un ruolo non secondario nell’affermazione
commerciale dell’azienda, nell’accrescimento del suo prestigio sul piano nazionale
(come accade per Gd, Mm e Cm). In secondo luogo i rapporti tra i diversi soggetti
del sistema di imprese si configurano con la presenza, allo stesso tempo, di forti
elementi di cooperazione e di forme di rivalità e concorrenza tra le marche più note,
certamente alimentata anche dalle competizioni sportive, oltre che dalla condivisione
delle stesse aree di mercato319.
Le esigenze imposte dall’autarchia e dall’organizzazione dell’industria bellica, nella
seconda metà degli anni Trenta, consentirono al sistema di imprese locale di
manifestare tutta la propria flessibilità e le proprie capacità di adattamento ai
cambiamenti
delle
condizioni
economiche
esterne.
Le
maggiori
aziende
motociclistiche bolognesi (Cm, Gd, Moto Morini, Mm, Fb) si orientarono verso la
317
Archivio di Stato di Bologna, Ispettorato regionale del lavoro, b.2, fasc. 17/1934 e b. 4, fasc.
13/1938.
318
Archivio di Stato di Bologna, Ispettorato regionale del lavoro, b. 39, not. 10010.
319
Esemplare il caso dei rapporti tra la Mm e la Moto Morini, nata nel 1937 dopo l’uscita di Alfonso
Morini dalla prima, e dedicatasi inizialmente solo alla produzione di motocarri, probabilmente per un
accordo intercorso tra i due soci della Mm. Ciò non impedì a Morini di cercare di aggirare tale
impegno fornendo alla Demm – una importante officina meccanica di Porretta – un brevetto per la
costruzione di un motociclo.
190
produzione di motocarri richiesti dalle forze armate320, oppure utilizzarono la propria
officina meccanica per svolgere lavorazioni meccaniche in subfornitura delle imprese
maggiori, bolognesi e nazionali, per la produzione bellica (è questo il caso della Gd,
specializzatasi nella produzione di parti di mitragliatrici in sub commessa dalla
Breda321).
Più in generale le unità produttive locali del settore meccanico si seppero adattare
rapidamente ai mutamenti della domanda grazie alla loro capacità di eseguire piccole
lavorazioni di precisione e fornire prodotti specializzati di particolari richiesti dalle
ditte maggiori, per rispondere alle commesse belliche. L’incremento della capacità
produttiva del sistema fu raggiunto in parte attraverso un ingrandimento delle
imprese maggiori di medie dimensioni (Ducati, Sasib, Weber, Calzoni ecc., delle
quali però solo la prima assunse dimensioni da grande impresa) che si seppero
inserire nel circuito nazionale della produzione bellica; ma soprattutto tale risultato
fu raggiunto con il rafforzamento dei legami che univano i diversi soggetti del
sistema economico locale, grazie alla diffusione capillare della pratica della
subfornitura e della lavorazione per conto terzi. Le imprese maggiori intrecciarono in
questi anni una serie di relazioni informali con un tessuto di piccole officine
meccaniche di fiducia, dedite o a lavorazioni a monte del ciclo produttivo, o alla
produzione di particolari che richiedevano una certa qualità di lavoro ed una perizia
tecnica specialistica. Ciò consentì alle piccole officine di avere assicurata continuità
e sicurezza nelle ordinazioni, talvolta sostegno economico e politico (necessario per
ottenere l’autorizzazione dalle autorità fasciste) per l’avviamento stesso o
l’ampliamento degli impianti. Alle imprese maggiori il meccanismo assicurava con
flessibilità e grande accuratezza di lavorazione alcuni prodotti che non avrebbero
potuto essere effettuati all’interno o per mancanza di attrezzature e capacità tecniche
specialistiche, o più semplicemente per mancanza di manodopera e scarsa
convenienza economica a dedicarsi alle lavorazioni più semplici.
Dal punto di vista del sistema economico locale, questo meccanismo ne assicurava la
tenuta complessiva nella particolare contingenza dell’emergenza bellica, favorendo
320
Archivio di Stato di Bologna, Ispettorato regionale del lavoro, b. 3, fasc. 18/1936; b. 2 fasc.
17/1934; b. 5, fasc. 10/1939.
321
Archivio di Stato di Bologna, Ispettorato regionale del lavoro, b. 6, fasc. 38/1940; b. 3, fasc.
18/1936.
191
l’ulteriore specializzazione nella produzione e il rafforzamento delle strutture
produttive delle officine meccaniche. Si posero così in questi anni le precondizioni
per la realizzazione del grande boom del secondo dopoguerra, in presenza di mutate
condizioni del mercato. Molti piccoli complessi industriali – come ad esempio le
ditte Paioli, Orlandi, Righi322 – renderanno disponibile la perizia acquisita nelle
lavorazioni e l’attrezzatura industriale potenziata in questi anni a sostegno delle
molteplici iniziative nel settore motociclistico, specializzandosi nella produzione di
accessori e particolari necessari alle aziende produttrici di motocicli per eseguire
l’assemblaggio del prodotto finale.
Infine occorre segnalare che in questi anni si sviluppa a Bologna un consistente
gruppo di importanti imprese afferenti sempre al settore motoristico – anche se non
coinvolti nella produzione motociclistica – per la produzione di motori agricoli e
industriali (Main, Diman, Daldi e Matteucci323) o automobili (Maserati324), o di altri
particolari (carburatori, la Weber, e candele, la Brevetti Baroncini).
Si tratta di un filone produttivo che assumerà una parte importante anche nel grande
sviluppo dell’industria meccanica degli anni Cinquanta325, e che fa assumere al
comparto motoristico bolognese i caratteri di un «sottosistema» strutturato di
imprese.
5.4 Miracolo economico e motorizzazione di massa
L’industria motociclistica bolognese, come in generale tutto il settore meccanico
emiliano, riesce a cogliere prontamente le opportunità fornite dall’espansione dei
326
consumi e dall’apertura dei mercati internazionali negli anni Cinquanta- Sessanta
.
Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Sessanta si assiste a Bologna ad
una vera e propria proliferazione di aziende produttrici di motocicli o afferenti al
settore del ciclo-motociclo.
322
Archivio di Stato di Bologna, Ispettorato regionale del lavoro, b. 6, fasc. 3/1940; b. 2, fasc. 6/1934
Archivio di Stato di Bologna, Registro ditte, n. 5786 e n. 61088
323
Archivio di Stato di Bologna, Ispettorato regionale del lavoro, b. 3, 25/1936; b. 3, 18/1936; b. 5,
10/1939.
324
Poi trasferitasi a Modena: Archivio di Stato di Bologna, Ispettorato regionale del lavoro, b. 2,
24/1935
325
G.M. Artieri, Panorami dell’industria bolognese. Motori eccezionali, per velocità e potenza, in
«La mercanzia», 1955, n. 9, pp. 28-32.
326
Comunità di Imprese. Sistemi locali in Italia tra Ottocento e Novecento a cura di Franco Amatori e
Andrea Colli, Il Mulino.
192
L’esplosione della domanda interna di motocicli in questi anni è testimoniata dai dati
sulla motorizzazione civile, che mostrano come il numero di motoveicoli in
circolazione decuplica tra il 1946 e il 1951 327. L’espansione della domanda
internazionale trascina le esportazioni italiane di motocicli con una crescita irregolare
ma repentina, specie a partire dal 1950, mentre le importazioni, in aumento nel 1951,
si mantengono poi sempre ad un livello pressoché costante ed estremamente basso
rispetto alle esportazioni (fra l’1% e il 4% fino al 1961)328. La grande espansione
dell’industria motociclistica italiana nel secondo dopoguerra è originata dalla
concomitanza di tre differenti ordini di fattori. In primo luogo essa risponde a un
fondamentale mutamento del carattere della domanda di questo prodotto – la
necessità di un mezzo di trasporto per la mobilità urbana – e della capacità di
consumo di differenti strati sociali – si accresce la disponibilità generalizzata di
denaro per l’acquisto di beni di consumo. Dal punto di vista tecnico tale espansione è
resa
possibile
dalle
innovazioni
introdotte
dall’esperienza
bellica,
come
l’acquisizione di capacità di lavorazioni di precisione con acciaio e leghe leggere per
costruire prodotti militari. Sul piano delle strategie di mercato infine, l’interesse per
questo tipo di produzione è dettato talvolta dalle esigenze di riorganizzazione
produttiva di alcune importanti imprese, alla ricerca di un mercato di massa per
riconvertire la propria produzione bellica (è questo il caso della Piaggio e della
Ducati).
Occorre sottolineare che la motocicletta italiana del secondo dopoguerra rappresenta
un prodotto completamente differente da quello del periodo precedente, sia per le
caratteristiche tecniche ed estetiche, sia per i bisogni a cui soddisfa, sia infine per il
pubblico a cui è indirizzato: le costose, pesanti e veloci macchine prebelliche,
destinate agli sportivi, agli appassionati ed ai piloti, sono ora sostituite da veicoli più
economici, leggeri e relativamente lenti, che soddisfano le esigenze di trasporto
urbano delle fasce medio- basse della popolazione. Si tratta cioè di un mezzo di
trasporto di massa che sostituisce la bicicletta in un periodo in cui l’automobile, in
327
Istat, Statistiche storiche dell’Italia. 1861-1975, Roma, 1976, p. 106. L’incremento si verifica
soprattutto dopo il 1948, in particolare nel 1949 (+92%), nel 1950 e nel 1951 (+49%), ma rimane
elevato per tutto il decennio.
328
Istat, Statistiche annuali del commercio con l’estero. Dati generali, 1946-1980, Roma. Le
esportazioni crescono specialmente nel 1951 (+162% del valore delle merci esportate rispetto all’anno
precedente), nel 1955 (+55,5%) e nel 1957 (+60,3%).
193
Italia, non può ancora raggiungere le classi lavoratrici. Perciò al centro del grande
sviluppo dell’industria motociclistica italiana in questi anni non c’è né la
motocicletta da corsa, né quella sportiva (che, oltre ad essere costose, sono più
difficili da condurre e poco confortevoli per i guidatori), ma il ciclomotore (meno di
50cc.), la motoleggera (125-150 cc) e soprattutto il motoscooter, che costituisce la
vera novità e la grande «invenzione» delle aziende italiane per il mercato di massa
(in particolare della Piaggio e dell’Innocenti).
La diffusione della motorizzazione sul territorio nazionale risulta correlata ai redditi
della classe media e operaia, e quindi la densità di motoveicoli è maggiore, in questi
anni, nelle regioni nord occidentali, piuttosto che nel Sud. In Emilia Romagna però,
agli inizi degli anni Cinquanta, la densità di utilizzo dei motoveicoli è nettamente più
alta che in qualunque altra regione italiana, anche delle più industrializzate, con una
media che si pone al livello dei paesi europei più evoluti, al punto da far parlare di
Bologna come di un «centro di motorizzazione popolare»329.
Alla manifestazione di una supposta inclinazione della popolazione emiliana verso i
motori, si accompagna negli anni Cinquanta una vera e propria proliferazione di
iniziative imprenditoriali nel settore della costruzione di motocicli a Bologna.
Un’indagine della locale Camera del lavoro del 1957 censisce circa 70 aziende con
più di 3.000 addetti, tutte di dimensione medio- piccola (solo la Ducati e la Demm
occupano più di 600 addetti, le altre quasi tutte meno di 100). Oltre alle imprese nate
prima della guerra che sfruttano ora l’ampliamento della domanda (Mm, Cm, Fb
Mondial, Moto Morini), dal «sottobosco» della meccanica bolognese emerge in
questi anni una miriade di piccole officine meccaniche che montano micromotori
sulle biciclette o si specializzano nella lavorazione del telaio. Spesso tali nuove unità
produttive provengono da officine di costruzione o riparazione di biciclette (come nel
caso di Cimatti, Testi e Malaguti, a partire rispettivamente dal 1951, 1952 e 1959330),
di cui era particolarmente ricco il distretto meccanico bolognese. Ad esse si
329
Nel 1953, secondo dati pubblicati su «Motociclismo», in Emilia si calcolava esserci un
motoveicolo ogni 13,2 abitanti, una densità nettamente maggiore di quella della seconda regione
italiana più «motorizzata» (la Toscana, 15,4, seguita dal Piemonte, 15,6 e Lombardia, 16,7) e in linea
con la media delle nazioni europee più sviluppate (Francia, 14 abitanti per motoveicolo, e Svezia, 15,1
abitanti per motoveicolo). G.M. Artieri, Un centro di motorizzazione popolare, in «La mercanzia»,
1995, n. 6, pp. 37-39.
330
Archivio Camera di commercio di Bologna, Registro ditte, posizioni n. 50.668, n. 50.448, n.
35.907
194
aggiungono alcune grandi imprese meccaniche – la Ducati e la Daldi & Matteucci –
che riconvertono la propria produzione bellica puntando sulla motorizzazione di
massa per sfruttare le proprie accresciute capacità produttive e il surplus di
manodopera che avevano accumulato durante la guerra. In generale, per quanto
riguarda le officine più piccole, si tratta spesso di esperienze dalla scarsa solidità
finanziaria, ma che talvolta danno vita anche ad importanti e durature realtà
produttive (oltre ai già citati Malaguti, Cimatti e Testi, la Bm di Bonvicini dal 1950,
la Fbm – Minarelli e Franco Morini – nel 1951, la Berneg dal 1956 e, più tardi dal
1959 l’Italemmezeta- Italjet di Leopoldo Tartarini331).
La facilità con cui nascono le nuove iniziative del settore è attribuibile sia alla sua
particolare modalità di organizzazione produttiva, sia all’esistenza all’interno del
sistema economico locale di un fitto tessuto di piccole unità meccaniche specializzate
in lavorazioni di vario genere, già operanti durante la guerra, che dopo la
smobilitazione si erano rese disponibili per nuovi tipi di produzione. La circolazione
delle capacità tecniche e la proliferazione delle nuove iniziative imprenditoriali era
incrementata ulteriormente dai processi di ristrutturazione e riconversione produttiva
delle aziende maggiori, tra il 1948 e il 1953, e dagli esiti della forte conflittualità
sindacale, che aveva provocato l’espulsione di un gran numero di operai
specializzati, a cui si apriva la strada dell’imprenditorialità autonoma.
Peraltro le caratteristiche tecniche del prodotto lo rendevano particolarmente adatto
al tipo di organizzazione produttiva che si era affermata a Bologna prima della
guerra. Infatti benché i metodi di produzione di massa potessero essere
proficuamente impiegati, come dimostra l’esempio della Piaggio, la scala ottimale
per la produzione di motocicli era relativamente piccola e le economie di scala
modeste, così che questa particolare industria si dimostrava particolarmente
congeniale a svilupparsi anche in un ambiente di piccole e medie imprese
caratterizzate da una produzione artigianale. Inoltre mentre la costruzione del motore
richiedeva un più elevato know-how tecnologico, quella del telaio e del serbatoio
risultavano particolarmente semplici. La produzione di motorini «standards» per i
motocicli, economicamente conveniente solo se effettuata su larga scala, avrebbe
però potuto essere ottenuta anche su piccola scala se alcune parti del motore fossero
331
Archivio Camera di commercio di Bologna, Registro ditte, posizioni n. 67.247, n. 91.710, n.
67.308, n. 42.816.
195
state fornite da ditte specializzate, che consentissero una notevole precisione di
lavorazione su progetto fornito dalla casa committente. In questo caso ciò che
contava era la bontà del progetto, la qualificazione dei lavoratori e la precisione di
lavorazione delle ditte subfornitrici. Sarà questa la strada seguita dalla maggiore
azienda bolognese e italiana di motori, la Minarelli.
5.5 L’organizzazione del sistema di imprese
L’organizzazione del comparto motoristico bolognese negli anni Cinquanta ricalca
ed accentua le caratteristiche già individuate al momento della sua formazione dopo
la prima guerra mondiale, con una strutturazione in una rete di imprese
«collaboratrici» di piccola e media dimensione, ciascuna specializzata nella
produzione di una parte del motore o del telaio
332
. Le ditte produttrici di motocicli,
generalmente con poche decine di addetti, si dedicano prevalentemente al montaggio
dei vari pezzi commissionati ed al massimo alla lavorazione di alcune parti. I tecnici
dell’azienda seguono talvolta personalmente le lavorazioni esterne mantenendo
rapporti di fiducia con i fornitori. La conoscenza reciproca dei più noti protagonisti
di questo ambiente in città favorisce lo stringersi di queste relazioni. La produzione
segue criteri artigianali, caratterizzata dalla qualità e dall’accuratezza della
lavorazione, dalla flessibilità e dall’adattamento del prodotto alle esigenze dei clienti.
La presenza di una forte percentuale di operai altamente qualificati caratterizza in
genere l’organico delle imprese guida, i cui tecnici-imprenditori dedicano una
particolare cura alla formazione dei propri dipendenti.
All’interno del sistema si affermano alcune unità produttive specializzate nella
produzione di particolari, parti del motore o della motocicletta. Queste imprese, per
la qualità del prodotto e la precisione della lavorazione, non solo costituiscono un
passaggio obbligato per le diverse ditte di costruzione di motocicli, ma riescono ad
affermarsi anche in campo nazionale e talvolta internazionale, diventando fornitori
per le maggiori industrie del settore: Marzocchi per le forcelle e Verlicchi per i telai,
Franco Morini e Minarelli per i motori (forniti a quasi tutte le aziende di
assemblaggio), Mecar per gli ingranaggi del motore (forniti inizialmente a Minarelli,
332
Comunità di Imprese. Sistemi locali in Italia tra Ottocento e Novecento a cura di Franco Amatori e
Andrea Colli, Il Mulino.
196
ma poi anche a Morini e altri), Fonderpress (fusione dei carter e delle teste), Comet
per gli ingranaggi del cambio, Paioli per i parafanghi, Orlandi per i rubinetti della
benzina, Agostini e Paganelli per gli ingranaggi conici, Perimeccanica (alesatura
cilindri), Emilpress (fusioni carter), Grimeca (ruote).
Seguendo i percorsi dei titolari di ciascuna di queste aziende, si potrebbe quasi
sempre risalire a qualcuna delle aziende «madre» formatesi prima della guerra: i
fratelli Marzocchi erano stati tecnici della Ducati, e lo stesso dicasi per i titolari della
Fonderpress; di Morini e Minarelli si è già detto della loro derivazione dalla Mm e
dalla Gd; Verlicchi era stato dipendente della Mm così come Bonazzi (titolare
dell’azienda che forniva le sospensioni alla Moto Morini), l’artigiano che lavorava i
telai per la Morini, Ronzani, era stato un dipendente della Cm; Paioli, derivante da
un’antica officina meccanica, negli anni Trenta era un’azienda <<satellite>> della
Ducati, e lo stesso vale per Orlandi. Il discorso si potrebbe ripetere anche per altre
piccole aziende del settore, costituite in seguito all’uscita di operai e tecnici da
qualche originaria impresa del settore. Ad esempio dal gruppo di tecnici usciti da
Cavani si snodano i fili dell’esperienza della Mival (Minganti), Belvederi, Italmoto
(poi Maserati) e più recentemente Ufo.
La circolazione all’interno del sistema di alcuni tecnici assume una notevole
importanza anche nel caso in cui questi, senza porsi a capo di esperienze
imprenditoriali autonome, danno un contributo fondamentale allo sviluppo delle
aziende in cui assumono importanti funzioni tecnico-direttive, come dimostrano ad
esempio i casi di Biavati e di Donatini. Il primo, formatosi alla Calzoni come
congegnatore, dal 1924 operante nell’officina di Drusiani e quindi tra i realizzatori
dei primi motori della Gd, negli anni Trenta passò alla Fb dei fratelli Boselli e dopo
la guerra diede un contributo fondamentale al successo della Mondial, in
collaborazione con Drusiani e Laurenti; dal 1959 lo ritroviamo alla Moto Morini fino
alla fine della sua attività, nel 1976. Donatini invece, tecnico collaudatore uscito
dalla Ducati nel 1953 in seguito alle agitazioni sindacali, progettista per breve tempo
alla Berneg, diventerà il direttore tecnico della Minarelli e uomo di fiducia del
proprietario, figura chiave del funzionamento della ditta negli anni Sessanta. In
questi, come in altri casi assume una particolare importanza la formazione ricevuta in
qualcuna delle maggiori imprese meccaniche bolognesi (Calzoni, Ducati, Sasib), che
197
ha fornito quell’insieme di esperienze e conoscenze tecnico-pratiche che questi
personaggi hanno poi messo al servizio delle aziende del settore motociclistico 333.
La produzione della Moto Morini, si caratterizzava per la particolare qualità, dovuta
all’accuratezza delle lavorazioni eseguite al suo interno e dai fornitori delle officine
specializzate. Negli anni Cinquanta nello stabilimento – che ospitava esclusivamente
operai qualificati e specializzati – si costruiva interamente soltanto il motore e si
facevano le lavorazioni più delicate delle altre parti meccaniche, avvalendosi poi di
una struttura di aziende collaboratrici ad essa legate per i telai (Ronzani e poi
Verlicchi), le ruote (Orlandi), le sospensioni (Bonazzi e Gualtiero), i gruppi del
cambio (Oma, Cima), gli ingranaggi del motore (Agostini e Paganelli) e le
verniciature (Avoni)334. Per il telaio, ad esempio, veniva progettato e costruito il
prototipo all’interno dell’azienda e poi dato agli artigiani per la costruzione in serie.
Esisteva un consolidato rapporto di fiducia tra i fornitori e il proprietario, Alfonso
Morini, o i tecnici dell’azienda, basato sulla conoscenza personale e sull’affidamento
fornito dagli artigiani rispetto alla qualità delle lavorazioni eseguite. Al suo interno,
la Morini era organizzata in un piccolo ufficio tecnico, un ufficio commerciale e
amministrativo, e tre reparti di produzione (reparto motoristi, reparto telaisti e reparto
corse). Ancora alla fine degli anni Settanta l’attività dello stabilimento, sia pure
assumendo carattere industriale (con oltre 100 addetti), si limitava all’assemblaggio
ed alla produzione del motore e di alcuni semilavorati o particolari che occorreva
produrre all’interno, affidando ad altri la costruzione della maggior parte dei
componenti. Per questi ultimi la Moto Morini curava attentamente la progettazione
degli stampi poi depositati stabilmente presso i fornitori, dove giaceva dunque una
buona parte delle attrezzature e del patrimonio della ditta335.
Moto Morini, oggi non è solo un marchio: è un progetto industriale indipendente che
ha deciso di riprendersi il posto che gli spetta tra le grandi Case della tradizione
motociclistica italiana. La società fa capo alla famiglia Morini, discendenti diretti di
Alfonso Morini e, per anni, azionisti della Morini Franco Motori, azienda che dal
333
Si vedano ad esempio anche i casi del direttore tecnico della Morini, che si è formato alla
Minganti, o del capo collaudo della Ducati meccanica, proveniente dalla Calzoni, o infine del direttore
della Mecar, uscito dalla Sasib.
334
G.M.Artieri, Panorami dell’industria bolognese. Imponente la produzione motoristica, in <<La
mercanzia>>, 1955, n. 5, p. 38.
335
Archivio camera di commercio di Bologna, Registro ditte, posizione n. 243733.
198
1954 ha operato nella progettazione e costruzione di propulsori per motocicli. Oggi si
configura un’unica realtà industriale operante su una superficie di 12.000 mq, in
grado di compiere l’intero ciclo produttivo, dalla progettazione e costruzione del
motore, all’assemblaggio delle moto in una linea improntata alla massima flessibilità,
dove non è necessario programmare grandi lotti e dove quotidianamente le quantità e
i modelli possono essere diversi per soddisfare tempestivamente le esigenze del
mercato.
Un’industria moderna, di piccole dimensioni, con una missione precisa: costruire
moto italiane, equipaggiate con propri motori e con componentistica di alto livello
qualitativo, per fare crescere una nuova generazione di morinisti.
Caratteristiche simili avevano le altre aziende motociclistiche bolognesi. L’officina
della Mm consisteva in un ridottissimo ambiente dove venivano effettuate solo le
lavorazioni più delicate. Una tale organizzazione non impediva il raggiungimento di
una produzione annuale di carattere industriale, senza rinunciare alla meticolosità
della lavorazione e dei controlli di qualità.
