(possibile) # 10 CHEZ LE PATISSIER

Marco Santarelli
Chez le pâtissier
10
I piccoli quaderni della felicità (possibile)
aprile 2014
CHEZ LE PÂTISSIER
Tutto parte da lì, da un po’ di farina mescolata con l’acqua e
fatta bollire. È la ricetta della farinata neolitica, sicuramente
poco invitante, eppure antenata delle prime forme di pasticceria. Ci penseranno i Greci a cuocere questa farinata su una superficie riscaldata o farla friggere: sono le prime frittelle, e da
quel momento si può dire che la pasticceria inizia la sua storia.
E che storia! La pasticceria dei giorni nostri è talmente ricca
e raffinata che occorrerebbe una pagina intera per citare appena le varietà di torte: un susseguirsi di nomi che, anche se
sconosciuti, alla sola fantasia aprono un mondo vasto e organizzato per specialità definite per forma e consistenza,
modalità di preparazione e di consumo, per colori e ingredienti, per tempi della giornata e occasioni della vita... Ecco
i dolci di cucina: soufflé, budini, bavaresi, rotoli, strudel,
creme e zabaioni, dolci fritti; ed ecco il campo sterminato
delle torte, e quello variopinto dei dolci di frutta. E poi il dominio delle paste: pasticceria con la pasta bigné, con la pasta
sfoglia, con la pasta frolla, col pan di Spagna. E il regno della
pasticceria da tè, l’arte delle minuterie, i biscotti, i pasticcini,
i petit fours e ancora senza fine fino all’orizzonte.
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È, insomma, un campo sterminato, completamente autonomo
dalla cucina tanto che molti sostengono, come per sminuirla,
che la pasticceria non sarebbe altro che chimica e ricette, mentre alla cucina spetterebbe la palma della creatività in quanto
in essa si dà più spazio a interpretazioni personali e guizzi d’ingegno. L’idealismo infantilistico e moralizzante individua e separa i due regni: quello della pasticceria, che più è ricco e più
è vizioso, artificiale e superfluo, dispotico quanto canonizzato;
e quello della cucina, che invece è semplice e genuino, con la
verginità tenuta in conto di gran virtù, un regno democratico
dove chiunque potrà inventarsi qualcosa di mangiabile se non
proprio di buono, e sopravvivere almeno o allungarsi la vita.
Ma a questi moralisti risponde il Cav. Anna Maria nel suo Pasticciere universale del 1887, quando con slancio dannunziano,
e manicheo a sua volta, dice: “il necessario rappresenta l’obbligo, ed è perciò antipatico, uggioso, umiliante; il superfluo
è il capriccio, il gusto, la fantasia, quindi tutto ciò che v’ha al
mondo di più attraente, di più tentante…”.
Il Piacere, pubblicato solo due anni dopo, si ambienta in una
società aristocratica bisognosa di superfluo, non fosse altro
che per motivi di status e di esistenza al mondo. Il capriccio, il
gusto, la fantasia, in pasticceria sono qualcosa che solo le classi
agiate si possono permettere. Almeno così fino a tempi relativamente recenti. Infatti, nei tempi andati, lo zucchero, per il
suo costo, veniva consumato dai ricchi; nel Rinascimento i
prodotti di confetteria e i canditi erano il segno dell’appartenenza alle classi privilegiate. Il superfluo in cucina è la garanzia
di una classe totalmente affrancata dalle necessità quotidiane
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e, in una prospettiva moralistica di marca borghese, vale per
esso quanto si afferma per il piacere erotico disgiunto dai doveri di discendenza. Le classi agiate di fine Ottocento avevano
una grande ansia di superfluo, e stava a dimostrarlo l’apertura,
a Torino come a Napoli, a Palermo come a Venezia, e anche
nelle città più piccole, di quelle pasticcerie, poi diventate tutte
locali storici, che nelle vetrine art nouveau offrivano grandi varietà di dolci e creme fresche, molto più fornite dei Caffè settecenteschi (roba da illuministi salutisti e sessualmente non
repressi) e più ambiziose degli artigianali e discreti laboratori
di confetteria, dove si andava non per consumare in pubblico,
ma per far ordini per una festa di famiglia. In uno di quei locali,
il Baratti & Milano a Torino, ricche signore con le velette e
coi mariti deputati, ingegneri e avvocati, spediti a Roma a far
l’Italia, si abbandonano alle golosità, come drogate e senza tenere a freno un certo sfogo nell’esibizione del proprio piacere:
“ Un'altra, con bell'arte,
sugge la punta estrema:
invano! ché la crema
esce dall'altra parte!
