MantovaCAI n.1 anno 2014 - CAI Sezione di Mantova

MantovaCai - Notiziario della Sezione C.A.I. di Mantova - Direttore Responsabile: Antonio Cirigliano - Direzione e Redazione: Via Luzio 9 - 46100 Mantova - tel e fax 0376 328728.
Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (cpnv. in L.27/02/2004 n° 46) art. 1 comma ! DCB - Mantova
L’abbonamento riservato ai Soci di € 2,50 viene assolto nella quota associativa. Segnalazioni di mancato ricevimento vanno indirizzate alla Sede CAI di Mantova.
Anno XL - 1°Trimestre 2014 - Il Notiziario della Sezione C.A.I. di Mantova - Marzo 2014
Avviso di Convocazione per Venerdì 28 Marzo 2014
Alle ore 20,00 in Prima Convocazione
Alle 21,00 in Seconda Convocazione
Presso Oratorio del Gradaro - Via Gradaro, 42 - Mantova
Assemblea Ordinaria dei Soci 2014
SOMMARIO
4
Vita di Sezione
- Notizie, fatti e consigli
10
Sci di Fondo
- Ora siamo più ricchi
- Le segnalazioni
- Il Racconto
- Trentatre!... no, non siamo dal dottore
- La mia prima ... Marcialonga
- ... scia, ragazzo... scia
14
Cristalli di Pino Mugo
Direttore Responsabile: Antonio Cirigliano
Capo Redattore: Giovanni Margheritini
Comitato di Redazione: Alessandro Vezzani (Operatore Naturalistico), Luciano
Comini (Maestro Sci Fondo), Davide Martini (Direttore Scuola Alpinismo, Ingegnere), Matteo Mantovani (Geologo), Giada
Luppi (laureanda Agronoma), Renato
Gandolfi (Geologo), Francesca Golinelli (Ambietalista, Architetto), Carla Carpi
(Guida Ambientale), Lucia Margheritini
(Ambientalista, ingegnere).
Hanno collaborato a questo numero:
- Mauro Bertolini
- Luigi Zamboni
- Fabio Randon
- Lorenzo Breviglieri
- Antonio Paladini
- Rino Stocchero
- Andrea Carenza
- Rosella Alberti
per l’inserto dei ragazzi:
- Agnese Castelletti
- Alba Rasini
7
BiblioCai & CineCai
Alpinismo
- La sicurezza in montagna
- In giro con le pelli ai piedi ...
- Storia dell’Alpinismo (prima
parte)
Gruppo SenzaEtà
- Orge a tavola ... con la sbrisolona
22 - Brividi al Pian Fugazze
Escursionismo
fuoriporta dal gusto dell’ignoto
25 -- Gita
Camminare ...
- Nottata al Rifugio....
Vegetazione Forestale Alpina
fasce altitudinali e latitudinali
28 -- Le
Le Associazioni Vegetali
- Gli Alberi guida: Il Carpino Nero
La Storia della Terra
Stampa: Grafiche Stella, Via A.Meucci 12
- Legnago (VR)
Autorizzazione Tribunale di Mantova n° 6
del 8/10/1975
Tariffa R.O.C.n° 13657 del 11/02/2006 Poste Italiane S.p.A
La Redazione si riserva di pubblicare o
meno gli articoli pervenuti; si riserva inoltre di apportare le modifiche che riterrà
opportune senza alterare il senso del testo. Nessuno può richiedere compensi
per gli articoli inviati. Gli articoli firmati
impegnano solo l’autore.
Chi vuole inviare un articolo per la pubblicazione può inviare il testo e le eventuali
immagini, di ottima qualità, al seguente
indirizzo email:
[email protected]
Questo numero è stato chiuso in Redazione il 19 febbraio 2014
la Terra è unica
33 -- Perché
La Terra primordiale ....
- Le rocce della crosta terrestre
40
a Lepre Bianca
39 -LStorie
e abitudini
Fiori
- Fiori d’inverno .... eccone alcuni!
42
Le Avventure Continuano ...
- in Marzo e Aprile
- nel prossimo numero
Nel centro della rivista inserto staccabile “Il giornalino dei Ragazzi”
In allegato alla rivista il “Rapporto sull’Attività dell’Anno 2013” con
scheda per
AutoCandidatura e Delega.
VITA DI SEZIONE
ASSEMBLEA ORDINARIA DEI
SOCI 2014
AVVISO DI CONVOCAZIONE
VENERDi’ 28 MARZO 2014
Alle ore 20,00 in prima convocazione
Alle ore 21,00 in seconda convocazione
Presso l’Oratorio della Chiesa del Gradaro
Via Gradaro, 42 - Mantova
ORDINE DEL GIORNO
1. Nomina del Presidente e del Segretario
dell’Assemblea
2. Nomina degli Scrutatori.
3. Relazione morale del Presidente di Sezio ne: Approvazione
4. Relazioni dei Responsabili delle Commissioni: Approvazione
5. Delega determinazioni Quote Sociali per
2015
6. Bilancio Consuntivo 2013
7. Relazione del Presidente dei Revisori
dei Conti: Approvazione
8. Bilancio Preventivo 2014: Approvazione
9. Elezione dei Delegati alle Assemblee
Regionali e Nazionali
10. Consegna distintivo d’Oro ai Soci con
50 e 25 anni di fedeltà.
11. Elezione del nuovo Consiglio Direttivo
di Sezione.
Ai termini di Statuto il bilancio integrale è
depositato presso la Segreteria a disposizione dei Soci.
Il Presidente del Consiglio Direttivo
Alessandro Savoia
Distintivi D’Oro
Complimenti vivissimi dal Consiglio Direttivo a tutti questi Soci per gli anni di
fedeltà ininterrotta alla Sezione; auguriamo loro che questa sia solo la prima
tappa di un lungo cammino.
SOCI CAI CINQUANTENNALI
BUSTI ROBERTO
TRUZZI PAOLO
SOCI CAI VENTICINQUENNALI
(Mantova)
ALBERTI ROBERTO
AZZINI ANDREA
AZZINI FABIO
BIANCHI GIANPAOLO
GAETTI VALENTINA
MARTIGNONI STEFANO
MONTANARINI GABRIELLA
PARALUPPI ANNA MARIA
PINCELLA FRANCA
RABITTI CHIARA
(Suzzara)
MAFFEI GIANPAOLO
Tutti i Soci menzionati sono vivamente
invitati alla cerimonia di consegna della
giusta onorificenza che si terrà durante
l’Assemblea annuale venerdì 28 Marzo
2014 alle ore 21,00 presso l’Oratorio
della Chiesa del Gradaro - Via Gradaro
42 Mantova.
VITA DI SEZIONE
CORSO
ESCURSIONISMO
AVANZATO
Il punto sui Corsi di
Formazione 2014
SCI DI FONDO
I due Corsi di Formazione di
Sci di Fondo, quello destinaai bambini da 6 a 12 anni “ Leva del
Cucciolo” e quello per “Adulti principianti” sono terminati durante il mese
di febbraio. I Corsi sono stati proficui
e i risultati potete leggerli nelle pagine
seguenti sullo Sci di Fondo.
Il 20 marzo termina il periodo utile
per l’iscrizione al Corso d’Escursionismo Avanzato che prenderà l’avvio il
29 marzo per poi proseguire in aprile,
maggio e giugno. Vedi il programma
dettagliato sul sito della Sezione.
Affrettatevi!!!
2° CORSO
ARRAMPICATA
“PRIMI PASSI”
SCI ALPINISMO SA2
Il Corso, in collaborazione
con la Scuola di Sci Alpinismo della Val Rendena del CAI - SAT,
prenderà avvio il 1° marzo. Iscrizioni
aperte fino al 25 febbraio.
Il 29 marzo termina il periodo utile per
l’iscrizione di bambini e bambine nati
tra il 2001 e il 2008 a questo corso di
avvicinamento all’arrampicata.
Affrettatevi!!!
Affrettatevi!!!
Il Punto sul Tesseramento 2014
Al 19 febbraio la situazione del Tesseramento 2014 è la seguente:
Mantova
Quistello
Suzzara
Totale
Ordinari
Familiari
Giovani
Totale
262
51
23
336
124
24
7
155
37
23
4
64
423
98
34
555
I nuovi iscritti sono n° 116, pertanto, a questa data, non hanno ancora complessivamente rinnovato l’iscrizione n° 564 Soci di cui n° 408 di Mantova, n° 68 di Quistello e n° 88 di Suzzara.
Si ricorda che il 31 marzo terminarà il periodo della copertura assicurativa CAI per coloro che, a
quella data, non avranno ancora rinnovato l’iscrizione.
VITA DI SEZIONE
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Gruppo SenzaEtà
Trekking d’Avventura
Esplorando la Catalogna
Trekking nei
Pirenei e Costa Brava
Sevaggio Blu
Trekking in Sardegna
nel Golfo di Orosei
dal 20 maggio al 1 giugno
Quota individuale € 925,00
Iscrizioni entro il 15 aprile
Caparra € 200,00
Saldo pagamento entro 10 maggio
•
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dal 19 al 25 aprile
Quota individuale € 700,00
Iscrizioni entro il 15 marzo
Caparra € 200,00
Saldo pagamento entro 10 aprile
Affrettatevi!!!
Affrettatevi!!!
Escursione Naturalistica
Novità
Equinozio di Primavera
E’ stato varato il progetto che ci porterà
entro la fine di quest’anno alla costituzione della Commissione di Alpinismo
Giovanile. Un gruppo di 10 Soci volontari si è messo a disposizione per partecipare al Corso di Formazione ASAG
(Accompagnatore Sezionale Alpinismo
Giovanile). Questo primo nucleo di Titolati con l’aiuto della Commissione
Regionale Lombarda ci permetterà finalmente di decollare con l’Alpinismo
Giovanile.
Sentiero Naturalistico
Dei Colli Euganei
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domenica 23 marzo
Museo Paleontologico
Trekking di circa 8 km
Origine vulcanica
Iscrivetevi a questa prima
festa di primavera
Variazioni Escursioni
Prendete nota che:
• Alpe Succiso prevista per giovedì
2 ottobre è spostata al giovedì 16
ottobre.
• Sentieri di Pace prevista al 16/17/18
ottobre è anticipata al 2/3/4 ottobre
www.caimantova.it
Importante!
Ricordatevi di iscrivervi alle News sul
nuovo sito web della
Sezione.
Ora siamo più... ricchi
a cura di Giovanni Margheritini
La nostra prestigiosa Biblioteca ora è più ricca di contenuti e di storia. Tutto
è avvenuto complice quella passione che lega alcune speciali
persone alla montagna.
E’ successo così che la signora Cecilia Carreri, appassionata
di montagna per inconscia vocazione paterna, grande conoscitrice dell’ambiente letterario di montagna e cultrice della
storia dell’Alpinismo, frequentatrice assidua di Alpi e Dolomiti,
un giorno decide di iniziare a raccontare al padre le proprie
esperienze di montagna. Piano piano si crea un nuovo e strano
legame tra padre e figlia, il legame che, in modo profondo e
silenzioso, unisce tra loro gli alpinisti. Il legame che deriva dalla consapevolezza di aver vissuto le stesse esperienze: dure,
difficili, estreme.
Il padre di Cecilia era l’ing Cesare Carreri, primogenito di una
famiglia molto nota di Ostiglia. Per lavoro aveva lasciato la
sua città per molto tempo per farvi ritorno, a un certo punto
della sua vita, per vivere in solitudine. È qui
che il padre inizia a fare qualche confidenza
a Cecilia, a raccontarle che anche lui ha fatto
dell’alpinismo, a parlare della montagna come
di qualcosa di proibito che lo legava a ricordi
intimi e riservati.
Un po’ alla volta, incalzato dalle domande, il
padre racconta dei suoi compagni di cordata:
Piero Dallamano, Luigi Grigiato, Mario Pavesi,
tutti alpinisti mantovani.
La storia continua, ma preferiamo che i nostri
Soci, la possano approfondire consultando
la bella e toccante monografia che Cecilia ha
voluto dedicare al padre e ai suoi compagni
Alcuni libri della donazione e targa ricordo.
di cordata con foto dell’epoca, per ricordare
questa passione comune
che li ha uniti, al di là delle divisioni della vita.
La signora Carreri ha donato alla nostra Sezione, in ricordo
del padre, una parte della sua biblioteca privata di montagna.
Sono 160 tra libri, riviste, giornali, articoli, buona parte dei quali
della prima parte del 1900.
La volontà di Cecilia Carreri di diffondere l’amore e la passione
per l’alpinismo, però non si ferma qui. Ha deciso di collaborare a una iniziativa della nostra Sezione CAI, che ha indetto
un concorso al momento sperimentale presso l’Istituto Comprensivo Mantova 1 “ Luisa Levi” con il tema: “La montagna ci
aiuta: aiutiamo la montagna”.
Questo concorso metterà in palio per l’intera classe vincitrice una “Escursione in Montagna” guidata dai nostri Accompagnatori, allo scopo di far avvicinare i giovani a quello che è un mondo che ha
ancora tanto da offrire.
La soddisfazione è grande e oggi possiamo dire di essere un po’ più ricchi perché oltre ai preziosi libri abbiamo ricevuto una grande testimonianza di vero amore per la montagna e per il suo ambiente naturale e culturale.
BiblioCai
&
CineCai
Il Presidente Alessandro
Savoia, assistito da Antonio Paladini, mentre firma
l’atto della donazione in
presenza della signora
Cecilia Carreri.
Alcuni Soci CAI e sul
tavolo libri e giornali donati dalla signora Cecilia
Carreri
BiblioCai
&
CineCai
I libri che segnaliamo
a cura della Redazione
Solitudine sulla Est
“Il solitario della parete est appare di notte, nella bufera, all’improvviso, a bus-
sare alle porte dei bivacchi e dei rifugi, il volto ustionato da un sole feroce, talora
ferito o malconcio. Di rado qualcuno lo scorge, lontano e solo, impegnato sulla
cresta. È partito nel mistero, non si sa se è tornato, o se mai tornerà”.
L’artista mantovano Ettore Zapparoli è morto nell’agosto del 1951 tentando
un’impresa epica e surreale sulla parete est del Monte Rosa. Il suo corpo non
è più stato ritrovato, né sono rimaste tracce del suo passaggio: nel mistero è
scomparsa una delle figure più inquietanti dell’alpinismo romantico italiano, un
uomo che ha dedicato la sua vita alla musica e alla montagna.
Questo libro, frutto di una ricerca difficile e minuziosa, ricostruisce per la prima
volta i tratti umani e le eccezionali ascensioni di Zapparoli, nel quadro dell’epopea alpinistica del Monte Rosa e di una Macugnaga d’altri tempi.
L’autore del libro è Eugenio Pesci, nato a Milano nel 1961 e vive a Lecco. Insegna
filosofia nei Licei. Dal 1984 si dedica alla pratica e alla diffusione dell’arrampicata
sportiva, curando numerosi articoli sulle principali riviste specializzate italiane.
Ha aperto vie nuove nelle Grigne e attrezzato circa 300 tiri di corda. Con Lorenzo
Meciani ha pubblicato Arrampicate Moderne nel Lecchese e con altri autori Arrampicate sportive e moderne fra Bergamo e Brescia. Collabora con il C.A.I. per
la Guida dei Monti d’Italia.
Le voci del bosco
“Le pagine di questo libro non contengono un trattato di botanica e nemmeno
parole di assoluta verità. Ciò che in esse vi si potrà leggere sono verità personali
suscitate da riflessioni indotte da oltre quarant’anni di vita nei boschi e dialoghi
con le piante. Durante questo tempo, ho capito che tutto, in natura, ha un proprio
carattere, una personalità, un linguaggio, un destino. Osservando e ascoltando
con attenzione il creato, è possibile udire la sua voce...
