PERIODICO D’INFORMAZIONE DELLA UILTRASPORTI CAMPANIA ANNO 6, NUMERO 1 GENNAIO 2014 “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale” (art. 16 Cost.) Qualità della vita: anche il tpl relega Napoli in fondo alla classifica Editoriale Ripartire da una coscienza politica che metta al centro delle proprie scelte il futuro della collettività Anno nuovo vecchie abitudini “ Che aspettative per il nuovo anno” è la riflessione che in molti in questi giorni stanno ponendo e si pongono nel tentativo di immaginare la fine di una recessione che, solida ed oramai inconfutabile, non ammette più bugie e tentativi malcelati di mistificazione magari lasciando immaginare luci e vie di uscita miracolose e immaginifiche, così come le intuizioni e le ricette che si sono succedute senza soluzione di continuità nel corso della più grave crisi che ha interessato ogni economia dal dopoguerra. La crisi non nasce da sola, non si produce per automatismi, è figlia di gestioni e comportamenti consapevoli di determinare difficoltà ma che, solo con l’irresponsabilità e l'egoismo di ritenere che ad altri spetteranno le soluzioni, si traducono in scelte sbagliate e deprimenti per l'economia ed il futuro di interi popoli ed in essi di intere generazioni. Purtroppo ognuno pensa che la soluzione sia innanzitutto nel cambio di comportamenti altrui, affidando a se stessi, troppo spesso, solo valutazioni e nessuna possibilità di partecipare alla svolta, limitandosi, in attesa che sia il corso della storia a cambiare gli eventi, ad assistere alla deriva senza nessun protagonismo. Oramai appare evidente come sia saltato e bocciato dalla storia un modello di sviluppo che riteneva di poter fare soldi con i soldi, che voleva affidare alla finanza la chiave di volta di ogni attività, secondo cui ciò che nel breve portava profitto e moltiplicava gli utili era perseguibile e soprattutto doveva costituire la discriminante per ogni scelta politica. Non è stato così: la bolla immobiliare nata negli Stati Uniti ha coinvolto le economie mondiali, nessuna esclusa; l’inattendibilità e l’inaffidabilità delle società di certificazione figlie dello stesso sistema che dovrebbero valutare hanno falsificato ogni economia; la produzione indecente e criminale della Cina ha minato ogni sistema industriale, costretto a confrontarsi con livelli di lavoro più simili alla schiavitù che a quelli di un mondo che si affacciava al terzo millennio. In questo contesto solo immediati interessi ed una visione corta dell'orizzonte di riferimento di interi Paesi hanno potuto sottovalutare e, peggio ancora, sottacere quello che era chiaro stava avvenendo, con egoismi e nazionalismi che hanno finito per sconvolgere anche i sani obbiettivi posti dalle integrazioni continentali o dalle deboli proposizioni della democrazia a interi Paesi, che non potevano essere indotti a un cambiamento che, in altri tempi e per altri luoghi, aveva potuto poggiare su forze sane e autoctone alla base di una crescita culturale e politica, di cui oggi non si ritrovano tracce nemmeno in quelli che si pongono come innovatori di altri, mentre sono protagonisti delle loro stesse sconfitte. La prospettiva è necessariamente figlia di ciò che saremo in grado di determinare e se si continua a pensare all'immediato senza traguardare obiettivi di medio e lungo termine, ogni scelta sarà destinata a fallire aggravando ulteriormente la condizione di milioni di cittadini. Pensare al futuro deve essere la scelta, sapendo che spesso per perseguire scelte condivise bisogna fare compromessi e mediazioni che non sempre pagano, ma se si vuole condizionare e disegnare il futuro si deve necessariamente mettere in conto qualche rinuncia anche di potere. Viviamo un sistema di preoccupante appiattimento, dove riesce sempre più difficile individuare le differenze poste dalla politica nelle sue diverse espressioni, ogni giorno è più compliPag. 2 A nche il 2013, come ogni anno, ha regalato nuove e piacevoli sorprese sul fronte degli studi sulla qualità della vita all'interno del nostro beneamato Stivale. Nonostante la grave crisi economica, molto più della metà sono infatti le province italiane in cui i livelli di qualità hanno raggiunto almeno la soglia dell'accettabilità. Il miglior dato degli ultimi cinque anni, non per Napoli però, né ovviamente per le restanti province campane, tutte relegate agli ultimi posti della classifica stilata. Tristemente non ce ne sorprendiamo, calcolando infatti le stime in base ad indicatori quali ambiente, lavoro, disagio sociale, criminalità, tenore di vita, salute e servizi offerti, immediata salta alla mente l'associazione a cupe realtà che caratterizzano il nostro territorio: emergenza rifiuti, Terra dei fuochi, disoccupazione crescente, camorra, malasanità e trasporto pubblico al collasso. Già, ancora i trasporti, il pane che mastichiamo quotidianamente, il micro-mondo di cui ci occupiamo e che riteniamo in qualche modo possa erigersi a risposta del perché continuiamo a scorrer il dito sdegnatamente fino al fondo della suddetta classifica per scovare Na- Crisi sociale: scelte sbagliate che riducono i servizi... Pag. 2 poli e le altre città della Campania. Una realtà in rovina, che continua ormai da anni a tramandarsi da un'amministrazione all'altra, al pari di un fardello ereditato che giustifica la politica dell'innocenza e dell'impossibilità inevitabile al cospetto di scelte pregresse. Davvero facile così. Ma è giunta l'ora di dire basta, di invertire la rotta, l'ora in cui ognuno si faccia carico delle proprie responsabilità, accantonando una volta e per tutte la fastidiosissima visione egoistica e qualunquistica che antepone il cambiamento altrui alla ricerca delle soluzioni. Ed è per questo infatti che dopo tanti anni di politica dei trasporti condizionati dalla retorica delle grandi opere e delle infrastrutture strategiche, comincia ad emergere la consapevolezza che a fare la differenza siano finalmente i servizi, quelli offerti ai cittadini, quelli che dovrebbero avvicinare l’utente al trasporto. Elaborare nuovi piani del traffico, ridurre l’impiego dell’auto privata, favorire gli spostamenti in metro e in bus, è questo quello di cui avremmo bisogno per dare la garanzia ai cittadini di una qualità della vita più elevata ed un sistema della mobilità più effi- MCNE: rischio chiusura della linea metropolitana Pag. 4 Il Sud corre con Sita da cento anni Pag. 5 cace e sostenibile. Ma non può essere semplice se l’impegno per far fronte ai pesanti tagli imposti dal governo al trasporto pubblico locale continua a venire sempre meno in una città come la nostra. Le decurtazioni hanno già avuto un impatto notevole sia sugli utenti, con una riduzione del numero e della frequenza delle linee urbane ed extraurbane, sia sulle aziende stesse, il cui personale continua a soccombere ad una situazione limite che si proroga da troppo. Occorrono investimenti, questo è sicuro, occorrono soldi che siano indirizzati a rendere i mezzi pubblici efficienti, perché l’efficienza del servizio e la cura del cittadino sono e devono essere la priorità. Rafforzare il tpl, curarlo, salvare il settore. Non farlo sopravvivere, ma dargli vita. Una sfida difficile, che si gioca in tempi stretti, ma l’unica che può consentire davvero di rilanciare nuovamente il settore, difendere i livelli occupazionali e donare agli utenti il sacrosanto diritto alla mobilità cittadina. Perché alla gente il trasporto serve, alla gente che di trasporto ci vive, a quella gente che il Pag. 2 trasporto lo paga ma del Il D.L. contro il lavoro irregolare Novità per affitti e acquisto casa Velo: discriminazione o identità? Bonasera Bella 'Mbriana mia Pagina 2 Qualità della vita: anche il tpl relega Napoli in fondo alla classifica Ripartire da una coscienza politica che metta al centro delle proprie scelte il futuro della collettività quale non è affatto ripagata. Intanto, nel mentre la domanda di trasporto cittadino sembra crescere in maniera vertiginosa, tutta la retorica del dibattito pubblico rimane invece concentrata sulle grandi promesse che verranno, ingigantendo così il paradosso trasporti che continua ad offrire sempre più cantieri a cielo aperto per la realizzazione di grandi opere e nessun miglioramento dei materiali in circolazione che stentano a sopravvivere per carenza di manutenzione. Corse ridotte, talvolta annullate ed orari di attesa che addirittura triplicano. Il tutto in un clima a dir poco rovente dove l'insicurezza, fomentata dall'esasperazione, il disagio sociale e la totale assenza di sistemi precauzionali, fa da padrona. Ecco il grosso contributo che il nostro trasporto pubblico regala oggigiorno ai livelli di qualità della vita. Si sa, i sistemi di trasporto sono generalmente analizzati focalizzando l’attenzione sul ruolo di servizio che essi svolgono a beneficio della collettività a fronte dei costi di investimento e di gestione che determinano. Lo sviluppo dell’economia e della qualità stessa della vita è fortemente condizionato dal modo in cui il crescente bisogno di mobilità delle persone è soddisfatto da infrastrutture, modalità di governo e gestione dei sistemi di trasporto. È legittimo quindi chiedere un trasporto funzionale, perché il trasporto pubblico è parte integrante del diritto alla città ed al suo godimento. Lottare per un trasporto pubblico è lottare per una città di tutti, per una qualità di vita da pag. 1 migliore. E quelle che incidono sono le scelte di chi ci governa, quelle scelte collegate alla modalità e alle regole di gestione che condizionano la sopravvivenza, il declino o la nascita di numerose aziende di trasporto. Aziende che chiudono, aziende che non riescono ad erogare i propri servizi e sono costrette ad abbandonare il mercato, a lasciare la gente a piedi e i dipendenti senza futuro. Le chiamano scelte strategiche, le politiche pubbliche della mobilità. Guardare l’orizzon- te del trasporto pubblico della città di Napoli è diventato davvero impossibile, per il momento si annoverano le intenzioni e restano solo quelle. Le difficoltà crescono, la vivibilità diminuisce. Oggi trovare un bus per strada o attendere un treno senza ritardi è diventato utopia. Ed in questo scenario aggravato dalle risorse pubbliche disponibili decrescenti, la scelta di concentrare tutta la scommessa sulle grandi opere megagalattiche, sulle inaugurazioni in pompa magna, ha comportato una minore disponibilità di risorse per la manutenzione del preesistente e per il rinnovo delle flotte del trasporto pubblico. Più stazioni con meno treni, più pensiline e meno pullman. Ancora il paradosso trasporti. Si tratta ora di ragionare con chiavi di lettura nuove sul futuro del settore, tenendo conto ovviamente delle risorse già investite, cercando di cucire le reti del trasporto collettivo (bus urbani ed extraurbani, tram, filobus, metro, ferrovie regionali), realizzando servizi in logica di integrazione e superando le sovrapposizioni che si sono generate nel tempo: questa la sfida dei prossimi anni, quella che