L’officina di Drusiani (motociclette Comet) era limitata al reparto prove ed
esperimenti, mentre la restante produzione era fatta eseguire da officine meccaniche
specializzate sotto il controllo di tecnici della ditta e dello stesso Drusiani 336.
Anche la produzione della Cimatti, costituita da un ex corridore e poi costruttore di
biciclette, si fondava su una struttura ad «aziende collaboratrici», compiendo
all’interno solo alcune lavorazioni del telaio, mentre il motore era fornito dalla
Fbm337. La Malaguti e l’Italjet costituivano anch’esse delle unità di assemblaggio di
336
G.M.Artieri, Panorami dell’industria bolognese. Un centro di motorizzazione popolare, in «La
mercanzia», 1955, n. 6, p. 38.
337
La FBM (acronimo di Fabbrica Bolognese Motocicli) è un’azienda per la produzione di motocicli
nata a Bologna nel 1951 e fondata da Franco Morini, nipote di Alfonso Morini, e da Vittorio
Minarelli; due tecnici destinati a dimostrarsi come gli imprenditori italiani di maggior successo, nel
campo della produzione “due tempistica”, dal dopoguerra. La produzione iniziò, nel 1952, con la
motoleggera “Gabbiano”, dotata di motore 125 cc a due tempi montato a sbalzo su un telaio tubolare
monotrave. Successivamente fu la volta della “Vampire”, questa dotata di motore da 200 cc ciclo
Otto. Nel 1955 visto il generale apprezzamento verso le motorizzazioni e considerata la moltitudine di
piccole case costruttrici-assemblatrici che nascevano in quegli anni, la FBM decise di produrre motori
ciclo Otto da 175 cc da fornire a terzi e soprattutto motori a due tempi da 50 cc. Nacque così il
“Pettirosso”; un motore 2T a due marce con comando a filo, destinato a divenire il propulsore per
ciclomotori di maggior diffusione in Europa.
Verso la fine del 1956, i fondatori decisero di separarsi in seguito a mai chiarite “divergenze”,
probabilmente dovute alle comprensibili difficoltà di convivenza, in un’unica azienda, di due simili
talenti tecnici e imprenditoriali. Minarelli rimase nell’azienda primigenia che ribattezzò “FB
Minarelli”; mentre Morini si trasferì in località Zola Predosa per dare vita alla “Morini Franco
199
ciclomotori, che si limitavano alla sola lavorazione del telaio, con i motori forniti da
Minarelli e Morini.
Il caso Minarelli (motori) rappresenta un interessante tentativo di sintetizzare i pregi
della produzione artigianale con i vantaggi dei metodi produttivi razionali
standardizzati. Si tratta attualmente di una delle maggiori produttrici europee di
motori, sorta inizialmente per la produzione di motocicli (la Fbm di Morini e
Minarelli). La notevole capacità produttiva raggiunta dall’azienda attraverso
un’organizzazione del lavoro di tipo industriale, che gli permetteva di produrre
motori affidabili ma economici in non piccola scala, sembra essere uno dei segreti
del successo di questa impresa e della sua continuità nel tempo. L’efficienza
produttiva venne aumentata dall’adozione, negli anni Settanta, di una linea di
montaggio fornita da una ditta tedesca, a cui la Minarelli adattò i propri progetti per
potere eseguire in serie le lavorazioni. Una produzione economica ma di qualità era
consentita dalla rete di imprese specializzate che, su impulso dello stesso Minarelli,
vennero create per rifornire la ditta, aiutando l’iniziativa di alcuni artigiani meccanici
esistenti sul territorio. Attorno alla produzione del motore Minarelli si strutturò una
specie di sottosistema di piccole officine ad essa legate, in parte fondate o sostenute
con la sua partecipazione economica, come l’Emilpress o la Mecar. Quest’ultima fu
creata appositamente da Vittorio Minarelli, sostenendo l’iniziativa di un artigiano
meccanico, Foscherari, negli anni Sessanta, per attivare la produzione di ingranaggi
meccanici necessari alla costruzione del proprio motore. Dopo la scissione Franco
Morini e Minarelli – i fondatori dell’Fbm – operarono una sorta di divisione del
personale interno e del mercato (ad esempio Minarelli forniva il motore a Testi e
Cimatti, Morini alla Malaguti). Tuttavia continuarono ad alimentarsi spesso dalle
medesime officine specializzate per la produzione di particolari, come la Mecar, che
riforniva anche Franco Morini. Si può citare ancora il caso della Creom, i cui soci
erano, con Foscherari, gli stessi Minarelli e Morini insieme. Attorno allo sviluppo di
queste due imprese si sono evolute nel bolognese alcune delle maggiori aziende
italiane e mondiali produttrici di particolari per motore, come la Mape di Bazzano
Motori”. Entrambe le nuove aziende si specializzarono nella costruzione di motori di piccola
cilindrata a due tempi, ottenendo un ampio e meritato successo e divenendo, nel giro di pochissimi
anni, due veri colossi industriali della produzione “due tempistica” mondiale.
200
(alberi motore), la Cima, la Comex338, la Zocca339 (di proprietà della stessa Morini)
ed altre aziende di ingranaggeria. In termini generali si può affermare che la strada
scelta da queste imprese, nel momento della loro affermazione sui mercati
internazionali, sia andata in direzione esattamente contraria rispetto a quella
dell’integrazione verticale. Invece di ingrandirsi, hanno optato per la costruzione di
un sottosistema di imprese o attraverso la costruzione di nuove unità produttive
separate ma «satelliti», o incoraggiando l’ingrandimento di piccole unità artigianali
già presenti sul territorio, alle quali si commissionava parte della produzione.
338
COMEX S.p.A. è stata fondata a Bologna nel 1959 e l’attuale gruppo dirigente la guida dal 1975,
incrementando di anno in anno sia lo sviluppo tecnologico che il fatturato. Grazie a questo continuo
rafforzamento, Comex sta affermando sempre di più la propria immagine sia a livello nazionale che
internazionale annoverando tra la sua clientela le più importanti e moderne aziende dei settori in cui
opera. Comex produce con proprio marchio articoli meccanici quali differenziali, freni a disco e
tamburo, giunti omocinetici e ponti rigidi, tutti destinati al mercato delle minivetture dotate di
alimentazione endotermica o elettrica. COMEX S.p.A. è inoltre specializzata nella realizzazione per
conto terzi di gruppi complessi già pronti per il montaggio, quali cambi di velocità, trasmissioni,
ingranaggi in genere, destinati all’industria motoristica, trattoristica, motociclistica di serie e speciale
per reparto corse. La certificazione di Qualità ISO 9002 ottenuta nell’aprile 1993 e la certificazione
UNI EN 9001:2000 ottenuta a settembre 2003, confermano la politica di eccellenza perseguita da
Comex, che si realizza attraverso la messa in opera dei più elevati standard di produzione e controllo
di qualità. Competenza ed esperienza specifica consentono di sviluppare ed ottimizzare le idee dei
clienti.
339
La Zocca Officine Meccaniche Srl, situata a poco più di 5 km dalla tangenziale di Bologna, si
colloca al centro di una realtà imprenditoriale ed economica sempre alla ricerca di nuove soluzioni da
impiegare nella meccanica ed in quel vasto segmento della sua industria, costituito dalle macchine
automatiche e dai motori. L’innovazione si realizza costantemente grazie anche a questa particolare
collocazione geografica, che la stimola all’ampliamento ed al perfezionamento delle applicazioni in
quei determinati settori e permette all’azienda di poter far fronte alle molteplici richieste in ambito
territoriale. L’azienda è stata fondata nel 1967 e da oltre 35 anni si pone all’avanguardia nel settore
delle applicazioni industriali per il rivestimento delle superfici metalliche su componenti forniti da
terzi, avvalendosi di una pluriennale esperienza attestata da un continuo sviluppo. Parallelamente alla
diversificazione e all’ampliamento della produzione, in quest’ultimo decennio la Zocca Officine ha
investito molto nell’acquisizione di nuovi processi sulla componentistica delle macchine automatiche
incartatrici, inscatolatrici per l’imballaggio, l’industria farmaceutica e alimentare per l’industria aereonavale-spaziale delle auto, autocarri e trattori e nell’ambito dell’industria meccanica in genere, sempre
supportata da una costante ricerca di nuove materie prime e di tecnologie innovative. La messa a
punto dei processi avviene sia con il supporto di una sala metrologica attrezzata per controlli
dimensionali e sia attraverso un laboratorio di analisi metallografica dove vengono analizzate le
microstrutture dei rivestimenti. La società si avvale di componenti tecniche determinanti nel
soddisfare le esigenze dei progetti industriali più avanzati, con evidenti potenzialità applicative estese
ad un grande numero di segmenti di mercato finali. Le molteplici caratteristiche chimico-fisiche dei
rivestimenti Zocca, insieme agli accorgimenti tecnologici d’avanguardia utilizzati in fase di
applicazione e di controllo, conferiscono la capacità di fronteggiare con successo i frequenti problemi
di esercizio che si verificano in tutti i settori merceologici, quando ad un componente meccanico si
richiedono una durezza superficiale controllata, unitamente a specifiche caratteristiche come
anticorrosione, idoneità al contatto alimentare od altre, al fine di ottenere un’ottima affidabilità
funzionale e la riduzione dei costi d’esercizio.
201
5.6 La Ducati nel distretto meccanico bolognese
La più grande impresa motociclistica bolognese del secondo dopoguerra, la Ducati,
sembra aver svolto un ruolo a parte all’interno del sistema del suo complesso340. La
sua vicenda costituisce una storia anomala e la sua organizzazione produttiva è
sostanzialmente differente da quella delle altre industrie del settore. Al contrario
delle altre aziende motociclistiche bolognesi, l’organizzazione produttiva della
Ducati negli anni Cinquanta sembra avvicinarsi al modello della grande impresa
integrata, dove quasi tutte le lavorazioni sono effettuate all’interno (dalla costruzione
del motore a quella del telaio, dalle fusioni ai trattamenti termici fino alle piccole
lavorazioni di precisione), attraverso una disposizione in serie dei locali e del
macchinario341. Una tale organizzazione permetteva all’impresa un volume di
produzione che la collocava ai vertici della produzione nazionale (al quinto posto per
la produzione di motoleggere nel 1955), avvicinandosi quindi più alle produzioni di
massa che a quelle tipicamente artigianali dell’industria bolognese. Si può affermare
che l’esperienza della Ducati, tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, costituisce un
episodio chiave nello sviluppo generale dell’intero comparto meccanico. Essa non
solo rappresenta, negli anni Trenta, un momento di coordinamento per il sistema di
imprese grazie ai rapporti stabiliti con il sottobosco delle piccole officine
specializzate, ma costituisce anche un importante fattore di formazione e
specializzazione per un gran numero di operai e tecnici entrati negli anni
dell’autarchia e della mobilitazione bellica, e poi disseminati nel sistema economico
locale nel corso della smobilitazione postbellica. Lo studio del caso Ducati invita a
riflettere in generale sul ruolo svolto da alcune imprese maggiori nei sistemi di
piccole e medie imprese, com’è il caso di altre aziende bolognesi: ad esempio la
Calzoni, la Weber, ecc342.
340
Comunità di Imprese. Sistemi locali in Italia tra Ottocento e Novecento a cura di Franco Amatori e
Andrea Colli, Il Mulino
341
G.M.Artieri, Panorami dell’industria bolognese. Imponente la produzione motoristica, cit., p. 30.
342
È stato osservato come sarebbe sbagliato considerare la media-grande impresa, nei settori di
piccola impresa, come un corpo estraneo, contribuendo anch’essa alla formazione e alla
caratterizzazione dell’ambiente distrettuale da cui si attingono le risorse interne al sistema stesso. In
particolare, le interazioni tra piccola e grande impresa avvengono attraverso il mercato del lavoro
(passaggi da lavoro dipendente ad autonomo), e attraverso i rapporti di produzione e gli scambi di
conoscenze.
202
Indicata sovente come la fucina di buona parte delle nuove iniziative imprenditoriali
nel settore meccanico negli anni Cinquanta- Sessanta, la Ducati tra la metà degli anni
Trenta e la guerra sembrava potersi evolvere nella direzione della grande impresa. Il
15 gennaio 1924343 Adriano Ducati riuscì, con apparecchiature radio auto costruite, a
collegare la sua abitazione di Bologna con gli Stati Uniti d’America. L’eccezionale
scoperta valse al giovanissimo inventore la Croce di Cavaliere della Corona d’Italia.
L’impresa del ventunenne Adriano Ducati ebbe vasta eco su tutti i più autorevoli
giornali scientifici del tempo. L’eccezionalità della scoperta consisteva nella minima
potenza utilizzata (solo 90 watts), che rendeva l’invenzione di uso più “domestico”
rispetto a quella del predecessore Guglielmo Marconi, (che impiegava l’equivalente
di 2.000 watts per ottenere la medesima comunicazione). Questa data può essere
considerata fondamentale per la storia della Ducati perché dall’evolversi degli eventi
accaduti quel giorno, si arriverà fino alla decisione di fondare quella che diverrà in
futuro una delle più autorevoli case motociclistiche italiane e mondiali.
Già nel 1925 i tre fratelli Ducati: Adriano (1903), Bruno (1905) e Marcello (1912),
avevano istituito, assieme a Carlo Crespi, una società di fatto denominata: Società
Scientifica Radio (SSR), atta a produrre i condensatori “Manens” e, successivamente
radio. L’ing. Antonio Cavalieri Ducati, padre di Adriano, decise di incoraggiare gli
studi del giovane figlio e fu così che, coi proventi della vendita di alcuni
possedimenti terrieri avuti in eredità, decise la fondazione della Società Scientifica
Radio Brevetti Ducati, alla quale partecipavano, oltre al già menzionato Adriano
Cavalieri Ducati, il padre Antonio (che morì qualche anno dopo), il secondogenito
Bruno, l’ultimo nato Marcello e alcuni amici bolognesi. La società venne costituita il
4 luglio 1926 con rogito del notaio Marani ed aveva già il moderno inquadramento di
S.p.A. Il capitale sociale ammontava a 100 mila lire. Scopo principale della società
era quello di sfruttare economicamente i valenti brevetti costituiti sulle invenzioni del
figlio Adriano. La sede era ubicata in via Collegio di Spagna 9 e constava di tre
locali presi in affitto. Gli “stabilimenti produttivi” consistevano in uno scantinato
della villa di proprietà Ducati, sita in viale Guidotti 51. I fratelli Ducati iniziarono la
spedizione di campioni in tutto il mondo con l’obiettivo di farsi conoscere dalle
società estere. Nell’ottobre del 1926 arrivò il primo cliente dall’Argentina per fare
343
Sito internet www.ducatimonsterclub.it
203
quella che venne definita come la “memorabile prima ordinazione”: 3.000
condensatori Manens. Alcuni anni dopo, la produzione iniziava a prendere quota e si
decise di inaugurare la Scuola di Addestramento Professionale che portava il nome di
Antonio Cavalieri Ducati, deceduto nel giugno del 1927. Nel 1928 iniziò la
diversificazione della produzione, fino allora monoprodotto. Al tradizionale
condensatore fisso Manens, si affiancò quello variabile che conquistò presto
un’ampia fetta di mercato grazie alla sua elevata versatilità. Il prezzo del
condensatore fisso, primo prodotto dell’industria Ducati, iniziò a scendere
beneficiando delle economie di scala e dell’introduzione di processi produttivi quasi
totalmente automatizzati. Sempre in quell’anno si registrò il primo aumento di
capitale sociale per finanziare la prima espansione del reparto produttivo; si passò
dalle iniziali 100 mila Lire a 500 mila Lire. Venne costruito un nuovo stabilimento
esattamente di fianco alla villa di viale Guidotti. L’edificio ospitava al suo interno
una fonderia e molte macchine utensili di pregio. A tal proposito si ricordi la
“Genevoise” (si trattava di una macchina utensile raffinatissima per la perforazione
millesimale dell’acciaio). L’introduzione di questo nuovo utensile segna un secondo
passo evolutivo della storia Ducati: l’ingresso nel settore della meccanica di
precisione, che sfocerà in futuro nella produzione elettromeccanica ed ottica di
precisione. Nel 1931 si ha il secondo aumento di capitale sociale, che passa ora a
Lire 2.000.000. La società Ducati, nel 1932 possedeva già un centinaio di dipendenti
ed esportava il 70% delle lavorazioni in 45 Paesi del mondo. Le esportazioni, sempre
in continuo aumento, registrarono in quegli anni una leggera flessione a causa della
politica del regime che andò ad influire sulle tariffe doganali ostacolando il
commercio in divise estere. Il 7 maggio 1934 la Ducati riceve la visita del più illustre
dei personaggi legati alla radiotelegrafia a distanza: Guglielmo Marconi. Il prestigio
dell’SSR, giunto fino in Inghilterra, aveva spinto il premio Nobel per la fisica, a far
visita all’industria bolognese. Fu l’ultima visita di Guglielmo Marconi a Bologna.
Nel 1935, a neanche 10 anni dalla sua fondazione, la Ducati era già una grossa realtà
italiana ed europea. Per far fronte al costante aumento della produzione si decise
l’acquisto di un appezzamento di terreno pari a 120.000 mq in una posizione che
potesse risultare strategica per la società. Si optò, così, per una collocazione
adiacente la secolare via Emilia (capace di congiungere Bologna con Roma, Milano e
204
i più importanti capoluoghi di provincia), nel quartiere Borgo Panigale. La prima
pietra dello stabilimento venne posta, alla presenza delle più importanti autorità di
Bologna, il primo giorno del mese di giugno 1935. Il nuovo stabilimento era frutto di
un progetto di grande razionalità. I lavoratori erano raggruppati in tre distinte
divisioni sotto la guida dei tre fratelli:
-
Adriano Cavalieri Ducati dirigeva la Divisione Ricerche. Egli si dedicava
esclusivamente all’indagine scientifica per lo sviluppo di nuovi prodotti (si
contano al suo attivo più di 200 brevetti depositati). In questo reparto
avveniva: analisi, sviluppo tecnico, progetti, ricerca, controlli, collaudi della
produzione.
-
Marcello Cavalieri Ducati dirigeva la Divisione Lavori occupandosi di tutto
ciò che riguardava il processo produttivo, i macchinari, nuovi metodi e
trattamenti dei pezzi in lavorazione ed eventuali soluzioni tecniche ed
ingegneristiche. Nelle sue mani si concentrava, quindi tutto ciò che
riguardava: costruzione propriamente detta, preparazione disegni attrezzi e
macchine, organizzazione del lavoro, lavorazione in piccola, grande e
grandissima serie.
-
Bruno Cavalieri Ducati dirigeva la Divisione Centrale. Essendo consigliere
delegato, a lui spettava la direzione generale e la predisposizione delle
operazioni di gestione e statistica. A lui spettava la gestione finanziaria e
commerciale che lo vedevano impegnato in frequenti viaggi allo scopo di
intrattenere rapporti con l’estero. Riassumendo la sua azione si esplicava in :
contatti verso gli enti esterni in Italia e all’estero, parte commerciale,
amministrativa e statistica, sviluppo dell’azienda.
La produzione, a sua volta, era divisa in sezioni facenti capo a ciascun prodotto.
L’efficienza dei nuovi stabilimenti di Borgo Panigale fecero sì che la Ducati venisse
insignita del Primo Premio per l’organizzazione scientifica del lavoro, nonché la
medaglia d’oro del Premio Rusconi che premiava la migliore azienda bolognese. Il
comune di Bologna deliberò, altresì, l’intestazione della strada che costeggia lo
stabilimento, alla memoria ed alle opere dell’ingegnere Antonio Cavalieri Ducati.
Vista la grande notorietà che si era creata, la Ducati era meta di continue visite di:
scienziati, tecnici e personalità. Oltre al già citato Guglielmo Marconi, si possono
205
elencare: il Re, il Principe ereditario, il Presidente del Senato, persino Mussolini. La
Ducati di Borgo Panigale aveva 18 km di scaffali di magazzino, sembrava una
piccola Rinascente, non mancava nulla, dalle lamiere di ogni metallo o spessore, alle
vernici, agli spilli!. All’interno dello stabilimento le radio erano prodotte ed
assemblate senza l’ausilio di produttori esterni, ogni componente era creato ed
assemblato in fabbrica. La Ducati si dotò di un gran numero di nuove macchine per
controllo e sperimentazione, di un apposito Centro Misure Meccaniche (dotato di
impianti di condizionamento a 20° costanti) fornito con le più moderne
apparecchiature idonee alle prove dei metalli (trazione, durezza, flessione). Ricca era
anche la dotazione di microscopi utili per le lavorazioni millesimali e lo studio della
disposizione dei cristalli presenti sulle superfici metalliche. Il disegno organizzativo
della Ducati era volto allo sviluppo di una grande industria di precisione. L’impresa
effettuò il salto di qualità aumentando la propria occupazione a 750 e poi a 2.000
operai. Nel 1941 venne inaugurata la Sezione Ottica, a capo di questa fu posto il
professor Vasco Ronchi, direttore dell’istituto ottico di Firenze. Tallone d’Achille del
nascente reparto era l’ubicazione della fabbrica. Vista la scarsezza di fornitori in
zona, si doveva puntare a prodotti che richiedessero poco materiale e molta
manodopera (molto specializzata all’interno della Ducati). In questo modo si
minimizzavano le giacenze di materie in magazzino e si massimizzava il valore
aggiunto che i prodotti venivano ad assumere per mezzo delle accurate lavorazioni
che poche industrie, come la Ducati, erano in grado di fare. A lungo andare, però, le
produzioni di questo reparto, pur caratterizzandosi per le avanzate soluzioni tecniche
e le raffinate lavorazioni meccaniche ed ottiche, non trovarono il mercato giusto per
affermarsi. Molteplici furono le cause: una di queste è rintracciabile nella mancanza
di una cultura e predisposizione della popolazione bolognese, essendosi sempre
caratterizzata nel settore della meccanica, anziché in quello dell’ottica. Un’altra
causa dello scarso successo è da individuare nelle errate valutazioni che furono
compiute dall’apparato commerciale; infine si sottovalutò la forte ed agguerrita
presenza della concorrenza che attuò immediatamente delle contromosse
all’affacciarsi di Ducati nel mercato dell’ottica. Il nascente campo dell’elettronica era
visto di buon occhio dai fratelli Ducati. Era loro convinzione che questa nuova
disciplina scientifica avrebbe dato un futuro solido all’azienda ed ampie possibilità
206
lavorative agli italiani limitandone, in questo modo, l’emigrazione. Grazie all’elevata
forza propulsiva del nuovo settore, Bologna poteva diventare una vasta area, come la
Philips in Olanda, per dare lavoro e ricchezza a centinaia di migliaia di tecnici e di
lavoratori. Dal 1936 in poi, quando la produzione radio-meccanica di precisione era
ormai ampiamente collaudata, la Ducati decise di iniziare una diversificazione a
livello produttivo. Iniziò, così, la commercializzazione dei seguenti prodotti:
-
il rasoio elettrico “Rasalet”
-
la calcolatrice elettrica scrivente “Duconta”
-
il primo interfono a magnete permanente “Dufono”
-
l’antenna radio “Radiostilo”
-
il binocolo marino per la visione notturna “Bimar”, costruito su licenza della
tedesca Zeiss (all’atto del collaudo, i tecnici si complimentarono con l’équipe
Ducati in quanto l’edizione italiana del binocolo superava, in qualità, quella
tedesca).
