MantovaCai - Notiziario della Sezione C.A.I. di Mantova - Direttore Responsabile: Antonio Cirigliano - Direzione e Redazione: Via Luzio 9 - 46100 Mantova - tel e fax 0376 328728. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (cpnv. in L.27/02/2004 n° 46) art. 1 comma ! DCB - Mantova L’abbonamento riservato ai Soci di € 2,50 viene assolto nella quota associativa. Segnalazioni di mancato ricevimento vanno indirizzate alla Sede CAI di Mantova. Anno XL - 1°Trimestre 2014 - Il Notiziario della Sezione C.A.I. di Mantova - Marzo 2014 Avviso di Convocazione per Venerdì 28 Marzo 2014 Alle ore 20,00 in Prima Convocazione Alle 21,00 in Seconda Convocazione Presso Oratorio del Gradaro - Via Gradaro, 42 - Mantova Assemblea Ordinaria dei Soci 2014 SOMMARIO 4 Vita di Sezione - Notizie, fatti e consigli 10 Sci di Fondo - Ora siamo più ricchi - Le segnalazioni - Il Racconto - Trentatre!... no, non siamo dal dottore - La mia prima ... Marcialonga - ... scia, ragazzo... scia 14 Cristalli di Pino Mugo Direttore Responsabile: Antonio Cirigliano Capo Redattore: Giovanni Margheritini Comitato di Redazione: Alessandro Vezzani (Operatore Naturalistico), Luciano Comini (Maestro Sci Fondo), Davide Martini (Direttore Scuola Alpinismo, Ingegnere), Matteo Mantovani (Geologo), Giada Luppi (laureanda Agronoma), Renato Gandolfi (Geologo), Francesca Golinelli (Ambietalista, Architetto), Carla Carpi (Guida Ambientale), Lucia Margheritini (Ambientalista, ingegnere). Hanno collaborato a questo numero: - Mauro Bertolini - Luigi Zamboni - Fabio Randon - Lorenzo Breviglieri - Antonio Paladini - Rino Stocchero - Andrea Carenza - Rosella Alberti per l’inserto dei ragazzi: - Agnese Castelletti - Alba Rasini 7 BiblioCai & CineCai Alpinismo - La sicurezza in montagna - In giro con le pelli ai piedi ... - Storia dell’Alpinismo (prima parte) Gruppo SenzaEtà - Orge a tavola ... con la sbrisolona 22 - Brividi al Pian Fugazze Escursionismo fuoriporta dal gusto dell’ignoto 25 -- Gita Camminare ... - Nottata al Rifugio.... Vegetazione Forestale Alpina fasce altitudinali e latitudinali 28 -- Le Le Associazioni Vegetali - Gli Alberi guida: Il Carpino Nero La Storia della Terra Stampa: Grafiche Stella, Via A.Meucci 12 - Legnago (VR) Autorizzazione Tribunale di Mantova n° 6 del 8/10/1975 Tariffa R.O.C.n° 13657 del 11/02/2006 Poste Italiane S.p.A La Redazione si riserva di pubblicare o meno gli articoli pervenuti; si riserva inoltre di apportare le modifiche che riterrà opportune senza alterare il senso del testo. Nessuno può richiedere compensi per gli articoli inviati. Gli articoli firmati impegnano solo l’autore. Chi vuole inviare un articolo per la pubblicazione può inviare il testo e le eventuali immagini, di ottima qualità, al seguente indirizzo email: [email protected] Questo numero è stato chiuso in Redazione il 19 febbraio 2014 la Terra è unica 33 -- Perché La Terra primordiale .... - Le rocce della crosta terrestre 40 a Lepre Bianca 39 -LStorie e abitudini Fiori - Fiori d’inverno .... eccone alcuni! 42 Le Avventure Continuano ... - in Marzo e Aprile - nel prossimo numero Nel centro della rivista inserto staccabile “Il giornalino dei Ragazzi” In allegato alla rivista il “Rapporto sull’Attività dell’Anno 2013” con scheda per AutoCandidatura e Delega. VITA DI SEZIONE ASSEMBLEA ORDINARIA DEI SOCI 2014 AVVISO DI CONVOCAZIONE VENERDi’ 28 MARZO 2014 Alle ore 20,00 in prima convocazione Alle ore 21,00 in seconda convocazione Presso l’Oratorio della Chiesa del Gradaro Via Gradaro, 42 - Mantova ORDINE DEL GIORNO 1. Nomina del Presidente e del Segretario dell’Assemblea 2. Nomina degli Scrutatori. 3. Relazione morale del Presidente di Sezio ne: Approvazione 4. Relazioni dei Responsabili delle Commissioni: Approvazione 5. Delega determinazioni Quote Sociali per 2015 6. Bilancio Consuntivo 2013 7. Relazione del Presidente dei Revisori dei Conti: Approvazione 8. Bilancio Preventivo 2014: Approvazione 9. Elezione dei Delegati alle Assemblee Regionali e Nazionali 10. Consegna distintivo d’Oro ai Soci con 50 e 25 anni di fedeltà. 11. Elezione del nuovo Consiglio Direttivo di Sezione. Ai termini di Statuto il bilancio integrale è depositato presso la Segreteria a disposizione dei Soci. Il Presidente del Consiglio Direttivo Alessandro Savoia Distintivi D’Oro Complimenti vivissimi dal Consiglio Direttivo a tutti questi Soci per gli anni di fedeltà ininterrotta alla Sezione; auguriamo loro che questa sia solo la prima tappa di un lungo cammino. SOCI CAI CINQUANTENNALI BUSTI ROBERTO TRUZZI PAOLO SOCI CAI VENTICINQUENNALI (Mantova) ALBERTI ROBERTO AZZINI ANDREA AZZINI FABIO BIANCHI GIANPAOLO GAETTI VALENTINA MARTIGNONI STEFANO MONTANARINI GABRIELLA PARALUPPI ANNA MARIA PINCELLA FRANCA RABITTI CHIARA (Suzzara) MAFFEI GIANPAOLO Tutti i Soci menzionati sono vivamente invitati alla cerimonia di consegna della giusta onorificenza che si terrà durante l’Assemblea annuale venerdì 28 Marzo 2014 alle ore 21,00 presso l’Oratorio della Chiesa del Gradaro - Via Gradaro 42 Mantova. VITA DI SEZIONE CORSO ESCURSIONISMO AVANZATO Il punto sui Corsi di Formazione 2014 SCI DI FONDO I due Corsi di Formazione di Sci di Fondo, quello destinaai bambini da 6 a 12 anni “ Leva del Cucciolo” e quello per “Adulti principianti” sono terminati durante il mese di febbraio. I Corsi sono stati proficui e i risultati potete leggerli nelle pagine seguenti sullo Sci di Fondo. Il 20 marzo termina il periodo utile per l’iscrizione al Corso d’Escursionismo Avanzato che prenderà l’avvio il 29 marzo per poi proseguire in aprile, maggio e giugno. Vedi il programma dettagliato sul sito della Sezione. Affrettatevi!!! 2° CORSO ARRAMPICATA “PRIMI PASSI” SCI ALPINISMO SA2 Il Corso, in collaborazione con la Scuola di Sci Alpinismo della Val Rendena del CAI - SAT, prenderà avvio il 1° marzo. Iscrizioni aperte fino al 25 febbraio. Il 29 marzo termina il periodo utile per l’iscrizione di bambini e bambine nati tra il 2001 e il 2008 a questo corso di avvicinamento all’arrampicata. Affrettatevi!!! Affrettatevi!!! Il Punto sul Tesseramento 2014 Al 19 febbraio la situazione del Tesseramento 2014 è la seguente: Mantova Quistello Suzzara Totale Ordinari Familiari Giovani Totale 262 51 23 336 124 24 7 155 37 23 4 64 423 98 34 555 I nuovi iscritti sono n° 116, pertanto, a questa data, non hanno ancora complessivamente rinnovato l’iscrizione n° 564 Soci di cui n° 408 di Mantova, n° 68 di Quistello e n° 88 di Suzzara. Si ricorda che il 31 marzo terminarà il periodo della copertura assicurativa CAI per coloro che, a quella data, non avranno ancora rinnovato l’iscrizione. VITA DI SEZIONE • • • • • Gruppo SenzaEtà Trekking d’Avventura Esplorando la Catalogna Trekking nei Pirenei e Costa Brava Sevaggio Blu Trekking in Sardegna nel Golfo di Orosei dal 20 maggio al 1 giugno Quota individuale € 925,00 Iscrizioni entro il 15 aprile Caparra € 200,00 Saldo pagamento entro 10 maggio • • • • • dal 19 al 25 aprile Quota individuale € 700,00 Iscrizioni entro il 15 marzo Caparra € 200,00 Saldo pagamento entro 10 aprile Affrettatevi!!! Affrettatevi!!! Escursione Naturalistica Novità Equinozio di Primavera E’ stato varato il progetto che ci porterà entro la fine di quest’anno alla costituzione della Commissione di Alpinismo Giovanile. Un gruppo di 10 Soci volontari si è messo a disposizione per partecipare al Corso di Formazione ASAG (Accompagnatore Sezionale Alpinismo Giovanile). Questo primo nucleo di Titolati con l’aiuto della Commissione Regionale Lombarda ci permetterà finalmente di decollare con l’Alpinismo Giovanile. Sentiero Naturalistico Dei Colli Euganei • • • • domenica 23 marzo Museo Paleontologico Trekking di circa 8 km Origine vulcanica Iscrivetevi a questa prima festa di primavera Variazioni Escursioni Prendete nota che: • Alpe Succiso prevista per giovedì 2 ottobre è spostata al giovedì 16 ottobre. • Sentieri di Pace prevista al 16/17/18 ottobre è anticipata al 2/3/4 ottobre www.caimantova.it Importante! Ricordatevi di iscrivervi alle News sul nuovo sito web della Sezione. Ora siamo più... ricchi a cura di Giovanni Margheritini La nostra prestigiosa Biblioteca ora è più ricca di contenuti e di storia. Tutto è avvenuto complice quella passione che lega alcune speciali persone alla montagna. E’ successo così che la signora Cecilia Carreri, appassionata di montagna per inconscia vocazione paterna, grande conoscitrice dell’ambiente letterario di montagna e cultrice della storia dell’Alpinismo, frequentatrice assidua di Alpi e Dolomiti, un giorno decide di iniziare a raccontare al padre le proprie esperienze di montagna. Piano piano si crea un nuovo e strano legame tra padre e figlia, il legame che, in modo profondo e silenzioso, unisce tra loro gli alpinisti. Il legame che deriva dalla consapevolezza di aver vissuto le stesse esperienze: dure, difficili, estreme. Il padre di Cecilia era l’ing Cesare Carreri, primogenito di una famiglia molto nota di Ostiglia. Per lavoro aveva lasciato la sua città per molto tempo per farvi ritorno, a un certo punto della sua vita, per vivere in solitudine. È qui che il padre inizia a fare qualche confidenza a Cecilia, a raccontarle che anche lui ha fatto dell’alpinismo, a parlare della montagna come di qualcosa di proibito che lo legava a ricordi intimi e riservati. Un po’ alla volta, incalzato dalle domande, il padre racconta dei suoi compagni di cordata: Piero Dallamano, Luigi Grigiato, Mario Pavesi, tutti alpinisti mantovani. La storia continua, ma preferiamo che i nostri Soci, la possano approfondire consultando la bella e toccante monografia che Cecilia ha voluto dedicare al padre e ai suoi compagni Alcuni libri della donazione e targa ricordo. di cordata con foto dell’epoca, per ricordare questa passione comune che li ha uniti, al di là delle divisioni della vita. La signora Carreri ha donato alla nostra Sezione, in ricordo del padre, una parte della sua biblioteca privata di montagna. Sono 160 tra libri, riviste, giornali, articoli, buona parte dei quali della prima parte del 1900. La volontà di Cecilia Carreri di diffondere l’amore e la passione per l’alpinismo, però non si ferma qui. Ha deciso di collaborare a una iniziativa della nostra Sezione CAI, che ha indetto un concorso al momento sperimentale presso l’Istituto Comprensivo Mantova 1 “ Luisa Levi” con il tema: “La montagna ci aiuta: aiutiamo la montagna”. Questo concorso metterà in palio per l’intera classe vincitrice una “Escursione in Montagna” guidata dai nostri Accompagnatori, allo scopo di far avvicinare i giovani a quello che è un mondo che ha ancora tanto da offrire. La soddisfazione è grande e oggi possiamo dire di essere un po’ più ricchi perché oltre ai preziosi libri abbiamo ricevuto una grande testimonianza di vero amore per la montagna e per il suo ambiente naturale e culturale. BiblioCai & CineCai Il Presidente Alessandro Savoia, assistito da Antonio Paladini, mentre firma l’atto della donazione in presenza della signora Cecilia Carreri. Alcuni Soci CAI e sul tavolo libri e giornali donati dalla signora Cecilia Carreri BiblioCai & CineCai I libri che segnaliamo a cura della Redazione Solitudine sulla Est “Il solitario della parete est appare di notte, nella bufera, all’improvviso, a bus- sare alle porte dei bivacchi e dei rifugi, il volto ustionato da un sole feroce, talora ferito o malconcio. Di rado qualcuno lo scorge, lontano e solo, impegnato sulla cresta. È partito nel mistero, non si sa se è tornato, o se mai tornerà”. L’artista mantovano Ettore Zapparoli è morto nell’agosto del 1951 tentando un’impresa epica e surreale sulla parete est del Monte Rosa. Il suo corpo non è più stato ritrovato, né sono rimaste tracce del suo passaggio: nel mistero è scomparsa una delle figure più inquietanti dell’alpinismo romantico italiano, un uomo che ha dedicato la sua vita alla musica e alla montagna. Questo libro, frutto di una ricerca difficile e minuziosa, ricostruisce per la prima volta i tratti umani e le eccezionali ascensioni di Zapparoli, nel quadro dell’epopea alpinistica del Monte Rosa e di una Macugnaga d’altri tempi. L’autore del libro è Eugenio Pesci, nato a Milano nel 1961 e vive a Lecco. Insegna filosofia nei Licei. Dal 1984 si dedica alla pratica e alla diffusione dell’arrampicata sportiva, curando numerosi articoli sulle principali riviste specializzate italiane. Ha aperto vie nuove nelle Grigne e attrezzato circa 300 tiri di corda. Con Lorenzo Meciani ha pubblicato Arrampicate Moderne nel Lecchese e con altri autori Arrampicate sportive e moderne fra Bergamo e Brescia. Collabora con il C.A.I. per la Guida dei Monti d’Italia. Le voci del bosco “Le pagine di questo libro non contengono un trattato di botanica e nemmeno parole di assoluta verità. Ciò che in esse vi si potrà leggere sono verità personali suscitate da riflessioni indotte da oltre quarant’anni di vita nei boschi e dialoghi con le piante. Durante questo tempo, ho capito che tutto, in natura, ha un proprio carattere, una personalità, un linguaggio, un destino. Osservando e ascoltando con attenzione il creato, è possibile udire la sua voce... Gli alberi non si spostano, ma possiedono un loro carattere che comunicano in vari modi: con la bellezza, con l’oscillazione delle fronde, con la consistenza delle fibre. E anche con la diversa reazione che hanno nei confronti di chi li tocca. In queste righe si parla di loro e di uomini: a volte bene e altre male... e così il cattivo, senza quasi rendersi conto, proverà simpatia per il sambuco, il buono per il larice, il sempliciotto per il faggio, l’elegante per la betulla, il cocciuto per il carpino e via dicendo...”