mira ad una riorganizzazione del trasporto collettivo proponendo soluzioni funzionali e competitive ai cittadini. Risvegliare le coscienze e riappropriarsi del futuro, dal trasporto agli altri servizi, dal lavoro all'ambiente, non per mettere in piedi miracoli, ma per iniziare a render, se non all'altezza, almeno degna la vivibilità di chi popola questo meraviglioso territorio. P. Arrighini - R. Intermoia Crisi sociale: scelte sbagliate che riducono i servizi ai cittadini Questione sociale come lotta di democrazia e civiltà contro l’indifferenza politica La crisi che investe oramai ogni settore economico ha investito anche quello del sociale. Il settore in Campania è in mobilitazione non da poco tempo: incontri, sit-in, cortei e presidi la fanno da padrone in tutti gli Ambiti di Zona della Regione Campania, dove più e dove meno il grido è unanime ma molto spesso inascoltato: garanzia dei servizi dopo i tagli compiuti e tutela occupazionale. Il reale rischio che si sta correndo è quello di chiusura di tante esperienze importanti, che lasceranno decine di migliaia di persone senza servizi e migliaia di lavoratrici e lavoratori senza lavoro. Ancora troppa indifferenza da parte di amministratori locali che molto spesso sono più concentrati sulla spartizione di poltrone, di CDA o quant’altro, a discapito di quei lavoratori che anche da un decennio ogni giorno hanno a che fare con il disagio. Ancora si è lontani dal capire che in questo settore il servizio è “l’operatore” e che pertanto preservare le professionalità risulta strategico per la gestione dei servizi sociali, poiché l’operatore sociale rappresenta la risorsa sostanziale degli Ambiti per garantire la qualità del servizio. Purtroppo siamo di fronte a scelte politiche inadeguate, operate in primis dal governo nazionale e di conseguenza da quelli locali, che, nei fatti, hanno determinato un sostanziale passo indietro arretrando le politiche sociali e riducendo i servizi ai cittadini. Ciò ha comportato da un lato la chiusura e la messa in discussione di tanti servizi ed esperienze di lavoro e dall’altro dietro l’alibi della scarsità di risorse, viene minata nel profondo la sostenibilità dei servizi sociali universali e soprattutto la loro funzione pubblica. Questa situazione nella nostra Regione si somma e molto spesso si "confonde" con le numerose emergenze che quotidianamente ci troviamo a fronteggiare e che purtroppo non è riuscita ancora a tramutarsi in una vera e propria battaglia di settore. Battaglia che merita attenzione al pari degli altri comparti in crisi, visto che qui più che altrove le scelte politiche sbagliate si riversano immediatamente sulla pelle della popolazione più fragile, che per destino ha avuto in dono una sorte non propizia. È fondamentale che la questione sociale diventi una lotta di democrazia e civiltà, capace di percorrere le coscienze e le sensibilità al di là di logiche di settore e corporazione. In Campania, a seguito del ridisegno degli Ambiti di zona operato con la Delibera 320/2012, si assiste soprattutto in questi g i o r n i a “commissariamenti” di molti Ambiti che non lasciano nessuna provincia esente (Ambito A4, B5, C2, n 16, n 33, S9) e questo la spiega lunga come in molti casi la politica non si trova a ragionare di persone e di servizi ma di “poltrone da spartire” a danno dei cittadini e dei lavoratori. Diventa fondamentale pertanto scuotere le coscienze ed importante che ciò parta dal Mezzogiorno dove le condizioni economiche, politiche e sociali vanno sempre di più degenerando, ma che proprio per questo può rappresentare il luogo ove individuare gli elementi concreti ed efficaci su cui costruire basi solide per una ripresa strutturale che parta dalle persone, dalle comunità e dalla società civile. Vincenza Preziosi da pag. 1 cato segnare le diversità, troppe le ovvietà, le genericità e le strumentali divisioni, tutti alla ricerca di uno spazio di potere immediato in ragione del quale si abbandonano convinzioni e posizioni in grado di caratterizzare l'offerta politica su cui chiamare i cittadini a scelte consapevoli. Ogni giorno bisogna aggiornare la tavola degli apparentamenti, con maggioranze variabili ampiamente divise al loro interno per quanto diverse ed indifferenziate, con opposizioni evanescenti e mostruosamente simili anche se formalmente provenienti da esperienze diverse, ma tutte accomunate dalla esigenza immediata di attentare alla maggioranza, non già di condizionarne il cammino. Non si esce dal buio senza accendere una luce, aspettare solamente l'alba non paga, bisogna offrire una via di uscita e costruire l'alternativa, chi l'ha fatto ha parlato alla gente con i fatti non con i blog, ha recuperato volontà chiare per la gente e non per gli schieramenti politici e per la finanza. Laddove è nata la crisi si ė provveduto ad offrire sanità a tutti, soldi al sistema di produzione, ai lavoratori e alle famiglie per far ripartire la spesa e i consumi, da noi invece soldi alle banche, che non sono arrivati né alle imprese né alle famiglie, e con sterili egoismi e protagonismi, solo abbassamento dei livelli di servizi sanità, trasporti, scuola, ricerca, formazione, con la presunzione di uscire così dalla crisi. Ma che Paese stanno immaginando, che futuro vogliono disegnare, nessuno l’ha capito e nemmeno loro lo sanno, visto che ogni giorno cambiano le loro stesse decisioni, perdono pezzi delle deboli maggioranze stranamente costruite, in molti casi depauperando anche quelle uscite dalle urne. In Campania il bilancio regionale è stato approvato con un solo voto di scarto, assessori evanescenti che non votano bilanci, mica niente; riassetto di sistemi, come quello idrico, dei rifiuti, dei trasporti, sanitario, che somigliano a ectoplasmi destinati a peggiorare ancor più le già drammatiche condizioni organizzative e gestionali, che tra sindaci che ritengono fuorvianti le analisi sulla vivibilità che vedono la Campania tutta insieme nel fondo, solo perché “i freddi numeri non tengono conto del calore con cui i napoletani si salutano per strada" ed altri che non sanno se fare i sottosegretari o i sindaci, ma che annunciano di rinunciare al mandato di sindaco se arriva il potere dal ministro, o quelli che dopo soli sei mesi già sono sotto scacco di potentati e partiti Irpini, ci siamo avviati ad un nuovo anno che di nuovo non è sembrato avere nulla! Almeno che non si voglia valutare come novità positiva, la grande omogeneità e similitudine ad ogni livello nel rappresentare un momento di svolta immaginifico, mentre non si sa come pagare la nuova IMU (tasi) come sarà la nuova TARES (tare) cosa dire al popolo a cui è stata devastata la terra e la vita, senza colpevoli e con tanta finta solidarietà. Non vediamo vati, non ci sono opzioni vere, solo propaganda anche dentro i partiti, solo per fini immediati di potere, un job act per il lavoro che non c'è, una riforma della legge elettorale che non si capisce con ben tre opzioni su cui scegliere!! (e poi era a Napoli che c'erano le tre carte) solo ovvietà e campagna elettorale perpetua che non ci porteranno fuori dal pantano! Tocca al sindacato e alla cultura riformista, se se ne può ancora immaginare una, attrezzare un’offerta politica e sociale che parli al lavoro, alla scuola, ai giovani insomma al futuro del nostro Paese. Le lotte di classe non sono lontane, le diffuse manifestazioni del dissenso non vanno sottovalutate né licenziate con supponenza e superficialità, vanno lette le difficoltà vere da cui partono ché anche ignorarle ė strumentale. Bisogna riprendere da dove la politica non vuole partire, dai problemi veri della gente, non quelli dei partiti, non è la riforma elettorale, né quella costituzionale e tantomeno quella delle forme della tassazione che interessano e toccano la vita di lavoratori, giovani e pensionati, sono altre le emergenze e i diritti da ripristinare: lavoro, maggiori risorse in salari e pensioni, occupazione, servizi e Mezzogiorno sono le emergenze a cui rispondere, e se non ci sono svolte vere e tangibili è da questo che il sindacato dovrà attingere per una grande stagione di dissenso e protesta per riportare sulla terra quelli che al realismo di Orwell dei piedi nel fango, preferiscono l'utopia della testa fra le nuvole, con cui stanno distruggendo il presente e il futuro di un Popolo. Luigi Simeone ANNO 6, NUMERO 1 Pagina 3 Le regioni italiane pronte a strappare il contratto di servizio con Trenitalia Parte dall'Abruzzo la volontà di salvaguardare il destino dei 3 milioni di pendolari italiani Le grandi rivoluzioni spesso partono dai piccoli centri. Questo postulato sembra possa essere applicato anche al futuro del trasporto ferroviario italiano. La regione Abruzzo, negli ultimi giorni del 2013, ha formalizzato la volontà di cessare il contratto di servizio con Trenitalia, favorendo dunque il rinnovo dello stesso attraverso la procedura della gara. La decisione nasce dalla volontà di dare un forte segnale a chi spesso, sfruttando proprio l'esclusività, sorda a qualsiasi richiamo istituzionale, fornisce un servizio degradato e lacunoso, catturando l'ira dei pendolari e delle amministrazioni. Un'iniziativa storica che ha alimentato una ventata di cambiamento che ha presto contagiato altre regioni della penisola, in particolare Toscana e Veneto. In merito a quest'ultima, Luca Zaia ha pubblicamente annunciato di aver chiesto la revoca dei servizi a Trenitalia, ormai stanco dei treni regionali sovraffollati ed in ritardo, non degni di un paese civile. Il suo obiettivo è quello di mettere in discussione il fatto che ci possa essere solo ed esclusivamente un gestore per i treni regionali e per questo è pronto a fare una gara europea, con la massima evidenza pubblica e nel pieno rispetto della legalità, affinché vinca davvero il migliore. La sfida contro le Ferrovie dello Stato passerà anche attraverso un'attenta valutazione del servizio di Trenitalia, che porterà a tradurre i disagi dei pendolari in detta- gliate contestazioni al gestore del servizio ferroviario regionale. Un'iniziativa di estrema importanza, anche perché, in attesa dei tempi di gara, sarà comunque Trenitalia a garantire il servizio fino al utenti si sono ridotti a 310mila contro i 395mila dello scorso anno ed i 467mila del 2011. Numeri causati dal drammatico taglio al servizio, che dal 2010 ad oggi è stato ridotto del 19% (con punte del 50% 2015 ed è dunque prioritario garantire il rigoroso rispetto del contratto di servizio fino a quella data, nel pieno rispetto dei passeggeri e degli abbonati. Ed in Campania? Il numero di passeggeri che utilizzano il servizio ferroviario regionale sta calando vertiginosamente: gli su alcune linee). Una vera e propria catastrofe, che non riesce comunque a sensibilizzare le amministrazioni locali. Si pensi che in Campania, per il trasporto pubblico locale, a fronte di centinaia di migliaia di pendolari, non si raggiunge lo 0,3% della spesa rispetto al bilancio. Crisi autotrasporto merci, imprese che chiudono e riduzione di