Press: N. 2 - Febbraio 2014

Press
febbraio 2014 / no.63
ISSN 2039-540X
Professione Economica e Sistema Sociale
Press
Sommario/febbraio
WCOA2014
43 Ifac
RICORDO
WCOA 2014
- Pag. 43
59 Antonino De Benetictis
DIAMO
I NUMERI
Invitti: “Pmi e mercati internazionali”
EDITORIALE
- Pag. 4
Maria Luisa Campise
3
PRESENTAZIONE
8
60 Osservatorio economico
PROFESSIONE
E TEMPO LIBERO
65 Letti per voi
Leonardo M. Caputo
Di Nardo: “Osservatorio economico”
- Pag. 60
L’INTERVENTO
Caputo: “Verso nuovi mercati”
- Pag. 8
4
12
16
20
22
26
28
32
36
38
Filippo Maria Invitti
Christhian Gioco
Marta Palombi
Alessandra Fineschi
Bernardino Cordeschi
Vincenzo Sganga
Stefano Pignatelli
Alessio Gambino
Domenico Fedele
Riccardo Ricci
Paolo Sbordoni
PRIMO PIANO
42 Patrizia Bonaca
Alla conquista del mercato globale
n celebre economista inglese, David Ricardo, asseriva che in un sistema di
U
completa libertà di commercio ogni Paese consacra il suo capitale e la sua
industria a ciò che gli pare più utile. Il punto di vista dell’interesse individuale
s’accorda perfettamente col bene universale di tutti.
Il fenomeno della globalizzazione dei mercati parte certamente dal presupposto che ogni
Nazione promuove la propria economia verso l’esterno nell’intento di migliorare la
propria condizione interna, così come ogni impresa sviluppa la propria iniziativa verso
i bisogni della collettività alla quale essa si rivolge auspicando un ritorno di profitto da
destinare al proprio autosostentamento.
Il mercato oggi più che mai è da considerarsi non più protetto dai limiti geografici di un
territorio o da quelli politici di un Paese, ma al contrario sempre più aperto e vocato ad
una osmosi di esperienze, condizioni e fattori diversi che lo
rendono un unico indistinto contesto all’interno del quale
si muovono continuamente gli equilibri tra domanda ed
offerta.
L’imprenditore ha, quindi, maturato una nuova esigenza,
quella di affrontare uno scenario che evolve inarrestabile
verso direzioni non sempre prevedibili, ma in ordine alle
quali diventa imprescindibile porre attenzione per non
rischiare di vedere preclusa la prospettiva di sviluppo dei
progetti dell’impresa stessa.
Parimenti all’evoluzione delle logiche di gestione aziendale
è necessario che anche i professionisti si adattino a svolgere quelle funzioni di ausilio e
di consulenza che con innovata condizione e capacità contribuiscano alla crescita del
soggetto economico da assistere.
Una grande opportunità di allargare gli orizzonti delle attività professionali è pronta per
essere colta da parte degli esperti delle discipline economico-contabili, che avranno
occasione di svolgere un ruolo di primo piano nell’accompagnare le proprie aziende
clienti intenzionate ad affrontare l’articolato percorso di sbarco sui mercati esteri.
Nel presente numero della rivista abbiamo raccolto le esperienze ed i suggerimenti di
commercialisti
che
a
vario
titolo
si
occupano
di
materie
correlate
all’internazionalizzazione e che potranno offrire lo spunto ad altri colleghi di cimentarsi
nell’approfondimento delle tematiche illustrate. Un’importante considerazione è anche
legata alla necessità di costituire progetti di reti professionali che siano occasione oltre
che di confronto inter partes anche di sviluppo di iniziative di aggregazione per le
imprese italiane, alle quali possono essere in tal modo rese disponibili competenze
multispecialistiche.
Maria Luisa Campise
Direttore Press
4
Pmi
e mercati
internazionali
Filippo Maria Invitti
Odcec di Roma, Presidente Associazione VICINA
La sfida ai mercati internazionali è da considerarsi una opportunità
per le imprese italiane e per i commercialisti, la cui posta in palio
è il futuro del nostro Paese
a parola d’ordine è
internazionalizzare.
Termine ormai
diffusamente utilizzato da
ogni esponente della
comunità economica che, a vario
titolo, intende dissertare sulle
modalità per rilanciare l’attività
produttiva del nostro Paese,
schiacciato dalla morsa di una crisi
atavica, dovuta certamente a fattori
molteplici, ma senza dubbio
innegabilmente legata anche allo
schema di sviluppo che da sempre ha
caratterizzato la realtà imprenditoriale
italiana. Partendo dall’analisi delle
strutture dimensionali e dalla
distribuzione geografica delle aziende
nazionali è possibile delineare un
primo scenario sulle possibilità
effettive di espansione delle predette
entità che intendono indirizzare i
propri obiettivi di crescita economica
L
verso il mercato estero; da nord a sud
del nostro territorio risulta evidente
individuare profonde differenze in
ordine alle tipologie di impresa
presenti, ai loro modelli organizzativi
e, non ultimo, all’attitudine a lavorare
in collegamento tra loro superando
logiche di esclusività e la naturale
diffidenza alla cooperazione. La storia
racconta che l’area settentrionale
dell’Italia ebbe a favorire, all’epoca
del boom industriale degli anni ‘60, la
nascita di realtà industriali di grandi
dimensioni, mentre lungo tutto il resto
della penisola, scendendo verso il
meridione, prevalse lo spirito di
artigianalità con il quale si avviarono
iniziative d’impresa certamente meno
strutturate e con una maggiore
vocazione a soddisfare i bisogni del
contesto locale del territorio nel quale
operavano. Negli ultimi cinquant’anni
si è poi assistito ad un processo di
trasformazione delle modalità di fare
impresa che ha portato gli
imprenditori a valutare lo sviluppo del
proprio business oltreconfine.
Le imprese italiane e soprattutto
le medio-piccole, tuttavia, sono
caratterizzate da alcune peculiarità
che le rendono più difficilmente
idonee ad affrontare l’avventura
dell’internazionalizzazione.
Il primo elemento è costituito
dalla scarsa presenza e spesso
inesistenza di figure manageriali che
abbiano maturato esperienze nei
mercati esteri, oltre alla poca
attitudine alla conoscenza linguistica
che è spesso un insormontabile
ostacolo alla comunicazione tra le
imprese italiane e il mercato
internazionale.
Il secondo fattore è insito nelle
caratteristiche dimensionali ridotte
delle aziende appartenenti all’universo
L’intervento
delle pmi, che hanno spesso come
elemento collegato la
sottocapitalizzazione dell’impresa, che
rende inadeguato il confronto con le
aziende analoghe degli altri paesi.
Altro elemento che certamente
non favorisce un adeguato approccio
ad iniziative di internazionalizzazione
è costituito dalla poca predisposizione
dei professionisti italiani a svolgere la
propria funzione al di fuori delle aree
storicamente tradizionali.
In particolare, l’attività dei
commercialisti, che avrebbe
certamente un riconoscimento più
qualificante nell’espletare l’attività
professionale quale co-protagonista di
progetti di assistenza verso i mercati
esteri, difficilmente viene considerata
dagli stessi quale grande opportunità,
ma piuttosto a priori esclusa.
Le aziende italiane che in larga
misura sono identificabili tra le
categorie delle micro imprese e di
quelle piccole vedono la figura del
commercialista legata ad un soggetto
che si occupa prevalentemente di
adempimenti contabili e fiscali, ma
difficilmente attribuiscono allo stesso
un’identità correlata al supporto nello
sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale
stessa; questo accade proprio perché
dallo stesso professionisa non
ricevono spunti a considerarlo con
una veste diversa magari ad una sorta
di export manager dotato del know
how necessario alla loro guida
nell’affrontare il contesto
5
internazionale; ne discende il
determinarsi di una spirale nella quale
l’impresa non ravvisa la forza di
vedere una prospettiva diversa alla
quale la medesima è storicamente
predisposta e il commercialista
incapace di considerare l’azienda
assistita in grado di offrirgli diverse
condizioni per mettere a disposizione
la propria opera professionale.
Il cambio di mentalità da parte di
imprenditori e professionisti è, quindi,
il primo obiettivo da porsi.
Le imprese devono intanto
prevedere il rinnovamento delle
strutture organizzative aziendali,
fattore che costituisce il primo passo
per avviare proficuamente l’iniziativa
economica in un mercato estero.
6
L’intervento
Riguardo invece gli aspetti
attinenti la struttura patrimoniale
dell’impresa, è necessario che
l’imprenditore verifichi la sussistenza
di un valido piano economicofinanziario, eventualmente
avvalendosi, oltre che dei mezzi
propri dell’impresa stessa, anche di
programmi di sostegno
all’internazionalizzazione previsti
dalle istituzioni nazionali; esempi in
tal senso sono rappresentati dalle
attività della Simest, della SACE,
dell’Agenzia per la promozione
all’estero e l’internazionalizzazione
delle imprese italiane nonché dallo
stesso Ministero dello Sviluppo
Economico che, continuamente,
elaborano nuovi strumenti per
facilitare i processi di sviluppo verso
l’estero delle nostre pmi.
Una considerazione diretta ai
commercialisti, ai quali è delegato
l’importante compito di
accompagnare, ed a volte addirittura
dirigere, i progetti di
internazionalizzazione delle imprese,
è rappresentato dall’invito ad
assumere il ruolo di consulenti
globali, affinché essi stessi,
partecipando allo sviluppo dei
programmi di apertura verso i mercati
esteri, possano offrire ai propri clienti
la massima assistenza professionale
qualificando così, con la propria
presenza diretta, l’iniziativa
economica intrapresa.
Nello schema a fianco può essere
sintetizzato il ruolo che assume il
professionista nella fase di avvio di un
progetto di internazionalizzazione
dell’impresa: in particolare l’attività
del commercialista seguirà passaggi
distinti, assumendo una valenza
diversa sia interna all’impresa che
esterna ad essa.
In ordine alla valutazione del progetto
IMPRESA
COMMERCIALISTA
ISTITUZIONI
PUBBLICHE
E PRIVATE
BANCA
L’ATTIVITÀ DEL COMMERCIALISTA
INTERNA
1. VALUTAZIONE PROGETTO
2. VERIFICA STRATEGIA
3. INDIVIDUAZIONE CRITICITÀ
4. PREDISPOSIZIONE PIANO
DI SVILUPPO
5. FOLLOW-UP PROGRAMMA
è essenziale l’esame preliminare
dell’iniziativa per stabilire le
condizioni di reale fattibilità.
Dovrà poi delineare una adeguata
strategia al fine di programmare le fasi
successive all’avvio dell’iniziativa.
ESTERNA
1. SCELTA INTERLOCUTORI
2. SELEZIONE STRUMENTI
OPERATIVI
3. INFORMATIVA
4. COORDINAMENTO
Con riferimento all’individuazione
delle criticità egli dovrà compiere una
valutazione dei possibili fattori di
rischio, mediante verifica preventiva
dello scenario in cui verrà sviluppato
il progetto possibilmente assumendo
L’intervento
ogni informazione utile in ordine alle
condizioni di rischio paese e delle
politiche economiche e fiscali locali.
La redazione del piano di sviluppo
meglio definibile come business plan
economico e finanziario oltre a
costituire il “sistema di navigazione”
dell’iniziativa diviene spesso
strumento indispensabile di
rappresentazione esterna del
progetto.
Per quanto attiene al follow up del
programma, l’affiancamento del
professionista all’impresa anche nelle
fasi successive del progetto è da
ritenersi indispensabile per la verifica
del grado di realizzazione
dell’iniziativa.
Funzioni attribuibili al
commercialista, poi, potranno essere
legate alla scelta di interlocutori
adeguati ad assistere l’impresa nelle
fasi di sviluppo del progetto
cooperando ad esempio nella
selezione dell’istituto bancario di
riferimento, negli incontri con le
istituzioni governative nonché
nell’interlocuzione con i professionisti
locali dei diversi paesi o degli altri
organismi internazionali; inoltre, al
predetto potrà essere affidata la
selezione degli strumenti operativi
idonei allo sviluppo dell’iniziativa
rappresentando, l’operato dello
stesso, il principale canale di
informazione per tutti gli attori
coinvolti nell’attività di realizzazione
del programma internazionale.
Attraverso la propria specializzazione
nelle tecniche di sviluppo dell’attività
7
delle imprese nei processi di
internazionalizzazione, sarà
certamente richiesta la costante
presenza del professionista nel ruolo
di coordinatore del progetto,
garantendo al medesimo grandi
opportunità di crescita professionale
ed attribuendogli altresì un ruolo
propulsivo allo sviluppo
dell’internazionalizzazione delle
imprese con conseguente innegabile
ricaduta sull’incremento dell’attività
professionale.
La sfida ai mercati internazionali è
dunque da considerarsi una chanche
per tutti imprenditori e professionisti
la cui posta in palio è il futuro del
nostro Paese e per usare una
locuzione dei nostri maestri latini
nihil difficile volenti! 8
Verso nuovi mercati
Leonardo Maria Caputo
ODCEC di Roma*
Il processo di internazionalizzazione delle imprese è estremamente
complesso e richiede la conoscenza di specifiche competenze
proprie dei commercialisti
a Commissione Internazionalizzazione delle
imprese dell’ODCEC di Roma ha avviato con
successo l’ambizioso progetto di realizzare il
Manuale per il professionista
dell’internazionalizzazione delle imprese.
Collaborano alla realizzazione del Manuale le altre
Commissioni che hanno come oggetto i vari aspetti della
professione, necessari per assistere le imprese che
perseguono l’internazionalizzazione. Chiediamo il
contributo anche dei Colleghi degli altri Ordini per
ottenere il Manuale il più completo ed efficace possibile.
Il progetto viene sviluppato con implementazioni modulari,
con lo scopo di predisporre la ‘cassetta degli attrezzi’
necessari per svolgere l’attività di consulente per
l’internazionalizzazione, integrandola man mano che
aumentano le competenze e le necessità.
Con gli articoli che seguono presentiamo gli argomenti già
sviluppati: processo d’internazionalizzazione,
pianificazione strategica, aspetti operativi della gestione
dell’impresa internazionalizzata, soggetti coinvolti, analisi
della situazione attuale delle pmi in rapporto con
l’internazionalizzazione, opportunità dell’aggregazione
delle pmi e sue modalità.
Prima d’introdurre le importanti opportunità offerte alla
Categoria dei commercialisti dal complesso tema
dell’internazionalizzazione delle imprese, devo fare una
premessa per illustrare come nasce il progetto del
Manuale.
La Commissione Internazionalizzazione delle imprese è
stata istituita nel 2013 dal nuovo Consiglio dell’Ordine di
Roma, per andare incontro alla grande attenzione che sta
maturando tra i Colleghi verso la necessità di poter
assistere le imprese clienti nella realizzazione di progetti di
penetrazione nei mercati esteri, come unica opportunità di
sviluppo, se non di sopravvivenza.
L
Ringrazio sempre il Consiglio ed in particolare il
Presidente Mario Civetta per questa scelta, che testimonia
anche così la grande sensibilità per la crescita
professionale della Categoria.
L’istituzione di questa Commissione è stato un ulteriore
passo del cammino intrapreso due anni fa, in seguito ad un
corso di cinque intensi giorni sull’internazionalizzazione
organizzato dal Consiglio Nazionale in collaborazione con
l’Ordine di Roma.
Al corso seguì un viaggio di studio in Cina, a Shangai,
durante il quale si poterono approfondire gli argomenti
appresi, realizzando una stimolante esperienza.
Tra i partecipanti al corso ed al viaggio maturò un grande
interesse ad approfondire il tema e, anche per il clima di
cooperazione che si respirava nel gruppo, si decise di
fondare l’Associazione VICINA con lo scopo di “diffusione
della cultura dell’internazionalizzazione e dell’innovazione
tra i commercialisti, gli altri professionisti e, per loro
tramite, alle imprese”.
VICINA ha organizzato nel 2012, in collaborazione con
l’Ordine di Roma, quattro convegni e l’anno passato ha
organizzato una missione professionale ed imprenditoriale
ad Istanbul.
All’interno della missione si è tenuto un workshop, che ha
ottenuto dall’Ordine di Roma il riconoscimento dei crediti
della Formazione professionale continua, al quale hanno
partecipato Colleghi provenienti anche da altri Ordini.
L’Associazione e la Commissione hanno in comune lo
scopo di diffondere la cultura dell’internazionalizzazione
tra i commercialisti, per favorirne la crescita professionale.
* Presidente della Commissione Internazionalizzazione delle
imprese dell’ODCEC di Roma, Segretario Generale
Associazione VICINA
Presentazione
La Commissione ha un ruolo istituzionale, basa la propria
attività sull’apporto volontaristico di esimi Colleghi e si
rivolge agli iscritti dell’Ordine di Roma.
L’Associazione è lo strumento operativo al servizio
dell’intera Categoria; è strutturata in gruppi di lavoro
specifici, ai quali partecipano gli associati in forma
volontaria; investe nella propria attività di studio le quote
versate dai soci ed i contributi che riesce ad ottenere da
organismi ed enti. L’Associazione è anche una rete di
professionisti, che hanno come elemento di forza i
sentimenti di condivisione e di appartenenza, che
maturano attraverso la partecipazione alle numerose
attività di studio e conviviali.
Con il Manuale intendiamo stimolare i Colleghi ad
approcciare in modo organico il tema
dell’internazionalizzazione delle imprese, fornendo
indicazioni complete, ma semplici, per poter essere d’aiuto
alle imprese clienti.
Cos’è l’internazionalizzazione?
Uno dei maggiori successi dell’Unione Europea è stato la
creazione di un enorme mercato unico di più di 500 milioni
di consumatori.
Al di là dell’Europa, il fenomeno della globalizzazione,
caratterizzato da drastiche riduzioni degli ostacoli al
commercio e dei costi di trasporto, di comunicazione e
d’informazione, ha aperto enormi opportunità.
Tuttavia, per molte piccole e medie imprese (pmi) le
frontiere nazionali rappresentano ancora un ostacolo
significativo all’ampliamento delle loro attività; esse
dipendono ancora in gran parte o, esclusivamente, dal
mercato nazionale, malgrado il fatto che sono comunque
già esposte ad un’intensa concorrenza internazionale.
Noi ci occupiamo delle pmi in quanto costituiscono la
maggior parte della nostra clientela e sono quelle che
hanno maggior bisogno del nostro aiuto.
C’è un rapporto diretto tra l’internazionalizzazione e
l’aumento della redditività delle pmi:
l’internazionalizzazione consente di accedere a una più
ampia base di clienti, a un maggior numero di fornitori o a
una più intensa esposizione alle nuove tecnologie. In linea
generale, l’internazionalizzazione offre un percorso per
aumentare la redditività, la sopravvivenza nel lungo
periodo e una maggiore competitività, elementi che
costituiscono i principali vantaggi di una valida strategia
d’internazionalizzazione.
L’internazionalizzazione non consiste solamente
nell’esportazione; la cooperazione transfrontaliera, la
9
10
partecipazione a reti economicamente efficaci, la ricerca di
approvvigionamenti competitivi e le nuove tecnologie sono
elementi importanti nell’impulso delle pmi moderne verso
l’internazionalizzazione. C’è un forte collegamento tra
innovazione e internazionalizzazione: entrambi questi
elementi contribuiscono positivamente alla crescita della
competitività.
Malgrado i vantaggi, andare all’estero costituisce ancora un
passo non facile per la maggior parte delle piccole imprese.
Queste sono soggette ai seguenti elementi critici.
Scarsa sensibilità
Una quota importante delle pmi, e la maggior parte di
quelle che hanno meno di 10 dipendenti, concentrano tutte
le loro attività sul mercato locale o nazionale.
