Il percorso costitutivo delle città metropolitane

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Il percorso costitutivo delle città
metropolitane: nascita di un ente
territoriale
Pierpaolo Forte
Abstract
Il lavoro evidenzia alcuni tratti comuni e alcune caratteristiche invece differenziate dei fenomeni di aggregazione tra enti territoriali, interpretando
gli interventi legislativi che li promuovono ed incentivano come misure
di dispiegamento del principio di cui all’art. 5 Cost. non più entro i soli
confini della Repubblica, ma nell’ambito della appartenenza all’Unione
europea. Ciò suggerisce uno sguardo favorevole sulla legge 56/2014, anche dove essa, riferendosi all’organizzazione interna della Città metropolitana, presenta profili di possibile violazione dell’art. 114 Cost. L’Autore propone di appellarsi al principio di effettività, e di considerare la
legge 56/2014 un ragionevole intervento sostitutivo, giustificato da più di
vent’anni di sostanziale inerzia, e tuttavia cedevole, poiché rimette alle
realtà locali la scelta dell’assetto definitivo. L’operazione in corso consiste
nella progressiva solidificazione di un vero e proprio ente territoriale, e
va dunque affrontata da subito, concentrandosi sull’elaborazione dello
statuto: un percorso complesso che richiede l’attiva partecipazione di tutti
i livelli di governo e di legislazione della Repubblica, oltre che l’attivazione
di alcuni strumenti di origine europea.
1. Caratteri dei fenomeni aggregativi
I fenomeni di aggregazione tra enti territoriali hanno probabilmente alcuni moventi comuni e caratteristiche invece differenziate1.
I moventi comuni sono abbastanza conosciuti e studiati da diversi punti di vista; l’unione che fa la forza può essere considerata una natura-
(1) Ho cercato di analizzare più diffusamente questi elementi in P. Forte, Aggregazioni pubbliche locali. Forme associative nel governo e nell’amministrazione tra autonomia politica, territorialità e governance, Milano, 2012, cui si permetta il rimando.
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le tendenza umana connessa alla collaborazione utile2, e forse per questo funziona un po’ in tutte le aggregazioni giuridiche di tipo stabile o
quantomeno durature: per governare un processo produttivo di beni o
servizi, o una comunità stanziale di varia ampiezza, per attenuare i costi fissi dell’impiego delle energie, e al contempo per aumentare le forze utili, che consistano in investimenti, in capitale economico o umano,
e per distribuire i rischi di perdite, ripartendoli e diminuendoli dunque
per ciascuno; per ridurre i costi di transazione, quegli oneri connessi alla necessità del consenso che, spesso, se eccessivi portano a compromessi talmente riduttivi da diminuire la qualità o l’efficacia o l’efficienza di una decisione3.
Il mettersi insieme non ha solo conseguenze benefiche; è evidente che
chi si aggrega cede quote di capacità decisionale all’associato, e ciò può
rendere più ostico il processo decisionale, al punto che, talvolta, proprio questo è ritenuto un costo spropositato rispetto ai potenziali vantaggi. Ed è evidente che questa inclinazione coesiste con quella esattamente opposta, quella a contrapporsi; spesso, anzi, l’associazione è
(2) Ed anzi, a parere di M.A. Novak, Five rules for the evolution in cooperation, in Science, 2006,
pp. 1560, la cooperazione potrebbe essere qualificata come uno dei grandi fattori dell’evoluzione umana, insieme alle mutazioni ed alla selezione naturale. Secondo F. Facchini, Le sfide dell’evoluzione, Milano, 2008, spec. pp. 160 ss., “l’evoluzione diventa costruttiva in forza della cooperazione”. E perciò, all’inverso, nelle società contemporanee, “fare da soli è un presupposto per
l’estinzione”: così J. Rifkin, Il sogno europeo, trad. it., Milano, 2004, p. 12.
(3) Sul cd. Teorema di Coase (R.H. Coase, The Problem of Social Cost, in Journal of Law and
Economics, 1960, pp. 1 ss.), che considera fortemente i costi di transazione, cfr. G.J Stigler, The
Theory of Price, New York, 1966; più recentemente, si possono forse spiegare proprio in termini
di riduzione dei costi transattivi i notevoli risultati delle ricerche che applicano rilevazioni macroeconomiche ai sistemi di governo: cfr. T. Persson – G. Tabellini, The Economic Effects of Constitutions, Cambridge MA, 2003, una cui conclusione è che “le regole elettorali esercitano una
forte influenza sulla politica fiscale. Elezioni maggioritarie inducono governi più ristretti, sistemi di welfare e deficit più ridotti. Questi effetti costituzionali non solo sono statisticamente significativi e robusti. Essi sono anche quantitativamente rilevanti. Per un paese prelevato a caso
dal nostro campione – e per un periodo sufficientemente lungo da trascurare gli effetti di transizione – una riforma costituzionale [del sistema elettorale – NDT] dal proporzionale al maggioritario riduce la dimensione della spesa del governo centrale del 4-5% del PIL, la dimensione del welfare e dei programmi sociali e di protezione del 2-3% del PIL, e il deficit di bilancio
dell’1-2% del PIL” (ibidem, 150, traduzione mia); per un recente commento italiano, si veda G.
di Plinio, Costituzione e scienza economica, in Aa.Vv., Scritti in Onore di Giuseppe Palma, Napoli, 2011, III, pp.153 ss.; per una diversa impostazione relativa alle transattività nelle decisioni
pubbliche, incentrata sul logrolling, ovvero lo “scambio dei voti”, cfr. J.M. Buchanan – G. Tullock,
Il calcolo del consenso. Fondamenti logici della democrazia costituzionale, tr. it. Bologna, 1998.
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motivata, mossa dalla contrapposizione: ci si associa per rendersi più
forti di altri, per dominare, resistere o sopravvivere in un sistema concorrenziale4, concorsuale o elettorale, per affrontare, combattere e sgominare forze ritenute concorrenti, avverse, nemiche, o semplicemente
altre da sé.
La coesistenza di queste due tendenze disgiuntive perciò fa considerare anche il moto reciproco: ci si oppone all’associazione, ci si contrappone per rimanere se stessi, per preservare un’identità che si teme di perdere o di diluire, di alterare; ci si contrappone nel ricordo di
episodi del passato, tanto dolorosi da essere tramandati anche a gran
distanza di tempo, di generazione in generazione, al punto che spesso l’episodio scatenante è dimenticato o sbiadito nella memoria, facendosi incerto e scontornato, e ciò nonostante la contrapposizione di
cui è stato causa permane forte e pressoché istintiva; ci si contrappone anche solo per essere troppo vicini, confinanti, finitimi, forse per
la lunga abitudine a dover lottare per le medesime, insufficienti risorse, o forse perché la vicinanza in sé è, a volte, causa di dissapori, incomprensioni, odii, per lo stesso motivo per cui essa facilita o è conseguenza di amori, affetti, amicizie.
Insomma, dove c’è spinta per l’associazione, dove ve ne sarebbe gradimento, ragione o convenienza, v’è in agguato anche un vettore di contrapposizione, una sorta di attrito che sembra ineliminabile, come per
ogni forza che muove nell’aria o in condizioni di gravità5.
(4) Per una applicazione della teoria dei giochi alla combinazione tra competizione e cooperazione cfr. B. J. Nalebuff – A. M. Brandemburger, Co-opetition, London, 2003. Per un approccio
letterario, cfr. I. Calvino, Il cavaliere inesistente, Milano, ed. 2002, p. 41: “il combattere a fianco d’un compagno è una cosa ben più bella che il combattere da solo: ci si incoraggia e conforta, e il sentimento dell’avere un nemico e quello dell’avere un amico si fondono in un medesimo calore”.
(5) L’assunto ha anche fondamenti filosofici, se si considera la ben nota metafora kantiana della colomba che “mentre nel libero volo fende l’aria di cui sente la resistenza, potrebbe immaginare che le riuscirebbe assai meglio volare nello spazio vuoto di aria” (I. Kant, Critica della
ragion pura, tr. it. Roma-Bari, 2000, p. 38), resistenza che, però, allo stesso tempo – si nota oggi – le consente di volare: cfr. M. Ferraris, Ricostruire la decostruzione, Milano, 2010, p. 27; si
veda anche la tesi di A. Margalit, On Compromise and Rotten Compromises, Princeton, 2009,
p. 12, secondo il quale, nonostante che sia per lo più trascurato dalla “teoria ideale” filosofica,
“eliminare il compromesso dalla teoria morale è come ignorare l’attrito dalla fisica, perché cosa da tecnici” (trad. mia).
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2. Rilevanza delle differenze nei livelli di governo locale
Se questi possono essere considerati fattori comuni di ogni processo
aggregativo, poi ciascuno di essi può avere proprie peculiarità a seconda del tipo di associazione o dei soggetti che si aggregano; per ciò
che attiene all’autonomia locale, il riconoscimento delle Città metropolitane dapprima con legge ordinaria, ed oggi con l’esplicita menzione costituzionale, mi sembra attesti, anzitutto, un assunto di carattere dogmatico tutt’altro che scontato nella storia delle conoscenze che
la riguardano: è stata un’esplicita e definitiva ammissione che il “livello locale” di governo non è un fenomeno unico, le entità che lo compongono sono invece differenziate, e dunque richiedono trattamenti
giuridici differenti6.
Questo, si può dire, è un primo punto che può essere sistemato: la disciplina delle istituzioni territoriali locali che differenzia non solo i livelli
(regionale, intermedio, vasto, locale), ma anche gli assetti all’interno del
medesimo livello, non trova ostacolo in ragione di alcuno dei principi
costituzionali, ed in particolar modo di quello di uguaglianza.
È infatti questo uno degli argomenti che, mi sembra di poter dire, si può
ricavare dal tipo di dibattito in corso in ordine al diverso modo con cui
operazioni diverse apparentemente accomunate dall’intento aggregatorio, quelle che riguardano i Comuni minori o quelli maggiori, ovvero ancora quelli di dimensione media, sono tuttavia differenziate, perché evidentemente sono almeno in parte diverse. Ed analogo discorso può farsi
in ordine alle necessità di governo dell’area vasta, poiché possono esse-
(6) Lo notano bene, a proposito della Città metropolitana, A. Brancasi, P. Caretti, Il sistema dell’autonomia locale tra esigenze di riforma e spinte conservatrici: il caso della Città metropolitana, in Aa.