. L’autore del libro è Mauro Corona, nato nel 1950 a Erto, ha seguito fin da bambino il nonno paterno (intagliatore) in giro per i boschi e, nello stesso tempo, il padre cacciatore lo portava a conoscere tutte le montagne della valle. Dal primo ha ereditato la passione per il legno sviluppata, molti anni dopo, nello studio dello scultore Augusto Murer, a Falcade. Dal padre gli deriva l’amore per le cime e le scalate. Alpinista e arrampicatore, Mauro Corona ha aperto oltre 230 nuovi itinerari di roccia sulle Dolomiti d’Oltre Piave, tutti di estrema difficoltà. Il suo primo libro Il volo della martora, ha raggiunto in un anno l’ottava ristampa. Questo è il suo secondo libro. Mauro Corona vive e lavora a Erto. Racconti a cura della Redazione BiblioCai & CineCai La Montagna non scherza Un abete tagliato, usato come banco da gioco, era secondo Pino la cosa più bella del piccolo giardino che contornava la casa dei suoi nonni. Pino era un ragazzo di tredici anni nel 1963, orfano dei genitori da quando aveva tre anni; da allora, viveva con i nonni a Casso, un piccolo paese vicino a Longarone. Non aveva nessun amico, perché non voleva rimpianti, guardando i genitori dei possibili amici. Amava molto andare con Lillo, il suo cane, sui sentieri di montagna e inventare scorciatoie. I suoi nonni gli ripetevano sempre: “stai attento alle vipere, non alzare i sassi e non tirarli a caso” oppure: “ la montagna non scherza”. Molte volte si distendeva sull’erba bagnata e guardava gli abeti e i pini cercando di scorgere tra i rami gli scoiattoli, che erano oltre ai cani i suoi animali preferiti: tutti marroni, avevano una folta coda e orecchie a punta con un ciuffetto di pelo nero. Pino stava intere giornate sulle montagne con Lillo tra i profumi della montagna e mangiavano fragole, more e lamponi che crescevano spontanei. Giocava con Lillo a rincorrersi tra gli alberi. Lillo era un setter bianco con una sfumatura rossa, molto agile e veloce, non abbaiava quasi mai. Si divertiva a rincorrere gli scoiattoli senza esiti, perché salivano subito sugli alberi più vicini, e i conigli che raramente prendeva e, morsicando loro il collo, uccideva. La nonna di Pino poi li spellava, li cucinava e glieli dava pronti. Era il suo miglior amico, quando erano in mezzo al bosco, fiutava dappertutto e molte volte portava Pino davanti alle tane di qualche animale selvatico o ad un albero dove c’era la tana di qualche scoiattolo. Pino si divertiva ad arrampicarsi sugli alberi dove c’era qualche tana di scoiattolo o sugli alberi molto alti per vedere la sua “valle incantata”. Amava molto la natura e quando si costruì la diga del Vajont fu dispiaciuto nel vedere quella montagna di cemento tutta grigia, che attaccava le due montagne come fossero malformate. Alcuni geologi avevano assicurato che c’era il rischio che un pezzo di montagna cadesse nel lago artificiale e rompesse tutto; anche Pino si era accorto che sul fianco della montagna c’era una grande crepa. Vedendo questa e pensando alle parole che gli diceva suo nonno urlò: “la montagna non scherza!”. Così fece ripetutamente ogni giorno; la crepa si allargava sempre più. La notte del 9 ottobre 1963 un grande pezzo di montagna cadde nell’acqua, provocando un’onda che scavalcò la diga e distrusse completamente Longherone. Pino con i suoi nonni stava dormendo quando sentì il rumore come di un terremoto, poi sentì i sassi che andavano sul tetto e un sasso entrò nella camera, spaccando la finestra. L’onda aveva rovinato solo poche case a Casso, la diga era rimasta intatta; ma Longherone era stata spazzata via come un paese fatto di paglia, non esisteva più! Tantissimi furono i morti. Pino aveva previsto una cosa del genere, andò fuori e urlò: “La montagna non scherza!”. Stefano Bussetto (12 anni - CAI Sezione di Mirano - Venezia) Questo racconto è tratto dal libro “La Montagna Fantastica” edito dalla Sezione CAI di Mirano Venezia. Sci di Fondo Trentatre!...no, non siamo dal dottore a cura di Stefano Sacchi Sono le partecipazioni alla mitica Marcialonga, che si svolge in Val di Fiemme e Fassa, alla quale Luciano ha preso parte. Io, devo solo ringraziarlo, dopo anni che non sciavo, nel 2011 ho iscritto al corso di Sci Nordico mia moglie Elena e un giorno sciando in sua compagnia e con Luciano sulle nevi di Passo Lavazè, dove il panorama mozza il fiato, lui mi disse: ma sai che scii bene, hai un bel gesto, ma perché non fai la Marcialonga? Ero preoccupato per i chilometri, 70 sono tanti, ma era un’esperienza che volevo vivere da tempo, così, tranquillizzato da Luciano e incitato da Elena nel gennaio del 2012 ho partecipato “logicamente su consiglio di Luciano” alla Marcialonga light di 45 km. La preparazione è stata semplice, qualche corsetta con i bastoncini al bosco Fontana, un po’ di ginnastica in casa, su e giù dalle scale, addominali, gambe e per finire un elastico sopra la porta e giù a tirare, poi non sono mancate le sciate in compagnia. L’esperienza è stata esaltante, circa 7000 alla partenza di Moena, tutti in attesa sotto un tendone, l’elicottero che volava, il telecronista, la musica, il te caldo offerto dalla croce rossa, molti in fila davanti ai bagni “forse l’emozione”, quelli intenti a sciolinare, quelli che saltavano per riscaldare i muscoli, poi, il via, i campioni sono partiti, è partita la trentanovesima Marcialonga, non nego che l’emozione è stata tanta, mi preparo ed entro nel mio cancello di partenza “l’ultimo, visto il pettorale”. Finalmente parto, tutti in fila, un serpentone lungo chilometri, sorpasso qualche partecipante e vengo sorpassato da altri, tutta una frenesia, mi vengono in mente i quadri dei futuristi, i famosi Balla i Boccioni, sempre alla ricerca del movimento. Il tifo l’incitazione “vai! vai!”, i campanacci che suonano al nostro passaggio, i ragazzini che urlano, i campanili con le campane che suonano a festa echeggiano in valle, la ressa ai ristori, te, cioccolato biscotti uvetta, panini, integratori di sali minerali, gli sci che si accavallano come foglie sotto gli alberi e poi, via! via! che si riparte con il boccone in bocca, dai! dai! ale! ale! ale! l’incitamento ti stimola e aumenti la velocità, poi, momenti di assoluto silenzio nei tratti in mezzo ai boschi d’abete, solo il sibilo dei miei sci squamati da bisonte. Il tempo non manca come la fatica e i ricordi lontani affiorano, come i crochi dopo che la neve si è sciolta sotto i raggi della primavera, ricordi belli, piccoli particolari che avevo scordato, solo un attimo per ammirare la bellezza che mi circonda, quella bellezza che a volte non riesci ad assaporare, tanto sei preso e distante come questa società ci insegna. Riprendo consapevolmente a spingere, ora di braccia ora con l’alternato o col passo spinta, è bella questa festa di gente, tutte le valli sono in festa, io sono come in un limbo. Stefano Sacchi Sci Cai Mantova alla sua prima Marcialonga “scandisce lo speaker al microfono”, sono arrivato a Predazzo, sono arrivato!!!! Oggi mentre scrivo, penso a quella gente di montagna, i contadini con i loro trattori a portar neve per la pista, le donne con i figli che ci anno dissetati, tutti quei volontari che amando la propria terra e le loro radici, hanno lavorato così tanto solo per farci vivere un’emozione, per farci conoscere le loro montagne, i loro paesi ricchi di storia, cosa sarebbe il mondo senza queste persone che con amore e sacrificio valorizzano il proprio territorio. Oggi siamo al primo di febbraio del 2014, ho partecipato alla mia seconda Marcialonga da 70km “la vera!” con Luciano, ma non siamo stati i soli della sezione, alla mini Marcialonga, sì! quella baby svoltasi nello stadio del fondo di Lago di Tesero, dove sfrecciano i campioni, Andrea Bettoni, Matilde Ferrari, Giorgia e Luca De Pasquale, il più piccolo, avendo meno di sei anni “un cucciolo”, hanno partecipato con entusiasmo tra una folla di gente e un sacco di ragazzini per la gioia dei loro genitori, di Luciano e mia, bravi! Sarete i campioni del futuro, o magari solo sciatori e amanti della montagna come me. A volte le parole non valgono un sentimento, un’emozione vissuta rimane indelebile. La mia prima ... Marcialonga a cura di Filippo Comini Ore 8,00 già alla partenza e per oltre 50 minuti attendo il mio via; non passano mai, mi sento “un giovane uomo sbagliato nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Mica male, eh...? Al via, impiego un bel po’ a infilarmi gli sci e addirittura mi fermo anche a salutare mio padre al bordo della pista. Non capisco bene come funziona dopo l’apertura del “recinto”. Sono all’esordio, si vede, e si che mio zio Luciano mi aveva anticipato tutto quanto sto vivendo. Poi a un certo punto guardo avanti, gli altri sono già avanti! Via allora, parto anch’io. La prima mezz’ora circa mi ripeto “ma io non ho tanta voglia oggi, sono stanco” sarà perché devo ancora carburare, parole che mio zio mi ha detto, in qualche uscita di allenamento. Poi scatta qualcosa. Parte l’agone; supero, vengo superato… Silenzio, Silenzio, si scia. Avevo un po’ di freddo prima di partire, ero spaventato dalla temperatura, ma non avevo fatto i conti con l’adrenalina che scalda e ti fa sentire una torcia. Eppure sono vestito nel modo migliore possibile con l’ultimo total look della neve, da capo ai piedi, compreso l’effetto “fungo” del berrettino. L’idea di socializzare durante la gara l’abbandono velocemente. Ognuno qui pensa alla propria gara.. Da quando ho deciso di partecipare alla marcialonga, e che mio zio cominciava a darmi dei suggerimenti, attenti qui, attenti là, non pensare a quanti km devi ancora fare, e mentre “resettavo” e pensavo a tutto questo, o forse già da prima, senza neanche saperlo: mi ritrovo qui mentre sfioro il cartello al giro di boa di Canazei. E pensare che quando ho cominciato a fare il passo classico alternato, cioè pochi mesi fa, non sapevo quanto ero in grado di resistere ad una lunghezza, di 45 km, che mi ero prefissato come obbiettivo per partecipare alla mia prima Marcialonga Light. Durante il ritorno, attenzione a non cadere, ma soprattutto non venire calpestato. Non salto neanche un ristoro, per tutto il percorso, per paura di andare in crisi, nonostante la colazione da “campione” fatta alle ore 6 del mattino! Suggerimento che il solito zio mi aveva fatto. Gli allenamenti fatti a secco con gli ski-roll, mi sono serviti per rafforzare braccia e schiena, accompagnate da uscite di corsa per allenare l’apparato cardiocircolatorio. Solo poche uscite sulla neve, ho potuto fare in quanto impegnato sia per il lavoro, che per motivi personali, comunque mi è molto servito l’ultimo allenamento a passo Lavazè, affiancato dal solito zio che mi ha dato le ultime indicazione di come mi dovevo comportare, durante questa mia prima esperienza, trasferendomi una fiducia in me stesso, che mi è servita per portare a termine questo mio obbiettivo che da anni avevo nel cassetto. Per tutto il percorso, ho spinto ora forte ora piano, ho vissuto la mia prima Marcialonga in ogni respiro, e poi ecco finalmente il traguardo di Predazzo, dove la gente assiepata ai bordi della pista applaudiva, dove l’emozione mi ha preso lo stomaco. Sotto lo striscione d’arrivo, il cuore mi batteva a mille, e la stanchezza nemmeno l’insegna, i miei genitori presenti mi chiedevano: ti è piaciuta ?, come è andata?, Di nuovo ho fatto si con la testa, non ho parlato perché il mio magone era tale che mi stavano scendendo due lacrime di gioia, per aver portato a termine la mia prima Marcialonga. Comunque alla prossima, ma “quella vera”, mio zio mi ha promesso di parteciparvi insieme. Sci di Fondo Sci di Fondo Ecco i nostri ragazzi: . Andrea Bettoni . Giorgia De Pasquale . Matilde Ferrari . Luca De Pasquale In 500 da tutta Europa per la Minimarcialonga ... scia, ragazzo ... scia ... a cura della Redazione E’ finito il Corso di Formazione “Leva del Cucciolo” ma per Luciano Comini non può essere finita. Ci sono stati degli ottimi allievi, hanno manifestato voglia di fare e allora Luciano pensa a una sfida molto motivante e importante: la “Minimarcialonga”. Ci saranno centinaia di partecipanti tutti impegnati a mettersi in mostra davanti agli altri e davanti ai propri genitori ed amici. Bene questo è uno stimolo da raccogliere e Luciano, riunito i ragazzi/e, propone loro di partecipare alla gara. Urraaaahhh!!!! è l’esclamazione più contenuta dei ragazzini alla quale i genitori non si oppongono caso mai l’avessero voluto. Ora è il momento del Maestro Luciano: tutti intorno a lui per ascoltare i consigli di cosa fare, di come farlo e di come comportarsi. Ehh, lui di esperienza di Marcialonga (quella vera) ne ha tanta: sono 33 le volte che ha partecipato!!! Beato lui pensano i ragazzini, figo!!!!. Quindi le tattiche: anello esterno, anello interno, sciolina dura o morbida, spingere subito e poi moderare l’andatura. In questo modo passa il tempo della preparazione insieme ai sogni e alle fantasie di ognuno di loro. Luca de Pasquale (6 anni) il più piccolo dei nostri partecipanti ha deciso la sua strategia: vuole arrivare l’ultimo per poter essere chiamato sul podio e ricevere la corona. In questa manifestazione non ci sono vincitori e vinti, vincono tutti con la partecipazione. Vengono chiamati I nostri protagonisti e il sul podio il primo e l’ultimo, entrambi ricevono una Maestro..... primo tifoso!! eguale corona a testimonianza che tutti hanno vinto o meglio partecipato con impegno. Andrea Bettoni, Giorgia De Pasquale, Matilde Ferrari (9 anni) e Luca De Pasquale (6 anni) si sono presentati al nastro di partenza con altri 500 bambini provenienti da ogni parte d’Europa, grazie all’entusiasmo e alla convinzione di Luciano. Sullo splendido scenario dello Stadio del Fondo di Lago di Tesero in Val di Fiemme, vince la passione per lo sport come filosofia di vita che solo le persone più accanite riescono a trasmettere. Tutte è andato alla perfezione, i nostri ragazzini sono stati meravigliosi e hanno lottato duro, anche Luca De Pasquale ha lottato duro, ce l’ha messa tutta, ma purtroppo una bambina gli ha rubato il sogno di arrivare l’ultimo!! Forza Luca vedrai che presto potrai raggiungere altri importanti traguardi. Grazie ragazzi e come dice sempre Luciano: “Sci di Fondo fino in ... fondo”. Hai già rinnovato l’iscrizione per il 2014? Affrettati e porta anche un nuovo amico. Vogliamo crescere!! Club Alpino Italiano Sezione di Mantova Alpinismo SciAlpinismo Arrampicata La sicurezza in montagna a cura di Davide Martini Quante volte mi è capitato di vedere durante le uscite persone che indossano l’imbraco al contrario per non parlare poi del nodo necessario per legarsi alla corda o per legarsi all’imbraco un semplice cordino ( tipo longe) per farsi un po’ di sicurezza lungo qualche pezzo attrezzato, oppure improvvisare un’imbraco con un cordino. Posso continuare ancora a lungo, ma quando chiedo come mai succedono certe cose, la risposta è sempre la stessa: “ ... è molto tempo che non lo faccio ... e mi sono arrugginito un po’ ...” E’ un po’ come se uno mi rispondesse che si è dimenticato come fare a camminare!! Si, perché per chi va in montagna non sapere fare quei quattro, cinque nodi fondamentali è come non sapere camminare!! Un sano consiglio: procuratevi un cordino da circa un metro, mettetevelo in tasca e tutti i giorni, come passa tempo, esercitatevi a fare sti benedetti nodi ... fatelo al posto delle parole crociate