la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 NUMERO 509 FOTO DI CHIEN-MIN CHUNG/CORBIS. GUIYU, CINA, UNO “SMANTELLATORE” SU UN CUMULO DI TASTIERE DI COMPUTER Cult La copertina. Il sesso dell’arte Straparlando. Reichlin: “Non è l’Italia che sognavo” La poesia. L’Itaca dei Caraibi di Derek Walcott Dove finiscono i nostri smartphone e pc? A Guiyu, Cina, capitale mondiale dei rifiuti elettronici. Reportage dal posto più inquinato del pianeta G I A MP A OL O V I SE TTI GUI DO V I A L E GUIYU (CINA) IRAMIDI DI SMARTPHONE, tastiere di computer e tablet occupano le strade e nascondono le case. Un branco di bufali d’acqua rumina in stagni neri da cui affiorano schermi di pc. Televisioni, cuffie e stampanti sono ammassate nelle risaie. L’aria è fetida, la nebbia spessa e arancione. Dopo pochi minuti occhi e narici bruciano. La discarica di immondizia elettronica più grande del mondo assomiglia in modo sorprendente all’idea dell’inferno che può agitare un uomo contemporaneo. Una massa con il volto coperto da luride mascherine guida risciò a motore, carichi di sacchi bianchi da cui pendono cavi, batterie, schede di frigoriferi e dischetti. P Il cimitero dell’hi-tech >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE Q UESTA DESCRIZIONE DI GUIYU è la traduzione attualizzata della città di Leonia raccontata da Italo Calvino ne Le città invisibili. Attualizzata nello spazio perché, invece di accumulare i rifiuti prodotti da un consumismo compulsivo ai margini di una sola città, per poi esserne comunque sommersi come succedeva agli abitanti di Leonia, abbiamo pensato di risolvere il problema scaricandoli all’altro capo del mondo: in Cina. Attualizzato nel tempo perché le fasi della produzione e dello smaltimento erano o sembravano fino a poco fa due momenti distinti: si produceva in Cina per risparmiare sui costi del lavoro e della tutela ambientale. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE L’inedito. Le disperate lettere di De Sade alla moglie Spettacoli. Jimmy Page: “Sono sopravvissuto ai Led Zeppellin” Next. L’avatar della porta accanto L’incontro. Michael Dobbs: “Volete sapere come finisce House of Cards? Ok, poi però devo ammazzarvi” la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 32 FOTO DI VALENTINO BELLINI / LUZPHOTO FOTO DI ALESSANDRO DIGAETANO / LUZPHOTO Il reportage. <SEGUE DALLA COPERTINA GIAMPAO L O V I SET T I ANALI PER L’IRRIGAZIONE e scoli straripano di liquami densi e oleosi che incollano le suole alla terra. Il fragore di clacson e ferraglia compressa martella il cervello: scoppi e fumi di roghi plastici escono da distese di capannoni pericolanti. Guiyu è la capitale globale dei rifiuti hi-tech e il disastro che devasta abitanti e natura rivela la faccia nascosta e inconfessabile del business del secolo. Smaltire apparecchi elettronici ed elettrodomestici rende oggi poco meno che produrli: il prezzo da pagare è la vita di essere umani e ambiente. Non è un caso se il mondo ha scelto questo vecchio villaggio del Guangdong, a quattrocento chilometri da Guangzhou, per nascondere il cimitero della rivoluzione digitale. Guiyu, cronicamente sommersa dalle piene, non era l’ideale per l’agricoltura industriale. Trent’anni fa i contadini hanno cominciato a riciclare bottiglie. Poi sono passati alle lattine. Dai primi anni Duemila hanno conquistato il mercato tossico dell’e-waste. «Un’evoluzione naturale — dice lo smantellatore di computer Lai Yun —: è lungo la costa sud della Cina che si concentrano le più importanti multinazionali dell’elettronica. Sono loro le nostre prime clienti. I gadget hi-tech tornano a morire dove sono nati». Recuperare ciò che l’umanità butta via è un’impresa da eroi. La tragedia è che, nel nome del profitto, a Guiyu si sfruttano sistemi incompatibili con la dignità delle persone e con la salvaguardia della natura. Un paradosso: il massimo della tecnologia e del design viene oggi distrutto con il massimo degli espedienti anacronistici, dentro officine orribili. Quello che l’Onu definisce “il luogo più inquinato del pianeta” è oggi una città con duecentomila abitanti. Otto su dieci lavorano nell’e-riciclaggio, monocoltura collettiva: le imprese sono seimila, tutte famigliari. «Quest’anno — dice il segretario del partito, Zhang Chufeng — lavoreremo quasi due tonnellate di immondizie elettroniche, per un giro d’affari di ottocento milioni di dollari». Gli affari vanno a gonfie vele. Fino a cinque anni fa i rifiuti arrivavano in nave da Usa, Europa, Giappone e Corea del Sud. Oggi la stessa Cina è un colosso delle scorie sintetiche. Il mondo nel 2014 produrrà 52 milioni di tonnellate di residui ad alta tecnologia: 8,3 negli Stati Uniti, 6,9 in Cina. Il resto si divide tra Occidente, con il 73 per cento, e Paesi in via di sma, è una bomba a orologeria che può disviluppo, fermi all’11. Lo scenario è però desti- struggere l’intera regione. Oltre centotrentanato a mutare rapidamente. «La Cina — spiega mila uomini, donne e adolescenti ogni mattina Li Yangpeng, dell’Accademia delle scienze — si arrampicano su montagne di macerie eletsfiora i 650 milioni di cellulari, entro il 2016 sor- troniche. Fino alla notte separano, smontano, passeremo gli Usa anche nella produzione di ri- spaccano con martelli e trapani, sciolgono con fiuti elettronici. Il mercato americano cresce gli acidi, bruciano, seppelliscono nei campi e didel 13 per cento all’anno, quello cinese del 50 sperdono nel fiume le polveri tossiche. Lavoraper cento. Entro il 2020 oltre la metà dei rifiuti no a mani nude e senza protezioni. Le case-discariche non sono dotate di filtri né di depurahi-tech del pianeta sarà prodotta in Cina». Il business che Guiyu credeva di dominare tori. Il clima è di terrore e intimidazione. Qualsta sfuggendo a ogni controllo. Distruggere un cuno grida «via chi vuole toglierci il lavoro», almiliardo di telefonini all’anno, ottocento milio- tri assicurano che «un po’ di sporco non fa male ni di pc e quasi due miliardi di televisioni al pla- a nessuno». Nemmeno l’Università di medicina C Acquainquinata,ariatossica,terraavvelenata L’immondiziahi-techèilnuovobusiness Per tenerselounacittàcineseèprontaamorire Guiyu La discarica digitale LE IMMAGINI TRE FOTOGRAFIE DA GUIYU (CINA MERIDIONALE). DA SINISTRA: UN OPERAIO SMANTELLATORE TRA LE CARCASSE DI COMPUTER; GIOVANI LAVORATRICI ESTRAGGONO MATERIALI PREZIOSI PER IL RICICLO; UNA STRADA DELLA CITTÀ CINESE (200MILA ABITANTI) SOMMERSA DAI RIFIUTI ELETTRONICI Italia 240 mila tonnellate di Shantou, controllata dal governo, osa però negare l’impressionante evidenza. Nel suolo il piombo supera di 212 volte la soglia di rischio. I pozzi sono contaminati fino a tre chilometri di profondità. L’acqua contiene gli stessi residui rilevati a Chernobyl dopo l’esplosione e scoperti nel lago Karachay, dove l’Urss avviò l’arricchimento del plutonio. Tra gli abitanti la percentuale di tumori supera del 64 per cento la media nazionale. Uno studio su 165 bambini da uno a sei anni ha rivelato nel sangue livelli di piombo “pericolosi”, l’80 per cento degli scolari è affetto da disturbi respiratori e al sistema nervoso centrale. «Nonostante tutto questo — la Repubblica 33 FOTO DI VALENTINO BELLINI / LUZPHOTO DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 dice Ma Jun, direttore dell’ong Institute of Public and Environmental Affairs — Guiyu è oggi il luogo di lavoro più ambito della Cina». I nuovi schiavi dell’era digitale sperano di non essere anche dei condannati a morte. Il loro obbiettivo è fare più soldi possibile nel minor tempo possibile e poi fuggire lontano per sempre. Smantellare cellulari e pc frutta tra i 650 e gli 820 dollari al mese: il quadruplo di quanto potrebbero guadagnare nei villaggi poveri dell’interno, o in una miniera di carbone. Così i riciclatori cinesi dell’e-waste globale sono quasi sempre giovani migranti dalle zone depresse, spesso analfabeti che accettano la sfida a tempo sognando di cambiare vita. Molti, prigionieri dei soldi, si fermano un giorno di troppo. Quattro cimiteri, anche loro assediati da cumuli di carcasse elettroniche, suggeriscono che se in questa città c’è qualcosa di semplice, è morire in fretta. «Il problema — dice l’esperto Leo Chen — non è vivere tra vecchie tv al plasma e smartphone fulminati. È voler fare in modo che l’immondizia si trasformi in oro». Letteralmente. Sono acidi e solventi che consentono di diventare ricchi. Una tonnellata di scorie hi-tech contiene 300 grammi di oro, 10 di platino, 50 di palladio, 2 chili d’argento, 25 di stagno e 130 di rame. Chi non risparmia sulla chimica ricava anche cadmio, berillio, terre rare, acciaio, plastica, vetro. Lo scorso anno il 5 per cento dell’oro cinese, pari a 15 tonnellate, è stato estratto dai rifiuti elettronici, concentrato tra quaranta e ottocento volte di più rispetto ai giacimenti naturali. Il boom sommerso è tale che un piccolo smantellatore di Guiyu può guadagnare oltre quindicimila euro al mese, sei volte più di un alto dirigente pubblico. Nel Guangdong questa devastante industria sotterranea, impegnata a rivendere i componenti pregiati agli stessi produttori di gadget ad alta tecnologia, è oggi la prima responsabile della dispersione di metalli pesanti, gas nocivi e liquidi corrosivi. E il disastro non deriva dal riciclaggio, indispensabile proprio per salvare il pianeta, ma dalla sete inesauribile di profitto. «Esistono acidi, solventi e sostanze chimiche — ci dice un operaio che si presenta come Fan — che accelerano lo scioglimento di circuiti e microchip, separando quantità maggiori di elementi costosi. Usarli, consente di ingrandire <SEGUE DALLA COPERTINA GUIDO VIALE I CONSUMAVANO QUEI PRODOTTI IN OCCIDENTE, e poi si rimandavano in Cina i nostri scarti dopo essercene liberati per poterne comprare di nuovi, in un ciclo sempre uguale a se stesso. Ma adesso non è più così; e non lo sarà mai più. Presto i rifiuti prodotti direttamente in Cina saranno molti di più di quelli che produciamo noi, anche perché, a furia di delocalizzare, in Occidente non ci saranno più lavoratori in grado di comprare tutto quel bendiddìo (o maldiddìo); e a rifornire le loro discariche ci penseranno direttamente i cinesi. Così avremo trasferito in Cina tutta Leonia e non solo i suoi margini. E dopo ancora, se tutto procederà nella stessa direzione, saranno i cinesi a esportare i loro rifiuti elettronici in un’Europa impoverita dalle delocalizzazioni e desiderosa di poter riciclare almeno i rifiuti altrui per cercare di sopravvivere. Ma intanto, rispetto alla Leonia di Calvino, a Guiyu compaiono anche gli umani. O meglio, degli esseri ridotti allo stato di larve da quello che essi stessi si fanno — che fanno alla loro salute, al loro ambiente, alle loro vite — affondando sempre più in quella palude di morte, sospinti dal desiderio di evaderne al più presto. Forse il martirio a cui sottoponiamo la Cina, e non solo Guiyu, potrebbe aiutarci a rivedere il nostro modo di guardare le cose. In un mondo globalizzato quel riso avvelenato potrebbe finire sulle nostre tavole, come potrebbero finire tra le mani dei nostri bambini giocattoli fabbricati con la plastica inquinata ricavata smontando smartphone. E finisce nell’atmosfera la C02 di cui la Cina è il principale produttore, che sta distruggendo la vivibilità del pianeta. C’è un difetto di fondo in tutto ciò, a monte della produzione dei rifiuti. È quello a cui ci ha abituato la civiltà industriale e consiste nel considerare gli oggetti che ci passano per le mani come entità statiche e non come flussi; come essi si presentano di volta in volta a chi li usa e non nel loro ciclo di vita, cioè come risorse estratte dall’ambiente che all’ambiente saranno prima o poi riconsegnate. Per cambiare il mondo occorre innanzitutto cambiare questo approccio alle cose, da cui deriva anche la spinta a prendere in considerazione gli altri esseri umani solo quando ci servono, e per quel che ci servono, per poi buttarli via. La nostra vita si svolge dentro tutte le cose che compriamo, usiamo e poi buttiamo. Pensiamo di dominarle e invece sono loro a dominare noi. Un po’ più di attenzione, un po’ più di modestia, e ci accorgeremmo che noi umani non siamo che una parte (degenere) della natura. S Il riso amaro della Leonia di Calvino © RIPRODUZIONE RISERVATA l’azienda e conquistare clienti tra i grandi marchi mondiali, nessuno escluso. Il resto del reddito si fa bruciando, seppellendo e gettando in mare ciò che non rende». Guiyu è l’eldorado di questa corsa clandestina e ufficialmente illegale. Attorno a Shenzhen, dove opera anche il più grande stabilimento del colosso taiwanese Foxconn, ruota però una galassia di e-villaggidiscarica, camuffati da aziende agricole e magazzini. Centinaia di container vengono scaricati ogni giorno dalle navi attraccate al largo, nel Mar cinese meridionale. Ciò che nemmeno i 130mila schiavi e sfruttatori della “capitale” riescono a smaltire, sparisce in un universo criminale ancora più nascosto. Per il governo le imprese della zona autorizzate a trattare rifiuti speciali sono novantuno. «La loro capacità — dice Ma Tianjie, portavoce di Greenpeace — ormai non arriva al 43 per cento e in realtà incide sul 21 per cento dell’immondizia hi-tech. Quattro telefonini e tablet su cinque spariscono nel mercato nero del riciclaggio, dove regna solo la legge del massimo guadagno. È un cataclisma, ma l’affare è tale che la corruzione arriva ai massimi livelli del partito». Guiyu resta così vittima di se stessa. Gli indumenti lavati, stesi ad asciugare tra frigo sventrati e fuochi senza fine, risultano ingialliti, o marrone scuro. Le dita delle donne, usate per aprire gli incastri dei pc, appaiono scarnificate. Ventenni deportati dal Gaungxi, allettati dagli straordinari guadagni, esibiscono il volto malato di un vecchio. Un operaio ci mostra il relitto del penultimo modello di uno smartphone. La vita media di un cellulare è ormai scesa sotto i due anni. La tecnologia è sempre più sofisticata, la concorrenza sempre più spietata, ci dice. Guiyu è il prezzo che il mondo accetta di pagare. È notte, ma l’e-discarica di lavora a ciclo continuo. In periferia resistono alcune fattorie, nascoste dietro colonne di Tir che riportano nelle fabbriche del Guangdong parti e sostanze riutilizzabili. Gli ultimi contadini rimasti qui coltivano riso che nessuno osa mangiare. «È un concentrato di cadmio — ci dice un uomo di nome Hiu — sulle scatole viene scritto che è stato coltivato nel Sichuan. Noi lo chiamiamo “il riso elettronico”. Finisce lontano. Dove, esattamente, nessuno lo sa». © RIPRODUZIONE RISERVATA FONTE: WWW.TREEHUGGER.COM- WWW.QUORA.COM - GREENPEACE.ORG la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 34 L’attualità. Molto impegnati Harold Pinter si schierò con i sandinisti, Günter Grass se la prese invece con la Shell e Solgenitsin accusò l’Onu di alto tradimento Alla vigilia della cerimonia di Stoccolma ecco di che cosa parlano i premiati quando vogliono salvare il mondo FA B IO GAMBARO PARIGI ERCOLEDÌ 10 DICEMBRE Patrick Modiano, il nuovo premio Nobel per la M letteratura, sarà a Stoccolma per pronunciare il suo discorso di ringraziamento davanti ai membri dell’Accademia svedese. Naturalmente non sappiamo di cosa parlerà, se si limiterà a semplici considerazioni letterarie o se invece spingerà il suo discorso sul terreno della politica e del sociale. Sappiamo però che prima di lui molti laureati del prestigioso premio hanno sfruttato la ribalta del Nobel per denunciare soprusi e ingiustizie, manifestare solidarietà a questo o a quel popolo, e più in generale per esprimere le loro preoccupazioni di fronte alle derive del mondo contemporaneo. Quanto importanti e frequenti siano state tali preoccupazioni extraletterarie, lo conferma la lettura delle quasi mille pagine di Tous les discours de réception des Prix Nobel de Littérature (Flammarion). Il volume a cura di Eglal Errera raccoglie per la prima volta la quasi totalità dei discorsi che i centodieci scrittori premi Nobel hanno fatto dal 1901, anno della creazione del premio, fino a mercoledì prossimo escluso. Naturalmente tra le tante allocuzioni non mancano quelle esclusivamente dedicate alla letteratura, come fece Montale, nel 1975, o Claude Simon, nel 1985, il quale rispose alle critiche fatte «senza capo né coda» alle sue opere per poi parlare dei destini del romanzo nel XX secolo. E se Doris Lessing, nel 2007, deplora il declino della letteratura occidentale, molti laureati ne approfittano per ringraziare chi li ha avviati alla scrittura e ricordare gli autori del passato a cui devono di più. Elias Canetti, nel 1981, ricorda ad esempio l’importanza che hanno avuto per lui Kraus, Kafka, Musil e Broch, ma anche il ruolo che hanno svolto nella sua vita tre città, Vienna, Londra e Zurigo. Diversi scrittori, poi, raccontano quello che è capitato loro il giorno della proclamazione del Nobel, ad esempio Dario Fo, nel 1997, che peraltro è proprio uno dei tanti premi Nobel che, con i loro discorsi militanti, hanno dimostrato di non vivere rinchiusi in una torre d’avorio. Così Czeslaw Milosz, nel 1980, denuncia l’annessione da parte dell’Unione Sovietica di Estonia, Lettonia e Lituania, i tre paesi baltici che persero la loro indipendenza alla fine della Seconda guerra mondiale. Séamus Heaney, nel 1995, ricorda vent’anni di drammatiche violenze nell’Irlanda del Nord, mentre Wole Soyinka, nel 1986, invita a combattere il razzismo e l’apartheid in Sudafrica, un paese definito un «campo medievale di terrori biblici e di sospetti primitivi». Senza dimenticare Herta Müller, premio Nobel nel 2009, che nel suo discorso di ringraziamento racconta le vessazioni e le umiliazioni subite in Romania quando si rifiutava di collaborare con il partito unico al potere. Un tema su cui insistono molto gli scrittori premiati è naturalmente quella della censura e della minacce che pesano sulla vita degli autori. Così Gao Xingjian, nel 2000, ricorda «le spedizioni punitive condotte contro la cultura tradizionale cinese» ai tempi della rivoluzione culturale, mentre Nadine Gordimer, nel 1991, rende omaggio ai molti scrittori, «da Thomas Mann a Chinua Achebe», che hanno dovuto affrontare il trauma dell’esilio. E se alcuni affrontano il tema della politica molto apertamente, come Harold Pinter, premio Nobel nel 2005, che intitola il suo discorso “Arte, verità e politica”, altri in- WILLIAM FAULKNER (1949) vece preferiscono disseminare le loro critiche al potere all’interno di discorsi molto più letterari. Tutti però, di fronte ai mali e alle ingiustizie L NOSTRO DRAMMA oggi è una paura del mondo, sembrano conservare un’indistrutuniversale e generalizzata, una paura tibile fiducia nel potere della letteratura. Come che sentiamo fisicamente e che dura da ad esempio lo scrittore yiddish Isaac Bashevis Singer, che nel 1978 dichiara: «Non provo alcu- così tanto tempo che possiamo perfino na vergogna a riconoscere di essere tra coloro sopportarla. Non si tratta più di preoccuparsi dei che amano immaginare che la letteratura ab- problemi dello spirito umano. Ormai l’unica bia il potere di aprire nuovi orizzonti e nuove domanda che conta è questa: quando mi prospettive filosofiche, religiose, estetiche e disintegrerò?”