personale Le difficoltà ad applicare il nuovo contratto collettivo nazionale di categoria Un trafiletto per raccontare i numeri di una crisi: il comparto dell’autotrasporto merci su strada segna il passo. Tra il primo trimestre 2009 ed il terzo trimestre 2013 hanno chiuso circa 16.000 imprese (14,7 per cento). Diminuite quasi 70 mila unità lavorative. La regione più colpita è il Friuli, ma è solo un dettaglio nel contesto nazionale. Questo, il bollettino che fotografa come un plastico la cartina del crollo. Lo rende noto a mo’ di dispaccio d’agenzia, l’Associazione artigiani piccole imprese di Mestre. settori, ha subito la crisi generale in modo violento, al pari e forse più di altre nazioni dell’Europa Unita. Lo scoppio della bolla del mercato immobiliare americano fu solo l’atto propedeutico di una catastrofe mondiale ancora in corso e, per quest’anno, sono previsti in generale moderati segnali di ripresa della nostra economia. Ora se è vero, come è acclarato dalla scienza economica, che dall’incontro fra domanda ed offerta nasce l’economia rea- Riguarda una platea complessiva di ben 700 mila addetti, comunque enorme, sterminata, a macchia di leopardo, come si conviene quando si parla di questo comparto che opera nella distribuzione, nello stoccaggio e talora nell’e-commerce, in pratica il core-business di come organizzare l’approvvigionamento di ciò che occorre per la vita stessa di una nazione. La logistica, termine abusato, ma che è esso stesso un assioma di origine militare per significare il concetto stesso di movimentazione delle risorse per l’autosostentamento. La tempesta scoppiata nel 2008 ha travolto, alla fine, anche un settore che è elemento indefettibile nella stessa organizzazione della vita delle collettività; non ha fatto “sconti” quindi al nostro Paese, colpito in toto che, a quanto pare, viste queste cifre allarmanti unitamente a quelle di altri le e che gli aiuti di Stato possono solo servire a sbloccare e rimettere in moto il carrozzone di tante attività, bisogna ammettere che la povertà si è ramificata, rinnegando un tempo non lontano quando aleggiava un benessere disomogeneo ma positivo e che investiva anche il settore dell’autotrasporto merci. Con la caduta degli dei (ossia le antiche certezze di sopravvivenza) è stata acquistata piena consapevolezza della impotenza a risolvere la crisi. Non sono bastate, pertanto, le favorevoli inondazioni di fondi trasferiti dalle finanziarie degli ultimi anni alle imprese del settore per arginare l’emorragia di posti di lavoro. Milioni di euro ed aspettative di crescita smarritisi nel mare della parcellizzazione imperante. E se Ferrovie dello Stato italiane, pur guardando con interessata attenzione all’autotrasporto merci con l’obiettivo di drenarne fette di mercato da indirizzare al ferro, non sono riuscite se non in modo infinitesimale a cogliere l’obiettivo, difatti la forbice resta pressoché uguale con quasi l’ottanta percento delle merci che viaggia su gomma da illo tempore, va da sé che l’universo dell’autotrasporto ha pagato una crisi di identità inevitabile. Capita così, nel marasma di un’epoca contorta, che le associazioni dei padroncini, dei quali ci siamo occupati nel numero scorso, si rifiutino di corrispondere 108 euro di aumento in busta paga e non vogliano riconoscere il 100% degli istituti contrattuali. In pratica, non intendono sottoscrivere l’accordo di rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro della logistica, del trasporto merci e delle case di spedizione, firmato il 1° agosto 2013 con alcune fra le più rappresentative associazioni di categoria: Confcooperative, Legacoop e AGCI. Si tratta di un capitolato sull’occupazione complesso e con norme finalmente ottenute dai sindacati dopo le trattative rispetto ad una piattaforma articolata e ricca di richieste innovative. Sono regole che prevedono la facilitazione per assumere autisti italiani o regolarmente residenti nella penisola; che tendono a valorizzare la contrattazione aziendale e territoriale e dettano criteri precisi per stabilizzare il lavoro precario; ma anche per combattere elusione ed evasione fiscale, sebbene i finanziamenti a pioggia favoriti da un patrocinio politico d’antan. In ogni caso le imprese saranno incoraggiate da un sistema premiale che si intreccia con l’impegno a favorire l’apprendistato. Quest’ultimo, a seconda della visione politica, è visto come elemento positivo nell’ottica dell’investimento umano o, al contrario, invece come subdolo sfruttamento giovanile, da evitare, favorendo il lavoro con contratti di formazione. Ma la metodica resta ispirata fondamentalmente a forme di flessibilità occupazionali che, alla lunga, sono affatto paganti se la precarizzazione promette meno posti piuttosto che pieno impiego a contratto indeterminato. Ma qui, come altrove, le discettazioni trovano esse solo il tempo che possono trovare; i fatti invece languono in un tempo incerto. Arcangelo Vitale E così, mentre il diritto alla mobilità muore, continuano le solite bagarre. A dicembre l'assessore ai Trasporti della Regione, Sergio Vetrella, ha annunciato un'azione legale nei confronti di Trenitalia, accusandola di non aver rispettato il contratto stipulato nel 2008. In particolare, mancherebbero nuovi treni sulle linee, convogli che sarebbero dovuti essere in funzione già dal 2011. A causa di questa mancanza, l'assessore richiede la restituzione di diverse centinaia di milioni. La risposta da parte di Trenitalia non si è fatta attendere: "Ad oggi la Regione Campania, in qualità di committente, è in difetto di pagamenti verso Trenitalia per 215 milioni di euro, pari ad oltre un anno di servizio ferroviario svolto dalla società a fronte di alcun pagamento", una situazione inaccettabile e finanziariamente insostenibile. A sua volta, dunque, Trenitalia ha già intentato quattro azioni legali finalizzate al pagamento di quanto ad essa spettante. Di questo passo è probabile che anche la Campania sciolga la convenzione con Trenitalia, ma non perché animata dal vento di cambiamento che nasce dal Gran Sasso, ma per risoluzione del contratto per inadempienza della Regione e a quel punto, mentre Zaia punta ad assomigliare sempre più alle ferrovie giapponesi, noi potremo al massimo aspirare ad una Hiroshima post -atomica. Umberto Esposito Perché la TAV? La Tav in Val di Susa, che in realtà Tav non è, ma Tac, treno merci ad alta capacità, è un mistero. Una tratta ideata alla fine degli anni '80 che finirà tra vent'anni. Lascerà un debito generazionale spaventoso che pagheremo con le tasse e il debito pubblico e una valle sconvolta per sempre. Un tunnel di 57 chilometri che modificherà la struttura del territorio, comprese le fonti d'acqua con il pericolo della diffusione di amianto. I fondi della UE di cui si riempie la bocca Il nostro “Capitan Findus E. Letta” serviranno solo per coprire una piccola parte dei costi, forse un miliardo, quando il valore complessivo della Tav è di almeno 18/20 miliardi di euro. Quattro volte il Ponte di Messina. Una tratta ferroviaria in Val di Susa esiste già e, ogni anno, diminuiscono le merci trasportate. L'interesse dei politici per quest'opera colossale e inutile è morboso. Perde i pezzi, ma non si discute. Doveva collegare Lisbona a Kiev e, se andrà bene, collegherà Torino a Lione. Il Paese non ha soldi per i trasporti primari, per i treni dei pendolari, per le strade, ma per la Tav i miliardi devono saltare fuori. Non c'è logica in tutto questo, così come è surreale l'occupazione militare di una valle perché si è schierata compatta contro la sua distruzione demonizzando e inquisendo chiunque si opponga a questo scempio. Gli abitanti della Val di Susa sono trattati come pericolosi brigatisti. L'accanimento sulla Tav che dura ormai da un ventennio deve avere delle ragioni profonde, insondabili, ma importanti, di vita o di morte. Perché Fassino nel suo primo discorso da sindaco ha subito perorato la causa della Tav? Perché ogni governo negli ultimi quindici anni ha avuto la Tav come priorità trascurando le vere emergenze del Paese? Provate voi a dare una risposta a queste domande irrisolte. Vox populi, vox dei. Gennaro Raggioli Pagina 4 Il piano di rientro EAV: i conti non tornano e le preoccupazioni aumentano Tu t t o q u e l l o c h e s i n d a c a t i e l a v o r a t o r i d e v o n o s a p e r e , t u t t o q u e l l o c h e d e v o n o c a m b i a r e Eran 2.300, eran giovani e forti… Potrebbe iniziare così, questa storia: la storia di un’azienda che - dal momento della fusione in avanti - non ha saputo governare alcun processo di razionalizzazione, di efficientamento, di biforcazione… tantomeno di riqualificazione del personale! Al punto che il management, poco prima di Natale, ha ripescato dal suo cilindro la famigerata Legge 223/91 sui licenziamenti collettivi. Il Piano di rientro del Commissario Voci, che prevede tra l’altro tagli al servizio, tagli alla paga dei lavoratori, tagli ai posti di lavoro (il tutto associato a “nuove assunzioni”…), pare essere fatto esclusivamente di cifre piuttosto che di reali esigenze di trasporto pubblico. E la stangata più aspra tra tutte, naturalmente, è quella dei 100 contratti di solidarietà annunciati nel piano stesso, poi trasformatisi nel dicembre scorso (con l’avvio della summenzionata Legge 223) in 74 esuberi di personale amministrativo. Ma andiamo per gradi. EAV era partita, la scorsa estate, da 116 amministrativi in esubero, che per non essere licenziati avrebbero dovuto cambiare mansione. E così, nel giugno scorso, via alle visite mediche per il controllo di idoneità e ai corsi di formazione ad hoc per il cambio qualifica, il tutto per sfoltire gli uffici e rinfoltire treni, stazioni ed officine. La riqualificazione degli impiegati, ad oggi, non è conclusa e allo stato attuale potremmo definirla un’operazione organizzativamente complessa e dispendiosa. Ma la più penosa delle conseguenze è che, a distanza di alcuni mesi da allora, i conti dell’azienda non tornano. Parliamo di conti, perché di numeri – dicevamo – è fatto il piano Voci. Parliamone. Magari potrà rispondere il management di EAV a qualche semplice domanda? Ad esempio: quanto va recupe- rato attraverso i tagli, nei prossimi due anni? (Sembrerebbe che dalle misure previste dal piano si recuperino circa 15 milioni di euro) E di questa cifra, quanto è stato già recuperato ad oggi con le riqualificazioni effettuate? ste ce ne sarebbero ancora da esporre. Chi ha un po' di memoria, ad esempio, ricorda i tempi in cui nelle biglietterie della ex Circumvesuviana erano in distribuzione ticket e convenzioni per i turisti. Addirittura si vendevano tracce ferroviarie per inserire Quanto, in termini di bigliettazione, con l’innesto dei neo verificatori di titoli di viaggio? Quanto, in termini di straordinario, con l’innesto dei neo operai nelle officine? Quanto, in termini di straordinario di personale viaggiante, coi neo capitreno? Ancora: quanti dirigenti occorrerà tagliare, per avere una proporzione decente tra