Gli alberi non si spostano, ma possiedono un loro carattere che comunicano
in vari modi: con la bellezza, con l’oscillazione delle fronde, con la consistenza
delle fibre. E anche con la diversa reazione che hanno nei confronti di chi li tocca. In queste righe si parla di loro e di uomini: a volte bene e altre male... e così
il cattivo, senza quasi rendersi conto, proverà simpatia per il sambuco, il buono
per il larice, il sempliciotto per il faggio, l’elegante per la betulla, il cocciuto per il
carpino e via dicendo...”.
L’autore del libro è Mauro Corona, nato nel 1950 a Erto, ha seguito fin da bambino il nonno paterno (intagliatore) in giro per i boschi e, nello stesso tempo, il
padre cacciatore lo portava a conoscere tutte le montagne della valle. Dal primo
ha ereditato la passione per il legno sviluppata, molti anni dopo, nello studio dello
scultore Augusto Murer, a Falcade. Dal padre gli deriva l’amore per le cime e le
scalate. Alpinista e arrampicatore, Mauro Corona ha aperto oltre 230 nuovi itinerari di roccia sulle Dolomiti d’Oltre Piave, tutti di estrema difficoltà. Il suo primo
libro Il volo della martora, ha raggiunto in un anno l’ottava ristampa. Questo è il
suo secondo libro. Mauro Corona vive e lavora a Erto.
Racconti
a cura della Redazione
BiblioCai
&
CineCai
La Montagna non scherza
Un abete tagliato, usato come banco da gioco, era secondo Pino la cosa più
bella del piccolo giardino che contornava la casa dei suoi nonni.
Pino era un ragazzo di tredici anni nel 1963, orfano dei genitori
da quando aveva tre anni; da allora, viveva con i nonni a Casso,
un piccolo paese vicino a Longarone.
Non aveva nessun amico, perché non voleva rimpianti, guardando i genitori dei possibili amici.
Amava molto andare con Lillo, il suo cane, sui sentieri di montagna e inventare scorciatoie. I suoi nonni gli ripetevano sempre:
“stai attento alle vipere, non alzare i sassi e non tirarli a caso”
oppure: “ la montagna non scherza”.
Molte volte si distendeva sull’erba bagnata e guardava gli abeti
e i pini cercando di scorgere tra i rami gli scoiattoli, che erano oltre ai cani i suoi animali preferiti: tutti marroni, avevano una folta
coda e orecchie a punta con un ciuffetto di pelo nero.
Pino stava intere giornate sulle montagne con Lillo tra i profumi
della montagna e mangiavano fragole, more e lamponi che crescevano spontanei. Giocava con Lillo a rincorrersi tra gli alberi.
Lillo era un setter bianco con una sfumatura rossa, molto agile e veloce, non abbaiava quasi mai. Si divertiva a rincorrere gli scoiattoli senza esiti, perché salivano subito sugli alberi più vicini, e i conigli che raramente prendeva e, morsicando
loro il collo, uccideva. La nonna di Pino poi li spellava, li cucinava e glieli dava
pronti.
Era il suo miglior amico, quando erano in mezzo al bosco, fiutava dappertutto e molte volte portava Pino davanti alle tane di
qualche animale selvatico o ad un albero dove c’era la tana di
qualche scoiattolo.
Pino si divertiva ad arrampicarsi sugli alberi dove c’era qualche
tana di scoiattolo o sugli alberi molto alti per vedere la sua “valle
incantata”.
Amava molto la natura e quando si costruì la diga del Vajont fu
dispiaciuto nel vedere quella montagna di cemento tutta grigia,
che attaccava le due montagne come fossero malformate.
Alcuni geologi avevano assicurato che c’era il rischio che un pezzo di montagna cadesse nel lago artificiale e rompesse tutto; anche Pino si era accorto che sul fianco della montagna c’era una
grande crepa. Vedendo questa e pensando alle parole che gli
diceva suo nonno urlò: “la montagna non scherza!”. Così fece
ripetutamente ogni giorno; la crepa si allargava sempre più.
La notte del 9 ottobre 1963 un grande pezzo di montagna cadde nell’acqua,
provocando un’onda che scavalcò la diga e distrusse completamente Longherone.
Pino con i suoi nonni stava dormendo quando sentì il rumore come di un terremoto, poi sentì i sassi che andavano sul tetto e un sasso entrò nella camera,
spaccando la finestra.
L’onda aveva rovinato solo poche case a Casso, la diga era rimasta intatta; ma
Longherone era stata spazzata via come un paese fatto di paglia, non esisteva
più! Tantissimi furono i morti.
Pino aveva previsto una cosa del genere, andò fuori e urlò: “La montagna non
scherza!”.
Stefano Bussetto
(12 anni - CAI Sezione di Mirano - Venezia)
Questo racconto è tratto
dal libro “La Montagna
Fantastica” edito dalla
Sezione CAI di Mirano Venezia.
Sci di
Fondo
Trentatre!...no, non siamo dal dottore
a cura di Stefano Sacchi
Sono le partecipazioni alla mitica Marcialonga, che si svolge in Val di Fiemme e
Fassa, alla quale Luciano ha preso parte. Io, devo solo ringraziarlo, dopo anni
che non sciavo, nel 2011 ho iscritto al corso di Sci Nordico mia moglie Elena e un
giorno sciando in sua compagnia e con Luciano sulle nevi di Passo Lavazè, dove
il panorama mozza il fiato, lui mi disse: ma sai che scii bene, hai un bel gesto, ma
perché non fai la Marcialonga?
Ero preoccupato per i chilometri, 70 sono tanti, ma era un’esperienza che volevo vivere da tempo, così, tranquillizzato da
Luciano e incitato da Elena nel gennaio del 2012 ho partecipato
“logicamente su consiglio di Luciano” alla Marcialonga light di
45 km. La preparazione è stata semplice, qualche corsetta con
i bastoncini al bosco Fontana, un po’ di ginnastica in casa, su e
giù dalle scale, addominali, gambe e per finire un elastico sopra
la porta e giù a tirare, poi non sono mancate le sciate in compagnia.
L’esperienza è stata esaltante, circa 7000 alla partenza di Moena, tutti in attesa sotto un tendone, l’elicottero che volava, il
telecronista, la musica, il te caldo offerto dalla croce rossa, molti
in fila davanti ai bagni “forse l’emozione”, quelli intenti a sciolinare, quelli che saltavano per riscaldare i muscoli, poi, il via, i
campioni sono partiti, è partita la trentanovesima Marcialonga,
non nego che l’emozione è stata tanta, mi preparo ed entro nel
mio cancello di partenza “l’ultimo, visto il pettorale”.
Finalmente parto, tutti in fila, un serpentone lungo chilometri, sorpasso qualche
partecipante e vengo sorpassato da altri, tutta una frenesia, mi vengono in mente
i quadri dei futuristi, i famosi Balla i Boccioni, sempre alla ricerca del movimento.
Il tifo l’incitazione “vai! vai!”, i campanacci che suonano al nostro passaggio, i ragazzini che urlano, i campanili con le campane che suonano a festa echeggiano
in valle, la ressa ai ristori, te, cioccolato biscotti uvetta, panini, integratori di sali
minerali, gli sci che si accavallano come foglie sotto gli alberi e poi, via! via! che
si riparte con il boccone in bocca, dai! dai! ale! ale! ale! l’incitamento ti stimola e
aumenti la velocità, poi, momenti di assoluto silenzio nei tratti in mezzo ai boschi
d’abete, solo il sibilo dei miei sci squamati da bisonte. Il tempo non manca come
la fatica e i ricordi lontani affiorano, come i crochi dopo che la neve si è sciolta
sotto i raggi della primavera, ricordi belli, piccoli particolari che avevo scordato,
solo un attimo per ammirare la bellezza che mi circonda, quella bellezza che a
volte non riesci ad assaporare, tanto sei preso e distante come questa società
ci insegna.
Riprendo consapevolmente a spingere, ora di braccia ora con l’alternato o col
passo spinta, è bella questa festa di gente, tutte le valli sono in festa, io sono
come in un limbo.
Stefano Sacchi Sci Cai Mantova alla sua prima Marcialonga “scandisce lo speaker al microfono”, sono arrivato a Predazzo, sono arrivato!!!!
Oggi mentre scrivo, penso a quella gente di montagna, i contadini con i loro
trattori a portar neve per la pista, le donne con i figli che ci anno dissetati, tutti
quei volontari che amando la propria terra e le loro radici, hanno lavorato così
tanto solo per farci vivere un’emozione, per farci conoscere le loro montagne, i
loro paesi ricchi di storia, cosa sarebbe il mondo senza queste persone che con
amore e sacrificio valorizzano il proprio territorio.
Oggi siamo al primo di febbraio del 2014, ho partecipato alla mia seconda Marcialonga da 70km “la vera!” con Luciano, ma non siamo stati i soli della sezione,
alla mini Marcialonga, sì! quella baby svoltasi nello stadio del fondo di Lago di
Tesero, dove sfrecciano i campioni, Andrea Bettoni, Matilde Ferrari, Giorgia e
Luca De Pasquale, il più piccolo, avendo meno di sei anni “un cucciolo”, hanno
partecipato con entusiasmo tra una folla di gente e un sacco di ragazzini per la
gioia dei loro genitori, di Luciano e mia, bravi! Sarete i campioni del futuro, o magari solo sciatori e amanti della montagna come me.
A volte le parole non valgono un sentimento, un’emozione vissuta rimane indelebile.
La mia prima ... Marcialonga
a cura di Filippo Comini
Ore 8,00 già alla partenza e per oltre 50 minuti attendo il mio via; non passano
mai, mi sento “un giovane uomo sbagliato nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Mica male, eh...?
Al via, impiego un bel po’ a infilarmi gli sci e addirittura mi fermo anche a salutare
mio padre al bordo della pista. Non capisco bene come funziona dopo l’apertura
del “recinto”. Sono all’esordio, si vede, e si che mio zio Luciano mi aveva anticipato tutto quanto sto vivendo. Poi a un certo punto guardo avanti, gli
altri sono già avanti! Via allora, parto anch’io.
La prima mezz’ora circa mi ripeto “ma io non ho tanta voglia oggi,
sono stanco” sarà perché devo ancora carburare, parole che mio zio
mi ha detto, in qualche uscita di allenamento. Poi scatta qualcosa.
Parte l’agone; supero, vengo superato… Silenzio, Silenzio, si scia.
Avevo un po’ di freddo prima di partire, ero spaventato dalla temperatura, ma non avevo fatto i conti con l’adrenalina che scalda e ti fa
sentire una torcia. Eppure sono vestito nel modo migliore possibile
con l’ultimo total look della neve, da capo ai piedi, compreso l’effetto
“fungo” del berrettino.
L’idea di socializzare durante la gara l’abbandono velocemente.
Ognuno qui pensa alla propria gara..
Da quando ho deciso di partecipare alla marcialonga, e che mio zio
cominciava a darmi dei suggerimenti, attenti qui, attenti là, non pensare a quanti km devi ancora fare, e mentre “resettavo” e pensavo a
tutto questo, o forse già da prima, senza neanche saperlo: mi ritrovo
qui mentre sfioro il cartello al giro di boa di Canazei.
E pensare che quando ho cominciato a fare il passo classico alternato, cioè pochi mesi fa, non sapevo quanto ero in grado di resistere ad
una lunghezza, di 45 km, che mi ero prefissato come obbiettivo per
partecipare alla mia prima Marcialonga Light.
Durante il ritorno, attenzione a non cadere, ma soprattutto non venire calpestato.
Non salto neanche un ristoro, per tutto il percorso, per paura di andare in crisi,
nonostante la colazione da “campione” fatta alle ore 6 del mattino! Suggerimento
che il solito zio mi aveva fatto.
Gli allenamenti fatti a secco con gli ski-roll, mi sono serviti per rafforzare braccia
e schiena, accompagnate da uscite di corsa per allenare l’apparato cardiocircolatorio. Solo poche uscite sulla neve, ho potuto fare in quanto impegnato sia per il
lavoro, che per motivi personali, comunque mi è molto servito l’ultimo allenamento a passo Lavazè, affiancato dal solito zio che mi ha dato le ultime indicazione
di come mi dovevo comportare, durante questa mia prima esperienza, trasferendomi una fiducia in me stesso, che mi è servita per portare a termine questo mio
obbiettivo che da anni avevo nel cassetto.
Per tutto il percorso, ho spinto ora forte ora piano, ho vissuto la mia prima Marcialonga in ogni respiro, e poi ecco finalmente il traguardo di Predazzo, dove la
gente assiepata ai bordi della pista applaudiva, dove l’emozione mi ha preso lo
stomaco.
Sotto lo striscione d’arrivo, il cuore mi batteva a mille, e la stanchezza nemmeno
l’insegna, i miei genitori presenti mi chiedevano: ti è piaciuta ?, come è andata?,
Di nuovo ho fatto si con la testa, non ho parlato perché il mio magone era tale
che mi stavano scendendo due lacrime di gioia, per aver portato a termine la mia
prima Marcialonga.
Comunque alla prossima, ma “quella vera”, mio zio mi ha promesso di parteciparvi insieme.
Sci di
Fondo
Sci di
Fondo
Ecco i nostri ragazzi:
. Andrea Bettoni
. Giorgia De Pasquale
. Matilde Ferrari
. Luca De Pasquale
In 500 da tutta Europa
per la Minimarcialonga
... scia, ragazzo ... scia ...
a cura della Redazione
E’ finito il Corso di Formazione “Leva del Cucciolo” ma per Luciano Comini non
può essere finita.
Ci sono stati degli ottimi allievi, hanno manifestato voglia di fare e allora Luciano
pensa a una sfida molto motivante e importante: la “Minimarcialonga”.
Ci saranno centinaia di partecipanti tutti impegnati a mettersi in mostra
davanti agli altri e davanti ai propri genitori ed amici.
Bene questo è uno stimolo da raccogliere e Luciano, riunito i ragazzi/e,
propone loro di partecipare alla gara. Urraaaahhh!!!! è l’esclamazione
più contenuta dei ragazzini alla quale i genitori non si oppongono caso
mai l’avessero voluto.
Ora è il momento del Maestro Luciano: tutti intorno a lui per ascoltare
i consigli di cosa fare, di come farlo e di come comportarsi. Ehh, lui di
esperienza di Marcialonga (quella vera) ne ha tanta: sono 33 le volte
che ha partecipato!!!
Beato lui pensano i ragazzini, figo!!!!.
Quindi le tattiche: anello esterno,
anello interno, sciolina dura o morbida, spingere subito e poi moderare
l’andatura. In questo modo passa il
tempo della preparazione insieme ai
sogni e alle fantasie di ognuno di loro.
Luca de Pasquale (6 anni) il più piccolo dei nostri partecipanti ha deciso
la sua strategia: vuole arrivare l’ultimo
per poter essere chiamato sul podio e
ricevere la corona.
In questa manifestazione non ci sono
vincitori e vinti, vincono tutti con la
partecipazione. Vengono chiamati
I nostri protagonisti e il
sul podio il primo e l’ultimo, entrambi ricevono una Maestro..... primo tifoso!!
eguale corona a testimonianza che tutti hanno vinto
o meglio partecipato con impegno.
Andrea Bettoni, Giorgia De Pasquale, Matilde Ferrari (9 anni) e Luca De
Pasquale (6 anni) si sono presentati al nastro di partenza con altri 500
bambini provenienti da ogni parte d’Europa, grazie all’entusiasmo e alla
convinzione di Luciano.
Sullo splendido scenario dello Stadio del Fondo di Lago di Tesero in Val
di Fiemme, vince la passione per lo sport come filosofia di vita che solo
le persone più accanite riescono a trasmettere.
Tutte è andato alla perfezione, i nostri ragazzini sono stati meravigliosi
e hanno lottato duro, anche Luca De Pasquale ha lottato duro, ce l’ha
messa tutta, ma purtroppo una bambina gli ha rubato il sogno di arrivare l’ultimo!!