. perfino sociali». “I ©FONDAZIONE NOBEL © RIPRODUZIONE RISERVATA Discorsi da Nobel ALEKSANDR SOLGENITSIN (1970) N QUARTO DI SECOLO FA nacque “U l’Organizzazione delle Nazioni Unite, su cui l’umanità fondò molte speranze. Purtroppo, in un mondo immorale, anche questa organizzazione non poteva che essere immorale. Non è l’Organizzazione delle Nazioni Unite, ma l’Organizzazione dei governi uniti, dove quelli che sono stati liberamente eletti e quelli che si sono imposti con la violenza o hanno conquistato il potere con le armi sono messi sullo stesso piano. Per calcolo, l’Onu privilegia la maggioranza. Si dà molto da fare per la libertà di certi popoli, disinteressandosi però di quella di altri. [...] L’Onu ha evitato di rendere obbligatorio il miglior testo votato in venticinque anni — vale a dire la Dichiarazione dei diritti dell’uomo — evitando di farne una condizione necessaria per diventare membri dell’Organizzazione. Così facendo, ha abbandonato la povera gente in balia di governi che non aveva scelto”. ©FONDAZIONE NOBEL (NELLA FOTO SOLGENITSIN NEL 1974 RITIRA IL PREMIO NOBEL VINTO NEL 1970) la Repubblica DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 35 ALBERT CAMUS (1957) GNI GENERAZIONE si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito però è forse ancora più grande. Deve impedire che il mondo vada in pezzi. Erede di una storia corrotta dove si mischiano rivoluzioni fallite, tecniche folli, divinità morte e ideologie estenuate, dove mediocri poteri possono distruggere tutto ma sono incapaci di convincere, dove l’intelligenza si è abbassata fino a diventare serva dell’odio e dell’oppressione, questa generazione ha dovuto restaurare — in sé e attorno a sé, e partendo dalla sola negazione — un po’ di ciò che fa la dignità del vivere e del morire. Davanti a un mondo minacciato di disintegrarsi, dove i grandi inquisitori rischiano di imporre per sempre il regno dei morti, essa è impegnata in una corsa folle contro il tempo per restaurare una pace tra le nazioni che non sia quella della servitù”. “O ©FONDAZIONE NOBEL/GALLIMARD NADINE GORDIMER (1991) VUNQUE NEI REGIMI repressivi — nel “O GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ (1982) BBIAMO CONOSCIUTO cinque guerre, diciassette colpi di stato e visto l’apparizione di un dittatore luciferino che, in nome di Dio, ha avviato il primo etnocidio dell’America Latina contemporanea. Nello stesso periodo, venti milioni di bambini sudamericani sono morti prima di avere celebrato il loro secondo compleanno. Quasi centoventimila persone sono scomparse a causa della repressione: è come se avessimo perso traccia di tutti gli abitanti di Uppsala. Numerose donne arrestate quando erano incinte sono state costrette a partorire nelle prigioni argentine senza che si sappia dove siano finiti i loro figli, adottati clandestinamente o rinchiusi dai militari negli orfanatrofi. Per aver voluto mettere un termine a tutto ciò, quasi duecentomila donne e uomini sono morti in tutto il continente, più di centomila in tre piccoli paesi ostinati dell’America centrale: il Nicaragua, El Salvador e il Guatemala”. “A blocco Sovietico, in America Latina, in Africa, in Cina — la maggior parte degli scrittori imprigionati lo è per via della loro attività di cittadini che lottano contro l’oppressione. Altri invece sono stati condannati per aver servito la società scrivendo meglio che potevano, giacché l’avventura estetica diventa sovversiva quando l’artista, spinto dalla sua integrità a ribellarsi contro la realtà che lo circonda, si mette a esplorare segreti vergognosi. I temi e personaggi dello scrittore sono infatti inevitabilmente dettati dalle oppressioni e dalle distorsioni della società in cui vive, esattamente come la vita del marinaio è determinata dal potere del mare”. ©FONDAZIONE NOBEL JEAN-MARIE GUSTAVE LE CLÉZIO (2008) GGI, ALL’INDOMANI “O della decolonizzazione per gli uomini e le donne del nostro tempo la letteratura è uno dei mezzi per esprimere la loro identità, per rivendicare il diritto alla parola e il diritto di essere ascoltati nella loro diversità. Senza le loro voci, senza i loro appelli, noi vivremmo in un mondo silenzioso”. ©FONDAZIONE NOBEL ©FONDAZIONE NOBEL GÜNTER GRASS (1999) ENGO DAL PAESE degli autodafé. Sappiamo che oggi il desiderio di distruggere i libri odiati è ancora presente nello spirito dei tempi, e talvolta può persino trovare una dimensione telegenica — vale a dire degli spettatori. Ma ciò che è più grave è la diffusione dappertutto delle persecuzioni nei confronti degli scrittori, persecuzioni che possono giungere perfino alla condanna a morte. E cosa ancora più grave: tutti sembrano essersi abituati a questo incessante terrore. Certo, in questa parte del mondo che si vanta di essere libera, si lanciano grida d’indignazione quando, in Nigeria, nel 1995, lo scrittore Ken Saro-Wiwa, che ha denunciato i disastri ecologici nel suo paese, è stato condannato a morte e giustiziato insieme ai suoi compagni di lotta. Ma si passa subito ad altro, dato che queste considerazioni rischiano di danneggiare gli affari della Shell, gigante del petrolio e potenza planetaria”. “V ©FONDAZIONE NOBEL HAROLD PINTER (2005) SANDINISTI non erano perfetti. Avevano la loro parte di arroganza e diverse contraddizioni. Ma erano intelligenti, razionali e civilizzati. Volevano una società stabile, degna e pluralista. Hanno realizzato la gratuità della scuola e dei servizi sanitari. La mortalità infantile è diminuita di un terzo. La poliomielite è stata debellata. Ma per gli Usa questi successi erano solo sovversione marxista-leninista. Agli occhi degli americani, il Nicaragua era un esempio pericoloso. Alla fine sono riusciti a far cadere il governo sandinista. Hanno impiegato diversi anni e hanno dovuto dar prova di notevole tenacia, ma un’accanita persecuzione economica e trentamila morti hanno finito per aver ragione del coraggio dei nicaraguensi”. “I ©FONDAZIONE NOBEL MARIO VARGAS LLOSA (2010) ETESTO OGNI FORMA di nazionalismo, d’ideologia — o meglio di religione — provinciale, a base di idee piccole ed esclusive, che riduce l’orizzonte intellettuale e dissimula in sé pregiudizi etnici e razziali, trasformando in valore supremo, in privilegio morale e ontologico, la circostanza fortuita del luogo di nascita. Insieme alla religione, il nazionalismo è stato la causa dei peggiori massacri della Storia, come quelli delle due guerre mondiali e come l’attuale carneficina in Medio Oriente. Nulla ha contribuito di più alla balcanizzazione dell’America Latina, insanguinata da battaglie e contenziosi insensati, e spinta a sprecare risorse astronomiche in armi invece di costruire scuole, biblioteche e ospedali”. “D ©FONDAZIONE NOBEL GLI ESTRATTI DEI DISCORSI SONO TRATTI DA “TOUS LES DISCOURS DE RÉCEPTION DES PRIX NOBEL DE LITTÉRATURE” (FLAMMARION) la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 36 L’inedito. Eros e Thánatos “Gatta celeste, mio pungiglione” A duecento anni dalla morte le ultime suppliche e invettive del marchese disperato De Sade Lettere a mia moglie D O NAT I EN - AL PH O N S E - FR A N Ç O I S D E S A D E TORRIONE DI VINCENNES, 16 GIUGNO 1777 S e sapeste Madame quanto sono inferocito dalle vostre lettere, e quanto è crudele dopo quattro mesi della più esecrabile delle situazioni vedersi inviare assolutamente le stesse banalità, gli stessi ragionamenti imbecilli e le stesse imposture già usate fin dai primi giorni. Se dal fondo della poltrona in cui certo digerite in tutto comodo poteste, dico, vedere qui, vi assicuro che mi fareste grazia di questo stile; e dal momento che vi è facile, almeno concepireste le lettere in modo da darmi qualche speranza o qualche consolazione. Perché vi giuro che dal momento in cui me le presentano, mi fanno una tale impressione che mi viene all’istante una febbre causata dalla rabbia e dal dispetto che non mi lascia un momento di riposo per quattro o cinque giorni, fino a che arriva la visita del comandante che viene a eccitarmi di nuovo con le stesse cattiverie; di modo che passo la vita qui in un rimescolamento e una furia perpetua che mi brucia e divora il sangue; e le cui conseguenze saranno fatali per la mia condotta, perché sapete a cosa conducono una tale agitazione e il sangue infiammato. Lo abbiamo già provato a Pierre-Encize (nel 1768) e a Miolans (in Savoia, 1771), dove pure ho sofferto infinitamente meno. Che si giudichi da quei carceri questo, e si valuti se le prigioni sono per il mio bene. Oh! Vi assicuro che vi toglierò quest’idea a tutti quanti siete, e soprattutto alla vostra fottuta pezzente di madre, a cui potete dire che se mi vuole bene, non è ricambiata, e che formo qui i voti solo di vederla crepare, e vorrei anche che fosse tra i più atroci tormenti. VINCENNES, GIUGNO-LUGLIO 1783 Vi bacio le natiche. Ecco la misura esatta di un fodero (godemiché) che vi prego di farmi fare nel gusto di quello che mi avete mandato, ma in queste proporzioni qui, senza diminuire o aumentare una riga, facendo attenzione a farlo avvitare in alto a tre pollici; non fateci mettere anelli o bot- IN LIBRERIA IN OCCASIONE DEL BICENTENARIO SADIANO LA CASA EDITRICE ELLIOT RIPROPONE, A CURA DI ANTONIO VENEZIANI, “STORIELLE” (60 PAGINE, 8,50 EURO), “FLORVILLE E COURVAL” (A CURA DI ARDO REIM) E IL “SADE” DI APOLLINAIRE (CURATO DA GIUSEPPE SCARAFFIA). I “CRIMINI DELL’AMORE” COMPAIONO INVECE PER L’ORMA EDITORE A CURA DI FILIPPO D’ANGELO la Repubblica DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 37 Gli scandali, il carcere le sudate carte e la paura di morire solo DA RI A GA