le varie aree professionali? Sono domande necessarie, poiché pare che un bilancio del “già dato” non sia stato ancora redatto. Ma di domande e di propo- treni dedicati ai croceristi diretti a Sorrento e a Pompei Villa dei Misteri per mirare le bellezze di un passato glorioso di una terra antica e ricca di risorse. Qualcuno, ancora, ricorda i tempi in cui circolava il progetto di adibire le biglietterie a operazioni commerciali - ricariche telefoniche o altro. Infine, qualcuno ricorda antichi e dimenticati progetti per il marketing, la pubblicità e la sponsorizzazione nei locali e sui treni aziendali, che, circolando su tutta la rete, potevano coprire ben tre diverse province. Tutto questo per dire che: un altro modo di fare recupero esiste. Non solo: esisteva già! Non era certo indispensabile la “soluzione finale”, quest’uovo di Colombo dei tagli al personale, che a molti appare un subdolo strumento per deprezzare il personale del TPL in vista di futuri acquirenti. Per chi ha a cuore la missione del TPL, questa rovinosa caduta verso il cosiddetto “appianamento di bilancio” è frustrante. Da parte nostra, come lavoratori e Sindacato, cosa contrapponiamo al Piano di rientro? Forse, oltre al denaro e alle cifre indicate nel Piano, serve anche qualcosa di intangibile. Serve che le idee valide non siano cestinate a favore di idee alla moda (la moda dei contratti di solidarietà, ad esempio). Serve un approccio sindacale più semplice e diretto, innovativo: occorre, senza remore, rinunciare all’idea del “si salvi chi può”. Occorre anche fare del sindacato un organismo aperto e trasversale, piuttosto che settoriale. Magari, mettendo sullo stesso tavolo le varie categorie professionali, per attingere dalle stesse idee e percorsi utili alla collettività. Già: sullo stesso tavolo, sia coloro che si reputano già danneggiati, sia coloro che stanno perdendo la garanzia occupazionale. Al personale di linea e di macchina, che dai tagli già attuati ha perso ore di straordinario in busta paga, sia detto che lo straordinario è straordinario, lo dice la parola stessa; e in tempi di magra, si taglia quello. A quelli che, considerati “meno utili”, sono sottoposti a cambi di mansione coatti, sia offerta una prospettiva diversa dal “si salvi chi può”. Rosa Fornaro MetroCampania NordEst: rischio chiusura della linea metropolitana A meno di cinque anni dall’inaugurazione, la carenza di mezzi e di investimenti minaccia il futuro La vista dell’arcobaleno ispira anche nell’animo più cupo allegria e serenità, riuscendo quasi sempre a donare un inaspettato sorriso. In Campania, invece, sono riusciti a spezzare questa magia, a smorzare anche questo sorriso, traducendolo in un ghigno di malessere. Qui l’arcobaleno è associato ai colori sociali di MetroCampania NordEst (MCNE), la tratta ferrata del gruppo EAV, che unisce Aversa a Piscinola passando per Giugliano e Mugnano e che, a meno di cinque anni dalla nascita, rischia già la chiusura. La linea è nata con le migliori premesse, con sistemi avveniristici capaci di contare su un ACC Metropolitano (Apparato Centrale Computerizzato) unico in Italia e tra i più evoluti in Europa, ed una rete di telecamere intelligenti che realizzano un monitoraggio finalizzato ad assicurare altissimi livelli di sicurezza contro atti vandalici, intrusioni, malfunzionamenti e, grazie ad avanzate funzioni di autoanalisi, contro eventi terroristici. La Linea Arcobaleno avrebbe dovuto chiudere l'anello del sistema metropolitano campano, unendo l'estrema periferia napoletana all'aeroporto di Capodichino ed arrivando fino alla stazione di Piazza Garibaldi. Ad oggi, invece, la tratta non è stata estesa, il collegamento con il terminal fer- roviario di Napoli è stato realizzato attraverso la Linea 1 e la connessione allo scalo di Capodichino è ancora pura teoria. Perfino della stazione di Melito, alla quale mancherebbero solo i dettagli e che potrebbe definirsi già pronta ad operare, non si sa più nulla. Il dramma della linea si aggrava se si valuta il materiale rotabile. Dei tredici treni che avrebb e r o dovuto servirla (tra l’altro tutti vecchi circa un trentennio e semplicemente revampizzati), ad oggi solo uno serve il tratto metropolitano. Questo ha reso indispensabile ridurre tragicamente la frequenza dai dieci minuti previsti ai trenta attuali. Una vera e propria agonia per i circa diecimila viaggiatori che ogni giorno affollano le banchine e che spesso si scontrano con gli incolpevoli dipendenti, i quali quotidianamente si barcamenano per evitare il collasso. Si consideri che i lavoratori deputati alla manutenzione dei veicoli sono tuttora costretti a lavorare in un’officina provvisoria, troppo piccola e scarna per permettere la manutenzione con efficacia a treni che ormai hanno percorso fino a 300000 km. MCNE non troppo tempo fa poteva vantare uno stimabile tasso di evasione ed elusione, pari solo all'1%. Ad oggi, a causa dell’abbandono degli investimenti neces- sari a garantire l’efficienza dei varchi, della limitazione del personale predisposto alla controlleria, ma soprattutto a causa di una caduta vertiginosa dei servizi che ha creato malcontento e rabbia tra i pendolari, l'indice si è vertiginosamente incrementato. La desolazione di MCNE si rispecchia tutta nel degrado che attanaglia i parcheggi di interscambio di Giugliano e Piscinola, vaste aree abbandonate a se stesse, dove i sistemi di accesso sono ormai fuori uso ed i malviventi fanno razzia delle auto dei pendolari tristemente incustodite. Eppure, considerando che i due parcheggi potrebbero contare su un bacino totale di oltre 1500 veicoli al giorno, basterebbe ripristinare il funzionamento di questi due siti per poter iniziare a racimolare denaro utile ad investire nel rilancio dell’azienda. Questa miopia attanaglia da troppo tempo l' azienda, la proprietà e finanche la dirigenza e, prima che si traduca in completa cecità, si dovrà intervenire con iniziative utili a rinverdire le speranze di MCNE, e di un intero territorio che già aveva vissuto l' abbandono per decenni con la "temporanea" chiusura della Alifana. Lo chiedono i passeggeri e innanzitutto i lavoratori, i quali, benché inadeguati nel numero (si pensi che sulla linea, lunga quasi 11 km, operano circa sessanta persone), lottano quotidianamente per assicurare un servizio. È necessario garantire loro un futuro, attraverso iniziative coraggiose ed efficaci. Magari ancorando gli orari a quelli della linea di Metronapoli, di cui è bene capire che MCNE è la naturale prosecuzione e non un elemento avulso, aumentando il numero dei treni, accelerando le procedure per la consegna dei mezzi nuovi già in fase di allestimento e rilanciando la manutenzione di quelli vecchi. In quest'ultimo caso basterebbe anche realizzare semplicemente una rampa di collegamento che permetta ai mezzi guasti di accedere agli spazi dedicati a Metronapoli nell'area di Piscinola, dove potrebbero ricevere interventi più incisivi. Alle istituzioni, invece, si chiedono maggiore sensibilità per una metropol i t a n a vitale per il sistema dei tras p o r t i regionale e l’utilizzo dei fondi europei per lo sviluppo delle aree interne previsti dalla Legge di Stabilità 2014. Nessuna chimera dunque, ma semplicemente iniziative realizzabili e logiche, obiettivi minimi per qualsiasi paese civile, ma una vera e propria pentola d'oro sotto l'arcobaleno per i dipendenti ed i pendolari campani. U. E. ANNO ANNO NUMERO ANNO4,4, 6,NUMERO NUMERO6 6 1 Pagina Pagina 5 5 La linea 1 avanza con la stazione Garibaldi. Prossime tappe, Municipio e Duomo Inaugurazioni in pompa magna ma nessuno parla dei ritardi sulla consegna delle prossime stazioni È da poco che i napoletani hanno assistito ad un grande evento, l’apertura del corridoio della fermata della stazione di Toledo, esattamente il 18 settembre scorso. L’uscita di Montecalvario, nel cuore dei Quartieri Spagnoli, si tratta in effetti soltanto di uno sbocco di una fermata già esistente ma che ha garantito l’accesso diretto della linea 1 all’area dei Quartieri Spagnoli. Una grande festa, persone che sono accorse da ogni luogo e tanto entusiasmo per l’inaugurazione di una semplice uscita di una metropolitana: tutto questo risulta comprensibile in una città di ritardi e false illusioni dove anche un semplice corridoio diventa così una grande opera realizzata per la città di Napoli, tanto di guadagnato poi se di un passaggio sotterraneo se ne fa un’opera d’arte, così come vuole la tradizione della linea 1 della metropolitana. A distanza di pochi mesi una nuova festa: la linea 1 arriva a Garibaldi. Che vanto per la casa comunale, se ne è parlato così tanto e sembra che le istituzioni l’abbiano considerata una delle giornate più importanti per la città di Napoli, sembra che i problemi sin a quel momento esistenti per tutto il comparto del trasporto pubblico siano di colpo scomparsi e l’importante è stato celebrare Garibaldi e prendersi i meriti di questo evento, perché da un’amministrazione che perde così tanta acqua qualcosa di buono e di consistente doveva pur uscire.. Questa volta non si parla di una semplice inaugurazione, questa volta si tratta di festeggiare la realizzazione di un nodo crucia- le per tutto il sistema di circolazione metropolitano e regionale. L’apertura della fermata Garibaldi della Linea 1 è davvero un grande evento, uno di quelli che proprio non si scorderanno più perché questa diciassettesima di sulla tabella di marcia a causa dei molti ritrovamenti archeologici che ne hanno rallentato decisamente i lavori di realizzazione. Ma tutti, proprio tutti, hanno fortemente sperato che la linea 1 avanzasse, che quella me- stazione va a rivoluzionare il trasporto in città diventando il nodo di intersezione con la Linea 2, con molte linee di autobus e con le ferroviarie extraurbane. Sembrava quasi che i napoletani avessero deposto le loro speranze sul proseguimento dei lavori di realizzazione della linea metropolitana, troppi imprevisti, innumerevoli slittamenti, si prometteva di aprire nuove stazioni ma poi inevitabili i ritar- tropolitana, struttura fondamentale per la mobilità urbana, proseguisse nel suo completamento e fosse considerata il fiore all’occhiello del trasporto pubblico locale. Ma c’è ancora tanto da fare. Ancora tanto di cui vantarsi. Al di là della prima pietra posata per proseguire i lavori sino a Capodichino c’è la stazione di Municipio da completare, stazione che sarà un nodo di interscambio con la linea 6 in direzione Fuorigrotta, anch’essa in fase di costruzione o meglio dire di distruzione. Già, perché se tanto si può essere fieri della linea 1 non si può dire altrettanto della breve linea 6, quella linea abbandonata a se stessa, la metropolitana fantasma che dal giorno della sua apertura probabilmente è rimasta più chiusa che aperta “per consentire il completamento dei lavori di manutenzione straordinaria al momento in atto”, almeno così dicono. Di questa linea non se ne parla più, questa è stata un vero flop, solo soldi sprecati e tanta, tanta