oppure rubate un po’ di tempo alla tv ... ma tenetevi in esercizio. Nelle prossime escursioni, a sorpresa, sarete messi alla prova e allora ..... “ricchi premi” per chi sarà fluido .... e “atroci ....” per chi sarà ancora arrugginito! Nodo delle Guide, oppure Nodo Otto, oppure Nodo Savoia Il nodo delle Guide con frizione è il nodo di base per legarsi alla corda, sia questa intera o mezzacorda. Inoltre è il nodo con il quale si lega la longe all’imbrago (se la longe è fatta con un cordino aperto su due rami). Quindi è il nodo che collega la corda all’imbraco e che ci permette di essere in cordata con il nostro compagno. L’esecuzione è semplice, molto stabile e facile da controllare. È un nodo simmetrico, non si stringe troppo dopo un tiro energico o una caduta, anche se la corda è bagnata. Richiede un’esecuzione ordinata e regolare per garantire l’efficienza nella tenuta ( l’ordine evita che il nodo si strozzi malamente) e la facilità nello scioglierlo. Per l’esecuzione: prendete un estremo della corda, misuratene circa 100 - 110 cm (dai piedi a sopra l’ombelico) e qui fate il primo otto. Poi infilate la corda nell’imbraco e tirate fino quando il nodo che avete fatto si trova a contatto con l’imbraco. Attenzione la corda deve assolutamente essere infilata nell’asola della cintura e in quella dei cosciali, non direttamente nell’anello di servizio!! Bene ora con l’estremo libero della corda rinfilate l’otto esattamente sullo stesso primo nodo. Una volta ripassato stringete e avrete il vostro bel nodo fatto. Attenzione è fondamentale che vi restino circa 15 cm di estremità libera!!! Non fosse così, dovrete rifare nuovamente il nodo recuperando maggior corda nella fase iniziale. Esercitatevi !! ... In giro con le pelli ai piedi ... a cura di Giovanni Margheritini Sarà perché sono un modesto sciatore ma a me personalmente coloro che vanno fuori pista, i free rider, mi danno molto fastidio. Ho sempre pensato che lo scialpinismo trova la sua ragione perché ti offre la possibilità di raggiungere una cima o un luogo di montagna anche con la neve. Ma non mi verrebbe mai in mente di farmi portare da un elicottero in cima per poi fare la discesa. Ho fatto, ormai tanto tempo fa, il corso di scialpinismo con il CAI di Bologna e l’istruttore mi aveva insegnato che l’importante era salire, arrivare alla meta, a scendere, una volta padrone delle tecniche di base, ognuno scendeva come poteva. Ecco è così che ancora oggi faccio qualche uscita con le pelli ai piedi. Come questa, fatta con due amiche, Federica e Paola, e l’occhio vigile di Helmut, il mio amico guida. Ci trovavamo nei dintorni di Misurina e visto che il tempo lo permetteva ci siamo avviati con le pelli ai piedi verso il Rifugio Auronzo con la speranza di proseguire poi per il Colle Lavaredo per vedere le fatidiche Nord delle Tre Cime in pieno inverno. Dopo aver attivato tutti i nostri ARTVA, abbiamo seguito più o meno il tracciato del sentiero estivo che dal Lago d’Antorno porta su al Rifugio passando prima a oriente del lago per poi gradatamente inerpicarsi all’interno di un bel lariceto in direzione nord. La neve, molto abbondante, lasciava a mala pena intravedere i segni del sentiero estivo e con continui tornanti abbiamo rapidamente guadagnato quota. Le prime difficoltà nelle giravolte ma poi, facendo attenzione e concentrandosi un po’ ecco che anche queste manovre si superano bene. Le ragazze sono scatenate, vanno su leggere che è un piacere vederle, e stando dietro, oltre che vedere il bellissimo e caratteristico profilo delle Tre Cime da Sud, vedi anche in primo piano dei rotondissimi fondi schiena che ti riaccendono terreni ricordi in questo ambiente di natura grandiosa. Siamo in alto, davanti a noi si comincia a vedere ben nitido il Rifugio Auronzo. Ora dobbiamo attraversare un pendio dove ci sono tre canalini molto ripidi (intorno ai 50°). Helmut attraversa e punta alla vicina cresta da dove può essere più agevole proseguire per il rifugio. Noi seguiamo, uno alla volta, l’ultimo sono io e come entro nel primo canalino vedo, con la coda dell’occhio, sopra di me alla mia destra che qualcosa si muove. In un attimo metto a fuoco e vedo due magnifiche lepri bianche che si rincorrono. Mentre Helmut mi suggerisce di passare in fretta nella testa mi viene in mente che le due lepri potevano essere nel periodo degli amori ed era per questo che si rincorrevano. All’epoca non ero ancora Operatore Naturalistico e quindi non conoscevo quali fossero i periodi degli amori per questi animali, quindi assimilavo tutto all’umana esperienza. Passato indenne raggiungo gli altri sulla cresta e lo spettacolo diventa ancor più grandioso con un panorama che si spinge giù fino ad Auronzo. Proseguiamo sul filo di cresta (filo per modo di dire, è più un panettoncino di cresta) e arriviamo diretti sotto l’ultima curva della strada che collega Misurina con il Rifugio Auronzo. Ancora poche decine di metri e siamo al rifugio. Cerchiamo il locale invernale e lo troviamo, purtroppo, in pessimo stato d’abbandono, sporco, escrementi da tutte le parti. Cazzo, ma non sono di animale, sono escrementi umani!! Non è possibile che il bene comune sia sempre più rovinato dall’incuria e dalla ignoranza di certa gente. Questo posto è fatto per accogliere persone, per avere un riparo, per salvare anche la vita. Intanto Helmut mi dice che è meglio non proseguire, il primo tratto è molto esposto e la neve non è come dovrebbe. Bene, torneremo giù per la strada e ci fermeremo al Rin Bianco che sicuramente troveremo aperto. Prima di partire, con le pale che avevamo nei sacchi cerchiamo di dare una pulita al locale invernale e seppellire sotto la neve i rifiuti. Scatto, prima dell’operazione, alcune eloquenti foto che poi ho spedito al CAI di Auronzo e alla Rivista lo Scarpone. Arrivati al Rin Bianco, ci togliamo gli sci ed entriamo per scolarci un ristoratore “radler” ed per intrattenerci con delle belle salsicce che sono già sulla griglia. Alpinismo SciAlpinismo Arrampicata La Storia Alpinismo SciAlpinismo Arrampicata a cura di Davide Martini Ho preparato questo riassunto della Storia dell’Alpinismo per la La Storia dell’Alpinismo di Gian Piero Motti Collana I Licheni L’Arciere Vivalda Editore Scuola “Moccia - Morari” che dirigo e con l’occasione dell’avvio della nuova edizione della rivista MantovaCai ho pensato di estendere a tutti i Soci questo documento quale testimonianza del lavoro culturale che si svolge all’interno della Scuola. La presunzione, alla fine delle sei puntate, sarà anche quella di aver invogliato a leggere l’opera impareggiabile e originale di Gian Piero Motti alla quale mi sono liberamente ispirato. Perchè ho scelto Gian Piero Motti come ispiratore? Semplice, perchè lui ha sempre rappresentato lo spirito libero al quale faccio riferimento. Motti ha vissuto e scritto l’alpinismo all’interno di vivissimi e inquieti interessi culturali, mettendolo in costante relazione con lo sviluppo delle idee e del costume, coi fatti sociali e politici. Insomma vivendolo come una vera espressione culturale e non solo sportiva. Per questo, dopo avermi seguito in questo cammino, vi consiglio di continuare il percorso facendo vostra la “Storia dell’Alpinismo” di Gian Piero Motti della quale vi riassumo una piccola parte dell’introduzione e del capitolo sul rapporto uomo e natura: dell’Introduzione: Dopo una breve divagazione sull’origine delle montagne e sulla permanente presenza di forze costruttrici e distruttrici delle cose, Motti illustra la natura singolare del rapporto tra alpinisti e montagna, sottolineando il teorema contraddittorio del - difficile salita = molta avventura = poca soddisfazione in vetta - facile salita = poca avventura = grande soddisfazione in vetta L’introduzione termina con la classificazione degli alpinisti in tre categorie che serve come chiave di lettura del libro: . della prima fanno parte quegli alpinisti che hanno fatto la “pace con l’alpe” (in contrapposizione col motto di Guido Rey “la lotta con l’alpe”) per i quali non c’è motivo di rischiare nulla per la salita; . poi c’è la categoria dei tradizionalisti conservatori che si rifanno ai regole di purezza e di severità (ad esempio Reinhold Messner) anche se non proprio legate a quelle dell’alpinismo romantico od “eroico”; . infine la nuova generazione degli alpinisti che hanno rinunciato alla vetta e che godono della montagna per il puro fatto di esservi ad arrampicare: per questi ultimi la fonte della soddisfazione è il gioco con la montagna. Questi ultimi (sopratutto i giovani) hanno come pericolo “morale”, le sirene della difficoltà, del tecnicismo e della prestazione fisica (atletismo): la vetta diviene come tante piccole cime da raggiungere lungo la via. del capitolo sul rapporto uomo – natura. Capitolo dedicato alla ricerca del perché si sale in montagna, con accenni alla differente cultura occidentale e orientale ed al modo di interpretare la morte. La storia vista come sequenza delle capacità umane, che come gli anelli di una catena si susseguono storicamente: l’ultimo anello, quello più attivo, richiede più “energia” e toglie tutte le risorse agli anelli precedenti, destinati a spegnersi. Le montagne viste come simbolo divino del passato, riscoperte e aggredite con l’illuminismo scientifico ed infine la nascita dell’idea alpinistica: andare in montagna come fonte di piacere. Bene, ora si comincia. dell’Alpinismo Gli inizi. Alla domanda di chi fu il primo alpinista non è facile dare risposta, perché l’alpinismo è un fenomeno legato alla nostra cultura ed è quindi anacronistico ipotizzare nomi e date antichi. Motti, cita prima Petrarca spintosi sul Mont Ventoux per scoperta e conoscenza (1336) e quindi Bonifacio Rotario d’Asti che saliva al Rocciamelone, per motivi religiosi (1358). Anche la salita al Mont Aiguille di Antoine de Ville su ordine del re di Francia Carlo VIII (1492, l’anno di scoperta dell’America) non è propriamente una salita “alpinistica”, pur essendo risuscita con corde, scale, pioli ed arpioni (III° e IV° grado). Montanari, cacciatori, cercatori di minerali e cristalli hanno salito le montagne più per necessità che per passione. Il problema non è quindi semplice da affrontare perché si deve tener conto del contesto storico e delle motivazioni dei diversi personaggi: cittadini e montanari con esigenze e motivazioni diverse che hanno portato alla formazione di differenti figure di alpinisti e di guide, ciascuno con le proprie debolezze ed i propri pregi. Un primo accenno all’idea del andar per monti per piacere è dato dallo scienziato svizzero Conrad Gesner (1550) e dal suo ipotetico successore Jakob Scheuchzer del primo ‘700 che percorse e celebrò con interessanti scritti le Alpi accendendone l’interesse. Ma da quasi tutti gli studiosi, la nascita dell’alpinismo viene fatta coincidere con la conquista del Monte Bianco (1786) a cui hanno partecipato diversi personaggi, spinti dall’idea dello scienziato ginevrino Horace Benedict De Saussure. Il Monte Bianco. La “taglia” posta da De Saussure sul Monte Bianco nel 1760 non trova inizialmente grande entusiasmo tra i valligiani di Chamonix, probabilmente perché non percepiscono ancora le conseguenze di un’impresa del genere (si è ancora lontani dall’idea di “turismo”). I primi timidi tentativi nel 1775 si fermano ai primi tratti ghiacciati (si andava senza corde ed attrezzatura adeguata) fino a quando nel 1776 il giornalista – scrittore Marc Theodore Bourrit, ambizioso di trovare celebrità e gloria nella salita, stimolò i migliori personaggi del posto con studi di percorso e fattibilità. Finalmente entrano in scena i personaggi principali dell’impresa: Michel Gabriel Paccard studente di medicina a Torino ed il cercatore di cristalli Jacques Balmat des Baux. Il primo compie insieme a Bourrit le prime esplorazioni senza mai condividerne le motivazioni e logorando la collaborazione, tanto che quest’ultimo lo denigrerà totalmente ad impresa avvenuta attribuendo ingiustamente tutto il merito solo a Balmat. Jaques prova un tentativo solitario che quasi finisce in tragedia quando, abbandonato dall’incontro con altri quattro montanari (concorrenti alla salita) tra cui il cugino di Paccard e colto dall’oscurità nel ritorno, bivacca da solo tra i ghiacci e se la cava “solo” con qualche congelamento. Però si capisce che sono loro due i più forti e Paccard assume quindi Balmat come portatore ed il 7 agosto partono alla conquista della vetta. De Saussure, informato dal Bourrit segue la salita col cannocchiale da Chamonix: i due montanari giungono alla Montagne de la Côte in serata e lì bivaccano. Il giorno dopo, camminano nella neve molle con enorme fatica, portando gli strumenti “indispensabili” forniti da De Saussure, termometro e barometro. Balmat che soffre molto il mal di montagna è tentato alla rinuncia, ma Paccard non demorde e nel pomeriggio raggiungono finalmente la cima: è l’8 agosto del 1786. Frettolosamente tentano qualche esperimento come richiesto da De Saussure e scendono verso valle per bivaccare di nuovo coi vestiti e le scarpe bagnate sui sassi della Montagne de la Côte. Il giorno dopo tornano trionfalmente a Chamonix. L’impresa venne definita “eccezionale” e De Saussure pagato il premio a Balmat, tentò subito di ripeterla senza successo; ci riuscirà solo qualche tempo dopo con una spedizione massiccia in uomini e mezzi, dove riuscirà finalmente a compiere gli esperimenti scientifici che gli daranno fama e gloria in tutta Europa. Alpinismo SciAlpinismo Arrampicata Petrarca al Mont Ventoux Mont Aiguille Horace Benedict De Saussurre Paccard e Balmat osservano il Monte Bianco Alpinismo SciAlpinismo Arrampicata Quintino Sella Edward Whymper Jean Antoine Carrel Paccard su suggerimento di De Saussure tentò di scriverne un libro, ma ostacolato e diffamato da Bourrit non riuscirà mai a pubblicarlo e a ricevere il giusto merito della salita. La salita al Monte Bianco diventò una moda dell’epoca per “cittadini”; Balmat accompagnò anche la prima donna, Marie Paradis, una cameriera di Chamonix nel 1808. L’interesse suscitato da De Saussure verso le Alpi, apre il periodo delle salite verso le vette più alte delle montagne e fa intravedere ai valligiani una possibile fonte di guadagno. Comincia la calata degli inglesi (nasce in Inghilterra l’Alpin Club), signori nobili e benestanti, che assoldati i migliori montanari cominciano l’opera di esplorazione e salita delle vette inviolate, dapprima con scopi scientifici e poi sempre più per il sottile piacere