semplificazioni in materia di formazione

REDAZIONALE
L’IMPEGNO CONTINUA
Con il terzo mandato di coordinatore della Rivista
Tecnica e Ricostruzione, deliberato dal Consiglio
dell’Ordine, insieme alla riconferma dei colleghi più
impegnati nelle precedenti commissioni, si entra nel
tredicesimo anno di servizio in questo settore
storico-culturale dell’attività dell’Ordine.
Il mio personale ringraziamento ai Consiglieri per il
rinnovo dell’apprezzato incarico, la stima e la
riconoscenza ai colleghi della affiatata
“squadra”alla quale va
riconosciuto il prezioso, intelligente sostegno ricevuto, che ha
consentito la riuscita
dell’iniziativa culturale.
In particolare ai più
assidui Alfredo Amico,
Angiolo Bella, Antonio
Distefano,
Vittorio
Graziano, Antonino
Gulisano, Giovanni
Liotta, Nino Nicolosi,
Giovanni Pampallona,
Francesco Papale, un
cordiale benvenuto
ai nuovi componenti,
Anastasi Mario, Cavallaro Alfredo Maria,
Musumeci
Rosaria,
Pezzella Francesco e
Sapienza Vincenzo.
Il mandato viene accolto con gradimento perchè
finalizzato alla continuità di quella che rappresenta
una delle più antiche e prestigiose riviste culturali
tecniche catanesi. Fondata nel 1946 dal collega
Gaetano Motta (che ho avuto il privilegio di conoscere), racconta 67 anni di storia sulle più importanti
realizzazioni ingegneristiche nell’area etnea ed in
particolare nella città, ma anche per le numerose
proposte progettuali, seppur inattuate, considerate
utile dibattito culturale che dimostra da parte degli
autori conoscenza ed attaccamento alla propria terra.
In particolare: il dibattito sulla variazione del tracciato ferroviario che, oltre a togliere il mare alla città, ne
ha dissacrato il prezioso centro storico (a cominciare
dal conseguenziale viadotto, per il quale
Gustavo Giovannoni e Giocchino Russo invano ne
tentarono la eliminazione suggerendo l’abbassamendo del piano
della ferrovia; così
come altre la delocalizzazione della stazione
ferroviaria) le diverse
proposte progettuali
per il collegamento
stabile tra Messina e
Reggio Calabria; i
problemi interessanti
l’Etna come il progetto
di una strada provinciale sopra i mille
metri di altezza s.l.m.
attorno al vulcano
per il più agevole
collegamento
dei
comuni etnei fra di
loro e con il capoluogo
o la costruzione di
una mare-neve diretta;
il parcheggio di veicoli
sotto il piazzale del
giardino Bellini; la
rettifica altimetrica della via Etnea; la storia dei tanti
borghi e quartieri catanesi con quella dei suoi più
importanti edifici storici; i problemi del porto e
dell’aeroporto; le proposte di ristrutturazione del
Gentile Cusa, di Mario Di Stefano, di Filadelfo
Fichera, di Michelangelo Mancini con il suo ponte
gettato sul porto di Ulisse per evitare, con l’attraversamento del traffico nella piazza Mancini Battaglia,
di trasformare Ognina da affascinante borgata a
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disordinato quartiere della città; i due nuovi centri
cittadini (sottopasso di via S. Euplio e Largo Paisiello); una passeggiata sulla vecchia via Etnea con i suoi
edifici ed i suoi storici eleganti negozi; le varie proposte di sventramento per il risanamernto del quartiere
di S. Berillo, riportando la originaria planimetria con
gli ormai scomparsi toponimi; l’eterno studio dei vari
piani regolatori della città, dal 1952 ad oggi
ancora non definiti; le origini del giardino Bellini; la
lottizzazione della zona del Lago di Nicìto UghettiConsoli; una inteessante proposta nei primi del novecento di un assetto urbanistico di Picanello- alto
attorno alla tenuta degli Scammacca; il Parco del
Tondo Gioeni; il Piano di zona di Librino ed i tanti
altri non meno importanti. Un filo storico che inizia
con il piano di ricostruzione urbano del Vice Re
Uzeta e percorrendo oltre trecento anni, si resta
ancora in attesa di un assetto urbanistico ancora
incerto subentrando oggi, l’esigenza di considerare
nella nuova regolamentazione, che il territorio da
pianificare, oggi va considerato di più ampio respiro,
rispetto agli attuali confini amministrativi. Da qualche
tempo la Rivista, tenuto conto dell’attuale realtà
informatica, ha diverisificato un tantino la sua funzione iniziale che era quella di un notiziario professionale riguardante leggi e prezziari, oltre ai regolamenti
dei vari Enti locali, insieme al fatto che la pubblicazione del mensile ”Ordine Informa” aggiorna, in tempi
brevi, i colleghi sulla ordinaria attività dell’Ordine.
Per cui il periodico si accosta maggiormente alla
divulgazione di importanti opere pubbliche realizzate
o proposte, ad avvenimenti e programmi urbanistici,
a dibattiti, nonché a notizie storiche non a tutti note.
Per tanto la Rivista Tacnica e Ricostruzione oggi
rappresenti un prezioso documento storico che
l’Ordine degli ingegneri offre alla città, con l’augurio
che essa continui nel tempo a svolgere il prezioso
ruolo culturale di storia e di dibattito, affiancato
sempre di più dal contributo delle nuove tecniche
informatiche, tutelando il nome della testata, ieri
valido quando l’alto spirito morale dei cittadini,
che uscivano da una rovinosa guerra, portò alla
ricostruzione del paese, oggi che ancora, con lo
stesso spirito, si auspica con la partecipazione della
tecnica, una ricostruzione economica ed etica della
attuale società italiana.
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Gaetano D’Emilio
4
La storia della Rivista
1946 – Di Tecnica e Ricostruzione viene stampato il
primo numero per iniziativa dell’ing. Gaetano
Motta che ne è proprietario e Direttore, al costo di
£.50 a copia;
1950 - Gli Ordini degli Ingegneri e degli Architetti
insieme all’ANIAI (Ass.Naz.Ing.Arch.Italiani)
offrono la loro collaborazione nella redazione,
restando l’ing. Motta Direttore, propritario ed
Editore, costa £.100 a copia;
1953 - L’Ordine degli Ingegneri diventa proprietario ed
Editore sempre collaborato dagli Architetti e
dall’ANIAI e restando Motta il Direttore,costa
£250 a copia;
1957 - Al Direttore Gaetano Motta viene affiancato per
la redazione Giacomo Leone, in rappresentanza
degli architetti
1964 - Viene a mancare il fondatore ing.Gaetano Motta.
Per quasi un ventennio viene incaricato redattore
il collega Juzzo Quartarone, da allora in poi la
Rivista viene inviata gratuitamente a tutti gli
ingegneri iscritti all’Ordine.
1965 – Numero in Edizione Speciale in occasione del
XIV Congresso Nazionale degli Ordini degli
Ingegneri svoltosi a Catania.
1984 - Venendo a mancare prematuramente l’ing. Quartarone, viene costituita una apposita commissione
di colleghi coordinata dall’ing. Rosario Di Mauro.
1987 - Direttore responsabile Salvatore Tomarchio, viene
costituito una ristretta segreteria redazionale
costituita da Arrigo, Gaetano D’Emilio, Silvestri,
Papale, con la collaborazione (fino al 1996) di due
colleghi iscritti all’Ordine di Siracusa.
1993 -Viene nominato coordinatore delle segreteria
redazionale il collega giornalista Fabrizio
D’Emilio.
1994 - Collabora alla redazione, fino al 2001 (anno
della sua scomparsa) il prof. Salvatore Calabrese
funzionario dell’Ordine.
2001 – Gaetano D’Emilio viene nominato dal Consiglio
coordinatore della apposita commissione.
LA NUOVA COMMISSIONE
Santi Maria Cascone nella qualità di Presidente
dell’Ordine – Direttore responsabile
Gaetano D’Emilio - Coordinatore redazionale
Amico Alfredo, Anastasi Mario, Bella Angiolo Maria,
Cavallaro Alfredo, Di Stefano Antonino, Gulisano
Antonino, Liotta Giovanni, Musumeci Rosaria, Nicolosi
Antonino, Pampallona Giovanni, Papale Francesco,
Pezzella Francesco, Platania Giuseppe, Sapienza Vincenzo.
COESIONE, FORMAZIONE E INNOVAZIONE:
un pERCORSO di crescita per il nostro ordine
I
l rinnovamento nel segno della continuità è il caposaldo su cui ho fondato,
fin dall’inizio, il mio mandato alla presidenza del nostro Ordine che è
annoverato tra i più numerosi e attivi d’Italia.
Tradizione e innovazione, formazione e valorizzazione delle competenze, attenzione ai giovani ingegneri, sono i temi centrali condivisi con i nuovi componenti
del Consiglio e che costituiscono i principi su cui basare l’attività istituzionale.
Si tratta di proseguire il percorso di crescita del nostro ordine professionale continuando ed ampliando il lavoro ottimamente svolto in questi anni dai miei predecessori. Da qui ripartiamo, o meglio, continuiamo, potenziando l’azione del
Consiglio nell’ottica del miglioramento dell’efficienza.
Tra i punti di forza che ritengo più significativi, perché motore di cambiamento
nel rispetto del patrimonio consolidato, c’è di certo la presenza fattiva di giovani
professionisti all’interno del Consiglio e del C.d.A. della Fondazione. È il segno
tangibile che intendiamo scommettere sui giovani professionisti; con un costante
dialogo e confronto con i giovani proveremo a cogliere nuove opportunità che
tengano conto delle loro idee e della loro creatività.
Altro fattore che connota il nuovo Consiglio è la presenza di professionisti
impegnati in attività diversificate tra loro. Crediamo infatti che un Ordine professionale debba essere in grado di rappresentare la categoria nella sua interezza e
identità, siano essi liberi professionisti, docenti, dipendenti di enti pubblici o di
aziende private, ingegneri appartenenti ai tre settori dell’Albo, alle due sezioni,
giovani e meno giovani. In altre parole crediamo nell’unitarietà, alla coesione dei
professionisti, consapevoli che anche il CNI muove importanti passi in questa
direzione.
Sento poi il dovere, e il piacere, di ricordare che all’interno del Consiglio e del C.
d.A. della Fondazione sono presenti colleghi grazie a cui l’Ordine catanese ha
affermato il proprio ruolo sociale, diventando riferimento sia in ambito provinciale sia in ambito regionale e nazionale.
La multidisciplinarietà, la coesione, l’orientamento all’innovazione sono gli
elementi che necessitano alla nostra categoria per affrontare un difficile
momento di penalizzazione professionale. La crisi economica e, per gli aspetti
che conosciamo, anche la riforma delle professioni, hanno colpito duramente le
attività degli ingegneri; occorre quindi fare “quadrato” per fronteggiare una emergenza. In Italia più che in altri Paesi, l’esercizio della professione di ingegnere è
reso particolarmente difficile da un quadro normativo molto articolato e
complesso: uno dei primi passi da compiere è la semplificazione normativa e lo
snellimento delle procedure, che si tradurrebbero in una significativa riduzione
dei tempi di attuazione dei progetti, accorciando conseguentemente la durata
degli effetti della crisi. Anche su questo fronte siamo pronti a fornire il nostro
contributo a livello locale e nazionale, così come abbiamo dimostrato in passato.
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Siamo altresì impegnati sul tema della Formazione, che costituisce la ragione
d’essere delle attività della Fondazione. Per l’Ordine di Catania si parte da una
tradizione consolidata, alla quale ci stiamo dedicando e ci dedicheremo con
uno scrupolo sempre maggiore, in considerazione dell’entrata in vigore della
formazione obbligatoria. L’obiettivo che intendiamo raggiungere, grazie anche
all’importante lavoro svolto dai colleghi che partecipano alle attività delle
commissioni dell’Ordine, è una formazione più accessibile a tutti e sempre di
maggiore qualità, in modo da potenziare e ampliare l’offerta e soddisfare le
esigenze di aggiornamento provenienti da tutti i settori dell’ingegneria.
In particolare punteremo, le attività già messe in campo in questo primo
trimestre vanno in questa direzione, l’attenzione sulla qualità dei contenuti, che
dovranno consentire sempre un concreto avanzamento professionale, nonché alla
minimizzazione dei costi. Al centro delle attività formative promuoveremo i temi
legati all’innovazione, su cui gli ingegneri occorre siano i principali protagonisti.
Si tratta di un principio fondamentale per essere al passo con la trasformazione
dei tempi che stiamo attraversando. La formazione obbligatoria non può e non
deve essere un mero sistema di raccolta crediti, su ciò accadesse ne verrebbe
snaturato il fine e diventerebbe un inutile balzello. L’aggiornamento deve invece
essere un’occasione per trasferire tra colleghi contenuti innovativi, cogliere la
dinamicità della professione, interagire con l’esterno per acquisire competitività.
Infine, è opportuno ribadire la volontà del Consiglio di mantenere e rendere
sempre più produttive le collaborazioni con le istituzioni presenti nel territorio e
in particolare con l’Ordine degli Architetti PPC.
In modo particolare con l’Ordine degli Architetti e con l’ANCE verrà continuata e
incrementata l’azione presso le Amministrazioni comunali finalizzate alla
adozione di un modello di Regolamento Edilizio Comunale che possa garantire ai
professionisti e agli utenti una chiara interpretazione dei suoi contenuti.
La proposta di Regolamento Edilizio Comunale, già condiviso dall’amministrazione comunale della città di Catania, vuole essere uno strumento per attivare un
processo di semplificazione amministrativa e di attenzione al patrimonio edilizio
esistente, individuando strategie di intervento finalizzate al miglioramento ed
adeguamento antisismico, alla riqualificazione energetica ed architettonica, al
decoro urbano. L’intento sarà quello.
La folta presenza di iscritti all’Assemblea straordinaria di dicembre è una
manifestazione positiva dell’interesse di ciascuno iscritto alla valorizzazione
della figura professionale e al compito che viene demandato all’Ordine. Sono
certo che il percorso che intendiamo compiere renderà la partecipazione alle
iniziative ancor più numerosa.
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Santi Maria Cascone
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Il SALUTO DEL NUOVO PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE
Un braccio operativo nel campo dell’aggiornamento
professionale: questa la ambiziosa “mission” della
Fondazione nell’ambito del più ampio progetto
dell’Ordine degli Ingegneri. Recentemente insediatosi
per il quadriennio 2013-2017, il nuovo consiglio della
Fondazione si è rinnovato comprendendo al suo
interno sia professionisti di consolidata esperienza
che tanti giovani le cui idee moderne e innovative
daranno di certo nuova linfa ai programmi ed alle attività. Vincenzo La Manna (segretario), Erika Buccellato
(tesoriere), Giuseppe Platania e Gabriele Salvatore
Ragusa (vicepresidenti), Salvatore Contrafatto,
Francesco Corsaro, Francesca Cuius, Irene Chiara
D’Antone, Alfio Grassi, Alberto Marini, Giuseppe
Puglisi, Salvatore Rapisarda, Mauro scaccianoce, Paolo
Vaccaro (consiglieri) e chi scrive in qualità di presidente costituiranno la squadra con cui affrontare un
mandato che ci auguriamo attivo e ricco.
Il compito è più che mai impegnativo se si considera
l’attuale contesto temporale e socio economico, tra i
più difficili del recente passato, a cui si aggiunge una
normativa che impone agli ingegneri italiani, dal
1 gennaio 2014, l’obbligo dell’aggiornamento
professionale continuo previsto dalla riforma delle
professioni. E’ pur vero che, a prescindere dalla
esigenza normativa, l’importanza della formazione
nella professione è realmente basilare ed è stata
sempre argomento centrale delle attività dell’Ordine
di Catania. Oggi l’obiettivo da raggiungere è quello di
rendere l’offerta formativa sempre più di qualità ma
soprattutto accessibile, sotto tutti i punti di vista, ai
colleghi iscritti ed a quanti volessero accostarsi con
interesse alle attività proposte.
E’ per ciò che, in sintonia con le commissioni operanti all’interno dell’Ordine si attiveranno processi per
l’incentivazione della multidisciplinarietà e della
sinergia tra le diverse competenze professionali
per lo sviluppo di tematiche innovative e di tutto
quanto possa contribuire al rinnovamento della figura
dell’ingegnere.
Proprio l’innovazione si rivela un aspetto determinante del benessere sociale e dello sviluppo economico
anche in chiave sostenibile. Gli ingegneri sono aperti
all’innovazione quasi per predisposizione naturale e
sono loro i professionisti adatti a diventare protagonisti di questa evoluzione che permea il nostro oggi.
Le competenze ingegneristiche in continua crescita,
devono essere pienamente valorizzate, in modo che la
parola “formazione” esprima non solo un significato
squisitamente legale ma soprattutto contenuti
funzionali ed una proficua applicazione sul campo.
Uno strumento, quindi affinché ogni professionista
possa trasformarsi realmente in imprenditore della
propria attività.
Nella nostra attività quotidiana siamo chiamati a
progettare e costruire edifici sempre più ecosostenibili ed antisismici, a trovare soluzioni tecniche per
arginare i rischi idrogeologici, avendo sempre presenti tutti i sistemi per garantire la massima sicurezza
nei cantieri per i le diverse categorie di lavoratori
impegnati. Tutto ciò, evidente sovrapposizione
di competenze di alto profilo tecnico, miste a una
indispensabile cultura normativa, diventa esigenza di
aggiornamento continuo e, per un professionista “a
cinque stelle” anche un diritto e un dovere.
Con questo convincimento come punto di partenza, il
piano formativo predisposto dal consiglio direttivo
della Fondazione propone circa cinquanta corsi per
un totale di 2000 ore di didattica. Si tratta, comunque
di un programma non definitivo ma dinamico perchè
pronto a recepire in ogni momento nuove proposte
ed esigenze dei colleghi. Si orienterà l’attenzione
all’etica ed alla deontologia professionale – ormai
argomenti obbligatori per i nuovi iscritti – ad
argomenti specifici dei singoli settori dell’ingegneria
– civile, ambientale, industriale, informatica – nonché
a tematiche comuni alle tre aree venendo incontro
agli interessi sia dei liberi professionisti che di quanti
svolgono la loro attività in qualità di dipendenti
pubblici o aziendali.
Con una iniziativa denominata “Progetto ingegnere”,
una attenzione particolare verrà riservata ai giovani
colleghi, che affacciandosi al panorama professionale
solo con il bagaglio degli insegnamenti accademici, si
scontrano poi con l’inesperienza in campo operativo
e devono costruire tutto un nuovo assetto professionale trasformando la teoria in pratica quotidiana. A
loro, per l’esperienza che tutti noi “maturi ingegneri”
abbiamo vissuto in prima linea, cercheremo di offrire
gli strumenti formativi più adatti alla costruzione di
un futuro professionale di tutto rispetto.
Si aggiungeranno, a tutti i corsi propedeutici allo
studio di singole casistiche progettuali, anche convegni, seminari, occasioni di aggiornamento ma anche
di scambio e crescita esperenziale senza trascurare
ulteriori iniziative di ampio respiro sociale e culturale
così come previsto dallo statuto.
Si è parlato all’inizio di una “mission” ambiziosa. Di
certo all’interno dell’ambizione c’è un forte desiderio
di raggiungere un obiettivo e di volere fare: ci
auguriamo di condividere questo tipo di ambizione
con tutti i colleghi chiamati, apertamente, alla più
ampia partecipazione di idee ed esigenze.
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Aldo Abate
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LA FORMAZIONE CONTINUA PER GLI INGEGNERI
Il DPR di Riforma delle Professioni 7 agosto 2012 , n.
137, entrato in vigore il 15 agosto 2012, fissa principi
per tutte le professioni regolamentate e insieme al
tema della Formazione continua, previsto dall’art. 7,
presenta altre novità rilevanti. In sintesi:
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•
ACCESSO ALLA PROFESSIONE (Art.2) - La
Riforma delle Professioni conferma che per esercitare la professione di Ingegnere è necessario
laurearsi e fare l’esame di Stato per l’abilitazione
all’esercizio professionale;
•
ALBO PROFESSIONALE (Art.3) - La gestione
dell’albo rimane di competenza esclusiva del
Consiglio dell’Ordine; Viene prevista la formazione di un Albo Unico Nazionale, composto
dall’insieme degli albi territoriali, che è detenuto presso il CNI e che raccoglie le informazioni
relative ai Professionisti trasmesse da ciascun
Ordine territoriale;
•
PUBBLICITÀ INFORMATIVA (Art.4) - E’
ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività professionale, le
specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla
professione ed anche i compensi richiesti per le
prestazioni. La pubblicità deve essere veritiera e
corretta, non deve violare l’obbligo del segreto
professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria. La violazione di questi
limiti costituisce illecito disciplinare;
•
ASSICURAZIONE PROFESSIONALE (Art.5) - Il
DPR ha prorogato l’obbligo assicurativo (inizialmente previsto con la sua entrata in vigore), che
successivamente è partito dal 15 agosto 2013;
•
TIROCINIO (Art.6) - Ha previsto l’obbligatorietà del tirocinio per i soli ordinamenti professionali che lo prevedano. Per la professione di Ingegnere la normativa vigente non lo prevede;
•
FORMAZIONE CONTINUA (Art.7) - Ha previsto
per tutti i professionisti, al fine di garantire la
qualità della prestazione professionale, l’obbligo
di curare il costante aggiornamento della
propria competenza professionale. La violazione
dell’obbligo costituisce illecito disciplinare.
• PROCEDIMENTI DISCIPLINARI (Art.8) – Ha
introdotto nuove regole per i procedimenti
disciplinari. Presso gli Ordini territoriali sono
stati istituiti consigli di disciplina territoriali. Vi
saranno quindi due organi, uno amministrativo
(il Consiglio dell’Ordine) e uno disciplinare (il
Collegio di Disciplina).La composizione del
Collegio di Disciplina avviene su nomina del
Presidente del Tribunale, attingendo da una rosa
di nominativi predisposta e proposta dal Consiglio territoriale.
La Formazione continua quindi è uno degli argomenti previsti dal D.P.R. 137/2012 ed è opportuno fare un
veloce excursus dei passaggi preliminari all’approvazione di un Regolamento, che disciplina la materia e
che è frutto del lavoro degli Ingegneri.
E’ la prima volta dopo tanti di anni di norme imposte
dall’alto, che la nostra categoria è riuscita ad utilizzare il sistema dell’autoregolamentazione, producendo
un documento, che è stato approvato dal Ministero
della Giustizia, senza sostanziali modifiche.
Il Consiglio Nazionale Ingegneri, attraverso un gruppo di lavoro coordinato dal Vice Presidente Vicario
Fabio Bonfà, e a cui ho partecipato nella qualità di
rappresentante della Scuola Superiore di Formazione
per l’Ingegneria, perviene ad un Regolamento adottato definitivamente nella seduta del 21/06/2013, a
seguito del parere favorevole espresso dal Ministro
della Giustizia.
Il suddetto Regolamento è stato pubblicato sul
Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 13
del 15 luglio 2013 ed ha reso la Formazione continua
obbligatoria per tutti gli iscritti, a partire dal 1 Gennaio 2014.
Non posso non anticipare la sintesi degli adempimenti che scaturiscono dall’applicazione del Regolamento, con una nota di carattere politico, che mi sta
particolarmente a cuore.
Il Regolamento degli Ingegneri prevede la possibilità
per tutti gli iscritti, pubblici dipendenti e liberi
professionisti, di far valere l’attività professionale
svolta nell’ambito dei rispettivi ruoli, conferendo un
giusto valore all’attività di autoformazione, che c’è
dietro la stesura di ogni nostro atto professionale.
Tale riconoscimento previsto nell’attività informale,
di cui all’allegato A al Regolamento, può raggiungere
15 CFP annui (50% del numero di CFP minimi per
esercitare l’attività professionale).
Altra novità rilevante è la costituzione di una piattaforma nazionale, accessibile a livelli diversi per gli
iscritti (vedranno la loro posizione e le informazioni
generali), per gli Ordini territoriali (dati iscritti all’Ordine) e per il C.N.I. e la Scuola Superiore di Formazione (gestione del sistema e dati iscritti territorio
nazionale).
Ciò premesso vediamo gli aspetti più significativi del
Regolamento:
1.
Obbligo Aggiornamento: L’obbligo di aggiornamento della competenza professionale
riguarda tutti gli Ingegneri iscritti agli Albi e
decorre dal 1° gennaio 2014;
2.
Unità di Misura: L’unità di misura della formazione professionale continua è il Credito formativo professionale (CFP). Per poter esercitare la
professione è necessario disporre di un minimo
di 30 CFP;
3. I CFP si ottengono con:
a) accredito iniziale al momento dell’iscrizione;
b) attività di formazione professionale continua per
l’apprendimento:
non formale (art.4), informale (art.5), formale (art.6).
Accredito dei CFP: Al momento dell’iscrizione
all’Albo si accreditano:
entro 2 anni dall’abilitazione, 90 CFP (85+5);
dopo 2 e fino a 5 anni dall’abilitazione, 60 CFP
(55+5);
dopo 5 anni dall’abilitazione, 30 CFP (25+5).
4.
Il totale dei CFP per i neo iscritti comprende 5 crediti relativi all’area tematica «Etica e deontologia
professionale». Per la formalizzazione dei crediti i neo
iscritti hanno l’obbligo, entro l’anno solare successivo a quello di iscrizione, di acquisire 5 CFP sull’etica
e la deontologia professionale.
A coloro che risultano già iscritti all’Albo alla data
di entrata in vigore dell’obbligo formativo sono
accreditati 60 CFP;
5. Decurtazione CFP: Per garantire la continuità
del processo di aggiornamento professionale, al
termine di ogni anno solare vengono detratti
per ogni iscritto 30 CFP dal totale accreditato;
6.
7.
8.
Attività riconosciute: Tutte le attività di formazione professionale continua per l’apprendimento non formale, informale e formale riconoscibili per l’ottenimento dei CFP sono elencate
nell’allegato A del Regolamento, con la relativa
descrizione e il corrispondente numero di CFP
conseguibili;
Soggetti che possono rilasciare CFP: L’autorizzazione all’organizzazione di attività di formazione professionale continua di tipo non formale,
frontale o a distanza, è concessa dal CNI a associazioni di iscritti agli Albi e ad altri soggetti che
ne facciano domanda, previo parere vincolante
del Ministro della Giustizia, sulla base delle
caratteristiche e della qualità dell’offerta formativa proposta.
Le associazioni di iscritti agli Albi e gli altri
soggetti che intendono ottenere detta autorizzazione devono presentare apposita istanza al
CNI, recante le informazioni di cui all’Allegato B
del Regolamento.
Gli Ordini territoriali non hanno bisogno
dell’autorizzazione all’organizzazione di attività
di formazione professionale continua di tipo
non formale, frontale o a distanza;
Esonero: Sono motivo di esonero dall’obbligo
di aggiornamento della competenza professionale, concesso dagli Ordini territoriali su
domanda dell’iscritto, i seguenti casi:
maternità o paternità, per un anno, servizio militare volontario e servizio civile, grave malattia o
infortunio, altri casi di documentato impedimento derivante da accertate cause oggettive o
di forza maggiore.
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In sintesi le parti salienti del Regolamento sono quelle sopra riportate, ma per rendere lo stesso operativo
e snello, fornendo nel contempo dei servizi a tutti gli
iscritti, è stata istituita una piattaforma nazionale, che
sarà gestita in collaborazione con la Scuola di Formazione Superiore per l’Ingegneria.
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Finalità della Piattaforma
La piattaforma informatizzata, realizzata per gestire
l’intero processo previsto dal Regolamento e dalle
successive linee di indirizzo, ha le seguenti principali finalità:
• Realizzare un processo standard, uniforme e
trasparente su tutto il territorio nazionale
• Costituire una banca dati di informazioni a disposizione del CNI, della Scuola Superiore di Formazione
e degli Ordini territoriali per monitorare costantemente l’intero processo, in modo da poter intervenire ove necessario.
Attraverso la banca dati di cui sopra, sarà ad esempio
possibile avere le seguenti informazioni:
• Indicatori della partecipazione al programma per
tutte le categorie di Ingegneri, sia a livello territoriale
che nazionale;
• Monitoraggio dell’offerta formativa, disaggregata
per tipologia di eventi;
• Monitoraggio dell’offerta formativa per tipologia di
argomenti trattati;
• Monitoraggio dell’offerta formativa per area di
specializzazione della professione;
• Monitoraggio della partecipazione agli eventi
formativi di categorie di Ingegneri che potrebbero
essere poco motivati;
Funzioni della Piattaforma
• Gestione del processo di invio al CNI del piano
formativo elaborato dai singoli Ordini territoriali;
• Gestione del processo di invio dell’elenco eventi
organizzati dagli Ordini territoriali nel 2013 e nei
primi tre mesi del 2014, ciò al fine dell’automatica
attribuzione dei CFP ai singoli professionisti;
• Gestione del processo di inserimento nella Banca
data nazionale di tutti gli eventi formativi che i singoli Ordini realizzeranno a partire dal 1 Aprile 2014;
• Gestione del processo automatizzato di partecipazione degli iscritti agli eventi organizzati a partire da
Aprile 2014, al fine del rilascio dei CFP;
• Caricamento della anagrafe degli iscritti dei singoli
Ordini territoriali nell’anagrafe nazionale dei crediti;
• Consultazione dell’anagrafe nazionale degli eventi;
• Gestione del processo di inoltro ai singoli Ordini o
al CNI per eventi sovratteritoriali, della richiesta di
riconoscimento di CFP per eventi organizzati da
Providers diversi dagli Ordini;
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In un contesto storico istituzionale dominato da una
forte crisi in cui l’auto responsabilità dei singoli
diventa fattore determinante per la crescita, anche
l’approccio alla tipologia dei percorsi formativi segue
lo stesso itinerario.
La scelta che abbiamo fatto è nel senso di un doppio
canale formativo;
uno zoccolo duro di formazione di base assicurata a
tutti e trasversale, su cui si innesta in funzione
dell’auto responsabilità di ciascuno la formazione
specifica in verticale.
Infatti conferendo valore formale all’esercizio della
professione, traducendo cioè in crediti formativi la
quantità e qualità della medesima, abbiamo di fatto
raggiunto l’importante risultato di coniugare l’impulso a stare sul mercato, mantenendo alto il livello di
scienza e conoscenza personale, con il feedback in
termini di quantum formativo riconosciuto. Su
questo livello base si incardina, come osservato, il
secondo livello di acquisizione formativa. Quello cioè
che dipende dalla coscienza di ciascuno.
Gli Ingegneri,come sempre, accederanno spontaneamente a percorsi di qualità, in funzione dell’exspertise di ciascuno. Questa è la sfida che ciascun Ordine si
accinge ad affrontare: l’offerta di itinerari formativi
attuali e di qualità.
Carmelo Maria Grasso
Vice Presidente Scuola Superiore
di Formazione per l’Ingegneria
LE PROPOSTE E LE AZIONI DEL C.N.I.
PER LA RIPRESA ECONOMICA E PER IL LAVORO
Il 13 novembre 2013 si è svolta a Roma, presso
l’Hotel Quirinale, l’annuale Assemblea del Consiglio Nazionale degli Ingegneri dal titolo “Ri-progettare l’Italia. Innovazione, ricerca ed infrastrutture:
gli ingegneri oltre la crisi”. Nelle settimane
successive il C.N.I. ha confermato ed ampliato,
unitamente alla Rete delle Professioni Tecniche
(RPT), organismo di recente costituzione che vede
coinvolti tutti gli Ordini ed i Collegi di area tecnica,
proposte, iniziative, idee e modifiche legislative
volte alla ripresa, alla crescita ed allo sviluppo
economico del Paese. Attività, questa, che in
questi ultimi giorni, si sta concretizzando con un
documento, sempre sviluppato unitamente alla
RPT, da proporre nell’ambito del cosiddetto “Job
act”.