La produzione di questi nuovi elettrodomestici ed il continuo aumento delle
esportazioni, richiedeva nuovi finanziamenti. Si raggiunse così la quota di Lire
12.000.000 di capitale sociale. Parallelamente sorse anche la necessità di nuovi spazi
produttivi; furono, così, costruiti nuovi stabilimenti a: Crespellano, Bazzano,
Salsomaggiore, Verona. È da rilevare che la Ducati, fin dalla sua nascita, era
orientata verso il mercato mondiale (basti pensare alla provenienza della memorabile
prima ordinazione). Fin dal 1930 la Ducati aveva costituito proprie Società Filiali
all’estero. Prima fra tutte la Filiale Argentina, sita in Buenos Aires; a Berlino la
filiale Ducati riforniva la Siemens, di condensatori che venivano installati nelle radio
tedesche. L’ufficio di Berlino provvedeva al rifornimento dell’Austria e
dell’Ungheria. Ecco un elenco delle Società Ducati all’estero, istituite come aziende
e non come agenzie, attive nel decennio 1930-1940:
-
Ducati England London
-
Ducati France Paris
-
Ducati Nord Europa Bruxelles
-
Ducati North America New York
-
Ducati Venezuela Caracas
-
Ducati Do Brasil Sao Paulo
207
-
Ducati Argentina Buenos Aires
-
Ducati Australia Sidney
-
Ducati Suisse Zurigo
In aggiunta a queste zone, la Ducati aveva in Asia ed in Africa numerosi agenti
generali che importavano direttamente prodotti dall’Italia. La Ducati si impegnò
soprattutto ad istituire corsi di istruzione tecnica presso i suoi stabilimenti nella
necessità di una preparazione professionale specifica per le esigenze produttive
dell’azienda. I corsi si svolgevano, per la parte pratica nelle officine, mentre la teoria
veniva insegnata in apposite aule; i corsi terminavano con regolari esami di profitto e
rilascio dei relativi diplomi ed attestati. Nel 1941 Bruno Cavalieri Ducati inaugura a
Bologna il “Corso informativo sui problemi dell’orientamento professionale”. Con
questa iniziativa si comprende quanto importante fu per l’azienda bolognese il
concetto di elevata competenza delle maestranze. L’anno seguente vi fu
l’inaugurazione alla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Bologna
del corso di tecnica industriale per dirigenti di aziende. Da ciò è facile capire come
sia stato possibile, nel corso degli anni, la fuoriuscita di parecchi operai che hanno
dato vita, nell’hinterland bolognese, a numerose medie e piccole imprese (circa 35)
principalmente specializzate nella produzione meccanica ed elettrotecnica. Il 1938 fu
l’ultimo anno di pace in Italia, successivamente la Ducati venne avviata al cosiddetto
“Commissariato per le fabbricazioni di guerra” ricevendo molte commesse
direttamente dalle Forze Armate. Uscivano dagli stabilimenti bolognesi le spolette
per i proiettili da contraerea, apparecchiature disincagliatrici per mitragliatrici
automatiche nonché pompe di alimentazione per aerei militari. Nel settore
radiotecnico vennero costruiti telefoni militari da campo e radiogoniometri. Nei
primi anni ’40 era sorto il progetto di creare una centrale idroelettrica sfruttando il
fiume Panaro che scorreva a pochi km dalla fabbrica. L’energia prodotta dallo
sbarramento del corso d’acqua sarebbe servita per alimentare gli stabilimenti
produttivi Ducati e avrebbe, senza dubbio, incoraggiato l’insediamento di nuove
industrie nell’area di Borgo Panigale. A tale scopo vennero acquistate dalla Società
Elettrica di Irrigazione di Modena i diritti idraulici di produzione dell’energia
elettrica del Panaro. I lavori per la costruzione della diga furono avviati, ma l’anno in
questione, il 1943, era caratterizzato dal mutato orientamento politico italiano che
208
causò una massiccia presenza di tedeschi in Italia. Furono essi ad ordinare la
sospensione dei lavori. Da quel momento in poi la Ducati abbandonò questo progetto
che sarebbe poi divenuto fondamentale nelle vicende post belliche. Con l’esplosione
della guerra, molte delle attrezzature Ducati vennero allontanate dallo stabilimento di
Borgo Panigale per il timore che venissero distrutte dai bombardamenti. Durante il
periodo bellico la camera di Commercio stimava in 11.000 le persone occupate
all’interno degli stabilimenti Ducati. La mattina del 9 settembre 1943 una ventina di
carri armati si fermarono alle porte degli stabilimenti Ducati di Borgo Panigale. Da
questi ultimi scesero parecchi soldati armati di mitragliatrice e si disposero in
maniera tale da circondare l’intero edificio. Era iniziata l’occupazione tedesca in
Italia. Nelle ore notturne, eludendo la sorveglianza tedesca, venivano “trafugati”
macchinari di precisione da dipendenti che, trasportando con furgoni o carretti a
mano il prezioso carico, mettevano a gravissimo rischio la loro stessa vita. L’opera di
questi portò alla costituzione di più di 70 stabilimenti di produzione clandestini,
perlopiù ubicati in piccoli scantinati o in magazzini segreti. Si trattava dei cosiddetti
laboratori segreti “Post”. Compito di questi ultimi era quello di prefigurarsi uno
scenario, appunto, post bellico cercando di anticipare quello che sarebbe servito
all’Italia della ricostruzione. La situazione era sempre più incandescente al punto che
i fratelli Ducati si trasferirono fuori Bologna. Il trasferimento dei macchinari era da
poco giunto a compimento, appena in tempo per scampare ai massicci
bombardamenti che di lì a poco sarebbero seguiti. Verso mezzogiorno del 12 ottobre
1944, uno stormo di bombardamenti scaricò cento tonnellate di esplosivo sugli
stabilimenti di Borgo Panigale che ne uscirono praticamente rasi al suolo. La stima
dei danni si aggirava intorno ai 450 milioni di Lire di allora. Il 3 maggio 1945,
quando ormai la guerra era conclusa, fecero irruzione, nel rifugio fuori Bologna, un
gruppo di uomini armati che intimarono ai fratelli Ducati di salire su un furgoncino.
Al termine del viaggio c’era ad aspettarli il plotone di esecuzione il cui capo iniziò ad
accusare i Ducati di collaborazionismo con il regime fascista. Nonostante le mille
spiegazioni date all’avvenimento i tre fratelli vennero condotti contro il muro di
fucilazione. A pochi istanti dalla fucilazione si udirono delle grida concitate e
l’esecuzione venne sospesa. Il giorno successivo la convocazione davanti al giudice
di Varese chiarì tutto ed i Ducati poterono ritornare a Bologna in libertà. A conflitto
209
finito, i tre fratelli Ducati fecero più di un tentativo per ottenere il rimborso dei danni
di guerra, ma fu tutto vano. Da questo quadro stagnante dell’economia del
dopoguerra iniziava a profilarsi lo spettro della disoccupazione. Verso la fine del
1946, intravedendo le maggiori difficoltà che si prospettavano per il 1947, la Ducati
comunicò ai propri lavoratori la necessità di attuare un alleggerimento del personale
impiegato in fabbrica. La voce: “Costo del Personale” aveva un’incidenza troppo
elevata in proporzione alla produzione venduta. All’atto pratico di questa decisione
non si arrivò mai, motivi sociali e nazionali ne ostacolarono l’esecuzione.
Conseguentemente, nel ’47 l’azienda si trovava con le proprie riserve letteralmente
prosciugate. L’assenza di liquidità bloccò il pagamento degli stipendi ai lavoratori
per alcuni mesi. Il 1947 fu uno dei peggiori anni della storia Ducati. Uno dei primi
ostacoli alla rinascita dello stabilimento bolognese fu il decreto di blocco del credito
voluta dal Ministro del Tesoro Luigi Einaudi, per salvare la Lira dalla travolgente
ondata inflazionistica che ne sarebbe scaturita. Gli istituti di credito erano tenuti a
non aumentare i fidi concessi. A tutto ciò si aggiunse il razionamento dell’energia
elettrica dovuto alla scarsità d’acqua dei bacini idroelettrici. Numerose furono le
difficoltà legate ai precedenti trasferimenti di macchinari verso le sedi distaccate.
C’erano delle opposizioni a che gli impianti ritornassero a Borgo Panigale.
L’occupazione era un problema molto serio per quei tempi e la resa dei macchinari
agli stabilimenti di Bologna avrebbe sicuramente fatto licenziare parecchi operai. Le
diverse sedi di decentramento si erano avvinghiate alle nuove situazioni createsi e
non volevano più tornare indietro. A complicare ancora di più una situazione già
critica fu il Piano Marshall voluto dagli Stati Uniti per favorire la ricostruzione di
un’Europa reduce dal conflitto mondiale con l’economia ormai in ginocchio. Gli
orientamenti di detto piano trascuravano le industrie bolognesi (forse perché
particolarmente rosse), o meglio, non le favorirono come quelle di Torino. Ultima
“tegola” sulla difficile situazione alla Ducati arrivò dalla direttiva che voleva
l’applicazione delle ferie quindicinali per gli operai. Ciò contribuì non poco a
rallentare quella produzione che era l’unica via d’uscita dalla crisi post bellica. Tutti
questi fatti, globalmente considerati, contribuirono all’insorgere di un grosso
problema: la Ducati aveva bisogno di denaro liquido. Nel novembre 1947, sempre
per sopperire alla carenza di mezzi finanziari, venne deciso un cospicuo aumento del
210
capitale sociale. La Ducati passò così da un capitale di 12.000.000 a 100.000.000 di
Lire. Sempre in quell’anno vi fu un secondo aumento: si passò da 100 milioni ad un
capitale sociale di 1 miliardo e mezzo. Vennero emesse 14 milioni di nuove azioni
aventi valore nominale di 100 Lire, riservate in opzione ai vecchi azionisti. Queste
azioni vennero così collocate:
-
700 milioni furono acquistati dai fratelli Ducati
-
400 milioni furono prese in custodia dal FIM (Fondo per l’Industria
Meccanica), che ne garantì il collocamento obbligandosi ad assumere tutte le
azioni eventualmente rimaste invendute.
-
300 milioni da altri Enti finanziari
Un grande passo era stato fatto per la crescita dello stabilimento di Borgo Panigale.
Per poter coprire l’ingente capitalizzazione la famiglia Ducati fece affluire nella
società tutti i beni immobiliari, specie la residenza di viale Guidotti, e diede mandato
alla Banca Nazionale del
Lavoro di collocare le azioni sul mercato.
Contemporaneamente, venne emesso un comunicato interno che invitava
all’acquisto, da parte dei dipendenti Ducati, delle azioni della loro stessa fabbrica.
Iniziava così l’epoca dell’azionariato operaio (che si riproporrà anche ai giorni
nostri). La situazione aziendale, nonostante tutto, continuava ad aggravarsi; vi era la
necessità di reperire la somma di 1 miliardo di Lire. La Ducati fu costretta a
rivolgersi al FIM. Il suo statuto interno subordinava l’emissione del prestito a
particolari condizioni (giudicate pericolose ed inadatte). Premesse per la concessione
del prestito furono:
-
assoggettamento ad amministrazione controllata giudiziaria dell’impresa da
finanziare. Tale sistema era stato importato dagli Stati Uniti negli anni ’30,
quando imperava il New Deal. In Italia questo metodo costituiva una novità,
non se ne sapeva nulla, nonostante ciò, venne imprudentemente applicato su
larga scala alle più importanti industrie nazionali.
-
allontanamento del consiglio d’amministrazione e la sua conseguente
sostituzione con un amministratore unico di nomina statale.
-
eventuale cambio o modifica delle produzioni
Le richieste avanzate dal FIM al fine di corrispondere un finanziamento alla Ducati,
furono accolte all’interno della fabbrica con grande stupore e diffidenza. Nonostante
211
i ripetuti tentativi di evitare la messa in amministrazione controllata, il FIM insistette
affinché eventuali futuri finanziamenti fossero gestiti da un amministratore esterno
alla Società. Il 1° marzo 1948 venne chiesta, al tribunale di Milano
l’amministrazione controllata. Il giorno successivo, il consiglio d’amministrazione,
preso atto della situazione venutasi a creare, condivise le considerazioni dei fratelli
Ducati e si dimise. Al suo posto il Tribunale di Milano nominò Commissario
giudiziale il rag. Stobbia ed amministratore unico della Società il dott. Giuseppe
Veroi. Adriano e Marcello Ducati furono nominati “consulenti generali” per la
Società; essi rimanevano a disposizione degli amministratori per gli incarichi che
avrebbero voluto affidare loro. Bruno Ducati, rimase al suo posto di Direttore
Generale sovrintendendo, assieme agli amministratori, all’organizzazione esecutiva
della Società. Da questo momento in poi, i fratelli Ducati persero per sempre la guida
della loro impresa che passava sotto il controllo dello Stato. La Ducati riuscì a
superare il periodo dell’amministrazione controllata uscendone piuttosto malconcia,
soprattutto scampando al fallimento che travolse altri importantissimi marchi del
Made in Italy.
Quando avvenne il cambio di amministrazione Ducati-Veroi, la situazione aziendale
della Ducati era la seguente:
-
il capitale sociale ammontava a 1,5 miliardi
-
4,6 miliardi di Lire era il valore iscritto in attivo
-
2,9 miliardi di Lire era il passivo
-
l’ammontare dei rapporti debitori era di Lire 523.279.483
-
tutti i finanziamenti concessi erano garantiti da ipoteca sui beni della società
Gli operai impiegati erano 4.300 e la produzione era dislocata in 10 impianti
produttivi siti prevalentemente nel nord della penisola. Le ordinazioni ancora da
evadere erano pari a 2,5 miliardi, equivalenti a circa 1 anno di ininterrotta
produzione. Con la “nuova gestione” la Ducati si presentava così suddivisa:
-
settore meccanico: attrezzato per la produzione di micromotori (Cucciolo) di
moto leggere, dello scooter Cruiser ad avviamento elettrico.
-
settore radio elettrico, per la produzione di tutti i tipi di condensatori,
macchine fotografiche (Microcamera), binocoli marini, lenti ed obiettivi.
212
La produzione Ducati si divise principalmente nei due stabilimenti di Bologna e
Milano. Nel primo si produceva il Cucciolo, i condensatori, la microcamera
fotografica ed il proiettore cinematografico. Nel secondo erano prodotti gli
apparecchi radioricevitori, apparecchi “Dufono”, amplificatori, altoparlanti. Gli altri
stabilimenti minori producevano rispettivamente a:
-
Cavalese, fabbricazione di lenti oftalmiche
-
Pianezza, fabbricazione di calibri ed utensili
-
Vicenza, fabbricazione di mozzi per ciclomotori
-
Bazzano, produzione di dinamo per biciclette
Con la nuova amministrazione vennero subito attuati dei cambiamenti. La linea di
azione deliberata verteva su quattro punti principali:
-
riduzione della struttura industriale al fine di concentrare il più possibile la
produzione. A tal proposito vi fu la chiusura degli stabilimenti distaccati, ad
eccezione di quello milanese. Essi comportavano un notevole dispendio di
energie principalmente dovuto alla loro lontananza con lo stabilimento
madre.
-
eliminazione di maestranze e di quadri esuberanti. La realizzazione di tale
punto si concretizzò, non facilmente, con l’eliminazione di un migliaio di
operai che permisero economie di circa 500 milioni di Lire annui.
-
impostazione di un riveduto programma tecnico, più adeguato alle esigenze
dei mercati: vennero eliminati dalla produzione quei prodotti che risultavano
essere meno commerciabili.
-
riallacciamento
delle
relazioni
internazionali
e
rifacimento
dell’organizzazione vendite. La fama Ducati all’estero aveva subito
un’incrinatura a causa dei problemi interni che avevano dato origine ad un
rallentamento nella fornitura di prodotti ai mercati esteri. A ciò si aggiunsero
anche problemi d’immagine dovuti alla sottomissione dell’amministrazione
controllata. Unica via d’uscita a questa situazione fu un ingente investimento
in propaganda e pubblicità, nonché viaggi commerciali all’estero per
ristabilire i rapporti.
Le intenzioni del FIM erano quelle di chiudere il reparto ottico dell’azienda.
Nell’estate del 1953 il FIM pretende di licenziare 900 dipendenti, ma vi è una decisa
213
opposizione delle maestranze interessate. La reazione degli operai fu quella di
occupare gli stabilimenti ed in conseguenza di ciò, la direzione ordinò la sospensione
dell’attività produttiva. Le trattative fra direzione ed operai si protrassero per
parecchi mesi fino a quando si arrivò ad approvare la decisione di scindere in due la
produzione della Ducati, da una parte le costruzioni elettrotecniche e dall’altra quelle
meccaniche, mentre la divisione ottica aveva cessato di esistere. Nacquero, dunque,
in data 28 ottobre 1953, due nuove società per azioni:
-
Ducati Elettrotecnica S.p.A.
-
Ducati Meccanica S.p.A.
La prima società Ducati, quella costituita nel 1926, venne messa in liquidazione. Il
31 dicembre 1959 vi fu lo scioglimento del FIM e le partecipazioni Ducati da esso
possedute vennero cedute in comodato alla Finanziaria Ernesto Breda (EFIM) che
mise subito in vendita lo stabilimento elettrotecnico. L’acquirente fu la società MAIL
di Milano assieme alla francese CSF (Compagnie Sans Fils). La Ducati venne così
divisa in due tronconi:
-
la Ducati Meccanica S.p.A.
-
la Ducati Elettrotecnica Microfarad S.p.A.
Da questo momento in poi la storia della Ducati si può suddividere rispettivamente
nella storia dei due rami in cui venne separata. La Ducati Meccanica proseguiva la
strada, iniziata col “Cucciolo”, con la produzione di ciclomotori e motocicli. A tal
scopo venne assunto nel 1954 l’ing. Fabio Taglioni proveniente dalla Mondial.
Diverrà il capo progettista di tutti i motori da corsa (dai quali sono poi derivati un
gran numero di motori di serie) prodotti a Borgo Panigale fino ai primi anni ’80. Nel
1959 la Ducati era regina incontrastata delle competizioni mondiali. Nel 1958 l’ing.
Taglioni progettò il famoso motore “desmodromico” che sfruttava una doppia
camma comandata meccanicamente per gestire l’apertura e la chiusura delle valvole
motore (le prime prove di questo tipo di motore vengono attribuite all’inglese Arnott,
nel 1910). Con esso si migliorava l’erogazione della potenza e si riducevano le
rotture delle parti meccaniche in movimento. La commercializzazione del nuovo
propulsore ebbe inizio a partire dagli anni ’60 e costituirà, per il futuro, l’emblema
della produzione motoristica di Borgo Panigale. Nel 1960 fu sospesa ogni
partecipazione alle corse perché Breda ed Isotta Fraschini riorientarono la Ducati alla
214
produzione di motori diesel, motori marini e gruppi elettrogeni, mentre le moto
passarono in secondo piano. Sempre in quell’anno venne costruito un nuovo
stabilimento di oltre 10.000 metri quadrati, da adibire ad officina. Gli anni ’60 furono
caratterizzati da una crisi del settore particolarmente accentuata. Le motivazioni a cui
ricollegarsi, sono, grossomodo, le seguenti:
-
aumento del benessere della popolazione. Gli italiani erano sempre più tentati
ad acquistare l’automobile utilitaria, anche usata, ormai accessibile grazie
all’aumento delle loro finanze personali.
-
varo del nuovo codice stradale che, fra le altre cose, imponeva restrizioni
all’uso dei motocicli come: il divieto di trasportare un passeggero sui
ciclomotori, l’obbligo della patente e limiti di età per la guida dei veicoli
targati.
-
manovre di politica economica volte al contenimento dei consumi: restrizione
delle vendite rateali.
Ne scaturì una pesante contrazione delle vendite che nel decennio 1960-70 ebbero un
crollo quantificabile intorno al 68%. Negli anni ’70 vi è l’ondata di moto giapponesi
che progressivamente avrebbero invaso il mercato italiano. Capostipite di questa vera
e propria offensiva era la HONDA con il modello 750 Four, presentata alla Fiera di
Milano nel 1969. Si trattava di una moto con caratteristiche decisamente innovative
per quell’epoca. L’invasione non riguardò solo l’Italia, ma tutta l’Europa. Numerose
furono le aziende costrette a capitolare sotto “l’onda d’urto” nipponica. La Ducati,
dal canto suo, iniziò nel 1968 la produzione di un motore bicilindrico a V 90° che
resterà in produzione fino ai giorni nostri. Agli inizi del 1970 fece il suo esordio, nei
cataloghi della Ducati, il modello “Scrambler” che incontrò in Italia ed all’estero un
grande favore di pubblico grazie alle sue linee originali e vagamente
americaneggianti. Esso fu proposto in tre tipi di motorizzazioni: 250, 350 e 450. Alla
fine del decennio era scontro aperto fra gli unici due schieramenti rimasti in lizza nel
mercato della moto: italiani e giapponesi. Dalla metà degli anni ’70 la produzione
Ducati iniziò ad orientarsi sulle grosse cilindrate (600 cc ed oltre) specializzandosi
nella produzione di supersportive caratterizzate da designer di fama indiscussa come
Giugiaro. La Ducati meccanica pur attraversando momenti di grave deficit
finanziario, si ritagliò una certa quota di mercato sia nazionale che estera,
215
conservando la sua vocazione sportiva e mantenendo una costante presenza a livello
agonistico sia in Italia che all’estero. Va menzionata anche la diversificazione in
motori marini entrobordo e fuoribordo nonché la produzione di motori industriali e
diesel. In linea generale, negli anni ’70 la crisi del comparto motociclistico non
accenna a diminuire, è l’automobile la nuova passione dei giovani. La Ducati
meccanica, dopo una serie di passaggi ministeriali passò nelle mani della VM del
gruppo Finmeccanica IRI. Sotto la gestione di Romano Prodi, l’IRI nel 1983 cedette
la Ducati Meccanica ai fratelli Castiglioni di Varese, già proprietari della Cagiva
S.p.A. Essi accentrarono in Bologna anche la direzione commerciale della loro
azienda, facendo del capoluogo emiliano uno dei più grossi centri europei del settore
motociclistico. Sull’altro fronte la Ducati Elettrotecnica era diretta, all’epoca della
sua nascita dall’ing. Valerio Bochi, di nomina FIM. Essa continuò la produzione di
condensatori, impianti radiofonici ed interfonici, proiettori e radio apparati vari. Nel
1960 si ebbe il passaggio alla Finanziaria Breda, che nel giro di poco tempo decise di
vendere il pacchetto azionario al gruppo francese CSF, con sede a Parigi. La
direzione fu assunta dall’ing. Antonio Guglielmi, il quale decise massicci
investimenti per incrementare il reparto tecnico produttivo e commerciale. Alla fine
degli anni ’60 la Ducati Elettrotecnica possedeva 3.000 dipendenti all’attivo e la sua
produzione si era estesa ai magneti volano per motocicli, nonché gli alternatori per
motori di autoveicoli e motocicli, ricetrasmettitori e tuner (componenti per la ricerca
di emittenti negli apparecchi televisivi). Nel 1966 vi fu l’assorbimento della
Microfarad di Milano e la conseguente nuova denominazione sociale: Ducati
Elettrotecnica Microfarad. Sempre in quel periodo la francese CSF viene acquistata
dalla Thomson, che ne assunse la direzione. È in questo periodo che iniziano
importanti accordi commerciali con la Russia per la fornitura di condensatori
elettrolitici ed a rifasa mento. Con l’inizio degli anni ’70 si ebbero i primi focolai di
contestazione operaia che minacciarono gravemente la stabilità produttiva. A ciò si
aggiunse l’invasione dei prodotti del sud est asiatico e la crisi energetica del 1974
che portò l’inflazione a livelli esorbitanti. Nel 1975 la CSF mise in liquidazione la
Ducati Elettrotecnica e ne chiese l’amministrazione controllata. Il Ministro delle
Partecipazioni statali Donat Cattin affidò alla Zanussi di Pordenone l’acquisto della
Ducati. Fu così che venne eliminato il nome Microfarad per ritornare all’originaria
216
denominazione ed in più vi fu l’incorporazione della Procond di Longherone,
anch’essa dedita alla produzione di condensatori.
Nel 1979 la Ducati Elettrotecnica S.p.A. attuava la produzione in tre stabilimenti:
-
Bologna
-
Longarone
-
Pontina (Latina)
Essa era strutturata al suo interno in tre divisioni:
-
Divisione Componenti, per la produzione di condensatori
-
Divisione Elettronica, per la produzione di radio apparati
-
Divisione Elettromeccanica, che curava la produzione di impianti di
accensione.