attesa inutile. Un caso emblematico quello della linea 6, quattro stazioni famose per la loro bellezza ma sottoutilizzate e quasi inutili per la mobilità urbana, prima con treni ogni 15 minuti e attiva solo fino alle 14.30, poi completamente chiusa e riaperta dal 20 gennaio. Ma di questo non se ne parla, non conviene parlarne, con la fantomatica linea 6 l’amministrazione comunale non può proprio permettersi di accaparrarsi onori e vanto. È bello poter trionfare con successi certi e celare sconfitte tanto evidenti. Ora staremo a vedere quanto i napoletani dovranno attendere per l’apertura di Municipio e Duomo, di quanto il tutto slitterà ancora in avanti. Abbiamo imparato a non farci prendere dall’entusiasmo per promesse di puntualità nella consegna delle stazioni immancabilmente disattese ma che imparassero anche gli altri a non annunciare date irrealistiche ogni volta che si ha bisogno di riconquistare credibilità agli occhi dei cittadini. A. S. Eavbus, un gelido anno da brividi Il Sud corre con Sita da cento anni Nulla è cambiato per una società ibernata U n s e c o l o d i a t t i v i t à f e s t e g g i a t o a S a l e r n o Sono almeno quattro giorni che pensiamo e ripensiamo a cosa scrivere nell’articolo di questo mese; ci siamo fermati a riflettere, ci siamo confrontati con i lavoratori, ma il risultato è stato sempre una tabula rasa. Abbiamo addirittura pensato di aver perso l’ispirazione, ma alla fine abbiamo capito: da un po’ di tempo a questa parte, nella nostra azienda non succede nulla. È come se si fossero tutti abbandonati all’apatia, come se oramai nulla possa essere fatto per risollevare le nostre sorti. Se si cerca conforto dai vertici aziendali, o ci si lascia cullare da un dondolo di bugie o se si trova un interlocutore poco avvezzo alla menzogna, ci si accontenta di due braccia spalancate in segno d’impotenza. Eppure, da quando riuscimmo ad evitare la ghigliottina del fallimento, ci saremmo aspettati una reazione d’orgoglio da parte di chi quel patibolo ce l’aveva costruito con anni di lassismo e menefreghismo. Abbiamo visto barbe lunghe, lacrime, depressioni, richieste di condanne sommarie e minacce di scontri violenti; ancora oggi però non è ben chiara la dinamica di quello scandalo. Solitamente quando si scansa la morte si è portati ad apprezzare di più la vita, ma in EAVBUS non è stato così: ad un anno dal fallimento non è cambiato nulla. Ad aggravare questa situazione c’è il continuo disattendere da parte dell’azienda degli accordi sottoscritti durante questo periodo di vacche magre. Con minuziosa e certosina attenzione, la parte economica dell’accordo sulla solidarietà in deroga è stata rispettata. Ogni lavoratore in aggiunta alla perdita per la decadenza delle indennità economiche degli accordi di secondo livello (scaturiti da anni di conquiste sindacali) si sono visti decurtare ogni mese lo stipendio di un ulteriore 5% circa, a causa dell’accordo per la solidarietà aziendale, deciso con un referendum or- ganizzato tra i lavoratori. Grazie a questo enorme sacrificio, che rileva un grandissimo senso di responsabilità, i dipendenti ex EAVBUS preferirono decurtarsi un’ulteriore parte dello stipendio per risollevare le sorti aziendali e ridurre il deficit che gli impediva di andare avanti. In cambio l’azienda avrebbe dovuto, ogni tre mesi, convocare i sindacati per ragguagliare sul recupero del debito, e, casomai, ridurre le quote di solidarietà man mano che gli esuberi venivano smaltiti. Da quasi un anno nessuno di questi incontri è stato fatto, nessuno ha notizie sul recupero del debito e nessuno si sta assumendo le proprie responsabilità. Ancora oggi, ad un anno da quell’accordo e alle porte di un nuovo e possibile rinnovo, l’azienda non si è più curata di informare i sindacati sul bilancio economico che, dopo questo beneficio economico ottenuto con i sacrifici dei lavoratori, dovrà assolutamente registrare forti recuperi. Dopo un anno di “lacrime e sangue”, i lavoratori hanno il diritto di sapere se i loro sacrifici sono stati vani; allo stesso modo chi aveva il compito di recuperare i bilanci aziendali dovrà assumersi le responsabilità in caso di un ulteriore fallimento gestionale. In questo anno non abbiamo assistito all’applicazione di nuove strategie societarie, non abbiamo visto cambiamenti nel management aziendale, non abbiamo visto nuovi accordi tesi all’aumento della produttività o alla diminuzione degli sprechi. Con un ordine di servizio perentorio, il più grande sforzo mentale partorito dai nostri manager, è stato quello di voler trasferire un gruppo di circa dieci lavoratori da un deposito ad un altro. Fortunatamente quest’aberrante idea è stata subito bloccata e la minaccia di un ulteriore danno economico per questi dipendenti è stata scongiurata. Alle porte di un prossimo incontro sul possibile rinnovo annuale della solidarietà, ci aspettiamo che la controparte aziendale ci porti innanzitutto gli eventuali risultati economici prodotti quest’anno e, contestualmente, l’eventuale prospettiva di un completo recupero entro l’anno. Nonostante la stagione invernale, il disgelo dell’exEAVBUS deve cominciare; vogliamo che tutti si diano da fare affinché quest’azienda torni a fare ciò per cui è stata creata: il Trasporto Pubblico. Giuseppe Carrara “Il sud corre, 100 anni di Sita”. Questo il titolo della manifestazione che si è svolta in occasione del festeggiamento del centenario della Sita. In verità, questa storica azienda ha qualche anno in più, essendo nata nel 1912, ma la crisi che ha investito il TPL campano dal 2011 ha impedito che la ricorrenza fosse festeggiata con adeguato tempismo. Sita (Società Italiana Trasporti Automobilistici) fu un'idea degli azionisti di Fiat e mosse i primi passi a Torino, radicandosi su tutto il territorio nazionale e superando indenne perfino le due guerre mondiali. Le difficoltà che FIAT visse negli anni 80 costrinsero ad un progressivo abbandono del settore degli autotrasporti che si concluse con la cessione di Sita nel 1987 al g r u p p o Sogin della famiglia Vinella e, successivamente, nel 1993, le Ferrovie dello Stato acquistarono il 55% del pacchetto azionario della società, per arrivare ai giorni nostri quando nel 2011 l’azienda finì la sua esperienza di società unica a carattere nazionale, scindendosi in due nuove società, Bus Italia-Sita Nord, che gestisce i servizi in Veneto e Toscana e Sicurezza Trasporti-Sita Sud che opera in Campania, Basilicata e Puglia. Ma la crisi generale e quella in particolare vissuta nel settore trasporti in Regione Campania ha determinato nell'ultimo anno la volontà di Sita Sud di lasciare i servizi in Campania, tant'è che la Regione Campania, applicando la disciplina europea 1370 sugli obblighi di servizio pubblico, ha costretto Sita Sud ad effettuare i servizi retribuendoli a fronte di una rendicontazione analitica di spesa. Ed è in questo quadro buio, come un lampo che squarcia l'oscurità, ecco che Luciano Vinella, Presidente di Sita Sud, decide di cambiare rotta. Ed il primo inconfutabile indizio viene dall'acquisto di 40 autobus nuovi da destinare alle linee turistiche della costiera amalfitana, un investimento di 10 milioni di euro. Autobus di nuovissima generazione, presentati in occasione della festa dei 100 anni. Ma la vera svolta si è percepita nelle parole del Commendatore Vinella che hanno accompagnato la relazione di apertura del centenario, una relazione che parte dal racconto dalle sue prime esperienze nelle officine del padre, in un paesino della Puglia, sino ad arrivare alla Vinella Group, una struttura societaria complessa che si avvale anche di partners stranieri come l'Owens-Illinois. Attraverso questo racconto si capisce perché Piero La Porta, autore di una biografia di Vinella, lo descrive come un uomo che non ha l'orologio sul polsino, non ha l'erre moscia, parla all'autista così come a un ministro, vive per il suo lavoro imprenditoriale e per la sua famiglia ed è un po' come il vetro che produce nelle sue fabbriche : trasparente, pulito, votato a molte funzioni, ma tuttavia non è fragile, anzi sa essere duro e ancor più tagliente se si rompe. E nella sua semplicità ed autorevolezza, Luciano Vinella fa intravedere un piano industriale solido di Sita Sud in regione Campania, un progetto che parte dal suo investimento per l'acquisto degli autobus e che attraverso le capacità delle risorse umane disegna un quadro di prospettiva nel trasporto pubblico su gomma in Campania. Uno spiraglio di speranza, per i lavoratori Sita Sud e per gli utenti delle linee esercite, una luce che si intravede nel lungo e tortuoso tunnel in cui è stato incanalato il servizio di trasporto campano. Quindi, dobbiamo pensare positivo e sperare, il sud torna a correre e lo fa con i suoi uomini migliori, imprenditori o lavoratori che siano, sperando che ad essi riesca ad interfacciarsi una classe politica seria e tale da poter offrire un servizio di trasporto degno, perché per dirla all’Enaudi, “Ogni giorno, migliaia di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi (la classe politica n.d.r.) possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli”. Antonio Aiello Pagina 6 2014: novità per affitti e acquisto casa Il D.L. contro il lavoro irregolare Misure restrittive contro evasione fiscale e frode agli acquirenti Sanzioni più pesanti per chi non rispetta la legge Tra le novità inserite nella Legge di Stabilità, l’utilizzo del contante nei pagamenti mensili del canone di affitto è stato bandito per sempre. I pagamenti dei canoni di locazione di unità abitative, dovranno infatti essere corrisposti obbligatoriamente, indipendentemente dall’importo da pagare, in forme e modalità che, escludendo l’uso del contante, ne assicurino la tracciabilità. Dunque, gli inquilini non possono più pagare l’affitto di casa con denaro liquido, ma dovranno ricorrere a strumenti tracciabili, come possono essere i bonifici, gli assegni, le carte di credito e i bancomat. A essere esclusi dal divieto di utilizzo del contante, rispettando comunque la soglia di 1.000 euro prevista dall’antiriciclaggio, sono i pagamenti dei canoni di locazione di negozi, uffici e in generale di ogni immobile che non abbia destinazione abitativa e gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Per i box auto, si ritiene che, qualora questi fossero di pertinenza dell'abitazione, allora dovrebbero considerarsi alla stregua di quest'ultima, che prevede, ovviamente, l'uso abitativo e quindi il pagamento non in contanti, altrimenti se si affitta solo il box indipendente dall’appartamento è ammesso per ora l’uso del contante. A vigilare sul rispetto della norma, volta ad assicurare il contrasto all'evasione fiscale nel settore, saranno i Comuni che possono svolgere attività di monitoraggio, servendosi anche dei registri di anagrafe condominiale tenuti a cura degli amministratori per ogni condominio. Ma le restrizioni sull’utilizzo dei contanti nel campo degli affitti potrebbero non essere così efficaci per contrastare il