L'una, senz'abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare
sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D'Annunzio.
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Le golose di Gozzano, 1907. Descritte come furie scatenate alle
prese con un istinto a lungo represso e ormai fuori controllo.
Difficile resistere alla più banale psicanalisi freudiana: in una
provvisoria e colpevole sospensione della regola per bene, i distinti signori ai bordelli e le distinte signore in pasticceria!
E i poveri, operai e contadini? E i piccolo borghesi? E gli
agrari? Non mangiavano dolci? Tutto a D’annunzio e niente
a Pascoli? Certo che li mangiavano, ma non frequentare
quei locali pieni di delizie era una regola accettata e racchiusa nella frase: “chez le pâtissier, les gâteaux sont coûteux”. Saggezza francese.
Nel 1802, in linea con i cambiamenti storici, Jean-Baptiste
Dalloyau apre al pubblico di Parigi la prima pasticceria da
asporto, dopo che per secoli la maison aveva servito esclusivamente la corte di Versailles, da Luigi XIV a Maria Antonietta, e pochi altri selezionatissimi nobili e gran signori. In
Francia la Rivoluzione aveva sì abbattuto i privilegi politici
e di casta, ma per tutto il secolo seguente e buona parte del
XX, le pasticcerie quelle vere resteranno luoghi di ritrovo
per soli ricchi. Figurarsi da noi, dove la ricca borghesia
aveva ancora le pulci e, con la sola eccezione di Napoli, l’aristocrazia sparsa per il Paese era abituata a farsi tutto in casa
e si urbanizzerà all’ultimo momento, quando ormai nasceva
già un’industria dolciaria. Dunque territori off limits, le pasticcerie, per la maggior parte della popolazione, che però
aveva le sue feste e i suoi piaceri superflui, magari anche dei
vizi, vissuti certamente con meno sensi di colpa delle scomposte golose di Gozzano. E infatti, la necessità e la fantasia
delle donne contadine e proletarie hanno nel corso dei secoli
sviluppato una specie di pasticceria casalinga, ma che per
meglio distinguerla chiameremo “dolcerìa casalinga e da
forno”. Desunta da regole antiche e da altre regole moderne,
originate nell’alta pasticceria e poi volgarizzate, magari
prima ad opera di una servetta intraprendente e pettegola,
successivamente per mezzo delle riviste femminili più didattiche verso il popolo, questa dolcerìa non richiede grandi disponibilità d’ingredienti, né una particolare maestrìa. Tutto
è molto semplice, ma gustoso… Oddio! non stiamo pensando alla fetta di pane bagnata nel latte e zuccherata (in
tempi magri anche bagnata di sola acqua e zuccherata), piuttosto a dolci semplici, che si cuociono nel forno di casa e che
hanno una loro presenza. Basta non raccontarsela troppo
con la storia dei dolci poveri, magri e che fanno bene: i dolci
magri non esistono. Se esistono, non sono golosi.
Pensate invece a come verrebbe accolto in tavola un babà,
così brunito, alto, lucido e con il centro pieno di crema o di
zabaione o di panna! Troppo caro? La pasticceria sotto casa
non è napoletana? Ecco di seguito un esempio illuminante
di come, a proposito di necessità e di fantasia, si possa ovviare a, chiamiamole così, delle difficoltà:
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BABÀ CASALINGO
È importante che passiate per due volte allo staccio
200 gr di farina insieme a 15 gr di lievito artificiale e
due prese di sale, e mettete a parte. Poi con il frullino
elettrico lavorate 6 tuorli d’uovo e 225 gr di zucchero
finché risultino ben cremosi. Montate a neve ben
ferma i 6 albumi e uniteli (vale la pena ripetere: sempre
delicatamente con una spatola, unire rotando dall’alto
verso il basso) ai tuorli. Infine unite sempre delicatamente la farina e un pizzico di vaniglina. Versate il
composto in uno stampo col tubo centrale già imburrato e infarinato e mettete in forno a calore moderato
per una quarantina di minuti. Sfornate dopo aver fatto
la prova con lo stecchino e lasciate raffreddare. Una
volta freddo e lasciando il babà nello stampo, bagnatelo con il seguente sciroppo: 1 bicchiere e mezzo di
acqua e 300 gr di zucchero; quando lo sciroppo avrà
preso corpo, toglietelo dal fuoco e aggiungete tre bicchierini di rum o di cognac. Quando il babà sarà ben
bagnato, toglietelo dallo stampo e accompagnatelo
con dello zabaione o della panna montata.