Forza Luca vedrai che presto potrai raggiungere altri importanti traguardi.
Grazie ragazzi e come dice sempre Luciano: “Sci di Fondo fino in ... fondo”.
Hai già rinnovato l’iscrizione per il 2014?
Affrettati e porta anche un nuovo amico.
Vogliamo crescere!!
Club Alpino Italiano
Sezione di Mantova
Alpinismo
SciAlpinismo
Arrampicata
La sicurezza in montagna
a cura di Davide Martini
Quante volte mi è capitato di vedere durante le uscite persone che indossano
l’imbraco al contrario per non parlare poi del nodo necessario per legarsi alla corda o per legarsi all’imbraco un semplice cordino ( tipo longe) per farsi un po’ di
sicurezza lungo qualche pezzo attrezzato, oppure improvvisare un’imbraco con
un cordino. Posso continuare ancora a lungo, ma quando chiedo come mai succedono certe cose, la risposta è sempre la stessa: “ ... è molto tempo che non lo
faccio ... e mi sono arrugginito un po’ ...” E’ un po’ come se uno mi rispondesse
che si è dimenticato come fare a camminare!! Si, perché per chi va in montagna
non sapere fare quei quattro, cinque nodi fondamentali è come non sapere camminare!! Un sano consiglio: procuratevi un cordino da circa un metro, mettetevelo
in tasca e tutti i giorni, come passa tempo, esercitatevi a fare sti benedetti nodi
... fatelo al posto delle parole crociate oppure rubate un po’ di tempo alla tv ...
ma tenetevi in esercizio. Nelle prossime escursioni, a sorpresa, sarete messi alla
prova e allora ..... “ricchi premi” per chi sarà fluido .... e “atroci ....” per chi sarà
ancora arrugginito!
Nodo delle Guide, oppure Nodo Otto, oppure Nodo Savoia
Il nodo delle Guide con frizione è il nodo di base per legarsi alla corda, sia questa
intera o mezzacorda. Inoltre è il nodo con il quale si lega la
longe all’imbrago (se la longe è fatta con un cordino aperto
su due rami).
Quindi è il nodo che collega la corda all’imbraco e che ci
permette di essere in cordata con il nostro compagno.
L’esecuzione è semplice, molto stabile e facile da controllare. È un nodo simmetrico, non si stringe troppo dopo un
tiro energico o una caduta, anche se la corda è bagnata.
Richiede un’esecuzione ordinata e regolare per garantire
l’efficienza nella tenuta ( l’ordine evita che il nodo si strozzi
malamente) e la facilità nello scioglierlo.
Per l’esecuzione: prendete un estremo della corda, misuratene circa 100 - 110 cm (dai piedi a sopra l’ombelico) e qui
fate il primo otto. Poi infilate la corda nell’imbraco e tirate
fino quando il nodo che avete fatto si trova a contatto con
l’imbraco. Attenzione la corda deve assolutamente essere
infilata nell’asola della cintura e in quella dei cosciali, non
direttamente nell’anello di servizio!! Bene ora con l’estremo
libero della corda rinfilate l’otto esattamente sullo stesso primo nodo. Una volta ripassato stringete e avrete il vostro bel
nodo fatto. Attenzione è fondamentale che vi restino circa 15
cm di estremità libera!!! Non fosse così, dovrete rifare nuovamente il nodo recuperando maggior corda nella fase iniziale.
Esercitatevi !! ...
In giro con le pelli ai piedi ...
a cura di Giovanni Margheritini
Sarà perché sono un modesto sciatore ma a me personalmente coloro che vanno fuori pista, i free rider, mi danno molto fastidio. Ho sempre pensato che lo
scialpinismo trova la sua ragione perché ti offre la possibilità di raggiungere una
cima o un luogo di montagna anche con la neve. Ma non mi verrebbe mai in
mente di farmi portare da un elicottero in cima per poi fare la discesa. Ho fatto,
ormai tanto tempo fa, il corso di scialpinismo con il CAI di Bologna e l’istruttore
mi aveva insegnato che l’importante era salire, arrivare alla meta, a scendere,
una volta padrone delle tecniche di base, ognuno scendeva come poteva. Ecco
è così che ancora oggi faccio qualche uscita con le pelli ai piedi. Come questa,
fatta con due amiche, Federica e Paola, e l’occhio vigile di Helmut, il mio amico
guida. Ci trovavamo nei dintorni di Misurina e visto che il tempo lo permetteva
ci siamo avviati con le pelli ai piedi verso il Rifugio Auronzo con la speranza di
proseguire poi per il Colle Lavaredo per vedere le fatidiche Nord delle Tre Cime
in pieno inverno. Dopo aver attivato tutti i nostri ARTVA, abbiamo seguito più o
meno il tracciato del sentiero estivo che dal Lago d’Antorno porta su al Rifugio
passando prima a oriente del lago per poi gradatamente inerpicarsi all’interno
di un bel lariceto in direzione nord. La neve, molto abbondante, lasciava a mala
pena intravedere i segni del sentiero estivo e con continui tornanti abbiamo
rapidamente guadagnato quota. Le prime difficoltà nelle giravolte ma poi, facendo attenzione e concentrandosi un po’ ecco che anche queste manovre si
superano bene. Le ragazze sono scatenate, vanno su leggere che è un piacere
vederle, e stando dietro, oltre che vedere il bellissimo e caratteristico profilo
delle Tre Cime da Sud, vedi anche in primo piano dei rotondissimi fondi schiena
che ti riaccendono terreni ricordi in questo ambiente di natura grandiosa. Siamo
in alto, davanti a noi si comincia a vedere ben nitido il Rifugio Auronzo. Ora dobbiamo attraversare un pendio dove ci sono tre canalini molto ripidi (intorno ai
50°). Helmut attraversa e punta alla vicina cresta da dove può essere più agevole proseguire per il rifugio. Noi seguiamo, uno alla volta, l’ultimo sono io e come
entro nel primo canalino vedo, con la coda dell’occhio, sopra di me alla mia destra che qualcosa si muove. In un attimo metto a fuoco e vedo due magnifiche
lepri bianche che si rincorrono. Mentre Helmut mi suggerisce di passare in fretta
nella testa mi viene in mente che le due lepri potevano essere nel periodo degli
amori ed era per questo che si rincorrevano. All’epoca non ero ancora Operatore Naturalistico e quindi non conoscevo quali fossero i periodi degli amori per
questi animali, quindi assimilavo tutto all’umana esperienza. Passato indenne
raggiungo gli altri sulla cresta e lo spettacolo diventa ancor più grandioso con
un panorama che si spinge giù fino ad Auronzo. Proseguiamo sul filo di cresta
(filo per modo di dire, è più un panettoncino di cresta) e arriviamo diretti sotto
l’ultima curva della strada che collega Misurina con il Rifugio Auronzo. Ancora
poche decine di metri e siamo al rifugio. Cerchiamo il locale invernale e lo troviamo, purtroppo, in pessimo stato d’abbandono, sporco, escrementi da tutte le
parti. Cazzo, ma non sono di animale, sono escrementi umani!! Non è possibile
che il bene comune sia sempre più rovinato dall’incuria e dalla
ignoranza di certa gente. Questo posto è fatto per accogliere
persone, per avere un riparo, per salvare anche la vita.
Intanto Helmut mi dice che è meglio non proseguire, il primo
tratto è molto esposto e la neve non è come dovrebbe. Bene,
torneremo giù per la strada e ci fermeremo al Rin Bianco che
sicuramente troveremo aperto. Prima di partire, con le pale
che avevamo nei sacchi cerchiamo di dare una pulita al locale invernale e seppellire sotto la neve i rifiuti. Scatto, prima
dell’operazione, alcune eloquenti foto che poi ho spedito al
CAI di Auronzo e alla Rivista lo Scarpone.
Arrivati al Rin Bianco, ci togliamo gli sci ed entriamo per scolarci un ristoratore “radler” ed per intrattenerci con delle belle
salsicce che sono già sulla griglia.
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La Storia
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a cura di Davide Martini
Ho preparato questo riassunto della Storia dell’Alpinismo per la
La Storia dell’Alpinismo
di Gian Piero Motti
Collana I Licheni
L’Arciere Vivalda Editore
Scuola “Moccia - Morari” che dirigo e con l’occasione dell’avvio
della nuova edizione della rivista MantovaCai ho pensato di estendere a tutti i Soci questo documento quale testimonianza del lavoro culturale che si svolge all’interno della Scuola.
La presunzione, alla fine delle sei puntate, sarà anche quella di
aver invogliato a leggere l’opera impareggiabile e originale di Gian
Piero Motti alla quale mi sono liberamente ispirato.
Perchè ho scelto Gian Piero Motti come ispiratore?
Semplice, perchè lui ha sempre rappresentato lo spirito libero al
quale faccio riferimento.
Motti ha vissuto e scritto l’alpinismo all’interno di vivissimi e inquieti interessi culturali, mettendolo in costante relazione con lo sviluppo delle idee e del costume,
coi fatti sociali e politici. Insomma vivendolo come una vera espressione culturale
e non solo sportiva.
Per questo, dopo avermi seguito in questo cammino, vi consiglio di continuare il
percorso facendo vostra la “Storia dell’Alpinismo” di Gian Piero Motti della quale
vi riassumo una piccola parte dell’introduzione e del capitolo sul rapporto uomo
e natura:
dell’Introduzione:
Dopo una breve divagazione sull’origine delle montagne e sulla permanente presenza di forze costruttrici e distruttrici delle cose, Motti illustra la natura singolare
del rapporto tra alpinisti e montagna, sottolineando il teorema contraddittorio del
- difficile salita = molta avventura = poca soddisfazione in vetta
- facile salita = poca avventura = grande soddisfazione in vetta
L’introduzione termina con la classificazione degli alpinisti in tre categorie che
serve come chiave di lettura del libro:
. della prima fanno parte quegli alpinisti che hanno fatto la “pace con l’alpe” (in
contrapposizione col motto di Guido Rey “la lotta con l’alpe”) per i quali non c’è
motivo di rischiare nulla per la salita;
. poi c’è la categoria dei tradizionalisti conservatori che si rifanno ai regole di purezza e di severità (ad esempio Reinhold Messner) anche se non proprio legate a
quelle dell’alpinismo romantico od “eroico”;
. infine la nuova generazione degli alpinisti che hanno rinunciato alla vetta e che
godono della montagna per il puro fatto di esservi ad arrampicare: per questi
ultimi la fonte della soddisfazione è il gioco con la montagna. Questi ultimi (sopratutto i giovani) hanno come pericolo “morale”, le sirene della difficoltà, del tecnicismo e della prestazione fisica (atletismo): la vetta diviene come tante piccole cime
da raggiungere lungo la via.
del capitolo sul rapporto uomo – natura.
Capitolo dedicato alla ricerca del perché si sale in montagna, con accenni alla
differente cultura occidentale e orientale ed al modo di interpretare la morte.
La storia vista come sequenza delle capacità umane, che come gli anelli di una
catena si susseguono storicamente: l’ultimo anello, quello più attivo, richiede più
“energia” e toglie tutte le risorse agli anelli precedenti, destinati a spegnersi.
Le montagne viste come simbolo divino del passato, riscoperte e aggredite con
l’illuminismo scientifico ed infine la nascita dell’idea alpinistica: andare in montagna come fonte di piacere.
Bene, ora si comincia.
dell’Alpinismo
Gli inizi.
Alla domanda di chi fu il primo alpinista non è facile dare risposta, perché l’alpinismo è un fenomeno legato alla nostra cultura ed è quindi anacronistico ipotizzare nomi e date antichi. Motti, cita prima Petrarca spintosi sul Mont Ventoux
per scoperta e conoscenza (1336) e quindi Bonifacio Rotario d’Asti che saliva
al Rocciamelone, per motivi religiosi (1358). Anche la salita al Mont Aiguille di
Antoine de Ville su ordine del re di Francia Carlo VIII (1492, l’anno di scoperta
dell’America) non è propriamente una salita “alpinistica”, pur essendo risuscita
con corde, scale, pioli ed arpioni (III° e IV° grado). Montanari, cacciatori, cercatori
di minerali e cristalli hanno salito le montagne più per necessità che per passione.
Il problema non è quindi semplice da affrontare perché si deve tener conto del
contesto storico e delle motivazioni dei diversi personaggi: cittadini e montanari
con esigenze e motivazioni diverse che hanno portato alla formazione di differenti
figure di alpinisti e di guide, ciascuno con le proprie debolezze ed i propri pregi.
Un primo accenno all’idea del andar per monti per piacere è dato dallo scienziato
svizzero Conrad Gesner (1550) e dal suo ipotetico successore Jakob Scheuchzer
del primo ‘700 che percorse e celebrò con interessanti scritti le Alpi accendendone l’interesse. Ma da quasi tutti gli studiosi, la nascita dell’alpinismo viene fatta
coincidere con la conquista del Monte Bianco (1786) a cui hanno partecipato
diversi personaggi, spinti dall’idea dello scienziato ginevrino Horace Benedict De
Saussure.
Il Monte Bianco.
La “taglia” posta da De Saussure sul Monte Bianco nel 1760 non trova inizialmente grande entusiasmo tra i valligiani di Chamonix, probabilmente perché non
percepiscono ancora le conseguenze di un’impresa del genere (si è ancora lontani dall’idea di “turismo”). I primi timidi tentativi nel 1775 si fermano ai primi tratti
ghiacciati (si andava senza corde ed attrezzatura adeguata) fino a quando nel
1776 il giornalista – scrittore Marc Theodore Bourrit, ambizioso di trovare celebrità e gloria nella salita, stimolò i migliori personaggi del posto con studi di percorso e fattibilità. Finalmente entrano in scena i personaggi principali dell’impresa:
Michel Gabriel Paccard studente di medicina a Torino ed il cercatore di cristalli
Jacques Balmat des Baux. Il primo compie insieme a Bourrit le prime esplorazioni senza mai condividerne le motivazioni e logorando la collaborazione, tanto che
quest’ultimo lo denigrerà totalmente ad impresa avvenuta attribuendo ingiustamente tutto il merito solo a Balmat. Jaques prova un tentativo solitario che quasi
finisce in tragedia quando, abbandonato dall’incontro con altri quattro montanari
(concorrenti alla salita) tra cui il cugino di Paccard e colto dall’oscurità nel ritorno,
bivacca da solo tra i ghiacci e se la cava “solo” con qualche congelamento. Però
si capisce che sono loro due i più forti e Paccard assume quindi Balmat come
portatore ed il 7 agosto partono alla conquista della vetta. De Saussure, informato dal Bourrit segue la salita col cannocchiale da Chamonix: i due montanari
giungono alla Montagne de la Côte in serata e lì bivaccano. Il giorno dopo, camminano nella neve molle con enorme fatica, portando gli strumenti “indispensabili” forniti da De Saussure, termometro e barometro. Balmat che soffre molto il mal
di montagna è tentato alla rinuncia, ma Paccard non demorde e nel pomeriggio
raggiungono finalmente la cima: è l’8 agosto del 1786. Frettolosamente tentano
qualche esperimento come richiesto da De Saussure e scendono verso valle per
bivaccare di nuovo coi vestiti e le scarpe bagnate sui sassi della Montagne de la
Côte. Il giorno dopo tornano trionfalmente a Chamonix. L’impresa venne definita
“eccezionale” e De Saussure pagato il premio a Balmat, tentò subito di ripeterla senza successo; ci riuscirà solo qualche tempo dopo con una spedizione
massiccia in uomini e mezzi, dove riuscirà finalmente a compiere gli esperimenti
scientifici che gli daranno fama e gloria in tutta Europa.