All’inizio degli anni ’80 vi fu la crisi della Zanussi, che venne rilevata dalla svedese
Elettrolux, la quale, però, non era interessata all’acquisto del pacchetto Ducati. Per
poter vendere la fabbrica si attuò una seconda divisione. Nel 1984 nascono a
Pordenone due nuove società dalla precedente Ducati Elettrotecnica:
-
Ducati Energia S.p.A. comprendente la ex Ducati Elettrotecnica con
esclusione del Reparto Radio. Acquirenti della Ducati Energia furono i
membri della Società Finanziaria FGF, capitanati da Giuseppe Gazzoni
Frascara. L’amministratore delegato fu ed è tuttora Guidalberto Guidi.
-
Ducati Radio telecomunicazioni S.p.A. che curava la parte radio, impegnata
in importanti ordinazioni di impianti governativi non prorogabili. Acquirente
di questo secondo ramo fu la Novel di Pero, nei pressi di Milano,
specializzata nello stesso campo. Qui venne trasferita la società.
Nonostante la capacità di innovazione tecnologica e le vittorie nelle competizioni
sportive, l’azienda Ducati attraversò un periodo di declino nel corso dei primi anni
’80, principalmente a causa della decisione di diversificare la produzione nel settore
non motociclistico, orientandola prevalentemente verso i motori diesel di piccola
cilindrata. La Ducati Meccanica che dal 1970 faceva parte della Finmeccanica (IRI)
aveva una produzione nel 1982 di soli 7.800 motocicli, contro una capacità
produttiva di 9.000 ed una previsione di produzione per il 1983 di sole 6.000 unità.
Dal lato finanziario le cose non andavano meglio: il deficit faceva sentire il suo peso.
217
Nel 1985, il Gruppo Cagiva acquista l’azienda ed il marchio Ducati. Sotto la gestione
Cagiva, l’azienda Ducati operava tramite un impianto produttivo separato ed
un’autonoma divisione di ricerca e sviluppo, mentre condivideva la progettazione, la
gestione finanziaria, il marketing, la rete di vendita e i sistemi informativi di
gestione. Il Gruppo Cagiva contribuì a rafforzare il marchio Ducati rivolgendo
l’azienda verso la tradizionale attività di produzione di motociclette da corsa ad alte
prestazioni e fu in grado di aumentare in misura rilevante il volume annuale delle
vendite. Il contratto prevedeva, in particolare, la progettazione, produzione ed
assemblaggio dei motori (i Pantah desmodromici) nello stabilimento di Borgo
Panigale. Non venne modificata la produzione di motori diesel industriali
(motopompe, gruppi elettrogeni, motozappe, ecc) costruiti per conto della ditta VM e
motori diesel per autovetture (Alfa Romeo e Rover). L’azienda Ducati condivideva
con altre società del Gruppo Cagiva la gestione finanziaria. In questo contesto, i
flussi di cassa generati dalla gestione operativa dell’azienda Ducati contribuivano
all’autofinanziamento del gruppo di appartenenza. In conseguenza di dette modalità
di gestione finanziaria, a partire dal 1995 problemi di liquidità esterni all’azienda
Ducati privarono la stessa del necessario capitale circolante, questo comportò la
dilatazione degli abituali termini di pagamento delle forniture. Alcuni fornitori
ridussero l’afflusso di parti e componenti, provocando nel 1996 significativi ritardi
nella produzione.
In data 25 luglio 1996, la Ducati Motor Holding S.p.A. (interamente controllata da
TPG Acquisition L.P.) ha sottoscritto un contratto in base al quale la Società avrebbe
ricevuto l’azienda di Borgo Panigale, nonché i relativi motori e componenti. Tale
attività era all’epoca gestita dalle società Ducati Motorcycles S.p.A. per la parte
industriale, e Cagiva Trading S.p.A. per la parte commerciale, oltre che dalla Cagiva
North America, Inc. (ora Ducati North America, Inc.) incaricata della distribuzione
delle motociclette del Gruppo Cagiva in America settentrionale. La Ducati Motor
Holding S.p.A. ha deliberato, sempre secondo accordi, in data 4 settembre 1996 un
aumento di capitale, da liberasi in parte in denaro e in parte mediante conferimenti in
natura. La TPG Acquisition ha effettuato il versamento della somma di Lire 71,2
miliardi (pari al 51% del capitale sociale) a titolo di totale liberazione dell’aumento
di capitale ad essa riservato con delibera del 4 settembre 1996. Il 26 settembre 1996,
218
la Ducati Motorcycles S.p.A. ha sottoscritto la parte da liberarsi in natura
dell’aumento di capitale della Ducati Motor Holding S.p.A., per un ammontare di
Lire 68,6 miliardi (pari al 49% del capitale sociale), mediante conferimento del
proprio ramo d’azienda operante nella produzione e commercializzazione di
motociclette. Il ramo d’azienda conferito risultava composto da attività per circa Lire
185,3 miliardi e passività per circa Lire 116,7 miliardi. Sempre in data 26 settembre
1996, la Ducati Motor Holding S.p.A. ha acquistato dalla Ducati Motorcycles S.p.A.
il ramo di azienda comprendente i marchi “Ducati” e il relativo avviamento per un
corrispettivo di Lire 192,2 miliardi, a cui deve aggiungersi un pagamento alla Cagiva
S.p.A., di Lire 15 miliardi a titolo di patto di non concorrenza. Il 24 ottobre 1996, la
Ducati Motor Holding S.p.A. ha conferito la quasi totalità delle attività e passività
dell’azienda Ducati alla propria controllata, la Ducati Motor S.p.A. di cui possedeva
la totalità del capitale. Quest’ultima ha quindi continuato l’opera di produzione di
motocicli, mentre la reggente Ducati Motor Holding svolgeva, da quel momento in
poi, la sola funzione di società capogruppo nella gestione delle varie aziende
controllate. In seguito, la TPG Acquisition ha ceduto una quota del 10% del capitale
della Ducati Motor Holding S.p.A. alla Motorcycles Investment, in base ad accordi
precedenti all’Acquisizione. Fin dall’Acquisizione, il Gruppo Ducati ha dato
attuazione ad un piano strategico di rilancio, nel contesto del quale ha provveduto
all’integrale e immediata estinzione delle obbligazioni di pagamento nei confronti
dei fornitori, sì da consentire la regolare ripresa delle forniture. Il Gruppo ha
sostanzialmente aumentato gli investimenti in capitale circolante allo scopo di
incrementare la produzione, ha rilanciato il settore ricerca e sviluppo ed ha ricostruito
l’immagine Ducati e la rete distributiva. L’attuazione del piano strategico di rilancio
ha consentito l’aumento della produzione, del fatturato ed ha migliorato il risultato
della gestione. In data 30 luglio 1998, la TPG Motorcycles Acquisition L.P. ed altri
investitori (Motorcycles Belgium, Motorcycles Investment S.à.r.l. e Cefisio), hanno
acquistato dal Gruppo Cagiva il rimanente 49% della Ducati Motor Holding S.p.A.
per Lire 277,5 miliardi.
219
5.6.1 Le società proprietarie di Ducati Motor Holding S.p.A.
La Ducati Motor Holding S.p.A. , nei primi mesi del 1999, si trovava ad avere il
proprio pacchetto azionario suddiviso fra diverse società estere.
344
Il socio di
maggioranza è TPG Motorcycle Acquisition L.P., seguono, in ordine di quota la
Motorcycle Investment S.à.r.l., la TPG Motorcycle Belgium ed infine la Cefisio –
Comércio Internacional e Serviços LDA. Esaminiamo brevemente queste quattro
società per meglio comprendere chi sono, all’atto pratico, coloro che hanno il
controllo effettivo del Gruppo bolognese.
-
TPG Motorcycle Acquisition L.P.
Si tratta di una Limited Partnership di diritto dello stato del Delaware, costituita il 23
maggio 1996. La sede legale è sita in 1029 Orange Street, Wilmington, Delaware,
U.S.A. Il suo capitale sociale ammonta a USD 37.978.779. La TPG Acquisition non
è amministrata da un consiglio d’amministrazione, ma dal suo general partner (socio
accomandatario) TPG Partners L.P. Il capitale della TPG Acquisition è frutto del
contributo del general partner TPG Partners L.P. (equivalente al 91%) e del limited
partner TPG Parallel I, L.P. (nella misura del 9%). La TPG Acquisition è proprietaria
del 72% delle azioni Ducati Motor Holding S.p.A. assieme alla TPG Belgium (sua
controllata). La TPG Acquisition è a sua volta controllata dalla TPG Partners L.P.
società costituita nel 1993 per svolgere attività di investimento nel settore delle
società operative. La TPG Partners è controllata da TPG GenPar L.P. dello stato del
Delaware (U.S.A.) il cui scopo gestionale è il controllo dei TPG Partners. In ultimo
la TPG GenPar L.P. ha come controllante la TPG Advisors Inc. la quale esercita il
controllo indiretto sulla Ducati Motor Holding S.p.A. Le azioni della TPG Advisors
Inc. sono di proprietà di: David Bonderman (46%), James Coulter (31%), William
Price (23%). Da ciò risulta che nessuno dei tre soci è detentore della maggioranza
azionaria. Nessuno dei tre soci avrà, di conseguenza, il controllo della TPG Advisors
Inc. e anche della Ducati Motor Holding S.p.A.
-
TPG Motorcycle Belgium
Si tratta di una società anonima di diritto belga con sede legale ed amministrativa in
Bruxelles. Il capitale sociale sottoscritto e versato ammonta a Franchi Belgi
344
Sito internet www.ducatimonsterclub.it
220
2.500.000. La TPG Belgium è interamente controllata dalla TPG Acquisition. La
società si è costituita in data 22 luglio 1998. Essa possiede il 15,8% del capitale
azionario di Ducati Motor Holding S.p.A. ed è a sua volta controllata in maniera
totalitaria dalla TPG Motorcycle Acquisition L.P.
-
Motorcycle Investment S.à.r.l.
Si tratta di una società a responsabilità limitata di diritto lussemburghese. Il capitale
sottoscritto e versato ammonta a Franchi Lussemburghesi 258.046.000. Il controllo
di questa società è operato interamente dalla Deutsche Morgan Grenfell Capital Italy
S.c.p.A. (società in accomandita per azioni con sede in Lussemburgo) sulla quale
esercita, a sua volta, un controllo indiretto la Deutsche Bank A.G. La Motorcycle
Investment S.à.r.l. possiede il 25% del pacchetto azionario Ducati e si pone al
secondo posto come importanza preceduta sola dalla TPG MOtorcycle Acquisition
L.P.
-
Cefisio – Comércio Internacional e Serviços LDA
Cefisio è una società a responsabilità limitata di diritto portoghese. La sede legale è a
Madeira, il capitale sociale ammonta a 5 milioni di Scudi Portoghesi. Il controllo
della Cefisio è attuato dalla Chestergate Investments Corporation, società delle
Tortola, nelle isole Vergini Britanniche. La sua quota di partecipazione inerente
Ducati Motor Holding S.p.A. è pari al 3%, mentre il suo ingresso come azionista
minoritario è datato 30 luglio 1998 e coincide con l’abbandono del pacchetto
azionario posseduto dai fratelli Castiglioni.
5.6.2 Il Gruppo Ducati
La Ducati Motor Holding S.p.A. è la società reggente del Gruppo Ducati, ad esse
fanno riferimento una serie di società controllate ed alcune società collegate con le
quali sono stati instaurati rapporti di collaborazione 345. La Ducati Motor Holding
S.p.A. nasce in data 29 maggio 1996 con il nome di Texas Pacific Group (TPG) e
sede legale in Bologna, via Cavalieri Ducati 3. Costituita sotto forma di società per
azioni, TPG ha deliberato in data 4 settembre 1996, a seguito di una assemblea
straordinaria, il cambiamento di denominazione sociale in Ducati Motor Holding
S.p.A. L’oggetto sociale, come si evince dall’art. 4 dello statuto societario, è “la
345
Sito internet www.ducatimonsterclub.it
221
produzione e la commercializzazione di motocicli, motori ed altre parti e componenti
degli stessi”. L’evoluzione del capitale dalla sua nascita fino ad oggi è stato il
seguente: nel maggio ’96 il capitale sociale ammontava a Lire 200 milioni; unico
azionista era la TPG Motorcycles Acquisition. In data 4 settembre 1996 l’assemblea
straordinaria ha deliberato, oltre al già menzionato cambiamento di denominazione
sociale, anche un sostanziale aumento di capitale sociale che incrementava di Lire
139,8 miliardi passando a 140 miliardi. Tale incremento è stato possibile mediante
l’emissione di 13.980.000 azioni del valore di 10.000 Lire ciascuna, da liberarsi in
parte in denaro ed in parte mediante conferimenti in natura. La sottoscrizione
dell’aumento è stata attuata nel seguente modo:
-
71,2 miliardi, tramite conferimenti in denaro da parte della TPG Acquisition
-
68,6 miliardi dalla Ducati Motorcycles S.p.A. (società appartenente al
Gruppo Cagiva) mediante conferimento di un ramo d’azienda costituito dalla
produzione e commercializzazione di motocicli “Ducati”, nonché dal relativo
avviamento e da tutti i marchi ad esso inerenti.
La nuova situazione si configurava nel seguente modo:
-
51% del capitale era di proprietà della TPG Acquisition
-
il restante 49% era intestato alla Ducati Motorcycles S.p.A. successivamente
incorporata dalla Cagiva S.p.A.
È inoltre da far rilevare che al momento del passaggio di proprietà del ramo
d’azienda dedito alla produzione di motociclette avvenuto nell’anno 1996, è stato
sottoscritto un patto di non concorrenza fra la società acquirente Ducati Motor
Holding S.p.A. ed il Gruppo Cagiva. A tal proposito sono state corrisposte Lire 15
miliardi. Successivamente vi è stata una delibera straordinaria che ha ridotto il valore
nominale delle azioni da Lire 10.000 a Lire 1.000. Nei primi mesi del 1999 il capitale
sociale sottoscritto ed interamente versato ammonta a Lire 140 miliardi,
rappresentato da 140 milioni di azioni ordinarie del valore di 1.000 Lire cadauna.
Dette azioni sono nominative e conferiscono il diritto di voto nelle assemblee
ordinarie e straordinarie della società. Il pacchetto azionario della Ducati Motor
Holding S.p.A. è così suddiviso:
-
il 25% è posseduto dalla Motorcycles Investment;
-
il 3% è nelle mani della Cefisio
222
-
la TPG Acquisition è proprietaria del 72% delle azioni assieme alla TPG
Belgium (sua controllata).
Lo schema rappresenterà meglio quanto fino ad ora illustrato.
Società azioniste di Ducati Motor Holding S.p.A. al 31/12/1998
TPG Acquisition
%
56,1
Motorcycle Investment
25
TPG Belgium
15,9
Cefisio
3
In data 24 ottobre 1996 l’azienda per la produzione e commercializzazione di moto
di marca Ducati risultante dal conferimento sopra menzionato è stata trasferita
interamente alla controllata totalitaria Ducati Motor S.p.A. L’attività industriale di
Ducati Motor Holding S.p.A. si è quindi svolta nel breve periodo intercorrente fra il
26 settembre 1996 ed il 24 ottobre 1996. Successivamente a tale data la società
reggente ha gestito unicamente le partecipazioni in suo possesso. Dall’ottobre 1998
si è aggiunta la funzione di prestazione di servizi di direzione strategica alle proprie
controllate. Per quello che riguarda gli organi sociali della Ducati Motor Holding
S.p.A., lo statuto prevede che la società può essere guidata da un consiglio di
amministrazione composto da un numero minimo di 5 ad un massimo di 15 membri.
Attualmente il consiglio d’amministrazione
è composto da
11 membri.
Amministratore Delegato è il Dottor Federico Minoli, eletto in data 29 maggio 1997.
Direttore Generale della Ducati è, a partire dall’ottobre 1996, l’ing. Massimo Bordi.
A lui è affidata la gestione quotidiana della Società.
5.6.3 Il marchio “DUCATI” nel mondo
Il marchio di un’azienda è qualcosa di più del semplice “stile”: è il mezzo con il
quale l’azienda trasmette il proprio messaggio al mercato346. Il Gruppo Ducati è
titolare del marchio “Ducati” e di altri marchi associati (oltre 500) alle motociclette
che essa produce. Nelle passate stagioni il logo aveva subito più di una
modificazione a causa dei diversi passaggi di proprietà cui era stato oggetto
l’impresa. Col programma di ristrutturazione volto a creare un’immagine coordinata
346
Sito internet www.ducatimonsterclub.it
223
a livello mondiale (varato a partire dal 1996), è stato unificato il logo, ma anche gli
standard grafici, nonché i vari materiali di marketing e promozionali. Era importante
che il marchio della nuova azienda si distinguesse da quello della precedente
gestione e fosse in grado di trasmettere, anche visivamente, una idea di potenza e di
solidità. Si cercava un marchio moderno che, però, affondasse le sue radici
nell’antica tradizione della Casa bolognese. Per realizzare questa modificazione
grafica, la Ducati si è rivolta al designer Massimo Vignelli il quale ha operato
miscelando alcuni elementi presenti sulle precedenti moto. Il nuovo simbolo che è
entrato in uso a partire dalla gamma prodotti 1998 è rappresentato da una ruota in
corsa che evoca una “D” dinamica. Contemporaneamente, la comparsa del nuovo
marchio è stata affiancata da una mentalità minimalistica capace di ridurre
all’essenziale gli elementi grafici sulle moto, per aumentarne lo stile e l’eleganza. Il
nuovo marchio Ducati compare solo sulla carenatura o sul serbatoio, mentre il nome
del modello è riportato sulla parte posteriore. Il marchio Ducati è registrato in tutti i
paesi aderenti all’Accordo di Madrid347. La registrazione non concerne solamente la
classe “motori e veicoli”, ma riguarda altre categorie merceologiche:
-
occhiali e caschi
-
abbigliamento
-
profumi
-
Orologi e strumenti cronometrici
Grazie al crescente apprezzamento del marchio Ducati da parte del pubblico di
appassionati, è stato dato avvio ad un programma di sfruttamento dell’alto valore
raggiunto dallo stesso. Per prima cosa è stata attuata una strategia di espansione
347
Il marchio internazionale è regolamentato da due normative: Accordo di Madrid e Protocollo di
Madrid. Ci sono stati che aderiscono solo all’Accordo e stati che aderiscono solo al Protocollo, mentre
altri stati, tra cui l’Italia (dal 17 aprile 2000), aderiscono ad entrambi. Le due normative sono tra loro
piuttosto diverse. Una delle differenze più rilevanti è che l’Accordo prevede che si possa ottenere un
marchio internazionale, solo sulla base di un marchio registrato nel paese di origine, mentre il
Protocollo prevede che si possa fare anche sulla base di una semplice domanda. Altra differenza è che
secondo l’Accordo la procedura deve essere seguita in lingua francese, mentre secondo il Protocollo, o
Accordo e Protocollo insieme, può essere trattata sia in francese che in inglese. In stati come il nostro,
che aderisce ad entrambi, colui che richiede un marchio può scegliere di:
- Designare stati che aderiscono solo all’Accordo (nel quale la normativa applicabile è,
appunto, quella dell’Accordo)
- Designare stati che aderiscono solo al Protocollo (nel quale caso la normativa applicabile è,
appunto, quella del Protocollo)
- Designare stati che aderiscono sia all’Accordo che al Protocollo (nel quale caso la normativa
applicabile è, per legge, quella dell’Accordo).
224
mirata della propria offerta di prodotti in maniera tale da includere, oltre alle
motociclette, altri prodotti direttamente collegati al mondo delle due ruote. In più, si
è proceduto alla costituzione di una joint-venture con Gio. Ca. Moto International. Si
tratta di una azienda specializzata nella commercializzazione di accessori specifici
Ducati con sede a Caldera di Reno, a pochi chilometri dallo stabilimento di Borgo
Panigale. Questa linea comprende sia la componentistica destinata al miglioramento
delle prestazioni sportive dei motocicli (pistoni, bielle ed altre parti meccaniche
alleggerite), sia una serie di prodotti atti a personalizzare dal punto di vista estetico i
modelli Ducati (serbatoi aerografati, componenti in fibra di carbonio, ecc).
l’accessoristica Gio. Ca. Moto International è attualmente commercializzata con il
marchio registrato: “Ducati Performance”. Sotto il profilo dell’abbigliamento si
registra la nascita del rapporto di collaborazione con la Dainese 348 (leader mondiale
nella produzione di tute in pelle, giubbotti, stivaletti di uso motociclistico) che ha
originato la linea contraddistinta dal marchio Ducati- Dainese. Fanno anche parte del
merchandising Ducati la linea di magliette, cappellini e felpe, nonché la concessione
delle livree caratteristiche a multinazionali del giocattolo (Mattel, Majorette, ecc).
348
Proteggere l’uomo dalla testa ai piedi. È questa la mission di Dainese, la società italiana leader nel
mondo della produzione di abbigliamento protettivo per i motociclisti e per i praticanti degli sport
dinamici. La Dainese nasce nel 1972 a Molvena, fondata dal suo attuale Presidente Lino Dainese e
l’attività inizia con la produzione di pantaloni in pelle per il Motocross. Lino Dainese pensa al
movimento, alla velocità, alla libertà, a come coniugare tutto questo con la sicurezza. E si diverte a
disegnare un marchio per la sua azienda fin dal ’71, quando l’azienda ancora non c’é. Il fuoco che ha
dentro sta trovando una direzione. Il diavolo corre veloce e guarda la realtà attraverso una lente
magica: vede cose che ancora non si possono immaginare. È in fondo ciò che Lino sente, che vuole
realizzare e insieme comunicare. Il motociclista corre, osa, cerca il limite di aderenza; è questo che gli
piace, niente altro gli interessa. Dunque qualcuno deve occuparsi di proteggere la sua incolumità,
qualcuno che lo conosce e che sa prevenire le sue necessità. Lo studio parte proprio dall’uomo e dai
suoi movimenti, vi si allontana percorrendo strade innovative e poco battute e, infine, all’uomo
ritorna, fornendogli prodotti pensati per assecondarne l’ergonomia e proteggerlo. Progettare
protezione e sicurezza attorno all’uomo per Dainese significa ispirarsi alla Natura a come l’evoluzione
ha disegnato le corazze dell’armadillo e dell’aragosta, per esempio. La storia è invece ispiratrice con
le armature medievali e rinascimentali, che offrivano a pochi privilegiati protezione, ergonomia e
sicurezza. Ecco la sfida: mutare i concetti della Natura e dalle più brillanti intuizioni della storia, per
creare le protezioni da dedicare al maggior numero possibile di utilizzatori. Una protezione finalmente
democratica. Da sempre, per Dainese collaborare con i Campioni del Mondo va al di là di
un’operazione di mera sponsorizzazione, per assumere un significato più profondo legato alla ricerca
ed allo sviluppo di soluzioni innovative per proteggere piloti e atleti in un ambiente difficile come
quello delle competizioni. Dainese è partita dalle moto ed è arrivata molto più in là: dal ’95 le
tecnologie protettive messe a punto per la sicurezza dei motociclisti sono state applicate ad altri sport.
Prima la mountain bike con la specialità del Downhill, poi lo sci cominciando dalle discipline più
veloci, poi ancora gli sport acquatici come il jet-ski ed i Kite-surf. La leadership nel campo della
protezione dell’uomo soprattutto di chi è protagonista negli sport dinamici, oggi si apre a nuove
prospettive nell’ambito della mobilità urbana, ed arriva fino a progetti di collaborazione con il MIT:
per una tuta adatta alle passeggiate extraveicolari nel campo delle esplorazioni spaziali, con cui la
NASA intende atterrare su Marte entro il 2030.
225
Nel campo dei computer la Ducati Corse S.r.l. ha collaborato attivamente alla
creazione del videogioco riproducente il Campionato Mondiale Superbike che verrà
commercializzato inserendo anche il logo dell’azienda bolognese. Grazie al
contributo dei tecnici Ducati sono stati forniti i dati necessari ad impostare i
parametri di simulazione video per rendere maggiormente realistico il gioco. All’atto
della stipulazione del secondo contratto di finanziamento, la Ducati ha concesso in
pegno, a garanzia delle obbligazioni assunte, tutti i suoi marchi. Il Gruppo è titolare
di due brevetti per invenzioni industriali inerenti dispositivi elettrici e meccanici di
comando e controllo.