fenomeno degli affitti in nero, in quanto se il contratto non è registrato il proprietario non sarà così ingenuo da richiedere un assegno o un bonifico per il pagamento del canone mensile. L’obbligo della tracciabilità, piuttosto, potrebbe scoraggiare chi ha registrato all’Agenzia delle Entrate un contratto di locazione con un canone inferiore rispetto a quello reale, anche se in questo caso, qualcuno ha già pensato di riscuotere l’importo del canone registrato col bonifico o l’assegno, mentre la differenza della somma sarà comodamente riscossa a mezzo contanti, senza restrizione alcuna. In questo caso, spetta all’inquilino avvalersi di quanto sancito dal D. Lgs. 23/2011, che nei casi di affitto in nero, anche parziale, riconosce la riduzione del canone ad un importo pari al triplo della rendita catastale dell'immobile locato e una durata del contratto pari ad anni 4 + 4 dal momento in cui il contratto in nero viene registrato. Tale normativa si applica anche ai contratti regolarmente registrati che riportino un canone inferiore a quello effettivamente pagato e ai finti contratti di comodato. Sul fronte delle compravendite, nel 2014 viene invece sdoppiata l’imposta di registro sui trasferimenti immobiliari: 9% di base e 2% per la prima casa. Il pagamento, inoltre, dovrà essere effettuato direttamente al notaio che depositerà le somme su un conto dedicato, fino a quando non sarà regolarmente registrato l’atto di vendita. In pratica, la consegna del denaro al venditore avverrà non più al momento della firma del contratto, ma solo una volta che il contratto sia regolarizzato nei pubblici registri immobiliari. In questo modo l’acquirente è tutelato nel caso in cui il venditore abbia alienato un bene che non è più suo o che è stato nel frattempo ipotecato. Infatti, solo quando il trasferimento della proprietà sarà stato trascritto i soldi entreranno nella disponibilità del venditore. Francesco Di Palma Calcio Napoli, una stagione ancora da salvare Un attacco stellare che non rispecchia i risultati Nonostante l’ottimo girone di andata, il Napoli si trova in terza posizione, dopo Roma e soprattutto Juve che viaggiano in maniera più spedita della nostra. Volendo analizzare le differenze tra le prime tre in classifica potremmo dire che i reparti offensivi di Napoli e Juve si equivalgono, il centrocampo di Roma e Juve pure, come egualmente forti sono le difese della squadra capitolina e della torinese. Con questo giochetto, volendo esprimere una classifica dei reparti, la Juve avrebbe 3 punti, la Roma 2 ed il Napoli, con il suo attacco stellare, solamente 1. È chiaro che il problema di Benitez è a centrocampo ed in difesa, ed allora il mercato di riparazione di metà campionato capita a fagiolo, anche se però, anche qui, abbiamo dimostrato un’insufficienza. Si è partiti con nomi altisonanti, Mascherano, Xabi Alonso, Agger, poi si è virato su giocatori meno costosi, ma comunque di prospettiva, Nainggolan e Bastos, ma a quel punto, il falco Sabatini, General Manager della Roma, così come fece per Balzaretti, si è divorato il passerotto Bigon, con il risultato di aver rinforzato una nostra diretta concorrente. Al momento siamo riusciti ad assicurarci un giovane, si in crescita, ma che ancora deve dimostrare le sue doti, sperando che le abbia, un tal Jorginho, portando soldi nelle casse dei simpaticissimi veronesi, ma siccome il mercato ancora deve chiudersi aspettiamo e speriamo. Certo, che veder giocare nel nostro Napoli, giocatori come Fernandez, Britos o l’Inler di oggi, è una sofferenza che il tifoso del Napoli non merita, quindi, così come avvenne per Gargano speriamo nel mercato in uscita per le altre mezze calzette. Infine, un accenno sulla questione stadio, e qui bisogna fare un plauso al Presidente De Laurentis, il quale, dopo il rifiuto del Sindaco di vendergli il San Paolo per adeguarlo, è sempre più intenzionato a costruirsi un impianto privato per mettersi a livello dei più grandi club europei, certo che per noi napoletani sarà una altra piccola sconfitta, nel nostro immaginario lo stadio è e deve rimanere a Fuorigrotta, ma se così non sarà dovremmo ancora una volta ringraziare i nostri “beneamati e lungimiranti” politici. A. A. Per effetto del Decreto legge 145/2013 recante interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", dal 24 dicembre 2013 sono aumentate fino a dieci volte le somme a carico del datore di lavoro qualora non rispetti alcune norme riguardanti l’orario di lavoro e l’impiego di personale in nero. Al fine di rafforzare l'attività di contrasto al fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare, tra le inadempienze punite con maggior vigore c’è il superamento della durata massima dell’orario di lavoro e il mancato riconoscimento del riposo settimanale al dipendente. Infatti, l’articolo 14 del provvedimento, sancisce che se il datore di lavoro non osserva le disposizioni normative in cui si stabilisce che l’orario di lavoro non debba superare le 48 ore in 7 giorni (rilevabili come media) ed il lavoratore debba riposare almeno 24 ore consecutive ogni 7 giorni, è passibile di una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 1.000 euro a 7.500 euro (prima variava tra 100 e 750 euro). Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori, allora la sanzione va da 4.000 a 15.000 euro o da 10.000 a un massimo di 50.000 euro, se sono coinvolti più di dieci lavoratori. In questo ultimo caso non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta. Il Decreto Legge 145/2013 interviene anche sulla maxi sanzione per utilizzo di lavoratori in nero. In tale circostanza gli importi delle sanzioni sono aumentate del 30 per cento. Stesso aumento previsto per il datore di lavoro che incorrerà nella sospensione dell’attività per lavoro irregolare o per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza. A questo punto, inasprite le sanzioni, si attende un maggior impiego di ispettori del lavoro, che attraverso gli strumenti messi in campo dal legislatore contrastino con migliore efficacia quel fenomeno vergognoso del lavoro sommerso che non alcuna dignità all’essere umano. avv. Antonietta Minichino Napoli, condominio dimenticato S o g n a n d o l ’ Av a n a d i B e p p e L a n z e t t a Napoli, Napoli periferia, rione Incis, quartiere Ponticelli. Annus Horribilis, governo Monti, elezioni, Grillo, Movimento Cinque stelle, l’Italia senza governo, mondo senza Papa. I giorni passano, il tempo scorre, la gente sopravvive, arriva il nuovo Papa, una ventata di freschezza, il nuovo vecchio Presidente della Repubblica prova a mettere su un governo con un accordo improbabile: Pd-Pdl. La crisi dilaga in Italia come a Napoli, a Napoli come a Ponticelli, Rione Incis. Bassolino e il suo rinascimento, spazzato via dai rifiuti, in Regione c’è la destra di Caldoro, le cose non migliorano… anzi. Napoli continua a barcamenarsi, continua a sudare nell’indifferenza generale. A Ponticelli c’è una bomba, ci sono storie, c’è un condominio con le sue ansie, affanni, il suo andare avanti. Storie nella storia, uomini e donne protagonisti di un microcosmo che diventa paese, che segnano il grande ritorno di un grande scrittore. Storie quelle di Lanzetta che sembrano riportarci ai primordi della sua vita letteraria. In queste pagine intense sembra di rivedere Messico Napoletano, il suo primo romanzo, la Rossa, la Scampia che all’epoca non versava sangue e che non trovava spazio sui media. Ora come allora ritroviamo quella scrittura asciutta, sintetica, che entra e non esce, una lingua più matura che dà più spazio alla voce degli ultimi. Questo libro sembra una sceneggiatura di un film già visto per come è reale. In Messico Napoletano Peppe si soffermava sulle voci in presa diretta di vite rovinate dalla droga, dalla sete di potere, dall’illusione del denaro facile. In Sognando l’Avana cambia il quartiere, i volti, il condominio, ma ritroviamo la stessa disperazione, le stesse strade e vite dimenticate. Napoli, un condominio dimenticato, le sue storie, i suoi volti, metafora di un paese borderline. I palazzi del potere che perdono tempo sull’Imu mentre un uomo da vent’anni condiziona la vita di un paese. “Avità murì” ci diceva Peppe in una delle sue ballate, ed è questa la rabbia che viene dal più profondo nel leggere le pagine di questo bel libro. 176 per l’esattezza, pubblicate dalla coraggio- sa casa editrice napoletana Edizioni Centoautori di Villaricca, che lasciano un segno. Un bel ritorno per il poeta che da venti anni dà voce ai desperados. Un ritorno nel Bronx, in quella cruda periferia napoletana che sogna il culo di Belen. Un sogno bipartisan di uomini e donne, ragazzi e ragazze, giovani e vecchi, chi vorrebbe imitare la bella argentina, chi invidia quel bel po’ di patrimonio, perché con quel culo si può andare dappertutto, e chi vorrebbe scoparsela. Un ordine caotico, disordinato da una bomba che apre uno squarcio in un mondo. Così le storie di Dora e Giacinta, due sorelle con sogni ed ambizioni diversi, si intrecciano con quelle di Elio e Vito, due gemelli poliziotti, uno corrotto e l’altro onesto, della loro madre, la signora Imbriani, vedova di un poliziotto integerrimo, che litiga con la signora Capece perché i panni stesi “scorrono”, donna legata a suo marito, Don Ciro, con il quale ha avuto quattro figli maschi, uno più bello dell’altro: Enrico detto Julio Iglesias, Nennillo l’elettrauto, Manuele “che bellu guaglione, che peccato però ca’ è ricchione”, Andrea, rabbia, tanta rabbia. Storie le loro, storie d’amore, di sogni, di sesso, prostituzione a buon mercato, storie che si intrecciano con la storia del nostro paese, dell’Italia sud del mondo, Napoli periferia a sud del sud del mondo stesso. Storie di frontiera che non trovano spazio sui massi media, pugni in faccia, nello stomaco, pugni per svegliasi dal sonno, per farci prendere coscienza. Lanzetta dà voce agli ultimi, fa diventare letteratura storie dimenticate, storie che non fanno storia che sono tuttavia la storia dei nostri giorni. In questo bailamme c’è l’ingenuità di una ragazza che sogna l’Avana, Cuba le sue spiagge, le case particolar, la casa di Ernest Hemingway, il sole, il mare, l’Avana che fonde il modernismo e il colonialismo, sogna di andarci con Andrea il suo fidanzato troppo preso dalla sua rabbia: vo’ appiccià tutte cose. Galeotto fu un gratta e vinci e il sogno Cuba, diventa realtà nella irrealtà di un mondo che se ne fotte. Nel condominio, nel paese, in questo universo mondo, tutto continua a scorrere inesorabilmente. Bravo Lanzetta, cantore di un mondo, che il nostro mondo. Tonino Scala ANNO 6, NUMERO 1 Pagina 7 Reggia di Carditello patrimonio pubblico Velo: discriminazione o identità? Il monumentale complesso sarà recuperato e restaurato Un uso antico legato alla tradizione musulmana Era un’azienda agricola dei Borbone, opera dell’architetto Francesco Collecini che fu allievo di Luigi Vanvitelli, la Real Tenuta di Carditello in san Tammaro, in Terra di Lavoro, dopo una storia infinita fatta di razzie vandaliche e mille incubi che la consegnavano ad uno stato di abbandono totale, tra l’incuria delle istituzioni e l’ineluttabile destino di degrado, è finalmente destinata alla salvezza, a diventare patrimonio di tutti. 