L A TE RI A DISEGNO DI DELPHINE LEBOURGEOIS D toni in avorio come in quello che mi avete inviato perché non tiene… Vi raccomando questa commissione al prima possibile, tutte le mie carte sono in disordine e non so dove ficcarle. Mandatemi quello che vi chiedo e smettete di scherzare su questo argomento, mandatemelo, mandatemelo, via, ho il tempo di usarlo. VERSAILLES 4 FRIMAIO ANNO VIII (25 NOVEMBRE 1799) Vi chiedo con tutte le forze, Madame, di permettermi di tornare a abitare con voi; la mia età deve credo rispondervi della mia condotta, e del mio inviolabile attaccamento per voi… il mio rispetto, tutti i sentimenti che siete fatta per meritare devono pienamente rassicurarvi. Vorrei tanto, Madame, non morire solo… lontano da voi e dai miei figli; riuniteci tutti, è un dovere. Non sarò a vostro carico; non è mia intenzione infastidirvi in alcun modo. Starò da voi come pensionante; vi pagherò alloggio e vitto sia a Parigi che in campagna; e godrò della vostra compagnia solo nei momenti in cui vorrete permetterlo. Il tempo, oso sperare, dovrebbe avere attenuato tutti i sentimenti che in voi potevano forse ingenerare ostilità a questo progetto, e aspetto dal vostro cuore una decisione favorevole. Se ho fortuna e accettate, mandate- mi una traccia delle condizioni, e quali che siano, se la clausola è la nostra riunione, non abbiate dubbi, saranno accolte all’istante. Non sono aiuti che vi chiedo, la legge sta per revocare il sequestro, se non è già avvenuto mentre vi scrivo; sarò dunque in grado di far fronte agli impegni che mi vorrete dettare. In caso di vostro rifiuto, Madame, rifiuto che mi metterà alla disperazione, ma insomma in questa crudele eventualità, vi prego allora d’accettare la mia proposta di divorzio, riservandovi tutti i vostri diritti, perché ho bisogno di una compagna e di persone che nodi potenti incatenino a me fino al mio ultimo respiro e che abbiano cura di me per questi legami, e non per interesse o semplice amicizia, che è diverso. Star solo mi fa paura, non posso abituarmi all’idea di finire così la vita. Aspetto con ansia una risposta — supplicandovi in ginocchio di dare la preferenza tra le due opzioni a quella che deve riunirmi a voi. Sono con rispetto Il Vostro Sade Abbraccio i miei figli © RIPRODUZIONE RISERVATA ELIZIA DI MAOMETTO, gatta celeste, pungiglione dei miei nervi, viola del Paradiso, fresco porco dei miei pensieri: Sade scriveva alla moglie rievocando il «calore» e le contromovenze delle sue grazie posteriori, e chiedendole di procurargli dagli artigiani due flaconi. Uno per lei, da mettere sulla toilette, e uno per sé («la circonferenza è essenziale») per gli usi privati su cui pure si confidava: «una buona grande ora la mattina per cinque maniglie, artisticamente graduate da sei a nove, una buona mezz’ora la sera per tre, con minori proporzioni». La corrispondenza di Sade è uno dei suoi capolavori. Di novecento lettere, e cinquecento scritte in quasi trent’anni di prigionia, la metà sono per la moglie — splendide di eleganza, ferocia, ironia, disperazione; e di complicità. Possiamo leggerne di inedite nella scelta di Cinquante lettres du marquis de Sade à sa femme operata da qualche tempo da un grande e appassionato collezionista, Pierre Leroy (con Cécile Guilbert, da Flammarion). Ritroviamo gli aneddoti e i giudizi letterari, le mille richieste — il burro di Bretagna, dei fiocchi, «dei libri dei libri dei libri per l’amor di Dio»; e gli ordini: «Raccomandate al sarto che la redingote stia più aderente al petto e alle maniche»; «fate leggere appena potete Il padre di famiglia a nostro figlio, c’è tutto Diderot». La sgraziata Renée-Pélagie (ma «seni freschissimi» e «carattere stupendo», recente e facoltosa famiglia di magistrati) ha condiviso subito la vita libertina del marchese. Ma Sade purtroppo le preferisce la sorellina, Anne-Prospère, e fugge con lei in Italia. La volitiva suocera, che già mal sopportava gli scandali del genero, decide a quel punto di liberarsi di lui. Con una lettre de cachet condanna Sade alla prigionia senza processo né motivazioni. E dunque a ragione uno dei temi più smaglianti delle lettere di Sade alla moglie saranno proprio le invettive alla suocera, la «Présidente» da «scuoiare viva» e «immergere nell’aceto». Solo la Rivoluzione abolirà l’abuso di quelle carcerazioni arbitrarie: nel 1790 Sade è libero, ma Renée-Pélagie, che per stare accanto alle prigioni del marito ha vissuto in città, poveramente, in affitto, chiede spaventata la separazione. Nel 1799, il marchese è in miseria; implora ancora dalla moglie compagnia; finisce tra gli indigenti all’Ospedale di Versailles — e l’attrice Constance Quesnet gli resterà poi accanto fino alla morte, il 2 dicembre di duecento anni fa, nel manicomio di Charenton. In tutti questi anni Sade non dimenticherà mai Anne-Prospère. Ancora in una lettera alla moglie, il marchese racconta di aver sognato una sua antenata, la Laura di Petrarca che, velata di nero, gli dice «Seguimi!»; lui si sveglia gridando «Mamma!» e nella lettera osa chiedere notizie di Anne-Prospère. Ma lei sta morendo in convento, e in famiglia non vogliono più nominargliela: la moglie tace. Sade sta sempre tra libri e carte, si stupiscono i carcerieri. Scrive, oppure riscrive; il critico Michel Delon ha dimostrato che, per farsi la mano, ha ricreato le licenziose Storielle dalle Lettres galantes, un successo dimenticato di Madame de Noyer. E i manoscritti della Justine sono così travagliati che è impossibile oggi pensare a Sade come sopraffatto e sospinto dall’immaginazione. «L’opera più scandalosa mai scritta», «un vero assoluto» ancora «invalicabile, troppo forte per l’uomo» (Blanchot), i cui abissi restano comunque necessari a definire il significato dell’erotismo, è stata composta in realtà da uno scrittore sorvegliato, raffinatissimo. Uomo indomabile, ma non certo un criminale (per uno stato delle riletture si veda l’illuminata cura di Paola Decina Lombardi al Dialogo tra un prete e un moribondo per Castelvecchi). Se la Natura sadiana prevede il Male e la lussuria della crudeltà, sono convocate alla festa del piacere anche le donne: Sade pensa ai «bisogni del loro temperamento, ben più ardente del nostro», e prevede che sia reciproca «la cieca sottomissione ai capricci degli uomini che la natura prescrive alle donne». Ma è nelle lettere alla moglie che la dismisura del marchese nelle fantasie di trasgressione, fatte convergere in cupi ambienti concentrazionari, ritrovano tutta la grazia settecentesca: «Fiaccola della mia vita, quando, quando le tue dita d’alabastro verranno a sostituire questi ferri, contro le rose del tuo seno? Addio, lo bacio, e mi addormento». © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 Spettacoli. Stairway to Heaven FOTO DI ROSS HALFIN. JIMMY PAGE OGGI “Sui Led Zeppelin sono state dette tante cose Violenze, abusi Ma tutto questo non c’entra con la nostra musica” Settant’anni, nonno, il grande chitarrista oggi si racconta (quasi) senza filtri Jimmy Page Sono sopravvissuto 38 la Repubblica DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 LONDRA NA LEGGENDA CON IL CODINO, un musicista oscuro, schivo, uno dei primi U a usare la chitarra con due manici. A suo tempo molto dedito alle droghe, segnato dalla tragedia, Jimmy Page non è più soltanto uno dei migliori chitarristi di tutti i tempi. Oggi è un artista minuzioso, un perfezionista consapevole del ruolo che lui e la sua band hanno nella storia della musica. A settant’anni confessa che quando formò i Led Zeppelin, il gruppo che inventò l’hard rock soffuso di psichedelia e che indicò la strada dell’heavy metal, aveva le idee molto chiare. Non fu affatto un’improvvisazione, ma un progetto meditato: l’obiettivo era diventare una star di livello mondiale. Mosse i suoi primi passi in uno studio di registrazione come turnista e poi entrò a far parte degli Yardbirds, dove suonarono anche Eric Clapton e Jeff Beck. Ma già sapeva che il suo gruppo sarebbe andato oltre, verso territori inesplorati del suono. E così fu. I Led Zeppellin aprirono la strada verso una libertà sconosciuta e ispirarono storie di ogni genere. Prima gli innumerevoli pestaggi da parte delle loro guardie del corpo. Poi la morte, nel 1977, quando aveva solo sei anni, del figlio di Plant: ucciso, dice la leggenda, da un rito satanico con abusi sessuali. E infine, tre anni più tardi, quella del batterista John Bonham: affogato nel proprio vomito dopo una sbronza monumentale e per lui tutt’altro che rara. La band si sciolse. L’appuntamento è in un hotel di Kensington poco distante dalla Royal Albert Hall. Page, oggi nonno, ex-tossicodipendente, messi via gli allori si sente responsabile di un’eredità artistica che ha appena finito di riordinare con la rimasterizzazione dei primi cinque album dei Led Zeppelin. A proposito. E gli altri dove sono? «Non lo so, non ho idea di che cosa facciano. E mio Dna. Poi cominciai a suonare con gli Yardpoi il produttore ero io. Comunque se abbiamo birds, e fu allora che potei dare un contributo deciso di fare questo lavoro è perché non vole- con alcune idee mie. Quando quel progetto finì vamo che le nostre cose finissero nelle mani sba- ormai sapevo esattamente cosa volevo». Dunque prestissimo. gliate. C’è dentro un bel po’ di materiale che non «Avevo suonato in tuguri underground di è stato niente affatto facile recuperare, e anche ogni genere, senza contare l’esperienza acquiun bel po’ di frustrazioni». sita in studio o nelle radio, dove si suonavano Perché frustrazioni? «Non sono mai soddisfatto, si può sempre mi- non solo canzoni, ma ampie parti