Inoltre, un’elevata percentuale di queste non prende
neppure in considerazione l’ipotesi di internazionalizzarsi.
Ampliare le proprie attività all’estero è ancora considerato
non necessario o troppo costoso e rischioso.
Difficile accessibilità alle informazioni necessarie
Questo elemento costituisce una delle principali criticità
per le pmi interessate o già impegnate nel processo
d’internazionalizzazione.
Molte imprese, in particolare le più piccole e quelle che
muovono i primi passi all’estero, non hanno le risorse e le
conoscenze specializzate per identificare le opportunità di
affari, i soci potenziali, le prassi commerciali estere, le
procedure d’esportazione, la normativa, e le specifiche dei
prodotti d’importazione, i requisiti di commercializzazione,
ecc..
L’accesso a questa categoria d’informazioni è essenziale
per poter minimizzare gli alti costi e rischi iniziali.
Inadeguatezza delle risorse umane
Le pmi sono caratterizzate dalla flessibilità e da una grande
capacità d’innovazione e adattamento, ma l’impegno nei
mercati internazionali richiede ulteriori competenze,
capacità di gestione e disponibilità, nel lungo periodo, di
idonee risorse umane per sviluppare una strategia di
internazionalizzazione senza mettere in pericolo le attività
quotidiane. In pratica, richiede il passaggio da una
dimensione culturale artigianale ad una dimensione
culturale industriale.
Insufficienti disponibilità finanziarie
Anche questo problema, insieme a quello dell’accesso alle
informazioni, è di grande ostacolo
all’internazionalizzazione.
Le pmi non hanno conoscenze specializzate nel settore
finanziario, che richiederebbero molto tempo ed energia.
Tuttavia, nel caso dell’internazionalizzazione, l’aspetto
finanziario è molto più di una questione di gestione del
flusso di cassa o di possibilità di accesso a finanziamenti
aggiuntivi.
Vanno considerati una serie di fattori specifici come il
rischio di cambio, la garanzia dei pagamenti all’estero, le
difficoltà per la concessione di agevolazioni di pagamento
ai clienti esteri, ecc..
Finanziare l’internazionalizzazione costituisce, pertanto, un
problema duplice: da un lato, è necessario acquisire
informazioni sui nuovi problemi e sui meccanismi
finanziari dell’internazionalizzazione; dall’altro, è
necessario poter accedere ai fondi aggiuntivi necessari a
finanziare le operazioni internazionali.
Ottenere tali fondi comporta costi e difficoltà ulteriori a
causa del maggior livello di rischio percepito dalle
istituzioni finanziarie e, in alcuni casi, renderà necessario il
ricorso a strumenti finanziari specifici per
l’internazionalizzazione.
Bassa propensione alle reti
Le reti agevolano l’interazione tra varie imprese che
condividono obiettivi e interessi comuni e rappresentano
una fonte di sinergie vantaggiose: la condivisione delle
spese, un accesso migliore o più rapido alle nuove
tecnologie ed a potenziali soci, ecc..
È questo il motivo per cui le reti sono uno degli strumenti
che maggiormente favoriscono l’attività internazionale
coronata da successo.
Il carattere della rete può essere vario e coinvolgere sia le
pmi sia le grandi imprese, diversi settori e anche varie aree
regionali e nazionali, a seconda del centro d’interesse
primario della rete. Uno dei vantaggi essenziali delle reti è
il basso costo per i partecipanti rispetto ai vantaggi offerti.
Ma anche per poter utilizzare lo strumento delle reti le pmi
incontrano le difficoltà sopra esposte.
Qual è il ruolo dei Commercialisti?
Se prima che iniziasse la crisi economica la ricerca di
sbocchi commerciali oltre confine poteva considerarsi
appannaggio di grandi aziende o d’imprenditori illuminati,
ora deve diventare l’esigenza principale della generalità
delle imprese, per sopperire alla progressiva riduzione del
mercato nazionale.
Questo fatto deve essere colto da noi commercialisti quale
opportunità per sopravvivere ad un sistema economico,
professionale e sociale che tende a soffocarci e
prevaricarci, relegandoci al ruolo di meri addetti fiscali
Presentazione
dell’Amministrazione pubblica.
Ciò vale soprattutto per i giovani che, iniziando la
professione in questo periodo buio, incontrano maggiori
difficoltà lavorative. Però loro possono riuscire più
facilmente a dedicarsi all’internazionalizzazione, avendo
una maggiore apertura mentale e più tempo da dedicare
allo studio della materia ed alla costruzione dei rapporti
professionali che servono per tale attività.
Siamo convinti che attraverso l’attività dei commercialisti,
che sono la figura professionale naturalmente più vicina
agli imprenditori, sarà possibile stimolare le piccole
imprese italiane a svilupparsi con l’internazionalizzazione,
contribuendo così alla crescita del sistema Paese.
Il processo dell’internazionalizzazione delle imprese è
estremamente complesso e richiede di essere
programmato in modo meticoloso e con un approccio
progressivo, per evitare onerosi insuccessi.
I commercialisti hanno la professionalità necessaria per
supportare le imprese nelle varie fasi di questo processo,
ma è necessario ampliare ed arricchire le competenze
tradizionali per poter fronteggiare tutte le criticità sopra
11
evidenziate.
La crescita culturale che perseguiamo deve iniziare
dall’acquisire la consapevolezza della necessità di dover
collaborare con altri colleghi, per poter affrontare temi
complessi come questo.
È determinante entrare a far parte di una rete di
professionisti con i quali condividere informazioni,
relazioni e competenze. Per far funzionare la rete è
necessario che i partecipanti instaurino una relazione
basata sulla reciproca conoscenza e stima.
La ‘cassetta degli attrezzi’ che presentiamo oggi è la
risposta pratica che offriamo per cercare di rendere
accessibile ai Colleghi l’importante opportunità
professionale di assistere le imprese clienti nei vari passi
necessari per allargare i propri mercati oltre i confini
nazionali.
Il primo grande risultato noi l’abbiamo già raggiunto e deve
servire da esempio come metodo fondamentale per
approcciare tematiche complesse come questa: lavorare in
gruppo e condividere le competenze all’interno di una rete
di professionisti. 12
Internazionalizzazione,
quando e perché
Christhian Gioco
ODCEC di Roma*
Oggi il processo di crescita di un’impresa si misura anche
dalla sua presenza nei mercati internazionali
possibile far risalire la
nascita dello studio
dell’internazionalizzazione d’impresa a quando
Hymer, nel 1960, con il
suo contributo, ricondusse lo studio
dei flussi di beni, capitali e lavoro tra
le nazioni anche all’attività d’impresa,
piuttosto che esclusivamente
all’interno di approcci teorici relativi
alle differenze a livello
macroeconomico tra le nazioni.
Un corretto approccio
all’internazionalizzazione deve essere
necessariamente pragmatico.
Il complesso delle attività
richieste per internazionalizzare
un’impresa non può essere ridotto
all’attività di preparazione di un
contratto di fornitura o di vendita. Nel
tentativo di ragionare su terminologie
condivise, potrebbe essere utile
fornire un paradigma, il più oggettivo
possibile, che definisca gli stadi che
un’impresa può assumere in rapporto
all’internazionalizzazione.
Anticipando le conclusioni, la tesi
che si vuole qui sostenere è che
l’internazionalizzazione sia un
processo complesso, composto da
diverse attività, che porta l’azienda ad
operare in mercati sovranazionali.
Possiamo affermare che la decisione
È
dell’avvio di tale processo, come
anche la sua gestione, rientrano in
quelle scelte che andranno assunte
nell’ambito della pianificazione
strategica e che fanno parte del
processo di crescita che l’azienda,
attraverso la sua governance,
predispone. A questo punto diviene
fondamentale definire che per
internazionalizzazione intendiamo
“quell’insieme di attività che porta
l’azienda ad operare o ad accrescere
la sua presenza nei mercati esteri”.
Per inquadrare opportunamente il
fenomeno dell’internazionalizzazione
è indispensabile indagare le
motivazioni che spingono le imprese
ad intraprendere il percorso. Queste,
ad esempio, potranno essere spinte
all’internazionalizzazione per motivi
diversi:
superare la limitatezza del mercato
domestico;
aumentare quote di mercato;
cercare di conseguire economie di
scala;
difendere il mercato interno;
accedere a migliori fonti di
approvvigionamento, ecc..
Non si devono, inoltre, trascurare gli
ostacoli che le aziende incontrano
durante il percorso che le porta ad
operare in mercati internazionali.
Esempi di ostacoli sono: la
carenza di risorse finanziarie,
l’inadeguatezza delle risorse umane, le
barriere culturali nei mercati esteri, i
problemi logistici e le incompatibilità
ambientali.
I molteplici volti
dell’internazionalizzazione
L’internazionalizzazione di un’impresa
non riguarda soltanto materie quali la
fiscalità, il diritto societario, la
contrattualistica o la finanza
internazionale. È utile, per
comprendere le dinamiche sottese
all’internazionalizzazione d’impresa,
individuare ed elencare le diverse
declinazioni che la stessa può assumere
servendoci della scomposizione in fasi
del processo di creazione del valore
tipico di ogni azienda: “acquistoproduzione-vendita”.
Ripercorrendo il processo, è
possibile stilare un elenco che abbia
lo scopo di riassumere e
* Componente della Commissione Internazionalizzazione delle imprese
dell’ODCEC di Roma
L’intervento
schematizzare le tipologie
d’internazionalizzazione possibili. La
ricerca di questa codificazione, lungi
dall’essere fine a se stessa, ha il
dichiarato obiettivo di rappresentare
sia uno strumento di analisi sia un
punto di riferimento per lo studio
delle attività costituenti il processo
d’internazionalizzazione. Attraverso
frequenti richiami alle categorie
individuate dall’elenco, risulterà più
agevole illustrare il processo di
trasformazione che un’azienda
subisce dal momento in cui
intraprende il sentiero che la porterà
ad accrescere la sua presenza nei
mercati esteri.
L’individuazione degli stadi elencati si
basa sulla possibilità che lo
svolgimento di ogni fase del
“processo” possa avvenire in Italia o
all’estero. Una volta individuate le
diverse tipologie
d’internazionalizzazione, sarà
TIPOLOGIA DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
possibile studiarne le caratteristiche e
individuare i percorsi e le attività più
idonei per raggiungerle.
È opportuno precisare che il
criterio utilizzato per individuare le
tipologie d’internazionalizzazione
possibili prescinde dall’ubicazione
della sede dell’impresa e anche dal
luogo ove vengono assunte le scelte
strategiche o, ancora, dove vengono
eventualmente distribuiti gli utili.
Il “driver” primario scelto per
individuare il grado
d’internazionalizzazione è quello
relativo alla fase della produzione (in
cui presumibilmente si realizza la
maggior parte della cosiddetta
creazione del valore da parte
dell’impresa), per poi passare alla fase
della vendita in quanto attività più
complessa e articolata rispetto a
quella relativa agli acquisti in cui si
gestiscono semplicemente gli
approvvigionamenti presso i mercati
esteri. Un’ulteriore precisazione
riguarda il fatto che all’interno dei vari
“stadi” coesistono differenti gradi
d’internazionalizzazione, che sono
funzione dei diversi criteri qualitativi e
quantitativi che misurano la presenza
di un’impresa nei mercati esteri. Sul
tema del grado di
internazionalizzazione si rimanda alla
copiosa letteratura in materia. Avremo
quindi
ACQUISTO
PRODUZIONE
VENDITA
ITALIA
ITALIA
ITALIA
2. IMPRESA IMPORTATRICE
ESTERO
ITALIA
ITALIA
3. IMPRESA ESPORTATRICE
ITALIA
ITALIA
ESTERO
ESTERO
ITALIA
ESTERO
ITALIA
ESTERO
ITALIA
6. IMPRESA INTERNAZIONALIZZATA
ESTERO
ESTERO
ITALIA/ESTERO
7. IMPRESA MULTI-MERCATO
ESTERO
ESTERO
ESTERO
1. IMPRESA LOCALISTA
4. IMPRESA DI SCAMBIO
5. IMPRESA DELOCALIZZATA
13
14
L’intervento
Tutte le imprese possono essere
ricomprese in una delle tipologie
sopra descritte e, attraverso il
processo d’internazionalizzazione
prescelto, si muovono all’interno delle
diverse categorie o stadi.
È anche possibile l’esistenza di
aziende collocabili
contemporaneamente in più di una
tipologia in funzione dei diversi
prodotti e/o servizi offerti. Si potranno
avere aziende che vendono e/o
producono in mercati esteri alcuni
prodotti o servizi e nel mercato
nazionale altri.
Per un’impresa, muoversi da una
tipologia all’altra della griglia, significa
mutare la propria condizione in
rapporto all’internazionalizzazione.
Questo presuppone che la stessa
subisca un processo di trasformazione
che potrà riguardare l’azienda nel suo
complesso, un suo prodotto o servizio
o anche un ramo della stessa.
Il processo d’internazionalizzazione
Alla luce di quanto illustrato è utile
identificare le fasi del processo
d’internazionalizzazione, per
individuarne le attività caratteristiche
e i corretti comportamenti che
l’impresa dovrà attuare nel passaggio
da uno stadio ad un altro, per ridurre i
rischi e massimizzare i vantaggi.
Al di là dell’esatta individuazione
della successione temporale delle
diverse fasi del processo, è importante
conoscere, indagare e definire i
contenuti e le azioni caratteristiche da
svolgere in ogni fase. In questo modo
l’azienda ed il professionista che la
supporta riusciranno a pianificare il
percorso da seguire, evitando i rischi di
scelte non ponderate.
Le principali fasi del processo
d’internazionalizzazione
Primo approccio: l’azienda matura la
necessità di indagare nuove
opportunità di sviluppo, tra le quali
viene esaminata la possibilità
d’espandere i propri mercati di
riferimento oltre i confini nazionali.
Prima analisi interna: viene fatta
un’auto-verifica dell’idoneità
all’internazionalizzazione attraverso
un primo check-up aziendale che miri
ad individuare capacità e volontà
dell’impresa di crescere e cogliere le
opportunità fornite dal processo
d’internazionalizzazione.
Esplorazione mercati
potenzialmente interessanti: si
acquisiscono e si confrontano le
schede paese dei mercati di possibile
interesse predisposte dalle istituzioni
private e pubbliche (associazioni di
categoria locali, Camere di
commercio estere, ICE, banche, ecc.).
Primo approccio al paese: si
raccolgono le informazioni sul paese
prescelto relativamente agli aspetti
economici, politici, fiscali e culturali.
Focus sul settore d’interesse:
s’individuano e si analizzano le
caratteristiche del mercato del settore
specifico dell’azienda.
Prima esplorazione: si effettua una
missione esplorativa alla ricerca di
riscontri delle notizie raccolte e per
ottenere informazioni più specifiche.
Analisi aziendale interna: viene fatta
l’analisi della struttura organizzativa e
delle competenze interne al fine di
verificare l’idoneità dell’impresa a
penetrare efficacemente il mercato
prescelto anche sulla base delle
informazioni raccolte nelle fasi
precedenti.
Studio di pre-fattibilità: al verificarsi
delle condizioni di idoneità
dell’impresa è opportuno predisporre
un’analisi di fattibilità che espliciti gli
obiettivi prefissati valutando i costi ed
i benefici del percorso individuato.
Elaborazione progetto
d’internazionalizzazione: si
definiscono nel dettaglio le attività da
svolgere, i costi, i ricavi, i tempi di
attuazione, la redditività prevista,
ecc..
Attuazione del progetto di
internazionalizzazione: in questa
fase si realizzano le azioni
programmate nel progetto per
arrivare alla piena operatività. Sarà
opportuno prevedere dei sistemi di
feed-back per monitorare l’andamento
dell’attuazione del piano al fine di
valutare eventuali scostamenti che
potrebbero comportare il fallimento
del processo d’internazionalizzazione.
Gestione operativa: a questo punto
l’azienda svolgerà tutte le operazioni
caratteristiche della “fase” che ha
inteso internazionalizzare, gestendo
problematiche diverse rispetto
all’operatività in campo domestico,
come ad esempio le modalità di
pagamento, la movimentazione dei
prodotti, ecc. ... Rappresentiamo una minoranza del 99,9%.
In Italia le PMI sono
il 99,9% della forza
economica, eppure
vengono trattate come
una minoranza. Il
mondo produttivo e le
istituzioni funzionano
solo grazie alle libere
professioni, eppure
queste ultime non
vengono prese
in considerazione
dai poteri forti.
Essere utili al Paese
significa cambiare
anche questi squilibri,
ma soprattutto
lavorare per le
cose che contano.
16
Nel rispetto delle
norme deontologiche
Marta Palombi
ODCEC di Roma*
Indipendentemente dal paese estero in cui si andrà ad operare,
il professionista è tenuto a rispettare i comportamente etici stabiliti
dal Codice deontologico di riferimento
’espressione ‘deontologia’
deriva dal greco ‘deonontos’, ossia ciò che
occorre fare, e ‘logos’, ossia
‘scelta, calcolo, regola’;
pertanto, la deontologia è l’insieme
delle regole che governano ciò che
occorre fare, l’insieme dei doveri
pratici al quale ispirarsi nell’esercizio
della professione di commercialista ed
esperto contabile.
Spesso si confonde la deontologia
con l’etica. L’etica (dal greco ethos che
significa ‘carattere’, ‘comportamento’,
‘costume’, ‘consuetudine’), è il ramo
della filosofia che studia i fondamenti
oggettivi e razionali che permettono di
distinguere i comportamenti umani in
buoni, giusti, moralmente leciti,
rispetto ai comportamenti ritenuti
cattivi o moralmente inappropriati.
L’etica è perciò guidata dalla
visione del mondo dei soggetti, dalle
loro scelte valoriali e dal significato
che essi danno ai comportamenti
individuali e sociali. L’etica cristiana e
quella induista, ad esempio, sono
molto diverse tra loro, anche se alcuni
princìpi generali sembrano gli stessi.
Lo stesso vale per l’etica cattolica e
quella protestante, come ha
chiaramente dimostrato Max Weber
L
nel suo famoso saggio.
È importante considerare il fatto
che la deontologia professionale,
invece, deve poter essere condivisa da
tutti i colleghi e le colleghe,
indipendentemente, ad esempio, dalle
convinzioni politiche o religiose o
filosofiche.
Il Codice deontologico approvato
dal Consiglio Nazionale dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili
in data 9 aprile 2008 ed entrato in
vigore dal 1° maggio del 2008, in
attuazione dell’articolo 29, lettera c)
del decreto legislativo n. 139 del 2005,
contiene un’elencazione di princìpi a
cui i professionisti devono uniformarsi
nell’esercizio dell’attività, sia a livello
nazionale che internazionale.
Riferimenti normativi nazionali e
internazionali
La redazione del Codice deontologico
ha tenuto conto dei più importanti
riferimenti normativi nazionali ed
internazionali.
Per quanto riguarda la normativa
nazionale, il focus è costituito dal
decreto legislativo n. 139 del 2005, in
particolare gli articoli 29 (lettera c), 49
(comma 1) e 50 (comma 6).
Sul piano internazionale, sempre
più rilevante, anche in ragione del
moltiplicarsi degli scambi
commerciali e della libertà di
movimento di beni e persone, i
principali riferimenti sono quelli
costituiti da:
a) il Codice IESBA, il Code of Ethics
for Professional Accountants,
emanato dall’IFAC (International
Federation of Accountants), nella
versione attualmente in vigore.
L’IFAC, nella qualità di standard setter,
è il soggetto a cui è stato riconosciuto
dalla comunità professionale
internazionale il potere di emanare
norme vincolanti per gli istituti
nazionali aderenti;
b) gli orientamenti in materia
deontologica espressi dalla FEE –
Fédération des Experts Comptables
Européens (Federazione degli Esperti
Contabili Europei).
