REDAZIONALE L’IMPEGNO CONTINUA Con il terzo mandato di coordinatore della Rivista Tecnica e Ricostruzione, deliberato dal Consiglio dell’Ordine, insieme alla riconferma dei colleghi più impegnati nelle precedenti commissioni, si entra nel tredicesimo anno di servizio in questo settore storico-culturale dell’attività dell’Ordine. Il mio personale ringraziamento ai Consiglieri per il rinnovo dell’apprezzato incarico, la stima e la riconoscenza ai colleghi della affiatata “squadra”alla quale va riconosciuto il prezioso, intelligente sostegno ricevuto, che ha consentito la riuscita dell’iniziativa culturale. In particolare ai più assidui Alfredo Amico, Angiolo Bella, Antonio Distefano, Vittorio Graziano, Antonino Gulisano, Giovanni Liotta, Nino Nicolosi, Giovanni Pampallona, Francesco Papale, un cordiale benvenuto ai nuovi componenti, Anastasi Mario, Cavallaro Alfredo Maria, Musumeci Rosaria, Pezzella Francesco e Sapienza Vincenzo. Il mandato viene accolto con gradimento perchè finalizzato alla continuità di quella che rappresenta una delle più antiche e prestigiose riviste culturali tecniche catanesi. Fondata nel 1946 dal collega Gaetano Motta (che ho avuto il privilegio di conoscere), racconta 67 anni di storia sulle più importanti realizzazioni ingegneristiche nell’area etnea ed in particolare nella città, ma anche per le numerose proposte progettuali, seppur inattuate, considerate utile dibattito culturale che dimostra da parte degli autori conoscenza ed attaccamento alla propria terra. In particolare: il dibattito sulla variazione del tracciato ferroviario che, oltre a togliere il mare alla città, ne ha dissacrato il prezioso centro storico (a cominciare dal conseguenziale viadotto, per il quale Gustavo Giovannoni e Giocchino Russo invano ne tentarono la eliminazione suggerendo l’abbassamendo del piano della ferrovia; così come altre la delocalizzazione della stazione ferroviaria) le diverse proposte progettuali per il collegamento stabile tra Messina e Reggio Calabria; i problemi interessanti l’Etna come il progetto di una strada provinciale sopra i mille metri di altezza s.l.m. attorno al vulcano per il più agevole collegamento dei comuni etnei fra di loro e con il capoluogo o la costruzione di una mare-neve diretta; il parcheggio di veicoli sotto il piazzale del giardino Bellini; la rettifica altimetrica della via Etnea; la storia dei tanti borghi e quartieri catanesi con quella dei suoi più importanti edifici storici; i problemi del porto e dell’aeroporto; le proposte di ristrutturazione del Gentile Cusa, di Mario Di Stefano, di Filadelfo Fichera, di Michelangelo Mancini con il suo ponte gettato sul porto di Ulisse per evitare, con l’attraversamento del traffico nella piazza Mancini Battaglia, di trasformare Ognina da affascinante borgata a t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 3 disordinato quartiere della città; i due nuovi centri cittadini (sottopasso di via S. Euplio e Largo Paisiello); una passeggiata sulla vecchia via Etnea con i suoi edifici ed i suoi storici eleganti negozi; le varie proposte di sventramento per il risanamernto del quartiere di S. Berillo, riportando la originaria planimetria con gli ormai scomparsi toponimi; l’eterno studio dei vari piani regolatori della città, dal 1952 ad oggi ancora non definiti; le origini del giardino Bellini; la lottizzazione della zona del Lago di Nicìto UghettiConsoli; una inteessante proposta nei primi del novecento di un assetto urbanistico di Picanello- alto attorno alla tenuta degli Scammacca; il Parco del Tondo Gioeni; il Piano di zona di Librino ed i tanti altri non meno importanti. Un filo storico che inizia con il piano di ricostruzione urbano del Vice Re Uzeta e percorrendo oltre trecento anni, si resta ancora in attesa di un assetto urbanistico ancora incerto subentrando oggi, l’esigenza di considerare nella nuova regolamentazione, che il territorio da pianificare, oggi va considerato di più ampio respiro, rispetto agli attuali confini amministrativi. Da qualche tempo la Rivista, tenuto conto dell’attuale realtà informatica, ha diverisificato un tantino la sua funzione iniziale che era quella di un notiziario professionale riguardante leggi e prezziari, oltre ai regolamenti dei vari Enti locali, insieme al fatto che la pubblicazione del mensile ”Ordine Informa” aggiorna, in tempi brevi, i colleghi sulla ordinaria attività dell’Ordine. Per cui il periodico si accosta maggiormente alla divulgazione di importanti opere pubbliche realizzate o proposte, ad avvenimenti e programmi urbanistici, a dibattiti, nonché a notizie storiche non a tutti note. Per tanto la Rivista Tacnica e Ricostruzione oggi rappresenti un prezioso documento storico che l’Ordine degli ingegneri offre alla città, con l’augurio che essa continui nel tempo a svolgere il prezioso ruolo culturale di storia e di dibattito, affiancato sempre di più dal contributo delle nuove tecniche informatiche, tutelando il nome della testata, ieri valido quando l’alto spirito morale dei cittadini, che uscivano da una rovinosa guerra, portò alla ricostruzione del paese, oggi che ancora, con lo stesso spirito, si auspica con la partecipazione della tecnica, una ricostruzione economica ed etica della attuale società italiana. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Gaetano D’Emilio 4 La storia della Rivista 1946 – Di Tecnica e Ricostruzione viene stampato il primo numero per iniziativa dell’ing. Gaetano Motta che ne è proprietario e Direttore, al costo di £.50 a copia; 1950 - Gli Ordini degli Ingegneri e degli Architetti insieme all’ANIAI (Ass.Naz.Ing.Arch.Italiani) offrono la loro collaborazione nella redazione, restando l’ing. Motta Direttore, propritario ed Editore, costa £.100 a copia; 1953 - L’Ordine degli Ingegneri diventa proprietario ed Editore sempre collaborato dagli Architetti e dall’ANIAI e restando Motta il Direttore,costa £250 a copia; 1957 - Al Direttore Gaetano Motta viene affiancato per la redazione Giacomo Leone, in rappresentanza degli architetti 1964 - Viene a mancare il fondatore ing.Gaetano Motta. Per quasi un ventennio viene incaricato redattore il collega Juzzo Quartarone, da allora in poi la Rivista viene inviata gratuitamente a tutti gli ingegneri iscritti all’Ordine. 1965 – Numero in Edizione Speciale in occasione del XIV Congresso Nazionale degli Ordini degli Ingegneri svoltosi a Catania. 1984 - Venendo a mancare prematuramente l’ing. Quartarone, viene costituita una apposita commissione di colleghi coordinata dall’ing. Rosario Di Mauro. 1987 - Direttore responsabile Salvatore Tomarchio, viene costituito una ristretta segreteria redazionale costituita da Arrigo, Gaetano D’Emilio, Silvestri, Papale, con la collaborazione (fino al 1996) di due colleghi iscritti all’Ordine di Siracusa. 1993 -Viene nominato coordinatore delle segreteria redazionale il collega giornalista Fabrizio D’Emilio. 1994 - Collabora alla redazione, fino al 2001 (anno della sua scomparsa) il prof. Salvatore Calabrese funzionario dell’Ordine. 2001 – Gaetano D’Emilio viene nominato dal Consiglio coordinatore della apposita commissione. LA NUOVA COMMISSIONE Santi Maria Cascone nella qualità di Presidente dell’Ordine – Direttore responsabile Gaetano D’Emilio - Coordinatore redazionale Amico Alfredo, Anastasi Mario, Bella Angiolo Maria, Cavallaro Alfredo, Di Stefano Antonino, Gulisano Antonino, Liotta Giovanni, Musumeci Rosaria, Nicolosi Antonino, Pampallona Giovanni, Papale Francesco, Pezzella Francesco, Platania Giuseppe, Sapienza Vincenzo. COESIONE, FORMAZIONE E INNOVAZIONE: un pERCORSO di crescita per il nostro ordine I l rinnovamento nel segno della continuità è il caposaldo su cui ho fondato, fin dall’inizio, il mio mandato alla presidenza del nostro Ordine che è annoverato tra i più numerosi e attivi d’Italia. Tradizione e innovazione, formazione e valorizzazione delle competenze, attenzione ai giovani ingegneri, sono i temi centrali condivisi con i nuovi componenti del Consiglio e che costituiscono i principi su cui basare l’attività istituzionale. Si tratta di proseguire il percorso di crescita del nostro ordine professionale continuando ed ampliando il lavoro ottimamente svolto in questi anni dai miei predecessori. Da qui ripartiamo, o meglio, continuiamo, potenziando l’azione del Consiglio nell’ottica del miglioramento dell’efficienza. Tra i punti di forza che ritengo più significativi, perché motore di cambiamento nel rispetto del patrimonio consolidato, c’è di certo la presenza fattiva di giovani professionisti all’interno del Consiglio e del C.d.A. della Fondazione. È il segno tangibile che intendiamo scommettere sui giovani professionisti; con un costante dialogo e confronto con i giovani proveremo a cogliere nuove opportunità che tengano conto delle loro idee e della loro creatività. Altro fattore che connota il nuovo Consiglio è la presenza di professionisti impegnati in attività diversificate tra loro. Crediamo infatti che un Ordine professionale debba essere in grado di rappresentare la categoria nella sua interezza e identità, siano essi liberi professionisti, docenti, dipendenti di enti pubblici o di aziende private, ingegneri appartenenti ai tre settori dell’Albo, alle due sezioni, giovani e meno giovani. In altre parole crediamo nell’unitarietà, alla coesione dei professionisti, consapevoli che anche il CNI muove importanti passi in questa direzione. Sento poi il dovere, e il piacere, di ricordare che all’interno del Consiglio e del C. d.A. della Fondazione sono presenti colleghi grazie a cui l’Ordine catanese ha affermato il proprio ruolo sociale, diventando riferimento sia in ambito provinciale sia in ambito regionale e nazionale. La multidisciplinarietà, la coesione, l’orientamento all’innovazione sono gli elementi che necessitano alla nostra categoria per affrontare un difficile momento di penalizzazione professionale. La crisi economica e, per gli aspetti che conosciamo, anche la riforma delle professioni, hanno colpito duramente le attività degli ingegneri; occorre quindi fare “quadrato” per fronteggiare una emergenza. In Italia più che in altri Paesi, l’esercizio della professione di ingegnere è reso particolarmente difficile da un quadro normativo molto articolato e complesso: uno dei primi passi da compiere è la semplificazione normativa e lo snellimento delle procedure, che si tradurrebbero in una significativa riduzione dei tempi di attuazione dei progetti, accorciando conseguentemente la durata degli effetti della crisi. Anche su questo fronte siamo pronti a fornire il nostro contributo a livello locale e nazionale, così come abbiamo dimostrato in passato. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 5 Siamo altresì impegnati sul tema della Formazione, che costituisce la ragione d’essere delle attività della Fondazione. Per l’Ordine di Catania si parte da una tradizione consolidata, alla quale ci stiamo dedicando e ci dedicheremo con uno scrupolo sempre maggiore, in considerazione dell’entrata in vigore della formazione obbligatoria. L’obiettivo che intendiamo raggiungere, grazie anche all’importante lavoro svolto dai colleghi che partecipano alle attività delle commissioni dell’Ordine, è una formazione più accessibile a tutti e sempre di maggiore qualità, in modo da potenziare e ampliare l’offerta e soddisfare le esigenze di aggiornamento provenienti da tutti i settori dell’ingegneria. In particolare punteremo, le attività già messe in campo in questo primo trimestre vanno in questa direzione, l’attenzione sulla qualità dei contenuti, che dovranno consentire sempre un concreto avanzamento professionale, nonché alla minimizzazione dei costi. Al centro delle attività formative promuoveremo i temi legati all’innovazione, su cui gli ingegneri occorre siano i principali protagonisti. Si tratta di un principio fondamentale per essere al passo con la trasformazione dei tempi che stiamo attraversando. La formazione obbligatoria non può e non deve essere un mero sistema di raccolta crediti, su ciò accadesse ne verrebbe snaturato il fine e diventerebbe un inutile balzello. L’aggiornamento deve invece essere un’occasione per trasferire tra colleghi contenuti innovativi, cogliere la dinamicità della professione, interagire con l’esterno per acquisire competitività. Infine, è opportuno ribadire la volontà del Consiglio di mantenere e rendere sempre più produttive le collaborazioni con le istituzioni presenti nel territorio e in particolare con l’Ordine degli Architetti PPC. In modo particolare con l’Ordine degli Architetti e con l’ANCE verrà continuata e incrementata l’azione presso le Amministrazioni comunali finalizzate alla adozione di un modello di Regolamento Edilizio Comunale che possa garantire ai professionisti e agli utenti una chiara interpretazione dei suoi contenuti. La proposta di Regolamento Edilizio Comunale, già condiviso dall’amministrazione comunale della città di Catania, vuole essere uno strumento per attivare un processo di semplificazione amministrativa e di attenzione al patrimonio edilizio esistente, individuando strategie di intervento finalizzate al miglioramento ed adeguamento antisismico, alla riqualificazione energetica ed architettonica, al decoro urbano. L’intento sarà quello. La folta presenza di iscritti all’Assemblea straordinaria di dicembre è una manifestazione positiva dell’interesse di ciascuno iscritto alla valorizzazione della figura professionale e al compito che viene demandato all’Ordine. Sono certo che il percorso che intendiamo compiere renderà la partecipazione alle iniziative ancor più numerosa. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Santi Maria Cascone 6 Il SALUTO DEL NUOVO PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE Un braccio operativo nel campo dell’aggiornamento professionale: questa la ambiziosa “mission” della Fondazione nell’ambito del più ampio progetto dell’Ordine degli Ingegneri. Recentemente insediatosi per il quadriennio 2013-2017, il nuovo consiglio della Fondazione si è rinnovato comprendendo al suo interno sia professionisti di consolidata esperienza che tanti giovani le cui idee moderne e innovative daranno di certo nuova linfa ai programmi ed alle attività. Vincenzo La Manna (segretario), Erika Buccellato (tesoriere), Giuseppe Platania e Gabriele Salvatore Ragusa (vicepresidenti), Salvatore Contrafatto, Francesco Corsaro, Francesca Cuius, Irene Chiara D’Antone, Alfio Grassi, Alberto Marini, Giuseppe Puglisi, Salvatore Rapisarda, Mauro scaccianoce, Paolo Vaccaro (consiglieri) e chi scrive in qualità di presidente costituiranno la squadra con cui affrontare un mandato che ci auguriamo attivo e ricco. Il compito è più che mai impegnativo se si considera l’attuale contesto temporale e socio economico, tra i più difficili del recente passato, a cui si aggiunge una normativa che impone agli ingegneri italiani, dal 1 gennaio 2014, l’obbligo dell’aggiornamento professionale continuo previsto dalla riforma delle professioni. E’ pur vero che, a prescindere dalla esigenza normativa, l’importanza della formazione nella professione è realmente basilare ed è stata sempre argomento centrale delle attività dell’Ordine di Catania. Oggi l’obiettivo da raggiungere è quello di rendere l’offerta formativa sempre più di qualità ma soprattutto accessibile, sotto tutti i punti di vista, ai colleghi iscritti ed a quanti volessero accostarsi con interesse alle attività proposte. E’ per ciò che, in sintonia con le commissioni operanti all’interno dell’Ordine si attiveranno processi per l’incentivazione della multidisciplinarietà e della sinergia tra le diverse competenze professionali per lo sviluppo di tematiche innovative e di tutto quanto possa contribuire al rinnovamento della figura dell’ingegnere. Proprio l’innovazione si rivela un aspetto determinante del benessere sociale e dello sviluppo economico anche in chiave sostenibile. Gli ingegneri sono aperti all’innovazione quasi per predisposizione naturale e sono loro i professionisti adatti a diventare protagonisti di questa evoluzione che permea il nostro oggi. Le competenze ingegneristiche in continua crescita, devono essere pienamente valorizzate, in modo che la parola “formazione” esprima non solo un significato squisitamente legale ma soprattutto contenuti funzionali ed una proficua applicazione sul campo. Uno strumento, quindi affinché ogni professionista possa trasformarsi realmente in imprenditore della propria attività. Nella nostra attività quotidiana siamo chiamati a progettare e costruire edifici sempre più ecosostenibili ed antisismici, a trovare soluzioni tecniche per arginare i rischi idrogeologici, avendo sempre presenti tutti i sistemi per garantire la massima sicurezza nei cantieri per i le diverse categorie di lavoratori impegnati. Tutto ciò, evidente sovrapposizione di competenze di alto profilo tecnico, miste a una indispensabile cultura normativa, diventa esigenza di aggiornamento continuo e, per un professionista “a cinque stelle” anche un diritto e un dovere. Con questo convincimento come punto di partenza, il piano formativo predisposto dal consiglio direttivo della Fondazione propone circa cinquanta corsi per un totale di 2000 ore di didattica. Si tratta, comunque di un programma non definitivo ma dinamico perchè pronto a recepire in ogni momento nuove proposte ed esigenze dei colleghi. Si orienterà l’attenzione all’etica ed alla deontologia professionale – ormai argomenti obbligatori per i nuovi iscritti – ad argomenti specifici dei singoli settori dell’ingegneria – civile, ambientale, industriale, informatica – nonché a tematiche comuni alle tre aree venendo incontro agli interessi sia dei liberi professionisti che di quanti svolgono la loro attività in qualità di dipendenti pubblici o aziendali. Con una iniziativa denominata “Progetto ingegnere”, una attenzione particolare verrà riservata ai giovani colleghi, che affacciandosi al panorama professionale solo con il bagaglio degli insegnamenti accademici, si scontrano poi con l’inesperienza in campo operativo e devono costruire tutto un nuovo assetto professionale trasformando la teoria in pratica quotidiana. A loro, per l’esperienza che tutti noi “maturi ingegneri” abbiamo vissuto in prima linea, cercheremo di offrire gli strumenti formativi più adatti alla costruzione di un futuro professionale di tutto rispetto. Si aggiungeranno, a tutti i corsi propedeutici allo studio di singole casistiche progettuali, anche convegni, seminari, occasioni di aggiornamento ma anche di scambio e crescita esperenziale senza trascurare ulteriori iniziative di ampio respiro sociale e culturale così come previsto dallo statuto. Si è parlato all’inizio di una “mission” ambiziosa. Di certo all’interno dell’ambizione c’è un forte desiderio di raggiungere un obiettivo e di volere fare: ci auguriamo di condividere questo tipo di ambizione con tutti i colleghi chiamati, apertamente, alla più ampia partecipazione di idee ed esigenze. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Aldo Abate 7 LA FORMAZIONE CONTINUA PER GLI INGEGNERI Il DPR di Riforma delle Professioni 7 agosto 2012 , n. 137, entrato in vigore il 15 agosto 2012, fissa principi per tutte le professioni regolamentate e insieme al tema della Formazione continua, previsto dall’art. 7, presenta altre novità rilevanti. In sintesi: t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 8 • ACCESSO ALLA PROFESSIONE (Art.2) - La Riforma delle Professioni conferma che per esercitare la professione di Ingegnere è necessario laurearsi e fare l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale; • ALBO PROFESSIONALE (Art.3) - La gestione dell’albo rimane di competenza esclusiva del Consiglio dell’Ordine; Viene prevista la formazione di un Albo Unico Nazionale, composto dall’insieme degli albi territoriali, che è detenuto presso il CNI e che raccoglie le informazioni relative ai Professionisti trasmesse da ciascun Ordine territoriale; • PUBBLICITÀ INFORMATIVA (Art.4) - E’ ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione ed anche i compensi richiesti per le prestazioni. La pubblicità deve essere veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria. La violazione di questi limiti costituisce illecito disciplinare; • ASSICURAZIONE PROFESSIONALE (Art.5) - Il DPR ha prorogato l’obbligo assicurativo (inizialmente previsto con la sua entrata in vigore), che successivamente è partito dal 15 agosto 2013; • TIROCINIO (Art.6) - Ha previsto l’obbligatorietà del tirocinio per i soli ordinamenti professionali che lo prevedano. Per la professione di Ingegnere la normativa vigente non lo prevede; • FORMAZIONE CONTINUA (Art.7) - Ha previsto per tutti i professionisti, al fine di garantire la qualità della prestazione professionale, l’obbligo di curare il costante aggiornamento della propria competenza professionale. La violazione dell’obbligo costituisce illecito disciplinare. • PROCEDIMENTI DISCIPLINARI (Art.8) – Ha introdotto nuove regole per i procedimenti disciplinari. Presso gli Ordini territoriali sono stati istituiti consigli di disciplina territoriali. Vi saranno quindi due organi, uno amministrativo (il Consiglio dell’Ordine) e uno disciplinare (il Collegio di Disciplina).La composizione del Collegio di Disciplina avviene su nomina del Presidente del Tribunale, attingendo da una rosa di nominativi predisposta e proposta dal Consiglio territoriale. La Formazione continua quindi è uno degli argomenti previsti dal D.P.R. 137/2012 ed è opportuno fare un veloce excursus dei passaggi preliminari all’approvazione di un Regolamento, che disciplina la materia e che è frutto del lavoro degli Ingegneri. E’ la prima volta dopo tanti di anni di norme imposte dall’alto, che la nostra categoria è riuscita ad utilizzare il sistema dell’autoregolamentazione, producendo un documento, che è stato approvato dal Ministero della Giustizia, senza sostanziali modifiche. Il Consiglio Nazionale Ingegneri, attraverso un gruppo di lavoro coordinato dal Vice Presidente Vicario Fabio Bonfà, e a cui ho partecipato nella qualità di rappresentante della Scuola Superiore di Formazione per l’Ingegneria, perviene ad un Regolamento adottato definitivamente nella seduta del 21/06/2013, a seguito del parere favorevole espresso dal Ministro della Giustizia. Il suddetto Regolamento è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 13 del 15 luglio 2013 ed ha reso la Formazione continua obbligatoria per tutti gli iscritti, a partire dal 1 Gennaio 2014. Non posso non anticipare la sintesi degli adempimenti che scaturiscono dall’applicazione del Regolamento, con una nota di carattere politico, che mi sta particolarmente a cuore. Il Regolamento degli Ingegneri prevede la possibilità per tutti gli iscritti, pubblici dipendenti e liberi professionisti, di far valere l’attività professionale svolta nell’ambito dei rispettivi ruoli, conferendo un giusto valore all’attività di autoformazione, che c’è dietro la stesura di ogni nostro atto professionale. Tale riconoscimento previsto nell’attività informale, di cui all’allegato A al Regolamento, può raggiungere 15 CFP annui (50% del numero di CFP minimi per esercitare l’attività professionale). Altra novità rilevante è la costituzione di una piattaforma nazionale, accessibile a livelli diversi per gli iscritti (vedranno la loro posizione e le informazioni generali), per gli Ordini territoriali (dati iscritti all’Ordine) e per il C.N.I. e la Scuola Superiore di Formazione (gestione del sistema e dati iscritti territorio nazionale). Ciò premesso vediamo gli aspetti più significativi del Regolamento: 1. Obbligo Aggiornamento: L’obbligo di aggiornamento della competenza professionale riguarda tutti gli Ingegneri iscritti agli Albi e decorre dal 1° gennaio 2014; 2. Unità di Misura: L’unità di misura della formazione professionale continua è il Credito formativo professionale (CFP). Per poter esercitare la professione è necessario disporre di un minimo di 30 CFP; 3. I CFP si ottengono con: a) accredito iniziale al momento dell’iscrizione; b) attività di formazione professionale continua per l’apprendimento: non formale (art.4), informale (art.5), formale (art.6). Accredito dei CFP: Al momento dell’iscrizione all’Albo si accreditano: entro 2 anni dall’abilitazione, 90 CFP (85+5); dopo 2 e fino a 5 anni dall’abilitazione, 60 CFP (55+5); dopo 5 anni dall’abilitazione, 30 CFP (25+5). 4. Il totale dei CFP per i neo iscritti comprende 5 crediti relativi all’area tematica «Etica e deontologia professionale». Per la formalizzazione dei crediti i neo iscritti hanno l’obbligo, entro l’anno solare successivo a quello di iscrizione, di acquisire 5 CFP sull’etica e la deontologia professionale. A coloro che risultano già iscritti all’Albo alla data di entrata in vigore dell’obbligo formativo sono accreditati 60 CFP; 5. Decurtazione CFP: Per garantire la continuità del processo di aggiornamento professionale, al termine di ogni anno solare vengono detratti per ogni iscritto 30 CFP dal totale accreditato; 6. 7. 8. Attività riconosciute: Tutte le attività di formazione professionale continua per l’apprendimento non formale, informale e formale riconoscibili per l’ottenimento dei CFP sono elencate nell’allegato A del Regolamento, con la relativa descrizione e il corrispondente numero di CFP conseguibili; Soggetti che possono rilasciare CFP: L’autorizzazione all’organizzazione di attività di formazione professionale continua di tipo non formale, frontale o a distanza, è concessa dal CNI a associazioni di iscritti agli Albi e ad altri soggetti che ne facciano domanda, previo parere vincolante del Ministro della Giustizia, sulla base delle caratteristiche e della qualità dell’offerta formativa proposta. Le associazioni di iscritti agli Albi e gli altri soggetti che intendono ottenere detta autorizzazione devono presentare apposita istanza al CNI, recante le informazioni di cui all’Allegato B del Regolamento. Gli Ordini territoriali non hanno bisogno dell’autorizzazione all’organizzazione di attività di formazione professionale continua di tipo non formale, frontale o a distanza; Esonero: Sono motivo di esonero dall’obbligo di aggiornamento della competenza professionale, concesso dagli Ordini territoriali su domanda dell’iscritto, i seguenti casi: maternità o paternità, per un anno, servizio militare volontario e servizio civile, grave malattia o infortunio, altri casi di documentato impedimento derivante da accertate cause oggettive o di forza maggiore. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e In sintesi le parti salienti del Regolamento sono quelle sopra riportate, ma per rendere lo stesso operativo e snello, fornendo nel contempo dei servizi a tutti gli iscritti, è stata istituita una piattaforma nazionale, che sarà gestita in collaborazione con la Scuola di Formazione Superiore per l’Ingegneria. 