IV domenica di Avvento B 2 Sam 7,1-5.8b-12.14a.16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38 Prima Lettura 2 Sam 7, 1-5.8b-12.14a.16 Il regno di Davide sarà saldo per sempre Dal secondo libro di Samuèle. Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». Beato Angelico, Annunciazione, 1430 circa (Madrid) Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”». Seconda Lettura Rm 16, 25-27 Il mistero avvolto nel silenzio per secoli, ora è manifestato. Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani. Fratelli, a colui che ha il potere di confermarvi nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen. Vangelo Lc 1, 26-38 Dal vangelo secondo Luca In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei. 1 La prima lettura (2 Sam 7,1-5.8b-12.14a.16) riprende la celebre profezia di nätän (abbreviazione di Netanyahu, «Dio dà») sul regno di Davide. I due libri di šümû´ël «Samuele» riportati nella nostra Bibbia, nella Bibbia ebraica sono considerati uno solo e viene annoverato tra i Neviìm Rishonim «Profeti anteriori», insieme a quelli di yühôšùª`, yühôšùª`, Yehoshúa «Giosuè», dei šö|p†îm Shoftim «Giudici» e dei müläkîm, Melachim «Re». Nella Bibbia greca dei LXX questi ultimi costituiscono i primi due libri dei quattro ΒΑΣΙΛΕΙΩΝ «Regni» (Basileiõn A'B'). Il periodo storico abbracciato dai Libri di Samuele va dal tempo in cui era attivo il santuario di Silo, prima della vittoria dei filistei ad Afek verso il 1050, alla morte di Davide verso il 970 a.C. Da 2Sam 2 a 1Re 2,11 troviamo la storia del regno di Davide, che apre il periodo aureo della monarchia del figlio Salomone. Il tempo della monarchia in Israele durerà circa 440 anni. Dopo l'esilio, verso la fine del secolo IV e prima del regno di Alessandro Magno (336-323 a.C.), tutta la storia di Israele, specialmente quella della monarchia davidica, sarà teologicamente riletta, completata e liberamente raccontata, con particolare attenzione al culto, dall'Autore dei due libri delle Cronache e dei libri di Esdra e Neemia. I quattro libri dovevano far parte di un unico insieme appartenente probabilmente a un solo autore, il Cronista, forse un levita che può aver scritto verso il 330 a.C. Il primo e il secondo libro delle Cronache (ebr. Devare ha-Yamim = Atti-Parole dei Giorni; gr. ΠΑΡΑΛΕΙΠΟΜΕΝΩΝ, Paralipòmeni «cose tralasciate o trasmesse a parte, supplementi») si susseguono senza interruzione. Essi formavano in origine un solo libro, come forse anche Esdra e Neemia. Le Cronache riportano in gran parte tutta una serie di documenti preesistenti, oggi perduti, che vengono accuratamente citati. Esse forniscono dei «complementi» preziosi a ciò che conosciamo specialmente dai libri di Samuele e dei Re. La storia del regno di Davide e della sua famiglia, specialmente in 2Sam 9-20, non è la vita di un «santo», ma ha il vantaggio di essere un racconto storico. È la storia di un re secondo il cuore di Dio che ha riposto il suo cuore in Lui: «Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri» (At 13,22; cf 1Sam 13,14; Sal 89,21; Is 44,28). La personalità di Davide è ricca, anche di difetti. Egli è un uomo abile, leale, che sa badare a sé, è umile, intercede ed espia per il suo popolo. Sa ingannare i nemici, ma non ingannerà mai gli amici. Davide diventerà il testimone delle grandi imprese di Dio. 2 Sam 7,1: Il re, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, (wayühî Kî-yäšab hammeºlek Bübêtô wyhwh(wa´dönäy) hënî|ªH-lô missäbîb miKKol-´öybäyw), - Il re, quando si fu stabilito nella sua casa (wayühî wayühî KîKî-yäšab hammeºlek Bübêtô, Bübêtô lett. «E fu quando abitò il re in casa sua»). Il termine bêt «casa» è il motivo dominante di tutto il brano, nei suoi molteplici significati di «abitazione, tempio, famiglia, dinastia». - e il Signore gli ebbe dato riposo (wyhwh(wa´dönäy) wyhwh(wa´dönäy) hënî|ªHH-lô, lett. «e il Signore fece riposare lui»). L'episodio si colloca perciò dopo le guerre e le vittorie di David raccontate nei capitoli 8 e 10. Dopo aver conquistato Gerusalemme con uno stratagemma, Davide la dichiarò subito capitale del regno, facendo costruire una reggia per il re in legno di cedro del Libano. Quindi per promuovere ulteriormente la città e renderla l'unico centro religioso, ideò di fare costruire un Tempio che accogliesse l'arca dell'alleanza. Qui subentra la profezia di Natan. 7,2-3: disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». 3Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te» (wayyöº´mer hammeºlek ´el-nätän hannäbî´ rü´Ë nä´ ´änökî yôšëb Bübêt ´áräzîm wa|´árôn hä|´élöhîm yöšëb Bütôk hayürî`. 3wayyöº´mer nätän ´el-hammeºlek Köl ´ášer Bi|lbäbkä lëk `áSË Kî yhwh(´ädönäy) `immäk). - disse al profeta Natan (wayyöº wayyöº´mer hammeºlek ´el´el-nätän hannäbî´ lett. «disse il re a Natan il profeta»). Natan è il profeta-consigliere di David, annunziatore della promessa messianica, guida e correttore della condotta del re (12,1ss). - io abito in una casa di cedro (´änökî ´änökî yôšëb Bübêt ´áräzîm, lett. «io abitante in casa di cedri»). Si intende costruzione di lusso, fatta con legno di cedro importato dal Libano (5,11). - Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo (Köl Köl ´ášer Bi|lbäbkä lëk lëk `áSË, lett. «tutto ciò che in cuor tuo, va' fa'»). L'espressione ebraica significa: «fa' quanto hai in mente». 2 - perché il Signore è con te (Kî Kî yhwh(´ädönäy) `immäk). `immäk Questa frase non è mai rivolta a uomini qualunque, ma solo a coloro che hanno un destino e una missione da Dio. Il Dio di Israele è il Dio dell'Esodo, è un Dio itinerante, nomade, dinamico. Mai nessuno potrà considerarlo un proprio possesso. Il conforto di Davide deriva dalla certezza che «il Signore è con te». La stessa rassicurazione offrirà Gabriele a Maria (Lc 1,28). 