Principi fondamentali del Codice
deontologico
Il Codice identifica i valori guida della
* Componente della Commissione Internazionalizzazione delle imprese
dell’ODCEC di Roma
L’intervento
professione di commercialista, gli
interessi di categoria e gli scopi,
pubblici e privati, che sono propri
della professione.
In base all’articolo 2, il
professionista deve mantenere alta la
reputazione con un comportamento
consono al decoro, alla dignità della
professione, anche al di fuori
dell’esercizio della stessa; il
professionista è tenuto alla
conoscenza delle norme del Codice, la
cui ignoranza non lo esime dalla
responsabilità disciplinare.
Il commercialista dovrà agire
nell’interesse pubblico (articolo 5
C.d.); in senso soggettivo avendo
riguardo ai legittimi interessi dei
clienti e degli altri “stakeholder”
(Stato, istituzioni finanziarie,
fornitori, ecc.); in senso oggettivo,
tutelando l’interesse pubblico
sotteso alle funzioni professionali;
in termini di affidamento, invece,
non dovrà tradire le aspettative
della collettività;
integrità: in tutte le relazioni
professionali e personali è
indispensabile agire in modo
onesto e diretto, senza
discriminazioni di religione, razza,
nazionalità, ideologia politica o
classe sociale. Agire con integrità
significa comportarsi con
correttezza e veridicità,
dissociandosi da relazioni,
dichiarazioni e comunicazioni false
o ingannevoli, che non rispondono
a verità, atte ad occultare od
omettere informazioni così da
risultare fuorvianti;
obiettività: il commercialista deve
esprimere la propria posizione o il
proprio giudizio professionale
senza essere influenzato da
interessi personali e altrui,
pregiudizi, o pressioni esterne o
aspettative del cliente e si deve
pronunciare con sincerità e con
totale obiettività. Deve assumere le
proprie decisioni in assoluta
indipendenza ed autonomia di
giudizio.
Prestazioni professionali svolte
al di fuori del paese d’origine
(art.12 C.d.)
Il commercialista si confronta non
solo con realtà professionali nazionali,
ma anche con contesti di altri Paesi,
che possiedono caratteristiche
normative e socio-economiche
differenti dalle nostre. In questi casi,
quali norme deontologiche dovrà
seguire? Quelle italiane o quelle
estere? In base all’articolo 12 del
17
Codice deontologico, “il
professionista che eroghi prestazioni
professionali al di fuori del territorio
italiano dovrà applicare le
disposizioni del presente Codice e
quelle delle norme deontologiche
vigenti nel paese estero, se ed in
quanto esistenti”.
In caso di conflitto tra le due
normative, il professionista è tenuto
ad applicare la disposizione
maggiormente rigorosa sotto il profilo
deontologico. I professionisti iscritti
ad Ordini professionali di altri Paesi,
che esercitano legittimamente in Italia
le attività professionali disciplinate
dal decreto n. 139 del 2005, dovranno
rispettare le disposizioni previste dal
Codice deontologico italiano.
18
L’intervento
Il professionista che svolge
un’attività di consulenza in tema di
internazionalizzazione, dovrà ispirarsi
ai principi di comportamento dettati
dai seguenti ordinamenti:
Codice deontologico della
professione di dottore
commercialista ed esperto
contabile;
Code of ethics for professional
accountants (Codice IESBA)
emanato dall’IFAC;
orientamenti deontologici espressi
dalla FEE Fédération des Experts
comptables Européens;
codice etico professionale vigente
nel paese estero in cui si va ad
operare.
L’IFAC (International Federation of
Accountants) è una delle
organizzazioni mondiali per i
professionisti contabili, che si pone
come portavoce della professione a
livello internazionale. È nata nel 1977
con l’adesione di 63 organismi
contabili professionali collocati in 51
Paesi. L’IFAC stabilisce gli standard
internazionali di deontologia, di
controllo e di garanzia, di formazione
contabile e di contabilità del settore
pubblico. La missione dell’IFAC è
quella di perseguire l’interesse
pubblico, di rafforzare la professione
contabile in ogni parte del mondo e di
contribuire allo sviluppo di economie
internazionali forti, mediante la
definizione e promozione di standard
professionali di alta qualità, favorendo
la convergenza a livello
internazionale sui medesimi.
Il Codice IESBA (Code of ethics
for professional accountants)
rappresenta il principale standard
professionale che stabilisce i requisiti
etici per i professionisti contabili. I
principi fondamentali di questo
Codice sono i medesimi di quelli
definiti dal Codice deontologico
nazionale: 1) l’integrità (onestà
materiale e intellettuale); 2)
l’oggettività (assenza di pregiudizi,
conflitti di interessi o indebite
pressioni, non farsi influenzare dalle
aspettative del cliente); 3) la
competenza professionale e la
diligenza (il professionista e il suo
staff di collaboratori devono essere in
possesso delle conoscenze e delle
capacità necessarie per svolgere il
servizio in modo professionale); 4) la
riservatezza (tutte le informazioni
devono rimanere strettamente
confidenziali); e 5) il comportamento
professionale (consono al decoro e
all’immagine della professione,
impegno ad agire nell’interesse
pubblico).
La FEE (Fédération des Experts
comptables Européens) è
l’organizzazione che rappresenta la
professione contabile in Europa e
riunisce 44 organismi professionali di
32 paesi. L’obiettivo principale della
FEE è quello di rappresentare la
professione presso le istituzioni
dell’Unione Europea e gli organismi
internazionali della professione, quali
l’IFAC e lo IASB, nonché
sovrintendere al miglioramento delle
competenze professionali in un’ottica
di armonizzazione e liberalizzazione
dell’esercizio della professione in
Europa. La FEE si occupa di tutte le
attività di interesse della professione
(deontologia, ordinamento, fiscale,
contabile, revisione, consulenza alle
piccole e medie imprese, ambiente e
sostenibilità).
Codici deontologici di altri paesi
europei
Ogni Paese ha emanato un codice
deontologico per i professionisti
contabili. Dal punto di vista pratico,
nel caso in cui un commercialista
volesse sapere qual è il codice
deontologico di una nazione che non
sia quella italiana, dovrà far
riferimento all’Ordine professionale
del luogo e visionare il relativo codice
deontologico. Ad esempio, per i Paesi
europei più vicini a noi può essere
utile fare riferimento ai seguenti
Organismi professionali:
CNCC (Compagnie Nationale des
Commissaires aux Comptes)
http://www.cncc.fr/;
OEC (Ordre des ExpertsComptables),
http://www.experts-comptables.fr/;
ICAEW (Institute of Chartered
Accountants in England and
Wales), http://www.icaew.com/ C.d.
del principale istituto inglese;
CIOT (The Chartered Institute of
Taxation), http://www.tax.org.uk/
branca dei commercialisti
fiscalisti;
ACCA (Association of Chartered
Certified Accountants),
http://www.accaglobal.com/gb/en/
principale istituto britannico a
vocazione transnazionale;
ICJCE (Instituto de Censores
Jarados de Cuentas De Espana),
http://www.icjce.es/ principale
istituto spagnolo;
IDW (Institut der
Wirtschaftsprüfer),
http://www.idw.de/ principale
istituto tedesco.
I codici deontologici in vigore
possono presentare delle divergenze,
anche se i principi fondamentali
basilari risultano essere i medesimi.
Pertanto, indipendentemente dal
Paese estero in cui si andrà ad
operare, il professionista è tenuto a
rispettare, nella lettera come nello
spirito, i comportamenti stabiliti dal
Codice deontologico di riferimento. È tempo di pensare al futuro.
Oggi i nostri figli
hanno molti dubbi
e un’unica convinzione:
che in futuro staranno
peggio dei loro padri.
Il futuro si può, però,
ancora cambiare,
con regole e scelte
che interessino
i nostri figli,
facendo sacrifici
oggi per farne fare
meno a loro domani.
Trasformando
la crisi in opportunità
e l’immobilità in
ottimismo.
20
I rischi per il
professionista
Alessandra Fineschi
ODCEC di Roma*
Per chi vuole operare nell’ambito dell’internazionalizzazione si profilano
nuove frontiere di rischio e di responsabilità professionali
el corso degli ultimi
anni, il crescente ricorso
da parte delle imprese
multinazionali ai
cosiddetti schemi di
pianificazione fiscale aggressiva ed i
fenomeni di erosione della base
imponibile hanno rappresentato una
problematica prioritaria per la
comunità internazionale.
Risulta particolarmente intenso, in
sede OCSE e UE, il dibattito relativo
alle azioni rivolte a combattere
pratiche fiscali aggressive,
considerate dannose a livello
internazionale.
In questo ambito assumono
particolare rilievo la ridefinizione del
concetto di abuso del diritto e la
creazione di un’area grigia di
incertezza giuridica.
Infatti, recentemente si è assistito,
in molte giurisdizioni, ad un
incremento delle aspettative da parte
delle amministrazioni finanziarie per
un più ampio impegno dei consulenti
fiscali verso operazioni di
pianificazione fiscale legittima.
Tale approccio solleva numerosi
interrogativi sui crescenti rischi e
responsabilità dei professionisti
nell’espletamento del loro incarico
N
professionale.
Esiste, infatti, la possibilità che
schemi di pianificazione fiscali
considerati legittimi in passato siano
considerati inaccettabili in futuro da
parte delle amministrazioni finanziarie
dei vari Stati e che i consulenti fiscali
siano considerati corresponsabili
dello sviluppo di una pianificazione
fiscale aggressiva.
Il sistema fiscale internazionale è
attualmente sotto pressione perché le
imprese, per ottimizzare i profitti,
sono propense ad una
riorganizzazione e ottimizzazione
della produzione su scala mondiale,
inserendo tra i costi dei vari fattori
produttivi anche quelli derivanti dalle
imposizioni fiscali dei vari Paesi.
Questa realtà ha posto di fatto in
concorrenza gli Stati, che si trovano il
gettito delle entrate fiscali
condizionato dalle politiche
economiche basate sui livelli di
tassazione.
Questa concorrenza interna si
configura prevalentemente tra i Paesi
sviluppati e quelli in via di sviluppo.
Per arginare questo fenomeno, oramai
dilagato a livello mondiale, le
strutture fiscali giuridiche
internazionali stanno delineando
nuove forme di responsabilità dei tax
advisers.
Tale incremento di responsabilità
si delinea soprattutto nel passaggio da
un approccio legale ad un approccio
morale nella responsabilità
professionale.
Adottare un approccio morale con
riguardo alle imposte dovute, significa
che il consulente dovrebbe verificare
non solo che il contribuente non stia
realizzando strutture di pianificazione
fiscale contrarie alla legge, ma anche
che non stia ponendo in essere
pratiche elusive che contrastino con
lo spirito della legge.
L’approccio dei tax advisers alla
propria attività professionale
dovrebbe pertanto tenere conto di una
serie di fattori, come ad esempio:
aspetti tecnici,
esigenze delle autorità fiscali,
ambiente esterno,
rischi legati alla pianificazione
fiscale,
problemi di reputazione,
* Componente della Commissione Internazionalizzazione delle imprese
dell’ODCEC di Roma
L’intervento
21
propensione al rischio da parte del
cliente.
Recentemente ha fatto scalpore una
decisione della Hight Court inglese in
cui uno studio di accountant è stato
ritenuto responsabile per non aver
sconsigliato al cliente una procedura
considerata elusiva.
Il caso della UK High Court
decision about MEHJOO 2013
Il 5 giugno 2013 la Hight Court del
Regno Unito ha deciso in merito al
riconoscimento di una responsabilità
professionale in capo ad una società
di consulenti inglesi.
In questo caso, uno studio di
chartered accountant è stato ritenuto
responsabile per non aver sconsigliato
o, ancor di più, di non aver avvertito il
proprio cliente (avente lo status di
non domiciliato in UK) di configurare
una operazione fiscalmente eleggibile
come elusiva.
Il caso ha creato non poche
critiche e preoccupazioni, perché la
Corte ha riconosciuto il
coinvolgimento dello studio di
consulenza nella circostanza in cui il
fatto commesso sia configurabile in
un caso di elusione fiscale.
Non entro nel merito specifico del
fatto, perché riguarda una normativa
britannica, ma ritengo invece sia
importante parlare del principio.
La responsabilità dello studio
professionale nasce dal fatto che nella
lettera di incarico non era inclusa
l’assistenza fiscale e, nonostante
questo, lo studio la praticava
abitualmente.
La rilevanza di questa sentenza
spaventa perché fa capire come la
tendenza generale (in primo da parte
delle amministrazioni finanziarie e in
subordine da quelle giudiziarie) possa
essere quella di porre i consulenti
fiscali in uno stretto legame non solo
con la legge e con la deontologia
professionale, ma anche con la
morale.
Se la responsabilità del consulente
si dovesse estendere nel pensiero
pubblico dalla garanzia della legalità
alla garanzia dell’assenza di elusione,
noi professionisti non ci ritroveremo
più ad essere nel mezzo tra il
contribuente e lo Stato, ma ci
troveremo a fare il lavoro di cani da
guardia dello Stato.
Il rischio futuro è che tax
planning considerati troppo
aggressivi potrebbero coinvolgere gli
studi di consulenza in responsabilità
prima mai paventate.
In futuro si potrà immaginare che
le leggi di molti Paesi sviluppati
obbligheranno gli studi di consulenza
a comunicare alle autorità finanziarie i
loro piani finanziari anti-elusivi prima
di metterli in funzione, al fine di avere
una sorta di autorizzazione
preventiva.
Per salvarsi dalla responsabilità il
consulente fiscale dovrà informare il
cliente (e dare evidenza scritta
dell’accadimento) dei rischi che il
cliente corre nello scegliere uno
schema fiscale elusivo.
Non solo: dovrà essere chiara, con
evidenza scritta dell’accadimento, che
la scelta è operata dal cliente.
In mancanza di ciò, il professionista
potrà essere considerato negligente.
Questo argomento è allo studio
della Commissione Europea, affinché
venga applicato ai professionisti
facenti parte dei vari Stati membri.
Si tratta, quindi, di prestare
particolare attenzione soprattutto per
chi voglia operare a livello
professionale
nell’internazionalizzazione. 22
Antiriciclaggio e
internazionalizzazione
Bernardino Cordeschi
ODCEC di Roma*
La normativa antiriciclaggio si applica anche ai professionisti che
assistono un’impresa nel processo di internazionalizzazione, ma è
nell’identificazione di partner esteri e nel monitoraggio delle
movimentazioni finanziarie che si annidono le maggiori criticità
l decreto legislativo 231/2007 e
successive modificazioni detta
una serie di norme finalizzate a
contrastare l’utilizzo in circuiti
economici leciti, o la reimmissione negli stessi circuiti, di
beni e denaro frutto di attività illecite.
Tende, quindi, a contrastare il
riciclaggio e le operazioni che
possano configurare, ad esempio,
finanziamento al terrorismo.
Nel dettare queste disposizioni il
legislatore attribuisce a determinate
categorie di operatori, tra i quali gli
studi professionali di notai,
commercialisti e consulenti del
lavoro, una serie di obblighi ed
adempimenti cui corrisponde, in caso
di inosservanza del dettato normativo,
un sistema sanzionatorio che, in taluni
casi, assume rilevanza sia dal punto di
vista economico, sia sotto l’aspetto
penale.
Da una disamina della norma
emergono due aspetti che la
normativa antiriciclaggio impone ai
professionisti: il primo riguarda tutta
la fase d’identificazione del cliente ed
il monitoraggio della sua attività, per
individuare eventuali rischi di
riciclaggio di denaro o beni derivanti
I
da attività criminose, o di
finanziamento al terrorismo.
Il secondo è inerente all’obbligo,
da parte del professionista, di
monitorare tutte le movimentazioni
finanziarie del cliente e procedere alla
segnalazione al MEF delle violazioni
riscontrate. Entrambi questi obblighi
presuppongono una onerosa attività
di controllo da parte del
professionista, il quale è soggetto, in
caso di inadempimento, ad un pesante
sistema sanzionatorio.
È intuitivo che i due obblighi
suaccennati investono anche il
professionista che si appresta ad
assistere un cliente in una fase
d’internazionalizzazione dell’azienda,
in quanto è essenzialmente nella fase
di identificazione di partner esteri e di
monitoraggio delle movimentazioni
finanziarie che si riscontrano le
principali criticità. Prima di
analizzarle è tuttavia opportuno
riepilogare rapidamente gli obblighi
che l’applicazione del decreto 231
impone ai professionisti.
Nella circolare n. 83607/2012 la
Guardia di Finanza, nell’impostare il
sistema di controlli in materia, ha
dettato i criteri con cui devono essere
registrati e conservati i dati ai fini
antiriciclaggio e di come debbano
essere effettuati i controlli per la
verifica del rispetto della norma da
parte dei soggetti obbligati.
* Componente Commissione Antiriciclaggio dell’ODCEC di Roma, componente
Associazione VICINA
L’intervento
Attività ispettiva
È competenza esclusiva, per quanto
attiene i controlli sui professionisti,
della Guardia di Finanza, Nucleo
Speciale di Polizia Valutaria. Le
ispezioni sono attività di polizia
amministrativa che si sviluppa
attraverso una serie di riscontri volti a:
verificare la corretta e puntuale
osservanza degli obblighi previsti
dalla disciplina antiriciclaggio;
contrastare il riciclaggio dei
proventi illeciti nella sua fase
prodromica;
prevenire, ricercare e reprimere le
violazioni amministrative e penali
previste dalla normativa di settore.
La selezione dei soggetti da sottoporre
ad ispezione viene effettuata in via
preventiva e utilizza una serie di input,
quali segnalazioni da Autorità di
Vigilanza o da UIF, risultanza di
pregresse indagini di polizia
giudiziaria, analisi ed informazioni su
banche dati. Nella fase esecutiva le
ispezioni, dopo i controlli preliminari,
si soffermano su accertamenti di
merito, in particolar modo su:
istituzione dell’archivio unico
informatico/registro unico della
clientela;
adeguata verifica della clientela;
registrazione e conservazione dei
dati;
segnalazione delle operazioni
sospette;
comunicazione informazioni
antiriciclaggio al MEF;
doveri degli organi di controllo;
formazione del personale.
In particolar modo, i riscontri sulle
operazioni oggetto di segnalazione al
MEF vertono sull’analisi delle
scritture contabili, delle registrazioni
e della documentazione acquisita in
sede di accesso. Per verificare
l’adeguatezza dello studio
professionale ad evidenziare eventuali
violazioni della norma in esame,
l’attività tende anche ad una analisi
della struttura organizzativa, mediante
l’esame dell’organigramma, del
sistema di deleghe, della esistenza e
standardizzazione di procedure e dei
flussi informativi. L’analisi può
investire anche profili sostanziali,
mediante l’assunzione in atti di
dichiarazioni del personale addetto e
l’acquisizione di eventuale
documentazione da questi prodotta.
Ne consegue l’assoluta necessità,
non solo di adeguarsi formalmente
alla norma nella produzione
documentale, ma anche di dotarsi di
opportune procedure di controllo dei
movimenti finanziari e di impostare un
sistema di formazione continua del
personale addetto alla gestione della
contabilità, affinché questo sia
adeguatamente preparato sulla
normativa in esame e sia in grado,
quindi, di attuare il monitoraggio
richiesto. Ovviamente, una procedura
di feedback della segnalazione dal
collaboratore al professionista è
assolutamente necessaria per
completare l’attività di monitoraggio
sul cliente.