9 Finalità della Piattaforma La piattaforma informatizzata, realizzata per gestire l’intero processo previsto dal Regolamento e dalle successive linee di indirizzo, ha le seguenti principali finalità: • Realizzare un processo standard, uniforme e trasparente su tutto il territorio nazionale • Costituire una banca dati di informazioni a disposizione del CNI, della Scuola Superiore di Formazione e degli Ordini territoriali per monitorare costantemente l’intero processo, in modo da poter intervenire ove necessario. Attraverso la banca dati di cui sopra, sarà ad esempio possibile avere le seguenti informazioni: • Indicatori della partecipazione al programma per tutte le categorie di Ingegneri, sia a livello territoriale che nazionale; • Monitoraggio dell’offerta formativa, disaggregata per tipologia di eventi; • Monitoraggio dell’offerta formativa per tipologia di argomenti trattati; • Monitoraggio dell’offerta formativa per area di specializzazione della professione; • Monitoraggio della partecipazione agli eventi formativi di categorie di Ingegneri che potrebbero essere poco motivati; Funzioni della Piattaforma • Gestione del processo di invio al CNI del piano formativo elaborato dai singoli Ordini territoriali; • Gestione del processo di invio dell’elenco eventi organizzati dagli Ordini territoriali nel 2013 e nei primi tre mesi del 2014, ciò al fine dell’automatica attribuzione dei CFP ai singoli professionisti; • Gestione del processo di inserimento nella Banca data nazionale di tutti gli eventi formativi che i singoli Ordini realizzeranno a partire dal 1 Aprile 2014; • Gestione del processo automatizzato di partecipazione degli iscritti agli eventi organizzati a partire da Aprile 2014, al fine del rilascio dei CFP; • Caricamento della anagrafe degli iscritti dei singoli Ordini territoriali nell’anagrafe nazionale dei crediti; • Consultazione dell’anagrafe nazionale degli eventi; • Gestione del processo di inoltro ai singoli Ordini o al CNI per eventi sovratteritoriali, della richiesta di riconoscimento di CFP per eventi organizzati da Providers diversi dagli Ordini; t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 10 In un contesto storico istituzionale dominato da una forte crisi in cui l’auto responsabilità dei singoli diventa fattore determinante per la crescita, anche l’approccio alla tipologia dei percorsi formativi segue lo stesso itinerario. La scelta che abbiamo fatto è nel senso di un doppio canale formativo; uno zoccolo duro di formazione di base assicurata a tutti e trasversale, su cui si innesta in funzione dell’auto responsabilità di ciascuno la formazione specifica in verticale. Infatti conferendo valore formale all’esercizio della professione, traducendo cioè in crediti formativi la quantità e qualità della medesima, abbiamo di fatto raggiunto l’importante risultato di coniugare l’impulso a stare sul mercato, mantenendo alto il livello di scienza e conoscenza personale, con il feedback in termini di quantum formativo riconosciuto. Su questo livello base si incardina, come osservato, il secondo livello di acquisizione formativa. Quello cioè che dipende dalla coscienza di ciascuno. Gli Ingegneri,come sempre, accederanno spontaneamente a percorsi di qualità, in funzione dell’exspertise di ciascuno. Questa è la sfida che ciascun Ordine si accinge ad affrontare: l’offerta di itinerari formativi attuali e di qualità. Carmelo Maria Grasso Vice Presidente Scuola Superiore di Formazione per l’Ingegneria LE PROPOSTE E LE AZIONI DEL C.N.I. PER LA RIPRESA ECONOMICA E PER IL LAVORO Il 13 novembre 2013 si è svolta a Roma, presso l’Hotel Quirinale, l’annuale Assemblea del Consiglio Nazionale degli Ingegneri dal titolo “Ri-progettare l’Italia. Innovazione, ricerca ed infrastrutture: gli ingegneri oltre la crisi”. Nelle settimane successive il C.N.I. ha confermato ed ampliato, unitamente alla Rete delle Professioni Tecniche (RPT), organismo di recente costituzione che vede coinvolti tutti gli Ordini ed i Collegi di area tecnica, proposte, iniziative, idee e modifiche legislative volte alla ripresa, alla crescita ed allo sviluppo economico del Paese. Attività, questa, che in questi ultimi giorni, si sta concretizzando con un documento, sempre sviluppato unitamente alla RPT, da proporre nell’ambito del cosiddetto “Job act”. Negli ultimi anni, la discussione sul ruolo degli Ordini e delle professioni ha spesso occupato spazi di rilievo nel dibattito politico sulla crisi e sulla trasformazione della società. Parole come “liberalizzazioni”, “casta”, “lobby”, sono state utilizzate per indicare i principali elementi negativi della nostra società e per individuare le cause di attriti ed incrostazioni da eliminare, senza se e senza ma, per liberare risorse e rilanciare lo sviluppo. In quest’ottica gli Ordini sono stati visti il cuore della conservazione, l’ostacolo principale all’affermazione dei giovani professionisti, l’icona di un’Italia chiusa in un modello lontano da quella cultura anglosassone capace di coniugare libera iniziativa, qualità, sviluppo. Già, quanti dibattiti sul “modello”, come se da una società si potesse importare un segmento (per esempio l’associazionismo nel campo delle professioni) astraendolo ed isolandolo, come un batterio, dalla complessità dell’articolazione di quella società. La volontà del C.N.I., la sua azione di “politica” della categoria esercitata negli ultimi mesi, vuole esaltare, di contro, il ruolo sociale degli Ordini e la loro forza propositiva, nonché l’esaltazione del principio di responsabilità di una classe dirigente matura e consapevole, per la quale tale principio è prima che “esercizio del potere”, “adempimento del dovere”. Nell’ambito di tale attività propositiva abbiamo accolto la riforma delle professioni, condividendone lo spirito e, soprattutto, favorendone l’attuazione. Ora si intende continuare sulla strada intrapresa, proponendo iniziative concrete, tese ad avviare una politica di sviluppo del Paese unita alla necessaria tutela dei cittadini e del territorio. Per questo ci battiamo, affinché si introduca una vera cultura della prevenzione, soprattutto dai rischi ambientali, sismici ed idrogeologici. Il nostro Paese, purtroppo, continua a sopportare uno straordinario e costosissimo paradosso: l’eccesso contemporaneo di regolazione e controlli che Io ha portato ad una paralisi degli investimenti e ad un disincentivo da parte degti investitori esteri. Da un recente studio presentato al nostro Congresso di categoria a Brescia, la semplificazione amministrativa è considerata dal 95% degli ingegneri un fattore importante per liberare le potenzialità imprenditoriali e rilanciare lo sviluppo del Paese. Ad oggi riteniamo che abbiano avuto una scarsa incidenza nella semplificazione sia la riforma della conferenza dei servizi che la possibilità di ricorrere a Commissari ad acta, sia l’istituzione degli sportelti unici che l’avvio della digitalizzazione della pubblica amministrazione. Promuoviamo quindi l’ampliamento delle attività libere mediante la comunicazione di inizio attività, la SCIA e anche l’introduzione del silenzio assenso in alcune t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 11 procedure. Oltre il 90% degli ingegneri si dichiara disponibile ad assumersi la responsabilità per l’avvio di interventi di medio-bassa complessità, secondo il principio di sussidiarietà già applicato in altri Paesi. Per nostra natura, siamo aperti all’innovazione e vogliamo giocare il ruolo di protagonisti in questa rivoluzione. Abbiamo già dimostrato di non temere il cambiamento, di saper abbandonare strade consuete per accogliere novità e garantire più qualità, più sicurezza e più indipendenza. Tabella A Opere incompiute - Censimento al 21 Ottobre 2013 - Importo per lavori risultanti da ultimo quadro economico approvato (in milioni di euro) Altra questione centrale per la ripresa e per il lavoro è il tema delle infrastrutture. Un sistema infrastrutturale efficiente e competitivo rappresenta uno dei fattori di maggiore stimolo per la crescita economica. Infatti le imprese scelgono di investire dove ci sono buone infrastrutture, perché contribuiscono ad abbassare i costi di trasporto (in Italia oggi di 6 – 8 punti percentuali superiori a quelli dei competitor europei). Il nostro Paese sconta un ritardo infrastrutturale dell’ordine di almeno 200 miliardi per scarsi investimenti pubblici e strutturali, difficoltà di attivazione di risorse private. Un fattore di differenziazione tra l’Italia e le altre nazioni europee è altresì riscontrabile nei costi medi di realizzazione delle opere pubbliche, decisamente più elevati nel nostro Paese, sia per le autostrade, sia per l’alta velocità ferroviaria. Sul divario pesano le condizioni orografiche e di antropizzazione del territorio, le difficoltà di programmazione ma anche le criticità di un quadro normativa in continua ed affannosa evoluzione. Un capitolo a parte, ed uno specifico approfondimento, meriterebbe il tema delle “opere incompiute”, sia per non ripetere più gli errori del passato ottimizzando quindi investimenti ed efficacia delle progettazione, nonché verificare quante di queste possono essere completate ed utilizzate dalla collettività. Nella tabella A a seguire si ha una misura dell’incidenza economica, per le varie regioni d’Italia (per la Sicilia, insieme ad altre regioni, purtroppo il dato non è disponibile!), di tali opere pari a ben 1.481 milioni di euro. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 12 Fonte: elaborazione Centro Studi Cni su dati Sistema Informativo Monitoraggio Opere Incompiute (SIMOI) - Ottobre 2013 Rispetto ai temi generali del lavoro, e nello specifico al “Job act” di cui tanto si discute in questi giorni, il C.N.I. sta lavorando su alcune precise idee operative: – – – riportare la terzietà e la creatività delle idee al centro dei processi tecnici oggi dominati dal cortocircuito tra sistema imprenditoriale - finanziario e sistema burocratico - amministrativo. Con questa azione si decreta la centralità del progetto e della progettualità, si liberano energie, si dà impulso ad un mercato oggi sterile, si fa un salto avanti verso processi di qualità, si caratterizza l’attività pubblica nelle due fasi essenziali della programmazione e del controllo; modificare l’attuale regolamento delle Società tra Professionisti (STP) nella direzione di modelli europei in cui sia obbligatoria la previsione di percorsi di inserimento e formazione di giovani, siano chiari i meccanismi di compenso dei giovani nelle varie fasi della loro crescita professionale, siano evidenti le possibili forme di partecipazione di giovani al capitale sociale. Le STP previste dalle norme vigenti sono destinate a rimanere assolutamente inefficaci rispetto alle esigenze di crescita e rinnovamento delle forme di esercizio della professione. Eppure esse hanno una forte potenzialità occupazionale per i giovani sostituendo l’obsoleto modello del “professionista singolo” oggi ormai superato dalla complessità ed interdisciplinarità delle questioni tecniche; favorire l’assunzione di giovani laureati nelle strutture professionali attraverso la creazione di contratti ad hoc, anche a tempo indeterminato, in cui gli oneri previdenziali siano gli stessi previsti dalle Casse di previdenza (es. INARCASSA). ln una società in cui il costo del lavoro è gravato da oneri insostenibili, in cui la modifica rapida ed imprevedibile degli orizzonti economici può disegnare un’alternanza di momenti in cui un giovane può trovarsi ad essere, lavoratore dipendente in una STP, lavoratore autonomo, e poi di nuovo dipendente, questa riforma consentirebbe una invarianza del sistema previdenziale annullando l’insostenibilità degli attuali processi di ricongiunzione (esempio tra INPS ed INARCASSA). Complessivamente quindi il C.N.I. ha chiesto, e chiede alla politica di essere coraggiosa, di rivoluzionare il sistema; per questa rivoluzione gli ingegneri, naturalmente aperti all’innovazione, potranno e dovranno essere protagonisti. Dobbiamo mettere al servizio dello Stato, e dei suoi organismi rappresentativi e decisionali, le nostre competenze e le nostre organizzazioni a partire dalle potenzialità enormi che può esprimere il “network” degli Ordini provinciali. Dobbiamo chiedere, e pretendere dalla politica e dal nuovo Governo appena insediato di essere ascoltati, di essere presenti sin dal momento in cui le norme e le leggi vengono elaborate presso le varie sedi ministeriali. Gli ingegneri hanno dimostrato da sempre, e devono dimostrare ancora oggi di non temere il cambiamento, di farsi carico di oneri aggiuntivi anche in una condizione economica drammatica; di saper abbandonare strade consuete per accogliere novità e garantire più qualità, più sicurezza e più indipendenza; di poter fornire proposte, conoscenze e competenze per dare di nuovo un futuro al nostro Paese, di assumersi responsabilità ed essere sussidiari dello Stato. t e c n i c a Gaetano Fede Consigliere C.N.I. Responsabile Area Sicurezza e Area Energia e r i c o s t r u z i o n e 13 RISCHIO SISMICO A CATANIA CULTURA DELLA PREVENZIONE E DELLA STRATEGIA PER LA MITIGAZIONE DEL RISCHIO di Luigi Bosco “La Sicilia orientale in Italia è come la California per gli Stati Uniti. Li si aspetta il Big One, il grande terremoto. Qui da noi il Big One atteso e’ quello della Sicilia orientale. Se si verificasse provocherebbe decine di migliaia di vittime.....Negli ultimi 25 anni non mi risulta che sia stato fatto qualcosa per attenuare i danni che potrebbe provocare un terremoto di grande energia. Purtroppo nel nostro paese non c’è cultura della prevenzione......E non è solo colpa dei politici, è che spesso sono anche i cittadini a non volerne sapere.” Queste parole pronunziate da Giuseppe Zamberletti, il padre della Protezione Civile italiana, per la loro profonda consapevolezza, ci devono fare riflettere tutti, politici e cittadini. Ma se le parole di Zamberletti sono intrise di grande senso di equilibrio, interventi più esplicitamente allarmistici sono stati quelli del prof. Boschi e del settimanale l’ Espresso che in un recente articolo descrive Catania come la città a più alto rischio sismico d’ Europa,evidenziando l’ ipotesi di oltre 150000 morti in occasione del temuto sisma. La struttura tettonica in cui si originano i grandi terremoti che hanno colpito la Sicilia sud orientale è la faglia ibleo- maltese. Sembrerebbe, da alcuni studi geofisici, che il flusso di calore nella zona della scarpata risulta compatibile con la possibilità di generazione di eventi sismici di grande portata quali quelli del 1169 e 1693, ambedue di magnitudo 7.7. Ma aldilà di questi studi, che potrebbero portare alla valutazione di una imminenza dell’ evento, c’è sicuramente convergenza da parte di tutta la comunità scientifica nell’ individuazione di un periodo di ritorno di 300-500 anni per sismi della stessa entità nel nostro territorio. È questa certezza a cui fa riferimento la saggezza di Zamberletti che ci deve dare la spinta a tirare fuori la testa dalla sabbia, ove era stata tenuta dai nostri politici e dai nostri precedenti amministratori, e ad affrontare con grande determinazione la sfida della messa in sicurezza della città di Catania. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 14 La problematica sismica di Catania deve essere vista alla luce di alcune peculiarità che rendono uniche nel quadro nazionale le condizioni di rischio. Non considerando in questa fase il grave rischio vulcanico, Catania è una città che paga con una elevatissima percentuale di edifici privi di caratteristiche antisismiche il ritardato inserimento del proprio territorio tra quelli considerati, da un punto di vista normativo, sismici. Solo nel 1981, grazie anche alla spinta di una componente culturalmente matura del mondo professionale, fu effettuato questo inserimento, mentre le condizioni erano già mature da almeno un decennio. Ricordo una mediocre classe politica che governava la città e la rappresentava in Parlamento e che considerava una vittoria il mancato inserimento della nostra città tra quelle sismiche. Basta pensare che Messina ha avuto una “ attenzione” sotto il profilo sismico fin dal 1908 e Palermo subito dopo il terremoto del Belice, alla fine degli anni ‘60. L’ altra grande peculiarità della nostra città è quella correlata al periodo di ritorno dei grandi sismi. Per quelli che possono riguardare Catania e hanno la dimensione del devastante terremoto del 1693 il periodo di ritorno è , come già ricordato, dell’ordine dei 300-500 anni. Oggi noi siamo arrivati al 321’ anno. Non occorre fare allarmismo, ma corretta informazione. È necessario avere il coraggio di intraprendere un grande percorso, che non può esaurirsi in pochi anni, data la straordinaria necessità di risorse finanziarie e umane, ma che ci deve portare a fare trovare la nostra città preparata ad affrontare nelle migliori condizioni possibili gli eventi a cui potrebbe essere sottoposta. In questa nota desidero occuparmi esclusivamente della protezione degli edifici, pur essendo assolutamente consapevole che la problematica comprende aspetti altrettanto significativi correlati alla gestione urbana della città e al sistema di protezione civile. Innanzi tutto devo precisare che, in parziale difformità con quanto affermato da Zamberletti, una seppur modesta azione è stata messa in atto dal nostro sistema nel campo della prevenzione. Prima di tutto desidero ricordare la creazione di un efficace sistema di Protezione civile. La protezione civile italiana ha sempre dimostrato una notevole capacità organizzativa negli interventi effettuati. Ritengo che vadano in tal senso citati alcuni interventi normativi. - Nel marzo 2001 veniva emanata l’ Ordinanza 3105 ‘ Disciplina degli interventi di prevenzione sismica per gli edifici privati nei comuni della Sicilia orientale’: la cosiddetta ordinanza Bianco, dal nome del ministro Enzo Bianco, che la emanò al termine di una grande stagione catanese di forte attenzione alle problematiche sismiche della città. Si trattò di una felice intuizio- ne del nostro sindaco che portò alla messa in sicurezza di numerosi edifici nel nostro territorio, nonostante gli ostacoli di un poderoso groviglio burocratico, la scarsa motivazione di alcuni funzionari e, a volte, anche la mediocrità di alcuni progetti . L’ Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 3274/2003 ha avuto il duplice merito di accelerare il recepimento nelle norme tecniche dei risultati delle più recenti ricerche nel campo delle conoscenze del comportamento sismico degli edifici, e soprattutto ha previsto l’obbligo di effettuare, entro cinque anni le verifiche di vulnerabilità sia degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, sia degli edifici e delle opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso. Dobbiamo registrare con grande disappunto che l’amministrazione comunale di Catania non ha adempiuto a tale obbligo dal 2003 ad oggi per nessun edificio, nonostante i contributi previsti, non più disponibili. - La legge 77/2009 all’ art. 11 ha istituito un fondo pluriennale di prevenzione ( 2010-2016) per un importo complessivo nel territorio italiano di 965 milioni di euro. Così come ho avuto modo di riferire nel corso di un recente intervento all’ Ordine degli Ingegneri di Catania, t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 15 i fondi previsti per gli edifici privati, con l’ ordinanza per l’ anno in corso, possono consentire la messa in sicurezza di soli 160 alloggi in tutta la Sicilia. Si tratta di una goccia d’ acqua, è ovvio che non basta, ma da qui bisogna partire per prepararci ad interventi più massicci. In relazione a questa ordinanza e ai meccanismi di distribuzione dei fondi nel territorio nazionale, a mio avviso, viene trascurato un fattore di grandissima rilevanza e del quale occorrerebbe tener conto: il rapporto temporale attuale nei confronti del periodo di ritorno del terremoto di forte intensità atteso. È ovvio che bisogna concentrare le risorse nelle aree nelle quali è maggiormente prevedibile, in tempi prossimi, un sisma di forte intensità. Questo purtroppo non avviene e la Sicilia sud orientale risulta fortemente penalizzata. Bisogna pertanto impegnarsi, sotto un profilo tecnico e politico, a fare riconoscere questo fattore fondamentale. A conclusione di questa descrizione della situazione sismica del nostro territorio appare chiaro che il tema vada trattato con le caratteristiche dell’ emergenza. Tuttavia ci rendiamo conto che il termine ultimo del nostro progetto non ha una data fissa. Pertanto il nostro obiettivo deve essere quello di trovarci ad ogni momento nella fase più avanzata possibile della messa in sicurezza sismica del nostro territorio. Per quanto riguarda l’ edilizia pubblica a partire dagli edifici scolastici e dagli altri edifici rilevanti ai fini della protezione civile o soggetti a grande affollamento la strategia da seguire deve prevedere i seguenti step: 1.1) Eseguire le verifiche di vulnerabilità sismica ( e pertanto prevedere i relativi fondi in bilancio, così come si è cominciato a fare per le scuole). Ciò consente di avere una mappatura reale dello stato di salute degli edifici pubblici e di poter concorrere all’attingimento di finanziamenti. A tal fine è stata già inserita nel bilancio 2013 del comune di Catania una modesta somma alla quale dovrà far seguito per i prossimi esercizi una previsione di almeno 500000€ annui. Le verifiche di vulnerabilità devono essere effettuate con il conferimento di incarichi professionali attraverso regolari bandi e acquisizione di disponibilità .In tale fase risulta di particolare rilevanza la disponibilità alla collaborazione già manifestata in sede di conferenza di servizi , convocata dal sottoscritto in sinergia con l’ assessore Scialfa, presso t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 16 la sede del comune da Ance e Università di Catania. Tale collaborazione attraverso il finanziamento da parte di Ance di alcune boese di studio potrebbe portare al risultato della creazione di modelli di riferimento applicabili alle tipologie edilizie del nostro territorio, conseguendo in tal modo un livello adeguato e benefico di omogeneizzazione dei risultati delle verifiche. 2) redazione dei progetti di adeguamento e/o miglioramento sismico degli edifici pubblici, seguendo una strategia di priorità in funzione dei risultati ottenuti dalle verifiche ( nei casi più gravi potrebbe essere necessaria la demolizione e ricostruzione). La redazione dei progetti deve essere effettuata anche con il conferimento di incarichi esterni. È necessario pertanto prevedere dei fondi di rotazione in bilancio, così come è stato già richiesto dalla direzione Ll.pp. In questa fase ritengo particolarmente utile la collaborazione degli ordini professionali. Tale collaborazione potrebbe consentire di attivare convenzioni finalizzate a ridurre i costi delle fasi preliminari e definitive delle progettazioni, necessarie al finanziamento dei progetti. La riduzione di tali costi potrebbe essere parzialmente compensata nella fase della progettazione esecutiva e della direzione lavori. Tutto ciò al fine di ampliare il più possibile il parco progetti a parità di fondo di rotazione. 3) realizzazione degli interventi. In alcuni casi potrebbe essere previsto anche il ricorso ad appalti integrati. Una valutazione di massima lascia prevedere la necessità di circa 60 milioni di euro per la messa in sicurezza delle scuole di proprietà comunale. 4) alla luce di alcune iniziative economiche proposte dai privati ( tipo project financing e similari ) potrebbe essere richiesto l’ inserimento , nel piano economico e finanziario, di interventi di messa in sicurezza sismica di edifici pubblici. La problematica della messa in sicurezza sismica degli edifici privati a Catania riguarda un numero di alloggi pari a circa 100000. privi dei requisiti antisismici e richiede risorse pubbliche e private dell’ ordine di 4 miliardi di euro. Si tratta di somme ingenti, da spalmare in un ventennio, riuscendo ad individuare eventualmente le priorità attraverso un uso mirato delle verifiche di vulnerabilità. Corre l’ obbligo di osservare che in altre realtà potrebbero pensarsi interventi diversi, più soft, di mitigazione del rischio, adatti a rendere gli edifici in grado di sostenere l’impatto di terremoti medio-forti; ma questo non è eticamente sostenibile come obiettivo primario per una città che deve tutelarsi dal temuto Big One. Ritengo che per per conseguire questo risultato, quando è tecnicamente possibile bisogna mirare all’ isolamento sismico degli edifici, che è il sistema che non solo consente di resistere ,ma anche di limitare i danni. La problematica degli edifici privati, al di là della sua complessità legata alla dimensione del fabbisogno economico pubblico-privato presenta la necessità di una forte motivazione della popolazione. È noto infatti che l’ attenzione alle problematiche del rischio sismico ha impennate di intensità in corrispondenza di eventi sismici rilevanti, anche in altre parti del nostro territorio, per poi scemare rapidamente nel giro di poche settimane. Diviene pertanto assolutamente necessario diffondere la cultura della prevenzione, partendo anche dalle scuole, ma rivolgendosi a tutta la popolazione attraverso un sistema articolato di comunicazione. Un esempio in questa ottica è stato sicuramente l’evento organizzato dall’ Ordine degli ingegneri e dai Lions lo scorso anno relativo al mese della prevenzione sismica. Si potrebbe pensare di costituire un gruppo di esperti di alto profilo che ci aiutino a programmare e a realizzare una serie articolata di iniziative che attraverso il contributo dei mass media possano sensibilizzare la popolazione. E proprio in tal senso ho già cominciato a prendere contatti con docenti di fama nazionale,ai quali dovrebbero aggiungersi esponenti del mondo della professione: il messaggio da trasmettere e’ che c’ e’ un grande rischio, ma ci sono dei sistemi tecnici che ci consentono di affrontarli con ottime possibilità di conseguire buoni risultati. Un’ altra criticità riscontrata è costituita dal fatto che nel caso degli interventi antisismici sul patrimonio edilizio privato gli interventi legislativi di defiscalizzazione non possono avere le stesse caratteristiche relative agli incentivi per gli interventi tipici nell’edilizia. Un intervento di ingegneria antisismica ha bisogno infatti di programmazione di progettazione e di autorizzazioni. Non può essere utilizzato un termine troppo breve per l’ accesso agli incentivi. È necessaria una adeguata programmazione . Per quanto mi risulta, pur non essendo in possesso di dati ufficiali, non c’ è stato, almeno a Catania, un significativo ricorso alle opportunità offerte da alcune proposte legislative . E ciò probabilmente per l’ effetto congiunto delle due cause appena indicate. Ritengo che per attivare questi interventi sul patrimonio privato occorra integrare gli incentivi pubblici di defiscalizzazione , che nel caso specifico dovrebbero avere alte percentuali ( almeno il 60-70% ), con incentivi comunali ( premialita’ volumetriche, riduzioni imu o similari). Nel caso specifico di Catania ritengo che per le problematiche emergenziali già denunziate, il legislatore nazionale, fissato un tetto massimo di intervento al metro quadro di superficie utile, dovrebbe integrare con norma specifica il contributo correlabile alla defiscalizzazione con un contributo diretto fino alla totale copertura del tetto massimo nel caso di totale adeguamento antisismico e alla copertura di congrua aliquota in funzione del livello di miglioramento conseguito e dimostrato con verifica di vulnerabilità eseguita prima e dopo dell’ intervento. Ritengo altresì utile diffondere la consuetudine di fare diventare elemento significativo nella valutazione del valore di un immobile la resistenza sismica dello stesso, con modalità analoghe a quelle della certificazione energetica. A conclusione di questa breve relazione ritengo che la situazione di Catania, come ampiamente e unanimemente riconosciuto dalla comunità scientifica nazionale e internazionale, ha delle caratteristiche uniche che la rendono assolutamente meritevole di attenzioni speciali da parte del nostro Governo Nazionale. Deve essere nostro compito condiviso impegnarci affinché queste attenzioni si materializzino in atti governativi concreti a tutela della nostra comunità. Tuttavia questi atti concreti potrebbero rischiare di essere vanificati se non saremo in grado di supportarli attraverso una azione di motivazione dei privati e una azione di semplificazione burocratica nelle procedure di accesso ai finanziamenti e negli iter autorizzativi dei progetti. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 17 5 PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO (PPP): LUCI ED OMBRE SULLA SUA APPLICAZIONE NELLA REALIZZAZIONE DI OPERE PUBBLICHE di Alfio Grassi* La difficoltà delle Pubbliche Amministrazioni di reperire fondi per la realizzzazione di opere pubbliche e fornire servizi ai cittadini legata all’attuale congiuntura economica rende assolutamente cogente la necessità di ricercare forme alternative per il reperimento delle risorse economiche necessarie per soddisfare le esigenze di nuove opere pubbliche. Da tempo in Europa il sistema legislativo sollecita il concetto di “comakership” e cioè il “fare squadra insieme” tra Pubblica Amministrazione e Privato, nel nostro Paese, invece, spesso non si è riusciti a trovare una strada congiunta e di reciproco vantaggio per entrambi per poter raggiungere un obiettivo comune, con una collaborazione tecnica, economica e finanziaria aperta e trasparente che possa sopperire alla insufficienza delle risorse statali e/o comunitarie a far fronte alle accresciute esigenze sociali ed alla drastica diminuzione dei finanziamenti pubblici. Le modifiche normative inserite dagli ultimi governi tendono ad agevolare, con l’introduzione di nuove regole per il PPP, la collaborazione tra pubblico e privato, mutuando in gran parte le previsioni del “Libro Verde” dell’Unione Europea (Commissione della Comunità Europea del 30-04-2004). L’incidenza di questo mercato sul totale di quello delle opere pubbliche è in progressiva crescita, sia in termini di numero di opportunità per le quali si è passati dall’1% del 2002 al 17% del 2011, sia in termini di valore degli appalti, passando dal 6% del primo anno di rilevazione al 44% del valore dell’intero mercato delle opere pubbliche in gara nel 2011. In sostanza un nuovo mercato è nato in Italia nel primo decennio dell’attuale secolo mostrando tre fasi di evoluzione: 2002-2005, 11% della domanda; 20062008, 22% della domanda; 2009-2011, 35% della domanda. Con la attuale fase, 2012-2015, si delinea uno scenario in cui il PPP è destinato a stabilizzarsi su livelli sempre più consistenti della domanda di opere pubbliche (Fig.1). Il salto è stato fatto sul piano della domanda, ma è ancora un mercato disomogeneo nelle diverse regioni italiane (Fig.2) e che deve maturare e crescere sul piano della concretezza realizzativa e che, soprattutto, ha bisogno di nuove competenze, di formazione, di soggetti catalizzatori, di esperienze tipo e casi di successo. A riprova di questa considerazione si sta constatando che delle gare già bandite poche pervengono alla definitiva conclusione ed all’avvio operativo del PPP, poiché per vari fattori molte procedure di affidamento t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Fig. 1 Fonte: elaborazione CRESME Europa Servizi su dati www.infopieffe.it promosso da Unioncamere, Dipe-Utfp e Ance e realizzato dal CRESME *Consigliere Tesoriere Ordine Ingegneri Prov. Di Catania e componente del Gruppo di esperti di PPP designati dagli Ordini Ingegneri di Catania, Milano, Napoli e Torino 18 PPP – LE CLASSIFICHE REGIONALI – Gare censite nel 2011 per REGIONE • Progettazioni insufficienti e non adatte al PPP; • Uso sproporzionato di ricorsi amministrativi. Per la componente bancaria • Asseverazione effettuata sul progetto preliminare; • Intervento ad aggiudicazione già avvenuta; • Durata (12-32 mesi) e complessità del “closing finanziario”; • Instabilità finanziaria e misure di politica bancaria europea Le ragioni dello scarso successo e di conclusione delle innumeFig. 2 revoli iniziative sviluppate nel campo delle procedure di PPP Fonte: Osservatorio regionale Lazio del Partenariato Pubblico Privato - www.siop-lazio.it sono da individuarsi nelle si arenano nel corso della loro gestazione delineando seguenti problematiche (Fig.4): evidenti criticità nella gestione delle procedure 1) Analisi spesso non adeguata della prefattibilità (Fig. 3). delle opere da parte delle stazioni appaltanti con Le cause sono da individuare nei tempi lunghi dei progetti appaltati privi di una congrua valutazione in procedimenti e nell’alto livello di caducità che sono riferimento alla sostenibilità economico-finanziaria. causati dai fattori seguenti: 2) Incertezza della tempistica della procedura d’assePer la componente pubblica gnazione dell’appalto. Il finanziamento vero e • Insufficiente analisi dell’ “affordability”» o sosteniproprio delle operazioni, per come rilevato dalla bilità finanziaria ; Banca Europea per gli Investimenti, richiede per il • Incomprensione della struttura del PPP; “closing finanziario” tempi che vanno dai 12 ai 32 • Inadeguata preparazione dei progetti (mancanza di mesi a partire dall’aggiudicazione. una fase di valutazione ex ante); 3) Gli Istituti bancari intervengono nelle operazioni • Risorse finanziarie e di consulenza inadeguate; di aggiudicazione già avvenuta e successivamente alla • Mancata focalizzazione nella strutturazione finanfirma del contratto con una revisione della sostenibiziaria in fase di gara; lità di tutto il piano economico-finanziario pressochè • Mancanza di tutte le autorizzazioni prima dell’avvio totale e quindi una revisione della documentazione della gara; Fig. 3 Per la componente privata • Mancanza di una cultura del PPP (in genere viene privilegiato il ribasso d’asta e non il confronto competitivo); • Debolezza strutturale del sistema delle imprese (ridotta capitalizzazione); • Ridotta concorrenza tra imprese (dovuta al meccanismo procedurale); t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 19 predisposta dal Privato e/o dall’Amministrazione. 