Negli ultimi anni, la discussione sul ruolo degli
Ordini e delle professioni ha spesso occupato spazi
di rilievo nel dibattito politico sulla crisi e sulla
trasformazione della società.
Parole come “liberalizzazioni”, “casta”, “lobby”,
sono state utilizzate per indicare i principali
elementi negativi della nostra società e per
individuare le cause di attriti ed incrostazioni da
eliminare, senza se e senza ma, per liberare risorse
e rilanciare lo sviluppo.
In quest’ottica gli Ordini sono stati visti il cuore
della conservazione, l’ostacolo principale all’affermazione dei giovani professionisti, l’icona di
un’Italia chiusa in un modello lontano da quella
cultura anglosassone capace di coniugare libera
iniziativa, qualità, sviluppo. Già, quanti dibattiti sul
“modello”, come se da una società si potesse
importare un segmento (per esempio l’associazionismo nel campo delle professioni) astraendolo ed
isolandolo, come un batterio, dalla complessità
dell’articolazione di quella società.
La volontà del C.N.I., la sua azione di “politica”
della categoria esercitata negli ultimi mesi, vuole
esaltare, di contro, il ruolo sociale degli Ordini e la
loro forza propositiva, nonché l’esaltazione del
principio di responsabilità di una classe dirigente
matura e consapevole, per la quale tale principio è
prima che “esercizio del potere”, “adempimento
del dovere”.
Nell’ambito di tale attività propositiva abbiamo
accolto la riforma delle professioni, condividendone lo spirito e, soprattutto, favorendone l’attuazione. Ora si intende continuare sulla strada intrapresa, proponendo iniziative concrete, tese ad avviare
una politica di sviluppo del Paese unita alla
necessaria tutela dei cittadini e del territorio. Per
questo ci battiamo, affinché si introduca una vera
cultura della prevenzione, soprattutto dai rischi
ambientali, sismici ed idrogeologici. Il nostro
Paese, purtroppo, continua a sopportare uno
straordinario e costosissimo paradosso: l’eccesso
contemporaneo di regolazione e controlli che Io
ha portato ad una paralisi degli investimenti e ad
un disincentivo da parte degti investitori esteri. Da
un recente studio presentato al nostro Congresso
di categoria a Brescia, la semplificazione amministrativa è considerata dal 95% degli ingegneri un
fattore importante per liberare le potenzialità
imprenditoriali e rilanciare lo sviluppo del Paese.
Ad oggi riteniamo che abbiano avuto una scarsa
incidenza nella semplificazione sia la riforma della
conferenza dei servizi che la possibilità di ricorrere
a Commissari ad acta, sia l’istituzione degli sportelti unici che l’avvio della digitalizzazione della
pubblica amministrazione. Promuoviamo quindi
l’ampliamento delle attività libere mediante la
comunicazione di inizio attività, la SCIA e
anche l’introduzione del silenzio assenso in alcune
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procedure. Oltre il 90% degli ingegneri si dichiara
disponibile ad assumersi la responsabilità per
l’avvio di interventi di medio-bassa complessità,
secondo il principio di sussidiarietà già applicato in
altri Paesi. Per nostra natura, siamo aperti all’innovazione e vogliamo giocare il ruolo di protagonisti
in questa rivoluzione. Abbiamo già dimostrato di
non temere il cambiamento, di saper abbandonare
strade consuete per accogliere novità e garantire
più qualità, più sicurezza e più indipendenza.
Tabella A
Opere incompiute - Censimento al 21 Ottobre
2013 - Importo per lavori risultanti da ultimo
quadro economico approvato (in milioni di
euro)
Altra questione centrale per la ripresa e per il
lavoro è il tema delle infrastrutture. Un sistema
infrastrutturale efficiente e competitivo rappresenta uno dei fattori di maggiore stimolo per la
crescita economica. Infatti le imprese scelgono di
investire dove ci sono buone infrastrutture, perché
contribuiscono ad abbassare i costi di trasporto (in
Italia oggi di 6 – 8 punti percentuali superiori a
quelli dei competitor europei). Il nostro Paese
sconta un ritardo infrastrutturale dell’ordine di
almeno 200 miliardi per scarsi investimenti pubblici e strutturali, difficoltà di attivazione di risorse
private. Un fattore di differenziazione tra l’Italia e
le altre nazioni europee è altresì riscontrabile nei
costi medi di realizzazione delle opere pubbliche,
decisamente più elevati nel nostro Paese, sia per le
autostrade, sia per l’alta velocità ferroviaria.
Sul divario pesano le condizioni orografiche e di
antropizzazione del territorio, le difficoltà di
programmazione ma anche le criticità di un quadro
normativa in continua ed affannosa evoluzione.
Un capitolo a parte, ed uno specifico approfondimento, meriterebbe il tema delle “opere incompiute”, sia per non ripetere più gli errori del passato
ottimizzando quindi investimenti ed efficacia delle
progettazione, nonché verificare quante di queste
possono essere completate ed utilizzate dalla
collettività. Nella tabella A a seguire si ha una
misura dell’incidenza economica, per le varie
regioni d’Italia (per la Sicilia, insieme ad altre
regioni, purtroppo il dato non è disponibile!), di
tali opere pari a ben 1.481 milioni di euro.
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Fonte: elaborazione Centro Studi Cni su dati Sistema Informativo Monitoraggio Opere Incompiute
(SIMOI) - Ottobre 2013
Rispetto ai temi generali del lavoro, e nello specifico al “Job act” di cui tanto si discute in questi
giorni, il C.N.I. sta lavorando su alcune precise idee
operative:
–
–
–
riportare la terzietà e la creatività delle idee
al centro dei processi tecnici oggi dominati
dal cortocircuito tra sistema imprenditoriale
- finanziario e sistema burocratico - amministrativo. Con questa azione si decreta la
centralità del progetto e della progettualità,
si liberano energie, si dà impulso ad un
mercato oggi sterile, si fa un salto avanti
verso processi di qualità, si caratterizza
l’attività pubblica nelle due fasi essenziali
della programmazione e del controllo;
modificare l’attuale regolamento delle
Società tra Professionisti (STP) nella direzione di modelli europei in cui sia obbligatoria
la previsione di percorsi di inserimento e
formazione di giovani, siano chiari i meccanismi di compenso dei giovani nelle varie
fasi della loro crescita professionale, siano
evidenti le possibili forme di partecipazione
di giovani al capitale sociale. Le STP previste
dalle norme vigenti sono destinate a rimanere assolutamente inefficaci rispetto alle
esigenze di crescita e rinnovamento delle
forme di esercizio della professione. Eppure
esse hanno una forte potenzialità occupazionale per i giovani sostituendo l’obsoleto
modello del “professionista singolo” oggi
ormai superato dalla complessità ed
interdisciplinarità delle questioni tecniche;
favorire l’assunzione di giovani laureati nelle
strutture professionali attraverso la creazione di contratti ad hoc, anche a tempo
indeterminato, in cui gli oneri previdenziali
siano gli stessi previsti dalle Casse di
previdenza (es. INARCASSA). ln una società
in cui il costo del lavoro è gravato da oneri
insostenibili, in cui la modifica rapida ed
imprevedibile degli orizzonti economici può
disegnare un’alternanza di momenti in cui
un giovane può trovarsi ad essere, lavoratore dipendente in una STP, lavoratore
autonomo, e poi di nuovo dipendente,
questa riforma consentirebbe una invarianza
del sistema previdenziale annullando
l’insostenibilità degli attuali processi di
ricongiunzione (esempio tra INPS ed
INARCASSA).
Complessivamente quindi il C.N.I. ha chiesto,
e chiede alla politica di essere coraggiosa, di
rivoluzionare il sistema; per questa rivoluzione gli
ingegneri, naturalmente aperti all’innovazione,
potranno e dovranno essere protagonisti.
Dobbiamo mettere al servizio dello Stato, e dei
suoi organismi rappresentativi e decisionali, le
nostre competenze e le nostre organizzazioni
a partire dalle potenzialità enormi che può esprimere il “network” degli Ordini provinciali.
Dobbiamo chiedere, e pretendere dalla politica e
dal nuovo Governo appena insediato di essere
ascoltati, di essere presenti sin dal momento in cui
le norme e le leggi vengono elaborate presso le
varie sedi ministeriali.
Gli ingegneri hanno dimostrato da sempre, e
devono dimostrare ancora oggi di non temere il
cambiamento, di farsi carico di oneri aggiuntivi
anche in una condizione economica drammatica;
di saper abbandonare strade consuete per accogliere novità e garantire più qualità, più sicurezza e
più indipendenza; di poter fornire proposte,
conoscenze e competenze per dare di nuovo un
futuro al nostro Paese, di assumersi responsabilità
ed essere sussidiari dello Stato.
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Gaetano Fede
Consigliere C.N.I.
Responsabile Area Sicurezza e Area Energia
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RISCHIO SISMICO A CATANIA
CULTURA DELLA PREVENZIONE E DELLA STRATEGIA PER LA MITIGAZIONE DEL RISCHIO
di Luigi Bosco
“La Sicilia orientale in Italia è come la California
per gli Stati Uniti. Li si aspetta il Big One, il grande
terremoto. Qui da noi il Big One atteso e’ quello
della Sicilia orientale. Se si verificasse provocherebbe
decine di migliaia di vittime.....Negli ultimi 25 anni
non mi risulta che sia stato fatto qualcosa per
attenuare i danni che potrebbe provocare un terremoto di grande energia. Purtroppo nel nostro paese
non c’è cultura della prevenzione......E non è solo
colpa dei politici, è che spesso sono anche i cittadini
a non volerne sapere.”
Queste parole pronunziate da Giuseppe Zamberletti,
il padre della Protezione Civile italiana, per la loro
profonda consapevolezza, ci devono fare riflettere
tutti, politici e cittadini.
Ma se le parole di Zamberletti sono intrise di grande
senso di equilibrio, interventi più esplicitamente
allarmistici sono stati quelli del prof. Boschi e del
settimanale l’ Espresso che in un recente articolo
descrive Catania come la città a più alto rischio
sismico d’ Europa,evidenziando l’ ipotesi di oltre
150000 morti in occasione del temuto sisma.
La struttura tettonica in cui si originano i grandi
terremoti che hanno colpito la Sicilia sud orientale è
la faglia ibleo- maltese.
Sembrerebbe, da alcuni studi geofisici, che il flusso di
calore nella zona della scarpata risulta compatibile
con la possibilità di generazione di eventi sismici di
grande portata quali quelli del 1169 e 1693, ambedue
di magnitudo 7.7.
Ma aldilà di questi studi, che potrebbero portare alla
valutazione di una imminenza dell’ evento, c’è sicuramente convergenza da parte di tutta la comunità
scientifica nell’ individuazione di un periodo di
ritorno di 300-500 anni per sismi della stessa entità
nel nostro territorio.
È questa certezza a cui fa riferimento la saggezza di
Zamberletti che ci deve dare la spinta a tirare fuori la
testa dalla sabbia, ove era stata tenuta dai nostri
politici e dai nostri precedenti amministratori, e ad
affrontare con grande determinazione la sfida della
messa in sicurezza della città di Catania.
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La problematica sismica di Catania deve essere vista
alla luce di alcune peculiarità che rendono uniche nel
quadro nazionale le condizioni di rischio.
Non considerando in questa fase il grave rischio
vulcanico, Catania è una città che paga con una
elevatissima percentuale di edifici privi di caratteristiche antisismiche il ritardato inserimento del proprio
territorio tra quelli considerati, da un punto di vista
normativo, sismici.
Solo nel 1981, grazie anche alla spinta di una componente culturalmente matura del mondo professionale, fu effettuato questo inserimento, mentre le
condizioni erano già mature da almeno un decennio.
Ricordo una mediocre classe politica che governava
la città e la rappresentava in Parlamento e che considerava una vittoria il mancato inserimento della
nostra città tra quelle sismiche.
Basta pensare che Messina ha avuto una “ attenzione”
sotto il profilo sismico fin dal 1908 e Palermo subito
dopo il terremoto del Belice, alla fine degli anni ‘60.
L’ altra grande peculiarità della nostra città è quella
correlata al periodo di ritorno dei grandi sismi. Per
quelli che possono riguardare Catania e hanno la
dimensione del devastante terremoto del 1693 il
periodo di ritorno è , come già ricordato, dell’ordine
dei 300-500 anni. Oggi noi siamo arrivati al 321’
anno. Non occorre fare allarmismo, ma corretta informazione. È necessario avere il coraggio di intraprendere un grande percorso, che non può esaurirsi in
pochi anni, data la straordinaria necessità di risorse
finanziarie e umane, ma che ci deve portare a fare
trovare la nostra città preparata ad affrontare nelle
migliori condizioni possibili gli eventi a cui potrebbe
essere sottoposta. In questa nota desidero occuparmi
esclusivamente della protezione degli edifici, pur
essendo assolutamente consapevole che la problematica comprende aspetti altrettanto significativi correlati alla gestione urbana della città e al sistema di
protezione civile. Innanzi tutto devo precisare che, in
parziale difformità con quanto affermato da Zamberletti, una seppur modesta azione è stata messa in atto
dal nostro sistema nel campo della prevenzione.
Prima di tutto desidero ricordare la creazione di un
efficace sistema di Protezione civile.
La protezione civile italiana ha sempre dimostrato
una notevole capacità organizzativa negli interventi
effettuati.
Ritengo che vadano in tal senso citati alcuni interventi normativi.
- Nel marzo 2001 veniva emanata l’ Ordinanza 3105 ‘
Disciplina degli interventi di prevenzione sismica per
gli edifici privati nei comuni della Sicilia orientale’: la
cosiddetta ordinanza Bianco, dal nome del ministro
Enzo Bianco, che la emanò al termine di una grande
stagione catanese di forte attenzione alle problematiche sismiche della città. Si trattò di una felice intuizio-
ne del nostro sindaco che
portò alla messa in sicurezza di numerosi edifici
nel nostro territorio,
nonostante gli ostacoli di
un poderoso groviglio
burocratico, la scarsa
motivazione di alcuni
funzionari e, a volte,
anche la mediocrità di
alcuni progetti .
L’ Ordinanza del Presidente del Consiglio dei
Ministri 3274/2003 ha
avuto il duplice merito di
accelerare il recepimento
nelle norme tecniche dei
risultati delle più recenti
ricerche nel campo delle
conoscenze del comportamento sismico degli
edifici, e soprattutto ha
previsto l’obbligo di
effettuare, entro cinque
anni le verifiche di vulnerabilità sia degli edifici di
interesse strategico e
delle opere infrastrutturali la cui funzionalità
durante gli eventi sismici
assume rilievo fondamentale per le finalità di
protezione civile, sia degli
edifici e delle opere
infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze
di un eventuale collasso.
Dobbiamo registrare con grande disappunto che
l’amministrazione comunale di Catania non ha
adempiuto a tale obbligo dal 2003 ad oggi per nessun
edificio, nonostante i contributi previsti, non più
disponibili.
- La legge 77/2009 all’ art. 11 ha istituito un fondo
pluriennale di prevenzione ( 2010-2016) per un
importo complessivo nel territorio italiano di 965
milioni di euro.
Così come ho avuto modo di riferire nel corso di un
recente intervento all’ Ordine degli Ingegneri di Catania,
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i fondi previsti per gli edifici privati, con l’ ordinanza per
l’ anno in corso, possono consentire la messa in
sicurezza di soli 160 alloggi in tutta la Sicilia. Si tratta di
una goccia d’ acqua, è ovvio che non basta, ma da qui
bisogna partire per prepararci ad interventi più massicci.
In relazione a questa ordinanza e ai meccanismi di
distribuzione dei fondi nel territorio nazionale, a mio
avviso, viene trascurato un fattore di grandissima
rilevanza e del quale occorrerebbe tener conto: il
rapporto temporale attuale nei confronti del periodo
di ritorno del terremoto di forte intensità atteso.
È ovvio che bisogna concentrare le risorse nelle aree
nelle quali è maggiormente prevedibile, in tempi
prossimi, un sisma di forte intensità. Questo purtroppo non avviene e la Sicilia sud orientale risulta
fortemente penalizzata.
Bisogna pertanto impegnarsi, sotto un profilo tecnico
e politico, a fare riconoscere questo fattore fondamentale.
A conclusione di questa descrizione della situazione
sismica del nostro territorio appare chiaro che il tema
vada trattato con le caratteristiche dell’ emergenza.
Tuttavia ci rendiamo conto che il termine ultimo del
nostro progetto non ha una data fissa. Pertanto il
nostro obiettivo deve essere quello di trovarci ad
ogni momento nella fase più avanzata possibile della
messa in sicurezza sismica del nostro territorio.
Per quanto riguarda l’ edilizia pubblica a partire dagli
edifici scolastici e dagli altri edifici rilevanti ai
fini della protezione civile o soggetti a grande
affollamento la strategia da seguire deve prevedere i
seguenti step:
1.1) Eseguire le verifiche di vulnerabilità sismica ( e
pertanto prevedere i relativi fondi in bilancio, così
come si è cominciato a fare per le scuole). Ciò
consente di avere una mappatura reale dello stato di
salute degli edifici pubblici e di poter concorrere
all’attingimento di finanziamenti. A tal fine è stata già
inserita nel bilancio 2013 del comune di Catania una
modesta somma alla quale dovrà far seguito per i
prossimi esercizi una previsione di almeno 500000€
annui. Le verifiche di vulnerabilità devono essere
effettuate con il conferimento di incarichi professionali attraverso regolari bandi e acquisizione di
disponibilità .In tale fase risulta di particolare rilevanza la disponibilità alla collaborazione già manifestata
in sede di conferenza di servizi , convocata dal
sottoscritto in sinergia con l’ assessore Scialfa, presso
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la sede del comune da Ance e Università di Catania.
Tale collaborazione attraverso il finanziamento da
parte di Ance di alcune boese di studio potrebbe
portare al risultato della creazione di modelli di
riferimento applicabili alle tipologie edilizie del
nostro territorio, conseguendo in tal modo un livello
adeguato e benefico di omogeneizzazione dei
risultati delle verifiche.
2) redazione dei progetti di adeguamento e/o miglioramento sismico degli edifici pubblici, seguendo una
strategia di priorità in funzione dei risultati ottenuti
dalle verifiche ( nei casi più gravi potrebbe essere
necessaria la demolizione e ricostruzione).
La redazione dei progetti deve essere effettuata anche
con il conferimento di incarichi esterni. È necessario
pertanto prevedere dei fondi di rotazione in bilancio,
così come è stato già richiesto dalla direzione Ll.pp.
In questa fase ritengo particolarmente utile la
collaborazione degli ordini professionali.
Tale collaborazione potrebbe consentire di attivare
convenzioni finalizzate a ridurre i costi delle fasi
preliminari e definitive delle progettazioni, necessarie al finanziamento dei progetti. La riduzione di tali
costi potrebbe essere parzialmente compensata nella
fase della progettazione esecutiva e della direzione
lavori. Tutto ciò al fine di ampliare il più possibile il
parco progetti a parità di fondo di rotazione.
3) realizzazione degli interventi. In alcuni casi
potrebbe essere previsto anche il ricorso ad appalti
integrati. Una valutazione di massima lascia prevedere la necessità di circa 60 milioni di euro per la messa
in sicurezza delle scuole di proprietà comunale.
4) alla luce di alcune iniziative economiche proposte
dai privati ( tipo project financing e similari ) potrebbe essere richiesto l’ inserimento , nel piano economico e finanziario, di interventi di messa in sicurezza
sismica di edifici pubblici.
La problematica della messa in sicurezza sismica degli
edifici privati a Catania riguarda un numero di alloggi pari a circa 100000. privi dei requisiti antisismici e
richiede risorse pubbliche e private dell’ ordine di 4
miliardi di euro. Si tratta di somme ingenti, da
spalmare in un ventennio, riuscendo ad individuare
eventualmente le priorità attraverso un uso mirato
delle verifiche di vulnerabilità. Corre l’ obbligo di
osservare che in altre realtà potrebbero pensarsi
interventi diversi, più soft, di mitigazione del rischio,
adatti a rendere gli edifici in grado di sostenere
l’impatto di terremoti medio-forti; ma questo non è
eticamente sostenibile come obiettivo primario per
una città che deve tutelarsi dal temuto Big One.
Ritengo che per per conseguire questo risultato,
quando è tecnicamente possibile bisogna mirare all’
isolamento sismico degli edifici, che è il sistema che
non solo consente di resistere ,ma anche di limitare i
danni.
La problematica degli edifici privati, al di là della sua
complessità legata alla dimensione del fabbisogno
economico pubblico-privato presenta la necessità di
una forte motivazione della popolazione.
È noto infatti che l’ attenzione alle problematiche del
rischio sismico ha impennate di intensità in corrispondenza di eventi sismici rilevanti, anche in
altre parti del nostro territorio, per poi scemare
rapidamente nel giro di poche settimane.
Diviene pertanto assolutamente necessario diffondere la cultura della prevenzione, partendo anche dalle
scuole, ma rivolgendosi a tutta la popolazione
attraverso un sistema articolato di comunicazione.
Un esempio in questa ottica è stato sicuramente
l’evento organizzato dall’ Ordine degli ingegneri e
dai Lions lo scorso anno relativo al mese della
prevenzione sismica.
Si potrebbe pensare di costituire un gruppo di esperti di alto profilo che ci aiutino a programmare e a
realizzare una serie articolata di iniziative che
attraverso il contributo dei mass media possano
sensibilizzare la popolazione.
E proprio in tal senso ho già cominciato a prendere
contatti con docenti di fama nazionale,ai quali
dovrebbero aggiungersi esponenti del mondo della
professione: il messaggio da trasmettere e’ che c’ e’
un grande rischio, ma ci sono dei sistemi tecnici che
ci consentono di affrontarli con ottime possibilità di
conseguire buoni risultati.
Un’ altra criticità riscontrata è costituita dal fatto che
nel caso degli interventi antisismici sul patrimonio
edilizio privato gli interventi legislativi di defiscalizzazione non possono avere le stesse caratteristiche
relative agli incentivi per gli interventi tipici
nell’edilizia. Un intervento di ingegneria antisismica
ha bisogno infatti di programmazione di progettazione e di autorizzazioni. Non può essere utilizzato un
termine troppo breve per l’ accesso agli incentivi.
È necessaria una adeguata programmazione .
Per quanto mi risulta, pur non essendo in possesso di
dati ufficiali, non c’ è stato, almeno a Catania, un
significativo ricorso alle opportunità offerte da alcune
proposte legislative .
E ciò probabilmente per l’ effetto congiunto delle
due cause appena indicate.
Ritengo che per attivare questi interventi sul patrimonio privato occorra integrare gli incentivi pubblici di
defiscalizzazione , che nel caso specifico dovrebbero
avere alte percentuali ( almeno il 60-70% ), con
incentivi comunali ( premialita’ volumetriche, riduzioni imu o similari).
Nel caso specifico di Catania ritengo che per le
problematiche emergenziali già denunziate, il legislatore nazionale, fissato un tetto massimo di intervento
al metro quadro di superficie utile, dovrebbe integrare con norma specifica il contributo correlabile alla
defiscalizzazione con un contributo diretto fino alla
totale copertura del tetto massimo nel caso di totale
adeguamento antisismico e alla copertura di congrua
aliquota in funzione del livello di miglioramento
conseguito e dimostrato con verifica di vulnerabilità
eseguita prima e dopo dell’ intervento.
Ritengo altresì utile diffondere la consuetudine di
fare diventare elemento significativo nella valutazione del valore di un immobile la resistenza sismica
dello stesso, con modalità analoghe a quelle della
certificazione energetica.
A conclusione di questa breve relazione ritengo
che la situazione di Catania, come ampiamente e
unanimemente riconosciuto dalla comunità scientifica nazionale e internazionale, ha delle caratteristiche
uniche che la rendono assolutamente meritevole di
attenzioni speciali da parte del nostro Governo
Nazionale.
Deve essere nostro compito condiviso impegnarci
affinché queste attenzioni si materializzino in atti
governativi concreti a tutela della nostra comunità.
Tuttavia questi atti concreti potrebbero rischiare di
essere vanificati se non saremo in grado di supportarli attraverso una azione di motivazione dei privati e
una azione di semplificazione burocratica nelle
procedure di accesso ai finanziamenti e negli iter
autorizzativi dei progetti.
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PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO (PPP): LUCI ED OMBRE
SULLA SUA APPLICAZIONE NELLA REALIZZAZIONE DI OPERE PUBBLICHE
di Alfio Grassi*
La difficoltà delle Pubbliche Amministrazioni di
reperire fondi per la realizzzazione di opere pubbliche e fornire servizi ai cittadini legata all’attuale
congiuntura economica rende assolutamente
cogente la necessità di ricercare forme alternative per
il reperimento delle risorse economiche necessarie
per soddisfare le esigenze di nuove opere pubbliche.
Da tempo in Europa il sistema legislativo sollecita il
concetto di “comakership” e cioè il “fare squadra
insieme” tra Pubblica Amministrazione e Privato, nel
nostro Paese, invece, spesso non si è riusciti a trovare
una strada congiunta e di reciproco vantaggio per
entrambi per poter raggiungere un obiettivo
comune, con una collaborazione tecnica, economica
e finanziaria aperta e trasparente che possa sopperire
alla insufficienza delle risorse statali e/o comunitarie
a far fronte alle accresciute esigenze sociali ed alla
drastica diminuzione dei finanziamenti pubblici.
Le modifiche normative inserite dagli ultimi governi
tendono ad agevolare, con l’introduzione di nuove
regole per il PPP, la collaborazione tra pubblico e
privato, mutuando in gran parte le previsioni del
“Libro Verde” dell’Unione Europea (Commissione
della Comunità Europea del 30-04-2004).
L’incidenza di questo mercato sul totale di quello
delle opere pubbliche è in progressiva crescita, sia in
termini di numero di opportunità per le quali si è
passati dall’1% del 2002 al 17% del 2011, sia in
termini di valore degli appalti, passando dal 6% del
primo anno di rilevazione al 44% del valore dell’intero mercato delle opere pubbliche in gara nel 2011.
In sostanza un nuovo mercato è nato in Italia nel
primo decennio dell’attuale secolo mostrando tre fasi
di evoluzione: 2002-2005, 11% della domanda; 20062008, 22% della domanda; 2009-2011, 35% della
domanda. Con la attuale fase, 2012-2015, si delinea
uno scenario in cui il PPP è destinato a stabilizzarsi su
livelli sempre più consistenti della domanda di opere
pubbliche (Fig.1).
Il salto è stato fatto sul piano della domanda, ma è
ancora un mercato disomogeneo nelle diverse
regioni italiane (Fig.2) e che deve maturare e crescere sul piano della concretezza realizzativa e che,
soprattutto, ha bisogno di nuove competenze, di
formazione, di soggetti catalizzatori, di esperienze
tipo e casi di successo.
A riprova di questa considerazione si sta constatando
che delle gare già bandite poche pervengono alla
definitiva conclusione ed all’avvio operativo del PPP,
poiché per vari fattori molte procedure di affidamento
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Fig. 1
Fonte: elaborazione CRESME Europa Servizi su dati www.infopieffe.it promosso da Unioncamere, Dipe-Utfp e Ance e realizzato dal CRESME
*Consigliere Tesoriere Ordine Ingegneri Prov. Di Catania e componente del Gruppo di
esperti di PPP designati dagli Ordini Ingegneri di Catania, Milano, Napoli e Torino
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PPP – LE CLASSIFICHE REGIONALI – Gare censite nel 2011 per REGIONE • Progettazioni insufficienti e
non adatte al PPP;
• Uso sproporzionato di ricorsi amministrativi.
Per la componente bancaria
• Asseverazione effettuata sul
progetto preliminare;
• Intervento ad aggiudicazione già avvenuta;
• Durata (12-32 mesi) e
complessità del “closing
finanziario”;
• Instabilità finanziaria e
misure di politica bancaria
europea
Le ragioni dello scarso successo
e di conclusione delle innumeFig. 2
revoli iniziative sviluppate nel
campo delle procedure di PPP
Fonte: Osservatorio regionale Lazio del Partenariato Pubblico Privato - www.siop-lazio.it
sono da individuarsi nelle
si arenano nel corso della loro gestazione delineando
seguenti problematiche (Fig.4):
evidenti criticità nella gestione delle procedure
1) Analisi spesso non adeguata della prefattibilità
(Fig. 3).
delle opere da parte delle stazioni appaltanti con
Le cause sono da individuare nei tempi lunghi dei
progetti appaltati privi di una congrua valutazione in
procedimenti e nell’alto livello di caducità che sono
riferimento alla sostenibilità economico-finanziaria.
causati dai fattori seguenti:
2) Incertezza della tempistica della procedura d’assePer la componente pubblica
gnazione dell’appalto. Il finanziamento vero e
• Insufficiente analisi dell’ “affordability”» o sosteniproprio delle operazioni, per come rilevato dalla
bilità finanziaria ;
Banca Europea per gli Investimenti, richiede per il
• Incomprensione della struttura del PPP;
“closing finanziario” tempi che vanno dai 12 ai 32
• Inadeguata preparazione dei progetti (mancanza di
mesi a partire dall’aggiudicazione.
una fase di valutazione ex ante);
3) Gli Istituti bancari intervengono nelle operazioni
• Risorse finanziarie e di consulenza inadeguate;
di aggiudicazione già avvenuta e successivamente alla
• Mancata focalizzazione nella strutturazione finanfirma del contratto con una revisione della sostenibiziaria in fase di gara;
lità di tutto il piano economico-finanziario pressochè
• Mancanza di tutte le autorizzazioni prima dell’avvio
totale e quindi una revisione della documentazione
della gara;
Fig. 3
Per la componente privata
• Mancanza di una cultura del PPP
(in genere viene privilegiato il
ribasso d’asta e non il confronto
competitivo);
• Debolezza strutturale del sistema delle imprese (ridotta capitalizzazione);
• Ridotta concorrenza tra imprese
(dovuta al meccanismo procedurale);
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predisposta dal Privato e/o dall’Amministrazione.
4) Spesso poi i dati di base relativi al piano economico finanziario vanno rivisti per il cambiamento degli
scenari dovuti all’avvenuto lungo passaggio temporale tra la gara d’appalto ed il finanziamento.
Una delle criticità maggiori è stata evidenziata nel
rapporto tra Imprenditori e Developer Pubblici e
Privati con le banche che,a volte, sono state costrette
Fig. 4
ad interrompere le erogazioni dei finanziamenti in
precedenza autorizzati con contratti di finanziamento
già stipulati, per la assenza di precise informazioni
oppure per la presenza di irregolarità formali nella
produzione degli stessi dati.
In particolare, in taluni casi, si sono generate gravi
sofferenze per l’Imprenditore che, privo di copertura
di cassa (cash flow), non sempre è stato in grado di
portare a completamento il progetto di costruzione.
Pertanto, è evidente che l’ente erogatore del credito e
l’impresa debbono trovare nuove e più innovative
opzioni preventive di verifica e controllo, per il buon
fine dell’iniziativa. E’ auspicabile che queste metodologie siano in futuro vincolanti per ottenere ulteriori
e successivi finanziamenti da parte delle imprese che
dovranno, allo scopo,meglio raccogliere, organizzare,
gestire in forma aggiornata, le informazioni ed i
dati contenuti nei documenti di natura tecnica,di
cantiere, amministrativa, contabile, fiscale, di controllo gestionale e di controllo finanziario (cash flow).
Queste problematiche rendono evidente come necessitano delle linee guida per le amministrazioni
pubbliche per la scelta della procedura di affidamento più idonea e per la corretta impostazione della
procedura stessa ed un’assistenza sul campo (almeno
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per i progetti di maggiori dimensioni) da parte di
esperti in grado di diffondere le “best pratice” ed
evitare errori ricorrenti. Ciò potrebbe facilitare l’accumulazione di competenze adeguate all’interno delle
amministrazioni con effetti positivi per la diffusione
del PPP.