Non sapete fare lo zabaione? Niente di più semplice, ma prima
di passare alla ricetta dovrete procurarvi, visto che va fatto a
bagnomaria, una casseruola dai bordi alti e una frusta
ZABAIONE
Mescolate 5 tuorli d’uovo con 5 cucchiai di zucchero
e montateli finché non sono spumosi, unite quindi
12 mezzi gusci d’uovo di vino bianco e incorporate
bene. Versate il composto nella casseruola dai bordi
alti e mettetela a bagnomaria con acqua quasi bollente e lavorate con la frusta fino a montarlo. Va servito subito. Se lo volete al Marsala non dovrete far
altro che sostituire il Marsala al vino bianco.
PAN DI SPAGNA CASALINGO
Lavorate in una catinella e con la frusta elettrica 4
uova intere e 4 tuorli con 300 gr di zucchero, la buccia
grattugiata di mezzo limone (o di arancia) e una presa
di cannella in polvere. Dopo aver lavorato bene e a
lungo le uova, aggiungete 300 gr di farina già setacciata e incorporatela. Poi aggiungete una bustina di
lievito per dolci e infine, con mano delicata, i 4 albumi
montati a neve ben ferma. Mettete il composto in una
tortiera (se non è antiaderente, imburratela e infarinatela) e mettete in forno a calore moderato. Sfornate
dopo aver fatto la prova dello stecchino.
Molto simile al pan di Spagna è un dolce, vanto della tradizione di vaste zone dell’Italia centrale, conosciuto col nome di
PIZZA BATTUTA
Battete a lungo 3 tuorli d’uovo e 1 etto e ½ di zucchero
con la frusta elettrica sino ad ottenere un composto
molto spumoso. Montate a neve ben ferma le tre
chiare e unitele ai tuorli. Infine, con mano delicata
unite 1 etto e ½ di fecola di patate e 1 bustina di lievito
setacciati. Versate il composto in una tortiera (se non
antiaderente, ungetela di burro) e mettete in forno a
180° per una ventina di minuti.
C’è poi una preparazione indispensabile nel ricettario dei
dolci casalinghi, per torte o crema inglese, e per la quale occorre avvisare che deve essere ben lavorato nella preparazione, ovverosia il
C’è un dolce che è presente in tutte le pasticcerie, mostrato
a fette, e che negli ultimi anni viene farcito più con la nutella
che con creme o marmellate. Ancora agli anni Settanta era
immancabile nei ricevimenti nuziali, con le fette che mal si
adattavano a quei contenitori di carta pieghettata, pensati
per tutt’altri tipi di preparazioni. Parliamo del rotolo che,
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secondo il prezioso Tesoretto della pasticceria e della dispensa scritto da Giuseppe Oberosler per le edizioni Hoepli, a casa si può fare nella seguente maniera:
ROTOLO
Setacciate 40 gr di farina assieme a 1 cucchiaino di lievito artificiale e tenete da parte. In un bol lavorate con
la frusta elettrica 4 tuorli d’uovo con 75 gr di zucchero
e una presa di vaniglina fino ad ottenere un composto
spumoso. Montate a neve ben ferma i 4 albumi e uniteli con mano leggera ai tuorli. Prendete una tortiera
quadrata o rettangolare (foderata di carta da forno) e
versateci il composto e mettete in forno a calore moderato per una decina di minuti scarsi. Poco prima di
sfornare, procuratevi un canovaccio che inumidite e
spolverate di zucchero. Appena tolto dal forno, capovolgete il contenuto della tortiera sul canovaccio e togliete subito la carta da forno. Stendete ora uno strato
di marmellata, arrotolatelo subito e avvolgetelo nel canovaccio lasciandolo finché il rotolo è freddo. Quindi
togliete il canovaccio, pareggiate le estremità e spolveratelo di zucchero a velo.
In un bol... Ecco che significa la pasticceria: nomi specifici,
attrezzi fatti apposta, alcuni che si usano anche per un solo
dolce, azioni programmate, niente per caso. Ma entro certi
limiti ci si potrà adattare. Il bol, per esempio, dal nome così
inglese, bastardella in italiano corrente, sarà un qualunque
recipiente dal fondo sferico, che non lasci sfuggire alla frusta
un deposito di pasta; le vendono all’Ikea in acciaio inox, con
un utile coperchio in plastica. La bastardella sembra niente,
ma invece è quella che va in congelatore a freddarsi prima di
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montarci dentro la panna, che così non impazzisce e andate a
colpo sicuro. La bastardella è un must della pasticceria.