4) Spesso poi i dati di base relativi al piano economico finanziario vanno rivisti per il cambiamento degli scenari dovuti all’avvenuto lungo passaggio temporale tra la gara d’appalto ed il finanziamento. Una delle criticità maggiori è stata evidenziata nel rapporto tra Imprenditori e Developer Pubblici e Privati con le banche che,a volte, sono state costrette Fig. 4 ad interrompere le erogazioni dei finanziamenti in precedenza autorizzati con contratti di finanziamento già stipulati, per la assenza di precise informazioni oppure per la presenza di irregolarità formali nella produzione degli stessi dati. In particolare, in taluni casi, si sono generate gravi sofferenze per l’Imprenditore che, privo di copertura di cassa (cash flow), non sempre è stato in grado di portare a completamento il progetto di costruzione. Pertanto, è evidente che l’ente erogatore del credito e l’impresa debbono trovare nuove e più innovative opzioni preventive di verifica e controllo, per il buon fine dell’iniziativa. E’ auspicabile che queste metodologie siano in futuro vincolanti per ottenere ulteriori e successivi finanziamenti da parte delle imprese che dovranno, allo scopo,meglio raccogliere, organizzare, gestire in forma aggiornata, le informazioni ed i dati contenuti nei documenti di natura tecnica,di cantiere, amministrativa, contabile, fiscale, di controllo gestionale e di controllo finanziario (cash flow). Queste problematiche rendono evidente come necessitano delle linee guida per le amministrazioni pubbliche per la scelta della procedura di affidamento più idonea e per la corretta impostazione della procedura stessa ed un’assistenza sul campo (almeno t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 20 per i progetti di maggiori dimensioni) da parte di esperti in grado di diffondere le “best pratice” ed evitare errori ricorrenti. Ciò potrebbe facilitare l’accumulazione di competenze adeguate all’interno delle amministrazioni con effetti positivi per la diffusione del PPP. Con queste premesse gli Ordini Ingegneri di Catania, Milano, Napoli e Torino si sono resi promotori dell’iniziativa di diffondere: • sia la conoscenza delle varie forme di PPP utilizzabili in Italia • sia esempi pratici di opere già realizzate cercando di evidenziare vantaggi e svantaggi di essi e le modalità atte ad eliminare le criticità che il primo decennio di applicazione ha messo in luce. L’ impegno dei suddetti Ordini, sino adesso, si è concentrato nell’organizzazione di convegni regionali, patrocinati dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, che hanno posto a confronto gli esperti del settore con i possibili fruitori del PPP ed hanno consentito di diffondere anche la conoscenza delle “Linee guida per l’iter di finanziamento per le costruzioni -Criteri e parametri omogenei di gestione economica-finanziaria nei progetti (Specifica tecnica UNI/TS 11453 del settembre 2012)”. Questa specifica tecnica permette di comporre una metodologia di lavoro che consente di raccogliere e rielaborare le molteplici informazioni e dati di tipo tecnico,progettuale e finanziario all’interno di un unico archivio specialistico, in base ad una precisa relazione tra: • Fasi Progettuali ed Iter del finanziamento ( raccolta di dati necessari alla verifica della Bancabilità del Progetto in relazione a quanto previsto in Fase di Studio di Fattibilità e del Piano Economico Finanziario dello stesso Progetto); • Fasi del progetto ed iter della Costruzione fino alla sua conclusione, con l’obiettivo di garantire il rigoroso rispetto dei termini e patti contenuti nel Contratto di Finanziamento dell’Opera. La “Specifica tecnica UNI/TS 11453” è rivolta a tutti gli Operatori del settore, in particolare agli Enti Pubblici in qualità di propugnatori delle iniziative di competenza pubblica, alle Imprese di Costruzione , per Iniziative Private e/o di tipo PPP – PF, agli Istituti di Credito come Soggetti preposti all’erogazione di finanziamenti ed all’emissione di garanzie nonché ai Professionisti. LE MODIFICHE E LE NOVITÀ INTERROTTE DALLA LEGGE DEL 9 AGOSTO 2013, N. 98 “DECRETO DEL FARE” IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO ED EDILIZIA di Antonio Leonardi* Elisa Gerbino** Con legge 9 agosto 2013, n. 98, è stato convertito il decreto legge del 21 giugno 2013, n. 69, cosiddetto “decreto del fare”, che ha apportato alcune modifiche-integrazioni-semplificazioni sia in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che in edilizia. L’articolo si sofferma ed approfondisce le novità introdotte in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ponendo maggiore attenzione agli articoli 32 e 35 della Legge che modificano diversi articoli del D.Lgs. n. 81/2008, interessando essenzialmente gli appalti, sia pubblici che privati (art. 26), la verifica obbligatoria delle attrezzature di lavoro (art. 71), la formazione delle figure della prevenzione (artt. 32 e 37), il documento unico di regolarità contributiva (DURC), la sicurezza in edilizia (Titolo IV ), in particolare per gli spettacoli musicali, cinematografici, teatrali e le manifestazioni fieristiche. La maggior parte di queste modifiche non è immediatamente operativa in quanto si demandano a successivi decreti attuativi che sono in corso di emanazione. L’articolo si conclude con un breve excursus sulle principali semplificazioni previste per l’edilizia ed alcune novità per i professionisti (art. 30). LE MODIFICHE IN MATERIA DI DUVRI La modifica all’art.26 prevede che per le aziende a basso rischio infortunistico e di malattie professionali, sarà possibile sostituire la redazione del documento unico di valutazione dei rischi da interferenza (DUVRI), con l’individuazione di un incaricato «in possesso di formazione, esperienza e competenze professionali, adeguate e specifiche in relazione all’incarico conferito, nonché di periodico aggiornamento e di conoscenza diretta dell’ambiente di lavoro, per sovrintendere a tali cooperazione e coordinamento». La possibilità da parte del datore di lavoro-committente di evitare di redigere il DUVRI, designando in alternativa un proprio incaricato, è prevista solo per le aziende a basso rischio infortunistico. Tali tipologie di attiviità saranno individuate con un apposito decreto ministeriale. «Dell’individuazione dell’incaricato o della sua sostituzione deve essere data immediata evidenza nel contratto di appalto o di opera». Il contratto, con data certa e con accettazione da parte dell’incaricato, dovrà attribuire all’incaricato stesso espliciti poteri/doveri ai fini della cooperazione, del coordinamento e del controllo da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi. Come è noto il DUVRI è allegato al contratto di appalto o di opera e deve essere adeguato in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture. A tali dati oggi potranno accedere il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Esonero dall’obbligo del DUVRI. Il provvedimento legislativo chiarisce poi che l’obbligo di redazione del DUVRI non si applica ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, ai lavori o servizi la cui durata non e’ superiore ai cinque uomini-giorno (somma delle giornate di lavoro necessarie all’effettuazione dei lavori, servizi o forniture considerata con riferimento all’arco temporale di un anno dall’inizio dei lavori), sempre che essi non comportino rischi gravi [1] specificati dal D.Lgs. n. 81/08. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 21 VALUTAZIONE DEI RISCHI PER AZIENDE A BASSO RISCHIO INFORTUNISTICO - IL MVR Il nuovo comma 6-ter inserito nell’art. 29 del D.Lgs. n. 81/08 ha concesso la facoltà ai datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori, estendibile anche a quelli che ne occupano oltre dieci e fino a 50, operanti nei settori di attività a basso rischio infortunistico e di malattie professionali, la facoltà di redigere, in alternativa al Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), un “Modello di Valutazione dei Rischi” (MVR) semplificato (art. 29, comma 6-ter, D.Lgs. n. 81/08). Tuttavia, questa nuova semplificazione non sarà immediatamente operativa in quanto occorrerà attendere l’adozione di un apposito decreto del Ministro del Lavoro, che dovrà individuare sia i settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti anche dalle specifiche statistiche INAIL, che la modulistica da utilizzare. In sostanza, per tali aziende, che occupano fino a 50 lavoratori, la valutazione dei rischi può essere effettuata secondo tre modalità: t e c n i c a SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA DI FORMAZIONE formative soprattutto per i soggetti che frequentemente partecipano a corsi diversi ma che hanno per oggetto gli stessi argomenti. Le figure principalmente interessate sono il responsabile e gli addetti al servizio di prevenzione e protezione (RSPP e ASPP), ma anche i lavoratori, i dirigenti, i preposti e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS). In particolare per tutti i casi di formazione e di aggiornamento previsti per i dirigenti, i preposti, i lavoratori, i RLS, i RSPP e ASPP, i cui i contenuti si sovrappongano, in tutto o in parte, verranno riconosciuti dei crediti formativi per la durata e per i contenuti della formazione e dell’aggiornamento corrispondenti erogati. Le modalità di riconoscimento dei crediti formativi e i modelli per mezzo dei quali è documentata l’avvenuta formazione saranno individuati dalla Conferenza Stato-Regioni, sentita la Commissione consultiva permanente, che molto probabilmente richiederà anche una rivisitazione del precedente accordo sulla formazione del 21 dicembre 2011 per i lavoratori, i preposti e i dirigenti (n. 221/2011) e di quello del 26 gennaio 2006 (n. 2407/2006) sulla formazione di RSPP e ASPP. Lo stesso comma 14-bis dell’art. 37 del D.Lgs. n. 81/2008 prevede inoltre la formazione degli allievi e degli universitari ed obbliga gli istituti d’istruzione e universitari a rilasciare ai propri allievi equiparati ai lavoratori, gli attestati di avvenuta formazione sulla salute e sicurezza sul lavoro. L’equiparazione opera qualora sia fatto uso di laboratori, di attrezzature di lavoro in genere, di agenti chimici, fisici e biologici, comprese le apparecchiature fornite di videoterminali, limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori stessi. SPP PRIORITARIAMENTE INTERNO DELLE FIGURE DELLA PREVENZIONE e r i c o s t r u z i o n e Importante semplificazione è stata introdotta per la formazione delle figure della prevenzione, con l’obiettivo di evitare la sovrapposizione di attività 22 Altra importante modifica riguarda il SPP, i cui componenti devono essere scelti prioritariamente all’interno dell’azienda: « il datore di lavoro deve organizzare il SPP prioritariamente all’interno della azienda o dell’unità produttiva o deve incaricare persone o servizi esterni costituiti anche presso le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici, secondo le regole previste dallo stesso articolo ». Il datore di lavoro deve, quindi, dimostrare di aver fatto il possibile per organizzare il servizio di prevenzione e protezione internamente all’azienda e deve giustificare nel documento di valutazione dei rischi quali possono essere i motivi che eventualmente impediscono l’organizzazione interna del servizio. Resta fermo per i datori di lavoro delle micro e piccole imprese, la facoltà di svolgere direttamente i compiti di prevenzione e protezione. APPALTI IN EDILIZIA , ESTENSIONE A SPETTA- COLI E MODELLI SEMPLIFICATI Ulteriori modifiche sono state apportate alla disciplina sui lavori edili contenuta nel Titolo IV, D.Lgs. n. 81/2008. Tra i casi di esclusione dal regime previsto da questo Titolo, oltre i lavori relativi a impianti elettrici, alle reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento, anche i piccoli lavori la cui durata presunta non è superiore a dieci uomini-giorno, finalizzati alla realizzazione o alla manutenzione delle infrastrutture per servizi che non espongano i lavoratori ai rischi di cui all’Allegato XI al D.Lgs. n. 81/2008. Il nuovo articolo 104 bis del D.Lgs. n. 81/2008 prevede “modelli semplificati” per la redazione del piano operativo di sicurezza (POS), del piano di sicurezza e di coordinamento (PSC), del fascicolo dell’opera e del piano di sicurezza sostitutivo (PSS). Tali modelli semplificati da utilizzare dovranno essere resi pubblici tramite decreto interministeriale, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. Il decreto di prossima emanazione dovrà essere in linea con l’allegato 14 del Titiolo 4 che stabilisce i contenuti minimi di PSC, POS, PSS, prevedendo dei modelli che priviliggeranno le scelte progettuali, organizzative e procedurali, anche con un maggiore uso di disegni e tavole esplicative, rispetto agli aspetti ripetitivi o meramente documentali. Inoltre il legislatore ha esteso le norme del Titolo IV agli spettacoli musicali, cinematografici e teatrali e alle manifestazioni fieristiche, al fine di contrastare il preoccupante andamento infortunistico che si è registrato in queste attività nel corso degli ultimi anni, con incidenti anche mortali in occasione dell’allestimento di palchi per spettacoli vari. Trattandosi, tuttavia, di attività che presentano evidentemente delle specificità che le differenziano dai comuni cantieri edili, la stessa disposizione ha rinviato a un successivo decreto interministeriale, anch’esso di prossima emanazione, che dovrà stabilire le norme applicative del Titolo IV tenendo conto delle particolari esigenze connesse allo svolgimento delle stesse. SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA DI DURC L’art. 31 della Legge 98/2013 estende la validità del DURC da 90 a 120 giorni, dalla data del suo rilascio, nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui al D.Lgs. 163/2006 e al D.P.R. 207/2010. Tale estensione risulta applicabile solo ed esclusivamente ai DURC rilasciati dopo l’entrata in vigore del decreto, ovvero dopo il 21 agosto 2013, mentre per quelli rilasciati in data antecedente rimangono in vigore le diposizioni previste dalla disciplina previgente, ovvero 90 giorni. Il documento deve essere acquisito d’ufficio dalle pubbliche amministrazioni. Inoltre sino al 31 dicembre 2014 il Legislatore ha esteso la durata a 120 giorni di validità del DURC anche ai lavori edili privati. Viene inoltre eliminato l’obbligo di richiesta del DURC per i lavori di manutenzione realizzati senza ricorso a imprese direttamente in economia dal proprietario. Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla Circolare n. 36 del 6 settembre 2013 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. SEMPLIFICAZIONE DELLA DENUNCIA DEGLI t e c n i c a INFORTUNI SUL LAVORO Il legislatore ha rivisto nuovamente anche la disciplina in materia di denuncia degli infortuni sul lavoro, modificando nuovamente l’art. 56, comma 1 del D.P.R. n. 1124/1965, stabilendo che a decorrere dal 1° gennaio 2014 l’INAIL dovrà trasmettere telematicamente, attraverso l’istituendo Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), alle autorità di pubblica sicurezza, alle Aziende Sanitarie, alle autorità portuali, marittime e consolari, alle direzioni territoriali del lavoro i dati e r i c o s t r u z i o n e 23 relativi alle denunce di infortuni sul lavoro mortali e di quelli con prognosi superiore a trenta giorni. È stata anche confermata l’abrogazione dell’art. 54, D.P.R. n. 1124/1965, che prevedeva l’obbligo di denuncia nel termine di due giorni all’autorità locale di P.S. di ogni infortunio sul lavoro che abbia per conseguenza la morte o l’inabilità al lavoro per più di tre giorni, ma rimane fermo che il datore di lavoro ha l’obbligo di denunciare, entro 48 ore dall’evento, l’infortunio all’INAIL con modalità telematica. Queste modifiche, tuttavia, non saranno immediatamente operative in quanto entreranno in vigore dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto attuativo del SINP (art. 8, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008). NUOVA TEMPISTICA PER LE VERIFICHE PERIODICHE DELLE ATTREZZATURE Ancora ulteriori modifiche sono state introdotte in materia di verifiche obbligatorie delle attrezzature di lavoro qualificate a maggior rischio infortunistico e inserite nell’elenco contenuto nell’Allegato VII del D.lgs. 81/08 (apparecchi di sollevamento, apparecchi a pressione,..); è rimasto fermo che la prima di queste verifiche è effettuata dall’INAIL che, pero’, vi deve provvedere entro il termine di quarantacinque giorni - e non più sessanta - dalla data di presentazione della richiesta. Qualora l’INAIL non provveda entro questo termine, o ne comunichi l’indisponibilità, allora il datore di lavoro potrà avvalersi, a propria scelta, di altri soggetti pubblici o privati abilitati. Per quanto riguarda, invece, le verifiche periodiche successive alla prima, il datore di lavoro potrà rivolgersi all’ASL (ASP) o a soggetti pubblici o privati abilitati. È opportuno osservare che, per quanto riguarda le verifiche successive, è scomparso il riferimento al termine dei trenta giorni per l’effettuazione delle stesse; rimane comunque fermo il ruolo di soggetto titolare della funzione da parte dell’ASP e dell’INAIL e quindi di controllo sui soggetti pubblici o privati accreditati . t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 24 MISURE DI SEMPLIFICAZIONE PER LE PRESTA- ZIONI LAVORATIVE DI BREVE DURATA L’Art. 35 della legge n. 98/2013 prevede che, con un successivo decreto attuativo, sarà definito un regime semplificato per gli adempimenti in materia di sicurezza sul lavoro relativamente ai lavoratori occupati per un periodo non superiore a cinquanta giornate lavorative nell’anno solare di riferimento. Le semplificazioni riguardano l’informazione, la formazione e la sorveglianza sanitaria con l’obiettivo anche di evitare duplicazioni di adempimenti di questo tipo assolti dallo stesso o da altri datori di lavoro nei confronti del lavoratore durante l’anno solare in corso. Con un ulteriore decreto saranno, altresì, definite misure di semplificazione degli adempimenti relativi all’informazione, formazione, valutazione dei rischi e sorveglianza sanitaria per le imprese agricole, con particolare riferimento a lavoratori a tempo determinato e stagionali, e per le imprese di piccole dimensioni. SEMPLIFICAZIONE IN MATERIA DI PREVENZIO- NE INCENDI Gli enti e i privati responsabili delle nuove attività introdotte all’Allegato I al D.P.R. n. 151/2011, e di cui all’art. 11, comma 4, sono esentati dalla presentazione dell’istanza preliminare (art. 3 del sopra citato decreto) qualora siano già in possesso di atti abilitativi riguardanti anche la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio rilasciati dalle competenti autorità. Inoltre, fermo restando la semplificazione per questi soggetti, è concessa la proroga al 7 ottobre 2014 per la presentazione dell’istanza preliminare, di cui all’art. 3, e dell’istanza, di cui all’art. 4, D.P.R. 151/2011. SISTEMA DI QUALIFICAZIONE DELLE IMPRESE E DEI LAVORATORI AUTONOMI «Con il decreto del Presidente della Repubblica di cui all’articolo 6, comma 8, lettera g ), sono individuati i settori, ivi compresi i settori della sanificazione del tessile e dello strumentario chirurgico, e i criteri finalizzati alla definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, con riferimento alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fondato sulla base della specifica esperienza, competenza e conoscenza, acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati, .....». Dunque il potere di definire il sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, previsto dall’art. 27 del D.Lgs. n. 81/08, viene trasferito dalla Commissione Consultiva permanente al Governo, sentite le Commissioni parlamentari. SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA EDILIZIA L’art. 30 della Legge 98/2013 contiene le semplificazioni in materia edilizia. Di seguito le più significative. L’agibilità parziale All’articolo 24 del DPR 380/2001 (T.U. in Edilizia) è stato aggiunto il nuovo comma 4-bis: «Il certificato di agibilità può essere richiesto anche: Proroga dei termini di inizio e fine lavori I titoli abilitativi (Permesso di costruire, DIA, SCIA) rilasciati prima dell’entrata in vigore della legge n. 98/2023 sono prorogati di due anni, previa comunicazione dell’interessato e purché i titoli abilitativi non siano in contrasto con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. Scia per le ristrutturazioni con cambio di sagoma Le ristrutturazioni consistenti nella demolizione e ricostruzione dell’edificio con una forma diversa, ma con lo stesso volume, non avranno bisogno del permesso di costruire, ma potranno usufruire della procedura semplificata, SCIA, in base alla quale i lavori possono iniziare nello stesso giorno in cui viene presentata la domanda. Nei centri storici i Comuni dovranno individuare entro il 30 giugno 2014 le aree escluse dalla semplificazione. *Rappresentante Coordinamento delle Regioni c/o Min. Lavoro per l’attuazione del “Decreto del fare”; componente GdL “Sicurezza e Prevenzione Incendi” del CNI ** Ingegnere c/o SPRESAL –ASP Caltanissetta a) per singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all’intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni; b) per singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all’edificio oggetto di agibilità parziale.» t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Il Procedimento alternativo alla richiesta di agibilità All’art. 25 del DPR 380/2001 viene aggiunto un nuovo comma 5 bis con il quale si prevede l’individuazione di un procedimento alternativo alla richiesta di agibilità. 25 5 LA RIGENERAZIONE DEI CENTRI STORICI E DI TUTTO IL COSTRUITO É IL CANTIERE DEL FUTURO di Nicola Colombrita La società globalizzata, nel complessivo fallimento delle politiche economiche europee dove il solo aspetto funzionante è quello della finanza speculativa che violenta i più deboli e favorisce le nazioni più disciplinate, non può farci dimenticare la storia e l’altissima qualità della vita dei nostri centri abitati. L’esempio che per secoli abbiamo dato al mondo di convivenza civile nelle nostre magnifiche città, con i mercati che posti nel cuore della città rappresentano il luogo di incontro di tutti i ceti sociali, non può essere cancellato dalla politica di austerità del commissario europeo per gli affari economici e monetari Olli Rehn, che dalla nordica Finlandia, impone le politiche di stabilità di bilancio alle nazioni mediterranee che, se devono decisamente migliorare il proprio senso etico e di rispetto del prossimo, non possono dimenticare le profonde diversità con i virtuosi paesi del Nord. A sedici anni ed ebbi la fortuna di visitare i paesi scandinavi. Nel 1970 la Finlandia era un paese estremamente povero, di confine tra la Russia bolscevica e l’Europa, ma già allora il rispetto del prossimo prevaleva sull’interesse privato: case povere, ma piazze fiorite e pulitissime. I ragazzi, dopo aver acceso la sigaretta, non buttavano a terra nemmeno il fiammifero usato, lo riponevano rovesciato nella scatoletta che poi alla fine veniva cestinata. Quanta differenza con la mia Catania degli anni 70 ove spesso per la mancata raccolta dei rifiuti, i cumuli arrivavano al primo piano delle abitazioni, o oggi con alcune case di Librino, ove a volte i marmi “Rosa del Portogallo” dei bagni privati, si contrappongono alle fognature a cielo libero e a montagne di spazzatura. Lo sviluppo delle nostre città è stato squilibrato e disordinato. Eppure ricordo da bambino a Catania la raccolta dei rifiuti porta a porta anche nei palazzi multipiano: siamo cresciuti male e di questa involuzione siamo tutti responsabili. Ora la grande sfrenata corsa sembra essersi arrestata e quindi è il momento di rivedere le nostre città prendendo ad esempio il t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 26 nostro stesso passato e riqualificarle rigenerandole, partendo dai nostri centri storici che rappresentavano i luoghi più belli e più a misura d’uomo ove vivere al mondo. Adeguare le nostre case ai moderni criteri antisismici e riqualificarle dal punto di vista energetico si può fare a costi convenienti, e con innegabili vantaggi in termini di sicurezza, risparmio e aumento del valore. Gli straordinari vantaggi fiscali che lo Stato concede per i lavori, che oggi arrivano ad un rimborso in dieci anni del 65 % dei costi sostenuti, costituiscono un’occasione da non perdere ed architetti, ingegneri e geometri devono farsi promotori della diffusione di una cultura dell’adeguamento energetico ed antisismico, illustrando ai proprietari gli enormi vantaggi economici. Il settore edile ha la triste prerogativa di eccellere nella classifica dei posti di lavoro persi dall’inizio della crisi: circa 450.000, che diventano 650.000 se si considera tutta la filiera delle costruzioni, oltre la metà dei posti distrutti nell’intera economia italiana. A Catania, in base ai dati della Cassa Edile, il monte salari complessivo pagato dalle imprese agli operai ha registrato un calo di quasi il 50% rispetto all’importo raggiunto nel 2008, pasando da 200 milioni a 100 milioni di Euro. Non è una mancata crescita è una distruzione di attività, una regressione ai valori di produzione che si realizzavano 40 anni fa. A queste criticità si aggiunge una politica fiscale depressiva che colpisce l’occupazione invece di incoraggiarla: il peso di tasse e oneri contributivi sulle buste paga dei nostri operai è enorme e sconfortante, pari a oltre il 65 %: per garantire un salario di € 1.400 l’impresa di costruzioni ne spende oltre 4.000. Un recupero può avvenire come già avviene soprattutto al Nord Italia. L’edilizia residenziale dovrà orientarsi principalmente all’adeguamento del patrimonio edilizio esistente. Gli interventi di adeguamento e di demolizione e ricostruzione rappresentano il futuro delle imprese di costruzione consapevoli che prima di occupare nuovo suolo libero è necessa- rio adeguare il tessuto urbano esistente. Ciò in linea con l’attenzione nazionale e la consapevolezza che le aree urbane rappresentano un fattore strategico per la crescita e solo affrontando e risolvendo i problemi della città si potranno ritrovare elevati tassi di crescita. Il 50% della popolazione mondiale oggi vive nelle città e si prevede che tra qualche decennio tale quota salirà al 75 %. Chiediamo per questo al sindaco Bianco ed all’assessore Di Salvo, che hanno dimostra- to per questi argomenti una particolare ed encomiabile attenzione, che oltre a consentire le azioni nel nostro magnifico centro storico, promuovano una rivisitazione del “Piano casa” e facciano sì che il nuovo PRG dell’area metropolitana di Catania preveda consistenti premialità in cubatura per gli interventi di riqualificazione anche per le “zone B” che registrano la maggiore concentrazione di edifici che richiedono un adeguamento. Stralcio planimetrico del Centro Storico allegato all’ultima proposta di PRG con l’individuazione delle tipologie edilizie LEGENDA t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 27 SUL DEFLUSSO DELLE ACQUE METEORICHE AL VILLAGGIO S.M. GORETTI: IL FOSSO FONTANAROSSA di Salvatore Ferracane t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 28 Abstract L’urbanizzazione ,molto spesso incontrollata negli ultimi decenni, ha causato una irreversibile modifica dei suoli soprattutto dal punto di vista idraulico. Ciò ha comportato criticità sempre più importanti nei deflussi meteorici che sono causa di notevoli danni al territorio, specie se ci si riferisce a bacini comprendenti aree fortemente urbanizzate, com’è per l’appunto quella di Catania Sud- zona Villaggio S.M.Goretti. I suddetti bacini difatti displuviano le acque meteoriche attraverso manufatti idraulici e canalizzazioni ( definiti molto spesso torrenti) che hanno mantenuto la loro geometria al cospetto di importanti incrementi del livello di impermeabilizzazione dei suoli. Ne consegue un incremento del ruscellamento e delle portate di piena. Occorre pertanto rivedere le sezioni di talune opere di scolo con riferimento alla mutata condizione di bacino e con riferimento non solo a tempi di ritorno bassi ma con l’obiettivo di pervenire ad una difesa idraulica del territorio. Modelli matematici appropriati possono “aiutare” a risolvere il problema con un accettabile margine d’errore. Nel seguito si riportano alcune considerazioni sul fosso Fontanarossa, apparentemente poco importante dal punto di vista idraulico e sconosciuto dai non addetti ma che riveste un ruolo importante per il deflusso delle portate della zona del villaggio Fig. 1 S.M.Goretti. Catania Siracusa, ma soprattutto anche la vita degli abitanti dell’ormai tristemente famoso quartiere S.M.Goretti. Ironia della sorte, il quartiere nasce nel 1951 allorchè l’ESCAL ( Ente siciliano case lavoratori) lo costruì per ospitare gli sfollati dell’alluvione. Già nel 1931 il Programma di fabbricazione prevede una zona di insediamento di edilizia economica popolare nei pressi della “fossa fontanarossa”. Il popoloso sito, assieme al quartiere Villaggio S.Agata e Zia Lisa rappresenta il così detto contenitore residenziale della Municipalità. Il quartiere, dalla sua nascita, è stato martoriato da pesanti problemi di natura idraulica:la carenza di valide opere di drenaggio e le sue caratteristiche morfologiche ( l’abitato è posto ad una quota inferiore rispetto alle zone circostanti) sono cause di pesanti allagamenti ogni qual volta piogge ,anche non straordinarie,si abbattono sul territorio. Come si può evincere dalla fig.1 il villaggio è delimitato a nord Il fosso fontanarossa La zona sud di Catania è affetta ormai da troppo tempo da fenomeni di allagamento importanti che mettono a rischio non solo le infrastrutture , talune importanti quali l’aerostazione o la linea ferroviaria e ad est dal torrente Forcile,ad ovest dalla via fontanarossa, a sud dalla via S.M.Goretti lungo la quale corre il fosso fontanarossa. La zona si presente fortemente urbanizzata; negli ultimi anni l’ampliamento dell’aeroporto e dei parcheggi limitrofi hanno contribuito notevolmente ad incrementare la percentuale di territorio impermeabilizzato. Il sito dunque è difatti un catino che oltre la sua capacità deve sopportare anche le frequenti esondazioni del torrente Forcile e del fosso Fontanarossa stesso. Il fosso , nel contesto, assume importanza fondamentale perché rappresenta lo scarico di una quota parte dell’aeroporto internazionale di Catania e di tutta una serie di parcheggi che, spesse volte situati in posizione depressa rispetto il fondo del fosso, scaricano in maniera puntuale le acque meteoriche accumulate dentro le aree di loro pertinenza ( diverse migliaia di metri quadrati rigorosamente asfaltati e senza nessun accorgimento per limitare l’afflusso) attraverso pompe di sollevamento. Tra gli eventi più disastrosi vanno ricordati quelli degli anni 2003 e 2006. Il 15 Ottobre del 2003 è bastata una violenta ma breve pioggia a lasciare gli abitanti nello sconforto; il quartiere si trasformò in una grande laguna; “strade e cortili allagate, abitanti in fuga verso i piani alti delle case”, così Mario Barresi sulla Sicilia del 17 Ottobre 2003. Tre anni più tardi, il fenomeno si ripetè per ben due volte: il primo il 13- 14 Ottobre del 2006 ed il secondo il 2122 Ottobre. Nei giorni successivi a tale evento il Comune di Catania, con una straordinaria mobilitazione di uomini e mezzi iniziò tempestivamente una intensa azione di manutenzione dei corsi d’acqua ( fosso fontanarossa, torrente Forcile,caditoie e collettori del villaggio). Il successivo evento, dopo questi interventi di manutenzione, avvenne nel 2011 ( gli eventi del 2008 e 20010 furono affrontati con un sufficiente grado di sicurezza). In quest’occassione , l’evento meteorico venne preceduto da una forte grandinata che occluse ancor più il sistema di fossi e canali di scolo del bacino di interesse: una grande portata d’acqua invase non solo l’aeroporto civile e tutte le strutture ad esso adiacente ma , attraverso la via privilegiata costituita dalla strada di accesso all’ex aeroporto militare Filippo Eredia pervenne all’interno del quartiere già dopo la fine dell’evento meteorico. Gli interventi del Comune consistenti nella pulizia degli alvei almeno nelle sezioni più significative si stanno ormai svolgendo con cadenza annuale e prima dell’autunno ; inoltre sono altresì di prossima realizzazione alcune opere strutturali tese comun- que solo a mitigare gli effetti degli allagamenti ma non certo ad eliminarli ;essi consisteranno nella realizzazione di un sollevamento aggiuntivo delle acque al fine di migliorare l’allontanamento e ridurre al minimo i fenomeni di allagamento almeno per piogge non eccezionali e la