Con queste premesse gli Ordini Ingegneri di Catania,
Milano, Napoli e Torino si sono resi promotori
dell’iniziativa di diffondere:
• sia la conoscenza delle varie forme di PPP utilizzabili in Italia
• sia esempi pratici di opere già realizzate cercando
di evidenziare vantaggi e svantaggi di essi e le modalità atte ad eliminare le criticità che il primo decennio
di applicazione ha messo in luce.
L’ impegno dei suddetti Ordini, sino adesso, si
è concentrato nell’organizzazione di convegni regionali, patrocinati dal Consiglio Nazionale degli
Ingegneri, che hanno posto a confronto gli esperti
del settore con i possibili fruitori del PPP ed hanno
consentito di diffondere anche la conoscenza delle
“Linee guida per l’iter di finanziamento per le
costruzioni -Criteri e parametri omogenei di gestione economica-finanziaria nei progetti (Specifica
tecnica UNI/TS 11453 del settembre 2012)”.
Questa specifica tecnica permette di comporre una
metodologia di lavoro che consente di raccogliere e
rielaborare le molteplici informazioni e dati di tipo
tecnico,progettuale e finanziario all’interno di un
unico archivio specialistico, in base ad una precisa
relazione tra:
• Fasi Progettuali ed Iter del finanziamento ( raccolta
di dati necessari alla verifica della Bancabilità del
Progetto in relazione a quanto previsto in Fase di
Studio di Fattibilità e del Piano Economico Finanziario dello stesso Progetto);
• Fasi del progetto ed iter della Costruzione fino
alla sua conclusione, con l’obiettivo di garantire il
rigoroso rispetto dei termini e patti contenuti nel
Contratto di Finanziamento dell’Opera.
La “Specifica tecnica UNI/TS 11453” è rivolta a tutti
gli Operatori del settore, in particolare agli Enti
Pubblici in qualità di propugnatori delle iniziative di
competenza pubblica, alle Imprese di Costruzione ,
per Iniziative Private e/o di tipo PPP – PF, agli Istituti
di Credito come Soggetti preposti all’erogazione di
finanziamenti ed all’emissione di garanzie nonché ai
Professionisti.
LE MODIFICHE E LE NOVITÀ INTERROTTE
DALLA LEGGE DEL 9 AGOSTO 2013, N. 98 “DECRETO DEL FARE”
IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO ED EDILIZIA
di Antonio Leonardi*
Elisa Gerbino**
Con legge 9 agosto 2013, n. 98, è stato convertito il
decreto legge del 21 giugno 2013, n. 69, cosiddetto
“decreto del fare”, che ha apportato alcune modifiche-integrazioni-semplificazioni sia in materia di
salute e sicurezza sul lavoro, che in edilizia. L’articolo
si sofferma ed approfondisce le novità introdotte in
tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro,
ponendo maggiore attenzione agli articoli 32 e 35
della Legge che modificano diversi articoli del D.Lgs.
n. 81/2008, interessando essenzialmente gli appalti,
sia pubblici che privati (art. 26), la verifica obbligatoria delle attrezzature di lavoro (art. 71), la formazione
delle figure della prevenzione (artt. 32 e 37), il
documento unico di regolarità contributiva (DURC),
la sicurezza in edilizia (Titolo IV ), in particolare per
gli spettacoli musicali, cinematografici, teatrali e le
manifestazioni fieristiche. La maggior parte di queste
modifiche non è immediatamente operativa in
quanto si demandano a successivi decreti attuativi
che sono in corso di emanazione.
L’articolo si conclude con un breve excursus sulle
principali semplificazioni previste per l’edilizia ed
alcune novità per i professionisti (art. 30).
LE MODIFICHE IN MATERIA DI DUVRI
La modifica all’art.26 prevede che per le aziende a
basso rischio infortunistico e di malattie professionali, sarà possibile sostituire la redazione del
documento unico di valutazione dei rischi da interferenza (DUVRI), con l’individuazione di un incaricato
«in possesso di formazione, esperienza e competenze
professionali, adeguate e specifiche in relazione
all’incarico conferito, nonché di periodico aggiornamento e di conoscenza diretta dell’ambiente di
lavoro, per sovrintendere a tali cooperazione e
coordinamento».
La possibilità da parte del datore di lavoro-committente di evitare di redigere il DUVRI, designando in
alternativa un proprio incaricato, è prevista solo per
le aziende a basso rischio infortunistico. Tali tipologie di attiviità saranno individuate con un apposito
decreto ministeriale.
«Dell’individuazione dell’incaricato o della sua
sostituzione deve essere data immediata evidenza
nel contratto di appalto o di opera». Il contratto, con
data certa e con accettazione da parte dell’incaricato,
dovrà attribuire all’incaricato stesso espliciti
poteri/doveri ai fini della cooperazione, del coordinamento e del controllo da parte delle imprese
esecutrici e dei lavoratori autonomi. Come è noto il
DUVRI è allegato al contratto di appalto o di opera e
deve essere adeguato in funzione dell’evoluzione dei
lavori, servizi e forniture. A tali dati oggi potranno
accedere il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza (RLS) e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più
rappresentative a livello nazionale.
Esonero dall’obbligo del DUVRI. Il provvedimento legislativo chiarisce poi che l’obbligo di redazione del
DUVRI non si applica ai servizi di natura intellettuale,
alle mere forniture di materiali o attrezzature, ai lavori
o servizi la cui durata non e’ superiore ai cinque uomini-giorno (somma delle giornate di lavoro necessarie
all’effettuazione dei lavori, servizi o forniture considerata con riferimento all’arco temporale di un anno
dall’inizio dei lavori), sempre che essi non comportino
rischi gravi [1] specificati dal D.Lgs. n. 81/08.
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VALUTAZIONE
DEI RISCHI PER AZIENDE A
BASSO RISCHIO INFORTUNISTICO
- IL MVR
Il nuovo comma 6-ter inserito nell’art. 29 del D.Lgs.
n. 81/08 ha concesso la facoltà ai datori di lavoro che
occupano fino a 10 lavoratori, estendibile anche a
quelli che ne occupano oltre dieci e fino a 50,
operanti nei settori di attività a basso rischio infortunistico e di malattie professionali, la facoltà di
redigere, in alternativa al Documento di Valutazione
dei Rischi (DVR), un “Modello di Valutazione dei
Rischi” (MVR) semplificato (art. 29, comma 6-ter,
D.Lgs. n. 81/08).
Tuttavia, questa nuova semplificazione non sarà
immediatamente operativa in quanto occorrerà attendere l’adozione di un apposito decreto del Ministro
del Lavoro, che dovrà individuare sia i settori di
attività a basso rischio di infortuni e malattie
professionali, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti anche dalle specifiche statistiche INAIL,
che la modulistica da utilizzare.
In sostanza, per tali aziende, che occupano fino a 50
lavoratori, la valutazione dei rischi può essere
effettuata secondo tre modalità:
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SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA DI FORMAZIONE
formative soprattutto per i soggetti che frequentemente partecipano a corsi diversi ma che hanno per
oggetto gli stessi argomenti. Le figure principalmente
interessate sono il responsabile e gli addetti al
servizio di prevenzione e protezione (RSPP e ASPP),
ma anche i lavoratori, i dirigenti, i preposti e i
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS).
In particolare per tutti i casi di formazione e di
aggiornamento previsti per i dirigenti, i preposti, i
lavoratori, i RLS, i RSPP e ASPP, i cui i contenuti
si sovrappongano, in tutto o in parte, verranno
riconosciuti dei crediti formativi per la durata e per i
contenuti della formazione e dell’aggiornamento
corrispondenti erogati.
Le modalità di riconoscimento dei crediti formativi e
i modelli per mezzo dei quali è documentata
l’avvenuta formazione saranno individuati dalla
Conferenza Stato-Regioni, sentita la Commissione
consultiva permanente, che molto probabilmente
richiederà anche una rivisitazione del precedente
accordo sulla formazione del 21 dicembre 2011 per i
lavoratori, i preposti e i dirigenti (n. 221/2011) e di
quello del 26 gennaio 2006 (n. 2407/2006) sulla
formazione di RSPP e ASPP.
Lo stesso comma 14-bis dell’art. 37 del D.Lgs. n.
81/2008 prevede inoltre la formazione degli allievi
e degli universitari ed obbliga gli istituti d’istruzione e universitari a rilasciare ai propri allievi equiparati ai lavoratori, gli attestati di avvenuta formazione
sulla salute e sicurezza sul lavoro.
L’equiparazione opera qualora sia fatto uso di
laboratori, di attrezzature di lavoro in genere, di
agenti chimici, fisici e biologici, comprese le apparecchiature fornite di videoterminali, limitatamente ai
periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato
alla strumentazioni o ai laboratori stessi.
SPP PRIORITARIAMENTE INTERNO
DELLE FIGURE DELLA PREVENZIONE
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Importante semplificazione è stata introdotta per la
formazione delle figure della prevenzione, con
l’obiettivo di evitare la sovrapposizione di attività
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Altra importante modifica riguarda il SPP, i cui
componenti devono essere scelti prioritariamente
all’interno dell’azienda: « il datore di lavoro deve
organizzare il SPP prioritariamente all’interno
della azienda o dell’unità produttiva o deve incaricare persone o servizi esterni costituiti anche presso
le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi
paritetici, secondo le regole previste dallo stesso
articolo ». Il datore di lavoro deve, quindi, dimostrare di aver fatto il possibile per organizzare il servizio
di prevenzione e protezione internamente all’azienda
e deve giustificare nel documento di valutazione dei
rischi quali possono essere i motivi che eventualmente impediscono l’organizzazione interna del servizio.
Resta fermo per i datori di lavoro delle micro e
piccole imprese, la facoltà di svolgere direttamente i
compiti di prevenzione e protezione.
APPALTI
IN EDILIZIA , ESTENSIONE A SPETTA-
COLI E MODELLI SEMPLIFICATI
Ulteriori modifiche sono state apportate alla disciplina sui lavori edili contenuta nel Titolo IV, D.Lgs. n.
81/2008. Tra i casi di esclusione dal regime previsto
da questo Titolo, oltre i lavori relativi a impianti
elettrici, alle reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento, anche i piccoli lavori la
cui durata presunta non è superiore a dieci uomini-giorno, finalizzati alla realizzazione o alla manutenzione delle infrastrutture per servizi che non
espongano i lavoratori ai rischi di cui all’Allegato XI al
D.Lgs. n. 81/2008.
Il nuovo articolo 104 bis del D.Lgs. n. 81/2008
prevede “modelli semplificati” per la redazione del
piano operativo di sicurezza (POS), del piano di
sicurezza e di coordinamento (PSC), del fascicolo
dell’opera e del piano di sicurezza sostitutivo (PSS).
Tali modelli semplificati da utilizzare dovranno essere
resi pubblici tramite decreto interministeriale, previa
intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. Il decreto
di prossima emanazione dovrà essere in linea con
l’allegato 14 del Titiolo 4 che stabilisce i contenuti
minimi di PSC, POS, PSS, prevedendo dei modelli
che priviliggeranno le scelte progettuali, organizzative e procedurali, anche con un maggiore uso di
disegni e tavole esplicative, rispetto agli aspetti
ripetitivi o meramente documentali.
Inoltre il legislatore ha esteso le norme del Titolo IV
agli spettacoli musicali, cinematografici e teatrali
e alle manifestazioni fieristiche, al fine di contrastare il preoccupante andamento infortunistico che si
è registrato in queste attività nel corso degli ultimi
anni, con incidenti anche mortali in occasione
dell’allestimento di palchi per spettacoli vari. Trattandosi, tuttavia, di attività che presentano evidentemente delle specificità che le differenziano dai comuni
cantieri edili, la stessa disposizione ha rinviato a un
successivo decreto interministeriale, anch’esso di
prossima emanazione, che dovrà stabilire le norme
applicative del Titolo IV tenendo conto delle particolari esigenze connesse allo svolgimento delle stesse.
SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA DI DURC
L’art. 31 della Legge 98/2013 estende la validità del
DURC da 90 a 120 giorni, dalla data del suo rilascio,
nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di
cui al D.Lgs. 163/2006 e al D.P.R. 207/2010. Tale
estensione risulta applicabile solo ed esclusivamente
ai DURC rilasciati dopo l’entrata in vigore del decreto, ovvero dopo il 21 agosto 2013, mentre per quelli
rilasciati in data antecedente rimangono in vigore le
diposizioni previste dalla disciplina previgente,
ovvero 90 giorni. Il documento deve essere acquisito
d’ufficio dalle pubbliche amministrazioni.
Inoltre sino al 31 dicembre 2014 il Legislatore ha
esteso la durata a 120 giorni di validità del DURC
anche ai lavori edili privati. Viene inoltre eliminato
l’obbligo di richiesta del DURC per i lavori di
manutenzione realizzati senza ricorso a imprese
direttamente in economia dal proprietario. Per
ulteriori approfondimenti si rimanda alla Circolare n.
36 del 6 settembre 2013 del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali.
SEMPLIFICAZIONE
DELLA DENUNCIA DEGLI
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INFORTUNI SUL LAVORO
Il legislatore ha rivisto nuovamente anche la disciplina in materia di denuncia degli infortuni sul lavoro,
modificando nuovamente l’art. 56, comma 1 del
D.P.R. n. 1124/1965, stabilendo che a decorrere dal
1° gennaio 2014 l’INAIL dovrà trasmettere telematicamente, attraverso l’istituendo Sistema informativo
nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro
(SINP), alle autorità di pubblica sicurezza, alle
Aziende Sanitarie, alle autorità portuali, marittime e
consolari, alle direzioni territoriali del lavoro i dati
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relativi alle denunce di infortuni sul lavoro mortali e
di quelli con prognosi superiore a trenta giorni. È
stata anche confermata l’abrogazione dell’art. 54,
D.P.R. n. 1124/1965, che prevedeva l’obbligo di
denuncia nel termine di due giorni all’autorità locale
di P.S. di ogni infortunio sul lavoro che abbia per
conseguenza la morte o l’inabilità al lavoro per più di
tre giorni, ma rimane fermo che il datore di lavoro ha
l’obbligo di denunciare, entro 48 ore dall’evento,
l’infortunio all’INAIL con modalità telematica.
Queste modifiche, tuttavia, non saranno immediatamente operative in quanto entreranno in vigore dal
centottantesimo giorno successivo alla data di entrata
in vigore del decreto attuativo del SINP (art. 8,
comma 4, D.Lgs. n. 81/2008).
NUOVA TEMPISTICA PER LE VERIFICHE PERIODICHE DELLE ATTREZZATURE
Ancora ulteriori modifiche sono state introdotte in
materia di verifiche obbligatorie delle attrezzature di
lavoro qualificate a maggior rischio infortunistico e
inserite nell’elenco contenuto nell’Allegato VII del
D.lgs. 81/08 (apparecchi di sollevamento, apparecchi
a pressione,..); è rimasto fermo che la prima di
queste verifiche è effettuata dall’INAIL che, pero’, vi
deve provvedere entro il termine di quarantacinque
giorni - e non più sessanta - dalla data di presentazione della richiesta.
Qualora l’INAIL non provveda entro questo termine,
o ne comunichi l’indisponibilità, allora il datore di
lavoro potrà avvalersi, a propria scelta, di altri soggetti pubblici o privati abilitati.
Per quanto riguarda, invece, le verifiche periodiche
successive alla prima, il datore di lavoro potrà
rivolgersi all’ASL (ASP) o a soggetti pubblici o privati
abilitati.
È opportuno osservare che, per quanto riguarda le
verifiche successive, è scomparso il riferimento al
termine dei trenta giorni per l’effettuazione delle
stesse; rimane comunque fermo il ruolo di soggetto
titolare della funzione da parte dell’ASP e dell’INAIL e
quindi di controllo sui soggetti pubblici o privati
accreditati .
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MISURE
DI SEMPLIFICAZIONE PER LE PRESTA-
ZIONI LAVORATIVE DI BREVE DURATA
L’Art. 35 della legge n. 98/2013 prevede che, con un
successivo decreto attuativo, sarà definito un regime
semplificato per gli adempimenti in materia di
sicurezza sul lavoro relativamente ai lavoratori occupati per un periodo non superiore a cinquanta
giornate lavorative nell’anno solare di riferimento.
Le semplificazioni riguardano l’informazione, la
formazione e la sorveglianza sanitaria con l’obiettivo
anche di evitare duplicazioni di adempimenti di
questo tipo assolti dallo stesso o da altri datori di
lavoro nei confronti del lavoratore durante l’anno
solare in corso. Con un ulteriore decreto saranno,
altresì, definite misure di semplificazione degli
adempimenti relativi all’informazione, formazione,
valutazione dei rischi e sorveglianza sanitaria per le
imprese agricole, con particolare riferimento a
lavoratori a tempo determinato e stagionali, e per le
imprese di piccole dimensioni.
SEMPLIFICAZIONE
IN MATERIA DI PREVENZIO-
NE INCENDI
Gli enti e i privati responsabili delle nuove attività
introdotte all’Allegato I al D.P.R. n. 151/2011, e di cui
all’art. 11, comma 4, sono esentati dalla presentazione dell’istanza preliminare (art. 3 del sopra citato
decreto) qualora siano già in possesso di atti abilitativi riguardanti anche la sussistenza dei requisiti di
sicurezza antincendio rilasciati dalle competenti
autorità.
Inoltre, fermo restando la semplificazione per questi
soggetti, è concessa la proroga al 7 ottobre 2014
per la presentazione dell’istanza preliminare, di cui
all’art. 3, e dell’istanza, di cui all’art. 4, D.P.R.
151/2011.
SISTEMA DI QUALIFICAZIONE DELLE IMPRESE E
DEI LAVORATORI AUTONOMI
«Con il decreto del Presidente della Repubblica di
cui all’articolo 6, comma 8, lettera g ), sono individuati i settori, ivi compresi i settori della sanificazione del tessile e dello strumentario chirurgico, e i
criteri finalizzati alla definizione di un sistema di
qualificazione delle imprese e dei lavoratori
autonomi, con riferimento alla tutela della salute e
sicurezza sul lavoro, fondato sulla base della
specifica esperienza, competenza e conoscenza,
acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati, .....». Dunque il potere di definire il sistema di
qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, previsto dall’art. 27 del D.Lgs. n. 81/08, viene
trasferito dalla Commissione Consultiva permanente
al Governo, sentite le Commissioni parlamentari.
SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA EDILIZIA
L’art. 30 della Legge 98/2013 contiene le semplificazioni in materia edilizia. Di seguito le più significative.
L’agibilità parziale
All’articolo 24 del DPR 380/2001 (T.U. in Edilizia) è
stato aggiunto il nuovo comma 4-bis: «Il certificato
di agibilità può essere richiesto anche:
Proroga dei termini di inizio e fine lavori
I titoli abilitativi (Permesso di costruire, DIA, SCIA)
rilasciati prima dell’entrata in vigore della legge n.
98/2023 sono prorogati di due anni, previa comunicazione dell’interessato e purché i titoli abilitativi
non siano in contrasto con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati.
Scia per le ristrutturazioni con cambio di sagoma
Le ristrutturazioni consistenti nella demolizione e
ricostruzione dell’edificio con una forma diversa,
ma con lo stesso volume, non avranno bisogno del
permesso di costruire, ma potranno usufruire della
procedura semplificata, SCIA, in base alla quale i
lavori possono iniziare nello stesso giorno in cui
viene presentata la domanda. Nei centri storici i
Comuni dovranno individuare entro il 30 giugno
2014 le aree escluse dalla semplificazione.
*Rappresentante Coordinamento delle Regioni c/o Min.
Lavoro per l’attuazione del “Decreto del fare”; componente
GdL “Sicurezza e Prevenzione Incendi” del CNI
** Ingegnere c/o SPRESAL –ASP Caltanissetta
a) per singoli edifici o singole porzioni della
costruzione, purché funzionalmente autonomi,
qualora siano state realizzate e collaudate le
opere di urbanizzazione primaria relative all’intero intervento edilizio e siano state completate e
collaudate le parti strutturali connesse, nonché
collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti
comuni;
b) per singole unità immobiliari, purché siano
completate e collaudate le opere strutturali
connesse, siano certificati gli impianti e siano
completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto
all’edificio oggetto di agibilità parziale.»
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Il Procedimento alternativo alla richiesta di
agibilità
All’art. 25 del DPR 380/2001 viene aggiunto un
nuovo comma 5 bis con il quale si prevede l’individuazione di un procedimento alternativo alla
richiesta di agibilità.
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5
LA RIGENERAZIONE DEI CENTRI STORICI
E DI TUTTO IL COSTRUITO É IL CANTIERE DEL FUTURO
di Nicola Colombrita
La società globalizzata, nel complessivo fallimento
delle politiche economiche europee dove il solo
aspetto funzionante è quello della finanza speculativa
che violenta i più deboli e favorisce le nazioni più
disciplinate, non può farci dimenticare la storia e
l’altissima qualità della vita dei nostri centri abitati.
L’esempio che per secoli abbiamo dato al mondo di
convivenza civile nelle nostre magnifiche città, con i
mercati che posti nel cuore della città rappresentano
il luogo di incontro di tutti i ceti sociali, non può
essere cancellato dalla politica di austerità del
commissario europeo per gli affari economici e
monetari Olli Rehn, che dalla nordica Finlandia,
impone le politiche di stabilità di bilancio alle
nazioni mediterranee che, se devono decisamente
migliorare il proprio senso etico e di rispetto del
prossimo, non possono dimenticare le profonde
diversità con i virtuosi paesi del Nord.
A sedici anni ed ebbi la fortuna di visitare i paesi
scandinavi. Nel 1970 la Finlandia era un paese
estremamente povero, di confine tra la Russia bolscevica e l’Europa, ma già allora il rispetto del prossimo
prevaleva sull’interesse privato: case povere, ma
piazze fiorite e pulitissime. I ragazzi, dopo aver acceso la sigaretta, non buttavano a terra nemmeno il
fiammifero usato, lo riponevano rovesciato nella
scatoletta che poi alla fine veniva cestinata.
Quanta differenza con la mia Catania degli anni 70
ove spesso per la mancata raccolta dei rifiuti, i cumuli arrivavano al primo piano delle abitazioni, o oggi
con alcune case di Librino, ove a volte i marmi “Rosa
del Portogallo” dei bagni privati, si contrappongono
alle fognature a cielo libero e a montagne di spazzatura.
Lo sviluppo delle nostre città è stato squilibrato e
disordinato. Eppure ricordo da bambino a Catania la
raccolta dei rifiuti porta a porta anche nei palazzi
multipiano: siamo cresciuti male e di questa involuzione siamo tutti responsabili. Ora la grande sfrenata
corsa sembra essersi arrestata e quindi è il momento
di rivedere le nostre città prendendo ad esempio il
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nostro stesso passato e riqualificarle rigenerandole,
partendo dai nostri centri storici che rappresentavano i luoghi più belli e più a misura d’uomo ove vivere al mondo.
Adeguare le nostre case ai moderni criteri antisismici
e riqualificarle dal punto di vista energetico si può
fare a costi convenienti, e con innegabili vantaggi in
termini di sicurezza, risparmio e aumento del valore.
Gli straordinari vantaggi fiscali che lo Stato concede
per i lavori, che oggi arrivano ad un rimborso in dieci
anni del 65 % dei costi sostenuti, costituiscono
un’occasione da non perdere ed architetti, ingegneri
e geometri devono farsi promotori della diffusione
di una cultura dell’adeguamento energetico ed antisismico, illustrando ai proprietari gli enormi vantaggi
economici.
Il settore edile ha la triste prerogativa di eccellere
nella classifica dei posti di lavoro persi dall’inizio
della crisi: circa 450.000, che diventano 650.000 se si
considera tutta la filiera delle costruzioni, oltre la
metà dei posti distrutti nell’intera economia italiana.
A Catania, in base ai dati della Cassa Edile, il monte
salari complessivo pagato dalle imprese agli operai ha
registrato un calo di quasi il 50% rispetto all’importo
raggiunto nel 2008, pasando da 200 milioni a 100
milioni di Euro. Non è una mancata crescita è una
distruzione di attività, una regressione ai valori di
produzione che si realizzavano 40 anni fa. A queste
criticità si aggiunge una politica fiscale depressiva che
colpisce l’occupazione invece di incoraggiarla: il peso
di tasse e oneri contributivi sulle buste paga dei
nostri operai è enorme e sconfortante, pari a oltre il
65 %: per garantire un salario di € 1.400 l’impresa di
costruzioni ne spende oltre 4.000.
Un recupero può avvenire come già avviene soprattutto al Nord Italia. L’edilizia residenziale dovrà
orientarsi principalmente all’adeguamento del patrimonio edilizio esistente. Gli interventi di adeguamento e di demolizione e ricostruzione rappresentano il futuro delle imprese di costruzione consapevoli
che prima di occupare nuovo suolo libero è necessa-
rio adeguare il tessuto urbano esistente. Ciò in linea
con l’attenzione nazionale e la consapevolezza che le
aree urbane rappresentano un fattore strategico per
la crescita e solo affrontando e risolvendo i problemi
della città si potranno ritrovare elevati tassi di crescita. Il 50% della popolazione mondiale oggi vive nelle
città e si prevede che tra qualche decennio tale quota
salirà al 75 %. Chiediamo per questo al sindaco
Bianco ed all’assessore Di Salvo, che hanno dimostra-
to per questi argomenti una particolare ed encomiabile attenzione, che oltre a consentire le azioni nel
nostro magnifico centro storico, promuovano una
rivisitazione del “Piano casa” e facciano sì che il
nuovo PRG dell’area metropolitana di Catania preveda consistenti premialità in cubatura per gli
interventi di riqualificazione anche per le “zone B”
che registrano la maggiore concentrazione di edifici
che richiedono un adeguamento.
Stralcio planimetrico del Centro Storico allegato all’ultima proposta di PRG con l’individuazione delle tipologie edilizie
LEGENDA
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SUL DEFLUSSO DELLE ACQUE METEORICHE AL VILLAGGIO S.M. GORETTI:
IL FOSSO FONTANAROSSA
di Salvatore Ferracane
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Abstract
L’urbanizzazione ,molto spesso incontrollata negli
ultimi decenni, ha causato una irreversibile modifica
dei suoli soprattutto dal punto di vista idraulico. Ciò
ha comportato criticità sempre più importanti nei
deflussi meteorici che sono causa di notevoli danni al
territorio, specie se ci si riferisce a bacini comprendenti aree fortemente urbanizzate, com’è per
l’appunto quella di Catania Sud- zona Villaggio
S.M.Goretti. I suddetti bacini difatti displuviano le
acque meteoriche attraverso manufatti idraulici e
canalizzazioni ( definiti molto spesso torrenti) che
hanno mantenuto la loro geometria al cospetto
di importanti incrementi del livello di impermeabilizzazione dei suoli. Ne consegue un incremento del
ruscellamento e delle portate di piena.
Occorre pertanto rivedere le sezioni di talune opere
di scolo con riferimento alla mutata condizione di
bacino e con riferimento non solo a tempi di ritorno
bassi ma con l’obiettivo di pervenire ad una difesa
idraulica del territorio.
Modelli matematici appropriati possono “aiutare” a
risolvere il problema con
un accettabile margine
d’errore. Nel seguito si
riportano alcune considerazioni sul fosso Fontanarossa, apparentemente
poco importante dal
punto di vista idraulico e
sconosciuto dai non
addetti ma che riveste un
ruolo importante per il
deflusso delle portate
della zona del villaggio
Fig. 1
S.M.Goretti.
Catania Siracusa, ma soprattutto anche la vita degli
abitanti dell’ormai tristemente famoso quartiere
S.M.Goretti.
Ironia della sorte, il quartiere nasce nel 1951 allorchè
l’ESCAL ( Ente siciliano case lavoratori) lo costruì per
ospitare gli sfollati dell’alluvione.
Già nel 1931 il Programma di fabbricazione prevede
una zona di insediamento di edilizia economica
popolare nei pressi della “fossa fontanarossa”. Il
popoloso sito, assieme al quartiere Villaggio S.Agata e
Zia Lisa rappresenta il così detto contenitore residenziale della Municipalità.
Il quartiere, dalla sua nascita, è stato martoriato da
pesanti problemi di natura idraulica:la carenza di
valide opere di drenaggio e le sue caratteristiche
morfologiche ( l’abitato è posto ad una quota inferiore rispetto alle zone circostanti) sono cause di
pesanti allagamenti ogni qual volta piogge ,anche
non straordinarie,si abbattono sul territorio. Come si
può evincere dalla fig.1 il villaggio è delimitato a nord
Il fosso fontanarossa
La zona sud di Catania è affetta ormai da troppo
tempo da fenomeni di allagamento importanti che
mettono a rischio non solo le infrastrutture , talune
importanti quali l’aerostazione o la linea ferroviaria
e ad est dal torrente Forcile,ad ovest dalla via fontanarossa, a sud dalla via S.M.Goretti lungo la quale corre
il fosso fontanarossa.
La zona si presente fortemente urbanizzata; negli
ultimi anni l’ampliamento dell’aeroporto e dei
parcheggi limitrofi hanno contribuito notevolmente
ad incrementare la percentuale di territorio impermeabilizzato. Il sito dunque è difatti un catino che
oltre la sua capacità deve sopportare anche le
frequenti esondazioni del torrente Forcile e del fosso
Fontanarossa stesso.
Il fosso , nel contesto, assume importanza fondamentale perché rappresenta lo scarico di una quota parte
dell’aeroporto internazionale di Catania e di tutta
una serie di parcheggi che, spesse volte situati in
posizione depressa rispetto il fondo del fosso,
scaricano in maniera puntuale le acque meteoriche
accumulate dentro le aree di loro pertinenza ( diverse migliaia di metri quadrati rigorosamente asfaltati e
senza nessun accorgimento per limitare l’afflusso)
attraverso pompe di sollevamento.
Tra gli eventi più disastrosi vanno ricordati quelli
degli anni 2003 e 2006. Il 15 Ottobre del 2003 è
bastata una violenta ma breve pioggia a lasciare gli
abitanti nello sconforto; il quartiere si trasformò in
una grande laguna; “strade e cortili allagate, abitanti in fuga verso i piani alti delle case”, così Mario
Barresi sulla Sicilia del 17 Ottobre 2003. Tre anni più
tardi, il fenomeno si ripetè per ben due volte: il
primo il 13- 14 Ottobre del 2006 ed il secondo il 2122 Ottobre. Nei giorni successivi a tale evento il
Comune di Catania, con una straordinaria mobilitazione di uomini e mezzi iniziò tempestivamente una
intensa azione di manutenzione dei corsi d’acqua (
fosso fontanarossa, torrente Forcile,caditoie e collettori del villaggio).
Il successivo evento, dopo questi interventi di manutenzione, avvenne nel 2011 ( gli eventi del 2008 e
20010 furono affrontati con un sufficiente grado di
sicurezza). In quest’occassione , l’evento meteorico
venne preceduto da una forte grandinata che occluse
ancor più il sistema di fossi e canali di scolo del
bacino di interesse: una grande portata d’acqua
invase non solo l’aeroporto civile e tutte le strutture
ad esso adiacente ma , attraverso la via privilegiata
costituita dalla strada di accesso all’ex aeroporto
militare Filippo Eredia pervenne all’interno del
quartiere già dopo la fine dell’evento meteorico.
Gli interventi del Comune consistenti nella pulizia
degli alvei almeno nelle sezioni più significative si
stanno ormai svolgendo con cadenza annuale e
prima dell’autunno ; inoltre sono altresì di prossima
realizzazione alcune opere strutturali tese comun-
que solo a mitigare gli effetti degli allagamenti ma
non certo ad eliminarli ;essi consisteranno nella
realizzazione di un sollevamento aggiuntivo delle
acque al fine di migliorare l’allontanamento e ridurre
al minimo i fenomeni di allagamento almeno per
piogge non eccezionali e la realizzazione di alcuni
tratti di collettori pluviali in zona aeroporto ( ingresso di via Fontanarossa) e sulle circostanti vie Melilli e
Brucoli con sbocco sul Forcile a valle della rotonda
dell’”aeroplanino”.