da diversi dischi. Avevo accumulato esperienza tanto dal vigliorare». Quando la traiettoria di un gruppo si conclu- vo che nelle sale di registrazione. Sapevo benisde è davvero così importante situarla nella simo che strada avrei preso. E non solo perché storia della musica? avevo cominciato a farmi sentire, che è una del«Certo. Ci sono tanti esempi di musicisti im- le prime cose che devi cercare di fare se vuoi faportanti di cui abbiamo già dimenticato il no- re questo mestiere, ma anche perché sapevo me, e non voglio citarne nessuno. Grandi band quali erano le cose che servivano per formare degli anni Sessanta, con tanti fan, che oggi nes- una buona band. Per riuscire a fare qualcosa di suno ricorda. Ma non voglio essere frainteso, importante è decisivo come cominci. Non vale non ho alcuna intenzione di celebrare la nostra la pena buttarsi in cerca del successo immediastoria pomposamente. Voglio solo dire che noi to con una canzone che arriva subito in vetta alsapevamo che la nostra musica sarebbe rima- la hit parade. Devi cercare di mettere su un sta. Per questo motivo non mettevamo sul mer- gruppo che suoni bene e si faccia rispettare». Ha menzionato gli Yardbirds, band in cui socato singoli ma solo il lavoro completo. Noi ofno passati tre dei migliori chitarristi di tutti frivamo un concetto, non cercavamo di soddii tempi: Eric Clapton, Jeff Beck e lei. In che cosfare l’ansia di un pubblico che invece altri sfrutsa voleva che i Led Zeppelin fossero diversi? tavano dandogli a mano a mano i pezzi di un tut«Jeff fece un lavoro fondamentale, ma io voto. Era questo che ci rendeva diversi. Ed è per questo, credo, che in quegli anni siamo riusciti levo allargare gli orizzonti a un altro tipo di suoad ampliare gli orizzonti della musica. Tutti se- ni, entrare in territori più all’avanguardia. Voguivano molto attentamente quello che face- levo cambiare il panorama, fare un passo in avanti rispetto a quello che si faceva e arrivare vamo allora». Cominciò a rendersi conto di tutto questo sin a sviluppare cose mai messe in pratica prima di dai tempi in cui faceva il turnista suonando allora da chitarristi solisti. Avrei voluto concrecon varie band? «Indubbiamente, imparai molto proprio in quel periodo». Mi sta dicendo che a furia di vedere i punti deboli di altre band quando ne formò una seppe che cosa fare e cosa non fare? «Diciamo che riuscii a chiarirmi molto le idee nella mia testa. Prima di tutto su come non fare le cose. Da quelle più complesse alle più ovvie, come scrivere la musica. Tenga conto che io non sapevo leggere uno spartito. Dovetti imparare». Quasi come Paco de Lucía, che era totalmente autodidatta. «Be’, lui era un genio. Io ho faticato di più. Ma a poco a poco venni accettato in quel mondo. Il lavoro mi piaceva, le band volevano che restassi, che mi impegnassi di più, e dovetti imparare giorno dopo giorno. Ogni tipo di tecniche e di stili: acustico, elettrico, classico... Imparare e imparare. Ma mi interessava molto e seguivo particolarmente tutto il processo della registrazione. Cercavo di immaginare come avrei potuto fare a registrare tutti i suoni che si accalcavano nella mia testa perché si avvicinassero a ciò che avrei voluto fare io. Imparavo strada facendo. Mi si apriva un mondo davanti, da cui assorbivo modi di lavorare, segreti che si aggiungevano al SAPEVAMO CHE CIÒ CHE STAVAMO CREANDO SAREBBE RIMASTO. PER QUESTO NON FACEVAMO SINGOLI MA SOLO IL LAVORO COMPLETO. CERCAVAMO QUALCOSA DI MAI SENTITO PRIMA. E CREDO CHE LO ABBIAMO TROVATO tizzare con loro alcune delle mie idee, ma prima che fosse possibile si separarono. Fu allora che mi sentii pronto per offrire una visione che il pubblico già cominciava a pretendere. Qualcosa di fresco e di nuovo. Credo che ci riuscimmo». Allora avevate ben chiari due concetti fondamentali: che cosa doveva essere un gruppo in studio e che cosa doveva essere dal vivo. Crede che i Led Zeppelin raggiunsero i loro obiettivi su entrambi i fronti? Come facevate a conciliarli? «Esistevano, be’, sono sempre esistite, molte band che dal vivo riproducono esattamente quello che fanno in studio. Non era questo quello che noi volevamo. Nel nostro caso eravamo già dei musicisti formati e intendevamo crescere tutti insieme, in gruppo. Non avevamo una superstar da accompagnare. Lavoravamo in uno spirito di comunione. Fin dal primo giorno. Prima provavamo tutti insieme e poi andavamo in studio. Sempre molto concentrati e, dal vivo, anche molto impegnati sui cambiamenti, sulle varianti, per creare diverse versioni. Non abbiamo mai abbandonato questo modo di lavorare. E per questo era sempre una cosa per noi molto eccitante. Ci sfidavamo e camminavamo sul filo del rasoio». Prima di formare i Led Zeppelin aveva una libreria. Esoterica. Perché la chiuse? «Perché cominciammo a viaggiare molto con la band, stavamo spesso all’estero. La chiusi quando Robert Plant si ruppe una gamba a Los Angeles. Era l’epoca in cui stavamo incidendo Presence, credo. Molti clienti della libreria, inoltre, erano convinti di avere un diritto divino a non pagare i libri». Ah, sì? Rubavano? «Più o meno. Be’, è così. La gente interessata a quel tipo di argomenti in genere non ha un centesimo». Un pessimo affare. «Decisi di chiuderla, nemmeno di cederla». Ha citato Presence: quel disco era molto influenzato dalle droghe. «Per quanto riguarda l’influenza delle droghe dovremmo parlare degli album precedenti più che di questo. Direi invece che Presence si ispirava al concetto dell’intervento divino». Influenza mistica? «Musica divina». LA BAND DA SINISTRA ROBERT PLANT (VOCE), JOHN PAUL JONES (BASSO), JOHN BONHAM (BATTERIA) E JIMMY PAGE (CHITARRA) FOTO DI ARMANDO GALLO J E S ÚS RUIZ MANT I L L A 39 Nel solco della leggenda della sua passione per le forze occulte? «La definisca come vuole. Per me, che ormai ho più di settant’anni, è lo stesso. Sono un sopravvissuto. La musica parla da sola e basta, non c’entrano niente le circostanze mie personali, né le donne che ho avuto, né i miei figli. Parliamo di come si manifesta la musica sopra a tutte le cose; se vuole sapere di quelle altre faccende, ascolti la musica, sono tutte lì dentro». Davvero potrei trovarcele? «Cavolo, lo spero!». Tutto viene dalle sue esperienze personali? «Sì. Si tratta di un riflesso, di una dichiarazione di ciò che sei nella vita. Cambi, sperimenti tragedie, felicità, grandi momenti, c’è tutto. Forse la vita si lascia intravedere di più in chi scrive i testi, perché sfiora continuamente aspetti autobiografici; ma anche nel suonare la chitarra io mi sento molto espressivo, molto lirico. E sento che la mia arte è coerente con quello che sono». Crede che i dieci anni di attività dei Led Zeppelin abbiano lasciato, nel bene e nel male, un segno nella sua parte di vita successiva? «Sì. Anche se so bene di aver avuto una vita oltre i Led Zeppelin, devo ammettere che ho sempre avuto il senso di un debito nei confronti di quella tappa della mia esistenza e adesso, con questa raccolta, vorrei presentare qualcosa di ben fatto che dimostri chi eravamo davvero. Io non sono uno che parla sempre bene delle case discografiche, ma devo dire che alla Warner hanno fatto le cose in grande stile. È stato un lavoro durissimo in cui spero che abbia predominato la decenza, il gusto di fare le cose per bene, l’etica di non dissipare un’eredità. Per questo mi ci sono impegnato tanto e ho voluto controllare tutto. Sono cose che ho vissuto profondamente. E poi ricordo tutto. So dove eravamo quando abbiamo inciso ogni singola canzone, come era disposto ciascuno di noi». C’è qualcosa che l’ha sorpresa nel ripassare in rassegna tutti quegli anni? «Il vincolo, la forza del vincolo che ci univa. La ricerca della qualità in qualsiasi circostanza. Se siamo riusciti a sfondare è grazie a questo sforzo d’insieme in cui ognuno di noi ha lavorato a fondo. E questo ha dato luogo a un’opera d’insieme, molto potente e ampia come concezione intellettuale. Posso dire che non mi pento di quello che abbiamo fatto». Sotto il profilo artistico, non c’è di che lamentarsi, indubbiamente. E da altri punti di vista? Quelle storie di violenze, di abusi, di eccessi... C’è di che pentirsene? «Questo non ha niente a che vedere con la musica». Io penso di sì, e credo anche che sia evidente nella sua musica. Lei non crede? «Su di noi sono state dette tante cose. Ma credo che nessuno di noi avrebbe mai potuto trovarsi in una di quelle situazioni neppure per farne la colonna sonora. Mi capisce?». Oggi avete un buon rapporto tra di voi? «Assolutamente». E perché crede che il gruppo si spaccò? «Perché John Bonham morì, o no?». Sì, ma esistono molte band che, pur avendo perso qualche membro, sono andate avanti. «La nostra creatività ne avrebbe risentito. Era una band predestinata a esistere, non c’è dubbio. Era come una profezia divina. Ma se uno di noi fosse venuto a mancare, John Paul Jones, Robert o io stesso, non avremmo potuto continuare, lo sapevamo. Fare entrare qualcuno di nuovo ci avrebbe limitato. Ciò nonostante, quando ci rimettemmo insieme per una sola volta, con il figlio di John alla batteria, lo facemmo in un modo molto dignitoso. Riuscimmo a sperimentare nuovamente quella tensione positiva, l’energia della nostra musica». (Traduzione di Luis E. Moriones) ©El Pais Semanal © RIPRODUZIONE RISERVATA PASSIONE PER L’OCCULTO? LA DEFINISCA COME VUOLE, PER ME FA LO STESSO SE VUOLE SAPERNE DI PIÙ NON DEVE FARE ALTRO CHE ASCOLTARE LA NOSTRA MUSICA. STA TUTTO LÌ DENTRO. O ALMENO LO SPERO la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 40 Next. Minority Report Michael Jackson è