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Petrarca al Mont Ventoux
Mont Aiguille
Horace Benedict De
Saussurre
Paccard e Balmat osservano il Monte Bianco
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Quintino Sella
Edward Whymper
Jean Antoine Carrel
Paccard su suggerimento di De Saussure tentò di scriverne un libro, ma ostacolato e diffamato da Bourrit non riuscirà mai a pubblicarlo e a ricevere il giusto
merito della salita. La salita al Monte Bianco diventò una moda dell’epoca per
“cittadini”; Balmat accompagnò anche la prima donna, Marie Paradis, una cameriera di Chamonix nel 1808.
L’interesse suscitato da De Saussure verso le Alpi, apre il periodo delle salite verso le vette più alte delle montagne e fa intravedere ai valligiani una possibile fonte
di guadagno. Comincia la calata degli inglesi (nasce in Inghilterra l’Alpin Club),
signori nobili e benestanti, che assoldati i migliori montanari cominciano l’opera
di esplorazione e salita delle vette inviolate, dapprima con scopi scientifici e poi
sempre più per il sottile piacere che dava la conquista e la bellezza dei luoghi.
Fu così che i primi Hugi, Agassiz e Tyndall lasciarono il posto ai più appassionati
romantici Freshfield, Tuckett, Moore, Walker e Mathews, che accompagnati dalle
più forti guide locali come Michel August Croz di Chamonix, Melchior Anderegg
di Gimsel e gli Almer di Grindelwald salirono tutte le maggiori cime delle Alpi
Occidentali.
Il Cervino.
Tra questi nobili inglesi spicca ad un certo punto per impeto e determinazione il
giovane Edward Whymper. Si avvicina alle Alpi quasi per caso (disegna e fa incisioni) e ne rimane affascinato. Nel 1864 sale la vetta più alta nel Delfinato (Barre
des Écrins, 4103 m) e l’anno dopo una trilogia epica di cime (aveva solo 25 anni):
Punta Whymper nelle Grandes Jorasses (4180 m), L’Auiguille Verte (4122 m) ed
il Cervino (4478 m). Proprio a questa ultima salita è legato indissolubilmente il
nome di Whymper perché costò non pochi tentativi e la prima tragedia “notevole”
in montagna che chiuse un epoca dell’alpinismo.
La salita era stata tentata da anni da diversi montanari di Valtournanche. In particolare spicca la figura della guida Jean Antoine Carrel detto il “Bersagliere”,
rivale - amico di Whymper con cui competerà fino alla fine per la vittoria. Carrel
prova per l’italiana Cresta del Leone già salita in parte da Tyndall, Whymper da
tutti i versanti con e senza Carrel, ma entrambi non riescono a trovare l’accordo
vincente, anzi a volte Carrel sembra boicottare Whymper; in questo atteggiamento alcuni vedono una prima ribellione dei montanari alla superba signorilità
inglese, altri un impulso patriottico italiano tenuto conto del periodo storico in cui
si registra la nascita del Club Alpino Italiano a Torino (1863).
Il 10 luglio Whymper non trova Carrel a Breuil e parte per la salita con altre sei
persone per la più facile Cresta dell’Hörnli: sono l’amico inglese lord Francis Douglas trovato per caso a Zermatt, la sua guida Peter Taugwalder col figlio affiancate dal forte Michel August Croz, il reverendo Charles Hudson ed il giovane
Roger Hadow. Dall’altra parte Jean Antoine Carrel è sulla cresta italiana con altri
tre montanari: César Carrel, Charles Gorret e Jean-Joseph Maquignaz; procedono lentamente senza sapere del tentativo di Whymper ed arrivano il 14 luglio
1865 vicini alla vetta senza riuscire a proseguire. Mentre cominciano a scendere
sentono gridare: è il gruppo di Whymper sulla vetta. In discesa i sette si legano
ad una sola corda, manovra che costerà cara: pare che Hadow perse l’equilibrio
travolgendo Croz; in un attimo anche Houdson e Douglas vengono trascinati nella caduta; Whymper è dietro ad un masso in quel momento e riesce a trattenere
con Taugwalder la corda che però si spezza. I quattro precipitano nell’orrido della
parete nord, mentre i tre rimasti guardano impotenti. La tragedia ebbe un eco
enorme in tutta Europa, tanto che in Inghilterra si pensò addirittura di proibire
l’alpinismo. Whymper venne messo duramente sotto accusa e fu accusato di
imprudenza, segnandone irrimediabilmente il carattere. Solo due giorni dopo la
tragedia, Carrel parte da Breuil con Jean Baptiste Bich, Jean Augustin Meynet e
l’abate Aimé Gorret salendo per la Cresta del Leone in vetta.
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Le Alpi Orientali nell’Ottocento.
C’è una sensibile differenza tra la morfologia delle Alpi Orientali e quelle Occidentali che non può non aver influenzato il carattere dei nativi montanari. Nelle Alpi
Occidentali si trovano valli profonde scavate da immensi antichi ghiacciai che
hanno portato alla luce bastionate uniformi di roccia brulla e scura su cui crescono pochi prati e boschi; le valli sono profonde e d’inverno tetre e fredde, difficilmente ricevono la luce del sole; qui i montanari hanno trovato la vita più dura, la
montagna è fonte di fatica e di pericolose nevicate, tormente, gelo; l’alpinismo
qui ha un terreno d’avventura molto severo e faticoso che vede la salita come una
liberazione, un’ascesa alla luce. Qui si è sviluppata la prima ondata dell’alpinismo
“nobile” inglese che ha trovato nei montanari locali, dietro il compenso, lo strumento di fatica per il superamento dei grandi dislivelli (alpinismo con guide). La
poesia di queste salite e il piacere della conquista della vetta è stata stimolata da
una corrente romantica molto positiva.
Nelle Alpi Orientali ed in particolare nelle Dolomiti, le cime spiccano da bianchi
ghiaioni tra i bellissimi boschi, il sole scalda i villaggi anche d’inverno e la gente
vive in migliore armonia con l’ambiente; le case sono più graziose, rivestite di
disegni e di fiori, le favole e le leggende infondono una sorta di magia ai monti ed
alle pareti che spiccano solari tra le valli; l’orizzonte è sempre presente e la salita
ai monti è un’impresa bella e leggendaria che, anche se più difficile, porta grande
soddisfazione. In questi luoghi si è sviluppato il primo alpinismo tedesco ed austriaco, sulla spinta del romanticismo tedesco più tetro e lugubre dell’alpinismo
inglese, che vede nella salita alla parete difficile, l’ascesa dell’eroe e la sfida con
la morte: Goethe e Wagner hanno scritto la trama e la colonna sonora di queste
imprese. Qui le montagne erano sulla porta di casa e non tutti avevano il tempo
ed i mezzi dei nobili inglesi per spostarsi sulle Alpi Occidentali; l’alpinismo era
quindi in generale senza guide, anche sei i primi grandi esploratori austriaci come
Paul Grohmann (viennese, fonderà il Club Alpino Austriaco) non disdegnarono le
fortissime guide locali Innerkofler. Sicuramente però il primo alpinismo dolomitico
è stato anticipato da cacciatori e montanari locali che hanno salito le maggiori
cime prima dei conquistatori documentate: infatti già nel 1802 si ebbe la prima
salita alla Marmolada da parte di un gruppo agordino, dove perì don Giuseppe
Terza di Pieve di Livinallongo, mentre la salita ufficiale è dell’inglese John Ball nel
1860 con le guide Birkbeck e Tairraz di Chamonix. Cacciatori di camosci erano
già saliti sul Pelmo anche prima della salita dello stesso Ball nel 1857. Inglesi
sono pure gli eccellenti Leslie Stephen e Francis Fox Tuckett che in perfetto stile
occidentale (con le migliori guide), portano a conclusione numerose salite in Marmolada, Pelmo, Civetta e nel Gruppo di Brenta.
Nella zona dolomitica, che aveva allora come unico accesso la strada che porta a
Cortina, si svilupparono due gruppi italiani distinti ed in leale competizione: quello
Ampezzano e quello Agordino, tra cui spicca la figura di Cesare Tomè che sale
l’Agner nel 1865. Gli italiani delle Alpi Occidentali non sono comunque da meno
(è appena nato il CAI) ed in accordo allo stile dell’epoca, portano a termine numerose imprese nelle Occidentali, contrastando l’egemonia inglese: si ricordano
i nomi di Albero ed Orazio De Falkner, padre e figlio di origine svizzera ma con
animo italiano, il primo combatterà perfino con Garibaldi in Trentino, il figlio introdurrà Antonio Berti all’alpinismo e sarà presidente della sezione CAI di Firenze.
Si affacciano anche i fortissimi fratelli austriaci Zsigmondy, tra cui spicca Emil il
più forte e Ludwig Purtsceller; essi rappresentano l’elite dell’epoca nell’alpinismo
senza guida ma purtroppo periranno per incidenti; a seguito di questi eventi e
per la temerarietà delle loro imprese (per Purtsceller si parla però di almeno 1700
ascensioni) si svilupperà una certa diffidenza dell’alpinismo senza guide da parte
degli inglesi, che porterà a definire gli austriaci ed i tedeschi come rocciatori funamboli e saltimbanchi.
Dolomiti - Torri del Vajolet
Emil Zsigmondy
Georg Winkler
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Dolomiti di Brenta
Campanile Basso
Albert Frederick Mummery
Si tenga conto che il chiodo ed il moschettone devono ancora apparire per considerare il valore e l’arditezza delle salite sulle ultime inviolate cime Dolomitiche:
lentamente esse cadono sotto l’attacco di cordate sempre più agguerrite ed allenate. Tra le ultime imprese eclatanti, si citano le Torri del Vaiolet ed il Campanile
Basso di Brenta. Il “cavaliere della montagna” Georg Winkler a soli 17 anni, da
solo e senza corda (1887), sale la torre che oggi porta il suo nome (un IV° grado
superiore), passa subito vittorioso anche sullo Zinal Rothorn, ma morirà poco
tempo dopo sul Weisshorn (il cui ghiacciaio restituirà la salma nel 1956). È la volta
poi della torre centrale (Stabeler, 1892) e quindi della terza (Delago, 1895). Il 18
agosto del 1899 gli austriaci Otto Ampferer e Karl Berger vincono il Campanile
Basso, dopo che due anni prima Carlo Garbari, la guida Tavernaro di Primiero
e Nino Poli erano arrivati a soli 30 metri dalla vetta. Con questa salita si chiude
un’era importante, che ha visto affermarsi dalla parte delle Alpi Occidentali la
tradizione dell’alpinismo in stile inglese “con guide”, sempre alla ricerca di nuove
conquiste ed il consolidarsi delle salite già percorse con ripetizioni che divengono ben presto delle “classiche”. Dalla parte delle Alpi Orientali si va diffondendo
invece un alpinismo più artigianale “senza guide”, che va alla conquista di pareti
più corte ma ardite e difficili e solleva notevolmente il grado di difficoltà massima raggiunto. Questi primi orientamenti nel pensiero alpinistico genereranno una
scissione tra gli alpinisti che si protrarrà per molto tempo non senza polemiche: i
conservatori pionieri Occidentali con il loro alpinismo “sicuro” e gli arditi temerari
Orientali funamboli senza scrupoli delle crode. Non mancheranno le eccezioni,
come ad esempio Leone Sinigaglia, “occidentale” piemontese ma vero amante
delle Dolomiti.
Le Alpi Occidentali alla fine dell’Ottocento.
Dopo le ascensioni dei pionieri, come si è detto le salite alle cime più grandiose
divennero un fenomeno abbastanza diffuso, tanto che alcune ripetizioni divennero delle “classiche”. Ecco allora che l’animo umano, mai pago delle conquiste
raggiunte, ricerca nuove emozioni esaminando la possibilità di salire cime meno
grandiose ma più inaccessibili e quindi ancora inviolate. Il sapore della conquista
è ancora molto forte ed è lo stimolo che muove le persone ed evolve la tecnica
del tempo. Nelle Alpi Occidentali sono sempre gli inglesi i migliori: è il caso di
Clinton Dent che insieme alla fortissima guida Alexander Burgener parte alla volta
del Grand Dru (3754 m): servono 5 anni e 18 tentativi, fino a quando insieme a
Walker Hartley e Kaspar Maurer raggiungono la vetta nel 1878. L’anno dopo cede
il più difficile Petit Dru (3733 m) da parte del gruppo di guide J.E. Charlet-Straton,
P.Payot e F.Folliguet.
Tra gli alpinisti inglesi che si cimentano sulle Occidentali, spicca il grande Albert
Frederick Mummery, forte e gentile, coraggioso ed assolutamente leale e “moderno” nell’idea alpinistica. Pur arrampicando con le migliori guide, sostiene ed
insegna che la cordata è un’unione dovuta all’amicizia, alla passione ed all’impresa, più che una cosa di lavoro. Si diletta a salire le parti più impervie del tempo,
non solo per conquista della vetta ma per il piacere di farlo. Rinuncia ai mezzi di
progressione artificiali (già si utilizzavano pioli, scale e pertiche) e sale solo se
riesce “by fair means” (con mezzi leali) anche se questo lo porta a rinunciare a
pochi metri dal traguardo, come ad esempio al Dente del Gigante (4014 m) nel
1880 sulla paretina che oggi porta il nome del fedele compagno Alexander Burgerer, già citato sopra.
Lo accompagna nelle imprese anche il piccolo e forte Benedikt Venetz: aprono la
prima via di sola roccia nel Bianco (Grands Charmoz, III° e IV° grado) e salgono
nel 1881 il Grepon delle Aiguilles de Chamonix (3482 m), lungo una via che tuttora è una grande classica per bellezza del paesaggio e della roccia.
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Nel 1881 sempre con Burgener tenta una via sul Cervino per la cresta Furggen,
arriva quasi alla vetta senza intuire che potrebbe vincere l’ultima parete, ma si rifà
subito dopo salendo l’Aiguille Verte per il selvaggio versante Charpoua. Questa
salita e quella sul Grepon gli danno grande fama. Tra il 1888 ed il 1890 è nel Caucaso alla scoperta e realizzazione di nuove ascensioni, spesso da solo. Durante
il 1892 e il 1893, tornato sulle Alpi si dedica all’alpinismo per puro diletto, spesso
senza guide e portando amici e moglie sulle cime nuove o già salite con Burgener.
Sale infine in solitaria la Brenva nel 1894 e questa è l’ultima impresa nelle alpi.
Nel giugno del 1895 si imbarca a Brindisi per il Kashmir dove finirà disperso nel
tentativo di salita al Nanga Parbat (un 8000 !). Quando Hermann Buhl nel 1953
tornerà dalla storica impresa solitaria, avrà un pensiero per Mummery al quale si
rivolgerà idealmente: “è il primo a cui devo rendere conto, guardarlo negli occhi,
stare in piedi dinnanzi a lui e dirgli che non ho conquistato il Nanga Parbat con
mezzi tecnici moderni, ma assolutamente come voi intendevate: - by far means
- con mezzi leali, con le sole mie forze”.
Gli inizi dell’alpinismo italiano.
Nelle Occidentali, l’alpinismo ha un inizio più valligiano che cittadino come si
potrebbe pensare. In particolare a Courmayeur si concretizza un gruppo di guide
per contrastare il monopolio al Monte Bianco della parte francese, anche se solo
nel 1854 riescono ad aprire un itinerario di accesso diretto alla vetta, passando
per il Col du Midi, il Mont Blanc du Tacul ed il Mont Maudit. Sul Monte Rosa le
prime salite sono per lo più di valligiani, come parroci, cacciatori e montanari,
amanti delle proprie valli. Troviamo quindi l’abate Giovanni Gnifetti, Nicolaus Vincent, Sebastian Linty, Valentin e Joseph Beck e Chamonin: la Piramide Vincent
(4215 m) è salita nel 1819 e la Punta Gnifetti (4559 m) nel 1842.