che dava la conquista e la bellezza dei luoghi. Fu così che i primi Hugi, Agassiz e Tyndall lasciarono il posto ai più appassionati romantici Freshfield, Tuckett, Moore, Walker e Mathews, che accompagnati dalle più forti guide locali come Michel August Croz di Chamonix, Melchior Anderegg di Gimsel e gli Almer di Grindelwald salirono tutte le maggiori cime delle Alpi Occidentali. Il Cervino. Tra questi nobili inglesi spicca ad un certo punto per impeto e determinazione il giovane Edward Whymper. Si avvicina alle Alpi quasi per caso (disegna e fa incisioni) e ne rimane affascinato. Nel 1864 sale la vetta più alta nel Delfinato (Barre des Écrins, 4103 m) e l’anno dopo una trilogia epica di cime (aveva solo 25 anni): Punta Whymper nelle Grandes Jorasses (4180 m), L’Auiguille Verte (4122 m) ed il Cervino (4478 m). Proprio a questa ultima salita è legato indissolubilmente il nome di Whymper perché costò non pochi tentativi e la prima tragedia “notevole” in montagna che chiuse un epoca dell’alpinismo. La salita era stata tentata da anni da diversi montanari di Valtournanche. In particolare spicca la figura della guida Jean Antoine Carrel detto il “Bersagliere”, rivale - amico di Whymper con cui competerà fino alla fine per la vittoria. Carrel prova per l’italiana Cresta del Leone già salita in parte da Tyndall, Whymper da tutti i versanti con e senza Carrel, ma entrambi non riescono a trovare l’accordo vincente, anzi a volte Carrel sembra boicottare Whymper; in questo atteggiamento alcuni vedono una prima ribellione dei montanari alla superba signorilità inglese, altri un impulso patriottico italiano tenuto conto del periodo storico in cui si registra la nascita del Club Alpino Italiano a Torino (1863). Il 10 luglio Whymper non trova Carrel a Breuil e parte per la salita con altre sei persone per la più facile Cresta dell’Hörnli: sono l’amico inglese lord Francis Douglas trovato per caso a Zermatt, la sua guida Peter Taugwalder col figlio affiancate dal forte Michel August Croz, il reverendo Charles Hudson ed il giovane Roger Hadow. Dall’altra parte Jean Antoine Carrel è sulla cresta italiana con altri tre montanari: César Carrel, Charles Gorret e Jean-Joseph Maquignaz; procedono lentamente senza sapere del tentativo di Whymper ed arrivano il 14 luglio 1865 vicini alla vetta senza riuscire a proseguire. Mentre cominciano a scendere sentono gridare: è il gruppo di Whymper sulla vetta. In discesa i sette si legano ad una sola corda, manovra che costerà cara: pare che Hadow perse l’equilibrio travolgendo Croz; in un attimo anche Houdson e Douglas vengono trascinati nella caduta; Whymper è dietro ad un masso in quel momento e riesce a trattenere con Taugwalder la corda che però si spezza. I quattro precipitano nell’orrido della parete nord, mentre i tre rimasti guardano impotenti. La tragedia ebbe un eco enorme in tutta Europa, tanto che in Inghilterra si pensò addirittura di proibire l’alpinismo. Whymper venne messo duramente sotto accusa e fu accusato di imprudenza, segnandone irrimediabilmente il carattere. Solo due giorni dopo la tragedia, Carrel parte da Breuil con Jean Baptiste Bich, Jean Augustin Meynet e l’abate Aimé Gorret salendo per la Cresta del Leone in vetta. Alpinismo SciAlpinismo Arrampicata Le Alpi Orientali nell’Ottocento. C’è una sensibile differenza tra la morfologia delle Alpi Orientali e quelle Occidentali che non può non aver influenzato il carattere dei nativi montanari. Nelle Alpi Occidentali si trovano valli profonde scavate da immensi antichi ghiacciai che hanno portato alla luce bastionate uniformi di roccia brulla e scura su cui crescono pochi prati e boschi; le valli sono profonde e d’inverno tetre e fredde, difficilmente ricevono la luce del sole; qui i montanari hanno trovato la vita più dura, la montagna è fonte di fatica e di pericolose nevicate, tormente, gelo; l’alpinismo qui ha un terreno d’avventura molto severo e faticoso che vede la salita come una liberazione, un’ascesa alla luce. Qui si è sviluppata la prima ondata dell’alpinismo “nobile” inglese che ha trovato nei montanari locali, dietro il compenso, lo strumento di fatica per il superamento dei grandi dislivelli (alpinismo con guide). La poesia di queste salite e il piacere della conquista della vetta è stata stimolata da una corrente romantica molto positiva. Nelle Alpi Orientali ed in particolare nelle Dolomiti, le cime spiccano da bianchi ghiaioni tra i bellissimi boschi, il sole scalda i villaggi anche d’inverno e la gente vive in migliore armonia con l’ambiente; le case sono più graziose, rivestite di disegni e di fiori, le favole e le leggende infondono una sorta di magia ai monti ed alle pareti che spiccano solari tra le valli; l’orizzonte è sempre presente e la salita ai monti è un’impresa bella e leggendaria che, anche se più difficile, porta grande soddisfazione. In questi luoghi si è sviluppato il primo alpinismo tedesco ed austriaco, sulla spinta del romanticismo tedesco più tetro e lugubre dell’alpinismo inglese, che vede nella salita alla parete difficile, l’ascesa dell’eroe e la sfida con la morte: Goethe e Wagner hanno scritto la trama e la colonna sonora di queste imprese. Qui le montagne erano sulla porta di casa e non tutti avevano il tempo ed i mezzi dei nobili inglesi per spostarsi sulle Alpi Occidentali; l’alpinismo era quindi in generale senza guide, anche sei i primi grandi esploratori austriaci come Paul Grohmann (viennese, fonderà il Club Alpino Austriaco) non disdegnarono le fortissime guide locali Innerkofler. Sicuramente però il primo alpinismo dolomitico è stato anticipato da cacciatori e montanari locali che hanno salito le maggiori cime prima dei conquistatori documentate: infatti già nel 1802 si ebbe la prima salita alla Marmolada da parte di un gruppo agordino, dove perì don Giuseppe Terza di Pieve di Livinallongo, mentre la salita ufficiale è dell’inglese John Ball nel 1860 con le guide Birkbeck e Tairraz di Chamonix. Cacciatori di camosci erano già saliti sul Pelmo anche prima della salita dello stesso Ball nel 1857. Inglesi sono pure gli eccellenti Leslie Stephen e Francis Fox Tuckett che in perfetto stile occidentale (con le migliori guide), portano a conclusione numerose salite in Marmolada, Pelmo, Civetta e nel Gruppo di Brenta. Nella zona dolomitica, che aveva allora come unico accesso la strada che porta a Cortina, si svilupparono due gruppi italiani distinti ed in leale competizione: quello Ampezzano e quello Agordino, tra cui spicca la figura di Cesare Tomè che sale l’Agner nel 1865. Gli italiani delle Alpi Occidentali non sono comunque da meno (è appena nato il CAI) ed in accordo allo stile dell’epoca, portano a termine numerose imprese nelle Occidentali, contrastando l’egemonia inglese: si ricordano i nomi di Albero ed Orazio De Falkner, padre e figlio di origine svizzera ma con animo italiano, il primo combatterà perfino con Garibaldi in Trentino, il figlio introdurrà Antonio Berti all’alpinismo e sarà presidente della sezione CAI di Firenze. Si affacciano anche i fortissimi fratelli austriaci Zsigmondy, tra cui spicca Emil il più forte e Ludwig Purtsceller; essi rappresentano l’elite dell’epoca nell’alpinismo senza guida ma purtroppo periranno per incidenti; a seguito di questi eventi e per la temerarietà delle loro imprese (per Purtsceller si parla però di almeno 1700 ascensioni) si svilupperà una certa diffidenza dell’alpinismo senza guide da parte degli inglesi, che porterà a definire gli austriaci ed i tedeschi come rocciatori funamboli e saltimbanchi. Dolomiti - Torri del Vajolet Emil Zsigmondy Georg Winkler Alpinismo SciAlpinismo Arrampicata Dolomiti di Brenta Campanile Basso Albert Frederick Mummery Si tenga conto che il chiodo ed il moschettone devono ancora apparire per considerare il valore e l’arditezza delle salite sulle ultime inviolate cime Dolomitiche: lentamente esse cadono sotto l’attacco di cordate sempre più agguerrite ed allenate. Tra le ultime imprese eclatanti, si citano le Torri del Vaiolet ed il Campanile Basso di Brenta. Il “cavaliere della montagna” Georg Winkler a soli 17 anni, da solo e senza corda (1887), sale la torre che oggi porta il suo nome (un IV° grado superiore), passa subito vittorioso anche sullo Zinal Rothorn, ma morirà poco tempo dopo sul Weisshorn (il cui ghiacciaio restituirà la salma nel 1956). È la volta poi della torre centrale (Stabeler, 1892) e quindi della terza (Delago, 1895). Il 18 agosto del 1899 gli austriaci Otto Ampferer e Karl Berger vincono il Campanile Basso, dopo che due anni prima Carlo Garbari, la guida Tavernaro di Primiero e Nino Poli erano arrivati a soli 30 metri dalla vetta. Con questa salita si chiude un’era importante, che ha visto affermarsi dalla parte delle Alpi Occidentali la tradizione dell’alpinismo in stile inglese “con guide”, sempre alla ricerca di nuove conquiste ed il consolidarsi delle salite già percorse con ripetizioni che divengono ben presto delle “classiche”. Dalla parte delle Alpi Orientali si va diffondendo invece un alpinismo più artigianale “senza guide”, che va alla conquista di pareti più corte ma ardite e difficili e solleva notevolmente il grado di difficoltà massima raggiunto. Questi primi orientamenti nel pensiero alpinistico genereranno una scissione tra gli alpinisti che si protrarrà per molto tempo non senza polemiche: i conservatori pionieri Occidentali con il loro alpinismo “sicuro” e gli arditi temerari Orientali funamboli senza scrupoli delle crode. Non mancheranno le eccezioni, come ad esempio Leone Sinigaglia, “occidentale” piemontese ma vero amante delle Dolomiti. Le Alpi Occidentali alla fine dell’Ottocento. Dopo le ascensioni dei pionieri, come si è detto le salite alle cime più grandiose divennero un fenomeno abbastanza diffuso, tanto che alcune ripetizioni divennero delle “classiche”. Ecco allora che l’animo umano, mai pago delle conquiste raggiunte, ricerca nuove emozioni esaminando la possibilità di salire cime meno grandiose ma più inaccessibili e quindi ancora inviolate. Il sapore della conquista è ancora molto forte ed è lo stimolo che muove le persone ed evolve la tecnica del tempo. Nelle Alpi Occidentali sono sempre gli inglesi i migliori: è il caso di Clinton Dent che insieme alla fortissima guida Alexander Burgener parte alla volta del Grand Dru (3754 m): servono 5 anni e 18 tentativi, fino a quando insieme a Walker Hartley e Kaspar Maurer raggiungono la vetta nel 1878. L’anno dopo cede il più difficile Petit Dru (3733 m) da parte del gruppo di guide J.E. Charlet-Straton, P.Payot e F.Folliguet. Tra gli alpinisti inglesi che si cimentano sulle Occidentali, spicca il grande Albert Frederick Mummery, forte e gentile, coraggioso ed assolutamente leale e “moderno” nell’idea alpinistica. Pur arrampicando con le migliori guide, sostiene ed insegna che la cordata è un’unione dovuta all’amicizia, alla passione ed all’impresa, più che una cosa di lavoro. Si diletta a salire le parti più impervie del tempo, non solo per conquista della vetta ma per il piacere di farlo. Rinuncia ai mezzi di progressione artificiali (già si utilizzavano pioli, scale e pertiche) e sale solo se riesce “by fair means” (con mezzi leali) anche se questo lo porta a rinunciare a pochi metri dal traguardo, come ad esempio al Dente del Gigante (4014 m) nel 1880 sulla paretina che oggi porta il nome del fedele compagno Alexander Burgerer, già citato sopra. Lo accompagna nelle imprese anche il piccolo e forte Benedikt Venetz: aprono la prima via di sola roccia nel Bianco (Grands Charmoz, III° e IV° grado) e salgono nel 1881 il Grepon delle Aiguilles de Chamonix (3482 m), lungo una via che tuttora è una grande classica per bellezza del paesaggio e della roccia. Alpinismo SciAlpinismo Arrampicata Nel 1881 sempre con Burgener tenta una via sul Cervino per la cresta Furggen, arriva quasi alla vetta senza intuire che potrebbe vincere l’ultima parete, ma si rifà subito dopo salendo l’Aiguille Verte per il selvaggio versante Charpoua. Questa salita e quella sul Grepon gli danno grande fama. Tra il 1888 ed il 1890 è nel Caucaso alla scoperta e realizzazione di nuove ascensioni, spesso da solo. Durante il 1892 e il 1893, tornato sulle Alpi si dedica all’alpinismo per puro diletto, spesso senza guide e portando amici e moglie sulle cime nuove o già salite con Burgener. Sale infine in solitaria la Brenva nel 1894 e questa è l’ultima impresa nelle alpi. Nel giugno del 1895 si imbarca a Brindisi per il Kashmir dove finirà disperso nel tentativo di salita al Nanga Parbat (un 8000 !). Quando Hermann Buhl nel 1953 tornerà dalla storica impresa solitaria, avrà un pensiero per Mummery al quale si rivolgerà idealmente: “è il primo a cui devo rendere conto, guardarlo negli occhi, stare in piedi dinnanzi a lui e dirgli che non ho conquistato il Nanga Parbat con mezzi tecnici moderni, ma assolutamente come voi intendevate: - by far means - con mezzi leali, con le sole mie forze”. Gli inizi dell’alpinismo italiano. Nelle Occidentali, l’alpinismo ha un inizio più valligiano che cittadino come si potrebbe pensare. In particolare a Courmayeur si concretizza un gruppo di guide per contrastare il monopolio al Monte Bianco della parte francese, anche se solo nel 1854 riescono ad aprire un itinerario di accesso diretto alla vetta, passando per il Col du Midi, il Mont Blanc du Tacul ed il Mont Maudit. Sul Monte Rosa le prime salite sono per lo più di valligiani, come parroci, cacciatori e montanari, amanti delle proprie valli. Troviamo quindi l’abate Giovanni Gnifetti, Nicolaus Vincent, Sebastian Linty, Valentin e Joseph Beck e Chamonin: la Piramide Vincent (4215 m) è salita nel 1819 e la Punta Gnifetti (4559 m) nel 1842. Dalla parte dei cittadini si registra quindi la nascita del CAI a Torino. Intorno a Quintino Sella, ministro delle Finanze del Regno d’Italia, orbitano diversi nobili, aristocratici, studiosi che affrontano la montagna nello stile dei colleghi inglesi: troviamo quindi il torinese Martino Baretti professore di geologia che compie innumerevoli “prime” in Val di Susa e nel Gran Paradiso e l’amico Leopoldo Barale specialista delle Valli di Lanzo. Si evidenzia anche l’avvocato Luigi Vaccarone primo vero storico dell’alpinismo italiano con 48 nuove salite, iniziato alla montagna dall’attivissimo torinese Alessandro Martelli: i due, insieme alla guida Antonio Castagneri di Balme, compiono la prima salita invernale dell’alpinismo italiano, la vigilia di Natale del 1874 sull’Uia di Mondrone (2964 m) nel gruppo