realizzazione di alcuni tratti di collettori pluviali in zona aeroporto ( ingresso di via Fontanarossa) e sulle circostanti vie Melilli e Brucoli con sbocco sul Forcile a valle della rotonda dell’”aeroplanino”. Le frequenze con cui si sono verificate tali fenomeni non consentono di addebitare le colpe agli eventi di precipitazione: è evidente che sussitono gravi deficienze nel sistema di drenaggio delle acque e che i forti processi di impermeabilizzazione dei suoli,determinati dall’espansione del sedime aeroportuale,hanno pesantemente calcato la mano su una situazione già di per sé grave. Sulle possibili cause degli allagamenti: Da una prima analisi si può affermare che la causa principale degli allagamenti è costituita oltre alle acque che, nel corso della precipitazione, cadono all’interno del villaggio ( oserei dire del catino), dal rigurgito del torrente Forcile e del Fosso Fontanarossa. Una ulteriore causa, anche se con peso modesto rispetto alle precedenti, è costituita dalle acque che ruscellano sulla via Fontanarossa e su via S.M.Goretti, acque che possono raggiungere il villaggio attraverso i varchi d’ingresso esistenti su queste strade. Per ultimo, l’evento del 20011 ha fatto denotare che una ennesima insidia è costituita dal rigurgito di un altro fosso-canale esistente a ridosso della linea ferrata Catania-Siracusa nel tratto che va dalla confluenza del torrente Forcile all’aeroporto civile ( fig 2.) del quale sono frontisti , la SAC ( la strada perimetrale di controllo è adiacente al fosso), gli insediamenti reparto volo della guardia costiera,della guardia di finanza, dei carabinieri e dell’aeronautica militare. Tale fosso,è stato da recente ripulito nel suo tratto terminale prima della confluenza con il torrente Forcile ad opera della Rete Ferroviaria Italiana; la restante parte risulta ancora occlusa. L’aumento del lasso di tempo con cui si sono verificati gli eventi più pesanti , da due anni a cinque dimostra l’importanza degli interventi di manutenzione sui fossi e torrenti che interessano il quartiere, sebbene certamente da soli non possono considerarsi t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 29 risolutivi dell’intero problema. Altra causa è da ricercarsi nel malfunzionamento della rete di drenaggio del villaggio, costituita da una serie di collettori interni che pervengono ad un “emissario” che adduce le acque ad un sollevamento sito nella zona adiacente al sottopasso della via S.G.La Rena, e da una condotta del diametro 500 mm che, correndo lungo la via S.M.Goretti in direzione ovest – est raccoglie le acque di scolo della stessa Fig. 2 via per addurle nel fosso fontanarossa; tuttavia ciò non accade con successo in quanto durante le precipitazioni il livello idrico sul fosso s’innalza lasciando sotto battente gli scarichi della rete di drenaggio che non può, dunque funzionare a dovere. E’ facile dimostrare che dal confronto fra le portate di piena per i vari tempi di ritorno con le portate massime convogliabili si denotano delle sezioni critiche su cui porre l’attenzione di interventi non rinviabili. Calcolo delle portate di piena Il calcolo delle portate di piena del fosso non può prescindere dalla determinazione delle aree scolanti (fig.2) è delimitata a sud dallo stradale Primosole e dalla SP 69/I°, ad est dal mare, a nord dal Villaggio S.M.Goretti e ad ovest dalla linea ferrata Ct-SR. L’estensione dell’area è di circa 1,7 Kmq, ovviamente pianeggiante con andamento ovest-est e altitudine massima di 14 m s.l.m. Le infrastrutture che interessano un’area di circa 0,4 Kmq sono adibite all’attività di volo ( pista,piazzole di sosta,bretelle di rullaggio,strade di servizio perimetrali ed interne, parcheggi esterni ) I rimanenti suoli sono incolti con vegetazione spontanea,tranne quelli a ovest che presentano un discreto grado di impermeabilizzaione ( aree di pertinenza militare). A t e c n i c a e Fig.3 :Aree scolanti dell’aeroporto r i c o s t r u z i o n e e delle relative caratteristiche riguardanti anche la caratterizzazione morfo-litologica della zona di pertinenza dell’aeroporto civile. L’aeroporto ricade nella zona sud di Catania ( quartiere S.Giuseppe alla Rena) e la sua area di pertinenza 30 nord il grado di impermeabilizzazione è ancora più elevato, visto il proliferare di parcheggi sorti di pari passo all’ampliamento dell’aerostazione. Dal punto di vista litologico i terreni sono di tipo alluvionale fluviale , mentre più pesanti ( argille e limi) risultano i terreni della parte ovest ( insediamenti della G.d.f, Maristaeli, Guardia costiera,Carabinieri reparto volo, Aeronautica militare); nella parte est invece si riscontrano terreni prevalentemente sciolti( sabbie a media granulometria). Le acque provenienti dalla zona nord ed ovest dell’area del sedime aeroportuale scaricano nel fosso fontanarossa che si sviluppa (fig.3) all’interno dei parcheggi prospicienti l’aeroporto, le altre zone attraverso una serie di collettori fognari scaricano sulla battigia ( prossimità attuale lido Gled). Il fosso raggiunge la via S.G. la Rena dopo un percorso di circa 1 Km in corrispondenza della quale, dopo un attraversamento in tombinatura confluisce nel torrente Forcile proveniente dal bacino omonimo. La sezione del fosso è trapezoidale, non rivestita e interessata da una folta vegetazione (canne) che il Comune di Catania provvede periodicamente ad eliminare insieme ad una quantità non indifferente di rifiuti d’ogni genere. Le sezioni di interesse considerate sono, con riferimento alla fig.4, la sez. 17, relativa alla linea di scarico secondaria dell’aeroporto in un canale in terra che perviene al fosso , la sezione T in corrispondenza del tombino che permette di attraversare la strada di Sovrappassi nel tratto parallelo a via S.M.Goretti Sezione T prima dell’intervento del Comune Sezione T dopo l’intervento Scarico dell’aeroporto nel canale che adduce al fosso (Sezione di verifica 17) t e c n i c a e Interno del tratto tombinato prima della confluenza nel Forcile r i c o s t r u z i o n e il canale prima della manutenzione del 2012 31 5 Fig. 4 accesso all’aerostazione da via S.M.Goretti ( ricadente in aerea aeroportuale); di particolare interesse sono poi da considerare una serie di sezioni (indicate con A in fig.4) che rappresentano sovrappassi sul corso del fosso nel tratto parallelo a via S.M.Goretti costituiti da tubi circolari del diametro fi 1500- fi 800 ( anche affiancati). Il Comune di Catania , al fine di evitare esondazioni del fosso Fontanarossa,ha previsto opere che rientrano in un progetto denominato piano di “interventi atti a fronteggiare l’emergenza allagamenti nel Villaggio S.M.Goretti”. Alcuni di essi sono stati già realizzati: il primo ha riguardato la sezione T ove il tombino in precedenza costituito da due tubi affiancati da 800 mm è stato ricostruito con una sezione rettangolare (B= 4m; H= 1,30). Altro intervento ha riguardato la confluenza del Fosso Fontanarossa con il Forcile; in questa sezione è stata rimossa una vecchia paratoia , ormai non in uso da molti decenni, ed allargata la sezione di sbocco. Altri interventi, ancora non definiti, riguardano la sistemazione dei sovrappassi ( sezioni A). Uno dei più recenti calcoli delle portate di piena è stato eseguito dall’ing.L.Magnante e riportato in una tesi di laurea ( relatori Chiar.mi proff. Carlo Modica e Alberto Campisano – ) “ Sulle possibili cause degli allagamenti del Villaggio S.M.Goretti: Indagine sul Fosso Fontanarossa”dell’ing. Luigi Magnante. Il calcolo condotto con i due metodi ( corrivazione e t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Legenda giudizi: A: sezione sufficiente per tempi di ritorno di 20 anni - B: sezione sufficiente per tempi di ritorno di 10 anni - C:sezione sufficiente per tempi di ritorno di 5 anni - D: sezione sufficiente per tempi di ritorno di 2 anni - E: sezione sufficiente per tempi di ritorno inferiori a 2 anni 32 6 invaso lineare) non ha fornito sostanziali difformità per tempi di ritorno di 2,5,10 e 20 anni. Per le piogge critiche sono stati presi in considerazione i dati di precipitazione registrati dalla stazione del Genio Civile di Catania,sita nei pressi della zona di interesse a quota 3 s.m.m., stazione che appartiene alla rete UIR della Regione Siciliana. Si sono calcolate pi, per le sezioni di interesse, le portate massime con la formula di GaucKler – StricKler adottando un coefficiente di scabrezza pari a 70 per i canali in cls e a 35 per i corsi d’acqua. Tuttavia nel caso delle verifiche riguardanti le sezioni T (prima e dopo l’intervento del Comune di Catania) ed A è stato necessario procedere al calcolo delle perdite di carico localizzate e continue determinate da brusche variazioni geometriche della sezione del fosso. La tabella seguente mostra i risultati ottenuti e fornisce , per le sezioni di interesse, un giudizio ( da A a D) sulla sufficienza delle sezioni esaminate in funzione dei tempi di ritorno Dai risultati delle verifiche è risultato evidente che alcune delle sezioni esaminate non sono sufficienti a convogliare le portate di piena. Tuttavia sono sezioni in cui il Comune di Catania ha già previsto degli adeguamenti atti ad eliminare tali insufficienze. Un chiaro esempio dell’importanza di tali adeguamenti è rappresentata dalla sezione del tombino che permette al fosso di attraversare la strada di accesso aeroportuale. Si è passati da una sezione assolutamente insufficiente ad una abbastanza adeguata al caso in questione. Di contro la presenza di ulteriori strozzature a valle renderebbe vano tale adeguamento, in quanto si avrebbero rigurgiti a monte. Lo studio dell’evento meteorico ha avuto l’importante scopo di confermare che in realtà l’accumulo di volumi d’acqua così elevati ( si sono registrate altezze di ben 50 cm ) non è dipeso esclusivamente dalla precipitazione diretta sulla zona in questione. Si può concludere quindi che in assenza della minima manutenzione o meglio ancora di opere strutturali importanti la possibilità di esondazione del fosso non è remota. tro il mantenimento in perfetta pulizia degli argini e l’approntamento di interventi localizzati lungo l’alveo che permettano il regolare deflusso; l’altro, di ben altro spessore, ma che deve essere perseguito anche a costo di importanti interventi urbanistici ,consiste nell’adeguamento delle sezioni idrauliche per permettere il regolare deflusso anche con tempi di ritorno maggiori , nella costruzione di vasche di laminazione,nell’ipotesi di deviazione del corso d’acqua ( sistema Forcile- Fontanarossa) . Il problema assume connotazioni importanti che, a mio avviso comunque non possono essere risolti con la “semplicistica” ipotesi di delocalizzazione del villaggio per tutta una serie di problematiche di ovvia intuizione ma che esulano dall’aspetto tecnico che si vuole affrontare in questa sede e che si lascia ad un auspicato ampio dibattito del civico consesso. Ci si auspica che le prossime scelte urbanistiche tengano conto di un corretto assetto idraulico del territorio divenuto ormai imprescindibile anche attraverso l’introduzione di norme nei piani d’attuazione che abbiano lo scopo di ridurre il rilascio di afflussi in fognatura o nei canali con pratiche peraltro già collaudate in altre regioni italiane. Tanto è attuale il problema nella nostra città che, per assetto idraulico, assimila i corsi d’acqua che l’attraversano quali emissari delle fogne pluviali interne prima dello sbocco a mare. Bibliografia: Luigi Magnante: “ Sulle possibili cause degli allagamenti del Villaggio S.M.Goretti: Indagine sul Fosso Fontanarossa Archivio Fognature del Comune di Catania t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Conclusioni Alla luce di quanto dedotto si ritiene che devono ricercarsi soluzioni che ritengo abbiano due ordini temporali: uno, di immediata applicazione è senz’al33 SOCIAL HOUSING di Marco Bonelli Salvatore Bonaccorsi Antonio Iannizzotto La questione abitativa, vista l’alta percentuale delle famiglie italiane proprietarie di case è stata a lungo relegata ai margini delle agende politiche nazionale e locali. La crisi economica degli ultimi anni ha interessato anche il settore immobiliare, settore in cui nel decennio precedente, i prezzi delle case erano notevolmente aumentati, anche grazie all’espansione del credito nel settore immobiliare e a politiche di incentivo alla proprietà della casa. La somma di questi due fattori appena elencati, ha comportato un aumento delle difficoltà di accesso all’abitare, soprattutto per le famiglie non proprietarie di abitazioni. È cresciuta così la domanda di quelle famiglie che hanno un reddito troppo alto per l’edilizia residenziale pubblica ma troppo basso per accedere al mercato degli affitti e della proprietà. Giovanni Caudo, uno dei curatori della mostra L’Italia cerca casa, presentata alla Biennale di Venezia del 2008, in una intervista rilasciata al quotidiano Il Manifesto sostiene che “ le radici dell’emergenza abitativa contemporanea sono diverse dalla storica vertenza casa. Per soddisfare il fabbisogno abitativo degli anni ’70 bastava costruire case. Oggi se ne costruiscono in abbondanza, ma solo in libero mercato. La chiave del problema è quella di affitti a prezzi sociali”. Questo fenomeno ha fatto sì, che il tema del social housing, inteso in senso lato come l’insieme delle attività atte a fornire alloggi adeguati, attraverso regole certe di assegnazione, a famiglie che hanno difficoltà nel trovare un alloggio alle condizioni di mercato perché incapaci di ottenere credito o perché colpite da problematiche particolari, acquisisse rilevanza a livello europeo. Sembrava, ai più, che il problema abitativo, almeno dal punto di vista numerico e riferito alla stragrande maggioranza della popolazione che si è sempre rivolta al libero mercato, fosse risolto, ma non si erano fatti i conti con tutta una serie di questioni e problemi legati, da una parte alle trasformazioni demografiche e sociali in atto, dall’altra al progressi- t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 34 vo aumento dei costi degli affitti per tutte quelle famiglie che, pur non essendosi ancora indebitate per acquistare casa, hanno sempre trovato posto all’interno del mercato dell’affitto libero. Ma quando non esistono alternative al libero mercato, anche perché non sono mai state intraprese politiche pubbliche rivolte alla dotazione di un patrimonio immobiliare per l’affitto e dunque calmierante dei prezzi delle locazioni,aumentano i canoni, mediamente cresciuti del 49% nell’ultimo decennio (1) , andando, per molte famiglie, ad incidere per oltre 1/3 del loro reddito. L’EDILIZIA POPOLARE E I SUOI LIMITI In rapporto ad altri paesi europei, l’Italia registra una percentuale estremamente bassa di edilizia popolare: con una percentuale pari al 4% è , infatti, quello con la minore quota di alloggi di edilizia sociale pubblica, a fronte del 36% dell’Olanda, del 22% dell’UK e del 20% della media comunitaria. L’offerta abitativa pubblica in Italia, dagli anni ’80, si è ridotta del 90%. Dal 1984 al 2004 la produzione edilizia di nuovi alloggi di residenza sovvenzionata è calata da 34.000 abitazioni all’anno a 1900 (contro oltre 80mila in Francia e 30mila in Gran Bretagna). Andamento analogo si è registrato per le abitazioni realizzate in regime di residenza agevolata o convenzionata, passate da 56mila a 11mila nel ventennio considerato. È del tutto evidente come la questione abitativa oggi, come quarant’anni fa, torna ad essere una delle voci principali del disagio socio-economico delle famiglie italiane. Il tema della casa pubblica in Italia, torna ad essere particolarmente dibattuto in quanto, pur continuando a rappresentare per molte categorie di persone una tra le emergenze sociali prioritarie, vede introdurre, nelle ultime disposizioni legislative, trasformazioni radicali nei principi e nelle finalità che hanno da sempre dominato questo settore della politica italiana. A fronte di tali dati è evidente la necessità di dotarsi di un sistema di edilizia sociale che nasca da un partenariato pubblico – privato, che consenta di calmierare i prezzi di acquisto e di locazione. LA CITTÀ E LA QUESTIONE ABITATIVA La questione abitativa assume contorni più gravi in alcune aree metropolitane (quali la città di Catania). Il costo medio mensile per accedere all’affitto di una casa è aumentato del 46,4% nell’ultimo decennio. La questione abitativa segna il volto delle città. A causa della insostenibilità dei costi delle abitazioni, si registra un sensibile movimento centrifugo della popolazione verso i comuni localizzati nelle corone delle grandi aree urbane. Spostamenti che rientrano all’interno dei fenomeni della “fuga dalla città” e della periurbanizzazione, innescati, tra l’altro, proprio dalle condizioni del mercato abitativo. Spostamenti che producono nuovi problemi nella vita urbana, con un forte aumento di city users ed un carico sempre più forte che grava sulle infrastrutture della mobilità, così come sulle infrastrutture sociali dei Comuni di cintura. Tutto questo a fronte di un patrimonio urbano abitativo “sommerso” inutilizzato o utilizzato tramite affitti in nero, e di una disponibilità potenziale di nuovi alloggi derivante dalla trasformazione e dal risanamento di immobili già esistenti, altrimenti destinati a divenire luoghi di degrado urbano. Risulta evidente come la possibilità di accedere o meno ad affitti a costi accessibili rappresenti per la città un fattore di fondamentale importanza per il suo dinamismo e la sua competitività. COS’È IL SOCIAL HOUSING Non è facile dare una definizione di social housing, dal momento che questo termine viene utilizzato in modo molto diverso nei pesi europei. Nel conteso immobiliare italiano, con il termine social housing, si fa riferimento ad un nuovo settore, che comprende l’attività di sviluppo e gestione immobiliare, avente ad oggetto l’insieme di alloggi e servizi rivolti a coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo. La finalità è quella di migliorare e rafforzare la condizione di queste persone, fornendo soluzioni al disagio abitativo tramite interventi immobiliari, coordinati con l’utilizzo di specifici azioni e strumenti. L’housing sociale si pone inoltre come obbiettivo la creazione di un contesto abitativo e sociale dignitoso, all’interno del quale sia possibile, non solo accedere ad un alloggio ed a servizi adeguati, ma anche a relazioni umane ricche e significative. In tale contesto, il tema del fabbisogno abitativo presuppone un approccio integrato che consideri gli aspetti immobiliari del bene “casa” e gli aspetti sociali dei “servizi” legati all’abitare. Tale approccio prevede la realizzazione di progetti immobiliari affiancati da programmi di accompagnamento e di facilitazione alla convivenza, al fine di raggiungere due obbiettivi strettamente legati: rispondere al bisogno abitativo e rafforzare le comunità locali. L’housing sociale realizza alloggi e servizi per coloro che non riescono a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul mercato, con l’obbiettivo di creare una offerta abitativa sostenibile, assegnando un titolo di preferenza alla locazione a medio-lungo termine. I temi (sociali e abitativi) ai quali risponde l’edilizia abitativa sociale, sono generalmente più rilevanti nelle grandi aree metropolitane e nei Comuni ad alta tensione abitativa, dove, in genere, si registra anche un più marcato bisogno di locazione a canoni calmierati. BREVE STORIA DEL SOCIAL HOUSING Il problema dell’intervento pubblico nel settore della casa inizia a porsi nei Paesi europei dalla metà del XIX secolo, con l’evoluzione economica spinta da industrializzazione e urbanesimo. Nei primi tempi il social housing non si afferma come una responsabilità della Stato, ma piuttosto come una iniziativa privata, per provvedere alle precarie condizioni abitative della popolazione e soprattutto dei lavoratori. Una nuova fase dello sviluppo del social housing, che vede i governi nazionali attivamente coinvolti, si apre dopo la Seconda guerra mondiale, quando ingenti risorse vengono destinate alla ricostruzione. Questo sviluppo può essere diviso in tre fasi: - la prima fase dal 1945 al 1960, è definita la fase della “ripresa”, perché finalizzata alla ricostruzione e alla problematica della carenza di alloggi. L’attività principale era costituita dalla costruzione di immobili residenziali, che lo Stato provvedeva a finanziare e sovvenzionare in misura cospicua; più trascurati erano invece gli aspetti gestionali. In questo periodo il social housing, con canoni t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 35 inferiori al livello di mercato, mirava soprattutto alla classe lavoratrice e al ceto medio; - la seconda fase è la fase della “crescente diversità” (1960 – 1975), durante la quale si afferma una maggiore attenzione alla qualità edilizia e al rinnovamento urbano. I governi devono confrontarsi con un calo della domanda di alloggi sociali, determinata dal maggiore benessere economico e da alcune delle conseguenze negative dei programmi di social housing; - la terza fase (1975 – 1990) fa seguito alla recessione economica di fine anni ’70, quando obiettivo dei governi diventa la riduzione dell’inflazione e della spesa pubblica. È questa la fase delle “nuove realtà per la casa”, che vede un progressivo disimpegno economico da parte dello Stato e lo sviluppo di un settore abitativo maggiormente orientato al mercato concorrenziale e aperto alle pressioni economiche. Conseguentemente, si riduce la quota percentuale di alloggi sociali e soprattutto si restringe il campo dei beneficiari. Significantemente diverso è stato il percorso seguito dai Paesi dell’Europa orientale dopo il 1945, quando l’Europa era politicamente ed economicamente divisa. I regimi comunisti di tali Paesi si basavano su una economia collettivizzata, cui erano soggette anche le politiche abitative. Il sistema che si sviluppò si distinse per uno stock abitativo di proprietà pubblica e di scarsa qualità, nonché per inefficienza ed onerosità. Tale sistema ha subito grandi cambiamenti dopo il 1989, quando questi Paesi hanno iniziato la transizione da una politica abitativa pianificata ad una più orientata al mercato. OBIETTIVI E RUOLO DELL’EDILIZIA SOCIALE Lo scopo fondamentale di ogni politica abitativa è quello di garantire a tutta la popolazione un alloggio adeguato per qualità, dimensioni e costi. Ma non solo, perché le politiche abitative si pongono ulteriori obiettivi qualitativi, definiti secondo un ordine di priorità che può variare di Paese in Paese. Ad esempio possono proporsi di combattere l’esclusione sociale, di sostenere il mix sociale, di contribuire all’equilibrio del mercato abitativo, di promuovere il risparmio energetico, o di offrire sufficienti garanzie agli affittuari contro lo sfratto. Il successo di tali politiche dipende dalla combinazione di strumenti diversi. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 36 Il social housing è uno di questi strumenti. La funzione specifica affidata ad esso nei diversi Paesi europei, può essere definita come quella di soddisfare i bisogni abitativi della popolazione in termini di accesso e permanenza in abitazioni adeguate e a prezzi accessibili. Il ruolo del social housing non si limita però a riguardare la carenza quantitativa di alloggi e il problema dell’onerosità. Particolare attenzione deve porre anche alla qualità degli alloggi e dell’ambiente circostante, nell’ottica di evoluzione delle esigenze della popolazione. Per questo una priorità è quella di restaurare e rinnovare in base a standard più attuali lo stock esistente, così come quella di migliorare l’efficienza energetica degli edifici. Alcuni sviluppi recenti hanno interessato particolarmente il social housing, contribuendo ad estendere il campo delle sue responsabilità o a rivalutarne le priorità. In quei Paesi membri dove le politiche di vendita degli alloggi sono state implementate in larga scala, ad esempio, il settore del social housing è diventato sempre più residuale e stigmatizzato. Si è quindi affermata per esso anche la priorità di incrementare il mix sociale e promuovere la coesione sociale. A tali politiche viene inoltre assegnata la responsabilità di contribuire allo sviluppo di “comunità sostenibili” locali, attraverso un approccio integrato con partner locali quali imprese, scuole, polizia, rappresentative locali e fornitori di servizi. L’obiettivo è quello di rendere tali aree luoghi in cui sia piacevole risiedere, che conoscano uno sviluppo economico locale e soddisfino i bisogni emergenti dei nuovi nuclei familiari. CRITERI DI AMMISSIONE E I GRUPPI SOCIALI INTERESSATI I gruppi “target” del social housing variano da Paese a Paese. Sono infatti le normative nazionali (Francia) o regionali (Germania) a stabilire i criteri per l’accesso al social housing in ciascun Paese europeo. Nei Paesi in cui è lo Stato centrale a stabilire i criteri per l’accesso, in genere le amministrazioni locali o i proprietari locatori determinano chi risponde a tali criteri e procedono all’assegnazione degli alloggi. I Paesi scandinavi come Svezia e Danimarca hanno un approccio universalistico, che si rivolge all’intera popolazione(1). In questi Paesi, dove l’assegnazione degli alloggi viene determinata dai proprietari locatori, un sistema di quote riserva una percentuale degli alloggi vacanti agli enti locali per la loro assegnazione a fini sociali. In altri Paesi – in particolare in quelli che presentano un approccio “Generalista” – sono invece definiti dai livelli massimi di reddito in cui devono rientrare i nuclei familiari che intendono accedere al social housing; il limite formale può però rivelarsi abbastanza alto da comprendere buona parte della popolazione, come ad esempio accade in Francia. I SOGGETTI COINVOLTI NELL’OFFERTA Negli ultimi anni si è assistito in Europa, ad un progressivo decentramento delle competenze e responsabilità in campo abitativo dallo Stato centrale alle amministrazioni regionali e locali. Il ruolo di queste ultime è determinato nello specifico dalle situazioni legali e costituzionali esistenti nei diversi Paesi. Lo Stato centrale resta comunque il responsabile della strategia abitativa nazionale, che viene poi implementata dai Länder – Austria e Germania –, dagli enti locali – Francia e Paesi Bassi – e dalle Regioni – Italia –. Il Belgio è l’unico Paese europeo dove il decentramento è pienamente realizzato, vale a dire che vi è una completa autonomia di ciascuna Regione. Il settore privato risulta sempre più coinvolto nel social housing, in particolare nelle attività di costruzione e di finanziamento. In Germania il settore privato si occupa anche dello sviluppo, della proprietà e della gestione, rivestendo un ruolo equivalente a quello che le habititations à loyers modérés hanno in Francia. Le organizzazioni volontarie senza scopo di lucro – che hanno l’obiettivo di migliorare il benessere sociale, piuttosto che quello di massimizzare e distribuire profitti – sono riconosciute come un valido strumento per la fornitura di social housing in sostituzione di quella statale. Il ruolo di questo settore quale costruttore, proprietario e gestore delle strutture di social housing è diffuso soprattutto nell’Europa occidentale, nel Regno Unito e nei Paesi scandinavi. Un vantaggio di queste organizzazioni consiste nel fatto che, spesso, sono costituite da comunità locali, in risposta a specifici bisogni abitativi. Le cooperative hanno un ruolo importante nell’offerta di alloggi – per l’affitto e/o l’acquisto – a prezzi accessibili o per particolari esigenze. Il modello cooperativo può essere interessante, laddove i residenti di una comunità o di una struttura di social housing, desiderano acquisire la proprietà delle proprie abitazioni su una base collettiva. Il contesto storico e politico di ciascun Paese contribuisce alla diffusione di questo modello, che si è particolarmente affermato nei Paesi in transizione dell’Est europeo quali la Polonia e la Repubblica Ceca. Infine il ruolo dei nuclei familiari è principalmente quello di affittuari o proprietari di social housing. Gli affittuari sono essenzialmente consumatori di social housing, mentre attraverso le cooperative, alcuni nuclei rivestono un ruolo anche nella proprietà e nella gestione. Altri nuclei sono invece diventati proprietari con il processo di privatizzazione dello stock pubblico di social housing. Nei Paesi dell’Est europeo, tale privatizzazione, ha però comportato il trasferimento delle responsabilità di finanziamento e gestione a famiglie che spesso non possiedono le risorse necessarie per la manutenzione della propria abitazione e per contribuire a quella degli edifici condominiali. Nel Regno Unito, invece, le famiglie che in base al principio del right-to-buy sono diventate proprietarie del proprio alloggio in palazzi condominiali, condividono con il proprietario locatore dei rimanenti alloggi, la responsabilità del finanziamento dei lavori di manutenzione comuni, mentre responsabili della gestione restano generalmente la local authority o l’housing association. Nel Regno Unito è diffusa anche la proprietà condivisa del social housing, che comporta la divisione delle attività di proprietà e di gestione. Secondo questo schema, le famiglie acquistano una quota del valore dell’abitazione da una housing association – Inghilterra – o da una local authority – Irlanda –, e in seguito pagano un affitto scontato su quella porzione del valore dell’abitazione trattenuto dall’housing association o local authority. t e c n i c a LE PRINCIPALI DINAMICHE DEMOGRAFICHE, SOCIALI E DI MERCATO E I LORO EFFETTI SUL SOCIAL HOUSING Il settore del social housing si trova a doversi confrontare con i processi di cambiamento che stanno interessando il mercato e la società. La speranza di vita si è allungata, il tasso di fertilità è diminuito, e di conseguenza la popolazione europea sta invecchiando – secondo stime Eurostat la percentuale di ultraottantenni è destinata a triplicare nel e r i c o s t r u z i o n e 37 5 2050 –. Una popolazione più anziana ha bisogno di maggiore assistenza sociale, e di abitazioni adeguate per standard di sicurezza e assenza di barriere architettoniche. Questo aspetto è particolarmente importante soprattutto alla luce del fatto che una grande percentuale degli anziani vive sola – Eurostat stima che nel 2010 vivrà solo circa un terzo degli ultrasessantacinquenni-. La dinamica che vede la riduzione della dimensione dei nuclei familiari non riguarda però solo gli anziani, ma la società nel suo complesso: aumenta la percentuale di nuclei composti da una sola persona, e parallelamente aumenta il numero di nuclei familiari che domandano un alloggio. Ciò indipendentemente dal fatto che la popolazione aumenti o diminuisca. All’aumento della popolazione – o a controbilanciarne la diminuzione – contribuisce l’alto livello di immigrazione verso i Paesi europei, in particolare dell’Europa meridionale e occidentale. La disponibilità di un alloggio adeguato diventa per loro condizione essenziale per evitare un destino di esclusione sociale nel Paese straniero. Gli immigrati e le minoranze etniche esprimono quindi a loro volta nuove domande abitative, che finiscono con l’esercitare pressioni sul settore abitativo sociale. Sulla base di queste