Dalla parte dei cittadini si registra quindi la nascita del CAI a Torino. Intorno a
Quintino Sella, ministro delle Finanze del Regno d’Italia, orbitano diversi nobili,
aristocratici, studiosi che affrontano la montagna nello stile dei colleghi inglesi:
troviamo quindi il torinese Martino Baretti professore di geologia che compie innumerevoli “prime” in Val di Susa e nel Gran Paradiso e l’amico Leopoldo Barale
specialista delle Valli di Lanzo. Si evidenzia anche l’avvocato Luigi Vaccarone
primo vero storico dell’alpinismo italiano con 48 nuove salite, iniziato alla montagna dall’attivissimo torinese Alessandro Martelli: i due, insieme alla guida Antonio
Castagneri di Balme, compiono la prima salita invernale dell’alpinismo italiano, la
vigilia di Natale del 1874 sull’Uia di Mondrone (2964 m) nel gruppo delle Alpi Graie.
Nelle Alpi Centrali, le attività alpinistiche si muovo con un leggero ritardo. Il richiamo ai monti non è così sentito come nelle altre zone, dove la parete o la vetta è
più evidente. Le valli sono spesso lontane, selvagge e rocciose a differenza del versante svizzero da cui partono le prime cordate esplorative con guide locali, al solito con fini di conquista di cime inviolate.
A parte l’Ortles (3899 m) che viene salito dal cacciatore di camosci
Josef Pichler già nel 1804, si vedrà la salita del Pizzo Scalino (3323
m) nel 1830 e del Bernina (4049 m) nel 1850 da parte di topografi,
quindi il Monte Disgrazia (3678 m) nel 1862 da parte dell’inglese Leslie Stephen. Ovviamente il risveglio italiano non si fa attendere, ma il
confronto con i più esperti inglesi è impari. L’alpinismo è ancora una
forma esplorativa, ed i modelli del tempo per i giovani italiani sono le
figure di Ball, Tuckett e Coolidge, più che gli arditi Whymper, Moore
e Walker. Come pionieri locali, si può citare il conte Francesco Lurani
Cernuschi affiancato dalla prima guida italiana delle Centrali, Antonio
Baroni. I senza guida del tempo sono i piemontesi Fiorio, Canzio, Vigna, Mondini
e Lampugnani che gettano le basi per la fondazione del C.A.A.I.
continua nel prossimo numero
Monte Bianco
Dente del Gigante
Club Alpino Italiano
Monte Rosa
Punta Gnifetti
Gruppo
SenzaEtà
Orge a tavola ... con la sbrisolona!!
a cura di Giovanni Margheritini
La prima volta ha sempre qualcosa di distintivo per farsi ricordare. Questa è la
mia prima volta al Convivio di Fine Anno del Gruppo SenzaEtà.
Luigi, con il suo garbato modo di chiedere, mi ha fatto capire che avrebbe avuto
piacere della mia presenza a questa ricorrenza, in modo tale che anch’io avrei
avuto modo di capire meglio lo spirito che “aleggia” su questo Gruppo.
- Luigi stai tranquillo, fa molto piacere anche a me, arrivo all’ora prevista insieme
ad Elena, la mia compagna - lo rassicuro.
Arriviamo verso le diciotto e trenta e ci dicono che le persone sono già tutte al
secondo piano.
Saliamo al piano e subito Luigi ci vede e ci viene a salutare mentre in sala c’è la
proiezione del reportage sul viaggio in Corsica fatto dal gruppo. Cerco un posto
e ne vedo due verso metà sala, vicino a Pierino - me lo ricordo dall’uscita in Val
Vajolet nell’autunno. Saluto Pierino e ci accomodiamo per vedere la proiezione.
Ogni tanto Pierino mi rifila una “leggera” gomitata per attirare l’attenzione alla
slide che è proiettata e che lo riguarda. Poi mi dice anche qualcosa, naturalmente
in mantovano, che cerco d’interpretare.
Il sottofondo musicale da il ritmo alla presentazione e il tutto lascia capire che
questo lavoro è stato montato con sapienza da un “regista” che ora ricollego a
Mauro, conosciuto giorni fa in sezione. Infatti eccolo la davanti Mauro, comodamente seduto a godersi il suo lavoro e le lusinghe che per ora arrivano sotto
forma di brusii.
Siamo all’interno della Corsica, si sale in montagna, resti di neve e gelo, nebbia... e “gomitate”
sparate a raffica da Pierino per farmi vedere che in
ogni scatto c’è lui.
È interessante osservare le persone, così unite in
quello che si sta facendo. Sembra più di essere a
una serata familiare, tutti sono partecipi e se cerco
uno sbadiglio di noia ... non lo trovo.
Ma trovo altre conoscenze, ecco la in fondo Stefano con la sua Elena. Anche loro li conosco
dall’uscita di inizio estate al Parco del Frignano, in
Appennino. Lei è fortissima, una creatrice di “bijoux” artigianali veramente belli
realizzati con materiali come la terra e il vetro.
Ora la musica si fa più intensa, da finale. E infatti il reportage è terminato e si
sprigionano subito i commenti tutti euforici e i ringraziamenti al regista
Mauro, che si fa adulare!! Scendiamo in sala da pranzo e con Elena ci
andiamo a sedere in un tavolo in fondo. Arrivano poi anche Stefano e
la sua Elena, Pierino ed altri. Si aprono le bottiglie e si comincia una
cena di quelle che si ricordano: salamelle molto buone insieme a tante
altre cose. Come dice Pierino, il vino si lascia bere e quindi beviamo.
Elena mi ha detto che, se necessario, ci pensa lei a guidare per il ritorno. Intanto portano i dolci e arrivano i vassoi della sbrisolona, che
a me piace in maniera particolare. Quindi appena la vedo, addento!
Ma vedo Pierino, che mi guarda attonito. - Ma la mangi a secco? - Si,
ma posso fare la zuppetta anche nel vino - rispondo. - Ma no!, no!
e vedo arrivare Luigi, il calmo, con la bottiglia di grappa “Nardini” e
con questa mi bagna la sbrisolona che ho davanti. - Così si mangià
la sbrisolona. - mi dice. Dopo una ..... mezz’ora di quella bottiglia non
c’è più traccia.
Ho lavorato a Mantova per circa tre anni, in un grande gruppo. Ho conosciuto
praticamente tutti i buoni ristoranti, sono stato ospite di colleghi e amici. Mai
nessuno mi ha detto che la sbrisolona si mangia imbevuta di grappa.
Chissà perchè?!
Brividi ... al Pian delle Fugazze
a cura della Redazione
Mattinata umida a Mantova, ha piovuto tutta la notte è ora, anche se non piove,
è tutto bagnato. Sono le sette, ed ecco che i primi arrivano. C’è Luigi, il capo,
c’è Pierino con l’inseparabile Gianni, poi Orazio e via via tutti puntuali a caricare
borse e ciaspole sul pullman. Partiamo puntualissimi e man mano che ci avviciniamo alle montagne, la giornata si fa più luminosa tanto che il Baldo e i Lessini
sono tutti di un bel rosa carico.
Uuuaaaahhhhh!!!! di soddisfazione e primo brivido di piacere, forse avremo una
bella giornata di sole. Ci avviciniamo sempre più alle montagne, con il pullman
che arranca l’unica strada stretta che ci porterà a Pian delle Fugazze.
Intanto all’interno del pullman sono già inconsciamente iniziate le strategie della
giornata. Luciana e Maria con il loro fitto chiaccherare, Mario filosofeggia, Mauro
il regista che scalda i motori all’apparecchiatura fotografica, Pierino che si rigira
tra le mani la bottiglia destinata ad accompagnare le torte del pomeriggio, Orazio che controlla cosa fa Pierino, Gianni che prepara la frutta per il suo pranzo.
Tutti in opera. Pronti a scattare. Si aprono le porte del bus e scendiamo. Ahhh!
Nuovo lungo brivido!!! C’è un profumo di neve appena caduta che stordisce. E’
tutto bianco, fino a poche ore fa qui nevicava di brutto. Ora c’è il sole, la neve è
candida e tutta per noi. Si parte. Le ciaspole mordono la neve farinosa, si va via
leggeri e già c’è chi dice che si potrebbe fare anche senza ciaspole e allora inizia
il cava metti e la fila si sgrana. Ci sono i primi, veloci e imperterriti, ci sono gli
ultimi, che non è vero che sono lenti, ma si fermano a guardare, a fotografare. Fra questi c’è Mauro il regista, che è tutto un ciik&ciak di
scatti. Ne regala alcuni anche a Luciana e Maria in varie pose, perchè poi così potranno scegliere quali pubblicare su facebook. E poi
c’è la coppia dei giovani Vanni e Alessia, supercarini, superequipaggiati. Sembra si divertano molto. Poi c’è Alberto che, sempre tutto
tranquillo, è quello che aspetta i ritardatari, cerca di fare ricompattare le file, cerca di mantenere un discreto controllo della situazione.
Fanno copia fissa il Pierino e il Gianni. Da quando siamo partiti hanno iniziato un divertito, continuo e fitto dialogo chissà su quali argomenti. Se t’avvicini t’accorgi che cambiano argomento e allora qui
bisogna studiare come scoprire cosa hanno da dirsi.
Intanto si arriva nei pressi del rifugio e il tempo ancora molto bello
invoglia a restare nel locale esterno per mangiare le proprie cose
seduti tranquilli. Oppure c’è il ristorante, dove il capo è un po’ incazzato perchè nessuno gli ha detto del nostro arrivo e lui ha preparato
poco.
“Quel poco che basta” - suggerisce il nostro regista Mauro, che
intanto ordina “Bigoli al sugo di lepre”.
È proprio in momenti come questi che si liberano gli ultimi freni inibitori e che si comincia a gustare in pieno la compagnia degli altri.
Sono momenti importanti perchè sono quelle pause dalla routine
che si dedica solo a se stessi. Peccato debbano finire in fretta perchè si fa l’ora del rientro che avviene per due itinerari
differenti: un primo gruppo di persone verso una nuova esperienza di percorso, un altro gruppo ripercorre il
cammino della salita a ritroso.
L’appuntamento è comunque al pullman, perchè non è
finita, ci sono le torte da mangiare. A fine escursione,
con calma il tempo necessario per gustare ottime torte
portate a turno e naturalmente il vino, di “quello che si
lascia bere” come dice Pierino.
Orazio aggiunge - facciamo con calma, perchè se arriviamo a casa troppo presto mi tocca andare a fare la
partita. Qui è meglio. Bravo Orazio!!! ... e ci beviamo
un neretto.
Gruppo
SenzaEtà
Gita fuoriporta
dal gusto
dell’ignoto
Giovani
Alpinisti
Mantovani
Anno
I -Alberti
Marzo
2014 - Il
giornalino
a cura di
Rosella
- prefazione
della
Redazione dei ragazzi
Escursionismo
Autunnale
Il bello dell’escursione è proprio quello di potersela progettare a misura
della propria volontà o delle propria fantasia. Allora realizzarla diventa
un vero piacere. Si, piacere, anche quando si pensa di realizzare una
vera impresa, una sfida con il proprio fisico, una tirata di quelle che ti
mettono alla prova. Poi t’accorgi che ce l’hai fatta e allora c’è quella
calma interiore che ti fa stare in pace con te stesso ... e chiamare ”gita”
una bella traversata di un gruppo montuoso ...
Ce lo racconta Rosella Alberti che con alcuni amici ha fatto una “gita
fuoriporta ...”
Bizzarre le idee, nascono dal nulla, crescono con la fantasia, silenziose
in angoli della mente, sanno resistere al disordine degli umani impegni.
Talvolta la loro realizzazione si esprime in piccole prove di coraggio e
sfida tramutando un giorno qualunque in pura avventura.
20 Ottobre 2013 – traversata del Baldo da Assenza (Lago di Garda) alla Val d’Adige (Belluno Veronese). Padre dell’idea Fabio, coordinatore logistico preciso ed
attento, senza di lui la traversata non sarebbe stata possibile. Partecipanti 3.
Dislivello salita da Assenza al rifugio Telegrafo circa 2200 metri previste 6 ore,
realizzate in 4 ore + 10 min di sosta imbocco Val Trovai. Totale cammino ore previste 11-12, dislivello totale 4200 metri effettuata in 9 ore.
Sentieri EE soprattutto Val Trovai, sentiero Marocco ed il poco frequentato sentiero del Colombo (dal passo Cerbiolo a Belluno Veronese)
quest’ultimo caratterizzato da fitto bosco con scarsi e poco visibili segnavia (solo questo tratto di discesa ha richiesto 2 ore (erano previste
3). Nella prima parte della salita nei pressi di Malga Zovel, si notano
sulla ripida mulattiera i profondi segni lasciati dalle slitte per il trasporto
soprattutto del legname. Ci sente dei privilegiati, noi escursionisti siamo qui per divertirci, nessun impegno fisico e mentale è paragonabile
a chi per lavoro o pura sussistenza, questi sentieri è stato costretto a
percorrerli anche più volte al giorno. La strada forestale prima della
Val Trovai ci accoglie con la veste autunnale di faggi, lecci ed abeti,
sfumature che solo la natura sa regalare, impossibile non sostare un
attimo ad ammirare. Prendendo quota dopo i 1800 m, la nebbia ci avvolge, impedendoci di vedere la sagoma del rifugio che all’improvviso ci troviamo d’innanzi.
Il veloce pranzo lo consumiamo con Gigi Ferrari che ci fa l’onore di sedersi al nostro tavolo. Si scambiano parole e risate, non molte però perché si deve ripartire.
Sappiamo bene che circa alle 18.30 non avremo più luce solare per terminare
l’escursione. Il sentiero del Marocco sgombro dalla nebbia, permette una bella
veduta, illuminata dal sole da Novezza, al poco lontano altopiano della Lessinia
punteggiato da pascoli e malghe.
Ore 16.00: passo del Cerbiolo inizia a piovere, le previsioni meteo non
si sono sbagliate; acqua fino a tarda notte.
Sentiero del Colombo: le condizioni del terreno impervie e scivolose
hanno creato un po’ di disagio e ansia nei partecipanti, soprattutto
in me, in modo particolare sulla cresta di Punta Vialoro dove, l’arrivo
poco rassicurante della nebbia nel fittissimo bosco ha ridotto la visibilità a meno di 10 metri. Fantastici i miei compagni Ferruccio e Francesco nel manifestare sempre un sorriso al fine di giungere nel migliore
dei modi alla meta.
Accolti a Belluno Veronese dalla penombra (ore 18.00), l’allegra voce
di Fabio non può che essere gradita prima di farci cullare dalla stanchezza. Nulla di eccezionale è stato compiuto, nessuna cima inviolata
è stata raggiunta, soltanto una “gita fuoriporta” che ha fatto assaporare il gusto
dell’ignoto, seguendo orme dal sentore di viaggio.
Salita nel bosco ...
Qualche colore
d’autunno
I protagonisti ...
un po’ umidi ....
Escursionismo
Camminare ...
a cura di Andrea Carenza - commenti della Redazione
Ogni tanto una riflessione ci fa bene e ci può regalare visioni diverse da quelle
abituali, nuovi sogni per andare oltre, stimoli ancora sopiti oppure conferme alle
nostre certezze.
Qui Andrea Carenza ci offre una possibile riflessione sul nostro modo di vivere
l’escursione, sul nostro modo di andare, di camminare. Ma sentiamolo:
“Il mondo è un libro e chi non viaggia ne conosce solo una pagina”, così scrisse
S. Agostino circa 1600 anni fa.
Chiunque potrebbe trovare in questa frase ampia giustificazione al proprio modo
d’interpretare il viaggio: dal turista frettoloso al collezionista di mete esotiche fino
al frequentatore compulsivo di rotte transoceaniche e villaggi esclusivi…
A me pare che calzi a pennello al lento incedere dell’escursionista maturo che,
esaurite le ansie di prestazioni eclatanti, si muove nel mondo, “a passo d’uomo”,
attento, curioso e rispettoso; che sa cogliere piccole sfumature, profumi discreti,
suoni delicati e di tutto pronto a stupirsi, con animo aperto e per il quale lo scopo
è il viaggio stesso, non la meta.
“Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del
mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell’Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi.”
Così S. Agostino sembra chiarire i contorni del suo pensiero sferzando il viaggiatore che sa muoversi solo sfiorando la superficie: a cosa serve conoscere il mondo se ciò non ci porta a sondare la profondità, la vastità e le asperità dell’animo?
Ebbene, quante volte potremmo, da camminatori umili ed attenti, ripercorrere gli
stessi sentieri conoscendone quasi ogni sasso ma scoprendovi tuttavia sempre
nuove emozioni e quante volte ci potremmo sentire sommersi, sopraffatti davanti ad amplissimi, e forse noti, ma sempre diversi orizzonti?
Forse, alla fine, ciascuno si chiede il senso del viaggio compiuto (o dell’escursione, la durata non importa); forse molti, in esso, vanno cercando risposte ad
antichi quesiti e forse qualcuno ne torna con una risposta.
Quello che Andrea Carenza ci offre con la sua personale interpretazione è purtroppo molto vero: solo da “escursionisti maturi” si può cogliere quello che è
l’essenza dell’andare per monti ...
Ma rassegnarsi a questa realtà è riduttivo perché si spreca la parte “migliore, creativa, energica, vitale” della propria vita non vedendo, comprendendo e vivendo
quello che poi sarà definito come il sale della vita stessa.
Senza scomodare santi importanti, anche Messner ha scritto: “ ... salendo sui
monti ci siamo smarriti. Quel che più di ogni altra cosa può servire è una maggior cultura, maggior conoscenza, maggiore coscienza ...” mettendo in evidenza
come la società attuale abbia ormai altri valori: turismo di massa, folla, comodità,
competizione sportiva, mettersi in mostra, ecc.
Ma questo non vuole dire che i giovani non abbiano delle capacità. Per fortuna
tutto il mondo fa salti tecnologici ed economici grazie al grande lavoro di studio
e ricerca dei giovani.
Non sarà che il difetto di questo imbarbarimento stia nella capacità di come
passare il testimone? Siamo sicuri che solo i “maturi” sono capaci di vedere e
cogliere? E cosa abbiamo fatto o stiamo facendo perché anche i giovani possano
trovare giovamento dall’andare in escursione.
Mi piacerebbe ricordare che per noi l’escursionismo è una forma di alpinismo!
Quindi non rassegnamoci e diamo la possibilità ai giovani di essere protagonisti
dell’escursionismo di oggi.
Notturna al rifugio
a cura di Lorenzo Breviglieri
Giovedì, due giorni prima della ciaspolata notturna al Rifugio Tonini, vado in Sezione per fare le fotocopie dell’itinerario da seguire. Poco prima d’entrare incontro
Giovanni, parliamo di alcune cose, insiste perché gli scriva un breve racconto
della notturna: “ ... scrivi qualche cosa, qualche episodio particolare accaduto
durante l’uscita o al Rifugio durante la cena, mandami qualche foto un po’ particolare di qualche partecipante ...” Restiamo così d’accordo e ci salutiamo.
Fatte le fotocopie, tornando a casa, penso a cosa scrivere nell’articolo, magari
sarà la solita ciaspolata, bella, divertente ma senza episodi particolari; e poi cosa
dovrebbe succedere di strano?!
Il sabato, alla partenza, il pullman ha alcuni posti liberi. L’itinerario è infatti stato
modificato per la massiccia presenza di neve e l’inaccessibilità del Passo Redebus, chiuso per pericolo valanghe; il dislivello è raddoppiato e di conseguenza i
tempi di percorrenza, ciò ha costretto gli organizzatori, Luca e Maurizio, ad anticipare di due ore la partenza; il meteo poi mette coperto, forse pioggia.
Poco dopo le quindici iniziamo la salita a piedi lungo la forestale della Val Spruggio. Il percorso è stranamente pulito dal lavoro di una pala meccanica che presto
superiamo per proseguire in costante salita. Dopo quarantacinque minuti circa
sorgono dubbi sulla correttezza dell’itinerario; consultazioni della cartina e contatti via radio convincono che effettivamente siamo fuori strada, gli accompagnatori ordinano il dietro front. Il bivio da prendere è più in basso, proprio la dove il
mezzo pesante si è fermato per lasciarci passare. Bene, gli 800 metri di dislivello
da salire sono già aumentati. Mentre l’intero gruppo calza le ciaspole, con sorpresa ci raggiunge Franco, l’autista del pullman. Lui, salito in abbigliamento cittadino e ombrello come bastone è forse più sorpreso di noi e non esita a prenderci
in giro: “ma come siete ancora qui?!” Siete partiti un’ora fa, ... quasi quasi vado
più veloce io ...” Incassiamo gli sberleffi e partiamo stavolta sul sentiero giusto.
In due ore e mezzo, quando ormai è buio, arriviamo al Rifugio Tonini dove il gestore Narciso, da sempre Ciso, ci accoglie con un pentolone di te caldo. In breve
ci sistemiamo tutti a tavola per gustare la meritata cena che non tarda a iniziare
con un bel piatto di minestra d’orzo e legumi. A un certo punto Elda esclama: “...
non sta bene, non sta bene!” Alessio, che le è seduto a fianco sta per svenire;
lo corichiamo sulla panca con le gambe sollevate e velocemente si riprende. Nel
mentre interviene Matteo, medico, che gli sente il polso; probabilmente un po’
d’affaticamento dovuto alla salita, il caldo che fa all’interno del Rifugio ha giocato
un brutto scherzo ad Alessio che si rialza un po’ provato. La sindrome dilaga e
Matteo interviene anche su altri due del gruppo che accusano quasi gli stessi
sintomi. Peccato, per i tre compagni d’escursione la serata è rovinata, non mangiano quasi nulla in attesa di riprendersi un po’ per affrontare la discesa. Ragazzi
vi è andata bene, pensate che coincidenza avere un medico nel gruppo; per fortuna che vi siete ripresi da soli anche perché si diceva in giro che Matteo fosse un
proctologo, immaginate se avesse dovuto intervenire come fa nel suo lavoro ... La
cena riprende e prima del dolce c’è la sorpresa. La figlia del gestore e il ragazzo
che da una mano in cucina si esibiscono con una fisarmonica, lei, una chitarra
artigianale, lui. La ragazza, molto brava con la fisa è comunque superata dalla
maestria del chitarrista; già perché la speciale chitarra è dotata di un campanello
da bicicletta, una tromba a pompetta, alcuni piattelli sul manico, due campanelle
pendenti e altre tre fisse da percuotere, e tutto ciò richiede orecchio e inventiva.
Al posto delle corde poi c’è una lamiera con alcune nervature da grattare con
un cucchiaio. Per ultima si unisce alla band la moglie del gestore, Hana, con un
rudimentale strumento di legno dotato di diverse palette fissate soltanto da un
lato che sbattute da una parte e dall’altra producevano un suono gracchiante e
poi con un trombone. La tradizione si rinnova al Tonini, bello!! Tra canti, suonate
e balli sono serviti il caffè e diverse grappe e troppo velocemente giunge l’ora
del ritorno. Fuori ci attende un forte vento e la discesa di un paio d’ore. A metà
percorso fa capolino un’inaspettata luna piena che va e viene coperta dal rapido
passaggio delle nubi; con la sua luce è bello evitare l’utilizzo delle lampade frontali. Giovanni, avevi ragione, succede sempre qualche cosa di particolare che può
essere raccontato.
Vai con il CAI e non sbagli mai!! ( ... a parte il sentiero ... qualche volta ...).
Escursionismo
Invernale
Franco l’autista ...
Reparto Rianimazione
La Band in azione
Commissione
Scientifica
Vegetazione
Vegetazione forestale alpina
a cura di Giovanni Margheritini
Le specie di alberi crescono in montagna a quote diverse, in funzione della loro
maggiore o minore resistenza al freddo e alla neve. Sui versanti esposti a Sud
gli alberi si spingono più in alto rispetto ai freddi versanti esposti a Nord. Il limite
della vegetazione arborea è a 2.200 m di quota circa.
L’altitudine rappresenta un fattore determinante che influenza la diffusione delle
specie vegetali. Per offrire una lettura più razionale della vegetazione, l’altitudine
di un rilievo viene suddivisa in piani (o fasce) che cingono il monte, il massiccio
o la catena alpina, che presentano una vegetazione caratteristica: i piani latitudinali.
In ogni orizzonte la vegetazione varia, oltre che per altitudine, anche in funzione di
altri fattori fisico-climatici, quali la latitudine, l’esposizione, la distanza dal mare,
l’orografia, il substrato geologico.
Il piano altitudinale di vegetazione (detto anche fascia o orizzonte) è stato definito
come “porzione dello spazio in un’area montuosa con simili condizioni bioclimatiche e che presenta pertanto le stesse potenzialità vegetazionali”. Ogni piano
altitudinale esprime una vegetazione di riferimento, detta climax (stadio evolutivo
finale della vegetazione di un certo ambiente, in cui la stessa raggiunge una definitiva condizione di equilibrio con suolo e clima).
Non esiste un’unica successione dei piani latitudinali valida per tutte le nostre
montagne: occorre distinguere tra le regioni interessate dalle glaciazioni e quelle
non glaciale.
Un buon tentativo di agganciare più da vicino la realtà di un determinato luogo allo studio della vegetazione presente è quello basato sul concetto di fascia
altitudinale che cambia aspetto se si tratta di aree interessate dalle glaciazioni
(dalla costa a tutto il Nord Italia) rispetto a quelle appenniniche e mediterranee
dove manca del tutto la fascia nivale neanche nei punti più elevati del rilievo: ex
ghiacciaio del Calderone sul Gran Sasso oggi solo nevaio.
Vegetazione forestale alpina
Deve però essere chiarito che la relazione individuata tra l’altitudine e le formazioni forestali presenti ha un valore relativo piuttosto che assoluto, infatti un “effetto
massa” entra in gioco inducendo ad un generale abbassamento degli orizzonti
man mano che ci si sposta longitudinalmente dalle più “continentali” Alpi Occidentali alle più “oceaniche” Alpi Orientali - Carniche e Giulie.
Questo effetto si può leggere anche attraversando le Alpi perpendicolarmente
al loro asse, in direzione
nord-sud.
Dalle catene alpine settentrionali - dove si fa
sentire l’influenza dell’Atlantico con consistenti
precipitazioni, distribuite durante tutto l’arco
dell’anno, e una limitata
escursione termica -, si
passa attraverso le aride
valli trasversali centroalpine - con precipitazioni
concentrate in forma nevosa durante l’inverno e
con forti escursioni termiche annue - raggiungendo le prealpi meridionali,
dove le condizioni, di
nuovo oceaniche, sono
determinate dai venti di scirocco provenienti dall’Adriatico, tiepidi e carichi di
umidità.
Ancora più relativo se si pensa alle variazioni di latitudine. Se per esempio prendiamo il piano basale “livello del mare”: in Sicilia lo vediamo caratterizzato dalla
boscaglia di Carrubo e Olivastro che diventa bosco di
Farnia, Carpino Bianco e Frassino in Val Padana, che
diventa faggeta nel sud della Svezia e addirittura taiga
di Abete Rosso in Finlandia.
Da qui la necessità di correlare la realtà italiana con
quella euroasiatica e nord-americana sulla base
dell’ossevazione che in tutto l’emisfero boreale i grandi biomi si susseguono secondo un gradiente essenzialmente termo- udometrico, dando luogo a formazioni vegetali analoghe che possono essere espresse
- da sud verso nord o dal basso verso l’alto, che è lo
stesso - secondo la sequenza: foresta pluviale; savana, steppa o prateria; bosco a latifoglie sempreverdi;
foresta a latifoglie decidue; foreste ad aghifoglie sempreverdi; brughiera ad arbusti; vegetazione erbacea
più o meno discontinua; ambiente nivale.
Quello qui asserito è schematizzato nella figura qui
a lato, ove le variazioni in latitudine - dall’Equatore al
Polo Nord - sono correlate con quelle in altitudine - dal Livello del mare alle vette
più elevate.
Commissione
Scientifica
Vegetazione
Distribuzione Altitudinale delle foreste lungo
una sezione Nord-Sud
dell’Arco Alpino.
Distribuzione Altitudinale
e latitudinale dei biomi
dell’emisfero boreale.
Commissione
Scientifica
Vegetazione
Vegetazione forestale alpina
a cura di Giovanni Margheritini
Latifoglie e aghifoglie
Come tutte le piante anche gli alberi di latifoglie (foglia larga) e quelli di aghifoglie
(foglia stretta) sono organizzate in associazioni vegetali che diventano indicatori
d’ambiente. Così sono descritte a livello topografico in base alla combinazioni
di speci che vi si osservano determinano un particolare e caratteristico fattore
ecologico.
La lettura dell’ambiente montano risulta così facilitata con l’individuazione
dell’associazione vegetale attraverso diversi parametri come appunto l’ambiente,
la fascia altitudinale e soprattutto l’albero guida dal quale prende nome la stessa
associazione.
Questo insieme di caratteristiche determina inoltre il fattore ecologico, cioè l’ecosistema che si trova all’interno della associazione vegetale individuata sia in
termini di aria, acqua, suolo, ecc. (geotopo) sia gli organismi viventi (comunità).
L’associazione vegetale è quindi l’unità fondamentale e di significato ecologico
molto particolare del sistema di classificazione fitosociologica della vegetazione.
Associazione
Vegetale
Quadro di sintesi della
Vegetazione forestale
alpina.
Albero Guida
Ambiente
Altitudine
s.l.m.
Cembreta
Cembro
(Pinus Cembra)
Pianori rocciosi, rupi,
pietraie d’alta quota, suolo
esiguo
1600 - 2200 m
Mugheta
Pino Mugo
(Pinus Mugo)
Pendici dietritiche soleggiate, suolo calcareo
1500 - 2200 m
Lariceto
Larice
(Larix Decidua)
Versanti detritici o rocciosi,
suolo povero e asciutto
1000 - 2200 m
Pecceta
Peccio o
Abete Rosso
(Picea Abies)
Versanti alto-montani
1200 - 1900 m
soleggiati o in ombra, suolo
sciolto e acido
Abetina
Abete Bianco
(Abies Alba)
Versanti montani ad elvata
umidità, suolo fresco e
profondo
800 - 1600 m
Pineta
Pino Silvestre
(Pinus Sylvestris)
Versanti montani rocciosi,
soleggiati e asciutti, suolo
povero ed esiguo
800 - 1500 m
Faggeta
Faggio
(Fagus Sylvatica)
Versanti montani molto
umidi e piovosi, suolo
profondo
800 - 1500 m
Pendii soleggiati e bassi
versanti vallivi, suolo povero e arido
800 - 1000 m
Orno-Ostrieto Carpino Nero
Ostrya Carpinifolia)
Riconoscere gli Alberi Guida
a cura di Giada Luppi - agronoma (laureanda)
Il Carpino Nero
Albero rustico e frugale
Commissione
Scientifica
Vegetazione
Famiglia:
Betulaceae
Nome scientifico:
Ostrya Carpinifolia
Nelle zone collinari, prealpine e appenniniche di
bassa e media montagna, di solito sotto la fascia Fioritura:
vegetazionale delle faggete, è facile imbattersi in
Aprile - Maggio
questo albero rustico e frugale.