Antiriciclaggio e
internazionalizzazione
In considerazione di quanto
evidenziato in tema di obblighi per i
professionisti, è indubbio che
nell’assistere un’azienda che
intraprende un’attività in mercati
esteri, e verosimilmente con partner
residenti in altri paesi,
l’identificazione dei soci o dei titolari
effettivi può presentare alcune
criticità, che possono essere riassunte
nelle seguenti fattispecie:
identificazione del cliente,
valutazione del profilo di rischio,
identificazione della controparte
estera,
23
monitoraggio delle
movimentazioni finanziarie,
applicabilità degli indicatori di
anomalia.
L’identificazione del cliente e del
titolare effettivo in Paesi stranieri con
un sistema di pubblicità diverso dal
nostro può comportare alcune
difficoltà: ricordiamo che in caso in
cui il socio sia una società, occorre
risalire lungo la catena di controllo e,
in caso di fondazioni e trust, occorre
identificare il soggetto controllante o
il beneficiario ultimo. Questo non
sempre è facilmente praticabile in
presenza di soggetti giuridici, partner
del nostro cliente, residenti in Paesi a
fiscalità privilegiata o dove l’accesso a
banche dati non è agevole. In questo
caso, occorrerà prestare particolare
attenzione nella fase di valutazione
del rischio che, ricordiamo, va
effettuata tenendo in considerazione
aspetti soggettivi (in relazione al
cliente), ed oggettivi, cioè in relazione
all’attività esercitata.
Indubbiamente il professionista
nella fase di identificazione della
controparte estera, laddove non possa
o non abbia la possibilità di accedere
a fonti dirette, ha la possibilità di
identificare il cliente mediante
l’identificazione a distanza (art. 28 c.
3), o per il tramite di terze persone
(art. 30), sempre tenendo in debita
considerazione che all’impossibilità di
rispettare correttamente gli obblighi
di adeguata verifica consegue
l’obbligo di astensione (art. 23).
Particolare attenzione andrà posta
nella fase di monitoraggio delle
operazioni finanziarie, soprattutto
laddove queste siano utilizzate
facendo eccessivo ricorso a mezzi non
convenzionali, ad esempio mediante
utilizzo di canali di money transfer o
bonifici internazionali senza
indicazione della controparte.
24
L’intervento
Da ultimo, va ricordato come un aiuto
all’analisi di monitoraggio delle
operazioni può essere dato dagli
indicatori di anomalia che, anche se
non presentano un nesso di causalità
diretto, indicano alcuni aspetti delle
attività oggetto di analisi che
potrebbero indurre a considerarle
sospette. Gli indicatori connessi a vari
aspetti, quali le modalità di
pagamento dell’operazione, le
operazioni aventi ad oggetto beni
immobili o mobili registrati, le
operazioni contabili e finanziarie,
piuttosto che non la costituzione di
Trust o soggetti non trasparenti
(vedasi circolare UIC del 2 diembre
2013 n. 1113197), non costituiscono
presunzione assoluta, ma un valido
aiuto al professionista nella fase di
monitoraggio.
Il regime sanzionatorio
Da ultimo una breve disamina del
regime sanzionatorio che il d.lgs. 231
stabilisce, dagli artt. 55 al 60,
applicabile a chiunque violi le norme
in esso contenute.
Le sanzioni maggiormente
significative sono riepilogate nella
tabella a fianco.
A conclusione di questa breve
disamina degli obblighi che la norma
antiriciclaggio pone a carico dei
professionisti, delle metodologie di
ispezione e verifica e del sistema
sanzionatorio, vogliamo mettere in
evidenza la assoluta necessità, per gli
studi professionali, di adeguare la
propria struttura non solamente
all’aspetto normativo e documentale,
ma anche e soprattutto dal punto di
vista organizzativo.
L’impostazione di adeguate
procedure per l’identificazione del
cliente ed il monitoraggio dello stesso,
la corretta impostazione dei flussi di
informazione, la costante formazione
SANZIONI AMMINISTRATIVE
VIOLAZIONE
NORMA VIOLATA
NORMA SANZIONATORIA
SANZIONE
Inosservanza degli obblighi
di adeguata verifica del
cliente, organizzazione,
registrazione, procedure e
controlli interni, ovvero
la tenuta dell'archivio
unico informatico
Inadeguata o mancata
formazione del personale
da parte dei destinatari
degli obblighi e degli ordini
professionali del d.lgs.
231/2007
Art. 7, comma 2,
art. 37, commi 7
e 8 d.lgs.
n. 231/2007
Art. 56, comma 1, d.lgs.
n. 231/2007
Sanzione
amministrativa
pecuniaria da
€ 10.000 a
€ 200.000
Art. 54, d.lgs.
n. 231/2007
Art. 56, comma 1,
d.lgs. n. 231/2007
Sanzione
amministrativa
pecuniaria da
€ 10.000 a
€ 200.000
Mancato rispetto degli
obblighi di verifica della
completezza dei dati
informativi relativi
all'ordinante, alla loro
registrazione e
conservazione per i
trasferimenti di fondi
Art. 61 d.lgs.
n. 231/2007
Art. 56, comma 1,
d.lgs. n. 231/2007
Sanzione
amministrativa
pecuniaria da
€ 10.000 a
€ 200.000
Mancato rispetto del
provvedimento di
sospensione
dell'operazione sospetta
Art. 6, comma 7,
lettera c) d.lgs.
n. 231/2007
Art. 57, comma 1
d.lgs. n. 231/2007
Sanzione
amministrativa
pecuniaria da
€5.000 a €200.000
Omessa istituzione del
registro della clientela e/o
mancata adozione delle
altre modalità di
registrazione
Artt. 38 e 39
d.lgs. n.
231/2007
Art. 57, comma 3
d.lgs. n. 231/2007
Sanzione
amministrativa
pecuniaria da
€5.000 a €50.000
Omessa segnalazione delle
operazioni sospette
Art. 41d.lgs.
n. 231/2007
Art. 57, comma 4
d.lgs. n. 231/2007
Sanzione
amministrativa
pecuniaria dall'1 al
40 per cento
dell'importo
dell'operazione non
segnalata
Violazione degli obblighi
informativi nei confronti
dell'U.I.F.
Artt. 6, comma
6, lett. c), e 40,
d.lgs. n.
231/2007
Art. 57, comma 5
d.lgs. n. 231/2007
Sanzione
amministrativa
pecuniaria da
€5.000 a €50.000
Violazione del divieto al
trasferimento di denaro
contante ovvero alla
circolazione degli altri
mezzi di pagamento
Art. 49, commi
1, 5, 6 e 7 d.lgs.
n. 231/2007
Art. 58, comma 1
d.lgs. n. 231/2007
Sanzione
amministrativa
pecuniaria dall'1 al
40 per cento
dell'importo
trasferito
Omessa comunicazione
al Ministero dell’Economia
e delle Finanze da parte
dei destinatari degli
obblighi antiriciclaggio
delle infrazioni riscontate
Art. 51, comma 1
d.lgs. n.
231/2007
Art. 58, comma 7
d.lgs. n. 231/2007
Sanzione
amministrativa
pecuniaria dal 3 al
30 per cento
dell'importo
dell'operazione, del
saldo del libretto
ovvero del conto
del personale, l’analisi delle
movimentazioni contabili con cadenza
quantomeno trimestrale, mediante
programmi informatici e, infine, la
procedura di feedback al
professionista delle violazioni, sono
elementi che dovranno
necessariamente divenire parte
integrante dell’organizzazione di ogni
studio professionale. Vogliamo dare una mano al Paese.
Anzi centodiecimila.
Crediamo nell’utilità
sociale del pensiero
tecnico e che non
sia questo il momento
di chiedere, ma di dare.
E di mettere al servizio
della comunità
la competenza,
la professionalità
e l’esperienza dei
Commercialisti Italiani.
Possiamo essere
utili al Paese perché
siamo professionisti,
vogliamo esserlo
perché siamo cittadini.
26
Le analisi preliminari
Stefano Pignatelli ODCEC di Roma*
Vincenzo Sganga ODCEC di Roma*
Prima di procedere alla delocalizzazione di un’impresa italiana all’estero
è necessaria un’analisi preliminare accurata, al fine di evidenziare i punti
di forza e di debolezza dell’azienda
l processo di
internazionalizzazione è
paragonabile ad un rally: un
percorso lungo, complesso e
articolato, che richiede
pianificazione e risorse qualificate.
Per la stragrande maggioranza delle
imprese italiane lo è ancora di più, in
considerazione delle loro ridottissime
dimensioni, della scarsità cronica di
risorse finanziarie e di organizzazioni
disegnate prevalentemente su base
familiare.
Prima di procedere alla
realizzazione di dispendiosi progetti di
sviluppo ed espansione, locale ma
soprattutto internazionale, appare
indispensabile, per il commercialista
come per l’imprenditore, fare un
esame preliminare dell’azienda.
Nell’ambito del processo di
internazionalizzazione sono stati
individuati due diversi livelli di analisi
aziendale, da svolgere in tempi e con
modalità differenti.
Il primo livello è quello dell’analisi
preliminare che mette in evidenza le
qualità proprie dell’impresa, per
evidenziare il percorso che la stessa
dovrà compiere per il processo di
internazionalizzazione.
Il secondo livello è un’analisi
approfondita dell’azienda, che mira a
porre in rapporto la struttura
aziendale con il mercato del Paese
I
prescelto.
Questa seconda analisi, molto più
complessa, sarà oggetto di un
successivo approfondimento, mentre
in questa sede affronteremo l’analisi
preliminare.
L’analisi preliminare ha l’obiettivo
di evidenziare le aree critiche del
processo di sviluppo dell’azienda, per
mostrarne i punti di forza e di
debolezza.
I risultati dell’analisi preliminare
permettono di effettuare una
riflessione indispensabile sulle reali
possibilità, capacità e volontà nel
perseguire un’eventuale strategia di
espansione internazionale.
Lo strumento utilizzato è il
classico questionario, che prende in
considerazione le caratteristiche
dell’impresa attraverso la valutazione
dei seguenti aspetti:
informazioni e dati oggettivi: per
verificare se l’impresa ha già rapporti
internazionali e di quale tipo questi
siano e se i prodotti della stessa
possiedano i requisiti per affermarsi
sul mercato estero;
risorse produttive e commerciali:
per verificare le capacità e le
potenzialità produttive dell’impresa, il
grado di elasticità di produzione e gli
eventuali vantaggi competitivi
derivanti dai marchi o brevetti;
risorse manageriali: per verificare il
livello di competenze presenti in
azienda per l’analisi del mercato, la
pianificazione dell’attività e lo
sviluppo di piani di marketing;
risorse finanziarie: per rivelare se
all’interno dell’impresa esiste un
sistema di controllo della gestione
finanziaria e se per gli investimenti
necessari all’internazionalizzazione, vi
siano risorse finanziarie o la
possibilità di attingervi;
potenziale umano: per mettere in
evidenza se all’interno dell’azienda vi
siano capacità, competenze e
conoscenze necessarie
all’internazionalizzazione e se il
progetto di internazionalizzazione è
conosciuto e condiviso;
volontà dell’imprenditore: per
verificare se veramente l’imprenditore
intenda internazionalizzare la sua
impresa o stia solamente seguendo
una fantasia momentanea e nella
realtà è intenzionato a rimanere
ancorato al mercato domestico.
Le risultanze del questionario
saranno evidenziate in sintesi in un
grafico “radar”, che ne permette
l’immediata lettura.
* Componente Commissione Internazionalizzazione delle imprese
dell’ODCEC di Roma, consigliere Associazione VICINA
L’intervento
Monitoraggio preliminare
Impresa ottimale
Impresa XY
dati oggettivi
Volontà dell’imprenditore
risorse produttive e commerciali
risorse umane
risorse manageriali
risorse finanziarie
Nell’esempio di grafico sopra
proposto si è supposto un punteggio
tra 0 e 4, dove lo 0 rappresenta
l’assenza totale dell’aspetto indagato e
4, all’opposto, il massimo auspicabile;
nel grafico è riportata un’impresa
ottimale, che raggiunge il massimo
punteggio in tutti gli aspetti e può
essere considerata ottimale per
l’internazionalizzazione e l’impresa XY
che eccelle per la volontà
dell’imprenditore, ma ha la necessità
di migliorare principalmente le risorse
manageriali.
27
I risultati del questionario
consentiranno al commercialista di:
evidenziare i punti di forza e di
debolezza dell’azienda;
esprimere il proprio parere
sull’opportunità di procedere o meno
al processo di internazionalizzazione;
indicare il percorso che l’azienda
dovrebbe compiere per aumentare le
proprie possibilità di successo.
In conclusione va detto che lo
strumento dell'analisi preliminare,
condizionando ed indirizzando tutto il
percorso dell’internazionalizzazione,
appare estremamente utile sia al
commercialista (proprio perché in tal
modo può certamente esprimere al
meglio la propria opera professionale),
sia all’imprenditore che riesce a
prendere piena coscienza della propria
azienda e delle sue reali potenzialità,
dando concreto fondamento al proprio
entusiasmo, che è condizione
essenziale per realizzare
l’internazionalizzazione dell’impresa. 28
Come scegliere
il paese target
Alessio Gambino
ODCEC di Roma*
Attratività e accessibilità sono parametri fondamentali per effettuare
un processo di internazionalizzazione profittevole
rima di tutto occorre fare
un’analisi dell’attuale
geografia del commercio
mondiale e del
posizionamento dell’Italia
in questo contesto dinamico e
notevolmente diverso rispetto al
passato. Il periodo 1995 – 2008 è stato
caratterizzato da una buona crescita
del Pil mondiale ma, soprattutto, da
un’enorme crescita del commercio
mondiale. La crisi del 2008 – 2009 ha
contribuito a ridisegnare nuove
geografie, spostando crescita e
commerci verso l’Asia, l’America
Latina ed alcuni paesi dell’Africa Sub
Sahariana che hanno conquistato
quote crescenti del commercio
internazionale. Basti pensare che la
sola Cina è diventato il primo
esportatore al mondo, con una quota
di mercato pari al 10,4%, seguita da
USA e Germania.
In questo quadro, che ha
ridisegnato gli equilibri del
commercio internazionale, si assiste
ad una tendenza che vede concludere
accordi commerciali preferenziali, a
carattere regionale, anche bilaterali,
con la forma del libero scambio. Solo
P
nel 2012 sono entrati in vigore 12
accordi preferenziali, la maggior parte
tra Nord e Sud America, relativi non
solo al commercio di beni, ma anche
di servizi, investimenti, proprietà
intellettuale e facilitazione degli
scambi.
L’Unione Europea, in particolare,
ha concluso accordi con il Messico,
con Singapore, con i Balcani e con il
Nord Africa e sta attuando trattative
con l’ASEAN, l’Associazione delle
nazioni del Sud Est asiatico che
raggruppa 10 paesi tra cui Indonesia,
Thailandia, Singapore, dal 2010 anche
la Cina e prossimamente anche Hong
Kong. È bene però sottolineare le
differenze, non a tutti note, tra libero
scambio, unione doganale, mercato
comune fino a giungere all’unione
economica, così come riportate in
tabella.
Rimozione
Si applicano
Libera
Armonizzazione
barriere
tariffe esterne
circolazione
politica
tariffarie
comuni
di capitali
economica
e lavoro
LIBERO SCAMBIO
UNIONE DOGANALE
NAFTA/ ASEAN
GCC
MERCATO COMUNE
UNIONE ECONOMICA
MERCOSUR
UE
* Componente Commissione Internazionalizzazione delle Imprese dell’ODCEC
di Roma, componente Associazione VICINA
L’intervento
Nel libero scambio, il commercio di
prodotti è liberalizzato limitatamente
alle merci prodotte nell’area (es. nei
Paesi facenti parte del Nafta o
dell’Asean). Viceversa, le merci
provenienti da Paesi terzi, anche dopo
aver pagato il dazio in uno dei Paesi
dell’area, non possono giovarsi della
libera circolazione all’interno dei
territori, cosa che avviene invece nel
mercato comune (es. i Paesi
dell’America Latina riuniti nel
Mercosur). Ancora diverso il caso
dell’Unione Europea, un’unione
economica dove vige
un’armonizzazione normativa, politica
ed economica. Proprio pochi giorni fa
è stato raggiunto il primo accordo
multilaterale nella storia del WTO per
la liberalizzazione degli scambi
commerciali. Un accordo raggiunto
tra i 159 membri dell’organizzazione,
che porterà ad un aumento del Pil
mondiale di più di 1.000 miliardi di
dollari.
Dunque, la parola chiave diventa
“hub”. Il termine, nato nel modo
dell’informatica di rete, descrive un
dispositivo che funge da nodo di
distribuzione dati. Non si può più
considerare il singolo Paese, ma
bisogna inquadrarlo nell’area
regionale di cui fa parte, se si vogliono
cogliere ben più concrete opportunità
di business.
Vediamo ora come si posiziona l’Italia
29
in questo contesto. Il nostro Paese ha
avuto una perdita di competitività
misurabile anche dal calo delle
esportazioni di manufatti. Nel 2001
occupava la sesta posizione negli
scambi internazionali, con una quota
del 3,9% del commercio
internazionale; nel 2011 è retrocessa
all’ottavo posto, con una quota del
2,9%. Le esportazioni italiane sono
concentrate per oltre il 50% verso i
paesi dell’Unione Europea, seguiti da
USA e Giappone, ovvero quelli che
hanno risentito maggiormente della
crisi. L’euro forte penalizza l’Italia,
anche se molte imprese hanno
spostato le produzioni, e di
conseguenza le esportazioni, verso
30
L’intervento
una fascia qualitativa più alta, con una
minore concorrenza da parte dei Paesi
emergenti che, invece, producono
grandi quantità a minor valore
aggiunto. In Italia sono presenti 200
mila imprese esportatrici (il 51% di
tutte le imprese italiane). Di queste il
60% è micro impresa e il 93% ha meno
di 50 dipendenti e produce il 31%
dell’export. Molte esportano in un
solo mercato; solo l’1% delle imprese
esportatrici sono grandi aziende (con
oltre 250 addetti) e realizzano il 42%
delle esportazioni.
Il problema non è solo
dimensionale, ma anche culturale.
Non si investe in formazione,
informazione, studi e ricerche di
mercato, risorse umane interne ed
esterne in grado di preparare
l’impresa ad aggredire mercati lontani.
L’impresa italiana si è affidata per
troppo tempo all’appeal del Made in
Italy e da una geografia che l’ha
premiata in passato, ma che ora
presenta il conto delle strategie di
sistema inesistenti. Ma quali sono gli
elementi più importanti che
influenzano la scelta del paese target
o meglio dell’area geografica per un
progetto di internazionalizzazione,
commerciale o produttiva?
Prima di tutto l’approccio deve
essere scientifico e razionale, mentre
spesso è frutto della causalità e del
provincialismo, ovvero minore è la
distanza geografica e quindi culturale,
minore è il rischio percepito. In molti
casi si assiste ad un approccio
emulativo verso i first mover, ovvero
mi spingo verso quel Paese perché
percepito come trend vincente del
momento.
L’analisi dovrebbe invece
considerare preliminarmente due
aspetti:
attrattività del paese (la sua
alta
Paesi da conquistare
Paesi a elevata priorità
Paesi da escludere
Paesi da selezionare
ATTRATTIVITÀ
bassa
bassa
alta
ACCESSIBILITÀ
dimensione, la domanda interna, i
fattori critici di successo...);
accessibilità del paese (barriere
doganali, fisiche...).
Secondo la matrice riportata in alto, i
Paesi ad elevata priorità sono
altamente attrattivi e vi si può entrare
facilmente, dunque c’è la possibilità di
ottenere una notevole posizione
competitiva in tempi non lunghi.