dinamiche demografiche e sociali, cambia dunque il profilo degli utenti di social housing: ci si allontana dal modello tradizionale di famiglia, mentre aumentano le cosiddette famiglie allargate o i nuclei di un solo componente e di genitori soli, e si registra una forte presenza di immigrati. Sempre più spesso le giovani famiglie e gli anziani rientrano nei gruppi target del social housing. Il social housing deve quindi rispondere a queste nuove domande e bisogni. Gli anziani o i disabili necessitano di alloggi adeguati alle loro condizioni, nonché di servizi tali da poter restare indipendenti nelle proprie abitazioni. Per quanto riguarda gli immigrati, al bisogno abitativo si affianca il problema dell’integrazione: così molti Paesi hanno cominciato a implementare politiche per il mix sociale anche nel settore del social housing. Se da un lato la domanda è cambiata, dall’altro si tratta di una domanda che è fortemente sbilanciata rispetto all’offerta. Sono molti i Paesi – tra cui l’Italia – nei quali la domanda eccede di gran lunga l’offerta. Alcuni dei fattori esplicativi di un tale eccesso di t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 38 6 domanda sono quelli di natura demografica e sociale,ai quali si aggiunge un livello di nuove costruzioni che è insufficiente a soddisfare la crescente domanda di alloggi a prezzi accessibili. All’interno di ciascun Paese questo disequilibrio tende a corrispondere con la divergenza tra offerta abitativa e lavorativa a livello regionale. Anche i Paesi che mostrano un certo equilibrio tra domanda e offerta abitativa a livello nazionale – come la Finlandia – si trovano a fronteggiare un’offerta insufficiente nelle aree – soprattutto le grandi città – a maggior sviluppo economico. E’ infatti in tali aree che si concentra la popolazione, attirata dalle maggiori opportunità di lavoro, dai servizi e dalle università. Ciò determina un aumento dei prezzi abitativi oltre le possibilità dei nuclei familiari a basso reddito, diventando un’ulteriore barriera alla loro integrazione nel mercato del lavoro, dal momento che la mancanza di una casa, rende difficile la loro presenza nelle aree dove il lavoro è disponibile. Anche un settore dell’affitto non sufficientemente sviluppato contribuisce ad aggravare la situazione in alcuni Paesi, ostacolando la mobilità della forza lavoro. Nei Paesi dell’Unione Europea tendono quindi a coesistere due mercati: da un lato le regioni sviluppate economicamente e con un eccesso di domanda abitativa, dall’altro le regioni dove invece l’economia ristagna e il mercato abitativo è depresso, con alte percentuali di alloggi vacanti e un processo di deterioramento della loro qualità. L’ALLOGGIO SOCIALE NELLA NORMATIVA La legge finanziaria del 2008 (legge 244/2007) definisce l’edilizia residenziale sociale. Per incrementare il patrimonio immobiliare destinato alla locazione a canone sociale, si introduce una nuova tipologia di immobili definita “ residenza di interessa generale destinata alla locazione”, comprensiva di edifici non di lusso, localizzati in Comuni ad alta tensione abitativa e vincolati alla locazione a canone sostenibile per almeno 25 anni. Si introduce così il principio secondo il quale fabbricati destinati alla locazione di lunga durata, anche se di proprietà privata, rappresentano un servizio economico di interesse generale e come tali rientrano nella definizione di alloggio sociale. Con il decreto interministeriale del 28 marzo 2008 si sono definite le caratteristiche dell’alloggio sociale. Per alloggio sociale si intende “l’unità immobiliare ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato”. L’alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale, costituito dall’insieme dei servizi abitativi, finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie. Rientrano in tale definizione, gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche, destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà. Si specifica inoltre che, il servizio di edilizia residenziale sociale, viene erogato da operatori pubblici e privati prioritariamente tramite l’offerta di alloggi in locazione alla quale va destinata la prevalenza delle risorse disponibili, nonché il sostegno all’accesso alla proprietà della casa, perseguendo l’integrazione di diverse fasce sociali e concorrendo al miglioramento delle condizioni di vita dei destinatari. ALLOGGIO SOCIALE In Italia la definizione di Alloggio Sociale è stata introdotta dal Dm 22 aprile 2008 e si è resa necessaria ai fini dell’esenzione dall’obbligo di notifica degli aiuti di Stato a soggetti pubblici e privati attivi nella gestione di servizi abitativi qualificabili come servizi di interesse economico generale. Sono Alloggi Sociali, le unità immobiliari adibite ad uso residenziale in locazione permanente finalizzate, per l’interesse generale e la salvaguardia della coesione sociale, a ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, i quali non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. L’Alloggio Sociale si configura come “elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall’insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie”. Con “Alloggio Sociale” non si intende quindi, esclusivamente la singola unità abitativa, ma l’insieme dei servizi connessi all’abitare; i soggetti destinatari di tali unità abitative sono individuati tra i “soggetti svantaggiati”, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. Rientrano nella definizione, anche gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi rotativi, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà (articolo 1, comma 3, del Dm 22 aprile 2008). REQUISITI PRESTAZIONALI DEI PROGETTI Il rispetto dei tempi e dei costi di realizzazione di un’iniziativa di edilizia privata sociale - e più in generale di una qualsiasi operazione di sviluppo immobiliare - è una delle responsabilità fondamentali della Sgr del fondo locale. Per questo motivo, Cdpi Sgr, nella sua qualità d’investitore indiretto, ritiene opportuno che le Sgr che gestiscono i fondi target o le società veicolo locali, adottino sistemi dedicati di project management, allo scopo di assicurare il conseguimento di due obiettivi fondamentali: la massimizzazione dei contenuti funzionali e tecnologici del prodotto edilizio da realizzare, in rapporto alle risorse rese disponibili per lo specifico progetto e la garanzia di mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa, per tutta la sua durata. A questo riguardo, Cdpi Sgr sta lavorando alla messa a punto di una procedura per disciplinare i presidi e le regole, che la Sgr del fondo target o la società veicolo deve adottare, nella fase di costruzione, per verificare la competenza e la solidità dei fornitori di servizi e degli appaltatori, con particolare riferimento agli aspetti reputazionali e di onorabilità degli stessi, per selezionare, con procedure trasparenti e competitive gli stessi. Il Regolamento di gestione del Fia reca alcuni obblighi di rendicontazione periodica al quotista Mit. In attuazione di tali obblighi e allo scopo di monitorare l’avanzamento delle iniziative, oggetto di investimento del Fia, Cdpi Sgr chiede alle Sgr locali o ai veicoli target, di produrre periodicamente un sistema di reporting sintetico che prevede: - una relazione, per ogni commessa, sullo stato di avanzamento dell’iter urbanistico e progettuale, sugli affidamenti degli incarichi, sulle procedure di t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 39 appalto, sulle indagini ambientali effettuate, sulla sicurezza del cantiere; - la documentazione fotografica di cantiere; - il confronto actual/forecast del business plan del fondo; - la motivazione degli scostamenti e il recovery plan; - i principali eventi previsti nel periodo successivo a quello di riferimento; - una relazione in materia di sicurezza nei cantieri in corso; - l’elenco delle garanzie ottenute dalla Sgr ed il relativo importo. ESPERIENZE DI SOCIAL HOUSING IN ITALIA Lo sviluppo del social housing in Italia ci consegna un quadro frammentario e disarticolato, di limitato impatto – almeno per il momento – rispetto ai numeri del disagio abitativo, squilibrato in quanto a distribuzione sul territorio nazionale, in molti casi contraddistinto da tempi di realizzazione lunghi e da difficili iter burocratici. Eppure si tratta di un quadro di grande interesse, soprattutto per le potenzialità che permette di cogliere. Comune di Crema – Housing Sociale CONTESTO: Le problematiche abitative sono in costante aumento e si rileva un numero sempre crescente di sfratti per morosità. Negli ultimi anni sono state realizzate due progettualità per rendere disponibili alloggi a canone moderato, con esito relativamente positivo. DESTINATARI: Nuclei familiari con una situazione reddituale che consenta l’accesso ad alloggi a canone moderato, con la possibilità di attivare procedure a riscatto dell’alloggio stesso in 15-20 anni. OBIETTIVI: - aumentare le possibilità di risposta alla problematica abitativa, introducendo nello scenario locale un numero significativo di nuovi alloggi (circa 90); realizzare un intervento di edilizia a canone moderato in modo integrato con una realtà di quartiere cittadino in pieno sviluppo. SOGGETTO PROMOTORE: Il principale soggetto promotore dell’iniziativa è la Fondazione Housing Sociale che con il Comune di Crema ha ideato e sostenuto tutta la fase di progettazione dell’intervento. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 40 IL PROGETTO: Il complesso è costituito da tre distinti blocchi edilizi, due residenziali a nord e a sud, alti 4 piani fuori terra, e uno centrale alto un solo piano che ospita una scuola materna. I tre blocchi edilizi sono articolati sull’asse nord-sud in modo da offrire alla residenza, compatibilmente alla forma del lotto, il miglior orientamento possibile in termini di irraggiamento solare, di vista e di riscontro d’aria. I due blocchi residenziali sono caratterizzati in copertura da una imponente pensilina metallica integrata con un sistema di pannelli fotovoltaici che avranno anche la funzione di frangisole per i terrazzi posti agli ultimi piani. Comune di Parma – Parma Social House CONTESTO: Il progetto riguarda le zone di Via Chiavari, Sant’Eurosia, Via La Spezia, Rossi e Catelli, Panocchia, Budellungo e Crocetta. DESTINATARI: I destinatari sono le famiglie di fascia reddituale intermedia che, non potendo accedere al libero mercato, intendono acquistare o affittare la prima casa a prezzi e canoni sostenibili e calmierati. OBIETTIVI: il progetto è interpretato come sistema di interventi tesi all’offerta di alloggi, servizi, azioni e strumenti, rivolti a coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo, per ragioni economiche o per l’assenza di un’offerta adeguata. SOGGETTO PROMOTORE: Comune di Parma IL PROGETTO: Il progetto vuole promuovere interventi edilizi in grado di generare un processo di riqualificazione urbana e architettonica del contesto, coerente con le indicazioni strategiche di sviluppo urbanistico della città, attraverso la creazione di comunità integrate, partecipative e inclusive, dotate di adeguati livelli di servizi. Si vogliono raggiungere adeguati livelli di risparmio energetico e di risorse, attraverso l’adozione di soluzioni architettoniche, in grado di assicurare un contenimento dei consumi e indirizzare gli abitanti verso stili di vita più attenti alla sostenibilità e all’equilibrio ambientale. Comune di Milano – Cenni di Cambiamento CONTESTO: L’intervento di cenni di cambiamento, collocato a Ovest della città di Milano, si sviluppa su un’area complessiva di 17.000 metri quadrati, secondo il progetto dell’architetto Fabrizio Rossi Prodi, vincitore del concorso internazionale di progettazio- ne indetto da Polaris e promossa da FHS nel 2009. DESTINATARI: Il progetto si rivolge a coloro che non riescono a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul libero mercato, promuovendo una nuova cultura dell’abitare. Rivolto principalmente a un’utenza giovane: nuovi nuclei familiari e ragazzi in uscita dal nucleo familiare d’origine. OBIETTIVI: Il progetto offre un appartamento a prezzo contenuto, inserito in un contesto sociale sostenibile, è un intervento innovativo da molti punti di vista essendo per dimensioni, il più grande progetto residenziale realizzato in Europa, con un sistema di strutture portanti in legno in pannelli a strati incrociati. Ma oltre al progetto architettonico c’è il progetto di una comunità. Cenni di cambiamento vuole essere anche l’occasione per condividere tutte le informazioni sulla tecnologia, sui metodi costruttivi, sulle caratteristiche dei materiali. SOGGETTO PROMOTORE: Polaris Investimenti Italia assieme ad FHS (fondazione housing sociale). IL PROGETTO: L’intervento è costituito da 124 alloggi proposti sia in patto di futura vendita che in affitto a canone calmierato. Gli edifici sono progettati in classe energetica A, sfruttando sistemi costruttivi tali da permettere di coniugare elevati standard abitativi, tecnologici ed energetici a costi contenuti di realizzazione e gestione. E’ prevista la creazione di un contesto sociale animato e innovativo, grazie ad una serie di attività integrative all’abitare, che saranno attivate nell’area dell’intervento, portando ad una semplificazione e ad un aumento della qualità della vita di chi vi abiterà, mediante l’accesso a servizi condivisi. Sono infatti previsti ampi spazi ad uso collettivo, spazi ricreativi, culturali e servizi dedicati ai giovani. Uno spazio pubblico centrale diverrà poi luogo di relazione fra il nuovo insediamento e la comunità esistente. Si vuole infatti attivare un sistema di servizi in grado di coinvolgere e includere il quartiere circostante, rispondendo ad un esigenza percepita su scala cittadina. I pannelli portanti a strati incrociati di tavole di legno, rappresentano una delle tecnologie più all’avanguardia nel settore edilizio, ma non costituiscono un sistema per il quale non ci sia esperienza consolidata: è a partire dagli anni ‘90 che la tecnologia XLAM ha consentito di realizzare edifici di grandi dimensioni e a più piani. Il legno c’è ma non si vede: svolge una funzione portante al pari delle murature o dei setti in cemento armato e dei solai con tecnologia mista. Quel che vediamo sono le finiture interne ed esterne del tutto simili a quelle di qualsiasi altro edificio. Comune di Ravenna – Darsena di Ravenna, Lotto4 CONTESTO: Il nuovo edificio residenziale è parte di un grande progetto di rinnovo urbano nei pressi della Stazione ferroviaria di Ravenna, sui due lati di un canale artificiale, che serve oggi da porto per le industrie della zona. DESTINATARI: Edificio di edilizia residenziale convenzionata rivolto a giovani coppie, lavoratori precari e tutta quella fascia di popolazione con redditi non in grado di confrontarsi con il mercato immobiliare e privato OBIETTIVI: con questo intervento, si intende dare parziale risposta alle nuove forme di disagio abitativo, generate principalmente dall’incremento dei valori immobiliari SOGGETTO PROMOTORE: Comune di Ravenna IL PROGETTO: Il nuovo edificio residenziale è parte di un grande progetto di rinnovo urbano nei pressi della Stazione ferroviaria di Ravenna, che sorge sui due lati di un canale artificiale che serve oggi da porto per le industrie della zona. Il ridisegno urbanistico dell’area, da parte di Boeri Studio, corregge un piano urbano precedente, prevedendo un nuovo parco parallelo al bordo dell’acqua e una serie di alti volumi lungo il fronte del canale, che oggi appartiene al recinto del porto ma nel tempo dovrebbe diventare aperto al pubblico. Nell’incertezza di questo futuro alla “Sliding Doors”, è stato disegnato un complesso residenziale di edilizia a basso costo ed ad alta efficienza energetica a doppia faccia, che da una parte guarda al tessuto urbano esistente verso via Trieste, dall’altra si prepara ad aprirsi verso il fronte d’acqua e alla sua possibile trasformazione futura in una passeggiata. La differente altezza tra i blocchi è determinata in rapporto alle viste lunghe sulla città e all’orientamento solare dell’intero complesso. Mentre le facciate a nord sono trattate con una logica formale, che conferma la loro essenza volumetrica interrotta dalle finestre, le facciate a sud sono segnate dalle lunghe linee orizzontali dei balconi a mensola. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 41 IL SOCIAL HOUSING IN SICILIA In virtù dell’art. 1 comma 1 della legge regionale n.1 del 3 gennaio 2012 si applica in Sicilia la disciplina prevista dall’art. 11 del decreto legge n. 112 del 25 Giugno 2008, convertito con modificazioni dalla legge n.133 del 6 Agosto 2008, che introduce i contenuti fondamentali di un nuovo piano nazionale di edilizia abitativa. La legge regionale, nel prevedere la riqualificazione urbanistica con interventi di edilizia sociale convenzionata, delega ad un apposito regolamento adottato con decreto del Presidente della Regione Siciliana su proposta dell’Assessore Regionale per l’Economia, l’Assessore Regionale per le Infrastrutture e la mobilità e l’Assessore Regionale per il Territorio, la disciplina delle modalità attuative per la realizzazione degli interventi di cui alla legge n.1/2012. Il predetto regolamento, già apprezzato dalla precedente Giunta, è stato trasmesso per il parere di rito all’Ufficio Legislativo e Legale ed alla competente Commissione legislativa presso l’Assemblea Regionale Siciliana. Gli interventi che determinano la costruzione di alloggi sociali vengono realizzati mediante il ricorso agli strumenti del partenariato pubblico-privato. Tali interventi di edilizia sociale convenzionata e di riqualificazione urbana devono essere localizzati nelle zone omogenee territoriali a prevalente destinazione residenziale “A”, “B”, e “C”; sono tassativamente esclusi interventi in verde agricolo. Ai fini dell’approvazione regionale sono privilegiati i progetti con un elevato grado di cantierabilità, che intervengano in zone in stato di degrado sociale e si integrino con le politiche pubbliche locali e con i programmi comunali per l’edilizia sociale, nonché con i piani di valorizzazione del patrimonio pubblico. I comuni possono incentivare la localizzazione degli interventi di edilizia sociale, operando in deroga alle previsioni quantitative e/o alle destinazioni d’uso degli strumenti urbanistici, mediante: - la sostituzione edilizia di manufatti; -l’inserimento di edifici con destinazioni connesse e complementari alla residenza; - l’inserimento, accanto alle funzioni abitative, di funzioni sociali e di servizio alla persona. Sono previste premialità volumetriche fino al 30% dei volumi consentiti dagli strumenti di pianificazione locale. Le premialità volumetriche, non possono t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 42 riferirsi ad edifici abusivi o in aree di inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria. La scelta dei partner privati degli interventi dovrà avvenire nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza, imparzialità e tutela della concorrenza, di cui alla disciplina del codice dei contratti (D.Lgs. 163/2006). Pertanto dovrà essere di norma preceduta dalla previa pubblicazione di un bando. I comuni individuano le proposte mediante selezione pubblica alla quale possono partecipare soggetti pubblici e privati. Definito in sede locale il partenariato pubblico privato, i Comuni faranno pervenire al Dipartimento Regionale delle Infrastrutture, della Mobilità e dei Trasporti le proposte per la loro valutazione. Gli interventi del regolamento e che usufruiscono delle risorse appostate nel Fondo Immobiliare Regionale di cui all’art. 5 della L.R. n. 1 del 3 Gennaio 2012 devono garantire che almeno il 51% della superficie complessiva, costituita dalla somma della superficie utile più la superficie non residenziale, sia destinata ad edilizia residenziale sociale di cui al decreto ministeriale 22 Aprile 2008, con la garanzia che la stessa venga dotata di aree a verde e servizi secondo la normativa vigente. L’art. 5 della L.R. 1/2012 prevede la realizzazione da parte della regione di interventi a sostegno della politiche abitative. Con decreto dell’Assessore Regionale per l’Economia, da adottarsi di concerto con l’Assessore Regionale per le Infrastrutture e la Mobilità, è previsto un fondo immobiliare per l’edilizia residenziale sociale ai sensi dell’art.11 del DPCM 16 Luglio 2009. Con ulteriore decreto dell’Assessore Regionale per l’Economia, di concerto con l’Assessore Regionale per le Infrastrutture e la Mobilità, saranno disciplinate le modalità di costituzione e funzionamento del fondo e l’adozione del bando per l’individuazione, con procedure di evidenza pubblica del soggetto gestore del fondo. Le quote di detto fondo immobiliare, di cui all’art. 5 della L.R. 1/2012, possono essere sottoscritte per cassa e/o in natura da investitori pubblici o da soggetti privati, tra i quali il fondo nazionale del sistema integrato di fondi, gestito da CDPI SGR, società di gestione del risparmio controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti. PRIMI PASSI A CATANIA Nelle more della definizione del regolamento di cui all’art. 1, comma 2 della Legge Regionale n. 1 del 03/01/2012, con Decreto dell’Assessore delle Infrastrutture e della Mobilità n.55GAB del 30/07/2012 sono state approvate, esclusivamente a titolo orientativo, le linee guida per interventi di housing sociale. Da analisi effettuate e dai dati riferiti alle graduatorie “Emergenza abitativa”, “Sfrattati” e “Ordinanze di sgombero”, è emersa l’assoluta indifferibilità di procedere alla realizzazione, nel territorio comunale, di interventi di social housing, in grado di contribuire ad attenuare il fabbisogno abitativo e le tensioni sociali da esso derivanti. Il Comune di Catania si è posto l’obbiettivo di far fronte al fabbisogno abitativo, con particolare riferimento alle fasce più deboli, e di consentire inoltre una più razionale utilizzazione e riorganizzazione di porzioni del territorio urbanizzato mediante il potenziamento di opere di urbanizzazione primaria e secondaria con il massimo contenimento della spesa pubblica, ispirandosi ai criteri di compensazione, secondo le modalità stabilite dalla L.R. 1/2012 e secondo quanto già stabilito con le Linee Guida, approvate con Decreto dell’Assessore delle Infrastrutture e della Mobilità n.55GAB del 30/07/2012. Sul tema della riqualificazione urbanistica, è opportuna una visione sinergica con gli strumenti di cui alla legge regionale n. 1/2012, con interventi di edilizia sociale convenzionata, tenuto conto dei criteri emergenti dallo schema di regolamento sull’abitare sociale già trasmesso alla competente Commissione Legislativa dell’ARS ed all’Ufficio Legislativo e Legale per il parere di rito e sottoposto alla Giunta Regionale che ne ha preso atto con deliberazione n. 206 del 21 giugno 2012. Tali sinergie sono formalizzate nello schema di Avviso per l’acquisizione di manifestazioni di interesse finalizzate alla realizzazione di interventi di Social Housing già pubblicato. Le caratteristiche di quanto richiesto si possono riassumere nei seguenti punti: - L’housing sociale nasce con la finalità di ampliare, qualificandola, l’offerta degli alloggi in affitto e in vendita mettendo a disposizione nuove unità abitative a favore di quelle persone che, escluse per ragioni di reddito dall’accesso all’edilizia residenziale pubblica, non sono tuttavia in grado di sostenere i costi del libero mercato. - I progetti, partendo dall’analisi dei fabbisogni abitativi, dovranno porre come prioritario il tema della sostenibilità, intesa sia come capacità di soddisfare un’esigenza sociale, sia come sostenibilità economico-finanziaria dell’inve-stimento, che si potrà raggiungere dando spazio anche all’edilizia residenziale libera, degli uffici, e terziaria in genere senza tradire la finalità sociale. L’obbiettivo è dunque quello di aumentare l’offerta di alloggi a prezzi accessibili attraverso la costruzione, la gestione, l’acquisto e l’affitto di alloggi sociali. - Particolare attenzione dovrà essere fatta anche alla qualità degli alloggi e dell’ambiente circo-stante, migliorando per esempio l’efficienza energetica degli edifici e dotando le aree di intervento di servizi e attrezzature pubbliche e private. - Il Programma potrà riguardare tutte le aree pubbliche e private, con esclusione delle zone agricole. BIBLIOGRAFIA M.Baldini. M. Federici, Il social housing in Europa, CAPP, 2010; Cecodhas European Social Housing Observatory 2006, First colloquium, Current developments in housing policies and housing markets in Europe: implications for the social housing sector, colloquium proceedings, edited by D. Czischke; A. Delera, Ri-Pensare l’abitare, Hoepli, 2010; Edilizia privata sociale, vademecum 2 di CDPI SGR, Edilizia e territorio, allegato al Sole 24 ore, 2011; G. Ferri, Il gestore sociale, altra economia edizioni, 2010; F. Prizzon, L.Ingramo, M.Bagnasco, SOCIAL HOUSING: Quadro interpretativo dei metodi e delle esperienze in Italia, SITI, 2010; Circolare Anci, i comuni e la questione abitativa, 2010. t e c n i c a WEB GRAFIA http://www.cecodhas.org http://www.housing.org.uk/ http://www.fhs.it http://www.cdpi.sgr.it http://www.ediliziaterritorio.sole24ore.com http://www.parmasocialhouse.it e r i c o s t r u z i o n e FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI Circolare Anci, i comuni e la questione abitativa, 2010. http://www.parmasocialhouse.it 43 IPOTESI DI RIGENERAZIONE DEI CENTRI STORICI PIAZZA STESICORO di Gaetano D’Emilio Se gran parte del patrimonio immobiliare edilizio antico, realizzato nei secoli passati è bello, gran parte di esso, messo in sicurezza e rigenerato va tutelato anche attraverso opportuni diradamenti al suo intorno, destinandolo ad una utilizzazione adeguata ai tempi che attraversa. Concepito in epoca diversa da quella in cui si vuole utilizzare potrebbe, in qualche sua parte, essere ristrutturato od opportunamente affiancato da nuove strutture sostenibili dal punto di vista ambientale, dotandolo possibilmente di nuovi spazi che, nell’insieme, lo recuperino ad una fruibilità adeguata alle nuove esigenze, evitandone il degrado. Il tardo barocco catanese, costruito nel dopo terremoto del 1693, evidenzia una ricorrente unicità, dovuta alla contemporaneità della sua realizzazione, in una gara di emulazione, allora in essere, tra quanti volevano la residenza nella città, per certificare il loro stato di visibilità sociale. Per cui in quella parte iniziale di ricostruzione cittadina, nella edificazione, si riscontra, una monumentalità esterna e, di riflesso, una grandiosità interna degli ambienti di rappresentanza. E se quella esterna arricchisce architettonicamente ed urbanisticamente l’ambiente, quella interna, non sempre, nel tempo, ubbidisce alle esigenze dei successivi diversi periodi di utilizzazione. I Centri storici, che vanno certamente tutelati e salvati per tempi lunghi, hanno necessità di seguire criteri nuovi di utilizzazione per la loro fruibilità. Essi rappresentano le radici di città nate statiche per una società immobile che viveva e moriva là dove era nata, quando le cartoline e più ancora le lettere, erano mezzi di comunicazione essenziali da utilizzare per interessi o per affetto, essendo gli unici collegamenti tra comunità geograficamente distanti. Oggi i centri storici, tutelando la loro peculiarità, rappresentano delle nicche di antica architettura di città che, per farne parte attiva, attraverso compatibili ristrutturazioni, debbono dialogare dal punto di vista paesaggistico, culturale, artistico, e commerciale con la società del momento; per cui la loro salvaguardia non può che essere correlata con la funzionalità alle esigenze del cammino della civiltà. Vecchie, fastose spille di gioielleria le cui pietre preziose, senza danneggiarle, vanno t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 44 recuperate per incastonarle nelle nuove realtà urbane. Così pure va considerato che i mini spazi esterni della vecchia città, tenuto conto del minor numero di abitanti dell’epoca e dello scarso o nullo traffico veicolare esistente a quel tempo, caratterizzato da carri, carrozze, equidi e, successivamente, da servizi pubblici in sede propria, erano adeguati alla vita di quella società. Oggi gli spazi urbani di una città devono soddisfare a problemi di tipo diverso, per l’incontenibile volume della schizofrenica mobilità veicolare urbana diversificata, che si muove su sezioni stradali insufficienti e sottrae ai cittadini, per uso parcheggio, le poche e ristrette aree disponibili. Un traffico scomposto che deve obbedire al dinamismo della vita delle mutazioni delle società civili urbane, caratterizzato dall’abnorme traffico veicolare privato, che all’interno delle città storiche non sempre ed in ogni luogo, consente il necessario grado di vivibilità ed in più, in alcune aree della città storica, si inserisce un negativo impatto visivo per l’esistenza di alcune costruzioni modeste e cadenti che costituiscono elementi negativi nel paesaggio urbano. Ma i numerosi esempi di trasformazione e di rigenerazione, ben riusciti, operati nella gran parte dei centri storici delle antiche città europee distrutte nell’ultimo conflitto bellico e ricostruite nel dopoguerra, incoraggiano a mettere in sicurezza e rigenerare l’antico patrimonio edilizio esistente. Ed è anche opportuno il recupero sostenibile di nuovi spazi urbani (diradamento) all’interno degli antichi centri delle città, ricavati dall’eliminazione di vecchie costruzioni insicure e di modesto valore architettonico spesso semi abbandonate, che concorrono con la loro degradata massa volumetrica, a creare situazioni paesaggistiche negative per l’ambiente circostante. Nuovi spazi urbani nei vecchi centri che riqualificano gli esistenti valori di ambienti preziosi. Costruzioni anonime e degradate che vanno eliminate o rigenerate perchè spesso impediscono l’utilizzo ed il godimento di angoli preziosi di città, la cui esistenza va riscoperta per le pregevoli linee architettoniche che riconducono a pezzi di storia cittadina che tramandano. Le aree di sedime, ottenute senza rompere percorsi viari ed Stecca finale edifici lato sud di Piazza Stesicoro tra la via Manzoni e la Chiesa di S. Biagio equilibri volumetrici consolidati, potranno consentire la valorizzazione di intere aree, per riconsegnare ai cittadini, oltre a monumenti nascosti, quegli spazi che diventano nuove occasioni di vivibilità e socializzazione, tanto richiesti, quali oasi rilassanti, come le gallerie pubbliche coperte al centro città che, (senza interrompere consolidati ritmi urbani), ben si sposano con l’esistente antico patrimonio immobiliare, quale stacco temporaneo, dal ritmo della vita moderna. E’ bene dunque individuare, tra i tanti edifici di pregio, angoli fruibili, al posto di vecchie costruzioni anonime a basso reddito, in parte anche disabitate perché insicure, riscoprendo preziosi angoli di città nascoste, con funzione di rigeneratori urbani. Una rigenerazione da tutti sentita e da tanti richiesta, attraverso auspicabili opportune adeguate leggi regionali e regolamenti cittadini, che lo consentano. Come è noto all’inizio della rifondazione di Catania del 1700, il centro del potere cittadino