Non si tratta certamente di una pianta maestosa; Habitat elettivo:
di solito il Carpino Nero non supera i 20 metri, e Boschi termofili della
fascia montana e
non è molto longevo in quanto difficilmente arriva
submontana. Specie
a 150-200 anni. È però un albero elegante, con rustica, caratterizza
tronco diritto, chioma raccolta e subsferica; la le formazioni forestali
corteccia, liscia e rossastra da giovane, a maturità
dell’orno- ostrieto
si screpola in placche longitudinali e assume un (assieme all’Orniello)
colore bruno-nerastro. Le foglie sono verde vivo, e dell’ostio - querceto
di forma ovale, con apice acuminato, dai margi- (assieme alla Roverella e al Cerro).
ni doppiamente seghettati. I fiori maschili sono
raccolti in amenti penduli lunghi 5-10 cm, mentre
quelli femminili si presentano in amenti terminali, brevi. Da questi fiori si formano i
frutti (acheni) avvolti da una menbrana color avorio a maturità, a forma di vescica
e, nell’insieme, compongono un’infruttescenza a cono, pendente.
Il Carpino Nero è una specie mesofila, adatta però a vivere in condizioni di discreta aridità (ma al contrario non tollera il ristagno idrico), è capace di sopportare
sia le gelate tardive che quelle precoci. È specie frugale, miglioratrice del suolo e
per questo utilizzata nei rimboschimenti, rapida nel ricolonizzare le aree abbandonate dall’uomo. Convive spesso con la Roverella e l’Orniello; si accompagna,
a seconda delle condizioni stagionali ad altre specie forestali come il Castagno,
il Carpino Bianco, il Frassino, l’Acero di monte, il Faggio, il Pino silvestre e il Pino
Nero.
I boschi a prevalenza di Carpino Nero sono detti “ostrieti”, oppure “orno-ostrieti” dove “orno” deriva dal nome dell’Orniello (Fraxinus Ornus); per i boschi con
elevata partecipazione di Carpino Nero e Roverella si parla di “ostrio-querceti”.
Gli ostrieti più tipici, dalle caratteristiche termofile, sono adatti, soprattutto se
intervallati da radure e aree prative, a molte specie di fauna. I boschi di Carpino
Nero sono dei cedui dove ogni 20-30 anni le piante vengono tagliate al colletto
per raccogliere la legna e ricacciano dei fusti (polloni) dalla ceppaia.
Il Carpino Nero sopporta bene il taglio e ributta con grande vigore dando luogo
a una massa di polloni che ben presto formano densi cespugli. La pratica della
ceduazione ha favorito il Carpino Nero che, grazie alla sua elevata capacità pollonifera, tende a limitare la diffusione delle specie consociate.
Il legno del Carpino Nero, ottimo come combustibile, attualmente trova impiego
soprattutto come lrgna da ardere; un tempo era una delle specie principali da
cui si ricavava il carbone. Il legno è duro e resistente e, come quello degli altri
Carpini, è adatto a fabbricare oggetti e utensili di vario tipo che, purtroppo, oggi
rimangono solo ricordi del duro lavoro artigianale di un tempo.
Hanno detto di lui:
Il duro dei duri è il carpino. Di carattere testardo, cresce storto, ossuto, inquieto e ramingo. È un solitario e ama fissare l’orizzonte. Non chiede nulla e di nulla ha bisogno. Anche quel sentimento chiamato
amore rappresenta per lui un problema difficile. Quando brucia, il carpino non forma quasi braci. Come
un uomo schivo e solitario, vuole scomparire nel nulla senza lasciare di sé la minima traccia.
Mauro Corona - La voce del bosco
Perchè la Terra è unica.
a cura di Matteo Mantovani - geologo
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Geologia
Circa 4,6 miliardi di anni fa, una massa rotante di polveri e gas, presente nello
spazio interstellare della nostra galassia, iniziò a contrarsi e a raffreddarsi. La
porzione centrale originò il Protosole, mentre frammenti e anelli di polvere e gas,
agglomerati tra loro, portarono alla formazione di pianeti, tra i quali la Terra.
Da allora, assieme agli altri oggetti celesti che formano il sistema solare, la Terra
ha continuato a ruotare intorno al Sole. Questi, a sua volta, trascina la Terra e gli
altri componenti del sistema attorno al centro della nostra
galassia mentre la grande spirale galattica che contiene
il sistema solare si muove silenziosamente nell’universo.
Sebbene i pianeti terrestri (Mercurio, Venere, Terra e Marte) abbiano molti caratteri in comune, essi uttavia differiscono notevolmente per quanto riguarda la composizione delle loro atmosfere, la morfologia e la costituzione
della loro superficie e per la presenza o assenza di acqua
e di forme di vita.
Vista dallo spazio, la Terra presenta tonalità bianche e
azzurre perchè è circondata da un’atmosfera gassosa,
costituita principalmente da azoto, ossigeno, argon e vapore acqueo. Nessun altro pianeta del sistema solare ha
una simile atmosfera. Soprattutto la presenza di acqua
(nubi, neve, ghiacciai, oceani, laghi, fiumi, acque sotterranee) rende la Terra un pianeta diverso da tutti gli altri. I
pianeti più lontani dal Sole sono troppo freddi per avere
acqua liquida in superfice, quelli più vicini hanno temperature così elevate che l’acqua, se mai c’è stata, è evaporata miliardi di anni fa. Sulla Terra l’acqua ha permesso
lo sviluppo della vita a noi conosciuta e la formazione di
una biosfera costituita da innumerevoli specie, sia animali
sia vegetali. Infine, un’altra caratteristica della Terra è la
natura della sua superfice.
La Terra è in larga parte coperta da un sottile e irregolare strato di materiali incoerenti, sciolti (ciottoli, sabbie, fanghi), formatisi a causa della degradazione
atmosferica; si tratta del prodotto dell’alterazione chimica e della disgregazione
meccanica delle rocce provocate dalla loro esposizione all’atmosfera, all’idrosfera e all’azione degli organismi. Questo rivestimento è chiamato “regolite” (dal
greco rhegos = lenzuolo e lithos = roccia). I suoli, i fanghi delle valli fluviali, delle
pianure e dei mari, la sabbia dei deserti e tutti gli altri materiali incoerenti che si
trovano sulla superficie terrestre fanno parte della regolite. Anche gli altri pianeti
e i vari corpi planetari aventi superfici rocciose hanno una regolite, ma di tutt’altra
origine: in essi si è formato fondamentalmente a causa di innumerevoli impatti
meteoritici. Il regolite terrestre, invece, si è formato da complesse interazioni di
processi fisici, chimici e biologici, normalmente con l’intervento dell’acqua.
In conclusione, che cosa fa della Terra un corpo celeste unico?
Noi non conosciamo nessun altro pianeta dove la temperatura permetta all’acqua di esistere sulla sua superficie allo stato solido, liquido e gassoso.
Non conosciamo nessun altro corpo celeste che abbia avuto condizioni tali da
permettere il nascere e l’evolversi della vita come noi la intendiamo.
Ci sono miliardi e miliardi di stelle nell’universo, perciò ci sono, inevitabilmente,
miliardi di pianeti e certamente molti di questi pianeti potrebbero essere simili alla
Terra e in grado di ospitare la vita. Tuttavia, se una civiltà relativamente progredita
esiste da qualche parte nello spazio, a tutt’oggi non abbiamo sentito o avvertito
alcun segnale della sua presenza.
La prima immagine della
Terra vista dallo spazio,
ripresa dagli Astronauti
dell’Apollo 17 il 7 dicembre 1972.
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La Terra primordiale
a cura di Matteo Mantovani - geologo
Anche se i dati oggi a disposizione non sono ancora sufficienti per tracciare un
La datazione radiometrica è uno dei metodi
utilizzati per determinare
l’età di un reperto antico.
Essa si basa sul raffronto
tra la quantità di un dato
isotopo radiottivo e la
quantità dei suoi prodotti
di decadimento.
Circa 4,5 miliardi di anni
fa, un corpo delle dimensioni di Marte entrò in collisione con la
Terra. Il gigantesco urto
scagliò nello spazio uno
sciame di frammenti sia
della Terra sia del corpo
impattante. Dall’aggregazione di gran parte
dei frammenti si formò
la Luna. Le rocce lunari
risalenti a 4,47 miliardi
di anni fa, portate sulla Terra dagli astronauti
dell’Apollo, confermano
l’ipotesi dell’impatto.
quadro evolutivo certo e completo sull’origine del sistema solare, gli scienzati
tentano comunque di ricostruire la genesi e l’evoluzione primordiale della Terra.
Le rocce più antiche della Terra hanno 3,8 - 4,2 miliardi di anni e sono state ritrovate in diverse zone, quali la Groenlandia, il Labrador, lo Zimbawe e il Minnesota.
Le datazioni radiometriche su meteoriti e rocce lunari ci propongono una età del
sistema solare di 4,6 miliardi di anni. Ma cosa è successo in quei 600 - 700 milioni
di anni che precedono la formazione delle prime rocce terrestri?
La Terra si formò per agglomerazione disordinata di vari oggetti che colpivano
la sua superficie. Si è concordi nel ritenere che la Luna sia nata da un impatto
gigantesco. Secondo questa ipotesi la Terra sarebbe stata colpita da un corpo
un po’ più grande di Marte, la cui parte più esterna fu sbalzata nello spazio e
cominciò ad orbitare attorno alla Terra, diventando la Luna, mentre il nucleo si
conficcava nel corpo terrestre. Una pioggia ininterrotta di planetismi continuò a colpire i vari corpi celesti fino a 3,8 miliardi di
anni fa, distruggendo qualsiasi traccia di crosta primitiva sulla
Terra e producendo le ben conosciute superfici butterate della
Luna, di Mercurio, di Marte, fino ai satelliti più lontani di Urano.
Un simile bombardamento si verificò anche sulla Terra e questa
è la ragione per cui sul nostro pianeta non si conoscono rocce
con più di 3,8 - 4,2 miliardi di anni: ogni eventuale roccia primitiva fu distrutta e fusa dai tremendi impatti. Diversamente da ciò
che si osserva sulla Luna, sulla Terra le tracce di questi impatti
sono state distrutte e cancellate da 3,8 miliardi di anni di eruzioni vulcaniche e formazione di montagne, oppure nascoste
dalle acque oceaniche e dalle stesse coperture sedimentarie sia
terrestri sia marine.
La terra, che a causa dei numerosi impatti andava via via ingrossando, cominciò
subito a surriscaldarsi a causa di tre differenti fenomeni:
1. A ogni impatto di planetismi sulla superficie terrestre, la loro energia cinetica si
trasformava in energia termica; questa in parte veniva dissipata nello spazio, ma
in gran parte veniva trattenuta.
2. L’aumento della pressione a cui erano soggette le parti interne del pianeta, a
causa dell’enorme peso dei materiali che si andavano via via accumulando nelle
parti esterne, provocava un considerevole incremento del calore. E data la scarsa
conduttività delle rocce, la dispersione verso l’esterno di tale calore era quanto
mai difficile.
3. La radioattività di elementi quali uranio, torio, ecc., la cui abbondanza era circa quindici volte maggiore rispetto a oggi, faceva si che le particelle atomiche
emesse venissero assorbite dai materiali circostanti e la loro energia cinetica trasformata in calore.
In conclusione, accrescimento per impatti, compressione gravitativa e disintegrazione di elementi radioattivi sono i tre processi che avrebbero prodotto l’iniziale surriscaldamento interno della Terra. Si è calcolato che questi processi
possano aver portato la temperatura interna del nuovo pianeta sopra a 1.000°C.
A causa della continua disintegrazione radioattiva, la temperatura interna iniziale
andò continuamente aumentando, arrivando in un periodo stimato tra 300 milioni
e 1 miliardo di anni dall’agglomerazione iniziale della Terra, a temperature di fusione del ferro a una profondità di 400 - 800 chilometri.
Una volta iniziata la fusione, il ferro, a causa della sua elevata densità, cominciò
a sprofondare verso il centro della terra sotto forma di grandi gocce, spostando i
materiali più leggeri che vi si trovavano. È questa la “catastrofe del ferro”
e la sua evoluzione
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La formazione di un nucleo liquido fu un evento fondamentale nell’evoluzione
terrestre: si liberarono altre enormi quantità di energia gravitazionale che a loro
volta si convertirono in calore. Si verificò un ulteriore aumento termico di circa
2.000°C e si giunse così alla fusione di larga
parte del pianeta.
Quando, circa 4 miliardi di anni fa, cominciò
a fondere il ferro, la Terra subì una profonda
riorganizzazione interna che la trasformò da
un corpo omogeneo in corpo stratificato. Infatti, trovandosi una gran parte del pianeta
allo stato fuso, si innescò una sorta di differenziazione gravitativa: mentre un terzo della
primordiale massa della Terra si addensava al
centro a costruire il nucleo a base di ferro, i
materiali più leggeri migravano verso l’esterno, raffreddandosi e formando la crosta primitiva. La parte restante, situata tra il nucleo
e la crosta e avente caratteri fisico-chimici
intermedi, è denominata mantello.
Zonazione chimica della Terra
Circa il 90% della Terra è costituito da quattro elementi: ferro, ossigeno, silicio e
magnesio. Ma poiché il ferro si condensò al centro per differenziazione gravitativa, nella crosta questo elemento risilta piuttosto carente. Al contrario, silicio, alluminio, calcio, potassio e sodio si spostarono verso l’esterno, aumentando
considerevolmente la loro concentrazione nella crosta.
Va tuttavia osservato che la differenziazione gravitativa dei vari elementi
non fu governata dal loro peso specifico. La maggior parte di essi formò
infatti dei composti minerali, e furono le proprietà fisiche e chimiche ( punto
di fusione, densità, affinità chimica) di questi composti a determinare la loro
distribuzione verticale.
I felspati, i minerali più comuni nella crosta terrestre, iniziano a fondere a
temperature di 700 - 1.000°C e una volta fusi sono relativamente leggeri.
Minerali di questo tipo, fondendo prima degli altri, poterono migrare verso
la superficie e accumularsi sulla crosta.
Nel mantello, situato tra crosta e nucleo, vennero invece immagazzinati i
silicati di ferro e magnesio (olivina e pirosseni) che fondono a temperature
più elevate e sono più pesanti dei feldspati.
Finirono probabilmente nel nucleo elementi pesanti quali oro e platino, che
hanno poca affinità con ossigeno e silicio.
Altri elementi pure pesanti, quali uranio e torio, i quali hanno però forte tendenza a formare ossidi e silicati, che sono leggeri, si accumularono invece
in quantità rilevante nella crosta.
Una conseguenza molto importante della zonazione chimica della Terra è
che, essendosi concentrati nel guscio esterno i più importanti minerali radioattivi, l’aumento della temperatura interna diminuì considerevolmente
poichè il calore radioattivo poteva essere facilmente dissipato nell’atmosfera. Inoltre, quando l’interno della Terra divenne così caldo da fondere, un nuovo
e più efficiente meccanismo si incaricò di trasferire il calore verso la superficie:
la convenzione (stesso principio dell’acqua della pasta).
Il calore fu così dissipato più facilmente e la Terra poté raffreddarsi in tempi
relativamente brevi.
continua nel prossimo numero
La differenziazione avvenuta nella Terra primordiale ha prodotto un
pianeta costituito da tre
livelli concentrici: nucleo,
mantello e crosta.
Abbondanza relativa (in
peso %) degli elementi
dell’intera Terra a confronto con quelli degli
elementi della crosta terrestre.
Le rocce della
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Scientifica
Geologia
a cura di Matteo Mantovani - geologo
Una roccia è un aggregato solido e compatto di uno o più minerali che si trova
Una roccia è un aggregato di uno o più minerali. La figura mostra il granito, una roccia formata
da: quarzo, ortoclasio e
mica (da sinistra a destra)
I principali tipi di rocce e
la loro % in volume nella
crosta terrestre. Come
si vede, le rocce magmatiche (intrusive ed
effusive) costituiscono
circa il 65% della crosta
terrestre. Ma occorre ricordare che le rocce sedimentarie coprono quasi l’80% della superficie
della Terra.
Alcune rocce
magmatiche intrusive
GRANITO
in natura.
Come con mattoni identici si possono costruire edifici con architetture assai diverse, allo stesso modo i vari minerali possono essere associati a formare un
grande numero di differenti rocce.