7,4-5: Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: 5«Va’ e di’ al mio servo Davide: Così dice il Signore: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? (wayühî Ballaºylâ hahû´ wa|yühî Dübar-yhwh(´ädönäy) ´el-nätän lë´mör 5lëk wü´ä|marTä ´el-`abDî ´elDäwìd Kò ´ämar yhwh(´ädönäy) ha´aTTâ Tibnè-llî baºyit lüšibTî). - Così dice il Signore (Kò Kò ´ämar yhwh(´ädönäy). yhwh(´ädönäy Espressione tipica che introduce annunzi profetici (1Sm 2,17; 10,18; 15,2). - tu mi costruirai una casa (Tibnè TibnèTibnè-llî baºyit). it Versetto centrale del messaggio. A questa domanda il profeta risponde: «Il Signore farà a te una casa» (v. 11). Perché Dio non vuole che Davide gli costruisca una casa? Davide ha versato troppo sangue, anche se con l'approvazione di Dio. E Dio ne soffre. Davide non è degno di costruire la casa di Dio, ma nemmeno Dio è pronto a fermarsi in un luogo. È ancora in cammino: solo una tenda che si smonta e si sposta può fargli da casa. 7,8b: Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele (´ánî lüqaHTîºkä min-hannäwè më´aHar haccö´n li|hyôt nägîd `al-`ammî `al-yiSrä´ël). - Io ti ho preso dal pascolo (´ánî ´ánî lüqaHTîºkä minmin-hannäwè). hannäwè Come è detto di Mosè. 7,9: Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra (wä´ehyè `immükä Büköl ´ášer hälaºkTä wä´akrìºtâ ´et-Kol-´öybʺkä miPPänʺkä wü`äSìºtî| lükä šëm Gädôl Küšëm haGGüdölîm ´ášer Bä´äºrec). - renderò il tuo nome grande (wü`äSìº wü`äSìºtî| lükä šëm Gädôl). Gädôl Questa asserzione ha molteplici significati. Colui che impone il nome si dimostra signore del chiamato (5,9; 12,28; Gn 2,19-20; 2Re 23,34); poiché è Dio che dà il nome, ciò significa che Davide ha un avvenire nel piano divino, partecipa della sua grandezza (Lc 1,28; Mt 1,21; 16,18-19), è beneficiario di una gloria ineguagliabile: il suo destino non si esaurisce nel breve arco della propria vita, ma sopravvive dopo la morte (Gn 12,2). Il presente annuncio dunque, pur riferendosi direttamente al trono e al regno di David, trascende la sua persona e la sua vita mortale (v. 16). A un uomo fedele, Dio confessa la sua fedeltà. 7,10: Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato (wüSamTî mäqôm lü`ammî lüyiSrä´ël ûnü†a`Tîw wüšäkan TaHTäyw wülö´ yirGaz `ôd wülö|´-yösîºpû bünê|-`awlâ lü`annôtô Ka´ášer Bäri´šônâ). - Fisserò un luogo per Israele, mio popolo (wüSamTî wüSamTî mäqôm lü`ammî lüyiSrä´ël). lüyiSrä´ël Il mäqôm, mäqôm, «Luogo» in cui Israele si riconosce è Dio stesso. 7,11: e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa (ûlümin-hayyôm ´ášer ciwwîºtî šö|p†îm `al-`ammî yiSrä´ël wahánîHöºtî lükä miKKol-´öybʺkä wühiGGîd lükä yhwh(´ädönäy) Kî-baºyit ya`áSè-llükä yhwh(´ädönäy). - Il Signore ti annuncia che farà a te una casa (wühiGGîd wühiGGîd lükä yhwh(´ädönäy) Kî Kî-baºyit ya`áSèya`áSè-llükä yhwh(´ädönäy). yhwh(´ädönäy Il termine baºyit «casa» qui è usato in senso estensivo: casa, tempio, famiglia, discendenza, casa regnante. Nella preghiera con cui risponde alla profezia di Natan (7,18-29), Davide si riconosce ripetutamente come `abDükä, `abDükä, «il tuo servo». Non lui farà un regalo al Signore, ma il Signore gli farà un dono. 7,12: Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno (Kî yimlü´û yämʺkä wüšä|kabTä ´et-´ábötʺkä waháqîmötî ´e|t-zar`ákä ´aHárʺkä ´ášer yëcë´ mimmë`ʺkä wahákînötî ´et-mamlakTô). 3 - io susciterò un tuo discendente (waháqîmötî waháqîmötî ´e|t-zar`ákä). zar`ákä La promessa si apre alla prospettiva di un discendente (zar'a), da cui prende avvio l'interpretazione escatologica. 7,14a: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio (´ánî ´ehyè-llô lü´äb wühû´ yihyè-llî lübën). - Io sarò per lui padre (´ánî ´ánî ´ehyè´ehyè-llô lü´äb). lü´äb La formula dell'alleanza tra Dio e il popolo è applicata al discendente di David per sancire con lui «un'alleanza eterna» (23,5). Alcuni salmi si rifanno a questa promessa per proclamare il messianismo regale (cf Sal 2,7; 109,3 LXX). Il vocabolario paterno-filiale, proprio del tempo dell'Esodo viene ora a designare un rapporto di speciale intimità tra Adonay e David e la sua discendenza. Nel NT la figura del re come figlio di Dio viene applicato al Figlio unico generato da Dio: Gesù (Eb 1,5). 7,16: La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”» (wüne´man Bêtkä ûma|mlakTükä `ad-`ôläm lüpänʺkä Ki|s´ákä yihyè näkôn `ad-`ôläm). L'insistenza sulla stabilità e l'eternità del regno davidico verrà ripresa dall'angelo Gabriele che appare a Maria (Lc 1,32s). Il personaggio di Davide nella narrazione biblica diventa ciclo letterario, come sarà per Mosè di cui si parla da Es 2 fino a Dt 34. Di Davide si parla da 1Sam 16 fino a 2Re 2. Non si tratta di un testo di propaganda, volto a legittimare una dinastia, si tratta invece di un testo «profetico», che svela la presenza di Dio, il vero salvatore, in una storia di debolezze, di gelosie e violenze. Strumento di Dio, suo servo, Davide non cesserà mai di sentirsi nelle mani di colui che, solo, decide l'esito di ogni battaglia (Sal 44,5) e il successo di ogni esistenza. Per questo è il vero re di Israele, vero liberatore. Il merito principale di Davide è di aver portato a compimento la storia delle origini, che era come rimasta in sospeso a motivo della perdurante ostilità dei residenti nel paese di Canaan. Con il figlio di Iesse Dio attua ciò che era stato profetizzato: non solo vengono sottomesse tutte le popolazioni locali, ma Israele estende il proprio dominio anche sui regni vicini. Infatti il figlio di Davide, Salomone, senza colpo ferire, sarà in condizione di esercitare «l'egemonia su tutti i regni, dal fiume [Eufrate] alla regione dei Filistei e al confine con l'Egitto», ricevendo tributi da questi territori sottomessi (1Re 5,1). Davide decide di trasferire l'arca dell'alleanza (memoriale dell'esodo) a Gerusalemme (2Sam 6,12-19), con l'intenzione di costruire per il Signore una «casa» che sostituisca la «tenda» (2Sam 7,1-2), attuando così simbolicamente il passaggio dalla condizione di itineranza a quella