Vv., Scritti in onore di Giuseppe Palma, Torino, 2012, I, pp. 546 s.; l’uniformità della disciplina giuridica del governo locale in Italia, in realtà, era discussa pure prima della sua decostruzione formale,
dai più riconosciuta nell’art. 3 della legge n. 142/1990: cfr. la ampia disamina di G. Palma, Indirizzo
politico statale e autonomia comunale: tratti di una parabola concettuale, Napoli, 1982, e, per l’epoca successiva all’avvento delle Regioni a statuto ordinario, F. Merloni, V. Santantonio, L. Torchia, Le
funzioni del governo locale in Italia, Milano, 1988; più di recente, si veda G. Melis, Introduzione: le
trasformazioni del reticolo amministrativo nel Novecento: dalle Province alle «reti», in M. Cammelli (a
cura di), Territorialità e delocalizzazione nel governo locale, Bologna, 2007, pp. 123 ss.. Parla al proposito di “uniformità formale” ed “eterogeneità sostanziale” B. dente, Il governo locale, in G. freddi (a
cura di), Scienza dell’amministrazione e analisi delle politiche pubbliche, Roma, 1989, pp. 125 s.; L.
Vandelli, Il Governo locale, Bologna, 2000, p. 9, nota che quella del governo locale si presenta come
una realtà “la più diversificata e sostanzialmente eterogenea”.
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re affrontate in termini differenziati a seconda che essa consista o meno
in un agglomerato urbano già densamente popolato ed interconnesso.
Se non si concorda su questo assunto, ovvero che il diverso trattamento
riservato a queste differenti situazioni è non solo compatibile, ma persino coerente con una concezione non solo formale ma anche sostanziale dell’uguaglianza, le operazioni degli ultimi anni, e soprattutto l’ultima recata dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, saranno destinate ad essere
inibite da una fin troppo scontata pronuncia della Corte costituzionale.
3. Autonomia politica, adeguatezza e sviluppo locale
Ma è sperabile che ciò possa non accadere, sia per quanto si è notato,
sia per un ulteriore argomento, ancora più complesso, che attiene alla
essenza stessa del concetto di autonomia locale, che è relazionale, relativo, non assoluto, è costruito in misura d’altro, immerso nella convivenza e nella relazione con altri: l’autonomia di qualcuno funziona se
da altri è riconosciuta e, in fin dei conti, in ragione di altri si misura7.
Se le istituzioni locali sono chiamate ad affrontare ambiti d’azione ristretti, questioni minori, assetti della vita comunitaria più vicini all’amministrazione, ad un’ordinaria, stabile e continua gestione dell’esistente, allora le
“funzioni fondamentali” di un’autonomia così intesa potranno riconoscersi ad ogni Comune, di qualunque dimensione, perché qualunque sia la
sua entità potrà esservi adeguato8, e dunque l’autonomia di ognuno di
(7) “L’avvento dello Stato pluriclasse ha segnato […] la formazione di una pluralità di pubblici poteri: nessuno di essi vive isolato, né agisce solitario, ma cerca accordi con altri pubblici poteri, e li
pone in essere, perché così facendo afferma se stesso come pubblico potere”: così M. S. Giannini,
Diritto amministrativo, Milano, 1988, II, p. 424; parla di autonomia come “concetto interrelazionale” G. Sala, Sui caratteri dell’amministrazione comunale e provinciale dopo la riforma del titolo V
della Costituzione, ne Le Regioni, 2004, 1, p. 17; a sua volta, da ultimo, M. Cammelli, Le società strumentali nelle Fondazioni: note introduttive, in Aedon, n. 1/2009, afferma che “l’autonomia non è
un “in sé” definito, astratto e monistico: è, al contrario, un principio informatore di sistemi plurimi.
È una modalità relazionale, non una condizione di isolamento o di solitudine”.
(8) G. Sala, Sui caratteri dell’amministrazione comunale e provinciale cit., p. 22; ritiene che solo sulle “tre sub-materie elencate alla lettera p) del 2° comma dell’art. 117” si possano rinvenire i tratti unitari dell’ordinamento degli enti locali. F. Merloni, Il destino dell’ordinamento degli
enti locali (e del relativo Testo unico) nel nuovo titolo V della Costituzione, ne Le Regioni, 2002,
2-3, p. 415. Vale tuttavia notare come anche in confronto a semplici adempimenti amministrativi i piccoli Comuni si possono trovare in seria difficoltà, e così (anche) si spiega la disposizione dell’art. 11, c. 3, della legge 18 giugno 2009, n. 69: “Nel caso in cui ai Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti siano richiesti da qualsiasi pubblica amministrazione atti, documenti,
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essi, a prescindere dalla dimensione o da altre variabili differenziali, deve
essere preservata in termini uguali a quelli di ogni altro.
Ma se invece si intende l’autonomia di una collettività locale come politica, se cioè il governo locale viene chiamato a potestà decisionali rivolte alle trasformazioni, alle innovazioni, ai cambiamenti, a tutto ciò che,
in una ambigua parola, potremmo definire sviluppo locale, ogni entità
istituzionale che deve interpretare questa parte deve poter contare su
forze che glielo consentano; ed allora l’omogeneità non è assicurabile
per legge, per il semplice motivo che più piccoli sono gli enti maggiori sapranno le probabilità della loro inadeguatezza ad affrontare quegli
impegni, più ambiziose sono le mire innovative, più complesse e impegnative sono le politiche, e altrettanta deve essere la forza politica che
le sorregge e dunque, per questi impegni, l’adeguatezza – più che la
sussidiarietà9 – gioca un ruolo imprescindibile10.
4. Rilevanza degli elementi territoriali
Le energie che consentono questo tipo di autonomia politica sono, oggi più che mai, quelle del territorio, il quale, in questa logica, impone
le sue vocazioni11 insieme alle sue complicazioni, nel senso che occorre tener presente l’effettivo stato del territorio, le sue caratteristiche, i
suoi fattori12.
provvedimenti, copia degli stessi, dati, rilevazioni statistiche e informazioni che siano o debbano essere già nella disponibilità di altri enti pubblici, gli uffici comunali di riferimento sono tenuti unicamente ad indicare presso quali enti, amministrazioni o uffici siano disponibili gli atti, i
dati o le informazioni loro richieste, senza che tale procedura comporti alcuna penalizzazione”.
(9) A meno che non si intenda che questo concetto abbia un suo “significato sostanziale”, come sostenuto da P. Caretti, Le funzioni amministrative tra Stato, Regioni e autonomie locali, in
Id., Stato, Regioni, enti locali tra innovazione e continuità. Scritti sulla riforma del Titolo V della Costituzione, Torino, 2003, pp. 19 s., che guardando “alle finalità da perseguire”, abbia implicito il sistema dell’adeguatezza.
(10) R. Bin, La funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, ne Le Regioni, 2,
2002, p. 370; A. Scheda, Servizi dei piccoli Comuni: gestione associata obbligatoria tramite convenzione o unione di Comuni, in Fin. loc., 2010, pp. 56 ss..
(11) G. De Rita – A. Bonomi (a cura di), Manifesto per lo sviluppo locale, Torino, 1998.
(12) Cfr. l’importante studio di E. Carloni, Lo Stato differenziato. Contributo allo studio dei principi di uniformità e differenziazione, Torino, 2004, passim; vale anche ricordare che, di recente,
la Corte costituzionale ha avuto modo di ribadire, implicitamente, il legame tra territorio fisico
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La località del territorio ha in effetti una sua propria collocazione all’interno dell’assunto della dimensione relazionale che è propria della
struttura dell’entità politica, e per questa via influisce sulla definizione dell’ente, sulla sua percezione e sulle sue capacità operative in senso politico: l’autonomia degli enti territoriali, nel vigente ordinamento,
è in realtà autonomia delle comunità locali, organizzata in entità istituzionali13.
Un Comune piccolissimo, piccolo o medio-piccolo, salve eccezioni, non
ha territorio, finanze, organizzazione, personale, risorse professionali,
conoscenze, persino capacità di controllarsi14, a sufficienza per sostenere una dignitosa interlocuzione, con bastante peso politico ed affidabilità, nelle relazioni con gli altri enti politici, i soggetti imprenditoriali e
sociali, e dunque sia in senso orizzontale che verticale; spesso non gode di capacità esponenziale di peso tale da essere in grado di calare le
proprie carte sui tavoli dove si devono assumere decisioni strategiche
e programmatorie, quelli del dialogo politico ed istituzionale, che frequentemente generano, ormai, accordi di ogni tipo.
I Comuni piccoli e piccolissimi per lo più sono organizzazioni che a
stento riescono ad erogare servizi di base e il più delle volte lo fanno
con risorse che non saranno mai integralmente proprie, perché la grandezza della popolazione, il reddito prodotto in sede locale, la base economica, finanziaria, fiscale, organizzativa e strutturale dalla quale prelevare le poliedriche forze con cui far fronte alle esigenze della cosiddetta
autonomia, difficilmente saranno sufficienti a causa del bacino ristretto
e Comunità: si veda la sent. 9 giugno 2010, n. 214, la quale afferma che la modifica delle circoscrizioni comunali (e cioè del territorio) non può essere realizzata in assenza dei requisiti richiesti dall’art. 133, secondo comma Cost., ovvero la legge regionale ed il referendum consultivo.
(13) G. Rolla, L’autonomia delle collettività territoriali, Milano, 2008, p. 44: “l’autonomia delle
Comunità territoriali, in definitiva, può essere considerata il particolare modo di organizzarsi sul
territorio di una determinata Comunità”.
(14) La difficoltà è stata evidenziata a chiare lettere, e per dati, già dalla Relazione sul funzionamento dei controlli interni negli enti locali per il 2002, approvata con Deliberazione della Corte dei
conti, sez. autonomie locali, n. 8/2003, in www.corteconti.it, che testualmente indica che “non possono essere ignorate, infatti, le difficoltà attuative che derivano dallo stesso sistema dei controlli interni concepito dal legislatore in modo unitario per tutte le realtà locali, non tanto per la qualità intrinseca dello stesso, quanto per la sua effettiva applicabilità a tutti i Comuni la cui numerosità ed
eterogeneità impone una particolare flessibilità di attuazione del sistema delineato dal legislatore”.