La composizione mineralogica di una roccia dipende dal processo che ha portato
alla sua genesi e poiché si distinguono tre differenti processi, uno magmatico,
uno sedimentario e uno metamorfico, su questa base è possibile dividere le rocce in tre grandi gruppi:
- le rocce magmatiche
- le rocce sedimentarie
- le rocce metamorfiche
Tra tutte queste, le rocce magmatiche
sono di gran lunga le più abbondanti
nella crosta terrestre, circa il 65% del
totale, anche se le più “visibili” sono le
rocce sedimentarie in quanto coprono
circa l’80% della superficie della Terra.
Le rocce magmatiche derivano dalla
solidificazione di un magma.
Il magma è una massa di minerali allo
stato fuso, spesso contenente in soluzione anche sostanze allo stato aeriforme. La composizione del magma può
avere una notevole variabilità e la sua cristalizzazione è un processo graduale che
avviene con l’abbassarsi della temperatura. La formazione di rocce per solidificazione del magma fluido si chiama “processo magmatico”. Le rocce che hanno
avuto origine da questo processo sono dette rocce magmatiche o ignee (dal latino ignis = fuoco). Il processo magmatico, che diede origine in tempi remoti alla
crosta terrestre, avviene anche attualmente, per esempio nel corso delle eruzioni
vulcaniche.
Le caratteristiche del processo di raffreddamento del magma hanno grande importanza ai fini della classificazione delle rocce magmatiche.
Rocce magmatiche intrusive
Un processo lento e graduale porta alla formazione di rocce con struttura cristallina ben definita. Questi processi di lento raffreddamento avvengono all’interno
della crosta terrestre. Ammassi occiosi formatisi in profondità per solidificazione
del magma sono chiamati “plutoni”. Tali ammassi sono circondati da rocce di
altro tipo, le cosidette “rocce incassanti”. I fenomeni erosivi che si attuano in superficie possono asportare le rocce incassanti e mettere a nudo i corpi intrusivi.
Molto spesso la messa a nudo delle rocce intrusive è causata dal sollevamento
delle montagne. Infatti, quando si formano le catene montuase, sono sollevati
anche settori profondi della crosta. I plutoni di maggiori dimensioni sono chiamati batoliti e formano l’ossatura dei continenti e si trovano nel cuore delle grandi
catene montuose.
DIORITE
GABBRO
PERIDOTITE
crosta terrestre
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Geologia
Rocce magmatiche effusive
Un processo di raffreddamento del magma che avviene in superficie è caratterizzato da un improvviso abbassamento della temperatura. I gas magmatici si
disperdono velocemente nell’atmosfera e il passaggio allo stato solido si verifica
bruscamente. I cristalli che si formano sono piccoli (microcristalli).
Se il processo è particolarmente veloce, le particelle rimangono disposte disordinatamente come nello stato fluido; in questo caso non si ha formazione cristallina: si dice che la roccia è vetrosa o amorfa.
RIOLITE
ANDESITE
BASALTO
Alcune rocce
magmatiche effusive
OSSIDIANA
Rocce sedimentarie
Tutte le rocce superficiali subiscono un lento, ma continuo, processo di disgregazione, il cui risultato finale è la produzione di frammenti. Questi detriti vengono
presi in carico dal vento, dalle acque dilavanti, dai fiumi fino a raggiungere luoghi
di accumulo (pianure, coste, fondi marini) dove si depositano dando origine ai sedimenti. Il continuo apporto di materiale provoca l’ispessimento di questi depositi
in cui gli strati inferiori si trovano sottoposti alla pressione esercitata da quelli
sovrastanti, più recenti. In queste condizioni i sedimenti sciolti vanno incontro a
un lento processo di compattazione e cementazione, noto come “diagenesi” che,
per riduzione degli spazi vuoti occupati da acqua o aria, conclude il processo sedimentario e li trasforma in rocce sedimentarie. Queste possono anche derivare
dall’accumulo di frammenti di scheletri di organismi o per precipitazione chimica
di sostanze insolubili.
ARENARIA
BRECCIA
CALCARE
Rocce metamorfiche
Le rocce superficiali, siano esse magmatiche o sedimentarie, a causa di imponenti movimenti crostali, possono essere trasportate in profondità, dove incontrano temperature e pressioni molto più elevate di quelle in cui si sono originate.
Le rocce stabili in superficie diventano instabili al variare delle condizioni fisiche.
Il “metamorfismo” consiste nella trasformazione della struttura cristallina a causa
dell’aumento della temperatura o della pressione, o di entrambe. Le rocce che
subiscono il metamorfismo sono chiamate rocce metamorfiche. Queste costituiscono generalmente la parte più profonda dei continenti e le zone centrali di
molte catene montuose. Il processo metamorfico determina nelle rocce cambiamenti anche profondi della struttura e della composizione mineralogica: le rocce
rimangono comunque sempre allo stato solido.
SCISTO
GNEISS
MARMO
Alcune rocce
sedimentarie
DOLOMIA
Alcune rocce
metamorfiche
ARDESIA
La lepre bianca
a cura di Alessandro Vezzani
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Scientifica
Fauna
Poche volte si leggono notizie che riguardano i piccoli animali che popolano le
nostre montagne. Tutti vogliono avere notizie sui lupi, sugli orsi, su stambecchi,
cervi e camosci. Ma la lepre, la lontra, il furetto, l’ermellino, l’arvicola, ecc. perchè
non fanno notizia? Alcuni di questi animali interessano solo una categoria: i cacciatori, purtroppo!. Per questo vogliamo dare spazio alla conoscenza di questi
piccoli animali che spesso s’incontrano durante le nostre escursioni.
La Lepre Bianca o lepre alpina o ancora lepre variabile (Lepus Timidus) è un mammifero lagomorfo della famiglia dei
Leporidi. È un tipico abitatore della catena delle Alpi, nella
zona compresa tra i 1000 e i 3000 metri.
Ha forme meno slanciate della lepre comune e soprattutto
orecchie e coda più corte. La pelliccia è per contro più folta e varia, per mimetizzarsi a seconda delle
stagioni. In estate il colore dominante risulta
un miscuglio di bruno-grigiastro brizzolato; le
orecchie hanno punta e parte dell’orlo nere. In inverno il colore diventa bianco e grigio pallido, con l’estremità delle orecchie sempre
nere.
La lunghezza varia da 46 a 60 cm, più 4-6 cm di coda, per un peso
di 1,5 - 2,8 Kg. Le zampe posteriori sono più lunghe di quelle anteriri con i piedi ricoperti da folto pelo adatte a procedere nella neve.
Non scava tane, ma vive in piccole grotte, in spazi compresi tra
un masso ed un altro o in altre cavità naturali che l’ambiente offre.
Da maggio ad agosto la femmina dà alla luce 2-5 piccoli. Come la
lepre comune vive da 10 a 12 anni.
Si ciba soprattutto delle erbe più tenere e fiorite.
Sopporta bene il rigido clima d’alta montagna, lasciandosi coprire
dalla neve. Durante il giorno si tiene nascosta; al tramonto e per
tutta la notte esce all’aperto in cerca di cibo.
In estate vive al di sopra del limite della vegetazione arborea, fra i
pascoli cosparsi di massi, pietraie e cespugli contorti (rododendri,
mirtilli, ontani verdi), mentre in inverno scende nei boschi, dove trova un maggior numero di rifugi e possibilità di nutrimento. temente
notturne e si nutre sia di arbusti che di erbe. In inverno mangia
anche le cortecce di giovani piante.
La lepre bianca manifesta una tendenza alla riduzione del proprio
areale di distribuzione e le popolazioni sono in forte contrazione su
tutto l’arco alpino con esclusione delle aree adibite a Parco, in cui
l’azione dell’uomo come predatore è ridotta al minimo.
Ci sono in corso alcuni studi per la salvaguardia di questa specie.
E visto che parliamo di Lepre, ricordiamoci della favola di Esopo e
che ognono ne tragga la propria morale:
“Un giorno una lepre e una tartaruga decisero di fare una gara di
corsa. La lepre pregustava già la vittoria, così dopo essere partita
ed aver distanziato la tartaruga di parecchi metri, decise di fermarsi
a riposare perché tanto sapeva di essere in vantaggio e che la tartaruga non l’avrebbe mai raggiunta. Perciò si addormentò e dormì per parecchie ore. Intanto
la tartaruga, piano piano, la raggiunse, la vide appisolata e continuò lentamente
nel suo cammino. La lepre si svegliò e, pensando che la tartaruga fosse ancora
indietro, corse verso l’arrivo. Ma quando vi giunse, la tartaruga era già arrivata,
vincendo la gara”.
Alcune foto di Lepre
bianca in corsa e sue
orme sulla neve
Fiori d’inverno?
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Scientifica
Flora
Storiella tratta dal libro
“La Montagna Fantastica” edito dalla Sezione
CAI di Mirano (VE)
a cura
a di
cura
Alessandro
di Luigi Zamboni
Vezzani
C’è un bel fiore che nasce e cresce quando la neve si scioglie. I contadini lo chiamano “il bicchiere della Madonna”, perché si dice che un giorno di febbraio Gesù
Bambino aveva sete così la Madonna andò alla fontana ma la trovò gelata e disse:
“ Come farò a dare l’acqua al mio bambino?”.
La terra, udendo le sue parole, fece spuntare dalla neve un bel fiore bianco, dal
quale la Madonna prese l’acqua per dissetare Gesù. Questo fiore, spuntato dalla
neve quasi per miracolo, si chiama “Bucaneve”.
Ma veramente in montagna, d’inverno, si possono trovare dei fiori? Eppure c’è
chi ci crede tanto d’andare in giro per trovarli e fotografarli. Mi ricordo, anni fa,
quando alcuni amici, meno pigri di me, una domenica mattina mi proposero d’accompagnarli a fare una “narcisata”. Chissa cos’è? pensai sul momento. Dopo
un’ora di cammino, arrivammo in cima al Musiné e, credetemi, sembrava un’altro
mondo tutto colorato da bellissimi e orgogliosi fiori. Ma... cosa sono?, domandai.
Ma insomma, sei proprio gnugnu..., sono i Narcisi!, fu la risposta.
Anemone bianca (Anemone nemerosa L.)
Pianta di 10 - 25 cm con foglie picciolate e lobi profondamente divisi (da 2 a
5). Fiori solitari larghi 2 - 4 cm.
Vive in boschi decidui di conifere e in prati di montagna
Fiorisce tra Marzo e Aprile
Bucaneve (Galanthus nivalis L.)
Pianta di 10 - 20 cm con 2 foglie basali carnose, larghe 5 - 8mm. E’ presente un solo fiore pendulo formato da 3 petali.
Pianta protetta
Vive in boschi umidi, boschi misti decidui e umidi, lungo i ruscelli
Fiorisce tra Febbraio e Marzo
Campanella Comune (Leucojum vernum L.)
Pianta di 10 - 30 cm con foglie lineari, larghe 1 cm di colore verde pallido.
Fiori 1 o 2 penduli, campanulati, bianchi con margine giallo-verde.
Pianta Velenosa
Vive in boschi umidi, sui prati e argini dei corsi d’acqua
Fiorisce tra Febbraio e Aprile
Crocus (Crocus vernus L.)
Pianta di 8 -15cm con bulbo sotterraneo, foglie radicali quasi lineari con
venatura bianca.
Fiori bianchi, viola o striati.
Vive su prati montani e pascoli fino a 2800 m
Fiorisce tra Marzo e Aprile
... eccone alcuni!
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Scientifica
Flora
Narciso trombone (Narcissus Preudunarcissus L.)
Pianta di 15 - 40 cm. Le foglie sono radicali, lineari, larghe e carnose.
Fiori di 5 - 10 cm di diametro con 6 petali uniti inferiormente in un tubo; di
colore giallo; corona a forma di tromba.
Vive in boschi umidi, pascoli non calcarei con tappeto erboso.
Pianta Velenosa
Fiorisce tra Febbraio e Aprile
Dente di cane (Erythronium dens-canis L.)
Pianta di 10 - 25 cm, fusto con 2 foglie ovali, opposte e di colore verde
scurso con maculatura brunastra.
Fiori penduli di 6 petali ricurvi, di colore da rosa a rosso-violetto.
Vive al margine dei boschi e su prati montani
Fiorisce tra Febbraio e Aprile
Elleboro puzzolente (Helleborus foetidus L.)
Pianta di 30 - 60 cm, foglie sempreverdi, palmate con 3 - 9 lobi.
Fiori campanulati di colore verdastro, rossastri sui margini con odore sgradevole.
Pianta Velenosa
Fiorisce tra Febbraio e Aprile
Elleboro bianco (Helleborus niger L.)
Pianta di 10 - 30cm. Foglie che permangono durante l’inverno con 7 - 9 lobi
e segmenti seghettati solo verso l’apice.
Stelo con un fiore di 5 -10 cm di diametro, di colore bianco o rosa e successivamente virano al verde. Vive in boschi misti decidui e pinete
Fiorisce tra Gennaio e Aprile
Dafne mezereo (Daphne mezereum L.)
Cespuglio di 30 -150 cm con fioritura che precede la comparsa delle foglielanceolate, lunghe 5-12cm, di colore blu-verde.
Fiori rosa profumati con 4 petali in gruppi di 1-3 alle ascelle fogliari delle
foglie cadute l’anno precedente
Pianta Velenosa
Vive in boschi misti decidui, pendii sassosi, comunità di cespugli.
Fiorisce tra Marzo e Aprile
Ce ne sono molti altri di fiori che nascono e crescono durante i mesi invernali.
Per vederli bisogna andare. Si, il prossimo inverno organizzeremo alcune uscite
proprio per andare a vedere e fotografare i fiori invernali.
“Una narcisata, insomma...”. Cosa ne dite? ... vi interessa? ...
Le avventure continuano...
Attività di Marzo
Domenica
02
Ciaspolata in Val Ciamin
Giovedì
06
Gruppo “SenzaEtà” - Firenze e la sua Montagna
Venerdì
14
Serata Sociale - Presentazione Attività Estive
Venerdì
14
Presentazione Corso “Primi Passi” per bambini/e nati tra il 2001 e 2008
Domenica
16
Gruppo Junior GAM - Il Gioco dell’arrampicata
Martedì
18
Gruppo “SenzaEtà” - Monte Castello
Sab/Dom 22/23 Ciaspolata al Rifugio Pizzini
Domenica
23
Equinozio di Primavera - Sentiero Naturalistico Colli Euganei
Venerdì
28
Serata Sociale - Assemblea dei Soci - Elezioni Consiglio Direttivo
Sabato
29
Avvio Corso Escursionismo Avanzato 2014
Attività di Aprile
Giovedì
03
Gruppo “SenzaEtà” - Sulle orme dei Dinosauri - Rovereto
Domenica
06
Gruppo Junior GAM - Saline di Cervia e Casa delle Farfalle
Venerdì
11
Serata Sociale - Chiusura Attività Invernali
Domenica
13
Apertura programma Escursionistico Domenicale:
Malga Cislon nel Parco del Monte Corno
Giovedì
17
Gruppo “SenzaEtà” - Monte Tomba nel Grappa e Tempio Canova
... e nel prossimo numero
BiblioCai & CineCai
- Nuovi libri e Cinema
- Le segnalazioni
- Il Racconto
Sci di Fondo
- La storia di questo sport
Alpinismo
Gruppo SenzaEtà
- Continuano le avventure di questi
indiavolati ...
- La sicurezza in montagna
- Nuovi racconti...
- Storia dell’Alpinismo: seconda parte
La Storia della Terra
- La Terra primordiale ....
- La Terra: una macchina termica
- La nascita delle catene montuose
Escursionismo
- Le avventure in Val Ciamin e sullo
Zebrù sempre con le racchette ai piedi
- Nuovi racconti ....
... e ancora: alberi, fiori, fauna, ambiente e
il secondo inserto dei ragazzi ...