3 milioni di euro per i primi restauri che saranno gestiti attraverso una Fondazione, finalmente la fine del calvario: una volta appurato che la vendita all’asta di questo tesoro inestimabile non sarebbe andata a buon fine, la Sga (società controllata dal ministero dell’Economia che deteneva un credito per i soldi sborsati per il restauro) ha incamerato la Reggia a pagamento del debito e la dimora settecentesca è così passata al ministero dei Beni culturali e del Turismo che aveva nel tempo cercato di restaurare l’edificio, ma a nulla è valso, visto i ripetuti atti di vandalismo perpetrati a danno della reggia. La Reggia di Carditello finì per entrare nel patrimonio immobiliare del Consorzio generale di bonifica del bacino inferiore del Volturno. Un carrozzone destinato ad esser assorbito dalla Regione e a sprofondare sotto una montagna di debiti mai pagati. Debiti in gran parte nei confronti del Banco di Napoli. Col risultato che, quando questo naufragò, tutto finì ipotecato dalla Sga, la “bad bank” che ammucchiò, dopo il crac, i crediti in sofferenza dell’Istituto fallito. Ma oggi la Reggia di Carditello sembra essere salva ed entra finalmente a far parte del nostro patrimonio artistico e culturale. Erano troppi anni ormai in cui versava in completo abbandono e visitabile in rare occasioni: la splendida dimora tra Napoli e Caserta aveva vissuto la sua ultima stagione decorosa quando era stata scelta come sede di prestigio dai responsabili dell’Alta Velocità ed era stata sottoposta ad un parziale restauro della parte più nobile, poi abbandonata a se stessa in attesa di un compratore. Aste a vuoto e prezzo che cala: cannibalizzata nel tempo dei marmi delle sue scalinate, degli stucchi, i cancelli, i camini, l’impianto elettrico, le panche, i pavimenti dell’altana, è stata privata di tutto. Un vero massacro per questo tesoro d’arte e bellezza che ogni paese al mondo avrebbe trasformato in una fonte di ricchezza turistica riportandola alla vocazione originaria, cioè quella di un centro di eccellenza dell’agricoltura. Da noi no, non è così. Da noi era diventata sede di spropositate quantità di immondizia, una discarica abusiva. Sarebbe dovuta diventare un ranch, o un laboratorio per lo sviluppo della filiera agroalimentare, conservando quello stile neoclassico voluto da Carlo di Borbone quando veniva utilizzata per l’allevamento dei cavalli, perché proprio lui pensò di trasformarla in un’azienda agricola destinata alla coltivazione del grano e all’allevamento di pregiate razze di bovini. Ma finalmente il dramma è finito: oggi la Reggia di Carditello è stata recuperata dall’asta fallimentare e questo gioiello della lungimiranza imprenditoriale agricola del Meridione potrà ritornare al suo antico splendore. Ora Carditello appartiene a tutti i cittadini e l’unico obiettivo sarà il suo rilancio. Paola Arrighini Una chiacchierata con Paolo del Vaglio L’umorista grafico autore di vignette e strip Associazioni locali, Circoli Culturali, Centri Giovanili, Club Sportivi, Comunità Parrocchiali, Movimenti Ambientalisti, Redazioni Giornalistiche e Salotti Letterari lo hanno avuto come gradito “Ospite d’Onore” per Manifestazioni di Umorismo grafico su Amicizia, Socialità, Solidarietà, Sport. Eppure non è assolutamente conosciuto: per strada può camminare tranquillamente, senza abbracci di fans. Ma se si osserva una sua vignetta sono in tanti ad affermare: “È di Paolo del Vaglio!”. Nato nell’anno di Topolino (1928), Paolo del Vaglio, Umorista grafico di chiara fama Nazionale, ha scritto 10 libri, disegnato migliaia di vignette e di strips, relazionato in centinaia di Incontri. Professor del Vaglio (insegnava Lettere), come nascono le sue vignette? Le mie vignette nascono dalla realtà quotidiana, traducendo, dopo un “quid”, l’argomento in vignetta. A chi si rivolge? A tutti, nessuno escluso! Con chi preferisce “dialogare”, con i suoi coetanei o con i giovani? (Ridendo di gusto) Soprattutto con i giovani, ma non solo con loro. Quali sono stati i suoi modelli di ispirazione? Jacovitti, Crateri, Faccini e Peynet In che acque naviga l’Umorismo oggi? (Diventando scuro in volto) L’Umorismo oggi naviga in paludose acque, data la poco sensibilità del pubblico in generale verso l’argomento… Basti vedere il genere “trash” dei vari Pierino ancora tanto in auge… Quando nacque Pigy? Pigy nacque negli anni ’60. Poi nacquero Tailù, Don B., Frate Angelico, Gabriel. Cosa bolle nella sua pentola… di Vignettista? Ancora un libro, l’ultimo prima di morire… Professore, il suo Ciuccio è sinonimo di Napoli… Si, è vero: lo si può ancora vedere il Lunedì sera al TG3 Campania – Settore Calcio. Lei giocava a Calcio? Ho giocato in porta dai 15 ai 64 anni! Il mio idolo? Angelo Franzosi, portiere dell’Inter che collezionò ben 191 partite in maglia nerazzurra. Poi sono stato affascinato da Giorgio Grezzi, Lido Vieri, Ivano Bordon, Walter Zenga, senza dimenticare Luciano Castellini e Dino Zoff , portieri anche del Napoli. Perché in porta? Dalla porta perché si apprezza di più il gusto estetico del gioco. Chi potrebbe essere un Umorista grafico per il suo estro in campo? Una volta avrei detto Alvaro Recoba, el Chino; oggi direi Domenico Berardi, attaccante del Sassuolo. Professore, vogliamo parlare della Vittoria de “Il Dattero d’Oro” al Salone dell’Umorismo di Bordighera e il Premio Consiglio d’Europa? No, Emilio, no. Poi, con un sorriso bonario, prende cartoncino e pennarelli e… conclude questa informale, conoscitiva chiacchierata per “Articolo 16”. Emilio Vittozzi A fronte delle numerose polemiche sorte sull’utilizzo del velo islamico, secondo alcune normative legate all’abbigliamento e secondo alcune bozze d’intesa accordate con associazioni islamiche, le donne musulmane residenti in occidente possono liberamente indossare il foulard islamico purché lascino scoperto e identificabile il volto. È fondamentale chiarire, prima di affrontare la questione del velo, che l’Islam non impone ai propri fedeli un particolare modo di vestire ma li invita ad indossare indumenti modesti che coprano le parti ritenute “indecenti”, ovvero, nell’uomo ciò che sta tra l’ombelico e il ginocchio e nella donna, tutto il corpo tranne il viso, le mani e i polsi. Oltretutto per gli uomini è vietata la seta, non è consentito portare i capelli lunghi, ed è fortemente raccomandata la cura della barba. Quanto all’uso del velo, si fa riferimento, invece, al versetto Cor XXIV, 31 che recita: “E dì alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino le loro parti belle, eccetto quel che di fuori appare, e si coprano i seni d’un velo e non mostrino le loro parti belle altro che ai loro mariti o ai loro padri o ai loro suoceri o ai loro figli, o ai figli dei loro mariti, o ai loro fratelli, o ai figli dei loro fratelli, o ai figli delle loro sorelle, o alle loro donne, o alle loro schiave, o ai loro servi maschi privi di genitali, o ai fanciulli che non notano le nudità delle donne, e non battano assieme i piedi sì da mostrare le loro bellezze nascoste; volgetevi tutti a Dio, o credenti, che possiate prosperare!”. Questo versetto coranico ha dato luogo, nel tempo, a innumerevoli interpretazioni tra cui quella più accreditata, ancora oggi, che tende a contestare l’esplicita obbligatorietà del velo come imposizione del Corano. Tra le maggiori attiviste dei movimenti femministi sorti negli anni ’90 all’interno del mondo islamico, la sociologa marocchina Fatima Mernissi, esplicitò una tesi di carattere storico per giustificare la necessità dell’uso di questo indumento, fornendo la propria interpretazione in base al seguente versetto Cor. XXXIII, 59: “…O Profeta! Dì alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si ricoprano dei loro mantelli; questo sarà più atto a distinguerle dalle altre e a che non vengano offese. Ma Dio è indulgente e clemente!”. Il momento storico di riferimento si rifà alla crisi militare che attraversava Medina nei primissimi anni dell’era islamica, periodo in cui le donne erano maggiormente esposte a rischi e violenze, per cui il velo serviva esclusivamente a proteggerle. Tralasciando, però, gli innumerevoli dibattiti riguardo le connotazioni storicoreligiose, è importante sottolineare anche il carattere ideologico che assume l’utilizzo del velo, per esempio in Algeria, esso è stato esibito come affermazione di identità contro il colonialismo e la forzata occidentalizzazione operata dai francesi. Per quanto riguarda i tipi di velo, essi variano in base all’appartenenza geografica, culturale e religiosa della donna che lo indossa, tra questi c’è il Niqab, mantello che lascia scoperti soltanto gli occhi e il hijab, fazzoletto che incornicia il volto lasciandolo visibile. Il hijab viene citato sette volte nel Corano e solo una volta assume il significato di velo, ovvero in riferimento alla Madonna quando diede alla luce Gesù. Il termine sta ad indicare letteralmente una “separazione”. Infine c’è il Burqa che nasconde tutto il corpo e porta una griglia all’altezza degli occhi. L’obbligo di indossare il Burqa è legato a tradizioni locali e non alle prescrizioni religiose dell’Islam. Esso è stato introdotto in Afghanistan durante il regno di Habibullah agli inizi del 1900, che lo impose a tutte le donne del suo harem per non indurre in tentazioni gli uomini. Considerato inizialmente un indumento delle classi agiate, con l’avvento dei talebani fu imposto a tutte le donne, indistintamente dal ceto sociale. Corinne Bove Bonasera Bella 'Mbriana mia Lo spirito buono delle case napoletane La casa napoletana (quella antica) non è solo uno spazio, ma un'essenza con un proprio carattere delineato nel tempo dalle emozioni e le vicissitudini vissute dalle persone che l'hanno abitata, un luogo magico e sacro per le creature che si muovono in essa e vivono con gli inquilini o che ne rappresentano l'anima stessa, come la “Bella 'Mbriana”. Un'entità nascosta, invisibile, lo spirito femminile che custodisce e protegge la casa, il cui spettro può apparire in un attimo, manifestazioni fugaci perché si possa dire di averla vista: un riverbero di una finestra, una tendina mossa dal vento. A lei è legato il geco come proiezione della sua presenza ed i napoletani lo considerano un portafortuna da lasciare in casa, qualora vi entri. Nonostante la sua invisibilità, nell'immaginario collettivo la Bella 'Mbriana è rappresentata come una giovane donna, seducente, chiara e solare, come del resto dimostra il suo nome che evoca la luce, da “meridiana”, l'ora più luminosa della giornata. È lei che custodisce il focolare, che difende la casa e quelli che la abitano; una presenza benevola ma anche molto temuta e rispettata. Un tempo si usava lasciarle una sedia vuota a tavola e lei ricambiava vegliando sull'armonia familiare. Nei mo- menti critici di pace domestica ci si rivolgeva a lei invocandone il risveglio “Scetate Bella 'mbrià!”