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su cui lavorare15. Ma è soprattutto la qualità ed il peso della loro autonomia che è debole, e diventa del tutto insufficiente allorché essi debbano
farsi produttori, e non meri distributori, di politiche di governo locale16.
Ma se poi si concorda sul valore vero dell’elemento territoriale nello stesso
concetto dell’ente – territoriale, appunto – locale, sarà abbastanza agevole
arguire che, nella sua tendenza ad essere rappresentativo di una comunità
locale, l’ente pubblico vi sia immerso dentro, e abbia naturalmente bisogno
degli apporti di tutte le componenti attive, utili ed adeguate del proprio territorio, non solo perché, spesso, senza di esse non è in grado di dare concreta attuazione a politiche locali, ma anche perché altrettanto spesso esse
rappresentano un patrimonio di conoscenze ed esperienze che contribuisce a costituire il livello qualitativo del fenomeno sociale comunitario, delle
politiche che si possono sviluppare a partire dal territorio e a suo favore17.
Il tessuto territoriale delle imprese18, delle organizzazioni sindacali e di
categoria, delle Università e dei centri di ricerca e formazione19, dei cen-
(15) Il rapporto anci I numeri dei Piccoli Comuni, in www.anci.it, propone alcuni semplici indicatori di autonomia tributaria, di autonomia finanziaria, di dipendenza da entrate trasferite, di rigidità da spesa per il personale; i calcoli ivi proposti dimostrano in forma evidente l’inversa proporzione tra dimensione demografica ed autonomia tributaria e finanziaria, ed il forte
livello di dipendenza da risorse trasferite. Insomma, più piccolo è il Comune, più è dipendente
da altri per la propria vita finanziaria.
(16) Del resto, già M.S. Giannini, Il Comune, in Id. (a cura di), I Comuni, Venezia, 1967, p. 44,
dimostrava che in fatto l’autonomia, in termini politici, fosse prerogativa dei Comuni maggiori.
(17) Nelle scienze politiche, si è notato come il concetto stesso di governo, inteso in senso classico, se applicato alla dimensione locale tende a divenire “desueto a causa della interdipendenza fra i diversi livelli, la trasformazione della scala spaziale e la moltiplicazione delle reti che attraversano un’autorità locale”: così P. Le Galés, Du governement des villes à la governance urbane, in Revue française de Science politique, 1995, p. 609, cit. da D. Della Porta, La politica locale. Potere, istituzioni e attori tra centro e periferia, Bologna, 2006, p. 271.
(18) G. Razzano, Il Consiglio di Stato, il principio di sussidiarietà orizzontale e le imprese, in Giur.
It., 2004, p. 4. Va rammentato che, nel descrivere lo Stato come istituzione di istituzioni, Santi Romano, L’ordinamento giuridico, Firenze, 1951, p. 38, portava ad esempio delle sue componenti le
Province, i Comuni ma anche «le scuole, le accademie, gli stabilimenti di ogni genere».
(19) Lo sviluppo e la diffusione della conoscenza, per quanto possano produrre ciò che gli economisti chiamano spesso capitale umano anche quando riferito alla dotazione di un territorio,
(B. Loasby, Knowledge, institutions and evolution in economics, London, 1999), sono decisivi
più che altro se producono abilità utili per i cambiamenti e gli adattamenti, o “preferenze di ordine superiore”: A. Sen, Capability and well-being, in A. Sen – M. Nussbaum, The Quality of life,
Oxford, 1997. Si vedano anche I. Nonaka – R. Toyama, L’impresa che crea conoscenza, in Sviluppo e organizzazione, 2003, p. 197.
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tri culturali20, delle organizzazioni esperte nei servizi alla persona, delle
rappresentanze di interessi rilevanti, è una vera e propria leva delle politiche locali, affiancandosi (e potendo potenziarli) ai fattori fisico-spaziali del territorio: quelli ambientali, paesaggistici, gli spazi pubblici e di
relazione urbana, e più in generale le infrastrutture, le reti e le relazioni che connotano ogni territorio inteso in senso materiale e sociale21, le
dotazioni di conoscenza diffusa o comunque utilizzabile22.
Per esercitare, quindi, funzioni politiche proprie, e per riconoscere ef-
(20) Dopo decenni in cui si è ritenuto che la relazione fra dimensioni culturale ed economica fosse essenzialmente dovuta ai soli impatti turistici, e dunque ad una funzione strumentale
dei prodotti culturali, con effetti tuttavia densi di controindicazioni, comincia ad essere chiaro
quanto la produzione culturale sia centrale per le condizioni di sviluppo economico e sociale
di medio e lungo periodo; gli studi degli effetti sulla crescita del capitale umano dei territori sono ormai risalenti e solidi, come la consapevolezza della sua rilevanza per un sistema produttivo: ad es., si veda R. Putnam, Making democracy work: Civic tradition in modern Italy, Princeton, 1993; L. Guiso, P. Sapienza, L. Zingales, Does Culture Affects Economic Outcomes?, in Journal
of Economic Perspectives, 2006, n. 2, pp. 23 ss.; G. De Blasio, P. Sestito, Il capitale sociale. Che
cos’è e cosa spiega, Roma, 2011. Ma più in generale appare sempre più chiara la cosiddetta “culturalizzazione” della vita economica e dei processi identitari, e persino famigerato è il concetto
di capabilities: S. Lash, J. Urry, Economies of Signs and Space, Thousand Oaks, CA, 1994; G.A.
Akerlof, R.E. Kranton, Economics and Identity, in The Quartely Journal of Economics, 2000, 715
ss.; D. Lewis, D. Bridger, The Soul of the New Consumer: Authenticity. What We Buy and Why in
the New Economy, Londra, 2000; A. Sen, Commodities and Capabilities, Oxford, 1985; Id., Development as Freedom, New York, 1999, tr. it. Libertà è sviluppo. Perché non c’è crescita senza
democrazia, Milano, 2000.
(21) Parla di “potenti reticoli, insiemi di istituzioni di solidarietà, gruppi sociali distintivi, territori fisici, luoghi di interazioni primarie, unità simboliche, mercati, e habitat naturali” I. Katnelson,
City Trenches. Urban Politics and the Patterning of Class in the United States, Chicago, 1981, citato da M. della Porta, La politica locale, cit., p. 17. Per un approccio “territorialista” nell’urbanistica, A. Magnaghi (a cura di), Scenari strategici. Visioni identitarie per il progetto di territorio,
Firenze, 2007, spec. pp. 11 s.; rilevante al proposito l’approccio della cd. Actor-Network-Theory (ANT), che si propone di considerare nel fenomeno sociale anche gli elementi non umani:
cfr. B. Latour, Reassembling the Social: An Introduction to Actor-Network-Theory, Oxford, 2005;
ciò va perciò ben oltre la capacità di intervento pubblico sulla “porzione della crosta terrestre”
di cui parla A. Predieri, La curva e il diritto. La linearità del potere, l’eversione barocca, Milano, 2003, p. 30.
(22) “I partenariati se ben congegnati svolgono nei confronti dello sviluppo locale il classico
luogo coperto dalle così dette economie esterne ambientali, vale a dire di riduttori di incertezza, di stabilità istituzionale, di abbattimento dei costi di informazione e, più in generale, dei costi di transazione”: così D. Cersosimo, Sullo sviluppo partecipato: una rassegna di temi e posizioni, in Id. (a cura di), Il partenariato socioeconomico nei progetti integrati territoriali, Formez,
Roma, s.d. (ma 2003), 100. Sulla c.d. conoscenza sociale, distribuita e condivisa, non scarsa, non
divisibile, non escludibile e soprattutto non strumentale, e sul suo valore di dote strutturale per
lo sviluppo cfr. E. Rullani, Economia della conoscenza, Roma, 2004.
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fettivamente (e non solo a parole) in ciò ad ogni Istituzione locale la essenza storica di ente di governo delle rispettive collettività, tale che questo possa divenire il suo nocciolo ininculcabile ed incomprimibile23, la
“cellula staminale” del “genoma della democrazia costituzionale”24, occorre riconoscere che esso ha bisogno di una struttura, una dimensione
e, in conseguenza, capacità adeguate.
Questi ed altri motivi25 ci fanno assumere che gli interventi legislativi
che promuovono ed incentivano le aggregazioni tra enti locali, e persino quelli che la impongono – per quanto le imposizioni in questa materia funzionino –, dopo anni di esortazioni e (blandi) incentivi a conseguire spontaneamente, per proprie mosse dei medesimi enti, il risultato,
non si pongono in contrasto per ciò solo con la Costituzione, poiché anzi possono essere letti come misure di dispiegamento del principio autonomistico di cui all’art. 5 Cost., e non presentano, in linea di principio,
problemi nemmeno con l’art. 3 Cost., poiché quella disposizione richiede
trattamenti differenziati per situazioni che si presentino come differenti26.
(23) V. Cerulli Irelli, Il nuovo assetto dell’amministrazione, in Aa. Vv., L’attuazione del titolo V della Costituzione, atti del L convegno di studi di Scienza dell’amministrazione, Milano, 2005, p. 189.
(24) Così, molto efficacemente, G. Palma, Il comparto autonomistico locale nel genoma della
democrazia istituzionale, in G. Palma (a cura di), Lezioni, Napoli, 2009, pp. 993 ss.
(25) Si consenta ancora il rinvio a P. Forte, Aggregazioni pubbliche locali cit., passim, per una
più compiuta ed ampia rassegna.
(26) Il dibattito sulla antinomia tra autonomia e uguaglianza ha ripreso tono proprio in occasione
della riforma costituzionale del Titolo V: cfr., ad es., F. Pizzetti, La ricerca del giusto equilibrio tra
uniformità e differenza: il problematico rapporto tra il progetto originario della Costituzione del
1948 e il progetto ispiratore della riforma costituzionale del 2001, ne Le Regioni, 2003, p. 599. Le
evidenti differenze tra i Comuni derivanti dalle loro diverse dimensioni si sono poi riversate sulle
difficoltà tecniche ad individuare, con la precisione richiesta dal principio di adeguatezza, in cosa
consistano le loro “funzioni fondamentali”. Si ebbe occasione di rimarcare il tema, all’immediato ridosso della modifica costituzionale, in P. Forte, Il “nuovo” problema delle funzioni locali, in F.