Vi proponiamo un’altra ricetta del rotolo, ancora più semplice e ancora più casalingo, avvertendo che per una perfetta
riuscita dovrete montare di molto le uova con lo zucchero,
operazione per la quale è indispensabile un frullino elettrico:
ROTOLO CASALINGO
Montate 6 uova intere con 6 cucchiai e mezzo di zucchero fino ad ottenere un composto molto spumoso.
Aggiungete la scorza grattugiata di mezzo limone e
6 cucchiai di farina e incorporate bene il tutto. Prendete una lastra da forno (meglio se antiaderente, altrimenti foderate con la carta da forno come per la
ricetta precedente, oppure ungetela con del burro) e
versateci il composto e distribuitelo uniformemente.
Mettete in forno a calore moderato per una decina
di minuti scarsi. Sfornata la teglia, lasciate intiepidire, bagnate con Alchermes e spalmate della marmellata a piacere. Infine, aiutandovi con una spatola
e facendo molta attenzione, arrotolate la pasta, pareggiate le estremità e spolverate di zucchero a velo.
La stessa ricetta la troviamo nel ricettario di Sebastiana
Papa, “La cucina dei monasteri”, narrata da una suora in una
prosa assai distante da quella a cui ci hanno abituato i ricettari di cucina. Il dolce è identico, ma il suo nome è differente:
STRAUSS
Questo dolce non è tanto antico, però in monastero
già c’era quando sono entrata e non so affatto perché
ha questo nome che non conosco.
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Per fare lo Strauss ci vuole una pasta che si chiama
Margherita e si fa battendo 6 uova con 6 cucchiai e
mezzo di zucchero, 6 cucchiai di farina e in ultimo
mezzo limone grattugiato. Le uova intere vanno battute a lungo con lo zucchero, e se si ha poco tempo è
meglio fare un altro dolce.
In una teglia larga possibilmente rettangolare unta
di burro si versa uno strato sottile di questa pasta e
si mette al forno. Quando è cotta, ma molto bianca
e ancora umida si copre di marmellata condita con
nocciole tostate e tritate, poco limone, cioccolata fondente grattugiata e cannella.
Con molto riguardo si arrotola lo Strauss e si lascia
al forno a farlo asciugare.
Si taglia a fette solo quando si serve.
La marmellata per i dolci è una cosa seria e quegli
intrugli che si vendono nel mondo dentro i barattoli
con le etichette colorate che portano scritto marmellata sono soltanto dei pastrocchi colorati, profumati
e zuccherati. Lo Strauss si marita a perfezione con
la marmellata di visciole.
La pasta o la torta margherita si trova scritta nei ricettari
sempre con la M maiuscola, come se il nome della torta fosse
derivato da una donna di nome, appunto, Margherita. E invece sembra che derivi dal fatto che, tagliata a spicchi, spolverata di zucchero a velo, con il suo interno giallo intenso,
richiami il fiore. Questa torta è un dolce povero a base di farina, uova e zucchero come ciascuno può constatare leggendo la ricetta del rotolo casalingo. Veniva preparato sia
nelle cucine di città che di campagna, era un dolce che serviva per colazione, o da inzuppare nel vino, ed anche, farcito
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con la crema, per le grandi occasioni, come sposalizi, compleanni, ricorrenze generiche. Le varie ricette in circolazione
variano di poco: c’è chi usa la fecola di mais, chi quella di patate, c’è chi aggiunge del burro, chi olio, chi lievito. Noi, per
tagliare la testa al toro, riprendiamo la ricetta dell’Artusi,
buona base di partenza per questo dolce
PASTA MARGHERITA
Ingredienti: 120gr di farina di patate; 120 gr di zucchero; 4 uova e agro di un limone.
Sbattete ben bene i rossi d’uovo con lo zucchero, aggiungete la farina e l’agro di limone e continuate a lavorare a lungo. Montate a neve le chiare e
incorporatele con leggerezza ai rossi d’uovo. Versate
il composto in una teglia e cuocete al forno.
Un caposaldo della dolcerìa casalinga è la torta di riso. Ne
esistono svariate versioni tutte molto semplici, che ruotano
attorno ai tre componenti fondamentali: riso, ovviamente,
poi latte e zucchero. C’è chi, come sempre, aggiunge uvetta,
chi farina, chi uova e via di seguito: è tipico della dolcerìa casalinga il credere di avere inventato chissacché, per il solo
fatto di averci aggiunto l’uvetta o aver variato il tipo di farina,
e poi convincersi che questo sia un segreto. Noi vi proponiamo due torte di riso tra le più gustose.