già resuscitato on stage e l’India ha da poco sperimentato le prime elezioni vinte a colpi (anche) di ologrammi Dall’arte alla medicina in quali campi la nostra vita sarà sempre più virtuale MUSICA GLI OLOGRAMMI DI TUPAC E MICHAEL JACKSON SONO GIÀ APPARSI SUI PALCHI IN GIRO PER IL PIANETA. E LE STELLE DELLA CULTURA POP DIVENTANO ICONE. SARANNO SEMPRE QUI, A DISPOSIZIONE DEGLI IMPRESARI DI TUTTO IL MONDO CARMINE SAV I ANO I ARRIVERÀ UNA NOTIFICA. Uno dei nostri dispositivi in perenne connessio- C ne ci segnalerà che tutto è pronto. E non appena il nostro indice scivolerà sullo schermo, le luci della stanza in cui siamo si abbasseranno e l’ologramma del candidato premier comparirà di fronte a noi. Pronto a convincerci, guardandoci negli occhi, della bontà della sua proposta. Fantapolitica? No, futuro prossimo. Perché gli ologrammi sono già tra noi, crescono velocemente, sono ancora un po’ sfocati ma stanno passando dall’adolescenza alla maturità. Serrano i ranghi per rivoluzionare la nostra quotidianità: dalla medicina all’intrattenimento, dalla fruizione dell’arte e della cultura fino all’informazione e alla comunicazione. Il futuro è olografico. Abbiamo iniziato dalla politica perché è proprio in ciò che attiene alla polis che l’olografia sta dimostrando le proprie possibilità: implementa la costruzione di comunità in una direzione dove reale e virtuale diventano categorie quasi sovrapponibili. Basta guardare verso Oriente, perché è lì che sorge il nuovo sole della comunicazione politica: le ultime elezioni in India non le ha vinte Narendra Modi, ma il suo ologramma. Merito della Hologram Usa che gli ha permesso di raggiungere con la sua immagine in 3d gli angoli più remoti del Paese. Comizi trasmessi in contemporanea, l’avatar del futuro premier che azzera per un attimo la distanza tra cittadini e istituzioni. Nuove frontiere della partecipazione. E quello indiano è solo un laboratorio. Perché la stessa Hologram Usa fornirà i suoi servizi a chi, tra i prossimi candidati alla Casa Bianca, vorrà farne uso. Se l’Oriente è un laboratorio, gli Stati Uniti sono un modello. E se l’ologramma politico arriva lì, da Washington conquisterà il mondo. Dipartimenti universitari di mezzo mondo ormai ci lavorano a pieno regime. Dal Mit di Boston a Cambridge. In Inghilterra ciò su cui si sta concentrando non è la politica ma la medicina. Un prelievo per le analisi del sangue? Medioevo. Basterà una microtelecamera per proiettare l’immagine tridimensionale e in movimento del plasma o di un qualsiasi organo. Quanto questo possa servire alla diagnostica è assolutamente intuitivo. E anche qui non si tratta di pii desideri: i lavori in corso sono a buon punto. C’è di mezzo un gigante della tecnologia come Philips, che sta mettendo a punto un impianto che consentirà di unire l’ologramma all’ecografia. I genitori potranno “vedere” il loro bambino, ne potranno seguire la crescita. E i medici faranno analisi in diretta, assicurandosi che no probabili con Elvis che ruba la scena a Kurt Coogni cosa stia andando per il verso giusto. Osser- bain o maxi-produzioni hollywoodiane con Mavare la vita che prende forma. Con gli ologram- rilyn Monroe che fugge da un cattivissimo mi non sarà possibile solo contemplare il futuro, Heath Ledger. Perché non avviene già? Qui la ma anche rianimare la storia. Entrare in un libro, questione è solo economica: l’immagine delle per esempio. C’è riuscito un team di ricercatori star è soggetta alla legge del marketing. Ciò che delle università di Bologna e delle Marche: l’Uo- però si può già fare è affittare l’ologramma di un mo Vitruviano finalmente osservabile da tutte dj per le feste, merito dell’italiana Overfest. le prospettive, il farsi del tratto di Leonardo di Infine, l’informazione. Alcune testate come la fronte ai nostri occhi. «L’ologramma ci consente Cnn hanno già messo in cantiere alcuni esperidi riprodurre un manufatto in uno spazio vuoto menti, come la realizzazione di uno studio telecome se lo avessimo davanti a noi», ci dice Paolo visivo sulla falsariga del Ponte Ologrammi di Clini del Centro studi Vitruviano di Fano. I van- Star Trek. Entrare nei luoghi delle notizie, ostaggi sono tanti: l’arte viene spettacolarizzata, servare i protagonisti della vita politica o econol’ipotesi di un Museo dei Musei prende corpo. mica, seguire gli inviati tra i conflitti che attra«Attraverso questa tecnologia diventa possibile versano il pianeta. Tutto in diretta 3d sul proprio interrogare l’opera, interagire». Certo, c’è il pro- telefonino: Amazon, Microsoft e la cinese Takee blema del contesto. Sottrarre un’opera al luogo Technology hanno già in cantiere dispositivi per per cui è stata pensata va contro ogni storicismo. ricevere ologrammi. E sul versante Apple si par«Ma così si fanno passi avanti sul terreno della la da un po’ di un team di ricerca al lavoro su olodemocratizzazione dell’arte: il codice di Leonar- grammi da toccare. do è visibile ogni cinque anni. Qui è davanti ai noIl futuro olografico è quindi alle porte. E non stri occhi in ogni momento», suggerisce Clini. sarà un tempo privo di polemiche. Perché un Come saranno davanti ai nostri occhi in ogni mondo in cui “non si va mai a sbattere”, in cui la momento tutte le star del rock o del cinema pas- resurrezione anche se virtuale è a portata di masate a miglior vita. Lo abbiamo già visto: l’olo- no, un mondo in cui la patina della storia si asgramma di Tupac e quello di Michael Jackson sottiglia, sarà un mondo che farà discutere. Il hanno già fatto la loro comparsa davanti ai fan. punto è sempre quello: saremo all’altezza della E in questo campo l’applicazione degli ologram- tecnica? Lo sapremo al primo apparire della mi coincide con la fantasia, il limite del possibile Compagnia degli Ologrammi. non esiste: aspettiamoci super-gruppi più o me© RIPRODUZIONE RISERVATA TECNOLOGIA LA APPLE CERCA DI SPOSTARE AVANTI IL CONFINE. A CUPERTINO STANNO LAVORANDO SU PROTOTIPI CHE CONSENTIRANNO DI TOCCARE GLI OLOGRAMMI. “MINORITY REPORT” PASSERÀ DALLA FANTASCIENZA ALLA REALTÀ DI TUTTI I GIORNI Terza dimensione Avatar di tutto il mondo unitevi l’uomo nuovo sarà olografico la Repubblica DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 Come funziona un ologramma Ubiquità, l’eterna sfida tra scienza e religione U MB E R T O G A LI MBE RTI O SEMPRE considerato il H MEDICINA ANALISI DEL SANGUE E CONTROLLO DEL DECORSO DI UNA MALATTIA. SENZA INVASIVITÀ. L’UNIVERSITÀ DI CAMBRIDGE STA METTENDO A PUNTO UN DISPOSITIVO PORTATILE CHE PROIETTA L’OLOGRAMMA DELLA PARTE DEL CORPO INTERESSATA ARTE L’AVANGUARDIA È IN ITALIA. AL CENTRO STUDI “VITRUVIANO” DI FANO ALCUNI RICERCATORI HANNO REALIZZATO LA PRIMA MOSTRA IN 3D DEDICATA A LEONARDO. I SUOI CODICI NON SONO MAI STATI COSÌ CHIARI: L’“UOMO VITRUVIANO” OSSERVABILE DA TUTTE LE PROSPETTIVE POLITICA CAMPAGNE ELETTORALI INCORPOREE. CANDIDATI CON IL DONO DELL’UBIQUITÀ. I PRIMI ESPERIMENTI CON IL PREMIER INDIANO ASPETTANDOCI SORPRESE PER LE PROSSIME PRESIDENZIALI NEGLI USA: I KENNEDY ALLE CONVENTION DEMOCRATICHE? conflitto tra scienza e religione che, a partire da Galileo, ogni tanto si ripropone, come un’increspatura di superficie che sottintende una profonda alleanza e una sotterranea continuità. Quando Ludwig Feuerbach ci dice che “Dio è l’ottativo del cuore umano” (e chi ha studiato un po’ di greco sa che l’ottativo è una forma verbale che esprime gli umani desideri), dice una incontestabile verità, già nota nel Paradiso terrestre, quando il serpente, per emancipare l’uomo da Dio, invita Eva a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza, a cui Dio aveva proibito di accostarsi. “Se mangerete questo frutto diventerete come Dio” furono le parole profetiche del serpente. Adamo ed Eva mangiarono il frutto e furono cacciati dal Paradiso terrestre con due maledizioni: per Eva “Partorirai nel dolore”, e per Adamo “Ti procurerai il nutrimento con la fatica del lavoro”. Passarono i secoli e, con 41 la nascita della scienza moderna, Francesco Bacone scrive: “Con la scienza e la tecnica noi ripareremo le pene conseguenti il peccato originale, riducendo la fatica del lavoro e il dolore”. Le metafore religiose hanno sempre prefigurato il sogno dell’uomo di diventare come Dio, di acquisire le sue prerogative, la sua potenza. E tutto questo che c’entra con gli ologrammi? C’entra. Perché l’ologramma consente l’ubiquità. Ossia la possibilità di apparire contemporaneamente in più luoghi. In ambito medico rende possibile vedere in tre dimensioni quel che un tempo era invisibile, come il decorso delle malattie o lo sviluppo di una gravidanza. In ambito artistico rende decifrabili i codici leonardeschi, giunge persino a resuscitare virtualmente i morti, in una parola oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo che Kant aveva segnalato come strutture fondanti la condizione umana. E così l’uomo viene ad appropriarsi in modo virtuale, ma con l’ologramma molto simile al reale, delle prerogative che la religione aveva riconosciuto tipiche ed esclusive di Dio. Con questa tecnica, ma non solo con questa, la nostra percezione del mondo subisce un radicale capovolgimento, e con essa il nostro modo di pensare, di sentire, di toccare, di immaginare. Dopo di che resta sempre valido il monito di Günther Anders, secondo il quale “La tecnica può segnare quel punto assolutamente nuovo nella storia, e forse irreversibile, dove la domanda non è più: cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma che cosa la tecnica può fare di noi”. © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 42 Sapori. Primordiali UN TEMPO, PROPRIO