Bencardino, M. Paradiso, R. Santucci, L. Zoppoli (a cura di), Nuova costituzione federale e sviluppo
locale nel Mezzogiorno. Atti del convegno di Benevento 9-10 marzo 2001, Milano, 2002, p. 213. Il
“rovo terminologico” della riforma (l’espressione è di R. Bin, Il nuovo titolo V: cinque interrogativi
(e cinque risposte) su sussidiarietà e funzioni amministrative, in Forum dei “Quaderni costituzionali”, www.associazionedeicostituzionalisti.it), ha dato vita ad un intensissimo dibattito; solo tra
altri, si vedano G. Falcon, Funzioni amministrative ed enti locali nei nuovi artt. 118 e 117 della
Costituzione, ne Le Regioni, 2002, p. 393, che registra “l’eliminazione di qualunque titolarità costituzionale” di funzioni amministrative, per cui “ciascun ente sarà titolare esattamente delle funzioni
che gli competono”; a sua volta, S. Mangiameli, L’autonomia locale nel disegno della riforma costituzionale, in Id., La riforma del regionalismo italiano, Torino, 2002, p. 254, ne trae la conclusione
SAGGI E ARTICOLI
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5. Moventi delle spinte aggregative
Questi argomenti ci fanno infine considerare che le pressioni aggregative così evidenti negli ultimi anni trovano nella necessità di contenimento della spesa solo la parte più immediata, urgente del loro movente,
che ha invece una ben maggiore consistenza se lo si guarda in termini
più remoti, storicamente più larghi. Il tema è molto ampio, e si scuserà
se qui viene solo accennato, poiché riguarda, a dirla in breve, due fenomeni macroscopici e probabilmente interconnessi, che vanno sotto i
nomi di globalizzazione e forme di governo multilivello.
Intendo dire che ci troviamo – è abbastanza evidente – nel bel mezzo di
un percorso in cui il combinato effetto di quei due fenomeni sta producendo, sotto la apparente spinta di esigenze economiche e finanziarie,
un lento ma probabilmente inesorabile riassetto delle forme con cui è
organizzata quella irrinunciabile funzione pubblica che chiamiamo governo, la cui direzione essenziale sembra quella che va alla ricerca della costituzione – nel caso degli enti di governo minori – o al rafforzamento – per quelli maggiori – della loro consistenza politica, nei termini che abbiamo sinteticamente descritto poc’anzi. I Comuni più piccoli
sono spinti a costituire centri decisionali maggiori, quelli più grandi sono chiamati a confluire con altri in dimensioni metropolitane, il livello
provinciale viene investito da questo complesso addensamento fino a
consentire la discussione circa la sua soppressione.
A me sembra possibile affermare che ciò sia dovuto anche ad una sorta
di meccanismo di tiraggio conseguente al progressivo rafforzamento dei
poteri politici, amministrativi e giurisdizionali degli organi europei, che
tende a spostare verso l’alto il baricentro del sistema multilivello di governo, verso necessità di luoghi decisionali più ampi (e cioè, per le ragioni anzidette, politicamente più forti), scompaginando il disegno istituzionale che, nel 1948, era stato pensato in termini e a dimensione nazionali.
Insomma, mi sembra di poter dire che i moti che stiamo osservando in
che “il nuovo disegno delle autonomie locali appare costituzionalmente non definito”; si vedano
anche A. D’ Atena, L’allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della
Corte costituzionale, in Giur. cost., 2003, E. Follieri, Le funzioni amministrative nel nuovo Titolo V
della parte seconda della Costituzione, ne Le Regioni n. 2-3, 2003, e P. Urbani, L’allocazione delle
funzioni amministrative secondo il titolo V della Costituzione: una prima lettura, in S.Gambino (a
cura di), Il nuovo ordinamento regionale, Milano, 2003, pp. 85 s..
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ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO 2.2014
questi anni, altro non sono che la ristrutturazione del fenomeno dell’autonomia locale dell’art. 5 Cost. non più entro i soli confini della Repubblica,
ma nell’ambito della nostra appartenenza all’Unione europea.
E se ciò fosse vero, viene facile preconizzare che ci dobbiamo preparare a studiare e discutere, a breve, anche il riassetto del sistema regionale, che non potrà rimanere indenne dagli effetti di questo fenomeno,
ed anzi è prevedibile venga investito in termini rilevanti dalla presenza
delle Città metropolitane.
6. Fondamenti costituzionali dell’autonomia organizzativa locale
Più immediatamente, però, questa ipotesi si aggiunge a spingerci ad
una sorta di sguardo favorevole sulla legge 56/2014, ed a cercare soluzioni ed interpretazioni che ne consentano l’effetto, pur dove sarebbe
più facile e tecnicamente più piano evidenziarne i difetti.
Quella legge e le altre norme recenti del medesimo argomento hanno
in effetti assunto misure estremamente decisioniste, con una disciplina
che prova a governare l’aggregazione, a dir così, per legge, ed a farlo
con estrema rapidità; e per ottenere il risultato, la disciplina legislativa
è fisiologicamente farcita di disposizioni drastiche ed operative, di governo appunto, e – come subito vedremo – si addentra in un territorio
dove invece l’intervento del legislatore statale presenta limiti di rilievo
costituzionale maggiori: quello organizzativo.
Trascureremo, qui, il problema tecnico della lettura combinata degli interventi legislativi che si sono susseguiti e per certi versi sovrapposti,
con l’aggravio della presenza di sentenze della Corte costituzionale, un
miscuglio di fonti prodotte a breve distanza che indubbiamente favorisce una certa confusione sotto questo cielo.
Con questa cautela, si può cominciare ad osservare che la natura dell’autonomia locale si può oggi considerare un vero e proprio elemento della
forma di stato repubblicana, infatti collocata tra i principi della Costituzione, ma anche da essa direttamente ricavabile; ciò comporta, tra altro, che
gli enti territoriali locali godono di autonomia organizzativa27, nel senso
(27) M.S. Giannini, voce Autonomia pubblica, in Enc. Dir., IV, Varese, 1953, p. 364; il principio
dell’autonomia organizzativa viene espressamente sancito dalla Carta europea dell’autonomia locale del 15 ottobre 1985, ratificata dalla maggior parte degli Stati membri del Consiglio d’Europa
SAGGI E ARTICOLI
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che la propria organizzazione è riservata alla loro decisione, salvo per
quegli assetti che la Costituzione riservi ad una decisione altrui28. Nella
disciplina positiva vigente, è noto, la Carta costituzionale imputa alla legge statale, in via esclusiva, la definizione del sistema elettorale, degli organi di governo e delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane (art. 117, comma 2, lett. p), Cost.)29. La Repubblica costituzionale, nel riconoscere ai Comuni con la sua fonte ordinante – la Costituzione – capacità statutaria e regolamentare, e liberando la loro autonomia dal giogo dell’“ambito dei princìpi fissati da leggi generali della Repubblica” (come disponeva, in precedenza, l’art. 128 Cost.), ha compiuto
un passo notevole30 che ha alcune implicazioni rilevanti di tipo teorico:
a)la questione della ampiezza dell’autonomia organizzativa degli enti
territoriali (e dunque anche dei Comuni che siano tali) è di rilievo costituzionale, non legislativo, è problema della Repubblica, non dello
Stato, se usiamo le espressioni dell’attuale assetto istiuzionale;
(STCE, n. 122), che all’art. 6, n. 1, stabilisce che le collettività locali debbono «poter definire esse
stesse le strutture amministrative interne di cui intendono dotarsi, per adeguarle alle loro esigenze
specifiche in modo tale da consentire un’amministrazione efficace». Inoltre, l’importanza di questo profilo può ritenersi esaltato se si considera l’espressa menzione dell’autonomia locale nell’art.
I-5, n. 1, del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004.
(28) Cfr. sul punto, le osservazioni di F. Merloni, Il destino dell’ordinamento degli enti locali (e
del relativo Testo unico) nel nuovo titolo V della Costituzione cit., p. 409; più in generale, per la
“riserva di organizzazione amministrativa” ai sensi dell’art. 97 Cost., M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966.
(29) Ma, per certi versi, va ricordato che alla legislazione statale è pure riservato il sistema dell’
ordinamento civile (art. 117, comma 2, lett. l), Cost.), che evidentemente comprende i profili inerenti alla personalità giuridica, dunque le forme di costituzione e di assetto fondamentale delle persone giuridiche, pubbliche o private che siano, e ciò, in uno alla riserva di legge
dell’art. 97 Cost., influisce sull’allocazione della potestà decisionale in ordine ai modi con cui
un ente locale, pubblico o privato, nasce, si configura nei suoi tratti essenziali, si trasforma, ed,
eventualmente, scompare: A.M. Benedetti, L’«ordinamento civile» limite o materia? Alla ricerca
di criteri flessibili, in M. Cammelli (a cura di), Territorialità e delocalizzazione nel governo locale cit., p. 409; Id., Ordinamento civile e competenza legislativa delle Regioni, in Foro it., 2005,
I, 2960 ss.; più in generale, si veda E. Lamarque, Regioni e ordinamento civile, Padova, 2005.
(30) In un processo disordinato e piuttosto confuso, e tuttora in corso, com’è evidente, tanto
da indurre E. Griglio, Principio unitario e neo-policentrismo. Le esperienze italiana e spagnola
a confronto, Padova, 2008, pp. 3 ss., a proporre l’utilizzo, appunto, dell’espressione neo-policentrismo ad indicare “il processo che contraddistingue gli ordinamenti che negli ultimi decenni hanno attuato il decentramento politico, senza riuscire parallelamente a ricreare quel sistema
di pesi e contrappesi che nei sistemi di tradizione federale si è sviluppato nel corso di decenni”.