delle Alpi Graie. Nelle Alpi Centrali, le attività alpinistiche si muovo con un leggero ritardo. Il richiamo ai monti non è così sentito come nelle altre zone, dove la parete o la vetta è più evidente. Le valli sono spesso lontane, selvagge e rocciose a differenza del versante svizzero da cui partono le prime cordate esplorative con guide locali, al solito con fini di conquista di cime inviolate. A parte l’Ortles (3899 m) che viene salito dal cacciatore di camosci Josef Pichler già nel 1804, si vedrà la salita del Pizzo Scalino (3323 m) nel 1830 e del Bernina (4049 m) nel 1850 da parte di topografi, quindi il Monte Disgrazia (3678 m) nel 1862 da parte dell’inglese Leslie Stephen. Ovviamente il risveglio italiano non si fa attendere, ma il confronto con i più esperti inglesi è impari. L’alpinismo è ancora una forma esplorativa, ed i modelli del tempo per i giovani italiani sono le figure di Ball, Tuckett e Coolidge, più che gli arditi Whymper, Moore e Walker. Come pionieri locali, si può citare il conte Francesco Lurani Cernuschi affiancato dalla prima guida italiana delle Centrali, Antonio Baroni. I senza guida del tempo sono i piemontesi Fiorio, Canzio, Vigna, Mondini e Lampugnani che gettano le basi per la fondazione del C.A.A.I. continua nel prossimo numero Monte Bianco Dente del Gigante Club Alpino Italiano Monte Rosa Punta Gnifetti Gruppo SenzaEtà Orge a tavola ... con la sbrisolona!! a cura di Giovanni Margheritini La prima volta ha sempre qualcosa di distintivo per farsi ricordare. Questa è la mia prima volta al Convivio di Fine Anno del Gruppo SenzaEtà. Luigi, con il suo garbato modo di chiedere, mi ha fatto capire che avrebbe avuto piacere della mia presenza a questa ricorrenza, in modo tale che anch’io avrei avuto modo di capire meglio lo spirito che “aleggia” su questo Gruppo. - Luigi stai tranquillo, fa molto piacere anche a me, arrivo all’ora prevista insieme ad Elena, la mia compagna - lo rassicuro. Arriviamo verso le diciotto e trenta e ci dicono che le persone sono già tutte al secondo piano. Saliamo al piano e subito Luigi ci vede e ci viene a salutare mentre in sala c’è la proiezione del reportage sul viaggio in Corsica fatto dal gruppo. Cerco un posto e ne vedo due verso metà sala, vicino a Pierino - me lo ricordo dall’uscita in Val Vajolet nell’autunno. Saluto Pierino e ci accomodiamo per vedere la proiezione. Ogni tanto Pierino mi rifila una “leggera” gomitata per attirare l’attenzione alla slide che è proiettata e che lo riguarda. Poi mi dice anche qualcosa, naturalmente in mantovano, che cerco d’interpretare. Il sottofondo musicale da il ritmo alla presentazione e il tutto lascia capire che questo lavoro è stato montato con sapienza da un “regista” che ora ricollego a Mauro, conosciuto giorni fa in sezione. Infatti eccolo la davanti Mauro, comodamente seduto a godersi il suo lavoro e le lusinghe che per ora arrivano sotto forma di brusii. Siamo all’interno della Corsica, si sale in montagna, resti di neve e gelo, nebbia... e “gomitate” sparate a raffica da Pierino per farmi vedere che in ogni scatto c’è lui. È interessante osservare le persone, così unite in quello che si sta facendo. Sembra più di essere a una serata familiare, tutti sono partecipi e se cerco uno sbadiglio di noia ... non lo trovo. Ma trovo altre conoscenze, ecco la in fondo Stefano con la sua Elena. Anche loro li conosco dall’uscita di inizio estate al Parco del Frignano, in Appennino. Lei è fortissima, una creatrice di “bijoux” artigianali veramente belli realizzati con materiali come la terra e il vetro. Ora la musica si fa più intensa, da finale. E infatti il reportage è terminato e si sprigionano subito i commenti tutti euforici e i ringraziamenti al regista Mauro, che si fa adulare!! Scendiamo in sala da pranzo e con Elena ci andiamo a sedere in un tavolo in fondo. Arrivano poi anche Stefano e la sua Elena, Pierino ed altri. Si aprono le bottiglie e si comincia una cena di quelle che si ricordano: salamelle molto buone insieme a tante altre cose. Come dice Pierino, il vino si lascia bere e quindi beviamo. Elena mi ha detto che, se necessario, ci pensa lei a guidare per il ritorno. Intanto portano i dolci e arrivano i vassoi della sbrisolona, che a me piace in maniera particolare. Quindi appena la vedo, addento! Ma vedo Pierino, che mi guarda attonito. - Ma la mangi a secco? - Si, ma posso fare la zuppetta anche nel vino - rispondo. - Ma no!, no! e vedo arrivare Luigi, il calmo, con la bottiglia di grappa “Nardini” e con questa mi bagna la sbrisolona che ho davanti. - Così si mangià la sbrisolona. - mi dice. Dopo una ..... mezz’ora di quella bottiglia non c’è più traccia. Ho lavorato a Mantova per circa tre anni, in un grande gruppo. Ho conosciuto praticamente tutti i buoni ristoranti, sono stato ospite di colleghi e amici. Mai nessuno mi ha detto che la sbrisolona si mangia imbevuta di grappa. Chissà perchè?! Brividi ... al Pian delle Fugazze a cura della Redazione Mattinata umida a Mantova, ha piovuto tutta la notte è ora, anche se non piove, è tutto bagnato. Sono le sette, ed ecco che i primi arrivano. C’è Luigi, il capo, c’è Pierino con l’inseparabile Gianni, poi Orazio e via via tutti puntuali a caricare borse e ciaspole sul pullman. Partiamo puntualissimi e man mano che ci avviciniamo alle montagne, la giornata si fa più luminosa tanto che il Baldo e i Lessini sono tutti di un bel rosa carico. Uuuaaaahhhhh!!!! di soddisfazione e primo brivido di piacere, forse avremo una bella giornata di sole. Ci avviciniamo sempre più alle montagne, con il pullman che arranca l’unica strada stretta che ci porterà a Pian delle Fugazze. Intanto all’interno del pullman sono già inconsciamente iniziate le strategie della giornata. Luciana e Maria con il loro fitto chiaccherare, Mario filosofeggia, Mauro il regista che scalda i motori all’apparecchiatura fotografica, Pierino che si rigira tra le mani la bottiglia destinata ad accompagnare le torte del pomeriggio, Orazio che controlla cosa fa Pierino, Gianni che prepara la frutta per il suo pranzo. Tutti in opera. Pronti a scattare. Si aprono le porte del bus e scendiamo. Ahhh! Nuovo lungo brivido!!! C’è un profumo di neve appena caduta che stordisce. E’ tutto bianco, fino a poche ore fa qui nevicava di brutto. Ora c’è il sole, la neve è candida e tutta per noi. Si parte. Le ciaspole mordono la neve farinosa, si va via leggeri e già c’è chi dice che si potrebbe fare anche senza ciaspole e allora inizia il cava metti e la fila si sgrana. Ci sono i primi, veloci e imperterriti, ci sono gli ultimi, che non è vero che sono lenti, ma si fermano a guardare, a fotografare. Fra questi c’è Mauro il regista, che è tutto un ciik&ciak di scatti. Ne regala alcuni anche a Luciana e Maria in varie pose, perchè poi così potranno scegliere quali pubblicare su facebook. E poi c’è la coppia dei giovani Vanni e Alessia, supercarini, superequipaggiati. Sembra si divertano molto. Poi c’è Alberto che, sempre tutto tranquillo, è quello che aspetta i ritardatari, cerca di fare ricompattare le file, cerca di mantenere un discreto controllo della situazione. Fanno copia fissa il Pierino e il Gianni. Da quando siamo partiti hanno iniziato un divertito, continuo e fitto dialogo chissà su quali argomenti. Se t’avvicini t’accorgi che cambiano argomento e allora qui bisogna studiare come scoprire cosa hanno da dirsi. Intanto si arriva nei pressi del rifugio e il tempo ancora molto bello invoglia a restare nel locale esterno per mangiare le proprie cose seduti tranquilli. Oppure c’è il ristorante, dove il capo è un po’ incazzato perchè nessuno gli ha detto del nostro arrivo e lui ha preparato poco. “Quel poco che basta” - suggerisce il nostro regista Mauro, che intanto ordina “Bigoli al sugo di lepre”. È proprio in momenti come questi che si liberano gli ultimi freni inibitori e che si comincia a gustare in pieno la compagnia degli altri. Sono momenti importanti perchè sono quelle pause dalla routine che si dedica solo a se stessi. Peccato debbano finire in fretta perchè si fa l’ora del rientro che avviene per due itinerari differenti: un primo gruppo di persone verso una nuova esperienza di percorso, un altro gruppo ripercorre il cammino della salita a ritroso. L’appuntamento è comunque al pullman, perchè non è finita, ci sono le torte da mangiare. A fine escursione, con calma il tempo necessario per gustare ottime torte portate a turno e naturalmente il vino, di “quello che si lascia bere” come dice Pierino. Orazio aggiunge - facciamo con calma, perchè se arriviamo a casa troppo presto mi tocca andare a fare la partita. Qui è meglio. Bravo Orazio!!! ... e ci beviamo un neretto. Gruppo SenzaEtà Gita fuoriporta dal gusto dell’ignoto Giovani Alpinisti Mantovani Anno I -Alberti Marzo 2014 - Il giornalino a cura di Rosella - prefazione della Redazione dei ragazzi Escursionismo Autunnale Il bello dell’escursione è proprio quello di potersela progettare a misura della propria volontà o delle propria fantasia. Allora realizzarla diventa un vero piacere. Si, piacere, anche quando si pensa di realizzare una vera impresa, una sfida con il proprio fisico, una tirata di quelle che ti mettono alla prova. Poi t’accorgi che ce l’hai fatta e allora c’è quella calma interiore che ti fa stare in pace con te stesso ... e chiamare ”gita” una bella traversata di un gruppo montuoso ... Ce lo racconta Rosella Alberti che con alcuni amici ha fatto una “gita fuoriporta ...” Bizzarre le idee, nascono dal nulla, crescono con la fantasia, silenziose in angoli della mente, sanno resistere al disordine degli umani impegni. Talvolta la loro realizzazione si esprime in piccole prove di coraggio e sfida tramutando un giorno qualunque in pura avventura. 20 Ottobre 2013 – traversata del Baldo da Assenza (Lago di Garda) alla Val d’Adige (Belluno Veronese). Padre dell’idea Fabio, coordinatore logistico preciso ed attento, senza di lui la traversata non sarebbe stata possibile. Partecipanti 3. Dislivello salita da Assenza al rifugio Telegrafo circa 2200 metri previste 6 ore, realizzate in 4 ore + 10 min di sosta imbocco Val Trovai. Totale cammino ore previste 11-12, dislivello totale 4200 metri effettuata in 9 ore. Sentieri EE soprattutto Val Trovai, sentiero Marocco ed il poco frequentato sentiero del Colombo (dal passo Cerbiolo a Belluno Veronese) quest’ultimo caratterizzato da fitto bosco con scarsi e poco visibili segnavia (solo questo tratto di discesa ha richiesto 2 ore (erano previste 3). Nella prima parte della salita nei pressi di Malga Zovel, si notano sulla ripida mulattiera i profondi segni lasciati dalle slitte per il trasporto soprattutto del legname. Ci sente dei privilegiati, noi escursionisti siamo qui per divertirci, nessun impegno fisico e mentale è paragonabile a chi per lavoro o pura sussistenza, questi sentieri è stato costretto a percorrerli anche più volte al giorno. La strada forestale prima della Val Trovai ci accoglie con la veste autunnale di faggi, lecci ed abeti, sfumature che solo la natura sa regalare, impossibile non sostare un attimo ad ammirare. Prendendo quota dopo i 1800 m, la nebbia ci avvolge, impedendoci di vedere la sagoma del rifugio che all’improvviso ci troviamo d’innanzi. Il veloce pranzo lo consumiamo con Gigi Ferrari che ci fa l’onore di sedersi al nostro tavolo. Si scambiano parole e risate, non molte però perché si deve ripartire. Sappiamo bene che circa alle 18.30 non avremo più luce solare per terminare l’escursione. Il sentiero del Marocco sgombro dalla nebbia, permette una bella veduta, illuminata dal sole da Novezza, al poco lontano altopiano della Lessinia punteggiato da pascoli e malghe. Ore 16.00: passo del Cerbiolo inizia a piovere, le previsioni meteo non si sono sbagliate; acqua fino a tarda notte. Sentiero del Colombo: le condizioni del terreno impervie e scivolose hanno creato un po’ di disagio e ansia nei partecipanti, soprattutto in me, in modo particolare sulla cresta di Punta Vialoro dove, l’arrivo poco rassicurante della nebbia nel fittissimo bosco ha ridotto la visibilità a meno di 10 metri. Fantastici i miei compagni Ferruccio e Francesco nel manifestare sempre un sorriso al fine di giungere nel migliore dei modi alla meta. Accolti a Belluno Veronese dalla penombra (ore 18.00), l’allegra voce di Fabio non può che essere gradita prima di farci cullare dalla stanchezza. Nulla di eccezionale è stato compiuto, nessuna cima inviolata è stata raggiunta, soltanto una “gita fuoriporta” che ha fatto assaporare il gusto dell’ignoto, seguendo orme dal sentore di viaggio. Salita nel bosco ... Qualche colore d’autunno I protagonisti ... un po’ umidi .... Escursionismo Camminare ... a cura di Andrea Carenza - commenti della Redazione Ogni tanto una riflessione ci fa bene e ci può regalare visioni diverse da quelle abituali, nuovi sogni per andare oltre, stimoli ancora sopiti oppure conferme alle nostre certezze. Qui Andrea Carenza ci offre una possibile riflessione sul nostro modo di vivere l’escursione, sul nostro modo di andare, di camminare. Ma sentiamolo: “Il mondo è un libro e chi non viaggia ne conosce solo una pagina”, così scrisse S. Agostino circa 1600 anni fa. Chiunque potrebbe trovare in questa frase ampia giustificazione al proprio modo d’interpretare il viaggio: dal turista frettoloso al collezionista di mete esotiche fino al frequentatore compulsivo di rotte transoceaniche e villaggi esclusivi… A me pare che calzi a pennello al lento incedere dell’escursionista maturo che, esaurite le ansie di prestazioni eclatanti, si muove nel mondo, “a passo d’uomo”, attento, curioso e rispettoso; che sa cogliere piccole sfumature, profumi discreti, suoni delicati e di tutto pronto a stupirsi, con animo aperto e per il quale lo scopo è il viaggio stesso, non la meta. “Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell’Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi.” Così S. Agostino sembra chiarire i contorni del suo pensiero sferzando il viaggiatore che sa muoversi solo sfiorando la superficie: a cosa serve conoscere il mondo se ciò non ci porta a sondare la profondità, la vastità e le asperità dell’animo? Ebbene, quante volte potremmo, da camminatori umili ed attenti, ripercorrere gli stessi sentieri conoscendone quasi ogni sasso ma scoprendovi tuttavia sempre nuove emozioni e quante volte ci potremmo sentire sommersi, sopraffatti davanti ad amplissimi, e forse noti, ma sempre diversi orizzonti? Forse, alla fine, ciascuno si chiede il senso del viaggio compiuto (o