di stabilità. È lo stesso Davide ad acquistare l'area sulla quale verrà di fatto costruito il santuario di Gerusalemme (2Sam 24,24-25). Davide diventa l'emblema dell'uomo secondo Dio, che sa invocare l'intervento del Signore nel momento del pericolo e sa celebrarne la vittoria nel giorno del trionfo. È l'uomo dei tühillim tühillim «Salmi» che la tradizione ascriverà alla sua geniale dote poetica. Davide è «secondo il cuore di Dio» (1Sam 13,14), perciò diventa soggetto di una alleanza perenne con Adonay e regnerà per sempre sul trono di Israele (2Sam 7,1116; cf Is 55,3; Ger 33,21; Sal 89,4; 2Cr 13,5; 21,7; Sir 45,25; ecc.). Il momento originario con Abramo e quello culminante con Davide sono contrassegnati da un medesimo tipo di alleanza gratuita, perché risulti chiaramente che tutto viene dal Signore. Il rapporto speciale che Dio ha con Davide si tramuta così in relazione eterna con la sua dinastia, la sua «casa». La fedeltà del Signore alla discendenza regale di Davide sarà celebrata in prospettiva escatologica. La profezia di Natan è da considerarsi il vertice teologico di 1-2 Samuele (cf Sal 89; 132). Da questa profezia nascerà l'attesa di un messianismo regale, che verrà ratificato successivamente (cf Sal 2,7; 110,3) e che il NT contempla realizzato in Gesù (cf Lc 1,32-33; At 2,29-30; Eb 1,5). Il titolo «figlio di David» diventerà sinonimo di re escatologico, di messia, di liberatore e restauratore delle sorti del popolo di Dio. La dinastia davidica scomparirà con l’esilio, ma il popolo continuerà ad attendere il «figlio di David». Gesù dimostra che può essere «figlio di David» anche uno che originariamente è il «figlio del falegname». 4 La seconda lettura (Rm 16,25-27) riprende la dossologia finale della Lettera ai Romani. Rom 16,25: [Fratelli] A colui che ha il potere di confermarvi nel mio Vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, (Τῷ δὲ δυναμένῳ ὑμᾶς στηρίξαι κατὰ τὸ εὐαγγέλιον μου καὶ τὸ κηρύγμα Ἰησοῦ Χριστοῦ κατὰ ἀποκαλύψιν μυστηρίου χρόνοις αἰωνίοις σεσιγημένου, lett. «All'avente potere voi di rafforzare secondo il vangelo mio e l'annuncio di Gesù Cristo, secondo rivelazione del mistero per tempi eterni taciuti»), I vv. 25-27 della lettera canonica sollevano molte questioni dal punto di vista della tradizione manoscritta, sia perché sono omessi da alcuni testimoni (codici di Cambridge [F], di Börner [G], manoscritti di Girolamo), sia perché sono collocati diversamente da altri: risultano spostati dopo 14,23 (codice della Laura del monte Athos, testo bizantino, versione siriaca di Harqel, manoscritti latini di Origene); collocati dopo 15,33 (papiro Chester Beatty II). La collocazione dopo 16,24 è quella maggiormente attestata (papiro Colt 5, codici Sinaitico, Vaticano [B], di Efrem riscritto [C], Claromontano [D], manoscritto greco 59 di Alessandria [81], manoscritto greco VI 36 di Firenze [365], codice B' 64 della Laura del monte Athos [1739], codice Joannou 742 di Patmos [2464] e alcuni altri minuscoli, Vulgata, Peshitta, versioni copte, manoscritti latini di Origene, Ambrosiaster). - A colui (Τῷ). Colui che ha il potere è Dio, l'unico che può rafforzare i credenti nel Vangelo per mezzo dello Spirito, com'è esplicitamente sottolineato in Rm 15,13: Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo. Infatti è sempre lo Spirito che ha costituito Gesù «Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti» (Rm 1,4). Anche il vangelo è «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16), vangelo che è τὸ κηρύγμα Ἰησοῦ Χριστοῦ «l'annuncio di Gesù Cristo». Dunque, anche se questa dossologia è principalmente teologica, Dio consolida la fede tramite lo Spirito Santo. Dio opera nella vita dei credenti non con una generica potenza dello Spirito ma κατὰ «per mezzo» del vangelo paolino, il cui contenuto è la predicazione di Gesù Cristo. Dunque dire vangelo significa dire Gesù Cristo. - secondo la rivelazione del mistero (κατὰ ἀποκαλύψιν μυστηρίου). Paolo offre quattro indicazioni sul mistero di Dio. La prima è che il μυστήριον «mistero» è diventato un' ἀποκάλυψις, una «rivelazione» di salvezza non solo dei gentili, ma è anche vangelo che riafferma la giustizia divina (cf Rm 3,22). - avvolto nel silenzio per secoli eterni (χρόνοις αἰωνίοις σεσιγημένου). La seconda indicazione è il silenzio che lo ha avvolto χρόνοις αἰωνίοις «per secoli eterni»: il mistero appartiene all'eternità originaria di Dio. Il verbo σεσιγημένου è part. perf. pass. di σιγάω «passo sotto silenzio, taccio, ammutolisco». Pertanto il mistero, il vangelo paolino e Gesù Cristo appartengono all'originario silenzio di Dio, superato mediante la rivelazione del suo disegno. Ignazio di Antiochia (35-107), parafrasando quest'espressione paolina dirà che «c'è un solo Dio che si è manifestato per mezzo di Gesù Cristo suo Figlio, che è il suo Verbo uscito dal silenzio» (Magnesi 8,2). Naturalmente, questa connessione tra il silenzio e Gesù Cristo non ha nessuna relazione con lo gnosticismo di matrice valentiniana che vede nel σιγή «silenzio» e in θεός «Dio» la coppia generatrice del Verbo. Paolo considera Gesù Cristo stesso come preesistente e appartenente al mistero originario di Dio, al suo silenzio. È tipico del linguaggio apocalittico il superamento del silenzio divino attraverso la rivelazione della sua volontà. Pertanto, non c'è prima il mistero e quindi il vangelo e, di conseguenza Gesù Cristo, bensì l'originario disegno misterioso di Dio che è Gesù Cristo, il vangelo di Paolo. 