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ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO 2.2014
b)ciò comporta che, in sede di teoria generale, si può assumere la piena potestà dell’ente territoriale autonomo in ordine ai suoi aspetti organizzativi, ivi compreso quello della forma di governo31, in armonia
con l’impianto costituzionale32; insomma, se la Carta costituzionale
non si pronunziasse al riguardo, l’organizzazione delle istituzioni locali sarebbe in gran parte di loro propria, esclusiva competenza33;
c)entro tale supposto, la Costituzione (e gli Statuti regionali approvati
con legge costituzionale34) sono, ovviamente, in grado di disciplinare in qualche modo più dettagliato qualcuno di questi aspetti, come
è in questo momento storico, connotato da una scelta costituzionale, repubblicana, positivamente vigente, di riservare alla legge statale (e nelle Regioni a statuto speciale, a quella regionale) le forme di
governo ed altri aspetti dell’organizzazione degli enti territoriali locali, oltre che la definizione di principi e regole per l’organizzazione
e l’attività dei pubblici uffici, e forse di consentire a quella regionale
ordinaria la loro “organizzazione esterna”35.
(31) Il nuovo Titolo V della Costituzione ha “travolto la stessa nozione unitaria (e uniforme) di
«ordinamento degli enti locali»”, come “complesso di principi fissati da leggi generali della Repubblica”: così F. Merloni, Il destino dell’ordinamento degli enti locali cit., p. 409.
(32) Il funzionamento del sistema dell’“armonia” costituzionale è stato sperimentato in occasione delle prime scelte regionali in ordine alla propria forma di governo, in confronto alle quali la Corte costituzionale ha potuto intervenire proprio utilizzando la relazione diretta tra principi costituzionali e statuti considerati: cfr., ad esempio, le sentenze Corte cost., n.ri 106/2002,
304/2002, 2/2004, 378/2004, 379/2004. In ordine al dibattito sull’“armonia” cfr. A. Spadaro, Il limite costituzionale dell’armonia con la Costituzione e i rapporti fra lo Statuto e le altre fonti del
diritto, ne Le Regioni, 2001, p. 455; M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni.
Verso le Costituzioni regionali, Bologna, 2002; A. Poggi, L’autonomia statutaria delle Regioni, in
T. Groppi – M. Olivetti (a cura di), La Repubblica delle autonomie, cit., pp. 62 s.; D. D’Alessandro, Statuti regionali, in Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, ad vocem; G. Balsamo, La
potestà normativa degli enti locali secondo l’articolo 4 della legge 5 giugno 2003, n. 131, attuativa del nuovo Titolo V della Costituzione in www.federalismi.it.
(33) Che la definizione dei rapporti tra fonti normative statali e fonti normative d’autonomia
fosse scelta di diritto positivo, subordinata alle norme costituzionali, era stato già evidenziato da
M.S. Giannini, Autonomia pubblica cit., p. 357.
(34) La legge cost. n. 2/1993 ha in effetti attribuito la potestà legislativa per l’ordinamento degli enti locali alle Regioni a statuto speciale; nella Regione Siciliana, poi, tale potestà è in Statuto sin dalla sua istituzione.
(35) In argomento, si vedano anche le osservazioni di F. Merloni, Il destino dell’ordinamento
degli enti locali cit., pp. 420 s., e C. Mainardis, Regioni e Comunità montane, tra perimetrazione
delle materie e “controllo sostitutivo” nei confronti degli organi, ne Le Regioni, 2006, pp. 123 ss..
SAGGI E ARTICOLI
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Appare dunque chiaro come, mentre la definizione della forma di governo
di ogni Comune e delle Città metropolitane è positivamente riservata alla
legge statale, in conseguenza di quanto oggi costituzionalmente stabilito in
relazione all’assunto sub c), ogni altra, diversa decisione tesa a dare struttura di governo ad altre organizzazioni di rilievo comunale rimane propria
di ogni Comune, legittimamente, per effetto dell’assunto sub b)36, salvo che
non intervenga la legge regionale che, entro certi limiti, potrebbe regolare
le relazioni intersoggettive degli enti locali, per effetto dell’assunto sub c).
Insomma, non sembra possibile discutere troppo della capacità del legislatore statale di definire il sistema elettorale, gli organi di governo e
le funzioni fondamentali delle Città metropolitane, per effetto della disposizione dell’art. 117, comma 2, lett. p), Cost., quando invece è oggettivamente discutibile che analoga capacità esso abbia in relazione alle
diverse forme di aggregazione tra Comuni.
Si tratta cioè di due diversi oggetti teorici, riferiti l’uno all’organizzazione interna delle Città metropolitane, ente previsto esplicitamente
dall’art. 114 Cost., l’altro a quella esterna dei Comuni che si aggregano,
la quale, pur afferente a ciascuno degli enti aggregati, costituisce una
sorta di rete decisionale aggiuntiva e sostitutiva, di secondo grado, a
quella propria strutturata in base alla legge statale.
Cosicché, si può dire che per le Città metropolitane non possiamo usare
tutti i medesimi argomenti che connotano il dibattito sulle trasformazioni e
sulle forme di aggregazione dei Comuni, e che per quelle le disposizioni
della legge 56/2014 possono essere considerate esplicazione dell’art. 117,
comma 2, lett. p), Cost.; è evidente, mi pare, che le Città metropolitane hanno caratteri che non fanno porre in dubbio la loro capacità di divenire istituzioni autonome e territoriali, la cui autonomia, pur allo stato potenziale,
non è “di carta”, e la cui territorialità va costruita, ma sembrano esservi tutti
i presupposti per negare che possa essere un’abitudine gergale37.
(36) La giurisprudenza costituzionale ha rilevato che l’indicazione dell’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione della competenza legislativa esclusiva dello Stato per “legislazione elettorale” e “organi di governo” degli enti territoriali sub regionali, “fa espresso riferimento ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane e l’indicazione deve ritenersi tassativa”:
così Corte cost., sent. 14 dicembre 2005, n. 456; conf. sent. 20 giugno 2005, n. 244.
(37) Sono i due principali argomenti dispiegati in P. Forte, Aggregazioni pubbliche locali cit., p.
63 s., per sostenere che anche per i Comuni minori “non sembra esservi alcun limite costituzionale a disporre forme anche obbligatorie di aggregazione, che – per di più – diverrebbero (non
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ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO 2.2014
7. Problemi costituzionali della legge 56/2014
Resta il problema della compatibilità costituzionale di un intervento legislativo statale esteso anche alla perimetrazione delle Città metropolitane, ovvero rispondere al quesito se la ricomprensione o la esclusione di uno o più territori comunali in essa sia materia costituzionalmente rimessa alla autonoma iniziativa regionale e locale, o alla disciplina
di legge statale. È questo il principale nodo che, è noto ed è stato ampiamente rilevato, ha inibito la nascita effettiva delle Città metropolitane dopo la loro prima previsione nella legge 142/199038.
Ora non sarà male rammentare (ma i lettori di questa Rivista ne sono
stati tenuti costantemente al corrente) che la perimetrazione delle Città
metropolitane e la loro istituzione sono state oggetto di numerosi tentativi di disciplina statale che, con diversi accenti, sono stati caratterizzati
dall’iniziativa locale, dalla presenza di referendum delle popolazioni interessate, dall’intervento regionale39.
In sintesi, la legislazione statale ha provato più volte a stimolare Regioni
ed Enti territoriali locali a farsi attori protagonisti e propulsori della nascita
sembri strano) mezzi di restauro dei due tratti essenziali di una Comunità che vuol farsi istituzione
politica della Repubblica, appunto l’autonomia e la territorialità”. Si vedano al riguardo le considerazioni di F. Pizzetti, Piccoli Comuni e grandi compiti: la specificità italiana di fronte ai bisogni
delle società mature, in www.astrid-online.it., (15 novembre 2007), 26 ss.., in ordine all’associazionismo obbligatorio come funzione fondamentale, strumento all’esercizio delle altre funzioni fondamentali dei piccoli Comuni e, in definitiva, alla conservazione stessa della loro stessa identità.
(38) Tra molti, si vedano, ad esempio, G. M. Demuro, Commento all’art. 114 Cost., in R. Bifulco,
A. Celotto, M. Olivetti (a cura di) Commentario della Costituzione, Vol. III, Torino, 2006; G. Piperata, Commento agli artt. 22 (Aree metropolitane) e 23 (Città metropolitane), in M. Bertolissi
(a cura di), L’ordinamento degli enti locali, Bologna, 2002, p. 154 ss., L. Vandelli, Ordinamento
delle autonomie locali. Commento alla l. 8 giugno 1990, n. 142, Rimini, 1990, sub artt. 17-21;
A. Brancasi, P. Caretti, Il sistema dell’autonomia locale tra esigenze di riforma e spinte conservatrici: il caso della Città metropolitana cit., pp. 545 ss.; A. Pubusa, Città metropolitana, in Encicl.
dir., agg. III, Milano, 1999, pp. 360 ss..
(39) Oltre agli articoli da 17 a 21 della legge 142/1990, e gli articoli da 22 a 26 del d.lgs. n.
267/2000, si vedano anche i menzionati articoli 16 e 17 della legge n. 265 del 1999, l’art. 2 della legge n. 131 del 2003, e l’articolo 23 della legge n. 42 del 2009. È stato osservato che questa
disciplina abbia progressivamente spostato il fulcro dell’iniziativa dal dialogo tra Governo statale e Regioni verso i Comuni: F. Pinto, Città metropolitana, in Digesto pubbl., Torino, agg. 2010,
pp. 23 ss.; A. Brancasi, P. Caretti, Il sistema dell’autonomia locale tra esigenze di riforma e spinte conservatrici: il caso della Città metropolitana, cit., p. 550.
SAGGI E ARTICOLI
349
di questa Istituzione; ma inutilmente40, e non già perché proposte istitutive
siano state in qualche modo respinte (ad esempio per referendum locale),
ma più banalmente per inerzia41, tanto da far dire che la previsione costituzionale della Città metropolitana fosse diventata un “promemoria”42. Ma è
anche, al contempo, ciò che ha inibito i tentativi di provvedervi “dall’alto”
(usando le parole della Corte costituzionale43) negli ultimi anni.
Va tuttavia rammentato, anche, che a questa inerzia ha concorso anche
lo Stato, poiché – ad esempio – l’art. 16, c. 2, della legge 3 agosto 1999,
n. 265 consentiva al Governo la “delimitazione territoriale dell’area metropolitana” in via sostitutiva, un potere mai esercitato44. Ed infine, non
sarà male rammentare ancora che la Città metropolitana è, almeno ad
oggi45, una componente costituzionale della Repubblica, un elemento
(40) Non del tutto, a dire il vero, se si considerano le leggi regionali Liguria 22 luglio 1991, n. 12 e
24 febbraio 1997, n. 7, che hanno identificato l’area metropolitana di Genova con 41 Comuni oltre al
capoluogo; le leggi regionali Emilia-Romagna 12 aprile 1995, n. 33 e 24 marzo 2000, n. 20 per l’area
metropolitana di Bologna, coincidente con la Provincia; la legge regionale Veneto 12 agosto 1993, n.