Le frequenze con cui si sono verificate tali fenomeni
non consentono di addebitare le colpe agli eventi di
precipitazione: è evidente che sussitono gravi
deficienze nel sistema di drenaggio delle acque e che
i forti processi di impermeabilizzazione dei
suoli,determinati dall’espansione del sedime aeroportuale,hanno pesantemente calcato la mano su una
situazione già di per sé grave.
Sulle possibili cause degli allagamenti:
Da una prima analisi si può affermare che la causa
principale degli allagamenti è costituita oltre
alle acque che, nel corso della precipitazione,
cadono all’interno del villaggio ( oserei dire del
catino), dal rigurgito del torrente Forcile e del Fosso
Fontanarossa.
Una ulteriore causa, anche se con peso modesto
rispetto alle precedenti, è costituita dalle acque che
ruscellano sulla via Fontanarossa e su via S.M.Goretti,
acque che possono raggiungere il villaggio attraverso
i varchi d’ingresso esistenti su queste strade. Per
ultimo, l’evento del 20011 ha fatto denotare che una
ennesima insidia è costituita dal rigurgito di un altro
fosso-canale esistente a ridosso della linea ferrata
Catania-Siracusa nel tratto che va dalla confluenza del
torrente Forcile all’aeroporto civile ( fig 2.) del quale
sono frontisti , la SAC ( la strada perimetrale di
controllo è adiacente al fosso), gli insediamenti
reparto volo della guardia costiera,della guardia di
finanza, dei carabinieri e dell’aeronautica militare.
Tale fosso,è stato da recente ripulito nel suo tratto
terminale prima della confluenza con il torrente
Forcile ad opera della Rete Ferroviaria Italiana; la
restante parte risulta ancora occlusa.
L’aumento del lasso di tempo con cui si sono verificati gli eventi più pesanti , da due anni a cinque dimostra l’importanza degli interventi di manutenzione
sui fossi e torrenti che interessano il quartiere, sebbene certamente da soli non possono considerarsi
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risolutivi dell’intero problema.
Altra causa è da ricercarsi nel
malfunzionamento della rete
di drenaggio del villaggio,
costituita da una serie di collettori interni che pervengono ad
un “emissario” che adduce le
acque ad un sollevamento
sito nella zona adiacente al
sottopasso della via S.G.La
Rena, e da una condotta del
diametro 500 mm che, correndo lungo la via S.M.Goretti in
direzione ovest – est raccoglie
le acque di scolo della stessa
Fig. 2
via per addurle nel fosso fontanarossa; tuttavia ciò non accade con successo in
quanto durante le precipitazioni il livello idrico sul
fosso s’innalza lasciando sotto battente gli scarichi
della rete di drenaggio che non può, dunque funzionare a dovere.
E’ facile dimostrare che dal confronto fra le portate
di piena per i vari tempi di ritorno con le portate
massime convogliabili si denotano delle sezioni
critiche su cui porre l’attenzione di interventi non
rinviabili.
Calcolo delle portate di piena
Il calcolo delle portate di piena del fosso non può
prescindere dalla determinazione delle aree scolanti
(fig.2) è delimitata a sud dallo stradale Primosole e
dalla SP 69/I°, ad est dal mare, a nord dal Villaggio
S.M.Goretti e ad ovest dalla linea ferrata Ct-SR.
L’estensione dell’area è di circa 1,7 Kmq, ovviamente
pianeggiante con andamento ovest-est e altitudine
massima di 14 m s.l.m.
Le infrastrutture che interessano un’area di circa 0,4
Kmq sono adibite all’attività di volo ( pista,piazzole di
sosta,bretelle di rullaggio,strade di servizio perimetrali ed interne, parcheggi esterni ) I rimanenti suoli
sono incolti con vegetazione spontanea,tranne quelli
a ovest che presentano un discreto grado di
impermeabilizzaione ( aree di pertinenza militare). A
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Fig.3 :Aree scolanti dell’aeroporto
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e delle relative caratteristiche riguardanti anche la
caratterizzazione morfo-litologica della zona di pertinenza dell’aeroporto civile.
L’aeroporto ricade nella zona sud di Catania ( quartiere S.Giuseppe alla Rena) e la sua area di pertinenza
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nord il grado di impermeabilizzazione è ancora più
elevato, visto il proliferare di parcheggi sorti di pari
passo all’ampliamento dell’aerostazione. Dal punto
di vista litologico i terreni sono di tipo alluvionale
fluviale , mentre più pesanti ( argille e limi) risultano
i terreni della parte ovest ( insediamenti della G.d.f,
Maristaeli, Guardia costiera,Carabinieri reparto volo,
Aeronautica militare); nella parte est invece si riscontrano terreni prevalentemente sciolti( sabbie a media
granulometria).
Le acque provenienti dalla zona nord ed ovest
dell’area del sedime aeroportuale scaricano nel fosso
fontanarossa che si sviluppa (fig.3) all’interno dei
parcheggi prospicienti l’aeroporto, le altre zone
attraverso una serie di collettori fognari scaricano
sulla battigia ( prossimità attuale lido Gled).
Il fosso raggiunge la via S.G. la Rena dopo un percorso di circa 1 Km in corrispondenza della quale, dopo
un attraversamento in tombinatura confluisce nel
torrente Forcile proveniente dal bacino omonimo.
La sezione del fosso è trapezoidale, non rivestita e
interessata da una folta vegetazione (canne) che il
Comune di Catania provvede periodicamente ad
eliminare insieme ad una quantità non indifferente
di rifiuti d’ogni genere.
Le sezioni di interesse considerate sono, con riferimento alla fig.4, la sez. 17, relativa alla linea di scarico secondaria dell’aeroporto in un canale in terra che
perviene al fosso , la sezione T in corrispondenza del
tombino che permette di attraversare la strada di
Sovrappassi nel tratto parallelo a via S.M.Goretti
Sezione T prima dell’intervento del Comune
Sezione T dopo l’intervento
Scarico dell’aeroporto nel canale che adduce al fosso
(Sezione di verifica 17)
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Interno del tratto tombinato prima della confluenza nel Forcile
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il canale prima della manutenzione del 2012
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Fig. 4
accesso all’aerostazione da via S.M.Goretti ( ricadente
in aerea aeroportuale); di particolare interesse sono
poi da considerare una serie di sezioni (indicate con
A in fig.4) che rappresentano sovrappassi sul corso
del fosso nel tratto parallelo a via S.M.Goretti costituiti da tubi circolari del diametro fi 1500- fi 800 ( anche
affiancati). Il Comune di Catania , al fine di evitare
esondazioni del fosso Fontanarossa,ha previsto opere
che rientrano in un progetto denominato piano di
“interventi atti a fronteggiare l’emergenza allagamenti nel Villaggio S.M.Goretti”. Alcuni di essi sono
stati già realizzati: il primo ha riguardato la sezione T
ove il tombino in precedenza costituito da due tubi
affiancati da 800 mm è stato ricostruito con una
sezione rettangolare (B= 4m; H= 1,30). Altro
intervento ha riguardato la confluenza del Fosso
Fontanarossa con il Forcile; in questa sezione è stata
rimossa una vecchia paratoia , ormai non in uso da
molti decenni, ed allargata la sezione di sbocco. Altri
interventi, ancora non definiti, riguardano la sistemazione dei sovrappassi ( sezioni A).
Uno dei più recenti calcoli delle portate di piena è
stato eseguito dall’ing.L.Magnante e riportato in una
tesi di laurea ( relatori Chiar.mi proff. Carlo Modica e
Alberto Campisano – ) “ Sulle possibili cause degli
allagamenti del Villaggio S.M.Goretti: Indagine sul
Fosso Fontanarossa”dell’ing. Luigi Magnante.
Il calcolo condotto con i due metodi ( corrivazione e
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Legenda giudizi:
A: sezione sufficiente per tempi di ritorno di 20 anni - B: sezione sufficiente per tempi di ritorno di 10 anni - C:sezione sufficiente per tempi di
ritorno di 5 anni - D: sezione sufficiente per tempi di ritorno di 2 anni - E: sezione sufficiente per tempi di ritorno inferiori a 2 anni
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invaso lineare) non ha fornito sostanziali difformità
per tempi di ritorno di 2,5,10 e 20 anni.
Per le piogge critiche sono stati presi in considerazione i dati di precipitazione registrati dalla stazione del
Genio Civile di Catania,sita nei pressi della zona di
interesse a quota 3 s.m.m., stazione che appartiene
alla rete UIR della Regione Siciliana.
Si sono calcolate pi, per le sezioni di interesse,
le portate massime con la formula di GaucKler –
StricKler adottando un coefficiente di scabrezza pari
a 70 per i canali in cls e a 35 per i corsi d’acqua.
Tuttavia nel caso delle verifiche riguardanti le sezioni
T (prima e dopo l’intervento del Comune di Catania)
ed A è stato necessario procedere al calcolo delle
perdite di carico localizzate e continue determinate
da brusche variazioni geometriche della sezione del
fosso.
La tabella seguente mostra i risultati ottenuti e
fornisce , per le sezioni di interesse, un giudizio ( da
A a D) sulla sufficienza delle sezioni esaminate in
funzione dei tempi di ritorno
Dai risultati delle verifiche è risultato evidente che
alcune delle sezioni esaminate non sono sufficienti a
convogliare le portate di piena. Tuttavia sono sezioni
in cui il Comune di Catania ha già previsto degli
adeguamenti atti ad eliminare tali insufficienze.
Un chiaro esempio dell’importanza di tali adeguamenti è rappresentata dalla sezione del tombino che
permette al fosso di attraversare la strada di accesso
aeroportuale. Si è passati da una sezione assolutamente insufficiente ad una abbastanza adeguata al
caso in questione. Di contro la presenza di ulteriori
strozzature a valle renderebbe vano tale adeguamento, in quanto si avrebbero rigurgiti a monte.
Lo studio dell’evento meteorico ha avuto l’importante scopo di confermare che in realtà l’accumulo di
volumi d’acqua così elevati ( si sono registrate altezze
di ben 50 cm ) non è dipeso esclusivamente dalla
precipitazione diretta sulla zona in questione.
Si può concludere quindi che in assenza della
minima manutenzione o meglio ancora di opere
strutturali importanti la possibilità di esondazione
del fosso non è remota.
tro il mantenimento in perfetta pulizia degli argini e
l’approntamento di interventi localizzati lungo
l’alveo che permettano il regolare deflusso; l’altro, di
ben altro spessore, ma che deve essere perseguito
anche a costo di importanti interventi urbanistici
,consiste nell’adeguamento delle sezioni idrauliche
per permettere il regolare deflusso anche con tempi
di ritorno maggiori , nella costruzione di vasche di
laminazione,nell’ipotesi di deviazione del corso
d’acqua ( sistema Forcile- Fontanarossa) .
Il problema assume connotazioni importanti che, a
mio avviso comunque non possono essere risolti con
la “semplicistica” ipotesi di delocalizzazione del
villaggio per tutta una serie di problematiche di ovvia
intuizione ma che esulano dall’aspetto tecnico che si
vuole affrontare in questa sede e che si lascia ad un
auspicato ampio dibattito del civico consesso.
Ci si auspica che le prossime scelte urbanistiche
tengano conto di un corretto assetto idraulico del
territorio divenuto ormai imprescindibile anche
attraverso l’introduzione di norme nei piani d’attuazione che abbiano lo scopo di ridurre il rilascio di
afflussi in fognatura o nei canali con pratiche peraltro
già collaudate in altre regioni italiane. Tanto è
attuale il problema nella nostra città che, per assetto
idraulico, assimila i corsi d’acqua che l’attraversano
quali emissari delle fogne pluviali interne prima dello
sbocco a mare.
Bibliografia:
Luigi Magnante: “ Sulle possibili cause degli allagamenti del Villaggio S.M.Goretti: Indagine sul Fosso
Fontanarossa
Archivio Fognature del Comune di Catania
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Conclusioni
Alla luce di quanto dedotto si ritiene che devono
ricercarsi soluzioni che ritengo abbiano due ordini
temporali: uno, di immediata applicazione è senz’al33
SOCIAL HOUSING
di Marco Bonelli
Salvatore Bonaccorsi
Antonio Iannizzotto
La questione abitativa, vista l’alta percentuale delle
famiglie italiane proprietarie di case è stata a lungo
relegata ai margini delle agende politiche nazionale e
locali.
La crisi economica degli ultimi anni ha interessato
anche il settore immobiliare, settore in cui nel decennio precedente, i prezzi delle case erano notevolmente aumentati, anche grazie all’espansione del credito
nel settore immobiliare e a politiche di incentivo alla
proprietà della casa. La somma di questi due fattori
appena elencati, ha comportato un aumento delle
difficoltà di accesso all’abitare, soprattutto per le
famiglie non proprietarie di abitazioni.
È cresciuta così la domanda di quelle famiglie che
hanno un reddito troppo alto per l’edilizia residenziale pubblica ma troppo basso per accedere al
mercato degli affitti e della proprietà.
Giovanni Caudo, uno dei curatori della mostra
L’Italia cerca casa, presentata alla Biennale di
Venezia del 2008, in una intervista rilasciata al
quotidiano Il Manifesto sostiene che “ le radici
dell’emergenza abitativa contemporanea sono diverse dalla storica vertenza casa. Per soddisfare il
fabbisogno abitativo degli anni ’70 bastava costruire
case. Oggi se ne costruiscono in abbondanza, ma
solo in libero mercato. La chiave del problema è
quella di affitti a prezzi sociali”.
Questo fenomeno ha fatto sì, che il tema del social
housing, inteso in senso lato come l’insieme delle
attività atte a fornire alloggi adeguati, attraverso
regole certe di assegnazione, a famiglie che hanno
difficoltà nel trovare un alloggio alle condizioni di
mercato perché incapaci di ottenere credito o perché
colpite da problematiche particolari, acquisisse
rilevanza a livello europeo.
Sembrava, ai più, che il problema abitativo, almeno
dal punto di vista numerico e riferito alla stragrande
maggioranza della popolazione che si è sempre
rivolta al libero mercato, fosse risolto, ma non si
erano fatti i conti con tutta una serie di questioni e
problemi legati, da una parte alle trasformazioni
demografiche e sociali in atto, dall’altra al progressi-
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vo aumento dei costi degli affitti per tutte quelle
famiglie che, pur non essendosi ancora indebitate
per acquistare casa, hanno sempre trovato posto
all’interno del mercato dell’affitto libero.
Ma quando non esistono alternative al libero mercato, anche perché non sono mai state intraprese
politiche pubbliche rivolte alla dotazione di un patrimonio immobiliare per l’affitto e dunque calmierante
dei prezzi delle locazioni,aumentano i canoni,
mediamente cresciuti del 49% nell’ultimo decennio
(1) , andando, per molte famiglie, ad incidere per
oltre 1/3 del loro reddito.
L’EDILIZIA POPOLARE E I SUOI LIMITI
In rapporto ad altri paesi europei, l’Italia registra una
percentuale estremamente bassa di edilizia popolare:
con una percentuale pari al 4% è , infatti, quello con
la minore quota di alloggi di edilizia sociale pubblica,
a fronte del 36% dell’Olanda, del 22% dell’UK e del
20% della media comunitaria.
L’offerta abitativa pubblica in Italia, dagli anni ’80, si è
ridotta del 90%. Dal 1984 al 2004 la produzione
edilizia di nuovi alloggi di residenza sovvenzionata è
calata da 34.000 abitazioni all’anno a 1900 (contro
oltre 80mila in Francia e 30mila in Gran Bretagna).
Andamento analogo si è registrato per le abitazioni
realizzate in regime di residenza agevolata o convenzionata, passate da 56mila a 11mila nel ventennio
considerato.
È del tutto evidente come la questione abitativa oggi,
come quarant’anni fa, torna ad essere una delle voci
principali del disagio socio-economico delle famiglie
italiane.
Il tema della casa pubblica in Italia, torna ad essere
particolarmente dibattuto in quanto, pur continuando a rappresentare per molte categorie di persone
una tra le emergenze sociali prioritarie, vede
introdurre, nelle ultime disposizioni legislative,
trasformazioni radicali nei principi e nelle finalità che
hanno da sempre dominato questo settore della politica italiana.
A fronte di tali dati è evidente la necessità di dotarsi
di un sistema di edilizia sociale che nasca da un
partenariato pubblico – privato, che consenta di
calmierare i prezzi di acquisto e di locazione.
LA CITTÀ E LA QUESTIONE ABITATIVA
La questione abitativa assume contorni più gravi in
alcune aree metropolitane (quali la città di Catania).
Il costo medio mensile per accedere all’affitto di una
casa è aumentato del 46,4% nell’ultimo decennio.
La questione abitativa segna il volto delle città. A
causa della insostenibilità dei costi delle abitazioni, si
registra un sensibile movimento centrifugo della
popolazione verso i comuni localizzati nelle corone
delle grandi aree urbane. Spostamenti che rientrano
all’interno dei fenomeni della “fuga dalla città” e
della periurbanizzazione, innescati, tra l’altro,
proprio dalle condizioni del mercato abitativo.
Spostamenti che producono nuovi problemi nella
vita urbana, con un forte aumento di city users ed un
carico sempre più forte che grava sulle infrastrutture
della mobilità, così come sulle infrastrutture sociali
dei Comuni di cintura.
Tutto questo a fronte di un patrimonio urbano abitativo “sommerso” inutilizzato o utilizzato tramite
affitti in nero, e di una disponibilità potenziale di
nuovi alloggi derivante dalla trasformazione e dal
risanamento di immobili già esistenti, altrimenti
destinati a divenire luoghi di degrado urbano.
Risulta evidente come la possibilità di accedere o
meno ad affitti a costi accessibili rappresenti per la
città un fattore di fondamentale importanza per il suo
dinamismo e la sua competitività.
COS’È IL SOCIAL HOUSING
Non è facile dare una definizione di social housing,
dal momento che questo termine viene utilizzato in
modo molto diverso nei pesi europei. Nel conteso
immobiliare italiano, con il termine social housing, si
fa riferimento ad un nuovo settore, che comprende
l’attività di sviluppo e gestione immobiliare, avente
ad oggetto l’insieme di alloggi e servizi rivolti a
coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il
proprio bisogno abitativo. La finalità è quella di
migliorare e rafforzare la condizione di queste persone, fornendo soluzioni al disagio abitativo tramite
interventi immobiliari, coordinati con l’utilizzo di
specifici azioni e strumenti.
L’housing sociale si pone inoltre come obbiettivo la
creazione di un contesto abitativo e sociale dignitoso,
all’interno del quale sia possibile, non solo accedere
ad un alloggio ed a servizi adeguati, ma anche a relazioni umane ricche e significative.
In tale contesto, il tema del fabbisogno abitativo
presuppone un approccio integrato che consideri gli
aspetti immobiliari del bene “casa” e gli aspetti
sociali dei “servizi” legati all’abitare.
Tale approccio prevede la realizzazione di progetti
immobiliari affiancati da programmi di accompagnamento e di facilitazione alla convivenza, al fine di
raggiungere due obbiettivi strettamente legati:
rispondere al bisogno abitativo e rafforzare le comunità locali.
L’housing sociale realizza alloggi e servizi per coloro
che non riescono a soddisfare il proprio bisogno
abitativo sul mercato, con l’obbiettivo di creare una
offerta abitativa sostenibile, assegnando un titolo di
preferenza alla locazione a medio-lungo termine.
I temi (sociali e abitativi) ai quali risponde l’edilizia
abitativa sociale, sono generalmente più rilevanti
nelle grandi aree metropolitane e nei Comuni ad alta
tensione abitativa, dove, in genere, si registra anche
un più marcato bisogno di locazione a canoni
calmierati.
BREVE STORIA DEL SOCIAL HOUSING
Il problema dell’intervento pubblico nel settore della
casa inizia a porsi nei Paesi europei dalla metà del
XIX secolo, con l’evoluzione economica spinta da
industrializzazione e urbanesimo. Nei primi tempi il
social housing non si afferma come una responsabilità della Stato, ma piuttosto come una iniziativa
privata, per provvedere alle precarie condizioni abitative della popolazione e soprattutto dei lavoratori.
Una nuova fase dello sviluppo del social housing, che
vede i governi nazionali attivamente coinvolti, si apre
dopo la Seconda guerra mondiale, quando ingenti
risorse vengono destinate alla ricostruzione. Questo
sviluppo può essere diviso in tre fasi:
- la prima fase dal 1945 al 1960, è definita la fase della
“ripresa”, perché finalizzata alla ricostruzione e alla
problematica della carenza di alloggi.
L’attività principale era costituita dalla costruzione di
immobili residenziali, che lo Stato provvedeva a
finanziare e sovvenzionare in misura cospicua; più
trascurati erano invece gli aspetti gestionali.
In questo periodo il social housing, con canoni
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inferiori al livello di mercato, mirava soprattutto alla
classe lavoratrice e al ceto medio;
- la seconda fase è la fase della “crescente diversità”
(1960 – 1975), durante la quale si afferma una
maggiore attenzione alla qualità edilizia e al rinnovamento urbano.
I governi devono confrontarsi con un calo della
domanda di alloggi sociali, determinata dal maggiore
benessere economico e da alcune delle conseguenze
negative dei programmi di social housing;
- la terza fase (1975 – 1990) fa seguito alla recessione
economica di fine anni ’70, quando obiettivo dei
governi diventa la riduzione dell’inflazione e della
spesa pubblica. È questa la fase delle “nuove realtà
per la casa”, che vede un progressivo disimpegno
economico da parte dello Stato e lo sviluppo di un
settore abitativo maggiormente orientato al mercato
concorrenziale e aperto alle pressioni economiche.
Conseguentemente, si riduce la quota percentuale di
alloggi sociali e soprattutto si restringe il campo dei
beneficiari. Significantemente diverso è stato il
percorso seguito dai Paesi dell’Europa orientale dopo
il 1945, quando l’Europa era politicamente ed economicamente divisa. I regimi comunisti di tali Paesi si
basavano su una economia collettivizzata, cui erano
soggette anche le politiche abitative. Il sistema che si
sviluppò si distinse per uno stock abitativo di
proprietà pubblica e di scarsa qualità, nonché per
inefficienza ed onerosità.
Tale sistema ha subito grandi cambiamenti dopo il
1989, quando questi Paesi hanno iniziato la transizione da una politica abitativa pianificata ad una più
orientata al mercato.
OBIETTIVI E RUOLO DELL’EDILIZIA SOCIALE
Lo scopo fondamentale di ogni politica abitativa è
quello di garantire a tutta la popolazione un alloggio
adeguato per qualità, dimensioni e costi. Ma non
solo, perché le politiche abitative si pongono ulteriori obiettivi qualitativi, definiti secondo un ordine di
priorità che può variare di Paese in Paese. Ad esempio
possono proporsi di combattere l’esclusione sociale,
di sostenere il mix sociale, di contribuire all’equilibrio del mercato abitativo, di promuovere il
risparmio energetico, o di offrire sufficienti garanzie
agli affittuari contro lo sfratto. Il successo di tali
politiche dipende dalla combinazione di strumenti
diversi.
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Il social housing è uno di questi strumenti. La funzione specifica affidata ad esso nei diversi Paesi europei,
può essere definita come quella di soddisfare i
bisogni abitativi della popolazione in termini di
accesso e permanenza in abitazioni adeguate e a
prezzi accessibili. Il ruolo del social housing non si
limita però a riguardare la carenza quantitativa di
alloggi e il problema dell’onerosità. Particolare
attenzione deve porre anche alla qualità degli alloggi
e dell’ambiente circostante, nell’ottica di evoluzione
delle esigenze della popolazione. Per questo una
priorità è quella di restaurare e rinnovare in base a
standard più attuali lo stock esistente, così come
quella di migliorare l’efficienza energetica degli
edifici. Alcuni sviluppi recenti hanno interessato
particolarmente il social housing, contribuendo ad
estendere il campo delle sue responsabilità o a rivalutarne le priorità. In quei Paesi membri dove le
politiche di vendita degli alloggi sono state implementate in larga scala, ad esempio, il settore del
social housing è diventato sempre più residuale e
stigmatizzato. Si è quindi affermata per esso anche la
priorità di incrementare il mix sociale e promuovere
la coesione sociale. A tali politiche viene inoltre
assegnata la responsabilità di contribuire allo sviluppo di “comunità sostenibili” locali, attraverso un
approccio integrato con partner locali quali imprese,
scuole, polizia, rappresentative locali e fornitori di
servizi. L’obiettivo è quello di rendere tali aree luoghi
in cui sia piacevole risiedere, che conoscano uno
sviluppo economico locale e soddisfino i bisogni
emergenti dei nuovi nuclei familiari.
CRITERI DI AMMISSIONE E I GRUPPI SOCIALI
INTERESSATI
I gruppi “target” del social housing variano da Paese
a Paese. Sono infatti le normative nazionali (Francia)
o regionali (Germania) a stabilire i criteri per l’accesso al social housing in ciascun Paese europeo. Nei
Paesi in cui è lo Stato centrale a stabilire i criteri per
l’accesso, in genere le amministrazioni locali o i
proprietari locatori determinano chi risponde a tali
criteri e procedono all’assegnazione degli alloggi.
I Paesi scandinavi come Svezia e Danimarca hanno un
approccio universalistico, che si rivolge all’intera
popolazione(1). In questi Paesi, dove l’assegnazione
degli alloggi viene determinata dai proprietari
locatori, un sistema di quote riserva una percentuale
degli alloggi vacanti agli enti locali per la loro
assegnazione a fini sociali. In altri Paesi – in particolare in quelli che presentano un approccio
“Generalista” – sono invece definiti dai livelli massimi
di reddito in cui devono rientrare i nuclei familiari
che intendono accedere al social housing; il limite
formale può però rivelarsi abbastanza alto da
comprendere buona parte della popolazione, come
ad esempio accade in Francia.
I SOGGETTI COINVOLTI NELL’OFFERTA
Negli ultimi anni si è assistito in Europa, ad un
progressivo decentramento delle competenze e
responsabilità in campo abitativo dallo Stato centrale
alle amministrazioni regionali e locali. Il ruolo di
queste ultime è determinato nello specifico dalle
situazioni legali e costituzionali esistenti nei diversi
Paesi. Lo Stato centrale resta comunque il responsabile della strategia abitativa nazionale, che viene poi
implementata dai Länder – Austria e Germania –,
dagli enti locali – Francia e Paesi Bassi – e dalle
Regioni – Italia –. Il Belgio è l’unico Paese europeo
dove il decentramento è pienamente realizzato, vale
a dire che vi è una completa autonomia di ciascuna
Regione.
Il settore privato risulta sempre più coinvolto
nel social housing, in particolare nelle attività di
costruzione e di finanziamento. In Germania il
settore privato si occupa anche dello sviluppo, della
proprietà e della gestione, rivestendo un ruolo equivalente a quello che le habititations à loyers modérés
hanno in Francia. Le organizzazioni volontarie senza
scopo di lucro – che hanno l’obiettivo di migliorare
il benessere sociale, piuttosto che quello di
massimizzare e distribuire profitti – sono riconosciute come un valido strumento per la fornitura di
social housing in sostituzione di quella statale. Il
ruolo di questo settore quale costruttore, proprietario e gestore delle strutture di social housing è
diffuso soprattutto nell’Europa occidentale, nel
Regno Unito e nei Paesi scandinavi. Un vantaggio di
queste organizzazioni consiste nel fatto che, spesso,
sono costituite da comunità locali, in risposta a
specifici bisogni abitativi. Le cooperative hanno un
ruolo importante nell’offerta di alloggi – per l’affitto
e/o l’acquisto – a prezzi accessibili o per particolari
esigenze. Il modello cooperativo può essere interessante, laddove i residenti di una comunità o di una
struttura di social housing, desiderano acquisire la
proprietà delle proprie abitazioni su una base
collettiva. Il contesto storico e politico di ciascun
Paese contribuisce alla diffusione di questo modello,
che si è particolarmente affermato nei Paesi in
transizione dell’Est europeo quali la Polonia e la
Repubblica Ceca.
Infine il ruolo dei nuclei familiari è principalmente
quello di affittuari o proprietari di social housing. Gli
affittuari sono essenzialmente consumatori di social
housing, mentre attraverso le cooperative, alcuni
nuclei rivestono un ruolo anche nella proprietà e
nella gestione. Altri nuclei sono invece diventati
proprietari con il processo di privatizzazione dello
stock pubblico di social housing. Nei Paesi dell’Est
europeo, tale privatizzazione, ha però comportato il
trasferimento delle responsabilità di finanziamento e
gestione a famiglie che spesso non possiedono le
risorse necessarie per la manutenzione della propria
abitazione e per contribuire a quella degli edifici
condominiali. Nel Regno Unito, invece, le famiglie
che in base al principio del right-to-buy sono diventate proprietarie del proprio alloggio in palazzi
condominiali, condividono con il proprietario
locatore dei rimanenti alloggi, la responsabilità del
finanziamento dei lavori di manutenzione comuni,
mentre responsabili della gestione restano generalmente la local authority o l’housing association. Nel
Regno Unito è diffusa anche la proprietà condivisa
del social housing, che comporta la divisione delle
attività di proprietà e di gestione. Secondo questo
schema, le famiglie acquistano una quota del valore
dell’abitazione da una housing association – Inghilterra – o da una local authority – Irlanda –, e in
seguito pagano un affitto scontato su quella porzione
del valore dell’abitazione trattenuto dall’housing
association o local authority.
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LE PRINCIPALI DINAMICHE DEMOGRAFICHE,
SOCIALI E DI MERCATO E I LORO EFFETTI SUL
SOCIAL HOUSING
Il settore del social housing si trova a doversi
confrontare con i processi di cambiamento che
stanno interessando il mercato e la società.
La speranza di vita si è allungata, il tasso di fertilità è
diminuito, e di conseguenza la popolazione europea
sta invecchiando – secondo stime Eurostat la percentuale di ultraottantenni è destinata a triplicare nel
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2050 –. Una popolazione più anziana ha bisogno di
maggiore assistenza sociale, e di abitazioni adeguate
per standard di sicurezza e assenza di barriere
architettoniche. Questo aspetto è particolarmente
importante soprattutto alla luce del fatto che una
grande percentuale degli anziani vive sola – Eurostat
stima che nel 2010 vivrà solo circa un terzo degli
ultrasessantacinquenni-.
La dinamica che vede la riduzione della dimensione
dei nuclei familiari non riguarda però solo gli anziani,
ma la società nel suo complesso: aumenta la percentuale di nuclei composti da una sola persona, e
parallelamente aumenta il numero di nuclei familiari
che domandano un alloggio. Ciò indipendentemente
dal fatto che la popolazione aumenti o diminuisca.
All’aumento della popolazione – o a controbilanciarne la diminuzione – contribuisce l’alto livello di
immigrazione verso i Paesi europei, in particolare
dell’Europa meridionale e occidentale. La disponibilità di un alloggio adeguato diventa per loro
condizione essenziale per evitare un destino di
esclusione sociale nel Paese straniero. Gli immigrati e
le minoranze etniche esprimono quindi a loro volta
nuove domande abitative, che finiscono con l’esercitare pressioni sul settore abitativo sociale.
Sulla base di queste dinamiche demografiche e
sociali, cambia dunque il profilo degli utenti di social
housing: ci si allontana dal modello tradizionale di
famiglia, mentre aumentano le cosiddette famiglie
allargate o i nuclei di un solo componente e di
genitori soli, e si registra una forte presenza di
immigrati. Sempre più spesso le giovani famiglie e gli
anziani rientrano nei gruppi target del social
housing.
Il social housing deve quindi rispondere a queste
nuove domande e bisogni. Gli anziani o i disabili
necessitano di alloggi adeguati alle loro condizioni,
nonché di servizi tali da poter restare indipendenti
nelle proprie abitazioni. Per quanto riguarda gli
immigrati, al bisogno abitativo si affianca il problema
dell’integrazione: così molti Paesi hanno cominciato
a implementare politiche per il mix sociale anche nel
settore del social housing.