16,26: ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, (φανερωθέντος δὲ νῦν διά τε γραφῶν προφητικῶν κατ’ ἐπιταγὴν τοῦ αἰωνίου θεοῦ εἰς ὑπακοὴν πίστεως εἰς πάντα τὰ ἔθνη γνωρισθέντος), - ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti (φανερωθέντος δὲ νῦν διά τε γραφῶν προφητικῶν). La terza caratterizzazione del mistero riguarda la sua attuale conoscenza attraverso le Scritture profetiche che rimandano al prescritto della lettera: il vangelo di Dio è stato preannunciato nelle sacre Scritture (cf Rm 1,2). In quest'originale riferimento è contenuto l'uso abbondante dell'AT in Romani, riletto in chiave cristologica e in vista dell'affermazione della giustizia divina. Dunque, per Paolo le scritture profetiche sono il Primo Testamento che rappresenta il fondamentale codice di comprensione del Nuovo Testamento. - per ordine dell’eterno Dio (κατ’ ἐπιταγὴν τοῦ αἰωνίου θεοῦ). Paolo stabilisce un nuovo collegamento tra il mistero e «l'ordine dell'eterno Dio»: il mistero non si identifica con l'arcano o l'indecifrabile ma con la 5 disposizione, il disegno e la volontà dell'eterno Dio. Tale specificazione del mistero, come disposizione, rimanda al disegno originario descritto in Rm 8,28 con le sue diverse fasi. - all’obbedienza della fede (εἰς ὑπακοὴν πίστεως). Il mistero divino ha come orizzonte finale l'obbedienza della fede di πάντα τὰ ἔθνη «tutte le genti». Non si parla solo della finalità ma anche del contenuto del mistero. Sono chiamate in causa tutte le nazioni o tutti i popoli. Compreso Israele? La successione di un giudizio prima per i giudei e poi per i gentili si trova nelle fonti rabbiniche: «R. Hanina bar Papa [disse] così: In tempi a venire, il Santo, benedetto Egli sia, prenderà un rotolo della Torà e dirà: "Chi l'ha seguita, venga a prendere il suo premio". Poi tutte le nazioni si raduneranno, nella confusione, come sta scritto...» (bTalmud, 'Avoda Zara 2b). L'antica aspettativa cristiana di un giudizio distinto per i Giudei e per i pagani affondava le sue radici nella tradizione ebraica. Rifacendosi ad Ez 39,21: «tutte le genti vedranno la giustizia che avrò fatto», e a Gioele 3, il tema di un giudizio distinto compare spesso negli scritti ebraici apocalittici: «nella nona settimana il giusto giudizio sarà rivelato a tutto il mondo» (1Enoch 91,14); «egli [= il Messia] giudicherà popoli e nazioni nella sapienza della sua giustizia» (Salmi di Salomone 17,29); «egli, mio Figlio, condannerà le nazioni riunite per la loro empietà» (4Esdra 13,33-49); «il Signore prima giudica Israele per il male che ha commesso e poi farà lo stesso per tutte le nazioni» (Testamento di Beniamino 10,8-9); «Ogni nazione che non ha conosciuto Israele e che non ha calpestato sotto i piedi il seme di Giacobbe vivrà... Tutte quelle invece che hanno dominato su di te saranno consegnate alla spada» (2Baruc 72,4-6). La norma in base alla quale i pagani saranno giudicati sarà dunque il modo in cui hanno trattato Israele. Del giudizio di Israele, ovvero delle sue dodici tribù, Gesù dice a Pietro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele» (Mt 19,28). Paolo dal canto suo attesta: Tribolazione e angoscia su ogni uomo che opera il male, sul Giudeo, prima, come sul Greco; 10gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo, prima, come per il Greco (Rm 2,9-10; cf 1,16; Ap 7,4.9). L'idea di un giudizio distinto tra i Giudei e i pagani si trova anche altrove nel Nuovo Testamento. Allusioni si trovano in 1Cor 6,2-3: «i santi giudicheranno il mondo»; in 1Pt 4,17: «È giunto infatti il momento in cui ha inizio il giudizio a partire dalla casa di Dio; e se incomincia da noi, quale sarà la fine di coloro che rifiutano di credere al vangelo di Dio?». La caratteristica principale del giudizio del Figlio dell'uomo in Matteo 25 è data dal criterio con cui le nazioni straniere saranno valutate. Tenendo presente che l'apocrifo 2Baruc è databile verso la fine del I secolo d.C., si comprende il tono di condanna verso coloro che hanno distrutto Gerusalemme e il suo tempio, primo fra tutti l'imperatore di Edom/Roma. Nel primo vangelo gli ἐλάχιστοι, eláchistoi «minimi, più piccoli» (25,40.45) sono gli ebrei credenti in Gesù Messia, chiamati anche ἀδελφοί «fratelli» (25,40; cf Mt 12,49-50) o μαθηταί «discepoli». 16,27: a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen (μόνῳ σοφῷ θεῷ, διὰ Ἰησοῦ Χριστοῦ, [ᾧ] ἡ δόξα εἰς τοὺς αἰῶνας, ἀμήν). - nei secoli (εἰς τοὺς αἰῶνας). La dossologia perviene al culmine con l'attribuzione della gloria all'unico sapiente Dio. L'ultima parte dell'inno riscontra i suoi aspetti più originali nell'unicità della sapienza di Dio; e la relazione tra questa e le parti precedenti dell'inno dimostra che il mistero paolino non si relaziona soltanto al filone profetico-apocalittico ma anche a quello sapienziale dell'AT. La rivelazione-manifestazione del mistero risponde all'unico sapiente Dio che guida la realizzazione del suo imperscrutabile disegno. Lo 6 stesso congiungimento tra la dimensione apocalittica e quella sapienziale del mistero è stato riscontrato nell'inno di Rm 11,33-36: «O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio...» (v. 33). Dossologia finale (16,25-27). Questi ultimi versetti della lettera ai Romani appartengono al genere letterario della dossologia, cioè un rendere gloria a Dio per le sue grandezze. Nelle altre lettere di sicura attribuzione paolina le dossologie hanno un'estensione più ridotta (cf 2Cor 1,20; Gal 1,5; Fil 4,20; nella stessa Rm 11,36), mentre più simili a questa sono quelle che si trovano nelle lettere deuteropaoline (cf Ef 3,20-21; 1Tm 6,15-16). Questo argomento, assieme a quelli riguardanti lo stile e il contenuto, va ad aggiungersi alla problematicità testuale di questo brano, fino a farlo ritenere un'appendice redazionale da attribuire a un autore posteriore (il che non tocca naturalmente la sua canonicità e tanto meno la sua rilevanza teologica). Il discorso che viene indirizzato a Dio nell'incipit del brano troverà la sua conclusione nell'ultima frase (v. 27b); Dio viene definito come colui che ha il potere di rafforzare i Romani secondo il Vangelo di Paolo, cioè κηρύγμα l'«annuncio» che ha come oggetto Gesù Cristo, corrispondente al piano salvifico inteso come il μυστήριον «mistero» che si rivela. Proprio questo