5.6.4 Imprese controllate
Gio. Ca. Moto International S.r.l., Ducati France S.A., Ducati Motor Deutschland
G.m.b.H., Ducati Japan K.K., Ducati Motor S.p.A349.
Passiamo ad elencare, una ad una, le imprese che sono soggette al controllo di Ducati
Motor Holding S.p.A., precisando che fra queste e la controllante vi è un rapporto di
prestazioni di servizi e direzione strategica. Lo schema seguente servirà a chiarire
meglio i rapporti fra le varie società del gruppo.
-
Gio. Ca Moto International S.r.l.
La formazione di questa società risale all’anno 1997. Si tratta di una società a
responsabilità limitata con sede legale in Sondrio e Capitale sociale pari a Lire
800.000.000 interamente versato. La partecipazione di Ducati Motor Holding S.p.A.
a Gio. Ca Moto International S.r.l. è nell’ordine dei 400.000.000 di Lire, pari al 50%
del capitale sociale. Un patto con l’unico altro socio Jarido B.V. (impresa di diritto
olandese non facente parte del Gruppo Ducati né controllata dagli azionisti della
Ducati Motor Holding S.p.A.) fa sì che a tutti gli effetti Ducati Motor Holding S.p.A.
abbia il pieno controllo di questa società. Entrando più nel dettaglio si chiarisce che
la Società esercita il controllo sulla Gio. Ca Moto International S.r.l. attraverso un
accordo ai sensi del quale una quota pari all’1% del capitale, di proprietà dell’altro
socio Jarido B.V., è stata intestata ad una società fiduciaria, la quale esercita il
relativo diritto di voto esclusivamente in conformità alle istruzioni impartite dalla
Ducati Motor Holding S.p.A. La Gio. Ca. Moto International S.r.l. dal 1997 sviluppa
349
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226
e commercializza la gamma di parti e accessori specializzati Ducati Performance.
-
Ducati France S.A.
La Ducati France S.A. ha sede in Parigi, rue de la Pèpinere. Il capitale sociale
ammonta a Lire 1.176 milioni (interamente versato) e rappresenta il 99,9% del
capitale sociale (1.181). La sua nascita è recente ed è volta a rimpiazzare il
precedente importatore francese col quale è cessato ogni rapporto a causa di
controversie giudiziarie. Il primo anno di funzionamento, il 1998, si è concluso con
una perdita di Lire 2.480 milioni dovuta alle inevitabili operazioni di avviamento ed
a ritardi, imputabili all’apparato burocratico francese, nella concessione delle licenze
necessarie ad avviare l’attività.
-
Ducati Deutschland G.m.b.H.
La sua costituzione risale al 1998 in coincidenza con la rottura dei rapporti con
l’importatore tedesco. Il capitale sociale di questa controllata è di importo pari a Lire
492.590.000 e risulta interamente versato. La partecipazione di Ducati Motor
Holding S.p.A. è totalitaria. In base alle statistiche di vendita all’estero nell’anno
1998, il mercato tedesco risulta essere secondo, come unità vendute, preceduto
solamente dagli Stati Uniti d’America. Rapportando, però, il numero di unità vendute
alla popolazione, la Germania scavalca gli U.S.A. Da qui la necessità di seguire
direttamente l’andamento del mercato, eliminando l’anello di congiunzione costituito
dall’importatore e ponendo una propria filiale nella città di Francoforte.
-
Ducati Japan K.K.
La Ducati Japan nasce nel 1998 a Tokio, con sede in 728-1 Utsukimachi. Il suo
Capitale sociale e di 256.020.000 e risulta interamente versato da Ducati Motor
Holding S.p.A. che detiene la totalità del pacchetto azionario. La rilevanza strategica
di questa filiale è notevole, si tratta di un punto di contatto con il mercato giapponese
dove hanno sede i principali concorrenti di Ducati Motor Holding S.p.A. quali
Honda, Suzuki, Kawasaky e Yamaha.
-
Ducati Motor S.p.A.
La Ducati Motor S.p.A., controllata al 100% dalla Ducati Motor Holding S.p.A.,
principale fonte di ricavi del Gruppo Ducati, progetta costruisce e distribuisce
227
motociclette, parti e componenti con il marchio Ducati. La Ducati Motor S.p.A.
possiede il 100% della Ducati North America Inc., il distributore del Gruppo Ducati
per gli Stati Uniti ed il Canada. Infine, la Ducati Motor controlla al 99% la Ducati
Corse S.r.l., costituita nell’ottobre 1998 per svolgere l’attività di organizzazione,
gestione delle squadre corse e attività connesse. L’azienda Ducati è stata trasferita
dal Gruppo Cagiva alla Ducati Motor Holding S.p.A. nel corso dell’anno 1996. A
seguito di questo trasferimento, il Gruppo Ducati ha portato avanti un programma a
lungo termine di riorganizzazione finalizzato a: pagamento integrale dei sospesi
verso fornitori, incremento degli investimenti sul capitale circolante, sulla
produzione e sulla attività di ricerca e sviluppo, assunzione di nuovi dipendenti,
rivalutazione dell’immagine societaria, implementazione di un sistema finalizzato al
controllo di qualità. In data 2 settembre 1996, le assemblee straordinarie di Ducati
Motor S.p.A. avevano deliberato la fusione mediante incorporazione della Ducati
Motor nella Ducati Motor Holding, tuttavia, in data 7 settembre 1998, detta decisione
è stata all’unanimità revocata essendo mutati i presupposti che avevano determinato
la delibera di fusione.
5.6.5 Strategia
La strategia competitiva della Ducati Motor S.p.A. non mira a produrre moto per il
mercato di massa (prerogativa della Honda: colosso motociclistico difficilmente
attaccabile), bensì modelli sofisticati e tecnologicamente diversi dagli altri, moto con
forte personalità adatte ad un pubblico più raffinato e, di conseguenza, limitato 350.
Ciò comporta uno standard qualitativo della componentistica molto elevato e la
continua ideazione di soluzioni tecniche originali. Vediamo ora di esaminare in
dettaglio la strategia che la Ducati intende affrontare per il futuro. Secondo i vertici
della Ducati le strade da percorrere per aumentare il valore dell’azienda sono
sostanzialmente due: da una parte la crescita del fatturato, mentre dall’altro lato si
ritiene utile agire con interventi volti a salvaguardare il margine di guadagno su
ciascun prodotto venduto (mix prodotto più aggressivo). Sotto il primo punto di
vista, la crescita del fatturato si può ottenere con due tipi di soluzioni: la prima,
abbastanza ovvia, è l’incremento del volume di moto vendute. Per ottenere ciò, la
350
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228
Ducati si prefigge di ampliare sia la quota di mercato tradizionale, sia di sondare
nuove nicchie di mercato mediante introduzione di nuovi prodotti. Già nel 1993 si
intravede il primo grande tentativo di inglobare nuove categorie di motociclisti:
nasce la linea “Sport Naked”, il cui capostipite è rappresentato dal modello Monster
City. La nuova gamma produttiva va incontro alle esigenze, non del classico
motociclista sportivo, bensì di quello metropolitano. Nel 1997 è la volta della linea
Sport Touring (rappresentata dal modello Sport Touring 2 ed ST4 poi) con la quale ci
si orienta verso le necessità del motociclista amante dei lungi viaggi e del comfort.
Sono, questi, due tentativi di ampliamento molto oculati, in considerazione della
rischiosità di una politica volta a diversificare con troppa disinvoltura (mancanza di
competenze e possibile controffensiva degli altri produttori specializzati). La seconda
soluzione sta nella creazione di nuovi fatturati indotti. Per “fatturati indotti” si vuole
intendere la concessione di licenze, operazioni di merchandising, creazione di nuove
linee di ricambi ed accessori volti a personalizzare maggiormente dal punto di vista
estetico e tecnico le moto della Gamma Ducati. A seguito di tale volontà è stata
creata la linea Ducati Performance. Accanto a queste operazioni che si possono
definire di “espansione esterna”, si possono affiancare interventi da effettuare
all’interno degli stabilimenti produttivi. L’insieme di queste operazioni valgono a
migliorare il cosiddetto “mantenimento di margine”. Gli interventi da attuare per
ottenere una progressiva riduzione del costo di prodotto sono essenzialmente
costituiti da una spinta alla maggiore standardizzazione, ovvero riorientamento verso
una produzione che faccia maggior uso di componentistica comune. Da ciò è seguita
una filosofia costruttiva che vede tutte le categorie di moto Ducati fare capo a due
tipi diversi di propulsori che vengono di volta in volta differentemente adattati ai vari
modelli. In questo modo ci si può avvantaggiare per mezzo delle leve generate da
economie di scala e di apprendimento. Secondariamente, è opportuno migliorare
l’efficienza globale del sistema in maniera tale da eliminare tempi morti o evitare
periodi di sovrapproduzione; eventualità sempre possibili in un settore a domanda
fortemente altalenante come quello delle due ruote. In questo senso volge
l’introduzione del nuovo sistema di gestione computerizzata della produzione (del
quale si dirà in seguito). Infine, elemento da non trascurare per mantenere elevato il
margine di guadagno è il cosiddetto “mantenimento del premio di prezzo”. Con ciò
229
ci si riferisce quel surplus di valore che un prodotto può avere in conseguenza: del
marchio sovrastante molto ben affermato, della collocazione di nicchia dello stesso
che lo rende esclusivo e quindi difficilmente sostituibile con prodotti analoghi,
dell’elevata qualità dello stesso da abbinarsi ad un primato tecnologico che
conferisca una forte identità la prodotto e, concludendo, una marcata leadership, non
solo storica, ma anche attuale, nelle competizioni sportive di più alto livello.
5.6.6 L’organizzazione della produzione ed i rapporti con i fornitori
Il Gruppo Ducati ha di recente varato una razionalizzazione del processo produttivo
con l’intento di ridurre la complessità ed aumentare l’efficienza in fase di
assemblaggio351. La novità consiste nell’introduzione del sistema a “piattaforme”
secondo il quale la produzione di una motocicletta viene articolata su un determinato
numero di componenti-chiave (piattaforme, appunto), a loro volta composti da subcomponenti. Ciascun fornitore chiave è fatto responsabile per la piattaforma
prodotta, a lui spetta il coordinamento ed il controllo sui fornitori dei subcomponenti. I vantaggi che il sistema apporta all’intero comparto produzione sono
rilevanti:
-
aumenta l’uso di componentistica comune, incrementando i risparmi
conseguenti alle economie di scala
-
responsabilità non accentrate, ma uniformemente equiparate
-
elevato potenziale d’acquisto e conseguente ottenimento di prezzi più
favorevoli sulle forniture esterne
-
possibilità di progettare in comune con i fornitori le caratteristiche delle
piattaforme da assemblare, con evidente ricaduta sulla qualità della
componentistica installata
-
maggiore responsabilizzazione dei fornitori che ora non apportano materie
prime, ma semilavorati
-
drastico ridimensionamento delle scorte di magazzino con alleggerimento dei
costi ad esso conseguenti
L’analisi del reparto produzione prende avvio da una considerazione: i processi
produttivi non sono integrati verticalmente e sono caratterizzati da una struttura a
351
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230
costi fissi relativamente bassi. L’obiettivo strategico che il Gruppo Ducati intende
conseguire è l’integrazione di operazioni produttive interne limitate con una rete di
fornitori selezionati allo scopo di ridurre la complessità del processo e migliorarne
l’efficienza. Lo stabilimento produttivo Ducati di Borgo Panigale ha una superficie
totale di 124.487 mq di cui 36.000 al coperto. Negli spazi esterni si trovano i
parcheggi per i dipendenti e la pista prove per il collaudo dei modelli. Produzione di
motori, assemblaggio di telai e stoccaggio di merci sono svolte in loco. Seguendo la
politica dell’”outsourcing”, la Ducati affida a terzi fornitori la produzione della
maggior parte delle singole componenti. Stime recenti vedono solamente un 15% di
costi diretti ed indiretti imputabili a lavoro. Il rimanente 85% dei costi totali di
produzione è da imputare all’acquisto di componenti da terzi. Al fine di meglio
coordinare e pianificare l’afflusso di semilavorati di provenienza esterna, la Ducati
ha sviluppato un nuovo sistema software in grado di monitorare il flusso delle
informazioni provenienti dall’apparato produttivo. In questo modo si ha un quadro
costante della situazione e si è in grado di intervenire laddove si individuino dei
malfunzionamenti o delle carenze. Sotto il profilo della pianificazione si hanno i
vantaggi maggiori: inserendo le previsioni di vendita per un determinato periodo,
assieme ai programmi di produzione, si ottengono in tempo reale tutti i parametri
necessari ad organizzare, senza disfunzioni, l’afflusso di materiali necessari alle linee
di assemblaggio. La catena di montaggio delle diverse piattaforme di componenti è
stata studiata per favorire al massimo le economie di scala. Diversi modelli
condividono medesime parti, soprattutto per quello che riguarda i motori: nel 1998 la
Ducati ha prodotto 17 differenti modelli utilizzando principalmente due tipi di
basamenti motore e tre differenti teste del cilindro. I processi produttivi a piattaforma
interessano per ora 10 gruppi funzionali riducendo sensibilmente il numero di
componenti da assemblare direttamente sulla moto. Per il futuro sono stati
identificati ulteriori 59 progetti a piattaforma cui si intende dare esecuzione.
Vediamo ora di analizzare la compagine dei fornitori elencando alcuni dati che
possono meglio di altri, rendere un’idea dell’attuale situazione. L’apporto dei
maggiori 10 fornitori ha rappresentato approssimativamente il 34% degli acquisti per
il 1998. Gli acquisti in valuta rappresentavano negli anni 1997-98 il 13% del totale,
esponendo in maniera lieve l’apparato finanziario ed eventuali rischi di cambio. I
231
maggiori fornitori di Ducati Motor S.p.A. sono:
-
Brembo, azienda leader nella costruzione di sistemi frenanti
-
Bosch per le componenti elettriche
-
Magneti Marelli per i sistemi ad iniezione
-
Marzocchi per le forcelle
-
Michelin e Pirelli per i pneumatici
-
Yuasa per le batterie
Spingendosi più nel dettaglio si chiarisce che la politica di fornitura del Gruppo
Ducati inizia con la selezione, all’interno di una rosa di favoriti, di una coppia di
fornitori per ciascun componente. La Ducati non è solita intrattenere rapporti di
esclusiva, preferisce rivolgersi a due fornitori contemporaneamente onde evitare che
disguidi interni ad uno di questi finiscano per ripercuotersi sulla catena di
assemblaggio provocando pericolosi blocchi della produzione. Ad esclusione di un
limitato numero di contratti a lunga durata, la Ducati è solita stipulare contratti a
breve (rinnovabili di volta in volta) in grado di facilitare l’eventuale eliminazione di
fornitori rivelatisi o divenuti inadeguati. A fronte di una domanda altalenante, la
produzione di motociclette Ducati non conosce soste, se non nel periodo natalizio e
per le ferie estive. L’assemblaggio delle moto procede a ritmo costante per tutto
l’anno. A variare sono, semmai, le scorte di prodotti finiti che si assottigliano nei
mesi di maggiore domanda (periodo marzo-giugno) per poi accrescere nei periodi di
stagnazione.
Oltre
alla
produzione
di
serie,
Ducati
si
impegna
anche
all’assemblaggio di modelli particolarmente evoluti destinati alle competizioni
motoristiche mondiali. Le moto così elaborate sono mediamente 40 all’anno e
vengono destinate, per buona parte al team ufficiale, mentre le rimanenti sono
vendute a squadre private o piloti professionisti che gareggiano senza il supporto
ufficiale. Procedendo ad esaminare quelle che sono le caratteristiche di progettazione
del Gruppo Ducati, non si può non soffermarsi su alcuni elementi caratteristici
facenti parte della filosofia produttiva di cinquant’anni di moto e che saranno ora
sede di un breve approfondimento: col termine “desmodromico” ci si riferisce ad un
sistema di comando delle valvole di aspirazione e scarico presenti nella testata di tutti
i motori a quattro tempi. In particolare si tratta di una sorta di doppio albero a camme
in grado di controllare non solo l’apertura, ma anche la chiusura delle valvole. Da ciò
232
ne consegue una maggiore precisione di comando delle valvole rispetto ai sistemi
tradizionali di richiamo a molla. Il risultato è un beneficio in termini di resa ed
efficienza generale del motore che “respira” meglio anche agli altri regimi.
L’architettura desmodromica evita il classico “sfarfallamento” dei motori quando
sono su di giri, dovuto ai limiti meccanici delle tradizionali molle. Queste ultime,
viste le elevate velocità di rotazione del motore, non chiudono le valvole in tempo
utile per consentire un efficiente lavoro in camera di combustione. Sempre restando
nell’ambito motoristico si evidenzia una scelta che si protrae da tempo, immutata nel
disegno. Si tratta della configurazione ad “L” dei cilindri: i vantaggi si fanno evidenti
in termini di leggerezza ed aerodinamica, soprattutto se confrontate con le più
voluminose quattro cilindri. Inoltre, la collocazione longitudinale del propulsore fa sì
che le vibrazioni di funzionamento siano notevolmente attenuate. La conformazione
della camera di scoppio della curvatura degli scarichi conferiscono alle Ducati un
suono profondo e rombante facilmente riconoscibile. Si consideri, poi il telaio a
traliccio: trattasi di una tecnologia importata dalle vetture di Formula Uno. Con essa
le moto acquistano una maggiore rigidità della struttura sì da permettere la
realizzazione di un telaio più compatto che faciliti la guida alle velocità più elevate,
esaltando la maneggevolezza.
5.6.7 Distribuzione, i “Ducati stores”
Storicamente il Gruppo Ducati distribuiva le sue motociclette, in Italia, direttamente
attraverso dettaglianti (solitamente rivenditori multimarca) e, all’estero, attraverso
una serie di importatori indipendenti, ognuno dei quali responsabile in merito alla
creazione di una propria rete di rivenditori al dettaglio352. A partire dal 1997 il
Gruppo Ducati ha avviato una nuova strategia distributiva. In pratica sono stati
sostituiti parecchi importatori stranieri, al posto dei quali è stata creata una società
direttamente controllata dalla casa madre.
I vantaggi della distribuzione all’ingrosso attuata direttamente sono notevoli:
-
in primo luogo si ha la possibilità di reinvestire localmente i profitti
aggiuntivi derivanti dall’eliminazione di un anello della catena distributiva e
352
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233
dei costi ad esso connessi
-
in secondo luogo vi è la possibilità di essere direttamente a contatto con i
consumatori finali. In questo modo si riescono a percepire meglio quelle che
risultano essere le loro reali necessità apportando con la dovuta rapidità i
cambiamenti necessari
-
il terzo rilevante vantaggio derivante dalla nuova architettura distributiva è
costituito dal maggior controllo, vista l’eliminazione dell’intermediario,
sull’intero processo svolto costantemente sotto l’egida della Casa. In questo
modo l’azione di commercializzazione dei prodotti risulta notevolmente più
efficace
-
in ultimo è da considerare la migliore gestione delle scorte dei prodotti finiti.
Questi, infatti, non giacciono più nei magazzini dell’importatore, ma
rimangono all’interno della filiale che può re distribuirli in maniera più
efficace fra i vari mercati a seconda dei particolari picchi di domanda. Si
otterranno in questo modo benefici in termini di riduzione dei costi logistici
complessivi.
La Ducati, esaminando la distribuzione all’ingrosso, attua una strategia di vendita
diretta ai concessionari del nostro paese ed in Belgio. Per quello che riguarda gli Stati
Uniti, Canada, Germania, Francia e Giappone, la Ducati si avvale di società
interamente controllate. Negli altri paesi la vendita è affidata a distributori
indipendenti. A partire dal gennaio 1998 la Ducati ha sostituito i propri distributori in
Portogallo, Spagna, Sud Africa, Svizzera, e sta procedendo all’apertura di propri
uffici commerciali in Svezia. Il motivo di tali cambiamenti è da imputare ad una
riconosciuta inadeguatezza degli ex partner nei compiti loro affidati dalla casa
madre. I nuovi distributori presentano in partenza una maggiore familiarità col
settore avendo avuto precedenti esperienze nella commercializzazione di motocicli.
La Ducati ha altresì aumentato la propria penetrazione geografica in mercati finora
inesplorati quali: Emirati Arabi, Kuwait, Tailandia, Cile, Messico, Filippine, Polonia,
Malta, Corea del Sud, Turchia. Passando all’analisi della distribuzione al dettaglio, si
fa notare che all’interno del mercato italiano è in atto una radicale ristrutturazione del
comparto distributivo. Il numero di concessionari Ducati è stato più che dimezzato.
Si è passati dai 165 del 1996 ai 68 del gennaio ’99. L’obiettivo è quello di creare dei
234
veri e propri punti vendita specializzati ai quali offrire un’efficace supporto di
marketing e merchandising. L’obiettivo è quello di stimolare le concessionarie ad
effettuare investimenti al fine di creare dei veri e propri “Ducati Stores”, punti
vendita esclusivi a marchio Ducati. In base alle ultime stime datate gennaio 1999
risultano essere 25 i contratti di franchising stipulati in Italia concernenti l’apertura di
altrettanti punti vendita esclusivi. L’obiettivo programmato per il termine dell’anno è
costituito dalla stipula di 50 contratti. All’estero il panorama è in continua crescita:
risultano essere già aperti negozi nelle città di: New York, Vienna, Johannesburg,
Londra, Città del Capo, Sidney. I vantaggi che tale nuovo assetto apporterà si
configurano come duplici:
-
i concessionari beneficeranno (essendo in minor numero) di un maggiore
volume di vendite, con conseguente aumento della redditività
-
da parte del Gruppo Ducati, l’operazione comporterà un netto rafforzamento
della propria rete distributiva
Una volta collaudata in Italia, la strategia verrà esportata all’estero e più
precisamente in Francia e Germania. All’interno di ogni store vi sono in primo piano
le motociclette Ducati a cui si affianca l’esposizione dell’accessoristica dedicata ad
ogni modello raggruppata sotto il marchio Ducati Performance. Vi è poi uno spazio
dedicato all’abbigliamento, mentre una delle pareti del locale si presta all’affissione
di un itinerario storico che ripercorre le immagini dell’eredità sportiva dell’industria
bolognese. Accanto a questa una più moderna parete ingegneristica raffigurante un
progetto in grande scala del modello di punta della serie hyper sport. La Ducati
garantisce ad ogni suo punto vendita un servizio altamente specializzato in termini di
consulenza e design, ma non acquisisce una partecipazione diretta negli stessi. Fra le
caratteristiche dei nuovi Ducati Stores emerge la rete denominata “Desmo.net” che,
tramite Web collega istantaneamente tutti i punti vendita costituendo un vantaggio
competitivo in termini di velocità operativa ed efficienza. A quanto appena detto si
aggiunga la riorganizzazione dello spazio di vendita secondo un prestabilito design
Ducati. I Ducati Stores sono stati concepiti per diventare, nel tempo, un punto di
ritrovo per ducatisti e perciò sono promotori di numerose iniziative quali:
-
corsi di guida sicura da tenersi nei più importanti autodromi italiani sotto la
direzione di affermati istruttori
235
-
gite moto turistiche aventi itinerari nazionali o esteri
-
trasferte nei circuiti iridati a seguito del Campionato del Mondo categoria
Superbike.
Da alcuni anni a questa parte Ducati non è più sinonimo solo di motociclette.
Seguendo i dettami della strategia Ducati, accanto alla produzione di motoveicoli si
sta affiancando una seconda attività con ottime potenzialità di lucro. Si parla, nella
fattispecie, di un mercato in rapida espansione concernente non solo la ricambistica,
ma anche tutta una serie di accessori, abbigliamento motociclistico e licenze d’uso,
in grado di portare un utile flusso di liquidità immediata nelle casse della società.