TORTA DI RISO
Foderate una tortiera con la pasta frolla (se proprio
avete poco tempo, potete usare la pasta frolla già
pronta in vendita nei supermercati; altrimenti, con un
piccolo sforzo fate come segue: mettete sulla spiana– 15 –
toia 500 gr di farina e formate una fontana, nella quale
mettete 250 gr di burro a temperatura ambiente, 200
gr di zucchero, la buccia grattata di un limone e due
uova intere. Mescolate bene il tutto lavorando rapidamente con le mani fino ad ottenere un impasto liscio e
compatto. Fatela riposare una mezz’ora coperta da una
scodella). Spalmate sulla pasta frolla un sottile strato di
marmellata di albicocche e mettete da parte. Fate bollire in mezzo litro di latte, a cui aggiungete un pizzico
di sale, 140 gr di zucchero e 100 gr di riso. Quando sarà
ben cotto ed intiepidito, lavoratelo con un cucchiaio di
zucchero vanigliato, 4 tuorli, 75 gr di burro, la scorza di
un limone grattugiata, 100 gr di farina e, alla fine e con
mano delicata, incorporateci i 4 albumi montati a neve
ben ferma. Versate il riso nella tortiera e infornate a
180°. Quando assumerà un bel colore dorato, la torta è
pronta (ma fate sempre la prova dello stecchino).
Quando la torta è fredda, spalmate sulla superficie una
glace semplice e decorate con canditi.
Per la glace semplice fate così: mettete 250gr di zucchero a velo in un pentolino, bagnandolo con 4/5 cucchiaiate d‘acqua fredda, mescolate finché lo zucchero
non è completamente sciolto, quindi scaldate a fuoco
dolce il pentolino.
TORTA DI RISO N.2
Fate cuocere 175 gr di riso per cinque minuti in acqua
bollente salata. Scolatelo e mettetelo in una casseruola dove avrete fatto bollire ¼ di latte assieme ad ¼
di acqua. Uniteci 50 gr di burro, 100 gr di zucchero e
la buccia grattugiata di un’arancia e rimettete sul
fuoco. Quando il riso sarà cotto, lasciatelo raffreddare, poi unitevi due tuorli d’uovo e gli albumi mon– 18 –
tati a neve ben ferma. Incorporate bene (sempre con
mano leggera) e versate l’impasto in una tortiera (se
non è antiaderente, ungetela di burro e spolveratela
di pangrattato). Mettete in forno ben caldo e quando
è dorato è pronto. Servite la torta spolverata di zucchero a velo.
In Umbria, regione bella e francescana in tutti i sensi, dove
le golose di Gozzano avrebbero patito la quaresima, è molto
comune un dolce, rude ma gustoso, che per la moltitudine
si riconosce come strudel (con il quale, però, non ha niente
da spartire), ma che in questa regione viene chiamato tortiglione. Noi vi proponiamo questa ricetta presa dall’antico
ricettario di un fornaio
TORTIGLIONE
Stendete prima di tutto la pasta come quella delle tagliatelle con 2 uova e 2 etti di farina. A parte dosate: 1
etto di zucchero, ½ bustina di lievito; la buccia di un limone e di un’arancia grattugiate; 2 mele. E poi: fichi,
mandorle, noci, uvetta, miele, cacao, tutto a giudizio.
Montate i tuorli d’uovo con lo zucchero e il lievito. Aggiungete al composto i fichi e l’uvetta precedentemente
cotti nel miele con aggiunta di cacao. Incorporate tutti
gli altri ingredienti. Spalmate il tutto sulla pasta e arrotolate con delicatezza. Disponetelo su una teglia, ungete la superficie con qualche goccia d’olio e spolverate
di zucchero. Mettete in forno a calore moderato.
Le sfoglie ripiene di frutta secca, numerose e varie nell’Italia
centrale, sono la soglia tra la cucina e la pasticceria. Un’altra
ricetta, ripresa da un antico ricettario casalingo, nella quale
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troviamo l’uso dello strutto per la pasta frolla. Noi la riproponiamo come scritta, avvertendo che è possibile usare la ricetta della pasta frolla segnata per la torta di riso; oppure
fatela con queste altre dosi: 120 gr di burro; 70 gr di zucchero; limone grattugiato; 250 gr di farina; 2 rossi d’uovo;
60 ml di acqua; un pizzico di sale. Passiamo quindi ai
CAPPELLETTI DOLCI
Per la pasta frolla: 300 gr di strutto, 300 gr di zucchero, 5 rossi d’uovo e 5 uova intere. La pasta sia morbida.