costituito da nobiltà, caste religiose, intellettuali, uomini di finanza, si concentrava tra le piazze del Duomo e dell’Ateneo. Da esse si dipartivano gli assi viari Uzeda ( Etnea), S. Filippo (Garibaldi), Lanza ( Vittorio Emanuele), attorno alle quali avevano ubicazione: il complesso religioso dell’Arcivescovado, il Senato cittadino, quello Accademico, preziose chiese, residenze di gran parte della nobiltà con i suoi circoli culturali esclusivi, insieme alle sedi delle attività commerciali più importanti, comprese rinomate pasticcerie e liquorifici, per gli incontri giornalieri. Tale centro si estese nel tempo, lungo le vie Garibal- di, Vittorio Emanuele ed Etnea, nella quale direzione, nel successivo prolungamento, si arrivò al luogo individuato “Quattro Canti”, collegato alla piazza Sagone (Manganelli), per raggiungere ai primi del novecento, la piazza Stesicoro con il suo Teatro Romano, prima interamente sotterrato oggi parzialmente in vista e con timidi propositi di ampliamento in sotterranea di quanto ancora recuperabile al di sotto di importanti edifici. Essa ha rappresentato e rappresenta ancora a nord, il confine tra la vecchia e la nuova Catania, il più importante snodo, dalla quale si dipartono verso le varie periferie gli interessi economici, culturali, religiosi e storici della città. Con epicentro la collinetta dei Cappuccini, è contigua all’importante distretto storico religioso “del Santuario Agatino” con le chiese di S. Biagio, S. Agata al Carcere e S. Agata la Vetere, ognuno con una sua storia o leggenda che li unisce nelle tradizioni religiose cittadine. La piazza si configura a forma di rettangolo nella direzione estovest intersecato da nord a sud dalla via Etnea. Individuata a nord dai palazzi Tezzano e Toscano, ad ovest dalla chiesa di S. Biagio ed il palazzo della Borsa, da est partendo dal palazzo Beneventano della Corte si apre al nuovo quartiere di S. Berillo lungo il corso Martiri della Libertà, per chiudersi da sud con i palazzi Paola e Zappalà che fanno angolo con la via Etnea e continuare con casa Paternò Castello di Bicocca ad angolo con la via Manzoni. La stecca di prosiego fino alla chiesa di S Biagio è costituita da tre edifici di modesta rilevanza architettonica aggravata da superfetazioni che non giovano al già modesto paesaggio che, rispetto agli altri edifici t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 45 Abitazioni prospettanti sul vicolo Anfiteatro essi offrono al prezioso intorno urbano. Degradati tutti ed insicuri alcuni, non tutte abitate e in stato di abbandono, soprattutto dalla parte della via del Colosseo - vicolo Anfiteatro.Tale stecca terminale, addossata alla Chiesa di S. Biagio, copre la villa Cerami negandogli un accesso da quel lato, nasconde le monumentali arcate del Teatro Romano, impedendo da quella parte un secondo comodo accesso all’importante reperto archeologico, oggi non utilizzato perché attraverso un maleodorante tortuoso nascosto vicolo Anfiteatro; né l’attuale situazione consente un possibile diretto collegamento con la chiesa di S. Agata la Vetere, oggi servita dall’unico accesso dalla via S. Maddalena. Un’area che, per la sua storia religiosa, culturale e civile, e per le linee architettoniche di suoi importanti edifici ci riporta alle illuminate radici della riedificazione cittadina del diciassettesimo e diciottesimo secolo. Nel sedime ricavato quindi dalla eliminazione sul lato ovest di qualche cadente palazzetto terminale della “stecca” e di qualche altro sulle vie Del Colosseo – vicolo Anfiteatro, si può ricavare una Galleria pubblica che, con la sempre crescente pedonalizzazione della città, ridiventa luogo di incontro e socializzazione. Creando in tal modo nel centro più prezioso della vecchia Catania, un accogliente angolo di sosta, senza t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 46 rompere l’attuale sagoma geometrica della piazza, pur consentendone l’affaccio su di essa. Luogo di sosta e di incontri che sostituirebbe quelli scomparsi quale lo storico caffè Sicilia, caro al Verga ed al Capuano allogato, nel palazzo Beneventano alle spalle del monumento a Vincenzo Bellini e recentemente il Bar Centrale nel palazzo Manganelli ad angolo tra la via Etnea a la piazza. Una Galleria pubblica, che potrebbe contenere al suo interno gli attuali antichi negozi oggi esistenti e far risorgere qualche nuovo bar in sostituzione di quelli scomparsi. Sarebbe il punto di partenza e di arrivo di un percorso pedonale nel distretto storico-religioso “santagatino”, oggi nascosto ed impercorribile, dando la possibilità di ulteriore accesso alla Villa Cerami, al Teatro Romano ed alla Chiesa di S. Agata la Vetere. Infatti iniziando il cammino dalla Galleria contigua alla Chiesa di S. Biagio, in direzione sud, si godrebbe di una completa visibilità del bellissimo prospetto della Chiesa di S. Agata al Carcere, in parte nascosto da abitazioni, proseguendo per l’omonima piazzetta e per la via dei Cappuccini, ad itinerario concluso, ci si ritroverebbe nello stesso luogo di partenza della Chiesa di S. Biagio con possibilità, nel breve itinerario, di visitazione della villa Cerami, del Teatro Romano e della Chiesa di S.Agata la Vetere. La galleria, quale luogo di incontro e di sosta affacciata sulla piazza, nel rigoroso rispetto del suo disegno geometrico, offrirebbe ai cittadini e visitatori, sia nella stagione estiva che in quella invernale, un rilassante luogo di stasi fuori dal traffico, in una area urbana al centro della città vecchia attorniata da una straordinaria concentrazione di importanti monumenti legati alle tradizioni religiosi e nobiliari della città settecentesca. La proposta di un progetto di fattibilità in un luogo di estremo interesse storico cittadino non potrà che essere sostenuta da un pubblico concorso di idee di respiro nazionale. Il reperimento delle necessarie risorse finanziarie, si potrà ottenere da fondi europei, e tenuto conto che le attuali cubature degradate abbattute, possono essere sostituite da volumi alternativi di uguale o minore cubatura rispetto agli esistenti, interni alla piazza e compatibili con l’ambiente, la iniziativa potrà realizzarsi anche attraverso una gara in project financing, caratterizzata da una ariosa percorribilità viaria pedonale della zona, corredata da ampi spazi e comprendenti uffici e studi professionali sull’attuale via del Colosseo- Vicolo Anfiteatro, prevedendo nelle elevazioni superiori, sedi di studi professionali, uffici privati e qualche civile abitazione negli ultimi piani. La proposta di rinnovo urbano, in un ottica ormai largamente condivisa in tutta Europa conduce ad accettare che il patrimonio immobiliare insicuro delle parti vecchie delle città, pur salvaguardandone preziosità e storia che esse tramandano, non vadano mummificate per farne dei cadenti musei a cielo aperto, destinate ad autodistruggersi poco alla volta per vetustà, con la perdita di pezzi di storia. Ed invece, messe in sicurezza, rigenerate e ripensate, rendendole utilizzabili potranno svolgere un impor- tante ruolo sociale nella vita della città moderna, senza disperdere i loro importanti valori storici ed architettonici, per continuare, insieme al nuovo, a ricordarci le radici del vecchio. Tenuto fermo il principio degli indispensabili interventi rigeneratori dei Centri Storici delle città, per quanto riguarda la piazza Stesicoro, va valutata con interesse un’altra coraggiosa proposta progettuale illustrata alcuni anni fa dall’arch. Antonio Pavone (vedi La Sicilia del 26 novembre 2009) che nella stessa area, prevede uno studio che consenta, anche con la demolizione di volumi degradati ed insicuri, un accesso per la visitazione sotterranea del teatro romano realizzando un itinerario archeologico dell’epoca romana, ricavato con appropriati scavi ad di sotto di importanti edifici esistenti. I due progetti si sposano in quanto, nel loro insieme, uno valorizza epoche archeologiche romane e l’altro epoche del dopoterremoto; ambedue preziose perché svelano nella parte storica della città uno spaccato assolutamente da riscoprire che rappresenta la storia degli ultimi millenni della città. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Ipotesi virtuale della galleria 47 5 INGEGNERIA FERROVIARIA DEL PRIMO NOVECENTO IN SICILIA AD OPERA DEL GENIO MILITARE. IMPIEGO DI UN PONTE PREFABBRICATO TIPO ROTH-WAAGNER PER LA RICOSTRUZIONE DI UN TRATTO DI LINEA CATANIA-MESSINA, DISTRUTTA A SEGUITO DELL’ERUZIONE DEL 1928. di Orazio Marletta* Giuseppe A. Di Guardo* PREMESSA Le opere di ingegneria militare rappresentano una porzione non indifferente del patrimonio storico di cui oggi disponiamo. Esse sono da sempre oggetto di interesse culturale e pertanto sono degne di salvaguardia, a tutela della memoria storica di cui sono custodi. Insieme ai grandi protagonisti dell’ingegneria e dell’architettura civile del passato, i tecnici “in divisa”, hanno sempre assunto un ruolo tutt’altro che marginale. Il loro operato, oltre che rivolto alla realizzazione delle opere difensive, è stato sempre fondamentale durante la gestione delle emergenze. Pregevole, ad esempio, il contributo tecnico fornito al Duca di Camastra dall’ingegnere militare Carlos de Grunenbergh, inviato in Sicilia dal re di Spagna, al servizio del Vicerè, per il riassetto urbanistico della città di Catania distrutta dal sisma del 1693. In epoche più recenti, puntuali interventi dei tecnici con le stellette si sono contraddistinti sia per l’alto valore sociale che per la loro qualità tecnica. Modello di veri e propri capolavori dell’arte e della tecnica costruttiva, i ponti prefabbricati, realizzati dal genio ferrovieri durante la prima metà del novecento, costituiscono ancora oggi un esemplare punto di riferimento per progettisti e costruttori odierni. Attraverso notizie riportate dalle cronache e la documentazione fotografica dell’epoca, l’articolo descrive le fasi più salienti dell’indefesso lavoro dei militari impiegati per la costruzione di un ponte ferroviario tipo Roth – Waagner, utilizzato per il ripristino della strada ferrata Catania-Messina, interrotta a causa dell’avanzare del fronte lavico durante l’eruzione dell’Etna del 1928. t e c n i c a e L’ERUZIONE DELL’ETNA, MASCALI 1928. Il 2 novembre del 1928 rappresenta per la città di Mascali una data nefasta. Dopo cinque anni di apparente inattività del vulcano, da quando cioè nel 1923 una colata sul versante settentrionale dell’Etna aveva interrotto la linea ferrata della circumetnea, invadendo la strada statale Fiumefreddo – Randazzo r i c o s t r u z i o n e e minacciando la periferia della città di Linguaglossa, una nuova frattura apertasi sul fianco orientale del vulcano generò una colata lavica che distrusse quasi interamente la ridente cittadina pedemontana. La fase eruttiva cominciò sul calar della sera, con l’apertura di una bocca a quota 2.600 m s.l.m. Successivamente, il fenomeno assunse dimensioni maggiori per via della formazione di tre crateri a quota 1.650 m .s.l.m. Inizialmente, l’attività del vulcano sembrò non interessare la città di Mascali. Ciò finché, nella notte fra il 4 e il 5 novembre si aprirono nuove bocche a quota 1.150 nei pressi della Ripe della Naca. Il magma, fluidissimo, si incanalò nell’alveo del torrente Pietrafucile, dirigendosi, ad una velocità media di 150 metri l’ora, verso Mascali. In soli 18 giorni, il fronte lavico, la cui larghezza massima raggiunse gli 800 m, percorse ben 8 km e distrusse quasi interamente la città di Mascali, ad eccezione del piccolo quartiere di Sant’Antonino, prima di fermarsi a pochi km dalla costa. Il 10 novembre, il fronte lavico distrusse la stazione ferroviaria di Mascali ed interruppe la linea ferrata Catania – Messina, in prossimità del ponte di Carrabba, isolando con ciò la Sicilia orientale dal resto d’Italia. Una preziosa testimonianza dell’attività lavica è custodita nell’opera fotografica degli aeromobili di ricognizione della Regia Aeronautica e dai documenti dell’istituto LUCE. Foto 1 Foto Area fronte lavico in prossimità della località Annunziata, 5 novembre 1928 * ingegnere, ufficiale del Genio M.M. 48 Foto 2 Foto Area della località Carrabba (Mascali), investita dalla lava 12 novembre 1928 Foto 4 Il fronte lavico investe la stazione di Mascali Dopo 18 giorni di intensa attività vulcanica i danni provocati dall’eruzione furono enormi. Circa 800 ettari di superficie vennero distrutti di cui: 20 ettari il Torrente Pietrafucile, 80 ettari l’abitato di Mascali, 700 ettari di terreni agricoli (1/4 agrumeti, 1/4 Foto 3 Il fronte lavico in prossimità del centro abitato di Carrabba castagneti e noccioleti, 2/4 vigneti); l’abitato di Mascali venne distrutto, ad eccezione del quartiere di Sant’Antonino, i piccoli centri di Pietrafucile e Costa Sovara oltre a diverse case coloniche per un totale di circa 700 abitazioni; 4 ponti stradali vennero inghiottiti dalla lava e distrutti; la linea ferroviaria Catania – Messina fu inghiottita all’altezza del ponte di Carrabba per 12 m., e distrutta anche la stazione di Mascali; la ferrovia circumetnea fu investita per una larghezza di circa 1 km, travolti 3 caselli ed 1 ponte; numerosi tratti di infrastrutture di urbanizzazione andarono distrutte (tra le quali la condotta idrica, per il comune di Riposto, le linee telegrafiche, telefoniche e dell’energia elettrica). Non vi furono vittime accertate sebbene alcuni quotidiani locali dell’epoca riportarono la notizia della morte di due o tre abitanti di Mascali [1]. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Fig. 1 Stralcio della carta geologica dell’Etna 49 L’INTERVENTO DEL REGIO ESERCITO. Il 3 novembre, con un telegramma di sei righe, il prefetto di Catania, Giovanni Fronteri, informò il Ministro dell’Interno dell’attività eruttiva, riservando di dare ulteriori notizie sugli sviluppi del fenomeno[1]. Il 7 novembre del 1928, dopo appena cinque giorni dall’inizio dell’attività eruttiva, furono inviati presso Mascali i reparti fanteria de 12° Reggimento Genio di stanza a Palermo. I genieri provvidero subito al ripristino delle linee telegrafiche e telefoniche interrotte e diressero le attività necessarie a dare aiuto alla popolazione sfollata. Il 23 novembre, con regio decreto interministeriale (Interni, Finanze e Lavori Pubblici), si intrapresero le prime opere di ricostruzione. Inizialmente, venne ripristinata la statale Catania-Messina. Allo scopo vennero impiegati 150 operai 150 militari del 75° Reggimento fanteria. Con grande vanto del governo fascista, l’opera venne ultimata in cinque giorni. Il 26 novembre, il 6° Reggimento Ferrovieri di Torino inviò a Mascali un reparto di formazione comandato da un ufficiale superiore e tre ufficiali subalterni, 120 tra sottufficiali e uomini di truppa della 4° compagnia, per i lavori necessari al ripristino delle comunicazioni ferroviarie sulla linea Catania – Messina. All’esercito, si unirono numerosi civili [10]. I lavori, finalizzati alla messa in efficienza della ferrovia, durarono appena due settimane [3]. In particolare essi riguardarono la realizzazione di 2,5 Km di rotaie su terreno accidentato in deviate a linee esistenti e la realizzazione di un ponte ferroviario tipo Roth Waagner nei pressi del torrente Macchia, in località Santa Maria la strada [3]. In occasione dell’evento, a tributo dell’impegno profuso da tutti i militari impiegati sul posto, il Comando Militare della Sicilia, nella persona dell’allora Comandante, Generale di Corpo d’armata Scipione Scipioni, conferì (il 18 febbraio dell’anno successivo) un Encomio al Comando Battaglione Genio Ferrovieri. IL GENIO FERROVIERI E I PONTI PREFABBRICATI ROTH – WAAGNER, ESEMPIO DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE DEL XX SECOLO. Il reggimento ferrovieri rappresenta una specialità del corpo “Genio” dell’Esercito italiano. Le prime compagnie Lavoro del Genio Ferrovieri risalgono al 1887. Esse si contraddistinsero per la notevole mole di ponti in legno realizzati che, per via della complessità, delle caratteristiche costruttive e la limitata disponibilità delle attrezzature speciali, rappresentarono dei veri e propri capolavori d’ingegneria. Col passare del tempo, grazie al perfezionamento tecnologico dei prodotti siderurgici, il legno fu sostituito dall’acciaio e gli elementi modulari costitutivi dei ponti metallici vennero prodotti in serie e dimensionati direttamente dalle industrie produttrici. I primi ponti ferroviari a struttura reticolare, impiegati per i ripristini di interruzioni, furono i ponti tipo Eiffel, brevettati in Francia allo scopo di sostituire i primi ponti in legno delle ferrovie. Questo tipo di ponti, il cui modulo in lunghezza era di 3 m e la luce superabile di 46 m, venne sostituito nel primo dopoguerra, da una nuova tecnologia, le cui prestazioni erano di gran lunga superiori a quelle del tipo Eiffel. Il nuovo sistema costruttivo, per ponti prefabbricati, fu adottato dal regio esercito a seguito dell’esperienza bellica affrontata nel primo conflitto mondiale. Le Encomio conferita al Comando Battaglione Genio Ferrovieri Giarre, da t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Fig.2. Targa di parte del Gen. S. Scipioni, Palermo 18/02/1929 [10]. 50 unità Lavoro del Genio ferrovieri, infatti, recuperarono e riordinarono il materiale da ponte tipo Kohn e Roth-Waagner lasciato nei depositi dagli austriaci. Il sistema di ponti Roth-Waagner, seppur garantisse maggiore flessibilità d’impiego, richiedeva un nuovo procedimento di montaggio, l’ausilio di attrezzature di sollevamento specifiche ed uno determinato addestramento del personale impiegato allo scopo. Una volta reperita la documentazione tecnica adeguata all’impiego di detti ponti, i genieri del regio esercito divennero abili esperti ed utilizzarono i ponti Roth-Waagner sia per la ricostruzione post-bellica, sia quale riserva per affrontare situazioni di emergenza dovute a calamità naturali o accidentali, come avvenne per l’eruzione dell’Etna del novembre 1928. Questo ponte metallico prefabbricato, adottato in Italia già a partire dal 1919, consentì la costruzione di travate a mezzo piano, a un piano e a due piani (eventualmente con pile intermedie), atte al transito di normali convogli ferroviari. La lunghezza massima del ponte, senza sostegni intermedi, era di m. 70. Il ponte poteva essere costruito con montaggio diretto, cioè con ponte di servizio, oppure a sbalzo. Foto 5. Lo stendardo del Genio Ferrovieri, ubicato in prossimità della prima travata di controvento trasversale testata di un ponte Roth-Waagner, impiegato a Mascali. Numerosi furono gli esempi di travature RothWaagner sia in Italia (es. Ponte tipo Roth-Waagner lungo 150 m a 4 campate sul fiume Adda in località Pizzighettone), che oltre i confini nazionali. Durante le campagne coloniali d’Africa del 1935-36, infatti, due compagnie di lavori del Genio ferrovieri si distinsero per la costruzione di due ponti Kohn in versione stradale sul fiume Barca, di due ponti ferroviari del tipo Roth-Waagner sul fiume Carrabel e sul fiume Bome. Molteplici lavori, di encomiabile tecnica ingegneristica, diedero risalto ai genieri anche durante il secondo conflitto mondiale. Tra questi ricordiamo la costruzione di due ponti sul canale dell’Istmo di Corinto (opera realizzata in soli 25 giorni, completamente a sbalzo)e sul Brallo. Il secondo dopoguerra, caratterizzato dal processo di riorganizzazione di tutta la società civile della nazione, vide anche una riconfigurazione del nuovo esercito repubblicano. A seguito dei pesanti bombardamenti inflitti alle infrastrutture nazionali, sia da parte delle forze alleate, sia da parte dall’esercito tedesco in ritirata, numerose opere d’arte ferroviarie (quali ponti, viadotti, ecc.) furono rese inagibili. Al fine di far fronte alla vasta opera di ricostruzione, la F.A. ricostruì le compagnie “ponti metallici scomponibili del Genio Ferrovieri”. In tale circostanza, essendo stato disciolto il raggruppamento Ferrovieri (1 novembre 1945), vennero istituiti due modesti reparti autonomi: la 1^ e la 2^Compagnia Ponti Metallici Scomponibili, stanziate rispettivamente a Torino e Bologna. Esse cooperarono con la rinata organizzazione civile delle Ferrovie dello Stato nell’opera di rinnovamento, provvedendo, oltre che ai lavori di armamento ferroviario, anche alla costruzione dei ponti metallici con l’impiego di materiale Roth-Waagner, Kohn e delle nuove tecnologie anglo americane S 22U.C.R.B. Nel 1947 le due Compagnie Ponti Metallici vennero riunite in un unico battaglione, mentre la ricostruita Compagnia Esercizio Linee rimase inquadrata nel Reggimento Genio Pontieri fino al 1957. Con il boom economico degli anni 60 e 70, la tecnologia di ponti Roth-Waagner venne pian piano accantonata per far posto al nuovo sistema Ponte “S.E.” (Strasse Eisenbahn), di fabbricazione tedesca, molto più flessibile e adeguato alle moderne esigenze del trasporto su rotaia. A partire dal 1973, infatti, la ferrovia di stato italiana si approvvigionò del nuovo sistema S.E., nonostante diverse travate RothWaagner sono state dimessi dalla rete ferroviaria moderna solo da qualche anno, ciò a testimonianza della validità del materiale e della flessibilità d’impiego che esso garantì[6]. Dopo la ricostruzione il Reggimento Genio Ferrovieri ha subito diverse riorganizzazioni, assumendo, la configurazione attuale solo nel 1975 allorché, nel quadro della ben più vasta ristrutturazione dell’Esercito Italiano, fu disciolto il 6° Battaglione Genio Pionieri e vennero tenuti in vita il Comando di Reggimento con il suo plotone di Comando, il 1° Battaglione Genio Ferrovieri pt. M.s., nella sede di Castel Maggiore, ed il 2° Battaglione Esercizio Linee, in quella di Torino. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 51 5 Foto 6 E 7. Modello di ponte metallico scomponibile tipo Roth Waagner austriaco (preda bellica), conservato presso l’ISCAG di Roma. calcolatori elettronici, spesso non potevano permettersi procedimenti di calcolo complessi per la progettazione. Detti manuali, sulla scorta della maturata esperienza sul campo, sintetizzavano schemi strutturali e modalità di montaggio in considerazione delle caratteristiche d’impiego. In particolare, l’approccio del calcolo veniva semplificato in funzione: della tipologia di armamento ferroviario (traverse, giunzioni, ecc.); della tipologia degli impianti di linea (deviazioni, intersezioni, ecc.); della tipologia di travate (numero di piani e pareti); dei carichi di esercizio e della tipologia di materiale rotabile trasportato (merci, bestiame, truppe, ecc.) Essi inoltre riportavano i tipi di attrezzature da lavoro occorrenti al montaggio di strutture e sovrastrutture, descrivendone con cura i casi d’impiego. Foto 8 Ponte in pietra presso torrente Pietrafucile in località Carrabba (Mascali), distrutto dalla colata del 1928 t e c n i c a Foto 9 Ponte metallico R-W prefabbricato, messo in opera dal Genio ferrovieri in prossimità del torrente Macchia di Giarre. CENNI SULLE CARATTERISTICHE TECNICHE E SULLE MODALITA’ D’IMPIEGO DEI PONTI SCOMPONIBILI. La necessità di realizzare i ponti prefabbricati in tempi compatibili con le esigenze operative, ha condotto nel tempo alla elaborazione di manuali e prontuari tecnici d’uso pratico, rivolti agli ufficiali del genio che all’epoca, in assenza dei moderni e r i c o s t r u z i o n e 52 6 Fig.3 e 4. Esempio di tavole illustrate sintetiche ad uso prontuario [8]. Il materiale impiegato per i ponti scomponibili Roth-Waagner era il ferro omogeneo Martin-Siemens per tutte le strutture, ad eccezione degli appoggi realizzati in acciaio fuso Martin-Siemens conforme alle norme emanate dall’I.R. del Ministero delle Ferrovie austriache nel 1904. per intervalli fra gli appoggi da 12 a 80 m; (2)intervallo far gli appoggi; (3) in più direzioni; (4) in una sola direzione. I componenti strutturali per l’assemblaggio del ponte venivano distinti in tre categorie principali: 1) parti componenti le travi maestre longitudinali (ad un piano o a due piani): tralicci intermedi con montanti semplici e di estremità; essi si distinguono a loro volta in: correnti, diagonali e montanti; 2) parti costruttive intermedie: le rotaie, la carreggiata ecc.; 3) parti costituenti le controventature: longarine singole o accoppiate. Tutti i componenti venivano interconnessi attraverso le chiavarde, unioni chiodate o bullonate del diametro di variabile da 35 a 60 mm, in funzione dello sforzo trasmesso, ovvero di diametro 20 mm per le unioni di supporto. Tutte le parti strutturali avevano lunghezze contenute non superiori a 6,5 m, in modo da essere facilmente trasportabili. Se dal punto di vista interno, la struttura risultava vincolata quasi sempre da cerniere (o in alcuni casi incastri, a seconda del tipo di collegamento tra le parti), esternamente essa veniva appoggiata alle estremità, con appoggi a cerniera o a rullo. I cuscinetti, realizzati in acciaio fuso, si differenziavano a seconda se fissi o mobili per via del bilanciere, in luogo della sella d’appoggio, insieme ad una serie di rulli. La costruzione delle travate solidali si distingueva in travi continue o collegate (con collegamenti normali o anormali, cioè con ridotte distanze medie dei montanti terminali, a seguito dell’uso di briglie di estremità). Relativamente alle modalità d’impiego, le strutture da ponte Roth-Waagner si distinguevano in due categorie: a montaggio diretto. a sbalzo (con gru di montaggio). Il materiale da ponte Roth-Waagner veniva costruito prevalentemente per ferrovie a scartamento normale, (cioè con la distanza intercorrente tra i lembi interni del fungo delle due rotaie del binario di misura ordinaria), ma poteva essere anche utilizzato per ferrovie a scartamento ridotto e ferrovie decauville (il cui binario è formato da elementi prefabbricati che possono essere montati e smontati velocemente. Sono usate quasi esclusivamente per il merci, minerali, terre, ecc.). t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Fig.5. Esempio di tavole grafiche progettuali pubblicate [7]. 53 DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA DELL’EPOCA, RELATIVA ALLE FASI DI COSTRUZIONE DEL PONTE FERROVIARIO NEI PRESSI DEL TORRENTE SANTA MARIA. Foto 13 e segg. Varie fasi realizzative del ponte. Foto 10. trasporto dei materiali R-W a piè d’opera presso Torrente S. Maria (Mascali-Riposto 1928). Foto 14. Foto 11. Genieri del Rgt. Ferrovieri provvedono ad armare il raccordo provvisorio ai margini. Foto 15 t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Foto 12. Vengono realizzate opere in difesa dei piloni centrali dalle piene . 54 Foto 16 FONTI BIBLIOGRAFICHE [1] AA.VV. Quaderno di studi Città di Mascali “Mascali 19281937: dalla distruzione alla rinascita” di Nino AMANTE pp. 99 -105, edizione La Rocca – Riposto (CT) Dicembre 2012 [2] FRANCESCO FICHERA “Mascali, la città sepolta”, editore Bracchi Giarre 1988 [3] Giornale Istituto LUCE nr. A0238 del 12/1928, Cinecittà Roma. [4] Rivista “l’Amministrazione Ferroviaria” del “Collegio Amministratori agosto 1993 n.8 anno xx., Nascita Ed Evoluzione Del Genio Ferrovieri di Mario PIETRANGELI . [5] M. PIETRANGELI, Storia del Reggimento Genio Ferrovieri italiano dei reparti militari ferroviari nel mondo e dei trasporti militari, pag. 24. Quaderni Società Cultura e Storia Militare, Edizione 2006. [6] Rivista Ingegneria Ferroviaria del CIF, numero 9 settembre 1994, Evoluzione Dei Ponti In dotazione al Genio Ferrovieri di Mario PIETRANGELI. [7] AA.VV. “Istruzioni sui Ponti Scomponibili e sulle Plie sistema Roth- Waagner” edito Tipografia del Reggimento Ferrovieri del Genio, Torino 1926. [8] F. CIPRIANI , OTTAVINI , Prontuario Tecnico sui Lavori e Mezzi del Genio, ed. Grafia, Roma 1951 [9] AA.VV., Manuale dell’Ufficiale del Genio, vol. II, Comunicazioni, da pag. 102 a pag. 118 Ispettorato del Genio del 1941 Foto 17 FONTI ARCHIVISTICHE [10] Pannello nr. 3497 I.S.C.A.G. , ubicazione 212-PA-001 Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio, Roma. [11] Archivio Fotografico Toscano, Fondo Gaetano PONTE. SITI WEB [12] http://www.mascali1928.it/leruzione_del_1928.html [13] http://www.aft.it/fondi/ponte/home.htm Foto 18. Momenti di relax e distribuzione del rancio. FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI Foto 1 -Aeronautica Militare – Ripresa aerea. 