36, per l’area metropolitana di Venezia, con cinque Comuni limitrofi al capoluogo; e anche il d.p.g.r.
Toscana 29 marzo 2000, con l’area metropolitana di Firenze che comprende le Province di Firenze,
Prato e Pistoia. Ma, a voler essere pignoli, si potrebbero ricordare i tentativi ante litteram – consentiti dalla capacità statutaria speciale, della l.r. siciliana 9/1986, per le aree metropolitane di Palermo,
Messina e Catania, e la l.r. Friuli-Venezia Giulia 10/1988 per l’area di Trieste.
(41) Parla di “pigrizia e di miope conservatorismo” C. Deodato, Le Città metropolitane: storia,
ordinamento, prospettive, in Federalismi.it, n. 19/2012, p. 11.
(42) F. Pizzetti, Istituzione delle Città metropolitane, appunto per il gruppo di lavoro su “L’istituzione delle Città metropolitane: procedure, problemi, ostacoli, opportunità”, in www.astrid.eu,
22 novembre 2012.
(43) Sentenza 3 – 19 luglio 2013, n. 220, punto 12.2 in diritto.
(44) Anche l’art. 21 della L. 142/1990 prevedeva una possibilità di intervento sostitutivo per la
costituzione delle autorità metropolitane mediante decreto legislativo “in mancanza o ritardo
della proposta regionale”, ma era un potere che aveva comunque bisogno della previa delimitazione delle aree, ed infatti la disposizione venne quasi subito abrogata dall’art. 1 della legge
2 novembre 1993, n. 436. A riprova della “correità” statale nell’inerzia, vale anche ricordare che
l’art. 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131 aveva delegato il governo alla individuazione delle funzioni fondamentali delle Città metropolitane, ad adeguare i procedimenti di istituzione al disposto dell’articolo 114 della Costituzione, ad individuare e disciplinare gli organi di governo delle
Città metropolitane e il relativo sistema elettorale, secondo criteri di rappresentatività e democraticità; la delega non venne esercitata tempestivamente.
(45) Il d.d.l. costituzionale del Governo Letta in esame alla Camera (a.c. 1543) propone di
eliminare i riferimenti alla provincia ed alle Città metropolitane nel primo comma dell’art. 114
Cost., ma anche di aggiungervi un terzo comma in cui queste sono definite “enti di governo
delle aree metropolitane”; non verrebbe, perciò, smentito il loro rilievo costituzionale.
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ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO 2.2014
che è dunque parte della sua forma di governo ma anche, se collocato
nell’ambito dell’art. 5 Cost., della forma di Stato.
Ciò fa sorgere, oggi, la tentazione di appellarsi al principio di effettività46, che è insito in ogni potere di intervento sostitutivo47, e far concludere – sbrigativamente – che poiché (quasi tutte) le istituzioni regionali
e locali non vi hanno provveduto per più di venti anni, durante i quali
si è atteso l’esercizio della loro responsabilità autonoma, e nemmeno il
Governo ha utilizzato i poteri di intervento che la legge gli ha consentito, è lecito, ora, un intervento drastico e – appunto – sostitutivo, surrogatorio48 del legislatore statale, in una sorta di utilizzo ampio e complesso della previsione degli artt. 117 e 120 Cost.49, su un oggetto in(46) Usa l’espressione anche A. Lucarelli, Prime considerazioni in merito all’istituzione della
Città metropolitana, in Federalismi.it, n. 19/2012.
(47) Con riferimento a quello riferibile all’amministrazione pubblica, si vedano gli argomenti di
M. Bombardelli, La sostituzione amministrativa, spec. pp. 164 ss., allorché evidenzia le diverse
conseguenze in argomento dell’“affermazione del principio di efficacia”; ma si vedano anche,
per la complessità del tema, E. Chiti, C. Franchini, L’integrazione amministrativa europea, Bologna 2003; D. U. Galetta, Coamministrazione, reti di amministrazioni, Verwaltungsverbund:
modelli organizzativi nuovi o alternative semantiche alla nozione di “cooperazione amministrativa” dell’art. 10 TCE, per definire il fenomeno dell’amministrazione intrecciata?, in A. Contieri, F. Francario, M. Immordino, A. Zito (a cura di), L’interesse pubblico tra politica e amministrazione, Napoli 2010, vol. I, pp. 191 ss.; F. Giglioni, Governare per differenza. Metodi europei
di coordinamento, Pisa, 2012.
(48) Si usa qui l’espressione nel senso spiegato da D. Piccione, Gli enigmatici orizzonti dei poteri sostitutivi del Governo: un tentativo di razionalizzazione, in Giur. cost., 2003, II, p. 1209.
(49) La possibilità dell’intervento sostitutivo statale anche oltre le funzioni amministrative è da tempo oggetto di serrato dibattito: si vedano C. Mainardis, Il nuovo regionalismo italiano e i poteri sostitutivi statali: una riforma costituzionale con (poche) luci e (molte) ombre, in Le Regioni, 2001, pp.
6, 1357 ss.; G.U. Rescigno, Attuazione delle direttive Comunitarie e potere sostitutivo dello Stato, in Le
Regioni, 2002, 4, 735 ss.; S. Mangiameli, La riforma del regionalismo italiano, Torino, 2002, pp. 150
ss.; R. Tosi, La legge costituzionale n. 3 del 2001: note sparse in tema di potestà legislativa ed amministrativa, in Le Regioni, 2001, 6, 1241 ss.; G. Marchetti, Le autonomie locali tra Stato e Regioni, Milano, 2002, pp. 187 ss.; A. Corpaci, Revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione e sistema amministrativo, in Le Regioni, 2001, 6, 1323 ss.; L. Principato, I diritti costituzionali e l’assetto
delle fonti dopo la riforma dell’art. 117 della Costituzione, in Giur. cost., 2002, II, 1186 ss.; L. Buffoni,
La metamorfosi della funzione di controllo nella Repubblica delle autonomie. Saggio critico sull’art.
120, comma 2, della Costituzione, Torino, 2007, p. 223 ss.; M. Luciani, Le nuove competenze legislative delle Regioni a Statuto ordinario. Prime osservazioni sui nodi problematici della l. cost. n. 3 del
2001, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; E. Gianfrancesco, Il potere sostitutivo, in T. Groppi,
M. Olivetti, La Repubblica delle autonomie, Torino, 2003, pp. 239 ss.; C. Pinelli, I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l’ordinamento internazionale e con l’ordinamento Comunitario, in Foro it., 2001, V, 194, ss.; G.M. Salerno, La disciplina legislativa dei poteri sostitutivi tra semplificazione e complessità ordinamentale, in www.federalismi.it; F. Giuffrè, Note mi-
SAGGI E ARTICOLI
351
dispensabile per dare attuazione alla previsione costituzionale dell’art.
114 Cost.50.
È vero, sono stati proposti anche altri argomenti a supporto della possibilità dell’intervento statale: se non è del tutto condivisibile che il silenzio
della Costituzione su ciò comporti “l’implicita attribuzione alla legislazione
ordinaria del compito”51, poiché si potrebbe obiettare che quel silenzio significhi la sua attribuzione alla legislazione regionale, ai sensi dell’art. 117,
c. 4, Cost., è pur vero (ma si congiunge di fatto all’ipotesi dell’intervento
sostitutivo) che senza istituzione della Città metropolitana è inibita la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di funzioni fondamentali, tra l’altro, delle Città metropolitane52, oltre a rimanere inattuato il precetto (che, si ribadisce, dà forma al governo della Repubblica oltre che allo Stato, e non può perciò rimanere inerte) dell’art. 114 Cost.
nime sui poteri sostitutivi e unità della Repubblica alla luce della recente legge n. 131 del 2003 (cd.
Legge “La Loggia”), in www.forumcostituzionale.it; P. Caretti, L’assetto dei rapporti tra competenza
legislativa statale e regionale alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione: aspetti problematici, in
Le Regioni, 2001, 6, 1229 ss.; A. Papa, Art. 8. Attuazione dell’art. 120 della Costituzione sul potere sostitutivo, in Aa.Vv., Il nuovo ordinamento della Repubblica, Milano, 2003, pp. 542 ss.; G. Matucci, Il
potere sostitutivo in via legislativa e l’attuazione regionale delle direttive Comunitarie dopo la riforma del Titolo V, in E. Bettinelli, F. Rigano, La riforma del Titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Torino, 2004, pp. 475 ss.; G. Fontana, I poteri sostitutivi delle Regioni tra inevitabili forzature ed evitabili incoerenze, in Giur. Cost., 2004, I, 609 ss.; S. Pajno, I poteri sostitutivi nei
confronti degli enti territoriali, in G. Corso, V. Lopilato (a cura di ) Il diritto amministrativo dopo le
riforme costituzionali. Parte generale, Milano, 2006, pp. 430 ss..
(50) La stessa legge, forse non a caso, detta la disciplina per la costituzione delle città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria,
“in attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme
di attuazione” (c. 5); è facile tuttavia rilevare che nel ddl di revisione costituzionale in discussione al Senato, presentato dal Governo in data 8 aprile 2014 (Atto Senato n. 1429), non compaia alcuna disposizione specifica per la istituzione e le attribuzioni delle Città metropolitane.
(51) C. Deodato, Le Città metropolitane: storia, ordinamento, prospettive, cit., pp. 9 s.; desta perplessità anche il successivo assunto per cui “non risulta ravvisabile alcun cogente vincolo costituzionale che imponga di affidare agli enti locali interessati o alle Regioni un potere di proposta
relativo all’istituzione delle Città metropolitane, al cui concreto e valido esercizio quest’ultima
resterebbe condizionata”. Pur incentrati sull’art. 133 Cost., si vedano gli argomenti di E. Rotelli,
Art. 133, in Commentario della Costituzione fondato da C. Branca e continuato da A. Pizzorusso,
Art. 128-133. Le Regioni, Le Province, I Comuni, III, Bologna- Roma, 1990, pp. 206: “Come tutto
il Titolo V, anche l’art. 133 è da leggere ai sensi dell’art. 5. Anzi, l’art. 133 conferma che l’autonomia, di cui all’art. 5, è posta come autonomia di ciascuna Comunità locale rispetto a tutte le
più ampie Comunità in cui è compresa e quindi non soltanto come autonomia della più ampia
delle Comunità locali rispetto alla Comunità nazionale”.