schema di rivelazione, per il quale ciò che un tempo era taciuto (o nascosto) è ora manifestato in Cristo ai credenti in lui, lo si trova sviluppato come tema teologico in Colossesi ed Efesini (cf Col 1,26: «il mistero che, nascosto ai secoli eterni e alle generazioni passate, ora è svelato ai suoi santi»; cf Ef 3,9-10), il disegno divino riguardante essenzialmente la conversione dei gentili (così anche in Rm 16,26b); mentre non corrisponde pienamente al concetto di «mistero» quale è impiegato da Paolo in Rm 11,25 riguardante invece il rapporto tra Israele e le genti. Il v. 26 precisa che esso è stato rivelato «mediante le Scritture profetiche» (potrebbe riallacciarsi a 1,2: «per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture»), per un'insindacabile iniziativa divina («secondo l'ordine dell'eterno Dio»), reso noto a tutte le genti affinché giungano all'«obbedienza della fede» (espressione già incontrata in 1,5; cf 15.18), cosicché tale piano salvifico divino includa tutti i popoli. Il v. 27 presenta la sintesi della dossologia, con la quale in modo solenne, mediante Gesù Cristo, si rende gloria a Dio, definito il «solo sapiente», aprendo l'animo alla contemplazione e all'adorazione: «a lui la gloria nei secoli, amen». Il vangelo (Lc 1,26-38) raffigura Maria come l'arca dell'alleanza, custodita nel Tempio di Gerusalemme, sede della presenza del Signore in mezzo al suo popolo. È per questo che l'angelo evoca l'ombra della nube che «copriva» il tempio indicando l'irruzione del mistero, ed è anche per questo che chiama Maria κεχαριτωμένη «piena di grazia», letteralmente «ricolmata di grazia», perché chiamata a diventare madre del Figlio di Dio. Questo è il testo più importante del NT su Maria e anche il più amato dalla tradizione cristiana. Insieme al prologo di Giovanni, questo testo è il più importante del NT sul mistero dell’Incarnazione. Fondamentalmente può considerarsi un racconto di vocazione (cf Gdc 6,11-24: vocazione di Gedeone), ma con elementi di annuncio di una nascita meravigliosa. Lc 1,26-27: Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria (ἐν δὲ τῷ μηνὶ τῷ ἕκτῳ ἀπεστάλη ὁ ἄγγελος Γαβριὴλ ἀπὸ τοῦ θεοῦ εἰς πόλιν τῆς Γαλιλαίας ᾗ ὄνομα Ναζαρὲθ 27πρὸς παρθένον ἐμνηστευμένην ἀνδρὶ ᾧ ὄνομα Ἰωσὴφ ἐξ οἴκου Δαυίδ καὶ τὸ ὄνομα τῆς παρθένου Μαριάμ). - Al sesto mese (ἐν δὲ τῷ μηνὶ τῷ ἕκτῳ). Usando questa precisazione qui e anche in 1,36 Luca ricollega il racconto a ciò che è stato detto di Elisabetta (v. 25), invitando a cogliere il collegamento tra le due gravidanze miracolose. Luca definisce Nazaret (la fiorita?) una πόλις «città», ma in realtà si trattava di un «villaggio». In ebr. Nazerat, si apre ad anfiteatro sulla pianura di Esdrelon a 350-495 m s.l.m. - l’angelo Gabriele fu mandato da Dio (ἀπεστάλη ὁ ἄγγελος Γαβριὴλ ἀπὸ τοῦ θεοῦ). Il nome Γαβριὴλ «Gabriele» (ebr. Gabrî´ël, Gabrî´ël «uomo forte di Dio») appare per la prima volta in Dan 8,16; 9,21. Gabriele interviene nel contesto di brani apocalittici, la prima volta per spiegare il senso delle visioni e la seconda per spiegare l’enigma dei 70 anni di Geremia. Lc 1,19 l’aveva già presentato nella visione a Zaccaria nel Tempio. 7 - a una vergine, promessa sposa (27πρὸς παρθένον ἐμνηστευμένην). Il termine παρθένος, parthénos è quello usato dai LXX per tradurre il celebre passo di Isaia, citato anche da Mt 1,23: hä`almâ härâ wüqärä´t šümô `immäºnû ´ël «la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14). L'ebraico `almâ indica una ragazza che non ha avuto ancora esperienze sessuali. Il termine παρθένος, parthénos significa «fanciulla, ragazza, vergine»; così era chiamata ad Atene la dea Atena, Artemide, ecc. Nell'apologetica cristiana delle origini il testo dei LXX fu vigorosamente difeso contro le obiezioni giudaiche sulla sua valenza messianica (cf Giustino, Dialogo con Trifone 43, 66, 71, 77). La frase di Luca si attiene a quanto prescritto nel Deuteronomio: Kî yihyè (na`ar) [na`árâ] bütûlâ mü´öräSâ lü´îš, lü´îš, lett. «Quando ci sarà una giovane di verginità fidanzata a un uomo»; CEI: «quando una fanciulla vergine è fidanzata …» dove la promessa di matrimonio è considerata già un impegno ´iššâ, γυνή, gyné, «moglie» (Dt 22,23; Mt 1,20), vincolante, di modo che la donna poteva essere chiamata ´iššâ, anche se Luca si rifiuta di chiamarla tale. Preferisce chiamarla ἐμνηστευμένην «sposa» (part. perf. pass. di μνηστεύομαι, «sono fidanzata»). Luca, al pari di Matteo (1,1.6.17.20), usa il suo resoconto dell'infanzia per sottolineare i collegamenti di Gesù con Davide (Lc 1,27.32.69; 2,4.11), anche se è attraverso Giuseppe (cf 3,23.31) che deve essere tracciata la discendenza. 1,28: Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te» (καὶ εἰσελθὼν πρὸς αὐτὴν εἶπεν• χαῖρε, κεχαριτωμένη, ὁ κύριος μετὰ σοῦ). - Rallégrati (χαῖρε, chaĩre). Il saluto dell'angelo a Maria è espresso con una parola abituale nel greco dell'epoca: "sii lieto", tradotto in latino con ave; ma non c'è traduzione che possa rendere l'allitterazione esistente tra χαῖρε, chaĩre e κεχαριτωμένη, kecharitōménē. La parola χαῖρε, chaĩre (impt. pres. att. di χαίρω «sono lieto, mi rallegro, gioisco») rappresenta un invito alla gioia per l’imminente venuta di Dio in mezzo al suo popolo. Nei LXX si trova 4 volte, sempre in profezie messianiche rivolte alla figlia di Sion (Zac 9,9; Gl 2,21.23; Sof 3,14s; Lam 4,21). Luca insiste sul tema della χαρά «gioia» proprio nel vangelo dell’infanzia. Vedi la risposta di Maria all’Angelo (1,38), la testimonianza di Elisabetta (1,44), il Magnificat (1,46s), l’annuncio ai pastori (2,10). La scena nel suo insieme assomiglia a Gdc 13,2-7: la nascita di šimšôn «Sansone». Maria porta il Signore «dentro di sé» così come la Sion escatologica avrà in sé la presenza del Signore. Maria rappresenta Israele. I Padri greci hanno quasi sempre inteso un invito alla gioia [Sofronio † 638, Origene (185-254), Gregorio