Per il ripieno: mandorle tritate a criterio, dadini di
cedro candito, ½ bicchiere di cognac, 3 rossi d’uovo
sbattuti con un bicchiere e mezzo di zucchero (i rossi
devono diventare molto spumosi). Si unisce tutto assieme, poi si stende la pasta frolla non troppo sottile.
Con la rotella dentata tagliare la pasta a quadrati di
8 cm circa, al centro di ogni quadrato mettete un cucchiaino d’impasto e rimboccate verso il centro i quattro angoli. Cuoceteli a forno ben caldo e toglieteli
quando hanno assunto un bel colore dorato. Fate
bollire un ramaiolo di acqua con uno e mezzo di zucchero. Quando il “gelino” fila, aggiungete 3 o 4 cucchiai di cacao. Con un pennello ungete i cappelletti
e lasciateli asciugare.
CROSTATA SICILIANA
Tagliate a fette il pan di Spagna per foderare un teglia
da forno. Fate la crema o usate della ricotta e uniteci
2 bicchierini di maraschino, frutta candita tagliata a
pezzettini, cioccolata fondente sempre a pezzetti e
qualche pistacchio. Versate questo composto nella teglia foderata e incoperchiate sempre con delle fette di
pan di Spagna. Mettete la teglia in frigorifero e il
giorno dopo capovolgete la crostata su un piatto. Per
la guarnizione usate: o le chiare d’uovo montate a
neve con zucchero a velo, oppure panna e poi ricoprite il dolce con una spolverata di pistacchi tritati e
delle ciliegie candite.
Un dolce intrigante ripreso dalla grande tradizione siciliana,
nella quale sparisce quasi la distinzione tra pasticceria e dolcerìa casalinga, e che può essere fatto sia con la ricotta sia
con la crema. Nel caso in cui si usi la crema, questa sarà più
consistente del solito.
Un vanto della dolcerìa meridionale, più precisamente abruzzese, molisana pugliese e calabrese, è dato dal bocconotto, un
dolce che consiste in un cestino di pasta frolla ripieno di vario
genere come crema, marmellata, ricotta ecc. Molti dicono che il
bocconotto sia nato alla fine del Settecento in Abruzzo a casa di
un signore la cui domestica un giorno volle sperimentare una sua
idea: mise della pasta frolla in delle formine e le riempì di caffè e
cioccolato liquidi; ma il risultato finale non fu soddisfacente perché il ripieno rimase troppo liquido. Allora ritentò addensando
il caffè e il cioccolato con mandorle tritate e uova, incoperchiò il
cestino con un dischetto di pasta frolla e li mise a cuocere. Li
servì spolverati di zucchero a velo al suo padrone, il quale rimase
entusiasta e le chiese come si chiamassero quei dolci. La domestica, sapendo che i dolcetti si mangiavano in un boccone, gli rispose: “Bocconotti”. E bocconotti furono. Noi, qui, vogliamo
suggerire dei bocconotti chiamati così perché anch’essi si man-
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giano in un boccone; ma sono completamente diversi da quelli,
diciamo così, originali.
BOCCONOTTI ALLA CREMA
Lavorate 9 tuorli d’uovo con 250 gr di zucchero fino a
farli diventare molto spumosi, poi aggiungete le 9
chiare montate a neve e infine con un vaglino 250 gr
di farina. Incorporate delicatamente, ma non a lungo;
mettete il composto a cucchiaiate in piccoli stampi
lisci (se non antiaderenti, vanno unti di burro) e infornate immediatamente. Se non si hanno i piccoli
stampi, potete utilizzare le formine di carta crespa. Il
forno deve essere a calore moderato, sfornateli quando
hanno preso colore. Quando i bocconotti sono freddi,
tagliateli a metà, bagnateli con Alchermes (o altro liquore a piacere, o con la bagna), passateci uno strato
di crema e coprite con l’altra metà. Una volta farciti e
sistemati in un vassoio, spolverateli di zucchero a velo
mischiato con un pizzico di cannella.
moso. Aggiungete la scorza di un limone grattugiato,
un bicchierino di cognac (o altro liquore a piacere) e
la farina che chiede per avere un composto non troppo
denso, e una bustina di lievito. Stendete l’impasto in
una tortiera e sopra versateci le mele tagliate a fettine
sottili (un chilo di mele sarà più che sufficiente, ma se
volete la torta più “cremosa” non dovete far altro che
sbucciare più mele). Spolverate con qualche cucchiaiata di zucchero, dei ciuffetti di burro qua e là e, a chi
piace, un pizzico di cannella. Infornate e quando vedrete le mele in superficie prendere un colore bruno,
la torta è pronta.