IN QUESTI GIORNI, I CONTADINI CELEBRAVANO IL RITUALE DELL’UCCISIONE DAL MESSICO (A CUBETTI CON I TACOS) AL GIAPPONE (INFARINATO CON ZUPPA DI MISO) L’UNIVERSO SUINO SODDISFA TUTTI A OGNI LATITUDINE 10 piatti internazionali MESSICO Tacos de carnitas TIJUANA VIA GHIBELLINA 156/R FIRENZE TEL. 055-2341330 Tortillas di mais farcite con cubetti di carne — maciza (magra), surtida (media), cuerito (grassa) — cotti in acqua speziata o nello strutto, spadellati con arancia, pepe e coriandolo STATI UNITI Pulled pork GRAPES VIA DEI PESCATORI 7 CASTEL GANDOLFO (ROMA) TEL. 06-93020889 Hamburger di spalla parzialmente sgrassata, marinata con spezie miste, infornata cinque ore a 150° e sfilacciata, con salsa barbecue all’aceto e insalata piccante di cavolo e carote (coleslaw) SPAGNA Lacón L’appuntamento Spostato di una settimana per la piena del Po, la tappa di Polesine Parmense del tour “November Porc 2014” si svolgerà il prossimo fine settimana, tra menù dedicati, artisti di strada e visite nelle migliori aziende della zona DON JUAN VIA SALLUSTIO 15 MONOPOLI (BA) TEL. 080-747470 La spalla salata (lacón) fiammeggiata, lavata, lessata, fatta riposare per una notte. Seconda bollitura con le salsicce — pre-cotte per sgrassarle — cime di rapa (grelos) e patate FRANCIA Choucroute La disputa È polemica furibonda tra i puristi del culatello di Zibello dop, rigorosamente insaccato nella vescica di maiale, e i produttori che, utilizzando la dicitura “culatello”, commercializzano cosce di maiale con cotenna (ovvero culaccia) LA LOUCHE VIA LOMBRIASCO 4 TORINO TEL. 011-4332210 Crauti in casseruola con cipolla, chiodi di garofano, aglio e ginepro. Vino sfumato, poi lardo affumicato, il carré e dopo due ore aggiungere le patate. Nel piatto, anche salsicce di Strasburgo Porco mondo. Bollito, al forno o in agrodolce? Ecco perché del maiale non si butta mai niente LICIA GRANELLO GERMANIA Schweinshaxe La sagra Sagra del maiale e del cinghiale oggi ad Antillo, Messina, minuscolo paese di grande tradizione norcina. In programma, la riproposizione del secolare mercato “dî purcidditta e ddî gnarri”, dedicato alla compravendita dei lattonzoli KAPUZINER KELLER VIA POZZO DEL MARE 1 TRIESTE TEL. 040-307997 Il maiale al forno è tra i simboli gastronomici dell’Oktober Fest: stinco rosolato in pentola, infornato con timo e rosmarino, irrorato con la birra, servito insieme a patate bollite o purè “C OI DENARI DEI PULCINI avrebbe anche comperato un maiale, per non perdere le bucce dei fichidindia e l’acqua che serviva a cuocere la minestra, e a fine d’anno sarebbe stato come aver messo dei soldi nel salvadanaio”. Ne I Malavoglia, Giovanni Verga mette in bocca a Mena uno dei primissimi comandamenti dell’economia contadina: l’allevamento del maiale è un investimento a costo zero. Affermazione che ne genera subito una seconda, altrettanto benedetta: del maiale non si butta via niente. Pensieri comuni e trasversali da una parte all’altra del pianeta, pur con le eccezioni figlie di convinzioni e convenzioni religiose. Ovunque sfugge al marchio la Repubblica DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 Quel lontano cugino portato in tribunale Croccante Coscia di maialino da latte al forno con luppolo e salsa di malto CINA Gulao rou BA ASIAN MOOD VIA C. RAVIZZA 10 MILANO TEL. 02-4693206 Spadellata di carne, peperoni e peperoncino, insaporiti in un condimento di farina, acqua, salsa di soia, brodo, sake, aceto, sale, zucchero, glutammato e concentrato di pomodoro BRASILE Virado à paulista JACARE VIA NICOTERA 93 PELLEZZANO (SA) TEL. 340-6130894 Costolette marinate nel limone, rosolate, finite di cuocere in una polentina di mais spezzato insaporita con aglio, cipolla, prezzemolo, pomodoro. Nel piatto, fettine di verza RUSSIA Svinina v kvase marinovannaya MATRIOSKA VIA COLLINA VOLPI 6/G ROMA TEL. 06-659648341 di impurità — sostituito da oca e affini — il maiale occupa a tutto tondo i luoghi del mangiare casalingo e non: dispense e cantine, frigoriferi e menù. E poco importa se il tempo è tiranno, la dieta incombe e i soldi scarseggiano: l’universo suino sa adattarsi alla bisogna, modellandosi su esigenze e desideri, dalle ansie crescenti degli ortoressici al palato vellutato dei golosi, discount e celiaci compresi. Un tempo, questi erano i giorni delle maialate, che non avevano altra attinenza sessuale se non l’occasione di gran festa coincidente con l’uccisione del maiale. Non un maiale seriale, di quelli stipati, ingrassati e siringati che stringono il cuore nei documentari-verità facilmente recuperabili in rete, ma al contrario cresciuto quasi come uno di famiglia, con tanto di nome scritto sulla porta della porcilaia. Proprio come nelle pagine di Verga, gli scarti della cucina erano il menù quotidiano, così che in ogni zona la carne di stinchi e salumi portava la firma del territorio di appartenenza. Esempio mirabile, quello della tradizione agricola emiliana, dove l’alimentazione dei maiali era indissolubilmente legata alla produzione del Parmigiano Reggiano, e al pastone quotidiano veniva aggiunto il siero di latte avanzato dalla ri-cottura (ingrediente unico della vera ri-cotta). Certo, alla fine il maiale perdeva sempre, condannato a morte e assimilato in carne, ossa, sangue e perfino setole dalla comunità. Ma il rapporto uomo-animale/i sottostava comunque a un codice di comportamento. Un approccio non dissimile a quello di tanta parte del mondo, dove il maiale ha accompagnato la dieta quotidiana di uomini e donne, declinato tra bolliti e insaccati, sfamando famiglie e supportando le economie locali. La logica del profitto globale ha stravolto i sistemi contadini e dato il via libera a epidemie sempre meno controllabili, dalla peste suina in su. Ma piccoli agricoltori resistono, da Upstate New York alla Nuova Zelanda, passando per Andalusia e monti Nebrodi, rivendicando sistemi di allevamento eco-compatibili, virtuosi, sani per umani, ambiente e quattozampe. Se avete dei dubbi, cercate in internet un piccolo, geniale cartone animato battezzato Meatrix, ficcante parodia del film-culto Matrix in chiave ecologica. Che festeggiate il Natale a casa o a spasso per il mondo, non accontentavi di mangiare del maiale purchessia. Saranno quelli cresciuti in allevamenti virtuosi a trasformarsi in costine e agrodolci da sogno. Altro che porcate. © RIPRODUZIONE RISERVATA 43 Carne marinata nel kvas (cereali fermentati), infornata, raffreddata, avvolta in una sfoglia di farina, panna acida, burro, uovo e sale, finita di cuocere in forno THAILANDIA Moo pad king MINTO VIA ENRICO ALBANESE 30 PALERMO TEL. 091-7730604 Bocconi infarinati, spadellati con aglio, poi zenzero fresco grattugiato e funghi. A fiamma bassa, salsa di soia, salsa di pesce (oyster) e poca acqua. Alla fine, peperoncino fresco GIAPPONE Tonkatsu WABI-SABI PIAZZALE G. MATTEOTTI 3 PESARO TEL. 0721-67510 Cotoletta infarinata, poi passata nelle uova e nelle briciole di pane (panko), prima di essere fritta, tagliata a cubetti e ricomposta. Servita con riso, zuppa di miso e salsa di mele MI CHE L P A STOURE A U N ELLA CULTURA ANTICA e medievale, soltanto tre animali sono considerati “cugini dell’uomo”: l’orso per via dell’aspetto, del regime alimentare, delle abitudini e del comportamento sessuale; il maiale per l’anatomia interna, la fisiologia, le malattie, il carattere onnivoro, l’intelligenza e la sensibilità; e la scimmia. Vero è che nessun altro piccolo di animale assomiglia a un neonato più di un maialino. E in Europa ci si mette anche il colore della pelle: da quando i maiali sono rosa, cioè dal Settecento, la differenza fra un bebè e un porcellino appena nato non è più tanto grande. Nel Medioevo gli animali venivano talvolta considerati addirittura come esseri morali e perfettibili, dunque responsabili delle proprie azioni. Da qui i processi che a essi furono intentati a partire dal XIII secolo, e le pene severe cui furono condannati come se si trattasse di esseri umani. Capitava che i tribunali emettessero sentenze anche contro cani, cavalli, muli e bovini, ma il vero protagonista del bestiario giuridico rimane il maiale. La prima ragione è numerica (fra i quadrupedi domestici, il maiale è uno dei più diffusi in Europa fino all’epoca moderna) e la seconda è il suo vagabondare, che provoca tanti incidenti. Ma la presenza del porco in tribunale ha sicuramente un’altra spiegazione: la prossimità biologica con l’uomo, che era già ben nota ai medici greci e arabi. Un’idea ricorrente in molti autori antichi e medievali sottolineava come l’organizzazione dell’anatomia interna dell’uomo e del maiale fossero pressoché identiche. Benché la scimmia possieda una percentuale più alta di Dna in comune con l’uomo, oggi il modello scientifico perfetto per studiare l’essere umano è il maiale. Sul maiale si svolge un numero elevatissimo di esperimenti; dal maiale si estraggono molte sostanze necessarie alla salute dell’uomo. La maggior parte dei loro organi e dei loro umori entra nella composizione di decine di medicinali d’uso corrente: fegato, milza, cistifellea, surreni e tiroide, ovaie, cuore, sangue, stomaco, intestino e pancreas. Nessun altro animale fornisce all’industria farmaceutica altrettante sostanze curative, alcune, come l’insulina, consumate su vastissima scala. Il porco non è utile soltanto alla farmacologia, ma anche alla chirurgia, perché molti dei suoi organi — in particolare il cuore e il fegato — possono essere trapiantati negli esseri umani. Creatura socievole, giocosa, sveglia (citata nell’hit parade delle cinque specie animali più “intelligenti”), capace di affetto e di emozione, di