30° squadriglia di ricognizione Iscrizioni: 413 - R.30° A-300-H CATANIA 5-11-928 ORE 11.30 25.800 MASCALI. Archivio [11] Foto 2 – Aeronautica Militare – Ripresa aerea - Iscrizioni: 122 10 - 184 AUGUSTA - 12-11-928. VII* 12.30-400-24 Carrabba investito dalla lava P. Ten. NACCARI U. S. Ten. Vascello. CORSO. Archivio [11] Foto 3 – Foto Archivio Malato – Catania Foto 4 - Casa Ed. Ballerini & Fratini (Firenze) Foto 5 - Associazione Mascali 1928 Foto 6 e 7 – Archivio ISCAG Foto 8- Strano Francesco – Emporio Giarre Foto 9 – Archivio ISCAG. Foto 10 e segg. Archivio ISCAG. t e c n i c a e Foto 19. Inaugurazione. NOTE Si ringrazia il Gen. ing. Piero PESARESI, il sig. Leonardo VACCARO (associazione Mascali 1928), l’ing. Gregorio S. RUSSO, il Ten. Col. Luigi CHIAVONI e il 1^Caporalmaggiore Giancarlo MANDIA (Istituto Storico e Cultura dell’Arma del Genio di Roma), il dott. Vito MARLETTA. La parte relativa alle “caratteristiche costruttive dei ponti” è stata curata da Giuseppe Di Guardo, gli aspetti storici sono a cura di Orazio Marletta. r i c o s t r u z i o n e 55 IL SISTEMA COSTRUTTIVO X-LAM di Marco Bonelli IL LEGNO STRUTTURALE Nella storia delle costruzioni, il legno ha rappresentato il primo, e per molto tempo, il più importante materiale da costruzione per le strutture portanti. Se agli inizi il suo impiego era principalmente dovuto alle sue caratteristiche di lavorabilità e leggerezza, oggi la scelta di questo materiale è determinata da caratteristiche e proprietà specifiche, come: -realizzazione in condizioni favorevoli all’ambiente; -reperibilità e possibilità di lavorazione; -rapporto molto vantaggioso tra peso e resistenza, si pensi ad esempio alla lunghezza di rottura del legno, ossia la lunghezza teorica oltre la quale un elemento sospeso ad un estremo si rompe per effetto della propria massa. Per l’acciaio, a seconda del tipo, tale lunghezza varia da 4 a 8 km, per l’alluminio è di 11 km, per il legno, a seconda del tipo e della struttura, è di 15-30 km; -ampio spettro di valori di densità e di resistenza; -maggiore resistività termica, unita a capacità di isolamento termico relativamente buona; -possibilità di ricorrere a mezzi e tecniche di collegamento di elevato valore; CARATTERISTICHE DEL MATERIALE AFFIDABILITÀ Esistono oramai esperienze scientifiche nazionali e internazionali che testimoniano l’elevato livello di sicurezza di edifici interamente di legno, anche di molti piani, cosa già nota in diverse parti del mondo (Nord America, Giappone, Nord Europa), in cui il legno viene normalmente utilizzato e spesso preferito per la realizzazione di edifici residenziali e pubblici anche di notevole importanza. Il legno è un materiale adatto alla realizzazione di edifici che esigono un efficiente comportamento nei confronti dei terremoti. Un progetto di ricerca italiano condotto dal CNR-IVALSA (di San Michele all’Adige, TN) in collaborazione con il National Institute for Earth science and Disaster prevention (NIED) ha portato alla realizzazione di una serie di test su piattaforma sismica sperimentale in Giappone su edifici interamente a struttura di legno di 7 piani che hanno resistito benissimo a terremoti distruttivi (Magnitudo 7,8). t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 56 Dei progressi della ricerca scientifica nel campo della tecnica delle costruzioni in legno si tiene conto anche nelle Norme Tecniche per le Costruzioni (DM FIG. 1 – Edificio di 7 piani sottoposto a prova sismica sopra la piastra vibrante del NIED 14/01/2008), nelle quali scompaiono le limitazioni di altezza, per le costruzioni di legno in funzione della zona sismica presenti nelle Normative precedenti. DURABILITÀ Basterebbe da sola la foto sottostante per parlare di durabilità delle strutture di legno, la Pagoda del tempio di Horyu-ji a Nara, antica capitale del Giappone, anno di costruzione 607 d.C., 5 piani, 31,5 metri di altezza. Esempio di edificio interamente in legno, leggero, resistente e flessibile che ha resistito indenne a 14 secoli di terremoti distruttivi ed è arrivato in condizioni perfette ai nostri giorni. Il legno, se conosciuto e adeguatamente progettato, può durare secoli (basti pensare agli splendidi esempi di coperture di chiese ed edifici monumentali presenti nel nostro paese): in Nord America l’80% degli edifici residenziali, anche multipiano, sono di - PRINCIPIO I pannelli di legno massiccio a strati incrociati X-Lam (cross laminated timber) sono pannelli di grandi dimensioni, formati da più strati di tavole, sovrapposti e incollati uno sull’altro in modo che la fibratura di ogni singolo strato sia ruotata nel piano del pannello di 90° rispetto agli strati adiacenti. Il numero di strati e il loro spessore può variare a dipendenza del tipo di pannello e del produttore dello stesso. Il numero minimo di strati per ottenere un pannello X-Lam è di 3; va però subito sottolineato che per ottenere un comportamento fisico e meccanico efficace sotto tutti i punti di vista e corrispondente alla definizione di elemento multistrato, il numero minimo di strati dovrebbe essere uguale a 5. FIG. 2 – Pagoda del tempio Horyu-ji a Nara, Giappone legno e superano tranquillamente i 100 anni di vita. Il concetto di durabilità di una struttura, definita come “conservazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche dei materiali e delle strutture affinché i livelli di sicurezza vengano mantenuti durante tutta la vita dell’opera”, secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni, è un requisito essenziale per la progettazione di una costruzione al pari della resistenza meccanica e della stabilità. Nelle strutture di legno, la conoscenza del materiale e la corretta progettazione e realizzazione di alcuni dettagli costruttivi fondamentali, accompagnata dalla redazione di un corretto programma di manutenzione, consente di raggiungere e superare abbondantemente i livelli di vita nominale della struttura previsti dalla Normativa. I PANNELLI IN X-LAM L’XLAM nasce alla fine degli anni ‘90, in Austria e in Germania. In Austria si può identificare all’origine dell’X-Lam un progetto di sviluppo e ricerca, realizzato presso l’Università di Graz, per aprire nuove vie per un migliore sfruttamento delle risorse messe a disposizione dalla lavorazione del legno in segheria, realizzando elementi piani di grandi dimensione. A questo progetto ne sono seguiti diversi altri, che, insieme a diversi altri lavori di sviluppo e ricerca in diversi paesi europei, hanno portato allo stato della tecnica attuale. FIG. 3 - Pannelli in X-Lam I pannelli X-Lam sono prodotti con legno di conifera, come la maggior parte degli elementi di legno per uso strutturale realizzati secondo le tecnologie più moderne. La produzione normale di pannelli X-Lam è quindi realizzata con legno di abete (in prevalenza abete rosso). L’uso di altre specie legnose è possibile per principio, ma è allo stato attuale riservato ai prototipi e alla ricerca mirante a sviluppare proprio l’uso di altre specie legnose per la realizzazione di elementi strutturali. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e - LO STRATO DI TAVOLE I singoli strati di tavole sono composti da tavole di spessore variabile, di regola fra 15 e 30 mm. Pure la larghezza delle singole tavole è variabile, di regola fra gli 80 ed i 240 mm. Le tavole usate per la produzione di pannelli X-Lam devono rispettare i medesimi crite57 ri delle tavole per la produzione di legno lamellare incollato. Si tratta cioè di materiale classificato secondo la resistenza e appartenente ad una ben precisa classe di resistenza. La produzione delle tavole avviene quindi sulla base delle fasi di lavorazione seguenti: - taglio delle tavole (o lamelle); - essiccatura; - classificazione; - giunti longitudinali delle lamelle; - giunti trasversali delle tavole; - incollaggio dei vari strati; La produzione dell’X-Lam deve permettere la realizzazione dell’incollatura strutturale degli strati di tavole, in modo da formare un unico elemento monolitico e multistrato, utilizzando i collanti sviluppati per SOLETTE IN X-LAM: L’ELEMENTO STRUTTURALE A PIASTRA La semplice analisi della piastra inflessa prevede la sua descrizione come griglia di elementi inflessi, che possono presentare caratteristiche meccaniche diverse nelle due direzioni del piano. L’applicazione di questo modello è giustificata dal fatto che, nella maggior parte dei casi concreti, la geometria degli elementi della piastra porta alla considerazione dell’effetto strutturale in una sola direzione: inoltre la rigidezza torsionale dell’X-Lam è comunque ridotta a causa dei ridotti valori del modulo G del legno, a cui va aggiunto l’effetto della possibile fessurazione degli strati di tavole, che ne riduce la continuità nella direzione trasversale. L’elemento strutturale così descritto permette di distribuire i carichi ad esso applicati nelle due direzioni del suo piano, sfruttando quindi tutto il materiale disponibile, riducendo le sollecitazioni locali all’interno della piastra e permettendo di distribuire i carichi su tutto il suo perimetro. Le solette formate da X-Lam richiedono generalmente uno spessore fra 1/35 e 1/40 della luce che determina la flessione massima della soletta. FIG. 4 – Fasi della produzione dei pannelli X-Lam la produzione del legno lamellare incollato,cioè sia gli adesivi più classici a base di formaldeide, sia quelli più recenti a base di poliuretani. Generalmente i pannelli X-Lam sono disponibili in dimensioni che possono raggiungere i 24,0 m in una direzione, i 4,80 m nell’altra e uno spessore di 5000 mm. Entro questi limiti, le dimensioni massime della produzione del singolo pannello variano in modo notevole così come variano le dimensioni dello spessore dei singoli strati e della composizione del pannello: in alcuni casi si producono pannelli con strati doppi, in modo da ottenere una prevalenza delle caratteristiche meccaniche in una delle due direzioni del piano del pannello. La produzione standard prevede pannelli che di regola non superano, nella dimensione più corta, l’altezza di un piano d’edificio, per ragioni di opportunità progettuale e costruttiva e anche per ragioni di trasporto del pannello finito. Nella tabella seguente sono riportate le misure standard per vari produttori. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 58 FIG. 5 – Effetto strutturale a piastra Questi valori hanno evidentemente carattere indicativo, perché tanto i carichi, quanto le esigenze di rigidezza della soletta riguardo alla verifica dello stato di servizio, hanno un effetto decisivo sul dimensionamento e quindi sullo spessore necessario dell’elemento strutturale. È opportuno sottolineare che oltre ai noti criteri di limitazione delle deformazioni della struttura, anche il comportamento oscillatorio e vibrazionale può essere rilevante ai fini della verifica dell’attitudine al servizio e si può affermare che la struttura della soletta X-Lam, anche grazie alle sue caratteristiche di elemento piano, permette di rispondere anche a queste esigenze. La maggior parte delle solette dell’edilizia abitativa sono composte da diversi elementi di pannelli X-Lam, che possono essere considerati, in prima analisi, come elementi strutturali inflessi con effetto portante in una direzione. Il giunto fra i vari elementi di soletta X-Lam, parallelo alla direzione strutturale principale, è realizzato in modo semplice, così da ottenere la continuità strutturale anche in questa direzione, ma senza realizzare un giunto rigido. Il sistema strutturale della soletta può quindi essere analizzato semplicemente sulla base del modello della trave inflessa. PARETI IN X-LAM: L’ELEMENTO STRUTTURALE LASTRA L’elemento base di parete è formato da una lastra verticale che deve assumere le funzioni di elemento compresso (forza assiale verticale) e di lastra (forze orizzontali nel piano della parete). Il pannello X-Lam permette di assumere entrambe le funzioni. La parete strutturale di X-Lam può essere vista come un montante o un pilastro di lunghezza continua, dove lo spessore minimo è determinato principalmente dai carichi verticali agenti sulla parete, ma anche dalle esigenze di rigidezza dovute all’azione dei carichi orizzontali e dalle esigenze di resistenza spesso non direttamente considerate nel calcolo strutturale ma non per questo da sottovalutare, quali le esigenze legate direttamente o indirettamente all’isolamento fonico, alla presenza di una massa sufficiente nella costruzione e alla necessità di offrire, comunque, anche localmente o in presenza di aperture anche di piccola dimensione, una sufficiente rigidezza e resistenza dell’elemento strutturale. Pur ammettendo che il calcolo strutturale dell’elemento di parete nella sua globalità può portare a spessori minimi degli elementi di parete piuttosto ridotti, e affermando che la realizzazione di pareti molto sottili è senz’altro possibile, si deve valutare molto attentamente e nel dettaglio la scelta di spessori delle pareti esterne al di sotto di 110 mm, o delle pareti portanti interne al di sotto di 100 mm. Come per i sistemi tradizionali, la presenza di aperture nelle pareti rappresenta una situazione strutturale particolare per eccellenza degli elementi di parete. L’apertura crea un’interruzione del flusso di forze verso il basso, che deve essere deviato sulle zone a lato delle aperture, dove si crea una concentrazione di carichi e di sollecitazioni. Nella zona sopra l’apertura è necessario un elemento strutturale che garantisca una rigidezza ed una resistenza a flessione sufficienti a fungere da architrave. Le pareti di X-Lam si prestano particolarmente bene in queste circostanze, in quanto la sezione verticale della parte di parete al di sopra dell’apertura è costituita anche da un numero di strati di tavole orizzontali, che possono FIG. 6 – Elemento di parete sottoposto a carichi verticali essere adibiti alla funzione di architrave. In presenza di una altezza sufficiente di questa parte di parete, l’architrave di rinforzo della parete, sopra all’apertura, è quindi disponibile senza l’aggiunta di ulteriori rinforzi. Gli elementi di parete hanno la doppia funzione della discesa dei carichi verticali e di elemento inflesso in caso di carichi perpendicolari al proprio piano (per esempio il vento agente sulle pareti esterne), per cui di preferenza gli strati esterni del pannello saranno orientati in direzione verticale. L’altezza degli elementi di parete, come già detto, è spesso determinata dall’altezza di un piano dell’edificio: a dipendenza del tipo di edificio questa altezza si situa poco al di sotto o poco al di sopra dei 3 metri, per cui normalmente gli elementi di parete sono formati da un unico pannello X-Lam nella direzione verticale. Dato che gli elementi di parete hanno la doppia funzione della discesa dei carichi verticali e di elemento inflesso in caso di carichi perpendicolari al proprio piano (per esempio il vento agente sulle pareti esterne), di preferenza gli strati esterni del pannello saranno orientati nella direzione verticale. A dipendenza della lunghezza della parete è senz’altro possibile produrre l’intera parete con un solo elemento X-Lam: il limite massimo di lunghezza è t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e FIG. 7 – Parete con apertura con e senza architrave 59 5 dato dalla produzione dei pannelli e dalle fasi di trasporto e montaggio. Di norma, però, si preferisce l’uso di elementi X-Lam di dimensioni più ridotte, che richiede la composizione degli elementi di parete tramite la giunzione di diversi pannelli, offrendo la possibilità di produrre, manipolare e trasportare elementi di dimensioni più piccole e, quindi, semplificando queste fasi della lavorazione e dell’esecuzione. La soluzione più semplice, prevede in questo caso, la suddivisione della parete in strisce verticali che ne garantiscano la continuità strutturale su tutta l’altezza. Il collegamento fra i diversi elementi X-Lam della parete deve assicurare la continuità della parete, quale lastra verticale con funzione di controventatura (trasmissione e discesa delle forze orizzontali agenti nel piano della parete), mentre non è necessaria la continuità della rigidezza flessionale nel giunto. A questo riguardo è utile riportare una riflessione dell’Ing. Andrea Bernasconi, professore di Costruzione in legno alla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Occidentale e consulente dell’Istituto di Costruzioni, Tecnologia e Strutture in Legno del Politecnico di Graz, Austria. “Esistono effettivamente pannelli X-Lam di diverse dimensioni, ma la questione del giunto fra diversi elementi di parete si pone anche qualora si decida, per esempio per ragioni di montaggio, di lavorare con elementi di dimensioni relativamente ridotte. Il collegamento fra i vari elementi di pannello può essere eseguito sia in modo rigido - tramite incollatura, avendo cura di applicare procedure che permettano di ottenere il risultato voluto - sia in modo meccanico, ottenendo una rigidezza del giunto ridotta, rispetto alla rigidezza dell’elemento X-Lam supposto senza giunti. Nel modo le sue caratteristiche di duttilità dipendono dalla configurazione dei mezzi di collegamento e dal loro comportamento alla rottura. È difficile dire in modo assoluto quale sia la strada migliore da percorrere in fase di progetto e concezione della struttura di un edificio. Il principio, secondo il quale un maggior numero di giunti duttili conferisce una maggior duttilità alla struttura e permette una maggiore dissipazione di energia, è formalmente corretto, ma nell’ottica della concezione di una struttura portante ottimale, piuttosto riduttivo spinto all’estremo, questo ragionamento porterebbe ad aumentare ad oltranza il numero di giunti, riducendo le dimensioni degli elementi, ottenendo risultati opposti a quelli che la struttura formata dai pannelli X-Lam può offrire. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 60 6 Il buon comportamento sismico di queste strutture è stato ampiamente dimostrato anche in modo sperimentale, lavorando con pannelli di dimensioni piuttosto grandi. Alla luce di questi risultati la riduzione della dimensione dei pannelli per ragioni di dissipazione di energia non sarebbe giustificata. Resta, quindi, il dato di fatto, che ogni giunto di una struttura rappresenta un potenziale punto debole e, comunque ed in ogni caso, un indebolimento della struttura stessa. Non potendo produrre tutte le pareti e tutte le solette in un solo elemento, per ragioni di trasporto, montaggio o disponibilità dei pannelli, si opterà per i giunti meccanici a causa della loro maggiore facilità di esecuzione e a causa della loro minore sensibilità alle condizioni di esecuzione. I giunti incollati saranno quindi riservati a quei casi dove l’esecuzione avviene in officina, in fase di preassemblaggio, ed ai casi in cui un giunto estremamente rigido e performante è richiesto per ragioni strutturali. La rigidezza, la resistenza e la duttilità dei giunti meccanici saranno definite in modo da avere, comunque e sempre, sufficienti riserve di resistenza (cercando quindi di non fare del giunto un elemento di indebolimento troppo importante per la continuità dell’elemento strutturale di superficie), di rigidezza (con i medesimi obiettivi) e di duttilità (in modo che, prima del collasso, una dissipazione di energia possa avvenire).” RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE E DELLA PROGETTAZIONE SISMICA Come riportato da Piazza, Tomasi e Modena, «Volendo riassumere le caratteristiche del legno, questo materiale possiede rigidezza e resistenza notevolmente più elevate nella direzione parallela alle fibre rispetto alle direzioni trasversali; superato il limite elastico, il comportamento può essere considerato duttile in compressione, mentre non vi è praticamente capacità di deformazione plastica prima della frattura in trazione. Nelle direzioni ortogonali il materiale si plasticizza a livelli molto bassi di sforzo in compressione con grandi deformazioni anelastiche: questo fatto influisce significativamente sul comportamento sismico. Nel caso di eccitazione sismica, che ha carattere oscillatorio con frequenti inversioni di segno, occorre far riferimento al comportamento del materiale a fatica oligociclica. Al contrario del normale fenomeno di fatica, relativo a situazioni che in genere prevedono un numero di cicli di carico elevatissimo con escursione limitata al campo elastico, questo caso riguarda un numero di cicli ridotto a qualche unità, ma con estensione della risposta al campo plastico (cicli di isteresi). È questa una situazione molto gravosa per ogni tipo di materiale, per il degrado che subiscono i parametri meccanici e in particolare per la progressiva riduzione della duttilità. Tuttavia, alla possibilità di sviluppo di cicli di isteresi e alla loro “qualità” è legata la capacità della struttura di dissipare energia, una caratteristica fondamentale in regime sismico. Infatti, alla fase anelastica del comportamento è associata una notevole capacità di dissipazione. Considerandone le caratteristiche meccaniche, il legno in condizioni originali non può rispondere a questo tipo di sollecitazione in modo soddisfacente. Per dissipare energia, si fa dunque affidamento sull’associazione del legno con altri materiali, in particolare l’acciaio, e quindi alle zone di collaborazione dei due materiali, cioè alle connessioni, alle quali è, in definitiva, attribuito il compito di fornire la risposta post-elastica della struttura.» MODALITÀ E TIPOLOGIE DI CONNESSIONE Le strutture di fondazione vengono realizzate o con una platea o con travi rovesce in c.a. Se viene utilizzata una platea di fondazione è comunque buona norma realizzare sopra di essa un cordolo in c.a. oppure in legno di specie durabile, di altezza massima pari a 100-120 mm, per evitare il contatto diretto delle pareti di legno con la platea stessa. Il cordolo può essere evitato se le strutture di fondazione fuoriescono dal livello del terreno. In tutti i casi tra la struttura di legno e la fondazione va interposto uno strato di guaina bituminosa per evitare le trappole di umidità. - COLLEGAMENTO PARETE-FONDAZIONE Il pannello è solidarizzato con gli elementi di fondazione in cemento armato, al fine di contrastare l’effetto delle azioni orizzontali sugli edifici (vento e sisma) che possono generare forze di scorrimento e forze di sollevamento del pannello rispetto alla fondazione. In figura sono illustrati gli elementi preformati ad L in acciaio atti a trasferire le forze orizzontali e verticali tra pannello e fondazione. Spesso di utilizzano degli speciali elementi angolari allungati, denominati hold-down (traduzione letterale dell’inglese tieni giù) solamente per la trasmissione delle forze assiali che contrastano il ribaltamento della parete. Le piastre angolari in acciaio sono collegate agli elementi lignei con viti ed alle fondazioni in calcestruzzo con barre ferrate o tasselli fissati in maniera meccanica o chimica. - COLLEGAMENTO PARETE-SOLAIO-PARETE Gli edifici in X-Lam sono sistemi prefabbricati, dove gli elementi vengono montati in opera e collegati successivamente tra di loro tramite giunzioni. Il processo costruttivo si ripete piano per piano: si montano i pannelli verticali che formano le pareti, si chiude il piano con pannelli orizzontali, e tali pannelli fanno da piattaforma per il posizionamento dei pannelli verticali del piano successivo. FIG. 8 - Piastre di collegamento I sistemi X-Lam sono quindi sistemi “a piattaforma”, dove l’orizzontamento intermedio interseca gli elementi verticali. Nel nodo parete-solaio-parete deve essere quindi ripristinata la continuità strutturale tramite sistemi di giunzione analoghi a quelli utilizzati in fondazione, che consentano il collegamento del solaio intermedio con il pannello inferiore e superiore. Anche per tale nodo si possono usare due tipi differenti di collegamento per la trasmissione degli sforzi di taglio o di sollevamento; Per trasmettere gli sforzi di taglio dal solaio al pannello inferiore si possono utilizzare piastre angolari che lavorano a taglio oppure viti auto-foranti inserite direttamente all’estradosso del pannello. Per trasmettere gli sforzi di sollevamento dal pannello superiore al pannello inferiore si possono utilizzare gli stessi sistemi hold-down che si utilizzano in fondazione, in questo caso vanno accoppiati sopra e sotto il solaio e collegati tra di loro tramite un bullone. In alternativa possono utilizzarsi piastre passanti che collegano direttamente pannello superiore e inferiore. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e - COLLEGAMENTO PARETE-PARETE CONTINUO Le dimensioni laterali dei pannelli possono essere limitate da ragioni produttive e di trasporto, perché risulta necessario collegare in verticale più pannelli 61 - COLLEGAMENTO SOLAIO-SOLAIO Anche nel caso delle partizioni orizzontali come i solai e le coperture realizzati con pannelli di tavole incrociate, poiché questi hanno una dimensione trasversale ridotta per ragioni produttive e di trasporto, è necessario realizzare giunti trasversali tra pannello e pannello, per realizzare un diaframma orizzontale continuo di maggiori dimensioni (comportamento a lastra) e per evitare abbassamenti differenziali (comportamento a piastra). Poiché si tratta di collegamenti “a cerniera” in cui può essere trasmesso in taglio e non la flessione, la direzione di queste giunzioni è ovviamente parallela alla direzione portante principale del solaio. FIG. 9 - – Sistemi di trasmissione degli sforzi di sollevamento tra parete e solaio di tavole incrociate per realizzare una parete di una certa lunghezza. La parete finale può essere quindi composta da diversi pannelli collegati verticalmente tra di loro. I collegamenti devono essere dimensionati per trasmettere le forze di taglio che si trasmettono da un pannello all’altro in una parete sollecitata da carichi orizzontali. - COLLEGAMENTO PARETE-PARETE, D’ANGOLO Il collegamento d’angolo tra pareti ortogonali è indispensabile per garantire una maggiore robustezza all’intera costruzione. Inoltre tale vincolo può costituire un presidio per le forze fuori piano delle pareti, dovuto per esempio all’effetto del vento in pressione sulle pareti, oppure alle forze di instabilizzazione laterale. - COLLEGAMENTO PARETE-PARETE, INCROCIO Nel caso di una parete interna che interseca una parete esterna, è necessario collegare le pareti per conferire una maggiore robustezza alla costruzione ed offrire un presidio per i meccanismi fuori piano. Si possono riproporre anche in questo caso soluzioni simili a quelle già illustrate per il collegamento d’angolo. t e c n i c a FIG. 11 - – Particolari costruttivi dei collegamenti pareti-pareti, d’angolo SPERIMENTAZIONE SISMICA (PROGETTO SOFIE) Il già citato progetto SOFIE, condotto dal CNR-IVALSA (di S. Michele all’Adige, TN) in collaborazione con l’istituto NIED (National Institute for Earth Science and Disaster Prevention) di Tsukuba, Giappone, ha come scopo principale quello di analizzare il comportamento di edifici multipiano, costruiti con pannelli di legno a strati incrociati, considerando ogni singolo aspetto relativo alle prestazioni strutturali e al comfort abitativo. Come già detto in precedenza, una delle fasi del progetto prevede di sottoporre a prove dinamiche su tavola vibrante un edificio realizzato completamente con struttura XLAM, l’edificio è stato sottoposto a 7 scosse di grado 7,8 della scala Richter. Il prototipo di edificio sul quale sono stati eseguiti i test in Giappone, tra il 2006 e il 2007,ha una altezza di 7 piani ed è realizzato con pannelli lamellari di legno massiccio di e r i c o s t r u z i o n e FIG. 10 - Particolari costruttivi dei collegamenti parete-parete 62 FIG. 12 - Collegamento parete-parete, incrocio spessore variabile dai 5 ai 30 cm, ottenuti incollando strati incrociati di tavole di spessore medio di 2 cm. I pannelli vengono tagliati a seconda delle esigenze architettoniche, completi di aperture per porte, finestre e vani scala e in seguito issati e collegati tra loro in opera con angolari metallici, chiodi a rilievi tronco-conici e viti auto foranti. I pannelli sono realizzati interamente con legno proveniente dalle foreste della Valle di Fiemme e delle altre valli del Trentino. Tralasciando i dettagli delle prove, i risultati mostrano che, anche dopo aver raggiunto lo stato limite di quasi-collasso (con un terremoto corrispondente a quello di Kobe), i danni osservati erano comunque tali da consentire una riparazione dell’edificio con FIG. 13 - – Particolari costruttivi dei collegamenti solaio-solaio pochi interventi. L’edificio, al termine delle prove effettuate, è ritornato nella sua posizione originaria, senza evidenziare alcuna deformazione permanente. Gli unici danni riportati dalla struttura risultano essere la deformazione di alcune delle piastre di collegamento e delle relativi viti auto foranti, danni quindi molto lievi che consentono una riparazione economica. FIG. 14 - Edificio di7 piani sottoposto a sisma nel progetto SOFIE COMPORTAMENTO AL FUOCO DELLE STRUTTURE IN LEGNO Molti pregiudizi sull’impiego del legno sono legati alla sua capacità di bruciare fino alla totale combustione e al pericolo di crollo. Luoghi comuni che nascondono le reali capacità del legno e che non tengono conto di altri fattori. Bisogna, infatti, considerare che il rischio d’incendio è influenzato dal comportamento al fuoco dei materiali presenti nel compartimento. Per i materiali strutturali, parametro importante è la resistenza al fuoco. Il legno è un materiale combustibile, ma resistente al fuoco. In caso di incendio la resistenza meccanica non è influenzata dall’aumento di temperatura nella sezione residua. Vale a dire, il collasso strutturale avviene, non per decadimento delle caratteristiche meccaniche, ma per riduzione della sezione resistente. Il legno brucia lentamente e la carbonizzazione procede dall’esterno verso l’interno. Il processo di carbonizzazione determina la riduzione della sezione resistente. La sezione non ancora carbonizzata offre ancora resistenza meccanica, fino a quando non è talmente ridotta da non assolvere più alla funzione portante. Al contrario, l’acciaio pur essendo incombustibile, perde le sue caratteristiche di portanza già a 400 °C. Questa temperatura è raggiunta dopo 5 minuti di un incendio standard. Analogamente, il cemento armato con gli usuali copriferro (2,5 cm) cede per perdita di capacità portante delle armature soggette a fortissime dilatazioni. Il fenomeno è più evidente per il cemento armato precompresso. Di fondamentale importanza è la consapevolezza che una corretta progettazione antincendio delle strutture in legno permette di ottenere alti gradi di sicurezza globale. Si deve tenere in debito conto che tutti gli elementi strutturali devono appartenere alla stessa classe di resistenza al fuoco. È spesso preferibile sovradimensionare le sezioni di 2-3 cm per elevare, senza l’uso di trattamenti, la classe di resistenza al fuoco. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 63 FIG. 15 - Unici danni prodotti da 7 sismi di grado 7,8 della scala Richter SPERIMENTAZIONE AL FUOCO La prova al fuoco su un prototipo di edificio SOFIE di tre piani, effettuata presso il Building Research Institute di Tsukuba nel marzo 2007, ha dimostrato come la costruzione abbia la capacità di resistere ad un incendio della durata di un’ora, conservando le sue proprietà meccaniche e lasciando inalterata la FIG. 17 – Edificio in X-Lam sottoposto ad un incendio FIG. 16 - Consumo del legno durante un incendio sua struttura portante, con prestazioni del tutto paragonabili a quelle di edifici in muratura o cemento armato. Dentro una stanza di 3,5x3,5 m, si sono messi due materassi e circa 380 kg di legno a simulare il carico incendio di una camera di albergo. Le pareti erano rivestite con doppia lastra in cartongesso. La prova è durata 60 minuti. Durante l’incendio si sono raggiunti all’interno della stanza circa 1200 gradi centigradi. All’esterno della stanza non più di 20 gradi. Non c’e’ stata propagazione di fumi all’esterno della stanza e l’incendio non si è propagato al piano superiore, in quanto la facciata intonacata non ha costituito via di propagazione dell’incendio. t e c n i c a BIBLIOGRAFIA - G.Bresciani, Progettare case in legno con XLAM, Flaccovio editore,2012; - L. Calabri, Tecnologie costruttive antisismiche: i pannelli XLam BBS SISMO, Legno e Edilizia, Verona, 17 - 20 marzo 2011; - A. Ceccotti, Progettazione delle strutture di legno in zona sismica; e r i c o s t r u z i o n e 64 - A. Ceccotti, M. P. Lauriola, M. Pinna, C. Sandhaas, Cyclic Tests on Cross-Laminated Wooden Panels, SOFIE Project; - M. 