Visto che stiamo in tema di mele, ecco un’altra idea:
TORTA GHIOTTA
TORTA DI MELE
Sbattete un uovo intero con tre cucchiai di zucchero
e un pezzo di burro fino ad ottenere un composto cre-
Per gli ingredienti di questo dolce si calcola tutto a
giudizio. Sbucciate delle mele e tagliatele a fettine sottili. Conditele con zucchero, cioccolato grattugiato,
noci, datteri, uvetta, fichi secchi sminuzzati e la scorza
di limone grattugiata e mettete da parte. Fate ora una
pasta come quella delle tagliatelle aggiungendo nell’impasto se volete dello zucchero e dell’olio. Stendete
la pasta in una sfoglia grande e sottile su cui spandete
le mele condite. Arrotolate una metà da un lato e metà
dall’altra, sovrapponendo le due metà arrotolate al
centro. Sistemate il rotolo in una teglia da forno, ungete la superficie con un po’ di olio, spolverate la superficie di zucchero e infornate.
Se non sapete stendere la pasta e utilizzate la macchinetta, è consigliabile allora fare dei quadrati di pasta,
mettere al centro una cucchiaiata di mele e fare una
specie di fagottino.
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Un dolce estremamente semplice, ma incredibilmente
buono è la torta di mele. Questa che vi proponiamo ha la
sola difficoltà di sbucciare le mele e tagliarle a fettine sottili.
Se saprete mantenere in segreto la ricetta, quando la servite
a tavola sentirete i più svariati commenti, il più comune dei
quali fa più o meno così: “ma che buona la crema che sta dentro!” Ovviamente si tratta solo di mele e la crema è un’illusione… ma facciamo parlare la ricetta:
E un’altra ancora:
FAGOTTINI DI MELE
Fate una foglia di pasta come quella delle tagliatelle
e dividetela a quadrati. Al centro di ogni quadrato
sistemate una mela sbucciata e liberata dal torsolo.
Nel vuoto del torsolo, mettete dello zucchero e una
piccola noce di burro, oppure della marmellata. Ripiegate la pasta tutt’attorno alla mela che dovrà essere completamente rivestita, sistemate i fagottini
su una lastra o una teglia da forno (se non antiaderenti, ungete con un po’ di burro) e infornate.
Quando i fagottini sono ben dorati, sono pronti.
Vanno serviti tiepidi e con della marmellata.
Terminiamo con le mele con i seguenti
TORTELLI DI MELE
Sbucciate 8 piccole mele e togliete anche il torsolo.
Nel vuoto del centro mettete dello zucchero mischiato
a delle mandorle tritate. A parte lessate 400 gr di patate e passatele al setaccio, quindi impastatele con 200
gr di farina e 150 gr di burro. Stendete la pasta e tagliatela in tante parti quante sono le mele. Su ogni pezzo
sistemate una mela e avvolgete come fosse un fagottino. Ponete i fagottini su una teglia, spennellateli con
l’albume d’uovo e spolverateli di zucchero. Infornate
e quando saranno dorati, sono pronti.
Nella grande categoria delle creme, ce n’è una quasi completamente dimenticata: la crema frangipane. Non è altro
che una crema per metà a base di mandorle e per l’altra di
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crema pasticciera, da non confondere con la pasta di mandorle. La frangipane è molto utilizzata per il dolce da forno
francese noto col nome di gallette des rois. Varie storie esistono sull’origine della ricetta (sull’origine del nome non ci
sono fraintendimenti: deriva dal cognome Frangipani), una
di queste racconta che la ricetta è stata donata dal conte Cesare Frangipani a Caterina de’ Medici in occasione del suo
matrimonio col re di Francia.
TORTA CON CREMA FRANGIPANE
Fate una pasta frolla con 200 gr di farina, 150 gr di
burro e un pizzico di sale. Stendetela a mezzo centimetro di spessore e rivestite una tortiera. Preparate una crema nella seguente maniera: mescolate
100 gr di farina a 30 gr di burro, 150 di zucchero e 2
uova. Aggiungete 3 decilitri di latte bollente, mettete il pentolino sul fuoco e cuocete mescolando in
continuazione fino a che la crema non si sarà addensata. Tolta dal fuoco, alla crema vanno aggiunti 60
gr di mandorle sbucciate e tritate finemente. Mescolate per bene, versate la crema nella tortiera foderata di pasta frolla, mettete in forno e fate cuocere
per una ventina di minuti abbondanti.