di Nissa (335-395), Gv Crisostomo (344-407), Germano di Costantinopoli (VIII sec.)], così come rivolto alla Figlia di Sion o figlia di Gerusalemme, figura della Chiesa. Il celebre inno mariano Akáthistos «non seduto» (probabilmente di Romano il Melode † 560 ca.) comincia ogni verse¡o con χαῖρε, chaĩre. I Padri latini, invece, hanno inteso un semplice saluto: “Ave”. - piena di grazia (κεχαριτωμένη, kecharitōménē, lett. «ricolmata di grazia»). È particolarmente difficile cogliere il giusto senso del participio perfetto passivo di χαριτόω, charitóō. Questo verbo è rarissimo, ricorre solo due volte nel NT (Lc 1,28; Ef 1,6: ἐχαρίτωσεν, echarítōsen). In greco i verbi che finiscono in - όω sono definiti causativi, cioè cambiano qualcosa nella persona o nella realtà in questione. La forma adottata da Luca sta a significare che un cambiamento è già stato operato dalla χάρις, cháris. In cosa consiste questa trasformazione? Gabriele ci fa sapere che Maria è già stata trasformata dalla grazia, cioè è stata fatta oggetto della benevolenza e della compiacenza di Dio. In Ef 1,6: εἰς ἔπαινον δόξης τῆς χάριτος αὐτοῦ ἧς ἐχαρίτωσεν ἡμᾶς ἐν τῷ ἠγαπημένῳ «a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel [Figlio] amato» il verbo ἐχαρίτωσεν, echarítōsen, applicato a tutti i cristiani, ricorda che essi sono trasformati dalla grazia tramite la remissione dei peccati. Paolo sottolinea l’effetto del dono che produce in noi e che consiste nel renderci amabili a Dio. L’effetto prodotto in Maria, invece, è la preparazione alla sua maternità verginale. La prima parte del «saluto angelico» è in parallelo con il suo primo «annuncio»: «Tu hai trovato grazia presso Dio». Negli scavi realizzati sotto la Basilica dell’Annunciazione a Nazaret è stato trovato un graffito in lingua armena: keganuish, «fanciulla graziosa», titolo ancora in uso fra gli Armeni. La traduzione della Vulgata: gratia plena ha alimentato un'infinità di speculazioni riguardo allo stato speciale di Maria rispetto agli altri esseri umani. Il teologo medievale Pascasio Radberto (IX sec.) commenta: «Piena di grazia, piena di Dio, piena di santità». Per s. Bernardo (1091-1153) la grazia che operava in lei era «la grazia della verginità». Su questo verbo si fonda il dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato da Pio IX nel 1854 con la Bolla Ineffabilis Deus. - il Signore è con te (ὁ κύριος μετὰ σοῦ). L’espressione ho kýrios metà soũ nell’AT viene usata solo per persone alle quali è affidata una missione speciale: Giacobbe, Mosè, Giosuè, Gedeone. Il verbo precedente κεχαριτωμένη, kecharitōménē, «piena di grazia» indicava ciò che Dio aveva operato nel passato di Maria, indicava la preparazione; ὁ κύριος μετὰ σοῦ, ho kýrios metà soũ, «il Signore è con te» è orientato verso il 8 futuro, verso la missione: diventare madre del Messia pur rimanendo vergine. La seconda parte del «saluto dell’Angelo» è in parallelo con il suo «secondo annuncio»: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo (v. 35). Sarà proprio l’intervento di questa potenza di Dio a rendere possibile ciò che è impossibile agli uomini (v. 37). 1,29: A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo (ἡ δὲ ἐπὶ τῷ λόγῳ διεταράχθη καὶ διελογίζετο ποταπὸς εἴη ὁ ἀσπασμὸς οὗτος). - ella fu molto turbata (ἡ … διεταράχθη). Luca qui ha scelto il verbo διαταράσσω, diatarássō che è più forte di ταράσσω, tarássō usato per descrivere la reazione di Zaccaria (1,12). Si potrebbe tradurre con «fu terrorizzata» visto che l'angelo le dirà: «non temere» (1,30). Maria non è turbata dalla visione, ma dalle parole di Gabriele. Dio gioca di sorpresa. L’alleanza proposta mostra un fondamento dialogico che fa appello alla libera coscienza dell’altro. Maria con coscienza critica si pone delle domande su quanto accade e chiede delle spiegazioni. L’obbedienza a Dio è il contrario della passività, ma esige libertà, collaborazione e autocoscienza. 1,30: L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio (καὶ εἶπεν ὁ ἄγγελος αὐτῇ μὴ φοβοῦ, Μαριάμ, εὗρες γὰρ χάριν παρὰ τῷ θεῷ) - Non temere (μὴ φοβοῦ, mè phoboũ). Formula ricorrente nell’AT e rivolta a uomini illustri: Noè (Gen 6,8), Abramo (Gen 18,3), Giacobbe (30,37), Mosè (Es 3,12), Geremia (1,8.17.19). È largamente presente nelle apparizioni del Risorto (Mt 28,5; Mc 16,6; Lc 24,38). - hai trovato grazia (εὗρες … χάριν). L’espressione eũres chárin, «hai trovato grazia» rimanda a kecharitōménē, «ricolmata di grazia» (v. 28). 1,31: Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù (καὶ ἰδοὺ συλλήμψῃ ἐν γαστρὶ καὶ τέξῃ υἱόν καὶ καλέσεις τὸ ὄνομα αὐτοῦ Ἰησοῦν). Nei vv. 30.31, ben cinque verbi si concentrano su Maria: μὴ φοβοῦ «non temere» (impt. pres. med. di φοβέομαι «ho timore, temo, ho paura, riverisco»), εὗρες «hai trovato» (ind. aor. di εὑρίσκω «trovo, reperisco, ottengo, conseguo, incontro»), συλλήμψῃ «concepirai» (ind. fut. med. di συλλαμβάνω «prendo, afferro, catturo, concepisco, sorprendo, vengo in aiuto»), τέξῃ «darai alla luce» (ind. fut. med. di τίκτω «genero, partorisco, produco, nasco, causo»), καλέσεις «chiamerai» (ind. fut. di καλέω «chiamo per nome, invito, convoco»). La rivelazione cristologica inizia con l’evocazione di Is 7,14: «la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele». 