Vediamo di esaminare nel particolare le singole voci elencate:
-
pezzi di ricambio e motori
L’8,2% dei ricavi originatisi nel 1998 era da ricondurre alla vendita di pezzi di
ricambio. Il magazzino pezzi di ricambio è situato negli stabilimenti in cui avviene
l’assemblaggio dei prodotti. Inevitabilmente associato alla ricambistica è il discorso
basato sulla velocità di reperimento dei vari articoli al fine di rendere il motoveicolo
guasto in grado di riprendere a circolare nel minor lasso di tempo possibile. A tal
proposito la Ducati afferma di essere in grado di soddisfare più del 92% degli articoli
ordinati entro 24 ore, se la richiesta proviene dall’Europa e di 48-72 ore se proviene
da qualsiasi altra parte del mondo. Fra le nuove strategie in atto alla Ducati, di
primissimo piano risulta essere il cosiddetto “outsourcing”, ovvero la logica di far
svolgere esternamente le attività ritenute non strategiche. Da ciò ne consegue che per
la spedizione dei materiali di ricambio la Ducati si appoggia alla Saima Avandero
S.p.A. A quest’ultima si sta progressivamente affidando anche il delicato compito
dello stoccaggio dei materiali e della integrale gestione del magazzino ricambi. In
aggiunta alla produzione di motori per le proprie motociclette, la Ducati fornisce
propulsori di 900 cc per Cagiva (contratto scadente nel 2000) e Bi.Mo.Ta. (contratto
da rinnovarsi annualmente).
-
accessoristica “Ducati Performance”
Una diffusa tendenza degli utilizzatori di moto Ducati (ed in particolare quelli del
sub-segmento sport naked) è quella di sostituire alcune parti della motocicletta
standard, con accessori modificati, allo scopo di personalizzare il proprio mezzo. Si
verifica una specie di commistione con i modelli cruiser che fanno della
236
personalizzazione il loro punto di forza. Per soddisfare questa domanda in crescente
aumento, si è avviato il già citato progetto di collaborazione fra Ducati Motor S.p.A.
e la sua consociata Gio. Ca. Moto International S.r.l., per la progettazione in concerto
di nuove linee di accessori, in parte omologati per l’uso stradale, in parte dedicati
esclusivamente alle corse su pista (Ducati Performance).
-
abbigliamento motociclistico
L’avvio della linea di abbigliamento motociclistico (tecnico e non) recante il marchio
Ducati, ha avuto inizio a partire dal 1998. Per garantire una produzione di qualità è
stata instaurata una collaborazione con la ditta italiana Dainese.
-
licenze d’uso
Sono parecchie le case costruttrici che si sono avvalse del marchio Ducati per la
creazione dei loro modelli. Vista la crescente notorietà del marchio, nelle strategie
future dell’azienda vi è la creazione di un apposito ufficio dedicato alla concessione
di licenze d’uso.
5.6.8 Ricerca e sviluppo
All’interno del Gruppo Ducati opera in simultanea un team di ricerca e sviluppo che
combina tre generazioni di talenti353. I modelli Ducati hanno un ciclo di vita piuttosto
prolungato è vengono continuamente rinnovati ed aggiornati nel corso di esso. Per
fare un esempio: la linea super sport è entrata in produzione nel lontano 1973 ed ha
subito costanti aggiornamenti nel tempo. Anche il reparto ricerca e sviluppo ha
subito, nella storia recente, decisivi cambiamenti. Vi è stata una sostanziale
rimodellazione del processo di progettazione: mentre in passato erano necessari
mediamente 36 mesi per lo sviluppo di un modello da immettere nella fase di
produzione, oggi, a seguito delle modifiche, tale periodo è drasticamente diminuito.
Si pensi, tanto per fare un esempio, che la nuova Ducati 900SS i.e. è stata sviluppata
e lanciata in soli 15 mesi. Va da sé che le abbreviate procedure di progettazione
costituiscono un indubbio vantaggio competitivo che la Ducati può vantare nei
confronti degli altri produttori. In questo modo la flessibilità aziendale
(indispensabile al giorno d’oggi per mantenere intatta la propria quota di mercato) è
aumentata considerevolmente e l’azienda potrà in futuro adeguarsi più velocemente
353
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237
all’evoluzione dei gusti dei consumatori. Dal punto di vista gestionale il maggior
carico di lavoro dovuto alla recente creazione delle due nuove linee di prodotti (ST2
e Monster), ha appesantito in maniera rilevante il reparto andando a compromettere
fattori quali snellezza e flessibilità. visto l’evolversi della situazione sono stati avviati
cambiamenti che interessano il reparto ricerca e sviluppo nel suo complesso.
L’evoluzione iniziata a partire dal 1998, vuole la trasformazione del reparto
sperimentazioni del Gruppo Ducati, da un unico centro, a più unità autosufficienti,
ma centralizzate, volte a formare una rete nell’ambito della quale il team interno di
ricerca e sviluppo sarà responsabile del coordinamento strategico delle molteplici
fonti esterne di progettazione tecnica e di ingegneria. Avendo chiaro quanto ora
esposto, si comprende il motivo di alcune alleanze strategiche che il Gruppo Ducati
ha stipulato. Se ne elencano alcune:
-
accordo con TWR, centro leader nello sviluppo di propulsori per monoposto
di Formula Uno
-
accordo con l’Ing. Piero Ferrari per la costituzione di una joint venture
finalizzata allo sviluppo di tecnologie motoristiche avanzate concretizzatosi
con l’acquisizione del 40% della società H.P.E. S.r.l. (High Performance
Engineering).
Non è esente da cambiamenti neanche il reparto progettazione moto. Oltre alla già
menzionata velocizzazione del processo, è in atto la creazione di un nuovo reparto. In
passato, anche per via della precedente proprietà Ducati, la progettazione di una
nuova motocicletta comportava un incarico ad un ufficio esterno, il CRC (Centro
Ricerche Cagiva). In vista della scadenza del contratto di collaborazione col CRC e
viste le mutate esigenze volte ad un maggior controllo del processo di progettazione,
la Ducati Motor S.p.A. sta sviluppando un’autonoma divisione interna chiamata
“Ducati Design Center”. A partire dall’anno 2000 questa divisione è stata ultimata ed
ha iniziato ad interagire.
238
5.6.9 Il reparto design
All’interno di Ducati Motor S.p.A., è stata costituita una nuova divisione
indipendente denominata DDC (Ducati Design Centre), per il design e la
progettazione, dedicata alla creazione dei futuri modelli e connessa allo sviluppo dei
prodotti354. Costituito da un gruppo di progettisti, ingegneri, modellisti, tecnici, il
centro design permetterà all’azienda di stringere i tempi nel lancio di nuovi modelli
rafforzando maggiormente il legame fra i reparti interni all’azienda: da quello tecnico
al marketing fino alla vendita. Il nascente reparto sarà supportato dalle più moderne
tecnologie nel campo della modellazione tridimensionale per mezzo dei sistemi CAD
e CAM. Le sofisticatissime tecnologie di cui dispone questo centro permettono la
modellazione virtuale di un prototipo via software. La nuova divisione, si avvarrà del
supporto tecnologico dell’inglese AKA, azienda tecnologicamente avanzata nella
modellistica munita di un apparecchio a 3 e 5 assi a controllo numerico
computerizzato, capace di realizzare prototipi utilizzando i dati di progettazione
preprogrammati
dallo
staff
tecnico.
Le
avanzatissime
tecnologie
digitali
permetteranno al team di inglobare tutti i punti chiave nella progettazione di una
moto (i parametri fissi del motore, il telaio e lo chassis) fin dal principio della stesura
del progetto. Così si potranno basare i bozzetti iniziali sullo schema di una moto
reale con gli evidenti vantaggi che ne conseguono. L’ausilio di un braccio meccanico
controllato dal computer permetterà, una volta ultimato il progetto, di riprodurlo
fisicamente in scala al fine di meglio verificare le forme impostate. Il supporto di
tecnologie informatiche offrirà inoltre un altro punto di vantaggio. Sarà infatti
possibile interagire con il parco fornitori in maniera tale da instaurare un processo di
collaborazione allo studio dei singoli componenti che verranno successivamente
assemblati sulle moto. Al momento lo sviluppo e i test tecnologici dei progetti
avvengono nel sud dell’Inghilterra, ma nell’immediato futuro è previsto il
trasferimento nelle vicinanze dello stabilimento di Bologna.
354
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239
5.6.10 Marketing, Promozione e Pubblicità
Le continue innovazioni nella produzione di motociclette non rispecchiano altro che
il naturale andamento delle tendenze culturali e sociali dei principali utenti della
moto: i giovani355. Sono loro a dettare legge nel settore motociclistico (per quello
automobilistico, i rapporti di forza sono meno marcati), sono loro che cambiando i
loro orientamenti, costringono le Case a rinnovarsi in continuazione ed a curare i
propri prodotti fin nei minimi particolari. Gli elementi che vengono presi in
considerazione da questo tipo di pubblico sono le prestazioni, subito dopo viene la
linea, mentre comfort, contenuti tecnici, prezzo e consumi hanno assunto, nell’attuale
epoca edonistica una rilevanza trascurabile. Il cliente medio della motocicletta Ducati
è una persona di età non giovanissima, compresa tra i 25 ed i 40 anni appartenente ad
un ceto medio- alto. Questo a causa della raffinatezza e dell’esclusività tecnica dei
propri prodotti che li rendono non accessibili a tutti. Accanto a questa fascia
principale di utenza esistono i cosiddetti “ducatisti”, ovvero persone di tutti i tipi, ma
accumunate da una elevata esperienza dal punto di vista meccanico e legate in
maniera viscerale a questa marca, avendo comprato sempre e solo Ducati. L’utente
Ducati è sempre stato ben definito e riconoscibile nel motociclista “puro”, di
orientamento sportivo.
Il prodotto Ducati ha come caratteristiche principali:
-
pesi e dimensioni ridotte in rapporto alla cilindrata
-
essenzialità e semplicità
Motori caratterizzati da una certa ricercatezza tecnica, da elevate potenze specifiche
e regimi di rotazione elevati. Sempre in merito al marketing si sottolinea il ruolo
strategico di questa funzione aziendale: le vendite, infatti, possono calare in
conseguenza di cause esterne contro le quali ci si può solo rassegnare (nuove leggi di
emanazione governativa), ma anche a causa della scelta di strategie di mercato, di
prodotto o di marketing mix errate. Per quello che riguarda le strategie di mercato
sarà obiettivo delle imprese l’espansione del proprio mercato che può essere attuato
in tre diverse maniere:
-
spingendo gli utenti ad un maggiore utilizzo della moto o ricercando nuovi
utilizzatori mediante campagne promozionali volte a sottolineare i vantaggi
355
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240
del mezzo di locomozione motociclistico (agilità nel traffico, senso di libertà)
-
individuando nuovi segmenti di mercato con bisogni insoddisfatti
-
conquistando i clienti della concorrenza (questa è senza dubbio la mossa più
azzardata capace di scatenare vere e proprie guerre commerciali).
I grandi cambiamenti che sta subendo il Gruppo Ducati non potevano non interessare
anche il settore marketing. In particolare sono stati assunti specialisti di
comunicazione, public relations e promozione pubblicitaria. Il coordinamento di
queste attività legate all’immagine ed alla commercializzazione dei prodotti avviene
presso la sede centrale di Bologna. Una delle prime iniziative volte al rinnovamento
dell’apparato si è avuta con l’aggiornamento del logo, rappresentato dal simbolo
“D”, frutto di una moderna reinterpretazione del marchio apposto sulle motociclette
d’epoca. È stata, poi, la volta della prima campagna promozionale a livello globale
dal titolo: “Ducati People”. Sempre nell’ottica del rafforzamento dell’immagine sono
state avviate collaborazioni coi più importanti musei a livello mondiale (si ricorda,
fra gli altri, il Guggenheim di New York) con l’intento di riconoscere la qualità del
design dei propri motoveicoli. Esaminiamo ora più nel dettaglio il comparto
pubblicità suddividendolo nei seguenti tre aggregati:
-
media
La fonte primaria di pubblicità è costituita dai risultati agonistici delle motociclette
Ducati sui circuiti di gara. Ad essa si affianca, come importanza, la quantità di
articoli pubblicati all’interno di riviste specializzate. La nuova politica pubblicitaria
varata di recente dai vertici aziendali mira ad espandere la copertura giornalistica
uscendo dalla tradizionale nicchia rappresentata dalle riviste di settore. Articoli e
servizi riguardanti il Gruppo Ducati sono apparsi su riviste quali: Wall Street Journal,
New York Times, Financial Times, nonché su notiziari quali: CNN e Bloomerg
News. Ultimamente si sta cercando di associare il marchio Ducati ad alcune celebrità
nel campo dello spettacolo ed atletico, sfruttando quella che può essere la loro
capacità di trascinamento all’acquisto.
-
competizioni sportive
Le prestazioni ottenute dalla Ducati a livello agonistico contribuiscono in maniera
determinante a mantenere elevata la domanda del prodotto ed aumentano la visibilità
del marchio.
241
-
co- marketing
La notorietà del marchio Ducati ha iniziato a dare i suoi frutti per quello che riguarda
una serie di attività parallele che si possono riassumere nelle seguenti:
-
i grandi magazzini Harrods di Londra hanno esposto le moto bolognesi nelle
proprie vetrine offrendole successivamente in vendita nel periodo natalizio
-
la Neiman Marcus ha offerto una serie limitata di 748L nel suo catalogo per
uomo 1997
-
D.K.N.Y sta vendendo una serie limitata di prodotti di abbigliamento a
marchio Ducati nella propria catena di negozi
Moto Ducati sono apparse nelle riprese di numerosi film, spot e serie televisive,
nonché in video musicali di alcuni complessi rock.
5.6.11 Sistema informatico
A partire dall’anno 1997 la Ducati S.p.A. ha effettuato investimenti significativi volti
alla modernizzazione del proprio sistema informatico, acquistando nuovo hardware e
nuovo software perfettamente compatibile con le esigenze di cambiamento data 356.
La Ducati ha attivato un sistema di rilevamento dati al fine di migliorare la qualità
dei propri prodotti. Esso permette il monitoraggio computerizzato di ogni singolo
componente utilizzato nella fabbricazione delle moto. Dall’ufficio acquisti alle linee
di montaggio, dalla consegna ai rivenditori al punto vendita, è ora possibile seguire e
rintracciare qualsiasi moto venduta e le parti che la compongono. Grazie all’accurata
raccolta di dati e all’ispezione delle parti sulla linea di montaggio, alle relazioni
preparatorie per i rivenditori ed ai dati di garanzia, oggi la Ducati è in grado di
individuare gli aspetti del processo di produzione che richiedono una particolare
attenzione e specifici miglioramenti, o eventualmente, un intervento tecnico. Altra
novità riguarda il sistema informativo atto a monitorare e pianificare l’afflusso dei
semilavorati (piattaforme) di provenienza esterna. Inserendo il quantitativo di moto
da produrre in un dato periodo il computer elabora e fornisce il numero di
componenti da ordinare ai vari fornitori. I Ducati Store sono, a loro volta cablati via
Internet per mezzo della rete Desmo.net utile per la reperibilità immediata di
accessori ed assistenza tecnica dalla Casa madre.
356
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242
5.6.12 Pubbliche relazioni
In questi ultimi due anni la Ducati ha prodotto un notevole sforzo per aumentare il
proprio contatto con il pubblico, considerato come elemento indispensabile sul quale
basare la pianificazione delle strategie future357. Sul versante della comunicazione
“on-line” sono ormai da tempo attivi due siti internet raggiungibili digitando i
seguenti indirizzi:
-
http://www.ducati.com in lingua inglese, rivolto agli utenti mondiali
-
http://www.ducati.it una versione italiana dello stesso sito.
Navigando all’interno di queste pagine, caratterizzate fra l’altro da un eccellente
grafica e da soluzioni informatiche avanzate, si può accedere in diretta a notizie
molto interessanti per l’utente od il potenziale acquirente Ducati. In una prima
sezione vengono presentate tutte le moto attualmente commercializzate con larga
abbondanza di immagini e schede tecniche. Vi è poi una sezione relativa all’attività
agonistica comprendente il profilo dei piloti ufficiali e la rassegna stampa aggiornata
riguardante tutti gli avvenimenti. Una parte storica ripercorre tutte le tappe
dell’attività agonistica della Casa bolognese racchiuse in un piccolo museo virtuale.
Infine, per gli interessati all’acquisto di motociclette, è presente l’elenco di tutti i
punti vendita Ducati in Italia ed all’estero. Sotto il profilo marketing, aspetto
strategico di assoluto rilievo è costituito dall’elevato numero di Club Ducati: punti di
ritrovo per appassionati delle bicilindriche bolognesi. Attualmente il numero di fans
club in Italia e nel mondo raggiunge le 400 unità. Si è, così, pensato di sviluppare un
programma per prendere contatto con i club locali al fine di sponsorizzare alcune
loro attività.
5.7 DIMOTER (Distretto Motoristico - motociclistico Telematico
Emilia Romagna)
Il distretto motoristico della Regione Emilia Romagna è caratterizzato da un ristretto
numero di grandi aziende (in seguito indicati come produttori del prodotto finito; es.
Ducati, Lombardini, etc) e da un ampio numero di PMI che forniscono alle sopra
citate grandi aziende prodotti e servizi prevalentemente nell’ambito della meccanica.
357
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243
L’evoluzione dei mercati di sbocco dei costruttori o produttori di prodotto finito ha
spinto queste aziende a riorganizzare la propria catena di fornitura: i fornitori
strategici si sono ridotti di numero e sono stati spinti dai produttori di prodotto finito
a migliorare sotto vari aspetti: ad esempio la maggior parte di questi fornitori hanno
ottenuto una certificazione di qualità, un altro passo avanti, importante, è stata
l’integrazione telematica tra i produttori di prodotto finito ed i fornitori strategici, per
ottimizzare la comunicazione cliente- fornitore e per migliorare la qualità del servizio
logistico dei fornitori stessi. Su questo specifico aspetto ha svolto un ruolo
importante nel distretto motoristico la regione Emilia Romagna che ha cofinanziato
un progetto presentato da CERMET di un primo portale motoristico pilota che
prevedeva l’integrazione tra Ducati e una quindicina di suoi fornitori. Oggi i fornitori
integrati con Ducati grazie ai risultati di quel progetto sono cinquanta, ed una
seconda importante azienda del distretto motoristico (Lombardini) ha iniziato a
comunicare con i suoi fornitori con le stesse modalità telematiche scelte dalla prima
(con grande vantaggio per i fornitori che lavorano sia per Ducati che per Lombardini,
i quali con un unico strumento possono integrarsi con due clienti). Pur avendo Ducati
e Lombardini scelto un’unica piattaforma di comunicazione (MaNeM, realizzata da
Joinet S.p.A.) i progetti di integrazione con i fornitori sono stati condotti in maniera
autonoma, con la conseguente mancanza di armonizzazione dei processi di
comunicazione mappati. Nonostante ciò l’avvio di questa integrazione telematica ha
rappresentato un passo avanti significativo nell’aumento della competitività globale
del distretto motoristico, accelerando tutto il processo produttivo. A questo punto
appare evidente come risulti strategico l’obiettivo che il progetto DIMOTER si pone
attraverso la realizzazione di una piattaforma WEB che permetta alle aziende del
distretto motoristico di poter usufruire in maniera armonica, veloce e sicura di servizi
fondamentali per l’aumento della loro competitività tra cui risultano strategici i
seguenti:
-
i servizi di supporto alle imprese nell’ambito dei problemi qualitativi legati
alla produzione
-
i servizi di trasporto merci e più in generale i servizi logistici
Tali servizi già erogati in altre forme da CERMET, oltre ovviamente a rispettare i
requisiti funzionali attesi dai partner fruitori degli stessi, avranno quattro
244
caratteristiche molto importanti:
-
saranno accessibili in modalità ASP
-
lo scambio di informazioni tra la piattaforma ed i sistemi informativi dei
soggetti fruitori ed erogatori dei servizi avverrà attraverso un formato che
rappresenterà uno standard de-facto del distretto motoristico, ottenuto a
partire dalla armonizzazione dei flussi di dati attualmente scambiati nel
distretto
-
saranno erogati con un livello di sicurezza molto elevato e conforme alla
normativa BS 7799
-
saranno accessibili anche con terminali palmari che accedono in modalità
wireless (tecnologia Wi-Fi).
Il Progetto DIMOTER oltre a fornire la base scientifica dell’infrastruttura che
costituirà il portale telematico e le funzioni primarie per l’uso dell’infrastruttura,
svilupperà i seguenti obiettivi:
-
armonizzare le modalità di integrazione dei fornitori appartenenti al distretto
motoristico e implementare tale armonizzazione sulla piattaforma di
riferimento già in utilizzo presso Ducati, Lombardini e altre 50 aziende
fornitrici a loro collegate, facendo diventare queste modalità uno standard
distrettuale
-
progettare, realizzare sotto forma di prototipo e sperimentare l’erogazione
telematicamente assistita di servizi alle imprese del distretto motoristico a
supporto della qualità.
In particolare i servizi che verranno riprogettati per essere erogati in modalità
telematicamente assistita saranno:
a) servizi erogati da CERMET legati alla metrologia, alle tarature di strumenti,
alle prove di laboratorio e alle attività di ispettorato qualità e/o impatto
ambientale inerenti i processi e/o le certificazioni dei sistemi di gestione. Più
in generale servizi finalizzati ad arricchire di valore aggiunto il
componente/prodotto ad ogni passaggio attraverso le aziende di ogni filiera.
b) servizi informativi di supporto agli aspetti produttivi del distretto motoristico
c) servizi informativi a supporto della soluzione dei problemi legati alla qualità
(e-learning)
245
d) servizi di performance evaluation e benchmark ottenuti dall’utilizzo dei
servizi di cui ai punti precedenti. Ciò consentirà di fatto alle aziende del
distretto di ottenere, delle valutazioni certificate da terzi delle proprie
performance e dei benchmark
-
rendere la piattaforma di integrazione sicura al massimo grado, rendendola
conforme allo standard Information Security BS 7799
-
consentire l’accesso alla piattaforma in modalità wireless (i servizi saranno
accessibili anche con terminali palmari)
-
aprire la piattaforma di integrazione distrettuale (già oggi contenente grandi
moli di informazioni relative a missioni di trasporto) alla comunicazione
telematica con i fornitori di servizi di trasporto, per consentire alle aziende
del distretto di usufruire in maniera ottimizzata del sistema regionale di
trasporti.
5.8 Motivazioni che spingono all’acquisto di una motocicletta
Per molti soggetti una rilevante motivazione all’acquisto risiede nelle sensazioni che
la motocicletta può dare, sia a livello “statico” che “dinamico”. Infatti, dal primo
punto di vista, la motocicletta può essere intesa come oggetto d’ammirazione e di
possesso, cioè l’oggetto da mostrare agli altri per ottenerne consenso ma anche per
un ‘auto gratificazione358. Per le Case costruttrici, quindi, è importante curare
l’estetica dei loro prodotti, e tutte quelle dotazioni che ne facciano un bell’oggetto.
Dal punto di vista “dinamico”, la guida della moto viene vissuta attraverso una sorta
di dualità: da un lato vengono ricercate le sensazioni della conquista e del dominio,
dall’altra vi è la paura di non avere le capacità necessarie per “domare” la moto.