Se da un lato la domanda è cambiata, dall’altro si
tratta di una domanda che è fortemente sbilanciata
rispetto all’offerta. Sono molti i Paesi – tra cui l’Italia
– nei quali la domanda eccede di gran lunga l’offerta.
Alcuni dei fattori esplicativi di un tale eccesso di
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domanda sono quelli di natura demografica e
sociale,ai quali si aggiunge un livello di nuove
costruzioni che è insufficiente a soddisfare la
crescente domanda di alloggi a prezzi accessibili.
All’interno di ciascun Paese questo disequilibrio
tende a corrispondere con la divergenza tra offerta
abitativa e lavorativa a livello regionale. Anche i Paesi
che mostrano un certo equilibrio tra domanda e
offerta abitativa a livello nazionale – come la
Finlandia – si trovano a fronteggiare un’offerta
insufficiente nelle aree – soprattutto le grandi città –
a maggior sviluppo economico. E’ infatti in tali aree
che si concentra la popolazione, attirata dalle
maggiori opportunità di lavoro, dai servizi e dalle
università. Ciò determina un aumento dei prezzi
abitativi oltre le possibilità dei nuclei familiari a basso
reddito, diventando un’ulteriore barriera alla loro
integrazione nel mercato del lavoro, dal momento
che la mancanza di una casa, rende difficile la loro
presenza nelle aree dove il lavoro è disponibile.
Anche un settore dell’affitto non sufficientemente
sviluppato contribuisce ad aggravare la situazione in
alcuni Paesi, ostacolando la mobilità della forza
lavoro.
Nei Paesi dell’Unione Europea tendono quindi a
coesistere due mercati: da un lato le regioni sviluppate economicamente e con un eccesso di domanda
abitativa, dall’altro le regioni dove invece l’economia
ristagna e il mercato abitativo è depresso, con alte
percentuali di alloggi vacanti e un processo di
deterioramento della loro qualità.
L’ALLOGGIO SOCIALE NELLA NORMATIVA
La legge finanziaria del 2008 (legge 244/2007) definisce l’edilizia residenziale sociale. Per incrementare il
patrimonio immobiliare destinato alla locazione a
canone sociale, si introduce una nuova tipologia di
immobili definita “ residenza di interessa generale
destinata alla locazione”, comprensiva di edifici non
di lusso, localizzati in Comuni ad alta tensione
abitativa e vincolati alla locazione a canone sostenibile per almeno 25 anni.
Si introduce così il principio secondo il quale
fabbricati destinati alla locazione di lunga durata,
anche se di proprietà privata, rappresentano un
servizio economico di interesse generale e come tali
rientrano nella definizione di alloggio sociale.
Con il decreto interministeriale del 28 marzo 2008 si
sono definite le caratteristiche dell’alloggio sociale.
Per alloggio sociale si intende “l’unità immobiliare ad
uso residenziale in locazione permanente che svolge
la funzione di interesse generale, nella salvaguardia
della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo
di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non
sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel
libero mercato”.
L’alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale,
costituito dall’insieme dei servizi abitativi, finalizzati
al soddisfacimento delle esigenze primarie. Rientrano
in tale definizione, gli alloggi realizzati o recuperati
da operatori pubblici e privati, con il ricorso a
contributi o agevolazioni pubbliche, destinati alla
locazione temporanea per almeno otto anni ed anche
alla proprietà.
Si specifica inoltre che, il servizio di edilizia residenziale sociale, viene erogato da operatori pubblici e
privati prioritariamente tramite l’offerta di alloggi in
locazione alla quale va destinata la prevalenza delle
risorse disponibili, nonché il sostegno all’accesso alla
proprietà della casa, perseguendo l’integrazione di
diverse fasce sociali e concorrendo al miglioramento
delle condizioni di vita dei destinatari.
ALLOGGIO SOCIALE
In Italia la definizione di Alloggio Sociale è stata
introdotta dal Dm 22 aprile 2008 e si è resa necessaria ai fini dell’esenzione dall’obbligo di notifica degli
aiuti di Stato a soggetti pubblici e privati attivi nella
gestione di servizi abitativi qualificabili come servizi
di interesse economico generale.
Sono Alloggi Sociali, le unità immobiliari adibite ad
uso residenziale in locazione permanente finalizzate,
per l’interesse generale e la salvaguardia della
coesione sociale,
a ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei
familiari svantaggiati, i quali non sono in grado di
accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato.
L’Alloggio Sociale si configura come “elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale
costituito dall’insieme dei servizi abitativi finalizzati al
soddisfacimento delle esigenze primarie”.
Con “Alloggio Sociale” non si intende quindi, esclusivamente la singola unità abitativa, ma l’insieme dei
servizi connessi all’abitare; i soggetti destinatari di
tali unità abitative sono individuati tra i “soggetti
svantaggiati”, che non sono in grado di accedere alla
locazione di alloggi nel libero mercato.
Rientrano nella definizione, anche gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il
ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali,
a mero titolo esemplificativo e non esaustivo,
esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili,
fondi rotativi, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo
urbanistico - destinati alla locazione temporanea per
almeno otto anni ed anche alla proprietà (articolo 1,
comma 3, del Dm 22 aprile 2008).
REQUISITI PRESTAZIONALI DEI PROGETTI
Il rispetto dei tempi e dei costi di realizzazione di
un’iniziativa di edilizia privata sociale - e più in
generale di una qualsiasi operazione di sviluppo
immobiliare - è una delle responsabilità fondamentali della Sgr del fondo locale.
Per questo motivo, Cdpi Sgr, nella sua qualità
d’investitore indiretto, ritiene opportuno che le Sgr
che gestiscono i fondi target o le società veicolo locali, adottino sistemi dedicati di project management,
allo scopo di assicurare il conseguimento di due
obiettivi fondamentali: la massimizzazione dei contenuti funzionali e tecnologici del prodotto edilizio da
realizzare, in rapporto alle risorse rese disponibili per
lo specifico progetto e la garanzia di mantenimento
dell’equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa,
per tutta la sua durata.
A questo riguardo, Cdpi Sgr sta lavorando alla messa
a punto di una procedura per disciplinare i presidi e
le regole, che la Sgr del fondo target o la società
veicolo deve adottare, nella fase di costruzione, per
verificare la competenza e la solidità dei fornitori di
servizi e degli appaltatori, con particolare riferimento
agli aspetti reputazionali e di onorabilità degli stessi,
per selezionare, con procedure trasparenti e competitive gli stessi.
Il Regolamento di gestione del Fia reca alcuni
obblighi di rendicontazione periodica al quotista Mit.
In attuazione di tali obblighi e allo scopo di monitorare l’avanzamento delle iniziative, oggetto di
investimento del Fia, Cdpi Sgr chiede alle Sgr locali o
ai veicoli target, di produrre periodicamente un sistema di reporting sintetico che prevede:
- una relazione, per ogni commessa, sullo stato di
avanzamento dell’iter urbanistico e progettuale, sugli
affidamenti degli incarichi, sulle procedure di
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appalto, sulle indagini ambientali effettuate, sulla
sicurezza del cantiere;
- la documentazione fotografica di cantiere;
- il confronto actual/forecast del business plan del
fondo;
- la motivazione degli scostamenti e il recovery plan;
- i principali eventi previsti nel periodo successivo a
quello di riferimento;
- una relazione in materia di sicurezza nei cantieri in
corso;
- l’elenco delle garanzie ottenute dalla Sgr ed il
relativo importo.
ESPERIENZE DI SOCIAL HOUSING IN ITALIA
Lo sviluppo del social housing in Italia ci consegna
un quadro frammentario e disarticolato, di limitato
impatto – almeno per il momento – rispetto ai
numeri del disagio abitativo, squilibrato in quanto a
distribuzione sul territorio nazionale, in molti casi
contraddistinto da tempi di realizzazione lunghi e da
difficili iter burocratici.
Eppure si tratta di un quadro di grande interesse,
soprattutto per le potenzialità che permette di
cogliere.
Comune di Crema – Housing Sociale
CONTESTO: Le problematiche abitative sono in
costante aumento e si rileva un numero sempre
crescente di sfratti per morosità. Negli ultimi anni
sono state realizzate due progettualità per rendere
disponibili alloggi a canone moderato, con esito
relativamente positivo.
DESTINATARI: Nuclei familiari con una situazione
reddituale che consenta l’accesso ad alloggi a canone
moderato, con la possibilità di attivare procedure a
riscatto dell’alloggio stesso in 15-20 anni.
OBIETTIVI: - aumentare le possibilità di risposta alla
problematica abitativa, introducendo nello scenario
locale un numero significativo di nuovi alloggi (circa
90);
realizzare un intervento di edilizia a canone moderato in modo integrato con una realtà di quartiere
cittadino in pieno sviluppo.
SOGGETTO PROMOTORE: Il principale soggetto
promotore dell’iniziativa è la Fondazione Housing
Sociale che con il Comune di Crema ha ideato
e sostenuto tutta la fase di progettazione dell’intervento.
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IL PROGETTO: Il complesso è costituito da tre distinti blocchi edilizi, due residenziali a nord e a sud, alti
4 piani fuori terra, e uno centrale alto un solo piano
che ospita una scuola materna. I tre blocchi edilizi
sono articolati sull’asse nord-sud in modo da offrire
alla residenza, compatibilmente alla forma del lotto,
il miglior orientamento possibile in termini di
irraggiamento solare, di vista e di riscontro d’aria. I
due blocchi residenziali sono caratterizzati in
copertura da una imponente pensilina metallica
integrata con un sistema di pannelli fotovoltaici che
avranno anche la funzione di frangisole per i terrazzi
posti agli ultimi piani.
Comune di Parma – Parma Social House
CONTESTO: Il progetto riguarda le zone di Via
Chiavari, Sant’Eurosia, Via La Spezia, Rossi e Catelli,
Panocchia, Budellungo e Crocetta.
DESTINATARI: I destinatari sono le famiglie di fascia
reddituale intermedia che, non potendo accedere al
libero mercato, intendono acquistare o affittare la
prima casa a prezzi e canoni sostenibili e calmierati.
OBIETTIVI: il progetto è interpretato come sistema di
interventi tesi all’offerta di alloggi, servizi, azioni e
strumenti, rivolti a coloro che non riescono a
soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo,
per ragioni economiche o per l’assenza di un’offerta
adeguata.
SOGGETTO PROMOTORE: Comune di Parma
IL PROGETTO: Il progetto vuole promuovere
interventi edilizi in grado di generare un processo di
riqualificazione urbana e architettonica del contesto,
coerente con le indicazioni strategiche di sviluppo
urbanistico della città, attraverso la creazione di
comunità integrate, partecipative e inclusive, dotate
di adeguati livelli di servizi. Si vogliono raggiungere
adeguati livelli di risparmio energetico e di risorse,
attraverso l’adozione di soluzioni architettoniche, in
grado di assicurare un contenimento dei consumi e
indirizzare gli abitanti verso stili di vita più attenti alla
sostenibilità e all’equilibrio ambientale.
Comune di Milano – Cenni di Cambiamento
CONTESTO: L’intervento di cenni di cambiamento,
collocato a Ovest della città di Milano, si sviluppa su
un’area complessiva di 17.000 metri quadrati, secondo il progetto dell’architetto Fabrizio Rossi Prodi,
vincitore del concorso internazionale di progettazio-
ne indetto da Polaris e promossa da FHS nel 2009.
DESTINATARI: Il progetto si rivolge a coloro che non
riescono a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul
libero mercato, promuovendo una nuova cultura
dell’abitare.
Rivolto principalmente a un’utenza giovane: nuovi
nuclei familiari e ragazzi in uscita dal nucleo
familiare d’origine.
OBIETTIVI: Il progetto offre un appartamento a
prezzo contenuto, inserito in un contesto sociale
sostenibile, è un intervento innovativo da molti punti
di vista essendo per dimensioni, il più grande
progetto residenziale realizzato in Europa, con un
sistema di strutture portanti in legno in pannelli a
strati incrociati. Ma oltre al progetto architettonico
c’è il progetto di una comunità. Cenni di
cambiamento vuole essere anche l’occasione per
condividere tutte le informazioni sulla tecnologia, sui
metodi costruttivi, sulle caratteristiche dei materiali.
SOGGETTO PROMOTORE: Polaris Investimenti Italia
assieme ad FHS (fondazione housing sociale).
IL PROGETTO: L’intervento è costituito da 124 alloggi
proposti sia in patto di futura vendita che in affitto a
canone calmierato. Gli edifici sono progettati in
classe energetica A, sfruttando sistemi costruttivi tali
da permettere di coniugare elevati standard abitativi,
tecnologici ed energetici a costi contenuti di
realizzazione e gestione.
E’ prevista la creazione di un contesto sociale
animato e innovativo, grazie ad una serie di attività
integrative all’abitare, che saranno attivate nell’area
dell’intervento, portando ad una semplificazione e ad
un aumento della qualità della vita di chi vi abiterà,
mediante l’accesso a servizi condivisi.
Sono infatti previsti ampi spazi ad uso collettivo,
spazi ricreativi, culturali e servizi dedicati ai giovani.
Uno spazio pubblico centrale diverrà poi luogo di
relazione fra il nuovo insediamento e la comunità
esistente. Si vuole infatti attivare un sistema di servizi
in grado di coinvolgere e includere il quartiere
circostante, rispondendo ad un esigenza percepita su
scala cittadina.
I pannelli portanti a strati incrociati di tavole di
legno, rappresentano una delle tecnologie più
all’avanguardia nel settore edilizio, ma non costituiscono un sistema per il quale non ci sia esperienza
consolidata: è a partire dagli anni ‘90 che la
tecnologia XLAM ha consentito di realizzare edifici di
grandi dimensioni e a più piani.
Il legno c’è ma non si vede: svolge una funzione
portante al pari delle murature o dei setti in cemento
armato e dei solai con tecnologia mista. Quel che
vediamo sono le finiture interne ed esterne del tutto
simili a quelle di qualsiasi altro edificio.
Comune di Ravenna – Darsena di Ravenna, Lotto4
CONTESTO: Il nuovo edificio residenziale è parte di
un grande progetto di rinnovo urbano nei pressi
della Stazione ferroviaria di Ravenna, sui due lati di
un canale artificiale, che serve oggi da porto per le
industrie della zona.
DESTINATARI: Edificio di edilizia residenziale
convenzionata rivolto a giovani coppie, lavoratori
precari e tutta quella fascia di popolazione con
redditi non in grado di confrontarsi con il mercato
immobiliare e privato
OBIETTIVI: con questo intervento, si intende dare
parziale risposta alle nuove forme di disagio
abitativo, generate principalmente dall’incremento
dei valori immobiliari
SOGGETTO PROMOTORE: Comune di Ravenna
IL PROGETTO: Il nuovo edificio residenziale è parte
di un grande progetto di rinnovo urbano nei pressi
della Stazione ferroviaria di Ravenna, che sorge sui
due lati di un canale artificiale che serve oggi da
porto per le industrie della zona. Il ridisegno
urbanistico dell’area, da parte di Boeri Studio,
corregge un piano urbano precedente, prevedendo
un nuovo parco parallelo al bordo dell’acqua e una
serie di alti volumi lungo il fronte del canale, che
oggi appartiene al recinto del porto ma nel tempo
dovrebbe diventare aperto al pubblico.
Nell’incertezza di questo futuro alla “Sliding Doors”,
è stato disegnato un complesso residenziale di
edilizia a basso costo ed ad alta efficienza energetica
a doppia faccia, che da una parte guarda al tessuto
urbano esistente verso via Trieste, dall’altra si
prepara ad aprirsi verso il fronte d’acqua e alla sua
possibile trasformazione futura in una passeggiata.
La differente altezza tra i blocchi è determinata in
rapporto alle viste lunghe sulla città e all’orientamento solare dell’intero complesso. Mentre le facciate a
nord sono trattate con una logica formale, che
conferma la loro essenza volumetrica interrotta dalle
finestre, le facciate a sud sono segnate dalle lunghe
linee orizzontali dei balconi a mensola.
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IL SOCIAL HOUSING IN SICILIA
In virtù dell’art. 1 comma 1 della legge regionale n.1
del 3 gennaio 2012 si applica in Sicilia la disciplina
prevista dall’art. 11 del decreto legge n. 112 del 25
Giugno 2008, convertito con modificazioni dalla
legge n.133 del 6 Agosto 2008, che introduce i
contenuti fondamentali di un nuovo piano nazionale
di edilizia abitativa.
La legge regionale, nel prevedere la riqualificazione
urbanistica con interventi di edilizia sociale convenzionata, delega ad un apposito regolamento adottato
con decreto del Presidente della Regione Siciliana su
proposta dell’Assessore Regionale per l’Economia,
l’Assessore Regionale per le Infrastrutture e la
mobilità e l’Assessore Regionale per il Territorio, la
disciplina delle modalità attuative per la realizzazione
degli interventi di cui alla legge n.1/2012.
Il predetto regolamento, già apprezzato dalla
precedente Giunta, è stato trasmesso per il parere di
rito all’Ufficio Legislativo e Legale ed alla competente
Commissione legislativa presso l’Assemblea Regionale Siciliana.
Gli interventi che determinano la costruzione di
alloggi sociali vengono realizzati mediante il ricorso
agli strumenti del partenariato pubblico-privato.
Tali interventi di edilizia sociale convenzionata e di
riqualificazione urbana devono essere localizzati
nelle zone omogenee territoriali a prevalente
destinazione residenziale “A”, “B”, e “C”; sono
tassativamente esclusi interventi in verde agricolo.
Ai fini dell’approvazione regionale sono privilegiati i
progetti con un elevato grado di cantierabilità, che
intervengano in zone in stato di degrado sociale e si
integrino con le politiche pubbliche locali e con i
programmi comunali per l’edilizia sociale, nonché
con i piani di valorizzazione del patrimonio pubblico.
I comuni possono incentivare la localizzazione degli
interventi di edilizia sociale, operando in deroga alle
previsioni quantitative e/o alle destinazioni d’uso
degli strumenti urbanistici, mediante:
- la sostituzione edilizia di manufatti;
-l’inserimento di edifici con destinazioni connesse e
complementari alla residenza;
- l’inserimento, accanto alle funzioni abitative, di
funzioni sociali e di servizio alla persona.
Sono previste premialità volumetriche fino al 30% dei
volumi consentiti dagli strumenti di pianificazione
locale. Le premialità volumetriche, non possono
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riferirsi ad edifici abusivi o in aree di inedificabilità
assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia
stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.
La scelta dei partner privati degli interventi dovrà
avvenire nel rispetto dei principi comunitari di
trasparenza, imparzialità e tutela della concorrenza,
di cui alla disciplina del codice dei contratti (D.Lgs.
163/2006). Pertanto dovrà essere di norma preceduta
dalla previa pubblicazione di un bando.
I comuni individuano le proposte mediante selezione
pubblica alla quale possono partecipare soggetti
pubblici e privati.
Definito in sede locale il partenariato pubblico
privato, i Comuni faranno pervenire al Dipartimento
Regionale delle Infrastrutture, della Mobilità e dei
Trasporti le proposte per la loro valutazione.
Gli interventi del regolamento e che usufruiscono
delle risorse appostate nel Fondo Immobiliare
Regionale di cui all’art. 5 della L.R. n. 1 del 3
Gennaio 2012 devono garantire che almeno il 51%
della superficie complessiva, costituita dalla somma
della superficie utile più la superficie non residenziale, sia destinata ad edilizia residenziale sociale di cui
al decreto ministeriale 22 Aprile 2008, con la garanzia
che la stessa venga dotata di aree a verde e servizi
secondo la normativa vigente.
L’art. 5 della L.R. 1/2012 prevede la realizzazione da
parte della regione di interventi a sostegno della
politiche abitative.
Con decreto dell’Assessore Regionale per l’Economia, da adottarsi di concerto con l’Assessore
Regionale per le Infrastrutture e la Mobilità, è
previsto un fondo immobiliare per l’edilizia residenziale sociale ai sensi dell’art.11 del DPCM 16 Luglio
2009.
Con ulteriore decreto dell’Assessore Regionale per
l’Economia, di concerto con l’Assessore Regionale
per le Infrastrutture e la Mobilità, saranno disciplinate le modalità di costituzione e funzionamento del
fondo e l’adozione del bando per l’individuazione,
con procedure di evidenza pubblica del soggetto
gestore del fondo. Le quote di detto fondo
immobiliare, di cui all’art. 5 della L.R. 1/2012,
possono essere sottoscritte per cassa e/o in natura da
investitori pubblici o da soggetti privati, tra i quali il
fondo nazionale del sistema integrato di fondi,
gestito da CDPI SGR, società di gestione del
risparmio controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti.
PRIMI PASSI A CATANIA
Nelle more della definizione del regolamento di cui
all’art. 1, comma 2 della Legge Regionale n. 1 del
03/01/2012, con Decreto dell’Assessore delle Infrastrutture e della Mobilità n.55GAB del 30/07/2012
sono state approvate, esclusivamente a titolo orientativo, le linee guida per interventi di housing sociale.
Da analisi effettuate e dai dati riferiti alle graduatorie
“Emergenza abitativa”, “Sfrattati” e “Ordinanze di
sgombero”, è emersa l’assoluta indifferibilità di
procedere alla realizzazione, nel territorio comunale,
di interventi di social housing, in grado di contribuire ad attenuare il fabbisogno abitativo e le tensioni
sociali da esso derivanti.
Il Comune di Catania si è posto l’obbiettivo di far
fronte al fabbisogno abitativo, con particolare riferimento alle fasce più deboli, e di consentire inoltre
una più razionale utilizzazione e riorganizzazione di
porzioni del territorio urbanizzato mediante il
potenziamento di opere di urbanizzazione primaria e
secondaria con il massimo contenimento della spesa
pubblica, ispirandosi ai criteri di compensazione,
secondo le modalità stabilite dalla L.R. 1/2012 e
secondo quanto già stabilito con le Linee Guida,
approvate con Decreto dell’Assessore delle Infrastrutture e della Mobilità n.55GAB del 30/07/2012.
Sul tema della riqualificazione urbanistica, è opportuna una visione sinergica con gli strumenti di cui alla
legge regionale n. 1/2012, con interventi di edilizia
sociale convenzionata, tenuto conto dei criteri
emergenti dallo schema di regolamento sull’abitare
sociale già trasmesso alla competente Commissione
Legislativa dell’ARS ed all’Ufficio Legislativo e Legale
per il parere di rito e sottoposto alla Giunta Regionale che ne ha preso atto con deliberazione n. 206 del
21 giugno 2012. Tali sinergie sono formalizzate nello
schema di Avviso per l’acquisizione di manifestazioni
di interesse finalizzate alla realizzazione di interventi
di Social Housing già pubblicato.
Le caratteristiche di quanto richiesto si possono
riassumere nei seguenti punti:
- L’housing sociale nasce con la finalità di ampliare,
qualificandola, l’offerta degli alloggi in affitto e in
vendita mettendo a disposizione nuove unità
abitative a favore di quelle persone che, escluse per
ragioni di reddito dall’accesso all’edilizia residenziale
pubblica, non sono tuttavia in grado di sostenere i
costi del libero mercato.
- I progetti, partendo dall’analisi dei fabbisogni
abitativi, dovranno porre come prioritario il tema
della sostenibilità, intesa sia come capacità di
soddisfare un’esigenza sociale, sia come sostenibilità
economico-finanziaria dell’inve-stimento, che si potrà
raggiungere dando spazio anche all’edilizia residenziale libera, degli uffici, e terziaria in genere senza
tradire la finalità sociale.
L’obbiettivo è dunque quello di aumentare l’offerta di
alloggi a prezzi accessibili attraverso la costruzione, la
gestione, l’acquisto e l’affitto di alloggi sociali.
- Particolare attenzione dovrà essere fatta anche alla
qualità degli alloggi e dell’ambiente circo-stante,
migliorando per esempio l’efficienza energetica degli
edifici e dotando le aree di intervento di servizi e
attrezzature pubbliche e private.
- Il Programma potrà riguardare tutte le aree pubbliche e private, con esclusione delle zone agricole.
BIBLIOGRAFIA
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2010;
Cecodhas European Social Housing Observatory 2006,
First colloquium, Current developments in housing
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proceedings, edited by D. Czischke;
A. Delera, Ri-Pensare l’abitare, Hoepli, 2010;
Edilizia privata sociale, vademecum 2 di CDPI SGR, Edilizia e territorio, allegato al Sole 24 ore, 2011;
G. Ferri, Il gestore sociale, altra economia edizioni, 2010;
F. Prizzon, L.Ingramo, M.Bagnasco, SOCIAL HOUSING:
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in Italia, SITI, 2010;
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WEB GRAFIA
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http://www.housing.org.uk/
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http://www.ediliziaterritorio.sole24ore.com
http://www.parmasocialhouse.it
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FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI
Circolare Anci, i comuni e la questione abitativa, 2010.
http://www.parmasocialhouse.it
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IPOTESI DI RIGENERAZIONE DEI CENTRI STORICI
PIAZZA STESICORO
di Gaetano D’Emilio
Se gran parte del patrimonio immobiliare edilizio
antico, realizzato nei secoli passati è bello, gran parte
di esso, messo in sicurezza e rigenerato va tutelato
anche attraverso opportuni diradamenti al suo intorno, destinandolo ad una utilizzazione adeguata ai
tempi che attraversa. Concepito in epoca diversa da
quella in cui si vuole utilizzare potrebbe, in qualche
sua parte, essere ristrutturato od opportunamente
affiancato da nuove strutture sostenibili dal punto di
vista ambientale, dotandolo possibilmente di nuovi
spazi che, nell’insieme, lo recuperino ad una fruibilità adeguata alle nuove esigenze, evitandone il degrado. Il tardo barocco catanese, costruito nel dopo
terremoto del 1693, evidenzia una ricorrente unicità,
dovuta alla contemporaneità della sua realizzazione,
in una gara di emulazione, allora in essere, tra quanti volevano la residenza nella città, per certificare il
loro stato di visibilità sociale. Per cui in quella parte
iniziale di ricostruzione cittadina, nella edificazione,
si riscontra, una monumentalità esterna e, di riflesso,
una grandiosità interna degli ambienti di rappresentanza. E se quella esterna arricchisce architettonicamente ed urbanisticamente l’ambiente, quella interna, non sempre, nel tempo, ubbidisce alle esigenze
dei successivi diversi periodi di utilizzazione. I Centri
storici, che vanno certamente tutelati e salvati per
tempi lunghi, hanno necessità di seguire criteri nuovi
di utilizzazione per la loro fruibilità. Essi rappresentano le radici di città nate statiche per una società
immobile che viveva e moriva là dove era nata, quando le cartoline e più ancora le lettere, erano mezzi di
comunicazione essenziali da utilizzare per interessi o
per affetto, essendo gli unici collegamenti tra comunità geograficamente distanti. Oggi i centri storici,
tutelando la loro peculiarità, rappresentano delle
nicche di antica architettura di città che, per farne
parte attiva, attraverso compatibili ristrutturazioni,
debbono dialogare dal punto di vista paesaggistico,
culturale, artistico, e commerciale con la società del
momento; per cui la loro salvaguardia non può che
essere correlata con la funzionalità alle esigenze del
cammino della civiltà. Vecchie, fastose spille di gioielleria le cui pietre preziose, senza danneggiarle, vanno
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recuperate per incastonarle nelle nuove realtà urbane. Così pure va considerato che i mini spazi esterni
della vecchia città, tenuto conto del minor numero di
abitanti dell’epoca e dello scarso o nullo traffico
veicolare esistente a quel tempo, caratterizzato da
carri, carrozze, equidi e, successivamente, da servizi
pubblici in sede propria, erano adeguati alla vita di
quella società. Oggi gli spazi urbani di una città devono soddisfare a problemi di tipo diverso, per l’incontenibile volume della schizofrenica mobilità veicolare
urbana diversificata, che si muove su sezioni stradali
insufficienti e sottrae ai cittadini, per uso parcheggio,
le poche e ristrette aree disponibili. Un traffico scomposto che deve obbedire al dinamismo della vita
delle mutazioni delle società civili urbane, caratterizzato dall’abnorme traffico veicolare privato, che
all’interno delle città storiche non sempre ed in ogni
luogo, consente il necessario grado di vivibilità ed in
più, in alcune aree della città storica, si inserisce un
negativo impatto visivo per l’esistenza di alcune
costruzioni modeste e cadenti che costituiscono
elementi negativi nel paesaggio urbano. Ma i numerosi esempi di trasformazione e di rigenerazione, ben
riusciti, operati nella gran parte dei centri storici
delle antiche città europee distrutte nell’ultimo
conflitto bellico e ricostruite nel dopoguerra, incoraggiano a mettere in sicurezza e rigenerare l’antico
patrimonio edilizio esistente. Ed è anche opportuno
il recupero sostenibile di nuovi spazi urbani (diradamento) all’interno degli antichi centri delle città, ricavati dall’eliminazione di vecchie costruzioni insicure
e di modesto valore architettonico spesso semi
abbandonate, che concorrono con la loro degradata
massa volumetrica, a creare situazioni paesaggistiche
negative per l’ambiente circostante. Nuovi spazi urbani nei vecchi centri che riqualificano gli esistenti valori di ambienti preziosi. Costruzioni anonime e degradate che vanno eliminate o rigenerate perchè spesso
impediscono l’utilizzo ed il godimento di angoli
preziosi di città, la cui esistenza va riscoperta per le
pregevoli linee architettoniche che riconducono a
pezzi di storia cittadina che tramandano. Le aree di
sedime, ottenute senza rompere percorsi viari ed
Stecca finale edifici lato sud di Piazza Stesicoro tra la via Manzoni e la Chiesa di S. Biagio
equilibri volumetrici consolidati, potranno consentire la valorizzazione di intere aree, per riconsegnare ai
cittadini, oltre a monumenti nascosti, quegli spazi
che diventano nuove occasioni di vivibilità e socializzazione, tanto richiesti, quali oasi rilassanti, come le
gallerie pubbliche coperte al centro città che, (senza
interrompere consolidati ritmi urbani), ben si sposano con l’esistente antico patrimonio immobiliare,
quale stacco temporaneo, dal ritmo della vita moderna. E’ bene dunque individuare, tra i tanti edifici di
pregio, angoli fruibili, al posto di vecchie costruzioni
anonime a basso reddito, in parte anche disabitate
perché insicure, riscoprendo preziosi angoli di città
nascoste, con funzione di rigeneratori urbani. Una
rigenerazione da tutti sentita e da tanti richiesta,
attraverso auspicabili opportune adeguate
leggi regionali e regolamenti cittadini, che lo consentano.
Come è noto all’inizio della rifondazione di Catania
del 1700, il centro del potere cittadino costituito da
nobiltà, caste religiose, intellettuali, uomini di
finanza, si concentrava tra le piazze del Duomo e
dell’Ateneo. Da esse si dipartivano gli assi viari Uzeda
( Etnea), S. Filippo (Garibaldi), Lanza ( Vittorio
Emanuele), attorno alle quali avevano ubicazione: il
complesso religioso dell’Arcivescovado, il Senato
cittadino, quello Accademico, preziose chiese, residenze di gran parte della nobiltà con i suoi circoli
culturali esclusivi, insieme alle sedi delle attività
commerciali più importanti, comprese rinomate
pasticcerie e liquorifici, per gli incontri giornalieri.