1,32-33: Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (οὗτος ἔσται μέγας καὶ υἱὸς ὑψίστου κληθήσεται καὶ δώσει αὐτῷ κύριος ὁ θεὸς τὸν θρόνον Δαυὶδ τοῦ πατρὸς αὐτοῦ, 33καὶ βασιλεύσει ἐπὶ τὸν οἶκον Ἰακὼβ εἰς τοὺς αἰῶνας καὶ τῆς βασιλείας αὐτοῦ οὐκ ἔσται τέλος). - Figlio dell'Altissimo (υἱὸς ὑψίστου). Il titolo ὑψίστος, hypsístos, «l'Altissimo» è tra quelli preferiti da Luca per designare Dio (cf 1,35.76; At 7,48; 16,17). Particolarmente interessante è il suo impiego da parte di un indemoniato che chiama Gesù «Figlio del Dio Altissimo» (8,28) e da parte di Gesù che dichiara ai suoi seguaci di essere «figli dell'Altissimo» (6,35). - il trono di Davide suo padre (τὸν θρόνον Δαυὶδ τοῦ πατρὸς αὐτοῦ). Questa è una chiara allusione a 2Sam 7,12-13 dove Natan promette una dinastia davidica per sempre. La comunità di Qumran ha inteso questo testo in senso messianico (cf 4QFlor 10-13). Luca enfatizza la discendenza davidica di Gesù (1,69; 2,4.11; 3,31; 6,3; 18,38-39), ma il suo legame con Davide si rende evidente soprattutto nella risurrezione, quando Gesù siede alla destra di Dio (cf Sal 110,1), tema sviluppato in 20,41-44: Come mai si dice che il Cristo è figlio di Davide… e ripreso negli Atti (cf 2,25-34; 13,22.34). - regnerà ... sulla casa di Giacobbe (33καὶ βασιλεύσει ἐπὶ τὸν οἶκον Ἰακὼβ). Designazione arcaica di Israele (cf Gn 46,27; Es 19,3; Is 8,17) che Gesù governa in qualità di re, anche se il rapporto tra il governo di Gesù ἐπὶ τὸν οἶκον Ἰακὼβ «sulla casa di Giacobbe» e «il suo regno» non è del tutto chiaro. Certamente per quanto riguarda 1,32 è importante il testo di At 15,16: «Riedificherò la tenda di Davide, che era caduta» (cf Am 9,11-12). - Trono di Davide … regnerà … suo regno (τὸν θρόνον Δαυὶδ … βασιλεύσει … τῆς βασιλείας αὐτοῦ). L'insistenza su questi termini regali serve a evidenziare la qualità messianica di Gesù. Il verbo è ind. fut. di βασιλεύω «regno, esercito la sovranità». 9 1,34: Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (εἶπεν δὲ Μαριὰμ πρὸς τὸν ἄγγελον• πῶς ἔσται τοῦτο, ἐπεὶ ἄνδρα οὐ γινώσκω;). - Non conosco uomo (ἄνδρα οὐ γινώσκω). La dichiarazione di Maria è esplicita e consente all'angelo di chiarire la vera origine del bambino. Luca considera Maria vergine in senso fisico, ma ciò che più gli interessa è mettere in risalto la potenza di Dio che va oltre i limiti della natura umana, contrariamente all'ossessivo encratismo che si trova nei Vangeli dell'infanzia più tardivi, quali il Protovangelo di Giacomo 8,3; 20,1 o il Manoscritto di Arundel 69. L'encratismo è una dottrina morale di matrice cristiana a sfondo ascetico, di probabile influenza sethiana, che si diffuse in Gallia e Spagna tra la fine del III e l'inizio del IV secolo. Il termine encratismo deriva dal greco enkráteia, tradotto abitualmente con «continenza»: in realtà il significato rimanda al "dominio di sé" inteso come capacità dell'individuo di padroneggiare istinti e passioni, in vista di un perfezionamento etico della persona. L'encratismo si configura ben presto come sinonimo di "continenza rigorosa e mortificante", confluendo nel manicheismo. Partendo dal principio gnostico che identifica la materia col male, l'encratismo attribuiva una valenza peccaminosa all'unione matrimoniale e al consumo di carne e vino, al punto che Taziano, apologista greco del II secolo ed esponente di punta dell'encratismo, giunse a sostituire l'acqua al vino nell'Eucarestia. Questa dottrina fu aspramente combattuta da sant'Anfilochio (340-403), vescovo di Iconio e avversario di ogni deviazione settaria, e poi definitivamente condannata nel sinodo di Side, in Panfilia, nel 390, sotto il pontefice Siricio. 1,35: Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio (καὶ ἀποκριθεὶς ὁ ἄγγελος εἶπεν αὐτῇ• πνεῦμα ἅγιον ἐπελεύσεται ἐπὶ σέ καὶ δύναμις ψίστου ἐπισκιάσει σοι• διὸ καὶ τὸ γεννώμενον ἅγιον κληθήσεται υἱὸς θεοῦ). - Lo Spirito Santo scenderà su di te (πνεῦμα ἅγιον ἐπελεύσεται ἐπὶ σέ). Il verbo è ind. fut. med di ἐπέρχομαι «sopraggiungo, giungo, arrivo, capito». L'espressione è simile alla frase usata da Gesù nella sua promessa dello Spirito dopo la risurrezione: riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà [ἐπελθόντος, part. aor. di ἐπέρχομαι] su di voi (At 1,8a). L'esperienza dell'«adombramento» si ripeterà sul Tabor (Lc 9,34) e richiama la nube che rivelava la presenza di Dio nell'Esodo (Es 40,35; cf Sal 91,4; 140,7). Maria è intesa così come arca della nuova Alleanza. - santo ... chiamato Figlio di Dio (ἅγιον κληθήσεται υἱὸς θεοῦ). Gesù è di nuovo chiamato τὸν ἅγιον «il Santo» in At 3,14 e τὸν ἅγιον παῖδά σου «il tuo santo servo» (di Dio) in At 4,27.30. Evidentemente, per Luca, Gesù non era solo un figlio di Dio, dei quali nel mondo greco esisteva grande abbondanza (come Eracle, nei Discorsi 2; 16; 44 di Epitteto), ma il Figlio di Dio in modo esclusivo (Lc 3,22; 9,35; 22,70), soprattutto in virtù della sua risurrezione (cf At 9,20; 13,32-33). L'interpretazione di questo versetto è molto discussa. Dall’epoca dei Padri fino a oggi si sostengono quattro differenti versioni: 1) Per questo il santo che nascerà sarà chiamato figlio di Dio; 2) Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato figlio di Dio; 3) Per questo colui che nascerà sarà chiamato santo, figlio di Dio; 4) Pertanto ciò che nascerà santo sarà chiamato figlio di Dio. Quest’ultima interpretazione, che considera ἅγιον, hágion predicato di nascerà, era usuale tra i padri della Chiesa fino al Medioevo. Il termine ἅγιος «santo» ci informa sul modo in cui il bambino nascerà, cioè in conformità alla tradizione levitica: senza macchia, puro, santo in senso rituale. Quindi l’angelo non solo annuncia la concezione verginale di Gesù, ma anche la sua nascita verginale. Questa è la spiegazione che già dava Cirillo di Gerusalemme (313-387) nelle Catechesi sull’Incarnazione. Quindi concezione e nascita verginali sono entrambe opere dello Spirito Santo. La concezione ha avuto luogo segretamente nel grembo di Maria; la nascita (senza perdite di sangue) è il segno esteriore della filiazione divina di Gesù. Quindi, nei vv. 31-35 troviamo una rivelazione cristologica su Gesù «Figlio di Davide» e «Figlio di Dio» che si pone come centro del messaggio di tutta la pericope. 