Un dolce che conquista sempre e di grande effetto è la torta
al cioccolato. Ogni casa (almeno un tempo) aveva la sua ricetta; ma questa che proponiamo è davvero facile prepararla, gustosa e, avendo cura di aggiungere una leggera
farcitura di marmellata d’albicocche e la copertura di un leggero strato di cioccolato fondente, all’occorrenza potrete
farla passare per una sacher torte.
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TORTA DI CIOCCOLATO
Impastate 250 di burro con 250 gr di zucchero; aggiungete 60 gr di cioccolato sciolto in un goccio di
latte e 4 tuorli d’uovo. Mescolate ben bene tutti gli
ingredienti e quindi montate a neve ben ferma le
chiare che aggiungete delicatamente al composto insieme alla farina (meglio se setacciata). Versate il
tutto in una tortiera e cuocete in forno a fuoco moderato. Un’avvertenza: la torta deve essere larga e
avere solo un paio di centimetri di altezza.
Senza stare a scomodare tanto Proust e le sue madeleinette,
alcuni dolci chissà perché ci ricordano l’infanzia. Come il
cake (che tra l’altro è affine alla madeleine) che in Italia viene
comunemente chiamato plum cake, ma che gli anglosassoni
definiscono pound cake, ossia la torta della libbra perché si
prendeva una libbra di ciascuno dei seguenti ingredienti: farina, uova, burro, uvetta e zucchero. Si mescolava il tutto e
si infornava. Anche i francesi hanno il cake, ma loro lo chiamano quattro quarti perché prevede farina, uova, zucchero
e burro, senza uvetta. La ricetta che segue guarda un po’ la
Gran Bretagna e un po’ la Francia, un po’ pound cake, un
po’ gâteaux quatre-quarts
CAKE
Sciogliete una tazza da tè di zucchero in una tazza
da tè di latte, aggiungeteci la farina (sempre la solita
tazza da tè), poi 1 tuorlo d’uovo, una tazza da tè di
uvetta, una presa di bicarbonato e 1 cucchiaio di
rum. Mescolate bene il tutto e infine aggiungete l’albume montato a neve. Versate nello stampo liscio,
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lungo e rettangolare (se non è antiaderente, foderatelo di carta da forno imburrata), fino a metà perché
in cottura il dolce gonfia, e coprite con un foglio di
carta da forno imburrato. Mettete in forno ben
caldo. Toglietelo dalla forma quando è freddo.
Altra torta tipica della dolcerìa casalinga è
LA TORTA DI NOCI
Lavorate bene 2 tuorli d’uovo con 140 gr di zucchero e quando saranno diventati spumosi, uniteci
140 gr di noci sgusciate e tritate, 1 cucchiaio di farina, 140 gr di cioccolata grattugiata e (se occorre)
un cucchiaio di latte. Alla fine unite i due albumi
montati a neve ben ferma. Versate l’impasto in una
tortiera imburrata e spolverizzata di farina mischiata a zucchero. Mettete in forno ben caldo e lasciate cuocere per circa un’ora.
La dolcerìa casalinga, del cui interesse si è data una pallida
idea, aveva una ragione d’esistere e perfezionarsi nelle feste
rituali e comandate; ma poi i suoi principali destinatari
erano i bambini, i cui capricci non dipendono dal calendario. Quando ancora non esistevano Fieste, merendine incellofanate e quant’altro (in fondo in fondo sono passati
pochi decenni) le nostre mamme o nonne più povere accontentavano la voglia di dolce dei bambini con le seguenti
ricette, con le quali concludiamo, invitando a non pentirsi:
DOLCE DI PANE
Prendete del pane raffermo, tagliatelo in maniera
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regolare, lasciandolo per qualche ora a bagno nel
latte. Aggiungete dello zucchero e del cioccolato
sciolto a bagnomaria a giudizio quindi sistemate il
composto in una teglia e cuocete in forno.
BUDINO DI PANE
Per ogni uovo si mette un cucchiaio di zucchero, frullate bene; poi aggiungeteci 1 cucchiaio di pangrattato,
scorza di limone grattugiata e in ultimo la chiara
d’uovo montata a neve. Sistemate il tutto in uno
stampo e cuocete in forno. Quando sarà freddo toglietelo dalla forma e copritelo con della marmellata.
Illustrazione:
Luigi Billi, per una carezza, 2014
collage, 33x24 cm
(foto: Giorgio Benni)
Marco Santarelli
I piccoli quaderni della felicità (possibile)
Editing: Pasquale Polidori e Geppy Sferra
Stampa: Inprinting, Roma