Tale centro si estese nel tempo, lungo le vie Garibal-
di, Vittorio Emanuele ed Etnea, nella quale direzione,
nel successivo prolungamento, si arrivò al luogo individuato “Quattro Canti”, collegato alla piazza Sagone
(Manganelli), per raggiungere ai primi del novecento,
la piazza Stesicoro con il suo Teatro Romano, prima
interamente sotterrato oggi parzialmente in vista e
con timidi propositi di ampliamento in sotterranea di
quanto ancora recuperabile al di sotto di importanti
edifici. Essa ha rappresentato e rappresenta ancora a
nord, il confine tra la vecchia e la nuova Catania, il
più importante snodo, dalla quale si dipartono verso
le varie periferie gli interessi economici, culturali,
religiosi e storici della città. Con epicentro la collinetta dei Cappuccini, è contigua all’importante distretto
storico religioso “del Santuario Agatino” con le
chiese di S. Biagio, S. Agata al Carcere e S. Agata la
Vetere, ognuno con una sua storia o leggenda che li
unisce nelle tradizioni religiose cittadine. La piazza si
configura a forma di rettangolo nella direzione estovest intersecato da nord a sud dalla via Etnea. Individuata a nord dai palazzi Tezzano e Toscano, ad
ovest dalla chiesa di S. Biagio ed il palazzo della
Borsa, da est partendo dal palazzo Beneventano della
Corte si apre al nuovo quartiere di S. Berillo lungo il
corso Martiri della Libertà, per chiudersi da sud con i
palazzi Paola e Zappalà che fanno angolo con la via
Etnea e continuare con casa Paternò Castello di
Bicocca ad angolo con la via Manzoni.
La stecca di prosiego fino alla chiesa di S Biagio è
costituita da tre edifici di modesta rilevanza architettonica aggravata da superfetazioni che non giovano al
già modesto paesaggio che, rispetto agli altri edifici
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Abitazioni prospettanti sul vicolo Anfiteatro
essi offrono al prezioso intorno urbano. Degradati
tutti ed insicuri alcuni, non tutte abitate e in stato di
abbandono, soprattutto dalla parte della via del
Colosseo - vicolo Anfiteatro.Tale stecca terminale,
addossata alla Chiesa di S. Biagio, copre la villa
Cerami negandogli un accesso da quel lato, nasconde
le monumentali arcate del Teatro Romano, impedendo da quella parte un secondo comodo accesso
all’importante reperto archeologico, oggi non utilizzato perché attraverso un maleodorante tortuoso
nascosto vicolo Anfiteatro; né l’attuale situazione
consente un possibile diretto collegamento con la
chiesa di S. Agata la Vetere, oggi servita dall’unico
accesso dalla via S. Maddalena. Un’area che, per la
sua storia religiosa, culturale e civile, e per le linee
architettoniche di suoi importanti edifici ci riporta
alle illuminate radici della riedificazione cittadina del
diciassettesimo e diciottesimo secolo. Nel sedime
ricavato quindi dalla eliminazione sul lato ovest di
qualche cadente palazzetto terminale della “stecca” e
di qualche altro sulle vie Del Colosseo – vicolo Anfiteatro, si può ricavare una Galleria pubblica che, con
la sempre crescente pedonalizzazione della città,
ridiventa luogo di incontro e socializzazione. Creando in tal modo nel centro più prezioso della vecchia
Catania, un accogliente angolo di sosta, senza
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rompere l’attuale sagoma geometrica della piazza,
pur consentendone l’affaccio su di essa.
Luogo di sosta e di incontri che sostituirebbe quelli
scomparsi quale lo storico caffè Sicilia, caro al Verga
ed al Capuano allogato, nel palazzo Beneventano alle
spalle del monumento a Vincenzo Bellini e recentemente il Bar Centrale nel palazzo Manganelli ad
angolo tra la via Etnea a la piazza. Una Galleria
pubblica, che potrebbe contenere al suo interno gli
attuali antichi negozi oggi esistenti e far risorgere
qualche nuovo bar in sostituzione di quelli scomparsi. Sarebbe il punto di partenza e di arrivo di un
percorso pedonale nel distretto storico-religioso
“santagatino”, oggi nascosto ed impercorribile,
dando la possibilità di ulteriore accesso alla Villa
Cerami, al Teatro Romano ed alla Chiesa di S. Agata la
Vetere. Infatti iniziando il cammino dalla Galleria
contigua alla Chiesa di S. Biagio, in direzione sud, si
godrebbe di una completa visibilità del bellissimo
prospetto della Chiesa di S. Agata al Carcere, in parte
nascosto da abitazioni, proseguendo per l’omonima
piazzetta e per la via dei Cappuccini, ad itinerario
concluso, ci si ritroverebbe nello stesso luogo di
partenza della Chiesa di S. Biagio con possibilità, nel
breve itinerario, di visitazione della villa Cerami, del
Teatro Romano e della Chiesa di S.Agata la Vetere.
La galleria, quale luogo di incontro e di sosta affacciata sulla piazza, nel rigoroso rispetto del suo disegno
geometrico, offrirebbe ai cittadini e visitatori, sia
nella stagione estiva che in quella invernale, un
rilassante luogo di stasi fuori dal traffico, in una area
urbana al centro della città vecchia attorniata da una
straordinaria concentrazione di importanti
monumenti legati alle tradizioni religiosi e nobiliari
della città settecentesca. La proposta di un progetto
di fattibilità in un luogo di estremo interesse storico
cittadino non potrà che essere sostenuta da un
pubblico concorso di idee di respiro nazionale. Il
reperimento delle necessarie risorse finanziarie, si
potrà ottenere da fondi europei, e tenuto conto che
le attuali cubature degradate abbattute, possono
essere sostituite da volumi alternativi di uguale o
minore cubatura rispetto agli esistenti, interni alla
piazza e compatibili con l’ambiente, la iniziativa potrà
realizzarsi anche attraverso una gara in project
financing, caratterizzata da una ariosa percorribilità
viaria pedonale della zona, corredata da ampi spazi e
comprendenti uffici e studi professionali sull’attuale
via del Colosseo- Vicolo Anfiteatro, prevedendo nelle
elevazioni superiori, sedi di studi professionali, uffici
privati e qualche civile abitazione negli ultimi piani.
La proposta di rinnovo urbano, in un ottica ormai
largamente condivisa in tutta Europa conduce ad
accettare che il patrimonio immobiliare insicuro delle
parti vecchie delle città, pur salvaguardandone
preziosità e storia che esse tramandano, non vadano
mummificate per farne dei cadenti musei a cielo
aperto, destinate ad autodistruggersi poco alla volta
per vetustà, con la perdita di pezzi di storia. Ed invece, messe in sicurezza, rigenerate e ripensate,
rendendole utilizzabili potranno svolgere un impor-
tante ruolo sociale nella
vita della città moderna,
senza disperdere i loro
importanti valori storici
ed architettonici, per
continuare, insieme al
nuovo, a ricordarci le
radici del vecchio. Tenuto fermo il principio
degli indispensabili interventi rigeneratori dei
Centri Storici delle città,
per quanto riguarda la
piazza Stesicoro, va valutata con interesse un’altra coraggiosa proposta
progettuale illustrata
alcuni anni fa dall’arch.
Antonio Pavone (vedi La
Sicilia del 26 novembre
2009) che nella stessa
area, prevede uno studio
che consenta, anche con la demolizione di volumi
degradati ed insicuri, un accesso per la visitazione
sotterranea del teatro romano realizzando un itinerario archeologico dell’epoca romana, ricavato con
appropriati scavi ad di sotto di importanti edifici
esistenti. I due progetti si sposano in quanto, nel loro
insieme, uno valorizza epoche archeologiche romane
e l’altro epoche del dopoterremoto; ambedue preziose perché svelano nella parte storica della città uno
spaccato assolutamente da riscoprire che rappresenta
la storia degli ultimi millenni della città.
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Ipotesi virtuale della galleria
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INGEGNERIA FERROVIARIA DEL PRIMO NOVECENTO IN SICILIA
AD OPERA DEL GENIO MILITARE.
IMPIEGO DI UN PONTE PREFABBRICATO TIPO ROTH-WAAGNER PER LA RICOSTRUZIONE DI UN
TRATTO DI LINEA CATANIA-MESSINA, DISTRUTTA A SEGUITO DELL’ERUZIONE DEL 1928.
di Orazio Marletta*
Giuseppe A. Di Guardo*
PREMESSA
Le opere di ingegneria militare rappresentano una
porzione non indifferente del patrimonio storico di
cui oggi disponiamo. Esse sono da sempre oggetto di
interesse culturale e pertanto sono degne di salvaguardia, a tutela della memoria storica di cui sono
custodi. Insieme ai grandi protagonisti dell’ingegneria e dell’architettura civile del passato, i tecnici “in
divisa”, hanno sempre assunto un ruolo tutt’altro che
marginale. Il loro operato, oltre che rivolto alla
realizzazione delle opere difensive, è stato sempre
fondamentale durante la gestione delle emergenze.
Pregevole, ad esempio, il contributo tecnico fornito
al Duca di Camastra dall’ingegnere militare Carlos de
Grunenbergh, inviato in Sicilia dal re di Spagna, al
servizio del Vicerè, per il riassetto urbanistico della
città di Catania distrutta dal sisma del 1693. In
epoche più recenti, puntuali interventi dei tecnici
con le stellette si sono contraddistinti sia per l’alto
valore sociale che per la loro qualità tecnica.
Modello di veri e propri capolavori dell’arte e della
tecnica costruttiva, i ponti prefabbricati, realizzati dal
genio ferrovieri durante la prima metà del novecento,
costituiscono ancora oggi un esemplare punto di
riferimento per progettisti e costruttori odierni.
Attraverso notizie riportate dalle cronache e la documentazione fotografica dell’epoca, l’articolo descrive
le fasi più salienti dell’indefesso lavoro dei militari
impiegati per la costruzione di un ponte ferroviario
tipo Roth – Waagner, utilizzato per il ripristino della
strada ferrata Catania-Messina, interrotta a causa
dell’avanzare del fronte lavico durante l’eruzione
dell’Etna del 1928.
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L’ERUZIONE DELL’ETNA, MASCALI 1928.
Il 2 novembre del 1928 rappresenta per la città di
Mascali una data nefasta. Dopo cinque anni di
apparente inattività del vulcano, da quando cioè nel
1923 una colata sul versante settentrionale dell’Etna
aveva interrotto la linea ferrata della circumetnea,
invadendo la strada statale Fiumefreddo – Randazzo
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e minacciando la periferia della città di Linguaglossa,
una nuova frattura apertasi sul fianco orientale del
vulcano generò una colata lavica che distrusse quasi
interamente la ridente cittadina pedemontana.
La fase eruttiva cominciò sul calar della sera, con
l’apertura di una bocca a quota 2.600 m s.l.m. Successivamente, il fenomeno assunse dimensioni maggiori
per via della formazione di tre crateri a quota 1.650 m
.s.l.m. Inizialmente, l’attività del vulcano sembrò non
interessare la città di Mascali. Ciò finché, nella notte
fra il 4 e il 5 novembre si aprirono nuove bocche a
quota 1.150 nei pressi della Ripe della Naca. Il
magma, fluidissimo, si incanalò nell’alveo del
torrente Pietrafucile, dirigendosi, ad una velocità
media di 150 metri l’ora, verso Mascali. In soli 18
giorni, il fronte lavico, la cui larghezza massima
raggiunse gli 800 m, percorse ben 8 km e distrusse
quasi interamente la città di Mascali, ad eccezione del
piccolo quartiere di Sant’Antonino, prima di fermarsi
a pochi km dalla costa. Il 10 novembre, il fronte
lavico distrusse la stazione ferroviaria di Mascali ed
interruppe la linea ferrata Catania – Messina, in prossimità del ponte di Carrabba, isolando con ciò la Sicilia orientale dal resto d’Italia. Una preziosa testimonianza dell’attività lavica è custodita nell’opera
fotografica degli aeromobili di ricognizione della
Regia Aeronautica e dai documenti dell’istituto LUCE.
Foto 1 Foto Area fronte lavico in prossimità della località Annunziata, 5 novembre 1928
* ingegnere, ufficiale del Genio M.M.
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Foto 2 Foto Area della località Carrabba (Mascali), investita dalla
lava 12 novembre 1928
Foto 4 Il fronte lavico investe la stazione di Mascali
Dopo 18 giorni di intensa attività vulcanica i danni
provocati dall’eruzione furono enormi. Circa 800
ettari di superficie vennero distrutti di cui: 20 ettari il
Torrente Pietrafucile, 80 ettari l’abitato di Mascali,
700 ettari di terreni agricoli (1/4 agrumeti, 1/4
Foto 3 Il fronte lavico in prossimità del centro abitato di Carrabba
castagneti e noccioleti, 2/4 vigneti); l’abitato di
Mascali venne distrutto, ad eccezione del quartiere di
Sant’Antonino, i piccoli centri di Pietrafucile e Costa
Sovara oltre a diverse case coloniche per un totale di
circa 700 abitazioni; 4 ponti stradali vennero inghiottiti dalla lava e distrutti; la linea ferroviaria Catania –
Messina fu inghiottita all’altezza del ponte di Carrabba per 12 m., e distrutta anche la stazione di Mascali;
la ferrovia circumetnea fu investita per una larghezza
di circa 1 km, travolti 3 caselli ed 1 ponte; numerosi
tratti di infrastrutture di urbanizzazione andarono
distrutte (tra le quali la condotta idrica, per il
comune di Riposto, le linee telegrafiche, telefoniche
e dell’energia elettrica). Non vi furono vittime
accertate sebbene alcuni quotidiani locali dell’epoca
riportarono la notizia della morte di due o tre abitanti di Mascali [1].
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Fig. 1 Stralcio della carta geologica dell’Etna
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L’INTERVENTO DEL REGIO ESERCITO.
Il 3 novembre, con un telegramma di sei righe, il
prefetto di Catania, Giovanni Fronteri, informò il
Ministro dell’Interno dell’attività eruttiva, riservando
di dare ulteriori notizie sugli sviluppi del fenomeno[1].
Il 7 novembre del 1928, dopo appena cinque giorni
dall’inizio dell’attività eruttiva, furono inviati presso
Mascali i reparti fanteria de 12° Reggimento Genio di
stanza a Palermo. I genieri provvidero subito al
ripristino delle linee telegrafiche e telefoniche interrotte e diressero le attività necessarie a dare aiuto alla
popolazione sfollata.
Il 23 novembre, con regio decreto interministeriale
(Interni, Finanze e Lavori Pubblici), si intrapresero le
prime opere di ricostruzione. Inizialmente, venne
ripristinata la statale Catania-Messina. Allo scopo
vennero impiegati 150 operai 150 militari del 75°
Reggimento fanteria. Con grande vanto del governo
fascista, l’opera venne ultimata in cinque giorni.
Il 26 novembre, il 6° Reggimento Ferrovieri di Torino
inviò a Mascali un reparto di formazione comandato
da un ufficiale superiore e tre ufficiali subalterni, 120
tra sottufficiali e uomini di truppa della 4° compagnia, per i lavori necessari al ripristino delle comunicazioni ferroviarie sulla linea Catania – Messina.
All’esercito, si unirono numerosi civili [10].
I lavori, finalizzati alla messa in efficienza della
ferrovia, durarono appena due settimane [3]. In
particolare essi riguardarono la realizzazione di 2,5
Km di rotaie su terreno accidentato in deviate a linee
esistenti e la realizzazione di un ponte ferroviario
tipo Roth Waagner nei pressi del torrente Macchia, in
località Santa Maria la strada [3]. In occasione
dell’evento, a tributo dell’impegno profuso da tutti i
militari impiegati sul posto, il Comando Militare della
Sicilia, nella persona dell’allora Comandante,
Generale di Corpo d’armata Scipione Scipioni, conferì (il 18 febbraio dell’anno successivo) un Encomio al
Comando Battaglione Genio Ferrovieri.
IL GENIO FERROVIERI E I PONTI PREFABBRICATI
ROTH – WAAGNER, ESEMPIO DI ARCHEOLOGIA
INDUSTRIALE DEL XX SECOLO.
Il reggimento ferrovieri rappresenta una specialità
del corpo “Genio” dell’Esercito italiano. Le prime
compagnie Lavoro del Genio Ferrovieri risalgono al
1887. Esse si contraddistinsero per la notevole mole
di ponti in legno realizzati che, per via della complessità, delle caratteristiche costruttive e la limitata
disponibilità delle attrezzature speciali, rappresentarono dei veri e propri capolavori d’ingegneria. Col
passare del tempo, grazie al perfezionamento
tecnologico dei prodotti siderurgici, il legno fu sostituito dall’acciaio e gli elementi modulari costitutivi dei ponti metallici
vennero prodotti in serie e dimensionati direttamente dalle industrie
produttrici. I primi ponti ferroviari a
struttura reticolare, impiegati per i
ripristini di interruzioni, furono i
ponti tipo Eiffel, brevettati in Francia
allo scopo di sostituire i primi ponti in
legno delle ferrovie. Questo tipo di
ponti, il cui modulo in lunghezza era
di 3 m e la luce superabile di 46 m,
venne sostituito nel primo dopoguerra, da una nuova tecnologia, le cui
prestazioni erano di gran lunga superiori a quelle del tipo Eiffel. Il nuovo
sistema costruttivo, per ponti prefabbricati, fu adottato dal regio esercito a
seguito dell’esperienza bellica affrontata nel primo conflitto mondiale. Le
Encomio conferita al Comando Battaglione Genio Ferrovieri Giarre, da
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Fig.2. Targa di
parte del Gen. S. Scipioni, Palermo 18/02/1929 [10].
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unità Lavoro del Genio ferrovieri, infatti, recuperarono e riordinarono il materiale da ponte tipo Kohn e
Roth-Waagner lasciato nei depositi dagli austriaci. Il
sistema di ponti Roth-Waagner, seppur garantisse
maggiore flessibilità d’impiego, richiedeva un nuovo
procedimento di montaggio, l’ausilio di attrezzature
di sollevamento specifiche ed uno determinato
addestramento del personale impiegato allo scopo.
Una volta reperita la documentazione tecnica adeguata all’impiego di detti ponti, i genieri del regio esercito divennero abili esperti ed utilizzarono i ponti
Roth-Waagner sia per la ricostruzione post-bellica, sia
quale riserva per affrontare situazioni di emergenza
dovute a calamità naturali o accidentali, come avvenne per l’eruzione dell’Etna del novembre 1928.
Questo ponte metallico prefabbricato, adottato in
Italia già a partire dal 1919, consentì la costruzione di
travate a mezzo piano, a un piano e a due piani
(eventualmente con pile intermedie), atte al transito
di normali convogli ferroviari. La lunghezza massima
del ponte, senza sostegni intermedi, era di m. 70. Il
ponte poteva essere costruito con montaggio diretto,
cioè con ponte di servizio, oppure a sbalzo.
Foto 5. Lo stendardo del Genio Ferrovieri, ubicato in prossimità
della prima travata di controvento trasversale testata di un ponte
Roth-Waagner, impiegato a Mascali.
Numerosi furono gli esempi di travature RothWaagner sia in Italia (es. Ponte tipo Roth-Waagner
lungo 150 m a 4 campate sul fiume Adda in località
Pizzighettone), che oltre i confini nazionali. Durante
le campagne coloniali d’Africa del 1935-36, infatti,
due compagnie di lavori del Genio ferrovieri si
distinsero per la costruzione di due ponti Kohn in
versione stradale sul fiume Barca, di due ponti
ferroviari del tipo Roth-Waagner sul fiume Carrabel e
sul fiume Bome. Molteplici lavori, di encomiabile
tecnica ingegneristica, diedero risalto ai genieri
anche durante il secondo conflitto mondiale. Tra
questi ricordiamo la costruzione di due ponti sul
canale dell’Istmo di Corinto (opera realizzata in soli
25 giorni, completamente a sbalzo)e sul Brallo.
Il secondo dopoguerra, caratterizzato dal processo di
riorganizzazione di tutta la società civile della
nazione, vide anche una riconfigurazione del nuovo
esercito repubblicano. A seguito dei pesanti bombardamenti inflitti alle infrastrutture nazionali, sia da
parte delle forze alleate, sia da parte dall’esercito
tedesco in ritirata, numerose opere d’arte ferroviarie
(quali ponti, viadotti, ecc.) furono rese inagibili. Al
fine di far fronte alla vasta opera di ricostruzione, la
F.A. ricostruì le compagnie “ponti metallici scomponibili del Genio Ferrovieri”. In tale circostanza, essendo stato disciolto il raggruppamento Ferrovieri (1
novembre 1945), vennero istituiti due modesti reparti autonomi: la 1^ e la 2^Compagnia Ponti
Metallici Scomponibili, stanziate rispettivamente a
Torino e Bologna. Esse cooperarono con la rinata
organizzazione civile delle Ferrovie dello Stato
nell’opera di rinnovamento, provvedendo, oltre che
ai lavori di armamento ferroviario, anche alla costruzione dei ponti metallici con l’impiego di materiale
Roth-Waagner, Kohn e delle nuove tecnologie anglo
americane S 22U.C.R.B.
Nel 1947 le due Compagnie Ponti Metallici vennero
riunite in un unico battaglione, mentre la ricostruita
Compagnia Esercizio Linee rimase inquadrata nel
Reggimento Genio Pontieri fino al 1957.
Con il boom economico degli anni 60 e 70, la
tecnologia di ponti Roth-Waagner venne pian piano
accantonata per far posto al nuovo sistema Ponte
“S.E.” (Strasse Eisenbahn), di fabbricazione tedesca,
molto più flessibile e adeguato alle moderne esigenze del trasporto su rotaia. A partire dal 1973, infatti,
la ferrovia di stato italiana si approvvigionò del nuovo
sistema S.E., nonostante diverse travate RothWaagner sono state dimessi dalla rete ferroviaria
moderna solo da qualche anno, ciò a testimonianza
della validità del materiale e della flessibilità d’impiego che esso garantì[6].
Dopo la ricostruzione il Reggimento Genio Ferrovieri ha subito diverse riorganizzazioni, assumendo, la
configurazione attuale solo nel 1975 allorché, nel
quadro della ben più vasta ristrutturazione dell’Esercito Italiano, fu disciolto il 6° Battaglione Genio
Pionieri e vennero tenuti in vita il Comando di
Reggimento con il suo plotone di Comando, il 1°
Battaglione Genio Ferrovieri pt. M.s., nella sede di
Castel Maggiore, ed il 2° Battaglione Esercizio Linee,
in quella di Torino.
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Foto 6 E 7. Modello di ponte metallico scomponibile tipo Roth
Waagner austriaco (preda bellica), conservato presso l’ISCAG di
Roma.
calcolatori elettronici, spesso non potevano permettersi procedimenti di calcolo complessi per la
progettazione.
Detti manuali, sulla scorta della maturata esperienza
sul campo, sintetizzavano schemi strutturali e
modalità di montaggio in considerazione delle
caratteristiche d’impiego. In particolare, l’approccio
del calcolo veniva semplificato in funzione:
della tipologia di armamento ferroviario (traverse,
giunzioni, ecc.);
della tipologia degli impianti di linea (deviazioni,
intersezioni, ecc.);
della tipologia di travate (numero di piani e pareti);
dei carichi di esercizio e della tipologia di materiale
rotabile trasportato (merci, bestiame, truppe, ecc.)
Essi inoltre riportavano i tipi di attrezzature da lavoro
occorrenti al montaggio di strutture e sovrastrutture,
descrivendone con cura i casi d’impiego.
Foto 8 Ponte in pietra presso torrente Pietrafucile in località
Carrabba (Mascali), distrutto dalla colata del 1928
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Foto 9 Ponte metallico R-W prefabbricato, messo in opera dal
Genio ferrovieri in prossimità del torrente Macchia di Giarre.
CENNI SULLE CARATTERISTICHE TECNICHE E
SULLE MODALITA’ D’IMPIEGO DEI PONTI SCOMPONIBILI.
La necessità di realizzare i ponti prefabbricati in
tempi compatibili con le esigenze operative, ha
condotto nel tempo alla elaborazione di manuali e
prontuari tecnici d’uso pratico, rivolti agli ufficiali
del genio che all’epoca, in assenza dei moderni
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Fig.3 e 4. Esempio di tavole illustrate sintetiche ad uso prontuario [8].
Il materiale impiegato per i ponti scomponibili
Roth-Waagner era il ferro omogeneo Martin-Siemens
per tutte le strutture, ad eccezione degli appoggi
realizzati in acciaio fuso Martin-Siemens conforme
alle norme emanate dall’I.R. del Ministero delle
Ferrovie austriache nel 1904.
per intervalli fra gli appoggi da 12 a 80 m; (2)intervallo far gli appoggi; (3) in più direzioni; (4) in una sola
direzione.
I componenti strutturali per l’assemblaggio del ponte
venivano distinti in tre categorie principali:
1) parti componenti le travi maestre longitudinali (ad
un piano o a due piani): tralicci intermedi con
montanti semplici e di estremità; essi si distinguono a
loro volta in: correnti, diagonali e montanti;
2) parti costruttive intermedie: le rotaie, la carreggiata ecc.;
3) parti costituenti le controventature: longarine
singole o accoppiate.
Tutti i componenti venivano interconnessi attraverso
le chiavarde, unioni chiodate o bullonate del diametro di variabile da 35 a 60 mm, in funzione dello
sforzo trasmesso, ovvero di diametro 20 mm per le
unioni di supporto. Tutte le parti strutturali avevano
lunghezze contenute non superiori a 6,5 m, in modo
da essere facilmente trasportabili.
Se dal punto di vista interno, la struttura risultava
vincolata quasi sempre da cerniere (o in alcuni casi
incastri, a seconda del tipo di collegamento tra le
parti), esternamente essa veniva appoggiata alle
estremità, con appoggi a cerniera o a rullo. I
cuscinetti, realizzati in acciaio fuso, si differenziavano
a seconda se fissi o mobili per via del bilanciere, in
luogo della sella d’appoggio, insieme ad una serie di
rulli.
La costruzione delle travate solidali si distingueva in
travi continue o collegate (con collegamenti normali
o anormali, cioè con ridotte distanze medie dei
montanti terminali, a seguito dell’uso di briglie di
estremità).
Relativamente alle modalità d’impiego, le strutture
da ponte Roth-Waagner si distinguevano in due
categorie:
a montaggio diretto.
a sbalzo (con gru di montaggio).
Il materiale da ponte Roth-Waagner veniva costruito
prevalentemente per ferrovie a scartamento normale,
(cioè con la distanza intercorrente tra i lembi interni
del fungo delle due rotaie del binario di misura
ordinaria), ma poteva essere anche utilizzato per
ferrovie a scartamento ridotto e ferrovie decauville
(il cui binario è formato da elementi prefabbricati che
possono essere montati e smontati velocemente.
Sono usate quasi esclusivamente per il merci, minerali, terre, ecc.).
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Fig.5. Esempio di tavole grafiche progettuali pubblicate [7].
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DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA DELL’EPOCA,
RELATIVA ALLE FASI DI COSTRUZIONE DEL
PONTE FERROVIARIO NEI PRESSI DEL TORRENTE SANTA MARIA.
Foto 13 e segg. Varie fasi realizzative del ponte.
Foto 10. trasporto dei materiali R-W a piè d’opera presso Torrente
S. Maria (Mascali-Riposto 1928).
Foto 14.
Foto 11. Genieri del Rgt. Ferrovieri provvedono ad armare il
raccordo provvisorio ai margini.
Foto 15
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Foto 12. Vengono realizzate opere in difesa dei piloni centrali
dalle piene .
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Foto 16
FONTI BIBLIOGRAFICHE
[1] AA.VV. Quaderno di studi Città di Mascali “Mascali 19281937: dalla distruzione alla rinascita” di Nino AMANTE pp. 99
-105, edizione La Rocca – Riposto (CT) Dicembre 2012
[2] FRANCESCO FICHERA “Mascali, la città sepolta”, editore
Bracchi Giarre 1988
[3] Giornale Istituto LUCE nr. A0238 del 12/1928, Cinecittà
Roma.
[4] Rivista “l’Amministrazione Ferroviaria” del “Collegio Amministratori agosto 1993 n.8 anno xx., Nascita Ed Evoluzione Del
Genio Ferrovieri di Mario PIETRANGELI .
[5] M. PIETRANGELI, Storia del Reggimento Genio Ferrovieri
italiano dei reparti militari ferroviari nel mondo e dei trasporti militari, pag. 24. Quaderni Società Cultura e Storia Militare,
Edizione 2006.
[6] Rivista Ingegneria Ferroviaria del CIF, numero 9 settembre
1994, Evoluzione Dei Ponti In dotazione al Genio Ferrovieri di
Mario PIETRANGELI.
[7] AA.VV. “Istruzioni sui Ponti Scomponibili e sulle Plie sistema
Roth- Waagner” edito Tipografia del Reggimento Ferrovieri del
Genio, Torino 1926.
[8] F. CIPRIANI , OTTAVINI , Prontuario Tecnico sui Lavori e
Mezzi del Genio, ed. Grafia, Roma 1951
[9] AA.VV., Manuale dell’Ufficiale del Genio, vol. II, Comunicazioni, da pag. 102 a pag. 118 Ispettorato del Genio del 1941
Foto 17
FONTI ARCHIVISTICHE
[10] Pannello nr. 3497 I.S.C.A.G. , ubicazione 212-PA-001 Istituto
Storico e di Cultura dell’Arma del Genio, Roma.
[11] Archivio Fotografico Toscano, Fondo Gaetano PONTE.
SITI WEB
[12] http://www.mascali1928.it/leruzione_del_1928.html
[13] http://www.aft.it/fondi/ponte/home.htm
Foto 18. Momenti di relax e distribuzione del rancio.
FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI
Foto 1 -Aeronautica Militare – Ripresa aerea. 30° squadriglia di
ricognizione Iscrizioni: 413 - R.30° A-300-H CATANIA 5-11-928
ORE 11.30 25.800 MASCALI. Archivio [11]
Foto 2 – Aeronautica Militare – Ripresa aerea - Iscrizioni: 122 10 - 184 AUGUSTA - 12-11-928. VII* 12.30-400-24 Carrabba investito dalla lava P. Ten. NACCARI U. S. Ten. Vascello. CORSO.
Archivio [11]
Foto 3 – Foto Archivio Malato – Catania
Foto 4 - Casa Ed. Ballerini & Fratini (Firenze)
Foto 5 - Associazione Mascali 1928
Foto 6 e 7 – Archivio ISCAG
Foto 8- Strano Francesco – Emporio Giarre
Foto 9 – Archivio ISCAG.
Foto 10 e segg. Archivio ISCAG.
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Foto 19. Inaugurazione.
NOTE
Si ringrazia il Gen. ing. Piero PESARESI, il sig. Leonardo VACCARO
(associazione Mascali 1928), l’ing. Gregorio S. RUSSO, il Ten. Col.
Luigi CHIAVONI e il 1^Caporalmaggiore Giancarlo MANDIA (Istituto Storico e Cultura dell’Arma del Genio di Roma), il dott. Vito
MARLETTA. La parte relativa alle “caratteristiche costruttive dei
ponti” è stata curata da Giuseppe Di Guardo, gli aspetti storici
sono a cura di Orazio Marletta.
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IL SISTEMA COSTRUTTIVO X-LAM
di Marco Bonelli
IL LEGNO STRUTTURALE
Nella storia delle costruzioni, il legno ha rappresentato il primo, e per molto tempo, il più importante
materiale da costruzione per le strutture portanti.
Se agli inizi il suo impiego era principalmente dovuto
alle sue caratteristiche di lavorabilità e leggerezza,
oggi la scelta di questo materiale è determinata da
caratteristiche e proprietà specifiche, come:
-realizzazione in condizioni favorevoli all’ambiente;
-reperibilità e possibilità di lavorazione;
-rapporto molto vantaggioso tra peso e resistenza, si
pensi ad esempio alla lunghezza di rottura del legno,
ossia la lunghezza teorica oltre la quale un elemento
sospeso ad un estremo si rompe per effetto della
propria massa. Per l’acciaio, a seconda del tipo, tale
lunghezza varia da 4 a 8 km, per l’alluminio è di 11
km, per il legno, a seconda del tipo e della struttura,
è di 15-30 km;
-ampio spettro di valori di densità e di resistenza;
-maggiore resistività termica, unita a capacità di
isolamento termico relativamente buona;
-possibilità di ricorrere a mezzi e tecniche di collegamento di elevato valore;
CARATTERISTICHE DEL MATERIALE
AFFIDABILITÀ
Esistono oramai esperienze scientifiche nazionali e
internazionali che testimoniano l’elevato livello di
sicurezza di edifici interamente di legno, anche di
molti piani, cosa già nota in diverse parti del mondo
(Nord America, Giappone, Nord Europa), in cui il
legno viene normalmente utilizzato e spesso preferito per la realizzazione di edifici residenziali e
pubblici anche di notevole importanza.