Questa spiega anche, in una prospettiva temporale più ampia, la tendenza verso
l’escalation delle cilindrate nel motociclista più sportivo: una volta riconosciuta
l’abilità nella conduzione della motocicletta più piccola, le sensazioni e le ebbrezze
vanno rinnovate attraverso il confronto con una moto di cubatura maggiore, quasi
che quella precedente avesse dato luogo ad “assuefazione”. Un’altra motivazione
d’acquisto è l’integrazione col gruppo. La moto è concepita come strumento di
comunicazione e di socialità rivolte verso coloro che condividono le medesime
358
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246
scelte. La coesione interna dei gruppi nati in nome della passione comune, in genere
è molto forte e sentita, con un senso di contrapposizione nei confronti degli utenti
degli altri mezzi di trasporto, in primo luogo gli automobilisti. Sono frequenti le gite
di gruppo e molto seguiti i motoraduni (alcune case produttrici come Guzzi, Harley
Davidson, Bmw e la stessa Ducati, fanno leva su queste manifestazioni per
accrescere la fedeltà alla marca dei loro clienti). Esiste anche un ben preciso segno di
riconoscimento: il lampeggio col faro quando ci si incontra per strada, anche se non
ci si conosce personalmente. Comunque, il fenomeno, valido per tutti, è
maggiormente sentito dai giovani motociclisti. Riguardo all’utilizzo prevalente della
moto, le tendenze più recenti sono in primo luogo per gite “fuori porta” durante il
fine settimana, per il turismo estivo e anche per recarsi a scuola o al lavoro; ma per
gli utenti più giovani riveste una certa importanza anche il ritrovo pomeridiano o
serale con gli amici, nei confronti dei quali la moto funge sia come veicolo di
socializzazione, sia come “biglietto da visita” del proprietario. Da qui il desiderio di
distinguersi: riuscire a superare l’altro in una vera e propria gara è un modo di
misurare nel concreto la propria capacità. Le Case costruttrici spesso assecondano
questa tendenza, specie per le moto prodotte specificatamente per i giovanissimi,
puntando tutto sul valore assoluto di potenza e velocità massima. In effetti, questi
sembrano essere gli argomenti maggiormente “sentiti” dalle nuove generazioni,
anche a scapito di altre caratteristiche del mezzo quali la coppia ai regimi intermedi,
il consumo, la capacità di trasporto per passeggero e bagagli. Altre motivazioni
riguardano il concetto di praticità. La moto, quindi, è vista come un valido e
vantaggioso sostituto dell’auto nel caos del traffico cittadino che, oltre a permettere
minori perdite di tempo e maggiori possibilità di parcheggio, conferisce anche
un’immagine di snellezza e autonomia. È comunque ipotizzabile una sempre
maggior condivisione di questa concezione, osservando il successo dei recenti
scooter urbani. In effetti si è molto ampliata l’offerta sul mercato di questo tipo di
moto, un tempo praticamente monopolizzato da Piaggio, e le reazioni del pubblico
sono state incoraggianti. Sicuramente si tratta di un segmento di mercato di cui sarà
interessante seguire l’evoluzione. Ulteriore motivazione oggi molto in voga è il
contatto con la natura. La moto consente un’”immersione”totale nell’ambiente,
assolutamente inattuabile con l’automobile e richiama quindi valori come l’ecologia,
247
la libertà, lo sfogo. L’indicazione per i costruttori è quindi di produrre moto più
silenziose, più pulite, le cui emissioni inquinanti siano contenute entro limiti molto
rigidi. Di seguito si riportano anche alcune motivazioni che sembrano aver perso
molta della loro importanza in questi tempi, sulle quali, quindi non è più opportuno
puntare per un’eventuale azione pubblicitaria o di marketing. Una risale al concetto
di moto come strumento di protesta nei confronti della società. La figura del giovane
ribelle che cavalca la moto per sfogarsi dall’alienazione, per non farsi condizionare,
in spregio a non condivisi valori della famiglia e del mondo degli adulti, appare
sempre più come uno stereotipo del passato. Anzi, oggi si dà tutt’altra importanza ai
rapporti sociali e la scelta della motocicletta può venire accantonata qualora dovesse
pregiudicare un’immagine “integrata” e “perbenistica”. Un’altra motivazione non più
valida è quella dell’esibizionismo “puro”, inteso come ostentazione di tipo snobistico
oppure elitario. Ma qui è opportuna una precisazione: si sottolinea che non è
scomparsa la componente esibizionistica nell’acquisto e nell’utilizzo da parte del
motociclista, bensì è la moto stessa che perde attrattiva come “status symbol”. In
altre parole, se negli anni addietro, tra gli altri motivi, si acquistava la motocicletta
anche per suscitare l’ammirazione o l’invidia degli altri dimostrando l’appartenenza
a un ceto sociale privilegiato, oggi ci sono altri beni che si prestano meglio a tale
scopo: abiti firmati, automezzi fuoristrada, ecc.
5.9 Il mercato della moto in Italia
La moto risulta essere un bene votato a soddisfare desideri di tipo spiccatamente
individualistico e differenziato359. Il mercato italiano della moto è molto esigente e
sofisticato, le versioni economiche di un modello di moto, non hanno mercato.
Strategie di tipo automobilistico (stesso modello, diversi allestimenti) non danno
risultati confortanti. La motocicletta è un bene la cui domanda è fortemente
anelastica rispetto al prezzo (variazioni non rilevanti sul prezzo influiscono in
maniera minima sulla domanda del bene). In altre parole l’acquirente che desidera un
determinato modello è disposto ad un esborso anche considerevole pur di averlo, non
accontentandosi di alternative più economiche. Il 50% del mercato italiano è
occupato dai modelli cosiddetti “da Enduro” (strada/sterrato) ottimamente
359
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248
promozionati da competizioni motoristiche tipo Parigi – Dakar ed avvantaggiati dalla
conformazione morfologica del nostro territorio, che ben si adatta alle moto
fuoristrada. Sul fronte della cilindrata si rileva uno scarso interesse per le cubature
medio piccole (al di sotto di 600 cc). Rispetto agli anni ’70 è da far rilevare un
aumento del tasso di sostituzione della moto. Recenti ricerche hanno dimostrato che
il 50% dei motociclisti italiani cambia moto entro l’anno successivo. Sulla base di
questi dati molte case produttrici applicano la strategia della “obsolescenza
pianificata”: si pilota l’eliminazione di un prodotto esistente con l’introduzione sul
mercato di nuovi prodotti sostitutivi. Questa strategia consegue dalla constatazione
che è difficoltoso allargare il mercato della moto inglobando non – utilizzatori
tradizionali, si procede quindi forzando il mercato classico per mezzo di un
accorciamento del ciclo di vita del prodotto tale da ingenerare un continuo ricambio
dei prodotti. L’advertising nel settore motociclistico è relativamente basso e
discontinuo. Ciò è conseguenza di due motivi: il primo è che il “target group” è
abbastanza ristretto (sono poche le famiglie ad avere una moto parcheggiata nel
garage di casa). La seconda motivazione si rifà alla stagionalità del mercato, che
vede picchi di domanda nei mesi primaverili e cali della stessa alle soglie
dell’autunno. La comunicazione non è, di conseguenza, capillare, ma mirata a
determinate pubblicazioni di settore ed in determinati, brevi, periodi dell’anno.
Spesso le campagne promozionali, visto il breve ciclo di vita del prodotto, non sono
mirate ad uno specifico modello, bensì a ribadire la filosofia del marchio. Un
discorso a parte merita il ritorno pubblicitario derivante dalla partecipazione alle
competizioni. Queste ultime hanno un doppio beneficio: oltre ad un notevole
beneficio sulle vendite in caso di vittoria, la partecipazione alle competizioni è anche
un’ottima palestra dove sperimentare nuove soluzioni tecniche da trasferire, in
seconda battuta, sulla produzione di serie. La partecipazione a manifestazioni
sportive sembra essere decisamente conveniente dal punto di vista economico: si
pensi che mantenere un team sportivo nella classe 250 cc per una intera stagione
costa l’equivalente di 4 campagne di affissione pubblicitaria su scala nazionale della
durata di quindici giorni ciascuna.
La moto risulta essere un bene costoso ed in quanto tale, non alla portata di tutti.
Come fare per abbattere i prezzi?
249
Si potrebbe ipotizzare una robotizzazione della produzione per attenuare i costi di
manodopera, ma questa è una soluzione difficilmente attuabile proprio per la natura
del prodotto, che risulta meglio producibile per mezzo della catena di montaggio.
Una soluzione può essere quella di far costruire i componenti all’esterno per poi
assemblarli una volta giunti in fabbrica. Un discorso a sé merita la possibilità di
applicare nel settore motociclistico la filosofia costruttiva delle autovetture. Queste
stanno standardizzandosi sempre più: si vedono autovetture con lo stesso motore,
trasmissione e organi meccanici, ma diverse nella carrozzeria, nelle finiture e negli
allestimenti in maniera tale da essere percepite, da parte del pubblico, come
autovetture diverse. Nel settore delle due ruote una simile strategia porterebbe a
risultati deludenti per due ordini di motivi: nelle auto gli elementi standardizzati sono
tutti occultati dalla carrozzeria, l’operazione risulterebbe più difficoltosa da
effettuare su una moto. In secondo luogo, se si osserva la natura del motociclista
medio, si può affermare che spesso ci si trova di fronte ad un individuo appassionato,
molto fiero del proprio acquisto e con una discreta cultura motociclistica acquisita.
Risulterebbe, quindi, molto sgradevole la visione di parti comuni ad altri modelli,
magari meno sofisticati. Per quello che riguarda la standardizzazione dei modelli da
esportazione (considerata come sistema per frenare la lievitazione dei prezzi) vi sono
due grossi ostacoli da affrontare. Il primo è costituito dal progressivo aumento del
tenore di vita che porta come conseguenza lo sviluppo nei consumatori di aspettative
nei consumi sempre più differenziate. In secondo luogo è bene far notare che la
legislazione sul motoveicolo è bene lungi dall’essere uniforme su scala mondiale;
ogni stato ha sue peculiarità legislative (contingentamento, limitazioni di cilindrata,
di potenza, parametri tecnici obbligatori) che finiscono per interferire sulla creazione
di un modello standard da esportazione. Vediamo ora di inquadrare l’industria
motociclistica all’interno di un ipotetico ciclo di vita del settore. Delle quattro fasi
possibili (introduzione, sviluppo, maturità e declino) l’attenzione si rivolge
soprattutto alla terza. Le caratteristiche della fase di maturità del settore delle due
ruote si riassumono nelle seguenti:
-
mercato di massa
-
acquisti ripetuti
-
scelta tra più marche
250
-
segmentazione
Contrariamente a quanto avviane per il più tradizionale ciclo di vita del prodotto, il
ciclo di vita del settore, con riferimento al comparto motociclistico, presenta alcune
peculiarità. La fase di maturità di questo settore pare essere “congelata”, in quanto
protratta indefinitamente per decenni. Nonostante la crisi del periodo, non si può, in
ogni caso, parlare di declino di questo settore per il semplice fatto che non si
intravede, nell’immediato futuro, un sostituto del motoveicolo.
5.10 Crisi del settore motociclistico in Italia
Il mercato italiano della moto sta attraversando ormai da alcuni anni un periodo di
crisi360. Le motivazioni sono innumerevoli e meritano di essere approfondite per dare
un quadro più esauriente del fenomeno:
-
eccessivo livello dei prezzi
La motocicletta è divenuta, col passare degli anni un bene sempre più costoso. I
modelli a prezzi più contenuti incontrano raramente il favore degli acquirenti. Nel
primo dopoguerra, la motocicletta di piccola e piccolissima cilindrata costituiva per
l’italiano medio il primo gradino verso la motorizzazione ed era quasi una scelta
obbligata, non potendo aspirare alla costosa autovettura. Oggi le cose sono cambiate
e la moto è vista come un bene per il tempo libero, un hobby costoso ed alla moda.
Le case costruttrici producono nuovi modelli con cadenza annuale, quindi il periodo
di ammortamento dei costi di progettazione e produzione è brevissimo ed i prezzi di
vendita hanno incrementi astronomici. A tutto ciò si aggiunga l’esosa tassazione
(IVA al 38% per le moto di cilindrata superiore a 380 cc), il bollo annuale,
l’assicurazione, le spese d’officina ed i ricambi vari.
-
specializzazione dei modelli troppo spinta
L’acquirente italiano risulta essere molto esigente in fatto di moto. Mentre negli Stati
Uniti, modelli con allestimenti economici hanno una buona quota di mercato, in
Italia ciò non accade, se si decide l’acquisto di un motoveicolo, questo deve essere il
migliore della sua fascia. Da ciò la tendenza, da parte delle case produttrici, a
sofisticare e corredare di optional tutti i loro prodotti, perché la moto che ha più
successo risulta essere quella più veloce, accessoriata e sofisticata.
360
Sito internet www.ducatimonsterclub.it
251
-
casco obbligatorio
Nel luglio 1986 entrava in vigore la legge sull’obbligatorietà del casco protettivo. Il
contraccolpo sull’andamento delle vendite è rilevante. Nel mercato dei ciclomotori
(fondamentale dal punto di vista strategico, perché costituisce il primo punto di
contatto con le due ruote motorizzate) si riscontrano i danni maggiori: prima della
suddetta data, nessuno portava il copricapo protettivo. Discorso diverso va fatto per
le cilindrate maggiori dove, anche se non obbligatorio, il casco veniva comunque
indossato. In questo secondo segmento, la legge ha privato il motociclista della scelta
se mettere o meno il casco. In questo modo si è andato ad interferire sull’autonomia
di scelta del motociclista. Tutto ciò ha portato ad una scrematura del mercato,
eliminando tutti coloro che vivevano la moto in maniera superficiale ed
esibizionistica (ci si riferisce ai cosiddetti “motociclisti della domenica”). Il casco
priva il motociclista della propria riconoscibilità nei confronti degli altri e
l’ostentazione del proprio mezzo non è più possibile.
-
andamento reale dell’economia
Si è rilevato che il mercato della moto ha un andamento speculare rispetto a quello
dei beni di prima necessità quali: la casa e l’automobile. Essendo la moto un bene
costoso, esso si trova in diretta concorrenza con questi beni. Se questi ultimi
continuano a crescere di prezzo, divenendo via via sempre più inaccessibili, si può
verificare una migrazione di orientamento verso il mercato motociclistico, come
sfogo della frustrazione per la mancanza del bene primario. In pratica ci si consola
acquistando una moto bella e costosa, utilizzando i risparmi accantonati per
l’acquisto della casa. Al contrario, quando il bene casa, o automobile, è facilmente
accessibile, la motocicletta, considerata un surplus, viene accantonata per soddisfare
le esigenze primarie
-
immagine del motociclista
Spesso i motociclisti in Italia sono visti come individui irrispettosi del codice della
strada, dotati di mezzi che inquinano notevolmente coi loro scarichi fumosi e
responsabili, in buona parte, dell’elevato livello di decibel nei centri urbani. Questa
immagine negativa ha influito non poco sulle decisioni dei vari consigli comunali
che hanno bandito la circolazione dei motoveicoli in determinate zone dei centri
storici.
252
-
fattore moda
Ci si riferisce non tanto alla moto di moda, ma alla moda della moto. Le due ruote
non sono particolarmente in auge in questi tempi. Il settore subisce la concorrenza
pesante di tutto ciò che attualmente fa moda. I concorrenti più temibili che possono
sviare l’acquisto di una moto sono senza dubbio: il computer, l’abbigliamento
firmato, i viaggi all’estero e le automobili tipo “spider” o fuoristrada.
-
andamento demografico sfavorevole
L’Italia è fra i paesi a più basso tasso di natalità. Ciò ha comportato un progressivo
invecchiamento della popolazione ed un deficit di giovani leve che rappresentano la
stragrande maggioranza degli acquirenti di motocicli.
5.11 Casi di rete di imprese nel settore della meccanica in Emilia
Romagna
5.11.1 Caso CoxaNet
Il contesto in cui si colloca la rete è il settore della subfornitura di macchine per il
packaging (produzione e assemblaggio), nella zona di Modena. Il settore della
subfornitura è particolarmente frammentato, composto per l’80% da microimprese,
di cui il 70% di natura produttiva361. Vi sono forti ostacoli nel processo di
ricomposizione fra tali microimprese, essenzialmente riconducibili a un forte
individualismo degli imprenditori e alla paura che tale percorso conduca verso una
spersonalizzazione delle singole imprese.
L’azienda è nata nel 1985, seguendo un percorso molto tipico e simile a quello di
tante altre aziende artigiane emiliano – romagnole, cioè partendo da lavoratori
specializzati che si mettono in proprio facendo fruttare l’esperienza e il saper fare
accumulati presso il datore di lavoro. Dopo due decenni Coxa è riuscita a distanziarsi
e ad emergere rispetto alle altre aziende che seguirono lo stesso cammino. Ora Coxa
è la capofila di una rete di aziende che forniscono soluzioni complete alle esigenze
del cliente e sta puntando sempre di più sul diventare un vero e proprio partner dei
361
AIP (Associazione Italiana della Produzione) (2008), (a cura di) Reti d’impresa oltre i distretti.
Nuove forme di organizzazione produttiva, di coordinamento e di assetto giuridico, Il Sole 24 ORE
253
suoi clienti, orientandosi sempre di più al co – design e all’integrazione anche
informatica nella catena del valore.
Il capitale umano è il vero motore
dell’innovazione e dello sviluppo aziendale. L’aggiornamento costante e la
partecipazione a diversi programmi di bench marking mantengono l’azienda aperta
alle sollecitazioni esterne, per apprendere e insegnare “best – practice”. Frequenti e
periodiche riunioni tecnico-operative tra i responsabili delle diverse aree portano ad
una diffusa conoscenza delle fasi del processo e ad un elevato livello di integrazione
delle stesse.
Coxa è un’impresa che opera nel settore automobilistico e del packaging, fornendo
su commessa lavorazioni meccaniche o componenti. Coxa ha iniziato a collaborare
con una serie di imprese esterne alle quali decentrare le lavorazioni speciali non
rientranti nelle sue normali attività. Il rapporto con tali imprese era originariamente
di subfornitura e quindi prevalentemente verticale. Ma, in seguito alla richiesta di
fornitura di gruppi completi da parte di una multinazionale del settore del packaging
alimentare, Coxa ha cercato di rafforzare i rapporti con alcuni fornitori perché
evolvessero verso una maggiore partecipazione e integrazione operativa (forme di
collaborazione orizzontale di subfornitura verso grandi clienti). Il raggruppamento di
imprese, che comprende Coxa e le imprese partner, denominato CoxaNet, si
configura
oggi
come
una
“impresa
virtuale”
pienamente
operativa.
Il
raggruppamento ha l’obiettivo di costituire una “impresa virtuale”: CoxaNet stessa si
definisce in questo modo. CoxaNet produce e assembla prototipi e macchine
complete per il settore auto motive e del packaging. La rete integra i processi
produttivi e logistici interni e della filiera produttiva, fornendo quindi soluzioni
complete rispetto alle esigenze dei committenti, e rendendosi capace di competere
sul mercato internazionale. Il raggruppamento è composto da 3 PMI del modenese,
complementari per la produzione e l’assemblaggio di un gruppo meccanico completo
su disegno del cliente. CoxaNet ha inoltre rapporti privilegiati con sei fornitori
strategici, soprattutto per quanto riguarda la lavorazione della lamiera o parti
meccaniche, non tecnologicamente evolute. Con questi fornitori vengono stretti
accordi di massima, non formalizzati. Ai partner della rete appartengono anche due
società di progettazione meccanica, UPM (Ufficio Progettazioni Meccaniche) e
LAPCOS (Laboratorio per la Progettazione Collaborativa e la Simulazione)
254
rappresenta un caso interessante in quanto si tratta, a sua volta di una rete. Infatti tale
rete è costituita da un insieme di imprese (6 soci, tra cui Coxa), il Consorzio
universitario CINECA e il Dipartimento DIEM dell’Università degli studi di
Bologna. Le 3 imprese modenesi che partecipano all’”impresa virtuale” sono:
-
COXA (Lavorazioni dell’acciaio, del titanio e delle leghe leggere)
-
OMR (Produzione di parti per macchine alimentari, oleodinamiche, per la
lavorazione del legno e alluminio, per sistemi di marcatura)
-
NUOVA CAM (Lavorazioni di lamiere e tubolari di acciaio inox)
-
VECA (Nata nel 1962 come azienda metalmeccanica, si propone negli anni
successivi come partner per la fornitura di componenti meccanici ed
aeronautici).
Le commesse, acquisite direttamente da Coxa, vengono gestite da tutta la rete, in
particolar modo per quanto riguarda la loro programmazione. Infatti, un team
composto da un rappresentante di ogni nodo dell’”impresa virtuale” si occupa di
individuare tutte le attività da svolgere e le parti da realizzare e di assegnarle alle
imprese, interne o esterne alla rete, più adatte. Il coinvolgimento di altri fornitori
della rete permette sia di aumentare la capacità produttiva della rete, sia di
monitorare le prestazioni e i costi dei vari nodi (attraverso un benchmarking). Ogni
nodo lancia in produzione le parti di sua competenza. La gestione dei materiali è
totalmente a carico dei singoli nodi, non essendoci volumi interessanti per un
acquisto congiunto di materiale per l’intera rete. Grazie a un team interno di
ingegneri ed esperti, Coxa si propone ai clienti come un vero e proprio partner
offrendo anche servizi di co – design e orientandosi sempre più alla filosofia del
business on-demand. Per ogni problema Coxa ricerca la soluzione migliore, senza
accontentarsi dello standard. Coxa è in grado di gestire completamente le commesse
e le lavorazioni dal progetto all’acquisto del materiale via via fino ai trattamenti
finali. I maggiori clienti sono aziende con esigenze tecnologiche avanzatissime e un
elevato livello di aspettative. I principali clienti sono:
-
ANSALDO RICERCHE
-
CERN
-
FERRARI
-
GD
255
-
LAMBORGHINI
-
MBDA
-
OTOMELARA
-
SYNTHES
-
TETRAPAK
Il processo di costruzione della rete è ancora in corso. Attualmente non esiste alcun
tipo di accordo formale né incroci proprietari tra le imprese componenti della rete. Le
tre imprese, da un lato, mantengono la propria autonomia organizzativa e giuridica,
gestendo singolarmente i propri mercati di riferimento e le proprie commesse e,
dall’altro, collaborano insieme nell’ambito dell’”impresa virtuale”. La rete appare
piuttosto “asimmetrica”, in quanto Coxa ricopre un ruolo decisamente centrale
all’interno del raggruppamento.
5.11.2 Caso DiCo Service
Il settore della meccanica nell’area emiliano – romagnola è caratterizzato da
un’elevata presenza di piccole e medie imprese, nonché dal forte ricorso alla
subfornitura362. Ma le esigenze da parte dei clienti di prodotti più sofisticati e
completi hanno spinto verso forme organizzative più articolate: da un lato, imprese di
medie dimensioni, strutturate per reparti e capaci di fare progettazione di componenti
meccanici; dall’altro, la possibilità per le PMI di cooperare attraverso forme di
collaborazione orizzontale di subfornitura verso i clienti.
La nascita e lo sviluppo della rete DiCo Service sono da ricondursi a un processo di
gemmazione a catena, in seguito all’espandersi delle attività realizzate da un’officina
di montaggio di macchine, subappaltate da una grande azienda produttrice di
macchine automatiche per il packaging. L’offerta della rete va incontro alle crescente
esigenza dalle imprese del settore di una fornitura evoluta e meno frammentata. In
base a ciò, l’organizzazione a rete – nel tempo – viene maggiormente consolidata
nell’ottica di coniugare i vantaggi della piccola dimensione delle imprese coinvolte
(ovvero elasticità e rapidità di risposta) con i vantaggi della medio/grande
362
AIP (Associazione Italiana della Produzione) (2008), (a cura di) Reti d’impresa oltre i distretti.
Nuove forme di organizzazione produttiva, di coordinamento e di assetto giuridico, Il Sole 24 ORE
256
dimensione della rete (ovvero la possibilità di fornire servizi e prodotti completi e
complessi). Oggi la rete di imprese che orbita intorno a DiCo Service, cresciuta
dimensionalmente negli anni, impiega 180 persone, in prevalenza con mansioni
operative. La rete ha un duplice obiettivo. Da un lato, si propone di offrire forniture
complete di gruppi meccanici o macchine finite. Infatti, a fronte di una commessa di
un cliente, vengono coinvolte le imprese della rete che possono sfruttare la loro
complementarietà e sinergie operative. In questo modo, la rete è in grado di fornire
un servizio completo che va dalla progettazione di gruppi, macchine e prototipi, alla
produzione e assemblaggio di linee complete nel campo delle macchine automatiche
e della meccanica in generale. D’altro canto, la rete mantiene anche la tradizionale
attività di fornitura di componenti meccaniche per conto terzi. La rete è costituita da
una quindicina di piccole e medie imprese. DiCo Service, società costituita dal 1988,
svolge il ruolo di unità coordinatrice (e include DiComm, che si occupa
specificatamente del supporto commerciale alla rete).