(52) Così ancora C. Deodato, Le Città metropolitane, cit., ibidem.
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Questi ed altri argomenti che cercano il fondamento del potere statale
sulla costituzione delle Città metropolitane hanno tuttavia un problema
comune: possono ingenerare il legittimo dubbio che nel percorso istitutivo non sia sufficientemente considerato il territorio che deve andare
a costituire il nuovo ente, un legame protetto non solo dall’art. 5 Cost.,
ma da molte altre disposizioni della Carta, soprattutto se poi si considera che, in ogni caso, l’avvento della Città metropolitana incide necessariamente sulla corrispondente Provincia, ed è ormai chiaro che vi è perciò implicato anche il disposto dell’art. 133 Cost.
Come sempre in questioni costituzionali, non si tratta solo di un problema giuridico, e tanto meno di un tema di stretto diritto positivo53; ne
sono implicate questioni teoriche e dogmatiche rilevanti in termini giuridici (basti pensare ai concetti di autonomia e territorialità, ma anche
la discussione in ordine alla relazione tra autonomia locale e forme di
esercizio della sovranità), come anche per una più rapida affermazione
della legittimazione sociale, politica, istituzionale della Città metropolitana, anche in considerazione del fatto che essa sia espressione di una
effettiva area metropolitana.
Insomma, i problemi che stiamo sperimentando in questo tortuoso percorso dimostrano quanto rilevanti e attivi siano i temi dell’autonomia
locale, dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, che si tratta di dimensioni della politica, di effettivo esercizio della sovranità, di delicati
equilibri nella rappresentanza e nella partecipazione al fenomeno democratico ed alle sue forme.
8. La legge statale istitutiva delle Città metropolitane come ragionevole intervento surrogatorio e cedevole
Orbene, si possono oggi scegliere due strade. L’una contempla la verifica della compatibilità costituzionale della legge 56/2014, non solo in ordine alla istituzione della Città metropolitana (dove pure la disposizione
dell’art. 133 Cost. sembra avere qualche ruolo, mancando nella legge un
(53) È sempre stato difficile escludere il contenuto politico di ogni tipo di intervento sostitutivo:
a riprova, si veda l’antica e raffinata analisi di F. Benvenuti, I controlli sostitutivi nei confronti dei
Comuni e l’ordinamento regionale, in Rass. amm. Rep. it., 1956, p. 241 ss., e quella più recente
di C. Mainardis, Il nuovo regionalismo italiano e i poteri sostitutivi statali, cit., spec. pp. 1369 ss.
SAGGI E ARTICOLI
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previo coinvolgimento delle popolazioni e delle istituzioni locali), ma
anche per lo svuotamento (se non soppressione54) della corrispondente
Provincia, cui essa si sostituisce in ogni situazione giuridica attiva e passiva; si avrebbe così gioco facile nell’invocare anche l’incostituzionalità
della disposizione che fa coincidere brutalmente il territorio della Città
metropolitana con quello della Provincia cui subentra55.
L’altra strada consiste invece nel considerare l’intervento del legislatore
statale con la legge 56/2014 un ragionevole utilizzo del concetto di intervento sostitutivo, giustificato da più di vent’anni di sostanziale inerzia, che fa tesoro delle esperienze accumulate in tema di strumenti cedevoli. Con la considerevole conseguenza che il materiale di cui parliamo è e resta costituzionalmente disponibile alle realtà locali, espressione dell’autonomia di cui all’art. 5 Cost., e solo in via precaria e temporanea è utilizzato dal legislatore statale unicamente per dar vita al fenomeno che in più di due decenni non è riuscito a sorgere con la normale
iniziativa territoriale, con decisioni che tuttavia si prestano a restituire, a
dir così, al legittimo proprietario (il territorio locale) il pallino dell’assetto definitivo. Il motore resta sempre locale, insomma, è il motorino di
avviamento che viene provvisoriamente fornito e messo in azione dalla legge statale.
Fuori di metafora, diversi sono i punti della legge che possono essere
letti in termini sostitutivi e cedevoli56:
a)per l’adesione o l’estromissione di territori comunali dalla Città metropolitana, e dunque per la sua perimetrazione, laddove la scelta di
far coincidere l’area metropolitana con la Provincia può essere successivamente modificata per iniziativa dei Comuni, ivi compresi i Comuni capoluogo delle Province limitrofe, ai sensi dell’articolo 133,
primo comma, della Costituzione (c. 6); la perimetrazione operata
(54) Non è ben chiaro il destino delle Province danti causa della Città metropolitana dopo il 1°
gennaio 2015, né sarà semplice trovare soluzione al tema.
(55) P.A. Capotosti, Parere in ordine all’interpretazione del quadro costituzionale applicabile
al procedimento di riordino delle Province previsto dall’art. 17 del decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, come convertito con legge 7 agosto 2012, n. 135, in www.federalismi.it., 25 settembre
2012, pp. 6 ss.; D. Mone, Città metropolitane. Area, procedure, organizzazione del potere, distribuzione delle funzioni, in www. federalismi.it, n. 8/2014, pp. 10 ss..
(56) Usa al riguardo il termine “flessibile” D. Mone, Città metropolitane, cit.
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dalla legge, cioè, persisterebbe sino al successo dell’iniziativa locale
di mutarla;
b)per la forma di governo, ed in particolare per l’elezione diretta del
sindaco e del consiglio metropolitano, che lo Statuto della Città metropolitana può prevedere in luogo della preposizione di diritto del
Sindaco del capoluogo, e dell’elezione di secondo grado per i consiglieri metropolitani (c. 22); anche qui, dunque, la disciplina fissata
dalla legge statale cederebbe di fronte ad una diversa scelta operata
con lo statuto;
c)per l’articolazione delle funzioni, anche in senso organizzativo, che
lo Statuto può strutturare in termini differenziati sia entro l’area metropolitana, che fuori di essa, con organismi di coordinamento con
altre istituzioni e in coerenza con le impostazioni programmatorie regionali (c. 11).
9. Essenza storica del percorso in atto: nascita di un ente territoriale
Si tratta di fenomeni complessi, incerti e, di fatto, applicabili non in breve57; la modificazione dell’area metropolitana richiede un procedimento aggravato in cui la decisione definitiva è pur sempre dovuta alla legge statale58; per la mutazione della forma di governo serve una apposita
legge statale per il sistema elettorale e, per evitare una prevedibile dominanza del Comune capoluogo, una delibera consiliare del medesimo
che articoli il proprio territorio in più Comuni, un referendum tra tutti i
cittadini della Città metropolitana, una conseguente legge regionale per
l’istituzione dei nuovi Comuni e la loro denominazione ai sensi dell’articolo 133 della Costituzione; per le sole Città metropolitane con popolazione superiore a tre milioni di abitanti (cioè Milano, Napoli e Roma, che ha tuttavia lo statuto speciale di capitale59), i presupposti si riducono alla previsione statutaria della costituzione di zone omogenee,
(57) Non sono gli unici che richiedono tempi lunghi di “attuazione”: si veda P. Urbani, Le funzioni di pianificazione della Città metropolitana, in www.astrid.eu, 13 dicembre 2012.
(58) Qui la disposizione legislativa (c. 6) prova a colmare con un apposito procedimento un
“vuoto” costituzionale, poiché la Carta detta la disciplina dell’istituzione e della modificazione
di Comuni e Province ma non delle Città metropolitane.
(59) A. Sterpa, L’ordinamento di Roma capitale, Napoli, 2012.
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e che il Comune capoluogo abbia realizzato la ripartizione del proprio
territorio in zone dotate di autonomia amministrativa, in coerenza con
lo statuto della Città metropolitana. Per le decisioni strutturali, oltre alle
iniziative statutarie ed organizzative, occorreranno costituzioni di zone
omogenee, atti regionali, accordi, convenzioni.
Il risultato netto dell’operazione che si osserva sembra essere quello
della nascita forzosa di un ente a carattere associativo di rilievo costituzionale, il cui assetto in questi termini è solo iniziale e precario, e serve
solo alla sua venuta in vita, poiché la sua sistemazione a regime è rimessa alla comunità associata. Un percorso che, si è notato60, ha consentito in passato la costituzione progressiva di ciò che oggi chiamiamo ente territoriale, che è il traguardo cui bisogna condurre la Città metropolitana61. O meglio, è uno dei possibili esiti dell’assetto che le verrà dato,
poiché vi è anche l’opzione di trattenere tutta la capacità rappresentativa dell’autonomia territoriale presso i Comuni, centralizzando nella Città metropolitana esclusivamente alcune funzioni, secondo uno schema
lato sensu federativo62, che però, si deve dire, sembra piuttosto improbabile, non foss’altro a causa della numerosità e della variegatezza degli enti che compongono le nascenti Città metropolitane, oltre che per
alcune delle sue funzioni fondamentali, impensabili in capo ad un soggetto che non abbia nella politica locale e nel governo i suoi assi forti.
(60) G. Palma, Indirizzo politico statale e autonomia comunale: tratti di una parabola concettuale, Napoli, 1982, spec. pp. 156 ss., ove enumera le notevoli evidenze della antica percezione
dei Comuni come entità originariamente associative.
(61) Questo carattere potrebbe prevenire un’obiezione che già si è sollevata a proposito delle “nuove” Province (C. Padula, L’autonomia: un principio di scarso valore? La carta europea
dell’autonomia locale e le recenti riforme degli enti locali (legge “Delrio” e D.L. 95/2012), di cui
si è potuta consultare la versione provvisoria in www.gruppodipisa.it): il carattere associativo
non è smentito dalla presenza negli organi assembleari di alcuni rappresentanti e non di tutti gli
associati, poiché negli enti a struttura territoriale, è noto (basti il richiamo a M. S. Giannini, Autonomia pubblica, voce cit., pp. 364 s.), gli “associati” sono riuniti nel corpo elettorale, e proprio
perciò si parla di rappresentanza di secondo grado; e ciò sia detto senza esaminare la compatibilità delle disposizioni sulle Province della legge 56/2014 con la carta europea delle autonomie
locali, una disciplina dalla ancora incerta consistenza: cfr. Corte cost., sentenza n. 325 del 2010.