. Il suo legame con la casa è inscindibile, quindi non bisogna mai parlare male della casa o di uno spazio di essa, o addirittura pensare di traslocare, anche la 'Mbriana è capricciosa, come tutti gli spiriti, e sa vendicarsi con chi la offende. Odia il disordine e le ristrutturazioni: stravolgere la casa significa stravolgere l'anima stessa dell'entità. La Bella 'Mbriana è la fata buona, un'entità comune a tante credenze che impersona la buona sorte dell'intimità familiare, a cui gli antichi indirizzavano la buonasera nel momento in cui all'imbrunire si accendevano le luci della casa, o a cui entrando o uscendo si dava il saluto. Il saluto esprime la gratitudine per la sua ospitalità. Un'abitudine risalente agli antichi romani che quando accendevano le lampade salutavano per rispetto il genio protettore della casa. Antiche credenze? Ingenue abitudini del passato? Ancora oggi rincasando in compagnia di qualche anziano possiamo sentirli sussurrare, con fare quasi reverenziale, all'apertura della porta “Bonasera Bella 'Mbriana mia”, del resto un saluto non si nega a nessuno… Annalisa Servo Danni del tempo ''Il tempo passa e l'uomo non se ne avvede''. Così recitava la voce in sottofondo di una quotidiana rubrica televisiva agli albori della TV a colori, cercando tra le altre cose, in modo se vogliamo anche ingenuo, di stimolare il ''pensiero''. È innegabile la veridicità del concetto annunciato del ''tempo passa'' se poi questo tormentone sia riuscito a far ''stimolare'' resta un mistero. Oggi non c'è più spazio sulle emittenti TV per promuovere con messaggi stimolanti la ''riflessione'', ora c'è la ''crisi'' e questa, come un enorme buco nero, fagocita tutte le emozioni. Le ''rubriche'' televisive di approfondimento danno ''voce'' al popolo vessato dalla crisi, amplificando i “lanci'' dei notiziari e dilatando la notizie della carta stampata. In questi ultimi tempi, la persona che ancora ha voglia di capirci qualcosa si vede propinare una serie di spot cinematografici con soggetti urlanti che vengono fatti passare per rappresentanti di vasti strati della popolazione. Poi lunghe carrellate di onorevoli salmodianti, di sindacalisti affannati a spiegare cose che nessuno vuol sentire e non mancano ecclesiastici benedicenti. Tutto questo dovuto alla ''crisi'' che mangia i risparmi, elargisce insicurezza e mette in mostra la scarsa concezione di un popolo non solidale. Una società sfilacciata, fatta di persone ablanti e non informate, urlanti e non riflessive. E mentre il tempo passa noi restiamo legati al tutti contro tutti. Uno dei teatrini televisivi più surreali è stato presentato dall'emittente di proprietà di un signore ''negazionista'' della ''crisi'', salvatore di compagnie di ''bandiera'', molto noto per il lato ''gaudente'' della sua personalità. Ebbene, in quel quadretto TV, si vedevano ''signori'' che inveivano contro i sindacati incolpandoli di ogni nefandezza, rivendicando il diritto di tutela a loro dire negatogli. Peccato! L'arcano è stato svelato dallo stesso intervistatore quando, incautamente, nella sua voglia di ''strafare'', fece dire agli astanti quale era la loro occupazione, non c'era tra essi un solo lavoratore dipendente, tutti titolari di partite IVA. Quel che non si capisce è il livore con cui quei soggetti riversavano sui sindacati le colpe e gli effetti nefasti della crisi. Sempre su una tele di ''sua emittenza'', tra un tripudio di nani e ballerine, orge di spot pubblicitari, un noto politico pontificava sulle buone scelte del suo partito, mi sono ricordato nel vederlo di quando, non molto tempo fa, sosteneva le tesi del suo capo, affermando che i ''ristoranti'' erano pieni ed il sacro suolo patrio era stato calpestato dalla ''nipote'' del capo di stato di un paese dell'Africa settentrionale. Ma tutto questo non ci aiuta ad uscire dalle difficoltà. La preoccupazione è che tutte queste ''rappresentazioni'', più o meno artefatte, possano avere facile presa su menti pigre, ormai al di là della crisi, la quale sottrae in certi casi anche i bisogni più elementari. Sono anni che andiamo avanti per ''slogan'' con parole d'ordine dei vari capipopolo, in mancanza dell'intravedere una soluzione può venir voglia dell' “uomo forte''. Del taumaturgo che sana tutti i mali. Magari travestito da ex comico, magari da vecchio imprenditore imbolsito nel fisico e nelle idee, ormai tutto preso a costruirsi ”l'immortalità”. Certo anche il paludato ''genere'' statalista non offre uno spettacolo ''MIGLIORE''! E mentre il tempo passa e passando fa andare avanti le cose, tutte, anche quelle brutte, come tutto quel che c'è di buono matura il cattivo degenera. E noi, come in una seduta psicoanalitica collettiva, noi tutti, gli italiani l'un contro l'altro ''armati''. Allegramente come i topi di una famosa fiaba incantati, non dalle note magiche del ''piffero'' ma dal berciare collettivo, da improperi e maledizioni dalla sterile ricerca di un colpevole, uno qualunque, se anche trovato non servirebbe a risolvere nulla. E nel frattempo? <<Il fiume in cui hai immerso il piede ora non esiste più'. Quelle acque hanno lasciato spazio a questo, e questo adesso…>> da Eraclite di Efeso. Buone feste fatte! Vi saluto e sono l’Autoferroagricolo Foto incredibili con le applicazioni La fotografia una passione che cresce grazie agli smartphone Con l’avvento delle reflex, il mondo della fotografia amatoriale è decisamente cambiato in meglio. Ma un importante apporto al cambiamento di tendenza della foto digitale c’è stato anche grazie alle numerosissime applicazioni di fotografia, che, installate sugli smartphone, garantiscono effetti straordinari e l’immediata condivisione in rete dell’istante appena immortalato. L’applicazione più famosa e usata tra i milioni di utenti è sicuramente Instagram, un'app gratuita che permette agli utilizzatori di scattare foto, applicare filtri e condividere le immagini per commentare il risultato sui più popolari social network, tra cui Facebook, Foursquare, Tumblr e Flickr. Tra le diverse app più recenti e competitive che si trovano in rete c’è Lomogram, uno strumento di fotoritocco alternativo che con i suoi 47 filtri e 72 effetti di luce permette di infondere alle immagini modificate un aspetto assolutamente unico dal sapore vagamente retrò, per di più senza dover sostenere alcun costo. Invece, un’applicazione che permette di scattare fotografie con formato esclusivamente quadrato alle quali vengono applicati filtri selezionabili dall'utente prima dello scatto, rendendo le immagini simili a quelle scattate con fotocamere analogiche è Hipstamatic. Un programma che contiene al suo interno diverse lenti, filtri, flash e cornici, alcuni scaricabili gratuitamente e altri acquistabili direttamente dall'applicazione per rendere le immagini più uniche che rare. Per sfruttare al massimo le potenzialità della fotocamera del proprio iPhone, tra le migliori applicazioni dispo- nibili su App Store abbiamo Camera+, che consente di scattare fotografie di altissima qualità. Infatti, grazie alle sue numerose funzionalità, è possibile modificare l’esposizione ed il focus di ciascuna immagine attraverso semplici tocchi a due dita, evitando di ottenere fotografie mosse e quindi di bassa qualità. Caratterizzata da un design semplice al quale si affiancano potenza di elaborazione ed eleganti strumenti, Afterglow è tra le migliori applicazioni in grado di offrire all’utente il risultato desiderato in pochi secondi con aggiustamenti originali per migliorare visibilmente la qualità delle immagini scattate con il proprio cellulare. Preferita dagli utenti è anche LINE C a m e r a , un’app che coi filtri incorporati, simili a quelle Instagram, permette di ottimizzare sensibilmente le foto, modificando con pochi tocchi luminosità, contrasto e saturazione. Infine, tra le ottime app gratuite per Android con cui si possono scattare diverse tipologie di foto con modalità sequenza e autoscatto, non possiamo non includere A Better Camera che, grazie alle sue funzioni, permette anche di rimuovere oggetti indesiderati dalle immagini, di scattare foto nitide di notte e di registrare video. Il tutto a completamento di una moltitudine di applicazioni, ciascuna delle quali capace di migliorare quello scatto che per molti utilizzatori di smartphone serve a catturare momenti divertenti e indimenticabili da condividere con se stessi e con gli altri. F. D. Passione per la musica anni ‘80 Steve Norman degli Spandau Ballet in esclusiva a Napoli Qualcuno afferma che le grandi passioni sono malattie senza speranza e probabilmente gli amanti della musica sono dei malati cronici. Molti vivono ancora di quella musica degli anni ’80, gli anni di cui tanti hanno uno splendido ricordo di un'Italia di certo più ingenua, più forte, un periodo in cui tutti credevano di più nel domani. Sono questi i tempi in cui sono sbocciati amori che leghiamo a pezzi musicali di indubbio successo, che hanno scritto la storia della musica e che ancora oggi sono presenti nelle hit parade. Su tutti c'erano loro: gli Spandau Ballet e i Duran Duran.A distanza di tempo entrambi i gruppi riscuotono ancora la stima dei fans; gli Spandau Ballet sono tornati insieme da qualche anno dopo un’intensa attività di solisti che ha decretato comunque il loro successo. Il Justintime, stupenda struttura sita a Qualiano ha puntato su uno di loro per dare continuità ad una serie di serate di grande successo di musica anni ‘70 e ’80, grazie appunto alla partecipazione del biondo sassofonista degli Spands, che con il suo sax ha fatto rivivere, caratterizzandolo in chiave personale, il sound di varie hits del suo gruppo, con pezzi magici come “True”,”Gold”, “Only when you leave”, “Through the barricades”, grandi successi musicali mai dimenticati. In attesa di rivedere tutto il g r u p p o nuovamente riunito e di ascoltare ancora la splendida voce di Tony Hadley, sarà sicuramente piacevole passare una serata tra una cena di qualità e l'intramontabile musica anni ‘70 ‘80 in questo locale che ha avuto l’onore di ospitare sul palco un grande rappresentante della musica di quell'epoca dal successo internazionale, Steve Norman! Pasquale Cerza Periodico d’informazione della UILTrasporti Campania è on line su www.uilt.campania.it e su Facebook Direttore Editoriale: Direttore Responsabile: Capo Redattore: Redattori: Luigi Simeone Roberto Intermoia Paola Arrighini Antonio Aiello Francesco Di Palma Umberto Esposito Piero Loggia Coordinamento e Grafica: Annalisa Servo Foto: Gianni Biccari Hanno collaborato: C. Bove - G. Carrara - P. Cerza - R. Fornaro A. Minichino - V. Preziosi - G. Raggioli - T. Scala - A. Vitale - E. Vittozzi Autorizzazione del Tribunale di Napoli n. 00065 del 28/09/09 Stampato il 21/01/2014 da EFFEGI Via Salute 1 - Portici (NA) P.le Immacolatella Nuova n. 5 - 80133 Napoli Tel.: 081203424 Fax: 0815543604 E-mail: [email protected]
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