All’opposto troviamo i Paesi da
escludere, perché nel breve e medio
periodo non prospettano opportunità
interessanti per l’impresa e, per di più,
hanno un’accessibilità bassa. I paesi
da conquistare presentano, invece,
un’alta attrattività e una bassa
accessibilità, quindi anche se possono
offrire delle opportunità interessanti,
hanno però degli ostacoli in entrata da
superare. Infine, i Paesi da selezionare
e tenere presenti nel medio-lungo
periodo, perché facilmente accessibili
ma al momento non presentano
un’elevata attrattività, che potrebbero
presentare in futuro.
Tenendo presente questa matrice
sarà più facile effettuare un processo
di screening in tre livelli.
In un primo step distinguiamo i Paesi
accettabili da quelli da escludere.
Quindi, prendiamo in esame le
variabili macroambientali per
l’accessibilità: il clima, le barriere
fisico-geografiche, le variabili
economiche, demografiche,
tecnologiche e socioculturali. Il
secondo screening ha come obiettivo
l’individuazione della domanda
esistente rispetto all’offerta relativa al
prodotto della nostra azienda. Infine,
l’ultimo screening stabilisce la priorità
sulla base della maggior coerenza tra
domanda e offerta, valutando
l’esistenza di un effettivo spazio di
mercato per l’impresa, valutando
anche la compatibilità (di
prodotto/settore col mercato di
riferimento).
In conclusione, per effettuare un
processo di internazionalizzazione che
sia profittevole bisogna prendere in
considerazione una serie di elementi
che possono aiutarci a capire, non
solo come entrare in una determinata
area, ma anche se e quanto quel
mercato si presenta appetibile per il
nostro tipo di business. L’ottimismo prevede un duro lavoro.
Essere ottimisti oggi
non significa credere
semplicemente che sarà
possibile uscire dalla crisi.
Significa piuttosto,
trasformare questa crisi in
opportunità di cambiamento:
non solo in termini di
riforme del sistema,
ma anche di responsabilità.
Chi, come noi, non reputa
il lavoro come un diritto
acquisito, sa che solo
attraverso l’impegno e
i sacrifici possiamo lasciarci
la crisi alle spalle, senza
farla ricadere su quelle
dei nostri figli.
32
Internazionalizzazione,
come
Domenico Fedele
ODCEC di Roma*
Tra le numerose variabili da tenere presente è fondamentale la
valutazione del country risk, soprattutto quando il Paese risulta
politicamente, economicamente e normativamente diverso
Iniziamo a porci le domande giuste:
Quali sono i fattori che
contribuiscono al successo
dell’azienda sul mercato
domestico?
Quali sono i mercati esteri su cui
investire?
Qual è la proposta per tali mercati?
Come entrare nei mercati
selezionati?
Il progetto di espansione all’estero
è conveniente da un punto di vista
economico-finanziario?
Il confronto con il mercato
domestico
È rischioso affrontare i mercati esteri
senza una solida base domestica.
Fattibile, ma rischioso. La prima cosa
da fare è identificare quali sono gli
elementi distintivi che hanno
consentito di raggiungere il successo
sul mercato nazionale. È preferibile
che le strategie di espansione ne
tengano conto. È più facile se non ci
sono troppe differenze con il business
di casa. Poi si deve verificare quali
sono i punti di
condivisione/similitudine tra mercato
domestico ed estero (tipo di prodotto,
tipo di segmento/cliente, struttura dei
costi, caratteristiche dei canali
distributivi, caratteristiche dei
competitor, tipo di know
how/tecnologia utilizzata, ecc.).
Attribuiamo a ciascuno di essi un
punteggio da 1 a 4 a seconda che le
similitudini siano poche o molte.
Verificata una elevata condivisione
(punteggio 4) per almeno uno di
quegli elementi, il progetto è
ragionevolmente preferibile. Un
business difficilmente replicabile, per
scarse similitudini, ha minori
possibilità di successo, poiché
richiede molti adattamenti e,
necessariamente, implica costi, tempi
lunghi e impegno di risorse pregiate.
La scelta dei mercati esteri
Questa valutazione può avere molte
linee di analisi. Proviamo a definire le
più importanti:
- l’attrattività del segmento/mercato;
- il posizionamento competitivo.
È necessario individuare il
“sottoinsieme” del mercato
complessivo al quale l’organizzazione
intende rivolgersi (ad esempio, il
mercato delle costruzioni edili,
segmento degli infissi in
legno/alluminio). A seconda di come
l’organizzazione vede il mercato,
potranno essere seguite diverse
logiche:
- per prodotto: alte prestazioni,
semplicità d’uso, ecc.;
- per cliente: business o consumer;
- per prezzo: primo prezzo o alto di
gamma;
- per canale: grande distribuzione,
negozi specializzati, on line, ecc..
Ciò consente di focalizzare con
precisione le successive analisi senza
perdere tempo in considerazioni
generiche e non mirate.
L’attrattività del mercato/segmento
dipende dai seguenti elementi:
- mercato potenziale: dimensione del
segmento in numero e/o valore;
- tasso di crescita del mercato in
numero e/o valore: barriere
all’ingresso;
- livello dei costi fissi: barriere
normative e regolamentari; pressione
normativa sui prezzi;
- competitor: grado di concentrazione
delle quote di mercato; prodotti
sostitutivi;
- distributori: grado di
concentrazione dei distributori; livello
di integrazione verticale “a monte”;
- fornitori: grado di concentrazione;
* Componente della Commissione Pianificazione e controllo di gestione
dell’ODCEC di Roma, Componente Associazione VICINA
L’intervento
33
una matrice McKinsey/GE) che
incroci le due dimensioni (attrattività
e posizionamento) e selezionare gli
investimenti in quei Paesi che
presentano alta attrattività e alta
competitività o, in subordine, quelli
che presentano un giudizio medio
altro per almeno uno dei due elementi.
fungibilità; livello di integrazione
verticale a valle;
- clienti: grado di concentrazione;
sensibilità al prezzo.
Un mercato è tanto più attrattivo
quanto maggiore è la sua dimensione
e/o tasso di crescita e quanto più si
avvicina ad un mercato competitivo
“perfetto” quanto minori solo le
barriere all’ingresso; quanto minore è
la concentrazione di competitor;
clienti; distributori; fornitori.
L’analisi dell’attrattività del
mercato trova la sua sintesi nella
identificazione dei “Fattori chiave”
(Key Success Factors o KSF)
necessari per avere successo nel
segmento di mercato identificato. Se
esiste un vincolo normativo, il “fattore
critico” è rappresentato dal fatto che
il prodotto/servizio e/o
l’organizzazione devono avere le
autorizzazioni/omologazioni
necessarie per operare in quel paese.
Due caratteristiche fondamentali dei
KSF:
- influenzabili: l’organizzazione deve
poter assumere azioni per modificarli;
- finanziariamente significativi:
misurabili in termini di ricavi, costi,
investimenti.
L’analisi del posizionamento
competitivo dipende da come
l’organizzazione si pone nei confronti
di questi fattori chiave. A tale scopo è
necessario identificare i seguenti punti:
- competitori di riferimento: nomi e
quota di mercato; ampiezza della
gamma di prodotti/servizi;
- posizionamento di prezzo:
caratteristiche distintive; altro;
- fonte loro Vantaggi competitivi:
differenziazione (caratteristiche,
performance prodotto; servizi post
vendita); costo (livello dei costi,
struttura costi fissi/variabili, ecc.).
Tali vantaggi competitivi, per
essere tali, devono essere coerenti con
i KSF identificati. Ad esempio, in un
“segmento lusso” i vantaggi
competitivi legati al prezzo possono
essere poco indicativi mentre può
essere molto importante la qualità dei
materiali. Per giungere ad una
valutazione conclusiva e decidere
quale o quali sono i Paesi su cui vale la
pena concentrarsi, posizioniamo i
risultati in una matrice (ad esempio
Come definire la “proposta” per i
mercati
Abbiamo selezionato il Paese o i Paesi
nei quali si intende investire.
Dobbiamo ora identificare le
modalità con cui l’azienda intende
presentare nel nuovo mercato. Per
questo è necessario definire:
- le caratteristiche del prodotto;
- il posizionamento del prezzo;
- le modalità distributive;
- la strategia di comunicazione.
Questo ci consente di identificare
più in dettaglio le azioni per entrare
nel nuovo mercato ed iniziare a porre
le prime stime dell’investimento
necessario. La proposta per il nuovo
mercato deve essere coerente con i
risultati dei passi precedenti.
Le strategie di entrata
Le strategie di entrata nei mercati
esteri selezionati possono seguire tre
macro approcci.
Condividere: le modalità di entrata
riguardano la costituzione di Joint
venture con un socio locale o la
creazione di partnership commerciali
del tipo franchising. Strategia
normalmente utilizzata in Paesi che
richiedono partnership con aziende
locali per avere accesso ai canali
distributivi o addirittura per avere
l’autorizzazione ad operare. Sono
generalmente mercati protetti o
caratterizzati da situazioni di
monopolio/oligopolio.
Costruire: l’approccio ad una società
indipendente sul mercato locale si
34
L’intervento
addice a mercati in forte crescita o a
situazioni in cui il prodotto e/o il
modello di business siano così
particolari da non consentire
l’acquisizione di aziende locali già
esistenti. Tenuto conto della
caratteristica di start up, è la
strategica che richiede maggiori
risorse finanziarie e manageriali per
sviluppare la nuova azienda e
supportarne lo sviluppo del mercato.
Acquistare: affronta strategie
che prevedono l’acquisizione di
società locali già esistenti. In questo
caso siamo di fronte a mercati maturi
nei quali esiste opportunità di
acquisire direttamente quote di
mercato attraverso l’acquisto di
competitor già presenti. Anche in
questa ipotesi, le risorse finanziarie
sono il fattore decisivo pe portare a
termine con successo l’operazione,
subito dopo, la sfida principale
diventa manageriale. Infatti, è critico
intervenire in tempi rapidi
sull’organizzazione aziendale del
gruppo per sfruttare al massimo le
sinergie e ridurre/eliminare la
duplicazione di costi.
Un successivo elemento da
valutare nel definire la strategia di
entrata in un Paese è il grado di
controllo che si vuole avere sul
mercato e/o azienda che opera nel
nuovo mercato. Tanto più il modello
di business e/o prodotto è complesso,
tanto maggiore deve essere il grado di
controllo sul business locale.
Tuttavia è evidente che per
aumentare il grado di controllo è
necessario aumentare il livello degli
investimenti e quindi la rischiosità del
progetto.
La scelta fra grado di controllo e
livello di rischiosità della strategia
può essere rappresentata
graficamente da una linea retta su cui
si dispongono, in ordine di
rischio/controllo crescenti, le diverse
regole di presenza sul mercato: dalla
semplice esportazione fino
all’investimento diretto.
Valutare la convenienza degli
investimenti
Le informazioni fin qui raccolte
consentono di costruire un piano
economico patrimoniale e finanziario
a tre-cinque anni per stimare i flussi
di cassa differenziali. Andiamo
direttamente alla soluzione.
Utilizziamo la metodologia di
valutazione più adeguata che è, senza
dubbio, quella del Discounted Cash
Flow - DCF.
L’unico aspetto peculiare riguarda
le modalità di valutazione del rischio
Paese. Tale aspetto non assumerebbe
nessun particolare rilievo se il Paese
individuato appartenesse alla
Comunità Europea o fosse un Paese
Nord americano. Assume
fondamentale importanza quando il
Paese risulta politicamente,
economicamente e normativamente
molto diverso.
Il rischio Paese (Country Risk) è
il rischio, inteso come perdita, danno
o maggior costo, a cui si espone un
investimento (industriale o
finanziario) all’estero a causa di
eventi di natura politica, economica
e sociale. I principali fattori che lo
influenzano sono:
- eventi politici: guerre; scioperi; colpi
di Stato; misure legislative che
comportino confische o
nazionalizzazioni e blocchi valutari;
- eventi economici: riduzioni del Pil;
svalutazione della moneta locale;
- eventi sociali: guerre civili; divisioni
religiose;
- eventi naturali quando sono talmente
ricorrenti da poter essere considerati
prevedibili: terremoti in zone molto
sismiche.
Per inserire il rischio Paese nelle
valutazioni d’investimento con il
metodo DCF è necessario aumentare
il costo del capitale proprio (ie o ke)
di un premio che rifletta il maggior
rischio rispetto ai Paesi più
industrializzati. Tale premio (Contry
Risk Premium) può essere ricavato
dal confronto fra i rendimenti dei
titoli di Stato decennali USA o
Europei e i rendimenti dei titoli di
Stato decennali (In USD o EUR)
emessi dal Paese oggetto di
valutazione. Per esempio, se il titolo
di Stato USA decennale ha un
rendimento del 3,72% e il titolo di
Stato brasiliano in USD per la stesa
scadenza ha un rendimento del 9,96%
il premio per il rischio del Brasile può
essere stimato in 6,24% (9,96% meno
3,72%). Per evitare di valutare
l’elemento in un momento
particolare di mercato nella prassi
spesso non si utilizza un valore
puntuale ma una media dei
rendimenti degli ultimi 2-3 anni.
Questo calcolo ci permette di
valutare però solo il premio per il
rischio dello Stato il così detto
“Default spread”. Trovandoci a
valutare investimenti prevalentemente
privati (e quindi non pubblici) si deve
anche considerare il premio per il
rischio che il mercato azionario del
Paese target (ad esempio il Brasile) ha
rispetto i suoi titoli di Stato. Possiamo
confrontare la volatilità dell’indice
azionario di un Paese rispetto alla
volatilità dei suoi titoli di Stato. A
questo punto possiamo inserire il
Country Risk Premium nella formula
del DCF per il calcolo del Costo del
Capitale proprio. Attraverso
l’aggiustamento del Country Risk
Premium saremo quindi in grado di
confrontare progetti d’investimento
localizzati in Paesi molto diversi tra
loro. Vogliamo lavorare per qualcosa,
non contro qualcuno.
Crediamo che sia
giunto il momento
di ragionare come
una comunità.
Servono regole certe,
riforme del sistema
fiscale e giudiziario.
Serve un pensiero
tecnico, imparziale,
non schierato
che affianchi
le istituzioni:
per lavorare, non più
contro qualcuno,
ma a favore di tutti.
36
Gli strumenti finanziari
Riccardo Ricci
ODCEC di Roma*
Il fabbisogno finanziario è uno degli elementi discriminanti del processo
di internazionalizzazione delle aziende. Minibond e finanziamenti
ai liberi professionisti
n una strategia di
internazionalizzazione, il
fabbisogno finanziario dell’azienda
ricopre un elemento discriminante
per la fattibilità del progetto.
Questo lavoro ha due obiettivi:
dare una visione d’insieme di quelli
che sono gli strumenti finanziari di
supporto all’internazionalizzazione
e delle istituzioni che li veicolano;
creare un supporto operativo,
dinamico e aggiornato, che
consenta al professionista di
usufruire di quegli strumenti.
Gli strumenti finanziari, a sostegno
dell’internazionalizzazione, si possono
sinteticamente raggruppare in sistemi
di pagamento e strumenti finanziari,
agevolati e non, finalizzati a sostenere
un processo o una strategia di
internazionalizzazione.
Una prima disamina dei sistemi di
pagamento ha costituito il focus di un
convegno organizzato dalla
Commissione per
l’internazionalizzazione d’impresa
dell’ODCEC di Roma, il 23 aprile 2013.
I principali strumenti per il sostegno
finanziario all’esportazione sono i
crediti agevolati all’esportazione (di
cui alla legge 143/77 c.d. “ex legge
Ossola”). Non meno importanti sono
gli strumenti di sostegno finanziario
agli investimenti all’estero, tra cui la
legge 100/90, che intende favorire la
I
partecipazione e i finanziamenti
agevolati per investimenti compiuti
fuori dai confini nazionali. Segnaliamo
come utili strumenti di finanziamento
per l’internazionalizzazione anche i
Mini Bond e i Finanziamenti ai liberi
professionisti.
Gli istituti finanziari di maggior
interesse sono SIMEST, SACE e Banca
Mondiale.
La maggior parte degli strumenti
finanziari pubblici citati in precedenza
sono gestiti dal 1999 da SIMEST,
società per azioni controllata da Cassa
Depositi e Prestiti.
Gli strumenti di finanza agevolata
finanziano gli studi di pre-fattibilità e
fattibilità, i programmi di assistenza
tecnica fuori dai Paesi UE, i
programmi d’inserimento nei Paesi
esteri, il credito all’esportazione con
contributo in conto interessi e
contributi in conto interessi sui
finanziamenti bancari a favore di
imprese che partecipano al capitale di
rischio in società estere partecipate
da SIMEST.
Un altro strumento molto
appetibile è il Fondo unico di Venture
Capital, che ha come obiettivo
generale quello di acquistare la
partecipazione fino al 49% del capitale
di una società estera.
Oltre a SIMEST è molto
importante il supporto di SACE,
gruppo assicurativo-finanziario,
controllato anch’esso al 100% da
Cassa Depositi e Prestiti, attivo
nell’export credit, nell’assicurazione
del credito, nella protezione degli
investimenti, nelle garanzie
finanziarie, nelle cauzioni e nel
factoring. Il Gruppo assume, in
assicurazione e/o in riassicurazione, i
rischi cui sono esposte le aziende
italiane nelle loro transazioni
internazionali e negli investimenti
all’estero.
A maggio 2013 SACE ha lanciato
“Pmi No-Stop”, un’iniziativa dedicata
esclusivamente alle Pmi per offrire
loro un one stop shop per ottenere più
facilmente finanziamenti, gestire al
meglio i propri crediti, ridurre i rischi
di mancato pagamento e muoversi in
sicurezza verso nuovi mercati.
Uno studio empirico(1) ha
evidenziato che la forma di sostegno
pubblico maggiormente utilizzata è
legata a modalità di intervento di tipo
creditizio, piuttosto che partecipativo e
comunque affiora che una quota
rilevante di imprese ha espresso giudizi
positivi sugli strumenti utilizzati.
* Vice Presidente della Commissione Internazionalizzazione delle imprese
dell’ODCEC di Roma
L’intervento
Ulteriori strumenti finanziari destinati
all’internazionalizzazione sono
veicolati dalla Banca Mondiale. Il
crescente mercato degli appalti della
Banca Mondiale, oltre ad essere
un’opportunità interessante,
rappresenta anche un volano
privilegiato per
l’internazionalizzazione delle imprese
nella logica della cooperazione e dello
sviluppo sostenibile.
La Banca Mondiale è stata creata il 27
dicembre 1945 e oggi comprende due
creazione di imprese di dimensione
ridotta, sul modello delle pmi italiane.
La Banca Mondiale opera con due
modalità.
La prima è quella del
finanziamento, sulla base di un
progetto specifico, ai governi dei
Paesi interessati, che gestiscono i
meccanismi di attribuzione delle
collaborazioni attraverso i bandi di
gara. In questo caso l’azienda,
attraverso il sito di Banca Mondiale,
può consultare tutti i progetti aperti e
istituzioni internazionali, che hanno
l’obiettivo di lottare contro la povertà
e di organizzare aiuti e finanziamenti
agli Stati in difficoltà: la Banca
Internazionale per la Ricostruzione e
lo Sviluppo (BIRS) e l’Agenzia
Internazionale per lo Sviluppo (AID o
IDA).
Gli obiettivi della Banca mondiale
si sono recentemente concentrati
sulla riduzione della povertà,
l’educazione e lo sviluppo sostenibile
in quanto chiavi per la crescita
economica, abbandonando l’obiettivo
unico e puro della crescita
economica, supportando inoltre la
i relativi bandi di concorso.
L’altra modalità è quella dei
finanziamenti alle aziende di tutto il
mondo che presentano un progetto di
investimento in un paese in via di
sviluppo.
In questo caso l’azienda si rivolge
direttamente a World Bank
presentando il proprio progetto.