manifestare gioia e paura, il maiale si comporta spesso come l’essere umano. Un cugino identificato come tale fin da epoche molto antiche, ma un cugino che a lungo è stato malvisto, respinto, umiliato. (Traduzione di Guido Calza) Da Il maiale. Storia di un cugino poco amato © 2014 Ponte alle Grazie Gallimard, Paris, 2009 © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 44 L’incontro. Cinici SONO UN DIRETTO DISCENDENTE DI GUGLIELMO IL CONQUISTATORE CHE PERÒ PRIMA DI VINCERE A HASTINGS E DI DIVENTARE RE D’INGHILTERRA SI CHIAMAVA GUGLIELMO IL BASTARDO... Per anni è stato il braccio destro della Thatcher, ma un giorno lei lo cacciò su due piedi. “Mi ritrovai con mia moglie su un’isoletta a leggere il best-seller del momento e a sbuffare. Mi disse: se credi di poter fare di meglio provaci, basta che non mi rovini la vacanza”. E così è nato F.U., il protagonista dei suoi romanzi poi diventati la fortunata serie tv House of Cards. “Racconto la sola cosa che conosco bene, la politica mio eroe. Uno che dice: perché strappare solo un braccio al tuo nemico visto ne ha due?». Dobbs dice di essersi ispirato al Giulio Cesare di Shakespeare, ma qui sembra puro Machiavelli: le crudeltà funzionano solo se si fanper com’è e per come deve esse- che no tutte insieme, al momento di prendere il potere. «Ma non immaginavo né di diventare uno scrittore, né che avrei avuto tanto successo. Oggi, ventisetdopo, posso ringraziare, per tutto questo, la mia ex moglie». Ma perre: spietata e crudele, lì sta la techéanni tanto successo, forse neanche Lord Michael riesce a spiegarselo sino in fondo. F.U. è davvero un bastardo. Eppure, non possiamo fare a meno di stadalla sua parte. «Per fare House of Cards è bastato conoscere la politica per sua grandezza. No, non posso recome è realmente e darne una rappresentazione edulcorata: altrimenti nessuno mi avrebbe preso sul serio! Nel corso degli anni, ho incassato attestati stima da molti politici, e a tutti ripetevo: non è un documentario sulla podirle come finirà la storia; se lo dilitica, è finzione. Più di un politico mi si è avvicinato con fare da cospiratore per chiedermi “sono io, vero? Il modello di F.U., dico. Si è ispirato a me?”. E a ho risposto: per niente! F.U. è un personaggio immaginario». Sarà. Ma facessi sarei poi costretto a uc- tutti nemmeno il più scatenato antagonista riuscirebbe a concepire un simile concentrato di perfidia. «Tutti quelli che si avvicinano alla politica, per il novantacinque per cento del loro tempo, si sforzano di migliorare le cose o quanto ciderla. E mi dispiacerebbe” meno così descrivono se stessi, come servitori del bene comune. Il fatto è che Michael Dobbs G I ANC AR L O D E CA T A LD O ROMA M ICHAEL DOBBS HA LA STRETTA DI MANO FRANCA, la battuta pronta e il sorriso caloroso che non ti aspetteresti da un nobile inglese. E tanto meno dall’ex braccio destro di Lady Margaret Thatcher. Come dire: la spocchia è prerogativa degli arricchiti, o degli snob d’accatto, mentre uno come me non ha niente da dimostrare. «Sono diretto discendente di Guglielmo il Conquistatore. Ma prima di vincere a Hastings e diventare re d’Inghilterra si chiamava Guglielmo il Bastardo...». Capita l’antifona? Michael Dobbs è uno che adora spiazzare. Un bastian contrario per vocazione. Tifoso dell’Arsenal, «proprio perché cresciuto in un quartiere di Londra dove tutti tifavano per i Tottenham Hotspurs». Europeista convinto nel regno degli euroscettici: «Non parlatemi di identità o di piccole patrie. Le differenze ci uniscono, e ci rendono più forti. L’Europa è nella sua cultura, non nelle sue istituzioni, su cui c’è troppa enfasi. Le istituzioni passano, il Colosseo, Westminster, Notre-Dame restano. È da lì che dobbiamo ripartire». Da lì, e da House of Cards, la serie tv originata dalla trilogia letteraria che ha regalato a Dobbs fama e successo (in Italia i primi due volumi sono usciti per Fazi, il terzo uscirà a marzo). Quando ne parla, il Lord che non t’aspetti si accende d’entusiasmo. «Avevo davanti a me una brillante carriera politica. Poi Lady Thatcher mi ha cacciato su due piedi. Non sarei mai più diventato ministro o, chissà, ancora di più. Il presidente Mitterrand disse, una volta, che Margaret aveva le labbra di Marilyn Monroe e gli occhi di Caligola. A me, evidentemente, erano toccati gli occhi. Mi ritrovai con la mia allora moglie sull’isoletta di Gozo. Leggevo il best-seller del momento e sbuffavo. Ero inquieto, insoddisfatto. Lei a un certo punto mi dice: HO CONSERVATO UN INCARICO ALLA CAMERA DEI LORD RICEVIAMO UN MUCCHIO DI MERDA DALLA CAMERA DEI COMUNI, DOVE SI DECIDE, E PER SEI MESI LA TENIAMO PARCHEGGIATA DA NOI. DOPO LUNGHI DIBATTITI RESTITUIAMO UN PACCHETTINO DI COMPOST “Piantala di fare l’arrogante. Se questo libro non ti piace, e credi di poter fare di meglio, provaci, ma non rovinarmi la prima vacanza da due anni a questa parte”. Me ne andai in piscina con un taccuino, una penna e una bottiglia di vino. Al termine di un lungo pomeriggio, il vino era finito (ovviamente) e sul taccuino avevo scritto solo due lettere. F.U.». Come Frank Urquarth, deputato conservatore nei romanzi. Come Frank Underwood, il memorabile, cattivissimo Kevin Spacey della serie americana. «Come Fuck You, fottetevi, per dirla tutta! Il modo migliore per descrivere il carattere del il restante cinque per cento, il lato oscuro è maledettamente più affascinante. Ci insegna molto di più sulla vita stessa, attraverso la chiave drammatica che meglio rappresenta la realtà. E per la verità, non ho mai conosciuto in tutta la mia vita un politico che fosse generoso, altruista, aperto, leale. Il politico vive nell’ossessione del potere, tutte le sue energie sono finalizzate alla conquista, alla vittoria, alla distruzione del nemico. Troppi politici desiderano essere amati, mentre ciò di cui vive un politico è il rispetto. Per guadagnarsi il rispetto, occorre essere efficaci, fare cose che funzionano e che sono ricordate. La politica può essere, anzi deve essere, spietata, persino crudele. Ma è lì che sta la sua grandezza». Chissà se si può parlare di grandezza anche per i pedofili — forse assassini — che pare imperversassero negli anni della Thatcher. Lord Dobbs sembra perdere per un istante l’abituale understatement. «Per il momento sono solo rumors, voci. E poi, che dire? I politici sono uomini come tutti gli altri. Come si fa a escludere che fra loro possano esserci anche dei pervertiti?». Inutile insistere. Lord Michael è troppo innamorato della politica per spingersi oltre. Anche se la politica l’ha tradito. Anche se lui per primo la tradisce di continuo, svelandone il lato oscuro. Siamo in una saletta del “palazzo Fandango”, in attesa dell’incontro con il pubblico. Molti giovani, qualche aspirante scrittore. C’è fermento, persino emozione per il faccia a faccia con l’autore di House of Cards. Lord Michael sorseggia un altro po’ di tè. Si affaccia un ragazzo con la barba, mi fa sottovoce «chiedigli di Renzi». Il Lord coglie il bisbiglio. «È vero, ho scritto a Matteo Renzi qualche riga, dopo aver visto che si era fatto fotografare mentre acquistava una copia del mio libro. Gli ho fatto presente che House of Cards è un romanzo, non un manuale di istruzioni. Tuttavia, penso che di politici come lui ci sia bisogno, perché è un uomo nuovo che non ha niente a che spartire con l’eredità — terribile — della politica degli ultimi venti anni». Tutto qui? Eppure, gira voce di un, diciamo così, “feeling” con il nostro UNA SIGNORA UNA VOLTA MI FERMA E TUTTA ECCITATA MI STRINGE LA MANO: “LEI È GRANDE! TUTTE LE SERE LEGGO UNA O DUE PAGINE DEL SUO LIBRO. VEDESSE COME MI CONCILIA IL SONNO” premier... «Meglio essere riservati» sospira, in un furbo “direnon-dire” che rivela lo stratega delle comunicazioni. «In ogni caso, e questo vale per Renzi come per chiunque altro, ho imparato dalla Thatcher che la cosa più utile per un politico è un robusto paio di stivali chiodati. Per camminare comodamente e per prendere a calci chi se lo merita». Il presente di Dobbs è nella Camera dei Lord. «Un incarico consultivo, senza potere reale. Però ha un senso. Lo paragono a una macchina per il compostaggio dei rifiuti. Riceviamo un mucchio di merda dalla Camera dei Comuni, dove si decide, e per sei mesi la teniamo parcheggiata da noi. Dopo lunghi dibattiti, restituiamo un pacchettino di compost: che non sarà perfetto, ma è sempre meglio del magma originario. Questo fa di me un lombrico parlamentare». Il futuro è ancora House of Cards. «La terza serie è pronta. La vedrete presto anche in Italia. E dopo... Potrei farle qualche anticipazione, ma poi sarei costretto a ucciderla, e questo mi dispiacerebbe. Diciamo che dopo un quarto di secolo di vita in comune non vorrei liberarmi di F.U. Perciò: come escludere che possa continuare a vivere, mettiamo, dopo la morte? La verità è che non ho idea di cosa accadrà in futuro». La folla, di là, rumoreggia. Un ultimo sorso di tè, Lord Michael, e una dichiarazione al popolo dei lettori. «Lettori! Adoro i miei lettori! Una signora una volta mi ferma, dopo un reading. Tutta eccitata mi stringe la mano e mi fa: “Dobbs, lei è grande! Tutte le sere, prima di addormentarmi, leggo una o due pagine del suo libro. Sapesse come mi concilia il sonno...”. Voleva essere un complimento. Beh, a quella signora e a tutti gli altri direi: leggete, divertitevi, non prendetelo troppo sul serio...». Pausa. Lampo ironico nello sguardo. «Ma nello stesso tempo, prendetelo tremendamente sul serio!». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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