Le altre imprese sono specializzate nelle diverse fasi progettuali, produttive o di
montaggio:
-
ITG (ideazione, progettazione e consulenza disegni per macchine
automatiche);
-
AndiMec (lavorazione di particolari prismatici);
-
FranzMec (lavorazione di particolari prismatici);
-
LaCo (lavorazioni di particolari cilindrici)
-
PaMec (composti saldati)
-
RoSi (lavorazione di materie plastiche)
-
DiCo Plastic (distribuzione e trasformazione semilavorati in materie plastiche
e ferrose)
-
MDP (aggiustaggio e lavorazioni manuali)
-
Officina Grandi (montaggio)
-
TecnoMec (montaggio)
-
CEM Service – Sicel (impianti elettrici ed elettronici cablaggio)
-
ST – CAM (programmazione CAD – CAM, servizi tecnologici)
-
DiCO Solving (un’impresa partecipata da Dico Service)
-
Tecnomec
257
Infine c’è un nodo de localizzato nell’Est europeo, DiCo Romania: infatti sono state
delocalizzate alcune lavorazioni per ridurre i costi di produzione. La delocalizzazione
è stata intrapresa in associazione con altre sei imprese manifatturiere del bolognese.
La maggior parte delle imprese della rete è localizzata a Ozzano dell’Emilia (BO) e
nelle immediate vicinanze (le imprese nate entro la rete sono localizzate nell’area,
mentre a trovarsi più lontano sono le imprese entrate nel sistema dopo una
precedente esistenza autonoma). Le imprese (con l’esclusione di DiCo Service) sono
i nodi della rete e funzionano similmente a un reparto molto specializzato; DiCo
Service segue per le imprese le attività di amministrazione, gestione, attività
commerciale e acquisti. Il ruolo di DiCo Service, che è quindi unità coordinatrice
delle funzioni di staff ed erogatrice dei relativi servizi per l’intera rete, è remunerato
da parte del surplus generato dalla rete. Per i nodi della rete, i margini sono
sostanzialmente gli stessi per le commesse interne o esterne alla rete, essendo i prezzi
di trasferimento rappresentati dai prezzi di mercato. Il vantaggio portato dalla
partecipazione alla rete consiste nelle maggiori opportunità di mercato e nella
maggiore stabilità della domanda consentita dal potere contrattuale della rete verso i
clienti. DiCo Service realizza attività di gestione, coordinamento e integrazione dei
vari attori della rete, fornendo servizi e svolgendo funzioni di staff per l’intera rete.
DiCo Service si occupa delle attività di amministrazione e finanza, strategia e
gestione, assicurazione qualità, attività commerciale, acquisti, logistica e sistemi
informatici di rete. DiCo Service si occupa anche di formazione per i componenti
della rete. Perlopiù si tratta di due filoni di intervento: formazione manageriale
(controllo direzionale, organizzazione per processi, supply chain managment, CRM e
temi di natura commerciale) e formazione relativa alle cosiddette soft skill (creatività,
flessibilità, coesione di gruppo, leadership ed empowerment). I prodotti e le fasi di
lavorazione affidate alla rete dai clienti sono di volta in volta diverse, richiedendo
l’adattamento del funzionamento della rete alle situazioni specifiche. Le commesse
che riguardano la realizzazione di macchine o parti complesse passano attraverso il
nodo di coordinamento, ovvero DiCO Service, che ha il contatto con il cliente. Il
responsabile commerciale si occupa inizialmente di stabilire con il cliente le
specifiche del prodotto, le date di consegna, il valore del bene. Nel caso in cui venga
258
commissionata una macchina o un gruppo nuovo viene coinvolta l’unità operativa di
progettazione, a cui viene affidata la fase di progettazione, di proto tipizzazione o
semplicemente di ingegnerizzazione. Le fasi di progettazione e sviluppo vengono
svolte in coordinamento con il cliente finale. Una volta stabilito il progetto di
massima, viene messa a punto la progettazione di dettaglio delle singole parti. In
questa fase vengono coinvolti attori delle diverse unità che dovranno realizzare il
prodotto finale, al fine di tenere conto delle specifiche competenze tecniche da essi
possedute. Successivamente viene attivato il responsabile della logistica che effettua
la programmazione e la pianificazione della commessa, determinandone i tempi, le
date di consegna finali e intermedie, i check-point previsti e le attività necessarie per
portare a termine la commessa stessa. Viene peraltro nominato un Responsabile della
Commessa che coordinerà un team formato da un rappresentante per ogni nodo della
rete e che interagisce fortemente con il cliente e con i fornitori esterni. Questo team
interaziendale diventa poi l’organo decisionale fondamentale, deputato a occuparsi di
ogni problematica che possa insorgere relativamente alla specifica commessa.
I legami fra i partner sono di natura proprietaria, conseguenti a partecipazioni
incrociate. Ogni impresa della rete ha una partecipazione nella società DiCo Service
S.r.l. (tramite acquisizioni agevolate): la partecipazione dei responsabili delle diverse
unità al Consiglio di amministrazione di DiCo Service e all’Assemblea dei soci e la
forte divisione di competenze tra le diverse unità ha conferito alla rete stabilità e una
certa simmetria di potere. La gestione delle attività operative di ogni nodo rimane
comunque completamente indipendente e autonoma. DiCo Service, come detto,
svolge il ruolo di unità coordinatrice: da un lato si relaziona direttamente con il
cliente offrendo la fornitura completa di gruppi meccanici o macchine finite,
dall’altro realizza il coordinamento e l’integrazione dei vari attori della rete fornendo
servizi e svolgendo funzioni di staff per l’intera rete. DiCO Service possiede quindi
un ruolo di governo complessivo della rete, curandone anche gli aspetti finanziari. Il
ruolo di DiCo Service all’interno della rete è sicuramente centrale per le funzioni
stesse che essa svolge. DiCo Service rappresenta sostanzialmente un nodo di
smistamento di materiali e informazioni fra i vari nodi, svolgendo un forte ruolo di
gestione e coordinamento. Le aziende della rete mantengono la loro autonomia,
dedicando solo una parte della propria capacità produttiva (in media fra il 40 e il
259
60%) per la realizzazione di commesse acquisite da DiCo Service. La residua
capacità viene dedicata a lavori commissionati direttamente a loro dagli stessi clienti
di DiCo Service o da aziende appartenenti ad altri settori. Per quanto concerne i
rapporti della rete con le imprese clienti, in particolare per la gestione delle
commesse, sono stati creati diversi team internazionali ad hoc (sostanzialmente uno
per ogni principale cliente della rete), denominati CTO. Ogni CTO è costituito da un
Responsabile del CTO, un Responsabile Commessa (RC), un Responsabile Qualità,
un Responsabile Logistica e un Responsabile per ciascuno dei nodi operativi
coinvolti nelle commesse richieste dal cliente. I CTO si riuniscono settimanalmente,
con specifici ordini del giorno.
5.11.3 Caso Hi-Mec.it
L’idea di questa rete nasce in seguito a una iniziativa di CNA Bologna:
l’associazione aveva condotto un’indagine tra i propri soci del comparto produzione
per capire l’interesse delle imprese meccaniche locali a creare una rete363. Le nove
imprese di Hi-mec.it hanno esplicitato il loro interesse. Il fattore decisivo che ha
spinto queste aziende a fare rete era la consapevolezza della capacità di crescere a
livello commerciale e la CNA le ha affiancate nel realizzare il loro progetto: ha
promosso numerosi incontri tra i partner, ha condotto analisi di mercato nei settori
interessati da Hi-mec.it, ha svolto una consulenza amministrativa per la forma
giuridica della rete. Ora curerà la promozione di Hi-mec.it e la agevolerà
nell’individuare opportunità di business. La rete così costituita permette a tutte le
imprese che ne fanno parte di posizionarsi sul mercato come player specializzato
nelle produzioni ad alto valore aggiunto, con dimensioni nettamente maggiori a
quelle di ogni singolo aderente e notevoli economie di scala nel marketing
promozionale.
Di recente costituzione (aprile 2008). Sono in corso di definizione lo Statuto e la
costituzione di un comitato operativo. Con il supporto del CNA di Bologna, queste
363
AIP (Associazione Italiana della Produzione) (2008), (a cura di) Reti d’impresa oltre i distretti.
Nuove forme di organizzazione produttiva, di coordinamento e di assetto giuridico, Il Sole 24 ORE
260
aziende hanno messo insieme le loro rispettive competenze per costituire una rete
con la volontà comune di aumentare il proprio “giro d’affari”. Con questa finalità, la
rete si propone di:
-
garantire l’integrazione delle commesse tecniche e manageriali necessarie
alla realizzazione della singola commessa;
-
acquisire e gestire commesse di lavoro complesse, grazie alla capacità delle
singole imprese di svolgere l’intero ciclo di attività richieste dal cliente, dalla
progettazione al collaudo e di evadere la totalità dei volumi richiesti;
-
ottimizzare e sviluppare la rete commerciale per aggredire i mercati
globalizzati con una vasta gamma di produzioni e servizi;
-
sviluppare l’organizzazione della rete, anche attraverso il supporto dell’ICT.
Hi-mec è una rete costituita da 9 aziende dotate di elevato know-how nel comparto
della subfornitura meccanica, con specializzazioni che vanno dalla saldatura alla
carpenteria, dal software all’hardware, tra queste:
-
Meccanica Mattarelli SNC (specializzata in lappatura, principalmente per il
settore automobilistico e motociclistico)
-
Merlotti SAS (specializzata in lavori di saldatura robotizzata, per i settori
metalmeccanico, automotive, arredamento, minuteria metallica)
-
Gilli
SRL
(specializzata
in
lavorazioni
di
torneria
automatica,
prevalentemente per i settori auto motive, costruzioni, metalmeccanico)
-
GF Automazioni SRL (specializzata in cablaggi elettrici, quadri elettrici per
macchine automatiche prevalentemente per il settore packaging, ferroviario,
elettromedicale)
-
Tecno Group SRL (specializzata nella produzione di ingranaggi e componenti
meccanici su progetto dei clienti per il settore motoristico, motociclo – mezzi
di sollevamento e trasporti – automazioni industriali)
-
RBS SNC (specializzata in lavori di fresatura, alesatura, foratura e
maschiatura prevalentemente per il settore delle macchine movimento terra,
dei sistemi di sollevamento e degli organi di trasmissione).
Queste
aziende
vantano, ciascuna
in
un
ambito
definito,
un’esperienza
ultratrentennale nel fornire componenti e prodotti per grandi realtà industriali, non
solo italiane, di svariati settori industriali: metalmeccanica, auto motive,
261
movimentazione terra, arredamento, minuteria metallica, packaging, settore
ferroviario, elettromedicale e trasporti. Le aziende che partecipano alla rete contano
mediamente su un a decina di addetti. Complessivamente Hi-mec.it è una realtà che
occupa oltre un centinaio di addetti. Pur mantenendo la propria autonomia, i vari
anelli della catena Hi-mec.it sono in grado, grazie a questa unione, di offrire al
mercato un’ampia gamma di lavorazioni ad alta precisione su ogni tipologia di
componente. Gli standard qualitativi della rete sono di livello alto. All’attività
produttiva in senso stretto se ne aggiunge anche una di tipo consulenziale. Infatti, la
rete è in grado di affiancare il cliente fornendo un servizio di co-progettazione che
tenga in considerazione le caratteristiche richieste fin nei più piccoli particolari. Le
singole lavorazioni e i gruppi meccanici e meccatronici vengono realizzate in codesign con il committente e sono eseguite secondo le sue specifiche esigenze. La
struttura è dotata di un proprio sito internet (www.hi-mec.it) tramite il quale è
possibile individuare lo specialista di riferimento per la fornitura di un determinato
prodotto o servizio (lappatura, fresature, saldatura, ecc). all’interno della rete, le
imprese partecipanti devono individuare un comitato operativo, ossia un gruppo di
governo della rete che stabilisca le priorità e si prenda la responsabilità della parte
organizzativa e della parte operativa della rete, con particolare riferimento a:
elaborare le strategie, condividerle con gli altri nodi; contattare le imprese “nodi”;
svolgere le funzioni organizzative e operative per rendere attiva la rete. Tutto deve
essere particolarmente snello per non gravare di costi il sistema. Hi-mec.it è
un’associazione temporanea di imprese, sottoscritta tra le imprese partecipanti alla
rete che prevede un “accordo” formale leggero per una rete “leggera”: si tratta di una
sorta di “impresa virtuale” costituita dalle imprese della rete (ogni appesantimento
societario aumenta i costi e diminuisce in flessibilità) che intende e consente di:
-
ribadire le “azioni da fare insieme” su cui si sono impegnate le imprese”
-
identificare con chiarezza le “azioni da fare insieme”, i loro tempi di
realizzazione e i costi;
-
gestire in maniera trasparente le risorse necessarie alla realizzazione delle
azioni.
Hi-mec.it agisce attraverso le azioni delle imprese che la costituiscono e il governo è
garantito da organi virtuali i cui membri eletti fanno parte delle imprese della rete e
262
sono da questi eletti. Questo tipo di struttura, da un lato, garantisce grande flessibilità
e ridotti costi di gestione ma, al tempo stesso, configura un sistema non
regolamentato da contratti ma fondato su regole informali (sebbene scritte), basate
sulla correttezza e sulla trasparenza di tutti i partecipanti, aumentando i rischi
connessi all’assenza di vincoli formalizzati di corresponsabilità nell’assunzione dei
rischi. Al riguardo, lo Statuto, attualmente in fase di discussione, favorirà il
funzionamento della rete Hi-mec.it con particolare riferimento ai seguenti punti
fondamentali:
-
criteri per appartenenza alla rete;
-
chiarezza sui compiti all’interno della rete;
-
chiarezza sull’assunzione di responsabilità nei rapporti clienti e fornitori
all’interno della rete;
-
chiarezza nei rapporti con il committente;
-
trasparenza su tutti i passaggi di informazioni;
-
totale condivisione di tutte le informazioni.
263
5.12 CONCLUSIONI
Al termine di questa trattazione voglio ora riassumere quelle che sono le mie
conclusioni scaturite da questa ricerca. Il mio approccio parte dall’analisi delle
modalità di formazione e sviluppo del comparto motociclistico bolognese che ha
mostrato il contributo da esso portato alla crescita complessiva del sistema
economico locale negli anni del miracolo economico, attraverso processi di
circolazione di conoscenze e capacità tecniche, e di moltiplicazione delle iniziative
imprenditoriali. Lo sviluppo e la specializzazione di una quantità di piccole officine
meccaniche afferenti al settore motociclistico ha aumentato le potenzialità e
l’adattabilità del sistema ai cicli dell’economia. Grazie ai rapporti che si sono
instaurati tra i diversi soggetti imprenditoriali, si è formata una sorta di rete
protettiva, capace di attutire i colpi delle crisi e di produrre le condizioni per quelle
economie esterne all’impresa ma interne al sistema che costituiscono una delle
ragioni del successo dei distretti. Attraverso il sistema della subfornitura o
dell’affidamento di lavorazioni meccaniche a piccole officine specializzate, le
imprese maggiori potevano conseguire una produzione altamente qualificata ma
anche flessibile, che evitava gli inconvenienti di rigidità insita nei processi di
concentrazione industriale. Esse così potevano raggiungere importanti posizioni di
mercato, senza ricorrere a ingenti immobilizzazioni di capitale, sapendo di poter
trovare sempre sul territorio dei soggetti capaci di rispondere alle loro esigenze
tecnico-produttive. Ciò consentiva loro di adattarsi ai momenti di crisi e di
riconvertire facilmente la produzione verso nuovi prodotti, anche per il carattere
polivalente degli stessi artigiani o degli operai specializzati impiegati. Le officine
minori ricevevano d’altra parte una certa sicurezza e continuità di lavoro, talvolta
anticipazioni o anche macchinari dalle aziende maggiori, a cui erano legate da stretti
rapporti di fiducia, sia che tali officine fossero dirette da ex dipendenti sia che
appartenessero a noti artigiani locali. Il coordinamento del funzionamento del
sistema economico locale, apparentemente disgregato in piccole unità, è stato
assicurato da alcuni particolari fattori. Innanzitutto occorre ricordare le imprese più
importanti del settore meccanico di dimensione media, come la Ducati, che hanno
costituito un punto di riferimento centrale per tutto il tessuto delle piccole officine,
ma anche un fondamentale luogo di formazione della manodopera locale, e di
264
incubazione di nuovi soggetti imprenditoriali, le cui iniziative sono state talvolta
incentivate e supportate dalla stessa impresa <<madre>>. Se ci limitiamo poi a
considerare l’industria motociclistica, la funzione centrale va attribuita ad alcune
imprese pioneristiche di minore dimensione come la Gd (ma anche la Mm), che
hanno rappresentato un momento originario fondamentale per la formazione delle
competenze tecniche e la loro disseminazione nel sistema locale.
Per quanto riguarda la Ducati Motor Holding S.p.A. la nuova politica
dell’outsourcing sta comunque creando non poche difficoltà. Questa scelta svuota la
Ducati non solo del superfluo, ma anche del necessario, riducendola ad un luogo di
assemblaggio di prodotti altrui. Va da sé che questo genere di iniziative non
irrobustiscono l’immagine di una azienda. In ogni caso, estendendo il discorso in
termini più generali, va considerato che nessun cambiamento in qualsiasi azienda è
mai stato indolore. In tutti i casi la politica di outsourcing, visti i tempi, è forse la
migliore mossa per snellire e flessibilizzare l’apparato tecnico-produttivo, che per la
sua precedente mole permetteva a fatica un efficace adattamento alle sempre
mutevoli condizioni che il mercato odierno impone. A livello produttivo, il punto
debole delle motociclette di Borgo Panigale, sembra essere l’affidabilità, secondo i
motociclisti esperti, il giudizio sulla robustezza dei mezzi marcati Ducati continua ad
essere, ormai da parecchi anni, negativo. Al di là di questi aspetti, la Ducati serba al
suo interno alcuni inalienabili punti di forza che possono essere ora riassunti:
-
strategia di nicchia: la specializzazione produttiva della Ducati si rivolge a
quelle che sono definite come “motociclette di derivazione agonisica”.
All’interno di questo segmento, rappresentato, come è ovvio, da prodotti di
elevata cubatura (propulsori di cilindrata superiore ai 500 cc), la presenza
della Ducati è forte e molto competitiva. Le ragioni di tale situazione sono da
imputare ad una condotta fedele e coerente negli anni che ha permesso di
consolidare nel pubblico e nella stampa specializzata l’abbinamento Ducati –
moto sportiva.
-
notorietà globale del marchio: Ducati è percepita nel mondo come una casa
costruttrice dall’immagine esclusiva, caratterizzata per il design innovativo e
le avanzate soluzioni ingegneristiche presenti nella gamma dei suoi prodotti.
A tutto ciò va aggiunto l’eco delle sue vittorie sportive nei vari campionati
265
mondiali disputatisi a partire dagli anni ’50 ad oggi. Tutto ciò ne è scaturita
un’elevata fedeltà al marchio che ha permesso l’attuazione di una politica
improntata sui prezzi elevati della propria produzione come sinonimo di
elevata esclusività.
-
elevata qualità tecnica: la coerenza nel segmento delle moto supersport si
abbina a scelte tecniche vincenti e costanti nel tempo. Caratteristiche della
produzione Ducati sono, senza dubbio, il comando desmodromico di
distribuzione delle valvole abbinato al propulsore a 4 tempi (da qui il tipico
suono del motore Ducati), il motore bicilindrico ad “L” e, per finire, il telaio
tubolare a traliccio.
-
superiorità
delle
prestazioni:
superiore
maneggevolezza
e
miglior
sfruttamento della potenza garantiscono alle motociclette Ducati prestazioni
superiori sia su pista che su strada.
-
funzionalità del processo produttivo: esso non si presenta integrato
verticalmente, ma è caratterizzato da una struttura a costi fissi relativamente
contenuti. Uniche fasi produttive svolte all’interno degli stabilimenti
riguardano esclusivamente componenti chiave, come i basamenti del motore
e le teste dei cilindri. Si fa notare, inoltre, che il Gruppo Ducati ha sviluppato
processi produttivi flessibili che ben si adattano ai volumi di produzione
attuali e programmati. Grazie a questi ultimi è stato possibile utilizzare un
numero relativamente alto di componenti chiave comuni, in particolare alcuni
elementi del motore ad alto costo.
266
CONCLUSIONI
Lo sviluppo delle Pmi è un problema di politica economica nazionale in quanto dalla
tenuta delle aziende di minori dimensioni dipendono la stabilità dell’occupazione nel
sistema industriale, la possibilità da parte delle grandi imprese di sviluppare strategie
di esternalizzazione che rendono più flessibile la loro organizzazione ed infine le
stesse performance delle banche. Se è vero, da un lato, che esiste ed è espressa da più
parti l’esigenza che le Pmi italiane si sviluppino e si rafforzino, dall’altro lato è pure
evidente che le stesse aziende rinunciano a crescere mediante l’aumento delle
dimensioni. Questa rinuncia è determinata da diversi fattori: insufficienti
competenze; limitate risorse finanziarie; bassa propensione al rischio; difficoltà nel
ricambio generazionale. Se le Pmi sono riluttanti ad aumentare le dimensioni,
l’alternativa strategica al rafforzamento competitivo è rappresentata dalla
collaborazione con fornitori, concorrenti, clienti. Queste forme di collaborazione
strategica tendono sempre più a diffondersi e, in alcuni casi, arrivano addirittura alla
condivisione di investimenti e dei relativi rischi mediante la specializzazione dei
processi produttivi: un unico processo viene ripartito in più fasi ed ogni operatore in
base alle proprie competenze distintive si occupa di una specifica fase, generando in
tal modo economie di scala e di apprendimento. Questi accordi sono formali
(contrattuali, come ad esempio, i consorzi, l’outsourcing) oppure informali (come ad
esempio, gli spin-off, le reti di imprese). In particolare per le reti l’accordo si basa
sulla relazione fiduciaria tra i partner ed eventuali contratti per definire impegni e
regole rivestono un ruolo accessorio. La fiducia si rafforza in base ai risultati
conseguiti, alla capacità di coordinamento dell’impresa guida, allo sviluppo di
relazioni personali. Le reti di imprese, come tutte le organizzazioni aziendali,
presentano vantaggi e limiti. Per quanto riguarda i primi, le reti rappresentano una
modalità organizzativa efficiente per applicare e/o produrre innovazioni. Inoltre, con
la condivisione degli investimenti si frazionano i rischi e si riduce il relativo
fabbisogno finanziario. Relativamente ai limiti si segnalano la debolezza delle
relazioni, fondate sulla fiducia e, quindi, per questo stesso motivo, mutabili nel
tempo in funzione della convenienza reciproca a partecipare alla rete. La rete è anche
rischiosa: si perde il controllo su alcuni processi; il know-how disponibile presso
267
ciascuna impresa ed eventualmente quello prodotto in comune può essere utilizzato
opportunisticamente, a vantaggio cioè del singolo partner piuttosto che del gruppo di
aziende. Infine, le performance gestionali di ogni singolo partner dipendono
eccessivamente dalle motivazioni, dalle risorse e dalle performance gestionali degli
altri partner. Per rafforzare i vantaggi competitivi e ridurre i rischi della rete è
fondamentale garantirne la stabilità. Infatti, tanto maggiore è la stabilità tanto più si
rafforza la fiducia tra i partner e tanto meno è rischiosa la struttura organizzativa. La
nuova disciplina sul contratto di rete costituisce certo un passaggio rilevante verso un
nuovo quadro normativo, seppure con i limiti che si sono rilevati. Essa rappresenta
un primo, significativo ma incompleto riconoscimento della necessità di un
intervento legislativo di carattere civilistico in materia di reti di imprese. Il contratto
di rete innova rispetto ai modelli esistenti. Esso non aggiunge un nuovo tipo
contrattuale ma si propone di offrire una disciplina generale. Costituisce uno
strumento orizzontale rispetto alle diverse tipologie di rete che le imprese desiderano
creare. Si tratta di un contratto transtipico in grado di assolvere simultaneamente a
diverse funzioni di governo della filiera.
268
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