Passando alla trattazione dei
cosiddetti “Mini Bond” e ai
finanziamenti ai liberi professionisti -
37
quest’ultimi veicolati dalle casse di
previdenza di categoria - si ritiene
strategico tenerli in considerazione, in
quanto i primi sono in grado di
sostenere l’internazionalizzazione
delle imprese e i secondi possono
finanziare la crescita tecnico-culturale
e specialistica degli studi
professionali.
Il decreto legge 83/2012 (c.d.
decreto Sviluppo) e successive
modifiche, ha introdotto importanti
novità in tema di strumenti alternativi
di finanziamento per le pmi.
I Mini Bond sono rivolti alle piccole e
medie imprese con l’obiettivo di:
identificare strumenti che siano
alternativi al tradizionale canale
bancario;
finanziare l’attività delle pmi non
quotate;
riequilibrare e/o rafforzare la
struttura finanziaria delle pmi;
dare impulso al mercato dei
capitali di debito in Italia ed
omogenizzare le opportunità per le
nostre imprese rispetto ad altre
esperienze europee.
Infine, sembrerebbe che anche gli
studi professionali potranno fruire di
incentivi veicolati appunto dalle
rispettive Casse di Previdenza, per
iniziare o implementare l’attività.
La notizia positiva arriva da
Bruxelles e consente di superare uno
dei tabù o dei fraintendimenti che
finora, nei fatti, avevano precluso
l’accesso degli studi agli incentivi.
Ai professionisti dunque soprattutto ai giovani - si dà la chance
di trovare alleati finanziari per
sviluppare nuovi servizi alla clientela
ed aprirsi all’internazionalizzazione.
(1)
Dipartimento di Ricerche Aziendali «Riccardo Argenziano» Università degli Studi di
Pavia, L’internazionalizzazione delle imprese italiane a cura di Cosetta Pepe e
Antonella Zucchella, Il Mulino, 2009.
38
Fisco e
internazionalizzazione
Paolo Sbordoni
ODCEC di Roma*
L’impresa italiana che si delocalizza all’estero non può non tener conto
della normativa riguardante le Controlled foreign companies
e il Transfer pricing
na qualsiasi società
italiana che intenda
procedere alla propria
delocalizzazione in un
altro Paese non può non
tener conto delle conseguenze di tale
scelta dal punto di vista fiscale.
A questo proposito assumono
particolare rilievo la disciplina
applicabile in caso di CFC (controlled
foreign companies) e il transfer
pricing, fenomeno nuovo e
complesso, che non nasce
direttamente in ambito giuridicofiscale, ma deriva dall’analisi delle
relazioni economiche intercorrenti tra
imprese residenti in Stati diversi e che
fanno parte dello stesso gruppo.
Crescente importanza assume la
residenza fiscale quale fattore
discriminante nell’individuazione del
sistema impositivo applicabile. Per le
persone giuridiche residenti, in
attuazione del principio della
tassazione mondiale, sono
assoggettati ad imposizione in Italia
tutti i redditi ovunque prodotti; per le
società e gli enti non residenti, al
contrario, e in applicazione del
diverso principio di tassazione
territoriale, sono assoggettati ad
imposizione in Italia soltanto i redditi
U
prodotti sul territorio nazionale.
Queste le premesse, alla base
della diffusione del fenomeno
dell’estero vestizione, ossia della
fittizia localizzazione della residenza
fiscale in Paesi (anche UE) diversi
dall’Italia dove, invece, il soggetto
effettivamente risiede, per sottrarsi
agli adempimenti tributari previsti
dall’ordinamento nazionale e
beneficiare, al contrario, dei regimi
impositivi più favorevoli vigenti
altrove.
La residenza fiscale
nell’ordinamento tributario italiano è
disciplinata dalle norme del Tuir
approvato con dPR n. 917/86. In base
alla nostra normativa nazionale, come
riportato nell’art. 73 co. 3 del Tuir, “ai
fini delle imposte sui redditi si
considerano residenti le società e gli
enti che per la maggior parte del
periodo di imposta hanno la sede
legale o la sede dell’amministrazione o
l’oggetto principale nel territorio dello
Stato [.…]”. Quindi gli amministratori
di fatto e/o il luogo effettivo di
gestione e amministrazione
prevalgono su quelli formali. In base
ai commi 5/bis e 5/ter dell’art.73 è
stata introdotta una presunzione di
residenza in Italia a carico delle
società o degli enti con sede legale o
amministrativa all’estero quando
queste ultime:
detengono direttamente
partecipazioni di controllo ai sensi
dell’art. 2359 in una società di
capitali o in enti commerciali
residenti in Italia o, sono
controllate, anche indirettamente,
ai sensi dell’art. 2359 comma 1 del
codice civile, da soggetti residenti
nel territorio dello Stato italiano;
ovvero
sono amministrate da un consiglio
di amministrazione o altro organo
equivalente di gestione composto
in prevalenza da consiglieri
residenti nel territorio dello Stato.
Tale presunzione fa sì che una società,
con sede legale all’estero, si considera
fiscalmente residente in Italia, quando
la stessa presenta alternativamente:
una partecipazione di controllo
almeno del 50,1% in una società
italiana, ovvero
quando la società estera è
* Componente della Commissione Internazionalizzazione delle imprese
dell’ODCEC di Roma
L’intervento
controllata al 50,1%, anche
indirettamente, da soggetti
residenti nel territorio dello Stato,
oppure dalla prevalenza nel
consiglio di amministrazione della
società estera di soggetti residenti
in Italia.
Pertanto, tutte le società o enti esteri
che rientrano in uno dei tre suddetti
casi, dovranno presentare la
dichiarazione dei redditi in Italia ed
assoggettare ad Ires le plusvalenze
eventualmente realizzate con la
cessione di partecipazioni, ovvero i
dividendi percepiti da partecipate
residenti in Paesi off-shore.
I problemi sorgono nel caso in cui
ognuno degli Stati coinvolti voglia
assoggettare la società a tassazione
sulla base degli stessi elementi presi a
riferimento: il luogo di costituzione, il
luogo di direzione, il luogo di
svolgimento dell’attività economica, il
luogo di svolgimento del controllo da
parte dei soci. Occorre rilevare che,
quale conseguenza del fatto che gli
Stati usino diversi criteri di
definizione di residenza, vi è sempre la
possibilità che si realizzi la condizione
di doppia residenza da cui può
derivare anche una doppia
imposizione. Nel caso delle società di
capitali, la doppia residenza può
verificarsi, fra l’altro, nei seguenti casi:
diversa interpretazione data dello
stesso criterio: la direzione e il
controllo centrale interpretato sia
come controllo di direzione, sia
come gestione quotidiana
dell’attività;
applicazione di criteri diversi: più
frequentemente il caso
dell’applicazione del principio del
luogo di costituzione di una società
e il luogo di direzione e controllo,
piuttosto che della sede legale o
39
del luogo di direzione effettiva.
Qualora, tuttavia, facendo ricorso alle
disposizioni interne degli Stati
interessati non sia possibile attribuire
in modo univoco la residenza fiscale
ad una società, il paragrafo 3
dell’articolo 4 del Modello di
convenzione (OCSE) risolve i conflitti
tra ordinamenti e evita la doppia
imposizione, considerando
preminente la sede della direzione
effettiva della società stessa o
dell’ente collettivo.
Di regola, la società estera
partecipata ha piena autonomia
giuridica e fiscale: il reddito della
partecipata dovrebbe essere tassato
solamente nel Paese di residenza della
stessa, secondo le norme ivi vigenti; in
Italia sono soggetti a tassazione gli
utili effettivamente distribuiti dalla
partecipata e la plusvalenza
conseguita in caso di cessione della
40
partecipazione, salva la possibilità di
usufruire della PEX laddove
sussistano i requisiti di cui all’art. 87
del Tuir.
Una normativa specifica è stata
predisposta nel caso di società
controllata di diritto estero localizzata
in paradisi fiscali. Per contrastare le
diffuse pratiche elusive nel caso di
società controllata o collegata,
localizzata o residente in un paradiso
fiscale o in un Paese che abbia una
tassazione effettiva inferiore ad
almeno la metà di quella italiana, si
applica la disciplina CFC (controlled
foreign companies) contenuta negli
art. 167 e 168 del Tuir: imputazione
per trasparenza dei redditi,
indipendentemente dalla distribuzione
dei dividendi, salvo accoglimento
dell’interpello preventivo
disapplicativo.
Gli aspetti caratteristici della CFC
sono:
soggetto partecipante residente in
Italia e soggetto partecipato con
residenza estera;
requisito del controllo o del
collegamento;
soggetto partecipato residente o
“localizzato” in Paese RFP (“ non
white list”);
determinazione dei redditi della
CFC in base alla normativa italiana
(con regole diverse a seconda che
ci sia controllo o collegamento);
imputazione dei redditi
rideterminati della CFC pro-quota
al soggetto residente per la
tassazione separata.
L’articolo 167 del Tuir prevede che,
qualora un soggetto residente in Italia
controlli, direttamente o
indirettamente, anche tramite società
fiduciarie o per interposta persona,
un’impresa residente o localizzata in
uno Stato con fiscalità agevolata
rispetto a quella italiana, i redditi
conseguiti dalla partecipata estera
sono tassati separatamente per
trasparenza in capo al socio residente,
previa rideterminazione degli stessi
secondo le disposizioni
ordinariamente previste per la
determinazione del reddito d’impresa.
Si realizza così l’anticipazione del
momento impositivo.
La partecipazione deve sussistere
alla data di chiusura del bilancio
d’esercizio della controllata.
Il soggetto controllante può essere
persona fisica, società di persone e di
capitali, ente pubblico o privato
commerciale o non commerciale,
purché residente nel territorio dello
Stato.
Ad essere tassato in base alla
normativa italiana sarà l’utile
civilistico della CFC rideterminato
con le norme sul reddito d’impresa del
diritto tributario italiano.
Sono applicabili le disposizioni
particolari previste per: le imprese di
assicurazione e per gli enti creditizi e
finanziari; il riporto delle perdite, che
rimangono in ogni caso in capo al
soggetto estero controllato.
I redditi determinati sono
assoggettati a tassazione separata con
l’aliquota media applicata sul reddito
complessivo netto del soggetto
residente e comunque non inferiore al
27%.
Per evitare una duplice tassazione
dall’imposta così determinata sono
ammesse in detrazione le imposte
pagate all’estero a titolo definitivo e,
nel caso in cui la controllata proceda
a distribuire utili in qualsiasi forma, gli
stessi non concorrono alla formazione
del reddito del soggetto residente, fino
all’ammontare del reddito
assoggettato a tassazione, anche negli
esercizi precedenti.
La disciplina di cui al comma 1
trova applicazione anche nell’ipotesi
in cui i soggetti controllati ai sensi
dello stesso comma sono localizzati in
Stati o territori diversi da quelli ivi
richiamati, qualora ricorrano
congiuntamente le seguenti
condizioni:
sono assoggettati a tassazione
effettiva inferiore a più della metà
di quella a cui sarebbero stati
soggetti se residenti in Italia;
hanno conseguito proventi
derivanti per più del 50% dalla
gestione, dalla detenzione o
dall’investimento in titoli,
partecipazioni, crediti o altre
attività finanziarie […], nonché
dalla prestazione di servizi nei
confronti di soggetti che
direttamente o indirettamente
controllano la società o l’ente non
residente, ne sono controllati o
sono controllati dalla stessa
società che controlla la società o
l’ente non residente, ivi compresi i
servizi finanziari.
Nel caso di partecipazioni in imprese
estere collegate si fa riferimento a
quanto disposto dall’art.168 del Tuir.
In assenza del requisito del
controllo, invece della determinazione
dell’imponibile secondo le norme
nazionali, è prevista l’imputazione del
maggiore tra l’utile di bilancio prima
delle imposte e quello
forfettariamente determinato sulla
base di coefficienti di rendimento
differenziati per le categorie di beni
che compongono l’attivo
patrimoniale.
Con il termine controllo si fa
riferimento a quanto previsto
nell’articolo 2359 del Codice civile. È
irrilevante se il controllo è diretto o
indiretto.
Sono considerate collegate le
società sulle quali un’altra società
esercita un’influenza notevole.
L’influenza è presunta quando
L’intervento
nell’assemblea ordinaria può essere
esercitato almeno un quinto dei voti,
ovvero un decimo se la società ha
azioni quotate in borsa.
Alla luce delle leggi fiscali dei vari
Paesi, in riferimento alle norme
emanate dalle organizzazioni
sovranazionali che negli anni recenti
hanno profuso energie per trovare
strumenti di cooperazione e scambio
di informazioni va analizzata anche la
disciplina del transfer pricing.
Con il termine transfer pricing
(prezzo di trasferimento) viene
descritta una particolare procedura di
determinazione dei prezzi delle
transazioni commerciali (beni e/o
servizi) tra società spesso
multinazionali facenti capo ad uno
stesso gruppo, che permette il
trasferimento di materia (reddito)
imponibile verso paesi con fiscalità
attenuata.
Per quanto riguarda il sistema di
imposizione sul reddito, nello studio
del transfer price risulta centrale l’art.
110, comma 7, del Tuir. Il suddetto
articolo dispone che i componenti di
reddito derivanti da operazioni con
società non residenti nel territorio
dello Stato che, direttamente o
indirettamente, controllano l’impresa,
ne sono controllate o sono controllate
dalla stessa società che controlla
l’impresa, siano valutati in base al
valore normale dei beni ceduti, dei
servizi prestati e dei beni e servizi
ricevuti, determinati a norma del
comma 2, se ne deriva un aumento del
reddito.
La stessa disposizione si applica
anche se ne deriva una diminuzione
del reddito, ma soltanto in esecuzione
degli accordi conclusi con le autorità
competenti degli Stati esteri a seguito
delle speciali procedure amichevoli
previste dalle convenzioni
internazionali contro le doppie
imposizioni.
Tale dettato si applica, infine, per i
beni ceduti e i servizi prestati da
società non residenti nel territorio
dello Stato per conto delle quali
l’impresa esplica attività di vendita e
collocamento di materie prime o
merci o di fabbricazione o lavorazione
di prodotti.
Si tratta di una disposizione che
interessa le “operazioni”
transnazionali in cui i due poli,
riferibili ad un centro di interessi
unitario, sono, da un lato,
un’“impresa” residente in Italia e,
dall’altro, una società ivi non
residente; quando l’una controlla
direttamente o indirettamente l’altra,
ovvero le due entità siano soggette a
comune controllo, anche in tal caso
diretto o indiretto; per altro verso,
autonomamente, le operazioni di
cessione di beni e di prestazione di
servizi effettuate da società non
residenti per conto delle quali
l’impresa residente “esplica attività di
vendita e collocamento di materie
prime o merci o di fabbricazione o
lavorazione di prodotti”.
Ebbene, i componenti di reddito
derivanti da tutte le suddette
operazioni, come previsto dall’articolo
in questione, devono essere valutati qualora da tale valutazione consegua
un maggior reddito in base al valore
normale dei beni e dei servizi oggetto
dello scambio, determinato secondo
quanto previsto dall’art. 9 del Tuir (cui
rinvia il comma 2 dell’art. 110 del Tuir,
a sua volta richiamato dal comma 7
del medesimo articolo). In base al
comma 7 dell’art. 110 del Tuir, la
disciplina del transfer pricing è
applicabile a tutti i componenti
positivi e negativi del reddito
d’impresa.
Abbiamo metodi tradizionali di
determinazione del prezzo, che si
41
basano sull’analisi della singola
operazione commerciale o finanziaria;
infatti sono definiti come
transactional methods e permettono
di determinare il valore normale a
partire dalle caratteristiche della
singola transazione e metodi più
alternativi, che si basano invece
sull’analisi degli utili e sono: quello
della ripartizione dei profitti globali
(Profit Split) e quello della
comparazione dei profitti netti
(Transactional Net Margin
Method).
Tali metodi, cd. profit based
methods, sono il risultato di una
tendenza e prassi proveniente
soprattutto dagli Stati Uniti.
Come metodi tradizionali
dobbiamo ricordare: il metodo del
confronto del prezzo (Comparable
Uncontrolled Price-CUP); il metodo
del prezzo di rivendita (Resale Price);
il metodo del costo maggiorato (Cost
Plus).
Le tipologie principali in cui si
possono avere distorsioni rispetto al
“reale valore” delle cessioni di beni
e/o prestazioni di servizi nelle
operazioni infragruppo possono
essere tre:
cessioni di beni materiali, avente
per oggetto lo scambio di
semilavorati o prodotti finiti:
prestazioni di servizi, aventi ad
oggetto servizi che afferiscono a
diversi settori dell’organizzazione
aziendale quali quelli di carattere
amministrativo, di consulenza, di
contabilità di carattere
commerciale o inerenti alla
assunzione formazione di
personale;
trasferimento di beni immateriali,
aventi ad oggetto attività, per
esempio, di ricerca e sviluppo,
marchi di fabbrica di commercio o
know-how. 42
Primo Piano
Il commercialista: la risorsa strategica del momento!
di Patrizia Bonaca
ODCEC di Roma
La nostra figura professionale, oggi più che mai,
costituisce il trait d’union tra la forza produttiva
del Paese e le istituzioni che, per soddisfare forzose
esigenze di cassa, cercano in tutti i modi di
incasellare l’economia, svilendo la grande forza
creativa insita nell’atto di produrre.
In questo contesto il commercialista può veramente
fare qualcosa per se stesso, per i propri clienti e per
l’economia del Paese: reagire mettendo a servizio la
sua competenza!
La
caratteristica
continuità
dell’incarico
professionale ci individua come il consulente che
più di tutti condivide con l’imprenditore le sue
scelte, le sue battaglie, i suoi successi, i suoi
cambiamenti…
Questo è il momento di trasformare le scelte
economiche, è necessario, quindi, dotarsi di quelle
competenze che permettano questo cambiamento,
infondendo coraggio in primis a noi stessi e poi a
cascata nella catena economica del Paese.
Il commercialista deve smettere di essere un
burocrate al servizio dello Stato, senza
riconoscimento e remunerazione, per diventare il
protagonista della ripresa economica del Paese.
Chi meglio di noi può infondere la fiducia
necessaria al tessuto produttivo per facilitare la
ripresa economica?
Il tempo è prezioso e dobbiamo impiegarlo
mettendo a frutto le nostre capacità e la nostra
creatività, per noi stessi, per i nostri clienti e per il
nostro Paese. In questo momento di necessità
economica è necessario farci carico di questo ruolo
strategico, diffondere un sapere propulsivo e
positivo, instillare delle iniezioni di fiducia per
trovare la chiave strategica dell’evoluzione e il
progresso della società.
È inutile perdere tempo con scadenze inutili che
hanno il solo scopo di indispettire i clienti e di
distrarci dal significato più autentico e utile della
nostra professione, che rappresenta un servizio di
alto valore sociale.
Per questo non dobbiamo essere distratti da
ingarbugliati calcoli che non hanno altro scopo se
non quello di disperdere un immenso potenziale
creativo utile al nostro Paese e rappresentato dalla
nostra categoria professionale.
La nostra professione ha un obiettivo molto più
elevato e di alto contenuto sociale, il
commercialista può diventare l’artefice della ripresa
economica di questo Paese.
Solo assumendoci la responsabilità di diventare
propulsori del progresso sociale potremo unire la
nostra soddisfazione con quella dei nostri clienti e
del nostro Paese. Non saremo più vittime della
burocrazia e di un fisco artificioso, che lentamente
e inesorabilmente ci distoglie dal nostro reale
compito sociale ed economico.
Dobbiamo dotarci di un pensiero positivo operativo
e strategico e cioè un pensiero di speranza fattiva,
concreta che si traduce in azioni e scelte
economiche.