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Modena, Strutture in legno, Hoepli editore, 2005; GIUSEPPE PALAZZOTTO ARCHITETTO CATANESE DEL ‘700 di Salvatore Maria Calogero Fig. 1 – Scala esterna e portale d’ingresso al palazzo Biscari ( foto in V. Librando, 1965). - Andreana Grillo - e quattro figli; il 19 novembre 1696 acquistò una casa presso il convento di Sant’Agostino, dove abitò con i figli Girolamo, Filippo e Antonino, che svolsero l’attività di “lapidum incisores”. A Catania nacque il più piccolo dei fratelli (2 gennaio 1702), Giuseppe, il quale, dopo aver lavorato nella “Casa dei Minoriti”, nel 1730 lo troviamo nella chiesa madre di Gravina per il disegno del portale d’ingresso e nel monastero di S. Nicolò l’Arena in cui, nel novembre del 1731, fu registrato il «regalo del modello fatto per la scala principale da maestro Giuseppe Palazzotto», quella esterna a pianta ottagonale con andamento concavo-convesso, rilevata nel 1789 dall’architetto Leon Dufourny prima della sua demolizione. L’architetto Giuseppe Palazzotto progettò il completamento del palazzo Biscari (fig. 1), del convento di S. Domenico, la chiesa e il monastero di S. Giuliano (fig. 2), il presbiterio della chiesa di San Placido e palazzo Valle. Il 15 maggio 1747, su richiesta dei Deputati dell’Università, fu nominato sostituto del principale Soprintendente Giovan Battista Vaccarini e, nel 1751, divenne Architetto del Senato costruendo il Palazzo degli Elefanti (fig. 3), la chiesa di S. Michele Arcangelo ai Minoriti (fig. 4) e completando alcuni edifici rimasti incompiuti dal Vaccarini (i palazzi di S. Giuliano e Villermosa); nonché molti altri edifici fuori Catania e in Calabria. Vito Librando, nella sua pubblicazione del 1963 Francesco Battaglia architetto del XVIII secolo, esordisce dicendo: «Nell’architettura del settecento a Catania, una presenza soverchiante viene riconosciuta a G. B. Vaccarini; lasciando, viceversa, quasi all’ombra i nomi di chi – primi fra tutti Francesco Battaglia e Giuseppe Palazzotto – aveva alacremente contribuito a formare quel volto della città etnea che, pur attraverso momenti travagliati, ci è giunto non troppo sfigurato». Inoltre, «E’ ancora difficile precisare quale contributo, soprattutto sino alla metà del secolo, debba riconoscersi a Giuseppe Palazzotto: certamente di gran lunga superiore e più ampio di quanto sinora è stato insufficientemente definito, e con caratteri diversi da quelli del Battaglia». Al Palazzotto, nell’800, veniva attribuita la paternità di alcuni edifici monumentali, sia di carattere religioso che civile ma, in seguito alla monografia sul Vaccarini pubblicata da Francesco Fichera, molte sue opere furono assegnate erroneamente all’architetto palermitano. Si dovette aspettare Francesco Granata e, successivamente, Guglielmo Policastro che, sfogliando gli archivi della città, e soprattutto l’archivio del municipio, scoprirono le tante opere eseguite dall’architetto Giuseppe Palazzotto. Dopo il terremoto del 1693, Francesco Palazzotto si trasferì da Messina con la moglie Fig. 2 – Chiesa e monastero di San Giuliano in via Crociferi (incisione del 1739 circa). t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 65 Fig. 3 – Facciata del palazzo degli Elefanti (incisione del 1761). Il 23 giugno 1754 morì il maggiore dei fratelli Palazzotto, Girolamo, nel frattempo diventato frate Cappuccino assumendo il nome di fra’ Liberato, che fu ricordato come «Religioso di singolar virtù» e «insignis Architectus», progettando la Cattedrale e molti edifici, fra i quali le chiese Madre di Melilli e Militello Val Catania. Giuseppe rimasto solo con le sorelle, di cui una “mentecatta”, e la madre, disegnò gli altari della chiesa e il convento di S. Agostino dove, nel frattempo viveva fra’ Antonino Palazzotto, al secolo Francesco, figlio di Filippo e l’unico nipote maschio con il cognome paterno. Infatti, l’unico nipote di Girolamo e Giuseppe Palazzotto che seguì le loro orme, diventando Architetto della Deputazione delle Strade di Catania, fu il figlio della sorella Angela e di Pasquale Serafino: Giuseppe Serafino. Nel 1756 fu chiamato dai Benedettini di S. Nicolò l’Arena, in seguito al crollo della parte nord, per accudire «in primo tempo ai molteplici lavori di rifacimento e restauro delle fabbriche della chiesa, e quindi subito alla prosecuzione di essi». In questo periodo progettò e diresse i lavori di costruzione della chiesa di S. Chiara (fig. 5), definita la gemella di quella di San Giuliano (fig. 6), e svolse il ruolo di esperto in molte chiese della diocesi catanese, fra le quali quella di Regalbuto. L’opera di Giuseppe Palazzotto è molto più ampia di quanto visto finora e ha lasciato la sua impronta nell’architettura del ‘700 a Catania. Fig. 5 – Loggia della chiesa di Santa Chiara ( foto in F. Fichera, 1934). Il 22 maggio 1764 morì Giuseppe Palazzotto e, il 29 marzo 1780, anche l’ultima sorella, Giuseppa, che nel testamento lasciò «al chierico don Filippo Neri Privitera figlio di Leonardo, ed Agata Privitera e Serafino, due ritratti di miei fratelli, cioè uno del quondam Giuseppe Palazzotto e l’altro di fra Liberato Palazzotto». Nel 2002 stati celebrati i 300 anni dalla nascita del palermitano Vaccarini, dimenticando il suo coetaneo catanese Giuseppe Palazzotto. Pertanto, sarebbe opportuno ricordarlo almeno nel 250° della sua morte. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Fig. 4 – Facciata della chiesa di San Michele Arcangelo ai Minoriti (disegno di L. Dufourny, 1789). 66 Fig. 6 – Loggia della chiesa di San Giuliano ( foto in F. Fichera, 1934). IL LUNGOMARE DEI CICLOPI É UN LUNGO ITINERARIO di Enrico Blanco La costa dei Ciclopi, ai piedi del plurimillenario Castello, presenta un lungo, mitico, itinerario accanto al mare fra lave nere e grotte che evidenziano momenti diversi di approccio del fuoco sotterraneo al verde e rigoglioso (per natura) regno di Polifemo e dei suoi giganteschi compagni, che si specchiavano nel mare blu magari tentando di stringere fra le braccia quelle sirene voluttuose e sempre sfuggenti. Tale impresa era riuscita invece a un pastorello, Aci, semplice e umile quanto si voglia, ma capace di attrarre il cuore della bella Galatea della quale (ahimè!) si era invaghito anche il nostro Polifemo. Questi, pazzo d’amore, scagliò contro Aci, uccidendolo, pezzi enormi della montagna … simili a quelli che avrebbe scagliato poi contro l’astuto Ulisse, che l’aveva accecato. Il pastorello Aci, tramutato in fiume, fu accolto in mare dalla bella Galatea. Ulisse invece, continuando il suo plurimillenario peregrinare, ha urbanizzato costa e colline introducendo nel tempo nuovi costumi di vita che, seguendo il racconto del poeta catanese Giovanni Formisano, avrebbero coinvolto anche il nostro Polifemo. Questi un giorno, dopo aver tentato inutilmente di prendere con la canna qualche pesce nel mare di Trezza, vi avrebbe lanciato “ddi quattro coccia di pricciali” in un momento “di collira e di stizza” perché, buttata l’inutile canna da pesca e recatosi a mangiare in una “putia” vicino alla scaro delle barche (‘ncozzu di pani, na cipudda, du còccia di luppini e menzu terzu di vinu susanu), era stato quasi spogliato al momento di pagare il conto. Avrebbe voluto “scancillari la terra di la Trizza …ma aveva ‘n’occhiu sulu ‘na la frunti e sbagliò mira creando li Faragghiuni. Storie leggendarie a parte, fra eruzioni sottomarine e cammini incandescenti provenienti dal Mongibello (attentamente osservati e studiati oggi da tutti i geologi del mondo), la costa dei Ciclopi ha sempre attirato gente che, fin dai remoti momenti di esistenza nelle tante grotte presenti sulla costa o nelle vicine colline, non ha mancato di popolare gli scogli cercando vie sempre più accessibili lungo il mare. Un tempo erano sentieri pedonali che in alcuni punti divenivano “alpestri” (secondo le testimonianze di secoli passati) per pescare pisci di petra, polpi, granchi, gamberi, patelle, occhi di bue …; non erano certamente stradine curate dalle Autorità ma pullulavano di frequentatori che giornalmente tentavano di renderle più sicure al calpestio aggiungendo, dove necessario, la “còcola” mancante. La più antica in questo senso fu la stradina che nacque fra gli scogli t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 67 dalla “marina” del Castello a quella di Trezza (la cui storia racconto nel mio volumetto su “L’acqua, Aci Castello e la rivolta del 1860”): prima ancora che Trezza fosse popolata, i pescatori del Castello raggiungevano giornalmente gli scogli davanti ai Faraglioni rendendo magari agevole con quotidiani interventi il cammino anche ad altri viandanti o a coloro che erano preposti alla sorveglianza contro l’avvento di barche straniere … che non per forza dovevano venire a saccheggiare le nostre coste. Quando alla fine del 1600 i Riggio popolarono Trezza, creando case, chiesa e porto (soprattutto), furono attenti anche a investire denaro per rendere transitabile la strada che da Aci Catena portava verso il porto davanti ai Faraglioni, non certo quella verso il Castello, che non apparteneva loro; solo negli anni immediatamente successivi all’unione di Trezza al Comune di Aci Castello (1829) fu creata la “strada delle marine” che unì appunto Catania e Acireale senza più inerpicarsi lungo le colline. Restò però ancora ben in vita, da Capomulini a Ognina, per gli usi antichi la viuzza che lungo gli scogli o sull’alto del costone roccioso sovrastante (con l’ausilio dei conosciutissimi “scinnituri” per recarsi già in acqua) era giornalmente popolata anche per usi di controllo “legale” di vario genere (militare, doganale, sanitario): lo fu fino alla seconda guerra mondiale in quanto le guardie di t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 68 finanza (raccontano gli anziani) giornalmente s’incontravano ai limiti comunali di tali sentieri con le pattuglie dei vicini acesi e catanesi. Erano così ancora vivi dei nomi che oggi in parte sono scomparsi: da Capomulini si andava per u Ciaramitaru, le Acque del Duca, Scaro di Trezza, Gurnazza, Olivastro, Vallone Grande, Pizzuni, Scardamiano, Scaro del Castello, Pracuzza, u Puzzu, Rutta pirciata, Praca del Castello, Scarrone di campana (l’attuale Bagnaculo), Dagalone, Punta Guzza, Acqua delle Capre, Guardiola, Salto del Corvo e Calcara Bufaria. Una volta realizzata la via delle marine, il percorso fra Trezza e Castello fu molto vicino al mare e l’antica via parallela che lambiva gli scogli fu curata solo dai pescatori; ritornò però d’attualità nel 1882 quando il parroco di Aci Trezza, sac. Cristoforo Cosentini, comprò dal Comune in cerca di soldi degli spezzoni di terreno “antenati” del percorso dell’attuale Lungomare Trezza – Castello (mai completato): Gurnazza e Olivastro (contrada Urnazza) per mq. 2861 a lire 297 e lire 963,90, Pizzone (contrada Vallone Grande) mq. 2870 per lire 1238, Scardamiano (è il nome attuale del Lungomare che si diparte dal porticciolo del Castello): mq.825 per lire 444,19. Il capitolato d’appalto ammontava a lire 4285,85 ma l’acquisto fu di lire 1.000. Il parroco avrebbe voluto costruire in qualche parte un’abitazione ma l’Intendenza di Finanza vi si oppose perché “per l’art. 63 del regolamento doganale è vietato erigere edifici lungo il lido del mare”, cioè “ quel punto ove nella stagione invernale arriva il più alto flutto”. La faccenda finì in Tribunale e andò per le lunghe finchè nel 1889 il Tribunale notificò all’Amministrazione che Olivastro (zona Lido Ciclopi), Pizzoni e Scardamiano (zone successive verso Aci Castello) costituivano “spiaggia, lido del mare, epperò beni demaniali dello Stato imprescrittibili, inalienabili…”. Furono i primi sintomi di quella ricerca di ville in riva al mare che fin a quel momento erano stati decisamente fuori dai pensieri della gente: si credeva che parecchi luoghi in riva al mare, dove c’erano ristagni d’acqua vicino alle coste, erano fonte di malattie…. Questi pensieri sarebbero presto cambiati ma il terrore per quello che vien fuori dai ristagni d’acqua vicino agli scogli oggi è divenuto di gran lunga maggiore per gli scarichi “fetenti e fitusi” di cui sono essi pieni (è atteso con ansia il collettore che li porterà verso il depuratore di Pantano d’Arci). Dal 2° dopoguerra il ruolo degli antichi sentieri sulla costa è stato occupato dai lungomare: negli anni 50 nacque, già monco, quello che avrebbe dovuto congiungere il Castello ai Faraglioni; un paio di decenni dopo cominciò ad aprirsi l’altro dal Castello a Ognina. Conosciamo le loro problematiche e sappiamo bene che non assolvono pienamente il loro compito etimologico sotto la spinta di uno sfruttamento urbanistico della costa che non è più legato alle storie di padron Ntoni e della sua famiglia, che magari nessuno conosce (se non per sentito dire) perché non ha mai letto alcuna pagina del romanzo di Giovanni Verga. Il Lungomare dei Ciclopi è nato interrotto e gli sforzi per congiungerlo fino al momento si sono dimostrati inutili. Dal lato sud del Castello il lungomare per Ognina riesce solo in alcuni punti (meno della metà del percorso) a mostrarci il mare mentre si è quasi perduta l’antica viuzza calpestabile (al limite delle antiche mura di confini poderali) che permetteva di raggiungere il mare e gli scogli per i diversi, plurisecolari usi locali. Alcuni tratti della costa sono raggiungibili solo dal mare, con le barche a remi (che, purtroppo è come se non esistano più) e manifestano ancora quella bellezza che mi piace ricordare con le parole che nel 1895 la grande attrice torinese Giacinta Pezzana inviava all’amica lontana dal suo “scoglio” accanto al Castello: passo di tanto in tanto delle giornate selvagge: si va in barca in un certo punto della scogliera ove trovansi profonde grotte formate dai colpi del mare e dal tempo nei massi di basalti, e là con pelli di montone al suolo, si dorme nelle ore calde poi si fa un bagno stupendo fra gli scogli ove l’acqua è sempre pura e fresca: poi si prepara il pasto sulle pietre che fanno da fornelli, e si fa cuocere il pesce che si è pescato nelle ore fresche dell’alba e del tramonto. Le mie toelettes in queste escursioni, sono di Parigi! Una vestaglia di tela bleu, scarpe di pelle bianca senza tacchi, ed un cappellaccio di paglia come portano i pescatori dell’Isola! Se tu mi vedessi, rideresti: quanto è preferibile una giornata di queste ad una di quelle dedicate a visite in profumati salotti in abiti di seta, passate ed esaurite in discorsi inutili e stupidi! La grandezza della Natura a fronte della piccolezza umana! La scelta non è dubbia! Non sei del mio parere? Tanto più che nei salotti mi sento malata e stupida, lì col mare fremente sotto i raggi del sole, mi sento sana e giovine! t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 69 LA CATANIA MEDIEVALE DI RENZO DI SALVATORE Redazionale Della Catania prima del terremoto del 1693 abbiamo diverse piante ed immagini, riportate da autorevoli autori, attraverso ricerche storiche e tanta fantasia. Alcune che si riferiscono al periodo precedente al terremoto del 1693. Caratterizzatada due grandi strade che dal mare vanno verso la montagna; la prima ( Luminaria o Strada Grande ) che “si partiva dalla Platea Magna (poco lontano dalle Porte Saracena e dei Canali) e giungeva alla Porta di Jaci…insino alle mura della città ed alla porta del Santo Carcere, ……attraversando i diversi rioni che si trovavano lungo e al di là della destra di detta strada”, la seconda (via Nuova e poi degli Schioppettari, oggi corrispondente alla via Crociferi) che, partendo dalla chiesa di S. Francesco, non lontano dalla Platea Magna, si esaurisce nel’attuale ingresso della Villa Cerami”. Nell’una e nell’altra, tra il settecento e l’ottocento sorgono importanti chiese e conventi, costituiti da imponenti volumi edilizi, sostenuti da preziose strutture architettoniche interne ed esterne. In esse piante vengono indicati i più importanti monumenti del tempo quali chiese, palazzi nobiliari e toponimi, ancora oggi punti di riferimento della città. Un affresco che resistette al terremoto del 1693 si trova nella Sagrestia della Cattedrale (da alcuni attribuito al Mignemi, altri a Giacinto Platania) illustra la devastante eruzione del 1669. La prima, ricostruita a volo d’uccello, ci da una visione della città murata e, nell’inseme, una immagine storicofantasiosa della città medievale, contornata dai cinque chilometri di possenti muri difensivi, fatti realizzare da Carlo V, con sette porte ed undici baluardi difensivi. In esse planimetrie non possiamo che considerare incerte le indicazioni e le immagini di strade, vicoli, chiese, conventi, palazzi pubblici ed imponenti fabbriche residenziali della nobiltà del tempo, lasciando, alla fantasia dei compilatori, i particolari dei luoghi e degli edifici così come gli angoli di città e di molti singoli fabbricati. Nella prima planimetria, fra l’altro, si riscontrano: la Cattedrale con il Palazzo del Vescovo e la Torre merlata del campanile, la Loggia (palazzo del Senato), la porta di Carlo V (della pescheria), la Chiesa S. Maria dell’Elemosina (Collegiata), il Palazzo Alvaro Paternò, la Chiesa di S. Francesco, la Piazza della Sigona (Manganelli), la Chiesa di S. Benetto e dei Padri Gesuiti, più ad ovest dell’attuale pescheria la piazza delle erbe ed in fondo alla via Nuova, oltre la Porta del Re, la chiesa di S. Agata la Vetere fuori le mura. E tanto altro ancora, ricostruito o menzionato dalla toponomastica che ci riporta alla storia prima del terremoto. (Indicazioni delle Cluverio, pag. 2) Il catanese Renzo Di Salvatore, dotato fin da giovane di naturale versatilità per il disegno, che lo spinse in giventù a frequentare con successo gli studi pittorici dei maestri Milluzzo e Longo, avendo curato ed affinato, durante la sua attività professionale, la sua predisposizione alla pittura, nella maturità volle riprendere col pennello l’innata arte pittorica paesaggistica che non aveva mai abbandonato del tutto, dedicandosi, dopo approfonditi studi e ricerche, con artistica ma realistica fantasia alla ricostruzione della Catania prima che la colata del 1669 la devastasse e che il terremoto del 1693 la distrugesse. “Dopo avere esaminato specifici testi storiografici, pubblicati nei secoli scorsi da illustri studiosi e ricercatori e, confrontando mappe e disegni tratti dalla rara documentazione superstite, ha iniziato a ricostruire con varie tecniche pittoriche l’antica Catania con la sua cinta muraria e baluardi di difesa, le porte di accesso, le chiese, le torri, facendo rivivere quella splendida città medievale e rinascimentale, come presumibilmente era prima della sua totale distruzione. Iniziativa culturale che ci riporta a quel tempo facendoci scoprire un artista dalla eccezionale bravura tecnica…”(dalla biografia di Di Salvatore). In particolare riproducendo, con visione molto vicina alla realtà, i possenti muri, le porte di accesso ed i baluardi ricavati, per ricerca storica, fantasia, ed apprezzabile tecnica pittorica, ritroviamo le immagini di uno spaccato della città mediovale che, rivelano angoli ormai inesistenti che ancora oggi sono punti toponomastici di riferimento. Rivediamo, nella interessante rassegna pittorica, i paesaggi esistenti al tempo della città pre-terremoto con i suoi volumi edilizi e le particolari strutture architettoniche, che ci riporta storicamente a quella realtà cittadina. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 70 (Indicazioni del Cluverio) Alcune delle fonti storiche esaminate dal Di Salvatore: Descrizione della Sicilia 1542 di Antonio Filoteo degli Omodei; Disegno di città Commissionato dal Vescovo Angelo Rocca nel 1584; Disegno dell’Arch. Camillo Camilliani 1584; Disegno dell’Arch. Tiburzio Spannocchi 1578; Pianta-veduta de La clarissima Città di Catania patria di S. Agatha Verg.et Mar.-Roma 1592 Pianta –veduta pubblicata ad Amsterdam nel 1598; Atlante di città e fortezze del Regno di Sicilia 1640 – Francesco Negro e Carlo Maria Ventimiglia; Diverse memorie storiche della prima metà del Seicento. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e La Platea Magna 71 Porta di Carlo V o dei Canali t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Porto Saraceno 72 Porta di Ferro t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Porta decima 73 5 Porta di Aci t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Porta del Re 74 6 Bastione degli Infetti con la vista del lago di Nicito t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Porta del Tindaro 75 IL CONVEGNO DI SICILIANTICA CONCORSO SU DECORO URBANO: MATERIALI E COLORI NEGLI EDIFICI DELLA CITTÀ Redazionale Catania vanta uno dei più preziosi Centri Storici tra le città europee, realizzato nella rapida ricostruzione della città tra il Settecento e l’Ottocento con equilibrate sagome volumetriche, concorrenti su strade larghe e diritte, dopo il terribile terremoto del 1693, che distrusse completamente la cinquecentesca città medievale. Un centro storico caratterizzato da imponenti edifici nobiliari residenziali progettati dai migliori architetti, scultori, pittori, intagliatori e maestri muratori del tempo, provenienti da ogni parte d’Italia e Spagna. Ma è anche uno dei più degradati e male utilizzati, tenuto conto della loro carente manutenzione, per il difficile loro adattamento ad usi diversi da quelli per cui vennero costruiti. Infatti si incontrano sovente notevoli difficoltà per ottenere le prescritte autorizzazioni volte a realizzare una ristrutturazione interna compatibile con le mutate necessità del tempo, e accompagnate da una variazione di destinazione d’uso. Per tale ragione molti stabili vengono abbandonati, contribuendo al degrado del paesaggio urbano oppure vengono ristrutturati abusivamente, in maniera quindi incontrollata, con un risultato estetico ancor peggiore. La Sede di Catania della prestigiosa associazione SiciliAntica, presieduta dal collega Giambattista Condorelli, che ha come programma sociale la tutela e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali della Sicilia, ha bandito un concorso per la migliore riproduzione grafica di una sequenza di facciate di edifici che si affacciano sulle principali strade cttadine, con la sottolineatura del degrado dei loro originari colori, rivolto a singoli o gruppi di lavoro costituito da giovani. Concorso che ha avuto il patrocinio del Comune di Catania, dell’Ordine degli Ingegneri, degli Architetti e dell’Accademia di Belle Arti, i cui rappresentanti Di Salvo, Cascone, Longhitano, Piccari, all’apertura dei lavori hanno portato il saluto degli Enti pubblici che rappresentano. Il concorso è stato riservato a studenti iscritti o neolaureati in Architettura, Ingegneria Edile e Accademia di Belle Arti e si è concluso con la presentazione di nove pannelli di grandi dimensioni. Le opere sono rimaste esposte, nel periodo natalizio, nella Sala Bellini del Palazzo comunale della Cultura ed il concorso ha visto t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 76 una netta prevalenza delle giovani colleghe ingegneri, che si sono aggiudicate il 1° posto con Francesca Condorelli, ed il 2° posto con Marina Brumini, mentre al 3° posto si è classificata una terna composta da Sebastiano Cucè e Rosa Caporale, dottori in Belle Arti e dall’ingegnere Alessandro Tarantino. L’obiettivo che si era prefisso SiciliAntica nel bandire il concorso era quello di accendere i riflettori sull’aspetto degradato che viene offerto in quasi tutto il Centro Storico cittadino, ma non solo in esso, anche nelle facciate di tanti edifici della città che, benchè originariamente disegnate con grande finezza spesso da ignoti progettisti della seconda metà del Settecento e dell’intero Ottocento, sono state poi deturpate dai recenti proprietari, che hanno ricolorato parte delle facciate di loro pertinenza nei colori più disparati e con materiali inadatti, sovrapponendo all’esterno elementi estranei per la climatizzazione, o parabole per la ricezione televisiva e quant’altro poteva invece essere collocato all’interno degli immancabili cortili o sulle coperture non visibili dalle strade. Ma anche quello di concorrere alla formazione culturale dei cittadini ed in particolare dei giovani, al rispetto del bello degli edifici contro il degrado delle città. Per introdurre i giovani al problema, il concorso ha fatto riferimento alla pubblicazione di un tratto di facciate di edifici realizzati nel dopo terremoto del 1693 lungo la via Etnea, pubblicate sul n. 1/2008 del periodico dell’Ordine degli Ingegneri Tecnica e Ricostruzione. I disegni realizzati dai giovani partecipanti al concorso hanno destato meraviglia in coloro che sono andati ad ammirarli, perché hanno dimostrato quanto sarebbe gradevole una sequenza di facciate di edifici cittadini, se esse venissero ricondotte alle condizioni in cui si trovavano quando vennero realizzate. I cittadini che hanno visitato la mostra si sono così resi conto della ricchezza del patrimonio architettonico di Catania, molto spesso ignorato da chi transita distrattamente lungo le strade cittadine al chiuso di un’autovettura. Si tratta di un patrimonio che, se ben tutelato, non può che stimolare la fruizione turistica della città, con conseguenti ritorni economici, oltre che, molto semplicemente, gratificare chi ci vive. Primo premio - Francesca Condorelli - Prospetto su Via Garibaldi Secondo premio - Marina Brumini - Prospetto su Via Caronda t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e Terzo premio - Sebastiano Cucè - Rosa Caporali - Alessandro Tarantino - Prospetto nord su Via Alessi 77 Alla premiazione dei vincitori del concorso è stato abbinato un breve convegno dal titolo “Quanto sarebbe bella Catania se….” che ha visto la partecipazione degli architetti Rosanna Pelleriti, responsabile del P.R.G. e della pianificazione urbanistica del Comune di Catania, Di Blasi per conto della Soprintendenza ai BB. CC. AA. Longhitano e Cascone per gli Architetti ed Ingegneri, nonché degli ingegneri Giuseppe Platania vicepresidente della nostra Fondazione, Gaetano D’Emilio culture storico e dell’ing. Lo Faro docente dell’Università di Catania. In precedenza i soci di SiciliAntica avevano percorso in lungo e in largo le strade cittadine, effettuando una Via Squillaci serie di scatti fotografici, 26 dei quali sono stati esposti alle pareti della sala Bellini, mostrando alcuni significativi esempi di imbarbarimento dei prospetti dei fabbricati antichi e moderni. Un’ultima serie di scatti fotografici hanno riguardato i temi del convegno, del quale si discute, con periodicità decennale, senza che si sia mai arrivati all’emissione di una regola scritta: il “Piano del colore”, anche se fino al 1985, esisteva un apposito ufficio comunale che autorizzava, di volta involta, in base agli artt. 36-39-45 del vecchio Regolamento edilizio i lavori di tinteggiatura, dopo avere visionato le bozze esposte. Per cui oggi che il detto ufficio non è più esistente va da se che bisogna rivolgersi agli Uffici della Soprintendenza che notoriamente rappresenta per i richiedenti preoccupazioni per le difficoltà che l’ottenimento autorizzativo comporta; per cui, sbagliando, suggerisce ai proprietari di procedere autonomamente con materiali e colori spesso inadeguati che turbano il decoro urbano.L’architetto Pelleriti ha informato dell’imminente sottomissione al Consiglio Comumale del Regolamento Edilizio, parte del più ampio e complesso Piano Regolatore Generale. Il Regolamento contiene prescrizioni relative al Decoro Urbano, che se adottate, consentirebbero di frenare il degrado denunziato dalle foto esposte alla pareti. In Via Plebiscito Via Vittorio Emanuele II Via di San Giuliano t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 78 Piazza Jolanda Piazza Stesicoro Piazza Vittorio Emanuele III Via Vittorio Emanuele II sintonia l’ing. Giuseppe Platania che, su in carico dell’Ordine, ha partecipato alla redazione del corposo documento. Più articolato l’argomento “Piano del Colore”, affrontato dall’ing. Lo Faro e quello del restauro degli antichi intonaci e della pulizia degli elementi lapidei, su cui si è espresso l’arch. Longhitano. Dai loro interventi è risultato che sarebbe riduttivo soffermarsi su una semplice tavolozza di colori, che per quanto ricca di sfumature, finirebbe per ingabbiare il progettista del recupero, limitando le sue possibilità espressive. Riguadagnare il Decoro Urbano: obiettivo quanto mai difficile da realizzare, soprattutto in un periodo di recessione economica quale quello che stiamo attraversando. Il Convegno che ha accompagnato il concorso, coinvolgendo forze culturali interessate della società, può essere l’inizio di una svolta culturale epocale, se vogliamo che Catania, per la sua storia e la sua architettura, si dia un aspetto che la metta al pari delle principali città europee. Lo sgradevole spettacolo offerto dai 26 scatti fografici esposti deve scomparire, per offrire alla vista il bello dei suoi palazzi baronali puliti ed ordinati, confortati da un clima perennemente mite, pronti a richiamare, in ogni stagione, cittadini di nuova generazione e visitatori. Alla conclusione del dibattito il Presidente della Associazione SiciliAntica ing. Giambattista Condorelli, nel ringraziare quanti hanno collaborato per la riuscita dell’iniziativa culturale e sociale ed in particolare i giovani anche non vincitori che vi hanno partecipato, ha auspicato l’inizio di una fase di cambio generazionale di mentalità, in controtendenza rispetto ad un recente passato in cui, troppo spesso, si è cercato il quanto e non il bello. t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 79 5 RIMEMBRANZE Si è spento l’ing. Matteo Arena, laureato anche in architettura, figura storica dell’architettura e dell’urbanistica catanese, lasciando un vuoto incolmabile nel mondo culturale catanese. Intellettuale di grande statura, amante del novecento, cultore pirandelliano ma anche leopardiano. “Un libero pensatore che ha lasciato alle sue spalle un interminabile stuolo di esperienze vissute con grande passione umana e professionale, testimoniata dalle sue opere prestigiose sempre intrise dell’inconfondibile tratto personale (D.Siciliano)” Instancabile lavoratore, geniale inventore dell’arte architettonica ed urbanistica, dove all’interno della professione trasfondeva le sue peculiarità, lasciandoci numerosi esempi di maestria del costruire, riconosciuti e apprezzati anche in ambiti prestigiosi come l’Università di Palermo che gli dedicò una mostra ad inizio millennio. Partecipò a grandi battaglie sociali associate spesso al suo lavoro di urbanista per la salvezza e la conservazione di patrimoni di Beni Culturali e Ambientali nazionali. Precursore delle Città Metropolitane, negli anni settanta partecipò con Piccinato alla stesura del Piano Territoriale Etneo, cui si dedicò con passione per vedere realizzata quella ordinata urbanizzazione dell’hinterland catanese. Tra alcune sue opere: il negozio Alna; la casa Mineri a Pedara; l’albergo Faraglioni di Acitrezza, la Cappella pediatrica del Policlinico di Catania; le case Manara , La Naia, Vindigni, Musumeci, il complesso alberghiero Naxos Beach; il parcheggio Teocrito; la Federfarma di Catania; il teatro Sangiorgi; il Centro Ulisse; il complesso industriale Parmon; il centro industriale Fineffe. Lascia incompiuti il P.R.G. di Taormina, il Piano Particolareggiato del Simeto, ed il contributo professionale offerto sulla vicenda urbanistica del Corso Martiri della Libertà ancora incompiuta. Recentamente era stato chiamato a far parte, quale socio onorario, dell’Istituto Nazionale di Architettura. (Redazionale - dai ricordi di Dario Siciliano). E’ venuto a mancare con grande rammarico dei familiari, degli amici e del Sindacato ingegnari docenti il collega Michele Romeo. Laureatosi nel 1951 in ingegneria Elettrotecnica presso l’Università di Padova, iniziò l’attività professionale insieme a quella di Docente negli Istituti Tecnici di Catania; con entusiasmo la prima in un periodo in cui l’attività professionale dell’ingegnere era molto richiesta e con passione la seconda. Sempre attivo e puntuale didatticamente, comprensivo e sostenitore degli allievi in ogni occasione. Professionalmente Michele Romeo si dedicò, con alta professionalità, in particolare alla progettazione edirezione dei lavori dell’edilizia convenzionata e sovvenzionata, alla impiantistica, alle consulenze tecniche, ma soprattutto con passione e competenza alla didattica nella quale sapeva essere docente amico e giudice equilibrato. Sempre disponibile alla soluzione di ogni problema che i colleghi gli prospettavano e garbato nell’esporre i suoi punti di vista in occasione di incontri professionale, collegiali scolastici o sindacali. I colleghi e gli alunni che hanno avuto la opportunità di frequentarlo lo ricorderanno con lo stesso affetto che lui aveva per essi. Gaetano D’Emilio RECENSIONI t e c n i c a e r i c o s t r u z i o n e 80
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