Il legno è un materiale adatto alla realizzazione di
edifici che esigono un efficiente comportamento
nei confronti dei terremoti. Un progetto di ricerca
italiano condotto dal CNR-IVALSA (di San Michele
all’Adige, TN) in collaborazione con il National
Institute for Earth science and Disaster prevention
(NIED) ha portato alla realizzazione di una serie di
test su piattaforma sismica sperimentale in Giappone
su edifici interamente a struttura di legno di 7 piani
che hanno resistito benissimo a terremoti distruttivi
(Magnitudo 7,8).
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Dei progressi della ricerca scientifica nel campo della
tecnica delle costruzioni in legno si tiene conto
anche nelle Norme Tecniche per le Costruzioni (DM
FIG. 1 – Edificio di 7 piani sottoposto a prova sismica sopra la
piastra vibrante del NIED
14/01/2008), nelle quali scompaiono le limitazioni di
altezza, per le costruzioni di legno in funzione della
zona sismica presenti nelle Normative precedenti.
DURABILITÀ
Basterebbe da sola la foto sottostante per parlare di
durabilità delle strutture di legno, la Pagoda del
tempio di Horyu-ji a Nara, antica capitale del
Giappone, anno di costruzione 607 d.C., 5 piani,
31,5 metri di altezza.
Esempio di edificio interamente in legno, leggero,
resistente e flessibile che ha resistito indenne a 14
secoli di terremoti distruttivi ed è arrivato in condizioni perfette ai nostri giorni.
Il legno, se conosciuto e adeguatamente progettato,
può durare secoli (basti pensare agli splendidi
esempi di coperture di chiese ed edifici monumentali presenti nel nostro paese): in Nord America l’80%
degli edifici residenziali, anche multipiano, sono di
- PRINCIPIO
I pannelli di legno massiccio a strati incrociati X-Lam
(cross laminated timber) sono pannelli di grandi
dimensioni, formati da più strati di tavole, sovrapposti e incollati uno sull’altro in modo che la fibratura
di ogni singolo strato sia ruotata nel piano del
pannello di 90° rispetto agli strati adiacenti.
Il numero di strati e il loro spessore può variare a
dipendenza del tipo di pannello e del produttore
dello stesso.
Il numero minimo di strati per ottenere un pannello
X-Lam è di 3; va però subito sottolineato che per
ottenere un comportamento fisico e meccanico
efficace sotto tutti i punti di vista e corrispondente
alla definizione di elemento multistrato, il numero
minimo di strati dovrebbe essere uguale a 5.
FIG. 2 – Pagoda del tempio Horyu-ji a Nara, Giappone
legno e superano tranquillamente i 100 anni di vita.
Il concetto di durabilità di una struttura, definita
come “conservazione delle caratteristiche fisiche e
meccaniche dei materiali e delle strutture affinché i
livelli di sicurezza vengano mantenuti durante tutta la
vita dell’opera”, secondo le Norme Tecniche per le
Costruzioni, è un requisito essenziale per la progettazione di una costruzione al pari della resistenza
meccanica e della stabilità.
Nelle strutture di legno, la conoscenza del materiale
e la corretta progettazione e realizzazione di alcuni
dettagli costruttivi fondamentali, accompagnata
dalla redazione di un corretto programma di
manutenzione, consente di raggiungere e superare
abbondantemente i livelli di vita nominale della
struttura previsti dalla Normativa.
I PANNELLI IN X-LAM
L’XLAM nasce alla fine degli anni ‘90, in Austria e in
Germania. In Austria si può identificare all’origine
dell’X-Lam un progetto di sviluppo e ricerca, realizzato presso l’Università di Graz, per aprire nuove vie
per un migliore sfruttamento delle risorse messe a
disposizione dalla lavorazione del legno in segheria,
realizzando elementi piani di grandi dimensione. A
questo progetto ne sono seguiti diversi altri, che,
insieme a diversi altri lavori di sviluppo e ricerca in
diversi paesi europei, hanno portato allo stato della
tecnica attuale.
FIG. 3 - Pannelli in X-Lam
I pannelli X-Lam sono prodotti con legno di conifera,
come la maggior parte degli elementi di legno per
uso strutturale realizzati secondo le tecnologie più
moderne.
La produzione normale di pannelli X-Lam è quindi
realizzata con legno di abete (in prevalenza abete
rosso). L’uso di altre specie legnose è possibile per
principio, ma è allo stato attuale riservato ai prototipi
e alla ricerca mirante a sviluppare proprio l’uso di
altre specie legnose per la realizzazione di elementi
strutturali.
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- LO STRATO DI TAVOLE
I singoli strati di tavole sono composti da tavole di
spessore variabile, di regola fra 15 e 30 mm. Pure la
larghezza delle singole tavole è variabile, di regola fra
gli 80 ed i 240 mm. Le tavole usate per la produzione
di pannelli X-Lam devono rispettare i medesimi crite57
ri delle tavole per la produzione di legno lamellare
incollato. Si tratta cioè di materiale classificato secondo la resistenza e appartenente ad una ben precisa
classe di resistenza. La produzione delle tavole
avviene quindi sulla base delle fasi di lavorazione
seguenti:
- taglio delle tavole (o lamelle);
- essiccatura;
- classificazione;
- giunti longitudinali delle lamelle;
- giunti trasversali delle tavole;
- incollaggio dei vari strati;
La produzione dell’X-Lam deve permettere la realizzazione dell’incollatura strutturale degli strati di tavole, in modo da formare un unico elemento monolitico e multistrato, utilizzando i collanti sviluppati per
SOLETTE IN X-LAM: L’ELEMENTO STRUTTURALE
A PIASTRA
La semplice analisi della piastra inflessa prevede la
sua descrizione come griglia di elementi inflessi, che
possono presentare caratteristiche meccaniche
diverse nelle due direzioni del piano. L’applicazione
di questo modello è giustificata dal fatto che, nella
maggior parte dei casi concreti, la geometria degli
elementi della piastra porta alla considerazione
dell’effetto strutturale in una sola direzione: inoltre
la rigidezza torsionale dell’X-Lam è comunque ridotta
a causa dei ridotti valori del modulo G del legno, a
cui va aggiunto l’effetto della possibile fessurazione
degli strati di tavole, che ne riduce la continuità nella
direzione trasversale.
L’elemento strutturale così descritto permette di
distribuire i carichi ad esso applicati nelle due
direzioni del suo piano, sfruttando quindi tutto il
materiale disponibile, riducendo le sollecitazioni
locali all’interno della piastra e permettendo di
distribuire i carichi su tutto il suo perimetro.
Le solette formate da X-Lam richiedono generalmente uno spessore fra 1/35 e 1/40 della luce che determina la flessione massima della soletta.
FIG. 4 – Fasi della produzione dei pannelli X-Lam
la produzione del legno lamellare incollato,cioè sia
gli adesivi più classici a base di formaldeide, sia
quelli più recenti a base di poliuretani.
Generalmente i pannelli X-Lam sono disponibili in
dimensioni che possono raggiungere i 24,0 m in una
direzione, i 4,80 m nell’altra e uno spessore di 5000
mm. Entro questi limiti, le dimensioni massime della
produzione del singolo pannello variano in modo
notevole così come variano le dimensioni dello
spessore dei singoli strati e della composizione del
pannello: in alcuni casi si producono pannelli con
strati doppi, in modo da ottenere una prevalenza
delle caratteristiche meccaniche in una delle due
direzioni del piano del pannello.
La produzione standard prevede pannelli che di
regola non superano, nella dimensione più corta,
l’altezza di un piano d’edificio, per ragioni di opportunità progettuale e costruttiva e anche per ragioni di
trasporto del pannello finito.
Nella tabella seguente sono riportate le misure
standard per vari produttori.
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FIG. 5 – Effetto strutturale a piastra
Questi valori hanno evidentemente carattere indicativo, perché tanto i carichi, quanto le esigenze di
rigidezza della soletta riguardo alla verifica dello stato
di servizio, hanno un effetto decisivo sul dimensionamento e quindi sullo spessore necessario dell’elemento strutturale. È opportuno sottolineare che
oltre ai noti criteri di limitazione delle deformazioni
della struttura, anche il comportamento oscillatorio e
vibrazionale può essere rilevante ai fini della verifica
dell’attitudine al servizio e si può affermare che la
struttura della soletta X-Lam, anche grazie alle sue
caratteristiche di elemento piano, permette di rispondere anche a queste esigenze.
La maggior parte delle solette dell’edilizia abitativa
sono composte da diversi elementi di pannelli X-Lam,
che possono essere considerati, in prima analisi,
come elementi strutturali inflessi con effetto portante
in una direzione.
Il giunto fra i vari elementi di soletta X-Lam, parallelo
alla direzione strutturale principale, è realizzato in
modo semplice, così da ottenere la continuità strutturale anche in questa direzione, ma senza realizzare
un giunto rigido. Il sistema strutturale della soletta
può quindi essere analizzato semplicemente sulla
base del modello della trave inflessa.
PARETI IN X-LAM: L’ELEMENTO STRUTTURALE LASTRA
L’elemento base di parete è formato da una lastra
verticale che deve assumere le funzioni di elemento
compresso (forza assiale verticale) e di lastra (forze
orizzontali nel piano della parete). Il pannello X-Lam
permette di assumere entrambe le funzioni.
La parete strutturale di X-Lam può essere vista come
un montante o un pilastro di lunghezza continua,
dove lo spessore minimo è determinato principalmente dai carichi verticali agenti sulla parete, ma
anche dalle esigenze di rigidezza dovute all’azione
dei carichi orizzontali e dalle esigenze di resistenza
spesso non direttamente considerate nel calcolo
strutturale ma non per questo da sottovalutare, quali
le esigenze legate direttamente o indirettamente
all’isolamento fonico, alla presenza di una massa
sufficiente nella costruzione e alla necessità di offrire,
comunque, anche localmente o in presenza di
aperture anche di piccola dimensione, una sufficiente rigidezza e resistenza dell’elemento strutturale.
Pur ammettendo che il calcolo strutturale dell’elemento di parete nella sua globalità può portare a
spessori minimi degli elementi di parete piuttosto
ridotti, e affermando che la realizzazione di pareti
molto sottili è senz’altro possibile, si deve valutare
molto attentamente e nel dettaglio la scelta di spessori delle pareti esterne al di sotto di 110 mm, o delle
pareti portanti interne al di sotto di 100 mm.
Come per i sistemi tradizionali, la presenza di aperture nelle pareti rappresenta una situazione strutturale
particolare per eccellenza degli elementi di parete.
L’apertura crea un’interruzione del flusso di forze
verso il basso, che deve essere deviato sulle zone a
lato delle aperture, dove si crea una concentrazione
di carichi e di sollecitazioni. Nella zona sopra l’apertura è necessario un elemento strutturale che
garantisca una rigidezza ed una resistenza a flessione
sufficienti a fungere da architrave. Le pareti di X-Lam
si prestano particolarmente bene in queste circostanze, in quanto la sezione verticale della parte di parete
al di sopra dell’apertura è costituita anche da un
numero di strati di tavole orizzontali, che possono
FIG. 6 – Elemento di parete sottoposto a carichi verticali
essere adibiti alla funzione di architrave. In presenza
di una altezza sufficiente di questa parte di parete,
l’architrave di rinforzo della parete, sopra all’apertura, è quindi disponibile senza l’aggiunta di ulteriori
rinforzi.
Gli elementi di parete hanno la doppia funzione della
discesa dei carichi verticali e di elemento inflesso in
caso di carichi perpendicolari al proprio piano (per
esempio il vento agente sulle pareti esterne), per cui
di preferenza gli strati esterni del pannello saranno
orientati in direzione verticale.
L’altezza degli elementi di parete, come già detto, è
spesso determinata dall’altezza di un piano dell’edificio: a dipendenza del tipo di edificio questa altezza si
situa poco al di sotto o poco al di sopra dei 3 metri,
per cui normalmente gli elementi di parete sono
formati da un unico pannello X-Lam nella direzione
verticale.
Dato che gli elementi di parete hanno la doppia
funzione della discesa dei carichi verticali e di
elemento inflesso in caso di carichi perpendicolari al
proprio piano (per esempio il vento agente sulle
pareti esterne), di preferenza gli strati esterni del
pannello saranno orientati nella direzione verticale.
A dipendenza della lunghezza della parete è senz’altro possibile produrre l’intera parete con un solo
elemento X-Lam: il limite massimo di lunghezza è
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FIG. 7 – Parete con apertura con e senza architrave
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dato dalla produzione dei pannelli e dalle fasi di
trasporto e montaggio. Di norma, però, si preferisce
l’uso di elementi X-Lam di dimensioni più ridotte,
che richiede la composizione degli elementi di parete tramite la giunzione di diversi pannelli, offrendo la
possibilità di produrre, manipolare e trasportare
elementi di dimensioni più piccole e, quindi, semplificando queste fasi della lavorazione e dell’esecuzione.
La soluzione più semplice, prevede in questo caso, la
suddivisione della parete in strisce verticali che ne
garantiscano la continuità strutturale su tutta l’altezza. Il collegamento fra i diversi elementi X-Lam della
parete deve assicurare la continuità della parete,
quale lastra verticale con funzione di controventatura
(trasmissione e discesa delle forze orizzontali agenti
nel piano della parete), mentre non è necessaria la
continuità della rigidezza flessionale nel giunto.
A questo riguardo è utile riportare una riflessione
dell’Ing. Andrea Bernasconi, professore di Costruzione in legno alla Scuola Universitaria Professionale
della Svizzera Occidentale e consulente dell’Istituto
di Costruzioni, Tecnologia e Strutture in Legno del
Politecnico di Graz, Austria.
“Esistono effettivamente pannelli X-Lam di diverse
dimensioni, ma la questione del giunto fra diversi
elementi di parete si pone anche qualora si decida,
per esempio per ragioni di montaggio, di lavorare
con elementi di dimensioni relativamente ridotte.
Il collegamento fra i vari elementi di pannello può
essere eseguito sia in modo rigido - tramite incollatura, avendo cura di applicare procedure che permettano di ottenere il risultato voluto - sia in modo meccanico, ottenendo una rigidezza del giunto ridotta,
rispetto alla rigidezza dell’elemento X-Lam supposto
senza giunti. Nel modo le sue caratteristiche di duttilità dipendono dalla configurazione dei mezzi di
collegamento e dal loro comportamento alla rottura.
È difficile dire in modo assoluto quale sia la strada
migliore da percorrere in fase di progetto e concezione della struttura di un edificio. Il principio, secondo
il quale un maggior numero di giunti duttili conferisce una maggior duttilità alla struttura e permette
una maggiore dissipazione di energia, è formalmente
corretto, ma nell’ottica della concezione di una
struttura portante ottimale, piuttosto riduttivo spinto
all’estremo, questo ragionamento porterebbe ad
aumentare ad oltranza il numero di giunti, riducendo
le dimensioni degli elementi, ottenendo risultati
opposti a quelli che la struttura formata dai pannelli
X-Lam può offrire.
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Il buon comportamento sismico di queste strutture è
stato ampiamente dimostrato anche in modo
sperimentale, lavorando con pannelli di dimensioni
piuttosto grandi.
Alla luce di questi risultati la riduzione della dimensione dei pannelli per ragioni di dissipazione di
energia non sarebbe giustificata. Resta, quindi, il dato
di fatto, che ogni giunto di una struttura rappresenta
un potenziale punto debole e, comunque ed in ogni
caso, un indebolimento della struttura stessa.
Non potendo produrre tutte le pareti e tutte le
solette in un solo elemento, per ragioni di trasporto,
montaggio o disponibilità dei pannelli, si opterà per i
giunti meccanici a causa della loro maggiore facilità
di esecuzione e a causa della loro minore sensibilità
alle condizioni di esecuzione. I giunti incollati
saranno quindi riservati a quei casi dove l’esecuzione
avviene in officina, in fase di preassemblaggio, ed ai
casi in cui un giunto estremamente rigido e
performante è richiesto per ragioni strutturali.
La rigidezza, la resistenza e la duttilità dei giunti
meccanici saranno definite in modo da avere,
comunque e sempre, sufficienti riserve di resistenza
(cercando quindi di non fare del giunto un elemento
di indebolimento troppo importante per la continuità dell’elemento strutturale di superficie), di rigidezza (con i medesimi obiettivi) e di duttilità (in modo
che, prima del collasso, una dissipazione di energia
possa avvenire).”
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE E DELLA
PROGETTAZIONE SISMICA
Come riportato da Piazza, Tomasi e Modena, «Volendo riassumere le caratteristiche del legno,
questo materiale possiede rigidezza e resistenza notevolmente più elevate nella direzione parallela alle
fibre rispetto alle direzioni trasversali; superato il
limite elastico, il comportamento può essere considerato duttile in compressione, mentre non vi è praticamente capacità di deformazione plastica prima della
frattura in trazione. Nelle direzioni ortogonali il
materiale si plasticizza a livelli molto bassi di sforzo in
compressione con grandi deformazioni anelastiche:
questo fatto influisce significativamente sul comportamento sismico.
Nel caso di eccitazione sismica, che ha carattere
oscillatorio con frequenti inversioni di segno, occorre far riferimento al comportamento del materiale a
fatica oligociclica. Al contrario del normale fenomeno
di fatica, relativo a situazioni che in genere prevedono un numero di cicli di carico elevatissimo con
escursione limitata al campo elastico, questo caso
riguarda un numero di cicli ridotto a qualche unità,
ma con estensione della risposta al campo plastico
(cicli di isteresi). È questa una situazione molto
gravosa per ogni tipo di materiale, per il degrado che
subiscono i parametri meccanici e in particolare per
la progressiva riduzione della duttilità.
Tuttavia, alla possibilità di sviluppo di cicli di isteresi
e alla loro “qualità” è legata la capacità della struttura
di dissipare energia, una caratteristica fondamentale
in regime sismico. Infatti, alla fase anelastica del
comportamento è associata una notevole capacità di
dissipazione. Considerandone le caratteristiche
meccaniche, il legno in condizioni originali non può
rispondere a questo tipo di sollecitazione in modo
soddisfacente. Per dissipare energia, si fa dunque
affidamento sull’associazione del legno con altri
materiali, in particolare l’acciaio, e quindi alle zone di
collaborazione dei due materiali, cioè alle connessioni, alle quali è, in definitiva, attribuito il compito di
fornire la risposta post-elastica della struttura.»
MODALITÀ E TIPOLOGIE DI CONNESSIONE
Le strutture di fondazione vengono realizzate o con
una platea o con travi rovesce in c.a. Se viene utilizzata una platea di fondazione è comunque buona
norma realizzare sopra di essa un cordolo in c.a.
oppure in legno di specie durabile, di altezza
massima pari a 100-120 mm, per evitare il contatto
diretto delle pareti di legno con la platea stessa. Il
cordolo può essere evitato se le strutture di fondazione fuoriescono dal livello del terreno. In tutti i casi
tra la struttura di legno e la fondazione va interposto
uno strato di guaina bituminosa per evitare le trappole di umidità.
- COLLEGAMENTO PARETE-FONDAZIONE
Il pannello è solidarizzato con gli elementi di fondazione in cemento armato, al fine di contrastare l’effetto delle azioni orizzontali sugli edifici (vento e sisma)
che possono generare forze di scorrimento e forze di
sollevamento del pannello rispetto alla fondazione.
In figura sono illustrati gli elementi preformati ad L
in acciaio atti a trasferire le forze orizzontali e verticali tra pannello e fondazione.
Spesso di utilizzano degli speciali elementi angolari
allungati, denominati hold-down (traduzione letterale dell’inglese tieni giù) solamente per la trasmissione delle forze assiali che contrastano il ribaltamento
della parete.
Le piastre angolari in acciaio sono collegate agli
elementi lignei con viti ed alle fondazioni in
calcestruzzo con barre ferrate o tasselli fissati in
maniera meccanica o chimica.
- COLLEGAMENTO PARETE-SOLAIO-PARETE
Gli edifici in X-Lam sono sistemi prefabbricati, dove
gli elementi vengono montati in opera e collegati
successivamente tra di loro tramite giunzioni. Il
processo costruttivo si ripete piano per piano: si
montano i pannelli verticali che formano le pareti, si
chiude il piano con pannelli orizzontali, e tali pannelli fanno da piattaforma per il posizionamento dei
pannelli verticali del piano successivo.
FIG. 8 - Piastre di collegamento
I sistemi X-Lam sono quindi sistemi “a piattaforma”,
dove l’orizzontamento intermedio interseca gli
elementi verticali. Nel nodo parete-solaio-parete deve
essere quindi ripristinata la continuità strutturale
tramite sistemi di giunzione analoghi a quelli utilizzati in fondazione, che consentano il collegamento del
solaio intermedio con il pannello inferiore e superiore. Anche per tale nodo si possono usare due tipi
differenti di collegamento per la trasmissione degli
sforzi di taglio o di sollevamento; Per trasmettere gli
sforzi di taglio dal solaio al pannello inferiore si
possono utilizzare piastre angolari che lavorano a
taglio oppure viti auto-foranti inserite direttamente
all’estradosso del pannello.
Per trasmettere gli sforzi di sollevamento dal pannello superiore al pannello inferiore si possono utilizzare gli stessi sistemi hold-down che si utilizzano in
fondazione, in questo caso vanno accoppiati sopra e
sotto il solaio e collegati tra di loro tramite un
bullone. In alternativa possono utilizzarsi piastre
passanti che collegano direttamente pannello
superiore e inferiore.
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- COLLEGAMENTO PARETE-PARETE CONTINUO
Le dimensioni laterali dei pannelli possono essere
limitate da ragioni produttive e di trasporto, perché
risulta necessario collegare in verticale più pannelli
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- COLLEGAMENTO SOLAIO-SOLAIO
Anche nel caso delle partizioni orizzontali come i
solai e le coperture realizzati con pannelli di tavole
incrociate, poiché questi hanno una dimensione
trasversale ridotta per ragioni produttive e di trasporto, è necessario realizzare giunti trasversali tra
pannello e pannello, per realizzare un diaframma
orizzontale continuo di maggiori dimensioni
(comportamento a lastra) e per evitare abbassamenti
differenziali (comportamento a piastra). Poiché si
tratta di collegamenti “a cerniera” in cui può essere
trasmesso in taglio e non la flessione, la direzione di
queste giunzioni è ovviamente parallela alla direzione
portante principale del solaio.
FIG. 9 - – Sistemi di trasmissione degli sforzi di sollevamento tra
parete e solaio
di tavole incrociate per realizzare una parete di una
certa lunghezza. La parete finale può essere quindi
composta da diversi pannelli collegati verticalmente
tra di loro.
I collegamenti devono essere dimensionati per
trasmettere le forze di taglio che si trasmettono da un
pannello all’altro in una parete sollecitata da carichi
orizzontali.
- COLLEGAMENTO PARETE-PARETE, D’ANGOLO
Il collegamento d’angolo tra pareti ortogonali è
indispensabile per garantire una maggiore robustezza all’intera costruzione. Inoltre tale vincolo può
costituire un presidio per le forze fuori piano delle
pareti, dovuto per esempio all’effetto del vento in
pressione sulle pareti, oppure alle forze di instabilizzazione laterale.
- COLLEGAMENTO PARETE-PARETE, INCROCIO
Nel caso di una parete interna che interseca una
parete esterna, è necessario collegare le pareti per
conferire una maggiore robustezza alla costruzione
ed offrire un presidio per i meccanismi fuori piano. Si
possono riproporre anche in questo caso soluzioni simili a quelle già illustrate per il collegamento d’angolo.
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FIG. 11 - – Particolari costruttivi dei collegamenti pareti-pareti,
d’angolo
SPERIMENTAZIONE SISMICA (PROGETTO SOFIE)
Il già citato progetto SOFIE, condotto dal CNR-IVALSA (di S. Michele all’Adige, TN) in collaborazione con
l’istituto NIED (National Institute for Earth Science
and Disaster Prevention) di Tsukuba, Giappone, ha
come scopo principale quello di analizzare il
comportamento di edifici multipiano, costruiti con
pannelli di legno a strati incrociati, considerando
ogni singolo aspetto relativo alle prestazioni strutturali e al comfort abitativo. Come già detto in
precedenza, una delle fasi del progetto prevede di
sottoporre a prove dinamiche su tavola vibrante un
edificio realizzato completamente con struttura
XLAM, l’edificio è stato sottoposto a 7 scosse di grado
7,8 della scala Richter. Il prototipo di edificio sul
quale sono stati eseguiti i test in Giappone, tra il
2006 e il 2007,ha una altezza di 7 piani ed è realizzato con pannelli lamellari di legno massiccio di
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FIG. 10 - Particolari costruttivi dei collegamenti parete-parete
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FIG. 12 - Collegamento parete-parete, incrocio
spessore variabile dai 5 ai 30 cm, ottenuti incollando
strati incrociati di tavole di spessore medio di 2 cm. I
pannelli vengono tagliati a seconda delle esigenze
architettoniche, completi di aperture per porte,
finestre e vani scala e in seguito issati e collegati tra
loro in opera con angolari metallici, chiodi a rilievi
tronco-conici e viti auto foranti. I pannelli sono
realizzati interamente con legno proveniente dalle
foreste della Valle di Fiemme e delle altre valli del
Trentino.
Tralasciando i dettagli delle prove, i risultati mostrano che, anche dopo aver raggiunto lo stato limite di
quasi-collasso (con un terremoto corrispondente a
quello di Kobe), i danni osservati erano comunque
tali da consentire una riparazione dell’edificio con
FIG. 13 - – Particolari costruttivi dei collegamenti solaio-solaio
pochi interventi. L’edificio, al termine delle prove
effettuate, è ritornato nella sua posizione originaria,
senza evidenziare alcuna deformazione permanente.
Gli unici danni riportati dalla struttura risultano essere la deformazione di alcune delle piastre di collegamento e delle relativi viti auto foranti, danni quindi
molto lievi che consentono una riparazione economica.
FIG. 14 - Edificio di7 piani sottoposto a sisma nel progetto SOFIE
COMPORTAMENTO AL FUOCO DELLE STRUTTURE IN LEGNO
Molti pregiudizi sull’impiego del legno sono legati
alla sua capacità di bruciare fino alla totale combustione e al pericolo di crollo. Luoghi comuni che
nascondono le reali capacità del legno e che non
tengono conto di altri fattori. Bisogna, infatti, considerare che il rischio d’incendio è influenzato dal
comportamento al fuoco dei materiali presenti nel
compartimento.
Per i materiali strutturali, parametro importante è la
resistenza al fuoco.
Il legno è un materiale combustibile, ma resistente al
fuoco. In caso di incendio la resistenza meccanica
non è influenzata dall’aumento di temperatura nella
sezione residua.
Vale a dire, il collasso strutturale avviene, non per
decadimento delle caratteristiche meccaniche, ma
per riduzione della sezione resistente. Il legno brucia
lentamente e la carbonizzazione procede dall’esterno
verso l’interno. Il processo di carbonizzazione determina la riduzione della sezione resistente. La sezione
non ancora carbonizzata offre ancora resistenza
meccanica, fino a quando non è talmente ridotta da
non assolvere più alla funzione portante.
Al contrario, l’acciaio pur essendo incombustibile,
perde le sue caratteristiche di portanza già a 400 °C.
Questa temperatura è raggiunta dopo 5 minuti di un
incendio standard. Analogamente, il cemento armato
con gli usuali copriferro (2,5 cm) cede per perdita di
capacità portante delle armature soggette a fortissime
dilatazioni.
Il fenomeno è più evidente
per il cemento armato
precompresso.
Di fondamentale importanza è
la consapevolezza che una
corretta progettazione antincendio delle strutture in legno
permette di ottenere alti gradi
di sicurezza globale.
Si deve tenere in debito conto
che tutti gli elementi strutturali devono appartenere alla
stessa classe di resistenza al
fuoco. È spesso preferibile
sovradimensionare le sezioni
di 2-3 cm per elevare, senza
l’uso di trattamenti, la classe
di resistenza al fuoco.
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FIG. 15 - Unici danni prodotti da 7 sismi di grado 7,8 della scala
Richter
SPERIMENTAZIONE AL FUOCO
La prova al fuoco su un prototipo di edificio SOFIE di
tre piani, effettuata presso il Building Research
Institute di Tsukuba nel marzo 2007, ha dimostrato
come la costruzione abbia la capacità di resistere ad
un incendio della durata di un’ora, conservando le
sue proprietà meccaniche e lasciando inalterata la
FIG. 17 – Edificio in X-Lam sottoposto ad un incendio
FIG. 16 - Consumo del legno durante un incendio
sua struttura portante, con prestazioni del tutto paragonabili a quelle di edifici in muratura o cemento
armato.
Dentro una stanza di 3,5x3,5 m, si sono messi due
materassi e circa 380 kg di legno a simulare il carico
incendio di una camera di albergo. Le pareti erano
rivestite con doppia lastra in cartongesso.
La prova è durata 60 minuti. Durante l’incendio si
sono raggiunti all’interno della stanza circa 1200
gradi centigradi. All’esterno della stanza non più di
20 gradi. Non c’e’ stata propagazione di fumi
all’esterno della stanza e l’incendio non si è propagato al piano superiore, in quanto la facciata intonacata
non ha costituito via di propagazione dell’incendio.
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BIBLIOGRAFIA
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- M. Piazza, R. Tomasi, R. Modena, Strutture in legno, Hoepli
editore, 2005;
GIUSEPPE PALAZZOTTO
ARCHITETTO CATANESE DEL ‘700
di Salvatore Maria Calogero
Fig. 1 – Scala esterna e portale d’ingresso al palazzo Biscari
( foto in V. Librando, 1965).
- Andreana Grillo - e quattro figli; il 19 novembre 1696
acquistò una casa presso il convento di Sant’Agostino,
dove abitò con i figli Girolamo, Filippo e Antonino, che
svolsero l’attività di “lapidum incisores”. A Catania
nacque il più piccolo dei fratelli (2 gennaio 1702),
Giuseppe, il quale, dopo aver lavorato nella “Casa dei
Minoriti”, nel 1730 lo troviamo nella chiesa madre di
Gravina per il disegno del portale d’ingresso e nel
monastero di S. Nicolò l’Arena in cui, nel novembre
del 1731, fu registrato il «regalo del modello fatto per
la scala principale da maestro Giuseppe Palazzotto»,
quella esterna a pianta ottagonale con andamento
concavo-convesso, rilevata nel 1789 dall’architetto
Leon Dufourny prima della sua demolizione. L’architetto Giuseppe Palazzotto progettò il completamento del
palazzo Biscari (fig. 1), del convento di S. Domenico, la
chiesa e il monastero di S. Giuliano (fig. 2), il presbiterio della chiesa di San Placido e palazzo Valle. Il 15
maggio 1747, su richiesta dei Deputati dell’Università,
fu nominato sostituto del principale Soprintendente
Giovan Battista Vaccarini e, nel 1751, divenne Architetto del Senato costruendo il Palazzo degli Elefanti (fig.
3), la chiesa di S. Michele Arcangelo ai Minoriti (fig. 4)
e completando alcuni edifici rimasti incompiuti dal
Vaccarini (i palazzi di S. Giuliano e Villermosa); nonché
molti altri edifici fuori Catania e in Calabria.
Vito Librando, nella sua pubblicazione del 1963 Francesco Battaglia architetto del XVIII secolo, esordisce
dicendo: «Nell’architettura del settecento a Catania,
una presenza soverchiante viene riconosciuta a G. B.