Nuovi scenari, quindi, per noi e per i nostri clienti
ponendo l’attenzione sulle risorse più che sui
vincoli, sulle presenze più che sulle mancanze, sui
desideri ed opportunità più che sulle necessità e i
problemi.
Il commercialista come portatore di consapevolezza
economica per ridare slancio all’economia del
Paese.
Sogno una professione che comporti sviluppo
personale, professionale e sociale e proprio perché
diventi un’idea la condivido in questo articolo che
concludo con questa frase di George Bernard Shaw
“Certi uomini vedono le cose come sono e dicono:
perché? Io sogno cose mai esistite e dico: perché
no?” Roma, Auditorium Parco della Musica, 10-13 Novembre 2014
XIX CONGRESSO MONDIALE
DEI COMMERCIALISTI
imperial sponsor
col patrocinio di
2020 Vision
Learning from the Past, Building the future
Il Congresso Mondiale dei Commercialisti è un’occasione di confronto per tutti
i professionisti, promosso dall’International Federation of Accountants, che
si presenta ogni quattro anni. Aderiscono all’Organizzazione internazionale
179 organismi rappresentativi della professione. Questo evento richiama circa
4000 commercialisti da tutto il mondo e nel 2014 sarà organizzato a Roma
dal CNDCEC. Il leitmotiv delle quattro giornate congressuali sarà quello
di costruire una vision condivisa sul futuro capitalizzando le esperienze
maturate alle diverse latitudini.
La sede
Auditorium Parco della Musica
Inaugurato nel dicembre del 2002, l’Auditorium Parco della Musica rappresenta
una consolidata realtà nel panorama della vita culturale della città di Roma
e del Paese.
In questi anni, la struttura progettata da Renzo Piano, uno degli architetti
italiani più famosi al mondo, è stata scelta come sede per numerosi eventi di
portata internazionale.
Ci si immerge nello spazio dell’Auditorium attraversando la Cavea per poi
giungere al Foyer e alle sale: Sala Santa Cecilia, Sala Sinopoli e Sala Petrassi.
Questa struttura imponente, ma al tempo stesso articolata funzionalmente,
conta anche spazi per seminari e per incontri, una sala stampa e diverse aree
espositive.
Queste sue caratteristiche, unite alla vicinanza al centro storico e agli ottimi
collegamenti, la rendono la sede perfetta per ospitare il WCOA 2014.
Programma generale
Sessioni di grande attualità, affrontate con modalità interattive, in cui
confrontarsi con oltre 4000 colleghi provenienti da ogni parte del mondo.
DAY 1
09:00 - 16:00
Registrazione partecipanti
Lunedì
16:30 - 20:00
Cerimonia di apertura,
10 novembre
DAY 2
Cocktail e spettacolo
09:00 - 11:00
Sessione Plenaria I
Martedì
Trasparenza e accountability del settore pubblico -
11 novembre
La via verso la crescita economica
DAY 3
11:00 - 11:30
Coffee break
11:30 - 13:00
Sessioni simultanee
13:00 - 14:00
Pranzo
14:00 - 15:30
Sessioni simultanee
15:30 - 16:00
Coffee break
16:00 - 17:30
Sessioni simultanee
09:00 - 11:00
Sessione Plenaria II
Mercoledì
“pensare integrato”: un approccio per migliorare
12 novembre
la performance aziendale e generare valori
11:00 - 11:30
Coffee break
11:30 - 13:00
Sessioni simultanee
13:00 - 14:00
Pranzo
14:00 - 15:30
Sessioni simultanee
19:30 - 23:00
Cena di Gala agli studios di Cinecittà
DAY 4
09:00 - 10:30
Sessioni simultanee
Giovedì
10:30 - 11:00
Coffee break
13 novembre
11:00 - 12:30
Sessione Plenaria III
2020 Vision: costruire il futuro della professione
capitalizzando le esperienze del passato
13:00 - 14:30
Sessione conclusiva e Cerimonia di chiusura
Sessioni simultanee - Macroaree
Macroarea 1
REPORTING ECONOMICO-FINANZIARIO E APPROCCIO INTEGRATO
Migliorare accountability e processi decisionali
Società quotate, PMI, enti non profit ed enti pubblici devono tutti confrontarsi
con la definizione di un sistema di reporting e con le scelte tecnico-operative
che ne discendono. Il dibattito verterà sugli obblighi di reporting previsti per
le PMI nei diversi ordinamenti, sullo sviluppo del pensiero integrato e offrirà
unapanoramica aggiornata sull’adozione degli IFRS e IPSAS a livello globale.
Macroarea 2
REVISIONE E ALTRI SERVIZI DI ASSURANCE
La funzione dell’informativa di bilancio in relazione ad aspettative crescenti
A fronte delle aspettative sempre più complesse dei diversi utilizzatori
dell’informativa economico-finanziaria, quali sono i pilastri di una revisione
legale di qualità, e quali i trend a livello mondiale? Si discuterà della richiesta
di nuovi servizi di attestazione da parte delle PMI, del nuovo modello di relazione
di revisione e delle esigenze cui risponde e del ruolo degli organi di controllo
e audit committee nei vari ordinamenti.
Macroarea 3
ETICA, LEGALITÀ E RESPONSABILITÀ D’IMPRESA
Commercialisti e imprese alla ricerca del giusto equilibrio
Una delle sfide quotidiane per i commercialisti è destreggiarsi tra gli obblighi
di riservatezza, l’insieme delle responsabilità e la costante tutela dell’interesse
pubblico. Intanto le imprese esplorano nuovi modelli di business, alla ricerca di
un bilanciamento tra valori sociali e redditività. Un tema di forte attualità
che ricomprende i recenti sviluppi nei codici deontologici a livello
internazionale, le normative e i meccanismi di vigilanza approntati all’indomani
della crisi e le questioni di equità fiscale.
Sessioni simultanee - Macroaree
Macroarea 4
FORMAZIONE E CAPACITY BUILDING
Nuovi strumenti per nuove esigenze
L’innovazione tecnologica continua, con un impiego sempre maggiore di
social media, cloud computing, prestazioni professionali da remoto e XBRL,
sta modificando le metodologie e le modalità organizzative necessarie ai
professionisti per affermare la loro presenza sul mercato globale. In queste
sessioni si esamineranno le nuove forme di networking, le nuove tecnologie
e i sistemi di mobilità, in un contesto sempre più integrato.
Macroarea 5
CONSULENZA AZIENDALE
Competenze, sfide, sinergie e innovazione
Il commercialista è il consulente di fiducia delle imprese e di quelle di piccole
e medie dimensioni in particolare - in termini di soluzioni gestionali, governance,
crescita e sviluppo di nuove strategie di mercato, sostenibilità e attenzione
alle esigenze di cittadini e consumatori. Si offrirà una panoramica su quali
siano, in un mondo sempre più globalizzato, le nuove competenze richieste
ai commercialisti e le sfide che si trovano ad affrontare al fianco delle PMI,
tra cui le difficoltà nell’accesso al credito e l’internazionalizzazione. Una
sessione speciale è dedicata al Made in Italy e alle sfide che i brand italiani
affrontano nella competizione su scala internazionale.
Quote di partecipazione
Attività incluse
Tariffa ridotta
fino al 31/07/14*
Tariffa
piena*
Paesi sviluppati
Tutte
€ 1.200
€ 1.500
Paesi emergenti
Tutte
€ 900
€ 900
Sessioni di lavoro
Programma sociale non incluso
€ 600
€ 600
Tutte
Esclusa la cena di gala
€ 950
€ 1.250
Cerimonia di apertura, spettacoli
e cena di gala
€ 350
€ 350
Tutte
Esclusa la cena di gala
-
-
Coffee break e pranzi inclusi
€ 200
€ 200
Categoria
Speciale giovani
studenti
Italiani
Accompagnatori
Stampa
Espositori
(se oltre 2 persone
per stand)
(*): IVA inclusa (22%)
N. B.: In considerazione delle possibilità di accoglienza dell’Auditorium, si informa che le iscrizioni saranno
chiuse una volta raggiunti i 4.000 iscritti
Per iscriversi: www.wcoa2014rome.com
Opportunità di sponsorship
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flessibili
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Comitato
a tutti i livelli.
del WCOA 2014 ha lanciato
un’iniziativa
Scientifico
inedita
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Pacchetti completi
occasione di questo evento
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mondiale: Una pubblicazione
- Colosseo
accademica dedicata al tema
- Cappella Sistina
del congresso: “2020 Vision:
- Pantheon
costruire il futuro della
- Partner Digitale
professione
capitalizzando
le esperienze del passato”.
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organismi professionali aderenti all’IFAC possono mostrare e condividere
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patrimonio storico e culturale di Roma. Venite a emozionarvi ancora una volta
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meno noti, ma non meno ricchi di storia e bellezza.
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il porto dell’antica Roma. Proverete l’emozione di una vera e propria
passeggiata nella Storia.
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Scoprirete che la Capitale non significa solo Cupolone, Colosseo e Piazza di
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Ricordo
59
LUTTO NELLA FAMIGLIA DEI COMMERCIALISTI
ADDIO A NINO DE BENEDICTIS, STORICO PRESIDENTE DELL’ORDINE
Fondò l’Ordine nel 1976 e per venti anni ne rimase al vertice
i è spento all’età di 93 anni Antonino De Benedictis,
decano dei commercialisti siracusani, iscritto
all’Albo da 58 anni (era il 21 maggio 1956) e primo
Presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti di
Siracusa dal 1976, anno della fondazione, sino al 1996.
Una figura forte, segnata dagli anni della seconda
guerra mondiale e dalla prigionia nei campi di El
Alamein – spesso oggetto dei suoi ricordi - divenne un
professionista attento, capace e maestro per
generazioni di colleghi e per i suoi figli Salvatore,
Massimo e Marcello, che ne hanno seguito le orme e
per Marco che, da avvocato, ne ha appreso la
rettitudine professionale.
Instancabile lavoratore, sin dalle primissime ore del
mattino, quando ancora era buio, era alla sua scrivania
dalla quale non si staccava sino a tarda sera. Svolgeva
il proprio lavoro con grande passione e fermezza sia
nei rapporti con gli uffici finanziari che in Commissione
tributaria. Componente di importanti collegi sindacali,
fu a lungo consigliere d’amministrazione della Banca
di Credito Popolare di Siracusa.
Il 18 marzo del 1976, in piazza Pancali, presso lo studio
S
Reale fino ad allora delegato dell’Ordine di Catania,
fondò l’Ordine dei dottori commercialisti di Siracusa
insieme a Santino Calabrò, Gino Serra, Giuseppe
Conigliaro, Gaspare Conigliaro e Corrado Russo,
chiamati al suo fianco nel primo Consiglio dell’Ordine
aretuseo. In assenza di locali idonei, la sede venne a
lungo ospitata presso il suo studio di Via Eumelo.
Nel 2006, in occasione del trentennale della fondazione
dell’Ordine e dei 50 anni di professione, ha ricevuto un
premio dal Presidente del Consiglio Nazionale, per
l’occasione a Siracusa, in segno di riconoscenza per
quanto fatto per la categoria (nella foto il momento
della consegna del premio; oltre a Nino De Benedictis
ed al presidente Nazionale Tamborrino, si scorgono
Gaetano Ambrogio, Giovanni Stella (a destra) e
Massimo Conigliaro (a sinistra) tutti presidenti che gli
sono succeduti nella carica al vertice dell’Ordine di
Siracusa).
Ai familiari il cordoglio e la vicinanza dell’intera
categoria dei commercialisti.
Massimo Conigliaro, Presidente Odcec di Siracusa
60
Diamo i Numeri
Osservatorio economico
di Tommaso Di Nardo, IRDCEC
Nel generale quadro di moderata
ripresa economica mondiale, l’unico
dato positivo per l’economia italiana
è l’inversione di segno nell’andamento
della produzione industriale che a
settembre 2013, dopo 26 mesi di
segno meno, è ritornata a crescere,
confermandosi negli ultimi tre mesi
dell’anno, ad eccezione di dicembre
quando si è registrato un nuovo calo.
Un altro dato positivo proviene dalle
entrate tributarie e, in particolare,
dall’andamento del gettito dell’Iva da
scambi interni che dal mese di
giugno 2013 ha ripreso a crescere,
con l’unica eccezione del mese di
agosto, e che, al netto dell’aumento
dell’aliquota dal 21 al 22% di ottobre,
indicherebbe una leggera ripresa dei
consumi interni. Non accenna,
invece, a riprendersi il gettito
dell’imposta di fabbricazione sugli oli
minerali, altro fondamentale
indicatore della dinamica
congiunturale, che nei primi 11 mesi
del 2013 perde il 2,2% rispetto al
2012, mentre l’andamento delle
ritenute mensili Irpef continua ad
essere negativo per i dipendenti del
settore privato (-0,7% su base annua)
e, soprattutto, per i lavoratori
autonomi (-5,6% su base annua).
Prosegue inarrestabile il calo di
aperture di nuove partite Iva che
complessivamente si riducono
dell’8,1% a novembre 2013 e del 4,9%
dall’inizio dell’anno con una
dinamica divergente tra le società di
persone e le ditte individuali in forte
calo e le società di capitali in crescita.
Quadro congiunturale. La
congiuntura economica mondiale
continua a mostrare segnali di
miglioramento e prosegue lentamente
su un sentiero di crescita moderata.
Nelle ultime stime diffuse a gennaio, il
Fondo monetario internazionale ha
rivisto al rialzo la crescita del
commercio mondiale 2014 di 0,3 punti
che si traduce in un miglioramento di
0,1 punti del prodotto mondiale. In
questa fase, la crescita è trainata dalle
economie più avanzate e
industrializzate, in particolare Stati
Uniti, Germania e Giappone, mentre le
economie emergenti mostrano segnali
di debolezza che inducono valutazioni
prudenziali da parte dei maggiori
istituti finanziari mondiali. La ripresa
c’è, dunque, ma è moderata e,
soprattutto, resta fragile e incerta.
L’Italia è l’unico paese, tra quelli più
avanzati, a subire un taglio delle stime
di crescita del Pil 2014 da parte del
Fondo monetario internazionale.
L’ultima previsione è dunque di un
+0,6% a fronte del +1% stimato dal
governo a settembre 2013.
Quadro macroeconomico (Nota di
aggiornamento al Def 2013 del 20
settembre). Il Pil nominale atteso
per il 2013 è pari a 1.557 miliardi di
euro, 9 in meno rispetto al 2012 (0,6%) corrispondente ad un tasso di
crescita reale negativo pari a -1,8%. Le
previsioni ufficiali per il 2014 (Mef)
sono di un Pil nominale pari a 1.603
miliardi di euro con un aumento di 46
miliardi sul 2013 (+3%)
corrispondente a una crescita reale
dell’1%. Il debito pubblico 2013 è
atteso pari a 2.069 miliardi di euro
(132,9% del pil), 80 miliardi in più
rispetto al 2012, mentre la stima per il
2014 è pari a 2.128 miliardi di euro
(132,8% del pil) con un aumento di 59
miliardi sul 2013. Il deficit tendenziale
2013 è pari al 3,1% del Pil, mentre
quello programmatico è pari al 3%. Nel
2014, invece, il deficit tendenziale è
pari a -2,5% e quello programmatico a
-2,3%.
Economia sommersa e pressione
fiscale. La pressione fiscale attesa per
il 2013 è pari al 44,3% del Pil, quella
prevista per il 2014 è pari al 44,2%. Il
volume complessivo di entrate fiscali,
atteso per il 2013 pari a 691 miliardi di
euro, è previsto crescere di 18 miliardi
di euro nel 2014 (+2,6%). La pressione
fiscale reale, calcolata al netto del
sommerso (stimato prudenzialmente
pari al 16% del Pil rispetto all’ultimo
dato ufficiale Istat 2008 pari al 16,8%),
è pari al 52,8% nel 2013 e al 52,6% nel
2014.
Previsioni Italia. Rispetto al +1% di
crescita reale 2014 (+3% in termini
nominali) stimato dal Mef il 20
settembre 2013, le stime più
aggiornate dei principali istituti
nazionali e internazionali oscillano da
un minimo +0,6% a un massimo +0,7%,
mentre secondo Standard & Poor’s la
crescita stimata sarebbe addirittura
dello 0,4%. La differenza delle stime è
basata su una diversa interpretazione
del ciclo economico e su una
valutazione positiva, da parte del Mef,
degli effetti sul Pil delle riforme
attuate nell’ultimo biennio e delle
misure per il pagamento dei debiti
delle Pubbliche Amministrazioni.
Ipotizzando, per il 2014, una crescita
reale pari al +0,7%, anziché il +1%
61
previsto dal Mef, ed un deflatore del
Pil pari a 1,4%, la crescita nominale
2014 sarebbe pari a +2,1% al posto di
+3% previsto nel DEF. In questo
modo, il Pil nominale sarebbe
inferiore di 13 miliardi alla previsione
contabile nazionale e le entrate
sarebbero inferiori di 4 miliardi con
un effetto peggiorativo di 0,3 punti sul
deficit e di 0,1 punti sulla pressione
fiscale ufficiale. In tali condizioni, per
rispettare l’obiettivo del 2,3% nel
rapporto deficit/pil occorrerebbe una
manovra correttiva di circa 5 miliardi
di euro.
Tabelle
Tabella 1. Indicatori congiunturali
Periodo
Indice/
Valore/Tasso
Var.
Cong.
Var.
Tend.
FIDUCIA DEI CONSUMATORI
Nov.
96,2
-2,0%
+11,9%
FIDUCIA DELLE IMPRESE
Nov.
93,0
+0,2%
+6,5%
TASSO DI INFLAZIONE (NIC)
Dic.
107,3
-0,3%
+0,7%
PRODUZIONE INDUSTRIALE (INDICE)
Ott.
91,5
0,5%
-1,0%
PRODUZIONE COSTRUZIONI (INDICE)
Ott.
72,8
-2,9%
-9,7%
COMMERCIO AL DETTAGLIO (INDICE)*
Ott.
95,3
-0,2%
-0,6%
ESPORTAZIONI AREA EURO (VALORE)*
Ott.
17.514 mld. €
-1,5%
-0,8%
ESPORTAZIONI EXTRA UE (VALORE)*
Ott.
15.225 mld. €
+0,8%
+0,6%
TASSO DI DISOCCUPAZIONE
Nov.
12,70%
+0,2%
+2,5%
TASSO DI DISOCCUPAZIONE (15-29)
Nov.
41,60%
+0,4%
+10,6%
INDICATORE
Grafico 1. Tasso di inflazione tendenziale. Serie Novembre 2011 – Novembre 2013
+ 5,0
+ 4,5
+ 4,0
+ 3,5
+ 3,0
+ 2,5
+ 2,0
+ 1,5
+ 1,0
+ 0,5
0
Finanza pubblica. I dati relativi al III
trimestre dell’anno mostrano un
aumento delle uscite dell’1,2% e una
diminuzione delle entrate del 2,4%. In
particolare, le imposte dirette
mostrano un calo del 4% e le indirette
del 2,7%. Calano anche i contributi
sociali dell’1,7%. Dal lato della spesa,
l’aumento è concentrato nelle
prestazioni sociali in denaro (+2,9%),
mentre la spesa per consumi
intermedi diminuisce (-2%) insieme a
quella relativa ai redditi da lavoro
dipendente (-1,9%).
Entrate tributarie. -45% a novembre
e –7% dall’inizio dell’anno, ma non si
tratta di un tracollo poiché il gettito di
novembre risulta fortemente
influenzato dallo slittamento delle
scadenze fiscali dell’autoliquidazione
ai mesi successivi di Irpef, Ires e Irap.