dell’escursione, la durata non importa); forse molti, in esso, vanno cercando risposte ad antichi quesiti e forse qualcuno ne torna con una risposta. Quello che Andrea Carenza ci offre con la sua personale interpretazione è purtroppo molto vero: solo da “escursionisti maturi” si può cogliere quello che è l’essenza dell’andare per monti ... Ma rassegnarsi a questa realtà è riduttivo perché si spreca la parte “migliore, creativa, energica, vitale” della propria vita non vedendo, comprendendo e vivendo quello che poi sarà definito come il sale della vita stessa. Senza scomodare santi importanti, anche Messner ha scritto: “ ... salendo sui monti ci siamo smarriti. Quel che più di ogni altra cosa può servire è una maggior cultura, maggior conoscenza, maggiore coscienza ...” mettendo in evidenza come la società attuale abbia ormai altri valori: turismo di massa, folla, comodità, competizione sportiva, mettersi in mostra, ecc. Ma questo non vuole dire che i giovani non abbiano delle capacità. Per fortuna tutto il mondo fa salti tecnologici ed economici grazie al grande lavoro di studio e ricerca dei giovani. Non sarà che il difetto di questo imbarbarimento stia nella capacità di come passare il testimone? Siamo sicuri che solo i “maturi” sono capaci di vedere e cogliere? E cosa abbiamo fatto o stiamo facendo perché anche i giovani possano trovare giovamento dall’andare in escursione. Mi piacerebbe ricordare che per noi l’escursionismo è una forma di alpinismo! Quindi non rassegnamoci e diamo la possibilità ai giovani di essere protagonisti dell’escursionismo di oggi. Notturna al rifugio a cura di Lorenzo Breviglieri Giovedì, due giorni prima della ciaspolata notturna al Rifugio Tonini, vado in Sezione per fare le fotocopie dell’itinerario da seguire. Poco prima d’entrare incontro Giovanni, parliamo di alcune cose, insiste perché gli scriva un breve racconto della notturna: “ ... scrivi qualche cosa, qualche episodio particolare accaduto durante l’uscita o al Rifugio durante la cena, mandami qualche foto un po’ particolare di qualche partecipante ...” Restiamo così d’accordo e ci salutiamo. Fatte le fotocopie, tornando a casa, penso a cosa scrivere nell’articolo, magari sarà la solita ciaspolata, bella, divertente ma senza episodi particolari; e poi cosa dovrebbe succedere di strano?! Il sabato, alla partenza, il pullman ha alcuni posti liberi. L’itinerario è infatti stato modificato per la massiccia presenza di neve e l’inaccessibilità del Passo Redebus, chiuso per pericolo valanghe; il dislivello è raddoppiato e di conseguenza i tempi di percorrenza, ciò ha costretto gli organizzatori, Luca e Maurizio, ad anticipare di due ore la partenza; il meteo poi mette coperto, forse pioggia. Poco dopo le quindici iniziamo la salita a piedi lungo la forestale della Val Spruggio. Il percorso è stranamente pulito dal lavoro di una pala meccanica che presto superiamo per proseguire in costante salita. Dopo quarantacinque minuti circa sorgono dubbi sulla correttezza dell’itinerario; consultazioni della cartina e contatti via radio convincono che effettivamente siamo fuori strada, gli accompagnatori ordinano il dietro front. Il bivio da prendere è più in basso, proprio la dove il mezzo pesante si è fermato per lasciarci passare. Bene, gli 800 metri di dislivello da salire sono già aumentati. Mentre l’intero gruppo calza le ciaspole, con sorpresa ci raggiunge Franco, l’autista del pullman. Lui, salito in abbigliamento cittadino e ombrello come bastone è forse più sorpreso di noi e non esita a prenderci in giro: “ma come siete ancora qui?!” Siete partiti un’ora fa, ... quasi quasi vado più veloce io ...” Incassiamo gli sberleffi e partiamo stavolta sul sentiero giusto. In due ore e mezzo, quando ormai è buio, arriviamo al Rifugio Tonini dove il gestore Narciso, da sempre Ciso, ci accoglie con un pentolone di te caldo. In breve ci sistemiamo tutti a tavola per gustare la meritata cena che non tarda a iniziare con un bel piatto di minestra d’orzo e legumi. A un certo punto Elda esclama: “... non sta bene, non sta bene!” Alessio, che le è seduto a fianco sta per svenire; lo corichiamo sulla panca con le gambe sollevate e velocemente si riprende. Nel mentre interviene Matteo, medico, che gli sente il polso; probabilmente un po’ d’affaticamento dovuto alla salita, il caldo che fa all’interno del Rifugio ha giocato un brutto scherzo ad Alessio che si rialza un po’ provato. La sindrome dilaga e Matteo interviene anche su altri due del gruppo che accusano quasi gli stessi sintomi. Peccato, per i tre compagni d’escursione la serata è rovinata, non mangiano quasi nulla in attesa di riprendersi un po’ per affrontare la discesa. Ragazzi vi è andata bene, pensate che coincidenza avere un medico nel gruppo; per fortuna che vi siete ripresi da soli anche perché si diceva in giro che Matteo fosse un proctologo, immaginate se avesse dovuto intervenire come fa nel suo lavoro ... La cena riprende e prima del dolce c’è la sorpresa. La figlia del gestore e il ragazzo che da una mano in cucina si esibiscono con una fisarmonica, lei, una chitarra artigianale, lui. La ragazza, molto brava con la fisa è comunque superata dalla maestria del chitarrista; già perché la speciale chitarra è dotata di un campanello da bicicletta, una tromba a pompetta, alcuni piattelli sul manico, due campanelle pendenti e altre tre fisse da percuotere, e tutto ciò richiede orecchio e inventiva. Al posto delle corde poi c’è una lamiera con alcune nervature da grattare con un cucchiaio. Per ultima si unisce alla band la moglie del gestore, Hana, con un rudimentale strumento di legno dotato di diverse palette fissate soltanto da un lato che sbattute da una parte e dall’altra producevano un suono gracchiante e poi con un trombone. La tradizione si rinnova al Tonini, bello!! Tra canti, suonate e balli sono serviti il caffè e diverse grappe e troppo velocemente giunge l’ora del ritorno. Fuori ci attende un forte vento e la discesa di un paio d’ore. A metà percorso fa capolino un’inaspettata luna piena che va e viene coperta dal rapido passaggio delle nubi; con la sua luce è bello evitare l’utilizzo delle lampade frontali. Giovanni, avevi ragione, succede sempre qualche cosa di particolare che può essere raccontato. Vai con il CAI e non sbagli mai!! ( ... a parte il sentiero ... qualche volta ...). Escursionismo Invernale Franco l’autista ... Reparto Rianimazione La Band in azione Commissione Scientifica Vegetazione Vegetazione forestale alpina a cura di Giovanni Margheritini Le specie di alberi crescono in montagna a quote diverse, in funzione della loro maggiore o minore resistenza al freddo e alla neve. Sui versanti esposti a Sud gli alberi si spingono più in alto rispetto ai freddi versanti esposti a Nord. Il limite della vegetazione arborea è a 2.200 m di quota circa. L’altitudine rappresenta un fattore determinante che influenza la diffusione delle specie vegetali. Per offrire una lettura più razionale della vegetazione, l’altitudine di un rilievo viene suddivisa in piani (o fasce) che cingono il monte, il massiccio o la catena alpina, che presentano una vegetazione caratteristica: i piani latitudinali. In ogni orizzonte la vegetazione varia, oltre che per altitudine, anche in funzione di altri fattori fisico-climatici, quali la latitudine, l’esposizione, la distanza dal mare, l’orografia, il substrato geologico. Il piano altitudinale di vegetazione (detto anche fascia o orizzonte) è stato definito come “porzione dello spazio in un’area montuosa con simili condizioni bioclimatiche e che presenta pertanto le stesse potenzialità vegetazionali”. Ogni piano altitudinale esprime una vegetazione di riferimento, detta climax (stadio evolutivo finale della vegetazione di un certo ambiente, in cui la stessa raggiunge una definitiva condizione di equilibrio con suolo e clima). Non esiste un’unica successione dei piani latitudinali valida per tutte le nostre montagne: occorre distinguere tra le regioni interessate dalle glaciazioni e quelle non glaciale. Un buon tentativo di agganciare più da vicino la realtà di un determinato luogo allo studio della vegetazione presente è quello basato sul concetto di fascia altitudinale che cambia aspetto se si tratta di aree interessate dalle glaciazioni (dalla costa a tutto il Nord Italia) rispetto a quelle appenniniche e mediterranee dove manca del tutto la fascia nivale neanche nei punti più elevati del rilievo: ex ghiacciaio del Calderone sul Gran Sasso oggi solo nevaio. Vegetazione forestale alpina Deve però essere chiarito che la relazione individuata tra l’altitudine e le formazioni forestali presenti ha un valore relativo piuttosto che assoluto, infatti un “effetto massa” entra in gioco inducendo ad un generale abbassamento degli orizzonti man mano che ci si sposta longitudinalmente dalle più “continentali” Alpi Occidentali alle più “oceaniche” Alpi Orientali - Carniche e Giulie. Questo effetto si può leggere anche attraversando le Alpi perpendicolarmente al loro asse, in direzione nord-sud. Dalle catene alpine settentrionali - dove si fa sentire l’influenza dell’Atlantico con consistenti precipitazioni, distribuite durante tutto l’arco dell’anno, e una limitata escursione termica -, si passa attraverso le aride valli trasversali centroalpine - con precipitazioni concentrate in forma nevosa durante l’inverno e con forti escursioni termiche annue - raggiungendo le prealpi meridionali, dove le condizioni, di nuovo oceaniche, sono determinate dai venti di scirocco provenienti dall’Adriatico, tiepidi e carichi di umidità. Ancora più relativo se si pensa alle variazioni di latitudine. Se per esempio prendiamo il piano basale “livello del mare”: in Sicilia lo vediamo caratterizzato dalla boscaglia di Carrubo e Olivastro che diventa bosco di Farnia, Carpino Bianco e Frassino in Val Padana, che diventa faggeta nel sud della Svezia e addirittura taiga di Abete Rosso in Finlandia. Da qui la necessità di correlare la realtà italiana con quella euroasiatica e nord-americana sulla base dell’ossevazione che in tutto l’emisfero boreale i grandi biomi si susseguono secondo un gradiente essenzialmente termo- udometrico, dando luogo a formazioni vegetali analoghe che possono essere espresse - da sud verso nord o dal basso verso l’alto, che è lo stesso - secondo la sequenza: foresta pluviale; savana, steppa o prateria; bosco a latifoglie sempreverdi; foresta a latifoglie decidue; foreste ad aghifoglie sempreverdi; brughiera ad arbusti; vegetazione erbacea più o meno discontinua; ambiente nivale. Quello qui asserito è schematizzato nella figura qui a lato, ove le variazioni in latitudine - dall’Equatore al Polo Nord - sono correlate con quelle in altitudine - dal Livello del mare alle vette più elevate. Commissione Scientifica Vegetazione Distribuzione Altitudinale delle foreste lungo una sezione Nord-Sud dell’Arco Alpino. Distribuzione Altitudinale e latitudinale dei biomi dell’emisfero boreale. Commissione Scientifica Vegetazione Vegetazione forestale alpina a cura di Giovanni Margheritini Latifoglie e aghifoglie Come tutte le piante anche gli alberi di latifoglie (foglia larga) e quelli di aghifoglie (foglia stretta) sono organizzate in associazioni vegetali che diventano indicatori d’ambiente. Così sono descritte a livello topografico in base alla combinazioni di speci che vi si osservano determinano un particolare e caratteristico fattore ecologico. La lettura dell’ambiente montano risulta così facilitata con l’individuazione dell’associazione vegetale attraverso diversi parametri come appunto l’ambiente, la fascia altitudinale e soprattutto l’albero guida dal quale prende nome la stessa associazione. Questo insieme di caratteristiche determina inoltre il fattore ecologico, cioè l’ecosistema che si trova all’interno della associazione vegetale individuata sia in termini di aria, acqua, suolo, ecc. (geotopo) sia gli organismi viventi (comunità). L’associazione vegetale è quindi l’unità fondamentale e di significato ecologico molto particolare del sistema di classificazione fitosociologica della vegetazione. Associazione Vegetale Quadro di sintesi della Vegetazione forestale alpina. Albero Guida Ambiente Altitudine s.l.m. Cembreta Cembro (Pinus Cembra) Pianori rocciosi, rupi, pietraie d’alta quota, suolo esiguo 1600 - 2200 m Mugheta Pino Mugo (Pinus Mugo) Pendici dietritiche soleggiate, suolo calcareo 1500 - 2200 m Lariceto Larice (Larix Decidua) Versanti detritici o rocciosi, suolo povero e asciutto 1000 - 2200 m Pecceta Peccio o Abete Rosso (Picea Abies) Versanti alto-montani 1200 - 1900 m soleggiati o in ombra, suolo sciolto e acido Abetina Abete Bianco (Abies Alba) Versanti montani ad elvata umidità, suolo fresco e profondo 800 - 1600 m Pineta Pino Silvestre (Pinus Sylvestris) Versanti montani rocciosi, soleggiati e asciutti, suolo povero ed esiguo 800 - 1500 m Faggeta Faggio (Fagus Sylvatica) Versanti montani molto umidi e piovosi, suolo profondo 800 - 1500 m Pendii soleggiati e bassi versanti vallivi, suolo povero e arido 800 - 1000 m Orno-Ostrieto Carpino Nero Ostrya Carpinifolia) Riconoscere gli Alberi Guida a cura di Giada Luppi - agronoma (laureanda) Il Carpino Nero Albero rustico e frugale Commissione Scientifica Vegetazione Famiglia: Betulaceae Nome scientifico: Ostrya Carpinifolia Nelle zone collinari, prealpine e appenniniche di bassa e media montagna, di solito sotto la fascia Fioritura: vegetazionale delle faggete, è facile imbattersi in Aprile - Maggio questo albero rustico e frugale. Non si tratta certamente di una pianta maestosa; Habitat elettivo: di solito il Carpino Nero non supera i 20 metri, e Boschi termofili della fascia montana e non è molto longevo in quanto difficilmente arriva submontana. Specie a 150-200 anni. È però un albero elegante, con rustica, caratterizza tronco diritto, chioma raccolta e subsferica; la le formazioni forestali corteccia, liscia e rossastra da giovane, a maturità dell’orno- ostrieto si screpola in placche longitudinali e assume un (assieme all’Orniello) colore bruno-nerastro. Le foglie sono verde vivo, e dell’ostio - querceto di forma ovale, con apice acuminato, dai margi- (assieme alla Roverella e al Cerro). ni doppiamente seghettati. I fiori maschili sono raccolti in amenti penduli lunghi 5-10 cm, mentre quelli femminili si presentano in amenti terminali, brevi. Da questi fiori si formano i frutti (acheni) avvolti da una menbrana color avorio a maturità, a forma di vescica e, nell’insieme, compongono