Vaccarini; lasciando, viceversa, quasi all’ombra i nomi
di chi – primi fra tutti Francesco Battaglia e Giuseppe
Palazzotto – aveva alacremente contribuito a formare
quel volto della città etnea che, pur attraverso momenti travagliati, ci è giunto non troppo sfigurato». Inoltre,
«E’ ancora difficile precisare quale contributo, soprattutto sino alla metà del secolo, debba riconoscersi a
Giuseppe Palazzotto: certamente di gran lunga
superiore e più ampio di quanto sinora è stato
insufficientemente definito, e con caratteri
diversi da quelli del Battaglia».
Al Palazzotto, nell’800, veniva attribuita la
paternità di alcuni edifici monumentali, sia di
carattere religioso che civile ma, in seguito alla
monografia sul Vaccarini pubblicata da Francesco Fichera, molte sue opere furono assegnate
erroneamente all’architetto palermitano.
Si dovette aspettare Francesco Granata e,
successivamente, Guglielmo Policastro che,
sfogliando gli archivi della città, e soprattutto
l’archivio del municipio, scoprirono le tante
opere eseguite dall’architetto Giuseppe Palazzotto. Dopo il terremoto del 1693, Francesco
Palazzotto si trasferì da Messina con la moglie Fig. 2 – Chiesa e monastero di San Giuliano in via Crociferi (incisione del 1739 circa).
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Fig. 3 – Facciata del palazzo degli Elefanti (incisione del 1761).
Il 23 giugno 1754 morì il maggiore dei fratelli Palazzotto, Girolamo, nel frattempo diventato frate Cappuccino
assumendo il nome di fra’ Liberato, che fu ricordato
come «Religioso di singolar virtù» e «insignis Architectus», progettando la Cattedrale e molti edifici, fra i
quali le chiese Madre di Melilli e Militello Val Catania.
Giuseppe rimasto solo con le sorelle, di cui una
“mentecatta”, e la madre, disegnò gli altari della chiesa
e il convento di S. Agostino dove, nel frattempo viveva
fra’ Antonino Palazzotto, al secolo Francesco, figlio di
Filippo e l’unico nipote maschio con il cognome
paterno. Infatti, l’unico nipote di Girolamo e Giuseppe
Palazzotto che seguì le loro orme, diventando Architetto della Deputazione delle Strade di Catania, fu il figlio
della sorella Angela e di Pasquale Serafino: Giuseppe
Serafino.
Nel 1756 fu chiamato dai Benedettini di S. Nicolò
l’Arena, in seguito al crollo della parte nord, per accudire «in primo tempo ai molteplici lavori di rifacimento
e restauro delle fabbriche della chiesa, e quindi subito
alla prosecuzione di essi». In questo periodo progettò
e diresse i lavori di costruzione della chiesa di S. Chiara (fig. 5), definita la gemella di quella di San Giuliano
(fig. 6), e svolse il ruolo di esperto in molte chiese
della diocesi catanese, fra le quali quella di Regalbuto.
L’opera di Giuseppe Palazzotto è molto più ampia di
quanto visto finora e ha lasciato la sua impronta nell’architettura del ‘700 a Catania.
Fig. 5 – Loggia della chiesa di Santa Chiara ( foto in F. Fichera, 1934).
Il 22 maggio 1764 morì Giuseppe Palazzotto e, il 29
marzo 1780, anche l’ultima sorella, Giuseppa, che nel
testamento lasciò «al chierico don Filippo Neri Privitera figlio di Leonardo, ed Agata Privitera e Serafino, due
ritratti di miei fratelli, cioè uno del quondam Giuseppe
Palazzotto e l’altro di fra Liberato Palazzotto».
Nel 2002 stati celebrati i 300 anni dalla nascita del
palermitano Vaccarini, dimenticando il suo coetaneo
catanese Giuseppe Palazzotto. Pertanto, sarebbe
opportuno ricordarlo almeno nel 250° della sua morte.
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Fig. 4 – Facciata della chiesa di San Michele Arcangelo ai Minoriti
(disegno di L. Dufourny, 1789).
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Fig. 6 – Loggia della chiesa di San Giuliano ( foto in F. Fichera, 1934).
IL LUNGOMARE DEI CICLOPI É UN LUNGO ITINERARIO
di Enrico Blanco
La costa dei Ciclopi, ai piedi del plurimillenario
Castello, presenta un lungo, mitico, itinerario accanto al mare fra lave nere e grotte che evidenziano
momenti diversi di approccio del fuoco sotterraneo
al verde e rigoglioso (per natura) regno di Polifemo e
dei suoi giganteschi compagni, che si specchiavano
nel mare blu magari tentando di stringere fra le
braccia quelle sirene voluttuose e sempre sfuggenti.
Tale impresa era riuscita invece a un pastorello, Aci,
semplice e umile quanto si voglia, ma capace di
attrarre il cuore della bella Galatea della quale
(ahimè!) si era invaghito anche il nostro Polifemo.
Questi, pazzo d’amore, scagliò contro Aci, uccidendolo, pezzi enormi della montagna … simili a quelli
che avrebbe scagliato poi contro l’astuto Ulisse, che
l’aveva accecato.
Il pastorello Aci, tramutato in fiume, fu accolto in
mare dalla bella Galatea.
Ulisse invece, continuando il suo plurimillenario
peregrinare, ha urbanizzato costa e colline introducendo nel tempo nuovi costumi di vita che, seguendo
il racconto del poeta catanese Giovanni Formisano,
avrebbero coinvolto anche il nostro Polifemo. Questi
un giorno, dopo aver tentato inutilmente di prendere con la canna qualche pesce nel mare di Trezza, vi
avrebbe lanciato “ddi quattro coccia di pricciali” in
un momento “di collira e di stizza” perché, buttata
l’inutile canna da pesca e recatosi a mangiare in una
“putia” vicino alla scaro delle barche (‘ncozzu di
pani, na cipudda, du còccia di luppini e menzu
terzu di vinu susanu), era stato quasi spogliato
al momento di pagare il conto. Avrebbe voluto “scancillari la terra di la Trizza …ma aveva ‘n’occhiu
sulu ‘na la frunti e sbagliò mira creando li Faragghiuni.
Storie leggendarie a parte, fra eruzioni sottomarine e
cammini incandescenti provenienti dal Mongibello
(attentamente osservati e studiati oggi da tutti i
geologi del mondo), la costa dei Ciclopi ha sempre
attirato gente che, fin dai remoti momenti di esistenza nelle tante grotte presenti sulla costa o nelle vicine
colline, non ha mancato di popolare gli scogli cercando vie sempre più accessibili lungo il mare. Un tempo
erano sentieri pedonali che in alcuni punti divenivano “alpestri” (secondo le testimonianze di secoli
passati) per pescare pisci di petra, polpi, granchi,
gamberi, patelle, occhi di bue …; non erano certamente stradine curate dalle Autorità ma pullulavano
di frequentatori che giornalmente tentavano di
renderle più sicure al calpestio aggiungendo, dove
necessario, la “còcola” mancante. La più antica in
questo senso fu la stradina che nacque fra gli scogli
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dalla “marina” del Castello a quella di Trezza (la cui
storia racconto nel mio volumetto su “L’acqua, Aci
Castello e la rivolta del 1860”): prima ancora che
Trezza fosse popolata, i pescatori del Castello
raggiungevano giornalmente gli scogli davanti ai Faraglioni rendendo magari agevole con quotidiani interventi il cammino anche ad altri viandanti o a coloro
che erano preposti alla sorveglianza contro l’avvento
di barche straniere … che non per forza dovevano
venire a saccheggiare le nostre coste.
Quando alla fine del 1600 i Riggio popolarono Trezza, creando case, chiesa e porto (soprattutto), furono
attenti anche a investire denaro per rendere transitabile la strada che da Aci Catena portava verso il porto
davanti ai Faraglioni, non certo quella verso il Castello, che non apparteneva loro; solo negli anni immediatamente successivi all’unione di Trezza al Comune
di Aci Castello (1829) fu creata la “strada delle marine” che unì appunto Catania e Acireale senza più
inerpicarsi lungo le colline. Restò però ancora ben in
vita, da Capomulini a Ognina, per gli usi antichi la
viuzza che lungo gli scogli o sull’alto del costone
roccioso sovrastante (con l’ausilio dei conosciutissimi
“scinnituri” per recarsi già in acqua) era giornalmente popolata anche per usi di controllo “legale” di
vario genere (militare, doganale, sanitario): lo fu fino
alla seconda guerra mondiale in quanto le guardie di
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finanza (raccontano gli anziani) giornalmente s’incontravano ai limiti comunali di tali sentieri con le
pattuglie dei vicini acesi e catanesi. Erano così ancora
vivi dei nomi che oggi in parte sono scomparsi: da
Capomulini si andava per u Ciaramitaru, le Acque
del Duca, Scaro di Trezza, Gurnazza, Olivastro,
Vallone Grande, Pizzuni, Scardamiano, Scaro del
Castello, Pracuzza, u Puzzu, Rutta pirciata, Praca
del Castello, Scarrone di campana (l’attuale Bagnaculo), Dagalone, Punta Guzza, Acqua delle Capre,
Guardiola, Salto del Corvo e Calcara Bufaria.
Una volta realizzata la via delle marine, il percorso
fra Trezza e Castello fu molto vicino al mare e l’antica
via parallela che lambiva gli scogli fu curata solo dai
pescatori; ritornò però d’attualità nel 1882 quando il
parroco di Aci Trezza, sac. Cristoforo Cosentini,
comprò dal Comune in cerca di soldi degli spezzoni
di terreno “antenati” del percorso dell’attuale Lungomare Trezza – Castello (mai completato): Gurnazza
e Olivastro (contrada Urnazza) per mq. 2861 a lire
297 e lire 963,90, Pizzone (contrada Vallone Grande)
mq. 2870 per lire 1238, Scardamiano (è il nome
attuale del Lungomare che si diparte dal porticciolo
del Castello): mq.825 per lire 444,19. Il capitolato
d’appalto ammontava a lire 4285,85 ma l’acquisto fu
di lire 1.000.
Il parroco avrebbe voluto costruire in qualche parte
un’abitazione ma l’Intendenza di Finanza vi si oppose
perché “per l’art. 63 del regolamento doganale è
vietato erigere edifici lungo il lido del mare”, cioè “
quel punto ove nella stagione invernale arriva il più
alto flutto”. La faccenda finì in Tribunale e andò per
le lunghe finchè nel 1889 il Tribunale notificò all’Amministrazione che Olivastro (zona Lido Ciclopi),
Pizzoni e Scardamiano (zone successive verso Aci
Castello) costituivano “spiaggia, lido del mare, epperò beni demaniali dello Stato imprescrittibili,
inalienabili…”.
Furono i primi sintomi di quella ricerca di ville in riva
al mare che fin a quel momento erano stati decisamente fuori dai pensieri della gente: si credeva che
parecchi luoghi in riva al mare, dove c’erano ristagni
d’acqua vicino alle coste, erano fonte di malattie….
Questi pensieri sarebbero presto cambiati ma il terrore per quello che vien fuori dai ristagni d’acqua vicino agli scogli oggi è divenuto di gran lunga maggiore
per gli scarichi “fetenti e fitusi” di cui sono essi pieni
(è atteso con ansia il collettore che li porterà verso il
depuratore di Pantano d’Arci).
Dal 2° dopoguerra il ruolo degli antichi sentieri sulla
costa è stato occupato dai lungomare: negli anni 50
nacque, già monco, quello che avrebbe dovuto
congiungere il Castello ai Faraglioni; un paio di
decenni dopo cominciò ad aprirsi l’altro dal Castello
a Ognina. Conosciamo le loro problematiche e
sappiamo bene che non assolvono pienamente il loro
compito etimologico sotto la spinta di uno sfruttamento urbanistico della costa che non è più legato
alle storie di padron Ntoni e della sua famiglia, che
magari nessuno conosce (se non per sentito dire)
perché non ha mai letto alcuna pagina del romanzo
di Giovanni Verga.
Il Lungomare dei Ciclopi è nato interrotto e gli sforzi
per congiungerlo fino al momento si sono dimostrati
inutili. Dal lato sud del Castello il lungomare per
Ognina riesce solo in alcuni punti (meno della metà
del percorso) a mostrarci il mare mentre si è quasi
perduta l’antica viuzza calpestabile (al limite delle
antiche mura di confini poderali) che permetteva di
raggiungere il mare e gli scogli per i diversi, plurisecolari usi locali.
Alcuni tratti della costa sono raggiungibili solo dal
mare, con le barche a remi (che, purtroppo è come
se non esistano più) e manifestano ancora quella
bellezza che mi piace ricordare con le parole che nel
1895 la grande attrice torinese Giacinta Pezzana inviava all’amica lontana dal suo “scoglio” accanto al
Castello: passo di tanto in tanto delle giornate
selvagge: si va in barca in un certo punto della
scogliera ove trovansi profonde grotte formate dai
colpi del mare e dal tempo nei massi di basalti, e là
con pelli di montone al suolo, si dorme nelle ore
calde poi si fa un bagno stupendo fra gli scogli ove
l’acqua è sempre pura e fresca: poi si prepara il
pasto sulle pietre che fanno da fornelli, e si fa cuocere il pesce che si è pescato nelle ore fresche dell’alba
e del tramonto. Le mie toelettes in queste escursioni,
sono di Parigi! Una vestaglia di tela bleu, scarpe di
pelle bianca senza tacchi, ed un cappellaccio di
paglia come portano i pescatori dell’Isola! Se tu mi
vedessi, rideresti: quanto è preferibile una giornata
di queste ad una di quelle dedicate a visite in profumati salotti in abiti di seta, passate ed esaurite in
discorsi inutili e stupidi! La grandezza della Natura
a fronte della piccolezza umana! La scelta non è
dubbia! Non sei del mio parere? Tanto più che nei
salotti mi sento malata e stupida, lì col mare
fremente sotto i raggi del sole, mi sento sana e giovine!
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LA CATANIA MEDIEVALE DI RENZO DI SALVATORE
Redazionale
Della Catania prima del terremoto del 1693 abbiamo diverse piante ed immagini, riportate da autorevoli autori, attraverso ricerche storiche e tanta fantasia. Alcune che si riferiscono al periodo precedente al terremoto del
1693. Caratterizzatada due grandi strade che dal mare vanno verso la montagna; la prima ( Luminaria o Strada
Grande ) che “si partiva dalla Platea Magna (poco lontano dalle Porte Saracena e dei Canali) e giungeva alla
Porta di Jaci…insino alle mura della città ed alla porta del Santo Carcere, ……attraversando i diversi rioni
che si trovavano lungo e al di là della destra di detta strada”, la seconda (via Nuova e poi degli Schioppettari, oggi corrispondente alla via Crociferi) che, partendo dalla chiesa di S. Francesco, non lontano dalla Platea
Magna, si esaurisce nel’attuale ingresso della Villa Cerami”. Nell’una e nell’altra, tra il settecento e l’ottocento
sorgono importanti chiese e conventi, costituiti da imponenti volumi edilizi, sostenuti da preziose strutture
architettoniche interne ed esterne.
In esse piante vengono indicati i più importanti monumenti del tempo quali chiese, palazzi nobiliari e toponimi, ancora oggi punti di riferimento della città.
Un affresco che resistette al terremoto del 1693 si trova nella Sagrestia della Cattedrale (da alcuni attribuito al
Mignemi, altri a Giacinto Platania) illustra la devastante eruzione del 1669.
La prima, ricostruita a volo d’uccello, ci da una visione della città murata e, nell’inseme, una immagine storicofantasiosa della città medievale, contornata dai cinque chilometri di possenti muri difensivi, fatti realizzare da
Carlo V, con sette porte ed undici baluardi difensivi. In esse planimetrie non possiamo che considerare incerte
le indicazioni e le immagini di strade, vicoli, chiese, conventi, palazzi pubblici ed imponenti fabbriche residenziali della nobiltà del tempo, lasciando, alla fantasia dei compilatori, i particolari dei luoghi e degli edifici così
come gli angoli di città e di molti singoli fabbricati. Nella prima planimetria, fra l’altro, si riscontrano: la
Cattedrale con il Palazzo del Vescovo e la Torre merlata del campanile, la Loggia (palazzo del Senato), la porta
di Carlo V (della pescheria), la Chiesa S. Maria dell’Elemosina (Collegiata), il Palazzo Alvaro Paternò, la Chiesa
di S. Francesco, la Piazza della Sigona (Manganelli), la Chiesa di S. Benetto e dei Padri Gesuiti, più ad ovest
dell’attuale pescheria la piazza delle erbe ed in fondo alla via Nuova, oltre la Porta del Re, la chiesa di S. Agata
la Vetere fuori le mura. E tanto altro ancora, ricostruito o menzionato dalla toponomastica che ci riporta alla
storia prima del terremoto. (Indicazioni delle Cluverio, pag. 2)
Il catanese Renzo Di Salvatore, dotato fin da giovane di naturale versatilità per il disegno, che lo spinse in
giventù a frequentare con successo gli studi pittorici dei maestri Milluzzo e Longo, avendo curato ed affinato,
durante la sua attività professionale, la sua predisposizione alla pittura, nella maturità volle riprendere col
pennello l’innata arte pittorica paesaggistica che non aveva mai abbandonato del tutto, dedicandosi, dopo
approfonditi studi e ricerche, con artistica ma realistica fantasia alla ricostruzione della Catania prima che la
colata del 1669 la devastasse e che il terremoto del 1693 la distrugesse.
“Dopo avere esaminato specifici testi storiografici, pubblicati nei secoli scorsi da illustri studiosi e ricercatori e, confrontando mappe e disegni tratti dalla rara documentazione superstite, ha iniziato a ricostruire con
varie tecniche pittoriche l’antica Catania con la sua cinta muraria e baluardi di difesa, le porte di accesso,
le chiese, le torri, facendo rivivere quella splendida città medievale e rinascimentale, come presumibilmente
era prima della sua totale distruzione.
Iniziativa culturale che ci riporta a quel tempo facendoci scoprire un artista dalla eccezionale bravura
tecnica…”(dalla biografia di Di Salvatore).
In particolare riproducendo, con visione molto vicina alla realtà, i possenti muri, le porte di accesso ed i
baluardi ricavati, per ricerca storica, fantasia, ed apprezzabile tecnica pittorica, ritroviamo le immagini di uno
spaccato della città mediovale che, rivelano angoli ormai inesistenti che ancora oggi sono punti toponomastici
di riferimento. Rivediamo, nella interessante rassegna pittorica, i paesaggi esistenti al tempo della città pre-terremoto con i suoi volumi edilizi e le particolari strutture architettoniche, che ci riporta storicamente a quella realtà cittadina.
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(Indicazioni del Cluverio)
Alcune delle fonti storiche esaminate dal Di Salvatore:
Descrizione della Sicilia 1542 di Antonio Filoteo degli Omodei;
Disegno di città Commissionato dal Vescovo Angelo Rocca nel 1584;
Disegno dell’Arch. Camillo Camilliani 1584;
Disegno dell’Arch. Tiburzio Spannocchi 1578;
Pianta-veduta de La clarissima Città di Catania patria di S. Agatha Verg.et Mar.-Roma 1592
Pianta –veduta pubblicata ad Amsterdam nel 1598;
Atlante di città e fortezze del Regno di Sicilia 1640 – Francesco Negro e Carlo Maria Ventimiglia;
Diverse memorie storiche della prima metà del Seicento.
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La Platea Magna
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Porta di Carlo V o dei Canali
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Porto Saraceno
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Porta di Ferro
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Porta decima
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Porta di Aci
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Porta del Re
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Bastione degli Infetti con la vista del lago di Nicito
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Porta del Tindaro
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IL CONVEGNO DI SICILIANTICA
CONCORSO SU DECORO URBANO: MATERIALI E COLORI NEGLI EDIFICI DELLA CITTÀ
Redazionale
Catania vanta uno dei più preziosi Centri Storici tra le
città europee, realizzato nella rapida ricostruzione
della città tra il Settecento e l’Ottocento con equilibrate sagome volumetriche, concorrenti su strade larghe e
diritte, dopo il terribile terremoto del 1693, che
distrusse completamente la cinquecentesca città
medievale. Un centro storico caratterizzato da imponenti edifici nobiliari residenziali progettati dai migliori architetti, scultori, pittori, intagliatori e maestri
muratori del tempo, provenienti da ogni parte d’Italia
e Spagna. Ma è anche uno dei più degradati e male
utilizzati, tenuto conto della loro carente manutenzione, per il difficile loro adattamento ad usi diversi da
quelli per cui vennero costruiti. Infatti si incontrano
sovente notevoli difficoltà per ottenere le prescritte
autorizzazioni volte a realizzare una ristrutturazione
interna compatibile con le mutate necessità del tempo,
e accompagnate da una variazione di destinazione
d’uso. Per tale ragione molti stabili vengono abbandonati, contribuendo al degrado del paesaggio urbano
oppure vengono ristrutturati abusivamente, in maniera
quindi incontrollata, con un risultato estetico ancor
peggiore. La Sede di Catania della prestigiosa associazione SiciliAntica, presieduta dal collega Giambattista
Condorelli, che ha come programma sociale la tutela e
la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali della
Sicilia, ha bandito un concorso per la migliore riproduzione grafica di una sequenza di facciate di edifici che si
affacciano sulle principali strade cttadine, con la sottolineatura del degrado dei loro originari colori, rivolto a
singoli o gruppi di lavoro costituito da giovani.
Concorso che ha avuto il patrocinio del Comune di
Catania, dell’Ordine degli Ingegneri, degli Architetti e
dell’Accademia di Belle Arti, i cui rappresentanti Di
Salvo, Cascone, Longhitano, Piccari, all’apertura dei
lavori hanno portato il saluto degli Enti pubblici che
rappresentano.
Il concorso è stato riservato a studenti iscritti o neolaureati in Architettura, Ingegneria Edile e Accademia di
Belle Arti e si è concluso con la presentazione di nove
pannelli di grandi dimensioni. Le opere sono rimaste
esposte, nel periodo natalizio, nella Sala Bellini del
Palazzo comunale della Cultura ed il concorso ha visto
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una netta prevalenza delle giovani colleghe ingegneri,
che si sono aggiudicate il 1° posto con Francesca
Condorelli, ed il 2° posto con Marina Brumini, mentre
al 3° posto si è classificata una terna composta da Sebastiano Cucè e Rosa Caporale, dottori in Belle Arti e
dall’ingegnere Alessandro Tarantino.
L’obiettivo che si era prefisso SiciliAntica nel bandire il
concorso era quello di accendere i riflettori sull’aspetto degradato che viene offerto in quasi tutto il Centro
Storico cittadino, ma non solo in esso, anche nelle
facciate di tanti edifici della città che, benchè originariamente disegnate con grande finezza spesso da ignoti progettisti della seconda metà del Settecento e
dell’intero Ottocento, sono state poi deturpate dai
recenti proprietari, che hanno ricolorato parte delle
facciate di loro pertinenza nei colori più disparati e
con materiali inadatti, sovrapponendo all’esterno
elementi estranei per la climatizzazione, o parabole
per la ricezione televisiva e quant’altro poteva invece
essere collocato all’interno degli immancabili cortili o
sulle coperture non visibili dalle strade. Ma anche quello di concorrere alla formazione culturale dei cittadini
ed in particolare dei giovani, al rispetto del bello degli
edifici contro il degrado delle città. Per introdurre i
giovani al problema, il concorso ha fatto riferimento
alla pubblicazione di un tratto di facciate di edifici
realizzati nel dopo terremoto del 1693 lungo la via
Etnea, pubblicate sul n. 1/2008 del periodico dell’Ordine degli Ingegneri Tecnica e Ricostruzione. I disegni
realizzati dai giovani partecipanti al concorso hanno
destato meraviglia in coloro che sono andati ad ammirarli, perché hanno dimostrato quanto sarebbe gradevole una sequenza di facciate di edifici cittadini, se esse
venissero ricondotte alle condizioni in cui si trovavano
quando vennero realizzate. I cittadini che hanno visitato la mostra si sono così resi conto della ricchezza del
patrimonio architettonico di Catania, molto spesso
ignorato da chi transita distrattamente lungo le strade
cittadine al chiuso di un’autovettura. Si tratta di un
patrimonio che, se ben tutelato, non può che stimolare la fruizione turistica della città, con conseguenti
ritorni economici, oltre che, molto semplicemente,
gratificare chi ci vive.
Primo premio - Francesca Condorelli - Prospetto su Via Garibaldi
Secondo premio - Marina Brumini - Prospetto su Via Caronda
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Terzo premio - Sebastiano Cucè - Rosa Caporali - Alessandro Tarantino - Prospetto nord su Via Alessi
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Alla premiazione dei vincitori del concorso è stato
abbinato un breve convegno dal titolo “Quanto sarebbe bella Catania se….” che ha visto la partecipazione
degli architetti Rosanna Pelleriti, responsabile del
P.R.G. e della pianificazione urbanistica del Comune di
Catania, Di Blasi per conto della Soprintendenza ai BB.
CC. AA. Longhitano e Cascone per gli Architetti ed
Ingegneri, nonché degli ingegneri Giuseppe Platania
vicepresidente della nostra Fondazione, Gaetano
D’Emilio culture storico e dell’ing. Lo Faro docente
dell’Università di Catania.
In precedenza i soci di SiciliAntica avevano percorso in
lungo e in largo le strade cittadine, effettuando una
Via Squillaci
serie di scatti fotografici, 26 dei quali sono stati esposti
alle pareti della sala Bellini, mostrando alcuni significativi esempi di imbarbarimento dei prospetti dei
fabbricati antichi e moderni. Un’ultima serie di scatti
fotografici hanno riguardato i temi del convegno, del
quale si discute, con periodicità decennale, senza che
si sia mai arrivati all’emissione di una regola scritta: il
“Piano del colore”, anche se fino al 1985, esisteva un
apposito ufficio comunale che autorizzava, di volta
involta, in base agli artt. 36-39-45 del vecchio Regolamento edilizio i lavori di tinteggiatura, dopo avere
visionato le bozze esposte. Per cui oggi che il detto ufficio non è più esistente va da se che bisogna rivolgersi
agli Uffici della Soprintendenza che notoriamente
rappresenta per i richiedenti preoccupazioni per le
difficoltà che l’ottenimento autorizzativo comporta;
per cui, sbagliando, suggerisce ai proprietari di procedere autonomamente con materiali e colori spesso
inadeguati che turbano il decoro urbano.L’architetto
Pelleriti ha informato dell’imminente sottomissione al
Consiglio Comumale del Regolamento Edilizio, parte
del più ampio e complesso Piano Regolatore Generale.
Il Regolamento contiene prescrizioni relative al Decoro
Urbano, che se adottate, consentirebbero di frenare il
degrado denunziato dalle foto esposte alla pareti. In
Via Plebiscito
Via Vittorio Emanuele II
Via di San Giuliano
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Piazza Jolanda
Piazza Stesicoro
Piazza Vittorio Emanuele III
Via Vittorio Emanuele II
sintonia l’ing. Giuseppe Platania che, su in carico
dell’Ordine, ha partecipato alla redazione del corposo
documento. Più articolato l’argomento “Piano del
Colore”, affrontato dall’ing. Lo Faro e quello del
restauro degli antichi intonaci e della pulizia degli
elementi lapidei, su cui si è espresso l’arch. Longhitano. Dai loro interventi è risultato che sarebbe riduttivo
soffermarsi su una semplice tavolozza di colori, che per
quanto ricca di sfumature, finirebbe per ingabbiare il
progettista del recupero, limitando le sue possibilità
espressive. Riguadagnare il Decoro Urbano: obiettivo
quanto mai difficile da realizzare, soprattutto in un
periodo di recessione economica quale quello che stiamo attraversando. Il Convegno che ha accompagnato il
concorso, coinvolgendo forze culturali interessate
della società, può essere l’inizio di una svolta culturale
epocale, se vogliamo che Catania, per la sua storia e la
sua architettura, si dia un aspetto che la metta al pari
delle principali città europee. Lo sgradevole spettacolo
offerto dai 26 scatti fografici esposti deve scomparire,
per offrire alla vista il bello dei suoi palazzi baronali
puliti ed ordinati, confortati da un clima perennemente mite, pronti a richiamare, in ogni stagione, cittadini
di nuova generazione e visitatori. Alla conclusione del
dibattito il Presidente della Associazione SiciliAntica
ing. Giambattista Condorelli, nel ringraziare quanti
hanno collaborato per la riuscita dell’iniziativa culturale e sociale ed in particolare i giovani anche non vincitori che vi hanno partecipato, ha auspicato l’inizio di
una fase di cambio generazionale di mentalità, in
controtendenza rispetto ad un recente passato in cui,
troppo spesso, si è cercato il quanto e non il bello.
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RIMEMBRANZE
Si è spento l’ing. Matteo Arena, laureato anche in architettura, figura storica dell’architettura e dell’urbanistica catanese, lasciando un vuoto
incolmabile nel mondo culturale catanese.
Intellettuale di grande statura, amante del novecento, cultore pirandelliano ma anche leopardiano.
“Un libero pensatore che ha lasciato alle sue spalle un interminabile stuolo di esperienze vissute con grande passione umana e professionale, testimoniata dalle sue opere prestigiose sempre intrise dell’inconfondibile tratto personale (D.Siciliano)” Instancabile lavoratore, geniale
inventore dell’arte architettonica ed urbanistica, dove all’interno della professione trasfondeva le sue peculiarità, lasciandoci numerosi esempi di maestria del costruire, riconosciuti e apprezzati anche in ambiti prestigiosi come l’Università di Palermo che gli dedicò una mostra ad
inizio millennio. Partecipò a grandi battaglie sociali associate spesso al suo lavoro di urbanista per la salvezza e la conservazione di patrimoni
di Beni Culturali e Ambientali nazionali. Precursore delle Città Metropolitane, negli anni settanta partecipò con Piccinato alla stesura del Piano
Territoriale Etneo, cui si dedicò con passione per vedere realizzata quella ordinata urbanizzazione dell’hinterland catanese. Tra alcune sue
opere: il negozio Alna; la casa Mineri a Pedara; l’albergo Faraglioni di Acitrezza, la Cappella pediatrica del Policlinico di Catania; le case Manara , La Naia, Vindigni, Musumeci, il complesso alberghiero Naxos Beach; il parcheggio Teocrito; la Federfarma di Catania; il teatro Sangiorgi; il
Centro Ulisse; il complesso industriale Parmon; il centro industriale Fineffe. Lascia incompiuti il P.R.G. di Taormina, il Piano Particolareggiato
del Simeto, ed il contributo professionale offerto sulla vicenda urbanistica del Corso Martiri della Libertà ancora incompiuta. Recentamente era
stato chiamato a far parte, quale socio onorario, dell’Istituto Nazionale di Architettura. (Redazionale - dai ricordi di Dario Siciliano).
E’ venuto a mancare con grande rammarico dei familiari, degli amici e del Sindacato ingegnari docenti il collega Michele Romeo. Laureatosi nel
1951 in ingegneria Elettrotecnica presso l’Università di Padova, iniziò l’attività professionale insieme a quella di Docente negli Istituti Tecnici
di Catania; con entusiasmo la prima in un periodo in cui l’attività professionale dell’ingegnere era molto richiesta e con passione la seconda.
Sempre attivo e puntuale didatticamente, comprensivo e sostenitore degli allievi in ogni occasione. Professionalmente Michele Romeo si dedicò, con alta professionalità, in particolare alla progettazione edirezione dei lavori dell’edilizia convenzionata e sovvenzionata, alla impiantistica, alle consulenze tecniche, ma soprattutto con passione e competenza alla didattica nella quale sapeva essere docente amico e giudice equilibrato. Sempre disponibile alla soluzione di ogni problema che i colleghi gli prospettavano e garbato nell’esporre i suoi punti di vista in occasione di incontri professionale, collegiali scolastici o sindacali.
I colleghi e gli alunni che hanno avuto la opportunità di frequentarlo lo ricorderanno con lo stesso affetto che lui aveva per essi.
Gaetano D’Emilio
RECENSIONI
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