Positivo, invece, il dato relativo all’Iva
per la crescita, in particolare, dell’Iva
da scambi interni (+1,7% a novembre).
Continua a calare, invece, il getto
delle ritenute da lavoro autonomo (6,8% a novembre e -5,4% da inizio
anno).
Partite Iva. -8,1% a novembre le
nuove aperture di partite Iva che,
invece, dall’inizio dell’anno fanno
registrare un calo del 4,9%. In
particolare, prosegue il calo
inarrestabile delle società di persone
(-27,6% a novembre e -15,8% da inizio
anno), accompagnato questa volta
anche dal calo delle società di capitali
(-3,2%) che, però, da inizio anno sono
in crescita del 7%. Guida al controllo della qualità nei piccoli e medi studi professionali
Traduzione della terza edizione inglese
180 pp. - in brossura – ISBN: 978-1-60815-097-7
Prezzo 18,00 euro (IVA e spese di trasporto incluse)
La pubblicazione della traduzione italiana della terza edizione della “Guida al Controllo della Qualità nei piccoli
e medi studi professionali” completa un progetto che ha impegnato, per oltre tre anni, l’ufficio traduzioni del
CNDCEC e la commissione tecnico-scientifica che ha revisionato i lavori. La versione originale in lingua inglese
della Guida ha incontrato in tutto il mondo un grande successo, completando l’offerta di strumenti di supporto
all’attività degli studi professionali predisposti dal Comitato Piccoli e Medi Studi Professionali (Small and Medium
Practices Committee) di IFAC (International Federation of Accountants). Questa pubblicazione rappresenta un
valido aiuto per i professionisti che intendono affrontare l’attività di revisione legale in maniera conforme ai
principi internazionali ISA, consentendo di implementare le prescrizioni internazionali in materia di controllo della
qualità dell’attività di revisione in maniera semplice ed efficace, anche nella realtà dei piccoli e medi studi.
Al fine di garantire la qualità del lavoro di revisione, i Principi Internazionali di Revisione ISA richiedono infatti
l’adozione da parte del revisore di un sistema di qualità equivalente alle prescrizioni dello standard ISQC1;
questa Guida consente di realizzare un sistema di qualità conforme ad ISQC1, in maniera proporzionata alle esigenze ed alle risorse di studi
professionali di ridotta dimensione. L’esposizione della materia, semplice ed efficace, è riferita alle caratteristiche degli studi professionali piccoli
e medi; la Guida è inoltre corredata da pratici modelli di manuali di controllo qualità, pensati per le esigenze di studi professionali anche composti
da un solo professionista. La traduzione in lingua italiana giunge in un momento in cui la nostra professione si sta preparando all‘introduzione
dei Principi Internazionali di Revisione ISA su scala europea e può costituire un prezioso supporto per la strutturazione di un’attività di revisione
legale pienamente conforme ai Principi ISA. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili compie così un ulteriore
importante passo nel consentire alla professione italiana di adeguarsi ai migliori standard internazionali e continuare nella tradizione di qualità
e competenza.
Principi Internazionali di Revisione e Controllo della Qualità
Edizione Italiana 2011
862 pp. - in brossura - ISBN 978-88-97361-00-8
Prezzo 50,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse)
La versione italiana 2011 dei principi internazionali (edizione inglese 2009), contenuta nel presente volume, è il
risultato di un complesso progetto di riscrittura, attuato da IFAC, per effetto del quale i 36 principi di revisione ed
il principio sul controllo di qualità sono stati completamente riorganizzati in sezioni distinte e parzialmente
modificati nei contenuti.
I principi così aggiornati sono ampiamente migliorati, sia in termini di comprensibilità che in termini di
semplificazione applicativa e sono destinati a divenire comune bagaglio professionale per tutti i colleghi impegnati
nell'attività di revisione legale dei conti.
La nuova struttura dei principi, mantenendo invariato l'originario approccio basato su regole generali, è
ampiamente compatibile con i principi di revisione nazionali in vigore dal 2002.
L'attività di revisione legale dei conti continuerà ad essere svolta sulla base di una preliminare identificazione e
valutazione dei rischi di errori significativi nel bilancio, sulle cui risultanze verranno configurate le procedure di revisione più appropriate. Quindi non
controlli casuali, che ripercorrono indistintamente tutte le operazioni contabili, ma verifiche mirate a quelle aree di bilancio che il revisore ha identificato
come maggiormente problematiche e dalle quali può derivare un rischio concreto e significativo di errore nel bilancio.
La fase transitoria del federalismo municipale
Aspetti quantitativi, contabili e fiscali delle nuove entrate comunali
126 pp. - in brossura - ISBN 978-88-97361-01-5
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Il volume intende offrire un contributo al dibattito sul federalismo municipale effettuando un'analisi dei profili
quantitativi, contabili e fiscali della riforma.
A tal fine, il lavoro: espone i risultati di un'analisi quantitativa finalizzata a valutare gli effetti di gettito prodotti
dall'adozione del modello federale di cui al D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23; illustra le modalità di rappresentazione
nei bilanci degli Enti locali delle nuove entrate disciplinate dal medesimo decreto; nonché effettua un'analisi
della normativa di riferimento, tesa a verificare l'effettiva capacità di realizzazione del principio vedo, voto e
pago.
La ricerca è rivolta ai professionisti impegnati nell'attività di revisione degli Enti locali, ma offre interessanti
spunti di riflessione anche alla componente politica e amministrativa, proponendo una prima simulazione
dell'impatto che la riforma in senso federale avrà sulle entrate degli Enti locali.
Guida all’utilizzo dei principi di revisione internazionali
nella revisione contabile delle piccole e medie imprese
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Volume II: Guida pratica
328 pp. - ISBN 978-88-97361-03-9
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Giunta alla terza edizione, la “Guida all’utilizzo dei principi di revisione internazionali nella revisione contabile
delle piccole e medie imprese”, elaborata dallo Small and Medium Practices Committee dell’International
Federation of Accountants (IFAC), è stata suddivisa in due volumi: Concetti fondamentali e Guida pratica.
Nata da un’idea originale del 2005, la Guida è stata la prima di una fortunata serie di pubblicazioni del Comitato
Piccoli e Medi Studi Professionali di IFAC (SMP Committee), che comprendono oggi anche la Guida al controllo
della qualità nei piccoli e medi studi professionali e la Guida alla gestione dei piccoli e medi studi professionali.
Tradotta nelle principali lingue e nota nel mondo come “ISA Guide”, la Guida è nata dall’esigenza di aiutare i
professionisti ad utilizzare correttamente gli ISA - International Standards on Auditing - nella revisione contabile
delle piccole e medie imprese, una necessità oggi di grande attualità, nel momento in cui l’adozione degli ISA
nella revisione si profila come una concreta possibilità nell’ambito della riforma della regolamentazione della
revisione in ambito europeo.
Il primo volume presenta i fondamenti teorici dei principi ISA che più frequentemente trovano applicazione
nella revisione delle PMI, con una tecnica espositiva che fa ampio uso di schemi e diagrammi e facilita la
comprensione e l’apprendimento; il risultato è un testo che può essere utilizzato sia come manuale didattico,
sia come riferimento operativo nell’attività professionale quotidiana. Il secondo volume presenta invece un
approccio pratico alla revisione delle PMI, accompagnando il lettore attraverso tutte le fasi dell’incarico, e
svolge completamente due casi pratici che illustrano la revisione di una microimpresa e di una piccola impresa.
Guida alla gestione dei piccoli e medi studi professionali
Traduzione della seconda edizione 2012
570 pp. - in brossura - ISBN 978-88-97361-05- 3
Prezzo 50,00 Euro (IVA e spese di trasporto incluse)
Cinque anni di lavoro, una decina di autori, un comitato di redazione di oltre trenta persone sparse in tutto il
globo, più di cento revisori provenienti da una ventina di paesi in tutti i continenti, oltre cinquanta teleconferenze
per le riunioni del comitato di redazione, che hanno collegato gli angoli più remoti del pianeta nell’arco di due
anni; un’opera che, nella versione originale in lingua inglese, è in testa alle classifiche dei download dal sito di
IFAC, con traduzioni realizzate o in corso in sette tra le principali lingue del mondo. Queste cifre danno un’idea
dell’impegno che lo Small and Medium Practices Committee di IFAC ha profuso nella realizzazione di
quest’opera e della ricchezza di contributi che è stato possibile raccogliere in queste pagine. L’edizione italiana
della Guida è una traduzione fedele della seconda edizione inglese, che ne riporta integralmente i contenuti.
Con questa nuova edizione si è voluto aggiornare le sezioni sulle letture consigliate e le risorse reperibili nel
sito IFAC, presenti alla fine dei moduli, nonché effettuare qualche miglioramento nella presentazione.
Organizzata in otto moduli indipendenti, la Guida si propone di fornire ai piccoli e medi studi professionali una
serie di principi gestionali ed alcune best practice in merito a numerose aree, tra cui pianificazione strategica,
gestione delle risorse umane, rapporto con il cliente e passaggi generazionali. Per aiutare gli organismi membri
e gli studi professionali ad utilizzare al meglio la Guida, lo Small and Medium Practices Committee ha elaborato
la Companion Guide, Guida alla Gestione dei Piccoli e Medi Studi Professionali: Indicazioni per l’uso
(www.ifac.org/publications-resources/guide-practice-management-small-and-medium-sized-practices-userguide), che fornisce indicazioni su come sfruttare al massimo la Guida. Le note bibliografiche sono state
arricchite con i documenti più recenti editi dal CNDCEC e alle appendici del Modulo 1 sono state aggiunte le
“Linee guida per l’introduzione di sistemi di gestione documentati negli studi dei dottori commercialisti ed
esperti contabili”, redatte da una commissione del CNDCEC ma fino ad oggi ancora inedite.
I volumi sono acquistabili unicamente on line sul sito “Press Store”all’indirizzo www.press-store.it
oppure www.commercialisti.it > PRESS & INFORMA > Press Store
Press S.r.l. - Società unipersonale soggetta all’attività di direzione e coordinamento del CNDCEC
00185 ROMA - Piazza della Repubblica, 59
C.F., P.Iva e N. Iscr. R.I. 09257291006
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Comunicato stampa
I COMMERCIALISTI IN AIUTO DI CIAO ONLUS PER L’ASSISTENZA
AI MALATI TERMINALI
Finanziata una borsa di studio per la specializzazione dei volontari
commercialisti in aiuto dell’Associazione CIAO
Onlus per l’assistenza ambulatoriale e domiciliare dei
malati terminali. Nel corso di una breve cerimonia
tenutasi presso i locali delll’Hospice Kairos
dell’Ospedale Rizza di Siracusa, il Presidente
dell’Ordine di Siracusa, Massimo Conigliaro, ha portato
il ringraziamento della categoria per l’attività svolta
dalla CIAO Onlus, da anni qualificata interprete delle
esigenze dei malati terminali e dei loro familiari.
Giovanni
Moruzzi,
responsabile
sanitario
dell’Associazione nonché del reparto cure palliative
dell’ASP di Siracusa, ha sottolineato le esigenze dei
pazienti ai quali non possono più essere utilmente eseguiti
trattamenti terapeutici, soffermandosi sull’importanza
della cura degli aspetti psicologici e dell’assistenza anche
nei confronti dei congiunti dei malati. Unitamente ad
Aurelio Saraceno, dirigente psicologo dell’ASP di
Siracusa, e a Giusy Digangi, psicologa e psicoterapeuta
dell’ASP, Moruzzi ha illustrato le peculiarità del reparto
e spiegato il significato dei colori alle pareti, degli
arredi e di tutti quei dettagli – frutto di un accurato
studio – volti a creare all’interno dell’Hospice un
ambiente quanto più possibile vicino a quello di una
casa. Il Presidente dell’Ordine dei commercialisti,
I
Massimo Conigliaro, nell’occasione insieme ai
consiglieri Santina Calafiore e Salvatore Geraci, al fine di
dare un tangibile contributo alla ulteriore crescita
professionale degli operatori di CIAO Onlus, ha
consegnato all’Associazione il ricavato della serata di
beneficienza degli auguri di Natale dei commercialisti,
con il quale sarà finanziata una borsa di studio finalizzata
alla formazione specialistica dei volontari della CIAO
Onlus. “Abbiamo deciso di sposare ogni anno un
progetto di solidarietà – ha dichiarato Massimo
Conigliaro, Presidente dell’Ordine dei commercialisti
di Siracusa – per dare un segnale di attenzione da
parte della categoria anche alle tematiche che esulano
dall’ambito professionale. Siamo parte sociale a 360
gradi ed oltre a dare il nostro contributo sui temi dello
sviluppo economico e del supporto alle istituzioni nelle
materie di nostra competenza, desideriamo fare
qualcosa per la collettività. Nel caso di Ciao Onlus, oltre
a finanziare la formazione specialistica dei volontari,
ci sembrava giusto far conoscere la straordinaria
attività svolta ogni giorno, in silenzio, da
professionisti e volontari cui va il nostro pubblico
ringraziamento”.
Massimo Conigliaro, Presidente Odcec di Siracusa
Letti per Voi
ANALISI FINANZIARIA
Guida pratica per aumentare il valore dell'impresa
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Tempo libero
Nicolas Ubago-Vivas
(Ipsoa, 2014)
L’obiettivo primario dell’impresa è aumentare il valore economico dell’investimento dei fornitori di
capitale di rischio, cioè lo shareholder value o equity value.
Il volume illustra e spiega i concetti e le tecniche chiave dell’analisi finanziaria finalizzata a
comprendere e valutare l’impatto potenziale delle decisioni da prendere sullo shareholder value.
Molteplici esempi e casi sono utilizzati per illustrare le applicazioni di tali concetti e tecniche.
Nella nuova edizione è stata introdotta una nuova parte dedicata alla politica di payout (ossia
l’ammontare e la modalità della distribuzione di cassa da parte dell’impresa agli azionisti) e sono
stati aggiunti nuovi casi.
GUIDA ALL’IVA EUROPEA
Renato Portale
(Giuffré, 2014)
L’applicazione dell’IVA in Italia e nella Unione europea aspira ad avere regole comuni per garantire
uniformità di comportamenti in un mercato unico che, dal 1993, ha visto l’abolizione delle frontiere
interne. In mancanza di un Codice civile, l’interpretazione delle Direttive è demandata alla Corte di
giustizia che, negli oltre 40 anni di applicazione dell’Imposta (1973 - 2014), con più di 600 sentenze, è
andata consolidando un nuovo diritto dell’Unione, superiore a quello nazionale, atto a regolare la
condotta da seguire. L’opera, nella prima parte, offre una guida pratica "a domanda/risposta" di
come funziona l’IVA in Italia e nella Unione europea; nella seconda oltre 1100 casi estrapolati da tutte
le sentenze emesse dalla Corte dall’entrata in vigore dell’IVA al 31 dicembre 2013.
INNOVARE I SISTEMI DI CONTROLLO
Per garantire sostenibiltà alle performance aziendali
Marco Morelli, Laura Zoni
(Egea, 2013)
I sistemi di controllo, quando sono capaci di innovazione e adattamento, possono garantire efficacia
di indirizzo al governo dell’impresa e guidare il cambiamento organizzativo, contribuendo alla
sostenibilità dell’azienda nel tempo. Se tuttavia il controllo assicura all’organizzazione il
raggiungimento delle sue finalità, il problema è come esercitarlo in modo efficace e a costi
accettabili. La sfida è complessa perché il controllo può essere attuato: sul piano organizzativo,
strategico, operativo; può esercitarsi sulle azioni, sulle persone, sui risultati; può far perno sulle
diverse componenti del sistema: la pianificazione, i controlli cibernetici, le ricompense e gli incentivi, i
controlli amministrativi, la cultura. Accanto alle regole e alla loro condivisione, il fattore di successo
risiede però sempre nel comportamento degli individui: sono infatti le persone che, agendo giorno per
giorno, assicurano che i controlli vengano implementati e siano efficaci. Questo rende il controllo una
funzione particolarmente difficile e scarsamente standardizzabile. Gli autori affrontano il tema
dell’innovazione dei sistemi di controllo (contesto di riferimento, progettazione, implementazione e
istituzionalizzazione) prendendone in considerazione tre aspetti: la trasformazione in presenza di
alcuni fattori strategici di cambiamento, come l’introduzione di un sistema ERP o un’operazione di
finanza straordinaria; il ruolo loro affidato in momenti di profonda crisi e di svolta strategica; la
funzione di supporto alla crescita aziendale.
VIOLAZIONI E SANZIONI DELLE LEGGI TRIBUTARIE
Giuseppe Giuliani, Francesco Giuliani
(Giappichelli, 2013)
Le sanzioni tributarie sono state disciplinate per decenni dalla legge 7 gennaio 1929, n. 4, che era
riuscita a mettere un ordine mirabile in una materia che, dai tempi dell’unificazione dell’Italia, si era
andata sempre di più ingarbugliando. Fissati, con criteri semplici e chiari, i confini tra violazioni
penali e violazioni amministrative, la legge aveva individuato i giudici competenti per le une e,
rispettivamente, per le altre. Aveva inoltre “creato” la polizia tributaria per l’accertamento di ogni
specie di violazione, conferendole poteri sufficienti per l’espletamento dei suoi compiti. Che cosa sia
successo da un certo momento in poi, essenzialmente a partire dalla riforma tributaria del 1972-73, è
materia che deve ancora essere approfondita. Certo è che la legge del 1929 è stata “scardinata”,
sopraffatta da una congerie di norme che sembrano aver riprodotto quel garbuglio che essa aveva
consentito di superare. Non ci sentiremmo di attribuire propositi perversi agli autori dello sfacelo, che
sono stati certamente animati da buone intenzioni. Ma è a tutti noto come di buone intenzioni siano
lastricate le vie dell’inferno. Questo libro costituisce un tentativo di far luce nel ginepraio. Esso,
inoltre, si occupa di tutto il sistema tributario e non soltanto, dunque, degli abusati settori delle
imposte dirette e dell’iva.
La vita non è in
ordine alfabetico
Andrea Bajani
(Einaudi, 2014)
Tutti vorremmo provare a
mettere la vita in ordine
alfabetico, ben sapendo
che, purtroppo e per
fortuna, in ordine
alfabetico la vita non ci sta.
Con l’incanto prodigioso
della sua scrittura, l’Autore
compone una commedia
umana in miniatura, in cui
ogni piccolo gesto può
diventare una chiave per
capirsi, e rendersi conto
che la felicità, alla fine, sta
dentro la piega che di
colpo prendono le cose.
L’atelier
dei miracoli
Valerie Tong Cuong
(Salani editore, 2014)
Un romanzo sulla
complessità dei rapporti
umani, sull’altruismo
disinteressato, ma anche
su ciò che ciascuno di noi
possiede, e che appare
quando la nostra vita
prende una direzione
inaspettata…
Odessa Star
Herman Koch
(Neri Pozza, 2014)
Un romanzo ironico, dalla
prosa adrenalinica e ricca
di situazioni pulp alla
Tarantino, che incarna il
fascino inconfessabile per
il proibito, per la violenza
e per la ricchezza a tutti
i costi; e che trascina
il lettore in un vortice
destinato ad esaurirsi solo
all’ultima pagina.
È solo l’inizio,
commissario
Soneri
Valerio Varesi
(Frassinelli, 2014)
Mentre la pioggia
imperversa su Parma,
nell’ufficio del
commissario Soneri arriva
un drammatico annuncio:
un misterioso giovane si è
impiccato in un albergo
abbandonato. Con pochi,
inconsistenti indizi Soneri
avvia l’indagine, ma gli
piomba addosso un
secondo, tragico caso…
A cura di Maria Pia Parenti
Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti
e degli Esperti Contabili
Press
Professione economica e sistema sociale
Rivista del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti
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