un’infruttescenza a cono, pendente. Il Carpino Nero è una specie mesofila, adatta però a vivere in condizioni di discreta aridità (ma al contrario non tollera il ristagno idrico), è capace di sopportare sia le gelate tardive che quelle precoci. È specie frugale, miglioratrice del suolo e per questo utilizzata nei rimboschimenti, rapida nel ricolonizzare le aree abbandonate dall’uomo. Convive spesso con la Roverella e l’Orniello; si accompagna, a seconda delle condizioni stagionali ad altre specie forestali come il Castagno, il Carpino Bianco, il Frassino, l’Acero di monte, il Faggio, il Pino silvestre e il Pino Nero. I boschi a prevalenza di Carpino Nero sono detti “ostrieti”, oppure “orno-ostrieti” dove “orno” deriva dal nome dell’Orniello (Fraxinus Ornus); per i boschi con elevata partecipazione di Carpino Nero e Roverella si parla di “ostrio-querceti”. Gli ostrieti più tipici, dalle caratteristiche termofile, sono adatti, soprattutto se intervallati da radure e aree prative, a molte specie di fauna. I boschi di Carpino Nero sono dei cedui dove ogni 20-30 anni le piante vengono tagliate al colletto per raccogliere la legna e ricacciano dei fusti (polloni) dalla ceppaia. Il Carpino Nero sopporta bene il taglio e ributta con grande vigore dando luogo a una massa di polloni che ben presto formano densi cespugli. La pratica della ceduazione ha favorito il Carpino Nero che, grazie alla sua elevata capacità pollonifera, tende a limitare la diffusione delle specie consociate. Il legno del Carpino Nero, ottimo come combustibile, attualmente trova impiego soprattutto come lrgna da ardere; un tempo era una delle specie principali da cui si ricavava il carbone. Il legno è duro e resistente e, come quello degli altri Carpini, è adatto a fabbricare oggetti e utensili di vario tipo che, purtroppo, oggi rimangono solo ricordi del duro lavoro artigianale di un tempo. Hanno detto di lui: Il duro dei duri è il carpino. Di carattere testardo, cresce storto, ossuto, inquieto e ramingo. È un solitario e ama fissare l’orizzonte. Non chiede nulla e di nulla ha bisogno. Anche quel sentimento chiamato amore rappresenta per lui un problema difficile. Quando brucia, il carpino non forma quasi braci. Come un uomo schivo e solitario, vuole scomparire nel nulla senza lasciare di sé la minima traccia. Mauro Corona - La voce del bosco Perchè la Terra è unica. a cura di Matteo Mantovani - geologo Commissione Scientifica Geologia Circa 4,6 miliardi di anni fa, una massa rotante di polveri e gas, presente nello spazio interstellare della nostra galassia, iniziò a contrarsi e a raffreddarsi. La porzione centrale originò il Protosole, mentre frammenti e anelli di polvere e gas, agglomerati tra loro, portarono alla formazione di pianeti, tra i quali la Terra. Da allora, assieme agli altri oggetti celesti che formano il sistema solare, la Terra ha continuato a ruotare intorno al Sole. Questi, a sua volta, trascina la Terra e gli altri componenti del sistema attorno al centro della nostra galassia mentre la grande spirale galattica che contiene il sistema solare si muove silenziosamente nell’universo. Sebbene i pianeti terrestri (Mercurio, Venere, Terra e Marte) abbiano molti caratteri in comune, essi uttavia differiscono notevolmente per quanto riguarda la composizione delle loro atmosfere, la morfologia e la costituzione della loro superficie e per la presenza o assenza di acqua e di forme di vita. Vista dallo spazio, la Terra presenta tonalità bianche e azzurre perchè è circondata da un’atmosfera gassosa, costituita principalmente da azoto, ossigeno, argon e vapore acqueo. Nessun altro pianeta del sistema solare ha una simile atmosfera. Soprattutto la presenza di acqua (nubi, neve, ghiacciai, oceani, laghi, fiumi, acque sotterranee) rende la Terra un pianeta diverso da tutti gli altri. I pianeti più lontani dal Sole sono troppo freddi per avere acqua liquida in superfice, quelli più vicini hanno temperature così elevate che l’acqua, se mai c’è stata, è evaporata miliardi di anni fa. Sulla Terra l’acqua ha permesso lo sviluppo della vita a noi conosciuta e la formazione di una biosfera costituita da innumerevoli specie, sia animali sia vegetali. Infine, un’altra caratteristica della Terra è la natura della sua superfice. La Terra è in larga parte coperta da un sottile e irregolare strato di materiali incoerenti, sciolti (ciottoli, sabbie, fanghi), formatisi a causa della degradazione atmosferica; si tratta del prodotto dell’alterazione chimica e della disgregazione meccanica delle rocce provocate dalla loro esposizione all’atmosfera, all’idrosfera e all’azione degli organismi. Questo rivestimento è chiamato “regolite” (dal greco rhegos = lenzuolo e lithos = roccia). I suoli, i fanghi delle valli fluviali, delle pianure e dei mari, la sabbia dei deserti e tutti gli altri materiali incoerenti che si trovano sulla superficie terrestre fanno parte della regolite. Anche gli altri pianeti e i vari corpi planetari aventi superfici rocciose hanno una regolite, ma di tutt’altra origine: in essi si è formato fondamentalmente a causa di innumerevoli impatti meteoritici. Il regolite terrestre, invece, si è formato da complesse interazioni di processi fisici, chimici e biologici, normalmente con l’intervento dell’acqua. In conclusione, che cosa fa della Terra un corpo celeste unico? Noi non conosciamo nessun altro pianeta dove la temperatura permetta all’acqua di esistere sulla sua superficie allo stato solido, liquido e gassoso. Non conosciamo nessun altro corpo celeste che abbia avuto condizioni tali da permettere il nascere e l’evolversi della vita come noi la intendiamo. Ci sono miliardi e miliardi di stelle nell’universo, perciò ci sono, inevitabilmente, miliardi di pianeti e certamente molti di questi pianeti potrebbero essere simili alla Terra e in grado di ospitare la vita. Tuttavia, se una civiltà relativamente progredita esiste da qualche parte nello spazio, a tutt’oggi non abbiamo sentito o avvertito alcun segnale della sua presenza. La prima immagine della Terra vista dallo spazio, ripresa dagli Astronauti dell’Apollo 17 il 7 dicembre 1972. Commissione Scientifica Geologia La Terra primordiale a cura di Matteo Mantovani - geologo Anche se i dati oggi a disposizione non sono ancora sufficienti per tracciare un La datazione radiometrica è uno dei metodi utilizzati per determinare l’età di un reperto antico. Essa si basa sul raffronto tra la quantità di un dato isotopo radiottivo e la quantità dei suoi prodotti di decadimento. Circa 4,5 miliardi di anni fa, un corpo delle dimensioni di Marte entrò in collisione con la Terra. Il gigantesco urto scagliò nello spazio uno sciame di frammenti sia della Terra sia del corpo impattante. Dall’aggregazione di gran parte dei frammenti si formò la Luna. Le rocce lunari risalenti a 4,47 miliardi di anni fa, portate sulla Terra dagli astronauti dell’Apollo, confermano l’ipotesi dell’impatto. quadro evolutivo certo e completo sull’origine del sistema solare, gli scienzati tentano comunque di ricostruire la genesi e l’evoluzione primordiale della Terra. Le rocce più antiche della Terra hanno 3,8 - 4,2 miliardi di anni e sono state ritrovate in diverse zone, quali la Groenlandia, il Labrador, lo Zimbawe e il Minnesota. Le datazioni radiometriche su meteoriti e rocce lunari ci propongono una età del sistema solare di 4,6 miliardi di anni. Ma cosa è successo in quei 600 - 700 milioni di anni che precedono la formazione delle prime rocce terrestri? La Terra si formò per agglomerazione disordinata di vari oggetti che colpivano la sua superficie. Si è concordi nel ritenere che la Luna sia nata da un impatto gigantesco. Secondo questa ipotesi la Terra sarebbe stata colpita da un corpo un po’ più grande di Marte, la cui parte più esterna fu sbalzata nello spazio e cominciò ad orbitare attorno alla Terra, diventando la Luna, mentre il nucleo si conficcava nel corpo terrestre. Una pioggia ininterrotta di planetismi continuò a colpire i vari corpi celesti fino a 3,8 miliardi di anni fa, distruggendo qualsiasi traccia di crosta primitiva sulla Terra e producendo le ben conosciute superfici butterate della Luna, di Mercurio, di Marte, fino ai satelliti più lontani di Urano. Un simile bombardamento si verificò anche sulla Terra e questa è la ragione per cui sul nostro pianeta non si conoscono rocce con più di 3,8 - 4,2 miliardi di anni: ogni eventuale roccia primitiva fu distrutta e fusa dai tremendi impatti. Diversamente da ciò che si osserva sulla Luna, sulla Terra le tracce di questi impatti sono state distrutte e cancellate da 3,8 miliardi di anni di eruzioni vulcaniche e formazione di montagne, oppure nascoste dalle acque oceaniche e dalle stesse coperture sedimentarie sia terrestri sia marine. La terra, che a causa dei numerosi impatti andava via via ingrossando, cominciò subito a surriscaldarsi a causa di tre differenti fenomeni: 1. A ogni impatto di planetismi sulla superficie terrestre, la loro energia cinetica si trasformava in energia termica; questa in parte veniva dissipata nello spazio, ma in gran parte veniva trattenuta. 2. L’aumento della pressione a cui erano soggette le parti interne del pianeta, a causa dell’enorme peso dei materiali che si andavano via via accumulando nelle parti esterne, provocava un considerevole incremento del calore. E data la scarsa conduttività delle rocce, la dispersione verso l’esterno di tale calore era quanto mai difficile. 3. La radioattività di elementi quali uranio, torio, ecc., la cui abbondanza era circa quindici volte maggiore rispetto a oggi, faceva si che le particelle atomiche emesse venissero assorbite dai materiali circostanti e la loro energia cinetica trasformata in calore. In conclusione, accrescimento per impatti, compressione gravitativa e disintegrazione di elementi radioattivi sono i tre processi che avrebbero prodotto l’iniziale surriscaldamento interno della Terra. Si è calcolato che questi processi possano aver portato la temperatura interna del nuovo pianeta sopra a 1.000°C. A causa della continua disintegrazione radioattiva, la temperatura interna iniziale andò continuamente aumentando, arrivando in un periodo stimato tra 300 milioni e 1 miliardo di anni dall’agglomerazione iniziale della Terra, a temperature di fusione del ferro a una profondità di 400 - 800 chilometri. Una volta iniziata la fusione, il ferro, a causa della sua elevata densità, cominciò a sprofondare verso il centro della terra sotto forma di grandi gocce, spostando i materiali più leggeri che vi si trovavano. È questa la “catastrofe del ferro” e la sua evoluzione Commissione Scientifica Geologia La formazione di un nucleo liquido fu un evento fondamentale nell’evoluzione terrestre: si liberarono altre enormi quantità di energia gravitazionale che a loro volta si convertirono in calore. Si verificò un ulteriore aumento termico di circa 2.000°C e si giunse così alla fusione di larga parte del pianeta. Quando, circa 4 miliardi di anni fa, cominciò a fondere il ferro, la Terra subì una profonda riorganizzazione interna che la trasformò da un corpo omogeneo in corpo stratificato. Infatti, trovandosi una gran parte del pianeta allo stato fuso, si innescò una sorta di differenziazione gravitativa: mentre un terzo della primordiale massa della Terra si addensava al centro a costruire il nucleo a base di ferro, i materiali più leggeri migravano verso l’esterno, raffreddandosi e formando la crosta primitiva. La parte restante, situata tra il nucleo e la crosta e avente caratteri fisico-chimici intermedi, è denominata mantello. Zonazione chimica della Terra Circa il 90% della Terra è costituito da quattro elementi: ferro, ossigeno, silicio e magnesio. Ma poiché il ferro si condensò al centro per differenziazione gravitativa, nella crosta questo elemento risilta piuttosto carente. Al contrario, silicio, alluminio, calcio, potassio e sodio si spostarono verso l’esterno, aumentando considerevolmente la loro concentrazione nella crosta. Va tuttavia osservato che la differenziazione gravitativa dei vari elementi non fu governata dal loro peso specifico. La maggior parte di essi formò infatti dei composti minerali, e furono le proprietà fisiche e chimiche ( punto di fusione, densità, affinità chimica) di questi composti a determinare la loro distribuzione verticale. I felspati, i minerali più comuni nella crosta terrestre, iniziano a fondere a temperature di 700 - 1.000°C e una volta fusi sono relativamente leggeri. Minerali di questo tipo, fondendo prima degli altri, poterono migrare verso la superficie e accumularsi sulla crosta. Nel mantello, situato tra crosta e nucleo, vennero invece immagazzinati i silicati di ferro e magnesio (olivina e pirosseni) che fondono a temperature più elevate e sono più pesanti dei feldspati. Finirono probabilmente nel nucleo elementi pesanti quali oro e platino, che hanno poca affinità con ossigeno e silicio. Altri elementi pure pesanti, quali uranio e torio, i quali hanno però forte tendenza a formare ossidi e silicati, che sono leggeri, si accumularono invece in quantità rilevante nella crosta. Una conseguenza molto importante della zonazione chimica della Terra è che, essendosi concentrati nel guscio esterno i più importanti minerali radioattivi, l’aumento della temperatura interna diminuì considerevolmente poichè il calore radioattivo poteva essere facilmente dissipato nell’atmosfera. Inoltre, quando l’interno della Terra divenne così caldo da fondere, un nuovo e più efficiente meccanismo si incaricò di trasferire il calore verso la superficie: la convenzione (stesso principio dell’acqua della pasta). Il calore fu così dissipato più facilmente e la Terra poté raffreddarsi in tempi relativamente brevi. continua nel prossimo numero La differenziazione avvenuta nella Terra primordiale ha prodotto un pianeta costituito da tre livelli concentrici: nucleo, mantello e crosta. Abbondanza relativa (in peso %) degli elementi dell’intera Terra a confronto con quelli degli elementi della crosta terrestre. Le rocce della Commissione Scientifica Geologia a cura di Matteo Mantovani - geologo Una roccia è un aggregato solido e compatto di uno o più minerali che si trova Una roccia è un aggregato di uno o più minerali. La figura mostra il granito, una roccia formata da: quarzo, ortoclasio e mica (da sinistra a destra) I principali tipi di rocce e la loro % in volume nella crosta terrestre. Come si vede, le rocce magmatiche (intrusive ed effusive) costituiscono circa il 