1,36-37: Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio» (καὶ ἰδοὺ Ἐλισάβετ ἡ συγγενίς σου καὶ αὐτὴ συνείληφεν υἱὸν ἐν γήρει αὐτῆς καὶ οὗτος μὴν ἕκτος ἐστὶν αὐτῇ τῇ καλουμένῃ στείρᾳ• 37ὅτι οὐκ ἀδυνατήσει παρὰ τοῦ θεοῦ πᾶν ῥῆμα). - nulla è impossibile a Dio (οὐκ ἀδυνατήσει παρὰ τοῦ θεοῦ πᾶν ῥῆμα, lett. «non sarà impossibile presso Dio ogni parola»). Il verbo è ind. fut. di ἀδυνατέω «sono impossibile». L'affermazione dell'angelo è ripresa da Gesù dopo aver ammonito quanto sia difficile «per un ricco entrare nel regno di Dio»: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio» (Lc 18,27). Riecheggia anche la dichiarazione fatta a Sara riguardo alla nascita di 10 Isacco in Gn 18,14: háyiPPälë´ myhwh(më´dönäy) myhwh(më´dönäy) Däbär, Däbär, lett. «Forse è prodigioso per Adonay (qualche) cosa?»; CEI: «C'è forse qualche cosa d'impossibile al Signore?». Tramite il verbo συνείληφεν «ha concepito» (perf. ind. di συλλαμβάνω), si stabilisce un parallelismo con il v. 31: καὶ ἰδοὺ συλλήμψῃ «ed ecco tu concepirai» (ind. fut. med. di συλλαμβάνω). Cogliamo anche un parallelismo tra la παρθένος «vergine» Maria e la στεῖρα «sterile» Elisabetta. Il mistero della fecondità delle donne sterili (Sara, Rebecca, Rachele, madre di Sansone, Anna madre di Samuele, Elisabetta) trova il suo compimento in Maria vergine e madre. 1,38: Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei (εἶπεν δὲ Μαριάμ• ἰδοὺ ἡ δούλη κυρίου• γένοιτό μοι κατὰ τὸ ῥῆμά σου. καὶ ἀπῆλθεν ἀπ' αὐτῆς ὁ ἄγγελος.). - Ecco la serva del Signore (ἰδοὺ ἡ δούλη κυρίου). Maria «serva del Signore» ci ricorda Israele che è «Servo di Adonay» (cf Is 49,3; 50,4.10; 52,13). Maria è la donna fedele il cui «sì» è inequivocabile (cf 1,48; At 2,18). Maria dichiarandosi serva del Signore esprime la sua sottomissione ma anche il suo senso di appartenenza. - avvenga per me (γένοιτό μοι). Il come avverrà (lat. fiet) questo? (v. 34), si trasforma in avvenga (lat. fiat, v. 38). In base alla traduzione latina, per associazione, si ricorda il “fiat voluntas tua” del Pater noster (Mt 6,10) o di Gesù nel Getsemani (Lc 22,42) dove il verbo è all’imperativo e quindi esprime obbedienza. Il verbo greco γένοιτο, génoito, è ottativo di γίνομαι, gínomai, «nasco, divengo». In forma positiva si trova solo qui in tutto il NT. La forma ottativa esprime un "gioioso desiderio di". Perciò il fiat di Maria non corrisponde a una semplice accettazione o rassegnazione, ma a gioioso desiderio e consenso di vedere realizzarsi tutto il disegno di Dio. In questo senso, il γένοιτο, génoito, «avvenga» di Maria alla fine dell’episodio, è quasi la risposta all’invito dell’angelo: χαῖρε, chaĩre, «rallegrati». Questa interpretazione era già quella di alcuni Padri (Eutimio, † 473, Ambrogio † 397), ma ha trovato la sua più elevata espressione in s. Bernardo (1090-1153): «Hai udito o Vergine il fatto, hai udito anche il modo: l’uno e l’altro sono ammirevoli, l’uno e l’altro gioiosi. ‘Rallegrati, figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme’. E poiché hai sentito l’invito alla gioia e all’esultanza, vogliamo ascoltare anche noi dalla tua bocca la risposta della tua gioia, che noi desideriamo […]. L’angelo aspetta la tua risposta […]. Stiamo aspettando anche noi, o Signora […]. Pronuncia, o Signora, la parola che terra e inferi e perfino il cielo aspetta […]. Alzati con la tua fede, corri col tuo affetto, apri col tuo consenso» (In laudibus Virginae Mariae IV,8/ cf L.O. 20 dicembre). Il monofisita Filossere (V sec.), vescovo di Mabbug (Gerapoli, Turchia), così descrive il momento dell’incarnazione: «Benché la Vergine non avesse notato il Verbo mentre entrava attraverso l’udito e prendeva dimora in lei, tuttavia imparò dalla parola dell’angelo Gabriele che il Verbo era venuto e abitava dentro di lei». Perciò in alcuni antichi dipinti, Maria nell’Annunciazione viene rappresentata con un raggio di luce che le entra nell’orecchio. Il mistero che oggi celebriamo, più che condurci a richiamare i privilegi di Maria, deve piuttosto sollecitarci a guardare al mistero di comunione che è la Chiesa, continuamente animata dallo Spirito Santo che si dona a ogni credente con una varietà di carismi, finché Dio sia tutto in tutti nell'esperienza viva dell'amore. Oggi contempliamo la Vergine Maria come il vertice della santità verso cui la Chiesa anela, per diventare segno della pienezza di Dio che abita nell'uomo. L'amore di Dio sollecita ogni credente perché riconosca questo anelito vitale. È una «insistenza» tipicamente di Dio, che già nell'Eden si propose come «partner» delle sue creature. Dio è fedele e resta l'unica certezza dell'uomo! Dopo la caduta, la maledizione è riservata solo al serpente, mentre all'uomo e alla donna è annunciata la vittoria finale. È importante che la nostra risposta a Dio cominci con il ringraziamento. Prima ancora di qualsiasi personale richiesta, la preghiera è benedizione. Dio Padre dialoga con l'umanità tramite Cristo, affinché essa possa rispondere: «Avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Maria è la primizia, perciò la Chiesa volge lo sguardo verso di essa. 11 Dentro una storia di comunione che coinvolge tutto il popolo di Dio in cammino, ognuno ha il suo nome, ciascuno attua il disegno dell'amore secondo il proprio dono. Tramite l'azione dello Spirito Santo il tempio santo di Dio che è l'uomo nuovo si va realizzando. Oggi siamo chiamati a prendere coscienza del carisma di Maria nella comunione ecclesiale. La tota pulchra «risplende sul nostro cammino segno di consolazione e di sicura speranza» (Prefazio IV della beata Vergine) per chi aspira alla Gerusalemme celeste. La comunione si attua nel tempo della Chiesa, ma rompe continuamente i confini del tempo, perché nella fedeltà alla Parola diventiamo perfetti nell'unità del regno a cui siamo orientati. Grazie alla sua povertà riconosciuta, Maria è il tipo ideale del credente. La peculiare cura dello Spirito nell'elezione di Maria ci aiuti a superare l'anonimato presente in tanti nostri rapporti e ci aiuti a «chiamarci per nome», per riscoprire insieme i doni che ciascuno è e possiede. 12
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