(62) Si vedano le osservazioni, pur se riferite al d.l. 95/2012, di A. Lucarelli, Prime considerazioni in merito all’istituzione della città metropolitana, in www.federalismi.it, n. 19/2012, p. 3,
e quelle di P. L. Portaluri, Osservazioni sulle città metropolitane nell’attuale prospettiva di riforma, ibidem, 8 gennaio 2014.
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Proprio perciò, proprio perché è possibile riconoscere nella legge
56/2014 il carattere del fenomeno che conduce, con tecniche aggregative, alla progressiva solidificazione dal basso, al minimo, di un soggetto
associato, ed al massimo di un vero e proprio ente territoriale, è auspicabile – oggi – un atteggiamento pragmatico, che sposti gli argomenti
sinora dibattuti, ed in particolare i temi del perimetro, delle funzioni e
della rappresentatività – e dunque della forma di governo – dal momento costitutivo a quello dell’effettivo funzionamento.
Se le istituzioni, le forze politiche, sociali, scientifiche e culturali vorranno accettare questo spostamento di focus, soprassedendo ad ogni reazione sulla legge 56/201463 e concentrandosi sull’enorme lavoro per far
partire – provvisoriamente – l’ente, e sulla sua ridefinizione organizzativa, funzionale, territoriale, ed istituzionale, l’insieme degli argomenti e
della normativa vigente consentirà di operare più sartorialmente su ciascuna area, ridefinendola anche in ragione dei reali bisogni delle funzioni in ciascun territorio metropolitano, ed infine ricostituendo in ragione delle peculiarità locali l’ente e la sua struttura64. E decidendo, infine, anche in ordine ad una rappresentatività più diretta dei suoi organi.
Considerare dunque le misure più discutibili della legge 56/2014 come interventi surrogatori e cedevoli consentirebbe di affrontare in seguito, nel
dibattito locale, per ciascun territorio, che verrebbe anzi accelerato e reso più urgente dalla effettiva nascita dell’ente, la questione del perimetro
di ogni Città metropolitana, rimediando alla grossolanità della coincidenza
con la attuale Provincia del capoluogo, che è fuori di dubbio una disposizione contrastante con diverse previsioni e diversi principi costituzionali65.
(63) Sono stati sollevati in termini, tuttavia, due ricorsi alla Corte costituzionale sulla L. 56/2014,
da parte della Regione Veneto (Reg. ric. n. 42 del 2014), e della Regione Puglia (Reg. ric. n. 44
del 2014).
(64) In ciò si intende tenere presente le considerazioni di G. Palma, Principio di legalità ed il
potere di organizzazione delle Amministrazioni pubbliche, in www.amministrativamente.com,
n. 1/2014, che esorta a “interrogare la sottostante realtà, al fine di intuire quale possa essere la
“resa” di una qualsiasi disciplina giuridica da adottare”.
(65) B. Caravita di Toritto, Problemi di impostazione nella istituzione delle Città metropolitane e nella disciplina di Roma Capitale, 10 ottobre 2012, in www.federalismi.it, n. 19/2012, pp.
1 ss..; G. M. Salerno, Sulla soppressione-sostituzione delle Province in corrispondenza all’istituzione delle Città metropolitane: profili applicativi e dubbi di costituzionalità, in www.federalismi.it, 7 gennaio 2014.
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10. Riflessioni sullo statuto della Città metropolitana
Se così fosse, varrebbe la pena di concentrarsi sul lavoro sullo statuto, che può essere considerato il punto più importante ed impegnativo,
nell’immediato; in esso si potrà ricondurre tutto il tema della rappresentatività diretta della Città metropolitana, e soprattutto bisognerà predisporre i meccanismi con i quali si potranno suddividere più accuratamente le funzioni (e le conseguenti dimensioni economiche e finanziarie) tra l’entità centrale (la Città metropolitana) e quelle locali (i Comuni, che sarà bene continuare a denominare così); ed in ciò un grande ausilio potrà essere fornito da un serio e consapevole approccio sussidiario.
Mentre infatti è ragionevole supporre che tutti i servizi alla persona e le
funzioni ed i servizi a sportello di rilievo comunale dovranno continuare a permanere presso i luoghi decisionali più prossimi, in altro modo
si dovranno distribuire le competenze decisionali, in taluni casi tenendo presenti anche le distinzioni tra le capacità programmatorie e pianificatorie e quelle più gestionali ed erogative.
Bisognerà anche stabilire le modalità con cui esercitare la funzione regolamentare, anche qui stabilendo il rapporto con l’analoga capacità
dei Comuni ricompresi nella Città metropolitana, e concentrarsi, ovviamente, sul tema del governo del territorio, in particolare dando consistenza all’espressione legislativa “pianificazione territoriale generale”;
a proposito della quale, purtroppo, la legge non ha fugato le numerose preoccupazioni già sollevate in dottrina66, poiché (contrariamente
a quanto alcuno ritiene67) questa funzione non sembra descritta come
conformatrice diretta del territorio, in quanto non è chiaro se la capacità vincolante degli atti che può produrre sia diretta solo nei confronti dei Comuni metropolitani o anche dell’attività edilizia. Probabilmente su ciò lo Statuto non sarà in grado, da solo, di collocare utilmente
la Città metropolitana nel reticolo degli attori e degli atti complessi che
reggono oggi la funzione di governo del territorio, e si dovrà attende-
(66) V. Cerulli Irelli, Relazioni tra Città metropolitane e Comuni, in www.astrid.eu, 21 novembre
2012; P. Urbani, Le funzioni di pianificazione della Città metropolitana, ibidem, 13 dicembre 2012.
(67) D. Mone, Città metropolitane. Area, procedure, organizzazione del potere, distribuzione
delle funzioni, cit., p. 6.
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re l’adeguamento della legislazione regionale prevista dai commi 144 e
145 della legge.
C’è però da auspicare che la Città metropolitana possa prendere a livello metropolitano decisioni urbanistiche e territoriali tali da rendere chiaro che la funzione “pianificazione territoriale generale” non è di mero
coordinamento, e dunque, almeno su alcune tematiche, il “piano territoriale generale” (se verrà chiamato così) sia effettivamente operativo;
in ciò starà una delle scommesse del nuovo ente68.
Occorre al riguardo riflettere sulla natura giuridica dello Statuto, tenendo presente che il percorso dettato per adottarlo, pur prevedendo l’approvazione ad opera della conferenza metropolitana (in cui siedono
tutti i sindaci dei Comuni appartenenti alla Città metropolitana), consente una delibera a maggioranza, pur qualificata, e dunque è dubbio
che esso possa essere in grado di operare deleghe o trasferimenti di
funzioni dai Comuni alla Città metropolitana, come avviene nei casi di
altri percorsi aggregativi, dove il passaggio dello Statuto (e di altri atti
convenzionali accessori) in ciascun consiglio comunale consente invece l’effetto69. E pur se è ragionevole supporre che ciascun sindaco si recherà alla riunione della conferenza metropolitana indetta per l’approvazione dello statuto con un mandato preciso definito dal proprio consiglio comunale, la distribuzione delle funzioni tra Città metropolitana
e Comuni prevista nella proposta del Consiglio metropolitano potrà valere anche come – eventuale – delega ai Comuni che avranno espresso voto favorevole70.
Ma più in generale occorrerà una lunga ed impegnativa opera che voglia sfruttare l’interessante facoltà prevista dalla legge 56/2014 sulle geometrie variabili – a dir così – delle funzioni della Città metropolitana;
(68) Si permetta ancora il rimando a V. Cerulli Irelli, Relazioni tra Città metropolitane e Comuni, cit., e a P. Urbani, Le funzioni di pianificazione della Città metropolitana, cit., per migliori approfondimenti.
(69) Tanto è vero che la stessa legge (c. 11, lett. b)) affida ad apposite convenzioni l’assetto delle deleghe reciproche tra Comuni, le loro unioni e la città metropolitana.
(70) È probabilmente anche per questo che V. Cerulli Irelli, Relazioni tra Città metropolitane e
Comuni, cit., suggerisce che lo statuto preveda le diverse forme (attribuzione e delega) con cui
trasferire competenze comunali alla Città metropolitana, e dunque non stabilisca direttamente la loro distribuzione.
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lungi dall’irrigidirla entro i suoi confini, ed entro una struttura fissa ed
isometrica al suo interno, la legge contempla “variazioni di tema” organizzativo nelle relazioni con i territori non ricompresi nel suo perimetro e assetti mutevoli nel proprio territorio; per il primo aspetto, il c. 11,
lett. c) richiama un contenuto statutario, d’intesa con la Regione, riferito a zone omogenee ed organismi di coordinamento con altri soggetti,
che potrebbe consentire un esercizio di alcune funzioni e (soprattutto)
la gestione di alcuni servizi per i quali il perimetro della Città metropolitana non sarebbe sufficientemente adeguato; per il secondo aspetto,
il medesimo c. 11, lett. b), fa riferimento alla contemplazione nello Statuto di unioni e di altre forme di organizzazione “interna alla Città metropolitana” in comune, eventualmente differenziate per aree territoriali; ed il c. 44, infine, richiama la possibilità di individuare entro i confini
della Città metropolitana zone omogenee e zone del capoluogo dotate
di autonomia amministrativa.
Come si vede (e qui si sono menzionati solo alcuni degli impegni all’orizzonte) si tratta di un percorso lungo, complesso, erto e denso di incognite, che richiede l’attiva partecipazione, con ogni organo e con ogni
energia, di tutti i livelli di governo e di legislazione della Repubblica,
oltre che, probabilmente, di una serie di aggiustamenti anche di alcuni strumenti di origine europea. È auspicabile che si conservino le forze per concentrarle su tutto questo, piuttosto che per provare ad inibire, ancora una volta, un’evoluzione di cui è evidente, almeno in alcune
delle aree metropolitane, la necessità.