65% della crosta terrestre. Ma occorre ricordare che le rocce sedimentarie coprono quasi l’80% della superficie della Terra. Alcune rocce magmatiche intrusive GRANITO in natura. Come con mattoni identici si possono costruire edifici con architetture assai diverse, allo stesso modo i vari minerali possono essere associati a formare un grande numero di differenti rocce. La composizione mineralogica di una roccia dipende dal processo che ha portato alla sua genesi e poiché si distinguono tre differenti processi, uno magmatico, uno sedimentario e uno metamorfico, su questa base è possibile dividere le rocce in tre grandi gruppi: - le rocce magmatiche - le rocce sedimentarie - le rocce metamorfiche Tra tutte queste, le rocce magmatiche sono di gran lunga le più abbondanti nella crosta terrestre, circa il 65% del totale, anche se le più “visibili” sono le rocce sedimentarie in quanto coprono circa l’80% della superficie della Terra. Le rocce magmatiche derivano dalla solidificazione di un magma. Il magma è una massa di minerali allo stato fuso, spesso contenente in soluzione anche sostanze allo stato aeriforme. La composizione del magma può avere una notevole variabilità e la sua cristalizzazione è un processo graduale che avviene con l’abbassarsi della temperatura. La formazione di rocce per solidificazione del magma fluido si chiama “processo magmatico”. Le rocce che hanno avuto origine da questo processo sono dette rocce magmatiche o ignee (dal latino ignis = fuoco). Il processo magmatico, che diede origine in tempi remoti alla crosta terrestre, avviene anche attualmente, per esempio nel corso delle eruzioni vulcaniche. Le caratteristiche del processo di raffreddamento del magma hanno grande importanza ai fini della classificazione delle rocce magmatiche. Rocce magmatiche intrusive Un processo lento e graduale porta alla formazione di rocce con struttura cristallina ben definita. Questi processi di lento raffreddamento avvengono all’interno della crosta terrestre. Ammassi occiosi formatisi in profondità per solidificazione del magma sono chiamati “plutoni”. Tali ammassi sono circondati da rocce di altro tipo, le cosidette “rocce incassanti”. I fenomeni erosivi che si attuano in superficie possono asportare le rocce incassanti e mettere a nudo i corpi intrusivi. Molto spesso la messa a nudo delle rocce intrusive è causata dal sollevamento delle montagne. Infatti, quando si formano le catene montuase, sono sollevati anche settori profondi della crosta. I plutoni di maggiori dimensioni sono chiamati batoliti e formano l’ossatura dei continenti e si trovano nel cuore delle grandi catene montuose. DIORITE GABBRO PERIDOTITE crosta terrestre Commissione Scientifica Geologia Rocce magmatiche effusive Un processo di raffreddamento del magma che avviene in superficie è caratterizzato da un improvviso abbassamento della temperatura. I gas magmatici si disperdono velocemente nell’atmosfera e il passaggio allo stato solido si verifica bruscamente. I cristalli che si formano sono piccoli (microcristalli). Se il processo è particolarmente veloce, le particelle rimangono disposte disordinatamente come nello stato fluido; in questo caso non si ha formazione cristallina: si dice che la roccia è vetrosa o amorfa. RIOLITE ANDESITE BASALTO Alcune rocce magmatiche effusive OSSIDIANA Rocce sedimentarie Tutte le rocce superficiali subiscono un lento, ma continuo, processo di disgregazione, il cui risultato finale è la produzione di frammenti. Questi detriti vengono presi in carico dal vento, dalle acque dilavanti, dai fiumi fino a raggiungere luoghi di accumulo (pianure, coste, fondi marini) dove si depositano dando origine ai sedimenti. Il continuo apporto di materiale provoca l’ispessimento di questi depositi in cui gli strati inferiori si trovano sottoposti alla pressione esercitata da quelli sovrastanti, più recenti. In queste condizioni i sedimenti sciolti vanno incontro a un lento processo di compattazione e cementazione, noto come “diagenesi” che, per riduzione degli spazi vuoti occupati da acqua o aria, conclude il processo sedimentario e li trasforma in rocce sedimentarie. Queste possono anche derivare dall’accumulo di frammenti di scheletri di organismi o per precipitazione chimica di sostanze insolubili. ARENARIA BRECCIA CALCARE Rocce metamorfiche Le rocce superficiali, siano esse magmatiche o sedimentarie, a causa di imponenti movimenti crostali, possono essere trasportate in profondità, dove incontrano temperature e pressioni molto più elevate di quelle in cui si sono originate. Le rocce stabili in superficie diventano instabili al variare delle condizioni fisiche. Il “metamorfismo” consiste nella trasformazione della struttura cristallina a causa dell’aumento della temperatura o della pressione, o di entrambe. Le rocce che subiscono il metamorfismo sono chiamate rocce metamorfiche. Queste costituiscono generalmente la parte più profonda dei continenti e le zone centrali di molte catene montuose. Il processo metamorfico determina nelle rocce cambiamenti anche profondi della struttura e della composizione mineralogica: le rocce rimangono comunque sempre allo stato solido. SCISTO GNEISS MARMO Alcune rocce sedimentarie DOLOMIA Alcune rocce metamorfiche ARDESIA La lepre bianca a cura di Alessandro Vezzani Commissione Scientifica Fauna Poche volte si leggono notizie che riguardano i piccoli animali che popolano le nostre montagne. Tutti vogliono avere notizie sui lupi, sugli orsi, su stambecchi, cervi e camosci. Ma la lepre, la lontra, il furetto, l’ermellino, l’arvicola, ecc. perchè non fanno notizia? Alcuni di questi animali interessano solo una categoria: i cacciatori, purtroppo!. Per questo vogliamo dare spazio alla conoscenza di questi piccoli animali che spesso s’incontrano durante le nostre escursioni. La Lepre Bianca o lepre alpina o ancora lepre variabile (Lepus Timidus) è un mammifero lagomorfo della famiglia dei Leporidi. È un tipico abitatore della catena delle Alpi, nella zona compresa tra i 1000 e i 3000 metri. Ha forme meno slanciate della lepre comune e soprattutto orecchie e coda più corte. La pelliccia è per contro più folta e varia, per mimetizzarsi a seconda delle stagioni. In estate il colore dominante risulta un miscuglio di bruno-grigiastro brizzolato; le orecchie hanno punta e parte dell’orlo nere. In inverno il colore diventa bianco e grigio pallido, con l’estremità delle orecchie sempre nere. La lunghezza varia da 46 a 60 cm, più 4-6 cm di coda, per un peso di 1,5 - 2,8 Kg. Le zampe posteriori sono più lunghe di quelle anteriri con i piedi ricoperti da folto pelo adatte a procedere nella neve. Non scava tane, ma vive in piccole grotte, in spazi compresi tra un masso ed un altro o in altre cavità naturali che l’ambiente offre. Da maggio ad agosto la femmina dà alla luce 2-5 piccoli. Come la lepre comune vive da 10 a 12 anni. Si ciba soprattutto delle erbe più tenere e fiorite. Sopporta bene il rigido clima d’alta montagna, lasciandosi coprire dalla neve. Durante il giorno si tiene nascosta; al tramonto e per tutta la notte esce all’aperto in cerca di cibo. In estate vive al di sopra del limite della vegetazione arborea, fra i pascoli cosparsi di massi, pietraie e cespugli contorti (rododendri, mirtilli, ontani verdi), mentre in inverno scende nei boschi, dove trova un maggior numero di rifugi e possibilità di nutrimento. temente notturne e si nutre sia di arbusti che di erbe. In inverno mangia anche le cortecce di giovani piante. La lepre bianca manifesta una tendenza alla riduzione del proprio areale di distribuzione e le popolazioni sono in forte contrazione su tutto l’arco alpino con esclusione delle aree adibite a Parco, in cui l’azione dell’uomo come predatore è ridotta al minimo. Ci sono in corso alcuni studi per la salvaguardia di questa specie. E visto che parliamo di Lepre, ricordiamoci della favola di Esopo e che ognono ne tragga la propria morale: “Un giorno una lepre e una tartaruga decisero di fare una gara di corsa. La lepre pregustava già la vittoria, così dopo essere partita ed aver distanziato la tartaruga di parecchi metri, decise di fermarsi a riposare perché tanto sapeva di essere in vantaggio e che la tartaruga non l’avrebbe mai raggiunta. Perciò si addormentò e dormì per parecchie ore. Intanto la tartaruga, piano piano, la raggiunse, la vide appisolata e continuò lentamente nel suo cammino. La lepre si svegliò e, pensando che la tartaruga fosse ancora indietro, corse verso l’arrivo. Ma quando vi giunse, la tartaruga era già arrivata, vincendo la gara”. Alcune foto di Lepre bianca in corsa e sue orme sulla neve Fiori d’inverno? Commissione Scientifica Flora Storiella tratta dal libro “La Montagna Fantastica” edito dalla Sezione CAI di Mirano (VE) a cura a di cura Alessandro di Luigi Zamboni Vezzani C’è un bel fiore che nasce e cresce quando la neve si scioglie. I contadini lo chiamano “il bicchiere della Madonna”, perché si dice che un giorno di febbraio Gesù Bambino aveva sete così la Madonna andò alla fontana ma la trovò gelata e disse: “ Come farò a dare l’acqua al mio bambino?”. La terra, udendo le sue parole, fece spuntare dalla neve un bel fiore bianco, dal quale la Madonna prese l’acqua per dissetare Gesù. Questo fiore, spuntato dalla neve quasi per miracolo, si chiama “Bucaneve”. Ma veramente in montagna, d’inverno, si possono trovare dei fiori? Eppure c’è chi ci crede tanto d’andare in giro per trovarli e fotografarli. Mi ricordo, anni fa, quando alcuni amici, meno pigri di me, una domenica mattina mi proposero d’accompagnarli a fare una “narcisata”. Chissa cos’è? pensai sul momento. Dopo un’ora di cammino, arrivammo in cima al Musiné e, credetemi, sembrava un’altro mondo tutto colorato da bellissimi e orgogliosi fiori. Ma... cosa sono?, domandai. Ma insomma, sei proprio gnugnu..., sono i Narcisi!, fu la risposta. Anemone bianca (Anemone nemerosa L.) Pianta di 10 - 25 cm con foglie picciolate e lobi profondamente divisi (da 2 a 5). Fiori solitari larghi 2 - 4 cm. Vive in boschi decidui di conifere e in prati di montagna Fiorisce tra Marzo e Aprile Bucaneve (Galanthus nivalis L.) Pianta di 10 - 20 cm con 2 foglie basali carnose, larghe 5 - 8mm. E’ presente un solo fiore pendulo formato da 3 petali. Pianta protetta Vive in boschi umidi, boschi misti decidui e umidi, lungo i ruscelli Fiorisce tra Febbraio e Marzo Campanella Comune (Leucojum vernum L.) Pianta di 10 - 30 cm con foglie lineari, larghe 1 cm di colore verde pallido. Fiori 1 o 2 penduli, campanulati, bianchi con margine giallo-verde. Pianta Velenosa Vive in boschi umidi, sui prati e argini dei corsi d’acqua Fiorisce tra Febbraio e Aprile Crocus (Crocus vernus L.) Pianta di 8 -15cm con bulbo sotterraneo, foglie radicali quasi lineari con venatura bianca. Fiori bianchi, viola o striati. Vive su prati montani e pascoli fino a 2800 m Fiorisce tra Marzo e Aprile ... eccone alcuni! Commissione Scientifica Flora Narciso trombone (Narcissus Preudunarcissus L.) Pianta di 15 - 40 cm. Le foglie sono radicali, lineari, larghe e carnose. Fiori di 5 - 10 cm di diametro con 6 petali uniti inferiormente in un tubo; di colore giallo; corona a forma di tromba. Vive in boschi umidi, pascoli non calcarei con tappeto erboso. Pianta Velenosa Fiorisce tra Febbraio e Aprile Dente di cane (Erythronium dens-canis L.) Pianta di 10 - 25 cm, fusto con 2 foglie ovali, opposte e di colore verde scurso con maculatura brunastra. Fiori penduli di 6 petali ricurvi, di colore da rosa a rosso-violetto. Vive al margine dei boschi e su prati montani Fiorisce tra Febbraio e Aprile Elleboro puzzolente (Helleborus foetidus L.) Pianta di 30 - 60 cm, foglie sempreverdi, palmate con 3 - 9 lobi. Fiori campanulati di colore verdastro, rossastri sui margini con odore sgradevole. Pianta Velenosa Fiorisce tra Febbraio e Aprile Elleboro bianco (Helleborus niger L.) Pianta di 10 - 30cm. Foglie che permangono durante l’inverno con 7 - 9 lobi e segmenti seghettati solo verso l’apice. Stelo con un fiore di 5 -10 cm di diametro, di colore bianco o rosa e successivamente virano al verde. Vive in boschi misti decidui e pinete Fiorisce tra Gennaio e Aprile Dafne mezereo (Daphne mezereum L.) Cespuglio di 30 -150 cm con fioritura che precede la comparsa delle foglielanceolate, lunghe 5-12cm, di colore blu-verde. Fiori rosa profumati con 4 petali in gruppi di 1-3 alle ascelle fogliari delle foglie cadute l’anno precedente Pianta Velenosa Vive in boschi misti decidui, pendii sassosi, comunità di cespugli. Fiorisce tra Marzo e Aprile Ce ne sono molti altri di fiori che nascono e crescono durante i mesi invernali. Per vederli bisogna andare. Si, il prossimo inverno organizzeremo alcune uscite proprio per andare a vedere e fotografare i fiori invernali. “Una narcisata, insomma...”. Cosa ne dite? ... vi interessa? ... Le avventure continuano... Attività di Marzo Domenica 02 Ciaspolata in Val Ciamin Giovedì 06 Gruppo “SenzaEtà” - Firenze e la sua Montagna Venerdì 14 Serata Sociale - Presentazione Attività Estive Venerdì 14 Presentazione Corso “Primi Passi” per bambini/e nati tra il 2001 e 2008 Domenica 16 Gruppo Junior GAM - Il Gioco dell’arrampicata Martedì 18 Gruppo “SenzaEtà” - Monte Castello Sab/Dom 22/23 Ciaspolata al Rifugio Pizzini Domenica 23 Equinozio di Primavera - Sentiero Naturalistico Colli Euganei Venerdì 28 Serata Sociale - Assemblea dei Soci - Elezioni Consiglio Direttivo Sabato 29 Avvio Corso Escursionismo Avanzato 2014 Attività di Aprile Giovedì 03 Gruppo “SenzaEtà” - Sulle orme dei Dinosauri - Rovereto Domenica 06 Gruppo Junior GAM - Saline di Cervia e Casa delle Farfalle Venerdì 11 Serata Sociale - Chiusura Attività Invernali Domenica 13 Apertura programma Escursionistico Domenicale: Malga Cislon nel Parco del Monte Corno Giovedì 17 Gruppo “SenzaEtà” - Monte Tomba nel Grappa e Tempio Canova ... e nel prossimo numero BiblioCai & CineCai - Nuovi libri e Cinema - Le segnalazioni - Il Racconto Sci di Fondo - La storia di questo sport Alpinismo Gruppo SenzaEtà - Continuano le avventure di questi indiavolati ... - La sicurezza in montagna - Nuovi racconti... - Storia dell’Alpinismo: seconda parte La Storia della Terra - La Terra primordiale .... - La Terra: una macchina termica - La nascita delle catene montuose Escursionismo - Le avventure in Val Ciamin e sullo Zebrù sempre con le racchette ai piedi - Nuovi racconti .... ... e ancora: alberi, fiori, fauna, ambiente e il secondo inserto dei ragazzi ...
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